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Francesco Lamendola

Cosa dice lo sguardo morente di Cleopatra nella tela viennese di Guido Cagnacci?
Guido Cagnacci (SantArcangelo di Romagna, 1601 - Vienna, 1663) amava ritrarre le belle donne nude, spesso sfruttando pretesti mitologici e persino biblici per metterne in scena i giovani corpi dalle forme statuarie, pervasi da un languore morbido e sensuale. Sua , fra laltro, quella splendida ragazza che campeggia nel celebre Ratto di Europa; sua una improbabile versione profana dellepisodio evangelico di Marta e Maria; sua unEstasi di Maria Maddalena che spinge allestremo limite il binomio barocco Eros-Thanatos (con la giovane santa ignuda che si abbandona, stringendo un teschio nel grembo); sue, infine, una serie di variazioni sul tema del suicidio di Cleopatra, la celeberrima regina egiziana, dopo la sconfitta di Marco Antonio, per non dover subire lumiliazione della cattura da parte di Ottaviano Augusto. Le due versioni pi famose la ritraggono ormai esanime, abbandonata su una imponente poltrona dallalto schienale di legno imbottito: in una, la pi nota (153 cm. x 168,5 cm., presso la Gemldegalerie del Kunsthistorisches Museum di Vienna), reclina il capo in avanti ed circondata da uno stuolo di giovani ancelle come lei discinte, apparentemente commosse (si noti che le uniche due anziane, e verosimilmente vestite, sono seminascoste dallo schienale, per cui se ne vedono solo i volti addolorati); nellaltra (120 cm. X 158 cm., Pinacoteca di Brera, Milano), ella piega lievemente la testa allindietro e, gli occhi appena socchiusi nel sapiente gioco di ombra e luce, par che dorma, come dice Tasso di Armida: da sola, e ci sottolinea latmosfera non gi drammatica, ma dolcemente abbandonata e quasi sognante della scena. Unaltra versione, un po pi piccola (93,5 cm. x 115 cm., sempre custodita nella Gemldegalerie del Kunsthistorisches Museum viennese), presenta caratteristiche diverse e pi anticlassiche, pi barocche nellideazione e nella composizione. Qui la regina del Nilo colta non gi nel sonno della morte, ma nellistante drammatico che la precede: la bocca aperta come a gridare o a invocare aiuto; lo sguardo obliquo, diretto verso lalto, quasi a strappare un ultimo raggio della fuggente luce (come direbbe Foscolo), prima che il buio scenda sui suoi occhi e nasconda ogni cosa nella notte eterna; e il gesto convulso delle mani e delle braccia: nella destra stringe ancora laspide da cui si fatta mordere, mentre con laltra afferra convulsamente il bordo della veste, come per aggrapparsi a qualcosa che la trattenga sul limitar di Dite. , di gran lunga, la versione pi drammatica di tutte: lo sfondo nero che lavvolge sottolinea la tragicit del trapasso, che non composto e delicatamente rassegnato, come nelle altre due tele di analogo soggetto, ma che, per lo stacco violento fra la luce che illumina dal basso il bel corpo seminudo e lombra che avanza da ogni lato, esprime una estrema tensione e quasi un urlo di protesta contro la vita che fugge;come se Cleopatra avesse avuto un momento di ripensamento e si disperasse per lirreversibilit del suo gesto fatale. Il viso, in particolare, una vera e propria maschera drammatica. Al posto dei lineamenti distesi e serenamente abbandonati delle altre tele, anche per il suddetto effetto di luce irrompente dal basso - una luce violenta e quasi caravaggesca -, vediamo la bocca aperta e gli occhi spalancati, ma gi sul punto di chiudersi, simili a tre finestre oscure, che non accolgono la luce, ma la respingono; alle quali si aggiungono, sempre per leffetto prospettico dal basso verso lalto, le due macchie scure pi piccole delle narici e la linea, pure scura, del

sopracciglio sinistro (laltro quasi non si vede), inarcato anchesso come un estremo grido di soccorso e di protesta. Pi in basso ancora, unaltra finestra cieca: lincavo dellombelico, la cui ombra contrasta vivamente con le carni bianchissime e par quasi una ferita; mentre il movimento nervoso delle gambe richiama quello, altrettanto nervoso, delle braccia, in un gioco di simmetrie sapientemente contrappuntate. Quello che per colpisce maggiormente losservatore, in questa tela di Guido Cagnacci, non la perfezione dellanatomia (eppure si tratta certo di uno dei pi bei nudi femminili della pittura italiana post-rinascimentale, con il seno piccolo ma perfetto e la linea morbidissima del fianco e delle braccia), bens lespressione del viso e, soprattutto, lespressione degli occhi e il gesto di aprire la bocca: si direbbe proprio che a questa infelice regina manchi solo la parola per poter esprimere compiutamente il proprio dramma. Langoscia, lo sbigottimento, il rammarico delladdio alla vita, forse un tardivo ripensamento circa il suicidio, rendono quel viso, quello sguardo, quella bocca aperta, una maschera dinesprimibile intensit drammatica, quale raramente stata eguagliata da altri artisti. Schopenhauer si domandava, davanti al Laocoonte, perch lo sventurato sacerdote troiano non gridi, non possa gridare, mentre i due draghi usciti dal mare gli avviluppano le membra e straziano quelle, tenere e inermi, dei suoi due figlioletti; e cos anche noi vogliamo domandarci perch questa Cleopatra, sventurata e bellissima, non gridi; perch nessun suono esca da quella gola protesa in una suprema invocazione alla vita fuggente. Hanno scritto Agnese Chiari Moretto Wiel e Giada Sirchi, curatrici del bel volume San Marco, Dipinti di antichi maestri (catalogo dellasta tenutasi il 15 ottobre 2006 presso Ca Vendramin Calergi di Venezia; pp. 142): Definito dalle fonti bizzarro e stravagante, Guido Cagnacci certo lartista pi celebre della prima met del seicento in Romagna. Sebbene alcune fonti ne ricordino un apprendistato bolognese presso Ludovico Carracci e Guido Reni, altre lo dicono autodidatta e il suo periodo giovanile, che mostra elementi di cultura caravaggesca e riformata, rimane ancora in gran parte da definire. Importanti sono, nella sua formazione, anche due brevi soggiorni a Roma, il secondo dei quali al seguito del Guercino, nella cui casa romana, appunto, il pittore risedette. I suoi primi dipinti documentati sono le due tele con San Sisto e la processione del Santissimo sacramento nella parrocchiale di Saludecio, databili intorno al 1627. Dal 1623 al 1648 la sua attivit si svolge soprattutto in Romagna. questo il periodo in cui, parallelamente alla sua affermazione, si assiste anche ad una fase della sua vita segnata da vicende avventurose, come il tentativo di fuga con una giovane vedova, a causa del quale nel 1628 Guido bandito da Rimini. A partire dal 1635, con la Pala di Santarcangelo, firmata e datata, inizia la fase matura dellartista, in cui evidente linflusso dei grandi maestri emiliani (Renio e soprattutto il Guercino). questo il momento caratterizzato da morbidi e sfumati passaggi cromatici e contenuti spesso sensualmente orientati. Nel 1642 a Forl, dove gli viene commissionata la decorazione della Cappella della Madonna del Fuoco nella cattedrale, per la quale, per, il pittore eseguir soltanto le due grandi tele con La gloria di San Valeriano e La gloria di San Mercuriale, oggi alla Pinacoteca Civica della citt, opere che si collocano tra gli esiti pi alti del Cagnacci, impegnato a proporre una personale interpretazione in chiave teneramente naturalistica, del gusto decorativo barocco. Concluso nel 1645 il soggiorno forlivese, dopo altri spostamenti tra Cesena e Faenza, verso il 1650 il pittore si stabilisce a Venezia, con il nuovo cognome di Canlassi, adottato forse per evitare le conseguenze delle numerose avventure romagnole. questa la fase a cui risale la maggior parte delle tele raffiguranti sensuali e suadenti figure femminili. Il soggiorno veneziano dura probabilmente fino al 1659, anno in cui Guido passa a Vienna su invito dellimperatore Leopoldo I, del quale esegue un ritratto ufficiale (Vienna, Kunsthistorisches Museum). A Vienna il pittore muore nel1663. Per le qualit formali ed i contenuti moraleggianti delle rappresentazioni allegoriche la sua pittura fu molto apprezzata nei raffinati ambienti del collezionismo europeo. 2

Questo splendido dipinto da stanza [ossia La morte di Cleopatra della tela minore viennese], in ottimo stato di conservazione, ben si colloca nel novero delle elaborazioni sul tema della figura femminile dipinte dal Cagnacci negli anni dei soggiorni veneziano e viennese. Si tratta di opere che si pongono allinterno di una lunga tradizione, in cui i nudi erano raffigurati con il pretesto di rappresentare temi storici o mitologici, fondendo cos contenuti moraleggianti e ideali di suadente bellezza. In particolare tra lo scorcio degli anni Cinquanta e gli inizi del decennio successivo Guido esplora pi volte il soggetto della Morte di Cleopatra, del quale sono note numerose redazioni (Bologna, Pinacoteca Nazionale, 1657) che presentano la regina dEgitto alla fine della vita, sola (Vienna, Kunsthistorisches Museum, 1658), in composizioni in cui un studiata raffinatezza formale si fonde con accenti di squisita sensualit, destinata a divenire proverbiale presso il pubblico internazionale. Come nelle altre opere ricordate, anche nella tela che qui si presenta, il corpo nudo della giovane donna bionda, morbido e flessuoso, giace abbandonato su una rigida poltrona, creando un suggestivo contrasto , ma a differenza delle altre - in cui ormai sopraggiunto un sereno abbandono alla morte - Cleopatra sembra qui colta in un ultimo drammatico afflato di vita, mentre stringe con la destra laspide mortale e con la sinistra il drappo grigio argenteo, che ne copre in parte la nudit. Un colore studiatamente raffinato ed una luce chiara e delicatamente modulata completano la definizione della figura che emerge in tutta la sua raffinata bellezza dal buio uniforme dello sfondo. Verrebbe fatto di pensare che Guido Cagnacci abbia tenuto presente, nel dipingere questa tela dalla concezione cos originale, la Niobide morente del Museo nazionale Romano, tante sono le analogie figurative fra le due opere: in particolare quella bocca semiaperta ad emettere un gemito di sofferenza e quasi di supremo stupore. Ma il fatto che la Niobide emersa da un terreno degli Orti Sallustiani solo nel 1909 e quindi, evidentemente, n Cagnacci n alcuno degli artisti del Rinascimento o del Barocco potevano averne la bench minima conoscenza. Conviene perci ricondurre lispirazione della tela viennese a quellanticlassicismo programmatico proprio della civilt seicentesca e alla personale vena del pittore, non senza suggestioni del Reni e del Guercino, ma anche del Caravaggio, e in direzione di una interpretazione in chiave naturalistica della decorazione barocca, percorsa da una inconfondibile vena di sensualit che, nel caso specifico di questopera, conduce ad esiti particolarmente originali. Infatti, lincontro fra la drammaticit della scena, dominata dal senso della morte, anzi, dalla fuga della vita, e lultimo anelito di vitalit della giovane donna spirante, quasi un grido di protesta contro il destino che la rapisce nel fiore degli anni e della bellezza, perviene ad esiti particolarmente suggestivi e quasi moderni, che non sarebbero spiaciuti nel clima del Romanticismo nordico e, pi ancora, della cultura decadentista e simbolista. Il binomio di Amore e Morte (bench Cleopatra non muoia per amore, o non principalmente per amore, la sua fulgida venust ne fa, comunque, una inconsapevole Afrodite) si fonde in un dinamismo di sapore quasi berniniano, che tuttavia coesiste con un senso della plasticit e della compiutezza i quali fanno pensare anche alla grande tradizione rinascimentale, e specialmente a spunti e suggestioni dallarte di Jacopo Pontormo. Se dovessimo, infatti, indicare un antecedente e, per cos dire, un adeguato interlocutore alla tragica, disperata Cleopatra della tela di Cagnacci, forse finiremmo per indicare la figura in basso nella Deposizione del Pontormo risalente al 1525-28, nella Cappella Capponi della Chiesa fiorentina di Santa Felicita. Nel viso di San Giovanni che regge il corpo di Cristo, mentre le pie donne e altre figure lo stanno togliendo dalla croce - che per non si vede affatto -, vi sono una tale angoscia, una tale disperazione e, per contrasto, una tale celestiale bellezza (in effetti, sembra pi il volto di una creatura angelica che umana), quali a stento si potrebbero immaginare. Certo, volendo potremmo indugiare a lungo nel cercare somiglianze e possibili motivi ispiratori; ma sarebbe - crediamo - una fatica in gran parte vana, sia perch non potrebbe condurre ad alcun 3

risultato certo e definitivo, sia perch qui il Cagnacci ha raggiunto, senza dubbio, uno dei vertici della sua originalit inventiva. Quanto allo sguardo di Cleopatra, sono molte le cose che sta dicendo, ma nessuna traducibile in parole e per una ragione molto semplice: lorrore della morte , per definizione, indicibile, specialmente da parte di chi si trovi ad affrontare impreparato e carico di rimpianti quelllestremo, dubbioso passo.

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