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Journal of Neuroscience, Psychology and Cognitive Science

On-line date: 2009-01-05

L'Arte nella Malattia

di Cristina Bergia

Keywords: Arte, Malattia, van Gogh, Munch, Goya, Michelangelo

Esistono artisti che dipingono ciò che vedono, altri che dipingono ciò che ricordano o ciò che
immaginano. Il nostro cervello si modifica di fronte alla realtà ma, allo stesso tempo, è capace di
cambiarla: un cervello 'diverso' dovrà pertanto avere un rapporto diverso con la realtà. Nell' arte
questo "processo" può portare alla creazione di nuove realtà, che solo in parte dipenderanno dall'
"informazione sensoriale"; il nostro cervello, infatti, non ha necessariamente bisogno del continuo
"flusso informativo" proveniente dai nostri sensi. I sogni, i ricordi che "rivivono" nelle immagini
mentali e anche, rappresentazioni "semplicemente" create dalla nostra mente testimoniano questo
evento. In questo senso l'arte amplifica la realtà, crea un nuovo "canale mentale" in grado di aprirsi
a nuove esperienze. Gli stimoli visivi, reali o evocati dalla memoria, che hanno eccitano il sistema
nervoso dell'artista al momento della creazione dell'opera d'arte, trasformati dalla sua mano in
colori e forme, stimoleranno il sistema nervoso di chi l'osserva. L'opera d'arte deve riuscire a
suscitare nel cervello dell'osservatore sensazioni ed emozioni che sono state presenti nel cervello
dell'artista [Maffei L., Fiorentini A., 1995]. Accostarsi ad un opera d'arte, guardarla, percepirla,
comprenderla e apprezzarla, implica il coinvolgimento di molte strutture cerebrali e l'attivazione di
meccanismi ben specifici, a partire dai funzionamenti alla base della percezione visiva, a quelli
implicati nella cosiddetta "psicologia del vedere", nell'esperienza estetica ed emozionale. Questo si
riferisce non solo all'emozione provata da chi gusta un dipinto ma anche al momento creativo che
coinvolge l'artista per realizzare la sua opera. Alcuni ricercatori, soprattutto psicologi e
neurofisiologi, sono rimasti affascinati dalla possibilità di studiare le proprietà e le caratteristiche
del cervello che rientrano nella valutazione di un'opera d'arte e nel piacere che essa può dare;
persuasi dall'idea che la comprensione di tali meccanismi cerebrali, insieme alla conoscenza delle
vicende della vita di un artista e della cultura del suo tempo, possano favorire una maggior
"cognizione" e apprezzamento dell'opera e di chi l'ha creata. Un' opera d'arte nasce dalla

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combinazione di ciò che l'artista esperisce "visivamente" e da come interpreta quanto gli viene
comunicato dal mondo esterno. Sia l'acquisizione dell'informazione visiva, sia la sua elaborazione
interiore possono essere alterate da cause patologiche. Gli effetti di gravi malattie mentali, spesso,
alterando le capacità percettive ed emotive dell'artista, possono influire sulla sua espressione
pittorica e testimoniano come la storia di vita del pittore entri a far parte integrante della sua opera.
Tutto ciò affiora nei quadri di alcuni grandi pittori in momenti particolari della loro vita.
Francisco Goya (1746-1828) fu affetto da un'encefalopatia, dovuta ad intossicazione da piombo
(elemento allora presente nei pigmenti di vari colori), che gli provocò sordità e alterazione della
personalità. Dapprima la sua malattia lo ostacolò in ogni attività e fu la causa di una profonda
depressione; figure da incubo popolarono i suoi quadri quando ricominciò a dipingere.
Francisco Goya, Particolare "Crono divora i suoi figli" Madrid, Museo del Prado. Quest'opera
appartiene all'attività più tarda di Goya e fa parte della famosa serie di "pitture nere" della Quinta
del Sordo, la sua abitazione privata nella campagna sulle sponde del Manzanarre, dall'artista stesso
decorata. Goya, quando dipinse questa figurazione mitologica, era ormai quasi completamente
sordo, solo e in preda all'angoscia di cui è testimonianza gran parte della produzione della sua
vecchiaia. L'opera, dipinta con inedita crudezza, vuole assumere probabilmente un significato
politico: Saturno che divora uno dei suoi figli sembra simboleggiare il tiranno che divora i suoi
sudditi, un´ allusione dell'artista, fortemente avvilito dalle vicende politiche europee e
spagnole, a Ferdinando VII. Goya dipinse la figura mostruosa con toni grigiastri e ocra, sul corpo
dilaniato del figlio spicca il rosso del sangue; la scena raccapricciante è intrisa di un' atmosfera
"allucinata". La depressione che afflisse Michelangelo (1475-1564), invece, fu di origine psichica.
Nel dipingere il volto di San Bartolomeo mentre mostra al Giudice il coltello, l'artista riportò nelle
pieghe della pelle del martirio un dolorante autoritratto.
Michelangelo Buonarroti, Particolare "Giudizio Universale" Roma, Cappella Sistina. I sistemi
percettivo, emotivo ed espressivo di altri grandi pittori sono stati, in modo più drammatico, alterati
da gravi malattie mentali, quali la schizofrenia e la sindrome maniaco- depressiva. Gruesser et al.,
(1988) descrisse, quale particolare disturbo caratteristico di pazienti schizofrenici, l'anormale
percezione delle facce. I volti osservati da questi pazienti potevano cambiare velocemente la loro
espressione, assumendo sempre più le sembianze di un mostro: la bocca si apriva mettendo in
evidenza i canini sporgenti, il naso e gli occhi divenivano più grandi, le pupille si dilatavano.
Alcuni disegni o dipinti riportati da pazienti affetti da schizofrenia mettono in evidenza questa
particolare caratteristica e mostrano, pur comunicando la sofferenza e le distorsioni percettive di
questa terribile malattia, come la "follia" possa, in alcuni casi suggerire una "geniale" creatività
artistica. Deformazioni delle facce, volti ansiosi ed impauriti, espressioni ossessive sembrano
raggiungere i limiti della patologia nel pittore James Ensor (1860-1949). Le tele dell'artista
cominciano a popolarsi di bizzarre figure fino a raggiungere l'apoteosi del sovraffollamento in
quello che è considerato il suo capolavoro: L'Entrata di Cristo a Bruxelles. Le strane figure del
dipinto possono sembrare il frutto di allucinate visioni ma, allo stesso tempo, attingono ad una
realtà sovrannaturale; la maschera con il riso assume valore ambivalente perché il suo uso
permette, attraverso il travestitismo, di modificare ciò che dietro vi si nasconde. Ancora una volta i
confini della patologia, come quelli tra "realtà" e "allucinazione", divengono sfumati e
faticosamente distinguibili.
James Ensor, "L'entrata di Cristo in Bruxelles" Malibu, Getty Museum. Edvard Munch
(1863-1944) si ritiene fosse affetto da una sindrome schizoide. Il pittore norvegese, nel suo famoso
quadro Il grido, sembra voler svelare la sua angoscia, presumibilmente di origine patologica.
Queste parole, scritte da Munch per descrivere Il grido, danno solamente un'idea della forte
sensazione che ha portato l'autore a realizzare quest'opera: Una sera passeggiavo per un sentiero,
da una parte stava la città e sotto di me il fiordo. Ero stanco e malato. Mi fermai e guardai al di là
del fiordo - il sole stava tramontando - le nuvole erano tinte di un rosso sangue. Sentii un urlo

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attraversare la natura: mi sembrò quasi di udirlo. Dipinsi questo quadro, dipinsi le nuvole come
sangue vero. I colori stavano urlando.
Edvard Munch, "Il Grido" Nasjonalgalleriet, Oslo. Il grido, o L'urlo, come viene spesso chiamato
nella traduzione italiana, fa parte di una serie di opere intitolata dall'autore stesso "Fregio della
vita". Il contenuto dell'opera raffigura un uomo che si rifiuta di sentire il suo stesso urlo di dolore:
il particolare clima culturale e politico favorisce il rifiuto di essere messi di fronte alle proprie
angosce esistenziali, tanto che nel 1982 la mostra delle opere di Munch a Berlino venne chiusa
dalle autorità per lo scalpore suscitato. L'alterazione ai fini espressivi della realtà, della forma e del
colore: contorni dissolti, forme indefinite, colori irreali, contrastanti, sono il mezzo attraverso il
quale Munch perviene ad una personalissima interpretazione dell'angoscia esistenziale dell'uomo
e, rendendola visibile, la diffonde nell'animo di chi la contempla. Gli accostamenti cromatici e la
deformazione dei soggetti rappresentati, ottenuta attraverso lunghe pennellate, assumono in Munch
un preciso scopo funzionale: l'opera deve agire nell'animo di chi la osserva perché è espressione
diretta dell'animo di colui che l'ha creata. Tratti ondulati associati a linee diagonali creano un senso
di dinamicità che provoca tensione. La luce, che va a colpire frontalmente la figura principale,
conferisce immediatezza all'evento diffondendo un senso di inquietudine. La comunicazione di
precisi stati emotivi, che negli impressionisti giocava tutta sull'impressione visiva, sembra, in
Munch, spingersi ed agire a un livello più inconscio. La creatività di Munch afferma la sua
ossessione per le problematiche della vita e della morte (l'artista fu influenzato dal filosofo
Nietzche e dallo scrittore Strindberg), la sua visione pessimistica della società e del mondo e Il
grido diventa il simbolo delle ansie e delle inquietudini di un intero secolo. Riguardando la sua
opera compiuta, Munch disse: 'Solo un folle poteva dipingerlo'. Vincent van Gogh (1853-1890) è
considerato oggi "il pittore malato" per eccellenza. La natura della sua malattia, che si manifestò
prima dei trent'anni, è stata oggetto di numerose ricostruzioni e interpretazioni diagnostiche,
fondate soprattutto sulle numerose lettere che van Gogh stesso scrisse al fratello Theo. Ampia è la
letteratura riguardante le cause delle sua malattia, le quali suscitano ancora oggi grande interesse
[Arnold, 1992; 2004; Blumer, 2002; van Meekeren, 2000; Strik, 1997; Meissner, 1994; Lemke,
1993; Rahe, 1990; 1992]. Nel momento in cui le sue crisi, caratterizzate soprattutto da
allucinazioni e attacchi di tipo epilettico, si manifestavano, l'artista "cadeva" in uno stato di
profonda depressione, ansietà e confusione mentale, tanto da renderlo totalmente incapace di
lavorare. Dapprima si pensò che si trattasse di epilessia, ma questa ipotesi rimane solo in parte
convincente in quanto non è provato che van Gogh soffrisse dei sintomi che caratterizzano il
"grande male" (convulsioni di tipo motorio, tonico-cloniche), tanto meno delle manifestazioni
proprie del "piccolo male". Questa prima ipotesi diagnostica, d'altro canto, fu probabilmente
formulata non in base ai sintomi che distinguevano la sua malattia, ma da ciò che van Gogh disse
di sé: "...sono un pazzo o un epilettico". Sulla base, soprattutto, delle allucinazioni di cui soffriva e
in seguito ad un episodio di paranoia, nel quale fu tormentato dalla convinzione che i vicini lo
volessero avvelenare, Jasper ipotizzò che l'artista potesse essere schizofrenico, ma anche questa
supposizione pare soddisfare solo in parte i criteri che rientrano nel quadro della schizofrenia. Un'
ulteriore trattazione è quella proposta da Arnold (1992), il quale riscontra nei sintomi dichiarati dal
pittore una somiglianza con quelli propri di una rara malattia eridataria: la porfiria acuta
intermittente. Questa patologia si manifesta in età adulta con attacchi improvvisi, intervallati da
periodi di benessere; disturbi gastro-intestinali gravi, neuriti periferiche, disturbi psichiatrici con
allucinazioni ne caratterizzano il quadro sintomatologico, nonché quello proprio della malattia di
van Gogh. È noto inoltre che, come numerosi artisti dell'epoca (Manet, Degas,
Toulouse-Lautrec), anche van Gogh facesse uso di una bevanda alcolica decisamente tossica ma
assai in voga nella Francia di quel periodo: l'assenzio. Questo liquore dal colore verde intenso, che
diviene giallo se allungato con acqua, si ricava dalla pianta Artemisia absinthium e contiene, oltre
all'alcol, alcuni olii essenziali molto tossici, dagli effetti dannosi sul sistema nervoso, come il

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tuione in grado di provocare allucinazioni visive ed attacchi epilettici. Quindi, come sostengono
numerosi studiosi [Holstege et. al., 2002; Berggren, 1997; Bonkovsky et al., 1992; Arnold, 1988]
l'uso di assenzio e di altre bevande alcoliche, associato ad una cattiva o scarsa nutrizione devono
aver aggravato i sintomi della sua malattia. Il pittore Paul Signac, amico di van Gogh, raccontò un
episodio che sottolinea l'ultimo periodo della vita del grande pittore:"Tutto il giorno mi aveva
parlato di pittura, letteratura, socialismo. A sera era un po' stanco. [...] Voleva bere d'un colpo un
litro di essenza di trementina, che si trovava sul tavolo della camera". Un anno prima della sua
morte van Gogh, dopo una violenta discussione con il pittore amico Gauguin, si recise l'orecchio
sinistro per poi regalarlo ad una prostituta. Un suo autoritratto testimonia l'episodio di
automutilazione che contrassegnò la sua malattia.
Vincent van Gogh, "Autoritratto con orecchio tagliato" Collezione privata Alcuni studi [Lee,
1981; Lanthony, 1989; Arnold, 1991; Elliot, 1993] hanno tentato di mettere in relazione la malattia
di van Gogh con la sua passione per il colore giallo, che predomina nelle tele del periodo francese.
Offuscando un po' la sua "reale" creatività questi autori sostengono che i colori caldi - e così "veri"
- gli furono ispirati soprattutto dalle allucinazioni visive, in grado di alterare il senso cromatico e la
percezione di forma e dimensione. Molti suoi capolavori possano apparire realmente "allucinati",
ma forse la creatività di van Gogh nasceva anche dalla "geniale" capacità di guardare la realtà da
prospettive non ordinarie.
Vincent van Gogh, "Il Caffè di notte" New Haven, Yale University Art Gallery Il quadro
rappresenta l´interno di un caffè che si trovava nella place Lamartine ad Arles. Al fratello
Theo, van Gogh scrisse del ruolo emotivo ricoperto dal colore nella sua pittura e a proposito di
questo dipinto dirà: 'Ho cercato di esprimere con il rosso e il verde le terribili passioni umane. La
sala è rosso sangue e giallo opaco, un biliardo verde in mezzo, quattro lampade giallo limone a
irradiazione arancione e verde. C´è dappertutto una lotta e un´antitesi dei più
diversi verdi e rossi, nei piccoli personaggi di furfanti dormienti, nella sala triste e vuota, e del
violetto contro il blu'. In tal modo van Gogh sembra rinunciare alla resa della luce degli
impressionisti per tornare all´esaltazione dei sentimenti forti espressa dal colore. Uno degli
ultimi dipinti realizzati da van Gogh è questo campo di grano dalla pennellata vorticosa e
tormentata. Le condizioni di salute del pittore peggiorarono. A proposito di questo quadro scrisse: '
... ho ancora dipinto tre grandi tele. Sono immense distese di grano sotto cieli tormentati, e non ho
avuto difficoltà per cercare di esprimere la tristezza, l´estrema solitudine'. In uno di questi
campi, di lì a pochi giorni, si sparerà, e morirà due giorni dopo.

Vincent van Gogh, "Campo di grano con corvi" Amsterdam, Rijksmuseum Vincent van Gogh. Non
si possono associare alla creatività di van Gogh e all'originalità dei suoi dipinti caratteristiche dei
"limiti" di una patologia: Vincent Van Gogh non finì mai di dipingere e rimase meravigliosamente
creativo fino alla sua morte.

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http://www.fotoartearchitettura.it/Arte/Archivio/munch/main.html

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