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ANALISI MATEMATICA II

prof. Antonio Greco


11-12-2012
Indice
Sintesi del corso
Programma . . . . . . . . . . . 5
Libro di testo . . . . . . . . . . 5
Modalit`a desame . . . . . . . . 5
Come studiare . . . . . . . . . . 5
Equazioni differenziali
Introduzione . . . . . . . . . . . 6
Variabili separabili . . . . . . . 10
Eq. lineari del primo ordine . . 13
Eq. lineari del secondo ordine . 15
Curve nello spazio
Denizione . . . . . . . . . . . 19
Integrale di prima specie . . . . 22
Funzioni di due variabili
Il piano . . . . . . . . . . . . . 25
Le quadriche . . . . . . . . . . 26
Funzioni radiali . . . . . . . . . 27
Linee di livello . . . . . . . . . 27
Topologia, limiti e continuit
`
a
Motivazione . . . . . . . . . . . 28
Denizione di limite . . . . . . 29
Continuit` a . . . . . . . . . . . . 29
Esempi . . . . . . . . . . . . . . 30
Concetti elementari di topologia 31
Teorema di Weierstrass . . . . . 33
Calcolo differenziale
Derivate parziali . . . . . . . . 34
Dierenziabilit` a . . . . . . . . . 35
Il gradiente . . . . . . . . . . . 36
Funzioni composte . . . . . . . 37
Derivate seconde . . . . . . . . 38
Formula di Taylor . . . . . . . . 39
Massimi e minimi . . . . . . . . 40
Funzioni da R
N
a R
k
Coordinate polari . . . . . . . . 43
Coordinate sferiche . . . . . . . 43
Coordinate cilindriche . . . . . 44
Matrice Jacobiana . . . . . . . 44
Calcolo integrale
Integrale doppio di Riemann . . 46
Domini semplici . . . . . . . . . 49
Formule di riduzione . . . . . . 50
Domini regolari . . . . . . . . . 50
Cambiamento di variabili . . . . 50
Integrale triplo di Riemann . . 52
Integrazione per li e per strati 53
Campi vettoriali
Esempi . . . . . . . . . . . . . . 54
Integrale di seconda specie . . . 55
Campi conservativi . . . . . . . 56
Superfici nello spazio
Il piano . . . . . . . . . . . . . 58
Linee coordinate . . . . . . . . 59
Piano tangente . . . . . . . . . 59
Integrale superciale . . . . . . 60
Variet`a dierenziabili . . . . . . 61
Flusso . . . . . . . . . . . . . . 62
Teorema della divergenza . . . . 63
Formule di Gauss-Green . . . . 65
Teorema di Stokes . . . . . . . 66
Domini semplicemente connessi 68
Limiti di funzioni
Convergenza puntuale . . . . . 70
Convergenza uniforme . . . . . 71
Criterio di Cauchy . . . . . . . 73
criterio di Cauchy . . . . . . . . 73
Cauchy, criterio di . . . . . . . 73
Serie di potenze . . . . . . . . . 73
Integrazione per serie . . . . . . 75
Serie nel campo complesso . . . 75
Derivazione sotto il segno di int. 76
Appendice
Invenzione o scoperta . . . . . . 77
Serie di Taylor . . . . . . . . . 77
Linee di livello . . . . . . . . . 78
Equazione del pendolo . . . . . 79
Tangente, normale e binormale 80
Potenziale newtoniano . . . . . 81
A2
A3
A4
PROGRAMMA
- Equazioni differenziali;
- Rappresentazione parametrica di
curve e superfici;
- Derivate parziali, massimi e mini-
mi;
- Integrali doppi e tripli;
- Teoremi di Stokes e della diver-
genza;
- Successioni e serie di funzioni.
LIBRO DI TESTO
Bramanti, Pagani, Salsa.
Analisi Matematica 2.
Zanichelli.
MODALIT
`
A DESAME
Lesame consiste in una prova
orale. Non
`
e prevista una prova
scritta, ma lo studente deve sa-
per svolgere alla lavagna esercizi
dello stesso livello di difficolt
`
a
di quelli assegnati durante il cor-
so.
COME STUDIARE
1. Discutere a lezione gli argo-
menti del corso;
2. Riguardare a casa ogni lezione;
3. Fare gli esercizi;
4. Discutere lo svolgimento degli
esercizi.
A5
INTRODUZIONE ALLE EQUA-
ZIONI DIFFERENZIALI
1. PRIMI ESEMPI
A. Le funzioni costanti y(x) c so-
no soluzioni dellequazione diffe-
renziale
y

= 0.
B. Le funzioni esponenziali y(x) =
c e
x
sono soluzioni dellequazione
differenziale
y

= y.
C. Le funzioni periodiche della se-
guente forma: y(x) = a cos x+b sen x
sono soluzioni dellequazione dif-
ferenziale
y

+y = 0.
2. CONCETTO GENERALE
Unequazione differenziale
`
e un
problema che consiste nel trova-
re tutte le funzioni y(x) tali che,
sostituendo la stessa y(x) e le sue
derivate y
(k)
(x) al posto delle va-
riabili di una funzione data
F(x, y
0
, y
1
, . . . , y
n
),
risulta soddisfatta luguaglianza
seguente:
F(x, y(x), y

(x), . . . , y
(n)
(x)) = 0
per ogni x in un dato intervallo.
Si chiama ordine dellequa-
zione il valore numerico di n.
Classicamente, si intende che le
soluzioni y(x) devono essere fun-
zioni derivabili almeno n volte, e
si richiede anche che le prime n de-
rivate di y(x) siano continue.
3. RIVEDIAMO I PRIMI ESEM-
PI ALLA LUCE DEL CONCETTO
GENERALE
A. La funzione F
`
e
F(x, y
0
, y
1
) = y
1
.
Il problema ad essa associato
`
e
quello di trovare le funzioni y(x)
tali che
F(x, y(x), y

(x)) = 0,
cio
`
e tali che
y

(x) = 0.
B. La funzione F
`
e
F(x, y
0
, y
1
) = y
1
y
0
.
Il problema ad essa associato
`
e
quello di trovare le funzioni y(x)
tali che
y

(x) y(x) = 0.
Lordine di questa equazione
`
e 1,
come per quella precedente.
C. La funzione F
`
e
F(x, y
0
, y
1
, y
2
) = y
2
+y
0
.
Il problema associato
`
e quello di
trovare le funzioni y(x) tali che
F(x, y(x), y

(x), y

(x)) = 0,
cio
`
e tali che
y

(x) +y(x) = 0.
Questa
`
e unequazione del secon-
do ordine.
A6
4. IMPORTANZA DELLE EQUA-
ZIONI DIFFERENZIALI
I. Molte leggi fisiche sono espres-
se da equazioni differenziali.
Esempio: la seconda legge del-
la dinamica Newtoniana del punto
materiale
F = m
d
2
r
dt
2
`
e unequazione nella quale sono
dati la massa m del punto ed il
campo F delle forze applicate, e
lincognita
`
e la funzione r(t).
Risolvendo unequazione diffe-
renziale
`
e possibile fare previsio-
ni sullevoluzione del sistema.
II. Le equazioni differenziali si
usano anche al di fuori della fi-
sica.
Si veda, ad esempio, il modello
malthusiano della dinamica delle
popolazioni sul libro di testo.
5. INTEGRALE GENERALE
Si noti, innanzitutto, che una so-
luzione di unequazione differen-
ziale
`
e una funzione, e non un sin-
golo valore numerico.
Si chiama integrale generale
di una data equazione una formula
che rappresenta tutte le soluzio-
ni, che, di solito, sono infinite.
Esempio semplice: lintegrale
generale dellequazione y

= 0
`
e
y = c.
`
E normale che nellintegrale ge-
nerale figurino dei parametri, al
variare dei quali si individuano le
diverse soluzioni.
6. PROBLEMA DI CAUCHY
`
E il problema che risulta dal con-
siderare, oltre ad unequazione
differenziale, solitamente scritta
nella cosiddetta forma norma-
le
y
(n)
= f(x, y, y

, . . . , y
(n1)
)
anche delle condizioni, dette con-
dizioni iniziali, che richiedono che
in un dato punto x
0
la funzione y
e le sue derivate y

, . . . , y
(n1)
abbia-
no valori prestabiliti y
0
, . . . , y
n1
.
Il problema di Cauchy si rap-
presenta come segue:
_

_
y
(n)
= f(x, y, y

, . . . , y
(n1)
),
y(x
0
) = y
0
,
. . .
y
(n1)
(x
0
) = y
n1
.
A7
Esempio: il moto di un punto mate-
riale
`
e determinato non solo dal-
la legge di Newton
F = m
d
2
r
dt
2
ma anche dalla posizione r(t
0
) e
dalla velocit
`
a r

(t
0
) del punto me-
desimo in un particolare istante t
0
.
I valori r(t
0
) e r

(t
0
) sono i dati
iniziali di un problema di Cauchy,
e t
0
si dice istante iniziale.
Il problema ai valori iniziali si
chiama di Cauchy perch

e Cau-
chy ha dimostrato che esso ha
una soluzione, anche se non sem-
pre semplice da scrivere, ed essa
`
e
unica, sotto lipotesi che la fun-
zione f(x, y
0
, . . . , y
n1
) sia di classe
C
1
(v. pagine A34 e A70).
7. EQUAZIONI ALLE DERIVATE
PARZIALI
Quando la funzione incognita
y(x
1
, . . . , x
N
) dipende da pi
`
u variabi-
li anzich

e da una sola, lequazione


differenziale viene detta equa-
zione alle derivate parziali.
Esempi notevoli sono lequazio-
ne di Laplace:

2
y
x
2
1
+

2
y
x
2
2
+

2
y
x
2
3
= 0
lequazione del calore:
y
t
=

2
y
x
2
1
+

2
y
x
2
2
+

2
y
x
2
3
e lequazione delle onde:

2
y
t
2
=

2
y
x
2
1
+

2
y
x
2
2
+

2
y
x
2
3
Lo studio delle eqazioni alle de-
rivate parziali esula dai limiti del
corso.
A8
COME RISOLVERE LE EQUAZIO-
NI DIFFERENZIALI
Nel corso di Analisi Matema-
tica II si studiano alcuni metodi
risolutivi per particolari tipi di
equazioni differenziali.
Fin dalla prima comparsa del-
le equazioni differenziali, avvenu-
ta nel Seicento, sono stati svilup-
pati vari metodi risolutivi, miranti
a scrivere esplicitamente le solu-
zioni.
Poi ci si
`
e accorti di non poter
sempre riuscire in tale intento, e
si
`
e dovuto ripiegare su rappre-
sentazioni delle soluzioni median-
te integrali o mediante serie.
Oggi si studiano, in particolare:
1. Metodi per dimostrare che
esiste una soluzione, anche se non
si riesce a scriverla esplicitamen-
te;
2. Metodi per contare quante
soluzioni ci sono, anche senza co-
noscerle;
3. Metodi per sapere se le so-
luzioni sono simmetriche, o hanno
altre propriet
`
a particolari, senza
conoscere lespressione delle so-
luzioni stesse.
Gli studenti devono apprende-
re i metodi trattati nel corso,
restando consapevoli che ben al-
tri problemi esulano dai limiti del
programma.
A9
EQUAZIONI A VARIABILI SEPA-
RABILI
Le equazioni che modellizzano
molti fenomeni interessanti han-
no la particolarit
`
a di essere a va-
riabili separabili, o possono essere
trasformate in equazioni del ge-
nere.
Secondo il libro di testo, une-
quazione a variabili separabili
`
e
unequazione del primo ordine a-
vente la forma
y

(x) = f(x) g(y).


`
E importante che al secondo mem-
bro ci sia il prodotto di due fun-
zioni, una che dipende solo da x e
laltra che dipende solo da y.
Esempi:
A. Lequazione y

= 0
`
e a variabili separabili
(f(x) 0; g(y) 0);
B. Lequazione y

= y
`
e a variabili separabili
(f(x) 1; g(y) = y)
C. Lequazione y

+y = 0
non
`
e del primo ordine, ma lo di-
venta con lartificio descritto pi
`
u
avanti (pag. A12).
Notare che, anche se al secon-
do membro c
`
e una somma, lequa-
zione pu
`
o benissimo essere a varia-
bili separabili. Esempio:
Lequazione y

= y + 2
`
e a variabili separabili
(f(x) 1; g(y) = y + 2).
La risoluzione di unequazione a
variabili separabili si pu
`
o tentare
con il seguente procedimento:
1) Si dividono ambo i membri per
g(y), avendo cura di discutere che
cosa succede se g(y) = 0. Si ottie-
ne
y

(x)
g(y(x))
= f(x).
2) Si integrano ambo i membri:
_
y

(x)
g(y(x))
dx =
_
f(x) dx.
3) Si effettua il cambiamento di
variabile y = y(x), dove y(x)
`
e la
funzione incognita. Si ottiene
_
dy
g(y)
=
_
f(x) dx.
Qui y denota la nuova variabile di
integrazione, e non la funzione in-
cognita y(x).
Note:
I. La possibilit
`
a di svolgere gli
integrali a mano dipende dalle-
spressione di f(x) e g(y).
II. In pratica, si
`
e soliti scrivere
y

= dy/dx e portare dx a secondo


membro, come se il differenziale
fosse una quantit
`
a algebrica.
A10
Come semplice applicazione, ri-
solviamo lequazione y

= cy, con
la condizione iniziale y(0) = y
0
. Si
intende che c e y
0
sono costanti as-
segnate.
1) Poniamo lequazione nella for-
ma
y

(x)
y(x)
= c.
Questo passaggio richiede y(x) = 0.
Se la costante y
0
`
e diversa da
zero, allora ogni eventuale solu-
zione y(x) (classica, dunque conti-
nua) soddisfa la condizione y(x) =
0 in un intorno di x = 0, dunque il
passaggio
`
e legittimo.
Daltro canto, se y
0
= 0, si veri-
fica direttamente che la funzione
y(x) 0
`
e una soluzione del pro-
blema considerato.
2) Integriamo ambo i membri sul-
lintervallo (0, x):
_
x
0
y

(t)
y(t)
dt =
_
x
0
c dt.
3) Effettuiamo il cambiamento di
variabile y = y(t) prima ancora di
aver determinato la funzione in-
cognita y(t):
_
y(x)
y
0
dy
y
= cx.
In questo caso, lintegrale al pri-
mo membro si svolge facilmente, e
si trova
log |y(x)| = log |y
0
| +cx
da cui, passando agli esponen-
ziali, si ottiene:
|y(x)| = |y
0
| e
cx
.
Dunque, se y
0
= 0, y(x) non si an-
nulla per nessun x.
Per il teorema degli zeri, y(x)
non cambia segno, e quindi mantie-
ne il segno di y
0
.
Grazie a questa breve discus-
sione, possiamo eliminare il valore
assoluto e scrivere
y(x) = y
0
e
cx
.
Sostituendo tale espressione nel-
lequazione data si verifica che la
funzione ottenuta cos
`
, supponen-
do lesistenza di una soluzione, ri-
solve veramente il problema con-
siderato.
Per concludere verifichiamo che,
se y
0
= 0, lunica soluzione
`
e la co-
stante nulla.
Se esistesse una soluzione z(x)
non identicamente nulla, allora
risulterebbe z(x
1
) = 0 in qualche
punto che indichiamo con x
1
.
Ma applicando a z(x) lo stesso
metodo, con x
1
al posto di zero,
troviamo z(x) = z(x
1
) e
c(xx
1
)
, dun-
que z(x) non si annulla affatto per
x = 0.
Perci
`
o lunica soluzione soddi-
sfacente la condizione y(0) = 0
`
e
la funzione identicamente nulla,
come volevasi dimostrare.
A11
Per completezza, integriamo le-
quazione y

= y, che
`
e del secon-
do ordine. Usiamo un metodo uti-
le anche in altre situazioni.
Moltiplicando ambo i membri per
y

(x), lequazione diventa


y

(x) y

(x) = y(x) y

(x). (1)
Nel fare questo passaggio, si in-
troducono illegittimamente come
soluzioni tutte le funzioni costan-
ti (perch

e hanno la derivata nul-


la).
Per sostituzione nellequazione
data si vede per
`
o che, tra tutte le
costanti, solo la costante nulla
`
e
soluzione.
Integrando ambo i membri del-
la (1) si ottiene
_
y

(x) y

(x) dx =
_
y(x) y

(x) dx.
Nel primo integrale facciamo la
sostituzione z = y

(x), e nel secon-


do y = y(x). Otteniamo:
_
z dz =
_
y dy.
Dunque
1
2
z
2
=
1
2
y
2
+
1
2
C
con C 0 perch

e somma di quadra-
ti. Anzi, poich

e al valore C = 0
corrisponde la soluzione y(x) 0,
da ora in avanti supporremo C > 0.
Esplicitando z troviamo z =

_
C y
2
. Ma siccome z = y

(x),
lultima equazione
`
e lequazione a
variabili separabili y

=
_
C y
2
,
che si pu
`
o risolvere con il metodo
appena descritto.
Risolviamo lequazione a varia-
bili separabili y

=
_
C y
2
, con
C > 0.
1) Scriviamo lequazione nella
forma
y

_
C y
2
= 1.
2) Integrando ambo i membri,
troviamo:
_
y

(x) dx
_
C y
2
(x)
=
_
dx.
3) Effettuando la sostituzione
y = y(x), possiamo scrivere:
_
dy
_
C y
2
=
_
dx.
Per svolgere lintegrale al pri-
mo membro, utilizziamo la consue-
ta sostituzione y =

C sen t. Tro-
viamo:
_
dt =
_
dx,
dunque t = (x x
0
), dove x
0
de-
nota la costante di integrazione
(che ora non pu
`
o essere indicata
con +C).
Ricordando che y =

C sen t,
possiamo scrivere y =

C sen((x
x
0
)).
Poich

e sen t
`
e una funzione di-
spari, conviene usare una costan-
te reale A (anche negativa) al po-
sto di

C > 0 e sbarazzarsi del


segno : lintegrale generale di
y

= y
`
e dunque
y = A sen(x x
0
).
A12
EQUAZIONI LINEARI
Le equazioni che modellizzano
molti fenomeni interessanti hanno
la particolarit
`
a di essere linea-
ri, o possono essere trasformate
in equazioni del genere.
Si chiama lineare unequazione
differenziale avente la forma
n

k=0
a
k
(x) y
(k)
(x) = f(x).
Talvolta si possono approssimare
equazioni non lineari con equazio-
ni lineari.
EQUAZIONI LINEARI OMOGE-
NEE
Unequazione lineare si dice omo-
genea se f(x) 0, cio
`
e se ha la for-
ma
n

k=0
a
k
(x) y
(k)
(x) = 0.
EQUAZIONI LINEARI OMOGE-
NEE, DEL PRIMO ORDINE, E IN
FORMA NORMALE
Sono le equazioni aventi la se-
guente forma:
y

(x) = a(x) y(x)


dunque sono anche equazioni a va-
riabili separabili.
Hanno la soluzione y(x) 0.
Per trovare le altre soluzioni,
dividiamo per y(x) e integriamo am-
bo i membri dellequazione:
_
y

(x)
y(x)
dx =
_
a(x) dx
Con la sostituzione y = y(x), lin-
tegrale al primo membro diventa:
_
y

(x)
y(x)
dx =
_
dy
y
Scriviamo inoltre
_
a(x) dx = A(x) +C
dove A(x)
`
e una qualunque primiti-
va di a(x).
Ci
`
o
`
e legittimo se a(x)
`
e una
funzione continua avente per do-
minio un intervallo.
Lequazione, pertanto, diventa:
log |y(x)| = A(x) +C
da cui si ricava
|y(x)| = e
A(x)+C
dunque lintegrale generale
`
e da-
to da
y(x) = k e
A(x)
, k R.
Un altro metodo per risolve-
re lequazione y

(x) a(x) y(x) = 0


`
e
quello di vedere il primo membro
come la derivata di un prodotto
opportuno.
Cerchiamo una opportuna fun-
zione (x) = 0 tale che lequazione
(x) y

(x) (x) a(x) y(x) = 0, equiva-


lente a quella data, abbia al pri-
mo membro la derivata di un pro-
dotto.
Bisogner
`
a prendere (x) tale
che

(x) = a(x) (x).


Ma questa
`
e unequazione linea-
re, omogenea, del primo ordine, e
in forma normale, la cui incognita
`
e (x). Dunque possiamo prendere
(x) = e
A(x)
.
A13
Moltiplicando ambo i membri del-
lequazione y

(x)a(x) y(x) = 0 per il


fattore e
A(x)
(fattore integran-
te) troviamo lequazione
e
A(x)
y

(x) e
A(x)
a(x) y(x) = 0
che
`
e equivalente a quella data
(ha le stesse soluzioni).
Senonch

e questa la possiamo ri-


scrivere come
(e
A(x)
y(x))

= 0.
Ma allora
e
A(x)
y(x) = k
Dunque lintegrale generale del-
lequazione data
`
e
y(x) = k e
A(x)
cosa che gi
`
a sapevamo, e che, del
resto, abbiamo utilizzato per de-
terminare (x).
Lutilit
`
a di questo metodo emerge
nella risoluzione delle equazioni
non omogenee (vedi a lato).
EQUAZIONI LINEARI DEL PRI-
MO ORDINE, IN FORMA NOR-
MALE
Sono le equazioni aventi la se-
guente forma:
y

(x) a(x) y(x) = f(x)


dunque comprendono, in partico-
lare, le equazioni lineari omoge-
nee, del primo ordine e in forma
normale: basta porre f(x) 0.
Moltiplicando ambo i membri per
il fattore integrante (x) = e
A(x)
,
che
`
e stato trovato alla pagina
precedente, lequazione diventa
(e
A(x)
y(x))

= e
A(x)
f(x).
Ma allora basta integrare ambo i
membri, e si ottiene
e
A(x)
y(x) =
_
e
A(x)
f(x) dx.
La possibilit
`
a di svolgere a ma-
no questultimo integrale dipen-
de, ovviamente, dallespressione
di A(x) e di f(x).
Lintegrale generale della equa-
zione data si pu
`
o scrivere come se-
gue:
y(x) = e
A(x)
_
e
A(x)
f(x) dx.
Si pu
`
o osservare che, se si so-
stituisce f(x) 0, lultimo inte-
grale rappresenta linsieme delle
costanti k R, dunque lintegra-
le generale si riduce a quello gi
`
a
trovato: y(x) = k e
A(x)
.
A14
EQUAZIONI DEL SECONDO OR-
DINE, LINEARI, OMOGENEE, A
COEFFICIENTI COSTANTI
Sono le equazioni della forma
a y

+b y

+c y = 0, con a, b, c costanti,
e a = 0 (altrimenti non sarebbero
del secondo ordine...).
Studiamo tre casi semplici e si-
gnificativi, ai quali si pu
`
o ricon-
durre il caso generale.
Denotiamo con z(x) la funzione
incognita, in vista della sostitu-
zione y(x) = e
bx/2
z(x) da fare pi
`
u
avanti.
1) z

= 0. Si risolve immediata-
mente perch

e equivale a z

= co-
stante, dunque lintegrale gene-
rale
`
e z(x) = mx +q.
2) z

= z. Moltiplicando ambo
i membri per z

diventa z

= z z

,
che, integrata, si trasforma nel-
lequazione a variabili separabili
z

=
_
z
2
+c
1
.
Per svolgere lintegrale in
_
dz

z
2
+c
1
= x +c
2
si discute il segno di c
1
: se c
1
=
0
`
e facile; se c
1
> 0 si pone z =

c
1
senh t; se, infine, c
1
< 0 si po-
ne

z
2
+c
1
= w e ci si riconduce al
caso c
1
> 0.
Si conclude che lintegrale ge-
nerale di z

= z
`
e
z(x) = k
1
e
x
+k
2
e
x
, k
1
, k
2
R.
che si pu
`
o anche scrivere z(x) =
C
1
senh x +C
2
cosh x, C
1
, C
2
R.
3) z

= z. Lintegrale gene-
rale, gi
`
a ricavato a pagina A12,
`
e
z(x) = A sen(x x
0
), che si pu
`
o an-
che scrivere
z(x) = C
1
sen x +C
2
cos x, C
1
, C
2
R.
Consideriamo il caso generale
y

+b y

+c y = 0, al quale ci si pu
`
o ri-
condurre, se necessario, dividen-
do ambo i membri per il coefficien-
te a di y

.
Cerchiamo di esprimere il primo
membro come la derivata seconda
di un prodotto. Si ha:
(e
bx/2
y(x))

= e
bx/2
y

(x) +b e
bx/2
y

(x)
+
b
2
4
e
bx/2
y(x),
quindi lequazione data si pu
`
o por-
re nella forma
(e
bx/2
y(x))

=
1
4
(b
2
4c) e
bx/2
y(x).
Con la sostituzione z(x) = e
bx/2
y(x)
ci si riconduce allequazione z

=
1
4
(b
2
4c) z, che
`
e del tipo 1,2 o 3
a seconda del segno del discrimi-
nante b
2
4c.
A15
EQUAZIONE CARATTERISTI-
CA
Si chiama equazione caratteri-
stica associata allequazione dif-
ferenziale a y

+b y

+c y = 0 lequa-
zione algebrica a
2
+b +c = 0 nel-
lincognita C.
Il procedimento delineato alla
pagina precedente porta alle se-
guenti conclusioni.
Se lequazione caratteristica ha
una sola radice reale
0
= b/(2a),
allora lintegrale generale del-
lequazione differenziale associa-
ta
`
e
y(x) = mx e

0
x
+q e

0
x
, m, q R.
Se lequazione caratteristica ha
due soluzioni reali e distinte
1
,
2
,
allora lintegrale generale del-
lequazione differenziale associa-
ta
`
e
y(x) = k
1
e

1
x
+k
2
e

2
x
Se, infine, lequazione caratteri-
stica ha due soluzioni immaginarie

1,2
=
0
i, allora lintegrale
generale dellequazione differen-
ziale associata
`
e
y(x) = Ae

0
x
sen( x +), A, R
che si pu
`
o anche scrivere
y(x) = e

0
x
(C
1
sen( x) +C
2
cos( x)),
con C
1
, C
2
R. Si tenga presente
che
0
= b/(2a) e =
1
2a
_
|b
2
4ac| .
INDICAZIONI OPERATIVE
Per trovare lintegrale gene-
rale di unequazione della forma
a y

+ b y

+ c y = 0, non
`
e necessario
svolgere ogni volta gli integra-
li indicati alla pagina precedente,
ma si pu
`
o procedere direttamente
come segue.
1) Scrivere lequazione carat-
teristica.
2) A seconda del segno del di-
scriminante, scrivere lintegrale
generale in base alla casistica ri-
portata a lato.
3) Aiutare la memoria facendo
riferimento ai tre casi semplici
esaminati alla pagina precedente,
tenendo conto delleffetto del
termine b y

(smorzante, se ab > 0).


Per risolvere il problema di
Cauchy (initial-value problem)
_

_
y

+b y

+c y = 0
y(x
0
) = y
0
y

(x
0
) = y
1
si determina lintegrale generale,
e poi si trovano le costanti impo-
nendo le condizioni iniziali.
Analogamente si procede per
risolvere il problema al contor-
no (boundary-value problem)
_

_
y

+b y

+c y = 0
y(x
0
) = y
0
y(x
1
) = y
1
Si badi che esso pu
`
o non avere so-
luzioni, avere ununica soluzione o
anche averne infinite.
A16
EQUAZIONI DEL SECONDO OR-
DINE, LINEARI, OMOGENEE, IN
FORMA NORMALE
STRUTTURA DELLO SPAZIO
DELLE SOLUZIONI
La teoria svolta nella lezione
precedente mostra che lintegra-
le generale delle equazioni aventi
la forma y

+ b y

+ c y = 0 ha le se-
guenti propriet
`
a:
1) la costante nulla
`
e una so-
luzione;
2) lintegrale generale dipende
da due costanti;
3) esso
`
e combinazione lineare
di due soluzioni particolari.
INDIPENDENZA LINEARE
Osserviamo che le due suddet-
te soluzioni, che indicheremo con
e
1
(x) ed e
2
(x), sono linearmente in-
dipendenti nel senso che il rappor-
to e
1
(x)/e
2
(x) varia al variare di x.
Viceversa, due funzioni f
1
(x) e
f
2
(x) si dicono linearmente dipen-
denti se il loro rapporto
`
e costan-
te.
Per evitare problemi con lan-
nullamento del denominatore, e
per ragioni estetiche, si dice che
f
1
(x) e f
2
(x) sono linearmente di-
pendenti se esistono due scalari

1
,
2
R (non entrambi nulli) tali
che
1
f
1
(x) +
2
f
2
(x) = 0 per ogni x.
SPAZI VETTORIALI
Abbiamo gi
`
a osservato che la
costante nulla
`
e una soluzione
dellequazione y

+b y

+c y = 0. Os-
serviamo, inoltre, che:
due qualunque soluzioni, som-
mate fra loro, danno ancora una
soluzione;
una qualunque soluzione, mol-
tiplicata per uno scalare qualun-
que,
`
e ancora soluzione.
La somma di soluzioni, e la mol-
tiplicazione per uno scalare, go-
dono delle stesse propriet
`
a (as-
sociativa, commutativa, distributi-
va) che valgono per i vettori del
piano.
Si dice perci
`
o che le soluzioni
dellequazione y

+ b y

+ c y = 0 co-
stituiscono, proprio come i vetto-
ri del piano, uno SPAZIO VETTO-
RIALE.
Ci
`
o
`
e vero anche per le equa-
zioni lineari, omogenee, a coeffi-
cienti variabili y

+b(x) y

+c(x) y = 0.
Una coppia (e
1
, e
2
) di soluzioni
particolari, linearmente indipen-
denti, si chiama BASE dello spazio
vettoriale.
La nozione di spazio vettoriale
`
e nata proprio dallo studio delle
equazioni differenziali.
A17
EQUAZIONI DEL SECONDO OR-
DINE, LINEARI, IN FORMA NOR-
MALE
STRUTTURA DELLO SPAZIO
DELLE SOLUZIONI
Se il secondo membro dellequa-
zione y

+b y

+c y = f(x) non
`
e identi-
camente nullo, linsieme delle so-
luzioni non costituisce uno spazio
vettoriale.
Ad esempio, lintegrale genera-
le dellequazione y

= g, con g
costante positiva,
`
e
y(x) =
1
2
g x
2
+y
1
x +y
0
.
(esercizio 3(a), serie [01]). Si vede
che:
1) La costante nulla non
`
e una
soluzione;
2) La funzione y(x) =
1
2
g x
2
`
e
una soluzione, ma 2y(x) non lo
`
e;
3) La funzione z(x) =
1
2
g x
2
+1
`
e
una soluzione, ma la somma y(x) +
z(z) non lo
`
e.
Dunque lintegrale generale di
y

= g non
`
e uno spazio vettoria-
le, tuttavia:
lintegrale generale di y

= g
`
e dato dalla somma di due termini:
1) la funzione e
0
(x) =
1
2
g x
2
, che
`
e una particolare soluzione del-
lequazione y

= g, e
2) lintegrale generale delle-
quazione omogenea ad essa asso-
ciata, y

= 0, che
`
e y
1
x +y
0
.
La circostanza test

e riscontrata,
con riferimento ad unequazione
particolare, riveste un carattere
del tutto generale:
lintegrale generale dellequa-
zione y

+b(x) y

+c(x) y = f(x)
`
e dato
dalla somma di due termini:
1) una funzione e
0
(x), che sia
una particolare soluzione delle-
quazione data, e
2) lintegrale generale delle-
quazione omogenea y

+b(x) y

+c(x)
y = 0.
INDICAZIONI OPERATIVE
Per trovare lintegrale gene-
rale dellequazione y

+ b y

+ c y =
f(x), con f(x) non identicamente
nulla, si procede come segue:
1) Si cerca, innanzitutto, lin-
tegrale generale dellequazione
omogenea ad essa associata, y

+
b y

+c y = 0.
Si utilizzano, a tal fine, le no-
zioni illustrate nella lezione pre-
cedente.
2) Si cerca, per tentativi, una
soluzione particolare e
0
(x) delle-
quazione data, lasciandosi guidare
dal tipo di funzione f(x) al secon-
do membro.
3) Lintegrale generale delle-
quazione data
`
e la somma della so-
luzione particolare e
0
(x) e dellin-
tegrale generale dellequazione
omogenea.
A18
RAPPRESENTAZIONE PARAME-
TRICA DELLE CURVE
Alcune curve piane importanti,
come ad esempio la circonferenza,
non sono il grafico di una funzio-
ne (reale, di variabile reale).
Daltro canto, altre curve, ne-
cessarie per descrivere la traiet-
toria di un punto mobile nello spa-
zio, non sono curve piane perch

e
non esiste alcun piano in grado di
contenerle.
Le curve che non sono piane si
dicono sghembe.
La rappresentazione parametrica
di una curva consente di rappre-
sentare curve di diversi tipi: cur-
ve sghembe; curve piane che non
sono grafici di funzioni, e anche i
grafici delle funzioni.
Esempio: la parabola di equa-
zione y = x
2
si pu
`
o rappresentare
in forma parametrica come segue:
_
_
_
x(t) = t,
y(t) = t
2
,
t (, +).
Questo esempio fa capire che il
grafico di una funzione qualun-
que, avente per dominio un inter-
vallo, si pu
`
o rappresentare in for-
ma parametrica.
Esempio: la circonferenza cen-
trata nellorigine e di raggio R si
pu
`
o rappresentare in forma para-
metrica come segue:
_
_
_
x(t) = R cos t,
y(t) = R sen t,
t [ 0, 2).
Lesempio precedente fa capire
che vi sono curve rappresentabili
in forma parametrica che non so-
no il grafico di una funzione.
ELICA CILINDRICA
Il pi
`
u tipico esempio di curva
sghemba
`
e lelica cilindrica, le
cui equazioni sono:
_

_
x(t) = R cos t,
y(t) = R sen t,
z(x) = t,
t (, +).
DEFINIZIONE DI CURVA
La rappresentazione parametri-
ca di una curva sta alla base della
definizione stessa di curva:
si chiama arco (ingl. path) una
qualunque funzione continua r: [0,
1] R
3
, e cio
`
e una qualunque ter-
na di funzioni continue x(t), y(t),
z(t) aventi per dominio linterval-
lo [0, 1].
Con un cambiamento del para-
metro, e cio
`
e con una sostituzio-
ne del tipo t = t(s), si pu
`
o benissi-
mo usare un qualunque intervallo
[a, b] al posto dellintervallo [0, 1].
Talvolta il dominio della fun-
zione r(t)
`
e un intervallo aperto,
o semiaperto, eventualmente illi-
mitato.
Si possono, infine, considerare ar-
chi in R
N
, con un qualunque N 2.
Con la suddetta definizione, il
concetto di curva cessa di essere
un concetto primitivo, e viene ad
avere una definizione che soddisfa
i canoni moderni del rigore.
A19
CURVA E SOSTEGNO
Una figura comunemente chia-
mata curva si chiama invece, tec-
nicamente, SOSTEGNO (in ingle-
se: trace) della curva, mentre la
funzione r(t) che la rappresenta,
o meglio la coppia (r, ), o addi-
rittura linsieme di tutte le para-
metrizzazioni di , sono quello che
tecnicamente si dice curva.
CURVE CHIUSE
Un arco r: [0, 1] R
N
si dice
chiuso se gli estremi coincidono,
cio
`
e se r(0) = r(1).
CURVE SEMPLICI
Una curva r: (0, 1) R
N
si dice
semplice se non ha autointerse-
zioni, e quindi, in particolare, se
non ha la forma di un 8.
CURVE PATOLOGICHE
La nozione di arco, test

e intro-
dotta, si discosta dallintuizione
perch

e, ad esempio, esistono ar-


chi che hanno la forma di un qua-
drato (pieno), come la cosiddetta
curva di Peano.
Una curva patologica pi
`
u sem-
plice
`
e il grafico della funzione
y = sen
1
x
.
CURVE REGOLARI
Per evitare archi patologici come
la curva di Peano, si considerano
le curve regolari, cio
`
e funzioni
r(t) di classe C
1
e tali che r

(t) = 0
per ogni t.
Lesistenza della derivata r

(t),
e la condizione r

(t) = 0, garan-
tiscono che, vicino a ciascuno dei
suoi punti, il sostegno della curva
sia approssimabile con un segmen-
to opportuno.
CURVE REGOLARI A TRATTI
La nozione di curva regolare
`
e
troppo restrittiva: infatti esclu-
de, ad esempio, il (contorno del)
quadrato e tutte le spezzate.
Si dice regolare a tratti (in-
gl. piecewise regular) una curva
costituita da un numero finito di
archi regolari.
Le spezzate sono curve regola-
ri a tratti.
VELOCIT
`
A DI UNA CURVA
Il vettore r

(t) (se esiste) si chia-


ma velocit
`
a della curva r(t). La
terminologia si ispira al caso in
cui r(t) rappresenta la legge ora-
ria di un punto materiale.
A20
DERIVATA DI UN VETTORE
Consideriamo una funzione r(t) =
(x(t), y(t), z(t)) per t (a, b), ed un
istante t
0
(a, b).
DEFINIZIONE 1
Si dice che r(t)
`
e derivabile per
t = t
0
se lo sono tutte e tre le fun-
zioni x(t), y(t), z(t).
In tal caso, il vettore r

(t
0
) =
(x

(t
0
), y

(t
0
), z

(t
0
)) si dice DERIVA-
TA o VELOCIT
`
A di r in t
0
.
DEFINIZIONE 2
Si dice che r(t)
`
e derivabile per
t = t
0
se esiste il limite
lim
tt
0
r(t) r(t
0
)
t t
0
.
In tal caso, il vettore limite si di-
ce DERIVATA o VELOCIT
`
A di r
in t
0
.
LIMITE DI UN VETTORE
La definizione 2 presuppone la no-
zione di LIMITE per una funzione
a valori in R
3
. Si scrive
lim
tt
0
(x(t), y(t), z(t)) = (a, b, c)
se risulta: lim
tt
0
x(t) = a, lim
tt
0
y(t) = b,
lim
tt
0
z(t) = c.
VETTORI IN R
N
Le definizioni enunciate sopra si
estendono facilmente a vettori in
R
N
, qualunque sia N 2.
A21
LINTEGRALE DI LINEA DI PRI-
MA SPECIE
ovvero
LINTEGRALE DI UNA FUNZIO-
NE SCALARE LUNGO UNA CUR-
VA
MOTIVAZIONI
Lintegrale di una funzione scala-
re lungo una curva , si usa, ad
esempio:
1. Per esprimere la massa M di
un filo a partire dalla densit
`
a ma-
teriale :
M =
_

(s) ds.
2. Per esprimere le coordinate
x
B
, y
B
, z
B
del baricentro del filo:
x
B
=
1
M
_

x(s) (s) ds;


y
B
=
1
M
_

y(s) (s) ds.


z
B
=
1
M
_

z(s) (s) ds.


3. Per esprimere la carica q di
un filo a partire dalla densit
`
a di
carica :
q =
_

(s) ds.
4. Per esprimere la lunghezza
() della curva:
() =
_

ds, (2)
e per tante altre applicazioni.
DEFINIZIONE
Nel corso di Analisi Matema-
tica II si definisce lintegrale di
linea facendo riferimento ad una
parametrizzazione della curva da-
ta, supponendo che la curva sia re-
golare.
Indichiamo con r: [a, b] R
3
una
parametrizzazione regolare della
curva data.
Consideriamo una funzione sca-
lare f : R avente per dominio
il sostegno della curva.
Supponiamo che la funzione com-
posta f(r(t)) sia continua, il che
garantisce che la seguente defi-
nizione
`
e ben posta.
Lintegrale di f lungo si de-
nota con il simbolo
_

f ds
e si definisce come segue:
_

f ds =
_
b
a
f(r(t)) |r

(t)| dt.
Lintegrale al secondo membro
`
e lintegrale della funzione f(r(t))
|r

(t)|, che
`
e continua sullinter-
vallo [a, b] per le ipotesi di regola-
rit
`
a fatte sulla funzione f e sulla
parametrizzazione r(t).
Dunque ad esso si applica la
definizione dellintegrale di Rie-
mann.
A22
APPROSSIMAZIONE DELLIN-
TEGRALE
La definizione dellintegrale di
Riemann implica che lintegrale di
linea si pu
`
o approssimare con som-
me opportune, come segue.
Fissato un intero positivo n, suddi-
vidiamo lintervallo [a, b] in n parti
mediante i punti a = t
0
< t
1
< <
t
n
= b.
In ciascuno degli intervalli I
k
=
[t
k1
, t
k
), k = 1, . . . , n, prendiamo un
punto a piacere
k
e costruiamo la
somma di Cauchy-Riemann
S
n
=
n

k=1
f(r(
k
)) |r

(
k
)| (t
k
t
k1
).
Lintegrale di linea
_

f ds
si pu
`
o approssimare bene quanto si
vuole con la somma S
n
prendendo
piccola la norma della suddivisio-
ne, cio
`
e il valore
= max
k=1,...,n
(t
k
t
k1
).
Infatti lintegrale
`
e il limite
_

f ds = lim
0
S
n
,
e tale limite non dipende n

e da co-
me sono presi i punti di suddivisio-
ne t
k
, n

e da come sono presi i punti

k
nei corrispondenti intervalli.
IL CASO DEL SEGMENTO
Fissato un punto P = (x
P
, y
P
, z
P
)
nello spazio, esaminiamo la curva
r(t) = Pt, t [0, 1], il cui sostegno
`
e
il segmento OP.
Con la notazione Pt si inten-
de il punto di coordinate (x
P
t, y
P
t,
z
P
t). La velocit
`
a della curva
`
e
dunque
r

(t) = P,
e lintegrale di una funzione f,
continua, lungo il segmento
`
e
_

f ds =
_
1
0
f(Pt) |P| dt.
In particolare, se f
`
e la costan-
te 1, si ha
_

ds =
_
1
0
|P| dt = |P|.
Si noti che il modulo |P|
`
e, per
definizione, la lunghezza () del
segmento OP, dunque si verifica
la formula (2) di pag. A22.
Alla stessa conclusione si per-
viene quando
`
e un qualunque
segmento dello spazio, o anche
una linea spezzata.
Invece, quando
`
e una generi-
ca linea regolare, la formula (2)
si assume come DEFINIZIONE, non
essendo possibile dimostrare lu-
guaglianza di un integrale con il
concetto intuitivo di lunghezza.
Lapprossimazione discussa a la-
to supporta, sempre senza dimo-
strarla, la suddetta definizione.
A23
LUNGHEZZA DEL GRAFICO DI
UNA FUNZIONE
Il grafico di una funzione y =
y(x) di classe C
1
([a, b])
`
e la curva
regolare le cui equazioni para-
metriche sono:
_
_
_
x = t,
y = y(t),
t [a, b],
e la cui velocit
`
a
`
e (1, y

(t)). La sua
lunghezza
`
e pertanto
() =
_
b
a
_
1 + (y

(x))
2
dx.
La formula anzidetta si ricor-
da esprimendo audacemente lele-
mento darco ds tramite il teore-
ma di Pitagora:
ds =
_
(dx)
2
+ (dy)
2
=
_
1 + (y

)
2
|dx|.
CURVE RETTIFICABILI
Discutiamo una definizione al-
ternativa della lunghezza di una
curva, applicabile a curve conti-
nue, anche non regolari.
Una curva continua r: [a, b] R
3
si dice RETTIFICABILE se il se-
guente estremo superiore, che esi-
ste certamente, ha un valore fini-
to:
sup

k=1
|r(t
k
) r(t
k1
)|. (3)
Qui il simbolo denota la suddi-
visione, o decomposizione, dellin-
tervallo [a, b] in n parti mediante
i punti t
k
come alla pagina prece-
dente.
La sommatoria nella (3) rap-
presenta la lunghezza della spez-
zata che congiunge i punti r(t
k
).
Si chiama LUNGHEZZA di una cur-
va rettificabile lestremo superio-
re indicato nella formula (3).
Si dimostra che se la curva consi-
derata
`
e anche regolare, allora
`
e
rettificabile. Inoltre la sua lun-
ghezza, data dalla (2),
`
e uguale
allestremo superiore nella (3).
A24
LE PI
`
U SEMPLICI FUNZIONI DI
DUE VARIABILI
E
I PRINCIPALI METODI PER DI-
SEGNARNE IL GRAFICO
Per esprimere i legami che in-
tercorrono fra pi
`
u variabili, si
usano, fra le altre, funzioni a va-
lori reali il cui argomento
`
e una
coppia, o una terna, o, pi
`
u in ge-
nerale, una ennupla di variabili
reali.
Ci concentriamo, per semplicit
`
a,
sulle funzioni f(x, y) di due sole
variabili.
Un esempio semplicissimo
`
e la-
rea A di un rettangolo di base b e
altezza a, che
`
e data dalla funzio-
ne A(a, b) = ab delle due variabili a
e b.
DISTANZA FRA DUE PUNTI
Per studiare i grafici nello spazio
occorre innanzitutto saper espri-
mere la distanza tra due punti
P
i
= (x
i
, y
i
, z
i
), i = 1, 2, a partire dal-
le loro coordinate.
A tal fine basta pensare i due
punti P
1
, P
2
come vertici opposti
di un opportuno parallelepipedo
avente le facce parallele ai piani
coordinati.
Per il teorema di Pitagora, la
diagonale d
b
della base del paral-
lelepipedo
`
e data da
d
b
=
_
(x
1
x
2
)
2
+ (y
1
y
2
)
2
.
Applicando nuovamente il teore-
ma di Pitagora, si trova che la di-
stanza tra P
1
e P
2
`
e
_
d
2
b
+ (z
1
z
2
)
2
,
dunque P
1
P
2
=
=
_
(x
1
x
2
)
2
+ (y
1
y
2
)
2
+ (z
1
z
2
)
2
.
IL PIANO
Dal punto di vista algebrico e
geometrico, la superficie pi
`
u sem-
plice
`
e il piano.
I piani non paralleli allasse z,
cio
`
e non verticali, sono i grafici
dei polinomi di primo grado in due
variabili, la cui espressione gene-
rale
`
e
f(x, y) = ax +by + c
Il vettore v = (a, b, 1)
`
e perpendi-
colare a tale piano. Infatti, presi
due punti qualunque P
i
del piano,
i = 1, 2, le loro coordinate (x
i
, y
i
, z
i
)
soddisfano le equazioni z
i
= a x
i
+
by
i
+c, i = 1, 2. Sottraendo unequa-
zione dallaltra si constata che v
(P
1
P
1
) = 0, da cui segue la tesi.
Viceversa, dato un vettore v =
(a, b, 1) e fissato un punto P
0
nel-
lo spazio, il luogo dei punti P =
(x, y, z) tali che v(P P
0
) = 0, e cio
`
e
il piano passante per P
0
e perpen-
dicolare a v, ha equazione
z = a (x x
0
) + b (y y
0
) + z
0
.
Tale equazione si pu
`
o riscrivere
come z = ax +by +c, con c = z
0
a x
0
b y
0
.
A25
RICHIAMI SULLE QUADRICHE
La funzione A(a, b) definita alla
pagina precedente
`
e un partico-
lare POLINOMIO DI SECONDO
GRADO IN DUE VARIABILI. Le-
spressione generale
`
e
f(x
1
, x
2
) = a
11
x
2
1
+ 2 a
12
x
1
x
2
+a
22
x
2
2
+ 2 a
13
x
1
+ 2 a
23
x
2
+a
33
.
I coefficienti 2 compaiono per
praticit
`
a: infatti, con la notazio-
ne matriciale, si pu
`
o scrivere
f(x
1
, x
2
) = xAx
T
dove x = (x
1
, x
2
, 1), A = (a
ij
)
i,j=1,2,3
`
e
una matrice simmetrica, e x
T
`
e il
vettore trasposto di x.
I polinomi di secondo grado in due
variabili hanno per grafico super-
fici notevoli, studiate fin dallan-
tichit
`
a e dette QUADRICHE.
Per la verit
`
a, la quadrica pi
`
u
generale non
`
e necessariamente
esprimibile come grafico di un po-
linomio, ma
`
e piuttosto il luogo
degli zeri di un polinomio di se-
condo grado IN TRE VARIABILI.
Si pensi, ad esempio, alla qua-
drica pi
`
u importante, che
`
e la sfe-
ra, la cui equazione, se il centro
si trova nellorigine,
`
e x
2
+y
2
+z
2
=
R
2
.
La suddetta equazione esprime
la condizione che la distanza del
punto P = (x, y, z) dallorigine sia
R.
Tale notevole superficie non
`
e
il grafico di alcuna funzione z =
f(x, y).
Lo studio sistematico delle qua-
driche esula dai limiti di questo
corso.
Ci limitiamo ad esaminarne al-
cune fra le pi
`
u notevoli, poste in
posizioni particolarmente comode
da rappresentare.
Quadrica n. 1: il grafico di
f(x, y) =
_
R
2
x
2
y
2
`
e la semisfe-
ra superiore di raggio R centrata
nellorigine.
Quadrica n. 2: il grafico di
f(x, y) = x
2
+ y
2
`
e un paraboloide
di rotazione con vertice nello-
rigine e concavit
`
a rivolta verso
lalto.
Quadrica n. 3: il grafico di
f(x, y) =
_
x
2
+ y
2
`
e un cono di ro-
tazione con vertice nellorigine e
concavit
`
a rivolta verso lalto.
Quadrica n. 4: il grafico di
f(x, y) = xy si dice paraboloide
iperbolico.
`
E il grafico della
funzione A(a, b) richiamata allini-
zio.
Quadrica n. 4-bis: il grafico di
f(x, y) = x
2
y
2
`
e anchesso un pa-
raboloide iperbolico. Lo si vede
ruotando di 45

il riferimento xOy.
Quadrica n. 4-ter: il grafico di
f(x, y) = y
2
x
2
`
e ancora un parabo-
loide iperbolico. Lo si vede scam-
biando tra loro gli assi x e y.
A26
COME DISEGNARE I PIANI
Il metodo pi
`
u adatto dipende
dalla posizione del piano stesso,
da determinarsi di volta in volta.
Pu
`
o essere utile trovare, se
esistono, i tre punti di intersezio-
ne del piano dato con i tre assi
coordinati. Questo metodo
`
e uti-
le, ad esempio, con il piano
z = 1 x y.
Pu
`
o anche essere utile trovare le
tre rette, se esistono, di interse-
zione con i tre piani coordinati.
Questo metodo
`
e utile, ad esem-
pio, per il piano precedente e per
il piano z = 1.
Pu
`
o, infine, essere utile limitar-
si a rappresentare un punto del
piano dato, ed un vettore norma-
le (perpendicolare) ad esso. Que-
sto metodo
`
e utile per il piano
z = x y, che passa per lorigi-
ne ed
`
e perpendicolare a (1, 1, 1).
FUNZIONI RADIALI, OVVERO
SUPERFICI DI ROTAZIONE
Una funzione f(x, y) tale che f(x
1
,
y
1
) = f(x
2
, y
2
) ogniqualvolta x
2
1
+
y
2
1
= x
2
2
+y
2
2
si dice RADIALE, e pu
`
o
essere scritta come f(x, y) = (),
essendo una funzione opportuna
della variabile =
_
x
2
+y
2
.
Il grafico di una funzione ra-
diale
`
e una superficie di rotazione
intorno allasse z.
Per rappresentarlo nello spa-
zio, conviene trovarne la linea di
intersezione con il piano y = 0, op-
pure con il piano x = 0, e poi fare
ruotare tale linea intorno allas-
se z.
Questo metodo funziona, ad esem-
pio, con il paraboloide di equazio-
ne z = x
2
+y
2
e con il cono di equa-
zione z =
_
x
2
+y
2
.
LINEE DI LIVELLO
Le linee di equazione f(x, y) =
cost. si dicono LINEE DI LIVEL-
LO della funzione f. Si disegnano
sul piano xy. Aiutano ad immagi-
narsi il grafico di f.
Spesso si scelgono le costanti
al secondo membro in modo tale
che esse formino una progressio-
ne aritmetica (la differenza fra
due costanti consecutive rimane
la stessa).
Lo studio delle linee di livello
`
e utile, ad esempio, per capire il
grafico dei paraboloidi iperbolici
z = xy, z = x
2
+ y
2
, e z = y
2
x
2
.
Ulteriori informazioni sulla tec-
nica delle linee di livello si pos-
sono trovare sul libro di testo.
LINEE DI MASSIMA PENDENZA
Sono le linee integrali del gra-
diente di f, e sono perpendicola-
ri alle linee di livello. Ne ri-
parleremo in una prossima lezione
(pag. 54).
A27
ELEMENTI DI TOPOLOGIA DI
R
N
, LIMITI E CONTINUIT
`
A
Studiamo le nozioni di LIMITE
e di CONTINUIT
`
A per funzioni
f(x, y) di due variabili reali.
Motiveremo la discussione facen-
do riferimento al seguente, clas-
sico problema.
Problema: calcolare 0
0
, ovve-
ro: perch

e 0
0
`
e una forma indeter-
minata.
Riconosciamo, innanzitutto, che
grazie alla convenzione secondo
la quale 0
0
= 1,
`
e possibile scrive-
re:
I. Un qualunque polinomio P(x),
x R, come
n

k=0
a
k
x
k
;
II. Il polinomio di Taylor asso-
ciato ad una funzione f(x), come
n

k=0
f
(k)
(x
0
) (x x
0
)
k
/k!;
III. La formula di Newton (a +
b)
n
=
n

k=0
_
n
k
_
a
k
b
nk
.
Ora ci poniamo la seguente DO-
MANDA: se la base x e lesponente
y sono diversi da zero ma piccoli in
valore assoluto, con x > 0, la po-
tenza x
y
sar
`
a vicina a 1 ?
Un semplice esperimento sem-
bra avvalorare questa ipotesi: se
prendiamo x
n
= y
n
= 1/n, con n
grande, la potenza x
y
n
n
= 1/
n

n si
avvicina proprio a 1.
Tuttavia, la risposta alla do-
manda precedente
`
e negativa. In-
fatti, prendendo x
n
= e
n
, con n
grande, e y
n
= 1/n, la potenza x
y
n
n
=
(e
n
)
1/n
= e
1
resta lontana da 1
per quanto x
n
e y
n
si avvicinino a
zero.
Si dice che la funzione f(x, y) =
x
y
, avente per dominio il semipia-
no x > 0, non ammette limite per
(x, y) (0, 0).
A28
Per poter definire, in genera-
le, il limite
lim
(x,y)(x
0
,y
0
)
f(x, y)
di una funzione di due variabili
f(x, y) occorre innanzitutto che
il punto (x, y), variabile nel do-
minio della funzione f, si possa
avvicinare bene quanto si vuole
al punto (x
0
, y
0
), restando distin-
to da esso.
Si utilizza, a tal fine, la no-
zione di PUNTO DI ACCUMULA-
ZIONE, sviluppata per studiare le
serie di Fourier: un punto (x
0
, y
0
)
R
2
`
e un punto di accumulazio-
ne per un dato insieme S R
2
se
esistono punti di S DISTINTI DA
(x
0
, y
0
) e vicini ad esso tanto quan-
to si vuole.
In altri termini, per ogni >
0 deve esistere almeno un punto
(x, y) S distinto da (x
0
, y
0
) tale
che
_
(x x
0
)
2
+ (y y
0
)
2
< .
Si pu
`
o esprimere questo concetto
utilizzando la nozione di INTOR-
NO SFERICO B

(x
0
, y
0
) di raggio
del punto (x
0
, y
0
):
B

(x
0
, y
0
) =
= { (x, y) |
_
(x x
0
)
2
+ (y y
0
)
2
< }
Si DEFINISCE, dunque, punto di
accumulazione di un insieme S un
punto (x
0
, y
0
) R
2
in ogni intorno
sferico del quale vi sia almeno un
punto di S DISTINTO dal punto
(x
0
, y
0
)
La DEFINIZIONE DI LIMITE
`
e
la seguente: dato un insieme S
R
N
, una funzione f : S R, ed un
punto (x
0
, y
0
) di accumulazione per
S, si scrive
lim
(x,y)(x
0
,y
0
)
f(x, y) = ( R)
se per ogni > 0 esiste un >
0 tale che per ogni (x, y), distin-
to da (x
0
, y
0
) e appartenente al-
lintersezione S B

(x
0
, y
0
), risulta
|f(x, y) | < .
CONTINUIT
`
A: se la funzione f
`
e definita anche in (x
0
, y
0
), e se
lim
(x,y)(x
0
,y
0
)
f(x, y) = f(x
0
, y
0
),
la funzione f si dice continua nel
punto (x
0
, y
0
).
Si scrive, invece,
lim
(x,y)(x
0
,y
0
)
f(x, y) = +
se per ogni M R esiste un > 0
tale che per ogni (x, y), distinto da
(x
0
, y
0
) e appartenente sia al do-
minio di f che allintorno sferi-
co B

(x
0
, y
0
), risulta f(x, y) > M. Si
scrive, infine,
lim
(x,y)(x
0
,y
0
)
f(x, y) =
se f(x, y) +.
Le definizioni di intorno sferi-
co, punto di accumulazione, limi-
te, e continuit
`
a, SI ESTENDONO
FACILMENTE a R
N
con N 1.
A29
INDICAZIONI PRATICHE
Per accertarsi della continuit
`
a di
una funzione si usano le seguenti
propriet
`
a:
le proiezioni canoniche
1
(x, y) =
x e
2
(x, y) = y sono continue;
la somma, la differenza, e il
prodotto di due funzioni continue
sono ancora funzioni continue, e
cos
`
pure il rapporto, se il deno-
minatore
`
e diverso da zero;
la funzione composta g(f(x, y)) di
una funzione continua f(x, y) e di
una g(t) continua in t
`
e anchessa
continua.
Viceversa, confutare la conti-
nuit
`
a di una funzione pu
`
o richiede-
re unanalisi pi
`
u fine, e lideazione
di un opportuno controesempio.
Esempio 1. La funzione f(x, y),
cos
`
definita:
f(x, y) =
_
_
_
x
y
, x (0, +), y R;
1, x = y = 0,
`
E CONTINUA in ogni punto (x, y)
con x (0, +) e y R. Infatti pos-
siamo scrivere x
y
= e
y log x
, quindi x
y
`
e composta delle proiezioni cano-
niche, della funzione logaritmica
e della funzione esponenziale.
La medesima funzione f(x, y), in-
vece, NON
`
E CONTINUA nel pun-
to (0, 0) perch

e sussiste il controe-
sempio costruito a pagina A28 con
x
n
= e
n
e y
n
= 1/n.
Esempio 2. La funzione g(x, y),
cos
`
definita:
g(x, y) =
2xy
x
2
+ y
2
, (x, y) R
2
\ {(0, 0)}
`
E CONTINUA in ogni punto del
suo dominio. Infatti g(x, y) si ottie-
ne dalle proiezioni canoniche me-
diante operazioni aritmetiche, e il
denominatore
`
e diverso da zero.
La medesima funzione g(x, y) non
ammette limite per (x, y) (0, 0),
e perci
`
o NON
`
E PROLUNGABILE
PER CONTINUIT
`
A nellorigine.
Infatti, passando alle coordi-
nate polari (, ), tramite le sosti-
tuzioni
_
_
_
x(, ) = cos ,
y(, ) = sen ,
si ottiene
g(x(, ), y(, )) = sen 2.
Dunque quando 0 con = cost.
il limite dipende dal particolare
valore di .
Ad esempio, prendendo x
n
= 1/n,
con n grande, e y
n
0 (dunque,
prendendo = 0), si ha g(x
n
, y
n
) 0
e quindi il limite
`
e 0; prendendo in-
vece x
n
= y
n
= 1/n (cio
`
e = /4) si
ha g(x
n
, y
n
) 1 e quindi il limite
`
e 1.
Si pu
`
o, comunque, affermare che
g(x, y)
`
E LIMITATA: infatti, poich

e
(x y)
2
0, svolgendo il quadrato
si trova la disuguaglianza di Cau-
chy
|2xy| x
2
+y
2
da cui segue la tesi.
A30
ELEMENTI DI TOPOLOGIA DI
R
N
, E IL TEOREMA DI WEIER-
STRASS
La topologia
`
e una branca del-
la matematica i cui concetti pi
`
u
elementari sono quelli di
punto interno ad un insieme;
punto esterno ad un insieme;
frontiera di un insieme;
insieme aperto;
insieme chiuso;
punto di accumulazione;
limite;
funzione continua.
Concetti di fondamentale im-
portanza per le applicazioni sono
quelli di insieme connesso e, so-
prattutto, di insieme compatto.
La compattezza serve per dimo-
strare lesistenza delle soluzioni
di problemi matematici (di massimo
e minimo, equazioni differenziali,
ecc.) anche quando non la si rie-
sce a scrivere esplicitamente.
Una trattazione dettagliata del-
la topologia, i cui assiomi furo-
no concepiti da Felix Hausdorff
(1868-1942), esula completamente
dai limiti del corso.
Ci limitiamo ad esaminare bre-
vemente il significato dei concetti
citati, con riferimento alle figu-
re piane, cio
`
e i sottoinsiemi di R
2
.
Lestensione a R
N
con N 1
`
e sem-
plice.
La base della topologia di R
2
`
e costituita dagli intorni sferici
B

(x, y), (0, +).


PUNTI INTERNI
Un punto (x, y) si dice interno
ad un insieme S R
2
se esiste alme-
no un intorno sferico B

(x, y) cen-
trato in (x, y) e incluso in S.
La semplice appartenenza del pun-
to (x, y) allinsieme S non basta,
in generale, per poterlo chiama-
re punto interno.
PUNTI ESTERNI
Un punto (x, y) si dice esterno
ad un insieme S R
2
se esiste alme-
no un intorno sferico B

(x, y) cen-
trato in (x, y) e disgiunto da S.
Il semplice fatto che il punto (x, y)
non appartenga allinsieme S non
basta, in generale, per poter dire
che
`
e esterno.
FRONTIERA
La frontiera, o bordo, di un in-
sieme S si indica con S ed
`
e co-
stituita da quegli eventuali punti
che non sono n

e interni, n

e ester-
ni ad esso.
Ad esempio, la frontiera di un
disco B

(x, y)
`
e la circonferenza
B

(x, y).
INSIEMI APERTI
Si dice aperto un insieme i cui
punti sono tutti interni, come ad
esempio avviene per il disco aper-
to B

(x, y).
Appartenere ad un insieme aperto,
dunque,
`
e la stessa cosa che esse-
re interno ad esso.
A31
INSIEMI CHIUSI
Si dice chiuso un insieme il cui
complementare
`
e aperto.
I chiusi sono quegli insiemi che
contengono la loro frontiera.
I chiusi si possono anche vedere
come quegli insiemi che contengo-
no i loro punti di accumulazione.
La propriet
`
a di essere chiuso
serve, in generale, a garantire
che facendo il limite di oggetti
che stanno in un chiuso (ad esem-
pio, funzioni di un certo tipo),
loggetto limite (la funzione li-
mite)
`
e dello stesso tipo.
Ci
`
o
`
e fondamentale perch

e, fin
dallepoca di Archimede, quando
non si riesce a risolvere un pro-
blema con un numero finito di pas-
si, si tenta con un limite.
INSIEMI CHIUSIAPERTI
Talvolta si dicono chiusiaper-
ti gli insiemi che sono sia chiusi
che aperti, come ad esempio lin-
sieme vuoto ed il piano R
2
.
Si noti che il piano R
2
`
e chiusa-
perto nella topologia di R
2
, cio
`
e
se si considerano solo figure pia-
ne. Invece, nella topologia dello
spazio tridimensionale R
3
, ciascun
piano
`
e chiuso e non
`
e aperto.
Punto di accumulazione, limite
di una funzione, e funzione conti-
nua sono concetti trattati nelle
pagine precedenti.
CHIUSURA DI UN INSIEME
Si dice chiusura, o aderenza di
un insieme S lunione S S di S
con la sua frontiera S, ovvero
lunione S DS di S con il suo de-
rivato DS (il derivato
`
e linsieme
dei punti di accumulazione di S).
La chiusura di un insieme S si
denota con S ed
`
e un insieme chiu-
so, qualunque sia S.
LIMITE DI UNA SUCCESSIONE
DI PUNTI
Si dice che una successione { (x
k
,
y
k
) } converge ad un punto (x
0
, y
0
)
se per ogni > 0 risulta (x
k
, y
k
)
B

(x
0
, y
0
) definitivamente.
Qui definitivamente significa
che esiste un indice opportuno k
0
tale che (x
k
, y
k
) B

(x
0
, y
0
) per ogni
k k
0
.
SOTTOSUCCESSIONI
A partire da una successione
data { (x
k
, y
k
) }, dove lindice k va-
ria nellinsieme N, si ottiene una
sottosuccessione selezionando in-
finiti valori k
0
, k
1
, k
2
, . . . dellindice
k, e quindi i corrispondenti punti
{ (x
k
i
, y
k
i
) }, i N.
Una sottosuccessione pu
`
o ave-
re limite anche se la successione
data non converge.
Si intende che gli indici k
0
, k
1
,
k
2
, . . . devono essere presi in or-
dine strettamente crescente, cio
`
e
k
0
< k
1
< k
2
< . . . ; non
`
e ammesso n

e
tornare indietro, n

e ripetere due
volte lo stesso termine.
A32
INSIEMI CONNESSI
Si dice connesso per archi un
insieme S R
2
tale che ogni suo
punto (x
1
, y
1
) si pu
`
o collegare ad
un qualunque altro suo punto (x
2
,
y
2
) S mediante un arco continuo
incluso in S.
Il concetto di connesso per
archi vuole tradurre lidea in-
tuitiva di fatto di un solo pezzo.
INSIEMI COMPATTI
Si dice compatto per successio-
ni un insieme K R
2
tale che qua-
lunque successione di suoi punti ha
almeno una sottosuccessione con-
vergente, il cui limite
`
e ancora un
punto di K.
Ci
`
o
`
e fondamentale nella ma-
tematica moderna, che affronta
elettivamente problemi di cui non
solo non si riesce ad ottenere la
soluzione in un numero finito di
passi, dunque si
`
e condotti a co-
struire una successione, ma, come
se ci
`
o non bastasse, non si riesce
nemmeno a determinarne esplici-
tamente il limite, dunque serve sa-
pere almeno se esso esiste.
MASSIMI E MINIMI
Data una funzione f : S R, si
dice che un punto (x
0
, y
0
) S
`
e un:
punto di massimo per f se risulta
f(x, y) f(x
0
, y
0
) per ogni (x, y) S;
punto di minimo per f se risulta
f(x, y) f(x
0
, y
0
) per ogni (x, y) S.
TEOREMA DI HEINE-BOREL
I sottoinsiemi compatti di R
2
so-
no quelli chiusi e limitati.
Limitato
`
e un insieme conte-
nuto un un disco B
R
(0, 0) di raggio
R sufficientemente grande.
La suddetta, semplice caratte-
rizzazione dei compatti (teorema
di Heine-Borel) vale anche in R
N
,
N 1, ma non negli spazi di dimen-
sione infinita come sono, ad esem-
pio, gli spazi funzionali. Per essi
si sfruttano condizioni pi
`
u sofisti-
cate, il cui studio esula dai limiti
del corso.
TEOREMA DI WEIERSTRASS
Karl Weierstrass (1815-1897) eb-
be un ruolo nel sottolineare che
lesistenza del minimo di talune im-
portanti funzioni (per la precisio-
ne, funzionali integrali del cal-
colo delle variazioni) andava di-
mostrata e non poteva essere da-
ta per scontata.
Il fondamentale teorema di Wei-
erstrass sullesistenza dei massimi
e dei minimi asserisce che
qualunque funzione continua f :
K R, avente per dominio un in-
sieme compatto K (si intende, non
vuoto), ha almeno un punto di
massimo ed almeno un punto di mi-
nimo (eventualmente coincidenti,
se f
`
e costante).
A33
DERIVATE PARZIALI, DIFFE-
RENZIABILIT
`
A, GRADIENTE
Sia (x
0
, y
0
) un punto interno al
dominio di una funzione f(x, y). Le
DERIVATE PARZIALI di f in ta-
le punto si possono definire nei se-
guenti due modi equivalenti.
DEFINIZIONE 1
Se esiste finito il
lim
xx
0
f(x, y
0
) f(x
0
, y
0
)
x x
0
si dice che f
`
e derivabile parzial-
mente rispetto alla x nel punto
(x
0
, y
0
).
In tal caso il valore del limite
si chiama derivata parziale di f ri-
spetto alla x in (x
0
, y
0
) e si indica
con le notazioni
f
x
(x
0
, y
0
),
f
x
(x
0
, y
0
). (4)
DEFINIZIONE 2
Consideriamo la restrizione della
funzione f(x, y) alla retta y = y
0
, e
cio
`
e la funzione f(x, y
0
), della so-
la variabile x.
Se f(x, y
0
)
`
e derivabile per x =
x
0
, si dice che la funzione di due
variabili f(x, y)
`
e derivabile par-
zialmente rispetto alla x nel pun-
to (x
0
, y
0
).
La derivata di f(x, y
0
) per x = x
0
si dice derivata parziale di f(x, y)
rispetto alla x in (x
0
, y
0
) e si indica
con le notazioni (4).
La derivata parziale f
y
= f/y
si definisce in modo analogo.
LA CLASSE C
1
Se la funzione f(x, y)
`
e derivabi-
le parzialmente rispetto alla x ed
alla y in tutti i punti di un aper-
to R
2
, le derivate parziali
f
x
(x, y),
f
y
(x, y),
sono, ovviamente, funzioni di x e
di y. SE SONO CONTINUE in ogni
punto di si dice che f
`
e di classe
C
1
in , e si scrive f C
1
().
LA DERIVABILIT
`
A PARZIALE
NON IMPLICA LA CONTINUIT
`
A
La derivabilit
`
a di una funzio-
ne di una sola variabile implica
la sua continuit
`
a. Invece, se una
funzione f(x, y)
`
e derivabile par-
zialmente rispetto alla x e alla y
in un punto (x
0
, y
0
), non
`
e detto che
sia continua in tale punto.
Ci
`
o
`
e dovuto al fatto che le de-
rivate parziali tengono conto sol-
tanto dei valori di f lungo le due
rette passanti per (x
0
, y
0
) e paral-
lele agli assi coordinati, e non dei
valori di f nei punti vicini a (x
0
, y
0
)
ma al di fuori di queste rette.
Per avere un esempio si pu
`
o con-
siderare la seguente funzione:
f(x, y) =
_
_
_
0, se xy = 0
1, se xy = 0.
Nel punto (0, 0) esistono entram-
be le derivate parziali, e sono nul-
le. Tuttavia, come gi
`
a visto nel-
lo svolgimento degli esercizi del-
la serie [09], tale funzione
`
e di-
scontinua nellorigine.
A34
DIFFERENZIABILIT
`
A
Supponiamo che una funzione f(x,
y) sia derivabile parzialmente ri-
spetto alla x e alla y in un punto
(x
0
, y
0
). Ci
`
o significa che le funzio-
ni (di una sola variabile) f(x, y
0
) e
f(x
0
, y) sono derivabili, rispettiva-
mente nel punto x = x
0
e nel punto
y = y
0
.
Il grafico di f(x, y
0
) si pu
`
o vede-
re come lintersezione tra il gra-
fico di f(x, y) ed il piano di equazio-
ne y = y
0
. Poich

e f(x, y
0
)
`
e deriva-
bile per x = x
0
, per il significato
geometrico della derivata esiste
nel piano y = y
0
la retta tangente
al grafico di f(x, y
0
) nel punto di
coordinate (x
0
, y
0
, f(x
0
, y
0
)). La in-
dicheremo con r
1
.
Similmente, nello stesso punto
esiste la retta tangente al grafi-
co di f(x
0
, y) (contenuta nel piano
di equazione x = x
0
). La indichere-
mo con r
2
.
Le rette r
1
ed r
2
giacciono en-
trambe sul piano rappresentato
dal grafico della funzione
z(x, y) =
f
x
(x
0
, y
0
) (x x
0
)
+
f
y
(x
0
, y
0
) (y y
0
)
+ f(x
0
, y
0
). (5)
Si noti che il grafico di z(x, y)
`
e
un piano perch

e z(x, y)
`
e un polino-
mio di primo grado nelle variabili
x e y. Le altre quantit
`
a al secon-
do membro della (5) sono costan-
ti.
Infatti i punti della retta r
1
hanno coordinate (x, y
0
, z) con x e
z che soddisfano lequazione
z =
f
x
(x
0
, y
0
) (x x
0
) +f(x
0
, y
0
),
e perci
`
o soddisfano anche la (5).
Con un ragionamento simile si ve-
de che anche i punti di r
2
soddisfa-
no la (5).
Se risulta che
f(x, y) z(x, y) =
= o(
_
(x x
0
)
2
+ (y y
0
)
2
),
e cio
`
e se
lim
(x,y)(x
0
,y
0
)
f(x, y) z(x, y)
_
(x x
0
)
2
+ (y y
0
)
2
= 0
si dice che f
`
e differenziabile nel
punto (x
0
, y
0
). In tal caso, il diffe-
renziale df
`
e, per definizione,
df =
f
x
(x
0
, y
0
) dx +
f
y
(x
0
, y
0
) dy,
ed il piano z = z(x, y) si dice piano
tangente al grafico di f(x, y) nel
punto (x
0
, y
0
).
CONDIZIONE SUFFICIENTE PER
LA DIFFERENZIABILIT
`
A
(TEOREMA DEL DIFFERENZIA-
LE TOTALE)
Se una funzione f
`
e di classe C
1
in un aperto del piano, allora
essa
`
e differenziabile in ogni pun-
to di .
La dimostrazione si basa sul teo-
rema di Lagrange.
A35
INDICAZIONI PRATICHE
Le derivate parziali si calco-
lano con le usuali regole di de-
rivazione, avendo cura di conside-
rare una delle due variabili come
una costante.
La definizione delle deriva-
te parziali si estende facilmente a
funzioni f(x
1
, . . . , x
N
) di N variabili.
In tal caso, N1 di esse si conside-
rano costanti, e si deriva rispetto
alla variabile rimanente.
La differenziabilit
`
a di una
funzione si stabilisce, di solito,
mediante la condizione sufficien-
te appena enunciata.
Invece, laccertamento della
non differenziabilit
`
a in un deter-
minato punto richiede unanalisi
che varia da caso a caso, e il cui
successo non
`
e garantito.
IL GRADIENTE
Se una funzione f(x, y)
`
e diffe-
renziabile in un punto (x
0
, y
0
), si de-
finisce gradiente di f in tale pun-
to il vettore che ha per compo-
nenti le derivate parziali di f:
grad f(x
0
, y
0
) =
=
_
f
x
(x
0
, y
0
),
f
y
(x
0
, y
0
)
_
.
Il gradiente si indica anche con i
simboli Df e f.
La differenziabilit
`
a di f implica
che il gradiente non cambia in mo-
dulo, direzione e verso anche se si
rototrasla il sistema di riferimen-
to, dunque ha un significato indi-
pendente da esso.
Il gradiente, se non nullo, in-
dica la direzione e il verso di mas-
sima crescita dei valori di f, ed
`
e perpendicolare alla linea di li-
vello di f passante per (x
0
, y
0
), la
quale, a sua volta, esiste ed
`
e re-
golare in un intorno di (x
0
, y
0
) se f
`
e di classe C
1
(teorema della fun-
zione implicita).
I punti dove il gradiente esiste
ed
`
e nullo si dicono stazionari o
critici.
A36
LA DIFFERENZIABILIT
`
A IMPLI-
CA LA CONTINUIT
`
A
Infatti, se per ipotesi si ha
f(x, y) = z(x, y) +
+o(
_
(x x
0
)
2
+ (y y
0
)
2
),
dove z(x, y)
`
e dato da
z(x, y) =
f
x
(x
0
, y
0
) (x x
0
)
+
f
y
(x
0
, y
0
) (y y
0
)
+ f(x
0
, y
0
),
si vede subito che f(x, y) f(x
0
, y
0
)
quando (x, y) (x
0
, y
0
).
DERIVAZIONE DELLA FUNZIO-
NE COMPOSTA
Se due funzioni x(t) e y(t) so-
no derivabili per t = t
0
, e se f(x,
y)
`
e differenziabile nel punto (x
0
,
y
0
) = (x(t
0
), y(t
0
)), allora la funzio-
ne composta f(x(t), y(t))
`
e derivabi-
le per t = t
0
e la sua derivata
`
e
data da
_
d
dt
f(x(t), y(t))
_
t=t
0
=
=
f
x
(x
0
, y
0
) x

(t
0
) +
f
y
(x
0
, y
0
) y

(t
0
).
Questa formula, che si dimo-
stra applicando le definizioni, si
pu
`
o ricordare dividendo, per il
differenziale dt, lespressione del
differenziale df, che per defini-
zione
`
e
df =
f
x
(x
0
, y
0
) dx +
f
y
(x
0
, y
0
) dy.
DERIVATE DIREZIONALI
Se, nella definizione delle deri-
vate parziali, al posto delle rette
x = x
0
e y = y
0
sostituiamo una qua-
lunque retta di equazioni parame-
triche x = x
0
+t v
x
, y = y
0
+t v
y
, giun-
giamo alla definizione della deri-
vata di f(x, y) rispetto al vettore
v = (v
x
, v
y
):
f
v
=
d
dt
f(x
0
+t v
x
, y
0
+t v
y
).
La derivata di f(x, y) rispetto al
vettore v si denota con f/v, o
D
v
f.
Se il vettore v = (v
x
, v
y
) ha mo-
dulo 1, cio
`
e se v
2
x
+ v
2
y
= 1, la deri-
vata f/v prende il nome di deri-
vata direzionale.
Le derivate parziali f/x e f/y
si possono vedere come derivate
direzionali, fatte rispetto ai
versori degli assi coordinati =
(1, 0) e = (0, 1).
FORMULA DEL GRADIENTE
Se f
`
e differenziabile in un pun-
to (x
0
, y
0
), allora in tale punto
`
e
anche derivabile parzialmente in
tutte le direzioni, e si ha
D
v
f = v grad f per ogni v R
2
.
La tesi, che discende facilmen-
te dalle definizioni, si pu
`
o anche
ottenere ponendo x(t) = x
0
+ t v
x
,
y(t) = y
0
+ t v
y
e derivando la fun-
zione composta f(x(t), y(t)).
A37
DERIVATE PARZIALI SECONDE
Se esistono le derivate parzia-
li f/x e f/y in un aperto del
piano, esse sono funzioni del pun-
to (x, y), dunque possono essere a
loro volta derivabili parzialmen-
te rispetto alle variabili x e y.
In tal caso, le derivate
f
xx
=

2
f
x
2
=

x
f
x
e
f
yy
=

2
f
y
2
=

y
f
y
si dicono derivate seconde pure,
mentre le derivate
f
xy
=

2
f
y x
=

y
f
x
f
yx
=

2
f
x y
=

x
f
y
si dicono derivate seconde miste.
TEOREMA DI SCHWARZ
Se le derivate miste sono conti-
nue, allora sono anche uguali fra
loro, in virt
`
u del ben noto teore-
ma di Schwarz sullinversione del-
lordine di derivazione:
Se le due derivate seconde mi-
ste esistono in un intorno di un
punto (x
0
, y
0
), e sono continue in
esso, allora in tale punto hanno
lo stesso valore.
Anzi,
`
e sufficiente che in un in-
torno di (x
0
, y
0
) esistano f
x
, f
y
e f
xy
,
e che questultima sia continua in
(x
0
, y
0
), per far s
`
che esista anche
f
yx
(x
0
, y
0
) e risulti f
xy
= f
yx
in (x
0
, y
0
)
(v. Trench, Introduction to real
analysis, pag. 320).
MATRICE HESSIANA
La matrice le cui componenti
sono le derivate parziali seconde,
e cio
`
e la matrice
_
f
xx
f
xy
f
yx
f
yy
_
si dice matrice hessiana della fun-
zione f(x, y), dal nome di Ludwig
Otto Hesse (1811-1874), e si deno-
ta con D
2
f oppure con H
f
.
Se le derivate seconde sono conti-
nue, per il teorema di Schwarz la
matrice hessiana risulta simmetri-
ca.
DERIVATE DIREZIONALI SE-
CONDE
Indichiamo con v = (v
x
, v
y
) un
vettore rispetto al quale derive-
remo la funzione f(x, y).
Se le derivate parziali prime di
una funzione f(x, y) esistono in un
intorno di un punto (x
0
, y
0
), e sono
differenziabili in (x
0
, y
0
), allora la
funzione
f
v
(x, y) = v grad f(x, y)
= v
x
f
x
(x, y) +v
y
f
y
(x, y)
`
e differenziabile in (x
0
, y
0
). Deri-
vando ambo i membri rispetto a v,
e applicando la formula del gra-
diente a f
x
e f
y
, si trova
f
vv
(x
0
, y
0
) = v H
f
v
T
.
Quindi, se la matrice H
f
`
e simme-
trica, la derivata direzionale se-
conda f
vv
(x
0
, y
0
)
`
e una forma qua-
dratica nella variabile v.
A38
FORMULA DI TAYLOR DI ORDI-
NE 1 CON IL RESTO DI PEANO
Se f(x, y)
`
e differenziabile nel
punto (x
0
, y
0
), allora per definizio-
ne si ha
f(x, y) = z(x, y) +
+o(
_
(x x
0
)
2
+ (y y
0
)
2
) (6)
dove il polinomio z(x, y)
`
e dato da
z(x, y) =
f
x
(x
0
, y
0
) (x x
0
)
+
f
y
(x
0
, y
0
) (y y
0
)
+ f(x
0
, y
0
). (7)
La formula (6)
`
e la formula di
Taylor con il resto di Peano, ar-
restata al primo ordine, ed il po-
linomio z(x, y)
`
e il corrispondente
polinomio di Taylor.
LA CLASSE C
2
Se le quattro derivate seconde
della funzione f(x, y) esistono e
sono continue in un aperto R
2
,
si dice che f
`
e di classe C
2
in , e
si scrive f C
2
().
FORMULA DI TAYLOR DI ORDI-
NE 2 CON IL RESTO DI PEANO
Se f(x, y)
`
e di classe C
2
in un in-
torno del punto (x
0
, y
0
), si ha
f(x, y) = z(x, y) +
+
1
2
_

2
f
x
2
(x
0
, y
0
) (x x
0
)
2
+ 2

2
f
x y
(x
0
, y
0
) (x x
0
) (y y
0
)
+

2
f
y
2
(x
0
, y
0
) (y y
0
)
2
_
+o
_
(x x
0
)
2
+ (y y
0
)
2
_
(8)
dove il polinomio z(x, y)
`
e ancora
come nella (7).
La formula (8)
`
e la formula di
Taylor con il resto di Peano, ar-
restata al secondo ordine.
Il polinomio di Taylor del se-
condo ordine
`
e dato dalla somma
di z(x, y) e di
1
2
della forma qua-
dratica avente per matrice la ma-
trice hessiana H
f
(x
0
, y
0
), applicata
al vettore le cui componenti sono
((x x
0
), (y y
0
)).
La suddetta forma quadratica si
dice differenziale secondo del-
la funzione f, e si indica con d
2
f.
La formula (8) si pu
`
o ricava-
re, procedendo come nel libro di
testo, a partire dalla formula di
Taylor con il resto di Lagrange
arrestata al primo ordine: veda-
si anche lesercizio 4(b) della se-
rie [12].
A39
MASSIMI E MINIMI
Una delle pi
`
u tipiche applicazio-
ni del calcolo differenziale consi-
ste nella determinazione dei mas-
simi e dei minimi di una funzione da-
ta.
Tale problema matematico corri-
sponde, in pratica, alla determi-
nazione della soluzione pi
`
u reddi-
tizia di un problema finanziario,
alla determinazione della confi-
gurazione di equilibrio di un siste-
ma meccanico, e a tante altre in-
terpretazioni.
MASSIMI E MINIMI ASSOLUTI
Data una funzione f : S R, si
dice che un punto (x
0
, y
0
) S
`
e un:
punto di massimo assoluto per f
se risulta f(x, y) f(x
0
, y
0
) per ogni
(x, y) S;
punto di minimo assoluto per f
se risulta f(x, y) f(x
0
, y
0
) per ogni
(x, y) S.
MASSIMI E MINIMI RELATIVI (1)
Data una funzione f : S R, si
dice che un punto (x
0
, y
0
) S
`
e un:
punto di massimo relativo per f
se esiste un raggio (0, +) ta-
le che f(x, y) f(x
0
, y
0
) per ogni
(x, y) B

(x
0
, y
0
) S;
punto di minimo relativo per f
se esiste un raggio (0, +) ta-
le che f(x, y) f(x
0
, y
0
) per ogni
(x, y) B

(x
0
, y
0
) S.
MASSIMI E MINIMI RELATIVI (2)
Data una funzione f : S R, si
dice che un punto (x
0
, y
0
) S
`
e un:
punto di massimo relativo per f
se esiste un intorno di (x
0
, y
0
) nel
quale il suddetto punto
`
e un pun-
to di massimo assoluto per la re-
strizione di f a tale intorno;
punto di minimo relativo per f se
esiste un intorno di (x
0
, y
0
) nel qua-
le il suddetto punto
`
e un punto di
minimo assoluto per la restrizio-
ne di f a tale intorno.
TERMINOLOGIA ANGLOSASSO-
NE
I punti di massimo assoluto si
dicono global maxima, quelli di
minimo assoluto global minima.
I punti di massimo relativo si dico-
no local maxima, quelli di mini-
mo relativo local minima.
Spesso tali espressioni vengono
riportate in italiano per assonan-
za, e diventano massimi globali,
minimi globali, massimi locali,
minimi locali.
(1) (2) Si badi, a scanso di equivo-
ci, che le due definizioni contrad-
distinte dai numeri (1) e (2) sono
equivalenti.
A40
RICERCA DEI MASSIMI E DEI
MINIMI MEDIANTE LA DEFINI-
ZIONE
Spesso
`
e possibile riconoscere i
massimi e i minimi di una funzione
senza fare calcoli.
Ad esempio, lorigine
`
e lunico
punto di minimo assoluto per le se-
guenti funzioni:
x
2
+y
2
(avente per grafico un pa-
raboloide di rotazione);

_
x
2
+ y
2
(avente per grafico un
cono).
Lorigine
`
e lunico punto di massi-
mo assoluto per la funzione 1x
2

y
2
(avente per grafico un parabo-
loide di rotazione).
Quanto sopra si vede applicando
direttamente la definizione.
FUNZIONI COMPOSTE CON FUN-
ZIONI MONOTONE
Se (t)
`
e una funzione stretta-
mente crescente della variabile
reale t (esempi: (t) =

t , (t) = e
t
)
allora la funzione composta (
f(x, y)) ha gli stessi punti di mas-
simo e di minimo della funzione
f(x, y) ristretta al dominio S del-
la composta (f(x, y)).
Ci
`
o segue immediatamente dal-
la definizione.
Ad esempio, lorigine
`
e lunico
punto di minimo assoluto per la
funzione e
x
2
+y
2
, ed
`
e lunico punto
di massimo assoluto per la funzio-
ne e
x
2
y
2
.
Dunque, se la funzione da studia-
re ha la forma (f(x, y)), con (t)
strettamente crescente, ci si pu
`
o
ricondurre a studiare la funzione
f(x, y).
In tal caso, fare attenzione a
non considerare f(x, y) al di fuori
del dominio di (t).
Esempio: la funzione
_
1 x
2
y
2
ha un unico punto di massimo asso-
luto nellorigine, dove il radican-
do
`
e massimo.
La stessa funzione ha minimo as-
soluto in ogni punto della circon-
ferenza di equazione x
2
+y
2
= 1.
I punti al di fuori del disco
chiuso B
1
(0, 0) non appartengono
al dominio della funzione data.
Il radicando, invece, non ha mi-
nimo in R
2
perch

e
`
e illimitato infe-
riormente.
Il radicando, ristretto al disco
chiuso B
1
(0, 0) ha minimo assoluto,
che vale zero, ed
`
e assunto sulla
circonferenza B
1
(0, 0).
A41
RICERCA DEI MASSIMI E DEI
MINIMI CON LAUSILIO DEL
CALCOLO DIFFERENZIALE
Innanzitutto conviene ricono-
scere i punti di massimo e di mini-
mo che si possono individuare sen-
za luso del calcolo differenziale
(v. pag. preced.).
Il teorema di Weierstrass, se
le ipotesi sono soddisfatte, ga-
rantisce lesistenza del massimo e
del minimo assoluto ancor prima
di averli trovati.
Vale il teorema di Fermat: le
derivate parziali f/x e f/y, se
esistono, sono nulle nei punti di
massimo e nei punti di minimo della
funzione f purch

e tali punti siano


interni al dominio.
Dunque, dopo aver riconosciu-
to i punti di massimo e di minimo
pi
`
u evidenti, si pu
`
o studiare il si-
stema
_
_
_
f
x
(x, y) = 0;
f
y
(x, y) = 0,
con (x, y) interno al dominio di f.
Le soluzioni di tale sistema non so-
no necessariamente punti di massi-
mo o di minimo.
Il tipico esempio
`
e dato dalle
funzioni xy e x
2
y
2
. In entrambi
i casi, lorigine
`
e un punto critico
ma non
`
e n

e un punto di massimo,
n

e un punto di minimo.
N.B. i punti critici sono quelli
dove il gradiente
`
e nullo.
Le tipiche condizioni sufficien-
ti affinch

e un punto critico di una


funzione di classe C
2
sia un punto
di minimo relativo sono:
Che la matrice hessiana sia defi-
nita positiva nel punto considera-
to.
Che la matrice hessiana sia semi-
definita positiva in un intorno del
punto considerato.
Queste condizioni valgono an-
che per funzioni di tre o pi
`
u va-
riabili.
I punti di massimo (relativo o
assoluto) di una funzione f sono
i punti di minimo di f, dunque le
condizioni precedenti si possono
usare anche per trovare i massimi.
La matrice hessiana di una fun-
zione di due variabili
`
e, ovviamen-
te, una matrice 2 2, dunque:
Per stabilire se
`
e definita positi-
va basta vedere se il suo determi-
nante
`
e positivo, e se gli elemen-
ti della diagonale principale sono
positivi.
Per stabilire se
`
e semidefinita
positiva basta vedere se il suo de-
terminante
`
e non negativo, e se
gli elementi della diagonale prin-
cipale sono non negativi.
Purtroppo questi criteri, spes-
so usati negli esercizi, non sono
validi per le funzioni di tre o pi
`
u
variabili.
A42
FUNZIONI DA R
N
A R
k
Le funzioni aventi per dominio
un sottoinsieme di R
N
, e per codo-
minio R
k
, N, k 1, si usano in molte
circostanze. Vediamo alcuni esem-
pi.
IL CASO PARTICOLARE k = 1
Le superfici pi
`
u semplici, e cio
`
e i
piani, purch

e non paralleli allas-


se z, sono grafici di funzioni del
tipo z = a x +b y +c, da R
2
a R.
Molte altre superfici interes-
santi sono grafici di opportune
funzioni da R
2
a R.
La pi
`
u generale equazione dif-
ferenziale ordinaria si rappresen-
ta nella forma F(x, y, y

, . . . y
(n)
) = 0,
dove F
`
e una funzione da R
N
a R,
N = n +2, e n
`
e lordine dellequa-
zione.
IL CASO PARTICOLARE N = 1
La legge oraria del moto di
un punto materiale nello spazio
`
e una funzione che alla variabile
t associa il corrispondente pun-
to (x(t), y(t), z(t)), dunque va da un
intervallo contenuto in R allo
spazio R
3
.
IL CASO N, k > 1: CAMBIAMENTI
DI COORDINATE
COORDINATE POLARI PIANE
La funzione che trasforma le
coordinate polari (, ) in coordi-
nate cartesiane (x, y)
`
e data da
_
_
_
x = cos ,
y = sen .
La funzione
`
e ben definita per ogni
(, ) R
2
, anche se le variabili ,
perdono il significato di coordi-
nate polari quando < 0.
La funzione cos
`
definita non
`
e invertibile.
`
E invertibile, inve-
ce, la sua restrizione allinsieme
(0, +) [ 0, 2).
COORDINATE SFERICHE
Secondo il libro di testo, la
funzione che trasforma le coordi-
nate sferiche (, , ) in coordinate
cartesiane (x, y, z)
`
e data da
_

_
x = sen cos ,
y = sen sen ,
z = cos .
La funzione
`
e ben definita per ogni
(, , ) R
3
, anche se le variabi-
li , , perdono il significato di
coordinate sferiche quando <
0.
Il codominio
`
e lo stesso spa-
zio R
3
.
La funzione cos
`
definita non
`
e invertibile.
`
E invertibile, inve-
ce, la sua restrizione allinsie-
me delle terne (, , ) tali che
(0, +), (0, ), [ 0, 2).
A43
COORDINATE CILINDRICHE
La funzione che trasforma le co-
ordinate cilindriche (, , z) in co-
ordinate cartesiane (x, y, z)
`
e data
da
_

_
x = cos ,
y = sen ,
z = z.
La funzione
`
e ben definita per ogni
(, , z) R
3
, anche se le variabi-
li , , z perdono il significato di
coordinate cinindriche quando
< 0. Il codominio
`
e lo spazio R
3
.
La funzione cos
`
definita non
`
e invertibile.
`
E invertibile, inve-
ce, la sua restrizione allinsieme
(0, +) [ 0, 2) R.
IL CASO N, k > 1: SISTEMI LI-
NEARI
Il pi
`
u generale sistema di due
equazioni di primo grado in due in-
cognite, dato da
_
_
_
a
11
x
1
+a
12
x
2
= b
1
,
a
21
x
1
+a
22
x
2
= b
2
si pu
`
o scrivere semplicemente co-
me segue:
F(x) = 0
dove F : R
2
R
2
`
e la funzione che
al vettore x = (x
1
, x
2
) associa il
vettore y le cui componenti (y
1
, y
2
)
sono date da
_
_
_
y
1
= a
11
x
1
+a
12
x
2
b
1
,
y
2
= a
21
x
1
+a
22
x
2
b
2
,
e 0
`
e il vettore nullo.
IL CASO N, k > 1: SISTEMI NON
LINEARI
Il pi
`
u generale sistema di k equa-
zioni in N incognite, dato da
_

_
f
1
(x
1
, . . . , x
N
) = 0,
. . .
f
k
(x
1
, . . . , x
N
) = 0,
dove f
1
, . . . f
k
sono funzioni date,
aventi per dominio un sottoinsie-
me di R
N
e a valori reali, si pu
`
o
scrivere semplicemente come se-
gue:
F(x) = 0
dove F : R
N
R
k
`
e la funzione che
al vettore x = (x
1
, . . . , x
N
) asso-
cia il vettore y le cui componenti
(y
1
, . . . , y
k
) sono date da
_

_
y
1
= f
1
(x
1
, . . . , x
N
),
. . .
y
k
= f
k
(x
1
, . . . , x
N
).
(9)
RAPPRESENTAZIONE DI UNA
F : R
N
R
k
MEDIANTE k FUN-
ZIONI SCALARI MATRICE JA-
COBIANA
Il sistema (9)
`
e importante an-
che perch

e permette di esprimere
una qualunque funzione F : R
N

R
k
mediante le k funzioni scalari
f
1
, . . . , f
k
dette componenti di F.
Se le componenti di F sono de-
rivabili rispetto a x
1
, . . . , x
N
, resta
individuata la MATRICE JACO-
BIANA di F, data da
J =
_
_
_
_
f
1
x
1
. . .
f
1
x
N
. . . . . . . . .
f
k
x
1
. . .
f
k
x
N
_
_
_
_
.
A44
CASI PARTICOLARI DELLA MA-
TRICE JACOBIANA
IL CASO PARTICOLARE k = 1
In questo caso la funzione con-
siderata
`
e una funzione f(x
1
, . . . ,
x
N
) a valori scalari.
La matrice jacobiana (cos
`
chia-
mata dal nome di Karl Gustav Ja-
cob Jacobi, 18041851) si riduce a
J = f.
IL CASO PARTICOLARE N = 1
In questo caso la funzione con-
siderata associa ad una variabile
reale x un vettore (y
1
(x), . . . , y
k
(x)).
La matrice jacobiana
`
e il vet-
tore velocit
`
a
J =
_
_
_
_
y

1
(x)
.
.
.
y

k
(x)
_
_
_
_
.
IL CASO PARTICOLARE N, k = 1
In questo caso stiamo parlando
di una funzione y = f(x), della va-
riabile reale x e a valori scalari.
La matrice jacobiana
`
e la ma-
trice 1 1 la cui unica componen-
te
`
e la derivata di f:
J = (f

(x)).
REGOLA DI DERIVAZIONE DEL-
LA FUNZIONE COMPOSTA
La ben nota regola di deriva-
zione della funzione composta am-
mette una elegante formulazione
mediante la matrice jacobiana.
Consideriamo una funzione F, de-
finita in un intorno di x
0
R
N
e a
valori in R
k
, e poniamo y
0
= F(x
0
).
Consideriamo, inoltre, una fun-
zione G, definita in un intorno di
y
0
R
k
e a valori in R

.
Se F
`
e differenziabile nel pun-
to x
0
, nel senso che tutte le sue
componenti sono differenziabili in
tale punto, e se G
`
e differenziabi-
le nel punto y
0
, allora la funzio-
ne composta
G(F(x))
`
e differenziabile nel punto x
0
, e
la sua matrice jacobiana J, di or-
dine N,
`
e il prodotto matriciale
J = J
G
J
F
dove J
F
e J
G
denotano le matrici
jacobiane di F e di G.
A45
INTRODUZIONE ALLA TEORIA
DELLA MISURA E DELLINTE-
GRAZIONE
La teoria nasce con il problema
di determinare le aree ed i volumi
delle figure geometriche.
Uno dei precursori
`
e stato Ar-
chimede di Siracusa (287212 a.C.).
Oggi, la teoria ha molte altre
applicazioni.
Ad esempio, lintegrale doppio
__
R
f(x, y) dx dy
dove R
`
e il rettangolo dato da
R = [a, b] [c, d], e f : R [0, +),
si pu
`
o interpretare come il volu-
me del sottografico di f.
Dunque, nel caso particolare
f z
0
, con z
0
= costante > 0, lo
stesso integrale si pu
`
o interpre-
tare come il volume del paralle-
lepipedo R [0, z
0
], e si ha
__
R
z
0
dx dy = (b a) (d c) z
0
. (10)
Quando la funzione integranda
non
`
e cos
`
banale, lintegrale dop-
pio esteso al rettangolo R si pu
`
o
definire come segue.
DEFINIZIONE (INTEGRALE DI
RIEMANN ESTESO AD UN RET-
TANGOLO).
Consideriamo una funzione limi-
tata f : R R, con R = [a, b] [c, d].
Dividiamo lintervallo [a, b] in
n parti mediante i punti
x
h
= a + (b a) h/n, h = 0, . . . , n.
Dividiamo anche lintervallo [c, d]
in n parti, mediante i punti
y
k
= c + (d c) k/n, k = 0, . . . , n.
In ciascuno dei sottorettangoli
I
hk
= [x
h1
, x
h
] [y
k1
, y
k
], prendiamo
un punto a piacere p
hk
= (
hk
,
hk
).
Consideriamo la somma di Cauchy-
Riemann
s
n
=
n

h,k=1
|I
hk
| f(
hk
,
hk
)
dove |I
hk
| denota larea di I
hk
, cio
`
e
|I
hk
| =
b a
n
d c
n
. (11)
Poich

e |I
hk
| non dipende n

e da h n

e
da k, si pu
`
o anche scrivere
s
n
= |I
hk
|
n

h,k=1
f(
hk
,
hk
).
Se esiste il limite di s
n
per n +,
e se il suo valore non dipende da
come si scelgono i punti p
hk
, la
funzione f si dice integrabile se-
condo Riemann sul rettangolo R,
e si scrive
__
R
f(x, y) dx dy = lim
n+
s
n
.
Essendo f limitata per ipotesi,
questo limite, se esiste, ha un va-
lore finito.
A46
ESEMPIO
Applichiamo la definizione del-
lintegrale doppio alla funzione
f z
0
= costante R.
Quali che siano i punti p
hk
, si ha
f(
hk
,
hk
) = z
0
, e perci
`
o troviamo
s
n
= |I
hk
|
n

h,k=1
f(
hk
,
hk
)
= |I
hk
|
n

h,k=1
z
0
.
Le aree |I
hk
| sono date dalla (11).
Inoltre la costante z
0
non dipende
dagli indici di somma h, k. Siccome i
termini della sommatoria sono n
2
,
si deduce che
s
n
= (b a) (d c) z
0
per ogni n.
Dunque il limite di s
n
per n +
esiste banalmente, e si verifica
la (10) con z
0
R.
INTEGRABILIT
`
A DELLE FUN-
ZIONI CONTINUE
Se la procedura descritta alla
pagina precedente viene applicata
ad una funzione f C
0
(R), allo-
ra il limite ivi considerato esiste,
ed il suo valore non dipende da co-
me si scelgono i punti p
hk
.
Dunque le funzioni continue so-
no integrabili.
I PI
`
U SEMPLICI METODI DI
INTEGRAZIONE
Un metodo di integrazione nu-
merica consiste nel calcolare la
somma s
n
assegnando ad n un valo-
re numerico grande.
Il valore cos
`
ottenuto appros-
sima quello dellintegrale.
Questo metodo si usa in com-
binazione con metodi per stimare
lerrore cos
`
commesso.
Un altro metodo di integrazio-
ne
`
e il seguente. Si esprime linte-
grale
_
d
c
f(x, y) dy
considerando la x come un para-
metro fissato, e la y come lunica
variabile di integrazione.
Il risultato viene a dipendere
da x:
`
e una funzione del parame-
tro x. Si integra tale funzione
sullintervallo (a, b).
Sotto opportune ipotesi, ad esem-
pio se f C
0
(R), si ottiene il va-
lore dellintegrale doppio. Si ha,
cio
`
e,
__
R
f(x, y) dx dy =
_
b
a
__
d
c
f(x, y) dy
_
dx
Scambiando i ruoli di x ed y, si ha
anche
__
R
f(x, y) dx dy =
_
d
c
__
b
a
f(x, y) dx
_
dy
Le precedenti due formule si di-
cono formule di riduzione del-
lintegrale doppio a due integrali
semplici.
A47
ESEMPIO
Applichiamo le formule di ridu-
zione al seguente integrale:
__
R
z
0
dx dy
dove z
0
= costante R. Conside-
rando la x come un parametro fis-
sato, e la y come lunica variabile
di integrazione, si ha
_
d
c
z
0
dy = (d c) z
0
.
La quantit
`
a cos
`
ottenuta
`
e una
funzione (costante in un caso cos
`

banale) del parametro x. La inte-


griamo sullintervallo (a, b) e tro-
viamo
_
b
a
__
d
c
z
0
dy
_
dx = (b a) (d c) z
0
.
Constatiamo che il risultato cos
`

ottenuto coincide con lintegrale


doppio espresso dalla (10).
ESEMPIO
Applichiamo le formule di ridu-
zione al seguente integrale:
__
R
sen x dx dy.
Considerando la x come un para-
metro fissato, e la y come lunica
variabile di integrazione, si ha
_
d
c
sen x dy = (d c) sen x.
Integrando sullintervallo (a,
b) la funzione cos
`
ottenuta, tro-
viamo
_
b
a
__
d
c
sen x dy
_
dx =
= (d c) (cos a cos b).
dunque
__
R
sen x dx dy = (d c) (cos a cos b).
A48
INTEGRAZIONE SU ALCUNI DO-
MINI LIMITATI
La definizione dellintegrale si
estende al caso in cui il dominio di
integrazione
`
e un insieme limitato
R
2
, non necessariamente ret-
tangolare.
In tal caso si prende un qualun-
que rettangolo R con i lati paral-
leli agli assi e contenente , e si
definisce
__

f(x, y) dx dy =
__
R
f(x, y) dx dy
dove si intende che la f(x, y) al se-
condo membro vale 0 ogniqualvol-
ta (x, y) R \ .
Se, in particolare, f(x, y) = 1 in
, allora lintegrale
|| =
__

dx dy (12)
esprime larea di , se
`
e partico-
larmente semplice.
Pi
`
u esattamente, la (12) espri-
me la misura di Peano-Jordan del
dominio , cos
`
chiamata dai nomi
di Giuseppe Peano (1858-1932) e di
Camille Jordan (1838-1922).
Lintegrale doppio presenta una
difficolt
`
a in pi
`
u rispetto allinte-
grale semplice: infatti, oltre al-
lespressione della funzione inte-
granda, interviene anche la for-
ma del dominio di integrazione.
Ad esempio, una funzione sem-
plicissima come f(x, y) 1 non
`
e
integrabile sul dominio nel pia-
no xy dato dal sottografico della
funzione di Dirichlet.
DOMINI SEMPLICI
Vediamo ora alcuni domini misu-
rabili secondo Peano-Jordan, cio
`
e
tali che la costante 1
`
e integrabi-
le su di essi.
Limportanza sta anche nel fat-
to che tutte le funzioni continue
sono integrabili su tali domini.
Si dice y-semplice un insieme
chiuso delimitato dai grafici di
due funzioni continue g
1
, g
2
: [a, b]
R, cio
`
e un insieme del tipo
=
{ (x, y) | x [a, b], g
1
(x) y g
2
(x) }.
Analogamente, si dice x-sem-
plice un insieme chiuso delimita-
to dai grafici di due funzioni con-
tinue x = h
1
(y) e x = h
2
(y), cio
`
e un
insieme del tipo
=
{ (x, y) | y [c, d], h
1
(y) x h
2
(y) }.
Uno stesso dominio, come ad esem-
pio il disco chiuso = B
r
(x
0
, y
0
),
pu
`
o benissimo essere sia x-semplice
che y-semplice.
A49
FORMULE DI RIDUZIONE
Le formule di riduzione del-
lintegrale doppio a due integrali
semplici, gi
`
a viste nel caso = R
(rettangolo), si estendono ai do-
mini semplici.
Pi
`
u precisamente, se f C
0
() e
se
`
e y-semplice, allora
__

f(x, y) dx dy =
=
_
b
a
_
_
g
2
(x)
g
1
(x)
f(x, y) dy
_
dx
Se, invece,
`
e x-semplice, allora
__

f(x, y) dx dy =
=
_
d
c
_
_
h
2
(y)
h
1
(y)
f(x, y) dx
_
dy
DOMINI REGOLARI
Si dice regolare un dominio
decomponibile in un numero finito
di domini semplici.
Il tipico esempio di dominio re-
golare, non semplice,
`
e la corona
circolare = B
r
2
(x
0
, y
0
) \ B
r
1
(x
0
, y
0
),
r
1
< r
2
.
Si badi che tutti i domini sempli-
ci, inclusi i rettangoli e i dischi,
sono anche domini regolari.
Si dimostra che se
`
e un do-
minio regolare (e, a maggior ra-
gione, chiuso e limitato), e se f
C
0
(), allora f
`
e integrabile se-
condo Riemann su .
CAMBIAMENTO DI VARIABILI
Insieme allapplicazione della
definizione, utile per approssima-
zioni numeriche, e alle formule di
riduzione, uno dei principali me-
todi di integrazione consiste nel
cambiamento delle variabili.
La formula di cambiamento di
variabili per gli integrali doppi si
enuncia sotto ipotesi pi
`
u restrit-
tive rispetto agli integrali sem-
plici.
Si richiede, infatti, che la tra-
sformazione (x, y) = T(u, v), oltre
ad essere di classe C
1
,
1) sia invertibile, e
2) anche la funzione inversa di T
sia di classe C
1
.
Sotto tali ipotesi, consideriamo un
dominio regolare nel piano uv
ed una funzione f C
0
(T()), do-
ve T()
`
e limmagine del dominio
tramite la trasformazione T. Si
ha, allora:
__
T()
f(x, y) dx dy =
=
__

f(T(u, v)) |det DT(u, v)| dudv


dove |det DT|
`
e il valore assolu-
to del determinante della matri-
ce jacobiana DT.
Nel caso particolare in cui:
`
e
il rettangolo R = [0, b][0, h], f
`
e la
costante 1, e T
`
e unapplicazione
affine, la formula indicata sopra
`
e stata dimostrata nellesercizio 3
della serie [15].
A50
ESEMPI
Il cambiamento di variabili pi
`
u
tipico
`
e il passaggio a coordinate
polari dato da (x, y) = T(, ), dove
_
x = cos
y = sen
La matrice jacobiana DT
`
e
DT =
_
cos sen
sen cos
_
dunque |det DT| = . Ad esempio, il
rettangolo R = [
1
,
2
] [
1
,
2
] nel
piano , con 0 <
1
<
2
e 0
1
<

2
< 2, si trasforma nella figura
T(R) la cui area
`
e
|T(R)| =
__
T(R)
dx dy
=
__
R
d d.
Lultimo integrale, a sua volta, si
esprime con le formule di riduzio-
ne:
__
R
d d =
_

2

1
__

2

1
d
_
d =
=

1
+
2
2
(
2

1
) (
2

1
)
Questo risultato si pu
`
o trovare
anche senza luso del calcolo in-
tegrale.
Poich

e
1
2
(
2
+
1
) = +o(1) per
1
,

2
, e poich

e |R| = (
2

1
) (
2

1
), tale risultato mostra, in par-
ticolare, che
|T(R)| = |R| + o(|R|).
DOMINI NORMALI
I domini semplici vengono anche
detti domini normali. Sussiste
tuttavia la seguente ambiguit
`
a.
I domini y-semplici vengono detti
normali rispetto allasse y nei
testi di L. Amerio e di E. Giusti,
normali rispetto allasse x nel
testo di P. Marcellini e C. Sbor-
done.
Per fortuna, tale ambiguit
`
a non
pu
`
o indurre in errore al momento
di usare le formule di riduzione.
A51
INTEGRALI TRIPLI
Lintegrale triplo ha, come linte-
grale doppio, innumerevoli inter-
pretazioni e applicazioni. Ad esem-
pio, lintegrale
___

dx dy dz
esprime il volume del solido
R
3
. Lintegrale
___

(x, y, z) dx dy dz
esprime la massa di , se (x, y, z)
`
e
la densit
`
a materiale.
DEFINIZIONE
La definizione dellintegrale tri-
plo, nel senso di Riemann, procede
come quella dellintegrale dop-
pio. Si definisce, innanzitutto,
___
R
f(x, y, z) dx dy dz (13)
dove f : R R
`
e una funzione limi-
tata, e il dominio di integrazione
`
e un parallelepipedo R = [a
1
, b
1
]
[a
2
, b
2
] [a
3
, b
3
].
Pi
`
u precisamente, si suddivide R
in parallelepipedi pi
`
u piccoli, e si
considerano le somme di Cauchy-
Riemann.
Se le somme di Cauchy-Riemann
ammettono limite, ed il valore del
limite
`
e indipendente dai punti uti-
lizzati per costruire tali somme, si
dice che la funzione f
`
e integrabi-
le secondo Riemann sul parallele-
pipedo R, ed il valore del suddet-
to limite si indica con il simbolo
in (13).
INTEGRALE TRIPLO SU DI UN
DOMINIO LIMITATO
La definizione dellintegrale tri-
plo si estende ad un dominio limi-
tato considerando un parallele-
pipedo R e ponendo
___

f(x, y, z) dx dy dz =
=
___
R
f(x, y, z) dx dy dz
dove si intende che la funzione f
al secondo membro
`
e nulla nellin-
sieme differenza R \ .
Perfino la semplicissima funzio-
ne f(x, y, z) 1 pu
`
o non essere inte-
grabile su di un dominio , se que-
sto
`
e molto irregolare.
I domini sui quali
`
e integrabile
la costante 1 si dicono misurabili
secondo Peano-Jordan, e la loro
misura
`
e data da
|| =
___

dx dy dz.
La misura di Peano-Jordan ser-
ve per definire rigorosamente che
cosa
`
e il volume di un solido.
A52
METODI DI CALCOLO DEGLI IN-
TEGRALI TRIPLI
I metodi di calcolo pi
`
u semplici
sono i seguenti.
1) Calcolare una somma di Cauchy-
Riemann per fare unapprossima-
zione numerica dellintegrale.
Questo metodo si usa in combi-
nazione con una stima dellerrore
cos
`
commesso.
2) Cambiamento di variabili. La
formula
`
e simile a quella valida
per lintegrale doppio. Il cambia-
mento di variabili pi
`
u usato
`
e il
passaggio a coordinate sferiche:
_

_
x = sen cos ,
y = sen sen ,
z = cos
(14)
la cui matrice jacobiana
`
e
_
_
sen cos cos cos sen sen
sen sen cos sen sen cos
cos sen 0
_
_
che ha per determinante
2
sen .
Se ne usa il valore assoluto.
Se, dunque: R
`
e un parallelepi-
pedo (chiuso) nello spazio , con
R [0, +) [0, ] [0, 2]; deno-
ta limmagine di R tramite le (14),
e f C
0
(), si ha
___

f(x, y, z) dx dy dz =
=
__
R
g(, , )
2
sen d dd
dove g(, , ) = f( sen cos , sen
sen , cos ).
3) Formule di riduzione. Il libro di
testo parla di integrazione per
fili e per strati.
3A - Integrazione per fili. Sup-
poniamo che il dominio sia de-
limitato da due funzioni continue
g
1
(x, y) e g
2
(x, y) definite su di uno
stesso dominio regolare D nel pia-
no xy:
= { (x, y, z) | (x, y) D,
g
1
(x, y) z g
2
(x, y) }.
Supponiamo, inoltre, che la fun-
zione integranda sia continua. Al-
lora essa
`
e integrabile su e si ha
___

f(x, y, z) dx dy dz =
=
__
D
_
_
g
2
(x,y)
g
1
(x,y)
f(x, y, z) dz
_
dx dy
3B - Integrazione per strati.
Supponiamo che sia un dominio
di rotazione intorno allasse z,
avente la forma
= { (x, y, z) |
_
x
2
+y
2
r(z),
z [z
1
, z
2
] }
dove r(z)
`
e una funzione continua.
Supponiamo, inoltre, che sia con-
tinua anche la funzione integran-
da f. Allora essa
`
e integrabile
su , e si ha
___

f(x, y, z) dx dy dz =
=
_
z
2
z
1
_
__
B
r(z)
(0,0)
f(x, y, z) dx dy
_
dz
A53
CAMPI VETTORIALI, INTEGRA-
LE DI LINEA DI SECONDA SPE-
CIE, CAMPI CONSERVATIVI
Le funzioni da R
2
a R
2
, o da R
3
a R
3
, gi
`
a introdotte a pag. A43, si
possono utilizzare per rappresen-
tare dei CAMPI VETTORIALI.
Esempio 1. Secondo la legge
della gravitazione universale di
Newton, una massa puntiforme M
collocata nellorigine genera un
campo gravitazionale dato da
G
M
|r|
3
r (15)
dove G
`
e la costante di gravita-
zione universale.
Il campo gravitazionale
`
e dun-
que, in questo caso, una funzio-
ne che al vettore di posizione r =
0 fa corrispondere la forza (15)
agente sullunit
`
a di massa collo-
cata in tale punto.
Esempio 2. Secondo la legge
di Coulomb, una carica elettrica
puntiforme q collocata nellorigi-
ne genera un campo elettrico da-
to da
1
4
0
q
|r|
3
r (16)
dove
0
`
e la costante dielettrica.
Il campo elettrico
`
e dunque, in
questo caso, una funzione che al
vettore di posizione r = 0 fa corri-
spondere la forza (16) agente sul-
lunit
`
a di carica collocata in tale
punto.
Esempio 3. Secondo la legge
di Biot-Savart, una corrente elet-
trica di intensit
`
a i che percorre
lasse z, nello stesso verso, deter-
mina un campo magnetico dato da
B(x, y, z) =
=

0
2
i
x
2
+y
2
(y, x, 0) (17)
dove
0
`
e la permeabilit
`
a magneti-
ca.
Il campo magnetico
`
e dunque,
in questo caso, una funzione che
al punto (x, y, z), non appartenen-
te allasse z, fa corrispondere il
vettore B(x, y, z) dato dalla (17).
Esempio 4. Data una funzio-
ne scalare f(x, y, z), di classe C
1
in un aperto R
3
, il gradiente
f(x, y, z)
`
e un campo vettoriale.
LINEE DI CAMPO
Le linee che, in ogni loro pun-
to, risultano tangenti al vettore
di un campo dato, si dicono linee
di campo.
Le linee di campo del gradiente
f di una funzione scalare f(x, y, z)
si dicono linee di massima penden-
za.
Le linee di massima pendenza so-
no perpendicolari alle superfici di
livello della funzione f: vedere a
pag. A27.
A54
Lintegrale di un campo vetto-
riale lungo una linea orientata,
cio
`
e LINTEGRALE DI LINEA DI
SECONDA SPECIE, si pu
`
o defini-
re come segue.
Consideriamo un campo vetto-
riale F(x, y, z) definito per (x, y,
z) , essendo un aperto di R
3
,
e supponiamo che F C
0
().
Consideriamo, inoltre, una cur-
va regolare r: [a, b] il cui so-
stegno sia contenuto in . Si po-
ne, allora,
_
+
F dr =
_
b
a
F(r(t)) r

(t) dt.
Osservazione: il valore numerico
dellintegrale di linea di seconda
specie DIPENDE DAL VERSO DI
PERCORRENZA della curva .
Il verso di percorrenza della
curva dipende dalla parametrizza-
zione, cio
`
e dalla particolare fun-
zione r(t) avente per sostegno .
Invertendo il verso di percor-
renza, lintegrale di linea di se-
conda specie cambia segno.
La dipendenza dellintegrale dal
verso di percorrenza della curva
si indica denotando il dominio di
integrazione con +, e si scrive
_
+
F dr =
_

F dr.
INTERPRETAZIONI
Se il campo F(x, y, z) rappresen-
ta una forza, lintegrale
L =
_
+
F dr
definisce il lavoro compiuto dalla
forza F lungo la curva , percor-
sa nel verso specificato dalla pa-
rametrizzazione.
Ad esempio, fissiamo nello spa-
zio un punto r
0
= 0, e consideriamo
la semiretta uscente da r
0
, alli-
neata con lorigine ma non conte-
nente questultima, parametrizza-
ta da r(t) = t r
0
, t [1, +).
Sia, inoltre, F(x, y, z) il campo
dato dalla (15). Allora lintegra-
le
U(r
0
) =
_
+
F dr = G
M
|r
0
|
esprime lenergia potenziale gra-
vitazionale nel punto r
0
.
In generale, se il campo F(x, y,
z)
`
e il gradiente di una funzione
scalare f(x, y, z), e se la curva
`
e parametrizzata da una funzione
r(t) avente per dominio un inter-
vallo chiuso e limitato [a, b], allo-
ra si ha
_
+
F dr = f(r(b)) f(r(a)). (18)
Ci
`
o costituisce unestensione del
teorema fondamentale del calco-
lo integrale.
La dimostrazione si trova alla
pagina seguente.
A55
CAMPI CONSERVATIVI
Un campo vettoriale F(x, y, z),
di classe C
0
in un aperto R
3
, si
dice CONSERVATIVO se per ogni
coppia di curve orientate
1
e
2
,
uscenti da un medesimo punto P ed
aventi uno stesso secondo estre-
mo Q, risulta
_
+
1
F dr =
_
+
2
F dr
dunque lintegrale dipende solo
dagli estremi P e Q, e non dalla
curva che li congiunge.
Vi sono due importanti condi-
zioni necessarie e sufficienti af-
finch

e un dato campo sia conser-


vativo.
CONDIZIONE N. 1
Un campo F(x, y, z)
`
e conservati-
vo se e solo se lintegrale
_
+
F dr
`
e nullo ogniqualvolta
`
e una li-
nea chiusa contenuta in .
Lintegrale di linea di seconda
specie esteso ad una curva chiusa
si chiama CIRCUITAZIONE, e si in-
dica con il simbolo
_
+
F dr
Dunque il campo F(x, y, z)
`
e conser-
vativo quando risulta
_
+
F dr = 0
per ogni curva chiusa .
CONDIZIONE N. 2
Un campo F(x, y, z)
`
e conservati-
vo se e solo se esiste unopportuna
funzione scalare f C
1
(), detta
potenziale, tale che
F(x, y, z) = f(x, y, z). (19)
Che questultima condizione sia
sufficiente lo si deduce dalla (18).
Poich

e disponiamo di tre carat-


terizzazioni equivalenti dei cam-
pi conservativi,
`
e legittimo adot-
tare, per ragioni stilistiche, una
qualunque delle tre come defini-
zione. Ad esempio, il libro di testo
utilizza lultima delle tre.
Per dimostrare la formula (18)
di pagina A55 basta definire g(t) =
f(r(t)), t [a, b]. Per la regola di
derivazione della funzione compo-
sta (v. pag. A37), si ha
d
dt
g(t) = F(r(t)) r

(t)
Integrando ambo i membri sullin-
tervallo [a, b], e per il teorema
fondamentale, si ha
g(b) g(a) =
_
b
a
F(r(t)) r

(t) dt.
Per la definizione della funzio-
ne g, e per la definizione dellin-
tegrale di linea di seconda specie,
si ottiene la (18).
A56
Per completezza, verifichiamo
che se un campo F(x, y, z)
`
e conser-
vativo, allora la condizione n. 2
indicata alla pagina precedente
`
e
soddisfatta.
Per semplicit
`
a, ci concentria-
mo sul caso in cui laperto , domi-
nio del campo,
`
e connesso (v. pag.
A33).
Per definire la funzione scala-
re f(x, y, z), fissiamo un punto r
0

. Per ogni r = (x, y, z) , pren-
diamo una curva regolare a trat-
ti uscente da r
0
e avente secon-
do estremo in r. Curve del genere
esistono perch

e
`
e connesso. Po-
niamo
f(x, y, z) =
_
+
F dr (20)
Questa definizione
`
e corretta
grazie al fatto che, per ipotesi,
lintegrale al secondo membro di-
pende solo da r
0
ed r.
Dobbiamo vedere se la funzio-
ne f(x, y, z) cos
`
definita soddisfa
la (19). Iniziamo con il calcolo
della derivata parziale f/x.
Se indichiamo con s il segmento
orientato che dal punto (x, y, z) va
al punto (x+h, y, z), parametrizza-
to da r(t) = (x, y, z) +t sgn(h) , t [0,
h], possiamo scrivere
f(x +h, y, z) =
_
++s
F dr (21)
dove la curva somma ++s si ottie-
ne percorrendo le due curve + e
+s una dopo laltra.
Sottraendo la (20) dalla (21) tro-
viamo
f(x +h, y, z) f(x, y, z) =
_
+s
F dr
Lintegrale al secondo membro,
per definizione, vale
_
+s
F dr =
_
h
0
F(r(t)) (sgn(h) ) dt
perci
`
o
lim
h0
f(x +h, y, z) f(x, y, z)
h
=
= lim
h0
_
h
0
F(r(t)) (sgn(h) ) dt
Per il teorema fondamentale del
calcolo integrale, il limite al se-
condo membro vale
F(r(0)) = F(x, y, z)
Dunque f/x = F , e con un pro-
cedimento analogo si verifica che
f/y = F e f/z = F

k.
Essendo il campo F(x, y, z) con-
tinuo per ipotesi, ne segue che la
funzione f(x, y, z) data dalla (20)
`
e
di classe C
1
e soddisfa la (19), co-
me volevasi dimostrare.
A57
RAPPRESENTAZIONE PARAME-
TRICA DELLE SUPERFICI
Le funzioni da R
N
a R
k
, esami-
nate a pag. A43, ed utilizzate per
esprimere i cambiamenti di varia-
bile (ibidem) e per rappresentare
le curve nello spazio (pag. A19) e
i campi vettoriali (A54), si posso-
no usare per la rappresentazione
delle superfici.
Per fare un esempio, conside-
riamo le formule di passaggio da
coordinate cartesiane a coordina-
te sferiche:
_

_
x = sen cos ,
y = sen sen ,
z = cos .
(22)
Se poniamo = r (fissato), e fac-
ciamo variare [0, ] e [ 0, 2),
il corrispondente punto r(, ), le
cui coordinate (x, y, z) sono date
dalle (22), descrive la sfera cen-
trata nellorigine e di raggio r.
Il vantaggio della rappresen-
tazione parametrica sta nella pos-
sibilit
`
a di rappresentare tutta la
sfera, mentre le funzioni
z(x, y) =
_
r
2
x
2
y
2
hanno per grafico due semisfere.
In generale, una funzione r(u, v)
avente per dominio un aperto di
R
2
e per codominio lo spazio R
3
, si
pu
`
o interpretare come la rappre-
sentazione parametrica di una su-
perficie.
Per quanto riguarda la rego-
larit
`
a della superficie, e la de-
terminazione del piano tangente,
si vedano le precisazioni alla pa-
gina successiva e a pag. A61.
IL PIANO
Fissiamo un punto r
0
= (x
0
, y
0
, z
0
)
nello spazio, e consideriamo una
coppia di vettori r
u
= (a
1
, b
1
, c
1
) ed
r
v
= (a
2
, b
2
, c
2
), diversi dal vettore
nullo e non allineati, cio
`
e tali che
r
u
r
v
= 0.
Il piano passante per r
0
e paral-
lelo ad r
u
, r
v
ha la rappresentazio-
ne parametrica r = r
0
+ ur
u
+ v r
v
,
u, v R, e cio
`
e
_

_
x = x
0
+ua
1
+v a
2
,
y = y
0
+ub
1
+ v b
2
,
z = z
0
+ uc
1
+ v c
2
.
(23)
Un vettore n perpendicolare
a tale piano pu
`
o, alloccorrenza,
essere ricavato da n = r
u
r
v
.
La rappresentazione parametrica
dei piani va a completare la rap-
presentazione cartesiana esplicita
considerata a pag. A25.
A58
LINEE COORDINATE
Data la rappresentazione para-
metrica r = r(u, v) di una superfi-
cie, fissando uno dei due parame-
tri e facendo variare solo laltro
si ottengono le cosiddette linee
coordinate.
Consideriamo, ad esempio, la se-
guente rappresentazione parame-
trica della sfera di raggio r cen-
trata nellorigine:
_

_
x = r sen cos ,
y = r sen sen ,
z = r cos .
(24)
Fissando =
0
si ottengono le
equazioni parametriche della cir-
conferenza orizzontale, di raggio
r
0
= r sen
0
, centrata sullasse z e
giacente nel piano z = r cos
0
.
Ponendo, invece, =
0
si ot-
tengono le equazioni parametri-
che della circonferenza di inter-
sezione tra la suddetta sfera ed
il piano verticale la cui equazio-
ne cartesiana
`
e
x sen
0
y cos
0
= 0.
r
?
r

z
PIANO TANGENTE E REGOLA-
RIT
`
A
Consideriamo una superficie rap-
presentata nella forma parame-
trica r = r(u, v), e fissiamo un
punto r
0
= r(u
0
, v
0
) su di essa.
Lidea per determinare il pia-
no tangente a tale superficie nel
punto r
0
`
e di partire dalle linee
coordinate r = r(u, v
0
) e r = r(u
0
, v),
prendere i loro vettori velocit
`
a
r
u
, r
v
, infine costruire il piano pa-
rallelo ad essi e passante per r
0
.
Affinch

e questa procedura possa


avere successo qualunque sia il
punto di tangenza, una superficie
si considera regolare quando:
la funzione r(u, v)
`
e di classe C
1
in un aperto R
2
;
i vettori velocit
`
a
r
u
(u
0
, v
0
) =
_
d
du
r(u, v
0
)
_
u=u
0
(25)
r
v
(u
0
, v
0
) =
_
d
dv
r(u
0
, v)
_
v=v
0
(26)
soddisfano la condizione
r
u
(u
0
, v
0
) r
v
(u
0
, v
0
) = 0
per ogni (u
0
, v
0
) . Sotto tali ipo-
tesi, il piano tangente in un punto
r
0
= r(u
0
, v
0
) esiste, ed ha la rap-
presentazione parametrica
r = r
0
+ur
u
(u
0
, v
0
) +v r
v
(u
0
, v
0
).
A59
AREA E INTEGRALE SUPERFI-
CIALE
Vogliamo misurare lestensione
di una superficie rappresentata in
forma parametrica. Consideriamo,
per incominciare, superfici piane
giacenti sul piano di equazioni pa-
rametriche (23).
Lapplicazione affine r = T(u, v)
data dalle (23) trasforma un ret-
tangolo R del piano uv in un pa-
rallelogramma T(R) nello spazio.
Lo si verifica con lo stesso ragio-
namento usato per svolgere le-
sercizio 4 della serie [15].
Inoltre, larea |T(R)| del paral-
lelogramma
`
e legata allarea |R|
del rettangolo dalla relazione
|T(R)| = |r
u
r
v
| |R|
Infatti il modulo |r
u
r
v
| del pro-
dotto vettoriale r
u
r
v
esprime
larea del parallelogramma i cui
quattro vertici sono: un qualun-
que punto r
0
, e i punti r
0
+ r
u
,
r
0
+r
v
, r
0
+r
u
+r
v
.
Usando un procedimento di pas-
saggio al limite, che riprende e
sviluppa le idee di Archimede di Si-
racusa, si giunge alla conclusione
che se
`
e un qualunque dominio
regolare nel piano uv allora la-
rea della figura piana T() posta
nello spazio
`
e data da
__

|r
u
r
v
| dudv = |r
u
r
v
| ||.
Consideriamo ora la rappresen-
tazione parametrica r = T(u, v) di
una generica superficie regolare,
non necessariamente piana.
Si definisce area della figura
= T(), immagine di un dominio
regolare incluso nel dominio di
T nel piano uv, come il valore del
seguente integrale doppio:
__

|r
u
(u, v) r
v
(u, v)| dudv
dove i vettori r
u
(u, v) ed r
v
(u, v),
detti campi coordinati, sono da-
ti dalle (25)-(26).
Si definisce, infine, lintegrale
superficiale di una funzione con-
tinua f(x, y, z), avente per dominio
la figura = T(), ponendo
__

f dS =
__

f(T(u, v)) |r
u
(u, v) r
v
(u, v)| dudv
Con questa notazione, larea di
si pu
`
o anche rappresentare come
__

dS.
Se
`
e il grafico di una funzione
z = g(x, y), (x, y) , la si pu
`
o rap-
presentare in forma parametrica
ponendo x = u, y = v, z = g(u, v).
In tal caso risulta r
x
= (1, 0, g
x
)
e r
y
= (0, 1, g
y
). Dunque r
x
r
y
=
g
x
g
y
+

k, e larea di
`
e data
da
__

_
1 +g
2
x
(x, y) +g
2
y
(x, y) dx dy.
A60
PRECISAZIONI VARIET
`
A DIF-
FERENZIABILI
La rappresentazione parametri-
ca (24) consente s
`
di rappresenta-
re tutta la sfera, ma non
`
e rego-
lare nei due punti = 0 e = .
Infatti il campo coordinato
r

(, ) =
= (r sen sen , r sen cos , 0)
`
e nullo nei due punti suddetti.
Per rappresentare tutta la sfera
occorre combinare fra loro alme-
no due rappresentazioni parame-
triche regolari, che vengono det-
te carte locali.
Quando, al posto della sfera,
si considerano superfici pi
`
u com-
plicate, ed eventualmente super-
fici di dimensione d > 2 immerse
nello spazio R
N
, N > 3, si combi-
nano fra loro pi
`
u carte e si parla
di variet
`
a differenziabili.
A61
SUPERFICI ORIENTABILI, FLUS-
SO DI UN CAMPO VETTORIALE
Sappiamo che un vettore nor-
male ad una superficie regolare
si pu
`
o ottenere calcolando il pro-
dotto vettoriale r
u
r
v
dei campi
coordinati (pagine A58, A59).
Per lantisimmetria del prodot-
to vettoriale, se si scambiano fra
loro i parametri u e v si ottiene
ancora un vettore normale ma di
verso opposto al precedente.
Sappiamo anche che, se si richiede
la regolarit
`
a della rappresenta-
zione, allora anche superfici sem-
plici come la sfera richiedono lu-
tilizzo di due o pi
`
u carte locali
r
1
(u
1
, v
1
), r
2
(u
2
, v
2
), . . . (pag. A61).
Scambiando fra loro le varia-
bili u
k
, v
k
per qualche valore di k
`
e possibile, di solito, accordare
fra loro le orientazioni dei vetto-
ri normali dati dalle diverse car-
te.
Cos
`
facendo, si ottiene un cam-
po vettoriale n avente per domi-
nio tutta la superficie , di classe
C
0
(), e perpendicolare ad essa in
ogni punto (e non nullo).
Questo
`
e possibile, ad esempio,
nel caso della sfera.
Tuttavia vi sono superfici, co-
me il nastro di M

obius, dove non


esiste un campo continuo di vet-
tori normali non nulli: esse si di-
cono superfici non orientabili.
Consideriamo una superficie re-
golare orientabile . Per defini-
zione, esiste un campo vettoriale
n C
0
() perpendicolare ad essa e
diverso dal vettore nullo in ogni
punto.
Poich

e n = 0, possiamo, se ne-
cessario, dividere il vettore n per
il modulo |n| e ottenere ancora un
campo continuo di vettori norma-
li, questa volta di modulo 1.
Per semplificare la notazione,
supporremo che |n| 1 fin dalli-
nizio.
Sotto tali ipotesi, si definisce
flusso di un campo vettoriale F,
di classe C
0
(), attraverso la su-
perficie orientata il seguente
integrale superficiale:
=
__

F ndS. (27)
`
E legittimo utilizzare n al posto
di n come vettore normale, ma in
tal caso il valore dellintegrale
cambia segno.
Se la superficie regolare
`
e, a
sua volta, frontiera di un dominio
regolare , come ad esempio ac-
cade per la sfera = B
r
(0, 0, 0),
allora essa
`
e orientabile.
In tal caso, se il campo n
`
e
orientato nel verso uscente da ,
come ad esempio n = r/|r| nel ca-
so della sfera, allora il flusso
definito dalla (27) si dice flusso
uscente dalla superficie.
A62
TEOREMA DELLA DIVERGENZA
Il flusso di un campo vettoria-
le interviene nellenunciato di due
importanti conseguenze del teore-
ma fondamentale del calcolo in-
tegrale: il teorema della diver-
genza, e il teorema di Stokes o
teorema del rotore.
Si definisce divergenza di un cam-
po vettoriale F(x, y, z), di classe
C
1
in un aperto A R
3
, lo scalare
div F =
X
x
+
Y
y
+
Z
z
dove X, Y , Z sono le componenti
di F. La divergenza si pu
`
o anche
indicare con il simbolo F.
Il teorema della divergenza as-
serisce che se
`
e un dominio rego-
lare (v. pag. seg.) incluso nella-
perto A, allora, indicata con la
sua frontiera, e con n il versore
normale a e uscente da , si ha
___

div F dx dy dz =
__

F ndS
cio
`
e lintegrale triplo della di-
vergenza di F, esteso al dominio
,
`
e uguale al flusso del campo F
uscente da .
IL TEOREMA DELLA DIVER-
GENZA NEL PIANO
Se A
`
e un aperto in R
2
, un campo
vettoriale piano F : A R
2
si pu
`
o
estendere allaperto tridimensio-
nale A R considerando il campo
(x, y, z) (F(x, y), 0).
Applicando al campo cos
`
otte-
nuto il teorema enunciato a lato
si ottiene il teorema della diver-
genza nel piano:
se
`
e un dominio regolare (v. pag.
seg.) incluso nellaperto A R
2
,
allora, indicata con la sua fron-
tiera, e con n il versore normale
a e uscente da , si ha
__

div F dx dy =
_

F nds (28)
cio
`
e lintegrale doppio della di-
vergenza di F, esteso al dominio
,
`
e uguale al flusso del campo F
uscente da . Si intende che la di-
vergenza del campo piano F
`
e data
da
div F =
X
x
+
Y
y
dove X e Y sono le componenti
di F.
Il secondo membro della (28) si
pu
`
o intendere come lintegrale di
linea di prima specie (pagina A22)
della funzione f = F n.
A63
DOMINI REGOLARI
Negli enunciati del teorema della
divergenza (alla pagina preceden-
te) intendiamo con dominio rego-
lare un dominio decomponibile in
un numero finito di domini sempli-
ci rispetto a tutti e tre (due, nel
piano) gli assi coordinati.
Ai fini del teorema della diver-
genza, un dominio bidimensionale
si considera semplice rispetto a
tutti e due gli assi coordinati se
lo si pu
`
o rappresentare in tutti e
due i modi indicati a pagina A49,
e in pi
`
u le funzioni g
1
, g
2
sono di
classe C
1
([a, b]), e h
1
, h
2
C
1
([c, d]).
Invece un dominio tridimensio-
nale si dice semplice rispetto a
tutti e tre gli assi coordinati se
lo si pu
`
o rappresentare in tutti e
tre i modi seguenti:
= { (x, y, z) | (x, y) D
1
,
g
1
(x, y) z h
1
(x, y) };
= { (x, y, z) | (x, z) D
2
,
g
2
(x, z) y h
2
(x, z) };
= { (x, y, z) | (y, z) D
3
,
g
3
(y, z) x h
3
(y, z) },
dove D
k
`
e un dominio piano rego-
lare nel senso di pagina A50, e g
k
,
h
k
C
1
(D
k
) per k = 1, 2, 3.
Inoltre, poich

e nellenunciato in-
terviene anche un integrale su-
perficiale, richiediamo che la fron-
tiera del dominio semplice sia
regolare a pezzi, cio
`
e costituita
da un numero finito di pezzi rego-
lari.
CALCOLO DI AREE COL TEORE-
MA DELLA DIVERGENZA
Poich

e il campo piano F(r) = r


ha la propriet
`
a che div r = 2, la-
rea di R
2
si pu
`
o esprimere tra-
mite il teorema della divergenza
nel piano:
|| =
1
2
_

r nds. (29)
Ora svolgiamo lintegrale al
secondo membro utilizzando una
rappresentazione parametrica re-
golare della curva :
_
x = x(t)
y = y(t)
t [a, b].
Posto r(t) = (x(t), y(t)), il vettore
velocit
`
a
`
e dato da
r

(t) = (x

(t)), y

(t)).
Se la curva
`
e percorsa in sen-
so antiorario, il versore normale
uscente
`
e
n(t) =
(y

(t), x

(t))
_
(x

(t))
2
+ (y

(t))
2
. (30)
Applicando la definizione dellin-
tegrale di linea di prima specie
(pagina A22), la formula (29) di-
venta
|| =
1
2
_
b
a
(x(t) y

(t) y(x) x

(t)) dt.
Integrando per parti, e siccome
x(a) = x(b) e y(a) = y(b), si vede che
_
b
a
x(t) y

(t) dt =
_
b
a
y(x) x

(t) dt
dunque si pu
`
o anche scrivere
|| =
_
b
a
x(t) y

(t) dt =
_
b
a
y(x) x

(t) dt.
A64
IDEA DELLA DIMOSTRAZIONE
DEL TEOREMA DELLA DIVER-
GENZA NEL PIANO FORMULE
DI GAUSS-GREEN
Consideriamo un dominio R
2
semplice rispetto ad entrambi gli
assi. Supponiamo, cio
`
e, che
=
{ (x, y) | x [a, b], g
1
(x) y g
2
(x) }
e, allo stesso tempo,
=
{ (x, y) | y [c, d], h
1
(y) x h
2
(y) },
con g
1
, g
2
C
1
([a, b]), e h
1
, h
2
C
1
([c,
d]). Gli integrali doppi
__

X
x
(x, y) dx dy,
__

Y
y
(x, y) dx dy
si possono esprimere con le formu-
le di riduzione. Usando anche il
teorema fondamentale del calco-
lo integrale, si trova:
__

X
x
(x, y) dx dy =
_
d
c
(X(h
2
(y), y) X(h
1
(y), y)) dy
e
__

Y
y
(x, y) dx dy =
_
b
a
(Y (x, g
2
(x)) Y (x, g
1
(x))) dx
Fin qui
`
e sufficiente la sola con-
tinuit
`
a delle funzioni g
1
, g
2
, h
1
, h
2
.
Per procedere nella dimostrazio-
ne, occorre sommare le due ugua-
glianze.
Al primo membro si ottiene su-
bito lintegrale doppio di div F, in-
tendendo F = (X, Y ).
Supponiamo, per semplicit
`
a, che la
frontiera di sia una curva re-
golare (anzich

e regolare a trat-
ti).
Orientata in senso antiora-
rio, le due uguaglianze precedenti
vengono scritte come segue:
__

X
x
(x, y) dx dy =
_
+
X dy (31)
__

Y
y
(x, y) dx dy =
_
+
Y dx (32)
dove gli integrali al secondo mem-
bro sono cos
`
definiti:
_
+
X dy =
_
t
1
t
0
X(r(t)) y

(t) dt
_
+
Y dx =
_
t
1
t
0
Y (r(t)) x

(t) dt
essendo r(t) = (x(t), y(t)), t [t
0
, t
1
],
la parametrizzazione di .
Le uguaglianze (31)-(32) si dico-
no formule di Gauss-Green.
Per la validit
`
a di una sola del-
le due formule,
`
e sufficiente che
il dominio sia normale rispetto
ad uno solo dei due assi (quale dei
due, dipende dalla formula desi-
derata).
Sommando le formule di Gauss-
Green si ottiene la (28). Infatti,
poich

e dx = x

(t) dt e dy = y

(t) dt, si
ha
X dx Y dy = F nds
dove: F = (X, Y )
`
e il campo con-
siderato; n
`
e come nella (30), e
ds =
_
(x

)
2
+ (y

)
2
dt.
A65
TEOREMA DI STOKES, O TEO-
REMA DEL ROTORE
Oltre al teorema della diver-
genza, considerato nelle pagine
precedenti, unimportante conse-
guenza del teorema fondamentale
del calcolo integrale
`
e il teo-
rema di Stokes, o teorema del
rotore:
__

rot F ndS =
_
+
F dr. (33)
Qui denota una superficie re-
golare e orientabile, avente per
bordo una curva regolare ; n
`
e il
versore normale a che ne deter-
mina lorientazione; F = (X, Y, Z)
`
e
un campo vettoriale di classe C
1
in un aperto A , e rot F il cam-
po vettoriale dato da
rot F =

z
X Y Z

=
_
Z
y

Y
z
_

_
Z
x

X
z
_

+
_
Y
x

X
y
_

k
Il rotore rot F si pu
`
o anche indica-
re con i simboli curl F e F.
Si intende che lorientazione del-
la superficie e quella della cur-
va sono accordate tra loro in
modo tale che se il pollice della
mano destra
`
e disposto come n, al-
lora le altre dita indicano il ver-
so di .
Altrimenti gli integrali nella (33)
sono uguali in modulo ed hanno se-
gno opposto.
CAMPI IRROTAZIONALI
Grazie al teorema di Schwarz sul-
linversione dellordine di deriva-
zione, possiamo esprimere median-
te il rotore una condizione neces-
saria affinch

e un dato campo vet-


toriale di classe C
1
sia conserva-
tivo.
Sappiamo, infatti, che se F
`
e un
campo conservativo, allora esiste
unopportuna funzione scalare f
tale che F = f (
`
e la condizione
n. 2 di pag. A56).
Dunque le derivate prime del-
le componenti X, Y, Z del campo F
sono derivate seconde della fun-
zione scalare f. Per il teorema di
Schwarz, risulta
rot F = 0. (34)
Questa
`
e pertanto una condizione
che i campi conservativi di classe
C
1
devono necessariamente soddi-
sfare.
I campi che soddisfano la (34) si
dicono irrotazionali. Se un cam-
po F, di classe C
1
in un aperto
A R
3
, non soddisfa la (34) in
qualche punto di A, non
`
e conser-
vativo.
Ci
`
o dipende, come appena det-
to, dal teorema di Schwarz.
Alla stessa conclusione si pu
`
o
anche arrivare sfruttando oppor-
tunamente la (33): se, infatti, la
circuitazione di F lungo qualun-
que curva chiusa
`
e nulla, allo-
ra usando la formula (38) appres-
so riportata si ricava la (34).
A66
IL TEOREMA DI STOKES PER
UNA SUPERFICIE PIANA
Se la superficie considerata, che
denotiamo con ,
`
e piana, convie-
ne disporre gli assi x e y sullo
stesso piano di , e prendere n =

k
come versore normale.
Cos
`
facendo, si ottengono va-
rie semplificazioni:
la parametrizzazione della su-
perficie
`
e la seguente:
_
x = u
y = v
(u, v) ;
la parametrizzazione della fron-
tiera
`
e del tipo
r(t) = (x(t), y(t), 0), t [a, b];
il prodotto scalare rot F n si ri-
duce a
rot F n =
Y
x

X
y
.
Pertanto la tesi del teorema di
Stokes (33) si pu
`
o scrivere come
segue:
__

_
Y
x

X
y
_
dx dy = (35)
_
b
a
(X(r(t)) x

(t) +Y (r(t)) y

(t)) dt.
DIMOSTRAZIONE DEL TEORE-
MA DI STOKES PER UNA SU-
PERFICIE PIANA
La (35) si pu
`
o ricavare facilmente
dalle formule di Gauss-Green (5)
e (6) di pag. A65.
Osserviamo, innanzitutto, che
in tali formule le lettere X ed Y
denotano due qualunque funzioni
regolari.
Per il presente scopo, conviene
scrivere X al posto di Y , e vice-
versa. Si ha, dunque:
__

Y
x
(x, y) dx dy =
_
+
Y dy
__

X
y
(x, y) dx dy =
_
+
X dx
Sottraendo la seconda uguaglian-
za dalla prima si ottiene la (35).
A67
DOMINI SEMPLICEMENTE CON-
NESSI
Se il dominio A di un campo vet-
toriale F soddisfa una particola-
re condizione topologica, e cio
`
e
`
e semplicemente connesso, allora
i campi irrotazionali sono anche
conservativi.
Dunque la condizione (34), ne-
cessaria affinch

e un campo F di
classe C
1
(A) sia conservativo,
`
e
anche sufficiente quando il domi-
nio A
`
e semplicemente connesso.
Il dominio A si dice semplicemen-
te connesso se ogni curva chiusa
`
e omotopa ad un punto: cio
`
e, in pa-
role povere, se ogni curva chiusa
pu
`
o essere deformata fino a ridur-
la ad un punto, senza uscire da A.
ESEMPIO 1
Facendo variare il raggio r da
1 a 0, la circonferenza
r
= B
r
(0,
0) R
2
si riduce ad un solo punto,
lorigine, senza uscire dal piano.
ESEMPIO 2
Data una qualunque curva pia-
na , chiusa, parametrizzata da r
= r(t), t [a, b], definiamo la curva

r
tramite la parametrizzazione
r
r
(t) = r r(t).
Facendo variare il parametro r da
1 a 0, la curva
r
, che coincide con
la curva data quando r = 1, si ri-
duce ad un solo punto, lorigine,
senza uscire dal piano. Dunque il
piano
`
e un insieme semplicemente
connesso.
ESEMPIO 3
Con lo stesso metodo dellesem-
pio 2 si dimostra che sono sempli-
cemente connessi anche i rettan-
goli, i dischi e tutte le altre fi-
gure convesse.
In tre dimensioni, sono semplice-
mente connessi: lo spazio R
3
tut-
to intero, i parallelepipedi, gli in-
torni sferici B
r
(x, y, z) e tutti cli
altri solidi convessi.
ESEMPIO 4
Il tipico esempio di dominio che
non
`
e semplicemente connesso
`
e la
corona circolare.
Anche laperto A = R
2
\ {0} (il
piano bucato) non
`
e semplicemen-
te connesso: infatti la circonfe-
renza = B
1
(0, 0), che
`
e inclusa
in A, non pu
`
o essere deformata fi-
no a farla diventare un punto sen-
za essere costretti ad uscire da A.
Si intende che si esce da A quan-
do si tocca lorigine.
In tre dimensioni, non
`
e sempli-
cemente connesso lo spazio R
3
pri-
vato dellasse z.
Tale insieme si pu
`
o indicare con
AR, dove A
`
e il piano bucato. Il
metodo per dimostrare lasserto
`
e
lo stesso di prima.
A68
PERCH

E I CAMPI IRROTAZIO-
NALI IN UN DOMINIO SEMPLI-
CEMENTE CONNESSO SONO
CONSERVATIVI
Ci limitiamo, per semplicit
`
a, a
considerare un campo piano F : A
R
2
, dove A
`
e un aperto di R
2
sem-
plicemente connesso.
Supponiamo che il campo (F, 0) =
(X, Y, 0) sia irrotazionale, cio
`
e
Y
x

X
y
= 0. (36)
Per dimostrare che F
`
e conserva-
tivo, basta verificare che
_

F dr = 0 (37)
qualunque sia la curva chiusa
A. Intendiamo, cio
`
e, usare la con-
dizione n. 1 di pag. A56.
Essendo laperto A semplicemente
connesso, la superficie piana de-
limitata dalla curva
`
e anchessa
inclusa in A.
Ma allora possiamo applicare
il teorema di Stokes, e scrivere
__

_
Y
x

X
y
_
dx dy =
_
+
F dr,
avendo orientato in senso antio-
rario.
Sostituendo la (36) nella for-
mula precedente, si giunge alla
(37).
Dunque il campo F
`
e conserva-
tivo, come volevasi dimostrare.
CHE COSA RAPPRESENTA IL
ROTORE
Utilizzando il teorema di Sto-
kes, possiamo dare la seguente
interpretazione del rotore di un
campo vettoriale F C
1
(R
3
).
Scegliamo un punto (x, y, z) R
3
,
e fissiamo un versore n. Per ogni
r (0, +), indichiamo con
r
il di-
sco di raggio r centrato in (x, y, z)
e perpendicolare al versore n.
Dividendo ambo i membri del-
la (33) per larea |
r
| = r
2
del
disco
r
, e facendo tendere r a ze-
ro, si trova
rot F n = lim
r0
1
|
r
|
_
+
F dr. (38)
Questa uguaglianza si pu
`
o legge-
re, in parole povere, come segue.
La circuitazione di F intorno
ad un dischetto dipende dal ver-
sore n, cio
`
e dalla giacitura del
dischetto stesso.
La circuitazione di F intorno ad
un dischetto si rende massima, a
parit
`
a di raggio, quando la nor-
male n al dischetto ha una parti-
colare direzione ed un particola-
re verso: sono la direzione ed il
verso di rot F.
Lintensit
`
a di rot F
`
e uguale alla
circuitazione intorno allunit
`
a di
superficie, o meglio,
`
e una specie
di derivata, data dal secondo mem-
bro della (38) quando
r
`
e perpen-
dicolare a rot F, e
`
e orientata
secondo la regola della mano de-
stra (pollice come rot F).
A69
LIMITI DI FUNZIONI
Fin dallantichit
`
a, il concetto
di limite serve per rappresentare
le soluzioni di quei problemi che
non si lasciano risolvere in modo
pi
`
u semplice.
Da questo punto di vista, i limi-
ti non sono fatti per essere calco-
lati, ma piuttosto per rappresen-
tare le suddette soluzioni.
Ad esempio, per dimostrare che
il problema di Cauchy
_
y

= f(x, y)
y(x
0
) = y
0
(39)
ha almeno una soluzione, si co-
struisce unopportuna successione
di funzioni y
n
(x), e, sotto oppor-
tune ipotesi sulla funzione f(x, y),
si dimostra che tale successione
converge ad una funzione limite
y(x), la quale a sua volta risolve
il problema dato.
Se, ad esempio, la funzione f(x,
y)
`
e di classe C
1
in un intorno del
punto (x
0
, y
0
), allora esiste un rag-
gio (0, +) tale che il pro-
blema (39) ammette una e una so-
la soluzione y(x) definita per x
(x
0
, x
0
+ ) (teorema di esisten-
za e unicit
`
a in piccolo).
Il metodo accennato sopra non
fornisce, in generale, unespres-
sione semplice della soluzione, ma
ne dimostra lesistenza.
CONVERGENZA PUNTUALE
Cosa vuol dire, dunque, che una
successione di funzioni y
n
(x) con-
verge ad una funzione limite y(x)?
A differenza di quanto accade
per le successioni di numeri rea-
li, per le funzioni vi sono molte
diverse definizioni di convergen-
za, non equivalenti fra loro, la
cui opportunit
`
a dipende dal con-
testo.
La pi
`
u semplice nozione di con-
vergenza
`
e la convergenza pun-
tuale:
data una successione di funzioni
y
n
(x), aventi per dominio un insieme
X R
N
, e a valori reali, si dice
che convergono puntualmente ad
una y : X R se per ogni fissato
x X risulta
lim
n+
y
n
(x) = y(x).
Dunque la convergenza puntua-
le si riconduce alla convergenza
dei numeri y
n
(x) (avendo fissato x)
al numero y(x). Tale convergenza
deve sussistere per ogni x nel do-
minio delle funzioni.
Ad esempio, usando la formula
di Taylor con il resto di Lagrange
si pu
`
o dimostrare che le funzioni
y
n
(x) =
n

k=0
x
k
k!
convergono alla funzione y(x) = e
x
per ogni x R.
A70
IL DIFETTO DELLA CONVER-
GENZA PUNTUALE
Una successione di funzioni y
n
pu
`
o
benissimo convergere puntualmen-
te ad una funzione y senza che per
questo gli integrali delle y
n
deb-
bano convergere allintegrale di
y.
Ad esempio, le funzioni y
n
(x) =
nx
n1
convergono puntualmente a
y(x) 0 sullintervallo (0, 1). Tut-
tavia
_
1
0
y
n
(x) dx = 1 per ogni n > 0,
mentre
_
1
0
y(x) dx = 0.
Un discorso simile vale per le de-
rivate. Ad esempio, le funzioni
y
n
(x) =
_
1
n
+x
2
convergono puntualmente a y(x) =
|x| sullintervallo (, +). Tut-
tavia y

n
(0) = 0 per ogni n > 0, men-
tre y

(0) non esiste.


Questi difetti sono particolar-
mente sgradevoli perch

e, in prati-
ca, la convergenza di funzioni ser-
ve per applicare il calcolo diffe-
renziale e integrale alla funzio-
ne limite y(x) senza disporre di una
sua semplice espressione, ma per il
tramite delle funzioni y
n
.
CONVERGENZA UNIFORME
Uno dei principali tipi di con-
vergenza di funzioni, insieme alla
convergenza puntuale,
`
e la con-
vergenza uniforme.
Si dice che y
n
converge unifor-
memente a y sul dominio X se per
ogni > 0 esiste un indice n
0
ta-
le che per ogni n n
0
e per ogni
x X si ha |y
n
(x) y(x)| < .
In parole povere, la convergen-
za uniforme risulta dalla conver-
genza puntuale pi
`
u lindipendenza
dellindice n
0
dal punto x.
La convergenza uniforme, dun-
que, implica la convergenza pun-
tuale.
Viceversa, la convergenza pun-
tuale in un numero finito di pun-
ti implica la convergenza unifor-
me sullinsieme X dei suddetti pun-
ti.
La convergenza uniforme di y
n
ad y
si pu
`
o, equivalentemente, definire
tramite la condizione lim
n+
s
n
= 0,
dove
s
n
= sup
xX
|y
n
(x) y(x)|.
Se il dominio X
`
e un intervallo (a,
b) si pu
`
o anche dire che per ogni
> 0 esiste un indice n
0
tale che
per ogni n n
0
il grafico della
funzione y
n
sta nella striscia
{ (x, y) | x (a, b),
y(x) < y < y(x) + }
centrata sul grafico di y(x) e di
spessore 2.
A71
DUE PROPRIET
`
A DELLA CON-
VERGENZA UNIFORME
La convergenza uniforme si com-
porta abbastanza bene rispetto al-
la continuit
`
a e allintegrazione.
Inoltre, la convergenza uniforme
delle derivate si comporta bene ri-
spetto alla derivazione.
Pi
`
u esattamente, valgono i se-
guenti enunciati.
1) Se le y
n
sono continue su di
un intervallo [a, b] (quindi sono an-
che integrabili secondo Riemann),
e se convergono uniformemente
ad una funzione y, allora anche y
C
0
([a, b]), e
lim
n+
_
b
a
y
n
(x) dx =
_
b
a
y(x) dx.
Questa propriet
`
a si usa spesso a
rovescio, cio
`
e, constatato che la
funzione limite y
`
e discontinua al-
meno in un punto, si deduce che
la convergenza delle y
n
non
`
e uni-
forme.
2) Supponiamo che: le funzioni
y
n
siano derivabili in un interval-
lo (a, b); convergano almeno in un
punto di tale intervallo, e le loro
derivate y

n
convergano uniforme-
mente in tutto (a, b).
Allora si dimostra che: anche
le funzioni y
n
convergono unifor-
memente in tutto (a, b); la loro
funzione limite, che indicheremo
con y,
`
e derivabile in (a, b), e la
funzione limite delle derivate y

n
`
e
proprio y

.
A72
IL CRITERIO DI CAUCHY
La convergenza di funzioni ser-
ve per rappresentare una funzio-
ne y(x), utile per risolvere un dato
problema, come limite di una suc-
cessione di funzioni y
n
(x).
Ci
`
o costituisce un valido ripie-
go in quei casi, che sono molti, in
cui non si conosce unespressione
pi
`
u semplice della funzione y(x).
Daltro canto la definizione del-
la convergenza, e, in particolare,
quella della convergenza unifor-
me, fa intervenire la funzione li-
mite y(x), dunque non
`
e applicabi-
le proprio nei casi per i quali tale
nozione serve di pi
`
u.
Pertanto gioca un ruolo es-
senziale la condizione di Cauchy,
che
`
e necessaria e sufficiente af-
finch

e una successione di funzioni


y
n
(x) converga uniformemente in
un dato intervallo [a, b].
La condizione di Cauchy non ri-
chiede la conoscenza della fun-
zione limite y(x).
Si dice che una successione di
funzioni y
n
(x) C
0
([a, b])
`
e fon-
damentale o di Cauchy se per
ogni > 0 esiste un indice n
0
tale
che per ogni n, k n
0
risulta
max
x[a,b]
|y
n
(x) y
k
(x)| < .
Che tale condizione sia necessaria
lo si vede facendo tendere n e k a
+. Per dimostrare che
`
e anche
sufficiente si usa la completezza
dellinsieme R dei numeri reali.
SERIE DI POTENZE
Le serie di funzioni y
k
(x) aventi
la forma y
k
(x) = a
k
x
k
, cio
`
e prodot-
ti di potenze della x con esponen-
ti k N per coefficienti reali a
k
,
si dicono serie di potenze.
Una serie di potenze ha dunque
la forma
+

k=0
a
k
x
k
.
Le serie di potenze sono importan-
ti perch

e la serie di Mac Laurin


di una qualunque funzione rego-
lare f
`
e di questo tipo, essendo
a
k
= f
(k)
(0)/k!.
Il carattere di una serie di po-
tenze
`
e molto particolare: esiste
infatti un valore r 0, che pu
`
o an-
che essere +, tale che la serie
converge uniformemente in ogni
intervallo [a, b] (r, r), e non con-
verge, nemmeno puntualmente, in
nessun punto x tale che |x| > r.
Tale quantit
`
a r si chiama rag-
gio di convergenza, ed
`
e data da
1
r
= limsup
k+
k
_
|a
k
| . (40)
Si intende che r = 0 (rispettiva-
mente, r = +) quando il limite
al secondo membro
`
e + (rispet-
tivamente, zero). Spesso, per pra-
ticit
`
a, si ricava r dalla formula
1
r
= lim
k+
|a
k+1
|
|a
k
|
,
che
`
e corretta sotto lipotesi che
il limite al secondo membro esista.
A73
ULTERIORI PRECISAZIONI
Tutte le serie di potenze con-
vergono banalmente al numero a
0
nel punto x = 0.
Invece, quando r (0, +), le-
ventuale convergenza di una serie
di potenze nei due punti x = r non
rientra nellenunciato alla pagi-
na precedente, e si deve discutere
caso per caso.
Qualora, tuttavia, si riesca a
stabilire la convergenza puntua-
le nel punto x = r (rispettivamen-
te, nel punto x = r), si ha auto-
maticamente la convergenza uni-
forme in ogni intervallo del tipo
[a, r] con a > r (rispettivamente,
in ogni intervallo [r, b] con b < r).
ESEMPI
1) La serie geometrica
+

k=0
x
k
`
e la serie di Mac Laurin della fun-
zione y(x) = 1/(1 x). Il raggio
di convergenza
`
e r = 1. Per ogni
x (1, 1) si ha
+

k=0
x
k
=
1
1 x
. (41)
La serie non converge per x (,
1] [1, +). La funzione genera-
trice, invece,
`
e definita per ogni
x = 1.
2) La serie di Mac Laurin della
funzione y(x) = log(1 x)
`
e
+

k=1
x
k
k
.
Il raggio di convergenza
`
e r = 1.
Per x = 1 la serie considerata si ri-
duce alla serie armonica, dunque
non converge.
Integrando termine a termine
luguaglianza (41), si verifica che
per ogni x (1, 1) si ha
+

k=1
x
k
k
= log(1 x).
Infine, usando la formula di Tay-
lor con il resto di Lagrange si di-
mostra che la stessa uguaglianza
sussiste anche per x = 1, cio
`
e si
trova
+

k=1
(1)
k
k
= log 2.
OSSERVAZIONE
Gli esempi precedenti fanno an-
che vedere che la serie di Mac
Laurin di una data funzione non
`
e detto che converga ad essa in
tutto il dominio di questultima.
A74
INTEGRAZIONE E DERIVAZIO-
NE PER SERIE
Come gi
`
a detto a pagina A73, le
serie di potenze convergono uni-
formemente in ogni intervallo [a,
b] incluso nellintervallo aperto
(r, r), dove r denota il raggio di
convergenza.
Quindi lintegrale della fun-
zione somma y(x) si pu
`
o esprimere
mediante una serie:
_
b
a
y(x) dx =
+

k=0
a
k
_
b
a
x
k
dx.
Si verifica, inoltre, che la serie
delle derivate
+

k=1
k a
k
x
k1
, (42)
che
`
e anchessa una serie di poten-
ze, ha lo stesso raggio di conver-
genza della serie di partenza.
Poich

e ogni punto x (r, r)


si pu
`
o includere in un intervallo
aperto (a, b) tale che [a, b] (r, r),
si deduce che la somma della se-
rie (42)
`
e proprio la derivata y

(x)
della funzione somma y(x).
DAL REALE AL COMPLESSO
Osserviamo che le quattro ope-
razioni aritmetiche si possono fa-
re anche con i numeri complessi, e
godono delle consuete propriet
`
a
associativa, commutativa e distri-
butiva.
Inoltre la nozione di limite si
estende anche alle successioni di
numeri complessi, intendendo che
z
n
z se risulta, contemporanea-
mente, Re z
n
Re z e Imz
n
Imz.
Equivalentemente, si dice che
z
n
z se il modulo |z
n
z|, che
`
e
un numero reale, tende a zero.
Si intuisce, dunque, che la no-
zione di somma di una serie si pu
`
o
formulare anche per i numeri com-
plessi, con le stesse modalit
`
a che
sono valide per i numeri reali.
In particolare, una serie di po-
tenze
+

k=0
a
k
z
k
,
dove ora i coefficienti a
k
sono nu-
meri complessi, ha un raggio di
convergenza r dato ancora dal-
la (40), e converge uniformemente
in ogni insieme chiuso K B
r
(0, 0)
C.
Queste propriet
`
a consentono di
estendere ai numeri complessi la
definizione delle funzioni e
x
, log x,
sen x, cos x, e di tante altre impor-
tanti funzioni.
Lidea principale
`
e semplicemen-
te quella di prendere la serie di
Mac Laurin della funzione consi-
derata, e sostituire numeri com-
plessi al posto della variabile x.
A titolo di esempio, la funzione
esponenziale e
z
`
e definita per ogni
z C come segue:
e
z
=
+

k=0
z
k
k!
.
A75
DERIVAZIONE SOTTO IL SE-
GNO DI INTEGRALE
Talvolta la funzione y(x) cui si
`
e interessati
`
e espressa mediante
un integrale.
Pi
`
u precisamente, si ha a che fa-
re con espressioni della seguente
forma:
y(x) =
_
d
c
f(x, t) dt. (43)
Questo accade, ad esempio, quan-
do la funzione y(x)
`
e la soluzione
di un problema associato ad une-
quazione differenziale che viene
risolto mediante una trasforma-
ta integrale, come la trasforma-
ta di Fourier o la trasformata di
Laplace.
Unaltra fra le tante espres-
sioni del tipo (43)
`
e la rappresen-
tazione del potenziale gravitazio-
nale generato da una densit
`
a :
V (x, y, z) =
___
R
3
(x

, y

, z

) dx

dy

dz

_
(x x

)
2
+ (y y

)
2
+ (z z

)
2
In questa sede, senza entrare
nei dettagli, ci limitiamo ad enun-
ciare il seguente teorema:
se la funzione f(x, t) sotto il se-
gno di integrale
`
e di classe C
1
(R),
dove R
`
e un rettangolo del tipo
R = [a, b] [c, d], allora la funzio-
ne y(x) data dalla (43)
`
e di classe
C
1
([a, b]) e la sua derivata y

(x) si
pu
`
o ottenere come segue:
y

(x) =
_
d
c
f
x
(x, t) dt.
A76
APPENDICE: RISPOSTE ALLE
DOMANDE DEGLI STUDENTI
1. Vorrei sapere se la matematica
`
e uninvenzione della mente uma-
na oppure una scoperta.
Quando si cerca di risolvere un
problema, ad esempio unequazio-
ne differenziale, si devono trova-
re le soluzioni del problema con-
siderato (se esistono), e non le si
possono inventare arbitrariamen-
te.
Daltro canto,
`
e un dato di
esperienza comune che, per risol-
vere un problema, ci si avvalga
talvolta, con particolare profit-
to, di idee ingegnose e originali.
In conclusione, scoperta e in-
ventiva sono due componenti del-
la matematica.
2. Sviluppo in serie di Taylor
per funzioni di due o pi
`
u variabili.
La serie di Taylor associata ad
una funzione f(x
1
, . . . , x
N
), con N
2,
`
e molto pi
`
u complicata che nel
caso N = 1.
Per capirlo, pensiamo al caso
N = 2. In questo caso, le derivate
seconde sono 4, ciascuna di esse ha
due derivate terze, dunque le de-
rivate terze sono 8. Si capisce che
le derivate -esime, con N, so-
no 2

.
Per abbreviare la formula, si de-
finiscono i differenziali d
k
f(x, x),
k 1, come segue.
Indichiamo con x R
N
la varia-
bile indipendente, e con x il punto
base dello sviluppo. Supponendo
che f sia di classe C

in un intor-
no di x, poniamo
d
k
f(x, x) =
n

i
1
,...,i
k
=1

k
f
x
i
1
. . . x
i
k
(x)
(x
i
1
x
i
1
) . . . (x
i
k
x
i
k
)
Poniamo inoltre d
0
f(x, x) = f(x).
La serie di Taylor
`
e la seguente:
+

k=0
d
k
f(x, x)
k!
Avvertenza n. 1: scrivere la serie
di Taylor non vuol dire, nemmeno
nel caso N = 1, che valga lugua-
glianza
f(x) =
+

k=0
d
k
f(x, x)
k!
. (44)
Questa uguaglianza vale o meno a
seconda dellespressione di f. Ad
esempio, se N = 1 e
f(x) =
_
0, se x [ 0, +);
e
1/x
, se x (, 0),
la serie di Mac Laurin converge a
zero per ogni x R, dunque la (44)
non vale per x < 0.
Avvertenza n. 2: non serve la for-
mula (44) per approssimare f(x)
con un polinomio di primo grado:
serve la differenziabilit
`
a. Vede-
re alle pagine A35 e A39.
Avvertenza n. 3: per la deter-
minazione dei massimi e dei minimi
non si usa la (44), ma la formula
di Taylor al secondo ordine con il
resto di Peano: vedere a pag. A39.
A77
3. Come si disegnano le linee
di livello della funzione g(, ) =
sen 2, espressa rispetto alle co-
ordinate polari?
Osserviamo, innanzitutto, che
la funzione g non
`
e definita nel-
lorigine perch

e nellorigine non
`
e definita lanomalia .
Le linee di livello sono quindi
sottoinsiemi del piano privato del-
lorigine. Esse hanno, per defini-
zione, equazione
sen 2 = c (costante). (45)
Per disegnarle, distinguiamo tre
casi.
(a) Se c = 1, le linee di livello sono
i punti del piano xy la cui anoma-
lia vale /4 oppure
5
4
.
In altri termini, le linee di li-
vello sono le due semirette che
si ottengono dalla bisettrice del
primo e del terzo quadrante pri-
vandola dellorigine.
(b) Se c = 1, le linee di livello so-
no i punti del piano xy la cui ano-
malia vale
3
4
oppure
7
4
.
In altri termini, le linee di li-
vello sono le due semirette che
si ottengono dalla bisettrice del
secondo e del quarto quadrante
privandola dellorigine.
(c) Se c (1, 1), le linee di livel-
lo sono quattro semirette. Infat-
ti, aiutandosi con il grafico della
funzione sen t per t [0, 4), si tro-
va che lequazione (45) ha quattro
soluzioni
1
, . . . ,
4
.
Se, in particolare, c [0, 1), esse
sono date da:
2
1
= arcsen c;
2
2
= arcsen c;
2
3
= 2 + arcsen c;
2
4
= 3 arcsen c.
Se, invece, c (1, 0), le soluzioni
della (45) sono date da:
2
1
= 4 + arcsen c
e
2
,
3
,
4
come sopra.
Osserviamo che le quattro se-
mirette cos
`
trovate giacciono su
due rette passanti per lorigine.
Infatti la semiretta di equazio-
ne =
1
`
e allineata con la semi-
retta =
3
perch

e le anomalie
1
e
3
differiscono di .
Similmente, la semiretta di equa-
zione =
2
`
e allineata con la se-
miretta di equazione =
4
perch

2
= .
I coefficienti angolari delle ret-
te di cui sopra si possono espri-
mere facilmente in funzione della
costante c, come segue.
Innanzitutto, se c = 0, tali ret-
te sono gli assi cartesiani. Se, in-
vece, c = 0, ricordando che
sen 2 =
2 tg
1 + tg
2

, = k

2
,
si ricava per m = tg lespressione
m =
1
c

_
1
c
2
1 .
A78
4. Risolvere lequazione del
pendolo
d
2

dt
2
= sen
nellipotesi che la velocit
`
a ango-
lare (t) =

(t) sia positiva per


ogni t.
Applichiamo il metodo usato alle
pagine A12 e A15 per altre equa-
zioni.
Moltiplichiamo ambo i membri
per

. Cos
`
facendo, stiamo in-
troducendo le soluzioni

= 0,
cio
`
e = costante.
Fra di esse, le soluzioni delle-
quazione di partenza sono = 0 e
= , che corrispondono alle due
posizioni di equilibrio del pendolo.
Integrando ambo i membri in dt
otteniamo
_

(t)

(t) dt =
_

(t) sen (t) dt.


Al primo dei due integrali appli-
chiamo la sostituzione =

(t), al
secondo integrale applichiamo la
sostituzione = (t). Otteniamo
_
d =
_
sen d.
Questi due integrali sono immedia-
ti. Dunque possiamo scrivere
1
2

2
(t) = cos (t) +C
da cui, supponendo (t) > 0, rica-
viamo

(t) =
_
2 cos (t) +
2
0
(46)
dove
2
0
`
e il quadrato della velo-
cit
`
a angolare al momento del pas-
saggio per i punti = /2.
Siamo giunti ad unequazione a
variabili separabili. Ancora per
lipotesi

(t) > 0, possiamo scrive-


re

(t)
_
2 cos (t) +
2
0
= 1.
Fissato listante t = 0 in modo ta-
le che (0) = 0, integriamo ambo i
membri sullintervallo (0, t). Con
la sostituzione = (t)/2, e sicco-
me cos = 1 2 sen
2
, otteniamo
_
(t)/2
0
d

1 k
2
sen
2

= t/k (47)
dove k = 2/
_
2 +
2
0
(0, 1). La fun-
zione integranda
`
e continua, dun-
que
`
e integrabile, e la funzione
F(k, ) =
_

0
d

1 k
2
sen
2

`
e strettamente crescente rispet-
to a perch

e ha la derivata posi-
tiva, dunque ha uninversa che in-
dichiamo con la notazione di Jaco-
bi: (u) = amu, dove u R.
Applicando la funzione amu ad
ambo i membri della (47), ricavia-
mo la soluzione del problema:
(t) = 2 am(t/k).
Inserendo tale espressione nella
(46) otteniamo

(t) =
2
k
dn(t/k), do-
ve dn(t/k) =
_
1 k
2
sen
2
am(t/k) .
O

t
A79
5. Tangente, normale e binor-
male.
Si chiamano versore tangente
ad una curva data, versore norma-
le e versore binormale tre verso-
ri che si possono, in estrema sinte-
si, definire come segue.
Consideriamo una funzione r:
(a, b) R
3
di classe C
2
((a, b)) e tale
che r

(t) = 0 per ogni t (a, b).


La funzione r(t) si pu
`
o dunque
considerare una curva regolare
nello spazio.
Indicato con v(t) = r

(t) il vet-
tore velocit
`
a della curva, si defi-
nisce versore tangente il versore
T(t) dato da
T(t) =
v(t)
|v(t)|
.
Qualora il vettore accelerazione
v

(t) = r

(t) non sia proporzionale a


T(t), questi due vettori individua-
no un piano, detto piano oscula-
tore.
In tal caso si definisce versore
normale, o normale principale, il
versore N(t) che
`
e:
1) contenuto nel suddetto piano;
2) perpendicolare al versore T(t);
3) orientato in modo tale che il
prodotto scalare N(t) r

(t) sia po-


sitivo.
Si definisce, infine, versore bi-
normale il versore B(t) dato da
B(t) = T(t) N(t)
dove il simbolo denota il pro-
dotto vettoriale.
A80
6. Perch

e il potenziale newto-
niano
V (x, y, z) =
___
R
3
(x

, y

, z

) dx

dy

dz

_
(x x

)
2
+ (y y

)
2
+ (z z

)
2
soddisfa lequazione di Poisson
V (x, y, x) = 4 (x, y, z) ?
Nel corso della dimostrazione
useremo la formula
div f v = f div v + v f (48)
dove f = f(x, y, z)
`
e una funzione
scalare differenziabile, e v = v(x,
y, z) un campo vettoriale differen-
ziabile.
La (48) discende dalla regola
di derivazione del prodotto, e si
utilizza in tante altre circostan-
ze. Inoltre scriveremo, per bre-
vit
`
a,
1
r
=
1
_
(x x

)
2
+ (y y

)
2
+ (z z

)
2
e

=
_

x

,

y

,

z

_
Supponiamo, per semplicit
`
a, che la
densit
`
a (x

, y

, z

) sia una funzio-


ne di classe C
2
(R
3
), identicamen-
te nulla al di fuori di una sfe-
ra B = B
R
(0, 0, 0) di raggio R ab-
bastanza grande.
Effettuiamo, innanzitutto, il
cambiamento di variabili
_

_
x

= x

x
y

= y

y
z

= z

z
(49)
tipico per le convoluzioni.
Il potenziale assume lespressione
V (x, y, z) =
___
R
3
(x

+x, . . . , z

+z) dx

dy

dz

_
(x

)
2
+ (y

)
2
+ (z

)
2
.
Grazie alla regolarit
`
a di , le de-
rivate di V (x, y, z) si possono espri-
mere tramite la regola di deriva-
zione sotto il segno di integrale.
Ad esempio, si ha

2
V
x
2
(x, y, z) =
___
R
3

x
(x

+x, . . . ) dx

dy

dz

_
(x

)
2
+ (y

)
2
+ (z

)
2
.
Effettuando a ritroso il cambia-
mento di variabili (49), possiamo
scrivere

2
V
x
2
(x, y, z) =
___
B

x
(x

, y

, z

) dx

dy

dz

r
.
Analoghe espressioni valgono per
le altre derivate seconde. Som-
mandole fra loro, otteniamo
V (x, y, z) =
___
B

(x

, y

, z

) dx

dy

dz

r
. (50)
Applicando la (48) alla funzione
f = 1/r ed al campo v =

, tro-
viamo
div

1
r

=
1
r

+
_

1
r
_

.
Inoltre, per il teorema della di-
vergenza si ha
___
B
div

1
r

dx

dy

dz

=
__
B
1
r
n

dS = 0
perch

= 0 su B.
A81
Pertanto la (50) diventa
V (x, y, z) =

___
B
_

1
r
_

dx

dy

dz

.
Si pu
`
o dire di aver effettuato
unintegrazione per parti. Ora ap-
plichiamo la (48) con f = e v =

1
r
. Ricaviamo
div

1
r
=
_

1
r
_

perch

e div

1
r
= 0 per r = 0. Dun-
que possiamo scrivere
V (x, y, z) =

___
B
div

1
r
dx

dy

dz

.
Fissiamo R cos
`
grande che (x, y, z)
B, e interpretiamo lintegrale
al secondo membro come un inte-
grale generalizzato: posto B

=
B

(x, y, z), si ha
___
B
div

1
r
dx

dy

dz

=
lim
0
+
___
B\B

div

1
r
dx

dy

dz

.
Applicando a questultimo inte-
grale il teorema della divergen-
za, otteniamo
___
B\B

div

1
r
dx

dy

dz

__
B

1
r
_
ndS
perch

e = 0 su B. Qui il versore
n
`
e dato da
n(x

, y

, z

) =
(x

x, y

y, z

z)
r
e perci
`
o

1
r
_
n =
1
r
2
=
1

2
su B

.
Dunque
lim
0
+
___
B\B

div

1
r
dx

dy

dz

= lim
0
+
1

2
__
B

dS.
Questo limite vale 4 (x, y, z). Per
vederlo, si possono usare le stime
min
B

(x

, y

, z

) max
B

per (x

, y

, z

) B

, dalle quali se-


gue
4 min
B

2
__
B

dS 4 max
B

perch

e larea di B

`
e 4
2
. Quan-
do 0, per la continuit
`
a di
risulta
min
B

, max
B

(x, y, z)
dunque V (x, y, x) = 4 (x, y, z),
come volevasi dimostrare.
Questa trattazione
`
e liberamente
ispirata a:
D. Gilbarg e N. S. Trudinger, El-
liptic partial differential equa-
tions of second order, Springer-
Verlag 1983;
B. O. Peirce, Elements of the
theory of the Newtonian poten-
tial function, Ginn & Co. 1902
(http://archive.org).
A82
Indice analitico
0
0
, 28
C
1
, 34
C
2
, 39
area
di una gura piana, 49
di una supercie nello spazio, 60
baricentro di un lo, 22
binormale, versore, 80
cambiamento di variabili
negli integrali doppi, 50
campi vettoriali
conservativi, 56, 69
esempi, 54
irrotazionali, 66, 69
campo, linee di, 54
Cauchy, problema di, 7
classe
C
1
, 34
C
2
, 39
come studiare, 5
continuit` a
denizione, 29
e derivabilit` a parziale, 34
e dierenziabilit` a, 37
convergenza
puntuale, 70
uniforme, 71
coordinate
cilindriche, 44
polari, 43
sferiche, 43
curve
chiuse, 20
denizione, 19
patologiche, 20
rappresentazione parametrica, 19
regolari, 20
regolari a tratti, 20
retticabili, 24
semplici, 20
sostegno, 20
velocit` a, 20
derivabilit` a parziale e continuit` a, 34
derivata
di un vettore, 21
di una funzione composta, 37
direzionale, 37
direzionale seconda, 38
parziale, 34
seconda, 38
derivazione
sotto il segno di integrale, 76
termine a termine, 72, 75
derivazione sotto il segno di integrale, teo-
rema di, 76
dierenziabilit` a, 35
dierenziabilit` a e continuit` a, 37
dierenziale totale, teorema del, 35
distanza fra due punti, 25
divergenza
denizione, 63
teorema della divergenza
calcolo di aree, 64
dimostrazione nel piano, 65
enunciato nel piano, 63
enunciato nello spazio, 63
domini
normali, 51
regolari
ai ni del teorema della divergenza,
64
ai ni delle formule di riduzione, 50
semplicemente connessi, 68
semplici, 49
83
elica cilindrica, 19
equazione
caratteristica, 16
del calore, 8
del pendolo, 79
delle onde, 8
di Laplace, 8
di Poisson, 81
equazioni
a variabili separabili, 10
alle derivate parziali, 8
del primo ordine, 13
del secondo ordine, 15
dierenziali, 6
esame, modalit`a di, 5
esistenza e unicit` a in piccolo, teorema di,
70
Fermat, teorema di, 42
usso, 62
formula del gradiente, 37
Formula di Taylor
di ordine 1, 39
di ordine 2, 39
formule di Gauss-Green, 65
frontiera di un insieme, 31
funzione implicita, teorema della, 36
funzioni
da R
N
a R
k
, 43
di due variabili, 25
limiti di funzioni, 70
radiali, 27
Gauss-Green, formule di, 65
geometrica, serie, 74
gradiente
denizione, 36
formula del, 37
Heine-Borel, teorema di, 33
hessiana, matrice, 38
indipendenza lineare, 17
insieme
aperto, 31
chiusaperto, 32
chiuso, 32
chiusura, 32
compatto, 33
connesso, 33
frontiera, 31
semplicemente connesso, 68
integrale
approssimazione, 23
cambiamento di variabili
nellintegrale doppio, 50
nellintegrale triplo, 53
denizione
in un dominio limitato, 49
in un rettangolo, 46
in un solido, 52
derivazione sotto il segno di, 76
di linea
di prima specie, 22
di seconda specie, 55
di una funzione continua, 47
formule di riduzione
in un dominio semplice, 50
in un rettangolo, 47
per lintegrale triplo, 53
superciale, 60
teorema fondamentale del calcolo, 55
57, 63, 65, 66
integrale generale, 7
integrazione
per li, 53
per strati, 53
termine a termine, 72, 75
invenzione o scoperta, 77
Jacobiana
di una funzione composta, 45
matrice, 44
Lagrange, teorema di, 35
A84
lavoro, 55
libro di testo, 5
limite
di un vettore, 21
di una funzione scalare, 29
di una successione di funzioni, 70
di una successione di punti, 32
linee
coordinate, 59
di campo, 54
di livello, 27, 78
di massima pendenza, 27
livello, linee di, 27, 78
lunghezza
del graco di una funzione, 24
di una curva, 22
massima pendenza, linee di, 27
massimi e minimi
assoluti, 33, 40
relativi, 40
ricerca con il calcolo dierenziale, 42
ricerca mediante la denizione, 41
matrice
hessiana, 38
Jacobiana, 44
Jacobiana di una funzione composta,
45
misura di Peano-Jordan
nel piano, 49
nello spazio, 52
normale
ad un piano, 25, 58
ad una curva, 80
ad una supercie in forma parametri-
ca, 59
pendolo, equazione del, 79
piano
come disegnare i piani, 27
forma cartesiana, 25
forma parametrica, 58
tangente a una supercie in forma pa-
rametrica, 59
piano tangente
al graco di una funzione, 35
Pitagora, teorema di, 24, 25
potenziale
di un campo vettoriale, 56
newtoniano, 81
problema di Cauchy, 7
programma, 5
punti
di frontiera, 31
esterni, 31
interni, 31
quadriche, 26
raggio di convergenza di una serie di po-
tenze, 73
rappresentazione parametrica
di una curva, 19
di una supercie, 58
rotore
denizione, 66
signicato, 69
teorema del rotore
dimostrazione nel piano, 67
enunciato nel piano, 67
enunciato nello spazio, 66
Schwarz, teorema di, 38, 66
scoperta o invenzione, 77
serie
di potenze
denizione, 73
nel campo complesso, 75
raggio di convergenza, 73
di Taylor, 77
geometrica, 74
sostegno di una curva, 20
sottosuccessioni, 32
spazi vettoriali, 17
Stokes, teorema di
A85
dimostrazione nel piano, 67
enunciato nel piano, 67
enunciato nello spazio, 66
superci
di rotazione, 27
orientabili, 62
rappresentazione parametrica, 58
regolari a pezzi, 64
tangente
piano tangente a una supercie in for-
ma parametrica, 59
piano tangente al graco di una fun-
zione, 35
versore tangente ad una curva, 80
Taylor
formula di Taylor
di ordine 1, 39
di ordine 2, 39
serie di, 77
teorema
degli zeri, 11
del dierenziale totale, 35
del rotore, o di Stokes
dimostrazione nel piano, 67
enunciato nel piano, 67
enunciato nello spazio, 66
della divergenza
calcolo di aree, 64
dimostrazione nel piano, 65
enunciato nel piano, 63
enunciato nello spazio, 63
della funzione implicita, 36
di derivazione sotto il segno di integra-
le, 76
di esistenza e unicit` a in piccolo, 70
di Fermat, 42
di Heine-Borel, 33
di Lagrange, 35
di Pitagora, 24, 25
di Schwarz, 38, 66
di Weierstrass, 33
fondamentale del calcolo integrale, 55
57, 63, 65, 66
testo, libro di, 5
variet`a dierenziabili, 61
velocit` a di una curva, 20
versore tangente, normale e binormale, 80
vettori
derivata di un vettore, 21
usso, 62
limite di un vettore, 21
Weierstrass, teorema di, 33
zeri, teorema degli, 11
A86

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