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LE 0 P E R E

DEI DUE

FILOSTRATI
VOLGARtZZATE

DA V. LANCETTI

Volume I.

MI L A N O
COI H P I DI FRANCESCO SONZOGNO q " G.

1828.

( j m fosse il primo, e chi il secondo F/MMT7L 4ro (giacch di due scrittori di questo nome sono a noi giunte le opere, che ora presento alla nostra lingua ridotte), quali e di qual me rito coteste Opere, e quante e quali !e edizioni e versioni che se ne co noscono , in questo, e ne' successivi proemii il pi brevemente che mi Ra possibile esporr. N temo che a poca diligenza vengami ascritto l'aver io preferita in tale articolo di storia letteraria l'opinione di qual pu vedersi nella sua
tom. 7. *

Vi

i&Ntofeca Crec%, a quel!e del ^o.fy/Oj del , del JW e??M ?7% e di altri, perocch giudiziosissimo inda gatore Ai egli di quanto appartenne alla vita ed agli scritti degli autori da lui menzionati, e rarissimo il caso che altri dalla sua sentenza di scordi. Il primo adunque fu jF/z;o.S7?:.^ro , /enz/MO, ossia da Lenno, sebbene , &nce//o, ed altri lo abbian creduto ateniese, ingannati dalla circostanza di essere egli stato in Atene precettore di belle lettere, ed altri tirio, confondendolo con un suo antenato. Viaggi gran parte della terra conosciuta a* suoi tempi, come egli stesso dichiara sul finire della Jz .^9o%?7Mo. Venuto a Roma, e piaciuto all' imperadore (an3c#%3 (il quale cominci regnare l'anno 212 dell'era nostra) a cagio-

ne delia bella sua maniera d decla mare , fu da lui dichiarato immune d'ogni pubblica gravezza, come ac cenna il pi giovin nel li bro secondo delle dal quale parimenti sappiamo che tra i di scepoli ch'egli ebbe in Atene contava J^yKM & W M O, stato poi mastro in Rov ina nel tempo medesimo che vi si trovava , e che nacque tra questi ed il sofista scolare di ^pypo^rowio, una controversia lette raria , in cui presero parte caldissima ed , soRsti essi pure, abitanti nella Ionia. Racconta il nostro che am messo dipoi ira i letterati, de' quali teneva circolo l ' imperadrice Ctn/Mt moglie di becero (morta l'an no 3 iy ) , ebbe da essa l'incarico di scrivere la , traendola dalle memorie di , e di

VHt

che eHa gii consegn; co sicch dee credersi con 7% /e7M on% che egli non avesse pi di 27 anni di et a cotest' epoca. Fior anche du rante il regno di , giacch nelle succitate Je'-xyM trovia mo che rimprover jE%zno di aver scritta un' invettiva contro quel prin cipe, da che fu morto, rinfacciando gli di insultare estinto chi avea te muto vivente. Z%ogvz&z/o mor nel 3 2 :. Se vuoisi credere a &M&Z, il nostro vide pure i primi anni del regno di 7%yy70 , il quale sal all'imperio nel 2^4? e proba bilmente in tutto quel frattempo tenne scuola in Roma di rettorica, ovvero di lingua greca. Le Opere sicuramente sue sono le seguenti
!. M ?rt 0M0. & ^poM oTH 'o t z n e o , w

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a.

D/afogo &

, ecc. 5 . Le TwnMgwM. Delle < ^ p & % o% e, JecJa7 ?M^07M, J/jed 6yMg/wnHM, che parimenti compose non occorre qui par lare , essendo tutte cose perdute, tranne un' epigramma conservatoci nel quarto libro dell'Antologia, e alcune epistole, che vennero confuse con quelle di 7% M% n2fo il giovine. Di ciascuno di cotesti lavori io dar parzial conto nel proemio alle rispettive versioni. Da jT V grt'M Z M o, che Ri genero di FLgfi'o , nacque probabil mente in Roma il secondo comunemente detto il giovine. Nella prefazione al suo libro de' rtraMi chia ma egli stesso suo materno il vecchio Tre sole Opere ci giunsero di lui :
i . Ze ^ M

3 . JT VffYZM/, /z ^ ro .

O^M!

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5 . Ze

Fior da ventesimo ai quarantesimo anno dei terzo secolo dell'era nostra, cio dal regno di jE&ogo&aJo sino, per lo m eno, a quello di Corcano A'o, anzi pur di Ad ^?%o7 M *o, o ^n^on/no, C orcano, mentre era console, dedic egli le sue /^te Je' , e il Fa&r/cM not che cotesto Cort&ano fu console due volte, cio Tanno 2 5 g , e Tanno a ^ i. In una pertanto di tali epoche promulg egli que' suoi libri. Pi altri di diversi tempi e condizioni ricorda Fkt& rM H O nel ci tato luogo, de'quali non giova qui far menzione. Le opere sovra indicate de' nostri due jFYaty scritte nella lin gua loro, cio nella greca, della quale

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verisimilmente furono per molti anni s l ' un che 1' altro precettori in Ro m a , vennero pubblicate pi volte, commentate, e tradotte si nella lin gua latina, come in alcune delle mo derne, in tutto o in parte, tanto per la singolarit dei loro argomenti, quanto per la eleganza, che loro si attribuisce. Io render conto delle edi zioni e de'volgarizzamenti di ciascuna di esse in parziali proemj. Altro qui a dir non rsta se non di aver io seguito nella traduzion mia il testo e Ja version latina tanto di jFet% erico JMbreZ, pubblicata a Parigi nel 1608 in fol., quanto, anzi pi, di < % o stampata a Lipsia nel iy o g in ibi., ognuna delle quali confron tata con preziosi codici, riveduta con ottima critica, e di eccellenti anno tazioni arricchita, delle quali ho cre duto poter io pure fare un discreto

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uso nella nuova italiana traduzione per me intrapresane. Comincer dalle Opere del vecchio , e finir con quelle del giovine, cio con le Lettere, nelle quali parecchie ve n' ha che al pri mo appartengono. A compimento per del presnte volume, che contiene la vita di Zomo , aggiungo la versione delle Lettere di esso ^ ? o // 07M 0 , in torno alle quali ragioner nel discorso che le precede. Nel volume successivo dar le al tre sovraccitate Opere di entrambi i Le poche incisioni, che adorneran no questi volum i, porteranno con s la signiHcazion loro.

D! FLAVIO FILOSTRATO
DA LENNO

LA V I T A

DI APOLLONIO TIANEO
zy e rro E LE LETTERE DI ESSO APOLLONIO
NUOVAMENTE VOLGARIZZATE

PROEMIO
DEL TRADUTTORE.

ApoLLomo Tianeo fu ^gii un impostore o un sapiente? La vita che ne scrisse Mostrato 3 eHa un Tomanzo o ana storia? Sono pih jcli sedici secoli che queste di* mande si vanno facendo, senza (he ancora se ne ab bia ottenuta uaa decisiva risposta, perch tost che da taluno venne quaKRcato Apo^onio per un insigne 6losofb, e Filostrato per umostoripo sincero, srse qnalch'aitro ad asserire il contrario. Sgraziatamente per que^ dae personaggi cotesta indecisione continuer, perch gii argomenti che dinotano Puno per P impostore, P al tro per romanziere, sono egualmente numerosi e (rti di quelli che dichiarano sapiente il primo e storieo i! secondo. Per decidere questo letterario problema con qualche sicurezza necessario, a mio avviso, il consi derare in quale stato si trovassero ai tempi di ApoHonio le scienze, massimamente nell* Asia, e in quale , s

4 PROEMIO nel!'Asia che in Roma, ai tempi di Filostrato. Ne! pri mo caso esse riducevansi a pochissimi individui, che ne facevano mistero, e che raccoglievansi in una specie di coHegi o corporazioni, quai furono i Bracmani, i Ginnosofisti, ecc. Ne! secondo caso !a beHa coltura de^Latini (i quali anche non aspirarono quasi mai alla gloria d'esser RlosoC ) era di tanto degenerata, che I* et di Filostrato da noi compresa nel secol di ferro della !oro letteratura. In entrambi i casi poi il popolo era ignorantissime ) ed ogni cosa che un cotal poco uscisse delTordin comune p^revagli un^mraviglia^Questa in? trin^eca qnsjit della moltitudine fu sem p^dl pi al W^np la j% e% 9a $ e ncii^ che ai d nostri mcnim tanto stupito pei grsmdi progressi della nostra civilizzazione ^ d e ^ o stri stud{ , vedhMnt) in varie occasioni che il popolo de? nostri tempi non c meno amico ed entusia sta di ci che non sa capire ^ di quello che il fosse ot^ , diecj ) venti secoli addietro. Ci posto, io dal canto xhi; non ho di^Rcolt di ngwardare ApUonio, non gi come u furbo ed un impostore ^ come dopo molti altri hanno ultimamente preteso il Du Pin ^ il Grvier , ed i compHajkiddi vanii moderni dizionarii biografici, ma bens come!U& uo^)o savio y dotto, amico de^ sm oi^ simili^ de& M eroAo del ;puMblico bene, e disprezzatore di ogni sorta di apMhfioRe e di rggHo, tranne quello che nasce dal-

DEL TRADUTTORE. 5 !'intimi sentimento della propria vipt. Jn qub! per che non posso ,menomamente aderire a <p*e! fana tico Ierocle presidente di Bitima e governatore d^Alps^ sandria,che scriveva contro i Cristiani durante Pimpero di Dioelezianp, e contrapponeva * pretesi mirAc(Ji di Aristeo e di Apollonio a!quelli di Ges Cristo^ e merit d'esserne acremente ripeso e confutato dg Lattanzip e da Enseb, nelmodo stesso r{cusoer6nto il papere di chi volle far passare Apollonio non solo per verace cristiano, ma sin anco per addetto ad una sognata sacra istituzione stabilita sul monte Carmelo, chiamandolo perci carmelitano insieme a Damide $d agli altri seguaci di lui (t). Assurdi e ridicoli sono entrambi qtte$ta estrmi^ ed assurdo e ridicolo il chiamare prodig} e mi?acpH alcune straordinarie ,azioni, alcune preyiden^e, che in Apollonio si ammirarono, e che erano frutto del profondo suo sennoyo della generale ignoranza dt'suoi contemporanei. Ma un uomo che dona tutte le sue so stanze ai poveri, che si astiene dal vino, dalle donne e da ogni diRcatezza, ^he vive ne^ tempj, che) ;aJi3:o npn ama che di conoscere i sapienti e di onorarli, che mette pace tra i sedizioni, che istruisce spontaneamente gli (:) pag. 294, ecc. ccr. Fer&M, , tom. y, a * par.

PROEMIO

idioti $ che a Tigellino ministro di Nerone chiedentcgM cos pensasse deM'imperadore ha i! coraggio di rispon dere : Ne penso pi onorevolmente di voi, perch voi !o lodate quando canta, ed io quando tace; che al re di Babilonia desiderso di un consiglio per regnare con sicurezza insegna di avere amici molti e pochi confi denti ; che viene consultato da uh Vespasiano, da un Tito, e <da altri principalissimi uomini, ai quali tutti rie^ sce venerabile e caro ; quest' uomo, io dico, lungi dal* T essere un furbo deeRiguardarsi e rispettarsi come do* tato di una straordinaria virt, la quale perci Al ca gione della comune ammirazione, e degli onori che ot* tenne e in vita e dopo. Forse un poco troppo si lasci Filostrato strascinare da siflatta ammirazione, e forse una soverchia credulit gli si pu apporre a difetto, ma il suo libro va considerato come istoria verissima , non gi come il romanzo di un entusiasta. Queste ed a!tre pi minute riflessioni fecero senza dubbio gli eruditi editori delle opere di Filostrato, e so* pra tutto di questa singo!ar vita di Apollonio. La mag* gir parte per credette opportuno di pubblicare insie me con essa la stiracchiata dissertazione del pagano le* rode, e la stringente risposta de! pio Eusebio, dando per tal modo novella vita ad una opinione affatto erronea e destituta di fondamento, la quale anche per rispetto

DEL TRADUTTORE. 7 alla santissima Ra!igian nostra, non meritava di esseri pur ricordata^ io Rincontro ho stonato aopprimere si Tano che l'altro scritto, quelK cio di Ierocle e di Eusebio, ptwh& sa M tempi in cui vennero composti po tevano parere opportuni, Ai tempi; noatri senza dubbio riescono affatto inutili a fuor & laogov La prima adizione in lingua greca deHa Vita di Apol lonio m eseguita nelle case d'Aldo ia Venezia Tanno i5oa, H Mio. Neil' anno stesso y eUa stessa ofSeiaa e nella stessa forma s pubblic la prma in latino, per opera di Alemanno Rinuccipi quanto alla vita, e di Zenobio Acciaiuo!i, quanto alla confutazione di Euse bio. Qnesta versione latina del Rinuccini servi poscia di testo a pressoch tutAe le edizioni ulteriori, compresa quella del Morel, e a quasi tutti i successivi volgrizza*meati. Quel testo per { fi conobbe pieno di imperfezioni e di errori, che imbarazzarono inSnitamente i volgariz zatori s italiani che d'altre nazioni, e che fecero desi derare chi si abbattesse in codici pi compiuti ed esat ti , come Analmente accadde al dottissimo GotMredo Oleario delP Accademia d Lipsia. I primi a volgarizzare quest*opera di Filostrato furo no tre italiani, cio Francesco BaMelB d Cortona, Lo dovico Dotee veneziano, e Gio. Bernardo Gualandi fio rentino. Singolare, e forse unico, il caso che tutti tre

8 PROEMIO facessero stampare la version loro in uno stesso anno , cio ne! , e che mentre il Baldelli la stampava in Firenze presso il Torrentino, i due altri ne sollecitas sero la stampa in Venezia, il Dolce presso Gabriel Giolito, e 1 ' ultimo presso Comin da Trino $ e tutti nella forma di ottavo. Ciascuna di coteste versioni, e pi quella del Gualandi) rara : ciascuna, e pi . quella del Dlce, inesatta, confusa e in alcuni luoghi non intelligibile: ciascuna appoggiata al testo latino del Rimuccim, bbench nessuno de'traduttori abbia voluto fame pur cenno. Lo stesso, a mio avviso, dee dirsi della version francese di Biagio di VigeaefCy uscita in due tomi in 1 % .* a Parigi nel * 6 n , ancorch egK annunci averla tradotta da! greco ^ ma lo stesso Niceron suo concittadino riconobbe che 1 ' opera di Vigenere ( il quale tradusse eziandio, come vedremo altrove, altri scritti di Filostrato) era tratta dalla versione latina. Gli Inglesi parimenti ebbero un traduttore dei due primi li bri soltanto della Vita di Apollonio nella persona di Carlo Blount, che pubblic il suo lavoro, accompagnato da moltissime note, l'anno :68o in fol. a Londra; e que sto lavoro e queste note, le quali si debbono in gran parte al barone Erberto di Cherbpry, vennero dipoi ri dotte in francese e stampate a Berlino in % volumi in ia nel nyy4 ; ma di tale versione basti il cennp, giac*

DEL TRADUTTORE. 9 ch ^er essere cos incompleta, e per l'empiet stoma chevole di quelle note, appena degna che altri la citi. Van brevissimi brani della Vita di Apollonio e di ahre Opere dei due Filostrati troviamo Volgarizzati da diversi scrittori, principalmente italiani, e va fra quesd notato in ispezielt il dottissimo cesenate Mazzoni ne'suoi libri della difesa di Dante. Ma non so che scrittore veruno abbia giaaaotmai pensato ad una nuova e intera versione di codeste Opere, dopo che il suUdato Oleario, con una degenza ammirabile, pose sotto gli ochi del pb blico la lezion vera del testo greco, da lui trovata in pi codici don prinAa esaminati, e confrontata coi gi conosciuti, e ridotta a forza di sana critica al pi sicoro, o almeno al pi verisimile senso. Sono* cento e vent' anni oramai da che la repubblica letteraria pos siede cotesto ampio e ragguardevole lavoro , accompa gnato dalla traduzione latina , pressoch nuova del tutto, ed arricchito di abbondanti e dotte annotazioni, nessuno, per quanto io sappia, os di affrontare la non lieve fatica di ridurre que'scritti alle lingue moderne. E per vero lo stile di Filostrato, non che la lingua da ess usata, die dista inRnitamente da quella di Tu cidide ^ di Platone, di Plutarco e degli altri precipui scrittori greci de'buoni secoli, of&ono ad ogni istante sif&tte difRcolt, che non piccola impresa lo sbaraz-

!o PROEMIO DEL TRADUTTORE, zarsene felicemente. Egli aletta le pi volte un laconi smo bizzarro , che lascia oscuro ci che vuol dire ; e dove para di cose RlosoEche esprime quasi sempre idee che sentono di misticismo, e che esigono motto studio &non poca pratica non meno ad intenderle che ar ripe terle in altra favella. A siffatto cimento ho io osato di pormi, eccitatovi dagli inviti del sig. Francesco Sonzogno, editore di questa nuo* va, e gi pid'oghi altra magnifica Co/Zane aatort Se^ e quanto io vi sia riuscito, ne giudiche* ranno gli intelligenti, di cui bramo benigno i! giudizio. La cura da me posta, s in esser fedele al testo, come in apparir facile e chiaro ad ogni lettore, a mio avviso H principal fondamento della speranza ch'io nutro di una favorevole accoglienza. Qualche approvazione meriter fors'anco !a molta mia economia nelle note, nelle quali per altro mi era sommamente agevolo di allargarmi. Le quali note ho anohe preferito di porre a pi di pa gina , anzi che altrove , perch servono in tal modo di schiarimento immediato, offrono un momentaneo ripo so , e giovano alla impaziente esigenza de* lettori ; ai quali, non che allo stampatore ed a me , parmi in tal guisa di meglio soddisfare, quelli non ritardando, PaLtro non caricando, e me riduccndo pi speditamente a! termine della mia non tenue fatica.

DELLA VITA

DI APOLLONIO TIANEO

Z 7R R O

I. %jrn encomiatori d Pitta gora da Samo narrano che prima ch'egli nascesse nella ionia era stato Euforbo a Troia : che estinto rivisse; ^ mor poi come ne canta Omero (:): dicono inoltre che ogni veste riRutas* se proveniente da animali, i quali si antenne e di man giare e di sagrifcare: perocch non volle bruttar di (*) Alcuni pensarono dua were, Stati gli Eufbrbi, uno ionio, f altro troiano; ma un saio veramente ^e ne conosce, ed il troiano, Rglinol di Panto, cio quegli in cui Pittagora diceva di avere anteriormente vivuto. FiLcxstrato ai in questo logo che nel cap. M: degli JEw M f ne & prova. ! versi qui citati di Omero kggonsi al principio dd xvm della Scrive lambicco nella ita di Pittagora^ cbe questo R!oscA ) compiacevasi di spesso can* tarli, accompagnandosi col suono della sua lira.

H VITA DI APOLLONIO TIANEO sangue gli altari ; ma di; libazioni succose, di profumi e di inni onor codest' uomo gli dii ; ben sapendo assai pi compiacersi gli immortali di siffatto culto, che del la ecatombe o del coltello suMa cesta disposto (:). Ag giungono ch'egli ebbe commercio con gli dii, e averne imparato quali cose aggradissero dagli uomini, quali n : che da essi pure ispirato disput della natura ; di cendo che tutti gli altri si lasciano guidare da false congetture intorno le cose divine, e cadono in contra rie opinioni, ma che a lui lo stespo Apollo sugger qual dottrina avesse a processare, e che seco pur conversa rono e Pallade e le Muse, non mai simulatrici del ve ro, ed altri iddi, de'quali n i volti n i nomi altr'uo mo sapeva. Checch poi fu da Pittagora insegnato i suoi discepoli riguardavano come una legge, venerandolo essi come se da Giove generato fosse e disceso, e os servavano il silenzio in forza della sublime dottrina di lui. Imperocch molte divine ed arcane cose dalla sua bqcca ascoltavamo, le quali sarebbe stato difEcil d 'in tendere, se non avessero dapprima imparato, che an che il silenzio ha la sua facondia. La stessa maniera di filosofare dicono avere sicuramente tenuto Empedocle d' Agrigento; perocch que' suoi versi :
& B W M ?r% g % Fon , A3 morir y a&#<y. (i) Tra gii arnesi inservienti ai sagriRcii non soo disponevasi u& canestro, in cui riporre le membra frastagliate della vittima, ma eziandio uno o pi vasi, ne'quali raccoglievasene il sangue. Il coltello poi, con che sgozzavasi l 'animale, ra posto o sul canestro o sul vaso^ j ^

LIBRO I.
e !' altro :
cA *M ? M M M C & M ? Cy7 !C ^/^ (*) ^

:3

e il bue d i pasta che narrasi aver gli im m olato in Or


limpia, spettano ad uom o, il quale am m ette la dottrina pittagoricp. P i altte cos si sogginngono intorno a co lon) che della stessa dottrina' furon segnaci, le quali non giova o%a d i ram m entare p er a lle tta rm i a quella stona, c h e io m rp ro p o si disc^ivre. H .I n ^ r o c c h mo an co ra h an n o gli nom ini conoscmto che ApoHo^io p er ef&tto di vera sapienza, da ini puramente , qal m conyiene a R losofb, co ltiv ata, due ponti di ta le d o ttrin a ie se rc iti i co n p i gagliardo anim o di Pittagora ^ eio gli stud} aHa sapienza s p e tta n ti, e il modo di vincere la tirannia ; m a chi lo esalta per u n a cagione, chi per un* aRia^ Avvi perim enti chi sciocca mente giudica che p er avere egli conversato co ' Magi d i Babilonia,; co'B rpcm ani d e lP In d ia , e co'G innoso& sti d'Egitto, easear dovesse uno streg o n e , e la sapienza di Ini nella nctagi consistesse ^ scioccam ente, dico , perch anche E n ^ p e d o d e, e K tta g o ra , e Dem ocrito , sebbene co' Magi avessero conversato, e m olti paradssi (2) pro(!) Questi versi di Empedocle, insieme a pochi altfi ^ ci ven nero trasmessi da Diogene Laerzio net lib. Y!:t. H secondo ci tato anche da Ateneo? nei libro parimenti viH. I frammenti (ino a noi giunti di quel poeta filosofo vennero ai d nostri messi in luce dai eh. sig. Peyron e Scin. (a) Qui valgono per sentenze fuori de! giudizio comune. Anche all' Oleario piacque preferir questa voce all' altra di ccje o&mouMcAe, o jptrR a#, usata nel testo.

:4 VITA D APOLLONIO T1ANEO nunziassero , non perci professaron quell' arte. Anche Piatone andato in Egitto parecchie sentenze di quei profeti e sacerdoti alle sue proprie congiunse, come pktotre che aMe distese liniee Mvrappone i colori ; pur non incorse nei sospetto di magia, bench tanto venis se per !a su sapienza invidiato da tutti. N perch A* poHonio molte cose previde e seppe pria che acoadessyoy dee dirsi reo di quell' arte ; altrimenti rei dei pari ne sarebbero e Socrate per quello che il suo demonio anticipatamente gli rivlava, ed Anassagora per le sue predizioni. Chi dibatto non sa che Anassagora recossi nella piazza di Olimpia, mentre non v' era indizio di pioggia/vestito di una zimarra di pelle, presagendo im *miuente la piova? e che predicendo la nwina di una tal casa, non ingannossi, e subito cadde? e che tramutane dosi il giorno in notte eaderebbero pietre dal eielo in viciuanza al Rume Egos, come dall'evento si verific? (i) Le quali cose alla sapienza di Anassagora attribuisco no ^mentre vuoisi negate ad ApoMohiw eodeeta pre* scienza, che dalla sapienza deriva, e di gnagiehe arti incolparlo. Ho dunque stimato di non tollerare cotesta ignoranza del volgo, ma di tant' uomo accuratamente descrivere quant'egli in ogni tempo e dicesse e facesse, e qual metodo di Rlos&fe Seguisse, e rilevare perch ad altri paresse un deibone e un indovino. Tutto ci ho io raccolto parte dalle citt che lo amarono, parte dai tempi? eh' egli ristaur, dappoi che cessati si erano
(') Veggasi Diogene Laerzio nel lib. u? che questi fatti di Anassagora riferisce.

LIBRO I.

*5

gii antichi n ti, parte eziandio dai mo!ti discorsi che il celebrammo, parte in fm da vrie aae lettere. Pe rocch egli carteggi con principi, con aoRsti, con R!osoR , cogli Eliesi, co' DeMd ^ cogli Indi e con gli Egizii, in materia di di , di genti, di costumi e di lepg i, fvnpcoverand le mancanze contr' esse commesse^ Le cose adunqne che pi sicnre mi parvero ho nella se* guentc grnsa raccolte. H I. Visse certo bamde, non ignaro di RlosoRa, gi cittadino J*H* antica Nitave, il quale fu discepolo di Apollonio, e i viaggi di lui, ne' quali dice essergli stato compagno, e i fatti e i detti e le predizioni descrisse. Un cognato di Damide present que' commentar), sino allora soonosointi, aGiulia Augusta (^), al servizio del* la quale trovandomi io {essendo ella studiosissima della facolt oratoria ) mi ordin oh' io rendessi queUe tan* tafere , e ne ripulissi 1 *elocuzione ; perch quel ninivita aveva bens con saRieiente chiarezza scritto, ma con poca eleganza. Mi avvenni dappoi in un libro di certo Massimo da Egia (3) , che conteneva le cose tutte in
(:) SoBsti c RIosoR sigmRcayano anticamente la stessa cosa, cio studiosi deHa natura delle cose, sapienti. Ma convenne di poi gli uni distinguere dagli altri, e come e perch lo atesso autor nostro il racconta od proemio alle vite de' sofisti, che noi pubblicheremo nel seguepte volume. (2) Moglie di Severo , dell' ingegno della quale, non che delT aflezione alle buone lettere , parlano Sparziano e SiRlino. (3) Molti Damidi e molti Massimi nella storia della letteratura si greca che romana si conoscono. Di questi da Filostrato ram mentati ianno parola leroclc, Eusebio, e Tzctze tra gli antichi.

*6 VITA D APOLLONIO TIANEO Egia fatte d ApoHonio. S hanno anche alcune tabeMe t!i memorie da! inedesimo Apto!!nio scrtte , da cui s pu rilevare com' egli filosofasse mosso da un divina mpeto^ Nessun conto per hass a fare d Hjj^ragen (i), che quattro libri intorno ad Apollonio compose , ma cb$#mh9smi fatti ne ignor. In qual modo io queste aepairate scritture abbia radunate, e come abbia comin ciato a ordinarie, ho narrato. Bramo che quest' opera faccia onore? all' uomo, de! qul parla, e giovi agli ami ci delle buone lettere, siburi di trovarvi assai cose, che finra non seppero. IV. Patria di ApoHonio fu Tiana, citt greca nel paese di Cappadoca. Egual nome ebbe suo padre, di antica stirpe, discendente dai fondatori deHa citt, di casa ricchissima, ed esso pur dovizioso. Aila madre, gravida di !ui, apparve P ombra d Proteo dio deg!i Egizj, ! quale secondo Omero in varie guise trasformaci, ed ella niente impauritasi lo interrog chi avrebbe par* t o r i ; ed ei le rispose: Me. E tu ohi sei? soggiunse e!!a. Sono Proteo, rispose , nuine egiziano. Di quanta sapienza era Proteo che giova or dire ? massimameute a coloro che dai poeti appresero quanto foss' egli versati le , e sempre diverso, e non prendbile mai, tanto che fu creduto eh' egli sapesse le cose tutte cosi accadute come future. Ma di Proteo mi converr sopra tutto far menzione, quando ne! progredir deHa storia mostrer
(') Oscuro scrittore, che per ricordato da Tzetze nella se conda ChiMade, e da Origene nel sesto libro contro Celso. Filo strato to nomina di nuovo nel terzo libro * 4**

LIBRO I.

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ApoHonio di gran lunga pi che Proteo prevedu to , ed avere difEcili ed oscuri segreti spiegato, mo!to pi se ridotto si vedesse alle strette. V. Narrasi ch'ei nascesse in un prato, vicino al qua!e ora innalzato un tempietto in onor suo. Ma come na scesse anche bene il sapere. Approssimandosi il tempo de! parto, la madre sogn di passeggiare in un prato e cogiiervi Eori; e andata poi nello stesso prato, mentre le sue anceHe gironzavano cogliendo firi % ella seduta sull'erba veMM da! sonno sorpresa. Intanto alcuni cigni da quel prato alimentati, formarono corona intorno a lei dormiente, con l'!e distese, come,costumano, e tutti insieme cantando. Un !eggiere favonio sul pratello spigava. D aquel canto venne ella svegliata, e a! tempo medesimo si sgrav^ giacch ogni strano accidente pu anche prima de! tempo promovere il parto. Raccontano gli abitanti de! luogo, ^he meutr' eHa partor, un folgo re cadde sulla terra , il qual risalendo nell' aere vi si dilegu. Con tale portento vollero gli iddii, per quel ch'io penso, mostrare e significare che il nato fanciullo avrebbe ogni terrena cosa avanzato, e il commercio di lui con gli iddii, e quant' altro in esso concorse. VI. Scorre presso Tiana un'acqua, a Giove sacra, pei giuranti religiosa, che chiamata ( estin guibile ) , e che sebbene da freddissima sorgente scatu risca, boHe al pari di pentola sul fuoco riposta (:). A
(<) Una simile fonte & rammentata pi avanti, nel lib. m , S nv. Di questa scrive particolarmente Ammiano (lib. x m t, cap. 6). Alcuni erroneamente lessero in vece di

& ? n t. 7.

i8 VITA DI APOLLONK) TIANEO coloro che santamente giurano l'acqua dolce e pro pizia^ gli spergiuri allo incontro ne ritraggon castigo ; perciocch ella ne offende tosto gli occhi, l mani^d i piedi, e in idropisia li conduce, n possono ir lontani di l , essendo costretti fermarvisi, c lungo !' acqua ba gnarsi, e ci che spergiurarono confessare. Perci gli abitatori dicono che Apollonio Ai figlio di Giove, ma egli Eglino! di Apollonio si dicea. VII. Giunto all'et propria alle lettere, manifest gagliardia di memoria, e costanza allo studio. Attica eia la sua &vella, che mai per usar co' stranieri non imbastard , ed essendo di bellissimo aspetto a s gli occhi di ciascuno traeva. Entrato nel quattordicesimo anno, il padre il condusse a Tarso, affidandolo ad Eu* tidemo, di origine fenicio, retore insigne, che alla sua scuola lo ammise. Aderiva Apollonio al suo maestro^ ma l ' indole di que' cittadini giudicava inetta e non quanto basta opportuna agli stud} della buona filosofia3 imperocch erano pomposi, cicaloni e proverbiatori, e le mollezze degli Ateniesi imitavano, ma non la sag gezza. Il fiume Cidno passa per mezzo la citt, e in torno ad esso que' cittadini amano, a guisa di acquatici augelli, oziare, ond' che Apollonio in una lettera disse loro : Cessate di inebbriarvi d'acqua. Per la qual csa, avuta licenza dal padre, cambi il maestro, re candosi nel vicin borgo di Ega, dove ogni agio trovavasi per attendere alla filosofia, e scuole pi conve, come ha notato il Giraldi nel suo pag. M4H,

LIBRO!

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nienti a'giovanetti, e un tempio < K Esculapio, edEscu-s apio stesso che palesemente si mostrava agliuomini. Ivi con lui Rlosofarono 1 seguaci di Piatone, di Crisip* p, e di Aristotele; ed ivi la RlosoCa di Epicuro aspo!'* t, che ebbe in pregio, ma Soprattutto a quella di Pittagoca eon gran diligenza pplicossi. I! suo maestro per non valeva nulla nella dottrina pittagodca, anzi non era filosofo n di mente n d costumi , perch gola? ed alle libidini, some se^tator di Epicuro, era dedito. Costei chiamavasi Eusseno, nativo < d i Eraclea nei Ponto; e qualche sentenza sapea di Pittagora, in quel modo che alcuni aagelli imparano dagli uomini a dire: ndJio, daM t , Gwe , e parole simili, che gli uc celli pronunziano, ignari di quel che dicono^ e non gi per brama dell' altrui bene, ma soltanto per avere la lingua atta a mandare que' suoni. In quella guisa per che gli aquilotti, non sentendosi per anco gagliarde le penne, imparando dai genitori a volare, non si disco* stan da essi, ma tosto che si trovin pi (orti se li' la sciano dietro, tanto pi se la gola li punga, e presso terra verso l'odor del cibo trasvolano; cos il giovinetta ad Eusseno ubbidiva , e dalla dottrina di lui si lasciava ad arbitrio dirigere ; ma giunto alla et di sedici anni, diessi con molta smania alla vita pitagorica, come s an nume gli prestasse le ale. Non per questo cess di onorare Eusseno ; ma avendo dal padre ottenuto und villetta appena fuori della citt , dov' erano giardini, d rascelli amenissimi: Tu, gli disse, vivi alla tua maniera, che io viver a quella di Pittagora. Vili. Considerando Eusseno qual nobile impegno A * -

no VITA DI APOLLONIO TIANEO polonio assumesse, gB chiese in che modo prendereb be cominciare sif&tto ordin d vita; ed eg!i rispose : Nel modo, d cui cominciano i medici, i quali ei purganti preservano i sani , e a sanit riconducon gli infermi. Dopo tali parole si astenne da! mangiar carni, icome cibo impuro, e che offusca la mente, di frutta e di er baggi pascendosi, col dire essere tutto puro queMo che dlia terra prodotto. Natura! bevanda affermava esse re il vino schietto, perch da domestica pinta agli uo mini dato, ma essere contrario a! buono stato deHa mente, alberando quanto in essa di etereo. Purgati in tal guisa! i suoi cibi, si mise scalzo, e una veste di tela di lino indoss, rifiutando che di pelo d'animale fosse tessuta; i capegli si lasci crescere, e prese sog giorno nel tempio $ di che facevano le maraviglie i pre lati del tempio stesso , massimamente che Esculapio $1 sacerdote asser di essere lieto che Apollonio fosse pre sente quando eg!i sanava gli infermi Laonde i Cilici ed altri vicini popoli in Ega per veder lui concorrevano ; ed era passato presso i Cilici in proverbio il dire: Dope W H? a pe;%ere t/ giopM M Hfo ? < IX. Non sar fuor di propsito, poscia che sto espo nendo la vita di uno che ag!i stessi dii fu carissimo, tatto ci raccontare, eh' egli fece nel tempio. Venne dunque ad Esculapio un giovinetto d'Assiria, il quale, bench gi infermo, pure nelle delizie e nel bere !a vita sua conduceva, o a meglio dir consumava, e quindi era idropico divenuto, e sempre di ber dilettandosi, poco pensiero prendevasi della astinenza, di modo che Esculapio i! trascurava, e per sino il sonno gli rimvea.

LIBRO L 3U Querelandosene egli, il dio gli apparve, e s gii disse: Se tu ricorri ad Apotlonio risanerai. And pertanto a Ini, e il richiese: Qual vantaggio poss' io dal tuo consi glio sperare ? perocch Esculapio mi impone che a te mi presenti. Tale, rispose 1 ' altro, che sommamente ti giover nello stato in cui ti trovi. Non hai tu bisogno della sanit ? Senza dubbia, diss' egli, e me la promise Esculapio, ma non la d. Ben dSc*^ riprese Apollonio, perch egli la d coloro che la vogliono y e tu aB'in-? contro ibmenti la tua malattia, perch badi a goderti, molti cibi cacciando ne* corrotti ed acquosi intestini e fango a pozzanghera sovrapponendo. Questa risposta di Apollonio assai pi splendida di quella che gi diede Eraclito ad uno che dello stesso morbo era afHitto, col dirgli che bisognava dopo la pioggia induce la siccit $ risposta oscura e non facile a intendersi; laddove Apol lonio pi apertamente la sua sentenza profer, e il gio vinetto ne and guarito. X. Vide egli un giorno 1 *ara di molto sangue co spersa, e sovr'essa deposti gli arnesi delsagriRzio; vide bovi d'E gitto e grossissimi maiali scannati, e qua mi nistri che scorticavano, l che sminuzzavano ; e vide due sacre ampolle d 'o ro , tempestate di bellissime e preziosissime gemme d'India ; laonde al sacerdote ri chiese: Che ci? chi con tantamagni&cenaa tende grQ? zie al nume? Pi ti maraviglierai, quegli rispose, udendo che senza aver prima fatta istanza veruna, sen%' essere qni dimorato il tempo dagli a!tri usato, n acquistata dal nume la sanit, n ottenuto alcuno di quei favori, che ancor non ha chiesti, essendo appena ieri qui giunto,

ai VITA DI APOLLONIO TIANEO s lauti sagrifcj abbia fatto ; anzi 3 pi altre vittime e pi altre^qbhlaziont prometta, se Esculapio lo esaudisce. Ricchissimo eglt, e p?giedp in Cilicia pi egli solo, che non tutti i CilicL insieme. Egli invoca dal dio che gli ritorni un occhio datogli cavato. Apollonio allora , chinato lo Sguardo a terra; come us fare sino alla sua vecchiaia, il motne dt colui chiese ; e uditolo : Parmi, disse, o sacerdoteyche quest'uomo non debbasi am mettere nel tempio, perch da profano presentasi, e per malvagia cagione quel male si guadagnato^ e que? sto stesso grandioso sacrifcio fatto avanti di nuRa avere ottenuto dal dio , non da divoto, ma da tale che cerca perdono di qualche gran colpa. Cos disse Apol lonio. Esculapio dipoi comparso la notte al sacerdote, partasi, gli disse, cpstui, e i suoi doni ritolga, non essendo pur degno che l?altr'occhio gli resti. Informane dosi pertanto il sacerdote intonso a qolui, seppe teneri egli una moglie, che dal suo primo marito avuta aveva una figlia, della quale costui invaghitosi, e seco lei sol lazzandosi nascostamente, fmronosorptrest in letto dalla moglie , la quale con uno spillone aHa figlia ambidua gli occhi for, ed uno al marito. r XI. In questa occasione Apollonio mostr, che color che sagriCcano, o fanno sacre obblazioni ^ non hanno a passar la misura (1). Essendo accorse al tempio molte
(1) La soverchia prolusione ne' sagri Acj Pittagora sempre dis approv , come scrive Iamblico nella vita d Ivi. Cos pure il suo seguace Apollonio, cui Filostrato nel lib. vi , $ n d questa Storia fa dire: sarai con p&coM-

LIBRO I a3 persone , dopo che quel CHice ne fu scacciato, Apol-* Ionio interrog il sacerdote, dicendo : Sono essi giusti gli iddj ? giustissimi , rispos questi. E sono anche pru denti ? soggiunse il primo $ e l'akro disse : Chi pi pru* dente degli iddj? Ed Apollonio, sanno essile faccende degli uomini,ole ignorano? Anzi, riprese il sacerdote, in ci principalmente gli dii sono superiori agl*?uomini, perch questi per la imbecillit loro npn conoscono le cose proprie, laddove gli iddj sanno tanto ci che agli uomini spetta, quanto ci che Appartiene a loro mede* cimi. Allora egli : Verissima ed eccellente rispsta la tu a , o sacerdote, ond' che essendo ad essi note le cose tutte, parmi che chi a loro ricopre, e che abbia coscienza del retto, avrebbe a far questa prece: Ot%er, concedetemi /e co*e cAe w: ; e sai che il bene ai buoni conviene, il contrario ai malvagi. Gli iddj per tanto rettamente operanti colui che trovano giusto, e di saldo animo contro ! vizj, non di corone d'oro pre miano , ma d'ogni sorta di beni ; quello che carico e rotto ne'vizj conoscono , abbandonano a Nemesi ^ e pi verso costoro si cortmsciano, quand' osino, cosi malvagi quai sono, nei sacri luoghi introdursi. E vol^gendosi in cos dire ad Esculapio, sciam : Mbile 6 di te degna filosofia tu professi, vietando agli scelerati di qui inoltrare, quand' anche tutti i tesori degH Indi e
Tal parimenti era la sentenza di Socrate^ a quanto Se nofonte ne scrive nel lib. ! ; tal quella di Platone, come rile vasi dal in deMe Z<?gg/ ; tale di Epitteto nel cap. 38 deir Lo stesso prescrivevano anche (e leggi romane : ^

*4 VITA DI APOLLONIO TIANEO de'Sardi ti offerissero ; ch non per riverenza agli iddj fanno esi cotai sagriRcjedof!erte,nia per sottrarsi ai gastighi, da cui non perci voi li esentate, giustis simi come siete. Pi altri di questa maniera discorsi tenne in qul tempio Apollonio, essendo ancor gio vinetto. XII. Le cose poi ch'egli ^& ce in Ega, mentre col si trattenne, aon queste. Era in Cilicia un grande, uomo superbo, e alla greca venere inclinato. Giunse a costui l fama della belt di Apollonio, ed egli, messi in dis parte gli af&ri suoi, pe'quali era ito a litigare in Tarso, venne ad Ega, dicendosi ammalato , e del soccorso di Apollonio aver bisogno. Trovatolo, che passeggiava so letto, gli si accost e disse: Raccomandami ai dio; e quegli rispse : Che bisogno hai tu della raccomanda* zion m ia, se sei buono? sa* che gli iddj amano i buoni, senza che alcun si interponga. Egli per Io dio Giove, soggiunse I? altro, che a te, o Apollonio, e non a me, ha Esculapio l'ospitalit della sua casa accordato. AI che Apollonio rispose : La virt, che, per quanto puote un giovinetto, ho io fin qui seguita, mi ha reso bene volo il dio, e fattomi famigliare di sua casa^ e se tu parimedti apprezzi la virt, vanne a lui con fiducia, e chiedigli ci che vuoi. Cos per lo dio Giove far , sog giunse 1 ' altro, ma prima odi una mia preghiera. Di che mi pregherai tu ? disse Apollonio ; ed egli : Di ci che ai belli si cerca, i quali preghiamo che della bellezza () I .San# deHa Lidia intendono in questo luogo, dove rgno il ricchissimo Creso.

LIBRO I.

iS

lro sieno cortesi ^ e ad altrui non riputino ; e s di cendo mollemente atteggi avasi, e lascivamente il guar dava, tutte quelle parle aggiugnendo che cOM sozzi e intemperanti uomini sogliono. Ma Apollni biecamente Basandolo: O pazzo, proruppe, o scelerato ! Colui qu ste parole ascoltando non solamente isdegnossi, ma minacci anche di volersi segare la gola : ed ApoMonio in udirlo sciam : % % yenga giorno / Di l a tee A quel ribaldo fu ucciso sulla pubblica via da alcuni masnadieri, che lo accusarono di avere insieme ad Ar chelao re di Cappadocia (^macchinato nuove congiure contra i Romani. Questi e pi altri avvenimenti di simil natura pubblic Massimo da Ega, il quale per la sua celebre eleganza di stila fu degno di essere segretario dell'imperatore. .< XIII. Venutogli poscia Pannunzio della morte di sua padre, and tosto a Tiana, con le proprie mani Io seppell neHa tomba della madre ^ che poco prima avea terminati essa pure i suoi giorni. La ricchissima eredit divise poi eoi fratello, uomo intemperante e mangio&e,
() Di cotesto Archelao fatto re da Marcantonio Panno di Ro ma y :8 , ingrandito da Aagu&o, poscia accusato ai tempi di Tiberio e costretto recarsi a Roma per d if e n d e r s i , come fece, parlano a lungo Dione, Strabone, Tacito, ecc. Dato che Apol lonio avesse venti anni d'et all' epoca cui spetta il fatto qui esposto , e supponendolo nato nel y5o o y5 t di Roma (gjtcchb mor di cent' anni al principio dell'85o), il fatto medesimo cor risponde all' anno 770 , qqarto del regno di Tiberio. E che Apol lonio avesse allora venti apni chiaramente dotto, al principio del seguente paragrafo.

26 VITA DI APOLLONIO TIANEO che avendo ventitr anni pi non era soggetto ai tutori, laddove a lui che solo i venti compiva, vennero dalia legge assegnati. Restituitosi quindi ad Ega, e soggior natovi qualche tmpo, ivi il tempio di Esculapio ad uso di liceo e di accademia ridusse, dove ogni f&osofia fioriva. Torn dipoi, gi adulto e divenuto padrone di s , a Tina. Venendo ivi da pi d'uno esortato a voler ricondurre il fratello (!) a vita sobria costumata, ri^ spose: Ci sarebbe una specie di arroganza; come pu Mpi giovine correggere il suo maggiore? Nondimeno per quanto da me si possa porger rimedio a'suoi naalii A lui dunque ^a met deHa propria sostanza cedette, dicendo che quegli aveva di molte cose bisogno ed ?egli di pche. Usando per secolui, e con prudenti parle inducendolo ad ascoltare le sue ammonizioni ^ gli df* ceva: Il padre nostro, che gi ci ammaestrava e correg geva , morto. Ora noi due restiamo per ^scambievole giovamento; se io pertanto commetter qualche errore, tu riprendimene, e prgi rimedio a miei ialli; se il com metterai tu? soffri che io te ne ammonisca* In ta! modo^ a guisa di coloro che coi freni domano gli indocili non educati puledri, condiscendevo^: il r$se, ^ dai v;gj (<ehe molti ne aveva) a regolar vita il ridusse^ imperocch dadi, e vino, e libertini stravizzi amava, e aveva cd* pigiatuta !alta e ritinta, e andava pettoruto ed altero.
(r) Sesteo avea nome il frate! d ApoHonio, cotn s raccoglie dalle lettere che questi gli scrsse, e che noi produrremo in ag giunta alla presente stria. Ma nella cinquantesima quarta di esse trovasi &tta menzione anche di un altro minor fratello, di cui non si & qui verun cenno.

LIBRO I.

ay

Quahdo le cure sue pel frtello vide a buon f!be riescire, ad altri suoi congiunti si volse , e queHi tra e^si, che pi poveri erano, col rimanentedeUa propria ere^ dit si aHezion, piccolissima porzione per s riserbando. Giustamente ossecrava che Anassagora clazomenio,che tutto il suo in armentL e in greggi impieg j per le pe core e non per gli uomini aveva filosofato ; e che il tei bano Crate, che le proprie sostanze gett nel mare, n agli uomini giov n alle pecore. Encomiandosi un giorno quel detto di Pittagora, che chi ha mogli# P<M t devea&altra donna appressarsi: rispose^ c/fr/ JP/ffagora, perocch egli n condusse maglie ^ n mai commercio ebbe con donne; vincendo in ci idi gran lunga Sofocle, che giunto a!!a vecchiaia diceva di trovarsi scampato J a eJ aera Ma Apollonio dalla propria virt e temperanza assistito a tal padrone, nemmanco giovinetto , ubbid, e bench giovine, e di complessione gagliarda, pure quel furioso noi soggiog. Tuttavia parecchi lo accusarono di dissoy lutezza, dicendo che arse d'amore , e che perci gran tempo dimor fra gli Sciti; mentre non consta n che sia stato in Scizia giammai, n che mai si innamorasse. Per ci di liberHuaggio noi calunni nemmeno Eafrat^ , bench falsissimi libri contr'esso componesse , nme ai mostrer in quella parte d'istoria che ad Eufrate 3aS *& relativa. Costui nemico era di Apollonio, perch questi il rimprover che tutto ei facesse per danaro , ed esortollo a lasciar 1' avarizia e non vendere la filosofia^). Ma di ci parleremo a suo luogo. ,
() D' Eufrate a lungo si parla nella presente Storia, Mthsst-

18 VITA DI APOLLONIO TIANEO XIV. Avendo una volta Eusseno dimandato ad Apoiloniop^rch non iscrivesse alcun libro, egli che di pre clara dottrina avea pieno l'ingegno, e accomodato e dignitoso 6tile possedeva : Perch, rispose, ancora non ho taciuto ; e d'allora in pi cominci a stare in silen zio. Ma se l lingua contenne, con gli occhi e con la mente assai cose impar, e assai nella memoria ripose; che in fatto di memoria egli anche a cent' anni fu mag gior di Simonide (;), e un cert'inno di lui sulla me moria cantava, Ov' era detto che il tempo ogni cosa consumava , e che esso non invecchiando n corrom pendosi dalla memoria serbato. N, dufante quel suo silenzio, mancava di gentilezza la conversazione di lui, perch a quanto venivagli detto egli o con gli occhi o con la mano o col piegare del capo rispondeva ; non volendo patere n meno piacevole n men cortese, come colui che sempre fu di dolce e placido tempera mento. Confess che questa maniera di vivere, eh' egli per cinque interi anni serb , gli riusc difficilissima, occorrendogli dir molte cose, le quali non disse $molte ascoltandone che Io irritavano , come se non le avesse
mamente ne'libri v , Vf ed vm* Non ne parlano per tanto male, quanto Filostrato, n Plinio n Epitteto, n Eustazio. La morte di lui riferisce Dione nel lib. Lxxtx. (y) Varj Simonidi hanno dopo lo Suida indicato il Giraldi, il Vossio ecc., ai quali varj altri potrebbero aggiugnersi. 11 qui nominato nacque in Scio e fu Rgliuol di Leoprege. Della sua felice memoria , e dell' arte di ricordarsi da lui trovata scrivono Plinio nel vt della Storia Nat.; Valerio Massimo nel lib. vnv; T geSw e nel!# prima ChiL, ed altri.

LIBRO . 29 ascoltate ^ e motti fatti vedendo degni di riprensione, o ingiurie udendo contra di a, per cui andava* ripe tendo quei verso : fTrvna#, #nyM a cons (i).

XV. I! tempo ^el suo silenzio pass e^i parte in Paoh flia ^ parte in Cilicia, e sebbene viaggiasse fra genti s m olli, pure non parl m ai, n puossi pur dire che borbott. Quando capitava in paese tumultuante (e mlti ve n'era in grazia de' riprovevoli spettaceli pubblici (^) ), facendosi in mezzo e palesemente mostrandosi, le ri prensioni cui mirava con la maud $ col volto faceva , e le discordie acquetava, e tutti a tacere induceva, come se fossero ai sagriRcj ; e per certo non piccolo aSare il ridmre a pace persone che litigano a cagion d commedie o di cavalli; tuttavia colorq che per tali cose altercano, ove si abbattano in uomo autorevole , arrossiscono, s stessi condannano , e agevolmente si placano. Ma non del pari si agevole frenare con dolci parole lo sdegno e cambiare il pensiero di una citt, che gemeva di fame ; eppure Apollonio da genti che erano in tal caso col suo silenzio T ottenne ; perocch andato in Aspendo nella PamRlia, presso il 6urne Eurimedonte, terza fra le citt di quella provincia (3), trov che il popolo di grossolani legumi cibavasi, e d' altro
(<) Verso d'Omero nel x dell' Odissea. (a) Delle turpitudini degli spettacoli cos della acena come del circo ampie notizie lasciarono i Cristiani di que' tempi. (3) La prima era Perga, la seconda Side, che nei nummi anche detta Neocori.

3o VITA DI APOLLONIO TIANEO che sol per bisogno s mangia, atteso che i pi ricchi tenevano nascosto il frumento per venderlo ag!i stra^ nieri a pi alto prezzo. Ivi dunque la gente di tutte le et sollevatasi in folla contro il prefetto deHa provincia gi avea disposto il rogo per esso, quantunque rifug gito si fosse presso le statue degli imperatori, le qua!i allora ngudrdavansi pi sacre, e in maggior riverenza tenevansi che l ' olimpico Giove (t). Erano quelle di Ti berio, regnando il quale venne da alcuni giudicato reo di lesa maest uno che percosse il suo servo, perch teneva sopra di s una moneta d'argento di Tiberio. Pfesentossi pertanto Apollonio al prefetto, e co'gesti il richiese : Che faccenda questa? e rispondendo egli che nessuna ingiustizia avea commesso, e che sofRriva egli pure non men del popolo lo stesso disagio , e do veva com' esso perire, ove non gli si concedesse di parlare, Apollonio rivoltosi alla circostante foMa congesti le fece intendere che doveva ascoltarlo. Quella gente aHora per rispetto verso di lui non solo fece silenzio ^ ma depose sulle vicine are il fuoco. Il prefetto quindi fattosi animo disse loro : Il tale e il tale ( e varj nomi pronunzi } furon cagione della presente carestia, per ch tutto i! frumento ammassarono e in a!tra parte della provincia nascosero. Gli Aspendj allora si aizzaron l'un l'altro di porre a sacco le ville de'ricchi, ma Apollonio co' cenni li esort a non farlo, ed esser meglio che i
(!) Non i servi soltanto, ma anche, gli ingenui cercavano asilo presso la statua deli' imperatore , come ampiamente ha dimo-* strato 1' eruditissimo Lipsio nelle sue note al terzo degli di Tacito.

UBMOI. 3^ colpevoli chiamassero, e if frumento da essi di buona intelligenza accettassero. Compari que'tafi, pooo^manc che in grazialoro il nodo dellafingua sciogfiesse, tanto fn commosso dalie lagrime M ia gente, tanti vi erano fanciulli e dnne e vecchi tristamente gridanti che ornai si morivan di fame. Nondimeno geloso custode eie! suo! silenzio scrisse un suo rimprovero, e lo diede a! pre ftto acci il leggesse. Era il rimprovero in questi ter mini : y^p7/owfo Ji w terr d co#M M ^ FwaJre , pencAd # wi **ete , c^e per H M M % re w^tr M3urp<Mt6. < S e ^e^Mterete w^tr ^ /o wo^ &wer nwawer^i w Atterriti da taf minaccia,' empierono fa piazza di frumento , e fa citt ne fu ri storata. XVI. Compiuti gK anni del suo silenzio recossi alla grande Antiochia, e visit il tempio di Apollo Dafheo, ai quae gii Assirii (:) attribiscon la favola che gli Aw cadi raccontano. Dicono essi aver ivi Dafne figlia di Ladone mutata la sua forma (2) $ ivi scorre di fatto if fiume Ladone (3), ed ivi in grand' onore fa pianta deli'alloro, in cui fa vergine si tramut. Sorgono in-

Sirii veramente , e non Assirii, erano gli Antiocheni. Ma non & solamente Filostrato che 1' uno con l'altro nome confonda. (2) Ognuno conosce questa favola. per da osservarsi che Ovidio dice Dafne 6gia di Peneo, c Partenio da Nicca negli Ervftct la dice figlia di Amicla. (5) Ladone fiume dell' Arcadia, ma gli Antiocheni diedero lv stesso nome ad alcuno de'loro vasti canali.

3* VITA DI APOLLONIO TIANEO tomo a! tempio cipressini somma grandezza (t), e in sceni vi ha^copiosi d'acqua eplacidi, in^cul pretendono che Apollo si bagni; i quali cipressi ha ivHaerra pro dotti a cagione di Ciparissb , giovine assirio, della cui trasformazione la bellezza toro fa fede (2). Ma parr forse che narrando coteste favole io mi trattenga in fanciullaggini. Non cos ; ben mi apro con esse la via ad altri racconti. Veggendo Apollonio che il tempio bellissimo era, ma d'ogni studio di lettore privo, e in mano ad uomini semibarbari in ira alle Muse, sciam: DeA, / cangia eo<% e*t* m M f* w p/anfe, acc^ al meno a/ parf ^ue' c y re j^ mancino ^ua/cAe ynow. Osservando poi que' ruscelli tanto quieti, che nessun mormorio ne usciva, disse : Za stMpM&fd cAe f regna non permette ^ yre #trep^to nemmeno a//e yntt. E guardando il Ladone, disse : Aon (ua^EgRa ^o^tawto vs a&ra yrma concerti, ma fa pure, a yie/ceparnM, cAe <R Greco eJ ^rcaJe cAe er* ^e: J/^enMto Far&aro. Quando poi si pose a disputare , schiv que'luoghi ov'era maggiore il concorso del popolo, e dove avevasi a stare promiscuamente, dicendo eh' egli non di per sone ma d'uomini avea bisogno ; e frequent i luoghi pi onorevoli, e i tempj che non si chiudevano. Al na scer del sole, lontano dalla gente, facea pi cose, che a coloro soltanto comunicava, che per quattr'anni erano
(<) Tanta era la bellezza d cotesti cipressi, che gli imperadori Arcadio, Onorio, e Teodosio li dichiararono inviolabili, come si ha dal Codice, !ib. u , tit. 72. (3) Vedasi questa favola nel x delle Metamorfosi d' Ovidio.

M8B0 1 . 33 statico silenzio (!), Gh^ ^ trovavasi in c^tta greca, e a sagrRcj ordinatj, raup^pdo i sacerdoti 4e'tempH ra gionava degK iddj, e li correggeva, ove dallasacerdotal dignit deviasse?^ Sepos^iain citt bwbara e in dige renti riti abbattevasi, eereava chi istituiti li ay^sse^ eppn ch cos istituiti : interrogando altres ppr qu^l ragione si faticasse quel culto, e suggerendo ci che pensava convenir mejglip. Preveniva eziandio i suoi discepoli ec citandoli interrogarlo di; cip ebe pi piac^a loro^ Picea pure che chi la maniera sua di filosofare adottava, dovea sull^ apparir dli' aurora conversar qgn gli iddj: e a giorno inoltrato di essi dR laveHare ; e pi tardi delle cose gettanti gli uomini, ^sposto che avesse a tutte le inchieste dpi iaagHari, e ^bbondevolmen^e $eco lorqt trattenutosi, recavasi a; disputare in pubblico, pqn per prima di mezzogiorno, ma a mezzogiorno preciso. Fin palmento, disputato quanto gU pareva dover bastare, ungevasi, e confricavasi, e in bagno freddo immergevasi, chiamando i bagni caldi vecchiezza dell'uomo (a). Essendo vietati i bagni 3gli Antiocheni pep le somme iniquit loro: A voi, dicqva, che malvagi siete, ha rimpradore con^sso che lungamente viviate ; ed agli Efesj, che lapidar volevano il direttore de^ bagni per non averli
(t) Il silenzio ordinato da Pittagora durava cinque anni. A chi osservato lo aveva quatti anni continui Apollonio non isdegn aprire gli arcani della sua filosofa. (3) Anche Omero nella jMiaife fa bagnar* gli eroi nell' acqua fredda ^ perch l calda affretta la vecchiaia e indebolisce lo membra.

FiMMiTur/, (cm. Z .

34

VITA DI AP&LHOMO TIANEO

riscaldati, diss e : Voi taat biasim o di lui d ite ^ perbh tddl Vi lavate , ed io di to i -perch vi lavate.

XViL Adoperava ih parlare non frasi gonfie e poe^ tiohe, n voci peregrine em al note, n aRettazioni pi che; wiehe^ g^udiando pocopiaeevale quel th e^edg^e tt(i tetnperato ^ttici^mo (:) ; n il pa^ar ^u &^d}&e settigKe^e divideva o prolungava , n abtm ! ud ^sodelld irtmia^ n ap^tpfar chi h8 ^aine^l disp3 u^^ s^^blfant) a gtii^a d'racoLo^ Pc^ : A & b#jt?&a ; r i& ?M 6 ^ bi*evl ^na pitziose erano le su F aenze, le p^r^idpp^apriati^sime e d^Venienti i soggetto , $ <jpn t# ^c^b & Vt, tfbe avisv del prinC^p^ec. In^ tTbgat# una Volta Ja uu di scoloro, ehs-dt ^utt' eurio^ hidte di^eutoh ^ p^er^hegtt pure non facesse qwal* cb^ tKih^nda, rispose : na/d prM7 M i A fRhft non fnygyt^ E chiederne dogM? cme adunque, o pbHonio, de didpRare un faggio? C yyy e , rispose ; perch Vigogna che il l^gislatore quelle cOse comandi ad attru{ , delle qUali egli nteHrtnht p&rsndo. F a liin r n o in ntichia le Occupazini di lui, e p<ef tal a a trasse que' cittadini, che erano da ogni dottrina alie'N 4 '.' ' H ISSH IH . 4M . (
X V III. Dopo ci risolvette in trap ren d ere un lungo ^(t) ^Ridevano i dotti antichi deHe aHettazioni de'grecisti cm noi italiani ridiamo ora di coloro che ornano gli scritti lofO

Ccn /e & M C M n * e

LIBRO I 35 viaggio, c determin di andare in India, e visitare i sapienti che col sono, che Bracmani e Germani si ehia* m ano, dicendo convenire ad un giovane il viaggiare^ ed in straniere terre istruirsi (i). Deliber inoltre di vi sitare i Magi, che sono in Babilonia ed in Susa, e della sapienza loroarricchir P animo. Ai discepoli suoi per^ tanto, che sette erano, il suo pnsier pales ; eten* tando essi di induacoa tutt' altro, onde da tal propo-^ nimehto ritrarlo, cos Jtsse loro : Zo mi iono co^ y a f* ^ poAywtd Ao/ , per y r prupa je f w iiw ^M*g come iZ mto a t ^ a r ^ p ^ * p S po sto ; jrefe, w , d t% :o me an^r cfo^e % t lyap^M e #/ ^femowi w am^Mhranao. E cos d^ Antiochia partissi, icon dne famigli soltanto, suoi compatrioti, Pun de'qaaH era eccellente nella prestezza, P altro nella beBezza ^delIb ^criw ej XIX. Giunse pertanto ad^n^ca ei^t di Sino (a), dove ossecr innalzatauna sttua con vestimento alta foggia bayba-a. Rappresentava Io 6glia di Inaco ; sulle cui tempia spuntavano due piccole corna, qusi ap-* penasb^cciate (3). Standosi a riguardare la statua, e di essa volgendo in mentti ehe q^ei profeti e sacer-* doti pur non pensavano) gli sopr^gginns Damide, nativo
(* QufPtO pop^rpn^ AppUpjjdo nella sua ^ua^jLesima settima epistola. (s) la chiam Tacito nel m degli (3) ^ dalia gelosa Giuqone cangiata in candida vacca twtt i mitograR conoscono.

36 VITA DI APOLLONIO TIANEO de! luogo^ quel Dmide , che sin da principio disisi es sergli stato compagno di viaggio e di dottrina, ed ampi& memoria averne tramandato. Prso d'amore per lui, e smamioso ^ti viaggiare, g!i disse: Noi partiremo, tu dag!i iddj guidato, io da te ; n ti riescir mutile , p e r ^ , se non altro, il cammino di Babilonia conosoo, e di tutte le citt e villaggi quanto vi ha di meglio, essendo-? ne io poc'anzi tornato; e tutte !e lingue di quei bar* bari intendo, cio degli Armeni, de' Medi, de' Persi y e de'Cadusj. Anch'io, gli rispose Apolionio, tutte que ste lingue so , quantunque non le abbia imparate (!) ; di che il Ninio maravigliandosi ^non istupirti, soggiunse, che io conosca le lingue degl^ umini, perocch anche i loro pensieri comprendo. Ci ascoltando !' Assiro, inchinoglisi, e quasi demone 1' onor, e si della sua dottrina, al!a quale ader, si ammaestr , che quanto ne udiva ritenne a mente. I! favellare di modesto Assiro era mediocre, ma le be!!e maniere deUo stile negligentava, come colui che tra'barbari fu allevato; era per capacissimo a raccogliere e in commentarj descrivere le cose che di giorno,in giorno avvenivano, e in conver sando facevansi, e eh' egli vedeva ed udiva ; giovando per tal modo non poco ai aortalL A questo fine scrisse un opuscolo Z7 e#e , ove scorgesi nulla avere ignorato Damide di quanto ad Apollonio spettava, avendovi notato ogni suo menom fatt, gni suo detto. Piacemi rammentare !a risposta ch' ei diede
(!) Ebbe per bisogno di un interprete quando abbopcossi a Fraote, come si vedr a! xxvn.

LiBRO I. 3y ad uno che di quel suo lavoro !o riprendeva. Costui scioperato ed invidioso dicevagli avere ben fattto a raccorre le opinioni e sentenze di tant' uomo, meritevoli di lode, male per di avervi; inserito ogni piccolo fatte rello , come cagnuolo ohe sotto la mensa abbocca i mi nuzzoli che ne cadono. Damide gli rispose: Se conviti degli iddj sono i contriti di Apollonio, e se gR iddj se ne cibano, i valletti debbono abbadare che nessuna particeMa d'ambrosia che ne cadesse vi vada a male. Trovatosi pertanto Apollonio un siffatto compagno ed amico, seco gran parte della sua vita pass. XX. Andati dappoi nella Mesopotamia, e giunti alla citt di Zeugma (<), il gabelliere chiamatili al suo banco chiese loro che roba portassero. ^Porto , rispose Apol lonio, /a gHMttzta, /a /a oon/o /Ertezza , fa fo//eray!M, e pi altri nomi aggiunse tutti de! gehere femminino. Quegli allora, in tento al suo guadagno , gli disse che i nomi scrivesse di codeste ancelle: Ohib, Apollonio rispose, padrone e non ancelle sono queste che io conduco^ la Meso potamia rinchiusa fra il Tigri e l ' Eufrate, che escono da!l?Armenia e dalle radici del monte Tauro, e la pro vincia contornano, nella quale sono alquante citt, e villaggi moltissimi. Armeni ed Arabi vi soggiornano, circondati dai fiumi, alle rive de' quali parecchi vanno errando ; e par loro di essere in una isola, e quando pervengono ai Rumi credono vedere i! mare, giudicando
(<) Strabone al principio del lib. xvt, e Plinio nei cap. 5 det Hb. v e altrove , notano questa citt, dove solevasi passare l'Eu frate. Le rammentano eziandio Pausania, Dione , Lucano, ecc.

38 VITA DI APOLLONIO TIANEO che i ldi ne (ormino il confine. Que'Rumi in ftto dopo aver circoscHtto ^ come dissi, il paese in uno stesso mare defluiscono. Avvi chi dice che gran parte dell' Eu frate venga divisa in tante paludi, e che in que'terreni il suo corso finisca. AJtri pih arditamente parlandone vuole che dopo aver camminato sotterra ricompaia in Egitto, ed ivi al Nilo congiungasi. Per la maggiore esattezza deHa storia, e per nulla omettere di quanto lasci scritto Damide^ io tutto questo ho narrato, e mi prot poneva eziandio raccontare di che fra que' barbari si occupasse Apollonio ; ma a cose maggiori e maggior* mente stimabili il mio soggetto mi chiama. Due cose tuttavia pretermetter non voglio!, cio il coraggio di ApoHouio nel viaggiare tra mezzo a popoli barbari, in* destati da ladri, e non peranco sottoposti al dominio de'Romani; e la sapienza in cui tanto alla maniera degli Arabi li avanz, che apprese a intendere !e voci degli animali ; e questo impar mntre appunto viaggiava Ira gli Arabi , che egregi e pratici sono in tale scienza (i)$ dicendosi comunemente che in quel luogo gli Arabi flal canto degli uccelli conoscano le cose avvenire, e ne ricavino gli oracoli ; e che le voci de' bruti capisca* n o , o*mangiando il cuore di un drago, come vogliono alcuni, ovvero il legato, come altri dice. XXL Passata Ctesifonte, ed entrato ne' confini di Babilonia, si abbatt in guardiani ivi pure dal re stabi liti , che non lasciavano passare alcuno senza prima in(!) De* popoli che avean fama di intendere il parlar degli uc celli veggasi ira gli altri Cicerone nel lib. n, cap. 4 ' * J%NGli Arabi vi son pure compresi.

L1BR0-I. 33 terrogatlo ehi fos^e ,d i qua! p^e^e , n pprch venisse. Capo di ta! guardiani ^ra uq di que' Satrapi che chia? mausi occhi de! re. Avendole il Medo (^conquistato poc^anzi i! principato, vivea con timore, e de' falsi e de'veri romori sospettando ^gualmen^, stava^i pauroso c tremante. Apollonio dua^qu^ ^ i suoi compagni; ven^ cero condotti innanzi al satbapa. Stava egli per caso intento a farporre il coptertoio ad un carro, preparane dosi a partiw^ e veggeado Apollonio cos macilento^ gett un grido, come timida dpnRicsiuola, e si coperse i! viso, c appena di schimbeseio gnatamMo^ oon$e ad un demonio parlasse , da chi sei qui ^andato ? gii chiese. CuLApoMonio: Da me medesimo, risposa, qudndo per, non accordandolo voi, si possa ci fare. Il satrapa domandgli aRoa-achi foss' egli<-che i reali conRni avea sorpassati; ed Apollonio rispose: Mia l'universa terra, e posso liberamente andare ovpnqae mi piace. Ci udito, male !a passerai, disse l'al&ro, se pi chiamo non parli; ed Apollonio: Guardati daH'usarmi violenza, o avrai colle tue mani stesse a punirti. Stupefatto l' eunpaot, udendolo s& chiaramente e fatilmeute e senza interprete rispondere ^ ma 4^i sei, per dio? gli diceva con voce pi mansueta e dimessa. Rispose allora ApoHomo : Ora che affabilmente e pulitamente mi interroghi, ascolta chi sono : Apollonio tianeo son io , il mio viaggio & di(:) Bardane deHa stirpe degli Arsacidi, qui cHccsi mr^do, ben ch fosse persiano , perch fu pritha quella maarchia conquistata dai Medi sugli Assirj , poi dai Persiani sui Medi. Intorno a questo Bardane si possono consultar Tacito, Giuseppe Ebreo, e TiHemont, che meglio d' ogni altro ne parlano*

4o VITA DI APOLLONIO TIANEO retto ai re deli' India, per conoscer quei siti; e vorrei pure il tuo re visitare, dicendosi da chi seco parl, non essere un trist' uomo, seppure egli quello Stesso Bar bane , che il regno poc' anzi toltogli ha test ricupe rato (:). Egli desso, o divino Apollonio, rispose il satrapa; ed gran tempo che udimmo parlar di te , e il re medesimo ad uomo della tua sapienza far onore, e del vostro viaggio nell' India si prender pensiero, e accorder un camello a ciascheduno di voi ^ intanto io di venire in **ia casa ti prego, e queste ricchezze ti of fro (mostrandogli s dicendo una quantit d'oro ), ac ci tu ne pigli quanto ti piace, non una volta soltanto, ma ben anche dieci, se il vuoi. Ma ricusando Apollo nio i danari, almeno, continuava 1 *altro, questo vino babilonese accetterai, di cui fa il re somministrare ai suoi satrapi dieci misure ogni giorno, e cos questi pezzi arrostiti di maiale e di capra, e farine e pani, e quanto ti aggrada 3 perocch nel cammino che sei per fare ca piterai in ville moltissime, ove difEcilmente troverai da jmangiare. Poscia tutto ad un tratto 1' eunuco s mede simo rimproverando, sciam : Che ho io fatto, o dei ? ^:he sapendo che quest'uomo non si pasce di carni, n bee vino, fa d'uop di pi grossolane e rozze vivande provvederlo ? Cui rispondeva Apollonio : Al mio vitto
(t) Gotarge, padre di Bardane, secondo GioseHo, ovvero fratello, secondo Tacito , Io avea poc' anzi cacciato del regno ; ma egli pot col valor suo riaverlo. Nel tom. 5 * della /?a jyneca dell' illustre Ennio Quirino Visconti se ne h& l'efEgie, come qui contro. Tiensi ivi per fermo, che Artabano fu padre s di Bardane che di Gotarge.

jOeMMSiene Je//e

W. H tipo del diruto rappresenta il busto di Bardane in giovenili sembianze e con corta barba. 11 tipo dei rivers indie* una citt personificata in piedi innanzi al re seduto sui tro n o , e gli presenta una palma. L'epigrafe dice: BAEIAE^y #^SAKo^ tvEPrETOw AIKAIOY Em ^A NO Y S ^^EAAHN^^; re ^ jaca JE^crgefe Gwjfo am/co Si legge nelPesergo iln o m e d e l m eseY IIEPBEPEw ^v e nel campo i caratteri ANT che segnano 1' anno 554 dell' era dei Seleucidi. Questo medaglione del secondo anno del regno di Bar dane , e la paima che gli si oSre allude verisimilmente a* suoi primi vantaggi contro Gotarge, ed al riducimento all'obbedienza della citt di Seleucia. N. 2 . E una semplice dram m a, per sommamente osservabile per la singolarit della sua epigrafe. L ' efHgie di Gotarge si di stingue per una lunga e maestosa barba ; la benda di cui cinto il suo capo appiccata sul di dietro per uno di que'gran cappi, che osservansi pure sulle altre immagini dei re de'Parti. Sul ro vescio, che nel tipo conforme alle altre dramme di questa serie, si legge : G otarge, ./?yKo re ^ rsa ce , e . TOTEPZHy BAZJAE^^ APZ^K^v YOX KEKAAOYMBNO^ APTABANOY ; e nel campo si vede una grande spada ed un monogramma. Questa medaglia stata verisimiimente battuta in occasion di guerre civili, e dal competitore di Bardane fu sostituita ai titoli ordinarj di E pifane, d' Evergete ^ e di Filelleno, che nulla quasi pi significavano , la menzione dila sua origine, ed i titoli che lo autorizzavano a sedere in trono a danno di suo zio. N. 5. Appartiene evidentemente allo stesso principe Gotarge , ned osservabile che per ia scorrezione dell' epigrafe, che pu

,& M R .

dirsi barbara: sono in quella accennati il nome ed i ttoli * % ef re dei re ^ryaee l&ergefe G /M Ffo ^jpi^we FY/e/feno. BAZIAEQS
BA3IABDN APIANO IYEPrBTOY AIXAIOY Bni^ANOYZ *1AiAAHXOI.

N. 4* Bel tetradramma delio stesso r e , come dimostra la sua eCge ivi espressa. Il rovescio oltre ai nomi ed ai ttoli de/ re -^rgace ^ergefe GiMjfo ^p^/Me .Ft7e//e/io BAXIAEOS BYBPrEtav AlKAOl EmOANOv; ^^ABAAH^y presenta il tipo ordinario dei tetradrammi e 1 ' anno HNT , 358 , dell' era senza dubbio dei Seleucidi, il quale ebbe principio nell? autunno dell ' anno 799 di Roma, e corrisponde , nella sua maggior parte, all'anno 47 dell'era volgare, epoca dell'ultimo inalzamelo di Gotarge al trono dei Parti dopo la morte di Bardane.

LIBRO L

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poca cosa bastar: so! che hi nM dia pane ^d erbaggi. D arotti, riprese 1 ' laltro ,p n fermentalo , e dattili d palme vermigli e aissai grossi, e di queM'^r^e, che H Tigri (a crscere megK prti suoi. A m e, soggiungeva ApoHonio, pi piccion !e agresti, e spontaheamente nate, che quelle O rzate a nascer daPwte. Ti son pi grate? ripigli il satrapa ^ as sappi che ii nstro terreno fino a Babilonia essendo abbondante diassenzio, & s che le erbe vi crescono poco grate ed amare. Aggrad aMor Apollonio T oerta de! satrapa, e incamminane dosenie : Amico, g!i disse, d'ora innanzi fa di ben co* minciare e non soltanto di ben nir; rinfacciandoci per tal modo quei ma/ & : pasfa/w , e leaitr* paroe che sdegnato barbaramente avea dette. XXII. Com'ebbero camminato venti stadj, si avven nero in una leonessa , dai caeciatwi uccisa, di cui non videro mai la maggiore ; intomo a!!a qua!e gr^n rumore facevano !e persone dal viRag^o accorse, e i cacciatori medesimi, qnasi riguardandola coma cosa miracolosa. E fu senza dubbio un miracolo , perocch nell' aperto^ g!i ventre ot^o lioncini portava. I! partorire deHe lionesse accade n! seguente modo: stanno gravide sei mesi, e tre sole vo!te partoriscono, tre figli !a prima, due !a seconda, e se avviene che partorisca la terza un solo ne fa , pi grande, per quanto io s , e di pi feroce indole de'primi(!). Nessuna fede s deve prestare a chi
(<) Aristotile, Eliano, Appiano, PHnio, ecc^ scrivono che la leonessa partorisce cinque volte , facendo cinque figli nel primo parto, quattro nel secondo, e cosi uno di meno ogn*altra volta

43 VITA DI APOLLONIO TIANEO dice che lioncini uscendo dal inatcrno utero ne sbra nino !e interiora ; veggendosi che tra il generante e M generato passa na reciproca corrispondenza , per la quale: ^i conservan d le specie. Gnardaia Apollnio la fera, e atato alquanto sopra (di a ? ! O Damide ^ disse, il tempo del nostro pellegrinaggio al Te durer un a^o ed otto mesi, n egli avanti questo tempo ci congdeM, n ni potremo partirne prima; e ci, risptto ai mesi, dal numero di questi lioncini ricavo, e;rispetto all'anno dalia leonessa ^ perocch le cose perfette debbphai con altre perEett comparare* Cosa signiRcarono , rispose Damidc^i passeri menzionati da Omero, che in Aulide il j&ragone ingioi in numero di ott, divorandosi pel nono la madre ? Sdi che Calcante, fattosene interprete, predisse cl^e i Greci sarebbero rLmaatinove anni ^guer reggiar Troia (t); guarda pertanto che second Cal^cante ed Omero non abbia a durar nove anni anche M no&tro pellegrinaggio. Al che rispose ApoHonio: Orner dinttamente compar i passerini, che gi nati erano e vedevan la luce, agli anni; ma con qual principio con fronterei i queste imperfettee npn ancor nate besduole, e che forse non sarebbero nate mai ? Non facilmente nascono i mostri, e appena nati si estinguono. Credi alle mie parole, e andiamo a venerare con preghiere gli iddj , che tai cose palesano.
,

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sino a rimanersi sterile. I moderni naturalisti non sono di questo parere. (') Il passo qui citato d- Omero si legge nel secondo della Miade. '

LIBRO I.

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XXIII. Avvicinandosi a Cssia ( t) , regioneRnitima A Babilonia, gii venne da dio mandata nel sotmo que^ sta visione. Varj pesci, ri spinti dal mre e sul ierren boccheggianti, iagnavansi e piangevano a gmsa d'uo* m ini, veggendosi astretti ad emigrare dalle patrie sedi; e un delfino, che lungo il lido nuotava, pregavano di aiutar!*, propriamente oome gii uomini fanno che in esiglio il destin loro deplorano. Non ispaventssi egli di tal visione ^ ma sep stesso pens come gli fosse venuta e cosa significasse. Volendo poi fare paura a Damide , deHa cui timidit si era avveduto, tutto il sogno gli disse, e fnse dubitare che qualche malanno pronosticasse. Egli pertanto, non altrimenti che se le cose raccontate ve desse, grid, e ad Apollonio lo andar pi oltre dissuase, acci, diceva, noi pur non periamo come pesci fuori delle stanze loro, e molti disagi non ci intervengano in estranie terre, o caduti in qualche grave sciagura donde non sapessimo torci, non avessimo a supplicare alcun principe o r e , che poi ci spregiasse, come spregi* gli altri pesci il delfino. Sorridendo allora Apollonio : Aven^do tu codesti timori, gli disse, non ancor sei filosofo ; ti spiegher ben io quello che il sogno dinota. Questa regione di Cissia abitata dagli Eretrj, che qui Dario dall' Eubea traloc gi da pi di cinquecenti anni (a) $ ed essi ( come dalla visione mostrato ) si lagnano della cattivit loro, come pesci nella rete accalappiati e chiusi.
(n) Ora chiamasi il che Mona % pgfse <# CAiM, perocch Fica nella favella del luogo vaie paese. (a) DiHusamente questo fatto raccontano Erodoto nel sesto li bro, e Platone nel terzo delle Lfgyt.

44 VITA DI APOLLONIO TIANEO Par dunque essermi dagli iddj comandato, ora che qui son giunto, th io mi prenda pensier di toro, per quante posso ^ e (orse !e anime de^Greci, che a simi! destino soggiacquero, mi invitano a soccorrere questo paese, Divertiam dunque dalla via nostra, e informiamci uni* cament& ove sia il pozzo, intorno al quale essi abitano ; che dicono essere pieno di bitume, d'olio e d acqua, e quando alcuno vi attigue, e il terreno ne spande, ciascuno di que'liquori dall'altro si diparte e separasi (t). Che Apollonio deviasse nella Cissia, fu da lui medesimo affermato in ci che scrisse ad un sdRsta di Clazomene (2). Egli era infatto si gentile ed umano, che ap pena veduto ebbe gli Eretrj, di quel soRsta si ricord, e nella lettera che a lui diresse, le cose ivi osservate narr, pregandolo per tutta la lettera che le miserie degli Ere trj colla sua facondia palesi, e in palesarla non risparmj le lagrime. XXIV. A quanto si qui detto conforme ci che si trova scritto da Damide intorno agli Eretrj. Abitano essi nella regione dei Medi, a piccola distanza da Ba bilonia, dove uno spedito viandante pu arrivare in un giorno. Il paese manca di citt, perocch tutta la Cis-s sia di soli villaggi composta. ivi una razza d'uomini vagabondi , che raro scendono di sella. Il sito per degli Eretrj posto nel mezzo a tutti gli altri, ed cinto dal Rume, a guisa di un bastione, che dicono
(<) Questa fontana parimenti da Erodoto descritta nel succi tato libro, ove dice che gli Eretrj ne erano distanti 4o stadj. (2) Questi Scopeliano, la cui vita si trover fra quelle de'soHsti, che Filostrato scrisse.

LIBRO I.

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aver essi latt girare intorno al villaggio, onde alzare una barriera cntro i barbari abitatori diCissia.H ter reno abbondante di bitume, e le piante e P rbe mal vi riescono ed anche dmare $ breve quindi vi la vita deg!i uomini, perch le acque restano infette dei bitu^ m e, e profondamente si attaccano agli intestini. Trag* gono il nutrimento da viein poggio , poco al di sopr^ di quelPinfelice sito, ove seminano, e serve lordigra-j maio. Narrano essi aver saputo dai nativi del luogo, che settecento ottanta furon gli Eretrj Attivi prigionieri, non tutti per atti alle armi, essendovi in quel nmero e femmine e vecchi, ed anche, a parer mio, fanciulli. Gran parte degli Eretrj erasi rifuggita in Cafareo (!) e nelle montagne d'Eubea. Circa quattrobento di essi, e forse dieci donne, furon tradotti a Susa, gli altri, cominciando morire nell'Jonia nella Lidia , si estinsero nel venire condotti verso luoghi pi Alpestri A quelli qui limasti 1?indicato poggio somministrando i marmi, e parecchi ssendo pratici dell'arte di tagliar pietre y cosi vi edificarono tempj alla foggia greca, non che un foro, secondo il bisogno loro, e altari innalzarono, due a Dario, uno a derse, molti a Darideo. DaHa prigionia sino a Darido durarono essi attantott' anni (a). Seri(!) Notissimo promontorio dell' Eubea verso 1 *Ellesponto. (a) Chi fosse questo non facile il determinare. L'OR* manno nel suo ZaM/co lo dice prefetto in Persia ai tempi < % Tiberio e di Caio. Ala poi vedemmo poc'anzi che vi regnava Bardane. Oltre a ci la prigioni^ , degli Eretri ^yyenne r auoQ stesso della battaglia di Maratppa. M a da quest'epoca sino a h&o corsero ottanta anni, come qui si aggiunge; per conse-

46 VITA DI APOLLONIO TIANEO vevano a!l? usanza de'Greci, e nelle iscriziohi sugli an tichi loro sepolcri leggesi Ca/o ^ Cayo; greche parimenti ne eran le lettere^ aRermano per che ivi non nb videro prima di Eguali. Accordano poi ^i aver veduto piCafQ sulle tombe scolpiti, perch ogni Eubeo traeva sua vita facendo il nocchiere, o trafRcando di porpore; e ricordano il seguente che leggevasi sul se polcro di hlcuailor marinari^
f affc onde d<?/f O
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jo/cayhyMb , g/ c&/ara. ^ddw


,

^ add/o ^
<:& e

^ addio (M, w a r, cAe ^

caro.

Scrive Dmide che Apollonio que'guasti sepolcri Testaur e cdpeMjB,. che-libazioni e funebri riti vi celebr, non per uccidendo animali, n spargendo sangue, e che lagripiand e Altamente commosso, in mezzo ad essi c o a par : 6) J&iefyy y ^M t^a/capricc^o ^ vo: ^?er ^ , ywr
jepoZ^ g !^ e te ; FS^ co^ow ^&e v r *oypt#Fe?v p eri rono wforwo i&icM jdopo c&v ^ ^ep<Btr&wwo ( ^ e <yu#*Mt eMt go// ^ JE^^e^^p^^^'4 W 3o j 3t d/F. Lo stesso Apollonio poi sul Rnir

delia epistola, che al sofista mand, cosi scrive : io


gohz si arriva atl regno d! J^r^a^er^c che debb'essre 3 J% rr% d(?o qu? mb&ihato, fbrse cos dett perch figlro di ' (?) Allde l pugna' inavie prsso il borgo Artems ' belr Eubea, in edi lo spartano EuriMade scOnSsse Tarmta di Ser se, e i Persiani che vi ntorironb vennero gettati in mare, l^eg-* gasi tra gli'altri ETiano, ^ar. 7y^. lib. n, pag. 59 e seg., nostra ecHz.

LIM O 4y p6Mwrb, o &opc^^Mo ^ era aw w gMPme, ^ M o^ jEre#y , # procw^a^ g :o ^ / /ono, per ^vanfo pv# t^nfo 4 Mwurf! c&e a* 4^!^; E be iece ejg!i pici vivi? Ubando i lMtrb^ci, vicini u ^u p^ggi^ ove gi Erett^ seminavano, andare lu ta te a aaebheggayv^ !e mature biad^jei avendo e^si a qombaHwye cn !a ^amje^ veg^ genddsi tolti da altri i& utti iopo^ presen tossi cdfpe^ ^ ottenne ck essi s ^ ibsaerb d^^pMt Be padroni XXV. Le cose uMegH feceh BabUoutay e queUe pi^ degut: di memoria 'a Babilonia spettanti, trovo ebe ron queste. V^osjt ebe ic m^ra di Bbiinia montino ^ pi di m iM e duecento stadj (!) ; snate pi ^ u n ^ugero e mezzo (^), e ia^gha m enadiunjugero (3).Vi^se! jd mc^z l?Eu$rat^^ egualmente diUtio db ogni ^aAei^ soto H^wai pernii mirs^ihne^te costrutto^ che d meute eoagiugn i ydw^i PM J^ ^ s t i ^u!P uua e P !*. tra riva, t e ^ i&Ma ^ e a ^ q? accorge. Raccontasi che una do*Ma di Madia, diveduta ivi regina,, fabbric ^tt^^Rtimeykel^o^^ in cotai inod^ vbens-' sua 6ume & mai da 4^ pon^e riaito. Fattam^ muccbiar ;^!}e rive i ferri ^ i bitumi, e quan^altit mai termClwH^o g! uommiLtrevtb atti a far presdTM^Par equa, & HumeneH vwpia^ paM i vot ^ quan^d^ Paivco (t) Sessanta miglia & al.< (a) aoo piedi. (5) Ttppt ^W si ^pot^eMwo dh^ intom 'a BbHotM ht )ed aH e $u ^ r a , 4hi'pvSM dM Se a onPdnt^t^ c)^ che ne scrisse*^ aH itiicbijaH orv. M a l pRndpale s^rv&ione cade^ rebbe su ^ bw csM M M f cbe Mtea^pi di- Apollo^i^ questa gravide c!t^ , se a H w H O credere ^ bisogna pttr % tB& 6*gl!y,(njon altro delle antiche sue bellezze conteneva che i! tempio di <!M o.

48 VITA DI APOLLONIO TIANEO me fusecco, fece Scavarvi la terra aH' altezza di due oargi^yesorger fece da quella caverna, carne se dalla terra ishucciasaepo , due rocche pste ^a* due lidi ,.e queste di una? volta arm^laql pareggiava l ileitoidel Rame. Le fondamenta e imuri del cavo riusoiron std^ip gpMiy perodh P acqua non pote penetrare i bitimiy che anai yinfhrzaronsi e s^ impietrirono ; quindL fu ri messo in or^or Eufratei neleuolegnale ^ e in tal moda ^uei ponte s^Mst (). Le caserli sono cbperte d metallo, (che lungi risplende %!e camera, i gabinetti, i potatici sono adorni prted^ argent, parte di stoRe con oco^ ^ parte di schietto oro, a foggia dipitbure distrai hniio- J^ii drappi somministrarono L cpIaH le greche fa-* vle dL Andromeda, di iAmimnn^, ^ pi spesso di O^^eo; per^ch ivi in gran voga Qi&, forse per rispetto a!ia mitra ed alle fasce^ non certamente per la sua^mun sica e pe^ versi ^ co^ quali molceyagli aninu^ In u n o d i quegli arazzi,rapprescntavasi Datide, in atto di svellere dal mare l' isolNasso, e Arta^me alP assedio di Eretria , ie Je vittrie, dei re Serse Vedevasit altrofe la pppob$a Aiene, eie Termopila e ci che ogg^pure mayi gioMnente allo ingegno dei Medi si conf& , i &umi al di soprade? terreni , ;b il mre;congiunto con un pnte (3), e il monte Atos scavato. Dicono che Apollonio eptr Ci! che qui detto ) ohe una stradaMMerfanea^itnUe a quella chp tentasiora in Londra di praticare sot^o il Tamigi. Ne abbiada la descrizione anche prsse Disdoro Sieulo, lib, n , pag^ ^4^ del voi. t della nosA ra^edizione. (9) Di codeste storie serbo memoria Erodono nel sesto e nelrpU^V de\s^) UbrL (5) Il giogo dell' Ellesponto , dice il Bolce.

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tlJ&RO I. in un gabinetto, i! cui tetto fatto a vo!ta rassomigliava un cilo, ed era coperto d zaCBro, che essed una pitra azzurra, imita il colore de! cielo. Ne!!a parte su periore di esso vedevansi !e immagini dei !oro dei^ tutte d ' oro, e !ucide come astri. Ivi suole il re tener tribu nale. Pendeano da!!a volta quattro torciclli d'oro (i), che gli ricordano d'esser m ortale, e !o anmonisCno a non alzarsi oltre l'um ana condizione; e narrasi che i m agi, che circondano i! r e , !o consigliarono di farli ivi p rre , chiamandoli essi Kngue degli iddj. XXVI. Di cotesti magi ApoMonio raccont quanto basta, cio che conversando con essi qualche cosa ne impar e qualche esa insegn lorp. Damide per ignora di che favellasse egli co'magi, avendogli ApoMonio vie-* tato che gli fosse compagno quando andava ad essi ; dice nondim no, che !i visitava a mezzod e a me^za notte, e che avendogli una volta egli richiesto cosa gli paresse di que' magi, rispose che erano sapienti, tna non in tutto. Ma di questo parle^em poi. XXVII. Trovatosi adunque ApoMonio al!' ingress di Babilonia, il strapa che comandava la porta principale udendo eh' egli veniva per veder !a citt , gli pose in nanzi una statua d'oro de! r e , la quale chiunque non adorava, eragli proibito di entrare in citt (2). Quest'ob(t) MotaciUi, o squassacode altri italianamente chiamarono qnesti uccelli, che con voce molto simile alla greca chia mano i latini. Sono essi della famiglia de'picchi, e i naturalisti ne chiamano l 'individuo pteaj fonyM tJ&z. (a) L' adorazione che i re di Persia esigevano ricordata da gli antichi storici, s greci che latini.

(ont. A

So VITA DI APOLLONIO TIANEO bligo per non avevano i legati delP imperadore de'Ro mani; ma qualunque altro da luoghi barbari procedente, e di perlustrar la provincia desiderante, se pria tale onore alta statua nn rendea, incorrea neHa infamia, ove fosse arrestato. Vista egli dunque la statua, chi questi ? disse ; e sentendo essere il r e , costui, disse , ehe voi adorate, se le mie lodi meriter come uomo buono e giusto, assai maggior onore conseguir ; e si dicendo pass dentro. Il satrapa maravigliatosi io segu, e pigliatolo per la mano Io interrog per mezzo dello interprete chi fosse, di qual patria, di qua! professione, e perch venisse ; e le risposte di lui registr sulla sua tabella, non che 1' abito e il volto, e gli ordin che aspettasse. XXVIII. Recatasi egli tostament a certi, che chiamansi le orecchie del re (:), descrisse loro Apollonio, ed espose come ricus egli di adorare la statua del r e , e come per nulla ad altri uomini si assomigli ; ed essi gli ordinarono di condurlo onorevolmente a loro, e di non molestarlo in verun modo. Itovi dunque Apollonio, il pi vecchio di essi lo interrog, con qual fronte osasse fare a ire disprezzo; cui rispose: Io nessun disprezzo sinora gli feci; e soggiungendo quegli: Pensi tu fargliene poi? S per Giove, rispose, se a lui parlando noi tro ver n buono n probo. Seguit l ' altro : Gii porti tu qualche dono (2) ? S , riprese, gli porto fortezza, giu(t) Vedemmo poc'anzi alcuni satrapi detti occA* tfe/ r e , ora ne veggiamo altri detti /e oreccAte. D tali frasi orientali rendono testimonianza tutti gli antichi libri. (2) Scrive Eliano (%r. /jf., Hb. pag. 34 e seg. nostra ediz.).

JLIBRO1. stizia, ed altre consimili virt; Credi tu dunque, disse ii primo, ch'egH ne manchi, se dici portargliele ? Non, per Giove, rispose Apollonio, ma gli insegner almeno come abbia a<^ usarne, se pur le ' possiede. Appunto usandone, rispose il vecchio, il regno che aveva per duto ricuper, e con fatica e diligenza questo palazzo costrusse. Quanti anni son, interrog Apollonio, che riacquist il regno? Cominci il terz'anno due mesi fa, rispose P altro. Chinando allora gli occhi, secondo il solito, quasi per fede di quel che diceva, cos continu egli : S appi, o custode della reai persona, o qual altro piacciati d' esser chiamato, che Dario Rgliuol di Ciro e padre di Artaserse, tenne, se non m 'inganno, sessant' anni questo regno, e dubitando vicino il termine del viver suo , narrasi avere sagrileato alla giustizia, dicendole: O Mgfnore, % M a& iH% ue tM come colui che avendo gran tempo desiderato la giustizia, pure non l'avea conosciuta giammai, n ancora credea di possederla. In Atto s sciccamente i proprj 6gli educ, che vennero all' armi &a lo ro , e l ' un fratello rimase ferito^ l'altro ucciso (i). E tu pretendi che questo, forse non anco esperto ad occupar degnamente il trono, ab* bia tutte le virt apprese, e s lo innalzi pi de! vero? nondimeno, quand' egU a maggior perfezione condu casi, non mio ma tuo ne sar il vantaggio. A cotai detti
che nessuno presentavas al re di Persia, senza recargli qualche dono, foss' anche di pochissimo prezzo. (<) Forse alludesi qui ad Artaserse Longimano, il quale pri ma ancoraf di salire al trono uccise Dorieo suo minor fratello, come racconta lo storico Ctesia.

5i VITA DI APOLLONIO TIANEO il barbato (issando gii occhi sopra di lui, che vicin gli sedea, alcun dio certamente, diceva, ci ha questo buon uomo fuor dell' aspettazione mandato ; perciocch il buono col buon conversando, assai migliore far il re nostro, e pi continente e pi affabile, che ben tralu* cono dal volto di lui s belle qualit. Prestamente quindi nel palazzo inoltrati , si sparse la voce trovarsi dinnanzi alla regia porta un sapiente di G recia, un uomo da consigli. XXIX. Quando ne giunse l'avviso al r e , stava egli sacrificando alla presenza de' magi, che i sacri riti pre siedono. Un de' quali chiamato , si avvera, gli disse , il sogno, che oggi ti raccontai, quando venisti al mio letto a darmi il buon giorno. Il sogno che il re avea fatto era questo. Parevagli di essere egli divenuto Artaserse 6gliuol di Serse, e tutte le sue forme aver preso; temeva per conseguenza che gli soprastesse qualche gran mu tamento, deducendolo da quel cangiarsi di forma. Udendo poi che greco e sapiente era colui che si presentava, gli sovvenne dell'ateniese Temistocle, che in altri tempi venuto dalla G recia, di Artaserse divent famigliare, ed egli, quell' uomo egregio onorando grand' onore acquist. Stendendo pertanto la destra, chiama, disse, costui, la eui compagnia da buon augurio comincia, potendo prender parte nei sagriRcj e nelle preghiere. XXX. Entr Apolonio fra la calca de' cortigiani, i quali con ci volevano compiacere al re, veggendo che egli della venuta di lui rallegravasi ; e quando fu dentro }a reggia non lev pur gli occhi a nessuna di quelle cose che gli uomini sogliono ammirarvi, ma pass oltre come

LIBRO I. 53 un viandante. Anzi favellando con Damide: Tu poc'anzi (dicevagli) mi chiedevi qual^fosse il nome di quella donna diPamRHa, che dicesi essere stata amica di Saflo, ed aver composti gli inni ih onore di Diana Pergea (i), che si cantano co' numeri eolii e pamRlii. Il chiesi , ri spose Damide, ma tn non mel dicesti. Noi dissi, ei soggiunse, amico mio, ma i modi di quegli inni ti esposi e i nomi di essi m odi, e come quelli che con musica eolia erano prima composti ridusse ella ad una pi su blime, che quella che i PamRHi si appropriano (a). Voi? gemmo poscia ad altre cose il pensiero, e tu pi non mi interrogasti del nome di lei. Sappi ora che il nome di cotesta saggia donna DemoRla (3) , e narrasi che a simiglianza di SaHo molte vergini istruisse, e parec^ chie poesie componesse, parte amatorie, e parte in onor degli dii, e l'inno a Diana cantasi tanto coi modi safEci, che con altri. (Quanto adunque Apollonio fosse lontano dal farsi le maraviglie delle pompe reali, mostrlio col non degnarsi pur 3i guardarvi, mov^endo pa^ rola sovr'altri oggetti, come se li avesse sott'occhi. XXXI. Ma il re veggendol da lungi venire,.perocch
(1) Cosi detta dal culto che le si prestava nella citt di Perga. (2 ) Notisi questa erudizion musicale, della quale non facile trovare chi informi. 1 numeri o modi Pamflii non vennero per avventura cos chiamiti altrove , fuorch in PamiUia dove si trovarono. Probabilmente sono quelli, che ebbero poi nome di L'Olearie fa in questo luogo una dottissinm nota, cui rimandiamo i lettori. (5) Trovasi rammentata si da Platone nel , che da Eliano nella

54 VITA DI APOLLONIO TIANEO 1' atrio dei tempio era amplissimo, s pose a favellare a coloro che gli eran dappresso, e aflermare eh' egli quel! 'uom conoscea. Quando poi si fu avvicinato, ad alta voce sciam : Questi Apollonio ^ che il mio fratei Me gabete disse di aver veduto in Antiochia, riverito e onorato da tutti, e me lo dipinse tal quale or presen tasi, Approssimatosi egli e salutatolo , il re gli parl greco, e lo invit a sagrifcar seco lui. La vittima al Sole dedicata era un cavai bianco, de' migliori di Ni* aa (t), tutto bene arnesato , cme in tempo di pompa. Ma Apollonio rispondendogli : T u , o r e , sagrifca alla tua maniera ^ e a me di sagriRcare alla mia concedi ; prese l ' incensiere, e disse : O <$oe, omin^ne a te , o a m e, piaccia J i Jir^erm i,y cA e io ^ef!gacoao^cMto Ja^ii Momiai ^Mowi^ poicA n i cattici amo io t% i co^ojeere ^ amo cAe mi coaoyeano ; e si dicendo pose sulle brage l'incenso, ed osservando a qual parte il fumo ascendeva, in quale apparisse pi denso , e a quant'altezza salisse, e sin dove, e rilevando che buon augurio indicava (2), e che puro o#eriva$ij disse: Za ora, o re, JcccnJo iZ cortame ^ei/a tua patriaya i/ ^agr^?jio, c%e io iecoaJo i miei /'Ao compiuto; e dopo

(w ) De'cavalli di Nisa parla a luogo il Brissonio nel terzo libro I campi Nisei abbondavano dell'erba, che boi chiamiamo , ottimo pasto ai cavalli. (a) Spettano alla scienza divinatoria (che fa parte della dottri na di Pittagora) le osservazioni sull' alzarsi del fumo degli in censieri , sul conglobarsi, volgersi a destra o a sinistra, ripiegar verso terra , ecc. Gli antichi poeti ne offrono parecchi esempi.

LIBRO I. 55 ci partissene, per non partecipare a veruno spargi-, mento di sangue (i). XXXII. Torn dopo il sagriRzio, chiese al ^e, s'ei conoscesse perfettamente la !ingua greca, o tanto sol ne sapesse quanto bastasse ad un complimento^ e per non parere meno gentile, se greca alcuno gli si presen tasse. Io la conosco , rispose il re, s perfettamente co me !a mia; ma dimmi ora ci che tu brami, che di ci mi prem interrogarti. Di ci appunto, rispose ApoHonio, mi piace informarti ; odimi adunque. Scopo del mio viaggio l'in d ia , ma non volii passa? oltre senza vederti, tanto pi che intesi esser tu tale ^ qual ben veggo che sei ; bramoso pur sono di informarmi della patria vostra, degli studj che questi magi coltivano , e se tanto innanzi sieno essi nelle scienze divine, come ne corre la fama. Quanto a me,, io professo la dottrina^ di Pittagora da Samo, Lqual m'ha insegnato a onora-* re gli iddii nel!a guisa che vedesti, e con la mente in tenderli , sia chp si rendano visibili n o , e spesso fan vellar seco laro (a); e m 'ha insegnato di iquesta st(^3 ^ coprirmi, che nata dalla terra, non gi tosata a!!e ^,
() Che i Pedani sagriRcassero al Stole i cavalli da molte testimonianze di chiari autori provato. ^ ' (a) I PiUagorici non solo* clas^i6cavano in pi ordini gli id di (di che veggasi. fra gli altri lamhlico nel libro ma pretendevano di aver commercio con essi. Apol lonio , come vedemmo, ha ripetutamente fatto menzione et suo demone ; e sappiamo che altri anche ne* moderni tempi asseri rono d essere onorati della famigliarit di cdeste n&rori di vinit.

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VITA DI APOLLONIO TIANEO

pecore, ma pura e da puro principio venuta, essend'el* !a di !ino, che da!!' acqua e dalla terra deriva. De! mio portar lunga !a chioma mi pur maestro Pittagora, e che mi astenga dal cibarmi di carni pur sua dottrina. Per Io che n con te n con alcun a!tro sar io con&pgno o ne! bevere o ne' piaceri. So poi liberare altrui da!!e gravi e dMEcili cure, perch non so!o ci che far si debba conosco, ma si pure antiveggo. Queste cose di tant'uomo s Damide scrisse, e s lo stesso Apollonio in una lettera alleg , come fece di pi altri suoi di scorsi. XXXIII. I! re pertanto dichiarandosi pi !ieto e con tento dell' arrivo di lu i, che se a!!e proprie ricchezze quelle avesse aggiunto dei Persiani e deg!i In di, volle averlo ospite suo, e ordin che alloggiasse nel reale palazzo^ Ed egli allora: Se io, disse, re, ne! caso ch& tu venissi a Tiana mia p atria, ti pregassi di rimanerti in mia casa, vi rimarresti ? Non certamente, rispose iL re^ a meno che non la trovassi tant'ampia, che ricever potesse i miei seguaci, !e guardie de! mio corpo, e me, secondo la mia dignit. Questa stessa, replic Apollo nio , ora !a ragion mia ; che male io alloggerei, se in una casa abitassi, superiore alla mia condizione^ pe rocch il troppo pi molesto ai sapienti, che non il troppo poco a voi. Abbimi dunque in sua casa un pri vato mio pari ; io per sar tco ogni volta che tu il vorrai. Ader dunque il re per non dispiacergli senza motivo. XXXIV. Alberg quindi presso un babilonese, uomo buono ed anche generoso. Mentre stava cenando giunse

. LfBROK 5y mancato dal re uno di quegji eunuchi^ eh isbglin annunziare i ^*eali comadi,;e a lu i rivolto disse ; H re dieci regali ti dona , e a^e lascia la (acolta di scegl^er^ i (:); ti invita pel a non cqrcr bagteUe ^ deaMe^ rando che la sua magniRcenza si renda & ) t e a tv t^ noi manifesta. Aggradendo ApoH^nio P a m b ascia , di^ mand : Quando avrio a chiedbrl^? dimani, risposi P eunuco ^ in d ip art, per avvisale g liam icie panent# del r e , acci fossero presenti alle cortesie: edioaofX? che disponevnsi per Apollonio. Scriva Damide. iatda egli tostamente pensato che ApoMonio non chiederebbe cosa alcuna, s perch ci poteva da sudi costumi in^e^ rire , e s per averlo udito ^ar questa prece agli iddii a Concedetemi ^o J ii, c^e Js poco io nii tcotaoni^ ^ nuiia mi #Mwogni. Veggepdvlo per tytiO) raccolto e sopra pensiero , stim che qualche cosa chiederebbe^ ci che fosse per chiedere avesse risoluto^ Ma ApoMonio^ venuta la sera, io sto , disse , pensando , o Damide!^ donde avvenga che i barbari credano casti gKi ebnubhiy e nelle stanze delle donne li ammeltanos. Questo ^ ri^ spose Damid ] !o^sanw anehe^^i Adornlli] ; poich taglio ha to}to di ess^ ltawo di; tenere ^ lro donessot di entrare nigMe atani^ deMe ^onn , e seco nchb dw t mire, se il vogliono.; Ma pensiitm, ri{MgE egli,, chaisia lor tolto P am ore, e il modo di' addinMSticar$i A e: femmine ? s P un che P altro , soggiunse Damide, per ch cessata in essi la forza di quella parte, che 1' estro
(*) Simili generose o#erte di d^e^r c^ ^he s! &tta dai re di Persia, e da aM ^Q^rehi^ or^Qtpli ;, ha ^pta^p 4 Brissonio nel lib. t , del ppera spyrac^^ta. ,

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VITA DI APOLLONIO TIANEO

della libidine nel corpo cagiona , non debbono Mentir amre. Egli allora, dopo un breve silenzio^, dimani, disse, Vedrai, o Damide, che anche gli eunuchi amano, e m w spegnesi in essi quel!a Ramma, che entra nel cor perigli pochi, ma ardente e gagliarda vi resta ( t) ; tal accidente sta per accadere, che titfa rr d'inganno. Suppni eziandio potier costoro avere in stta! foltezza valore da levarsi, dal cuore un cotal impeto; mon per* ci vuolii annoverare gli eunuchi fra i temperanti, pi^fh la necessit quella che ad esser casti li sforza, e a non amar H violnta. Quella temperanza , quando uo desiderando e sentendo gl* stimoli, pur sd dalle lascivie astenersi, e doma la furia loro. Rispondendo aMora Damide; disse : Noi ragioneremo di ci un-al tra volta, o Apollonio; ra giova riRettere alla rispsta che darai domani alle magniRche proferte del re. Forse non vorrai cercar nulla; ma come 1 ' oserai t u , a rischio che a superbia non ti si ascriva il; riputare i doni del n,? A questo pensa, a questo rifletti ^ricor^ dandoti in , qual paese siat&o, e che ogni ateatra sicu* rezza riposta nel rb. Oltre a ci hassi ad evitar la ca lunnia di riRutar per disprezza; e con^ien pensare che siamo bens provveduti di vettova^ie quanto bastai per andar sino all'I^die, ma che non ne avremo pel ritor no , n sappiamo da chi sperarne* Con si^htto artiRzioi
(*) Della incontinenza degl! evirati si hanno a'tempi moderni, forse pi che negli antichi, moltplica prove. Anche ultimamnte venne e&a posta in canzone A *a noi con Una breve commedia attribuita ad^ Aristofane, intitolata il

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LIBRO I. 59 cercava Damide bellamente di indurlo a non isdegnare di accettare quanto fosse il re per offrire. * XXXV. Ma ApoMonio, come avess'aria di secondar que' discorsi, disse : perch non addaci qualche esea*pio? come que!!o che Eschine Rgliuol di Lisania navic in Sicilia per aver danari da Dionisio ^ e ohe Platone % anch'esso per amor di ricchezze tre volte misur la Cariddi. E Aristippo di Cirene , ed Elicone il ciziceno^ e Fitone che da Reggio fuggivasi, s ne'tesori di Dio* nisio si avvolsero ^ che a stento poterono aliontanarse* ne. Narrasi anche di un Eudosso gnidio , che and M i Egitto, e confess d' esservi andato per far danari, e ai re stesso lo disse. E per non accusar- trppi Altri, dicasi di Speusippo ateniese , ^he am pr tal nwdo ilidana^ r o , Rno a recarsi m Macedonia alle nozze di CasRann d ro , a guisa di giullare^ fredda poesie pouM^rvi, Iq quali in pubblico recit , prendendone pagamento (). Ma io stimo, o Damide, che l'uomo saggio sia soggetto a pericolare pi de^paviganti e de'soldati ; perocch l'invidia il persegue se parli^se taccia, se stia sul grave? o se ischerzi ^ se qualche cosa t^ascuri , o se P intra-! prenda , se nc favelli 0 se l diss&puili. Fa d^uopo adn^ que all' uom buono di starsene in guardia^ ed avvertire che quando vincer N i lancia o dalla pigrizia o daH' i^t o dall' amore o dalia crapula, o se qualche mancanza da stordito commette, trover forse perdno ; ma se aNa cupidigia del danaro si d ia , nessun perdono, anzi odio
(!) TutC questi nomi e fatti sono pi stesamente rammemo rati da Diogene Laerzio, e da Snida.

60 VITA DI APOLLOMO TIANEO m eriter, come fosse d tutti i vizj macchiato ; perch nessuno il reputer schiavo del danarp, che noi sia pur deHa gola, del lusso, dei vino, e de! libertinaggio. Tu dirai forse esser pi to!!erabi!e il far ma!e azioni in Ba bilonia, che non in Atene , in Olimpia, o in De!fo; e non Consideri he alPuomo saggio gni luogo Grecia, e eh'egli pon dee riguardare nessun paese come barbaro e deserto: chi vive sotto gli occhi della yirt, che a pochi mortali li vo!ge , que' p och i eoa centuplice sguardo osserva. Se tu ti abbattessi, o Dam ile, in uno di quegli atleti, che fanno il mestier deHa lo tta, i! qua!e avesse combattuto ne'giuochi olimpici in Arcadia , lo stimerai tu dover del pari forte ed abile riuscii re , ov'egli si cimentasse in Pizia o in Nemea, i cui spettacli sono iHustri, e presso i Greci in maggior pregio ? E supposto che per !e espugnate citt Filippo, o i! Bgliuo! suo Alessandro, ordinasse, onde celebrar sue vittorie, un egual gioco, pensi tu che egli con mi nor diligenza disporrebbe il suo corpo , e fsse men bramoso di vincere, perch non fra i Greci e n4* stad^ loro, ma in Olinto, o in Macedonia, o in Egitto avesse a far lotta? Raccolta Damide che rimase cosf confuso per questo discorso, che arross di; ci che avea detto , e ApoHnio preg di perdon s e , aon ancora ben c-t noscendo lo ingegno suo , fu ardito di consigliarlo e persuaderlo in ta! guisa. Co^fortllo Apollonio, e : Sta di buon animo, gli disse, che io tutto ci non ho detto per rimproverarti, ma s per ispiegarti !a maniera mia di pensare. XXXVI. Trovato T eunuco ^ e invitatolo di andare al

LIBRO I. 6! re : V err, rispose, tosto che le icose sacre s^vr conve nevolmente adempiute. Fatti pertanto i sagriRcii e i prieghi, andssene, traendo a s gii occhi di tu tti, per la nobilt dei portamento e dei contegno. Entrato eh' ei fu , il re g!i disse : Io dieci doni ti accordo, perch ti stimo il pi grand' uomo che mai di Grecia in queste parti venisse. Cui rispose egli: Non li riputer tu tti, o re; ma uno con ischietto animo te ne chieder^ che mi terr luogo di pi diecin d'altri ; e tosto diessi a trat tare la causa degli Eretrj, da Datide incominciando. Io ti prego, continu, che tu non permetta che quei me schini vengano dal terren loro e dalla loro collina espulsi, ma che loro accordi di abitare quella porzion di paese, che gi Dario concesse; tropp' aspra cosa es sendo dopo aver perduta la. patria non goder ci che altri ha dato in vece di essa (:). Annuendo il r e , cos rispose: Gli Eretrj si mantennero Uno a ieri nemici osti natissimi de'miei maggiori e di me, e tempo fa con l'arm i ci invasero; per la qual cosa nessun pensiero pi se ne prese, ad oggetto che la razza loro si perdesse del tutto. Ora per che voglio annoverarti tra gli ami c i, assegner loro un satrapa, uomo di senno, che le cose loro porr in buon ordine. Ma tu , soggiungeva, perch gli altri nove doni non chiedi? Perch, rispose, io non nai sono per anco acquistato verun amico in questo luogo. E replicando il re : Ma tu non hai biso gno di nulla? S certo, rispose ; di cibi incruenti e di p an e, che me saporosamente e riccamente alimentino.
(<) Notammo di Sopra 1' epoca di questo fatto. La intera sto ria di esso convien vederla in Erodoto, nel lib. vi.

6* VITA DI APOLLONIO TIANEO XXXVII. Mentre cesi tralo ro ai favellava, un gran gridore s ud nel palazzo ^di donne e d' eunuchi. Era stato preso un eunuco, trovato giacersi con una concu bina defi r , e intorno al serraglio pei capegli il traeva no , come usano i servitori reali. Il pi attempato degli eunuchi narrava essersi da pi giorni awedutp che colui per quella giovane ardeva, e avergli ordinato che non le parlasse, n il collo o la man le toccasse, e che dal servir lei sola di .quante eran l dentro si astenesse, ed ora averlo trovato giacer con ssa, e farle ci che gli uomini fanno. Apollonio gr& 1 ' occhio a Damide, per indicargli avverato ci eh' e disse quando insiem dispu* tarono dell' amore degli eunuchi. Ma il re volgendosi a color che inoltravano disse : Non sarebbe decente, che essendo alla presenza nostra Apollonio, noi, e non egli, di questa immodestia giudicassimo. Che pena adunque assegni, o Apollonio, a costui ? Che altro di* r io , rispose Apollonio, se non eh' egli viva f la qual sentenza fu contraria alla comune opinione. Il re fattosi rosso : Non ti par egli, disse, che una sola morte non basti a chi per tal modo il mo letto viol? Io , sog giunse Apollonio, non ho inteso col mo giudizio di dargli perdono, ma bens tormento; perocch rimanen do in vita lo sciagurato, ricordevole di ci che non po t conseguire, non trover n cibo n bevanda che pi gli piaccia, n le feste, che te e i tuoi famgliari diver tono; all'incontro gli affannosi palpiti del cuore noi la sceranno prender sonno, come odo accader sopra tutto agli amanti. Qual martirio adunque non porter seco costui? qual peste non gli roder le viscere? st certo,

LIBRO I. 63 o r e , che s' egli non nn d coloro che aman troppa la vita, (mira per pregarti a farlo mor!re, o si procu rer da s ptesso la m orte, spesse volte questo d 'be stemmiando, in cui noi facesti subitamente morire. Tale fu la risposta di ApoMonio, che s prudente e sa via al re parve, che a norma di essa, sciolse dalla pena^ di morte 1 *eunuco. XXXVIII. Piacendo talvolta al re di andare alla cac cia , com' usa in que' paesi, ne'quali si hanno i parchi, ove feroci leoni ed orsi e pantere si conservano, invit ApoMonio che si disponesse seguirlo. Ma eg)i : Ti sei tu dimenticato , o r e , gli disse, che nemmeno a' tuoi sagriRcii voMi assistere? O ltr'a ci non cosa assai pia cevole lo insidiare alle fiere gi miseramente afBitte, e contro la natura loro tenute rinchiuse. Altra volta di mandandogli il re con qual regola potesse stabilire e si curo sostenere il regno, Apollonio rispose, molti ono rando , ed a pochi credendo. E avendo il preside della Siria (i) mandatogli ambasciadori, a cagioh, credo, di due villaggi vicini alla citt di Zeugma, acci riferissero che gi furono ad Antioco ed a Seleuco soggetti, ed ora a lu i, per essere nel dominio de'Romani $ e che n gli Arabi n gli Armeni non avevano mai recato ad essi molestia, ma oggi per aver essi di molto i suoi confini ampliato, quelli pure si era presi, come se al suo dominio, anzi che a quel de'Romani, spettassero. Il r e , fatti allontanare gli oratori, disse ad Apollonio : Codesti viUaggi furono dai re, che costoro nominarono,
(i) Era la Siria a que'giorni provincia augusta del romano impero.

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eednti a' miei antenati , per ivi serbar quelle Cere, che da HP$ prese di l dell' Eufrate, sono ivi custodite ; ma coistoro, come di ci dimentichi, nuove e ingiuste pre tese van macchinando. Capisci tu quel che si pretenda quest'ambasciata? Io, rispos'egH, !a trovo, o re, mode rata e giusta, dacch que'luoghi che contra tua voglia poteansi tenere, perch gi posti in loro domimo, preferiscon di possedere per concession tua. Dopo ci soggiunse non convenirgli, per cagion di villaggi, di che forse gli antenati furon padroni, trovar contesa coi Roman!, non avendosi a romper guerra nemmeno per gli antenati. Caduto poscia il re infermo, e visitandolo Apollonio, tanti e s divini discorsi gli tenne intorno alt'anima, che il re sospirando disse agli astanti avere Apollonio fatto s che non il regno soltanto, ma anche la morte sprezzava. XXXIX; Un d mostrandogli il re la strada aperta sotto l ' Eufrate, e chiedendogli che gli paresse di s mirabile opera (:), Apollonio la gonfiezza di quelle pa role rintuzzando disse : Maggior maraviglia sarebbe , o r e , se s alto fiume e di guadi privo passasti a piedi. E un' altra volta mostrandogli le mura degli Ecbata(<) Notammo di sopra questo sorprendente esempio, lontano da noi gi da venti e pi secoli, dell ammirabile via, che si sta ora aprendo a Londra sotto il letto del Tamigi. Nondimeno pu darsi che qui forse non una strada si debba intendere, ma una anipia caverna per isfogo delle sovrabbondanti acque, giacch la risposta di Apollonio sembra escludere 1 *idea di strada ; ma questa stessa risposta accenna p lst possibilit di farla, o un concetto ad essa possibilit relativo.

LIBRO I. 63 ni (*), e dicendo essere quelle il soggiorno degli dii ^ rispondea, Che soggiorno degli dii non sieno egli certo : che lo sieno degli uomini ignoro, perch la citt de' Lacedemoni, o r e , non ha muro che la cinga (a) Nuovamente dando il re sentenze sopra alcune ville, e con Apollonio vantandosi che ad ascoltare una sola causa avea speso due giorni, Ben fosti tardo , quegli rispose, a conoscere ci eh' era giusto. Un giorno ve nuta di provincia gran copia di danari, il re mostronne aperte le casse ad Apollonio, quasi stuzzicandolo a de^ siderarne, ma egli di quanto vedeva non maraviglian dosi, disse : Queste, o re, sono per te ricchezze, paglie per me. E interrogandolo il re : Che debbo io lare per ben valermi di quest' oro ? Spendendolo , disse , da re qual sei. XL. Avuti parecchi di siHatti ragionamenti col r e , che volentieri a' di lui consigli aderiva, e trattenutosi pure quanto basta co' magi: Egli tempo , o Damide , disse, che partiamo per l ' India. Coloro che navigano al paese de'Lotofagi, dal cibo loro allettati (3) , pi non ricordan la patria; e noi, che nulla gustammo di
(!) Veggasi intorno a queste mura Erddoto ne Hb. i , e it sacro libro di Giuditta, cap. i. (a) Sparta non avea mura , ma gli uomini vi eran Rudissimi. Non tali dover essere gli Ecbatani, con tutti que* bastioni , pen sa in questo luogo Apollonio , pi da filosofo speculativo che da pratico. (3) Allude a quel tratto deir Odissea (lib. :x), ov' detto che i compagni d'Ulisse ricusavano di staccarsi dai Lotofagi, dov' erano s ben pasciuti. font. f. 5

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ci che qui abbonda, gi troppo pi dei bisogno vi di* morammo. T roppo, rispose Damide, a me pure pare va , ma sovvenendomi del tempo che tu nella leonessa leggesti, io aspettava che trapassasse; n tutto per anco trascorso, essendo oggi un anno e quattro mesi che qui giugnemmo; faremo per bene a partircene ora? Il r e , disse Apollonio, non ci lascerebbe andare se non compiuto 1' ottavo m ese, che ben vedi quant' benigno, e d'altro im pero, che di quel de'B arbari, meritevole. XLI. Stabilita del tutto la partenza, e avuta dal re licenza di proseguire il viaggio, ricordossi Apollonio dei doni che avea diferito di chiedere, Rao a che non avesse fatto acquisto d'am ici, per ci gli disse: Ottimo re, io n l'albergator mio corrisposi di verun beneficio, n di mercede i magi; vogli tu dunque aver cura di es s i, e in vece mia liberale ti mostra verso que' saggi ^ che ti son fedelissimi. Di ci senti somma allegrezza il r e , e gli rispose: Dimani ti mostrer costoro a invidiahi! rango elevati, e di premj grandissimi adorni ; ma tu , che di nessuna mia cosa hai bisogno, soffri almeno, che questi tuoi ricevano da me danari e quant' altro desiderano ; e s dicendo con la mano accennava Da mide e g!i altri compagni. Ma mostrandosi anch' essi a cotai parole ritrosi: Vedi tu , o re, diceva Apollonio, quante mani ho io , !e quali per sono tutte tra s stes se conformi? Per lo meno, soggiunse i! re, accetta uua guida a! tuo cammino, e i camelli che vi trasportino; perocch il viaggio si lungo , che mal potreste farlo tutto a piedi. A questo, rispose, non far contrasto,

LIBRO L

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giacche dicesi essere difBcile la strada a chi non !a ca valchi; oltre a ci , il camello facilmente si n u tre, ed agevole il pascolarlo anche dove non sia erba. Credo che in tal viaggio abbiasi eziandio a star provveduti di acqua , recandola pegli o tri, come si & del vino. Per tre giornate di cammino, riprese il re, il paese manca interamente d 'a c q u a , ma dappoi molti Rumi e fonti s*incontrano, tenendo la via del monte Caucaso, dov' abbondanza delle cose necessarie, e ospitalit. E chie dendogli il re qual dono al suo ritorno gli porterebbe : Un dono, rispose, che ti sar gratissimo, o re ; perch se il conversare con quegli uomini mi render pi sa piente , io torner a te miglior che non sono. Ci udendo il r e , abbraccialo ; e, vanne, disse, che un tal dono per certo mi Ra sopra ogn* altro carissimo.

DELLA VITA

DI APOLLONIO TIANEO

/JAHO -SFCOyVDO.

I. avvicinava P estate , quando s posero in cam mino , su! dorso dei camelli, s essi che !a guida, !a qua! dirigeva i came!!i. Di quanto potea bisognare ab bondavano , perch somministrato da! re. I! paese per cui viaggiavano tranquillissimo e ra , e in tutti i luoghi venivano accolti con ogni sorta di rispetto e di onore $ perch i! camello che il drappe! precedea portava in fronte una piastrella d* o ro , acci chi !' incontrava in tendesse che i! re faceva accompagnare un suo amico. II. Giunti presso i! Caucaso dicono aver sentito il grato odore che ivi sparge il terreno. Noi poniamo que sto monte pel p rincipi de! T au ro , i! qual per !' Ar menia e per la Cilicia sino ai PamfHj ed a! Micale si estende, e a! mare terminando, ove abitano i Carii, ivi

VITA DI APOLLONIO TIANEO, LIBRO IL 69 Unisce, e non principia, com' altri dice. L'altezza del Micale non molto grande, ma le sommit del Cauca so vanno tanto in su, che il raggio del sole vi si rompe. D a un lato comprende il Tauro tutta la Scizia, che con 1' India conHna, presso la palude Meotide, e la sinistra del Pontico per la lunghezza di due nula stadj (!), guanto tutto il circuito del Caucaso (2). Che poi quella parte di esso, che noi chiamiamo T au ro, si estenda al di l dell' Armenia ( cosa che un tempo non era creduta ) provato dalle pantere , le quali mi no to esser prese in que' luoghi di PamRlia, in cui nascon gli aromati. Perocch ingorde esse degli arom ati, e tratte di lontano dall' odor lo ro , escono d'A rm enia, e su pei monti alle gocce dello storace si trattengono, quando i venti verso quella parte sofBano e gli alberi sono in succhio. E narrasi pure che gi % u presa in PamRlia una pantera con un collar d' o ro , sul quale erano incise in lingua armena queste lettere: H, RE ARSACE AL Do NM EO. Regnava in que'tempi nell'Armenia Arsace, il quale, per quel che parm i, indotto dalla grandezza di questa S era, la lasci libera ih onore di Bacco ; perciocch Niseo venne chiamato Bacco presso gli Indi e tutti gli altri popoli d'Oriente, da Nisa borgo dell' India. La qual Sera addomesticata dagli uomini, lasciavasi toccare ed accarezzare ; ma venuta la prima(<) 35o miglia. (2 ) Lasciamo ai geografi il determinare con precisione cosi il viaggio di Apollonio, come i paesi da lui visitati e trascorsi; tanto pi che questi non sono che oggetti secondar} nella pre sente Storia.

yb VITA DI APOLLONIO TIANEO vera, dai naturale appetito stimolata (poich le pantre eziandio a venere van soggette), scapp ne'm onti in traccia del maschio, con questo collare, e fu presa nella inferior parte del T au ro, spintavi dall' odor degli aromati. Il Caucaso poi termina l ' India e la M edia, e con 1' altro braccio distende al mar Rosso. III. Di questo monte raccontano i Barbari le stesse favole che ne decantano i Greci ; cio che Prometeo per amore dell'nman genere vi fu legato, e che un altro Ercole ( negando essi che ci fatto abbia il tebano ) avendone dispetto, trafisse coi dardi l'augello, che Pro meteo co'suoi visceri alimentava. Dicono altri ch 'ei fu legato in nna caverna che si dimostra ne' pendj del la montagna, $ scrive Damide che ancor vi rimangono le catene dal sasso pendenti, la materia delle quali difficile di congetturare ; altri pretendono che fu sulla sommit del monte. questa in due gioghi divisa ; e dicono avesse a ciascun d'essi legata una m ano, ben ch non meno di uno stadio (t) sia l ' un dall' altro di stante ; volendo che tal fosse la statura di lui. E gli abitatori de! Caucaso odiano s quell' augello ( che fa !' aquila ) , che tutti i nidi che essa fa tra le rupi con saette infocate abbruciano , e gli tendono !acci, dicen do di farlo per vendicar Prometeo, tanto ne! cuor loro scolpita questa favola (z).
(t) Un ottavo di miglio. (a) Il maggior numero Ornitologi vuole che l'avbltoio e non l ' aquila tormentasse Prometeo. La verit che si nasconde sotto questa favola che un fiume, o meglio un grosso torrente, chiamato nella lngua del luogo aquila, devast il regno di Pro meteo sin quasi alla distruzione.

LIBRO II. ^ IV. Attraversando il Caucaso dicono essersi abbattuti in uomini a!ti quattro cubiti, di color quasi nero ; ed altri di cinque cubiti, quando ebbero valicato il fiume Indo (i). Dalla met del cammino sino a cotesto fiume ecco ci che degno di memoria trovarono. Mentre an davano al chiaror della luna, venne lor contro Io spet tro di una lamia, che or l'una figura prendeva, e tal volta spariva del tutto. Apollonio per intendendo cosa ella e ra , la lamia con pungenti parole sgrid, ai com^ pagni ordinando di fare Io stesso, con asserire che tal fosse il rimedio contro l ' insolenza di essa ; per cui lo spettro fuggissene stridendo, come fanno le ombre (a). V. Intanto poi che alla cima del monte salivano, an dando a piedi a cagione de'precipizj, Apollonio queste parole a Damide dirizzando : Dimmi di grazia, diceva, dove fummo noi ieri ? E quegli rispose : Nella pianura. Ed ora dove siam noi ? Sul Caucaso, ripigli Damide, se pure io non sono uno stordito. Quando adunque, seguit T altro , fosti nel piano ? E Damide : Ma questa non panini domanda da fare, perocch ieri camminava mo per valli, ed oggi siamo vicini al cielo. Ma pensi tu , o Damide, che il viaggio di ieri fosse per luoghi
(!) Anche Plinio nel vn delia Storia Naturale dice gli Indiani alti cinque cubiti; e della grandezze di tutti i terrestri animali maggiori in India pi che altrove parlan Strabone, Eliano,ecc. (a) La credenza nella apparizione delle anime de'morti fu sempre in voga presso tutte le nazioni; n puossi dire del tutto perduta anche ai di nostri. Plinio il giovane ha su questo pro posto una curiosa lettera, ma veggasi il bel Trattato del Mura tori sulla forza della fantasia umana.

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bassi, e quel d' oggi per alti ? S , per Giove, rispose , s'io non som pazzo. In che dunque, continu Apollo nio^ credi tu che questi due viaggi tra !or digeriscano, o cosa pensi di aver tu oggi pi di ieri ? E cco, rispose : ieri feci una strada che molti fanno, ed oggi ne fo una cui pochi arrivano. Ma che? soggiungeva Apollonio, non puoi tu anche nelle citt divertire dalle vie comu ni , andare dove pochi vanno ? Non ci quel eh' io d ico , replic Damide, ma s che ieri noi passavamo tra villaggi ed uomini, ed oggi siamo saliti in luogo ra ramente calcato da uomini, e pressoch divino. Intendi dalla guida nostra che qui i barbari pongono P albergo degli dii; e s dicendo lev lo sguardo all'estremo ver tice della montagna (i). Ma Apollonio, ritornandolo aL la prima questione , disse : Puoi t u , Damide, ora che pi vicino al cielo ti trovi, affermare che meglio cono sci la natura divina? Io n o , rispose. Tuttavia conver rebbe , riprese Apollonio, ora che su tale e s divina macchina poggi, il ragionar pi distesamente cos del cielo, come del sole e della lu n a, la quale forse ti dee parere di poter toccare col tuo bastone, poich sei ve nuto s dappresso al suo cielo. Quello , replic 1' alMo , che io sapeva ieri intorno alle cose divine, quello so
(t) Non !a greca superstizione soltanto assegn le cime de* monti al soggiorno degli iddj, ma quella pure de*barbari, come qui'si rileva. Anche la Bibbia nel : dei re , cap. 2 0 , accenna yw oH lttM M de* Palestini. Lo stesso anche praticavano i Ro mani, giusta le varie testimonianze che ne ha riportate il mio chiariss. amico dott. Gio. Labus nel!a sua Dissertazione JPe /a

LIBRO II. ?3 oggi, n veruna nuova idea me n ' nata. Dunque , ApoMonio soggiunse, tu sei pur sempre ai basso, o Da m ide, poich nulla acquistato hai da cotanta altezza, e sei dal cielo g distante oggi come ieri; non fu dun que fuor di proposito la, mia prima dimanda, che gi ti parve fatta per ischerzo. Egli il vero, digsq Damid e , che io mi pensai avere a discendere di quass pi d o tto , essendomi noto che Anassagora clazomenio contempl sul Mimanto monte di Ionia i celesti feno meni, e cos fece il milesio Talete sopra il Micale non lontan da Mileto ; bench altri dica che abbia studiato in una caverna, ed altri sul monte Atos. Ed io salito ad una altezza anche maggior di coteste avr a discen derne niente pi istruito. Nemmeno quelli, disse Apol lonio , pi istruiti discesero^ che ben possono queste sommit mostrare il ciel p!t sereno, alquanto pi grandi le stelle, e il sol dalla notte emergente, cose che anche i pastori e caprai conoscono ; ma come Id dio prenda cura del genere umano, e come del spo culto rallegrisi, e ci che sia virt, giustizia, e tempe ranza, n il monte Atos maUo insegn a chi lo ascese, n il tanto dai p!oeti celebrato Olimpo, se pria la mente non vi si interni; e se puro e intemeratp alcuno vi si avvicina, dir che assai pi alto sale che non questa cima Caucaso. VI. Oltrepassato il monte, si incontrarono in uomini cavalcatori degli elefanti, il cui paese st fra il Caucaso e il fiume Cofene (!), uomini del tutto rozzi, e sol
(*) Co/fc lo dice Plinio nel vt, 39.

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dedicati a!!a cura de! !oro bestiame. Alcuni di !oro se devano anche sopra i camelli, che gli Indi adoperano per corridori, perocch in un solo giorno (anno ben mille stadj (!) senza mai riposare (a). Uno adunque di codesti Indiani, che sul camello sedea, domand a!!a guida de' viaggianti, ove fossero incamminati, e udita !a cagion di quel viaggio ag!i a!tri nomadi la ri fer ; e questi schiamazzando per allegria vollero che pi si accostassero, e come furon vicini porsero loro un vino, che essi traggono dalle palme, e mie!e rac colto da!!o stesso albero , e pezzi di carne di !eoni e di pantere, cui poc'anzi avean cavato !e pe!!i. Ed essi tu tto , meno le carni, accettando , in mezzo agli In diani passando , continuarono il cammin loro verso briente. * VII. Fermatisi poscia af pranzare vicino ad una fon tana , Damide, versando il vino avuto dai pastori in diani, e alzando i! bicchiero : Di questo, disse, o Apol lonio, finalmente dopo tanto tempo, in onore di Giove conservatore, berai, n meno conto vorrai farne, cred 'i o , di quello spremuto dal!' uva. E s dicendo, per ch avea nominato Giove, cos in suo onore lib. Sor ridendo allora Apollonio: Non cl astenemmo noi anche, o Damide, dal danaro ? S , per Giove, rispose, e tu spesse prdve ne desti. Ci asterremo noi dunque, segu Apollonio, da ogni moneta d'o ro e d 'arg ento , da cui
(!) taJ miglia. (2 ) Questi camelli sono pi piccoli, e pm veloci degli altri. Gli Indiani li chiamano Accampa/, come scrive jB&twc, 7%;. geogr.

LIBRO IL 7$ non ci lascerem vincere, bench veggiamo che avida mente vi aspirano non so!o i privati y ma i re? Se alcun ci portasse una moneta di ferra in iscambio d'argento, ovvero indorata e falsa, la riceveremmo! perch non di quelle che piacciono al volgo ? Anche tra gli Indiani corrono monete di ottone e di bronzo annerito , di cui debbon valersi coloro, che arrivano in India per com perare tutto ci che fa lor di bisogno. Se dunque quei buoni nomadi ci avessero offerto danaro, tu allora, o Damide, vedendo che io lo ricusassi, mi avresti ripre s o , e insegnato quelle soltanto essere monete vere che hanno l ' impronto del re de' Romani o de' Medi, e que ste essere di tutt'altra materia dagli Indiani a modo loro composta? E se io me ne lasciassi persuadere, che penseresti allora di me ? Non dovrei io parerti poco sincero y e sprezzatore della filosofia, pi che dello scu do un soldato poltrone? Ma a chi ha gettato Io scudo pu accadere che un altro ne capiti non inferiore al primo y come pareva ad Archiloco (<) ; ma come puote ricuperare la filosofia colui che l'abbia una volta o sprezzata o da s bandita? Aggiugni che Bacco mi per doner) giacch da ogni sorta di vino mi astengo; lad dove se il vino dalle palme spremuto a quello antepo nessi che nasce della vite y questo l 'offenderebbe y come se io sprezzassi il suo dono. Ora noi siamo poco lon tani da questo dio ; odi dalla guida nostra che qui
(t) Archiloco poetar nella pugna contro i Sachi, ove si trov, diede alle gambe, gittando lo scudo, ed iscusssene poi con un epigramma, che ci ha conservato Plutarco, nell'fyfAKSMwe de'

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presso il monte Nisa, dbve ho intaso che egli opera molti portenti. Finalmente, o Damide , la uhbriachezza uon solamente dalle uve si genera negli uomini, ma anche dal succo delle palme, che uno stesso furore ca giona (t)$ noi gi ci abbattemmo in parecchi Indiani, di cotal vino ubbriache alcuni de'quali saltano e cado n o , altri gi presi da! sonno cantano, come fanno tra noi coloro che la notte consumano in b ere, n sauno partirsene a tempo. Che tu poi vino reputi questa be vanda , il dimostri con libarla a Giove; e col far quelle preci che sogliono farsi libando il vino. Tutto ci , mio Damide , per sola mia difesa ti ho detto , non intenden d olo che n tu n questi nostri compagni vi trattenghiate dal bevere , che anzi anche di mangiar carni vi accordo. Che io ben comprendo di nessun giovamento essere per voi codesta astinenza ; ma essa giova a me per mantenermi in quella regola, che sin dai primord} della mia filosofia imparai. Queste parole lietamente ascoltarono Damide ed i compagni, e assaivolentieri quel permesso accettarono, parendo loro che pi fa cilmente i disagi del viaggio avrebbero sostenuto, se bene si alimentassero. V ili. Com' ebbero varcato il Rume Cofene, essi nel le barche, ed i camelli guadandolo, perch non era anr cora motto alto, posero piede nel continente soggetto al re (3), dove il monte Nisa dalle sue radici sorgendo
(t) Che il liquore dalle palme spremuto fosse atto ad inebbriare, lo abbiamo anche dalla seconda delle lettere di s. Gi rolamo. (3 ) Il tratto di paese 6n qui percorso, poi che uscirono dai

LIBRO IL yy a somtna altezza perviene, comedi! Tmolo neMa Ldia. La coltivazione de' suoi campi vi apre mille sentieri. Salitivi dunque, dicono essere capitati a quel tempio di Bacco, che narrasi avervi Bacco inalzato a s stesso, piantandovi in cerchio molti allori, e che tanto suolo vi occupa quanto ad un mediocre tempio bastante.^ D 'ellre eviti avviticchiate ai lauri aggiungono che il coprisse, e dentro la sua statua ponesse ; disegnando che coll' andar del tempo gli alberi crescerebbero, er coi rami loro difenderebbono il tempio, com' avvenu to , s che n pioggia n vento vi penetra. Conservansi m esso falci^ corbe, torchi, e gli arnesi al torchio spet tanti , alcuni d' o ro , altri d' argento, a Bacco sacri, come a vendemmiatore. La statua di lui rappresenta un. giovinetto indiano, e in candido marmo scolpita. Le citt poste alle radici del monte sentono quand' egli s'infuria, e scuote il Nisa, ed esse pure si levano al^ lora a rumore. IX; Ma di Bacco contesa tra gli Indiani ed i Gre* ci, ed anche tra i soli Indiani. Noi diciamo che Bacco il tebano andasse in India, guerreggiando e saltando a! tempo stesso, e pi argomenti ne abbiamo, tra i quali un' offerta fatta in Pizia, che nel tesoro del suo tempio si custodisce. Confiate ella in un disco d'argen to , sul qualst questa iscrizione: BACCO n* SEMEL&
E D! SACRA CIOVK F i e n o DACLI INDI AD APOLLO DELFCO ( CON

). Ma quegli Indiani, che abitano presso il Cau-

domiai di Bardane^ spettava ai nomadi, come si veduto. Per conseguenza non iacea parte del regno Indiano.

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VITA DI APOLLONIO TIANEO

caso e il Rtune Cofene, pretendono eh' egli col gignesse venendo dall'Assiria, e le imprese de! Bacco te* bano sapesse. G!i altri poi, i! cui paese posto fra l ' Indo e l ' Idraota e nel!e successive regioni che termi nano al Rume Gange, vogliono che Bacco fosse Rgtiuo^ 10 del Rume In do , e che discepo! di lui fosse il Bacca tebano, e che eg!i il tirso avesse, e celebrasse !e orgie; vantandosi d'essere Rgliuol di Giove, e aver vivuto ne!!a coscia de! padre sin che vi divenne maturo pel parto (*). Dicono aver egli chiamato co! nome di coscia 1 1 monte vicino a Nisa; e avere in Nisa molte viti pian tate in onore di Bacco, coloro che i tralci ne traspor ta n e da Tebe; e qui pure avere Alessandro sagriRcato a Bacco Gli abitanti di Nisa per negano che Ales sandro salisse que! monte ; non senza violentar s me desimo, s per essere bramosissimo d'onore, e si come amatore delle antichit ; ma so!o per timor che i Ma cedoni arrivando alle viti, che da gran tempo aon ve devano, venissero in ismania de!!a patria loro , o strascinar si lasciassero da!!a cupidigia del vino, essi che Rno allora aveano bevuto acqua; e perci avere o!trepassato N isa, facendo suoi aagriRcj a Bacco a piedi della montagna. Non ignoro che queste cose eh' io scriyo a molti non riusciranno grate, perch certuni che militarono insieme ad Alessandro diversamente, ma non
(:) A chi non nota questa (avota ? Noi gneremo parola alcuna per illustrarla con le scrittori. (a) DeH' orgie di Alessandro Magno nelle gli Storici di lui. Curzio dice che durarono perci non aggiuvarie opinioni degli Indie parlano tutti dicci interi giorni.

LIBRO II.

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veracemente, !e raccontarono (*). Ma ip d non man care alia verit mi proposi, la quale se essi pure se guita avessero non avrebbono anche di questa !ode fraudato Alessandro. Perocch 1 ' aver egli asceso il monte, e festeggiatovi a guisa di baccante, com' essi dicono, e che per la gran disciplina dell' esercito nes sun altro vi salisse , ci mi parrebbe un grandissimo fatto. X. Scrive poi Damide non aver egli veduta la pietra Averna poco distante da N isa, e situata fuori di stra da (2), non arrischiandosi la guida a deviare per nes sun verso dal diritto cammino; avere udito per che que! luogo Ri preso da Alessandro y ed essere chiamato , cio privo d' augelli, non perch sopra i quin dici stadj y quant' e!!a larga, non veggansi alto volare i sacri augelli y ma perch dicono trovarsi nella som mit della pietra un' apertura, che tira a s gli uc-) celli che vi sorvolano y come si vede in Atene ne!!' atrio de! Partenone (3) , ed in pi !uoghi si del!a
(<) Cio che Alessandro e il suo esercito si abbandonassero alla crapula in quella occasione. (a) Descrivono questa pietra, o rupe che si voglia chiamare, Diodoro Siculo nel lib. xvm , Arriano nel <v, Curzio nell' vm Ai qual!, si rispetto ad essa pietra , come rispetto a quanto si narra nel presente paragrafo, possono aggiungersi Strabone nel xv , Plutarco nella Fbrtmia e negl! , Luciano ed altri. (3) Abbiamo la testimonianza di questo fenomeno ne'bei versi di Lucrezio Caro (lib. vt, v. y49? ecc.), che l'egregio Mar chetti rende come segue ( ritengasi che il poeta parla de' laghi -<4yer/M, che sono in pi luoghi ) :

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Frigia che deHa Lidia ; e da ci chiamarsi ed essere .iberno (:). XI. Proseguendo verso il fiume Indo , incontrarono un fanciullo di circa tredici anni a cavallo di un eie* fante, ch'gli andava coi pungoli stimolando. Di che maravigliandosi essi, ApoHonio a Damide chiese : Qual l ' uHicio di un buon cavaliere ? Cui egli ; Qual altro esser pu, che standosi bene in sella regger bene il ca vallo, e col freno girarlo, e se imbizzarrisce domarlo, ed aver occhio che n in fossa n in buca, o in altro precipizio impetusamente trabocchi, massimamente se per paludi e fanghi abbia a passare? Non esigiamo noi, disse ApoHonio, nient' altro, o Damide , dal buon ca valiere ? S , per Giove, rispose, cio che allenti il fre no al cavallo, quando ha da salire, e noi dimentichi nelle discese, ma s lo ritiri e il trattenga; e parmi uffi cio di buon cavaliere eziandio lo accarezzargli le orec chie e il crine, n sempre di sferza far uso ; e chi* cos faccia cavalcando, io loder. M a, soggiunse Apollonio, e in un guerriero, ed a pugnar preparato, che lode resti tu ? Tutto ci che ho detto, e che d^ pi sapesse ferire e difendersi, e spignersi e ritirarsi ed ai nemici mostrarsi ; e credo che alla equestre perizia appartenga avvezzare il cavallo a non Spaventarsi n per lo strepito
Z&i/te M /t M t mora , in cinta Dd7/a rocca Pa//a , accojfayvi JVb;t yiir fMte giammai yvMcAe corwic/, ecc. (t) Oltre Lucrezio nel luogo sopraccitato veggasi in proposito d cotcsti ^ c r/ti Eustazio, Paiusania, Plinio, e quanto a quel d Cuma in Italia Virgilio e suoi commentatori.

LMRO n . 6! degli sudf, m per lo splendore degli elmi, a i per lo seManHazzar Meto o irato de^combattenti. Va bene, dia$e ApoHonio ora d: costiche l'elefante cavala che dici? Pi miiraMle aw o r eh^io non dissi, is^ose^ pe^eh^w h n e iu lle ^ s^ vasta belva signoreggiate ? e c#d aaa^phnta dirigere, ch^le pianta npHa peHe pome non atterrirl P aspetto di essa , n dHa sua grandezza e fbrza trem are, non soto gran cosa ma s*mhR*$ m <Kvin&,i e c ^ PaUade inti eom' io nton M t c^A&ehse da aJtri h adissi, Or dimmi, seguit A^lhnM !t,Jse ah:nmo ti wlestse vendere questa fanciullo, H een^pratMti^ o Damide? S per Giove che il con^pree i, riapoae^ avessi a spendervi tutto il mio; perch dominar per tal modo una belva, che la maggiore di tntte, eoaM si domina una yocea , parmi prova di nobii e geMBOsa natura^ Ma come, riprese Apollonio, ti varresti del &nciu!lo^ se prima anche P elefante non comperassi ? Lo porrei^ disse, alla testa della mia casa e de'miei servi, ai qali saprebbe eg!i meg!io di me co mandare. Che? disse ApoHonio, non sei tu buono a go vernare la tua famiglia? Al pari di te , rispondeva ; che Abbandonando la casa mia vado errando, come tu, per amor dello studio e per curiosit delle cose straniere. E continuava ApoHonio : Se tu avessi comperato il fan ciullo , e ti trovassi due cavalli, uno buono a correre, !' altro buono in guerra, li faresti entrambi cavalcare da lui ? Ed egli : Probabilmente gli darei il corridore, poich veggio cos farsi dagli altri; perocch come mon terebbe egli un cavallo da guerra e avvezzo allearmi, egli che sostener non potrebbe lo scudo che ai cavalieri
FiM M riLir;, /o m . 7 / . 6

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abbisogna, n la corazza, h 1' elooto? Coirne. porterebbe la la n d a , se n Un piccio da#do n un giave!lotto ^o^ Crbbe tenere!, cos fanciullo ancr balbettante, qual pare ? Quello adunque , soggiunse ApoHonio!, che! que* sto elefante regge e governa, altra cosa he non il fanciuHo , deli quale vai sorpreso. Come ci ? disse Da* m ide, se io non veggo, o Ap(J!onio^nessuno & Kxr che il fanciullo cavalcar 1' elefante ? Questa bestia, rispose, di tntte la pi docile, e una volta che siasi adattata alla soggezione dell'uom o, tutto sof&e da lu i, alle sue Usanze conformasi, e gode prendere, a guisa di cagnolino, il cibo dalla sua m ano, e quando il vede farglisi incontro lo vezzeggia con la proboscide, e si lascia porre la testa nella bocca, tenendola tgnto aper ta quanto piace a lu i, come vedemmo i nomadi fare. Dicesi per che esso la notte pianga laposvwsservith, non gi con quello stridre che usa altre 3o!t', ma Re bili e tristi lagrime spargendo; e che, se l'uom o in questa gli sopraggiunga , tosto 1' elefante, quasi vergo gnando , tronca i lamenti (). Cos dunque, o Damide, regge egli s stesso, e meglio dal suo pieghevole inge gno diretto che da chi il cavalca e governa. XII. Arrivati i fiume Indo narrano di aver veduto una greggia d* elefanti, i quali nuotando passavano H Rume ^ e dai natii del luogo avere intorno ad essi udi to ci che segue: tre essere le specie loro; altri pa(n) Di tal costume deir elefante scrisse prima d'gni altro Arriano, parlando delle cse deir ndia ; e aggiunse , che il modo di dargli conforto e allegria c il fargli udite il suono dgualche armonioso strumento.

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lu stri, altri m ontani, ed afltri campestri : prendersi per valersene in guerra : combattere carichi il dorso di tor r i, capaci di dieci o quindici Indiani, donde avvezzaronsi gii Indiani lanciar dardi e saette, come chi dalle bastite li vibri. Lo stesso animale scagliar frecce con la pro boscide , che a lui tien luogo di mano : quanto P ele fante di Libia maggiore di un cavallo di N isa, tanto gli elefanti dell' India sono di quei di Libia maggiori. Intorno alla vita di cotesto animale ^ e alla sua grande longevit, molte cose furono da altri scritte (:) ; questi per dicono di aver trovato un elefante nelle vicinanze di T a ssila , citt principale dell' India, che gli abitatori tenevano profumato e inghirlandato, per essere uno di quelli chb pel re Poro contra Alessandro pugnarono , e che, per avere con gagliardia combattuto, Alessandro lo cpnsecr al Sole; intorno ai denti, o corna che vo gliami d ire , avea cerchio d' oro con queste lettere in greco: ALESSANDRO FMHUOL Dt GiOVE (DEDICA) A !A CE AL SOLE ; che tal nome gli avea p o sto , onorando un grande con pn gran nome. E conteggiavamo gli abitan ti, che dal tempo di quella guerra sino allora gi erano scorsi trecento cinquant' a n n i, senza contare 1' et che doveva avere quando in essa guerra fu 1' elefante con dotto ( 2).
( 1) Si tanto scrtto , e da tanti, intorno agli elefanti, da Aristotile fino a noi, che stimo inutile di aggiugnere nota al cuna a ci che ne espone Filostrato in questo e nel seguente paragrafo; e pi innanzi. (2 ) Stando al racconto d'Arriano, Uh. v, la guerra con Poro accadde ne mese d munichione, essendo arconte di Atene un certo Egemone. Da ci il Cai visio, l'Usserio, ed altri raccol-

$4 VITA DI APOLLONIO TIANEO XIII. Glaba, stato gi re d Libia, riferisce (i) avere Libici in altri tempi combattuto tra lo ro , stando sugli elefanti, e che una parte degli elefanti avea sui denti scolpita una torre, e l'altra parte niente $ e che sospesa la pugna a cagion della notte, quei segnati, trovandosi vinti, si ritrassero nel monte Atlante ; un de' quali as serisce aver egli preso dopo lo spazio di quattrocent'an ni , e trovatagli quella incision sopra il dente ancora ben conservata. Lo stesso Giuba pensa che i denti (del l'elefante) sieno corna, perch nascono l dovehan principio le tempie, e perch nessun altro dente vi & contiguo, ed anche perch nati che sieno vi restano, e non cadono e rinascono come gli altri denti. Io per questo parer non accetto, perocch eziandio le coma eaggiono e rinascono, se non a tutte le bestie, certa mente ai cervi. Quanto ai denti, quelli degli uomini si perdono e riacquistansi tutti (2) ; d agli altri animali non cade, n una volta caduto rinasce, verun dente canino, che la natura in vece d'armi nelle lor mascelle inser. Oltre a ci le corna producono ogn'anno tutt'ingono che tal guerra ebbe luogo 1' anno di Roma 4 2 6 . Si ag giungano a questi i 35o anni gi indicati, e arriveremo ali' anno 7 7 6 , che il decimo di regno di Tiberio; nel qual tempo Apol lonio, giusta ci che di sopra osservammo, contava circa 2 7 anni d'et. (n) Di Giuba e de' suoi scritti veggasi, sopra tutti, l'Adriano nell'indice degli autori da lu premesso alla sua edizione di Plinio, e l'Aimerichio nello tvf* romance MferafMraa dcper^Rfae a^Aac Zafewfiy. (2 ) Fosse pur vero! ma qui parla de'primi denti, che si cambiano nell* et puerile.

LIBRO IL 85 torno aHe radici una linea, come ai vede ne' cappi, nelle pecore, e ne'buoi. l dente poi resta liscio l do ve cresce ; e tal sempre conservasi, se alcuna cosa noi guasti, essendo per datura di materia quasi petrosa. Aggiugni che portane coma que'soli Animali che hanno !' unghia fessa, laddove l ' elefante ha cinque unghie, e la piahta de'psedi in pi piarti divisa, e quasi molle c pastosa, acci stringendo per mezzo di una membrana le Unghie,, la pos^a rendere intera La natura ha anche fatto agli animali cornuti le ossa forate, come pure le coma esteriori, ma agli elefanti forma il dente pieno e in ogni sua parte uguale; e chi ben addentro 1' osservi troveravvi nel prezzo un sottil canaletto , come hanno i denti. C li elefanti palustri hanno per denti lividi,rari, non prestantisi all'industria degli artefici ? per essere di dentro bucati, e bernoccoluti al di fupra, che non si possono lavorare. Ma quei de'montani sono pi piccoli, e candidissimi, e nulla in essi iche l'artificio impedi sca. Ottimi nondimeno si stimano i denti dei campestri, perch grandissimi sopo e di somma bianchezza, e ce dono facilmente al tprno , e 1' arte pu dar loro la far-* ma che vnole^ E se anche dello ingegno di cotest^ eiefanti yaolsi discorrere ^ dir ci che me dicon gli Indiai ni. Quelli che sono presi nelle paludi lo hanj^q, stupido e leggiero ; i n^ontaui maligno e insidioso , e^^e non li stringa il bispgno, niente fido agli uomini;;sol de'cam pestri aRermano che di buona indole son, e mansueti, e di disciplina capaci, e scrivono, e danzano, e al mono della zampogna saltellano. XIV. Yeggendo adunque ApoHonio cotesti elefanti,

86 VITA DI APOLLONIO TIANEO che erano forse trenta, varcare il fiume Indo, e valersi per guida del pi pccolo di essi, mentre i pi grandi portavano sulla prominenza dei denti i loro Bgliuoletti, tenendoli stretti con la proboscide come fosse una fu ne , rivolto a Damide: Queste cose, disse, fanno essi, Senza verun maestro, ma spontaneamente, e per loro natura! prudenza ed ingegno. Guarda come a imitazion de' facchini, portano i loro piccioli, e annodati li tengono. Ben veggo, rispose Damide, quanto pruden temente e sagacemente il fanno. A che dunque lo scioc co disputare di que'cavillatori, se la benevolenza Verso i figli sia naturale, o n , quando per sin g!i elefanti gridano che !' ebbero daMa natura ? e ci sicuramente non impararon essi, come altre cose, dagli uomini, co' quali non vissero mai ; ma la natura insegn loro di amare i figli ^ e attendere ad essi e nutrirli. Non gli elefanti soltanto ^ cui dopo l ' nomo io assegno il secon do lugo per la prudenza e sagacit che dimostrano % riprese Apollonio, devi citarm i, o Damide ; ben mag giore maravigli mi fanno le orse, le quali, superahdd in fierezza ogn' altra belva, non cosa che non faccia^ no pei parti loro; cosi pure d e'lup i, bench sempre! intenti alle prede, l femmina resta in guardia ai lupim i, e il ntdsehio per la salvezza loro le porta i dbi $ cos le phnt6re ^ che dal calor eccitate af&ettansi a di-< ventar madri, tosto che il sono vogliono signoreggiare sul maschio e governar la famiglia, e il maschio per P amor de' Cgliuli tutto con pazienza sopporta. Delle leonesse raccontasi che traggano i leopardi aM' amor loro, e nei campestri covili de'lioni li accolganole che

LIBRO IL a? avvignandoci iltem p o d el^ arto se mefuggono ai monti^ e i RgMuoHnj^ partoriscono; macchia^ aHa maniera dei pardi, e percinelle tane degli albri li nascoadon ed allattano ,ngendo dKt &L mschio lontaaM;.per au^ dare a far caccia, perch se d ci il iion si acccorgesstf, sbranerebbe que'piccoli^ w ato ^atzd adultemha^ epphr^ udito avrai ^el leoe, quanto per difesa de' Rgli torvo rivolga lo ^guardo , e gli uomini p gperra disRdi. La ti^ gre parim enti, che c^d^issipia, dicono in questo paese che vada sino alle navi del Mar Rosso onde ricu p erarle i figliuoli , e ottenendoli tu^t'allegra allontanisi; ma se la nave abbia sciolte le vele, rimansi, ad urlare sul lid o , e talvolta pure vi muore. Chi poi non sa i co stumi degli uccelli? le aquile^ per esempio, e le cico gne , che mai n&u fabbricano i mdi l ro , senza che^ vi pongano alcune pietre ^ cio questd la etite ^ l'a ltra la lignite, per facilitare 1?aprimaato dl3lpBova^ e acci non vi si accostai srpenti? Che M aa^che agli aaimali del mare pongsi ment^ ^ Uon ci faremo noi gran mera*vigli d^i dclhi^ th tanfo am inoi p&rti lo^ ssend o per di Aatur airevolissimia^ delle balehe^y e delle foche^ e d ' altra sbU* d p^!<H; di eaM!vtfihdole? n<M ho io Ceduto in ga una ibc^,' che sevbvasi ad us6 di pescagione, piagnere per tal guisa il morto figliuolo, ch'Ma aveva partorito in and buca, da starsi tr giorni a non prehder cibo^ bench gi la pi orce Hi tutte !e bestie? La balena si nasconde i 6gliuolinI nelle cavit delle fauci, quando le tocchi scappar 4a un p^JLgho da cui non possa salvarli. Fvan^he^ vista la vipera lec care i subi serpentelli, e Ebn l^lingua linciarli; che io

$6 VITA DI APOLLONIO TIANEO *ion voglio, o D^anide, che noi l'ataqpda opinione , che i Rg^i dlia vipera nscano ^vasL previ di madre ^ ^ n essendo ci c^ daHa; ndtwa ^ d^M^ sperienza ammesso (:). Aliata Damide ri$p%m^^n^py disse; Mi accorderai dunque ich'io lodiq^$e versp^ d , s d quale fa dire ad Andromaca: Lo accordo, rispondeva ApoHonio ^ perocch bene e sapientemente dettp, ma coA pi verit e con sapienza maggiore avrebbe detto, se agli animali tutti iosse ap plicato. Pare dunque, rpic Damide, che questo verso possa cambiarsi cosi:
ogni ffcnfc

e in ci, perch mglio, sono del tuo parere. XV. Ma d'altro prego istruirmi ; npndi^emoaonoi sul principio del discorso, che gli elefanti hanno inge? gno e prudenza in ci che &nuo? Il di^gtamp, rispose, e dirittamente; perch se la pr^den^a ^PP gov^rnas$e questo animale , n sussisterebbe esSo , n le gepti ff^ cui si trovja. Perch dunque , chiedeva Damide, ;esegui^ scono ora c^ssi un s imprudente e inutil guad^rp?chej come vedi, il minor di tutti va loro innanzi, cu^ s^gne
(t) Chi valesse far pompa di erudizione, e di mo^te note il lustrare tutto questo paragrafo, la materia molta, e vi si potrebbe agevolmente. Ma intorno a cose di storia naturale, che nessun lettore ignora dove le pssa verBcare, non mi permetto di sof fermarmi, per non parere che il facessi o per impinguare il vo larne, o per darmi aria di naturalista. (s) Questo il verso 4*8 della tragedia intitolata ^M&vyaac*.

LIBRO IL 89 Peltro un po'pih grande, poi ra h ro maggior di questo^ tato che i maggiri Fon g!i idtitAii. E^gi era daten er$ i anzi r orditiei contrario ^ e chei i maggiori servissero d ^siparo e di&$a agK'iakri. Anzi n / rispose ApoMonio; jpw n^a^nt) peicch fuggno dagi omiiy che H stante ae <nsegwndo $ che noi &Me tarovramo, andando Mdrorwe j(n?o; ^ m tj! caso era d'uopo che coltra i nemici i^seg^wnti si liiparassero a!!e spaMe , come ^i & nH gvrra^ &ben vedi ch^ qu^stoanip?a!p o^serv^ntissicaodeHa ordinanza.? Seg^dariamen te, ;sei pi grandi ^ w o y o u g v a d n ^ ^ p rim i^ non avrebberpeapito jse gti altri p ^ v ^ n o tutti s^ptara forza d eH 'asqn a^s^n d o fa^i^ ^ spedito il p ^ sag g ip p o r^ ssieb e gopo di magi! ? ^ 4 pitSt^ c ^ non sono p i ^ a ^ deHf ag^psa ; qa& passato P^e; fps^e ^ pi piccolo era c^ayoi^bet^aseana jdi^ScoIt si presene tava per gli jQ tr^a ci , se i Wggipri guadavano il RucM prim a, gvjrpWaoap aperto W ^lveo piprp^on-r do ai minori? avendo neKtepsariamenteQ premw} ii fani go, e quindi a agione s d d peso Q s de!!^ig^s^z#^ a formarvi q t^ ^ e a(^S ^n^tO ; n(aj i minpyi &on nnoj ceranno a pass$^gip de?pi g ^ d i ) pteB ^ ngp vi p ! ^ durranno g^andi c^<W^vit^ XVL NegH scritti di Giub io b oancb^iroxat ch^ nelle cacce aivMmsi e$ai A vicenda , $ in di&s% di qn#i che cade combattono, e i dardi daiaferitaLStr a p p a g o !a ungono con k gbcce dePaloe^ e g!i aono iutowo ^ foggia de'medici. Di pi a!tre cose filosofavamo tra s, pigliando occasioni da ci che loro oOeriasi degno di ricordanza.

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XVIL Quello poi che da Nearco e da Pilone nar^ rato idtoino al Ru&e Acsine, cio che entri neM'Idd} e che produca serpenti lunghi settanta cubiti, viene da essi affermato. Ma siami permesso il digerire parlarle sino a che non mi occorra favellare dei draghi, la cacy eia de' quali fu da Damide esposta. Venuti gi a zita dell'indo, e giuuti al momento di averlo a pannare, di* mandarono al Babilonese, se a lui &)sse A0t0 dove Are il tragitto. Ma egli assicur non averlo mai perloaddie* tro navigato, n saper da q^l p^tte navigabile &sse perch, soggiunsero essi, non menasti teco uaa scon ta? Perch , rispose , ho qui chi ci rnsgRerf l ^ia ; e s diebdo trasse una lettera, che di ]c appt^qto tratta^ va. Perocch Bardane ^n pegno della somma Sua-ge#t& lezza e cortesia, quella letteya dirigeva al s a tr a p a ,w stode de! fiume Indo, bench noR fosse al sno <^omif aio soggetto, in cui rammehtaadgli i ^vori gi &M*gl e nessun ringraziamento esigendone^ che di troppo dis* cnveaiva all' $aimo suo, gli si professata obbligatiss^ !ho 3e bene accogliesse ApoMonio , e gli desse maacf a poter ##d)h! ove ^a lai ' fosse pi^cmto^ j 5g& aveva anche provveduto d'r la guida, acc}^ se capisse Averne Apol^ Ionio bisogno, avesse a somministravgKene; acei da altra mano aon'he<ceetta&seJ Appea l^Idia&o ebbB^rice vuta la lettera^ se ae tenne onoratissimo^ e dichiar che non minor tignardo ne avrebbe Hhe se gli venisse dal te dell' Indiai raceomandatoj H perch digli aJ ascender la nave, di che sogliono valersi i satrapi, ed altre barche da trasportarvi i cafmeMi} ed ima guida che li accompagnasse per tutta quella regione, la quale Uni*

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sce a!P Id ra o te ; e scrsse a! suo re, di non w le r esser d a men di B ardane v erso au Sant'uom o, nativa di G reoi, anzi divino.

XVIII. In tal modo* passarono l'in d o pel tratto di quaranta stadj in tatto (), he la larghezza do#? & navigabi!e. D esso Hum ecco ti ehe rawontanoj N w e f'Indo dal monte Cau^asp; e ne! ^uo principio! ; gi maggiore d'ogni a!tro me dell?As!a(^)Nelsuo cors molti altri Rumi in grembo riceve. A sbmigianza M Nilo aHaga !' India, terra sovrappone a te rra, e reade fertili i campi indiani, come queMo gli egizj. Delli ne* ve, che in Etiopia e ne*monti Catadnpi abbonda, non oso contraddire, per risptto aM'uSdritde^i sc ritt ri pure non vi acconsento, quand*io rifletto che l' indo avrebbe a produrre gli stessi' e ^ tti jdel N i!^ bench nelle regioni a lui* soprastante mai SI i)i neve non cadaj D'altra parte un noto che D io ^tto p deHa fetta hit formato !-lM<Ha a l'Etiopia a gtnsa di due cwnay fac^h^ do neri gli abitanti di quelle, ceppiti a! sol - nascente ^ e qneHi di qu#a! a! tramontante. Ma come ci e^ev potrebbe, se qaeHe geht^ ache % teM ? inverno non $ e ^ tissero iI^ca^e#d!Pestate? E ^e il iole yi riscalda !ateav# per tutto !' anno, come credati ehe ^i po^s^a nevicar^ o che le nvi pbsshno 4 ^n$o Ing^&^rvi ehe i! !or letto aoverchio? , d&t ^ur che le uev{ cffauip in regioni tanto'esposte a! ator He! sl , < C 0M r8
(') Quasi cinque miglia^ c la stessa larghezza gli assegna Ctqsa. Non per& navigabile su tutti punti, ne^qa ^cuni scrt tori !o dicono largo ben pi d center stadj.
(i) Meno pr il Gage drcotr Strabene ed Ar^iho.

9* VITA DI APOLLONIO TIANEO remo che con tanta copia d'acque allaghino? ovvero che bastino ad un Rume, da cui l'intero Egitto inon dato ? XIX. MenAre navigavan sull'Indo dicono avervi ve duto molti ippopotami, ed anche molti cocodrilli, come veggono coloro che viaggiano sul Nilo; dicono pure che in quel Rme spuntano Rori, appunto come nel Nilo. Aggiungono, rispetto alle stagioni dell'anno, che l'in verno nell' Indie caldo^ e s cocente la estate che leva il Rato: a sif&Mi incomodi avere per Dio provveduto conle freqenti piogge che vi fa cadere. Narrano anche di avere udito dagli Indiani, che il re suole recarsi al Rame , quando la stagione lo ia ingrossare, e sagriRcar^i tori e cavalli nri ; essendo presso loro il coler bianco; in ninor pregio del n ero , forse perch pi sti mano il loro prprio colore; Rniti i saoriRcj, gittare H ^e nel Rume un moggio d 'o r o , siedile a quello con che si misura il frumento; perch questo il re faccia^ noi sanno gli Indiani ; suppongono per che ctesta nuaura M somaerga, o alludendo all'abb on dala de^ &tti ( che gK agricoltori misurano coi moggi), ovvero per ottjenere ^na moderata copia d'acqu^, acci 1 terreni dA sover chio impeto non :sien& devastati. ! ^ XX. Superato il Rump, la guida data loro dal strp a gnidolli per cammin dritto verso la citt di Tassi!a/ ov' era la reggia del re dell! India* Raccontano che le vesti, degli abitanti di l dell' Indo sono fatte di lino, che ivi abbonda, le scarpe di corteccia d'alberi, cos il cappel lo, quando piove ; ma i pi pobili vestire di bisso ; di cono che il bisso nasce da un albero, situile nella/parte

LIBRO Ili g3 inferiore alp io p p o , eoa Toglie per eguali aquelle del salice (1). Dice ApoHonio ebe s rallegr di quel bisso, perch non dissmile era al suo bruno abito. il bisso trasportato dagli Indi in E gitto, perch in molti sacri usi col adoperato. Tassila (a) citt non molto di versa per grandzza dalPantica Nino, ma mediocremente munita di mura, coine quasi tutte le citt greche. Occupata era la reggia da colui che possedeva il regno g& ^tato di Poro. Dicono aver veduto ,^prima d'arrivare alle m ur, un tempio poco minore di cento piedi, tutto di porfido $ e una cappell m esso, pi piccola di qu^o che l'ampiezza del tempio oovporta (il quale spaziosis-* simo era e cinto di colonne), ma per maravigliosa^ perch da ciascuna parte pendevano tavole di metallo figurate, su cui scolpite erano in rame, in argento, in oro ed in bronzo le imprese di Poro e di Alessandro, elefanti, cavalli, soldati, elmi , scudi, aste, dardi e spa de, e tutti questi di ferro. E , ci che in egregia pittura si vede, come a dire in un compiuto lavoro di Zausi , di Polgnoto, o di Efranre, i quali studiarono a ben rilevare le ombre, ad animare i dipinti, e gli scorci e i rilievi rappresentare, ci parimenti affermano che ivi ap pariva, adoperandovi liquefatti quei varj generi di metal li, come si fa de'colori. Anche la soavit de'costumi in esse tavole espressale quali Poro dopo la morte del Macedone quivi sospese. Vi si vede Alessandro vincito re, che ha in poter suo Poro ferito, e che a lui dona
(t) Questo probabilmente c& che ora chiamiamo bambagia. (3 ) Arriano e Strabone ne lasciarono qualche ragguaglio.

9% VITA DI APOLLONIO TIANEO M adia, gi s#a .conqaista/E fama che Poro in udir la morte di Alessandro piagnesse, e gran do! or ae sentis se, per ssere stato si valorso e s benigno; e che, sin he Alessandro visse, e poi che era dal!' India partito ^ nulla di sua regia autorit decretasse, bench gliene avesse dato il diritto, nulla comandasse agli Indi, ma qua! semplice satrapa moderatamente ai re g o la ss e tutto in onor di Alessandr eseguisse. XXL L a natura deli' operai mia ndn mi p e c e tte di passar oltre senza narrare ci che di cotesto Poro rac contano. Gi si trovava i! Macedone a! paasajggio d<e! Rume, e molti consigliarono Poro a collegarsi co'popoli che stanno di ladel Gange e dell^Ipasi, perocch con tra !a intera India non avrebbe il valore di !ui bastato. Se tale^ ei rispose, l'indole dermici sudditi, che io !M)n possa rimaner salvo senz' alleati, egli certo il meglio ch'io non sia re. Ad un che gli ricordava avere Alessan dro vinto Dario: Si, disse Poro, vinse il re, ma non l'uo mo. Un giorno condottogli dallo stallire il disposto ele fante, di cui dovea valersi in battaglia, e dettogli: Que sto, o re, ti condurr, rispose tosto : Io condurr lui, se a me stsso non manco. E a chi lo persuadeva che sagriRcasse al Rume, acci i legni de' Macedoni non ri cevesse, n (acil rendesse il tragitto ad Alessandro: Non ist bene lo imprecare, rispose, a chi le armi impugna. Dopo la battaglia, nella quale dallo stesso Alessandro venne giudicato uomo pressoch divino, e di indole maggior dell'umana, dicendogli un suo parente: Se il sopravvenuto Alessandro ttf avesti umilmente accolto, n vinto saresti in battaglia, n tanto numero d'indiani

LIBRO II. 95 sarebbe spento, n tu ferito; rispose Poro: Informato io delPambizion d'Alessandro, ben compresi che se a Ini mi (ossi presentato supplichevole, gli sarei sembrato u n vii servo, e se lo Combatteva mi terrebbe qual r e , e pia di ammirazione che di piet meritevole ; n m 'in* pannai; che tal dimostrandomi, qual mi vide Alessan dro, tutto in un sol giorno perdei, e tutto ricuperai. Tale essere stato cotesto Indiano raccontano; e dicono che Ai il pi bello di sua nazione, e di si alta statura, che dopo gli eroi di Troia non vi fu chi P avesse, ed es sere ancor giovinetto, quando lece guerra con Alessan dro (!). XXII. Intanto che nel tempio si tratteneva, sino a che fossero annunziati al re questi nuovi ospiti, ApoHonio a Damide disse: Pensi tu che l pittura sia qualche cosa? Senza dubbio, ei rispose, come qualche cosa l verit. E che fa ella quest'arte? Mesce i colori, rispose, cio il celeste al verde, il bianco al nero, il rosso al pallido. Per qual motivo, continu ApoHonio, li mesce? giacch non dee farlo pr solo abbellimento, come fan ciulla ( che si adorna). Il fa, segu Damide, per imita zione, onde rappresentare un cane, un uomo, un caval lo , una nave, o checch altro sotto al sole si trova ;
(?) Della bellezza e della gigantesca corporatura di Poro hanno tatti gli storici unanimemente affermato. Ne'tempi eroici, quali furou quelli di Troia, gli uomini erano di pi alta statura, che dopo. Ercole ed Achille ne sieno testimonj, come pure quei Rgli degli angeli, di cui parla la Genesi nel Vi. Quanto a Poro anche da ricordarsi avere Filostrato dianzi detto che gli In diani erano alti cinque cubiti.

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anzi talvoltaii sole stesso UgurasS, ora trasportato nella quadriga, come qui appare , or come face che il ceto illunani, ed ora che dipinga !' etere e le magioni degK iddj. Dunque, riprese ApoHonio, la pittura una specie d^mitazione? Che altro sarebbe? rispose Damide; sen?a ci , meriterebbe la baia chi mischiasse cosi a caso i colori. Allora Apollonio : Quelle Rgure di centanni, d chimere, di lupi e di cavalli, che veggonsi in cielo ^ quando le nubi vanno qua e l disperse,non ti paiono esse, ^ e r Giove, altrettante opere dell' arte imitatrice ? S i, paiono, rispose Damide. Non dunque pittore an che Giove, o Damide , che , lasciato il volante c a r r o , donde va governando le umane e divine cose, siede in tento a cotai frascherie, e le dipigne, come fa il fan ciullo nella sabbia? Damide ailor si fe'rosso^ vergognan dosi d'esser caduto in quell'assurda opinine. Ma Apol lonio non perci di tal rossore schernendolo ( che acer bo non era mai ne'rimproveri) : Credo, diceva, che tu, Damide, non volevi dir questo, ma bens che siffatte nubi nulla significanti vengon pel cielo disperse dal ca so , per quanto Dio lo permetta; noi per, che per na tura siamo portati aUa imitazione, quelle loro figure sup poniamo e fngiamo (:). Questo adunque, soggiunse Damide, si concluda che assai migliore e pi verisi mile. Doppia adunque , o Damide , l ' arte imitatrice ; possiam coll' una per via della mano e della mente imi tare , e questa l ' arte del dipingere ; con 1' altra per
(:) Nella posizione delie nuvole e nella loro conSgnrazione cosa non sapevano e non sanno trovare alcune menti o super stiziose o balzane?

LIBRO IL ^ via della sola mente possiamo Rnger le immagini. Non ammetter io , disse Damide , questa duplicit $ ma s che Tun abbia a dirsi pi perfetta, ed !a pittura, come, quella che per via della mente e della mano pu esprimere le immagini delle cose ; e l'altra sia una par* ticelia di questa, potendo benissimo compirsi nel pen siero una immagine, e nella mente imitarla anche da chi pittore non sia, n sappia con la mano il suo pensier disegnare^ E se ad uno fosse mozza la mano o per ferita o per malattia ? Per Giove , rispose Damide , co stui che n pennel, n colore, n altro pittoresco ar nese pu toccare , e non atto a dipingere , non sar mai pittore. Noi dunque, ripigK Apollonio, siamo en trambi d' accordo, che la facolt di imitare data agli umini dalla natura, quella di dipingere dall'arte. E lo stesso dee dirsi dell' arte di scolpire $ parmi ancor che tu creda non esser pittura quella soltanto che nei colori consiste; tanto pi che un color solo agli antichi pittori bastava, poscia ampliandosi I' arte se ne aggiunsero quattro ( t) , indi pi altri; ma aversi quella pure a chiamar pittura che a sole linee si riduce, o che non sia colorata , ma solo d'om bra e di luce compongasi. Perocch anche in siffatti lavori la simigHanza rilevasi, e la Rgura, e il pensiero, e la ritenutezza e l'ardire; e sebben manchi loro il colore , e non presentino I' evi denza di un volto i di una chioma o di una barba, tut tavia ianno con un color solo distinguere il viso bruno
(i) Veggasi queUo che ne scrive Plinio nel lib. xxxv, c. 53 ; e Iunlo cef. jF/MMrMrv, fom. A y

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dal bianco, cosicch se con bianche linee dipignessimo alcuno di questi Indiani, tosto conscerebbesi per un negro, perciocch il naso schiacciato, gli arricciati capegti, le guance rilevate, e una certa stupidezza nella guardatura, fanno s che la figura osservata si vegga esser quella di un negro ^ e rappresentare , * chi guar da, un Indiano^ se chi guarda abbia il pi piccolo di scernimento. Per la qual cosa, io sostengo che a coloro eziandio, cui piace guardare le pitture, necessaria la facolt di imitare (i)$ non potendo nessuno lodare un cavallo o un toro dipinto se nella sua mente non vegga l ' animale, che si tolto a figurare ; n alcuno ammi rer P Aiace figliuol di Telamone, che furioso dipin to , se prima non pongasi in mente una forma di Aiace, e gli sembri vederlo stanco sdraiarsi, dopo aver ucciso presso Troia gli arm enti, e tanto agitato da voler an che uccider s stesso.Queste opere per s ben lavorate per commissione di Poro noi non diremo, o Dmide, che soltanto alla scultura appartengano, perch alla pittura si agguagliano, n che sieno dipinte, poich di metallo son fatte ; ma giudicheremo averle industriosa mente fatte un uomo perito s nell'arte della pittura che in quella della scultura, come presso Omero ci viene rappresentato lo scudo di Achille fatto da Vulcano, dove
(i) Tutto questo periodo venne anche egregiamente tradotto dal dottissimo Carlo Dati , e riportato nella sua nota, o lezione de' AfbwocroMMti 4% eg/t anfteAt, di nuovo insieme ad altre proyc scelte di lui pubbliche in Venezia dal diligente e chiariss. sig. Gamba.

LIBRO II. 99 tutto pieno di uccisori e di uccisi, $ diresti che la terra bagnata di ganghe, bench sia formata di rame. XXIII. Stava in tali ragionamenti quando sopravven nero i messi ed un interprete del re ad annunciargli che il re lo voleva suo ospite per tre giorni, vietando le leggi che i forestieri dimorino nella citt maggior tempo ; e cos lo condussero alla reggia. Come sia codesta citt, quanto alle mura, abbiamo gi detto. NarMmo poi ch'ella piena di vie torte e strette, alla ma niera greca ; che le case vi sono costrutte in modo che a gnavdade per di fuori non hanno che Un solo palco, ma entrandovi molte camere hanno sotterranee, e s profonde quanto di sopra alta la casa. XXIV. Scrivono pure di aver veduto il tempio del Sole, ove mutrivasi un sacro elefante, chiamato (!), e vi erano statue di Alessandro e di Poro, quelle d'oro, queste di bronzo. Di %ossi marmi rano le pareti del tempioy amile quali splendeva l'o ro sparsovi a guisa di Incidi raggit II simulacro del nume coperto di perle, in una foggia simbolica , che i barbari pongono in tutte le cose della religion loro (a). XXV. Quanto alla reggia dicono non avervi osservato alcun fasto di fabbrica, n guardie n birri, ma come ndle case de*gentiluomini alcuni pchi servitorelli, e tre o quattro persone, che credo aspettassero udienza dal re ; del qual dempHce apparato aver essi avuto eom-j piacenza assai pi ch^ del tumido fasto di Babilpuia;
(!) QueHo stesse dei quale patiate? d spra al Xll (a) Agii Bgizjf, ai Peniani, agli Etopi deve Tergme s& a la scienza de' simboK # degli emMem!.

I0O VITA DI APOLLONIO TIANEO e maggior anche fu il piacer loro , quando, i^trodol^iy videro neHe camere , neHe galletie e in tutta la cort^ regnare una somma modestia, -, * XXVI. Da questo pertanto ApoHonio stim ebei quelT l ' Indiano fosse un Rlosofo , laonde per mezzo djcll'in* terprete (t) gli disse : RHegromi, o r e , in vedendoti dare opera alla RlosoRa. Ed io ^ rispose il re, assai pi mi rallegr che tu cos pensi di me. Allora ApoHonio : Cosi forse presso voi dalle leggi prescritto, txt che a tal moderazione richiamasti il principati ? ; Io y rispose il re , le moderate leggi: con moderazine an<che maggiore mantengo, e pi ricchezze posseggo che tuiti gli uomini insieme ^ ma di pche ho bisogno, d le su-; peMu agli amici dispenso. Ricchissimo sei , disse Apol lonio , poi che apprezzi pi che T oro e l'argento gli am ici, dai quali mlti vantaggi ti derivano^ Anche ai, miei nemici, replic il re, fb parte delle mie ticehezze;* perch i b aA ari, a questa regione vicini, che gi con le incursioni loro im iei conRni vessavano , io eon que ste spttpongo, e da essi , come da Un presidio ^ la provincia difesa, non pi invadendone essi le frontiere, n lasciando che le invadjanp altri barbari pur confi nanti, che molestissimi sono. Domandandogli Apollo nio ] se Poro eziandio stipendiasse a! suo te&po colotio, espose : Amava il re Poro la guerra, ed io amo la pace. La qual risposta tanto vinse Ap&Monio, e s' a lui (!) Eusebio rinfaccia a Filstrato i invero di sopra nel x'x del Hb. i , attribuite a^ Apo^lcmio le cbgnizioni di tutte le lingue, edi assegnargli qui un interprete per !tenid^re o per parlare quella degli Indiani. Parmiche il rimprovero sia gwsto.

LIBRO II. iot affezion, cherimproverando una volta Eufrate, il quale ^o n comportatasi come debbe un Rlosofo ( t ) , sciam: nw cnM :nchano Frao^c, che tate era i nome del re. Volendo un satrapa pei gran beneSzj dal re ricevuti, porgli sul capo una nutra d 'oro (a), adorna di varie gemme: Se no, disse il r e , fossi un di quelli che di siffatti onori van lieti) la riputerei, o la torrei d^l capo ora che Apollonio presente ; e coin Faccetterei io , che mai questi ornamenti non ebbi, dimenticandomi a un tempo e dell'ospite mio e di me? Interrogollo Apollonio anche sulle qualit del suo vitto; ed egli rispose : Io bevo appena tanto vino quanto quello che consacro al Sie; ci che prendo alla caccia dagli altri mangiato, bastando a me 1' esercizio del corpo ; miei cibi sono gli erbaggi', la polpa e il frutto della palma, e ci che mi produce 1' o rto , irrigato dal fiume ; e molti altri me ne porgono gli alberi, che io di mia mano coltivo. Queste cose ascoltando assai compiacevasi Apollonio, volgendo pi volte a Damide il guardo. XXVII. Dopo aver lungamente parlato del cammino che ai Bracmani conduce, ordin il re che alloggiasse la guida, che il re di Babilonia avea dato , come far solea con tutti quelli che di Babilonia venivano; e l'al tra data dal satrapa fosse di viveri provveduta; indi
(') Di ci sar il lettore informato pi innanzi cio al lib. v, $ xxxv , ecc. (a) Tra gli argomenti che Strabone accenna indicanti il regno di Bacco nell'india, annovera eziandio la m itra, fregio affatto indiano ; del quale veggasi il $ xv del lib. in.

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prendendo egli per mano ApoHonio, e fatto partire 1' interprete ? <cosi in greca favella gli disse: Non mi vor rai tu oggi tuo commensale ? Maravigliosai Apollonio^ $ si disse: Perch cos non mi paranti alla prima? Te metti , rispose, di non parerti troppo ardito e mal di me conoscente, e non ricordevole che la fortuna mi volle barbaro. Ora per amor tu o , vergendo che io pure a te non dispiaccio, non ho potuto nascondermi, e quanto io pienamente conosca il parlar greco in pi modi ti mostrer. E perch, disse Apollonio, in vece che tu a pranzar mi invitassi, hai voluto che io inviti te? Perch, rispose , io ti tengo maggiore di m e, essendo la sapienza una cosa pi che reale (:). Com' ebbe ci d etto , il condusse al luogo, ov* egli era solito lavarsi. Era quel bagno un giardino, lungo uno stadio (a), in mezzo al quale era scavata una vasca, ove colavano fontane di acqua tepida e di fresca ; aveva da ambi i Iati uno spazio, dove il re si esercitava al dardo e al disco, alia foggia greca ; essend' egli robusto e sul fior dell' et , contando appena ventisetf ann i, e assai pia cendogli quelli esercizj. Quando erasi abbastanza tra stullato saltava nell' acqua, ed ivi trattenevasi alcun poco a nuotare. Come furon lavati andarono al pranzo, con le corone sul capo, cos accostumandosi tra gli In diani, quando sono convitati alla mensa del re. XXVIII. Credo non dover io tralasciar di esporre la
(!) npr uno de* pi celebri assiomi della fi losofia degl! stoici. (s) L' ottava parte di un miglio.

LIBRO IL forma di quel convito, avendola Damide ampiamente descrtta. Stendesi il re sopra un letto , ed ha vicini i parenti suoi, non mai pi di cinque ; tutti gli altri man giano seduti. La mensa, fatta a guisa di un' a ra , arriva per altezza i ginocchi^ ed posta nel mezzo, ed era contornata da un coro di trenta uomini. Allargavansi sopra di essa rami d'alloro ed altre frondi simili al mirto, che somministrano il balsamo agli Indiani (t), Pesci ed uccelli si erano imbanditi, e interi lioni, e capre, e le parti posteriori delle tigri, astenendosi essi dalle altre parti di questo animale, perch dicono che quando ei nasce alza i piedi anteriori verso l ' oriente. Ognuno dei convitati sorge e va alla m ensa, prende alcun di quei cibi, o un pezzo ne spicca, poi torna alla sua sedia ^ e satollasi, mangiandolo insiem col pane. Quando sono sazj, recansi intorno tazze d'oro e d'argento, ciascuna delle quali basterebbe per dieci, nelle quali bevono a capo chino, come bevono gli animali (a). Tramezzo al bevere usano diversi esercizj ardimentosi, e non senza pericolo, e di molta destrezza. Tra questi un fanciullo, al par di quelli che stanno coi mimi, saltava alto con gran prestezza, e in quella era scagliato un dardo, al di sopra del quale dovea trovarsi il fanciullo, altrimenti ove errasse nel salto sarebbe trafitto ; e colui che il
(t) Ctesia descrive quest'albero e il balsamo che ne stilla nel suo libro delle Cose indiane presso Fozio. (a) Filostrato, ovvero Damide ch'ei dice di qui ricopiare, ha dimenticato le seconde mense dei re dell' India , e i cibi che vi erano serviti. Pu a tale mancanza supplire Eliano nel xtv del!a Storia degli animali.

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dardo scagliava 3 pria d vibrarlo, andava intorno a mostrarne la punta ai convitati, lasciando facolt di fame ia prova a chi piacesse. anche uno degli esercizj conviviali lo scoccare una Ronda e colpir ne' capegli, non pi lontan di una linea, il fanciullo che gioca sui dardi, e questo sanno Farlo anche gli ubbriachi (1). XXIX. Delle quali cose, ben degne d' esser vedute, maravigliavasi Damide , e soprattutto di quella somma abilit di trarre i dardi. Ma Apollonio, che insieme al re e delle stesse vivande mangiava, non vi faceva trppa attenzione; anzi il chiedeva: Pregoti dirmi, o re, com imparasti s bene la lingua greca? parendomi che non debba averne avuto maestri, perch non credo che se ne trovi nell' India. Il re sorridendo rispose : I nostri antichi a tutti quelli che qui sulle navi arrivavano solean dimandare se fossero corsari, tanto credevano che fosse comune cotesto, bench si grande, misfatto (2) ; e voi, per quanto mi pare , a quelli che a voi vengono dimandate se sieno filosofi, tanto stimate che questa virt divina, e la maggiore che abbiano gli uomini, possa persino al volgo competere. Ben mi noto che presso voi ella quasi una specie di scroccheria (3). Di
(n) Alcuni di cotai giochi si veggono anche nel convito di Trimalcione presso Petronio, nel Simposio di Senofonte, e in pi altri antichi autori. (a) Nelle pi lontane et si i Barbari che i Greci esercitavano la pirateria senza scrupolo alcuno, credendola lecita. Tucidide al principio della sua Storia ne testimonio. (3) Gli impostori , di cui seguono molte parole , Borirono in ogni tempo ; ma n una barba lunga ed incolta ed una logora

LIBRO II. te per s dice che nessuno ti agguagli; e dicesi che moltissimi dell' abito della filosofa, scioccamente s w prono, quai predatori dlia roba altri, e vestono toga che loro non appartiene. E costoro , a guisa de'malan-* drini, che vivono allegramente, bench sappiano che sta !or sopra la giustizia vendicatrice, cosi di essi dicesi che in lascivie, in crapule, e in molte vesti si avvolgono^ di ci credo esser cagione le leggi vostre, le quali a morte dannano il falso tnonetario, e il corruttor fraudo* lento di un leggiadro garzoncello, o il colpevole di non so quali altri delitti , mentre colui che la filosofia de turpa, o falsiBca, non presso voi, per quant'odo, da alcuna legge punito, n avvi magistrato che la presegga. XXX. Fra noi allo incontro pochi attendono alla fi lo so fa, e que'pochi si provano in questo modo. Fa d'uopo che giovinetto di diciott' anni ( et nella quale credo si esca della pubert anche presso di voi ), var cato il fiume Ipasi ( i) , vada a trovar quegli uomini , cui tu pure ti avvii, purch abbia dichiarato pubblica* mente di voler consecrarsi alla filosofa; acci essi o vi assentano, se cos giudicano, o nel distolgano, se non hen puro vi aspiri. E puro intendesi prima per parte del padre e della m adre, nei quali nessuna macchia
vestacela fanno un filosofo, come n il collo torto, gli oc chi bassi, le mani incrocicchiate sul petto non bastano a face un santo. Eppure il mondo si lascia cosi facilmente gabbare dall'ap parenza ! (:) Sino a questo Rume asseriscono gli storici ed i geografi essere arrivato Alessandro, e confermasi da Filostrato nel pros simo $ xxxm.

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dbb* essere , poi per parte de' loro genitori, retroce dendo sino al terzo grado, si che verundi loro non sia n petulante, n impudico, n usuraio. Se niuna mac chia in essi, n il menomo dubbio, allora alle qualit del giovinetto s pon mente, e prima s esamina se bene stia di memoria, poi se modesto animo abbia, o soltanto Io infnga ^ e se non sa bevitore , o goloso, non vanta tore , non buffone , non insolente , non ingiunatore ; se i parenti, e i dotti, e i maestri obbedisca, e se mal non usi di sua bellezza. Per ci che i suoi genitori e i padri loro riguarda, dai testimonj ricavasi, e dai pub blici registri. Perch quando muore un Indiano, un ma gistrato , cui quest'ufficio commesso, recasi alla casa di lu i, e nota in qual modo la vita sua conducesse. Che se quel magistrato cadesse in inganno, o fosse bugiardo, le leggi il condannano a non esercitare mai pi magi stratura veruna, come reo di avere falsificata la vita di un uomo. Rispetto alle qualit dei giovani, solo in guar darli son conosciute ; perocch gran parte de' costumi degli uomini si scorge dagli occhi loro, e dai sopraccigli, e gran parte rilevasi dal volto, sapendovi i sapienti, nelle cose naturali periti, quasi da uno specchio ^ co noscere l'indole altrui (t). Facendosi in questo paese gran pregio della filosofia, e molto gli Indiani onoran dola , mestieri lo esplorare all' in tutto quelli che vi aspirano, e a molte prove sottoporli. E come questo dai professori si faccia, e come tali prove subisca lo studio della filosofia presso noi, l'ho abbastanza mostrato.
(!) Anche a que' tempi vi erano i Lavater, e (orse pi pro fondi e pi sicuri di quelli de* tempi nostri.

LIBRO II. !y XXXI. Ora di tne medesimoti informer. Re & l'avo m io, ed ebbe i! mio nome; mamio padre visseprivato, perocch lanciato or&no, ohe era ancora fanciullo, due s w i congiunti, com' daBe indiarne leggi prescritto, gli fnron interi ; ed esercitarono essi in vece sua la reale autorit, e certo con nessaaa lde e con poca mode razione , p erla qua! cosa vennero in odio ai sudditi, e mal !i sof& !a pubblica amministrazione. Congiuratisi adunque alcuni ottimati, un giorno di solenne festivit piotpbaron sovr' essi, mentre sagriRcavano ai Rume Indo ( i ) , e li oppressero ; poscia, occupato il regno, lo amministrarono. Ma altri congiunti del padre m io, che ancora non avea compito i cedici anni, solleciti di scam parlo, Io mandarono di l dell' Iphsi al re di quei luoghi; il cui regno pi ampio del mio, e il paese as sai pi bello di questo. Volendo il re adottarlo per fi glio, egli pregollo in contrario, dicendo non voler com battere contro la fortuna, che un regno gli avea gi tolto; e il chiese che gli permettesse di attendere alla filosofia insieme ai sapienti eh' ei frequentava, dicendo potere cos tollerar molto meglio le disgrazie domesti che. Avendo poscia il re determinato di riporlo sul trono paterno : Riponmivi, disse, ove tu vegga che io abbia nobilmente atteso alla filosofia, se n o , lasciami viver cos. Andatosi pertanto Io stesso re a quei sapienti, disse, che grand' obbligo terrebbe loro , se diligente mente quel fanciullo allevassero, che gi molto ingegno
(:) Come gl! Egiziani facevano sagrile!! al Nilo, giusta i prin cipi deHa religon loro, cos gli Indiani al fiume Indo.

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mostrava. Essi perci scorgendo in Ini certa perspicacia, procuravano di maggiormente insinuargli !a prpria sapienza , e di buona voglia lo ammaestravano, veggen-? dolo sempre intento allo studio; Di l a sett'anni, graviemente ammalatoci il re ^ e gi prossimo a morte y hiamllo a s, lo diedcf socio nel regno alGgliuol suo, e lo spos alla giovin sua Rglia. Ma egli tosto che vide H 6gNuolo del re aver cari gli adulatori , i l vino , e si& ^atti vizj , e vivere in gran sospetto di lu i, s gli disse : Tienti ogni cosa e goditi il tuo regno, che bene stolto clui il quale ndn potendo possedere un regno che gli appartien per diritto voglia audacemente occuparne uho non suo; ed io delle cose tue ci solo chieggo, che tu mi conceda la tua sorella. Accrdate le nozze, prese a soggiornare vicino a qde' sapienti, ov' erano sette amenissime ville, date dal re a titol di dote alla sorella. 0 dunque da questo matrimonio son nato. Il padre mio, istruttomi nelle lettere greche, consegnommi ai sapienti, pi presto (orse che l'et mia noi comportasse, peroc ch avea solo dodici anni, ed essi non altramente che qual figliuolo allevaronmi, amando essi in ispezielt quelli che trovano gi versati nelle greche lettere, come ^incoiativi da una certa simiglianza di dottrina. XXXII. Quindi a non molto morirono i miei genitori, e i Savi mi imposero ch'io andassi alle ville ad aver cura del &tto mio, trovandomi gi nel diciannovesimo anno. Ma il caro zio erasi tolto le ville, senza pur lasciarmi alcuni campiceli! da mio padre comprati, dicendo che era tutta roba della corona, e che assai mi beneficava lasciandomi in vita. Laonde io , raccolti alcuni danari

LIBRO IL dai liberti di ma madre, st&Yah con soli quattro serv. U n d , mentr' io leggeva la tragedia intitolata gli Erad i d i , mi giunse da queste parti un uomo, il qua! ^ecAvam i una lettera diu po stretto Amico di mio padre; in cu i mi esortava th passassi il Rume Idraote e andarsi a trovar lui , che aveva aparlarm i del regno , avendo non poca speranza di ricuperarmelo , oy' io p^gronon &asi. JB*nicrtamente un dio che queia tragedia, w sug ger, e d io n seguii l augurio. Paasato pe^aint ilEunM, intesi che umdi coloro che iit regna i^^seyo er^ morb^, e P altro era in qudsto sttw&paj^zzo assediato. Mi avanzai d^nq^ con a^rema.caa^ela, yfidndo a tuiti i ppr poli, tra i quali ipasaava, d*/<phi ^ &s$i io CgU, e come io gissi a riwp&H^Q iil w # regn^; od ^i giwhila^ti e diipiai salvezza brMn^si , w i accompagnarono , trovandomi smigliaMtisainwal mio 4Yolo4 Ar<chi e^spaAs tenevano ^eogni gwnot BMtggiotr ^ e p a il numer. Giun4^ alle porte delia citt &i s gra^ios^mantQ acclto, che !e genti levando dall'altar <j^l Sie le (aci^mi vennero in<X M % *O t, e qui ^ni condussero, cantando inaiti cose in onore dell^ ayoie d^l p^dre mio: e colui <Jie a guisa di baco stavasi qccultp volivano precipitar dalle m u rasse io non avessi pregato che di tal mortq non ^)sse spento. ; XXXIII. A questo raccnto Apollonio rispedendo disse: Ti mihai chiaramente narrato il ritorno degli Era^ elidi, e ringraziati sieno gli dii per la bont loro, con che soccorsero cammm tacendo un uomo ttuno , che al suo regno tornava. Ora amerei che mi dicepsi ^i cp*, testi sapienti, se essi furon di quelli, che ad A!#s3aBi&r&

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soggiacquero, e ch e, a lui presentati, con esso db' ce lesti arcani filosofarono. Costoro erano gli Ossidcaci, rispose; gente che sempre Ubera vive ye che nel mestier della guerra valente (:). Ben si pretendono di essere molto innanzi negli stndii della sapienza^ ma non sanno gran cosa. I veri sapienti per abitano fra l ' Iparide e il Gange, ed ivi mai non giunse Alessandro, non per* ch temesse di cosa chevi fosse, ma y a parer mio, per ch non vi si rendevano gli auspicj (a). Qnamd^ anche; superato avesse l 'Iparide , e forze avesse bastanti adcte-< cuparvi il vicino paese, pur non avrebbe potuto prender mai la cittadella da essi abitata, 4e anche mille Achilli e trentamila Aiaci vi avesse condotto; perciocch no^ escono essi a battagliare con gli iavaso&iy ma li respia** gono con prodiga e con folgori (3), essendo persone sa cre e agli iddii carissime. Raccontano essi che 1 7 egizio Ercole e Bacco, che P India con 1' armi trascorsero , li invasero insiem congiunti) e alzate varie bastie tentaro no espugnar la citt. Essi invece non contrapposero ve* run riparo y ma restaronsi quieti y per quando agli aggres* sori pareva. Ma tosto che questi mossero all* assalto ,
(<) Questa lode anche Diodoro Siculo comparte a coJst po poli, de* quali fanno pur menzione Tolomeo, Strabene, Ardano, Plinio, ecc. ! ^ (a) Alessandro non and ottre l ipasi, come si veduto poc'an zi , ma il motivo ne fu la saditwa d#' soldati, che viene aRrmata dagli storici. (5) Questo passo, ed un altro qu! presso, mi confermano nella idea, che la polvere incendiaria fosse conosciuta in Oriente fino dagli antichissimi tmpi. Sopra di che non qui luogo di &r lungo discorso.

LIBRO II. Mi globi di fuoco , e folgori da! cielo scagliati, * tuli'armi loro piombati , ne li rispinsero. E dicesi che Ercole vi perdette il suo scudo d'oro $ che poi que' sapienti nei loro tesori deposero , s per riverenza al gran nonm di Ercole, e s per la scultura di esso scudo. Bravi efBgiato il medesimo Ercole in atto di fondar presso Gade i ter mini (della terra), e far dei monti due colonne, sepa randone esteriormente Mmre. Daci manifesto si ren* d, che non P Erco tebano maPe^zib and alle Gadej vi fiss conRni del mondo XXXIV. Intanto che dosi faveUavano? sopravvennero alcuni cantando e suonando Rauti; e interrogando Apol lonio il recosa questo signiRcaase, ei gli rispose: Gii diani, quando Hre va a doanice ^gli cantaaof canzonette piene di buoni avveramenti, acci faccia buoni sogni, e buono si rialzi di letto, e ben disposto verso i suddi^ t. E come, chiese Apollonio, ricevi i , o r ^ ^ui quei canti e quei suoni sopo diftti, cotesti avvertimnti? Io non li sprezzo, disse il re^ perch cos voglion le leg^ gi, quantunque ip noh abbisogni di tali ricordi; peroc ch ogni cosa che il rebien e moderatamente faccia, a lui pi che ai sudditi giova Ci detto ^ avviaronsi a ri posare. XXXV. Appena aA albeggiar cominciava, che^il re ih persona and alla camera ove Apollni^ e Lsuoi com pagni dormivano, e appoggiate le mani al letticciaoio di
(:) Questa & una asserzione gratuita di Fiostrato. Ma trattan dosi di storie favolose oghi scrittore pu farsi lecito di aggiugnere ci che gli piace.

xn VITA DI APOLLONIO TIANEO Ini g!i demand che stesse pensando, perocch, dice* v a, targhe bevi acqua e il vino disprezzi, non dei dor mire. Apollonio, che non possano dormirecolocreh^bevon acqua ? Ben credo che dorma-* no, ripigli il re, ma leggermente, e di quel sonno che volgarmente diciamo sulla cima degli occhi, e non gi riposar colla mente. Al contrario, replic Apollonio, essi dormono in ambi i modi, e forse pi con la mente; perch se quieta la inente non fodse nemmeno gli occhi potrebbono pigliar sonno ; pertiai furiosi, dalla agitazionudella mente incediti, tolto il dormire, ma pas sando di pensiero in pensiero torvi e stralunati) girano gh occhi, come i veglianti draghi. Giacdh dunque,o re ^ continuava 'egB, del sonno stesso abbattpnza siamo informati ^ e di ci che indicar sule agli uothini, cer chiamo donde avvenga che meno dorma uno che beve acquat iche un che si inebbrL Non cambiarmi astuta-^ n ien te la quMtion, rispose il re<$ perch se di ubriachi mi parli, so anch'io che 1 ] uhbriachezza non indmce al sonno , trovandosi l' animo dal furore di Bacco tutto concitato e pieno di iperturbazini, e a ciascuno, che dopo aver crapulato tenti d'addormentarsi, pare ora di essere portato in alto Rno ai tetti, ed ora sotterra rispin to, e in tali avvolgimenti si aggira^ qual dicesi di Issione. Non dunque di un, ubboiaco intendo io disputare , ma s di chi bdve sobriamente vino, il quale io dico ad dormentarsi e dormire infinitamente meglio di chi beve acqua, XXXVI. Appllonio allora, scuotendo Damide, gli disse: Io ho a disputare con uomo acuto, e molto eser-

LIBRO IL n3 citato nella dialettica. I! vegga/rispose Damide, e forse tu hai tolto gatta a pelare ; e in verit che il parlar suo mi stringe ; or dunque tempo, che tu bene svegliato g^i soddisfaccia. Apollonio, alzata un cotal poco la te sta, io adunque (diceva) tenendo dietro al tuo discor* so, ti mostrer che pi vantaggi conseguiamo, e che pi dolci snni dormiamo noi beventi acqua. Tu egregia mente dicesti quanto negli ubbriachi sia l 'animo da tur bamenti agitato, e come a! furor si avvicinino; veggiamo in fatto che a cotai crapuloni sembrano doppj il sole e la luna, e che anche coloro, i quali meno generosamente bebbero, sebbene quasi sobri compaiono, pure o stor diti , o pieni di certa allegrezza e volutt si presentano, ancora che per lo pi cagion di allegria non abbiano. Altri vanno immaginandosi allegazioni forensi, bench mai non aprissero bocca ne'tribunali, altri si acclamano ricchi, bench non abbiano un soldo. Tutte codeste, o re , son pazzie; tanto pi che P allegria stessa basta da s ad agitare la mente, perch io vidi parecchi, che stimandosi felicissimi , non solo non potevano prender sonno, ma fuor del letto subitanamente balzavano. E ci quello che volgarmente diciamo, che ancAe /e y&rfHne ywcono Vi ha pure alcune medicine trovate dagli uomini per produrre il sonno , le quali, o col berle, o coll' ungersene, li fanno si Etto dormire che paion morti ; ond' che tanto sbalorditi si levano, che par loro di essere in tutt'altro luogo che quel dove sono. Tu accorderai dunque, se ostinato anzi che di sputatore non vuoi parere, che il bevere, o per dir me glio il versare nel corpo e nell animo, apporta un sonfom. V . 8

VITA Di APOLLONIO TIANEO no meno sincero e men conveniente, ma o profondo, s che a morte sa quasi simile, 0 breve e da mille fan tasie interrotto , ancor che allegro. Ma quelli, com'io, cle bevon acqua, veggono le cose quali sono, n om breggiano o fngono a s medesimi quello che non esi ste, n leggerezza, n torpor, n goffaggine, n alle gria soverchia dimostrano, ma sono a s stessi presenti tanto il mezzod che la sera. Siffatti uomini non sonnec chiano mai, quand'anche gran parte ideila notte passino studiando, n il sonno li aggrava, il quale allo incontro pesa come signore sul capo fatto schiavo dal vino; ma liberi e ritti li veggiam sempre; quando poi si addormen tano, con pura anima dormono, non per prosperit in superbiti, n avviliti per isventure; perch la mente so bria quelle e queste con moderazione sostiene, n dal1'affezione loro vincer si lascia, ond' (?he non isvegliata nel sonno, soavissimamente e giocondissimamente riposa. XXXVII. Oltre a ci l'anima non dal vino offuscata pu facilmente comprendere i presagi delle cose avveni re, che si ottengon dai sogni, e che gli uomini riguar dano qual cosa sopra le altre divina, e chiari li raccoglie e medita. Perci gli interpreti- de' sogni ( che i poeti chiamano onwYy?o%) non prima danno giudizio di visio ne alcuna, che abbiano richiesto dell' ora in che si eb be. S'ella avvenne verso il mattino, la interpretano, pe rocch allora l ' anima, trovandosi purgata da' cibi, ret tamente discerne il futuro; se nel primo sonno, o a mezza notte , quando la mente ancora nel vino som mersa e annebbiata, ricusano di giudicarne, e ben a ra
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.LIBRO II. n5 gione (i). Che cos pure usino gli iddj, e che soltanto agli annni sobrj accordino il fatidico ingegno, in poche parole dimostrer. Fu gi, o re, presso i Greci un in dovino detto AmCardo. Lo s , disse il re ; tu parli del figlinolo di Ecleo, che la terra inghiott vivo, mentr'ei tornava da Tebe (n)^Eg!i stesso, o re, rispose; che ora nell'Attica vaticinando manda i sogni a chi nel chiede; e costor che il consultano vengono dai sacerdoti costretti a digiunar un intero giorno, acci 1' anima adatto lu cida i divini oracoli intenda. Che se il vino fosse medi cina opportuna al sonno, certo che il saggio AmRarao avrebbe imposto agli interpreti de'sogni che diversamente vi si preparassero, e*al luogo delle visioni si riducessero pieni di vino, come otri. Potrei citare molti altri oracoli di gran fama s fra i Greci che fra i Barbari, ne' quali il sacerdote, non di vino ma d'acqua abbeverato, tras mette dal tripode le sue risposte. Fa dunque conto, o re, che io e gli altri che bevon acqua, abbiamo un dio denho noi, e che dalle ninfe strascinati ci ubriachia mo di sobriet (3). Il re allora: Vuoi tu avermivi, disse, per compagno, o Apollonio? Il vorrei, rispose, pur che ci non ti renda odioso a' tuoi sudditi ; perocch se la filosofia di un principe moderata e non troppo umile
(!) Su questa materia de* sogni , e su quant ne sognarono uomini di gran dottrina, consultisi fra gli ^antichi Artemidoro , fra i moderni il Cardano. (a) Ne parlano Dodoro Siculo e Pausania, Omero nell' 0<% M iiM, e Stazio nella (5) Non eravi acqua nella religion de' pagani cui non presie desse una minia.

M6 VTA DI APOLLONIO TIANEO produce non so qua! mirabile temperamento, come ap pare da! tuo stesso esempio; ma s'ella troppo sottile e rigida, e pi modesta che a! grado vostro non si con viene, allora diventa odiosa; anzi l'invidia dice ch'ella ha in s qualche cosa di ributtante (:). Dopo questi ra gionamenti, essendo gi splendido i! giorno, usciron d camera. XXXVIII. Osservando ApoHonio che i! re aveva a dare udienza ad alcuni ambasciadori ed a!tre persone, gli disse : Tu, o r e , fa quello che al principato convtea e , e me intanto a! Sole concedi, al qua! mi d'uopo ch'io faccia !e solite preci. Ascolti egli, rispose il r e , il pregar tuo , che far cosa gratissima a tutti quelli che amano la sapienza ; io aspetter che tu torni, perocch ho a dar sentenza in alcune controversie, e se della tua presenza vorrai favorirmi mi sarai di gran giovamento. XXXIX. Tornato pertanto al r e , che il giorno era assai inoltrato, gli dimand di che affari avesse dato sentenza. Oggi, disse i! re, non ho pronunziato verun giudizio, perch non furonpropizj gli auspicj. Anche ci, rispose ApoHonio , fiate voi con gli auspicj, come si fa pe' viaggi e per le spedizioni militari ? S per Gi ve, soggiunse il re, perch si arrischia che il giudice si diparta dalla giustizia e dall'equit. Assai sensata Apol lonio trov questa risposta de! re; e di nuovo il richiese qua! fosse la controversia, della quale desidera senten
(*) Bellissima sentenza questa, che anche da Cicerone con poco diverse parole Ri proferita. Apollonio vi torna sopra nel Hb. v , $ xxxv, come si vedr.

LIBRO II. aty zi are ; perocch pensieroso ti veggo, continuava, e in certo a qual giudizio attenerti. Confesso, disse il r e , eh' io stbnu&i infra due, ed amo perci che tu mi con sigli. Uno ha venduto ad altrui un campo, nel quale era un tesoro nascosto, di cui sino allora nessun sapea nul la ; poco dopo lavorando il terreno, si scoperse una cassa piena d'oro, la quale il venditore del campo dice doversi a lui ^ perch non l'avrebbe venduto , s sapeva esservi dentro quanto bastava a sostener la sua vita. Ma il compratore pretende aver comperato tutto ci che nel terreno si trova dal momento che divenuto suo. I! titol d'entrambi, a dir vero, par giusto; ed io sem brerei poco assennato se comandassi che l 'oro si ripar tisse fra loro, come una vecchierella risolverebbe. Ri spose allora Apollonio dicendo : Che costoro non sieno filosofi assai manifesto da! contender fra loro per amor del denaro; ma tu egregiamente, a parer mio, giu dicherai se porrai mente che primamente gli dii pren dono cura di coloro che alla vera filosofia attendono , poscia di quelli che non son ligi alle colpe, e paiono non aver mai commesso nulla di male. Ai primi dunque con cedono una aceurata cognizione de!le cose divine ed umane ; agli altri, che pur sono buoni , danno quanto al viver loro bastante, acci per mancanza de! neces sario non divengan cattivi. Io penso adunque, o re, che essi vadano posti entrambi sulla bilancia , e abbiansi a indagare con diligenza i costumi loro ; parendo a me che gli iddj non avrebbero tolto il terreno a Tcostui, s'ei non fosse un malvagio , n concesso all' altro ci che vi era nascosto, se migliore de! venditore no! co-

T: 8 VITA DI APOLLONIO TIANEO noscessero. I! d seguente ricomparvero entrambi a di fender la causa toro; intanto si seppe essere il venditore uomo superbo e sprezzatore de'sacriBcy che si faceva no agli dii terrestri ; I' altro invece essere uomo giustis simo e sommamente religioso. Per conseguenza, gmsta il parer di ApoHonio , vinse il buono , e s ne part ^ come se quel tesoro avesse ottenuto dagli idd). XL. Dappoi pertanto che il giudizio fu cos termina to, ApoHonio presentandosi al re: Oggi, disse, il terzo de'giorni, che tu , o re, mi accordasti a star tco; egli dunque necessario, che in osservanza delle vostre leg gi , dimani io me ne parta. La legge, rispose il re, non ti stringe cotanto; e tu puoi rimanere anche domani, pe rocch qui giugnesti dopo il mezzod. Compiacciomi, soggiunse ApoHonio, della tua ospitalit, parendomi che t per cagion mia cerchi sottilmente di eluder la legge. Certamente, replic egli, se mi fosse pur lecito di romperla, s il farei almeno per te. Or dimmi, Apol lonio ; que' camelli, sui quali mi dicono che cavalcava te, ti trasportarono da Babilonia? Di l appunto, disse ApoHonio, avendoceli Bardane somministrati. Potranno dunque, seguit il r e , portarvi pi avanti, se da Babi lonia sin qui tanto cammino hanno fatto? Tacque allora ApoHonio, ma Damide disse: Egli nou ha ancora, o re^ avvertito la lunghezza del viaggio, n conosce i popoli tra i quali ha poscia a trovarsi ; ma, come se in ogni luogo abbia a incontrare o te o Bardane, gli pare un gioco il viaggio dell'india ; e perci non ti vuole dir chiaramente in che stato sieno i camelli, i quali per sono in tanto mal essere, che avremo noi a portar essi;

LIBRO II.

M9

e ci converr pure cercarne altri. Perocch se in alcu na parte dei deserti dell'india avessero a stancarsi, noi parimenti dovremo rimanervi per iscacciar dai camelli gli avvoltoi ed i lupi, che nessuno intanto scaccer da noi, cosicch vi avremo noi pure a morire. Allora il re rispondendo disse : Rimedier io a questo male, e darwene altri, cio quattro che parmi abbisognarvi, e il satrapa, che al Rume Indo presiede, rimander gli al-* tri quattro a Babilonia. Io ho presso l'indo un armento di camelli, e tutti bianchi. E non ci darai una gui-* d a, o re? disse Damide. S , rispose, e un camello anche ad essa dar, eJe vettovaglie. Scriver pure a Iarca, il pi vecchio de' sapienti, che accolga Apollo* nio qual uomo per nulla inferiore a lui, e voi pure, co me filosofi, e di tant' uomo compagni. Ordin l'indiano altres che si desse loro oro, gemme^ e vesti di lino, e altre sCtte cose abbondevolmente. Ma ApoHonio disse che d'oro avea copia, dato alla sua insaputa da Barda ne alla guida ; che le vesti di lino accettava, per essere simili ai manti degli antichi e buoni Ateniesi ; e una delle gemme tenendo in mano: Oh preziosa, sciam, quanto opportuna e non senza divina disposizione ti trovo! per aver forse rilevato in essa qualche segreta e divina virt. Damide poscia e i compagni ricusarono Poro essi pure, ma presero tste gemme, quante facea d'uopo per sacrarle agli iddj, tosto che alla patria tor* nati fossero. XLI. Rimasti dunque anche il d seguente, perch non permise il re ehe partissero, egli consegn la let tera del tenore seguente :

VITA DI APOLLONIO TIANEO


7/ re Fraofe a Varca, capo, eJ ai

cA^ .fono eoa /*M, ^a/afe. ApoHonio, uomo sapientissimo, voi reputando pi di lui sapienti, a voi si dirige, per approntare de! vo stro istituto. Rimandatenelo istruito di tutta la dottrina che avete; delia quale non andr nulla perduto, essendo egli parlatore sovra g!i altri eccellente, e di gran me moria dotato. Pregoti pure, padre Iarca, di mostrar gli i! trono nel quale io sedeva quando mi desti i! regno. Quelli altres che lo seguono degni sona di !de,poi che a taut'uomo vollero assoggettarsi. Sta sano, e state sani. i XLII. Partitisi da Tassila, e due giornate Avanzati, giunsero ad un luogo, ove narrasi aver Poro combat tuto con Alessandro, e dicono avervi due porte veduto, da cui nulla veniva chiuso , ma alzatevi per trofeo. In cima a!le qua!i era Alessandro sopra un carro tirato d quattro cavalli, come vuoisi che fosse quando in vici nanza di esso sbaragli i generali di Dario. Narrano es servi due altre porte non. molto distanti ira loro, sull'un a delle quali la statua di Alessandro, sull' ahpa quella di Poro, ch'io credo fabbricate dopo il eopHitto e gli accordi ; essendo che il primo in atto di svalutare , il secondo di riverire. XLIII. Superato il fiume Mraota, e passati fra varie popolazioni, arrivarono al Rume Ipasi. Trenta ;&tadj (!) (*) Tre miglia e mezzo de' nostri tH'incirca.

LIBRO II.
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ne erano ancor lontani, quando alcune aie incontraro sulle quali era questa iscrizione: AL PADRE AMMONE
A t FRATELLO ERCOLE ED A M IN E R V A PROVVIDENTE E

A G lO VE OLIMPIO* ED AI SAMOTRACI C AB IRI E A L L 'IN

Dicono es servi anche innalzata una colonna, con le parole: A L E S SANDRO QUI si FERM (2 ). Ed parer nostro che quelle are ponesse Alessandro per onorarne i confini de! suo im p ero, e che la colonna venisse eretta dagli Indi abi tanti oltre 1 * Ipasi ^ gloriantisi che Alessandro non an dasse pi avanti.
DICO S o L E E AL FRATELLO APOLLINEO ( i ) .

(n) T orri anzi che are le hanno dette pnrecchi scrittori, anzi Plutarco dice (Vita d'Aless ), che anche al tempo suo celebravansi in esse i riti sacri alla maniera de'Greci. (?) H Cedreno rammenta alcuni altri simili monumenti fatti alzare nella ndia da Alessandro.

DELLA VITA

DI APOLLONIO TIANEO

VBVM3 TERZO.

I. JLELL'lpasi ora, de! tratto ch'ei scorre perPIndia, e delle sue maraviglie bene che le seguenti notizie si abbiano. Le acque di questo 6ume scaturiscono da! suolo, navigabili tosto, ma poco pi oltre inaccessibili alte navi, perch si alzano di sott' acqua varie pietre con cima aguzza, disposte a scaglioni, nelle quali i forza che !e onde percuotano , e quindi il Stime riesca meno atto a navigarsi. La sua larghezza pari a quella delP Istro, che il maggiore de' Rumi che bagnano l'Europa (:); e come nelle rivedi questo cos in quelle nascono piante, dalle quali stilla un liquore (2), di cui
(t) Diodoro Sculo la dice di sette stani}. (a) Se ne le' cenno di sopra nel $ xxv:u del precedente libro.

LIBRO HI.

:a3

gli Indiani formano l'unguento nuziale. E se di tale uagnento non ungessero i nuovi sposi coloro che assistono aa celebrazione delle nozze, le nozze parrebbono Im* perfette, e fatte in disgrazia di Venere. A Venere parimenti dicono conseerato un bosco vicino alle rive det Rume, ed^anche i pesci pavoni, che solo in questo Rume si trovano, cos dall' uccello di tal nome chiamati, per avere la cresta cerulea, le squame punteggiate a pi macchie, e la coda color d* oro, che alzano qband# vogliono. anche in esso Rume un animale simile a candido vrme, da cui traggono un olio, buono ad ar dere , e che soltanto ne# vtro pu conservarsi. Codesto animale si prende solamente pel r e , acci se ne valga in espugnar le fortzze, perocch sol che quell' olio tocchi le mura y si accende una Ramina y l qale non puossi estinguere con verun di que' m e% % i che gli uo* mini trovarono contro il fuoco (t). II. Dicono eziandio che in quelle paludi si prendono asini selvaggi, che hanno un conio sulla fronte, col quale a guisa di to ri, e poco meno gagliardamente combt tono^). Di tal corno gl*Indiani formano un bihievo, credendo che chi beve in esso n in quel giorno si am mali y n se ferito fosse risenta dolore, e salvo poter passare tr a i fuoco, n da veleno ( che senza dann bever non puossi altrimenti ) soffrir nocumento. Tal bic(t) Ctesia, ^ n^olto pi Eliano , scrissero di questo verme. Air Indo per e non all' Ipas o attribuiscono, accordandosi nei resto con ci che ne dice Filostrato. (2 ) Anche di questo animale (che i moderni chiamano monocero fae) hanno Atto parola gli scrittori soprallegati.

VITA DI APOLLONIO TIANEO chiero al re solo appartiene, come a lui solo la caccia d questo abituale concessa. ApoHonio racconta di aver veduta cotesta bestia , ed essersene compiaciuto, attesa l di lei natura. E interrogandolo Damide se egli quella fandonia del bicchiero ammettesse : La ammetter ? ri* sposp, quapd'io sappia che il re di questa parte dell'India non muoia $ perocch colui che a me o a cia scun altro offerir puote bevanda s atta ad espellere le malattie, e eos salubre, non egli pi verisimile che ne faccia uso eg!i ogni giorno, e phe da q^el corno a piena gola tracanni ? e nessun certamente potrebbe a buon dritto riprendere chi con esso giugnesse a inebbriarsi, III. NaiTa^o parimenti che in questo luogo abhatterpns; in uda povera donna, negra dalia testa sino a!!e poppe, e da queste sino ai piedi ipteramente bianca; daHa quale, come da una fantasima , dieronsi a fuggire; ma Apol lonio alla donnicciola porse la mano, accortoci di ci ch'eH'era, cio che era sacra alla Venere dell'india (:), alla qual diva dedicata questa generazione di femmine (li vario cplore, come accade in Egitto rispetto al dio Api (1). IV. Raccontano poi di aver superata quella parte del Caucaso, che al Mar Rosso si estende^ che tutta pian tata di aromati di diverso genere. Le altuye del moute
(t) Costei doveva essere una furba bianca, , che si acconciava in tal modo per ingannare i creduli Indiapi. ; (i) A varj colori si rai&gurava dagli Egizii quepta loro divinit. Veggasi Strabono, lib. xvn ; Plutarco, D '7^., Qy/r.; Luciano, -De Amtniano Marcellino, lib. xxn; Suida, ecc.

. LIBRO III. :z 5 danno il cinnamomo, che simigliante i traici noveHi. Esso dalla capra indicato ; perch se alcun le porge il cinnamomo, essa come cagnuolo gli sussurra sulla mano, e i passi ne insegue, co! muso teso ver lui ; e se i! pastor la rispigne ella se ne lamenta com3 s venisse da! proprio truogolo rispinta. Sui pendj dirupati de!!a montagna nascono altissimi alberi da incenso (t), e d' altre specie moltissime , tra cui quello del pepe, che coltivato dalle scimie. N omisero di dire a quali piante sieno essi, e spezialmente questo, conformi, ed 10 ci che ne vien riferito accenner. La pianta del pepe simile a quel!a che i Greci chiamano agno*, s ne' grappoli de' frutti, come ne! rimanente ; nasce in luoghi scoscesi, inaccessibili a!!' uomo, ma frequentati da frotte di scimie, !e quali abitano le spelonche del monte, e tutte le sue caverne. Gran conto gli Indiani fan delle scimie, perch esse vendemmiano i! pepe, e perci coll'arme e co'cani le difendono dai leoni. Tende insedia alla scimia il leone, massimamente quand' infermo , per averne medicamento, perch !e carni di essa il guarisce ; e ancor quand' vecchio, per cavarne 1 1 cibo, perch pi non potendo a cagion degli anni far caccia di capriuoli e di cervi, avidamente s'ingoia le scimie, usando contr' esse !e poche forze che gli ri mangono; ma gli uomini non le abbandonano, e cono scendo quanto vantaggio ne ottengono, prendono a combatter col!' aste contro i leoni, sin che li uccidano.
(<) Nelle vicinanze dei fiume Maraguon nell' India nasce un incenso migliore di quel cT Arabia.

n6 VITA DI APOLLONIO TIANEO Ecco ora ci che ivi s pratica intorno aHa pianta del pepe. Vanno gli Indiani nella parte bassa del monte a raccogliere i (rutti di quegli alberi che col crescono y e formano sotto le piante stesse certe piccionaie, dove ammucchiano il pepe, quasi spargendovelo a caso, come cosa tenuta a vile e da essi sprezzata. Le scimie che ci hanno veduto dai loro alti e inaccessibili ripostigli, imitano di notte il lavorio degli Indiani, e i ramoscelli dalle piante spiccati gettano ed ammucchiano nelle stesse aie ; gli Indiani poi, tosto che sorge il giorno, traspor tano que' fasci di aromato, che senza fatica riposando e dormendo hanno acquistato. V. Dalla cima del monte dicono essersi agli sguardi loro offerta una pianura, frastagliata da moltissimi fossi pieni d' acqua , quali obbliqui, quai diritti, tutti dal Gange derivanti, che servivano tanto a segnare i confini de' campi, quanto ad inaf&arli ne'tempi di siccit; es sere dessa la pi nobil campagna di tutta T India, n avervene di pi vaste in quella pianura. Di l al Gange vi ha quindici giorni di cammino, e diciotto stadj dal mare ai monti delle scimie, lungo i quali la piauura si estend. Il terreno ivi nero e fertilissimo d' ogni cosa. Dicono avervi osservato spiche alte come canne, fave tre volte pi grosse delle egiziane, e sesamo e mi glio di esimia grandezza. Qui pure, al dir loro, cresco no noci, parecchie delle quali presso noi si conservano per maraviglia nei templi. Piccole vi nascn le viti, si* mili a quelle che trovansi in Meonia ed in Lidia, pro ducenti per buon vino, e grato odore esalanti per T ornai matura vendemmia. Dicono pure avervi incon

LIBRO li. !iy trato un albero smile al lauro, che ha un guscio eguale al melo granato, entro il quale sta il (rutto, tirante al nero esso pure, bellissimo a! par di un giacinto, e soavis simo pi di quant'altri a noi pervengano dall' Oriente (i). VI. Discesi poi dal monte narrano essere intervenuti alla caccia de' draghi; di che giova il parlare : Perocch sconvenevole sarebbe che, mentre della lepre e come prendasi e come prender si possa tanto scrissero coloro che se ne diedero premura, noi tralasciassimo la storia di una caccia s generosa e pressoch divina, non perci tralasciata da colui, dal quaie tutte queste me morie ho raccolto* Quasi tutta l'India coperta di dra ghi di somma grandezza (a), e ne sono piene le paludi, pieni i monti, n v'ha sepolcro che ne sia privo. I pa lustri sono i pi pigri; la lunghezza loro di trenta cu biti i non hanno cresta sul capo, e si assomigliano a draghi femmine ; negrissimo hanno il dorso, e meno squamoso degii altri. Di essi pi dottamente d'ogni altro poeta parl Omero, dicendo che il dtago che era in Auiide, abitava presso la fonte, erossigno avea'l ter go. Ma gli altri poeti dicono che il dragone del bosco di Nemea, che fu del genere di questi, avea la cresta; locch non faci! trovare ira i draghi delle paiudi. VII. Quanto a quelli che abitano le radici de' monti ed i sepolcri, spargonsi per le pianure, ondelar preda,
(t) D i tutte queste naturali produzioni de! suolo indiano stimo inutile il raccogliere le testimonianze degli antichi e de moderni naturalisti. Quest* ultimo (rutto queUo che oggi chiamasi mangostan. (3 ) Qui pure va applicata 1 * osservazione della nota antecedente.

128 VITA DI APOLLONIO TIANEO e superano in tntto i palustri; perocch e sono assai pi lunghi, e vanno pi veloci de'rapidissimi Rumi, s che nulla pu da essi fuggire ; cresce in essi la cresta, che ne'giovani mediocremente elevata, ne'vecchi in grandisce insieme all'et , e diventa molto alta. Quelli fra loro che sono di color del fuoco, e che hanno il dorso fatto a sega, hanno anche la barba, portano pi alta la testa, e le squame loro splendono come argento^ !e pupille degli occhi sono pietre, lucide a! par del fuoco, e vuoisi che abbiano moltissima occulta virt (i). I cacciatori prendono il drago campestre, quando que sto si azzuHa con 1' elefante , e cos uccidono 1' uno e 1' altro animale. Il guadagno di chi lo prende sta negli occhi, nella pelle e ne' denti. Nel rimanente cotesti draghi sono simili ai pesci pi grandi, salvo che il corpo loro pi gracile, e versatile in tutti i sensi $ hanno per denti invincibili come la balena. VIII. I draghi poi di montagna hanno aurea squama, e vincono di lunghezza i campestri. Folta e parimenti aurea la barba loro, e il sopracciglio pi rilevato che nei campestri $ sotto al quale sta 1' occhio torvo e fe roce. Quando serpono pel terreno mandano un suono, che par di rame; dalle creste che son vermiglie, scintilla il fuoco , pi che da una face. Questi superano gli stessi elefanti, e sono superati dagli Indiani nel seguente mo do. Dinnanzi al covil loro distendono un panno ros^o tessuto con lettere d'oro, conlaincantagion delle quali
(!) scrsse Lucano ne! !x delta Fln/vag?;#, dopo avere nei vi cantata la (orza magica degU occhi de' draghi.

LIBRO HI. 139 inducono il sonno , e legano g!i occhi al drago y che altrimenti sono invincibili. Lo incantano anche con moke parole ^ che il raddolciscono, e traendo! fuora deRa ca verna viene ad addormentrsisu queste !ettere (*). Cos disteso y gli piomban soprp gli Indiani, con le scuri il feriscono, e spiccatone il capo ne levano le pietre che vi son dentro. Perocch dicono che nel capo de'draghi di montagna trovansi pietre fe n d e n ti , d'ogni colare ,' e di mravigliosa virt, cme narrasi cheiosse 1' and di Gige (a). Accade pi volte che il drago nella sna ca verna s'appiatta, e seco tragge l'indiano ^on la sua scure e con tutti i suoi ipcanti ^ e cos egli e non il monte ne tremai Dicesi che anche le Montagne vicine al Mar Rosso sno da siffatti draghi abitate,^ narrano averne udito gli orridi Rachide averli veduti nuotare per lunghissimi tratti nel mare. Quanto tempo viva que sto animale assai difRcil Io accertarsene, e incredi bile ci che se ne dice ; e quel eh* io ne scrivo tutto gi che ne intesi. IX. A pi del monte trovarono una assai vasta citt,
(<) L'incantagione de* gran serpenti per parte de* m ori, che abitano o v e quelli sono assai numerosi , un artifizio praticato anche oggid, e ^ngiste appunto in un assopimento* (2) Di codeste pietre che si trovano nella testa deserpenti e di altri animali, e delle virt che loro si attribuiscono, o almeno si attribuivano, pu scriversi un volume. Ma trattandosi di og getto che debbesi riguardare, se non per favoloso, sicuramente per molto incerto, lasceremo che ognun ne creda ci che vuole; non vuoisi per dimenticare la dotta dissertazione del co. Luigi Bossi gai DrmgM w M fgM M *c. .f/MMriMr;, io/n. A 9

: 3o VITA DI APOLLONIO TIANEO che dicon, chiamarsi Paracor, in mezzo allo quale videro appese molte teste di draghi ^ essendo che g!i abitanti di essa in tal sorta di caccia sin dalla fanciullezza si esercitano; e si pretende che intendano !e voci e gli istinti degli animali, chi mangiando il fegato del drago, c^i il cuore. Andati pi oltre, parve loro di sentire il suono d' una zampogna, come quel di un pastore, che lo sparso gregge raccolga ; videro in fatto pascolarvi** le cerve bianche, che gH Indiani mungono -, stimando che quel latte giovi al nutrimento della borgata. X. Continuato il viaggio per quattro giorni entro meno e ben coltivato paese, dicono che pervennero al casteUo de' Sapienti* Qui la guida ) da tinhor presa e tutta sudata, fece piegar le ginocchia al suo camello, e volle discenderne. ApoHonio, comprendendo ove fospe giunto, e del timor deH'Indiano ridendosi: Costui, disse, parmi simile ad uno che arrivi ad un porto, dopo aver lungamente solcato il mare, e che abbia sdegno deHa terra, e dell' essere in porto spaventisi. E si dicendo comand che si rialzasse il camello, perch gi erasi in tai cose avvezzato. Il timor deHa guida nasceva dal tro varsi vicino ai sapienti, di cui gli Indiani hanno pi rispetto che del re; tanto pi che lo stesso re, cui quella provincia soggetta, suol consnltarli in tutte le cose da dirsi o da farsi, e manda, come ad orcolo, a pren derne consiglio, ed essi ci che giova di (are insegnano, e ci che non giova dissuadono e proiUscqno. XI. Volendo essi prendere aHoggio nel vicin borgo , distante men di uno stadio dal colle de' Sapienti, dicom che videro venir loro incontro di gran corsa un giovi

LIBRO IH. i3: netto*, pi di tutti negassimo; neUa cui fronde, in quel!* parte che dai sopraccigli divisa, splendeva la^Rgura della luna. Ne'tempi posterioii ^dii che simil fenomeno fu osservato in Menome d'Etiopia) allievo de! soRsta Ero de (t), mentre fu giovane^ e che giunto al!' et virile quello sp!endore svan^ e insieme a! Bore deHa giovinezza ti dilegu. Narrano che cotesto Indiano portava un' an cora d 'o ro , che presso gii Indi un caduceo, valen dosene qua! suggello d'ogni cosa. XII. Fattosi innanzi ad ApoHonio salutoHo in !ingua greca^ di che non presero maraviglia, avendo udito che tutti que'paesani priavano greco. Ma siccome al saluto aggiunse il nome^ ci produsse neg!i altri stupore , ed in ApoHonio fiducia per !' oggetto a cui veniva. E vol tosi a Damide : Noi senza dubbio, disse, ad uomini sa pienti venuti siamo ; parendomi che la scienza dello av venire posseggano; e al tempo stesso interrog l'india no cosa dovesse fare , perocch gi ardeva di trovarsi a colloquio con essi. Fa d'uopo, rispose !' Indiano, che qui lasci questi tuoi seguaci, e che tu venga tosto; che cos vogliono ESS!. Da questa parola Essi conobbe Apol lonio il gergo pitagorico, e lietamente il segu (a). XIIL II poggio dai sapienti abitato dicono avere l'al tezza che ha la rocca di Atene, e sorgere in mezzo alla pianura: essere munito e cinto di lunghissime pietre, e
(:) Troveremo nelle vite de* sofisti scritte da Filostrato quella di cotesto Erode, ove ancora si & cenno di Menone. (3 ) I discepoli di Pitagora non pronunziavano mai il nome di lu i, ma dicevano e g # , o e& M ?. Sappiamo tutti che il loro divenne coll' andar de' tempi una maniera proverbiale.

: 3* VITA DI APOLLONIO TIANEO osservarvi spesso orme caprigne ()), e forme di barb# e Ji volti, ed anche in alcuni luoghi di schiene,.come d'uomini caduti; e si racconta che quando Bacco insie me ad Ercole invase questo paese comand ai Pani di espugnare quel poggio, in cui racchiudevasi tanta ga gliarda da turbare ogni cosa, e che, sorpresi essi dalI' arte de' sapienti, soccombettero in varie guise, e la sciarono impressa ne' sassi la forma, in che ciascuno era cadendo. Soggiungono di aver veduto all'intorno del poggio una nube, ove soggiornano quegli Indiani, stan dosi a piacer loro o visibili o invisibili ; e non aver os servato porta alcuna d'ingresso al pggio, perch la nuvola che lo circonda non lascia capire se sia aperto o chiuso. XIV. ApoHonio per dice che seguendo l'indiano sal per quella parte del colle, che posta a! mezzod, c avervi prima di tutto visto un pozzo largo quattro brac cia , da cui sollevasi un vapore azzurrino, che giugnc Uno all' orlo ; quando poi gli sopra il sol meridiano, Io stesso vapore tratto in alto dai raggi solari, a chi ben guarda , rassemhra un arcobaleno. Dice aver poscia sa puto di questo pozzo, che il suo fondo di terra piena di sandracca, e che l'acqua di esso si tien come sacra, n alcun ne beve o ne cava, e il giurar per essa in tutta la vicina India il giuramento pi santo. A canto
(<]) Quelle cio de'Pant (che i latini chiamaron faMM*), che ivi condusse Bacco, come detto subito dopo, ai quali si at tribuivano i pi di capra, onde vennero denominati. Gli eruditi per hanno rilevato qualche diversit tra i Pani ed i Fauni.

LIBRO III.

,33

a! pozzo una conca di: fuoco, che tramanda una ^ani ma d color piombino, ma non fa n fumo, n odore, n mar trascende, contenendo per modo !a sua mate ria, che mai non ecceda la bocca deHa conca. Qui gli Indiani si purgano dai peccati contro voglia commessi ^ ond' che i Sapinti chiamano queHo deMa (*), e questo # yhoeo ^e/ perdono. Scrivono di avervi altres veduto due botti di pietra nera, una deH piogge , l ' altra dei venti; e che quando PIndia trovasi oppressa da troppa siccit queHa delle piogge viene aperta, e n' esce tal nebbia, che inumidisce tutti i ter reni ; e quando troppe sono le piogge, serrandola le fa cessare. La botte dei venti fa, per quel che a me pare, ci che fanno gli otri di Eolo; perocch aprendola cac cia fuori un vento che sofBa tutta la stagione, e cos n' assicurata la salubrit del paese (z). Narrano an* cor di essersi abbattuti in alcuni simulacri di iddj ; e non doversi aver maraviglia che neH' India si trovino immagini egizie,^poich anche le antichissime dei Greci, cio quelle di Minerva PaHade, di Apolline Delio, e di Bacco, e di Amicleo (3), o s' altro ve n' ha pi antico,
( i) In un frammento sul Rume Stige lasci Porfirio una notabil memoria intomo a quest'acqua, che mondava le colpe presso gli antichi Indiani. ^ (a) Scrive SchoeHero che anche i Lapponi fanno oso di alcuni otri , o sacchi, a simiglianza delle botti qui menzionate, per in dizio de'fenomeni mteorologici. Probabilmente altro non erano coteste botti che macchine dinotanti il cambiamento de'tempi, conte lo sono ora i nostri barometri e termometri. (3) Cio d 'A pollo, cosi chiamato pel tempio eh* egli ebbe in

VITA DI APOLLONIO TIANEO gli Indiani innalzarono, e alla greca maniera ne cele-^ brarono il cu!to. Aggiungono che cotesti sapienti abi* tano nel bel mezzo dell' Indie, indicandosi come l'om* belico di essa il poggio pi eminente di queRa collina. In esso con sacri riti mantengono un fuoco (t), che di cono di raccorre essi stessi dai raggi del sole, al quale per uso inveterato cantano giornalmente un inno ndiPora del meriggi. XV. Che egregii uomini sieno essi, e come traggano la vita loro su quel colle , lo stesso ApoHonio accenn in U n o de' suoi discorsi tenuti con gli Egiziani. V oC M & , diss' egli, : Fracman? , cAe a&itawo 6 if! terra ^ewza aw r , e c&e #m//a eJ og^M co^a (^). Le medesime cose scrisse egli dappoi con eguale ambiguit. Ma Damide nar ra che essi dormono in terra, stendendo per su! pavimen to le erbe, che pi amano ; aver!i anche veduti sollevati nell'aria camminare a!l'a!tezza di due cubiti da!!a terra (3),
!34
A m icia, come sappiamo da Tucidide e da Polibio, ciascuno nei lib. v delle loro storie. (!) Di questo fuoco parlato pi distesamente nel seguente paragrafo. (a) Ci che Apollonio giudicasse della sapienza e degli usi dei JBracmani in ampio modo descritto nella sua orazione, che si legge nel lib. v:. (5) Quel buon umo di Damide, da cui Filostrato ha copiato, ^ra un credenzone, a quanto si scorge, amico del maraviglioso-, come sono i semplici ed ignoranti. Che poi Filostrato lasci cor rere tutto il racconto senza qualche osservazion critica, egli che vi era atto, parmi aver cos fatto per vie meglio stuzzicare la curiosit de'lettori. Quanto a codesto alzarsi da terra i pesanti

MERO IH.

n35

non pr e^citaymera^i^ia, (. ohe sif^tta aud)i&ione han no in dio ) , ma pweh ttMnaoo che tutto ci) che ^n^ no in^eme ^ , e da terradiataptiil pi che poni% Q-, H facciano in !naiera :pi conveniente ai. dio loro, l fuoco poi jch?ee$i spiocamo da! raggi det $o! bench sia corporeo, noi ^ g n per n acceso, su!l?are, n in ^prneHi ripqhipM), w ,, cme raggio d^e dal aole e da!P'acqu^ rifrangasi, nArasi^Bo^alenare per!?arias Di giorno pregapQ quindi Hsol3,sU.!a cu^a delle Cagini detl'anno 3 QgHM % 3 ? che a tempo ddbito le riconduca a!la terra, p i ^ ^ g t o ne abbia y India : di nMe pot ne adorano Ana&gio ). acci nonjsi crucci a cagion deHa no^te, ma s rimanga qu{e ^ 4^ essi dal sole ra<eeo!to (). Cos iateae ApoNopio quando dis&e : 7 Fw w M ! ^ e ^ e o non essere w ferra. Quanto a.t diriyrf^?ca^ ^^wa^aj^onf, x;i riferts^ i^ia^iH ella qul vivono; perocch sebi ) ^ ,p^anp .st^rQ aU! ^peHQ^p%ire di< w' d^bra si co prono, e non si bagnano se piove, e vanno al sole quan<do lor pice. Rispetto al mttMt e a/ fewpo ^fwo o^a* coia ^o^yeJere , cos Damide ha interpretato, dicendo : cAe Ja JfM o/o ^oy^aao Aaccaa^ , J a ^ o : Facco e ^ i cAe comMO^e^ ygo/^a/?o a/treji pgr Jz esae, e/aycMwo
von^i d^gli'qomicX ^abbiamoaoch in tempi p& vicini a noi molti esempi, contenuti in gravissimi libri, e narrati da Aspettabili autopi ; ma boa sono perci articoli di fede. (i) Era questo probabilmente un fsforo, conservato in una boccia di; vetro, appesa in ait. Ricrdbmi di un fisico oltrejtM W Hano , il Bickiason; 41 jqnale pens ebe io tal modo No tenne iHumiaata la snaatca ? durante il dilvio.

r 36 VITA DI APOLLONIO TIANEO c& 6 A ragion dunque di^eApolloni chej non facendo essi ve#un appai^cchiOy e avendo al t^hpd stesso quelle che brmano, c? cAe % o% po^f^ggo^o. Tengono j capegliy com^ gi i Leedemoni^ i^Tt^r}; n Tarehtii, i Me!{ (<), etutti glialtri, cui le u^sati^e la coniche furono in pregio ; di biacca mitra (a) si ador nano il cap, vanno a pi nudi, e portano teisti corte e senza Aaniche y fatte di K&, ch ivi nsce spo^A^ neo (3) ^ ed Manco al pari di quie di P^nlRUa ^ a & ^? sai pi molle ^ per certa sua pinguedine, da cui p&&besi cavar l' olio. Di questo link) ^fann' uso per gH biti sacri (%) e se ' al&ri che un Ind#aM)^ lo svelga qud tbrren non produce pi lino. Be!l' huello poi^# 'di bstoncello che piotano (5)y dicono nR ih altro en tran e esser buoni che n^gli arcani.
, y y

X V I. A rrivato Apoillopio ser


y

tut^ 4 spieuti c^ a^dl^-

e gli strin sero le m ai. S e d e v i IarcH su^ s ^ g i

(!) Popoli, deir.antica Lacedemoni*,<cme si ha dai Pausnia t Strabene., Meursi^ , ecc.


(2 ) La mitra era una benda, colla quale fasciatasi ^ ^po, di versa daa tiara , che serviva a coprirlo. (5) Lino o o chiama Plinio ( lib. in i ) , a nasce in terre sulle quali non pioVe mi! Cbs anche ! ^ Kircker nela sua C/na. Alcuni il (credono essere lo stesso che l'a

mento. C onati ^ #Q ttQ li^o di wosi^n. Ciaaapini De/ /w#


(4) Come questo Hoo si Rlh^ come ai tessa, igao^raai* E ^ e t sta una delle arti degli antichi, che si sono perdute#

(5) Nell' anello stava ^pietra , la cui vMh ai talli ta nel vegnente nw. DeUa verj^a poi, ossa d#l boaaMa!!a^ e della sua forza magica parlatb in app^sso , a^- jMu.

LIBRO in ; :Sy pi alto, che era di bronzo!, e d vane immagini d'oro guetnit. Di broMOparimeuti erano i seggi degli akri; ma senza vemn ornamento, e meno aki, sedendoessi mo4* t al di sotto di larca. Questi ^ appena che vide ApoH^ mo, il sah^M greca faweUa, e^ gM chiese 41 dispaccio dei re degli Indiaci. Maravigliaado ApoMonio ch'ei cisapes^ se, questi sogghm^e che in quel dispaccio mancavaim D , sfuggita a chi Io scrisse ; e si trov bbe ewn Lettri) ibglio: Inqualm odo, disse, o ApoHos^o, avelia d noi pUsto ? In q^a^ altro mpdo, rispose^ ^e in quello che si palesa dalF aver io pw cagion voehrafMo un viaggi , non prima eseguita da nessun uomo deHa mia patria? Cosa credi tu, soggiunse I? altro ) che daoi si sappia di te ? Io credo, rispose^ che il saper ^ stro sia allo in tutto pi insigne e pi divin; che se nulla di nuovo imparasi d&voi, pi di queHo ch'io sp^ arvr almeno imparato he voi non avete nulla dainse^ guarnii. L'Indiano allora continu : Tutti gti altri so gliono interrogare chiunque venga a vederli chi sieno e perch vangano ; ma presso noi primo sgno del saper nostro il Conoscer chi arriva; ed eccotene tosto la provale &i detto si fece a esporgli la stirpe sua s pa tema che materha, e ci eh' egli aveva &tto in Ega, e come Damide seco n' andasse , e di che avessero d i sputato per tutto il viaggio, o ad altri disputanti inwgnato. Le quali cose tutte l'indiano, non altrimenti che se compagno stato gli fosse, raccont con discorso continuato e spedito. Sbalordiva Apollopio e chiedeva dond? pi sapesse, ed egli rispondeva : Tu pure se^ ()i tal sapienza partecipe, ma non appieno. Me laimegae-

VITA DI APOLLOMO'TIANEO ya tb per intono? dimandi egli. &, n$po^e ^ p ia m e n te , essendo^^ molto pi c0Bsev*&aQ0 aHa v3ra Capienza, due non lo iwidi w o Foccnhayeci che dagno^sapersi (i); tanto pi^he jti v^g d* g ^ ^ ^ o ? Mb dtaAp,oApol!0oi0!, oosache u^oi dopo, gli!iddj $pe^ialpw^e onoriamo. Apollonio rispose: T-whai gi^ c&mr pMPO qv#!i facolt io abbia. N oi, soggiunse I^rca, conoaciAmo 4tt^ le qualit dli? adim&, 4nv^Rt^4ndo^^ wboliAMente (a) in tnil]e guise. 3 M L aper^hil ^ w !0 # i aitino ,.e ^ d?upo apparecchiare quello che ;^ebbe o ^ i^ ^ g lid ii^ n o i chid^rep^jo^j questi d ig ^ s i; ip j^^resso di qualsisia materiacLetH vorrai fa^ell^m o; inAadto ) a te concesso di star presente a ?tnt^ti, ^ ^ostri ^(#. rPw Giov4 ) disac ApoHonio, farei tortQi^l ^^caso ^ all\Iodo <te ^ r cagion vo&tra passai, tptto qnd (;he voi fiate non mi chiariti. Chiaid^citi dpnquc^, yiapo^ I^rca, e intanto ^ndiatpone, h / . XVH. Avutisi alla fontana, che Dapiidq, y^^ut^a dir poi,,dice ^mi)e ,9 quella di Dirce in Beozia, p^Bsa^i,tu%to spojgliaronsi npdi^ poscia si unsero, la te^ta? cou certo unguento bituminoso,; ch^ tpnto riscald quagli Indiani^ ^hje il corpo^ ne fugava e abbondapte^nte Andava, cpme chi; lavasi in bagno caldo. Saltaron qpipdi n^el^acqua, ^ lavatisi ^yviaronsi al tempio; inghirlandati ) capitando ^jMwptamep^e it loro ipni. Ivi postisi ^p ce?chiq a for^a
*38

(:) Egregio consiglio, anzi precetto, questo , che non da molti osservato. ' {i) Simbolica essere !a dottrina de' PitagoriciIntrno all'anima, '& cui trapaaeo da uh corpo W altro ammettevano, e qui e p& aM^iamente risaltai. *

LIBRO Hi; di coro ^ e avendo laMa alla testa ^ alzando Hyastbnb celli percotevano la terra, la quale non divcrpamtut^ del flutto del mare sollevandosi, sollev essi prennel* T arra quasi due brccia (:) Intanto cantavano essi una canzone, simile a quel!a di Sofocle, che irGreci camtan in Atene ad onore di Esculapio. Quand poi sul terw* no Airon calati, Iarca Piant il giovinetto che poetava P ncora , e gli impois^e che prendesse cwa*de' compa* gni di Apollonio ^ ed egli assai pi ve^ce che i velocis simi uccelli andato etw nato:H o& tto,disse. Dappoi dunqae che a lungo fransi trattenuti in* sacre Hinzion!^ presero riposo sui seggi loro^ e Iarca disse al giovinetto: Reca al sapientissimo ApoHonio il trono di Fraote (a), acci che sedutoti disputi seco aoi^ XVIII* Quand^ egU In assiso : Ora , gli diss, inter roga di qualunque cose tu vuoi ) perocch sei dinmanzi ad uomini che conoscono tutto ; pHonio per cons^guenza dimand se conoscevano anche s stessi, paren dogli , come pare ai Greci, essere cosa molto ardua il conoscer s medesimo (3). Ma Iarca torcendo alquanl
(*) Qui il sollevamento accennato al xv attribuita al suolo, il qual seco solleva quelli che vi son sopra. In conseguenza as sai n minore il prodigio, perch si possono supporre mec canismi ed ordigni atti a produrlo, come veggiam ne' teatri , o in altri siffatti spettacoli. (a) Vedemmo di sopra al xn del lib* w , che Ffaote scrisse a Iarca di mostrare ad Apollonio il trono ? sul qual sedette, quando fu eletto re. (5) Primo principio ed ultimo scopo della filosofia de' Greci era questo, di che veggasi Platone nell' ; Stobeo, Laerzio, ecc.

i% <, VITA DI APOLLONIO TIANEO dalla opinjon d'ApoMonio : Noi, disse, conosciamo tutto, perch primamente conosciamo noi medesimi, n alcun de' nostri a qusta filosofia si ammette, ove prima non consca s stesso. E ricordatosi ApoHonio di ci che da Fnaote aveva udito, cio che chi aMa sapienza aspi rava non prima ammettevasi che non avesse dato buon conto di s , accett tal risposta, perocch erane gi per s medesimo persuaso. Di nuovo adunque richiese: Quali si stilassero essi ? Quali dii, rispose l'altro. Per ch quali dii? replic Apollonio $ Perch, soggiunse, siamo buoni. E questa risposta parve ad ApoMonio s piena di senno, che !a ripet poi neMa sua Apologia a Domiziano (). XIX. Riassumendo poi la dimanda anteriormente pro posta, disse : Che pensate voi deU' anima? Ci, rispose, che a Voi Pitta&ora, a noi gli Egizj insegnarono. Ecch? riprese Apollonio, in quel modo che Pittagora afferm di essere stato Euforbo, aSermi tu pure che prima che in questo corpo venissi fosti un Troiano, o un Greco, o qualsiasi altro? in diano allora: Troia per, disse, per opera degli Achei che col navigarono; e voi dalle fa vole che il volgo ne sparse vi lasciaste illudere; percioc ch stimaste ci fatto da que' soli che espugnarono Troja, obbliando molti e assai pi grand'uomini, che tanto la terra vostra quanto l'Egitto e l ' India produssero. Ma giacch del mio primo corpo.mi interrogasti, dim mi di grazia, qual pensi tu che fosse il pi valoroso di tutti coloro che contro Troia o in favor suo combatte(') Veggasi ci nel lib. vm, vu, cap. 7.

LIBRO IH.

,4 ,

rono? !o penso, rispose ApoHonio , che Anse Achi!!e 6gHuol di Pleo e di Teti^ posciach Omero il decanta come il bellissimo ed il fortissimo degli Achivi, ece!e^ bra per somme le sue prodezze. Gran pregio & pure di Aiace e di Nereo, i quali dopo Achille esalta come pi belli e i pi gagliardi. Ora tu , disse Iarca, de duci da ci, o Apollohio, chi fu prima di me generato, 0 per dir meglio qual fu il corpo mio generato prima d me. Cos anche Pittagora fece rispetto ad Euforbo (:)^
(?) Antichissimo domma questo della Metempsicosi, ossia del trapasso delle anime da un corpo all' altro, e sicuramente non fu Pitagora che lo invent, ma bens ne fu difensore e pro pagatore. Questa dottrina deHa trasmigrazione delle anime fu per male intesa da m olti, i quali pensarono eh' ella insegnasse che i corpi si rinnovassero, locch non vero. Come pur non vero che l'u o m o , nel qual fu Fanima che poi visse in altr'uomo, fosse necessariamente un antenato della famiglia di questo. Le parole di Iarca, che qui leggiamo, ce ne convincono. Egli dice in sostanza cos : Tanto io posso essere stato Aiace o Nereo (cio l'anima ora mia pu essere stata quella di Aiace o Nereo), quanto mio padre pu essere stato Ulisse o Nestore, e quanto mio figlio potrebbe essere stato Diomede; e per essere ora chi gi si fu non necessario che chi si fu fosse uno de' miei avoli o bisa voli. Anche Pittagora fu gi Euforbo, ma Euforbo non appar tiene alla famiglia di lui. Ne segue pertanto , che 1' anima, se condo questo domma, doveva animar sempre qualche corpo, perch doveva per natura sua vver sempre; ma i corpi eh' da di mano in mano animava non riguardavansi per i progenitori di quelli, che ne venivano animati dipoi. Ne'paragrafi che seguono si sviluppa ognor pi ctesta dottrina, la quale, al pari di tutti 1 principi astratti, ha qualche lato splendente, ma riesce in ultima analisi o inammissibile, o non intelligibile*

ig i VITA DI APOLLONIO TIANEO XX. Fu gi un tempo , (!o^4inu, che questi luoghi erano abitati dagli Etiopi (:), razza indiana; ancora non esisteva Etipia (i), ma sopra Meroe e le Catajdupe si estendevano i conRni dell' Egitto , c quella regione fonti del Nilo alimentava, ed ag^i sbocchi di esso avea fine. In quella et dunque in cui gli Etiopi tennero que* sto luogo, sotto il re Gange,la terra abbondevolmeute li nutriva, e gH iddj ne prendevano cura. Ma dappoi che uccisero il loro r e , n pi dagli altri Indiani furono riguardati per puri, n pi la terra produsse di che vi vessero, perocch la semente che in essa gettavano pria che ruoyolo si formasse era guasta; imperfetti parto rivano le donne i fanciulli ; cattivo pasto avevano le greg ge ; dovunque si ponessero i fondamenti d'una citt^ la trra cedeva e crollava. Oltr' a ci l'ombra di Gange perseguitavali dovunque andassero, e tutto il popol vivea nel terrore ; il qual non cess fino a tanto che gli autori dello assassinio, e gli spargitori di quel sangue non avemmo alla terra immolati. Era Gange alto dieci cubiti, di una bellezza che ancor non ebbe verun mor* tale, ed era figlio del fiume Gange (3). Fu egli che, aven(t) Il passaggio degli Etiopi dall'india in una parte dell'Egit t o , narrato anche nella cronica d'Eusebio, e ripetuto dal no stre autore pi innanzi, cio nel lib. iv , u, (i) Cio ancora non le era dato questo nome, perocch era parte d'Egitto. (3) De* vasti corpi degli antichi Indiani si fatto gi cenno. Che il re Gange dicasi figlio del fium e, ognun conosce che qui si parla secondo la mitologia di quella nazione, giacche ogni nazione ha la sua mitologia e i suoi tempi eroici.

LIBRO IH. ,%3 do iipadre suo mondalo K India, il vall ne! Mar Rosso j e cod lo rese propizio agli indiani ; cha la terra, sin eh' egli viss^ riccmen^e pgnLcosa forn ^ e U ven(Hc poi che fu morto. & poi che Omeriy ^K )H + (tace Achille a Tria per eagion d^ Elena , narra prese dodiei citt marittime, ed undici Aa terra, ^ ph toltagli dad re la do^na, di tanto sdegno arse, cheparv^ selvaggio ed inumano, paragoniaanolo ora con tutte que ste circostanze al nostro indiano. Egli pertanto edific sessanta citt, che sono le principali di questa regione. Nssump, cred' ioy stimer che sia pi glorioso il pigliar le ctt, che il fondarle. Allontan quindi gli Sciti, ch$ con P esercito avevano superato il Caucaso, e fatto gran dann al paese ; e per certo in6nitaaeute migliore 4 t^olni jche liberata la patria sua da buon uomo Passista the^ chi una citt fa schiava; peggio poi, a c a g io n i nna femmina, la quale probabilmente ^on fu rapita c o l tra sua voglia. Fatta poscia alleanza col principe di quella regione, ove ora domina Fraote, bench^quegli contro ogiii dovere e iniquissimamente gli rapisse la mo glie , pure non volle rompere i patti, dicendo di aver giurato con tanta religione, che quantunque tale ingiu ria np ricevpspe pin;e nuocergli non voleva, XXL Pi^ altre azioni di tanfuomo racconterei, se non temessi che ci minia lode tornasse; perciocch son io quel desso (!), e ne diedi indizio essendo appena nella et di quattro anni. Aveva il re Gange piantate na(t) Cio, ranima th m'informa quella stessa che f! nei corpo di Gange.

VITA DI APOLLONK) TIANEO scostamenti nella terz stte spade adamantine^^#^ ac^ ci il paese non venisse invaso mai da vern terrore (z)^ ^avevano gK dii ordinato che si c^ebrassero i sagriRzj in qwtMo *ttsa luogo ov^ eran piantate, ma non avtan^ dlof^ssi% indicato, io cos &nciuHetto condussi gK ip^ terpreti d^^oracolo a quel luogo, e vi feci scavare, as sicurando che le deposte spade si troverebbero (3). ! ^ X X H i s t u p i r t i per della fortuna mia, che dUn^ Jimo ch^io era in altro Indiamo mi trasmigr. Costai ^abe qui vedi ( e addit un giovine di cirea vent^ anni ) nacque atto alla RlosoRa pi che nessun altro B o ta le, ^d ha corpo sano, e gode di una eccellente costituzione, e tollera con Ertezza le scottature ed i tagli. A mlgyado di ci egli odia la RlosoRa. Qual dunque ^ o Jane#, dimand ApcJonio, P infermit di qhe! giovine? proct ch dispiacevo! cosa mi narri, che, essendogli si be#e dalla natura disposto, pure laRIosoRa noucpltivi , n
(t) Di tempra s dura ed incorruttibile, come il diamante. ( 2 ) Antica superstizione, con la quale credevasi tener lontani i nemici. L'Oleario in questo luogo ne cita parecchi esempj. (5) Intende con queste parole Iarca di dare una prova come l'anima sua fosse quella stessa, che gi fu del re Gange. Ovidio nel xv delle metamorfosi, dopo aver fatto dire a Pittagora

ego, Barn jRanfAoide^


gli fa soggiungere

tempore MR eram
. . .

Cogwapt A!% yer


e ci corrisponde perfettamente A quello che l%rca vuole qui signiBcare.

LIBRO MI.

*46

bram istruirsi, massimamente essendo a voi socio. Nostro socio non , riprese Iarca, ma coin Mone preso contra sua voglia da noi tenuto in custodia, guar dato con sospettosi occhi nei tempo stesso che Io acca* rezziamo e palpiamo. Costui dunque fu Palamede che un d guerreggi sotto Troia. Suoi nimicissimi chiam Ulisse ed Omero, l'uno perch tali macchinazioni gK msse contro che ne fu lapidato, l'altro perch noi de^n pure di un verso. E siccome n g!i giov Tesser faggio, n le lodi ottenne di Omero, dal quale ebbero fama parecchi men di lui degni, e fu vinto da Ulisse , eh' egli non aveva offeso, perci della BlosoBa nemico, e della sua fortuna si lagna (*). Ed pur egli quel Pa!amede, che, sebbene ignaro dello scrivere, pure le fi gure delle lettere invent. XXIII. Mentre cos parlavano fra loro, venne un messo ad Iarca e gli disse : Il re sar qui verso mezzo giorno per favellare di sue faccende con voi. Venga, ri spose Iarca ; tanto pi che miglior partir , com' abbia praticato questo Greco. Ci detto a! primiero ragiona mento torn $ e ad Apollonio rivolto: Ora tu, disse, narrami del tuo primo corpo (a), e chi sei stato in altri
(:) Oltre Strabone, che del silenzio di Omero intorno a Pa lamede ha fatto cenno nel !ib. vm ; ed oltre ci che pur ne disse lo Suida, secondo le emendazioni del Custero, veggasi quanto sullo stesso proposito scrive il nostro Filostrato tanto ne! xvi dei prossimo !ib. tv, quanto ne suoi -Z&oic!, che noi da remo nell* altro volume. ' (a) Da queste parole tuo pr&no corpo , e da quelle sul Unire del xut y*t *7 corpo mio generalo prime <R me .f/MMrjLir;, (om. 7. no

i46 VITA DI APOLLONIO TIANEO tempi. A cui rispose : Siccome fu ignobile , cos pochis simo di lui mi ricordo. E Iarca soggiunse : Stimi tu ignobile Tessere stato capitano di una nave egizia? che 10 so che tal (osti. Tu d il vero, o Iarca, replic Apollonio ; tal fui per 1' appunto $ e ci non solo stimo io cosa ignobile, ma eziandio odiosa $ perch sebbene sia un ufEcio uguale a quello di regger un magistrato o di condurre un esercito, pure mal sentito, per co!pa di coloro che sono addetti alle cose marittime (i)$ per ci un' azione, tra le altre , eh' io feci nobilissima, nes suno degnossi lodare. Qual , dimand Iarca, la no bile azione che facesti ? Hai tu , costeggiando Malea o 1 1 Sunio, sostenuta 1' ampia nave nell' impeto de' Rutti? o appuntin conosciuti i venti che fossero per sofBare o da poppa o da prua ? o superate !e scogliere del golfo d'Euboa, ove tanta copia di acuti sassi ? XXIV. Giacch, disse Apollonio, tu mi hai spinto a parlare di marineria, odi ci che parmi aver io allora con rettitudine fatto (a). Fu un tempo che i corsari di Fenicia scorrevano il mare, e le citt costeggiavano,
pare aversi a dedurre che nel sistema della metempsicosi non solo si ammettesse il passaggio dell' anima da un corpo all'altro, ma eziandio la rinnovazione identica de'corpi stessi. Ma l'assur dit di questa idea mi sembra tanto evidente da non perder tempo in confutarla; tanto pi che io stimo essere questa una maniera chiara e spicciativa di esprimersi, anzi che una vera persuasione. (!) Marinai, barcaruoli, vetturali, e simil gente, non furon mai le migliori persone del mondo. (a) Questo racconto si trover ripetuto da Apollonio ai ginnosoRsti d' Etiopia nel lib. v i , $ xixr.

LIBRO IH. ,4? per esplorare tutto ci che si caricava. Informati i loro emissarj che la mia nave era piena di ricche merci, me pure a (orza chiamarono, chiedendo cosa io mi guada gnassi di nolo ; cui risposi, che quattro eravamo i pa droni della nave, ed io per mia parte ne avea mille dramme. Allora essi mi dissero : Hai tu casa? Un tugurietto , risposi, ben meschino nell' isola di Faro, dovi un tempo abit Proteo. Continuarono le inchieste loro dicendomi: Non ameresti tu meglio di toccar terra anzi che mare, e possedere una casa anzi che un tugurio, e prenderti un nolo dieci volte maggiore, e sbrigarti dei tanti malanni che l'agitata onda cagiona ai noc chieri ? risposi che ci mi sarebbe caro, ma non di me degna essere la pirateria, trovandomi gi molto innanzi nell' arte nautica, ed essendo per essa reputato degno di corona. Seguitando coloro, promisero darmi la som ma di dieci mila dramme, quand' io mi prestassi in ci che bramavano ; ed io parlai loro in guisa, come se nulla fossi per ricusare, e tutto me stesso offerissi. Allora si dichiararono di essere procuratori dei corsari, e chiesero che non impedissi loro la facolt di pigliarsi la nave, e che io partendomene non tornassi verso la c itt, ma la nave conducessi vicino al promontorio, perocch le barche de' pirati dietro di quello appiatta* vansi ; e in cosi dir mi giuravano che n avrebbero uc ciso me, n dato morte a qualunque altro pel quale io pregassi. Non veggendomi io nel caso di usar l forza contro essi, e temendo che se mi spingessi in ait mare essi mi verrebbero sopra, e ci affogherebbero, promisi loro quanto chiedevano, obbligandoli a giurare che n

,48 VITA DI APOLLONIO TIANEO mi ucciderebbero, n mi mancherebbon di fede. Giurato eh'essi ebbero, perocch eravamo insieme entrati nel tem pio, ora, dissi loro, andate alle barche de'plrati; e noi que sta notte porremo alla vela. Tanto maggiormente mi cre dettero essi, quanto che rammentai loro i danari promessi, raccomandai che buoni fossero, e che non li contassero se nop dopo aver pigliata la nave. E cos quelli se ne andarono, ed io spinta poscia la nave in alto mare sala vo mi trassi lungi da que! promontorio. E ella questa, o Apollonio, disse Iarca, quella che chiami opera di giustizia? Questa, risposi, ed anche opera d'umanit; ch il non tradire la vita degli uomini, non disperdere le sostanze de' mercadanti, non esser ligio dell'oro estend'io marinaio, parmi che ci racchiuda molte virt. XXV. Sorrise a tai parole l'indiano, e disse: Credo) che tu stimi usar giustizia il non fare ingiuria, e credo che cos stimino i Greci tutti. Per quanto udii da alcuni Egizj qui giunti, mandansi a voi da Roma i governatori delle provincie, che alta e pronta tengono sopra di voi la scure, bench ancora non sappiano, se sia toccato loro il governo di gente cattiva ; e voi, purch non esercitino giudizj venali, li proclamate per giusti. Cos ho anche inteso che fanno i venditori degli schiavi, i quali conducendoveli affermano provenir dalla Caria, essere di svegliato ingegno, e per prima lode non esser ladri. Dell'ugual genere sono gli onori che rendete ai magi strati, cui vi dite soggetti, e li rimandate accompagnati da quelle stesse magnifiche lodi che udiste dare agli schiavi (:). Certo che i vostri sapientissimi poeti non vi 'i) Vedi come vecchia usanza di celebrare i magistrati delle

LBROHI. ,4p permettono d'essere giunti e buoni, nemmen se i! vo leste ; perocch onorano deHa verga del!a giustizia, e pongono giudice deHe anime a!l' inferno Minosse, che tutti g!iuomini vinse in crudelt, e che col suo navile ridusse a servit s gli isolani, che gli abitatori dei lidi. Allo incontro Tantalo, che fu benigno, e fece parte agli amici della immortalit, che hanno gli iddj, essi privano di bevanda e di cibo; e alcuni fingendo sospesa sul d lui capo una pietra, sommamente insultano un uomo ot timo e quasi divino, al quale io anzi amerei che scor resse intorno un lago di nettare, com' egli ne fu altrui liberale e cortese. Cos dicehdo mostr a mano manca una statua, col nome di Tantalo nella leggenda, alta quattro cubiti, rappresentante un uomo di cinquantan ni , vestito alla foggia d'Argo, salvo che la veste et alla maniera dei Tessali ( i ) , in atto di ofRire una ca raffa, bastante per uno assetato, piena di liquore ec cellente a beversi, che mai non trabocca. Ci che di tal liquore credano gli Iudiani, e in quale occasione il bevano, dir fra poco; di questo intanto conviene per suadersi, che Tantalo, perch non oscuro ne? suoi di scorsi , e comunicante il nettare agli uomini, venne dai poeti malmenato, ma non odiato dagli iddj; che se gli iddj lo avessero avuto in odio, non mai gli Indiani lo
provinole, atl' atto che se ne partono. Chi sa quante belle eo//e di tal genere il tempo ci ha involate. (t) !1 Ruben!o (De re ve^MMTa, Hb. n , cap. vn) pretende che nessuna differenza vi fosse tra la clamide tessalica, la macedo nica, la greca, e la romana. Questo solo passo di Filostrato (ov* altro esempio mancasse) prova il contrario.

! So VITA DI APOLLONIO TIANEO avrebbero riguardato per uomo dabbene, essendo essi amicissimi degli iddj, e niuna cosa facendo senza il di vino aiuto (*). XXVI. Mentre stavasi in tale ragionamento si ud romore dalla parte del borgo, ed era il re , che veniva cop un corteggio uguale ai lusso dei Medi, e tutto pie no di boria ; di che sdegnandosi Iarca disse : Se fosse Fraote che qui arrivasse, vedresti per tutto un silenzio, come in tempo de' misterj. Da ci intese ApoHonio che cotesto re era inferiore a Fraote non in piccola parte soltanto di filosofia, ma in tutta ; e veggendo che tutti que' sapienti eransi attristati, e che nuHa preparavano di quanto stimava poter abbisognare al re, che verso il mezzogiorno sarebbe giunto, chiese dove si fermerebbe, ed essi : In questo stesso luogo , risposero ; perocch delle cose, a cagion delle quali a noi viene, tratteremo di notte, che il tempo pi opportuno ai consigli. E non gH imbandirete una mensa? richiedeva ApoHonio, Si per Giove, rispondeva, ed anche magnifica e ricca di tutte quelle vivande, di che noi abbondiamo. Il vitto vostro dunque magnifico ? prosegu ApoHonio. Anzi scarso, risposero; che sebbene il pi lauto convito ci ac colga , noi di poco ci accontentiamo : bens a! re fa di molti cibi bisogno ; cos almeno pare a lui. Non mangia per carne di nessun animale, perch qui non lice, ma quelle cose che sogliono apprestarsi alle seconde mense, radici d' erbe, frutti, quali di questa stagione d l ' In (*) Della simbolica favola di Tantalo consultisi il gran Bacone da Verulamio nell' aureo libro IM&t jgpM mz# anlifA*.

LIBRO IH. dia, o che dai ben fecondati orti anticipatamente si ot tengono. Ma eccolo. XXVII. Accompagnato dal fratello e dal figlio veniva il re , tutto d' oro e di gemme splendente : e Apollonio alzandosi innanzi a lui, Iarca lo ritenne a sedere, di cendogli che ci non era a !ui convenevole per costume del paese. Damide scrive per di non esservisi trovato presente, perch rimase quel d nel villaggio, ma che ci che da Apollonio ud nella sua storia introdusse. Dice adunque che essi stettero assisi, che il re accostossi loro con mano distesa a modo di supplicante, che essi chinarono !I capo, come promettendo fare quanto fosse per chiedere, e che egli di tal promessa allegrossi, come se da un oracolo la ricevesse. Dice che il fratello del re ed il figlio, giovine bellissimo, riguar darono non altrimenti che se fossero servi di regio mi nistro; che dopo ci l'indiano levatosi invit il re ad alta voce a prender cibo : e che accettando egli volen tieri P invito, quattro tripodi, non dissimiglianti dai Pizj, uscirono di per s, come quelli di cui parla Ome ro (<). Vennero dopo essi i coppieri di bronzo, come son presso i Greci i Ganimedi ed i Pelopi. Uno strato di erbe, assai pi morbido dei nostri letti, copriva il pavimento. Ordinatamente poi le seconde mense eran servite, di pani, d'erbaggi, di cibi proprii della stagio ne, pi saporosamente conditi, che se da cuochi si fos(!) Venti trpodi da Vulcano fabbricati, con ruote sotto , ri corda Omero nella Hiade. Ognun vede che questo un mec canismo gi predisposto , che ai tempi nostri non ha nulla di prodigioso.

: 5a VITA DI APOLLONIO TIANEO sero preparati. Da due di que' trpodi scaturiva i! vino, e degli a!tri due 1' uno ministrava acqua calda, 1' altro fredda. Le gmme^ che usiamo ricever dall'india, e che in Grecia si legano ne' monili e negli anelli^ attesa l !or piccolezza , adopransi dagli Indiani a far tazze e bicchieri, essendovene di tal grandezza e capacit , da bastare ad ammorzar la sete a questi uomini nel calor dell'estate. Narra altres che que' coppieri di metallo acqua e vino con la debita misura versavano, porgendo intorno le tazze, come si usa far ne' conviti; e che i commensali sedevano tutti, senza che il primo luogo si fosse assegnato al re (cosa che tanto in pregio presso i Greci ed i Romani ), ma dove port il caso, o pia cque a ciascun di sedere. XXV! H. Era gi alquanto Inoltrato il convito, quan do Iarca disse : Io ti presento, o r e , un uomo greco, mostrandogli con la mano Apollonio, che presso II re sedeva, e accennandolo per uomo eccellente e quasi divino. A ci II re rispose: Ilo Inteso che egli e gli altri che nel borgo dimorano , siano famlgllari di Fraote. I! vero appunto Intendesti, soggiunse Iarca ; perch egli stesso qui pure gli d alloggio. Il re allora: A quali studj attende fg!i? cui 1' altro : A quali altri, fuorch a que!!i cui attende Fraote? Tu dichiari, disse lire, questo tuo ospite per uom da nulla, poich attende ad uno stu dio, a cagion del quale anche Fraote vai poco. Iarca allora : Pi modestamente, disse, giudica, o r e , della filosofia e di Fraote. Sin che tu eri giovine e che in tal guisa parlavi, perdonavasi alla tua et ; ma ora che agli anni virili Mi giunto, astienti da s pazze e vituperose

LIBRO HL !53 parole. ApoHomo , da Iarca interpretato , interrup pe : Qua! vantaggio, o re , da! non aver appreso Rioso* Sa ti derivato? Tutte !e virt ne acquistai, disse il re, perocch siamo una stessa cosa i! soie ed io. ApoHonio dandosi la mano sui labbri in udir tal jattanza, rispose: Se tu avessi atteso alia filosofa non diresti cos. AHora il re seguit: E tu, buon uomo, giacch sei filosof, che pensi di te medesimo ? Penso , rispose , che buon uomo io sono appunto per avere atteso a!!a GlosoBa (:). H re allora, alzando le mani ai cie!o, pel Soie, disse, tu qui venisti tutto pin di Fraote. A questa non aspet tata risposta ApoHonio replic tosto : Non dunque in vano io questo viaggio ho intrapreso, giacch pieno son di Fraote ; ma se tu avessi ora ad incontrarti con lu i, diresti chc anch' eg!i tutto di me pieno. Voleva egli anzi scriverti di me ; ma perch diceva che tu eri buono, il carico deHa lettera ricusai, tanto p!u che nes suno avevami prima raccomandato a lui. XXIX. Qui ebbe 6ne la prima contesa col re, il quale avendo udito di essere lodato da Fraote, deposto ogni sospetto, e con voce dimessa: Salve, disse, o eccellente ospite. AHora Apollonio: Salve anche tu, o re; giacch pare che tu arrivi adesso. Il re soggiunse: Chi ti ha qui condotto? Gli iddj, rispose Apollonio, e questi sapienti Ed egli : Che opinione di me presso i Greci? Quella, rispose, che qui dai Greci si ha. Dunque, continu il
(:) Prima d' ora , e in questo luogo, e pi innanzi, si ve duto e vedrassi, che la filosofia d'Apollonio consiste essenzial mente nella bont dell' anim. A tale scopo di fatti, ed alle utili consegunze che ne derivano, la vera filosofia dee tendere.

VITA DI APOLLONIO TIANEO i! r e , di nessuna menzione sono io deguo neMe fest# celebrate dai Greci? Far loro sapere, disse Apollonio, questa tua brama, acci ti coronino ne' giuochi olim pici (:). XXX. Rivoltosi quindi a Iarca : Lasciamo impazzire questo ubbriaco, disse, e narrami invece per qual ra gione non avete voi creduti degni della medesima men sa , n di verun atro onore, i seguaci di lui, cio il frate! suo ed il figlio ? Perch, rispose, dubitiamo che un di o l'altro possano regnare, e giova il mostrar di sprezzarli per istruirti a non isprezzare alcuno. Vedendo ApoHonio che diciotto erano i sapienti, interrog nuova mente Iarca cpsa volesse significare l'essere in tal nume ro; perocch non numero quadrato, n di quelli che hanno qualche potenza e virt, come sono il decimo, il duodecimo, il sedicesimo, ed altri siffatti ()). CuiTispose l ' Indiano : N noi serviamo ai numeri, n i numeri a noi, ma !a sapienza e la virt ci raccolgono, ond' che ta!vo!ta siamo assai pi che non ora, e talvolta assai meno. Io intesi che !'avo!o mio raun in questo luogo
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(t) Modo proverbiale presso i G reci, che equivale a queste altre parole : acci ti onorino delle lodi che meriti. (a) La scienza pitagorica intorno ai numeri nessuno ha meglio studiata e discussa di Giovanni Keplero nella sua grand'opera Rarmo/ace mum#. Quanto ai misterj numerici pu eziandio con sultarsi il de Burgo nell'erudito libro De nHnMwrKm yyyjfcn/y. Noi potremmo facilmente e dell' una e degli altri informare i lettori; ma non potrebbesi fare in piccolo giro di parole, n forse molti ne sarebbero curiosi. Par dunque che lo averne ac cennato gli scrittori pi celebri in tal materia sia succiente.

LIBRO IH. :55 ottantasette sapienti, dei quaK tutti era egli il pi gio vine; cosicch arrivato all' et di cento trent' anni, vi rimase solo, perocch niuno di essi gli era soprawivuto, n trovavasi in tutta l'india un ingegno, o atto alla R!oso6a, o per altri meriti illustre. E perch gli Egizj lo chiamavano felicissimo per avere occupato egli solo quattr'anni questo seggio, li esort ad astenersi dal rim proverare agli Indiani la scarsezza d'uomini sapienti. Noi per dagli stessi Egizj udiamo la usanza degli Elei, non che de' Greci, che preseggono ai giuochi olimpici in numero di dieci, e non approviamo la legge, che sulla elezion loro stabilita, la quale commessa alla sorte (:), ed perci una imprudenza; potendo acca dere che anche il pessimo venga eletto. Che se pure la sorte avesse ad eleggere soltanto gli ottimi, pure nello stesso errore si caderebbe, perch non potendosi de viare dal numero di dieci, se i buoni saranno di pi, questo limite priver alcun d'essi di tale onore, e se meno di dieci saranno , nessuno quest' onore otterr. Meglio adunque farebber gli Elei se del maggiore o mi nor numero non si curando, nell' amministrar la giusti zia fossero sempre gli stessi. XXXI. Mentre cos tra lor favellavano, il re tentava ri moverli dai loro discorsi, interrogandoli di continuo col frastuono delle sue stolte o noiose parole ; e allora di nuovo dimand loro di che disputassero. Noi parlia mo , gli disse Apollonio, di cose gravi, che i Greci
(t) Sopra di ci veggasi il dottissimo Meursio nel :v delle sue aMicae.

E 56 VITA DI APOLLONIO TIANEO hanno in grandissima stima, e che io credo di nessun conto per t e , poi che ti mostri avverso a quanto spetta ai Greci. Avverso del tutto, ei rispose: nondimeno bra mo di udire; parendomi che parliate degli Ateniesi, servi di Serse. AHora ApoHonio, noi d'a!tro, disse, di sputavamo; ma da che fuor di proposito e fuor del vero gli Ateniesi hai nominato, pregoti dirmi se tu hai servi, o re* Ne ho venti mila, egli rispose, e nessun compe rato , e tutti nati in casa. Continu ApoHonio, serven dogli Iarca da interprete, e gli chiese se fuggiva gli da' suoi servi, o i servi da lui ; egli allora^ bruscamente ad ApoHonio rispose : Questa dimanda veramente degna di un servo^ pure l soddisfar : Fuggitivo sempre il servo, massimamente s'egli malvagio ; ma il signor suo no! fogge, essendo in sua mano i! tormentarlo ed affliggerlo. Con ci, riprese Apollonio stesso, tu dichia ri , o re , che Serse fu servo deg!i Ateniesi, e che come mavagio fugg da essi ; quando a!!a battaglia navale del golfo il superarono, ed egli per timor delle navi che erano sull' EHesponto, sopra un so! lgno fugg. Pure, soggiunse i! re, egli incendi Atene con le proprie mani. S, rispose ApoHonio, ma di tal fatto, o re , ta! pena pag, qual mai nessun altro ; poi che fu costretto sal varsi da que' medesimi eh' egli pensava di aver a distrug gere; cosicch se io rifletto aH'a!to animo con che Serse quella spedizione intraprese, trovo che meritamente da alcuni fu detto Giove : se alla sua fuga, lo giudico il pi misero de' mortali. Che se per man de' Greci fosse perito, chi avrebbe ottenuto pi chiara fama di lui? o a chi avrebbero i Greci innalzato pi nobil sepolcro? quai

LIBRO III. iSy ginochi non avrebbero istituito in onor suo, tanto gin nastici che musicali (<)? Se i Greci divinizzarono i Me licerti) e i Paiemoni, e Pelope nativo di Lidia, quelli che moriron bambini, questo che soggiog l'Arcadia, l'Argolide, e quanto fra l'Istmo si trova (a) ; che non avrebbon fatto per Serse uomini per ingegno cos di stinti, e tanto amatori della virt, i quali avrebbero cre duto di onorar s medesimi onorando quelli che essi avessero vinti ? t XXXII. A qusto parlar di ApoHonio i! re commosso e piagnente: Che sommi uomini, disse, in quei Greci mi rammemori, o caro! Perch dunque, ripigliava Apol lonio, li odiavi tu tanto poc'anzi? Ed egli : Coloro che qui arrivano dall' Egitto calunniano !a greca gente, e s medesimi chiamano santi e sapienti, ed autori di tutta !e leggi spettanti ai sacriCcj ed ai misterj, che sono in pratica presso i Greci; e dicono essere questi non solo nomini leggieri, ma s pure protervi, torbidi, e tutti anar^ chisti (3), cianciatori eziandio, venditori di favole, e
(t) Pubblica tomba e ginochi funebri erano presso i Greci i pi grandi onori, che far si potesse agli illustri estinti. (3 ) Ovidio ne! !V delle Mefamor/bj: racconta la stona di Ino $ de* suoi figli Learco e Melicerta. Qui Filostrato distingue Meli certa da Palemone, e ne fa due persone, mentre secondo.: mitografi non furono che una sola, cio Melicerta , che poi fu detto Palemone, dopo che il delfino lo port nell' istmo di Co rinto. Ed ivi appunto in onor suo si istituirono i giuochi istmici, che duraron pi secoli. Quanto a Pelope, al tempio che ebbe, aMe feste sacre con cui si celebrava, veggasi Pausania. (3) Siccome presso i barbari il governo era assolutamente mo-

VITA DI APOLLONIO TIANEO mendici, e delia mendicit loro vantantisi, non gi per modestia, ma per trovare perdono se fanno i ladri. Ora per che ho da te udito quanto si pregino essi di onora tezza e di probit, mi dichiaro ornai pacificato coi Gre ci , e per avermene a lodare concedo che mi si chieda quanto da me far si possa in favor loro, promettendo altres di Aon pi prestar fede agli Egizj. Allora Iarca disse : Io sapeva, o r e , che cotesti Egiziani ti avean rotte le orecchie : perci non ti dissi mai nulla de' Gre ci fin che siffatti consiglieri ascoltavi. Ma giacch da questo sapiente sei meglio informato, noi berremo ora l ' amichevol tazza di Tantalo, poscia andremo a dor mire , acci la prossima notte facciasi da noi quel che resta a farsi. Quanto alla dottrina de' Greci, la quale la pi ampia che si conosca al mondo, io te ne istruir pienamente, ogni volta che qui verrai. Ci detto, bebbe il primo nella tazza, la qua! largamente a tutti i convi tati bast, perch ne uscivano abbondanti rigagnoli co me da viva sorgente. Bevette anche Apollonio (i), aven do gli Indiani ammesso quest'uso in segnai d'amiczia, e fngono esserne Tantalo il coppiere, perch ripu tato aver egli pi di tutti gli uomini coltivato le ami cizie. XXXIII. Questi abbeverati accolse poscia !a terra ne' letti, eh' essa avea loro distesi. Venuta la mezza notte e alzandosi i sapienti, cantarono prima di tutto gli inni
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^archico, cosi nella mente loro le repubbliche della Grecia non erano che perpetue anarchie. (<) Fosse questa una specie di iniziazione ai mistcrii di Tan-* talo ? Vedemmo di sopra ci che sul di lui conto si espose.

LIBRO IIL ni raggio del soie, come fosse il mezzod ()); indi presta* ronsi a quanto i! re avea di essi bisogno. Che Apollonio intervenisse al congresso che ebbe il re co' sapienti, Damide nega, essendo egli d'avviso che tratt seco loro di segreti di stato. Appena fu giorno, e fatti i sagriRc}, il re and ad Apollonio, e alla sua reggia invitollo, per seco lui contrarre i diritti dell'ospitalit; promettendo gli che ne partirebbe per tornare in Grecia s colmo di beneficj, da esserne invidiato. Ma Apollonio applauden do a cotesta gentilezza del re, disse di non poter farsi ospite d'un uomo, cui per nessun verso si assimigliava; oltre a ci, essersi troppo pi dilungato nel suo viaggio di quello che conveniva, e dubitar quindi che gli amici in patria lasciati non se ne offendessero. Re plic il re che il supplicava di tal favore, e insisteva in tuono autorevole ; laonde Apollonio disse : Quando un re si umilia pi che a lui non conviene per conseguire 3 suo intento, egli trama una insidia. Ma sopravvenuto Iarca, tu offendi, o r e , disse, questo sacro asilo, col voler trame quest' uomo contra sua voglia ; tanto pi che essendo egli un di coloro che conoscono l'avvenire, gi intende che il suo conversar teco non per esser gli utile, n fors' anco poter giovare a te pure. 11 re pertanto se ne torn al villaggio, perch le leggi de' sapienti non permettevano che il re dimorasse con loro pi di un giorno. XXXIV. Allora Iarca al messo disse: Qui venga ora
(i) Ho gi Rotato in qua! modo probabAmente !6guravasi di notte cotesto raggio, V. il n v.

,60 VITA DI APOLLONIO TIANEO anche Damide, che noi reputiam degno d'essere am messo ai misterii di questo luogo : degli altri poi, che al borgo rimangono, abbiasi gelosa cura. Venuto Damide, e postisi tutti sedere secondo il solito, lasciarono ad Apollonio la libert di interrogarli. Egli dunque diman d loro di quali cose stimassero essi che fosse compo sto il mondo. Di elementi, risposero. Ed egli : Di quat tro elementi ? Non di quattro, disse Iarca, ma di cin? que. Qual' dunque il quinto, disse Apollonio , oltre l ' acqua, l ' aria, la terra e il fuoco ? L'etere, soggiunse Iarca (i ), da cui debbonsi creder generati gli dii (a), perch le cose che dall* aria derivano sono tutte mor tali , quelle che produce 1' etere immortali e divine. Di nuovo interrog Apollonio quale degli elementi fosse il primo, e Iarca rispose che esistono tutti insieme, per ch lo animale non si genera parte per parte. E che ? disse Apollonio, stimer io che il mondo sia un ani male (3) ? Lo stimerai, rispose , se dirittamente rifletti, perch esso tutti gli animali produce. E il direm noi
(t) Qui pure da vedersi il Keplero nel luogo sopraccitato, il qual dimostra che questa dottrina cosmogonica de'Bracmani non digerisce da quella de'Pittagorici professata da Apollonio. (a) Cio il cielo; e gli astri tutti, che esso contiene. Si gi veduto che il sole era da questi sapienti venerato come la prin cipale loro divinit. (5) L'anima del mondo fu creduta dalla maggior parte de'Greci, e segnatamente dai RlosoR stoici. Iarca ne va qui sviluppando il sistema ; e questo, con altre meglio ordinate e pi chiare parole, tuttora in pi scuole se non ammesso, certamente ricordato con parzialit.

LIBRO III. t6 t femmina, o maschio, o dell' uno e dell' altro genere ? Di entrambi, riprese Iarca, perocch mischiandosi con s medesimo supplisce all' ufRcio di padre e di madre nella produzione degli animali, e pi ardente amore a s medesimo porta di quello per cui diverse altre cose mutuamente si annodano tra loro, e a s stesso si ac coppia e cresce; non essendo strano che p s stesso si accoppj. E siccome Io istromento delle mani e de' piedi dato acci con quelli 1' animale si mova, ed ha den tro s una mente dalla quale spinto, cosi dee credersi che anche le parti del mondo, col mezzo della mente che la regge , a vicenda si convengano in generare e produrre le cose tutte ; anzi anche gli stessi mali, ca gionati dal soverchio ardore del sole, per disposizione dell' anima del mondo sorvengono, ogni volta che, po sta in non cale la giustizia, viene bandita daL consorzio degli nomini (<), Non per con una sola mano govet'nasi cotesto animale, ma s con molte, difScili a dirsi, di cui si vale ; e bench paia non poterglisi por Areno per la sua grandezza , pur facilmente si regge e guidasi per ogni verso. XXXV. Non saprei tuttavia con quale appropriata immagine questa dottrina rappresentare , per essere troppo sublime, e la capacit superare del nostro in(<) Molto misticismo contiene questa filosofia de' Bracmani, come si rilever in appresso , e molta inGuenza vi si accorda alle cause fisiche sopra le morali ; ma 4sso pure un sistema, ed ogni sistema dalla sola forza deir intelletto umano, e non da superior lume diffuso, ha la sua nebbia, le sue confusioni, la sua incertezza.

jFiM M rM r;, font. 7.

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VITA DI APOLLONIO TIANEO geguo. Valgaci per a luogo di esempio la nave co strutta dagli Egizj) e da essi nei nostro mare condotta, per cambiare !e egizie con le indiche merci. Imperoc ch esistendo una antica legge nel Mar Rosso, fatta dai re Entra (t) ai tempi che ebbe il dominio di questo mare, che nessuno Egiziano entrasse in esso con una lunga nave, ma soltanto adoperasse una barca da tras porto , gli astuti Egizj inventarono un legno che solo supplisse ai molti usati da altri, e ne costrussero i lati con proporzione conveniente all' ampiezza sua ed alla mole de' suoi Ranchi, e piantatovi l'albero, e pi ca mere dispostevi, come in siHatte macchine si pratica, molti ne stanno al governo, soggetti per ad uno solo che gli altri d'et e di perizia del navigare avanza; molti sono alla prora a dirigere il corso della nave, ed i mi gliori e pi svelti marinai soltanto alle vele si impiegano. Sta pur sulla nave un pugno di armati; perch fa d'uo po che sia pronta a battersi centra i barbari che abi tano quel seno di mare alla diritta del luogo dond'en trano le navi, in caso che venisse loro il capriccio di veleggiarle incontro con animo di predarla (2). A somi glianza di cotal nave da stimarsi che sia questo mon do. Il primo e perfettissimo luogo va attribuito a Dio, di cotesto animale generatore; il luogo prossimo spetta agli dii che ne governano le parti ; e qui la dottrina
(!) Da ini prese il nome di Eritreo il Mar Rosso. Arriano rammenta il sepolcro di Britra nell' isola Oaratta. (a) Parlasi di bei nuovo di questa nave egizia nel xv: del lib. V!.

LIBRO !IL *63 dei poeti accettiamo ; che dicono moltissimi essere gli iddii nel cielo, molti pure nel mare, molti ne' fiumi, e ne' fonti, e molti parimenti nel!a terra , anzi pur sotto terra. Ma noi codesti luoghi di sotterra, se vi sono, giacch li cantano essi cosi orridi e terribili, dal resto del mondo li separiamo (:)^ XXXVI. Mentre cosi ragionava l ' Indiano, confessa Damide eh' ei ne rimase altamente stupito, e che a gran voce sciam, eh' egli non avrebbe potuto persuadersi giammai che un Indiano potesse a tal segno conoscere la greca letteratura, n cos saperne la lingua da par larla con tanta copia ed eleganza. Egli encomia ezian dio l 'aspetto di lu i, e il riso, e quel manifestamelo delle sue dottrine che pareva ispirato ; e dice che an che ApoHonio, avvezzo a parlare con modestia e senza strepito, delle maniere di cotesto Indiano siapproRtt, e che qualunque vo!ta disputava sedendo, come spesso accadeva, gH sembrava somigliantissimo a Iarca. XXXVII. Lodando tutti gli astanti le cosa Rn qui dette, di nuovo ApoHonio richiese, quale stimassero che fosse maggiore, o i! mare ola terra?Rispose Iarca: Se si paragoni la terra al mare, sar essa maggiore, perch eHa contiene il mare ; ma se la si paragoni .aHa sostanza umida universale, noi diremo minore la terra, perch l'acqua sostiene lei (a).
(<) Cosi presa' appoco ragiona Socrate nel di Platone. (3 ) Anche la RlosoRa bblica ammette questa dottrina. La terra ybrmafgm yttper yciem %&yM*leggesi ne*Prov. (vm, sy) jHper nel salmo n56 ) ecc. Cosi parimenti Zenone presso Laerzio, cosi Plinio nel lib. n , e cos tanti altri.

VITA DI APOLLONIO TIANEO XXXVIII. Tra questi parlati si present ai sapienti un messo, che alcuni Indiani guidava, chiedenti soc corso. Era fra essi una donna che supplicava pel figlio suo d'anni sedici, dicendo che gi da due anni era pos seduto dal demonio, e che questo demonio era per in dole sofstico e menzognero. E domandandole uno di que' sapienti su qual fondamento potess' ella affermar ci, rispose : Questo fanciullo, che gli altri supera di bellezza, amato da un demonio, che non sof&e ch'e gli stia in cervello, n che vada alle scuole dei maestri di lettere, o di scherma, n che in casa rimanga, ma lo spinge per le diserte campagne. Sino la propria voce pi Ron ritiene il ragazzo, ma forma un suono grave ed ottuso, proprio della et virile, e guarda pi con gli occhi altrui che co' suo!. Io piango pertanto e il sen mi percuoto, e sforzomi, per quanto in m e, di ricon durre il Cgluol mio aHa ragione, ma egli pi non mi conosce. Ed avendo io fSn dallo scorso anno deliberato di qui recarmi, il demonio, valendosi dello stesso mo figlio per interprete, mi confess chi egli fosse; e disse che era 1' ombra di un uomo ucciso tempo fa in batta glia , e che fu amantissimo della propria moglie ; ma avendo essa violato. le leggi maritali collo sposarsi ad un altro tre giorni dopo !a morte di lui, perci essergli venuto in sommo odio 1' amor delle donne, e avere a questo fanciullo tutto il suo amore rivolto. Promise al tres che se io a voi non lo accusassi, avrebbe colmato di beni il Rgliuol mo, ed io per qualche tempo mi la sciai vncere da tali promesse^ ma egli gi da un pezzo mi va illudendo, ed egli solo occupa la casa ma, senza
:64

LIBRO HI. ,65 pure un pensiero n onorato, n vero. InterrogoHa di nuovo il sapiente, se il fanciullo fosse vicino ; ed ella, no, disse; perch il demonio mille macchine ha posto in uso acci qui non venisse, e minaccia precipizi, abissi c morte al mio figlio, se qui lo traessi al vostro giudi zio. II sapiente allora, st di buon animo, disse ; egli non lo uccider tosto che abbia Ietta questa ; e diede alla donna una lettera, che si trasse di seno, la quale era diretta a quello spettro, e molte minacce e terrori conteneva. XXXIX. Si present quindi uno zoppo, d'anni trenta compiuti, gran cacciator di leoni. Costui, correndogli contra un lione, si slog la giuntura maggiore del fe more , onde gli rest una gamba pi corta ; ma i sa pienti aggiustando con le mani loro la parte offesa re stituirono a quel giovine la facolt di andar diritto. Un altro che era infermo negli occhi, partissi con la vista ricuperata. Un altro , cui mancava l ' uso di una mano, la riebbe sana come l'altra. Una donna, che sette volte aveva con difficolt partorito, pregando per essa il ma rito , fu sanata in questo modo : S' impose al marito, che quando la moglie fosse al tempo del parto, portas se nel luogo ove dovea sgravarsi un lepre vivo, tenen doselo nascosto in seno, e giratole intorno, ^1 lepre e lei liberasse ad un tratto, perocch la matrice non la scerebbe uscir l ' embrione, se anche il lepre non fosse improvvisamente disciolto. XL. Ad un padre querelantesi che ben gli nascevan figliuoli, ma che appena cominciassero a bever vino morivano tutti, Iarca rispose : Meglio per essi che sie-

!66 VITA DI APOLLONIO TIANEO H O morti, perch non avrebbero schivato di diventar pazzi per essere generati d semi troppo caldi. I vostri figliuoli pertanto denno per modo astenersi dal vino, che non abbiano nemmeno ad averne desiderio. Se quind' innanzi ti nascer un figlio ( come te ne nacque uno sette di fa, per quel eh' io veggo ), osserva dove la civetta faccia il nido, levane gli ovi, e mediocre mente cotti dal!i a mangiare al bambino; che mangian done egli prima che abbia assaggiato vino, i! vino gli verr in odio, e sar temperantissimo, non altro calov rimanendogli che il naturale. ApoHonio e Damide pieni di ammirazione della esimia sapienza di que' dotti, di pi cose andavano ogni di interrogandoli, ed eran pu re da essi di molte a!tre interrogati. XLI. In tal modo prendevano parte entrambi alle dialettiche discussioni. Quanto per alle scienze arcane, per mezzo deMe quali attendevano alia astrologia ed all ' arte del!a divinazione e deHo investigar l ' avvenire, e quanto ai sacrifcj, ed alle evocazioni, di che molto si compiaccion gii iddii (1), Damide riferisce che Iarca soltanto con ApoHonio ne tratt, e che dietro que'col loqui pot questi scrivere i quattro !ibri DipwM* S M M Maytrofcgpca, di cui fa menzion Meragene (a); cosi pure scrisse tfe' , e come uno possa sagriScare a qualsiasi dio in modo che gli convenga e gii sia grato.
(t) Vedremo nel lib. iv che ApoHonio evoc l'ombra di Achil le , giusta gli insegnamenti della indiana sapienza , la quale del pari evocava gli iddj, i demoni, e gli eroi. (a) Nel $ m del primo libro si vide che Ri questi uno de'biograR di ApoHonio.

LIBRO III. !6 y Io credo per che la scienza degli astri, e tutta codest' arte del divinare superi i termini della natura umaHa, n so che alcuno perfettamente la conosca. L'ope ra de' sagriRcj ho trovato in varj templi, e in molte citt, non che in parecchie case d'uomini sapienti ; e credo che ognuno potrebbe intenderla, essendo com posta con quella gravit ed in quella lingua, eh' egli soleva usare (:). Scrive eziandio Damide, che Iarca re gal ad Apollonio sette anelli, marcati coi nomi di sette pianeti, che egli poscia un dopo l'altro portava, secondo il nome dei giorni (a). XLII. Una volta che tra lor discorrevano della scien za delle cose futre, di cui moltissimo si dilettava Apol lonio , e su cui principalmente dirigeva per lo pi le discussioni, Iarca encomiandolo: Coloro, disse, o ec cellente Apollonio, che si dilettano dell'arte del divi nare , riescon per essa divini, e apportano agli uomini sommo vantaggio. Che colui che a chi all' oraeoi ricor re s ottimamente predire, e prevedere ci che tutti ignorano, io lo stimo felicissimo, e non meno valente de! delfico ApoMo. E siccome quest' arte prescrive che chi si accosta all' oracolo per ottenerne risposta vi si accosti puro, altrimenti gli si dice: Esci del tempio; cosi no stimo debba conservarsi purissimo e santo colui che vuole antiveder 1' avvenire , e nessuna bruttezza gli macchi l ' anima, n alcun impronto di vizio rimangagli
(t) Cio nel dialetto di Tiana sua patria, ovvero di Cappadocia, nel!a cui regione era posta Tiana. Puossi ci desumere da un passo che si osserver nel $ n x del libro vegnente. (a) Specie di talismani, cui tanta fede si aveva.

!68 VITA DI APOLLONIO TIANEO nella mente ; acci dai puro tripode renda i vaticinj , e quali sente in S stesso, e quali ha in petto rinchiusi ; e cos le sue risposte usciranno pi certe e pi vere. Per la qual cosa non da maravigliarsi, se tu questa scienza hai nel tuo ingegno compresa, poi che tanta parte di etere porti nell' anima {:). XLI1I. Volendo Iarca far cosa grata anche a Dami de : E tu , o Assiro, gli disse , tu che con tant' uomo conversi, antivedi tu nulla? Per Giove^ rispose Damide, io antivedo quanto a me basta ; perocch tosto che mi abbattei in questo nostro Apollonio, e che mi parve pieno di sapienza, di gravit, di temperanza, e di con tinenza , e osservando in lui gran memoria e dottrina, e somma volont d'imparare, il giudicai pi presto un genio che un uomo ; e standomi con lu i, conobbi che di ignorante, rozzo e barbaro, che io era, ho acquistato lode d'uom colto e ben creato ; e seguitandolo io e con esso filosofando ho visitato le Indie; e voi pure ho visitato, e conversando co' Greci sono ornai fatto greco io pure. La vostra scienza per, che tratta di cose su\

(i) Su questa scienza dei predire (ov'ella sia possibile, come presso alcuni opinione), le parole di Iarca oHrono qualche ele mento. Ma troppe cose rimane ad aggiugnervi. Il celebre Pico della Mirandola sette libri compose De rerM T MpraenofioRe, e non per questo esaur la materia. Io ho in altri tempi notato i pen sieri di parecchi valentuomini, che ne trattarono o di proposito o di passaggio , e confesso che ho creduto e credo possibile !a scienza delle cose future, salva sempre l'incertezza de* tempi e de' luoghi, e salvo la sopravvenienza dei casi imprevedibili, e non calcolabili dall' umana prudenza.

LIBRO IH.

*69

Mimi, ritenetevela voi quanto un oracolo d Dello, o di Dodona, o altro qualsiasi; laddove !a mia^ perocch Damide che prevede-, e che so! tanto !e cose proprie prevede ^ quella di una vecchierela indovina, che presagisce i casi de!!e sue pecore!!e , o altre siflatte bazzecole. A queste parole i sapienti diedero una buona risata. XL1V. Cessate !e risa, continu Iarca i! suo discorso della divinazione, e disse eh' ella era cagione di molti beni agli uomini, il massimo de' qua!i per era !a me dicina. Perch non sarebbero mai pervenuti i figli d'Esculapio ad esser dotti nella cognizione di essa, se Esculapio Rgliuol di Apollo, non avesse, giusta le ispira^ zioni e i vaticinj de! padre, composto i rimedj utili a!!e malattie, e trasmessili ai Egli suoi, e insegnato agli al lievi quali erbe convenga applicare alle umorose piaghe e quali alle secche ted aduste ; e il modo di far le po zioni per mezzo delle quali dare uscita alle acque tra carne e pelle intascate , stagnare i Russi di sangue, cu rar l ' etisia, ed altri mali di questo genere serpeggianti internamente, non che i rimedj de' veleni, in guisa che de' veleni stessi in moltissime infermit facciasi uso. E ci chi negher che nou si debba alla divinazione? im perocch a me pare che mai non avrebbe osato nessun mortale, senza una sapienza consapevole delle cose fu ture , mescolare alle salutevoli medicine le cose pi perniciose. XLV. Avendo poi Damide scritto anche il discorso che si fece intorno ad alcune bestie, fontane ed uomini, che le favole de'Greci raccontano trovarsi nell'india,

!?o VITA DI APOLLONIO TIANEO io parimenti stimo di non ometter!o ; potendone al tri questo vantaggio ritrarre che n tutto creda, n tutto ricusi. Interrog dunque ApoHonio se ivi trovavasi un animale detto marticora. Rispose Iarca : Quale hai tu udito essere la natura di cotesto animale? perciocch fa d'uopo che tu mi dica come sia fatto. Grandi e in credibili cose, replic ApoHonio, si narrano di esso ; cio che quadrupede, che ha la testa d'uom o, che grosso quanto un !ione, che ha nella coda crini lun ghissimi , e simili a spine, le quali scaglia come frecce contro i cacciatori. Lo interrog poscia dell'acqua d'o ro , che dicono stillar da una fonte; poi di una gemma che vuoisi abbia le virt della calamita (:); poi d'uo mini che si crede abitar sotto terra, poi de' Pigmei, poi degli Schiapodi, cio di coloro cui la pianta de'piedi sol tanto fa ombra (a). Cui rispondendo Iarca, disse: Degli animali, delle piante e de' fonti, che tu vedesti venen do qui, non occorre che io ti faveHi, dovendo anzi tu dame notizia agli altri; ma che in questi luoghi trovisi una fiera scagliante frecce, o fontane stiHanti acque d' oro, io non Io ho pi udito. XLVI. Non vi ha dubbio per rispetto aHa gemma, che a s trae le altre pietre, cui si unisce, e tu la po trai vedere, e osservare ci eh' ella ha in s ; la mag gior sua grandezza pari a quest' unghia ( e mostr il
(*) La pietra /Mtnfar&g, menzionata in una nota qui dianzi, della quale ragionasi pi a lungo nel $ seguente. (a) Tutte codeste favole, o quasi favole, trovansi ripetute da pressoch tutti gli antichi scrittori. Si veggano Plinio, Eliano, Pausania, Ctesia, Aristotile, ecc.

LIBRO HI. :?! pollice ), s genera nelle concavit della terra alla pro fondit di quattro braccia ; ed ha in s tanta forza, che dov' ella si genera, la terra spesse volte s gonfia e scre pola; ma a nessuno dato di rintracciarla, perch'ella fugge, se non sappiasi artificiosamente cavare: noi soli, parte co' riti nostri, parte con sacre parole scaviamo la panfar&a, che tale il suo nome. Ella a guisa digam ma & di notte giorno, splendendo come fuoco, e raggi spargendo (:), si che guardandola anche di giorno fe risce gli occhi con innumerevoli lampi. Cotesto suo lu me uno spirito di inef&bil possanza, perocch quanto le si trova d'appresso ella congiunge a s; ma che dico io quanto le d* appresso ? Gitta molte pietre ovunque vuoi, nel mare, ne' Rumi, e non l ' una vicina all'altra ma lontane e distanti, come il caso avr portato, ca lando questa gemma alla volta loro tutte colla espan sione della sua virt le raduna e intomo a s le ammon ticchia , come uno sciamo d' api. E cos dicendo gli mo str la gemma, e insieme gli eRetti suoi (a). XLVII. De' Pigmei sotterra viventi e abitanti di l del Gange, e che vivono in quel modo che per fama noto, parl dappoi (3) ; e disse che n Schiapodi, n
(t) Fosse questa la luce che vedemmo di sopra adorarsi la motte dai Bracman!, come un raggio del sole ; e che noi suppo nemmo un fosforo ? i (a) Eliodoro nel lib. vm ; e Fozio sulla fede di lui le attri buirono anche la facolt di spegnere il fuoco. Ma Iarca non l'ha rammentata. (3) Oltre Aristotele, Plinio e Mela, da vedersi Elino (Uh. xv) intorno ai Pigmei. Egli ricorda il nome di Gerane regina loro, e la guerra th fecero colle gr.

I73 VITA DI APOLLONIO TIANEO Macrocefali (*), n ci che le storie d Scilace dcon d essi, trovansi n in India, n in verun a!tro luogo della terra. XLVIII. L' oro poi, continu egli, che cavato dai grifi, consiste in pietruzze, macchiate di minute goc ciole d' oro, le quali rompe con la forza del suo becco la bestia che ho detto. Questi animali si trovano nelI' India, si riguardano per sacri al Sole, e i pittori che presso gl'indi dipingono il Sole pongono i griR alla qua driga di lui (2). La grandezza e la forza loro pari a quella de' lioni, coi quali, come pure con gli elefanti e co' draghi, prendono a combattere , soprastando loro con I' ale. 11 volo di essi non giunge a molta altezza, ma a quanto pu giugnere un uccello poco volatore , perch mancano di piume, ed hanno le coste dell' ali congiunte con membrane vermiglie, s che girando vo lano e da alto combattono. La sola tigre non vinta da essi, perch la sua velocit pareggia quella dei venti (3).
( 1) Varj autori scrissero intorno questi uomini mostruosi, la cui testa era deformemente grossa. Ma son tutte fandonie. Lo Scilace storico che qui appresso citato fu di fatto nelle Indie, e ne scrisse, perch oltre le presenti testimonianze se ne ha quella di Erodoto nel lib. i v , e l'altra di Tzetze nel vn delle (a) Tanto lo Spon che lo Spanemio ci hanno fatto conoscere alcune medaglie o marmi, rappresentanti la biga del Sole tirata da due griR. (5) Diodoro Siculo favella di cotesti uccelli dicendo che gli Etiopi avvezzano i fanciulli a cavalcarli per far prova del loro coraggio , giacch il volo di essi poco alto da terra. Vedasi

LIBRO III. XLIX. Avvi anche 1' uccello fenice, che ogni cin quecenti anni va in Egitto, e per tutto quel tempo svo lazza per 1' India ; eHa soia , raggiante , splen dente di color d'oro, ed ha forma e grandezza di aquila. I! nido in cui si posa da lei fabbricato con afomati presso le fonti del Nilo. Ci che di essa celebrano gli Egizj, cio ch'ella in Egitto si porti, anche gl'indiani confermano, favoleggiando che la fenice postasi nel ni do per farsi consumare dal fuoco canta a 6 medesima l'inno funebre (:). Locch farsi eziandio dai cigni asse riscono coloro che con la dovuta arte li ascoltarono (a). L. Questi furono i ragionamenti che tenne ApoHonio co* sapienti ne' quattro mesi che stette con essi, e che raccolse dalla voce loro, tanto rispetto alle dottrine vol gari , quanto alle arcane. Risolutosi poi di partire, il consigliarono di rimandare a Fraote la guida e i ca melli con una sua lettera, ed altra guida ed altri ca melli gli diedero, di lui e di s stessi contenti. Accom miatandosi poscia da ApoHonio , e dichiarando che presso i pi egli non sol dopo morte, ma anche in vita, rinomanza divina acquisterebbe, tomaronsi alle stanze lo ro , voltandosi pi volte a guardarlo, e mostrando rin crescimento di sua partenza. ApoHonio tenendosi il GanE liano, Plinio, ecc. Probabilmente questo grande uccello !o stesso che gli abitanti del Madagascar chiamano roc. Trovasi in varie parti dell'Asia. (<) Tanto si scritto e favoleggiato della fenice, che riesce inutile di aggiugner parola. (a) Cio con !a scienza del linguaggio degli uccelli, che si pretende dagli Arabi posseduta.

!?4 VITA DI APOLLONIO TIANEO ge a man destra, e l'Ifasi a sinistra, verso il mar si di resse (:) per dieci giorni di viaggio, da che lasci quella sacra montagna. Molti struzzi incontraron per via, e molti bovi selvatici, ed asini, e leoni, e pantere, e tigri ,* ed una specie di scimie diverse di quelle che trovarono presso le piante del pepe, cio nere, di pelo folto, di forme canine, e simili ad omiciattoli (a). In tanto che parlavano secondo il solito di ci che vede vano y giunsero al mare y alla riva del quale erano fab bricati alcuni piccioli magazzini y e stavano parecchie navi da trasporto, simili alle navi tirrene. Il mare Eri treo sommamente ceruleo, e venne cos chiamato y come gi dissi y dal re E ritra, che dar gli volle il suo nome (3). LI. Ivi giunto Apollonio rimand a Iarca i camelli con la seguente lettera:
() Cio 1*Eritreo, verso la parte australe. II Gange, che Apollonio tiene alla sua destra, pi verso oriente, l ' Itasi poi non arriva sino al mare, ma nella regione degli Astrobi, secon do Arriano, si versa nell'indo. Apollonio adunque giunse al ma re , avendo il Gange a diritta, e l ' Indo a sinistra. (a) Confrontando questa descrizione con quella che Ctesia ha (atto dei C/hccc/Hf*, trovasi che ciascun autore ha voluto espri mere uno stesso animale. (5) Esclude Filostrato con queste parole tutte le cagioni, che gli antichi andaron cercando sul nome di rc-M# dato a quel ma re , mostrando che 1' acqua di esso cerulea al par degli altri; e che il nome gli venne da -Ehrn, che suona nwM nelle altre lingue.

LIBRO I!I.
ApoMonio ^ Zarca eJ , M/ute.

Io venni a voi per la va d terra, e voi quella del mare mi apriste, anzi della sapienza vostra me renden do partecipe, e mi avete pur dato modo che anche pel cielo io cammini. Di tutto ci io rinnover la memoria fra i G reci, e con voi medesimi, come se presenti fo ste , mi figurer di parlare, se non indarno ho bevuto il liquore di Tantalo (:). Statevi sani, o sommi tra i fi losofi. L ll. Salito poi nella nave, mentre un leggiere e favorevol vento il portava, vide con maraviglia la foce delPIfasi (2), che vi sbocca terribilmente; perch, scor rendo esso, come dicemmo , per luoghi sassosi, angu sti e precipitosi, e da essi per una sola entrata spin gendosi impetuosamente nel mare, coloro che navigano vicino a te rra , vi incontrano molte difRcolt. LIII. Raccontano di aver veduta anche la foce del Ru me Indo (3), presso la quale posta la citt di Patala (/{), che circondata dall' Indo, dove gi raunssi la
(*) Sospettai di sopra che !a tazza di Tantalo fosse una ini ziazione. Questo passo conferma il mo sospetto. (a) Non si accorse Apollonio che l'Masi crasi confuso con !e acque deir Indo, e la foce di questo Rume crede esser di quello. (5) Due foci, entrambe dell* Indo, asserisce Arrano, quella che Apollonio suppose dell'Masi e questa. (4) Questo nome suona nell' idioma indiano come Delta nell' egizio. H Nilo in un luogo , I* Indo nell' altro, diedero la stessa

!?6 VITA DI APOLLONIO TIANEO Rotta di Alessandro, della quale era prefetto Nearco, uomo pratico negli apparecchi di una guerra marittima. Le cose poi che furono dette da Ortagora () intorno al Mar Rosso, cio che ivi non veggasi I' O rsa, e che i naviganti all'ora del mezzogiorno non producano om bra , e che le stelle che vr appaiono sono diversamente ordinate, Damide scrive di aver vedute egli pure, e dee credersi che in quella situazione di cielo siano appunto quali si riferiscono (2). Fecero anche menzione di una piccola isola, che dicono chiamarsi Biblo, dove le aper te conchiglie, le ostriche, e altri siffatti animali na scono attaccati ai sassi, e dieci volte pi grandi che non sono in Grecia. Entro una di quelle candide ostri che prendesi la pietra margarita, la quale tien luogo di cuore all'ostrica (3). LIV. Scrivono di essere anche passati per Pagala nel la provincia degli Oriti, dove le pietre e l'arena sono di metallo, e dove i Rumi portano sabbie metalliche, e credono che per la bont di esso metallo tutto quel ter reno possa essere aurifero (^). LV. Narrano di aver visitato gli Ittiofagi (5), la citt
forma ad una porzione de* rispettivi terreni , e quindi occasiona rono un ugual nome. (t) Autore ricordato anche da Strahone e da Etiano. (a) Arriano parimenti sulla fede di Nearco racconta quasi !e medesime cose. (3) evidente che qui parlasi della perla , che ognun sa es sere un prodotto della conchiglia marina. (4) Questo pure not Nearco presso Arriano. (5) Mangiatori di pesci. Tali erano per anche gli Oriti no-

LIBRO HI.

yy

de' quali si chiama Stobera ; che !e vesti loro son fatte delle pelli di grandissimi pesci, che il sapore JeHc pe core toro simile a quello del pesce, perch di pesce sogliono esse cibarsi ; accostumando i pastori di porger loro i pesci, come in Caria porgono i 6chi. G!i indiani Carmani poi, gente coltissima, abitano presso un mare s abbondante di pesci, che non si curano di serbarti, n usano salarli <come si fa nell'Eussino, ma di que' che prendono ne vendono alcuni, e moltissimi tuttora vi venti rigettano in mare. LVI. A Balara parimente dicono che la nave loro ap prod. E Balara un emporio abbondante di mirto e di palme. Narrano avervi anche veduto qualche pianta d'al loro, e scaturirvi fontane per tutta la regione ; e di giardini-e di orti esservi copia, e i porti trovarvisi pi che sicuri. Rimpetto a cotesto paese avvi una esecranda iso* la, che chiamano Selera, distante da terra cento stadj (i); nella quale abita una Nereide, terribilissima diva, che molti naviganti rapisce, n vuol che i nocchieri gittino l'ancora presso Pisola (a). LVII. Merita pure menzione un' altra specie di marminati di sopra, e forse non formavan che un solo popolo^ Diffatto Plinio li chiama t c A f y v p ( l i b . vi , ay). L 'ab bondanza de^ pesci in quel mare attestata anche dai moderni, (n) Circa tredici miglia ital. (a) Inabitabile la chiama Mela; c Plinio la d!ce ymAeny. Arriano la nomina non *S&/era, ma Dubito eh* ella sia l ' isola di SW/on, di cui parla il modernis simo Manfredi, a pag. fy.

!?8 VITA D APOLLONIO TIANEO garite, n debbo io ometterla/ tanto pi che a!!o stes so ApoHonio parve non piccola cosa, anzi piacevole a sapersi, e sommamente ammirabile tra le cose di mare. Da queHa parte che Pisola riguarda verso il largo, avvi una profondit, la quale feconda di candide conchi glie, piene di grassume, entro cui nessuna pietra si ge nera. Quando il mare tranquiUo stannovi esse galleg gianti , merc un olio che spargon fu ora ; gli Indiani che vanno a caccia deHe ostriche si ordinano tutti nel modo che tengono i raccoglitori deHe spugne, salvo che portano uno spillone di ferro ed un vasetto di bal samo ; e ponendosi al luogo ov' esse appaiono^ le ade scano con quel balsamo, perch si aprono esse a rice verlo e se ne inebbriano; allora con lo spiHone le fo rano, e daHa ferita esce come un marciume, che l ' In diano con diligenza raccoglie in un vaso, incavato a di verse figure. Quel marciume si impietra, e prende la forma, che la margarita naturalmente ha, cosicch la margarita un sangue bianco generato nel Mar Rosso. A questa caccia dicono attendere anche gli Arabi, che abitano sull' altro lido. Tutto que! mare poi di fieri animali abbondante, e vi si veggono baienea frotta. Per guardarsi da esse, !e navi portano appesi a poppa ed a prora a!cuni campanelli, il cui suono spaventa quelle be!ve, e non le lascia avvicinare alle navi. LVIII. Entrati di poi con la nave per le foci de!!'Eu frate , a Babilonia giunsero, e videro Bardane, e trova tolo quale !o avean gi conosciuto, ritornarono a Ninive. Andati poscia in Antiophia, e trovandosi esposti alle in giuriose celie, secondo il solito , e a! disprezzo d' ogni

LIBRO HI. Typ sorta d greca civilt (:)y di nuovo si addarono al mare presso Seleucia, e preso imbarco navigarono alla volta di Cipro e di P aio, dove ApoMonio ammir una statua di Venere simbolicamente costrutta (a), e dopo avere nel ricinto del tempio in pi cose ammaestratine i sa cerdoti , verso la Ionia fece vela y acquistando venera zione per tutto y ed avuto in altissima considerazione da tutti coloro, cui la sapienza in pregio.
(t) Gran beHardi erano gii Antiocheni, massimamente verso gii stranieri ; questi perci retribuivano loro il pi vivo disprezzo. (2 ) Due numismi ci ha conservati lo Spanemio di questa Ve nere PaRa, uno della regina di Svezia, l'altro della casa de Me dici. Veggasi y ottava sua dissertazione. Ad ornamento della pre sente opera noi ne riportiamo le impronte a pag. w , tanto pi volentieri, in quanto che contiene probabiimente quella simbo lica 6gura, che ApoHonio ammir, come qui dice Filostrato.

DELLA VITA

DI APOLLONIO TIANEO

I. JL7APP0I che ApoHonio fu in Ionia visto andar gi rando per Efeso non fuvvi artigiano che non tra!asciasse il suo lavoro, ma tutti correangli dietro, chi la sapien za , chi P aspetto ammirandone, chi la maniera del vi ver suo, chi de! suo vestire, e chi di tutto ci insieme. Aaccontavansi pure gli oracoli da lui proferiti, altri di cendo averli avuti dall'Oracolo di Colofonia, che a lu la sua sapienza partecip, e saperne veramente egli le risposte e le pratiche (:); altri dal tempio di Didi(:) Famosissimo ai tempi di Apollonio era quest'oracolo, ben ch a quelli d'Augusto non fosse assai celebre, se stiamo alle parole di Strabone, che ne fu quasi contemporaneo. Tuttavia che nel regno di Tiberio venisse consultato da Germanico , e dipoi da Lolia Paolina, leggesi in Tacito nel n , e ne! xn dcg!i

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VITA DI APOLLONIO TIANEO, LIBRO IV. :8 t mo (<), altri da quel di Pergamo (a); e ci perch invocan* do molti la guarigione) i! Nume imponeva loro di andar per essa ad ApoHonio, tale essendo il piacer suo e tale la vo!out del fato. DaHe citt parimenti gli arrivavano ambasciadori, che loro concittadino lo dichiaravano, e consiglier loro cosi pel modo di vivere, come per queHo di consecrare a!tari e statue. Le quali cose tutte egli parte per lettera, parte col promettere di andarvi spe diva. Smirne eziandio gli mand ambasciadori, che nient' altro gli chiesero se non d andar fra loro; per lo che interrog il legato qual bisogno avessero di lu i, ed ei rispose : Quel di vederti e d'esser veduti; ed Apol lonio soggiunse: Verr: Voi frattanto, o M use, fate che noi ci amiamo reciprocamente. II. Col primo discorso eh' ei tenne agli Efesj dall' atrio del tempio (3), non aHa maniera di Socrate ma pi
annali. Luciano, PofRrio e Giamblico Io decantano essi pure ; e ci prova che torn ad essere in voga* Di quest* oracolo scrive con somma diligenza Io Scoliaste dell'^rgPMCKfMM di Apollonio al verso 5o8 del lib. r. (:) L'oracolo di Apollo D e n te o , fu prima detto l ' oracolo de' , e pi anticamente l ' oracolo de* -M iM es/A Alcuni il confusero coi , e s'ingannarono. Era ancora in credito ai tempi di Licinio, giacch sappiamo da Sozomeno, che quel1 'mperadore Io consult. (3 ) Nel tempio di Esculapio, 1oracolo del quale si otteneva nel sonno. Veggasi pi innanzi il $ x , ed il xxm i di questo libro. (5) Era questo il famoso tempio di Diana, laforma del quale, trasmessaci dal chiaro Menetreio nel trattato .De .Dia , noi riproduciamo qui marcata col num. : , .cui stimiamo opportuno di unire l'eHgie esterna del tempio

! 81 VITA DI APOLLONIO TIANEO diffusamente, cerc distorli dalle pratiche lro, e allontanarli dall' ozio, e persuaderli che di sapienza soltanto e di oneste occupazioni dovrebbe la citt d'Efeso pren der cura, e non della scioperatezza e ferocia che ivi trovava. Perocch tutto vi finiva in vituperevoli saltatori ed in balli, tutto in musica, tutto in mollezze, e in chiassate. E sebbene gli animi degli Efesj perci si fos sero cambiati rispetto a lu i, pure non volle mai que' loro usi approvare, ma apertamente impugn, e a molti li rese odiosi. III. Gli altri suoi discorsi tenne nei boschi poco di stanti dai portici. E disputando un giorno sulla comu nanza d e'b en i, e insegnando come nel!e cose necessa rie debbano gli uomini a vicenda aiutare ed essere aiu tati, stavano per caso sopra un albero alcuni passeri ta cendo , quando un d'essi postosi a volare mand un grido, gli altri avvisando di aver veduto non so cosale quelli y uditolo y strepitando essi pure e sollevatisi in aria y volarono dove l'altro li conduceva. Sospese allora Apollonio il suo parlare, comprendendo a che tendesse il volo dei passeri, noi manifestando per al popolo. Ma tenendo tutti Io sguardo sopra di lui y ed alcuni scioccamente supponendo in esso qualche prodigioy egli, deviando dal primo discorso: Un fanciulloy dissey va gliando il frumento, e con poca diligenza raccogliendolo,
stesso ricevuta da una medaglia coniata ai tempi dell' imp. Va levano , e pubblicata dallo Spanemo ( num. n ) , non che una terza ( num. m ), che parimenti ricaviamo dal Menetreio, e che ne rappresenta la facciata, e prdbabilmente quel liminare, dal quale Apollonio faceva que' suoi monitor) ai leggerissimi E&tj.

LIBRO IV. :83 molto ne lasci partendo disperso nell' aia ( c la nomi n ) $ e qnel passere che a caso ci vide gli altri chiam alla oHertasi inaspettata fortuna, e suoi convitati li volle. Molti aHora corsero per vedere se ci fosse $e ApoHonio intanto a quelli che rimanevano continu il discorso che avea cominciato sulla comunanza dei beni. Quando poi que' partiti ritomaron gridando e pieni di maravi glia: Vedete, diss'egli, come i passeri a vicenda si aiu tino , e come godano < d i aver comuni i beni ; noi aH'incontro tal comunanza non abbiamo in pregio, anzi se alcun veggiamo che ad altri sia de* suoi beni cortese, Io diciam prodigo, ambizioso, o cosa simile, e chiamia mo parasiti o adulatori coloro che ne profittano. Che altro rimane se non di chiuderci in casa ^ come poHi da ingrassare, e che nascostamente serviamo al ven tre , impinguandoci tanto che ne crepiamo ? IV. Poco dopo manifestossi in Efeso la pestilenza, che via via dilatavasi $ ed Apollonio che il sorvegnentc morbo senR, e sentendo il predisse, spesso tra' suoi di scorsi esclamava : O ferra, nmanft j e : , o altre parole sif&tte, aggiugnendo pur le minacce. Dicea pa rimenti: coloro e non anifar o&re (:). Ma gli Efesj non gli abbadavano, ovvero giudicavano supersti zioso quel suo d ire, tanto pi, che visitando egli tutti i templi degli iddj , pareva che pregasse onde allontanar quel flagello. Ma diportandosi essi poco prudentemente
(:) questa una specie di imprecazione o di esorcismo, o di predizione, come si vedr nel progresso ; e va attribuita a quelle arcane scienze , che Apollonio impar test dai Bracmani.

! 84 VITA DI APOLLONIO TIANEO in tale sciagura, e vedendo che l'opera sua non potea pi giovar loro, and peregrinando per le altre parti d ell'ionia, dando mano ih ogni luogo ad emendare i costumi, e sempre di cose parlando che utili fossero a chi lo ascoltava. V. Andatosi a Smirne gli si fecero incontro gli Ionj, che allora celebravano le religiose lor feste (*), ed aven do letto il decreto de' medesimi Io n j, col quale il pre gavano di far parte egli pure del sacro loro congresso, e trovatovi un nome che non era Ionio ( era in quel de creto scritto il nome di certo Lucullo), scrisse alla co munit loro una lettera, in cui di tal barbarismo rimproveravali ; molto pi che vi trov pure onoratamente menzionati un Fabrizio, ed altri uomini di egual natura. Per la qual cosa egli grandemente li redargu , come dalla sua lettera appare (2). VI. 11 giorno appresso recatosi al congresso degl'Ionj dimand loro: Che tazza quella? Ed essi risposero: la tazza sacra. Egli allora pigliandola e bevendone: O d ii, disse, protettori dell' Ionia, concedete a questa bella colonia (3), che tranquillo abbia il marey chenes(!) Erano le feste in onore di Nettuno, deHe quali parlano Ero doto, Strabone, Diodoro Siculo ed altr!. Chiamavansi AwMonte. (3 ) Noi la daremo a suo luogo, e sar la Lxxr, e vedremo quanto doleva ad Apollonio che i Greci del suo tempo affettas sero di darsi nomi romani. A che pure allude la lettera m a suo fratello. (3) Gli Ateniesi condotti da Androdo UgHuol di Codro la de dussero in colonia , come si ha da Strabone al principio del lib. ny.

, LIBRO IV. t8o sun male piombi <Ia esso violentemente su questo suolo, e che il conquassator delia terra Egeonc mai non ne scuta !a citt (<). Le quali parole io credo proferisse per divina ispirazione, antiveggendo ci che ne' venturi tempi sarebbe accaduto a Smirne, a Mileto, ed a Chio, ed a Samo ed a pi altre citt dell' Ionia (a). VII. Osservando poscia che gli Smimei attendevano indefessamente ad ogni genere di letteratura, egli con ferm ed accrebbe lo studio loro ^ e li consigli a ren dere s medesimi argomento di lode , anzi che la bel lezza della citt loro. Imperocch sebbene sia citt bel lissima fra quante si trovano sotto il sole, e dominando su! m are, e le sorgenti di zefiro possedendo (3), pure era assai meglio che d'uomini adorna fosse, pi che di portici, e di pitture, e di ricchezze oltre il bisogno ab bondanti. Gli edifcj rimangono sempre nel loro luogo, n puonno ammirarsi altrove che l dove sono ; ma gli
(:) Egeone il Briareo delia favola de* giganti, e fu cos chia mato perch venne legato con cento catene (perch avea cento mani) agli scogli del mare Egeo. (2 ) Non al terremoto che nel quarto anno del rgno di Tibe rio distrusse dodici citt pu alludere questa predizione, come alcuni pretesero, mentre calcolando !' et , che in questi tempi doveva avere ApoHonio, g! si tocca l'undecimo anno di Ti berio , e quel terremoto era avvenuto sett' anni addietro. Filo strato adunque ha probabilmente voluto alludere al terremoto di Smime (che guast pur altre parti di Grecia), ai tempi di M. Aurelio , del quale scrivono Dione nel lib. Lxx! ; Aristide in va rie sue orazioni, ed Eusebio all' anno iy t. (5) Luciano, Strabone , Pausania, e pi altri descrissero la bellezza deir antica Smirne.

:86 VITA DI APOLLONIO TIANEO uomini buoni vengono ammirati dovunque, dovunque celebrati^ e la citt'di cui sono cittadini tanto illustre quanto ogn'altra terra, dov' essi vadano. Diceva altres cbe le citt belle cos come Smirne, si rassimigliano alla statua di Giove Olimpio lavorata da Fidia (:), la quale stassene immobile qual piacque di porla all* arte fice, ma gli uomini, in qualunque parte vadano, non sono diversi dal Giove di Omero, che dal poeta sotto varie forme figurato, e con pi profondo ingegno com posto che que! di avorio, perch questo soltanto in terra si osserva, quello ne! cie!o ed in ogni luogo* V ili. Ragion pure con gli Smimei del modo di ren dere sicurissima !a citt, osservando che discordi eran tra loro, e di varie opinioni, e diceva che per bene stare in una citt facea d'uopo di una concordia discorde. E scorgendo Apollonio che ci non parea verisimile, anzi ripugnasse alle a!tre sue sentenze, e che la maggior parte non comprendea quel discorso, cos continu: Il bianco e il nero non possono mai essere una stessa cosa, n 1' amaro col dolce convenientemente si mischia ; ma la concordia pu ta!vo!ta essere discorde per il ben pub blico; ecco quello che io voglio dire. Una discordia che spinga i cittadini all' armi ed alle vicendevoli offese, bandiscasi dalla citt, perch la citt ha bisogno di una buona educazion de' fanciulli, di leggi, e d'uomini va lenti s in parole che in fatti. Ma !a reciproca gara pe! comun bene, l ' impegno acci una opinione prevalga ad
(t) DeHa quale veggasi principalmente pianto racconta Pausania.

LIBRO IV. !8 ? un* altra, acci uno eserciti la magistratura o 1' amba sceria meglio di un altro, acci questi sia pi che que gli magnifico nelle sue fabbriche, questa a me pare una util discordia, una dissensione produttrice del ben co mune. I Lacedemoni, intenti ad altre cure, stimarono gi che fosse una sciocchezza il pensare che ci gio vasse alia cosa pubblica ; essi davano tutti opera alle arti di guerra, in che superavano gli altri popoli, e di che solamente prendean pensiero. Ma a me cosa ottima sembra che ognuno faccia quello che s e che pu. Pe rocch se uno acquisti lode in arringando il popolo, un altro per saggezza, chi per magnificenza, chi per bont, questi per inflessibile severit verso i rei, quegli per integrit, allora io dico sar ottimamente governa ta , e potr pi lungamente durare. IX. Mentre cosi parlava, vide scioglier dal lido una di quelle navi fabbricata a tre vele, ed i marinai darsi moto a vicenda onde spignerla in alto mare. E ci pure ad istruzion de' presenti volgendo : M irate, disse, cotesta famiglia di nocchieri, che gli u n i, cio i rema tori , salgono a! posto lo ro , gli altri levano le ancore, e ai Banchi della nave le appendono, questi espongono le vele al vento, quelli, chi da prua chi da poppa, diri gono. Che se alcun di costoro mancasse all'opera sua, o far non sapesse il suo mestiero, malamente navighe rebbero , e diventerebbono essi stessi una vera procella. All' incontro se andran tutti a gara, e quelli non cer chino di essere da pi di questi, la nave proceder egregiamente, come secondata dalla serenit del cielo e dal favore del vento ; perocch il loro Nettuno Aria-

!8 VITA DI APOLLONIO TIANEO Ho (!) la prudenza che hanno. Con siffatti discorsi contenne Smirne. X. Efeso intanto era molestata da! contagio, contra il qual non trovandosi rimedio che bastasse, mandaronsi ad ApoHonio ambasciatori, chiedenti che eg!i ne fosse il medico; ed egli conoscendo non aversi :rdiffe rire : Andiamo , lor disse ; e prestamente fu ad Efeso , imitando per avventura Pittagora, che al tempo mede simo trovossi fra i Turj e fra i Metapontini (a). Radu* nati quindi gli Efesj : Siate di buon animo, disse, che oggi io troncher questo morbo ; e dette queste parole condusse gli uomini di qua!unque et al teatro, dove ora una statua magica (3). E qui fu veduto un vecchio accattone, il quale fingea d*esser cieco, e una bisaccia portava ov' erano bocconi di pane, e di stracci vestito, e di squallida faccia ; e comandando agli Efesj che lui d'ogni parte accerchiassero: Costui, disse, punite, che in odio agli iddj, e lapidatelo. Maravigliarono a cotai detti gli Efesj, parendo loro crudel cosa 1' uccidere quello straniero, il quale umilmente pregava, e molte parole diceva atte a mover piet ; ma ApoHonio insi stette esortandoli ad eseguire, e a non lasciarselo fug-

(<) Cio aMiCMTdRyw. Vedi Girad!, tfeor. v. , (^) Ne parlano Porfirio e Giamblico, ciascuno nella vita di Pittagora. Di questa prodigiosa presenza in due diversi luoghi al tempo stesso, vogliamo noi supporre che fosse aneli' essa frutto della sapienza bracmanica ? (5) Rappresentante un cane molosso, come si vedr frappoco. questa un altro talismano. .

LIBRO IV. !$ 9 gir di mano. Cominciando alcuni perci a scagliar pie tre, colui che da pria parea cieco, gir torvi gii sguar di, e occhi di bragia mostr, s che gli Efesj conobbero eh' egli era un demone , e furongi addosso cos fatta mente , che lo copersero di un gran mucchio di sassi. Dopo un breve intervallo Apollonio impose di rimover que' sassi, e di vedere qual bestia si fosse uccisa. E scoperto che ebbero, colui che pensavano di aver lapi dato ^ pi non ci era, ma vi si,trov un cane, della forma del molosso, di grandezza di uno de' pi grossi leoni, tutto rotto dai sassi, e con la bava alla bocca, a guisa di can rabbioso. Tal parimenti la forma della statua magica test detta. Oltre a ci fu alzata la sta tua d' Ercole nel medesimo luogo, dove quello spettro venne dalle pietre colpito (i). XI. Purgati cos gli Efesj dalla pestilenza, e parendo ad Apollonio di avere abbastanza fatto per la Ionia , pass in Grecia. Giunto pertanto a Pergamo, e con piacer trattenutosi nel tempio d'Esculapio, ed insegna to agli adoratori di que! dio cosa debba farsi, acci si ottengano sogni facili a interpretarsi (2), e resa a molti !a sanit, trasferissi nella campagna d'Ilio , e i sepol cri visit degli Achei (3), con !a mente piena di tutte le
(!) AH' aiuto d rcole attribuisce ApoHonio medesimo questo suo prodigio nell' apologia, che di s fece, e che si legger in sieme a tutto questo racconto nel lib. vm. Ad Ercole perci volle alzato quel monumento. (2 ) Notammo poc' anzi che l 'oracolo d' Esculapio rispondeva durante il sonno de* consultanti. (5) Grande visitator de' sepolcri fu il nostro ApoHonio. Sin

igo VITA DI APOLLONIO TIANEO loro antichit. Dopo aver molto favellato di essi, e oflerti parecchi sagrile} incruenti agli Inferi, ordin ai compagni di tornare alla nave, e disse eh* egli andava a passar la notte alla tomba di Achille (i). Cercarono spaventarlo i compagni ( che gi di ApoHonio seguaci eransi fatti i Dioscoridi, i Fedimi (a), e tutta quella scuola ), dicendo che Achille appariva anche allora in terribile aspetto, e ci essere da quei d 'ilio allarmato; ma egli: Mi noto, disse, che Achille gode di conver sare , e che molto am Nestore pilio, perch sempre gli dicea cose utili, e che a Fenice, il quale co* suoi varj discorsi Io allettava, diede il titolo di alunno, di compagno, o altro di egual genere; anzi Io stesso Pria mo , suo principal nimico, con benignissimo occhio guard, tosto che Io ud parlare ; e ai tempi dell* ira sua s mitemente si contenne in faccia ad Ulisse, che questi il giudic pi presto gentil che terribile (3). Ben credo che egli, come dicono, con Io scudo e con l'el mo altamente minaccioso si mostri ai Troiani, me more di ci eh* ebbe a soffrire da essi, che perfidamendal primo libro il vedemmo onorare e restaurare le tombe deg!i Eretrj. Questa specie di culto, veramente degno de'saggi, faceva parte della sua filosofa. (<) Plinio , Strabone, Cicerone nell' arringa per Archia, ed altri, menzionano questo sepolcro. (a) Nomi proprj di varii discepoli, che ingrossarono la schiera de* seguaci di Apollonio. Erano per avventura figli di un Dioscoride e di un Fedimo , nomi che pur si incontrano in diverse scritture antiche. (5) Tutto ci si ricava dall'Iliade di Omero, che Apollonio conosceva perfettamente.

LIBRO IV. ^ te il tradirono nelle sue nozze (f). Ma io nulla ho di comune con gli Iliesi, e sono per tener seco lui pi lieti discorsi di que* che gli tennero altra volta gli amici suoi. Che s e , come voi d ite, ei mi uccidesse, io gia cer insieme a Mennone ed a Cigno (2) ; e me forse Troia seppellir nella scavata fossa, al pari di Ettore. Queste cose diss* egli ai compagni ? parte celiando, parte seriamente, poi solo andossene alla tomba, ed essi, pe rocch annottava, sulla nave salirono. XII. Retrocedendo Apollonio sul far del giorno, chie se dove fosse Antistene pario ; costui erasi posto al suo seguito in Ilio, gi da sette giorni; e rispondendo An tistene alla richiesta, Apollonio gli dimand : Hai tu pa rentela alcuna co* Troiani?M olta, ei rispose; essendo io di antica stirpe troiana. Discendi forse da Priamo ? disse Apollonio ; Appunto da lu i, soggiunse P altro, e me stimo onorato da onorati scendendo. A buon dritto adunque, riprse ApoHonio, vietami Achille di avere a far teco. Avendomi egli commesso di annunziare ai Tes sali alcune cose, di che gravemente li imputa, e inter rogandolo io se oltre a ci potessi in altro piacergli : S mi rispose, ed di non mettere a parte della tua dottrina quel giovine pario, perch della nobile schiat* ta di Priamo (3), e mai non lascia di lodar Ettore. An tistene perci di mala voglia part.
(<) Venne ucciso da Paride nel tempio ov' era andato per isposar Polissena. (a) Nel lib. ! degli Fro/c* di Filostrato, che produrremo nel tomo seguente, narrasi di cotesto Mennone stato ucciso da Achitle. Quanto a Cigno vedi Ovidio nel xn delle (5) Del? odio implacabil di Achille verso i discendenti di Pria-

yps

VITA DI APOLLONIO TIANEO

XIII. Gi chiaro era il giorno, sofBava da terra fa vorevole il vento, e la nave era ali' atto di porsi alla vela, quando molti altri concorsero ad essa, bench ri stretta, desiderosi di mettersi in mare in compagnia d' ApoHonio. Correva allora I* autunnale stagione, in cui poco da fidarsi nel!' onde; ma persuasi tutti ch'egli n da procella, n da fuoco, n da altra qual si voglia sventura potesse venir offeso, voleano seco la nave stessa montare, e il pregavano di permetter loro di na vigare con lui. Ma non potendo a tanto carico regger la nave, e vedendone egli un' altra assai pi grande, essendovene molte presso la tomba di Ajace (:): Entria mo in questa, disse, perocch il salvarsi con molti ottima cosa. Girato adunque il promontorio troiano, ordin al piloto di spignere verso l'E o lia , che giace rimpetto a Lesbo, e l principalmente dirizzare il corso ov' posta Metinna ; perch ivi ( diceva ) Achille acccnnommi essere il sepolcro di Palamede, e trovarvisi nna sua statua colossale, di aspetto per pi senile che quel di Palamede non era. Appena fu dalla nave di sceso: O G reci, sciam, onoriamo quest' uomo egregio, dal quale ogni sapienza deriva (a); e facciamo di essere migliori degli Achei, venerando per amore della virt
mo e verso i Troiani avrai nuovo esempio nel prossimo xv:, e negli F/vict che ho citati nella nota anteriore. (<) E tomba e tempio era ivi, come narrano Plinio, Stra bone , Solino, e Pomponio Mc!a. l luogo chiamavasi TMoeff?. (2 ) Cio& la scienza de'numeri, in cui Pittagora, e perci Apol lonio, credette rinchiusa tutta la sapienza. Ma di Palamede convien pur vedere quanto scrive Filostrato negli jEh?!C*.

LIBRO IV. :p 3 colui che essi contro ogni ragione ammazzarono (t). Tutti adunque fuor di nave saltarono, intanto che egli ne avea scoperto il sepolcro, e trovata la statua gi co perta di teiTa. Nel basamento diessaleggevasi: < < 4 ? / t&yo jPa&HMeJe. Fattala rialzare in quella forma che io stesso ho veduta, ed erigervi intorno un tempietto, grande quanto sogliono gli adoratori di Ecate ad essa erigere, cio capace di dieci commensali, fece questa preghiera: o 7o cAe g/d noJrzja co^tra g/i , e yit cAe wo/N eFM nowwi ; pnego^ne, o C M * yraggOM pregio /a /e , :o yfeyjo (2). XIV. Di l pass a Lesbo, e l'antro di Orfeo visit. Raccontasi che ivi am egli gli oracoli suoi pronunzia re (3) i e che ci indispetti lo stesso Apollo. Perocch pi non concorrevano gli uomini a invocar le risposte, n al Grineo (4)? n a Claro (5), n l pure dove il tripo de era di Febo (6), e il solo Orfeo i consulenti appa gava; ma trasferitosi egli dalla Tracia in questo luo(<) Per frode di Ulisse, come si ha da Ditti candiotto, da !gino, e da altri. (9 ) Filosofo e poeta fu Palamede, come si legger ne' citatf

i& T O K H .
(5) Anche di questo oracolo di Orfeo parlato negli JEroM H , ove di Filottete e di Palamede si narra. (4) Ricorda Pausania questo luogo, e l ' oracolo di Apollo ne ricorda Virgilio s nell' J%&7gg v i, come nel !V della (5) Claro presso Colofone, donde 1 * oracolo che ivi era Colofonio venne chiamato ; noi ne facemmo cenno pi sopra. (6) Cio Delfo. .flMXMrMr;, fO F M . /. !3

:g4 VITA DI APOLLONIO TIANEO go ( i ) , Apollo gli apparve dicendo : Ceyya ^ MjMfpar c/ cAe w/o; froppo Ao ^o//erafo z fM oi ca^fz. XV. Dopo ci navigando pel mare d'Eubea, che an che Omero tra i pi dii&cili pone e i pi pericolosi, tranquillo e placido, pi che !a stagion Io comporti, il trovarono. I ragionamenti pertanto cadevano sulle isole, a misura che molte e famosissime ne incontravano, e sulla costruzion delle navi, e su 1' arte di governarle, come appunto usano ragionare i naviganti. Ma Damide a chi dava sulla voce, chi interrompeva, chi impediva di interrogare ; laonde Apollonio si accorse eh' egli bra mava che d'altro si raginasse, e a lui rivolto : Perch, o Damide , disse , interrompi le dimande che si fanno ? Tion certamente , a quel eh' io penso, perch tu soffra nausea allo stomaco, o perch annoiato dalla naviga zione anche n discorsi ti annoino. Ben vedi come il ma re alla nave si presti, e quanto placidamente ci porti. Che dunque che ti molesta? Questo, rispos' egli, mo lestami , che parandocisi avanti un grandioso argomen to , de! quale giovava parlare, noi ciarliamo in vece di cose da nulla, e di anticaglie. E qual , soggiunse Apol lonio , cotesto argomento, a! quale stimi inferiore ogni a!tro ? T u , rispose egli, hai con Achille parlato, o Apol lonio , e molte cose probabilmente intese da lu i, non per ano a noi note, e a noi non !e narri, n !a forma di Achille descrivi, ma vai col discorso le isole percor(!) Dilaniato Orfeo daHe Baccanti, e troncogli il capo, e in mar gittato, questo arriv all' isola di Lesbo , vi pronunzi gli oracoli, e celeberrimo vi si rese. Tutto ci parimenti si rileve r negli j&uict.

LIBRO IV. rendo, e fabbricando le navi. Ebbene, rispose Apollo nio , purch io non incorra la taccia di ostentatore, vi racconter il tutto. XVI. E sollecitando gli altfi sif&tto racconto, e bra mosi mostrandosi di ascoltare : Io, disse Apollonio, non iscavando una fossa come Ulisse, n l'ombra evocando col sangue degli agnelli (:), venni ammesso a parlare con Achille, ma soltanto per mezzo di quelle preci, che gli Indiani impongono per invocare gli eroi (a). O /e , diss' io, # yo/go Jeg/i cyfwfo, ma n :o fengo <?M ejfa n /a f/ene ^ ^ a g o ra , paJre Je/ yapar w/o. 21# ye no: peniam o, ^ojfrac: /a /wmag/na Rta. F wo/fa g/or/a (M ac^HM^ra* ccy^awenfc ^ag/i occAi , ye werc /a /oro ^ /?a ^afo pwy^rare cAe ancor je: w o . Dopo que ste parole un leggiero tremore intorno al colle si u d , e un giovine apparve alto cinque cubiti (3), vestito alla tessalica, e il cui volto non manifestava un animo mil lantatore, qual si pretende da alcuni che Achille avesse. Bench fosse di aspetto grave, pur vi era mista una cor tese giocondit, ed io penso che la bellezza di lui non
(i) Alludevi a quanto scrsse Omero nell* al principio del lb. nr. (a) Porzione deHa misteriosa dottrina de' Bracmani questa, che notammo di sopra al n del lb. n n , e noteremo di nuovo al lib. v i, ed al lib. vnr. (5) Osservammo altrove 1 * insigne grandezza degli eroi troiani. Che poi nelle apparizioni gli dii, gli angioli, gli arcangeli e gli eroi sembrassero giganti, come poco dopo qui dicesi, insegnato da lamblico e da quanti queste arcane scienze professano.

^6 VITA DI APOLLONIO TIANEO solo non ottenne per 3nco un degno encomiatore, an corch molto ne abbia detto Omero, ma non descri vibile; e chi la celebra in versi pi presto la impiccoli sce di quel che la esalti (:). Apparso dapprima di quella statura che dissi, crebbe tantosto, e ingrand il doppio, anzi pi del doppio, e parvemi che, quando all'ultima perfezione era giunto, la grandezza di lui salisse ai do dici cubiti, e che la belt sua crescesse al paro della grandezza. Mostrava che mai non si avesse tosata la chioma, serbandola intatta al Rume Sperchio (2) , alI' oraeoi del quale la prima volta ricorse, e sulle guan ce la prima lanugine gli fioria. A me tostamente rivol tosi : Mi grato, disse , di abbattermi in te , avend' io da gran tempo bisogno di un tant*uomo. Molto gi, che i Tessali trascurano le mie esequie (3), n io sino ad ora ho voluto sdegnarmene; perch s'io mi sdegnas si , maggior sarebbe la strage loro, che altra volta non fu quella de' Greci in questo stesso luogo. D loro per tanto 1' dmichevol consiglio, che non disprezzino pro fanamente le cose sacre, e non si mostrino in ci da men de' Troiani, i quali, privati per mano mia di tanti uomini, pure mi fanno pubblici sagriRcj, mi of&ono le
(t) Intorno all'omerico Achille ha con somma erudizione scrtto il chiariss. Drelincourt, cui bello il consultare. (a) Il far voto della propria chioma agli dii fu costume as sai dagli antichi osservato. D questo voto di Achille fatto in onore di Patroclo, oltre Omero, scrive anche Stazio nella selva iv del terzo libro. (5) menzionata questa trascuranza de' Tessali, e la disgra zia che n' ebbero, anche negli JErO M H all'articolo Achille.

LIBRO IV. 19? primizie de' frutti, e con una preghiera da essi compo sta mi chieggono una riconciliazione, ht quale per non accorder io mai. Perocch !o spergiuro col quale mi tradirono (i) non permette che I!io ricuperi l'antica forma, n que! vigore riprenda, che ottennero altre mo!te gi devastate citt ; tuttavia essi abiteranno I!io, non a miglior patto per, che se fossero nuovamente di padroni fatti prigionieri. Acci dunque a egual condi zione io non riduca anche i Tessali, ti prego di andar nunzio presso loro di quanto ti ho detto. Andr, io risposi, giacch lo scopo deHa mia legazione era che essi non perissero. Ma io pure , soggiunsi, ho a chie derti qualche cosa , o Achille. Capisco, ei rispose: Tu delle faccende de' Troiani mi vuoi parlare : Proponimi dunque cinque dimande, quali vuoi, e cui non si op pongano i fati. Prima di tutto adunque richiesi se egli, come i poeti raccontano , avesse avuto sepoltura. Giac cio , rispose, come a me ed a Patroc!o piace assaissi mo , che vivati da giovani in grande strettezza, ora una sola aurea urna ci contiene come fossimo un cor po solo (z). Quanto per ai pianti deHe Muse e deHe Nereidi, che dicono sparsi per cagion mia , sappi che qui non vennero Muse giammai, bens le Nereidi, e queste vengonvi ancora. Dimandai poscia se Polissena venisse uccisa per cagion sua; e rispose che il fatto era vero, che per non la uccisero gli Achei, ma recatasi
(t) Vedemmd di sopra che Paride. (a) Ci confermano Omero perzio , ed altri. vittima cadde della perfdia di ' e TriRodoro, e Pro

:p8 VITA DI APOLLONIO TIANEO ella spontaneamente al d !ui sepolcro , e volendo il reciproco amor loro deH' estremo onor corona r e , da s col pugnai s trafisse (<). In terzo luogo cercai se Elena venisse trasportata veramente a T roia, o se sia questa una finzione di Omero. Noi fummo lun gamente ingannati, rispose, s col mandare a Troia ambasciatori, e si col far battaglie per cagion sua, men tre credemmo eh' ella fosse in Troia; ma rapita da Pa ride ella stavasi in Egitto nella casa di Proteo (a) ; e quando avemmo di questo fatto certezza noi contro la stessa Troia continuammo la guerra, per non par tircene vergognosamente. Feci la quarta inchiesta, e dissi come io mi maravigliava che tanti e s grand' uo mini avesse la Grecia contemporaneamente prodotti, quanti Omero ne schiera in faccia a Troia. A ci ri spose Achile : AHora nemmeno i barbari erano a noi di molto inferiori, tanto la prodezza in tutti i !uoghi era in pregio. La quinta dimanda fu questa : Per qual motivo Omero non conobbe Palamede, o se i! conob be , ne' poemi che di voi scrisse Io tacque ? Se Palamede , rispose, non venne a Troia y dee dirsi che non vi fu mai Troia (3). Ma siccome quell' uomo non men
(:) Anche negli JEh?M x & ci ripetuto, ma Drelincourtha mo strato che !a cosa non fu cos. (a) Erodoto nel n dice lo stesso. (5) Che quanto dire : tanto vero che Palamede fu coll' esercito greco sotto T roia, quanto & vero che Troia esisteva. Ma Omero noi nomin. Di questa Storia giova leggere 1' articolo negli j&wc!, come accennai nella nota al $ xxn del libro antecedente.

LIBRO IV. ,99 sapientissimo che guerriero sommo , venne ucciso ad istigazione di Ulisse, Omero non lo introdusse nel suo poema per non esser costretto a cantar le colpe di Ulisse. E qui AchiHe il compianse , e massimo il disse e beMissimo, e per giovinezza e per valore grandemente insigne, a tutti superiore nella moderazione delibammo, e assai deHe Muse amico: Ma tu , o ApoHonio, soggiun se ( perocch i sapienti hanno co' sapienti una specie di parentela ) , prenditi pensiero del sepolcro di Palamede , e raddrizza la statua di lui vituperosamente at terrata. Ei giace nell' Eolia, rimpetto a Metinna, che un borgo di Lesbo. Quando queste parole ebbe dette, replicando per u!timo ci che riguardava il giovinetto Pario (:), mandato un piccolo lampo (a) disparve, che gi i gaHi cominciavan cantare (3). Tutto ci ApoHonio raccont stando neHa nave. XVII. Entrato poi nel Pireo all' epoca de' sagriRcj, ai quali in Atene concorron moltissimi da tutta la Gre cia (%), non senza qualche contrasto pass daHa nave alla citt ; e avanzatosi alquanto s'incontr in parecchi
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(i) Vedi sopra il $ xn. ' (a) Essere le apparizioni degli eroi accompagnate da un im provviso fulgore insegn Iamblico, dove parla de' mister) egizj. Lo stesso deve supporsi per le disparizioni, stando a questa te stimonianza. (3) Air approssimar dell' aurora le ombre scompaiono. Molti poeti ce ne assicurano ; e specialmente Prqperz^o nella elegia VH del Kb. xv. (4) Questi* epoca era il mese antesterione, che comprende parte del novembre, in cui celebrayansi i misterj minori. V Meursio.

ao VITA D APOLLONIO TIANEO d coloro che attendono alla filosofa, i qua!* verso il Pireo discendevano, dove alcuni, postisi ignudi, al calor del sole esponevansi, che ivi d'autunno ardentis simo^!)^ altri stavano leggendo libri, altri esercitavansia perorare, altri Analmente disputava^ fra loro. Nessuno per camminavagli oltre, anzi tutti conosciutolo per ApoHonio, con lui retrocedevano, e lietamente il salu tavano. E dieci giovinetti gli si fecero incontro, i quali per cotesta Minerva, dicevano ( e le mani ver la rocca innalzavano {2) ) , noi andavamo ora al Pireo, risoluti dj venire a trovarti nell' Ionia. Egl! umanissimamente li accolse, e seco loro grandemente si rallegr,vedendoli cotanto aflezionati allo studio della filosofa. XVII. Il giorno degli Epidaurii intanto era giunto (3). Era presso gli Ateniesi passato in costume che in tem po degli Epidaurii, dopo 1' acelamazione e i sgriRcj, e previo un nuovo sagriRcio, si facessero le iniziazioni $ e ci in onor di Esculapio, per averlo essi iniziato quando ivi giunse da Epidauro dopo terminati i sacri fica. Molte persone trascurando i misterj, si fecero in torno ad ApoHonio, pi di ci premurosi, che di par tirne iniziati $ ma egli disse loro che in altro tempo sarebbesi trattenuto, e ordin loro che attendessero alle
(:) Esercizio di tolleranza praticato sopra tatto dai seguaci della scuola cinica. (2 ) Che l ' Acropoli, tanto nota anche i di nostri. (5) Cio il giorno ottavo della celebrazion de* misterj , ed era il a i del mese. Alle cose che qui soggiunge Filostrato oHrono grande schiarimento Pausania ne' Conwtfact' ; Meursio ccr. e pi altri.

LIM O IV. aor cse sacre, e disse che voleva gli pure esservi ini ziato (<). Ma il gerofanta (a) ricus di ammetterlo al sacro ordine, dicendo non volere iniziare uno incanta tore (3), n i misterj Eleusini svelare a chi puro non fosse nelle eose divine. Non perci sbigottissi Apollonio, e disse: Tu hai omesso il maggior peccato di cui posso venir accusato, cio eh' io sono assai pi di te istruito nelle sacre dottrine, e che non di meno a te , come a pi saggio, mi presento per essere consecrato. Laudarono tutti gli astanti questa forte e decorosa ris posta; e il sacerdote, accortosi, che negandogli l'in i ziazione avrebbe operato contro il comune sentimento, cambi tosto di tuono, e disse: Iniziati adunque, giac ch sapient' uomo rassembri. Apollonio allora: Mi in izier senza dubbio, rispose, di qui a qualche tempo, e sar quegli che mi inizier ; additando in cos dire colui che sarebbe succeduto al prelato, e che di l a quattr' anni di fatto gli successe. XIX. Quanto alle dispute eh' ei sostenne in Atene racconta Damide che furon molte, le quali per egli non tutte registr, ma soltanto le pi necessarie, e quelle intorno alle pi gravi materie. E ne! suo primo discorso, avendo conosciuto che gli Ateniesi erano uo mini religiosi, parl de' sacriRcj, mostrando in qual m odo, e in quale ora del giorno e della notte fosse il
(!) L'iniziazione avea luogo il primo giorno de' misterj, e ripetevasi l ' ultimo , cio 1 *ottavo. (a) Nome del sacerdote che iniziava. (3) Gli omicidi, gli empj, i magi, i cattivi soggetti ne veni vano sempre esclusi.

aoi VITA DI APOLLONIO TIANEO meglio onorare qualsiasi dio () o co' sacriRcj o con II* hazioni, o con preghiere. Avvi ancora un libriccino di Apollonio, in cui nel suo vernacolo queste cose in s e gn (3). Di tali oggetti in Atene ragionar volle, prima perch gli parvero degni della di lei saggezza e delia sua propria, poi per redarguire quel prelato ai misterj Eleu sini di ci che calunniosamente, vituperosamente, e da ignorante avevagli apposto. Chi dilatto creder po trebbe di poco sana dottrina nelle cose sacre colui, il quale dottamente mostrasse di qual culto abbiansi ad onorare gli iddii ? XX. Venuto a parlare intorno alle libazioni, trovossi presente a quel discorso un giovinetto si molle, e da tutti avuto per s lascivo, che ne' conviti, intanto che i piatti con le vivande si disponevano, era pi volte mes so in canzone. Corfu gli era patria, e dicevasi disceso dal feace Alcinoo, albergatore di Ulisse (3). E dispu* tando ApoHonio de! libare, insegnava che di que! vaso, col quale si fosse libato, nessuno bevesse, ma pieno e intatto venisse riservato ag!i iddii ; e soggiungendo che a cotal vaso andavano aggiunti i manichi, e aversi a libare da quella parte ove i manichi erano, alla quale rarissime volte gli uomini appoggiano i labbri, il giovi netto con uno scroscio sgangherato di risa i! discorso
(<) Anche Pittagora distingueva le ore del giorno, nelle quali si avevano ad onorare le superiori intelligenze; gli iddj in qua lunque ora, gii eroi verso il mezzod Cosi Laerzio (vui, 35), oltre quanto detto di sopra al x v i, lib. i. (a) Se ne &' cenno al $ xn del lib. !H. (5) Omero nella lo assicura.

LIBRO IV. 10S interruppe. A iu! riv o lto si allora : Non sei tu, disse, che questa villania mi fai, ma il demonio che senza tua sa* puta ti possiede (t). Ignorava infatti il giovinetto d 'e s sere ossesso ; e soventi rideva di cose di che nessun al* tro rideva, e tosto cambiava il riso in pianto, senza cagione veruna ; e spesso parlava tra s, e canticchiava. I pi credevano che ci derivasse da que' suoi giovenili trascorsi ; quando in vece era dal demonio agitato, e vedevasi che tai cose a talento suo, come allora, pe tulantemente commetteva. Fissando Apollonio gli occhi sopra di lui, il demonio mandava fuori voci timorose e colleriche al tempo stesso, come & chi prega e soffre, e giurava che lascerebbe il giovine, e non entrerebbe in verun altro. Ma Apollonio con ira parlandogli, co me padrone che sgridi un servo astuto, briccone, sfac ciato, e pien d' ogni vizio, e comandandogli di uscirne, dando per qualche segno, colui disse : Io abbatter quella statua, indicando con la mano una delle statue, che adomavano il portico reale, presso cui tutto questo avveniva. Subito dopo la statua dapprima alcun poco croll, indi cadde. Or chi potrebbe descrivere il romore che se ne alz, e 1 * applauso degli ammiratori ? II giovinetto poi, come svegliatosi da lungo sonno, fregavasi gli occhi, e verso i raggi del sole li rivolgeva, con fuso di vergogna perch tutti il guardavano. N pi ap parve presuntuoso , n pi malinconico, ma torn alla
(!) I gesti e i movimenti e le parole di cotesto sciagurato, ne resero accorto ApoHonio. Vedemmo di sopra net lib. ni, xnvnr. descritto un altro indemoniato. E chi ancor noi credesse consulti i nostri scrittori d'esorcismi.

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VITA DI APOLLONIO TIANEO

sua ndole, non altrimenti che se avesse preso una me dicina ; e deposta la molle zimarra, i delicati panni, e ogn' altro lusso , povero e scolorito mantello indoss, e tutto raf&zzonossi giusta i costumi di Apollonio. XXI. Dicesi altres eh' ei riprendesse gli Ateniesi di celebrare le feste di Bacco nel mese antesterione $ pe rocch pensando udire una cantata, un inno, un coro, e le modulazioni che sogliono adoperarsi nella comme dia e nella tragedia, egli pure insieme agli altri recossi a! teatro. Ma veduto che vi si danzava al suon della tibia, con cui si intonavano robusti canti, e che agli epici e teologici versi di Orfeo si frammischiavano rap presentazioni di O re , di Ninfe e di Baccanti, ne rima se sorpreso, e : Cessate, disse, di fare insulto ai Salamini, e agli altri valentuom ini, che gi perirono (:). Fosse almeno questa la danza de' Lacedemoni ! I bravi guerrieri ! Ci eserciteremmo al combattere, ed io pur danzerei. Ma eli' s molle ed efleminata ! e che dir io de' giuochi? (2) i quali non contra i Medi e i Persiani varranno, ma contra voi stessi, ove tanto inferiori vi troviate a coloro che li istituirono (3). E cotesti giubbe(:) Cio agii antenati loro, che avendo fortemente pugnato meritavano di essere meno leggermente imitati nelle pubbliche feste. (a) chiamavansi alcuni giuochi, in forma di lotta, dove T un battea 1 * altro, indi volgevasi tosto per non esser veduto. Questo passo, come pi a ltri, venne assai diversamente inter pretato dai varj commentatori e traduttori di Filostrato. (3) Che quanto dire: Che vi giovano codeste lotte, le quali esercitate per sola vanit ? Ammolliti, quali siete, al primo pe

LIBRO IV. ao5 rei!!, e codeste stoHe color & porpora e d zaflerano d'onde le aveste voi ? Non in tal guisa adornavasi la borgata di Acama, n il colono cavalc con tai fre gi (i). Ma che rammento io tali esempi? Fu gi una donna di C aria, che comandava una nave dell' armata di Serse, e contra voi mosse ; nulla era in lei di don nesco , nemmeno la veste e I' arm i, che eran da uo mo (a). Ma voi pi dilicati che una donna di Serse, vi armate ( cos vestendo ) contra voi medesimi (3), tanto i vecchi, quanto i giovani, ed i ragazzi. Quegli stessi, che un di ammessi nel tempio di Agraulo (4) giuravano di morir per la patria, impugnando 1' armi per essa, ora forse giurano di gozzovigliar per la patria, e di im pugnare il tirso, senza portar pi nessun elmo , e soz zamente adornandosi, come dice Euripide (5), col ma scherarsi da donna. Odo eziandio che in venti vi tras
ecolo rimarrete avviliti, anzi che preparati, come era 1 * inten zione di quei primi che a cotai giuochi vi addestrarono. (*) Avevano quelle borgate con gran valore combattuto nella giornata di Maratona, e gli uomini loro vivevano alieni da ogni delicatezza. (a) intende di Artemisia, che ottenne allora il principato di AUcamasso, grosso borgo della Caria, perch segui Serse in Grecia con cinque navi, come scrivono Erodoto nel V!i, e Pausania ne' ZacowMM, e Giustino nel lib. w. (5) Cio: D* uomin# che siete, vi trasformate con quegli abiti sciocchi e leggieri in molli femmine. (4) Figlia di Cecrope, alla quale avevano gli Ateniesi eretto un tempio, dove i giovanetti, che per la prima volta si arma vano, solevano giurare di voler morire per la patria. (5) Parlando di Penteo nel suo dramma delle Baccanti.

ao6 VITA DI APOLLONIO TIANEO (ormiate, e che facendo sventolare per I* aria alcune tele, le chiamiate vele marinaresche. Ma codesti venti vi conveniva riverire, almeno quai vostri colleghi, e perch altra volta soffiarono gagliardamente a pr vo stro , e non di femminil forma rappresentare il vostro parente Borea, che il pi maschio di tutti gli altri venti, e che non avrebbe amato Orizia se 1' avesse ve duta saltellar come voi (:). XXII. Questo altro difetto emend Apollonio in Ate ne. Concorrevano i cittadini al teatro , che nella roc ca , per lo spettacolo de' gladiatori, del quale era al lora in quella citt maggior fanatismo, che non oggi in Corinto. Perocch a forza d'oro compravansi adul teri, puttanieri, contrabbandieri, tagliaborse, truffatori, e siffatta canaglia, e gli Ateniesi fomivan loro le armi, e li facevano combattere insieme. E ci parimenti Apol lonio riprese $ ed essendo egli stato dagli Ateniesi invi tato ad un congresso, rispose ch'ei non sarebbe andato in luogo contaminato e intriso di saogue. Ci pure si gnific loro in una epistola, nella quale dichiar che maravigliavasi come /a < % ea non aye^e a%%antfonata /a rocca, Joye voi ( cosi dicea loro ) tanto amano sangue spargete jotto g/i occA* ; coMccA ( soggiungeva ) penjo , continuate wt ta/ m oJo, cAe ^ManJo avrete a ce/e^rare /e ^Panatene#, non yna Moment
(!) Grave rimprovero e pieno di sarcasmi questo che Apol lonio fa alla mollezza degli Ateniesi del suo tempo. Ma lascia mo ci. Orizia era figlia di Eretteo re d' Atene, e Borea la rap in tempo che stava divertendosi in vicinanza all' Hisso, dice Pausania.

LIBR IV. soy Jea. jE * tM, o Facco, coync ancor we/n M n teatro, <& ?ye tanfo jangMc M jpar^o ? 6 owc ! ^agg* tf ynno :n ey^o /e ^az#on! ? .Parane ia pMre, o Facco; cAe ajya^ pj& puro !/ Citerone (<). Ta!i sono le pi notabili cosey che ho trovato aver egli aHora filosoficamente operato in Atene. XXIII. And poi presso i Tessali, onde adempiere la commissione di Achille y e vi giunse eh' essi tenevano in Piloa la raunanza degli AnBzioni. Se ne intimorirono quelli y e decretarono che si rifacessero i debiti sacrificj al sepolcro deli' eroe (a). Poco parimenti manc che Apollonio facesse cinger di un portico la tomba delio spartano Leonida da lui sommamente pregiato (3). E recandosi un giorno a quel monumentoy press' al quale dicevasi essere gi periti molti Lacedemoni a colpi d i saette, ud i suoi seguaci quistionare fra loro qual fosse in tutta Grecia i! luogo pi elevato^ dando a ci cagione il monte Oeta che aveano rimpetto. Salito egli sul colle : Questo, dissey io dico essere il j)ih elevatOy perch quelli che qui morirono per la libert y lo hanno reso eguale aH' Oeta y anzi lo hanno innalzato al di sopra di parec chi olimpi. Io in altissima stima tengo codesti uomini, ma ad essi preferisco quel Megistia acarnano , il quale preconoscendo quanto avrebbero essi per la patria sof ferto y pur volle aver seco loro un comune destino,
(!) Monte delta Beozia , dove Orfeo celebr la prima orgia in onore di Bacco, per quanto ne assicura Lattanzio. (a) Veggasi di sopra il $ xv. (5) Mori nello stretto delle Termopli, lungamente da lui di fese contro T esercito di Serse. La sua storia notissima.

VITA DI APOLLONIO TIANEO nulla temendo la morte ^ ma soltanto d non aver a mo rire insieme ad essi (:). XXIV. Visit altres tutti i templi di Grecia, il Dodoneo ^ il Pitio, e quello che ad Abido. Entr pure nell'antro di AmRarao, ^ in quel di Trofonio, e sali a! tempio delle Muse sull' Elicona. E in cotai visite ai temp}, e nelle riforme eh' ei vi faceva, lo accompagna vano i sacerdoti, lo seguitavano i famigliar!, e dei di scorsi di lui si pascevano e abbeveravansi i sitibondi. Avendosi a celebrare le feste olimpiche (a), e invitan dolo gli Elei ad intervenire ai sacri conflitti : Egli mi pa re, disse, che la gloria de' giuochi olmpici diminuisca , col mostrare di aver bisogno di invitarvi coloro che vi debbono intervenire. Essendo un d nell'istmo, e mug ghiando il mare intorno al Lecheo: Questa punta ter ra , disse, jar fagRata, o pmtfojto wew jar tag^afa ; le quali parole contenevano il presagio dell' indi a poco avvenuto taglio dell'istmo, che di l a sette anni Nero ne ordin (3), quando lasciata la sede dell'impero venne in Grecia, e pose il suo nome in bocca ai trombettieri
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(<) Ci vien riferito anche da Erodoto, il quale eziandio ri porta l'epitaRo di codesto Megistia, che il sig. ?Tgwwey tra duttor francese di Filostrato, ha cangiato in femmina. (?) Era questa T olimpiade a:o, giusta i calcoli che, su quanto si detto sin qui c si dice in appresso, si possono fondare. (5) Questo taglio tentarono Alessandro il grande , D em etrio Poliorceta, Periandro, Cesare dittatore, ed altri, come scrivono Pausania, Plinio, Filostrato stesso, ec. Quanto a Nerone, cui parimenti non riusc, leggasi, fra i molti , Svetonio nella Vita di lu i, Dione nel lib. m H , e Luciano ne! Airone.

LIBRO IV. 309 dei giuochi olmpici e pitici, e sort pur vincitore negli istmici, riportando la palma sui citaredi e i cantori, come la riport sui tragici in Olimpia (). AHora f u , per quel che si dice, eh' egli intraprese l'inusitata ope ra di tagliar l'Istm o, onde aprire una nuova strada al!e navi, congiungendo il mare Adriatico all' Egeo, acci non fossero obbligati i legni a navigare all' ins di Malea, ma pi speditamente passassero pel nuovo taglio, sminuendo cos il lungo giro della navigazione. E qual esito ebbe I' oracolo d'Apollonio? Incominci il taglio al capo Lecheo, e per ben quattro stadj coutinuossi a scavare, quando Nerone Io fece sospendere, perch, co me alcuni dicono, avndo egli fatto misurare il mare di Egitto gli venne riferto che le acque poste allo ins del Lecheo avrebbero sovrabbondato, e sommersa Egin a ; ovvero perch ebbe timore di alcune innovazioni nell' impero (2). In ogni modo riusc verissimo ci che Apollonio avea detto, che /' A&no jgreMe (ag/iato, e non feg/iafo. XXV* Filosofava in quel tempo a Corinto Demetrio, che prolessava ampiamente la UlosoRa cinica (3). Di
(n) Anche intorno a questa intervenienza di Nerone ai giuochi solenni delia Grecia, ed agli onori, che vi ottenne, sono da vedersi i citati scrittori antichi, non che i moderni Spanemio , Casaubono, e pi altri. (9 ) Gi avea Vindice cominciato nelle Gallie la sua ribellione (5) Tra i molti Demetrj da Diogene Laerzio citati nel lib. v , e i molti aggiuntivi dal Vossio e dal Menagio, due soli ctmcl vi troviamo, uno de* quali alessandrino, l 'altro sunico. Un terzo ne indica Ammiano Marcellino (lib. 3px)? e Demetrio CAylrgf

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VITA DI APOLLONIO TIANEO

lui fa onorevole ricordanza Favorino in parecchie sue orazioni (:). Era egli affezionato ad Apollonio, quanto dices esserlo stato Antistene a Socrate (a), e il seguiva per desiderio d'imparare e attendere alta sua dottrina, e i migliori amici gli avvicinava, tra i quali era un M&nippo di Licia di veuticinqu' auni, di nobile ingeguo, e benissimo disposto del corpo, che bello e svelto era al pari di un atleta (3). Credevasi da molti che Menip^po fosse amato da una giovane forestiera, la quale ap pariva di vaga forma e dilicata, e diceva di essere ric chissima. Ma nulla di tutto ci era vero, anzi era tutta impostura. Andando egli soletto un giorno per la via che mena a Cencrea, gli si fece incontro im o spettro in figura di donna, e presolo per mano gli disse, ch'ella da gran tempo lo amava, che era di famiglia fenicia, che abitava in un sobborgo di Corinto ( e ne nomin uno ) : E se a me tu verrai la sera, soggiungeva, mi udirai cantare, e un vino berai^ che mai non bevesti
Io chiama, nativo d'Alessandria, c o lo re , co me osserv Adriano Valesio. Ma n T et del Demetrio d* Ales sandria del Laerzio , n quea del Demetrio d* Alessandria di Ammiano, corrispondono all' epoca del Demetrio di Filostrato, checche il Menagio si dica. Cos il Menippo, che si rammenta poco dopo ; debb' essere tutf altro die quello rammentato da Laenie. L Oleario trova memoria di questo nostro Demetrio in Seneca, in Arriano, in Svetonio, in Dione, e di nuovo in Fi lostrato ne luoghi da esso ohati. () Fior Favorino ai tempi ddl' imp. Adriano. (3) Vedi Laerzio lih^ v:. (3) Di codesto Menippo & spesso menzione Luciano

ne'jPtn%pgA; ^ izoW t.

LIBRO IV. a :t 1' eguale, n devi temere Io sdegno d alcun rivale, per< ch io di buona fede con un buouo amante viver. Se dotto da tai parole il giovine, che ben valeva in ogni altra parte della fHosoRa, ma m materia d' amre era fragile, and la sera a tro v a la , e continu poscia a frequentarla assiduamente, ponendo in essa ogni sua delizia, n mai sospettando eh' ella fsse una larva. Ma Apollonio , fissando Menippo, come fanno gli statuarj, e bene con la mente squadrandolo, e Io interno di lui Contemplando , tosto che l'ebbe conosciuto: O bel gio vine , gli disse, e da belle donne desiderato, tu un ser* pente nudrisci y e un serpente nudrisce te. Di ci ma ravigliando Manippo: Tu hai, continu egli, una donna, con la quale non possibile che tu ti congiunga in ma trimonio. E credi tu essere da quella amato ? S , per Giove, rispose egli, e quanto ardentemente ella mi ama! La farai tu dunque tua moglie? riprese Apollonio, Cet* to che s , rispose, essendo carissima cosa lo sposarsi damante. Quando adunque si faran queste nozze? con tinu Apllonio ; e quegli : Ben tosto, e fbrs' anche di mani. Aspettando pertanto Apollonio il d del convito, e intervenutovi egli dopo gli altri convitati: Dov', disse, quella signorina, a cagion della quale si fa questo pran zo? Ella q u i, rispose Menippo, e al tempo stesso si alz tutto arrossito. Apollonio allora: E questo argento e quest' oro ( richiese ) e questi altri ornamenti della sa la son essi vostri ? Son della donna, rispose $ e mio non che q*3sto , mostrando il suo abito. E ApoHonio di nuovo : Vedeste voi gli orti di Tantalo, i qaH sono e non sono ? Li vedemmo, risposero, in Omero, ma non

ata VITA DI APOLLONIO TIANEO scendemmo all'inferno. T ali, ripigli Apollonio, fate conto che sieno questi apparati, i quali non sono altri menti reali, ma soltanto apparenti $ e perch veggiate essere la verit ci ch'io dico, sappiate che questa buo na sposa una strega di quelle che volgarmente la mie o larve si chiamano, le quali soglion essere ingorde di piaceri non solo, ma di carni, e allettano coi sti moli di venere coloro che bramano divorare. La donna allora: Parla meglio, disse, e levati di qui ; offendendosi delle udite parole, e scatenandosi contra i filosofi, quasi sempre ciarlieri. Ma tosto che le auree tazze e quanto vi parea d'argento si vide essere falso, e che ogni cosa disparve, sin anco i coppieri, i cuochi, e gli altri val letti, da Apollonio sgridati, lo spettro fnse di piangere, e preg di non essere tormentato pi oltre, n costretto a confessar chi si fosse. Ma instando esso e non lascian dolo andare, confess eh' eli' era una strega, e voleva saziar ne' piaceri Menippo per divorar poscia il suo cor po , essendo accostumata pascersi di belli e giovenili corpi, che sono i pi abbondanti di sangue. Io questa storia, che tra i fatti d'Apollonio celebratissima, ho alquanto diffusamente esposto , essendo a molti n o ta, perch accadde in mezzo alla Grecia, limitandosi per a dire, che Apollonio scoperse in Corinto una lamia, senza poi spiegarsi come quella scaltra prendesse, e che per amor* di Menippo cos operasse, ed io tutto quanto raccontai da Datnide e dalla sua storia raccolsi. XXVI. A que' tempi ebbe Apollonio un contrasto cn Basso da Corinto ( t) , che viso e fama aveva di parriTra le lettere di Apollonio due ne troveremo dirette a questo Basso.

LIBRO IV. 2,3 cida, c che arrogantemente millantava sapienza, e non teneva la lingua in freno. Codesto spargitore di ingiurie Apollonio represse, tanto co' suoi discorsi, quanto ne!!e sue lettere ; e ci che lasci scritto di colui, come par* ricida, vuoisi tener per vero, non essendo pur verisi mile che un siffatt' uomo n allora, n poi s facesse lecita una calunnia, se la cosa fosse stata altrimenti. XXVII. Ci che Apollonio fece in Olimpia questo. Tosto eh' egli vi fu arrivato gli si fecero incontro i le gati de' Lacedemoni pregandolo che volesse recarsi a Sparta. Nulla per era in essi della spartana semplicit, ma galanti apparivano pi che non conviene a' Lace demoni, e a guisa di Sibariti (:). Vedendo egli costoro morbidamente calzati (a), con le chiome profumate, e persin rasa la barba , e da zerbini vestiti, scrisse agli Efori in questi termini : Che con pubblico editto vietas sero ne' bagni l'uso della pece, e ne togliessero ogni sorta di manteche (3), e richiamassero in vigore tutte le antiche maniere. Da ci venne che vi rifiorirono le palestre, i crocchi, i conviti, gi in uso per gli awici([) Anche Luciano nel primo dialogo de* morti introduce Dio gene ad esortare Menippo di correggere i corrotti costumi di Sparta. I Sibariti furono i pi molli e voluttuosi uomini dell' an tichit. (a) La calzatura fu sempre grande indizio dell' animo , massi mamente negli antichi tempi. Gli Spartani qui indicati, quanto eran degeneri dai padri loro ! Anche ira essi la moda s'intruse; e con essa la volutt , e cos 1 * antica severit e F Antico valor ne disparve. (5) Con la pece si levavano i peli, colle manteche si ungeva la pelle, tutto era morbidezza, raHnatezza , galanteria.

a !4 VITA DI APOLLONIO TIANEO namenti af&ttuosi , e Lacedemone torn quella che prima era (). Quando poi egli seppe aver essi emen dato in casa loro cotai difetti, scrisse loro da Olmpia una leder assai pi breve d 'u n viglietto laconico ^ e fu questa :

dovere del? uomo di non far male $ lo degli in genui il ravvedersi se P avessero fatto. XXVHI. Vista una statua che era in Olimpia : Salve, le disse, o buon Giove: essendo tu cos &Mono, che te stesso comunichi agli uomini (a). Interpret parimenti cosa significasse la statua di bronzo di Milone (3), e diede ragione della sua forma. Perciocch si vede Mi lone ritto sopra un disco e co' piedi insieme legati. Nella mano sinistra stringe un pomo granato, e la de stra presenta i diti tesi, e strettissimamente congiunti
(t) Ma, se ci vero, non dur gran tempo, perch sotto i Vespasiani, cio pochi anni dopo il presente fatto, troviamo gii Spartani nuovamente apeusati di mollezza da GioaeHb Ftavio nel secondo libro contro -Spione. (a) questo uno de'dommi della filosofia pitagorica. (3) Doveva ben avere in Olimpia Milone una statua, poich sappiamo da Diodoro e da Strabone che sei volte vi ottenne la palma. Pausania racconta che lp scultore ne fa Damea di Cro tone , e che Milone stesso col sugli omeri trasport la sua sta tua 11 conto che mostra di farne Apollonio nasce dall'essere stato Milone discepolo di Pittagora.

LIBRO IV. ng T un l'altro. Celebri sono in Arcadia ed in Olimpia le favole che si dicon di lui^ cio eh* e fu un atleta in vitto, e che piantato eh' ci si fosse in un luogo non era possibile di rimovernelo. La meta granata serve a indi care la tenacit de' suoi diti, i quali non poteano l'u n dall' altro dividersi , bench uomini sommamente robu sti il tentassero, come si pu& scorgere da qualche fes sura che vi qua e l fra i diti cos tesi ed uniti. Quanto alla (ascia che gli cinge la testa, credesi ch'ella sia sim* bolo della sua modestia. Le quali cose tutte Apollonio diceva essere egregiamente pensate, ma pi dotte per essere quelle, che pi rano vere. Perch dunque sap piate (disse) ci che Milone rappresenta, udite. I Crotoniati elessero cotesto atleta per sacerdote di Giunone. A che debbasi dunque riferire la mitra che ha, inutil di esporre, avendovi gi dtto eh' ei fu sacerdote. Il po mo granato poi pianta soltanto sacra a Giunone (<). Il disco che gli sta sotto ai piedi dimostra che il sacer dote che volge a Giunone le sue preghiere suole starvi ritto sopra un breve scudo (a), e ci anche signi ficato dalla mano destra. E i diti non anco tra lor se parati denno attribuirsi all* antico modo di lavorare le statue (3).
(<) Simbolo di fecondit il pomo granato. Pare che la mi tologia abbia voluto indicare in Giunone il principio /nMwo delle cose, ed in Giove l 'aM'o. (^) Nelle feste quinquennali di Giunone riportavasi in premio uno scudo. (5) L' arte della scultura cominci, come tutte le altre , per essere assai rozza. E questa statua spettava ai primi tempi.

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V IT A D I A P O L L O N IO T IA N E O

XXIX. Rimanendo egli presente a quanto col si fa ceva , vide che gli Elei erano diligentissimi nelle coso lo ro , e tutte facevano con molta dignit. I quali sti mando non dover essere reputati da meno dei lottatori, che doveano combattere, mettevano somma attenzione a non mancare in nulla n scientemente, n a caso. E interrogandolo i di lui compagni che gli paresse de gli Elei) quanto alla disposizione loro de' giuochi olim pici , rispose : Che sieno sapienti non s o , ma almeno sofisti li credo. XXX. Come poi riprendesse coloro che davansi tono di scrittori, e mostrasse che alcuni, i quali trattavano materie superiori alle forze loro, erano ignoranti, si ri lever da ci che segue. Un giovinetto gonfio di pre sunzione della sua dottrina, incontrandol nel tempio : Fammi grazia, gli disse, di intervenire dimani, che re citer qualche cosa ; e chiedendogli Apollnio cosa re citerebbe, quegli rispose : Una orazione in lode di Gio ve (<)$ e s dicendo la mostrava nascosta sotto la veste, e delia graudezza del volume insuperbiva. Apollonio al lora gli soggiunse : E che loderai tu in Giove ? Loderai forse questo che qui in Olimpia? di cui non avvi un eguale in tutto il mondo. Appunto ci, rispose il giova ne ; ma prima di ci , e dopo ci molt' altre cose ne lodo. Perocch le ore e quanto nella terra e so pra la terra, e i venti tu tti, e cos gli astri, tutto ci ,
() Concorrevano nelle feste olimpiche i pi celebri soRsti ed oratori a recitare i panegrici de' numi e degli eroi, ovvero gli elogi di qualche virt sociale.

LIBRO IV. a!y dico, A Giove dovuto. P an n i, soggiunse Apollonio, che tu debba essere un egregio lodatore. C erto, riprese l'altro , ed per questo ch'io scrissi le Iodi della poda gra, della cecit , e della sordit. E se queste cose lo dasti , continu Apollonio, ben meritano le tue cure anche l'idropisia e il catarro; anzi maggiore onor tifa rai se tenendo dietro ai m orti, scriverai pure gli elog} delle malattie che li levaron di vita, che cos meno se ne dorranno i parenti e i figli e tutti gli altri congiunti di que' morti. Accortosi poi che per tali parole il gio vane crasi alquanto mortificato : Dimmi, gli chiese, o mio caro scrittore, uno che voglia fare un elogio, lode r egli meglio le cose che conosce, o quelle che non co nosce ? Quelle eh' ei conosce, rispose ; perch in qual modo si loderebbe ci che non noto? Scrivesti tu dun que, segu Apollonio, alcuna cosa in onor di tuo padre? Il volli, rispose, ma riputandolo io per uomo grande e generoso, e migliore di quanti ho sin qui veduti, ec cellente nel governo della famiglia, e profondamente in ogni cosa versato, mi trattenni dallo scriverne 1' elogio per non disonorar mio padre con una men degna ora zione. Sdegnatosi allora Apollonio, come soleva quando incontravasi in siffatti importuni : Cos dunque, o scel lerato, gli disse, tu che difBdi di poter d e g n a m e n te lo dare tuo padre, che conosci quanto te stesso, osi col tuo leggiero cervello lodare il padre degli uomini e de gli d ii, il fattore di quanto o presso noi p sopra di noi esiste, e non temi colui che lodi, e non capisci che un elogio assumesti, che supera le forze dell' umano in telletto ?

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VITA DI APOLLONIO TIANEO

^ XXXI. Altri ragionamenti sopra materie utilissime tenne ApoHonio in Olimpia, cio intorno la sapienza, la fortezza, la temperanza, le virt tutte in una parola, delle quali disputava sul liminare del tmpio, con ge nerale ammirazione non solo per la gravit delle sen tenze, ma anche per l'eleganza del dire. Laonde i La cedemoni che accorrevano a lui lo dichiararono in fac cia a Giove ospite loro ( i ) , padre della giovent spar tana, guida de! vivere, e specchio de' vecchi. E doman dando un cotal di Corinto, spinto da invidia, perch non gli accordassero anche gli onori divini : Per Ca store (a), gli risposero, che questi pure gli si destinano. Ma Apollonio da tai progetti li ritraeva, onde non con citarsi contro maggiore invidia. Quando p o i, superato il Taigeto, vide la citt di Sparta egregiamente ammi nistrata , e serbarvisi intatte le antiche leggi di Licur go, pens dovergli piacere, se anche co'magistrati de' Lacedemoni prendesse a discorrere intorno a ci , di
(!) ospitalit (u sempre, ed , una delle pi osservate virt di un popolo ingenuo, schietto, di buona indole. Qui la veggiamo spinta sin dove pu giugnere, perch dichiarar uno ospite di un popolo lo stesso che accordargli la cittadinanza, ovvero nazionalizzarlo, come ora si dice. E la veggiamo accordata nel tempio di Giove Olimpico, perocch attribuivano i gentili a Giove la cura degli ospitali diritti: Zapt/cr, nnyn fe tfare /una

disse Virgilio nel n del!a JEhet%e. Su ci, pi d'ogni altro, veggasi Panichelli /an? Aogyyi/M, ec. (2 ) Solenne era pei Lacedemoni il giurare per Castore e Pol luce.

UBRO IV. np che bramassero interrogarlo. DiHatto a] primo avvicinarsegli lo interrogarono in qua! guisa convenga onorare gli idd}? Come i padroni, ei rispose. Gii chiesero poi: Come si onorino gii eroi? Ed egli: Come i padri (r). E domandandogli in terzo luogo in qua! guisa si avesse ad onorare gii uomini : Questa dimanda , rispose, non da Spartano (i). Lo interrogarono parimenti cosa pa resse a lui delle leggi loro. EMe sono , disse ^ ottimi maestri; e chiarissimi saranno i maestri ove non produ cono negligenti discepoli. E richiesto cosa consigliasse intorno la fortezza, rispose : Che ho io a consigliare, Se non che di fortezza facciate uso ? XXXII. Trovatasi a que' giorni un giovane spartano, accusato di avere contravvenuto alle costumanze della patria. Era egli uno dei discendenti di Callicratide, stato gi capitano dell'armata navale alle Arginuse (3), e vago di nautici esercizj, nessun pensiero prendevasi delle cose pubbliche , ma sopra navi di sua ragione ora
(!) Pittagora saviamente prescrisse che alla sola divinit si prestasse il culto supremo, e non agli uomini, per quanto la virt loro li avesse resi pregevoli e venerabili. E parmi assai bene marcata tale differenza col dire che i dii sono i padroni, gli eroi sono i padri. (a) Inutil richiesta per uno spartano, che non pu ignorare le leggi di Licurgo , le quali prescrivono come abbiasi ad ono rare i r e , i magistrati, i vecchi. (5) Callicratide successe nel regno a Lisandro. Vinse due volte in battaglia navale gli Ateniesi, da cui venne la terza volta bat tuto e costretto a rifuggirsi nelle Arginuse ( isole tra Malta, Le sbo, e il promontorio Catanide), vi per combattendo. Ne par lano , Erodoto , Senofonte, Diodoro , Plutarco , ec.

330 VITA DI APOLLONIO TIANEO a Cartagine andava , ed ora in Sicilia. Udendo adua* que ApoMonio che ai cagione di ci era il giovine chia mato in giudizio, rincrebbegi di vederlo assoggettato al foro , e incontratolo: Amico, gli disse , perch pas seggi tu cos agitato e sopra pensiro ? Cui rispose egli : Mi si promve pubblicamente una lite, perch dato mi sono alla navigazione, e le cose pubbliche negligento. Apollonio allora: Tuo padre forse, o 1' avo tuo , fu noc chiero? Non gi, soggiunse, ma furono o presidenti alle scuole, o efori, o magistrati tutti i miei maggiori, tra' i quali Callicratide fu capitan della Rotta. Vuoi tu dir quegli, riprese, che comand 1' armata alle Arginuse ? Egli appunto , ripigli il giovine $ e ancora la coman dava quando mor. Allora Apollonio: E la morte del l'avo tuo non ti ha reso odioso il mare? Ma io, per Gio ve, rispose, non navigo per combattere. Ma sai tu no minarmi, replic Apollonio, pi meschina condizion d'uomini di quella de* mercadanti e de' naviganti ? pri ma di tutto e' debbono circuire le Rere a torto cele brate : poscia con sensali e fattorini accomunarsi per vendere ed esser venduti, l'aver loro ad iniquissime usure scaltramente afRdando, onde in brevissimo tempo arricchire. Che se gli afTari prosperamente camminano, bello allora il navigare, e si alza tal vanto, che n per amor n per forza si vuol tralasciarlo ; ma se i l ,guada gno non basta a pagare i debiti, allora i naviganti r if ransi nello schifo, e rompono le navi contra gli scogli, ed accusando una necessit derivante dagli iddj, em piamente e senza esservi astretti sciupano le altrui fa colt. Ma quand' anche tale e peggior non fosse la razza

LIBRO IV. aa : de? naviganti e de'marinai, non ella una vera ignominia, che uno spartano, un discendente da parenti vivuti in mez zo a Sparta, si giaccia ne! concavo di una nave, dimentico di Licurgo e di IRto, e sollecito de' carichi e delle ma rinaresche minuzie? Conveniva almeno, se non altro, riflettere, che la medesima Spart, sin che alle faccen de terrestri solamente abbad , la gloria di lei si vide sino al cielo inalzatale quando alle marittime volle at tendere , nel mare ogni sua gloria sommerse, non solo rispetto alle cose di mare, ma anche a quelle di terra (:). Queste parole s fattamente commossero il gio vine, che chinato il capo si pose a piangere, udendo di aver tanto degenerato da' suoi maggiori, e le navi, nel!e quali avea sino allora vivuto, abbandon. E Apol lonio veggendolo cos convertito, e alle faccende di terra dispsto, agli efori lo condusse e ottenne che fosse assolto. XXXIII. T ra le cose che fece a Sparta questa pure va posta. Una lettera dall' imperadore spedita alla co munit de'Lacedemoni, li riprendeva che superbi della lor libert ne abusassero. A codesta lettera vean dato occasione le calunnie de' proconsoli della Grecia (3).
(<) AHudesi in questo luogo alle due battaglie dagli Spartani perdute, Tuna in mare presso Gndo, l'altra in terra a Leuttr a , per cui perderono la superiorit loro nella Grecia , n& mai pi la riacquistarono. Veggasi Cornelio Nepote nella oA a dt COM OM C, Isocrate nella orazione a , D!odoro Sculo nel Hb. x t!, ec. (a) Fin dal tempo d L. Mummo 1 * Acaia ( che comprendeva A Peloponneso ) divenne governo proconsolare. Nerone la rese

233 VITA DI APOLLONIO TIANEO Dubbiosi pertanto se ne stavano i Lacedemoni, e di screpanti fra lo ro , se !' ira di Cesare placar dovessero, o se anzi gii si rispondesse con forte animo. In tale perplessit chiamarono Apollonio , acci lor consigliasse intorno al tenore della risposta* Il quale veggendo quan to fbssro discordi ne' pareri, presento ssi alla comunit lo ro , e questo breve discorso pronunzi : iMomeifc trof /c percA M jcrfpgyjwv, Tua ancAe perch c/ cAe non Jee (<). E cos ritenne i Lacedemoni dal rispondere o tfappo arditi, o troppo paurosi. XXXIV. Rimase a Sparta alcun tempo dopo le feste olimpiche; finito!'inverno, e all' aprirsi della prima vera and a Malea con animo di quinci trasferirsi a Roma. Stando in tal pensiero gli avvenne di fare il se guente sogno. Vide una donna di altissima statura e di venerabile et, che abbracciatolo il preg che prima di passare in Italia andasse a le i, dicendo eh' eli' era la nutrice di Giove, e portando una corona orbata di quanto il mare e la terra producono. Tosto adunque che si mise a riflettere su questo sogno , cap eh' ei do* veva prima navigare in Cfeta, la quale riguardiamo per la nutrice di Giove, essendovi stato allevato ; e che la
immune, ma Vespasiano la fece tributaria di noovo. Le citt di Grecia per avevano conservato alcuni piuttosto costumi o sta tuti , che privilegi, per cui pareva loro di essere ancorar Ubere, bench soggette all'impero di Roma. (:) Le lettere, ossia lo scrivere, ha infinitamente giovato ai progressi dello spirito umano. Ma spetta alla prudenza il non abusarne, cio il fame l ' uso conveniente.

LIBRO IV. ai3 corona poteva significare tutt' altra isola. E trovandosi a Malta molte navi, che stavano per salpar verso Cre* t a , una ne scelse, ^capace della sua , cos chiamando egli i suoi compagni e i loro famigli, nes^ sun de' quali trascurava (i). Sorpassata quindi Cidonia, e giunto a Gnosso, desiderando i compagni di visitarvi il labirinto, che ivi si m ostra, dove dicesi aver sog-* giornatoR Minotauro, egli noi proib loro, ma sog* giunse non v(Jer egli essere spettatore della ingiustizia di Minosse. And poscia a Gortina per vedervi il monte Ida (*). Asceso il quale, e visitato quanto vi ha di sa cro , pass nel tempio Lebeneo, che dedicato ad Esculapio ; e come tutta l'Asia va a Pergamo, cos tutta Creta soleva concorrere a questo tempio, non he molti Africani. Codesto tempio rivolto verso i! mare di Li bia, ed vicino al borgo di Pesto, dove un piccolo scoglio (3) raffrena un grand' impeto di onde marine. Dicono poi chiamarsi Lebeneo quel tempio, perch di l estendesi un promontorio che ha la figura di un leone, come rappresentano talora molti sassi a taso ammucchiati (4). Narrano ancora una favola di esso promontorio, cio che fu gi uno de' lioni, che un tempo sostenne il giogo della madre Rea. Mentre un
(1) Ed era in fatto una cowtKnMz, perocch tra' i pitagorici tutto era comune, vivendo essi come ai d nostri si vive ne* chiostri. (2 ) Quello dove fu Giove allevato^ (3) CoM chiama quei promontorio, per essere picdoHgaimo a Rontc di tanto mare. (4) Oggi pure chiamasi

n4 VITA DI APOLLONIO TIANEO giorno stava Apollonio ragionando verso il mezzod, co me facea coi molti concorrenti allo stesso tempio, un gran terremoto fece crollar C reta, e un tuono mugg , non dalle nubi uscito ma dalla te rra , e il mare si ri tir pel tratto di quasi sette stadj (:). Laonde paventa vano m olti, che ritirandosi in tal modo il mare seco pure non strascinasse il tempio, e tutti ne venissero ingoiati. Ma ApoHonio : Statevi di buon animo, dis se , perocch il mare partor la terra. Pensarono essi eh' egli dinotasse la concordia degli elementi, e che il mare non fosse per operare novit alcuna contro la terra. Ma di l a pochi giorni venendo alcuni da Cidonia raccontarono che verso il mezzod del giorno mede simo , che questo fenomeno si osserv, era sorta dal mare un' isola neHo stretto che fra Tera e Creta (3). Ora n o i, per evitar la lunghezza deHa nostra narrazio^ ne , passiamo alle imprese eh' ei fece in Roma, dopo quelle da esso in Creta operate. XXXV. Vietava Nerone che si attendesse aHo studio della filosofia ; avendo in sospetto di magia i filosofi, e che sotto il manto deHa filosofia nascondessero la di vinazione (3); tanto che il manto filosofale veniva accu sato in giudizio come un velo dell'arte divinatoria. Omet to gli altri per dire, che certo Musonio, uomo quasi
( 1) Circa un miglio. (3) Ci appunto accadde nell'impero di Claudio Nerone, come ai ha da Seneca, da Eusebio, e da Cassodoro. (5) Racconta Plinio ( lib. x x z, v. 5 ) che Nerone avea preso odio alla magia dopo averla professata egli stesso, perch quanto ne avea sperato fgna f<wwpe7w6f.

LIBRO IV. ai5 cos sapiente come Apo!lonio, fu cacciato in prigione per essere filosofo e babilonese ( :) ; e vi correa gran pericolo, e ne sarebbe m orto, in quanto a co!ui, pel comando del quale languia ne' ceppi, se stato non fosse di buona e robusta complessione. In tale stato era in Roma la filosofia, quando Apollonio vi giunse. XXXVI. Cento e venti stadj ne era ancora lontano, quando vicino al bosco di Aricia incontrossi in Filoao da Citti. Prontissimo di lingua era Filolao, ma debole di spirito, ove avesse a patire. Allontanandosi perci da Roma a guisa di fuggiasco, quanti incontrava filo sofi di far lo stesso ammoniva; ond' che sa!utato Apol lonio il persuadeva a cedere al tempo e non irsene a Roma, dove la filosofia era in odio, e ci che col si facea raccontandogli guardavasi intorno se alcun dietro lui non udisse quel che dicea. E tu, soggiugnevagli, che teco meni una turba di filosofi, ti esponi a gravissimi colpi della invidia, n sai quali ispettori ha Nerone col locato alle p o rte, i quali te ed essi arresteranno prima di entrarvi. Disse allora Apollonio : Cosa dicesi, o Fi lolao, che faccia l ' imperadore ? Ei fa il cocchiero pub(!) AtMtWMe, cio caldeo ; perocch negli editti degli imperadori i nomi di magi, caldei, indovini e sim ili, suonano la stessa cosa. Che cotesto Musonio non fosse di Babilonia, ma tirreno di nascita, lo sapremo al lib. vm ; di esso per parlasi ancora al seguente XLi, e poi nel lib. v ; e debb' essere quello stesso che Suida ha notato, qualificandolo Arreno. Forse fu quel Musonio Rufo, di cui scrivono molti antichi, che non star qui a citare, e del qual Tacito e Dione narrano l 'esiglio ; locch appunto, come si vedr , si accorda con questo. jFTm M riM rv, fam. i5

n 6

VITA DI APOLLONIO TIANEO

blicamente, rispose, canta, frequenta i teatri di Roma, consuma i! tempo co' gladiatori, e fa il gladiatore egli stesso, e scanna la gente. Or dunque, disse ApoHonio, pensi tu, amico m io, che possa darsi ad uomini dotti uno spettacolo pi interessante di un imperadore che vilmente comportisi ? Z'aomo , secondo Platone , ^ # (i), e uno imperatore fatto trastullo de gli uomini, e che per piacere al volgo prodigo del proprio pudore, che ampia materia non dar ai filosofi di ragionare? S , per Giove, ripigli Filolao, pur che ci facciasi senza pericolo. Ma se andando oltre tu pe rissi , se Nerone ti ingoia vivo prima che tu non vegga alcun de* suoi fatti, tu ne otterrai quel bel guadagno, anzi maggiore, che ottenne Ulisse quando si present al Ciclope (^), perdendo molti de' suoi compagni per voglia di vedere quel mostro, e vinto dal desiderio di si fiero e crudele spettacolo. Pensi tu, disse allora Apol lonio, che costui sia meno cieco del Ciclope, diportan dosi in cotal guisa? E Filolao: Sia come tu vuoi; ma non lascia perire costoro. Le quali parole con voce pi alta pronunzi, e al tempo stesso fu visto piangere. XXXVII. Damide allora temendo che per lo spavento incusso da Filolao mancassero d' animo i giovani che seco erano, tratto in disparte Apollonio gli disse come quel discorso li aveva tutti conturbati, empiendoli di tri stezza e di timore. A ci rispose Apollonio : Avendomi
(<) Questo detto d Piatone nel CmM o, ed anche nel vn deHa (3) Vedi Omero neH' *

LIBRO IV. aay gii dii molti favor accordato, bench da me non chie sti, stimo che questo che ora mi si oSre sia il maggiore. Perocch si presenta occasione di far prova de' giovani, e chiarirmi con certezza quali di essi costantemente at tendano alla flosoSa, e quali a tutt' altro inclinino. Dibatto si conobbe tosto quali tra loro erano i meno coraggiosi; perch di quelli, cui le parole di Filolao commossero, gli uni fnsero sentirsi male, g!i altri es sere sprovveduti, questi desiderar caldamente di tornare alla p atria, quelli trovarsi atterriti da alcuni sogni. E cos di trentaquattro persone che insieme ad Apol lonio presero il cammino di Roma, ad otto soli seguaci !a comitiva si ridusse ; e gli altri da Nerone e dalla fi losofia scapolando dileguaronsi tutti. XXXVIII. Jtagunati adunque i rimasti, fra i quali era quel Menippo gi invaghito della strega, e l'egizio Dioscoride, e Damide : Io non riprender, disse, coloro che ci abbandonarono, ma voi invece loder, che uo mini siete a me somiglianti. N chiamer vile chi par tissi per timore di Nerone , ma dir filosofo chi tal ti more ha superato , e a lui insegner tutto quel!o che so. Prima di tutto a me pare che debbansi ringraziare gli iddj, de' qua!i abbiamo bisogno, che siffatti pensieri e a quelli e a noi abbiano ispirato ; poscia dobbiamo sceglierli per guide, perch senz'essi non saremmo nulla noi pure ; in ultimo hassi a entrare nel!a citt, che a tanta parte del mondo comanda ; e chi potrebbe con ducisi senza la scorta loro ? tanto pi che s grave ti rannide vi stabilita da non fidarsi di esser filosofi. Non deve per sembrarvi stoltezza se osiamo andare in luo*

a i8 VITA DI APOLLONIO TIANEO g o , donde !a maggior parte de' filosofi fugge ; prima perch io son di parere, che tra !e umane cose nessu na sia s terribile , che il saggio debba spaventarsene ; poi perch l'uomo non facilmente progredisce negli studj, se qualche pericolo non sostiene (:). Oltre a ci, io che tanta parte di mondo ho trascorsa, quanta nessun altro prima di me, e che ho vedute in Arabia e nell'in dia bestie di vario genere, questa bestia per non co nosco , che volgarmente detta tiranno, n so quante teste abbia, n se adunche le ugne, e i denti aguzzi (a). E bench bestia c:'w'/e fu chiamata, ed abiti le citt, pure eli' pi feroce de!!e montane e delle selvagge ; perocch i lioni talvolta e le pantere, se punto si ac carezzino , si raddolciscono e cambiano indole, ma questa aMora appunto che si accarezza pi feroce di venta , ed ogni cosa sbrana ; n ho inteso giammai che le belve abbiano talvo!ta divorato le proprie madri; ma Nerone anche di tal cibo si dilett. Che se ci pur fe cero Oreste principalmente ed Alcmeone, ad essi per qualche scusa prestarono i padri loro , l ' un de' quali fu dalla propria moglie trucidato, l'altro per una col lana venduto. Costui a!l' incontro fu per opera della madre dal vecchio imperadore adottato, e conseguita 1' eredit dell' impero , la madre per mezzo di un nau fragio tolse di vita, merc una nave fatta per ci fab bricare, nella quale poco discosto dal lido per (3). Che
(!) Tutto questo discorso ridonda di vera sapienza. (a) Con simil voce chiamarono la tirannide anche i sacri no stri profeti Daniele e Giovanni. (5) Si nota la storia di cotesto mostro, che stimo inutile citarne le fonti, cui questo racconto attigne.

LIBRO IV. 239 se per queste cose alcuno stima aversi a temer di Nerone, e perci rinunzia aMa filosofa, supponendo non esser sicuro il far cosa eh' egli non voglia, sappia costui che ci non riesce terribile a chi abbia cominciato ad atte nersi alle leggi della modestia e della sapienza, perch a questi tali sono propizj gli iddj , e le parole che con tra loro i temerarj dicessero, vanno riguardate quai fra scherie pronunziate da ubbriachi ; i quali ben giudichia mo per m atti, ma non per terribili. Andiamcene dun que a Roma, se intrepidi siamo ; ed ai divieti di Nerone per lo sterminio della filosofia opponiamo il verso di Sofocle (!) :
Ao/t /ni G/ope ma* comando,

n il diedero le Muse, u il dio della sapienza Apollo. Ed verisimile che questo verso conosca lo stesso Ne rone, che tanto , per quel che dicesi, si diletta di tra gedie. Or qui ben calza quel passo di Omero, cio che quando un discorso ha infiammato, gli uomini bellicosi, tutti diventano un elmo solo, un solo scudo ; cos in costoro parmi essere avvenuto ; i quali dalle parole di Apollonio animati sentironsi pronti a morire per la fi losofia , e diportaronsi in modo da riputarsi di molto superiori a coloro che eran fuggiti. XXXIX. Gi eran giunti alla p o rta, e i custodi nes suna domanda fecero lo ro , ma solo ne osservarono gli abiti, e ne ebbero maraviglia. Perocch la forma di essi pareva sacra', e nulla aveva del ciurmatore. Passati
(!) Nell*Antigone.

s3o VITA DI APOLLONIO TIANEO poscia in un albergo vicino a!a porta, e postisi a ta vola , essendo gi sera, capit un crapulone ubbriaco, la cui voce non era cattiva. Costui gironzava per Ro m a, cantando i versi di Nerone, ed accattandone per ci la mercede. E se alcuno non gli abbadava, o se dopo averlo ascoltato noi pagava, egli avea diritto di arrestarlo, come reo di maest. Teneva pure una ce-* t r a , e tutti gii arnesi spettanti al suno di essa ; aveva oltre a ci entro un cestello una corda, gi logora dal1' uso , eh' ei diceva essere stata suUa cetra di Nerone, averla comperata per due m ine, e non volerla cedere ad alcuno, il qual non fosse ottimo citarista, o non avesse combattuto a!meno una volta ne' giuochi pitici. Costui dunque , cominciando a! suo solito, dopo avere trascorso sulla cetra un breve inno a Nerone, diessi a cantare i versi parte delia tragedia di Oreste, parte di quella di Antigone, parte di non so quali altre da Ne rone composte (:), variamente modulando i suoi canti con tutti que' frastuoni e contorcimenti, che Nerone
(!) Quanto Nerone amasse la poesia & noto per le storie. Qui abbiamo titoli di due tragedie di lui. Svetonio ricorda un suo poema contro Clodio Pollione intitolato ZMj/o o ZtMcto. Anche un poema sull* incendio di Troia g!i vien attribuito, eh' egli poi cant quando gii venne il capriccio di appiccare il fuoco a Ro ma per godere dello spettacolo di quell' incendio. Seneca ne!!e nat. ci ha conservato un suo bel verso, e quattro ce ne trasmise, ma cattivi, Persio, tacendo il nome dell'autor loro. Oltre a ci Nerone istitu in Roma i certami quinquennali, co me si ha da una medaglia test prodotta dal eh. dott. Labus nelle Opere fa rie del Visconti, che porta la leggenda : cM TAM HW 3BM Q U H H N A LH RO M H CONSTtTBTOM .

LIBRO IV. *3: coleva. E perch pochissima attenzione gli prestavano si Apollonio che i suoi, grid che violavano la maest di Nerone, e che nimici erano della divina voce di lui. Ma poco attendevano essi alle sue parole. Menippo tut tavia interrog Apollonio con qual animo sopportasse egli cotali ingiurie: Con quello, ei rispose, co! quale ne solersi il canto; noi per noi dobbiamo contrariar pi che tan to , ma dandogli la mercede del cantar suo, la sciamo eh' ei sacrifichi alle Muse di Nerone. E qui eb be termine la pazzia di colui. XL. Appena era sorto il giorno, che Telesino, uno de' consoli (:), citato Apollonio, gli chiese: Che abito questo ? Al che rispose che puro e ra , e non preso da verun animale. E interrogato!o : Qual !a tua dot trina ? Rispose : un istinto divino, che insegna come abbiansi a fare le preci e i sagriRzj agli dii. Avvi egli, o filosofo, continu Telesino, chi ci non sappia? Molti, ei soggiunse ; e se alcun pur vi fosse che ne fosse bene istruito, assai nondimeno gli pu giovare il sentire da un pi sapiente di lui di esserne bene istruito. Ci udendo Telesino , uomo al divin culto inclinatissimo, vennegli in mente chi esser potesse costui, ricordandosi di quan to ne avea gi inteso dire ; non gli parve per di chie dergli il nom e, per dubbio eh' ei volesse rimanersene incognito; ma di nuovo a parlare di cose divine il ricon dusse, essendo eg!i esercitatissimo in siffatti discorsi ; onde lu i, qual sapiente, interrog : Quando ti accosti
(:) C. Lucio Telesino e L. Svetonio Paolioo erano consoli

1 ' anno deir era nostra 66. In quest' anno adunque cade il pre
sente viaggio di Apollonio a Roma.

i3a VITA DI APOLLONIO TIANEO agli altari che preci fai ? Io prego , rispose , che la giu stizia trionfi, che non si contravvenga alle leggi, che i sapienti sieno poveri, e che tutti gli altri arricchisca no , ma senza fraude. E tanto chiedendo, soggiungea Telesino , credi tu d' esserne esaudito ? SI per Giove, rispose, perch io abbraccio ogni cosa in una sola ora zione , e giunto all' altare fo questa preghiera : O Dei cAe (:)$ e se io son buono otterr pi ancora di ci che chieggo, ma se gli iddj tra i malvagi mi trovano, me ne verr il contrario di quel ch'io prego, n per questo li accuser, giudi candomi essi meritevol di mali, giacch non fui buono. Queste cose udendo Telesino, maravigliossi $ e deside roso di farselo amico: Ti permetto, gli disse, di entrare in tutti i tempj , ai sacerdoti de' quali scriver che ti ammettano, e dove migliori cose tu suggerisca le ese guiscano (a). Se dunque tu non scrivessi, riprese Apol lonio , negherebbon di ammettermi ? Cos , rispose ; spettando ci alla mia autorit. Ben mi consolo, disse Apollonio, che sendo tu generoso eserciti grandiosa magistratura. Amo per che tu sappia, che io soglio alloggiare in que' templi che non tanto presto si chiu dono , e che nessun dio mi rifiut, ma s del proprio tetto mi fu cortese $ e ci vorrei che tu mi accordassi, che gli stessi barbari non mi negarono. Allora Te lesino rispose : I barbari hanno prima de' Romani acquistato un m erito, che io voglio per che tu
(!) Questa stessa prece vedemmo di sopra al xi del lib. r. (a) Scorgesi da queste parole che Telesino era anche pontefice^ giacch se ne attribuisce i diritti.

LIBRO IV. a33 possa anche d noi raccontare. Prese dunque ad abi tare nei tem pli, riformandone alcuni, e passando dall ' uno all'altro. E ci venendogli rimproverato, come un capriccio, ei rispose : Nemmeno gli dii rimangono sempre in cielo , ma quando vanno ag!i Etiopi, quando all' Olimpo, quando al monte Athos; e a me pare scioc chezza che gli uomini a tutti gli iddj non si volgano, posto che gli dii fra tutte le genti trascorrano. Aggiun gasi che nessuno far co!pa ai padroni se trascurino i servi loro, che forse per inerzia vi daranno motivo; lad dove i servi che non riveriscono allo intutto i padroni vengono giustamente puniti come abbominevoli ed empj. XLI. In tal guisa ammaestrando ApoHonio nei tem pli , ingrandiva*! ogni di pi il culto verso gli iddj, c a quelli ammaestramenti sempre maggiore facevasi il concorso degli uomini, quasi quinci ottener dovessero parecchi beni dai numi. N ancora i discorsi di lui verun sospetto destavano, disputando egli pubblicamente, e ragionando a!!a presenza di tutti; tanto pi eh' ei non batteva all' uscio di alcuno, n ambiva lo splendore e la famigliarit de' magnati, ma questi, ove a lui si acco stassero , cortesemente accoglieva, n altrimenti favel lava con essi di quello che coi plebei. XLII. Venuto ultimamente a Roma Demetrio , suo grande amico, siccome notammo narrando ci che av venne in Corinto, e, frequentando ApoHonio, a Nerone parimenti dovea presentarsi, al quale era venuta in so? spetto la filosofia di ApoHonio. E pare che !o stesso Apol lonio compromettesse Demetrio. Locch pi chiaro ap parve quando Nerone istitu il Ginnasio , mirabile fra

s 34 VITA DI APOLLONIO TIANEO quanti erano in Roma, e il suo giorno festivo con sacriRcj vi celebrarono s lo stesso Nerone, come il senato e i ca valieri romani (t). Imperocch entrato Demetrio nel gin nasio vi pronunzi un discorso contra coloro che facean uso dei bagni, dicendo che sciocchi erano e che si lorda vano, e dichiarando che vi gittavano le spese (a). Delle quali parole sarebbe egli stato capitalmente punito, se non gli fosse giovato che Nerone in quel di avea s me desimo superato con la soavit del suo canto (3). Stava egli cantando in una taverna, posta nel ginnasio, del tutto ignudo, tranne le mutande, non altrimenti che uno sporchissimo taverniere. Ci non tolse per che gra ve pericolo non corresse Demetrio pel suo discorso, e Tigellino, che del pretorio di Nerone era prefetto (4) , lo cacci di Roma, quasi che le parole di lui avessero demolito il luogo de* bagni. XLIII. Andava costui di soppiatto osservando Apol lonio , se mai qualche parola gli sfuggisse degna di ri prensione o troppo libera $ ma egli n insulti n equi(i) Di ci pare fanno menzione Svetonio, SiRlino ed altri. (a) Annessi ai ginnasio erano i bagni all' usanza di Grecia. Di essi manifest cattiva opinione anche Apollonio nel $ xvn del lib. T . (5) Si ha da Dione, che Nerone riport in quest'incontro !a corona. (4) Questa carica corrispondeva a quella che ora diremmo go vernatore del palazzo, e coll' andar del tempo divenne di tanta importanza, che Vittore asserisce che al prefetto del Pretorio ornai nuli'altro mancava per essere imperadore che la porpora e l ' alloro.

LIBRO IV. *35 voci detti proferiva, come debbono fare co!oro che amano di schivare i guai, ma disputava acconciamente deHe cose che gli si paravano innanzi, e con lo stesso Telesino filosofava, e con pi altri , i quali, bench la 6!oso6a fosse sospetta, nessun pericolo credeano incor rere studiandola seco lui. Nondimeno in qualche sos petto, come dissi, venuto era, il qual si accrebbe per le parole eh' ei disse in occasion di un prodigio. Avvenne che un giorno il sole eccliss, e a! tempo stesso scop pi un tuono, cosa che mai non accade negli eccHssi; ed ApoHonio alzati gli occhi a! cielo proruppe : i/Mafc/ie gran accaJerd e non acc<M %er^. Cosa avesse voluto dire non seppero congetturare que' medesimi che lo udirono, e solo tre giorni dopo 1' ecclisse !o in tesero. Mentre Nerone cenava cadde un fulmine sulla mensa , e il vaso eh' egli in man teneva e gi al!a bocca appressava percosse. Ci dunque ApoHonio signific dicendo che t*n gran ,/Mo jareMe e non acciuftifOy giacch Nerone fu s vicino ad esser colpito (t). Locch uditosi da Tigellino cominci ad aver timore di lui, come d'uomo nelle scienze divinatorie profon dissimo. Non osava per molestarlo palesemente, acci non gli facesse egli di nascosto alcun male; ma diessi a guatarlo con tanti occhi, quanti hanno quegli che nello stato primeggiano, sia che parlasse o tacesse, pas seggiasse o sedesse, e quel che mangiasse, e presso chi, e se sacrificasse o n.
(') Di cotesto ecclisse e di cotesto fulmine abbiamo parimenti !e testimonianze degli storici ; bcnch non tutti convengano nel' anno in cui avvenne.

*36 VITA DI APOLLONIO TIANEO XLIV. Surse a que' giorni in Roma quella malattia che i medici chiamano il catarro, per cui si eccita la tosse , e la voce si abbassa ed faticosa , e tosto si em pierono i templi di supplicanti, perocch a Nerone pa rimenti si erano gonfiate le fauci, ed offuscata la voce. Apollonio fu per ischernire la ignoranza del volgo, pur nessuno apertamente rimprover ; anzi a Menippo, che di ci pure arrabbiava , raccomand di frenarsi, e di perdonare agli iddj, se di que' stolti si facean giuoco. Riportate queste parole a Tigellino, mand chi traesse Apollonio in pretorio a discolparsi di non aver offesa la maest di Nerone. Stava contr' esso un accusatore , che molti avea gi rovinati, e gonEo andava di tal genere di trionfo. Costui tenea fra le mani un rotolo nel quale era scritta 1' accusa, millantandosi che questa come acuta spada avrebbegli scagliata contro, e che per Apollonio era finita. Ma Tigellino, spiegato il ro tolo, e nessuna scrittura, n segno pur di scrittura tro vandovi , si mise in pensiero che costui fosse un demo nio. Tal parimenti dicesi essere stata 1 ' opinione, che ne ebbe poi Domiziano (t). Segregato adunque Apol lonio dagli astanti, e in quella pi segreta parte del pretorio adducendolo, dove delle pi importanti fac cende usa quel magistrato riservatamente risolvere, e licenziati pur gli arbitri , cominci interrogarlo chi fosse. Apollonio pertanto il nome di suo padre e della patria espose, e intorno a che la sua sapienza ver sasse f dicendo valersene a conoscer gli iddj, e a be ne intendere gli uomini, attesoch il ben conoscere
(*) Vedasi innanzi ne'libri V H ed vm.

LIBRO IV. a3y s medesimo cosa assai pi diffcile che conoscere gli altri. Soggiunse Tigellino : Come ti guardi tu dai demonj e dalle apparizioni degli spettri ? Rispose Apol lonio: Come dagli uomini assassini ed empj. Con le quali parole intese di mordere Tigellino che maestro era a Nerone < T ogni crudelt e lascivia. Mi predirai tu, ris pose Tigellino, quello che io fossi per dimandarti ? Come il predirei, rispose, se non sono indovino ? Eppure, ripigli 1 ' altro, mostra di esserlo chi disse che K M gran /aito jare&&e accanto e non accanato. Il ve ro udisti, disse Apollonio $ ma ci non ad arte divina toria devi attribuire, ma piuttosto ad una sapienza che Dio lascia risplendere nella mente dei saggi. E perch non temi tu Nerone? continu egli: Perch, rispose, Dio, che a lui concesse d' esser terribile, ha concedu to a me d' essere intrepido. Che opinione hai tu di Nerone ? disse Tigellino ; Miglior della vostra, rispose Apollonio $ perch voi lo credete degno di cantare, ed io degno di tacere. Colpito da tai parole, Tigellino disse : Vattene dove vuoi, lasciando chi della tua per sona rispnda. Allora Apollonio rispose: Chi sar mal levadore di una persona, cui nessuno pu stringere in lacci ? Divine cose parvero tutte queste a Tigellino, e sorpassanti le umane forze $ e quasi schivando di lottar con un Dio: Vanne, disse, ovunque ti piace, essendo tu pi possente che non P autorit mia sopra di te. XLV. Mirabile parimenti il seguente latto d'Apol lonio. Una fanciulla in et nubile venne creduta morta, e lo sposo ne seguiva la bara alto dolendosi delle in terrotte nozze $ Roma tutta piangea seco lui, perocch

VITA DI APOLLONIO TIANEO !a fauciuHa apparteneva a famiglia consolare. Recatosi Apollonio al convoglio, deponete !a b a ra , grid , che io porr Rne alle lagrime che per la fanciulla spargia mo , e chiese a! tempo stesso qual fosse il nome di lei. Pensarono molti volesse egli recitar un sermone y come si fa negli epiced) che si compongono per eccitare i! compianto. Ma egli nuli' altro facendo che toccar la donzellay e mormorar non so che sotto voce, ridest !a vergine dalla apparente morte che !' opprimeva, s eh' ella immediatamente parl, e fece alla patema casa ritorno y come gi Alceste richiamata in vita da Ercole. Ed avendo i parenti della fanciulla regalato Apollonio di cento cinquanta mila dramme : Ei disse di regalarle egli pure alla ragazza a titol di dote. Se poi abbia egli trovato in essa una scintilla di anima y non osservata dai medici ( perocch dicesi che allora Giove fece piovere e che nel volto di lei ogni segno di vita mancava ( ') ) . o se lo estinto spirito abbia rianimato e fatto retrocedere, ci difEcile decidere, non da me solamente y ma da coloro eziandio y che vi si trovarono presenti. XLVI. Era pure a que' giorni nelle carceri neroniane quel Musonio (a), che dicono essere stato filosofo eccellentissimo. Tra ApoHonio e lui non vi fu mai verun colloquio in palese, cos bramando Musonio a fin di evitare a ciascun d' essi qualche malanno. Comu(') Pare che il freddo dell' acqua piovuta sul creduto cadavere delta giovine servisse a svolgerne il color concentrato, si che Apoi Ionio potesse accorgersi che ancora non era spento in quelle mcm bra il principio delia vita. (?) De! quale si fa cenno al { xxxv.

LIBRO IV.

a3p

nicavano per fra loro per via di lettere, che Menippo e Damide recavano ai carcere. Ma n o i, posposte le let tere di nessun momento , le pi importanti riferiremo da cui non so che di grandioso si pu rilevare. a/ Bramo venire a t e , e godere di aver teco in comu ne i discorsi ed il te tto , onde in alcun modo aiutarti, e se non poni in dubbio che rcole liber Teseo dal" l ' inferno, scrivimi cosa vuoi che si faccia. Addio. a/ ^%?0M?7 M 0 M/ufC.

Di ci che avesti in animo di fare abbiti il merito. Un uomo per che aspetta difendersi, e che prover di reputarsi immune d'ogni delitto, si liberer da s stesso. Addio. ,<% poM ynM )a / A F u j o w / o Socrate ateniese avendo ricusato che gli amici lo traessero di prigione, sapea parimenti di non poter essere giudicato reo di verun delitto, nondimeno fu con dannato. Addio. a/ .<^po//oyHo sa/nfe.

Socrate mor perch non prepar difesa alcuna, ma io mi difender. Addio.

i4o VITA DI APOLLONIO TIANEO, LIBRO IV. XLVII. Volendo poscia Nerone far viaggio in Grecia, lce pubblicamente bandire che nessun filosofo restasse in Roma (i). Allora ApoHonio si rivolse al!e parti occiden tali deHa te rra , che dicono terminarsi alle colonne, onde il boHor dell* oceano e le Gadi osservarvi. DeHa filosofia degli uomini ivi abitanti udito aveva, e che aHa sapienza delle cose divine accostavansi. Lo seguirono tutti i suoi famigliari, lodando a cielo quel viaggio e lui.
(i) Ci fu prima del novembre dell'anno 66, perocch sappia mo da GosefR) Flavio ( nel H delta Guerra Cm&wc# , cap. 4o)y che Nerone in quel mese trovavasi gi nell* Acaia.

DELLA VITA

DI APOLLONIO TIANEO

LM M O

(M 7H V 7 0 .

I. EMETTENDO le favole che si raccontano delle co lonne poste da Ercole per confini del mondo, dir pi tosto ci che degno d* esser detto ed udito. I pro montori d' Europa e d' Africa, che stringono il mare per lo spazio di sessanta stadj ( i) , cacciano il Mediter raneo nel pelago esteriore. E su quel d'Africa , il cui nome Abinna (a), dalla parte verso terra pascolano lioni intorno alla sommit de' m onti, e le regioni in(:) Otto miglia circa. (2) Calpe cd Abinna (giusta f originai voce Fenicia), ovvero Abila, come dicesi pi modernamente, sono le due celebri mon tagne, dette le Colonne d' rcole, oltre le quali per pi secoli fii creduto non essere altra parte di mondo. Calpe oggi Gibil terra, Abila Ceuta.

ViTA DI APOLLONIO TIANEO terne formano il paese de' Getui e dei Tingi, nazioni entrambe feroci e nere. A quelli che navigano verso il mediterraneo si prolunga il suo Ranco per novecento stadj Uno alle bocche del Rume Salece. Quanto per si estenda pi oltre nessuno pu facilmente congettu rare , perch dopo cotesto Rume l'Africa trovasi in colta, n vi sta verun uomo. Il promontorio poi d'E u ropa , che chiamasi Calpe, soprast alla foce ( del me diterraneo ) a mano diritta per lo spazio di seicento stadj, e termina alle antiche Gadi (:). II. Io pure stando fra i Celti ho veduto il Russo e riRusso del m are, quali per fama si narrano ; e tentan do indagare in via di congettura la causa per cui s va sto pelago cresca e scemi, parmi che Apollonio me la chiarisse in una sua lettera scritta agli Indiani. Z' ocea no , dice egli, Mft' ac^aa agiato pei yent:, cAe t% a mo/te calerne sortono, /e %Ma/t e ^o#o o 6 % ' inforno /a ferra jontmMHjfra , d///nJeyt e^fcnor/nenfe , e nao^o Wf/ra^, quando ^ae^ ^enn retrocedono , cowe ac cade ne//a reJ/?/razione. Ci confermato da quello che si vede negli infermi, abitanti delle Gadi, i quali nel tempo che 1' acqua crsce non muoiono, il che non sa rebbe se il bollor della terra non emanasse quello spi rito. Gli effetti p o i, che dicono osservarsi ai tempi di luna nuova, o piena o calante , ho egualmente veduti nell' oceano ; seguendo esso le misure di le i, e insie me con essa o calando o crescendo (a).
(t) Ora Cadice, antichissima citt che i Fenicj educarono, e nella lingua loro chiamarono <2ai?tr, che significa siepe. (^) Della influenza della luna sui corpi umani assai disputarono ( e nulla conchiusero ) anche i fisici moderni.

LIBRO V. *43 III. Oltre a ci la notte ne! paese de' Celti col di si confonde e il d con la notte, succedendosi lentamente la luce alle tenebre e queste a quella, come in coteste regioni (). Dicesi pure che intorno alle Gadi ed alle Colonne veggonsi cadere ( sia chiaro o sia buio ) subita nei fuochi, a guisa di folgori. Narrano eziandio che le Isole de'beati (2) cnBnano dalla parte dell' Africa ver so la parte inabitabile del promontorio. Le Gadi per sono in Europa. IV. Molto snperstiziosi sono quegli abitanti $ i quali un' ara hanno consecrato alla vqgchiaia, e i soli sono che in morte festeggiano ir Bnir delle pene. Hanno altres altari dedicati alla povert, all' arte, all' Ercole d' Egitto, ed alcuni anche al tebano $ dicendo che l ' uno sino alla confinante Erizia innoltr, e Gerione e i bovi ne prese $ e che 1' altro, intento agli studj della sapienza, buttala terra sino al suo termine misur (:). Dicono pure gli abitanti delle Gadi esser Greci di origine , e co' no stri costumi venir educati 3 difatto onorano pi che al tri gli Ateniesi, e sagriRcano a Mnesteo, che fu re di Atene. A Temistocle pure, ammiraglio, la cui sapienza e fortezza pregiano assai, innalzarono una statua di

( 1) Cio a Roma, poich Filostrato ne era lontano quando questa vita compose , trovandosi al servizio di Giulia Augusta , come egli stesso ci disse nel $ m del lib. :. (2) Probabilmente le isole Fortunate, oggi le Canarie. (3) Di codesti Ercoli e delle imprese loro lungo sarebbe il racconto. Oltre a ci s dotti scrittori ne hanno ampiamente par lato, che non resta che il consultarli, chi ne fosse curioso.

344 VITA DI APOLLONIO TIANEO bronzo, che sembra parlante, e vanno a visitarla come un oracolo. V. Raccontano eziandio di aver col veduto alberi, che in nessun altro luogo del mondo si trovano, chia mati Gerionei, ed essere d u e, nati dalla tomba ov' sepolto Gerione, aventi insieme le qualit del pino e della pece (t), e stillanti sangue, come dal pioppo i#:#4% eo stilla oro (2). L'isola poi, dov' il tempio (3), ag guaglia in grandezza il tempio stesso, n vi si trova un sasso, ma somiglia una pietra spianata dallo scarpello. Dicono onorarsi in esso tempio 1' uno e P altro Ercole, senza veruna statua, salvo che all' egizio sono alzate due are di bronzo, su cui n lettere, n figure veggonsi incise ; ed al tebano una. L 'id ra per, e le cavalle di Diomede, e le dodici fatiche di Ercole vi sono tutte scolpite in marmo. Anche !' ulivo aureo di Pigmalione (4) nel tempio d'Ercole posto, degno, come di cono , di essere ammirato, se guardi ai rami che porta, e pi se al frutto, il quale sbuccia fuori lavorato in sme raldo. Aggiungono mostrarvisi pure l'aurea bandoliera di Telamonio troiano. Come poi e per quale cagione
(*) Che quanto dire che erano p ini, giacch la pece non hltro che ragia dei pino, come ognun sa. (2) Le jE%zc& sorelle di Fetente convertite in pioppi, e le au ree lagrime loro troveremo elegantemente descritte dai nostro Filostrato nel primo libro delle ZwnggwM, che verr dopo i! presente volume. (5) Cio i! tempio d'Ercole. (4) Celebre statuario, di cui tratta Ovidio nel x delle

LIBRO V. a45 navigasse egli ne! Mediterraneo Damide dice n saperlo egli, n averlo saputo dagli abitanti. Le colonne del tem pio sono d'oro e d' argento fusi insieme, ridotti ad un sol colore ; alte pi di un cubito, di forma quadrata a foggia deHe incudini, con lettere iscritte ne' capitelli, le quali non sono n egiziane, n indiche, n possono anche in via di congettura spiegarsi (i). Vedendo Apol lonio che di ci nulla i sacerdoti gii dicevano : L'egizio Ercole, sciam, non soHre ch'io taccia quel che ne so. Queste colonne sono il vincol ( d'unione ) della terra e dell' oceano; ed Efcole stesso neHa casa deHe Parche quelle note vi inscrisse, acci non sorgesse contesa fra i due elementi, n 1' amicizia che 1' uno ha per I' altro si disciogliesse. VI. Scrivono pure di aver navigato verso la parte su periore del Rume Beti (2), il quale egregiamente chia risce la natura del mare Mediterraneo. Quando il mar cresce, il Rume alle sue fonti ritirasi, quando scema ei ritorna, cos forzandolo il vento marino. La region betic a , cui d nome il Rume, dicono essere ottima, con tenendo ben fabbricate citt e campagne, e scorrendo il Rume per tutti i luoghi. Ogni sorta di agricoltura vi abbonda, e vi si gode di un ciel temperato, come in Attica al tempo di autunno e de' misterj (3).
(:) Erano fenicie, ossia puniche, come pub desumersi da molte medaglie spettanti ai Gaditani, che i numismatici conoscono ed interpretano. (3) Oggi il Guadalquivir. ' (3) Intendonsi gli eleusini, che eran detti minori. Vedi sopna $ x v :, lib. w.

i%6 VITA DI APOLLONIO TIANEO VII. Aggiugne Damide che Apollonio ebbe col molte dispute intorno alle cose vedute, e e degne d'essere riferite essere le seguenti : Sedevano un giorno nel tem pio d' rcole, quando Menippo ( cui venne in mente Nerone ) sorridendo disse : Che pensiamo noi, o com pagni, che ora faccia quei galantuomo? Quai corone crediamo aversi acquistate pe' suoi certami ? Non pen siamo che que' buoni Greci intervengano con gran risa a que' suoi panegirici ? Disse allora Apollonio : Per quello che da Telesino udii il buon Nerone ha paura della sferza degli Elei; perocch esortandolo gli adulatori ad essere vincitore ne' giuochi olimpici, e a farsene pro clamare dal trombettiere di Roma, rispose: E se gli Elei me ne gastigassero? Essendo fama che costoro flagella no (:), e che sono pi orgogliosi di me; e pi altre cose soggiunse anche pi scipite. Io per dico che Nerone vincer , perch chi sarebbe s temerario che osasse opporvisi? Tuttavia non vincer gmocM non essendo essi celebrati al debito tempo. Giusta la legge patria dovevano i giuochi d' Olimpia celebrarsi 1' anno test scorso, ma Nerone ordin che si differissero sino alla sua venuta, quasi volesse che a lui non a Giove fossero consecrati (3). Che dirai tu dell' aver egli promesso e tragedie e canti lirici l, dove
(t) Quelli atleti, che non s conformavano alle leggi stabilite, venivano severamente battuti, come ha dimostrato Pietro Fabre ne'suoi ./fgOHM fM M W . (a) La centodecima olimpiade avvenne Tanno 6 t, dunque !a centundecima dovea cadere Tanno 65. Ma vedemmo poc'anzi che qui siamo all' anno 66.

LIBRO V, a4y non teatro n scena a ci conveniente, ma soltanto Io stadio, quale natura l ' ha fatto, interamente sprovvi sto? (!) e ci per acquistar vittoria in cosa, che meglio sarebbe tener celata, tanto pi che deposto il manto d'Augusto e di Giulio , quello ha preso di un Amebeo e di un Tcrpno? (a) Egli si studia di recitare s esattamente i fatti e le parole di Creonte e di Edipo (3), come se temesse che sbagliando per caso il nome di una porta o le pieghe della stola, gli venisse accorciato Io scettro; e s dalla dignit propria e da quella de' Ro mani ha tralignato, che, in luogo di por modo alle cose pubbliche, i tno^Mva canticchiando de' musici, e fa il ciarlatano in altri paesi, mentre gli gioverebbe risiedere qual re in sua casa, e i destini della terra e del mare distribuire. Parecchi tragici attori vi h a , o Menippo, nel numero de' quali brama Nerone esser posto. Ma che? Se alcun di costoro, uscendo di teatro dopo aver fatta la parte di Enomao o di Creslonte (4) , s pieno fosse della persona rappresentata, che si avvisasse di comandare agli altri, e si credesse divenuto principe, che te ne parrebbe ? Non avrebb' egli bisogno di elle boro o d altro rimedio, che gli purgasse la mente ? AI(t) I giuochi consstevano in lotte ed in corse. A queste era de stinato Io Ffadio, il quale non potea convenire alle gare poetiche. (3) Due celebri citaredi per nomeAmebeo cita Ateneo nelHb.xm. Di Terpno dice Svetonio che Ri maestro di cetra a Nerone. (3) Celebre tragedia di Sofocle tiranni?, che Nerone amava di rappresentare, giusta la testimonianza dello stesso Sve tonio. (4) Si accennano due note tragedie d' Euripide.

343 VITA DI APOLLONIO TIANEO rincontro se i vero principe le sue cure riduce a farsi tragico o commediante, affettando una bella voce ; e te mendo o non temendo la sferza degli Elidi o dei Del fici (i), pur cos male eserciti l'arte sua che si renda soggetto alle fischiate di quelli ai quali istituito si gnore , che dirai tu di que' pover' uomini viventi sotto l'obbrobrio di cotal uomo? E qual pensi tu, Menippo, che pi danneggiasse i Greci, o Serse ogni cosa col fuoco strug gente, o Nerone cantante? Perocch se rifletti alle spese, che a cagion de' suoi canti sono costretti fare, sino ad essere espulsi dalle case loro , e nul!a poter possedere di quanto han di prezioso, n un vaso, n un servo; e ai gravi insulti che soffrir debbono per le mogli e figlie lo ro , andando Nerone per ogni casa a soddisfare i suoi turpi appetiti; e a quante accuse si van provocando ( ol tre alcune che io tralascio ) , per causa s de' teatri, che dei canti di lui: cio: T u non venisti a udir Nerone; ov vero: Tu ci venisti, ma vi stavi trascuratamente, ridevi, non applaudivi, non ti basivi per la sacra sua voce, ac ci gli tornasse pi chiara ( 3 ); se , dico, a tutte queste cose rifletti, ben t'avvedrai che molte iliadi di miserie ppprimono i Greci. Quanto al tagliare o non tagliare l'Istm o ( ed ho inteso che gi si taglia ) buona pezza che io il so per ispirazione di dio. Rispose allora Da mide : A me pare , o Apollonio, che questo progetto
(i) Cio recitando o ne'giuochi phii di Delfo, o negli olimpici degli Elei. (1) Bassa ed appannata voce avea Nerone, come scrivono Svetonio , Luciano , Dione , eppure non solo volea cantare, ma pretendeva vincere nel canto qualunque altro.

LIBRO V. s49 d Nerone di tagliar I' Istmo superi tutt' altra impresa ; e ben vedi che a grande impegno si posto. Ci pare anche a m e, o Damide , rispondeva Apollonio. Ma se a termine non la conduce, gli verr biasimo di cos im perfettamente divider l ' Istmo come imperfettamente canta. Quand' io dei fatti di Serse parlando, uso lo darlo, s il fo non per avere messo un ponte sull'Elle sponto , ma per averlo passato. Ma veggo che Nerone non navigher mai per l ' Istmo , n che giunger ai termine dello scavo. Anzi ho in pensiero ( se ancora qualche raggio di verit mi rimane ) eh' ei sia per par tirsi di Grecia pien di paura. V ili. Venuto poco dopo un corner velocissimo alle Gadi, ordinando che si facessero sagrifcj pel fausto an nunzio eh' ei recava, e che si festeggiasse Nerone, per aver vinto tr volte negli Olimpici (:), i Gaditani ben compresero qual fosse cotal vittoria, sapendo le celebri gare che in Arcadia (a) si fanno, per essere negli studj loro seguaci, come gi dissi, dei Greci. Ma le altre citt vicine alle Gadi non capivano n cosa fossero gli Olim pici, n quel che sia una gara o un certame, n per qual cagione si avessero a far sagriRcj. Alcune caddero anche in ridicoli sbagli, supponendo che si trattasse di qualche vittoria guerresca, e che Nerone avesse vinto

(:) Avea vinto come tragico, come citaredo e come auriga. Veggasi Svetonio. (a) Ben 1' Arcadia contigua all' Elide, ma non l ' Elide, ed Olimpia citt di questa provincia. Qui dunque Filostrato ha preso un piccolo sbaglio.

*5o VITA DI APOLLONIO TIANEO alcuni popoli chiamati Olimpici. Ivi (Matto non si era mai visto n tragedia, n dispute di citaredi. IX. Racconta poi Damide che agli Ispalensi ( Ispali citt della provincia betica ) accadde per causa di un istrione cosa, la quale io stimo degna di qui riferire. Avendo pi volte la citt sagriRcato a motivo di code ste vittorie, delle quali era pur giunto l'annunzio a P tica, un cotale istrione, che mai non vo!!e rivaleggiar con Nerone, andava percorrendo le citt di Spagna. Esercitando costui 1 ' arte sua presso coloro che erano meno barbari degli altri ne veniva lodato, prima per ch stava fra gente che non aveva mai udito tragedie, e poi perch asseriva di avere emendato il cantar di Nerone. Venuto adunque costui in Ispali, fece a tutti paura, standosi cupo e taciturno sulla scena; veggendo* lo poi si gravemente passeggiare, e spalancar s grau bocca, e s alti coturni calzare, e cos strane vesti indos sare , non piccolo spavento ne ebbero. Ma quando al zata la voce declamar cominci a piena gola, moltissi mi si posero in fuga, come se da qualche demonio si credessero assaliti. Tali e cos semplici erano ivi i costu mi di quelle barbare genti ! X. Il procuratore della provincia betica aveva pi volte ambito di favellare ad Apol!onio, ma questi di ceva che poco dilettevole riuscirebbe il parlar suo per coloro che di RlosoRa non s'intendono. Ma egli conti nuava ad instare. E siccome aveva fama di essere buon uomo, e nemico delle ciarlatanerie di Nerone, cos Apollonio g!i mand lettera che venisse alle Gadi. Egli adunque vi venne, senza verun fasto magistrale, e so!o

LIBRO V. a5: con pochi indispensabili suoi famigliar:. Di cosa per, dopo i reciproci saluti, ed allontanati i seguaci, tra loro ragionassero, nessuno il sa. Damide nondimeno sospetta che contra Nerone cospirassero ; stettero in fatti in segreto colloquio tre giorni, dopo i quali partendosi egli abbracci Apollonio, e questi gli disse : Statti sano e ricordati di Vindice. Che intese egli dire con ci ? Se non quel che dicesi che un tal Vindice (uomo atto a romper la cetra su cui mal cantava Nerone ) sollecitava i popoli della Esperia contro lui, che stava intanto a cantar drammi in Acaia. Imperocch agli eserciti, de* quali era capo, tenne contro Nerone un discorso, qual era possibil fare contro un tiranno, traendone gli ar gomenti da!la pi pura filosofia. Disse in esso che Ne rone era ogn' altra cosa piuttosto che citaredo , ma ci taredo piuttosto che imperadore$ e lo rimprover ( a quel che si narra) di pazzia, di furore, di avarizia, di crudelt, e d'ogni genere di lascivia $ solo non lo in colp del pi crudel de' suoi fatti, asserendo eh' egli a buon diritto uccisa aveva la m adre, come quella che un cotal mostr partor. Antivedendo pertanto ApoHo nio tutto quello che stava per avvenire, aggiunse per compagno a Vindice quel magistrato capo della vicina provincia, ed egli solo non prese l ' armi in favor di Roma ().
(:) Della congiura di Vndice , governator delle Gallie, contra Nerone, hanno parlato Dione nel lib. u n t ; Tacito nel ! delle Plutarco nel ; Svetonio ec. Era allora Galba pre fetto nella Spagna tarragonese, e non nella Betica ; pare adunque non esser egli quello che tenne con Apollonio l'abboccamento qui menzionato.

s5s VITA DI APOLLONIO TIANEO XI. Trovandosi in tal guisa inasprite le cose nelle parti di Spagna, Apollonio coi compagni andossi in Afri ca , indi ai T irreni, e quindi parte per mare e parte per terra pass in Sicilia l dov' Li!ibeo. Recatosi po scia a Messina ed allo stretto, dove il mar tirreno e l'adriatico insiem congiunti formano la Cariddi, tanto ai naviganti difficile, ivi, dicono, ud la fuga di Nerone e la morte di Vindice, e che parecchi, tanto romani quanto stranieri, eransi usurpati l'impero di Roma E interrogandolo i suoi : Dove finalmente terminereb bero queste vicende? E a chi infine toccherebbe l'impero? A molti Tebani, ei rispose. Imperocch egli paragonava le forze di cui si erano in piccolo tempo impadroniti Vitellio, Galba ed Ottone , ai Tebani, che parimenti in piccol tempo tennero il dominio di Grecia. XII. Che egli tutto ci per certa divina ispirazione prevedesse, e che stolti sieno coloro che lo chiamano incantatore, le cose sin qui dette il dimostrano (2). Non dimeno veggiamolo anche pi. Gli incantatori ( e costo ro io li giudico infelicissimi sopra tutti gli uomini ) o at tendono a tormentare gli spiriti, 0 per via di barbari sacrifizj, ovvero con carmi e veleni, si vantano di cam biare le cose gi stabilite dai fati ; e molti di loro posti
( 1) Eccetto NunRdio che gareggi per l ' impero, non sappia mo che Ga!ba avesse altri rivali. Ma forse a quest* epoca stessa cominciavano a manifestarsi le gare di Ottone e di ViteUio, cui senza dubbio alludono le seguenti parole. (3) Sin dal principio di questa vita vedemmo che Apollonio venne da molti reputato per mago, nel senso della volgare opi nione , mentre non era che un sapiente.

LIBRO V. a53 in istato d'accusa confessarono d cos professare. Apol lonio all' incontro secondava le cose dai fati stabilite, predicendo soltanto anteriormente che sarebbero per necessit avvenute ^ ed egli le antivedeva, non per uso di incantagione, ma perch gli erano manifestate dagli iddj (:). Laonde quando vide nell'india i tripodi, !e cop pe e gli altri arnesi che asseriscono fare da s l ' ufBcio loro senza che alcuno li mova, n domand con quale artiRzio fossero fatti, n chiese di esserne istruito, e soltanto li lod senza volere imitarli (a). XIII. Venuti a Siracusa, una non ignobile donna vi aveva partorito un m ostro, del quale non erasi pi visto l'eguale. Avea quel bambino tre capi rialzati sopra altrettanti co!H ; e le altre membra formavano un solo corpo. Coloro che pi goffamente interpretavano questo portento, dicevano che la Sicilia, cio la Trinacria, stava per perire, se non si manteneva in concordia ed una nimit. Molte citt erano in lite s nell' interno, come fra loro, e non pi vivevasi in quell' isola n decente mente n ordinatamente. Altri dicevano che Tifeo (3) pi teste avea messo, e minacciava di nuove cose Sicilia. ApoHonio per disse a Damide: V e vedi se ci sia. Era il mostro esposto al pubblico in grazia di coloro, che voles(!) Su questa facolt preveggente , che io dubito insita nello spinto umano, al pari d'ogni altra intellettuale facolt, credo che si oHrir nuova occasion di parlare pi specialmente. (a) Ben capiva che erano pure macchine. Noi che conosciamo siffatti artiRzj non li giudichiamo pi come opere soprannaturali. (3) t nota la favola di questo gigante, che si dice sepolto sotto T Etna , ed esser cagione de* terremoti della Sicilia.

354 VITA DI APOLLONIO TIANEO sero spiegarne il prodigio. Riferendo poi Damide ch'esso era a tre capi, di genere mascolino, Apollonio chia mati intorno a se i compagni, disse : Tre imperadori, che ieri io chiamai Tebani, i Romani avranno, e nessun di loro posseder perfettamente l ' impero ; ma morran no chi ne!!a citt stessa di Roma, chi ne' conCni delia citt, cangiandosene i personaggi pi presto che non li cangiano quelli che fanno da tiranni nel!e tragedie. N gran tempo pass che chiaro apparve quel detto ; pe rocch Ga!ba, dopo aver invaso lo imperio, per in Roma ; Vitellio per mentre dello imperio sognava ; ed Ottone, venuto a morte presso i Galli occidentali, nep pure una tomba onorata vi ottenne, ma a guisa di pri vato sepolto. E tutto ci nello spazio di un anno la fortuna fece accadere. XIV. Recatisi poscia a Catania, dove il monte Etna, scrivono avere udito dai Cataniesi essere opinion loro giacer ivi legato Tifeo, e da lui prodursi il fuoco, che accende l ' Etna. Ma essi a pi probabil sentenza, e di filosofi pi degna, si attennero. Alla quale di campo Apollonio coll' interrogare id questa guisa i compagni : E ella cosa reale la mitologia ? Senza dubbio, rispose Menippo, giacch i poeti la seguono. Ma che pensi tu di Esopo? replicava; lo credo un mitologo,ripeteva Me nippo , e all' in tutto favoleggiatore. Quali per tra le favole, soggiungeva Apollonio, son le erudite? Le poeti che , seguit Menippo, perocch da esse tutto come se fosse vero decantasi. E quali tra quelle d'Esopo ? con tinu Apollonio. Parm i, rispose Menippo , che quelle delle rane, degli asini, e di siffatte baie, sieno cose da

LIBRO V. *55 fanciulli e da vecchierelle. E a me , disse Apollonio, le favole d' Esopo paiono pi che altre guidare alla sag gezza. Imperocch le favole degli ero i, di che tutte le poesie sono piene, corrompono eziandio gli uditori, usando i poeti descrivere amori illeciti, nozze fraterne, ingiurie agli iddj, e figliuoli mangiati, e biasimevoli in ganni ed alterchi. E appunto perch ci in code ste favole rappresentato come vero, incita l'innamorato, il geloso, e il bramoso di ricchezze e di signoria a que' fatti che esse favole rappresentano. Ma Esopo, per quella saggezza eh' egli ebbe, prima di tutto non si ag greg alla turba di coloro che cantano siffatte cose, indi si aperse una via tutta sua. Dipoi come coloro che co' pi vili cibi ingannano bellamente i convitati, si vale delle picciole cose per insegnare le grandi, e pro posta una favola il precetto vi aggiugne : ci facciasi, ci schivisi. In oltre egli ha seguito la verit pi assai de' poeti, perch questi fanno ogni sforzo acci le loro favole sembrino verisimili, Esopo in vece proponendo una favola, la quale tutti conoscono nulla contenere di vero, fa s che quello che di favoloso ei racconta compaia vero. 11 poeta p o i, finita che ha la sua favola, lascia al prudente uditore esaminare se sia vera ; ed Esopo riferendo una favola manifestamente falsa quell ' avvertimento soggiunge, come usa far sempre , che mostra di aver fatt' uso della finzione per esser utile. E anche da osservarsi la piacevolezza di lui ne! rendere gli animali bruti cos graziosi e cos degni dell'atten zione degli uomini. Cosicch avvezzi da fanciulli a coteste favole, e nodriti di esse fin dalle fasce, ci fbrmia-

s56

VITA DI APOLLONIO TIANEO

mo nella mente una idea dei diversi animali, cio che gli uni sieno di reale animo, gli altri pi sciocchi, al cuni festivi, alcuni del tutto innocui. Il poeta, oltre a ci, poi che ha sciamato ;
< 7nanfe 4 far/o daytw fmpeMo? (i)

o fatto cantare al coro alcun ch di simile, ha finito ; ma Esopo aggiugnendo alla sua favola una qualche sen tenza chiude il suo racconto nel modo che proposto si era (a). XV. E a me ancor giovinetto la madre m ia, o Menippo 5 raccont questa favola intorno alla sapienza di Esopo, cio che una volta Esopo era pastore , e pasco lava la greggia vicino al tempio di Mercurio $ e, perch amava la sapienza, a cagion d' essa molti voti fece a quel nume $ ma pi altri, lo stesso chiedenti a Mercu rio volgevansi, chi oro offerendo e chi argento, e quale alla sua ara attaccando un caduceo d' avorio, quale al tra cosa di ugual prezzo. Esopo, che per la sua condi zione non aveva nessuna di coteste cose, e che di quelle che aveva usava con parsimonia, offerse al nume tanto latte quanto in una volta pu mungersi da una pecora, e pose sull' ara tanto miele quanto pu stare in una mano. Ed ancora con bacche di mirto cercava acca parrarsi la benevolenza del num e, aggiugnendovi pure
(t) Verso d' Euripide in un coro dell' Alceste. (2) Quanto inaspettato altrettanto giudizioso il presente elo gio di Esopo e del sistema delle sue favolette. Noi moderni ab biamo ampiamente mostrato di tenere la stessa opinion di Apoi Ionio intorno a ci.

LIBRO V. i 5y e rose e viole. A che dunque, o Mereurio ( diceva egli ), tralascio io di aver cura del gregge per intesser ghirlande ? Convenendo poi tutti nel giorno stabilito a ripartire i doni della sapienza, Mercurio, di sapienza largitore e di ricchezze, ad uno che gli avea consecrato nel tempio i doni maggiori disse: Tu abbiti la RlosoRa; all' altro che il secondo luogo tra i donatori teneva: Tu sa oratore ; a te assegno la provincia della astronomia^ a te concedo esser musico , a te esser poeta epico ; e a te esserlo di satire. Poi che tutte le parti della RlosoRa ebbe distribuite , Mercurio , tuttoch sapientissimo, si avvide aver omesso contro sua voglia Esopo. In mente gli venne che le Ore, dalle quali era stato educato nella sommit dell' Olimpo mentr' era ancora in fasce, gli narravano la favola di una vitella, la quale tanto dissa ad un uomo di s medesima e della terra, che lo indusse ad amare le giovenche di Apollo. Mosso da tal rimem branza diede ad Esopo la facolt di inventar favole , l ' unica che fosse rimasta nella casa della sapienza, di cendo: Abbiti quella che io prima imparai. Di qui ot tenne Esopo tanto variato artiRzio, e s egregia facolt di favoleggiare. XVI. Ma io parr forse uno stordito, perch propo nendomi di offerirvi una dottrina pi accomodata alla natura e pi vera di quella che il volgo va spacciando rispetto all' Etna, mi lasciai strascinare a far l ' encomio delle favole. Nondimeno cotal digressione non mancher d'essere gradita, imperocch la favola che vogliam con futare non del genere di quelle di Esopo, ma di quelle da teatro, e celebrate dai poeti. Dicono essf che
fO T H . Z. !y

s 58 VITA DI APOLLONIO TIANEO un certo Tifeo, ovvero Encelado, legato vve sotto il monte Etna, e dai petto questo fuoco esala. Io ben con vengo che hanno esstito Giganti, e che in pi luoghi i corpi loro si mostrano entro rovinati sepolcri $ non credo per, che movessero guerra agii iddj, ma forse nei templi e nelle case loro petulantemente si diportas sero. E che i! cielo assalissero, e gli iddj costringessero a fuggirsene, sciocchezza il dirlo, ed sciocchezza il crederlo. N 1 ' altra favola approvo, bench meno te meraria della prima, cio che Vulcano nell'interno delP Etna attenda ai lavori fabbrili, e l ' incudine vi per cuota ; essendo pi altri monti nelle diverse parti della te rra , che mandano fiamme, e che noi con lieve giu dizio non diremo abitati dai Giganti o dai Vulcani. XVII. Quale adunque la cagione di cotesto fuoco? La terra composta di una mistura di bitume e di zolfo, arde dentro di s, giusta la natura di tal miscuglio, senza per mandar fiamme al di fuori. Se accade per ch'ella sia cavernosa, e che il vento vi penetri, allora innalza la fiamma, la quale va via crescendo, a simiglianza di acqua che da! monte trascorre, diffondes per le cam pagne , e insieme col fuoco fino al mare si p orta, ove le foci si forma, come sogliono essere quelle dei Rumi. Cosa poi significhi il CA M PO DE'PH, che il torrente di fuoco inonda d'intorno, qui pure dir. Si dee credere che tutta la terra sia sicuro asilo agli uomini pii, e il mare istesso accessibile, non ai naviganti soltanto , ma anche ai notatori (:). Sempre insomma ApoHonio i suoi discorsi chiudeva con uti!i sentenze.
(:) Qui un vuoto evidente nel testo, e forse conteneva la

LIBRO V. XVIII. Avendo pertanto Apollonio tanto tempo 61oso+ Iato in Sicilia, quanto alle sue osservazioni bastava, tras
promessa istoria de'p#. Ma nessun codice finora mostra riempire questa lacuna. Ecco quanto , con la scorta del dottissimo Olea rio , ho potuto raccogliere. Due fratelli salvarono dalle Gamme i vecchi lor genitori, e la piet loro rimase indelebilmente scolpita nella m em oria de* Siciliani. Chi dice che fossero di Catania , chi di Siracusa. Solino nel ( c. H ) ne fa il seguente raccon to: JfMfer CafcnaTK ef /nnfrM/n mfywor/n, yaoywa acfj-

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a6o

VITA DI APOLLONIO TIANEO

portossi in Grecia verso il Rinascer d'Arturo (*). E fatto prosperamente il tragitto, ed a Leucade volendo diri gersi: Discendiamo, disse, da questa nave, non conve nendo passar con essa nell'Acaja. Nessuno a coteste pa role abbad , saivo quelli cui noto era tant' uomo $ ed egli in fatto con essi, che vollero seco lui navigare, da una nave di Leucade venne trasferito a Lecheo. La nave siracusana all' incontro nel golfo di Criseo si sommerse. XIX. Iniziato dappoi in Atene ( e lo inizi quel capo de' sacerdoti, eh' egli stesso aveva predetto all' antecessor su ) (a), quivi trov il filosofo Demetrio, il quale dopo la dedicazione del bagno d Nerone, e il biasimo eh' egli ne fece, pose sua stanza in Atene, cn tale fortezza d'. animo , che neppure in tempo che Nerone indecentemente comportavasi nei certami, partir volle di Grecia. Ei raccontava di avere pur veduto Musonio all' Istmo, in catene, e dannato agli scavi $ e che la gnandosene egli, com' era giusto , Musonio ebe stava con la zappa in pugno, fortemente la ficc nel terreno, e alzati gli occhi disse : Io ti fo compassione, o Deme trio, perch scavo l'istmo? Quanto pi ti rincrescereb be se mi vedesti cantar sulla cetra al par di Nerone ? Ma dei fatti di Musonio, che molti e grandissimi sono, lasciamo di qui parlare, acci non paia che io , che con poca diligenza me ne informai, mi arroghi di troppo (3).
(i) Cio verso la met dell'autunno. (a) Vedi sopra , } xvn del lib. nr. (3) Intorno a Musonio da vedersi Aulo Gellio nel lib. v , cap. y, e nel lib. XYT, cap. r.

LIBRO V. *6 t XX. Dopo aver trascorso 1 ' inverno per tutti i tempj delia Grecia, ApoHonio spese la primavera in disporsi al viaggio d'Egitto. Poi che ebbe nelle greche citt pi cose corretto, molto giovato co' suoi consigli, ed an che molto lodato ( imperocch se illustri azioni scor geva egli non era scarso di lodi ) , sceso a! Pireo, vi trov una nave con le vele gi alzate, e in procinto d navigare per l ' Ionia. Ma un mercadante che l ' avea noleggiata per s solo, gli vietava salirvi. Interrogandolo adunque ApoHonio quai merci trasportasse, rispose : Trasporto nell' Ionia le statue degli iddj, parte fatte d'oro e di marmo, parte d' avorio e d'oro. AHora Apol lonio : Per dedicarle agli iddj, o per altro fine? E que gli : Per venderle a chi le vorr dedicare. Temi tu dun que , o amico, soggiunse ApoHonio, che noi ti rubia mo le statue nella nave ? Non temo io ci, rispose, ma il porle in mare in mezzo a tante persone, ed esporle a tristi discorsi e costumi, quali usano 1naviganti, que sto ci che mi duole. Eppure , buon uomo , riprese ApoHonio, le navi di che voi vi servite contra i barbari ( giacch io ti stimo ateniese ), bench di marinaresca licenza piene, pure con voi le saliron gli iddj, n cre dettero esserne contaminati (i)$ ed ora tu s impruden temente riRuti la nave a' filosofi, de' quali sogliono som mamente compiacersi gli iddj, tu che fai traffico degli id dj ? Certo cosi non facevano gli antichi scultori, i quali andavano per le citt a vendere d ii, ma seco soltanto
(i) A ll'epoca della giornata di Salamina si posero in salvo sulle navi tutti i pubblici e privati dii, come notano Erodoto ed Emi lio Probo.

*6* VITA DI APOLLONIO TIANEO portavano le mani e g!i istromenti per lavorar il marmo e l'avorio^ ovver trovati gli informi materiali, ne'tempj medesimi ponevano mano alte opere loro. Tu invece traendo per tal modo pei mercati e pei porti gli d ii, come fossei*o (non dir cosa) d'IrCania o di Scizia (t), stimi tu non commettere una empiet ? Ben so che pi altri fanno il ciarlatano, portando pel mondo qualche brutta efSgie di Cerere o di Bacco sospesa ad un basto ne, e che dicono ricevere il vitto loro dagli iddj che tras* portano. E tu che degli stessi dii^ti alimenti, n per te ne sazi!, se nulla paventi a cagione di s esecrand traffico, dir che sei pazzo. Con tali parole gravemente rimproveratolo, sopra altra nave sal. XXI. Giunto a Chio, senza pur mettere piede in terra , in una vicina barca pass, la quale per mezzo di un banditore annunziava di andare a Rodi (a). Tra gittarono in quella, senza aprir bocca, i suoi compa gni , principal cura dei quali era il conformarsi alle pa role ed a! fatti di lui* Messo a Rodi con prospero vento, le seguenti cose in que!!' isola ingegnosamente tratt. Andato a vedere il Colosso, Damide gli chiese qual alIra cosa stimasse maggiore, ed egli rispose : L' uomo che dirittamente e con ingenuit attende alla filosofia. Soggiornava in quel tempo a Rodi il flautista Cano,
(t) Voleva dire come fossero belve ircane o scitiche, e quali anche atlora accostumavasi di condurre pel mondo a farne spet tacolo. (3) Usavasi ne* porti far pubblicare la prossima partenza deHe navi, e il luogo cui dirigevansi, acci chi volesse giovarsene fosse a tempo a salirvi.

LIBRO V. ^63 che avea fama di essere il pi eccellente sonatore. Chiamatolo a s gli dimand qual cosa facesse un flau tista ; e quegli rispose : Tutto ci che l ' uditore desi dera. Siccome la maggior parte degli uditori, continu Apollonio, vorrebbono anzi arricchire che udire il suon de' Hauti y puoi tu dunque far s che ricchi divengano coloro che tu capisci bramarlo ? N certo y rispose y ma bene il vorrei. Puoi tu , seguiva Apollonio y rendere av venenti i giovanetti che ti odono ? Giacche tutti i gio vani desiderano d' esser belli. Nemmeno ciy soggiunse l'altro y bench da' miei flauti molta dolcezza derivi. Che cosa dunque disse Apollonio credi tu voler chi ti ascolta ? Che altro y rispose Cano y se non che al ma linconico tolga il flauto la mestizia y all' allegr accresca l'ilarity all'amante raddoppii il calorey e al divoto !' in terno fervor verso Dio y e vieppi a cantar inni il dis ponga ? E questo effetto y o Cano , replic Apollonio y il tuo flauto lo fa per essere d'oroy o di ottone yo d'ossa di cervi o d'asini (:)y ovvero vi ha qualche altra causa che il produca ? Un' altra y o Apollonio y quegli riprese. Pe rocch la musica, i suoi modi y Io insieme e le variazioni del suono, e le armonie bene accostumate y per cos esprimermi y tutte queste cose, dico y dispongono gli uditori, e riducono gli animi loro y com' essi bramano. Intendo o Cano disse Apollonio ci che la tua arte pu fare y e come la di lei variet e la inflessione per tutti i modiy la qual tu eserciti y mova quelli che ti frey y y y ,

(*) Di varie materie fabbricavan le tibie gii antichi ; sopra di che da vedersi l ' illustre Spanemio nelle sue osservazioni al l'inno di Callimaco in onor di Diana.

164 VITA DI APOLLONIO TIANEO quentano. A me pare per, che oltre quanto ha! tu rammentato , abbia il flauto d' altre cose bisogno, cio di buon Rato , di buona imboccatura, e di agilit della mano. Buon Rato avr quando la voce ne esca acuta e chiara, e non s'inasprisca nel collo del flauto , per ch ci rende il suono tutt' altro che musicale. Buona l'imboccatura, quando le labbra del Rauto sieno ben calcate sopra la lingua, senza per che il volto si accen da (:). Molto poi da stimarsi ne! Rautista l'agilit della m ano, quand' e!!a nel suo maneggio non ingobbisca, e quando i diti non sieno lenti a scorrere sui pertugi, che sono come gli intervalli delle voci, e questo rapido pas sare da un modo all'altro appunto in quelli, che sono agilissimi* della mano. Se tu dunque ci tutto eseguisci, o mio Cano , arditamente attendi a' tuoi Rauti, e cos teco sar Euterpe. XXII. Era in Rodi un giovinetto, arricchito di fre sco e non dotto , il quale ediRcava una casa, e in ogni parte vi ammucchiava marmi e pitture di vario genere. A lui pertanto chiese Apollonio quante somme avesse speso in maestri ed in educazione. Neppure una dram ma , ei rispose. Quante nella casa ? dimand egli. Do dici talenti, rispose, e dovr spenderne altrettanti. Ed a che Rne, disse ApoHonio, fai questa casa? Per istarvi splendidamente, rispose $ perch trovansi in essa piaz zette e boschetti, senza bisogno di uscire $ e la gente verr pi volentieri a visitarmi, parendole andare a un
(:) Perci Minerva, accortasi che suonando il flauto ai (acca brutta, lo gitt, n volle pi saperne.

LIBRO V. ^65 tempio. Soggiunse Apollonio : Mentano essi gii uomini d'essere onorati per s medesimi, o per quello che posseggono ? Per le ricchezze , rispose il giovine, per ch le ricchezze valgono moltissimo. Ma di coteste ric chezze , continu Apollonio , sar egli, o giovinetto ^ miglior custode l'uomo bene istruito, o un ignorante? Tacendosi egli, Apollonio riprese : Parm i, o giovine che non tu possegga la casa, ma la casa possegga te. Se io vado in un tempio, anche picciolo, con maggior piacere osservo in esso un simulacro d'avorio o d'oro, di quel che ho vedendone uno di creta, o rozzamente scolpito, in un tempio pi grande.^ XXIII. Veduto un altro giovine grasso, e che vautavasi d' essere il pi gran mangiatore e bevitore del mondo : Sei tu , gli disse, colui che tanto servi al tuo ventre ? S , rispose, e fo anche sacriRzj per lui. E che ottieni tu , diceva Apollonio , da tanta voracit ? Che tutti, rispose, mi guardino ed ammirino. Non hai tu per avventura udito anche di Ercole, che il mangiar eh' ei faceva era celebre quanto il suo combattere? Ma egli era Ercole, rispose Apollonio ; laddove tu, o scelerato, qual virt hai? La sola rinomanza che ti rimane quella di crepare. Queste sono le cose da lui fatte in Rodi. XXIV. Le seguenti fece in Alessandria, poi che ivi una nave lo trasport. Gli Alessandrini amavano Apol lonio lontano, e gran desiderio ne avevano, qua! di un amico verso l ' amico. Assai di teologia si dilettano gli abitanti dell' alto Egitto, quindi avean brama eh' egli visitasse la patria loro. Imperocch a cagion di moltis-

366 VITA DI APOLLONIO TIANEO simi, i quali esercitavano il commercio o dai paesi no stri all' Egitto, o dall' Egitto a n o i, il nome di Apol lonio era loro carissimo, e gli Egizj tendeangli orec chi in udirlo. Scendendo egli pertanto dalla nave ed avviandosi alla citt , Io accoglievano tutti come un dio, e s'ei passava per luoghi angusti, sgombravano, come fanno incontrando chi porta cosa sacra (:). Men tre procedeva circondato da maggior pompa che non ha un prefetto della provincia (2), Venivano condotti a morte dodici uomini, come rei d' omicidio ; ai quali ri guardando Apollonio : Non tu tti, disse , poich costui che va con essi ha mentito. E rivolto ai carnefici, che li conducevano: Vi comando, lor disse, di rallentare il passo, e giugner pi adagio al luogo del supplizio, e questo lasciar per l ' ultimo, giacch non ha egli parte nel misfatto; anzi pia cosa farete, col differir quel poco -di tempo, che basti a conoscere quali non abbiano ad esser morti. In questo discorso insisteva egli, tirando in lungo le parole contra il suo solito (3). E ben tosto si vide a che mirasse con ci. Gi otto subito avevano la pena capitale quando un cavaliere di gran corsa al luogo del supplizio drizzandosi, gridava : Perdonate a Farione, non essendo egli re o , ma per timore della tortura mentendo a suo danno , avendolo dichiarato in() LocKMt ^acra dice Ovidio neHa prima delle Elegie scritte da Ponto. (2) Abbiamo una recente dissertazione sui prefetti d'Egitto del eh. sig. Labus, da cui rilevasi quanta e qual fosse l'autorit loro. (5) Abborrivano i pitagorici il supplicio estremo de'rei,per U principio che abborrivano qualunque spargimento di sangue.

LIBRO V. 1 67 nocente alcuni altri, che vennero test torturati. Quan to di ci lieti andarono, e gli applausi che ne fecero gli Egiziani, propensi come sono ad esaltare cose an che di minor conto, non star a dire. XXV. AHora poi eh' egli ascese nel tempio ( i) , la dignit che trasparsa dal suo volto, e i discorsi d'ogni maniera eh' ei tenne, parevano del tutto divini, e da somma sapienza dettati. Non approvava per lo sparso sangue de'tori, delie oche, e di qualunque altra vit tima ai sacrificj disposta, stimando non convenir ci ai conviti degli iddj ; e interrogandolo il patriarca (2) per qual ragione egli non sagriRcasse in tal guisa: Vorrei , rispose Apollonio, che anzi tu mi dicessi per qual ra gione in tal guisa sagriRchi. Chi da tanto, i! patriarca riprese, che riformar possa le istituzioni degli Egizj ? Qualunque sapiente, disse Apollonio, il qual venga dalle Indie. Ma io, disse l'altro, abbrucer oggi un bo ve, ed amerei che tu ne partecipassi 1' odore$ n ti dor r l'averne parte, giacch nemmanco gii iddj la riRutano. Liquefacendosi quindi il corpo del to ro , disse ApoHonio : Sta attento al sacriRcio. A che ? !' Egiziano rispose s io nulla veggo. AHora ApoHonio : Delirarono forse, amico mio i Jamidi (3), i Teleadi, i Cliziadi(%),
(:) Questo era senza dubbio il tempio di Serpide, principal nume degli Egiziani. (a) Che cos si. chiamasse i sommo sacerdote di Serapde ha parimenti mostrato Isacco Vossio nelle sue note a Catullo. (3) Celebre famiglia di V ati, discendente da Jamo figliuolo d'Apollo e di Evadne. Pier Vittorio nel lib. x m ,c . <5, delle sue ccr/e ne parla distintamente. (4) Altra famiglia di Vati; discendenti da Clizio della stirpe di

VITA DI APOLLONIO TIANEO e tutta !a fatdica stirpe dei Me!ampodidi ( ) , che si gran cose intorno al fuoco insegnarono, e tanti oracoli racco!ser da esso ? O pensi tu che il fuoco di ardente pece o di cedro abbia una forza divinatrice, ed atto sia a presagir qualche cosa, e che questo acceso in pinguissima e purissima sostanza non sia molto miglio re di quello? E ben vero che se tu fossi pento nella sa pienza che nel fuoco nascosta (2), molte cose sapresti anche leggere nel globo del sol nascente. Con queste parole mortific 1 ' Egiziano , come poco istruito delle cose divine. XXVI. Erano gli Alessandrini molto amatori dei ca valli , ed accorrevano di frequente all' ippodromo, dove se ne faceva spettacolo, e risse e ferite a vicenda com mettevano ; di che gravemente !i censur. Imperocch entrato nel tempio cos disse loro : Perch non affron tate la morte pei figli, per P are, per le case vostre ? Fino a quando volete in vece i templi contaminare, violentemente in essi introdurvi, e ne' ricinti loro scan narvi? Fama che Troia rovin per un cavallo, che i Greci allora artificiosamente costrussero. Ma contro di
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Melampo, o Melampodide. Di essa veggasi Pausania nell' <E 7., Diod. Sic. nei Hb. nv, ecc. (i) Erodoto, Diodoro, Apollodoro, Pausania, non che i poeti dell* antichit hanno resa celebre questa profetica prosapia. Que^ sti vati prendevano gli augurj dalle Camme, non gi delle carni abbruciate, ma delle droghe e de* legni odorosi , che essi ado peravano ne'sacrifizj. Al che alludono le parole di Apollonio. (a) La scienza del fuoco , cio la pirotecnia , la pirologia ecc., parmi aver qui voluto accennare Apollonio, la quale quanto sia estesa e a quanti usi venga applicata non chi non sappia.

LIBRO V. 169 voi si aggiogano carri e cavalli, per amor de' quali voi non sapete frenar voi medesimi. Sarete adunque di strutti , non dagli Atridi, o dagli Eacidi, ma da voi stessi, locch non accadde ai Troiani, bench sepolti nel vino. Eppure in Olimpia, ove la lotta y il pugilato, e le gare si esercitano de' combattenti y nessuno viene ucciso dagli atleti $ bench sia forse da perdonarsi, ove alcuno con pi pertinacia i suoi rivali combatta. Ma voi qui per cagion de' cavalli impugnate l ' un contro l ' altro le spade y e vi armate di sassi le mani y ed em piete cos di fuoco la citt y in cui
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Abbiate rispetto a! comune canal dell' Egitto, al Nilo. Ma che nomino io il Nilo ad uomini che di sangue amano accrescerlo pi che d' acqua ? (a) Pi altre cose dello smesso tenore rinfacci loroy come Damide narra. XXVII. Intanto Vespasiano conducevasi in modo fra le nazioni confinanti all' Egitto , da essere innalzato alla dignit imperatoriay e quinci passare in Egitto. Dio ne ed Eufrate, de' quali parleremo pi innanzi (3), esor tavano pubblicamente che tutti ne fossero lieti. Impe(!) Verso d'Omero nel :v della Iliade. (3) Tutti i pozzi dell* Egitto scolano nel Nilo ; del quale scrive Plinio : RM CttMper pHfeoy yweTM M rae notti deyyreAemfMHfMr, lib* v, sect. xv. (5) Di entrambi ha pi particolarmente trattato Filostrato nelle fife che si troveranno nel seguente volume.

zyo VITA DI APOLLONIO TIANEO rocch dopo il primo imperadore, da cui la romana re pubblica venne riordinata, s crudeli tirannidi per cin quanta anni erano invalse, che nemmeno Io stesso Clau dio, che in quell' intervallo di tempo regnato aveva tre dici anni, osavasi annoverare fra i buoni. Egli ebbe l'imperio in et di cinquantanni, neHa quale l'animo umano suol essere assai vigoroso, e parve amantissimo d' ogni buona disciplina. Tuttavia egli p u re, sebbene ora mai provetto , a molte giovanti passioni si abban donava, e permise che lo imperio fosse pascolo di don nicciole, dalle quali si scioccamente sofferse d' essere ucciso, che sebben prevedesse quanto doveva accadergi, pure schivar non volle ci che avea previsto (:). Di cotal novit pertanto si rallegrava Apollonio, al paro di Dione e d'E ufrate, ma non ne fece argomento per fa vellarne al volgo, giudicando che ci esigesse una pi eloquente forma di discorso (2). Venuto adunque l ' im peratore, gli andarono incontro alte porte con religiosa pompa tanto i magistrati egizj, e quelli delle prefetture in cui si divide 1 ' Egitto, quanto i filosofi e tutti i sa pienti (3). Ma Apollonio non fu con alcuno di essi, e si
()) Di questo imperator donnamolo (che fu per altro un buon nomo ) tornasi a parlare pi innanzi al xxxif ; ma veggasi ci che ne scrive Svetonio, anche intorno alla previdenza della sua morte. (3) Apollonio filosofo non aveva a parlarne come un decla matore retorico, ma s come un maestro delle scienze spettanti alla vita sociale. (5) Clemente alessandrino nel ni de' fKwwaf/ descrive questa processione.

LIBRO V. ayi stette nel tempio a filosofare. Poi che 1 ' imperatore li ebbe in generosa e genti! maniera accolti, e fatto loro un breve discorso, dimand se co! si trovasse il Tianeo. Avvi, risposero, e attende ad emendarci. Come potrei, soggiunse, andare a lui ? che ne ho gran biso gno. Il troverai nel tetppio, disse Dione $ cos almeno ei mi promise quand'io qui venni. Andiamo, l'imperadore continu, a venerare gli iddj, e a favellare a quel l'uomo egregio. Si sparse poscia la voce, che il desiderio di occupar l'impero era in lui n ato , mentre assediava Gerusalemme, e che invitato vi aveva Apollonio, onde consigliarsi con lui, e eh' ei se ne dispens per non en trare in un paese dai proprj abitanti lordato, s per quello che fecero essi (i), come per quello che dagli a!tri soffersero $ e che perci l ' imperadre , tosto che ebbe assunto l ' imperio, venuto fosse in Egitto, ad og getto di ragionar seco lui su quanto entro ad esporre. XXVIII. Compiuti i sagrifcj, e prima pur di rispon dere ai deputati della citt, ad Apollonio parl, e quasi supplicandolo disse : Deh fammi imperadre. Cui rispo se ApoHonio : Ti feci $ perch desiderando io un imperadore conforme a' miei voti, ho questi numi pregato che ti facciano giusto, magnanimo, temperante, vene(') Se questa non una timida allusione (come a me pare)

a G. C. ed agli Apostoli, s crudelmente trattati da'Giudei, senza


dubbio tale rispetto alte intestine discordie, od ai civili tumul ti , di che erasi dipoi contaminata Gerusalemme. E ci bastava ad un pitagorico, qual era ApoHonio, per riguardarla come im pura ed infausta. Veggasi intorno a ci quanto fu detto nel xx del lib. !H, e quanto si dice nel xxv del vii.

ayi VITA DI APOLLONIO TIANEO rabile per e t , e padre affettuoso. Di tale paro!e som mamente fu lieto ! 'imperadore, tanto pi che !a intera folla dei popolo raccolta nel tempio, alto sciamava, plaudendo la risposta di Apollonio. Qua! ti parve, gli chiese p o i, !' imperio di Nerone ? Apollonio rispose : Forse Nerone sapeva bene accordare una cetra, ma l'im perio vituper o caricando o rallentando (i). Tu dun que vuoi, replic Vespasiano, che il principe sia mode rato? Non io , disse Apollonio, ma Dio stesso, i! qual definisce moderazione la equit $ ma di ci ottimi con siglieri sono questi uomini $ e accennava col dito Dione ed Eufrate, coi qua!i non gli era per anco occorso di avere alterco. L'imperadore allora, alzate le mani al cielo, sciam : O Giove, dammi che io regni sui saggi, e i saggi su me! (2) Ed agli Egizj volgendosi, disse loro: Valetevi di me come vi valete de! Nilo. Per cotal modo respir l'Egitto, che ornai pi non reggeva al peso che sino allora tenevalo oppresso. XXIX. Uscito quindi del tempio, dando la destra ad Apollonio, e lui neHa reggia condotto: Temo, gli disse, che debba a molti parere che io abbia giovenilmente operato, assumendo l ' impero nel sessantesimo anno della mia vita. Io dunque me ne scuser, acci tu possa prendere la mia difesa presso gli altri. Non mi ricordo di essere mai stato ligio de!le ricchezze, nemmeno da giovine. Le magistrature e dignit, quante nel romano
(!) Come lo stromento, di cui le corde sono troppo tese o troppo molli, non pu che stonare, cos l'impero, ove o il ri gor sia soverchio, o soverchia la trascuranza, mal governato. (a) Questo solo voto basta a qualificar Vespasiano.

LIBRO V. sy3 impero ve n' ha , si moderatamente e con tal tempe ranza ho esercitato, che mai n superbo n abbietto comparvi. Novit alcuna neppure contra Nerone mac chinai $ che anzi, avendo egli da un imperadre ( non per secondo le leggi) ottenuto l'impero (:), io me gli sommisi, per rispetto a Claudio , il quale mi av6a fatto console (2), e suo consigliere. E ti giuro per Pallade.che quand' io vidi Nerone si mal curante della sua dignit, mi caddero le lagrime, sovvenendomi di Claudio, che un cotal mostro, a lui carissimo, lasci erede. Vedendo p o i, che n allora pure che Nerone fu tolto di mezzo la cosa pubblica a migliore stato riducevasi, e tanto av vilito lo impero sino ad averlo un Vitellio , fattomi pi ardito, mi volgo ora a conquistarlo. Prima per desi dero di essere in tal concetto agli uomini, che abbiano la maggior parte a stimarmi. Poscia convien riflettere aver io a fare con un uomo sepolto nelle craple. Vi* tellio consuma in lavarsi pi unguento che non io acqua, s che ove giugnessi a ferirlo, pi unguento che sangue spargerebbe. Oltre a ci vino sopra vino tracan nando diviene furioso 3 e giuoca ai dadi per modo, che teme non gli fallisca il gittarli$ e ride e si fa giuoco del
(!) A Brittanico, di cui Claudio era padre, avrebbe spettato 1 * impero , e non a Nerone, che era soltanto figlio adottivo di Claudio. Ma dal momento che egli per le arti di Agrippina Io adott, che gli diede in moglie sua figlia Ottavia , e il dichiar prtwceps /MfeMfK%M,che quanto dire erede presuntivo del tro no , pi noi poteva escludere. (a) Fu Vespasiano console gi ultimi due mesi dell'an no 5i deir Era volgare.

2?4 VITA DI APOLLONIO TIANEO pencolo in cui sono le pi importanti faccende dell'im pero. Dedito alle meretrici, tenta le maritate $ dicendo pi dilettevoli esser gli amori, se vanno a pericolo uniti. Oscenit anche maggiori tralascio si per non dirle in nanzi a t e , come per rispetto ai romani soggetti a quel mostro (i). Bramoso io pertanto che gli iddj mi sieno guida y vorrei pure a me medesimo non mancare. Per la qual cosa, o Apollonio, a te principalmente vo glio la mia fiducia appoggiare, avendo tu fama di essere sommamente versato nelle scienze divine, e te nomino mio consigliere in queste mie gravi cure, che al mare ed alla terra si estendono $ affinch se propizii segni gli dii ne accordino , io segua l ' intento, se contrarj e n a me, n ai Romani favorevoli) io non faccia un' im?presa a dispetto degli iddj. XXX. A queste parole Apollonio divinamente ispirato: O Giove del Campidoglioy sciam, ch'io ben conosco alle presenti cose regolator presiedere y te stesso a co stui conserva, ed esso a te 5 perocch i fati hanno de cretato che quest'uomo ti riedifichi il tempio, che ieri venne da empie mani abbruciato. Ci udendo l ' impe radore maravigli, ed egli disse : Queste cose si mani festeranno da s, n tu prenditi di me timore (2)$ anzi quello che hai rettamente pensato compisci. Accadde intanto a Roma, che Domiziano figliuolo di Vespasiano venne all' armi contra Vitellio a cagion dell'imperio del padre y ey trovandosi assediato nel Campidoglio scapp
(:) Tutti gli storici ne convengono. (a) Cio: non temere che io ti inganni di veruna cosa che ti dico.

LIBRO V. a ?5 dalle mani degli assediatiti, ponendo fuoco al tempio ()^ e di ci ebbe Apollonio notizia pi presto che se fosse avvenuto in Egitto. Dopo avere cosi favellato fra loro, Apollonio si part dall'imperadore, dicendo non esser gli permesso dalle patrie leggi degli Indiani di altro fare nell* ora del meriggio che quello che essi fanno (a). Ma l'imperadore vieppi si accese, n toller che gli sfug gisse daHe mani l ' impresa, ma la tenne per gi ferma e stabilita in aver udito da Apollonio quelle parole. XXXI. All' indomani Apollonio recossi di buon mat tino ai palazzo, e chiese agli usciri cosa facesse P im peradore $ e questi gli dissero che da un pezzo erasi al zato , e stava scrivendo lettere $ loccb udendo Apollo nio partissi, dicendo a Damide : Quest' uomo regner^ Ritornatovi poscia quando gi alto era il sole, trov Dione ed Eufrate nel vestibolo^ e da essi con certo giro di parole richiesto dell' esito della conversazione di ieri, narr loro la scusa che l ' imperadore gli fece (3) , ma tacque l'opinione che egli a lui dichiar (4). Introdotto quindi pel primo , cos gli disse : Eufrate e Dione, da gran tempo tuoi famigliari, o imperadore , stanno nell ' anticamera, assai premurosi degli interessi tuoi $ pre(i) Tutte le anteriori lezioni di Filostrato, e tutte le tradu zioni fanno Domiziano assediatore e non assediato. Ma gli storici vanno meglio d'accordo con la lezione del nostro testo. (a) Vedemmo di sopra ne' n v e xxxm del lib. m , ci che i sapienti indiani usavano fare al mezzod. (5) Rispetto all' aver preso 1' autorit imperiale. (4) Non troppo confidava Apollonio in que' due. Si vedr quanto la indovinasse, massimamente rispetto ad Eufrate.

a?6 VITA DI APOLLONIO TIANEO goti dunque di ammetterli a conferir teco, essendo uo* mini sapienti. Ai sapienti, rispose l ' imperadre, non tengo mai chiuse le p o rte , a te poi tengo aperto an che il mio petto. XXXII. Ammessi pertanto que' due: I o , disse l'im peradore, esposi ieri, o miei cari, ad Apollonio, uomo generoso, la causa mia. Udimmo, rispose Dione , la giustificazione tua, e ragionevole ci paruta. Oggi per tanto , seguit 1' imperadre, carissimo Dione , fHosoferemo insieme di que' consigli cui giova appigliarci, perch io faccia ogni cosa accomodatamente, ed a pub blico vantaggio. Riflettendo io prima di tutto che Tibe rio convert il principato in ferocia e crudelt; che Caio suo successore da bacchico furore invasato, vestito alla foggia lidia (:), vincitore di guerre che non si fecero mai (a), tutta la romana dignit con pazzia baccanalesca vituper ; che quel buon Claudio, istupidito fra le donnicciuole, non l'imperio soltanto, ma anche la pro pria vita dimentic, fino a lasciarsi uccider da esse, co me si dice (3) , e Nerone il ricorder io? il quale giu* (!) La stranezza di Caio nella foggia del suo vestire parti colarmente notata da Svetonio con queste parole : pafno , neyne ctft/i ac ne p/n# A M A M M O . Del lusso e della mollezza de'Lidj veggasi fra gli altri Ateneo nel

lib. X !!.
(a) Tal fu la guerra co* Germani , della quale ei proclamossi il settimo imperadre, bench n vi fosse esercito da incontrare, n alcuna battaglia avvenisse, giusta Dione, lib. n x ; e tale la spedizione contra i Britanni, che Uni in una collezione di con chiglie , di che and superbo, giusta Svetonio nella vita di lui. (5) Mor di veleno apprestatogli da Agrippina, come dicono Tacito, Svetonio, Dione e Seneca.

LIBRO V. ayy sta le poche ma succose parole di Apollonio ( t) , cari cando e rallentando, rese deforme l ' imperio. Che dir pure de' tum ulti, eccitati da Galba, stato poi trucidato in mezzo al foro quand' ebbe adottati i bastardi suoi figli Ottone e Pisone ? (a) Che se poi vogliasi accordare l'imperio a Vitellio, pi scelerato degli altri, egli me glio che tomi Nerone. Riflettendo, dico, o miei cari, che il principato divenuto cos abbominevole per le tirannidi, che ho qui ricordate, io bramo, che voi mi siate consiglieri in qual modo debba io costituirlo, ora che tutti l'odiano. Disse allora Apollonio: Un so natore di flauto molto savio soleva mandare i suoi di scepoli a udire i sonatori ignoranti, acci da essi im parassero quello che non dovevano sonare $ cos t u , o imperadore, hai da costoro che malamente regnarono imparato come non debbasi regnare $ come poi debbasi ora discuteremo. XXXIII. Ma Eufrate gi da segreta invidia era preso verso Apollonio , veggendo l ' imperadore avere in lui pi fiducia, che non ne hanno agli oracoli quelli che vi ricorrono. Allora poi gonfio da smodata ira, e alzata la voce pi del dovere r Non ist bene, disse, il blandire gli impeti di un animo, e secondare oltre il dovere co loro , che rotto ogni freno gi vanno operando, ma bens convien raffrenarli, se noi siamo filosoR. Biso gnava in pria consultare se avevasi ad operare $laddove
(n) Dette poc' anzi nel xnv. (a) Perch sieno qui chiamati bastardi, mentre ci dalla storia non indicato, non saprei dire. Forse a fine di renderli vitupe rosi nell'opinione altrui.

378 VITA DI APOLLONIO TIANEO tu vuoi che si dica come abbiasi ad operare, mentre ancor, non udisti se giovi tener discorso di ci che si ha a fare. Io certamente penso che debbasi all' intutto perder ViteHio, sapendo il detestabil uomo eh' egli , e lordo d* ogni infamia. Ma so parimenti che tu sei saggio, e per generosa indole chiaro, e penso che a ,te nullamente convenga il provocar le censure sui fatti di Vitellio , e spetti anzi alla tua grandezza lo ignorarli. Quanto sia contrario alla legge il principato di un solo sopra il genere umano, non fa d'uopo che da me tu I n te n d a , avendolo dimostrato tu stesso. Vorrei per ch^ tu considerassi, che un giovine, il quale invada il principato, fa cosa adatta all'et sua; perocch 1' aspi rare al dominio s naturale alla giovent, come 1' amare i piaceri ed il vino; ed un giovine che il prin cipato si prenda non riguardato per malvagio, a meno che, oltre l'usurpazion del potere, non sia anche omi cida , crudele, e lascivo. Ma se chi aspira al trono di gi vecchio, la prima sua colpa gi quella di avervi aspirato. E bench si mostri sommamente benigno, ed osservatore di quanto conviene, non a lui, ma alla matura et sua, ne danno gli uomini il merito. Oltre a ci parr avervi egli ambito da giovine, senza poterne venir a capo; e la non riuscita si attribuir o a nemica fortuna, ovvero a suo timore. Si osservi che alcuni, diffidando della pro pria fortuna, trascuraron quel trono al quale appetivano, ed altri che gi il tenevano lo rinunziarono, temendo di esso quanto di un gagliardo avversario. Ma lasciamo quello che riguarda la non propizia fortuna. Come schi verai tu la taccia di timido? (e sai che il timido con

LIBRO V. syp siderato come il pi vile di tutti) massimamente coll'aver mostrato di aver temuto Nerone? Quello che os Vindice a danno di lu i, a te primamente si apporr. Perocch tu comandavi un esercito, e le troppe che contra i Giudei tu conducevi erano pi adatte ad assumersi la punizione di Nerone $ tanto pi che i Giudei erano da gran tempo stranieri, non ai Romani soltanto, ma a tutto il genere umano $ giacch uomini i quali trova rono una maniera di vivere del tutto separata dagli al tri, ed a cui non lice aver comuni col resto degli uo mini n la mensa, n le libazioni, n le preci, n i sacriRzj (:), costoro sono a noi pi stranieri, che non quelli di Susa, o di Battro, o gli Indiani ancor pi re moti. Non era dunque indispensabile il punire costoro, che ci sono stranieri, e che nemmeno importava di ren der soggetti. Laddove chi, giusta il voto generale, non avrebbe voluto uccidere di propria mano Nerone, non d' altro sitibondo che di umano sangue, e cantante in mezzo alle stragi ? Io perci tenni teso T orecchio a quanto l fama di te spargeva, e quante volte alcuno da que' paesi arrivava, e diceva che avevi ucciso trenta mila Giudei, e di nuovo nella seguente battaglia cin quanta mila, io traendolo in disparte gli chiedeva: Che fa egli quel prode? Perch non si mette a maggiore im presa? Ora per, che riguardi Vitellio come una efEgie di Nerone , e che a lui movi guerra, compisci 1 ' opra , essendo anch'essa lodevole. Compiuta che l'abbi, ecco
(!) Tacito nei v delie dro de* Giudei di quei secolo. c! (a press'a poco Io stesso qua

180 VITA DLAPOLLONIO TIANEO in qua! guisa hanno a disporsi le cose: I Romani prefe riscono di molto lo stato popolare, perch la maggior parte delle ricchezze loro sotto cotesta forma di repub blica acquistarono. Abolisci adunque il principato, di cui tanto parlasti, e rendi ai Romani la podest popo lare , e a te la gloria della restituitagli libert. XXXIV. Mentre cosi favellava Eufrate, Apollonio veggendo che Dione alla opinione di esso aderiva, co me il mostravano i gesti e gli encomj c' quali ne ac compagnava il discorso, gli disse : Dione adunque aggiugner egli cosa alcuna alle gi dette? Si per Giove, ei rispose, parte in favore e parte in contrario. Che me glio saria stato distrugger Nerone che i Giudei soggio gare, anche mio avviso. Tu per intanto speravi che la tua impresa valesse a non indebolire le forze di Ne rone; perocch uno che in tale fazione acquet i tu multi , accrbbe anche le forze di lui contro tutti co loro sui quali malvagiamente regnava. Lodo per la tua guerra contra Vitellio, stimando io maggior merito lo impedire una tirannide, mentr'ella nasce, che il distrug gerne una gi stabilita. Il popolar governo della repub blica io parimenti am o, perch sebbene cotesta forma di governo stia al di sotto di quella degli ottimati, pure i pi saggi la preferiscono sempre al dominio di un solo o di pochi. Ma temo che i Romani, gi usi all'impero di uno, rendano diffcile cotal cambiamento, e non al trimenti viver possano in libert e alzare Io sguardo al popolare governo; di coloro che dalle tenebre passano repentinamente ad una somma luce. mio avviso per tanto che debbasi cacciar Vitellio dalla suprema ammi-

LIBRO V. *8 t nitrazione , e quanto pi presto e pi ben possa (arsi, si (accia. Stimo eziandio che tutti i preparativi delia guerra si allestiscano, e che a colui non guerra ma morte si intimi, ove tosto non rinunzii all' impero. Quando poi tu l 'abbi superato, e ci con poca fatica penso che otterrai, permetti ai Romani !a facolt di elegger essi il governo della repubblica. Che se eleg gano il popolare, concedilo, perch ci ti sar pi glo rioso di molti regni e di molte vittorie olimpiche, e in ogni parte della intera citt ti si alzeranno monumenti, in ogni luogo avrai statue, e a noi porgerai argomento di tai panegirici, che mai non ebbero n Armodio, n Aristogitone. Se poi sceglieranno il principato, a chi pi volentieri che a te decreteranno 1 ' imperio ? Perch venuto esso in tue mani, quanto al pubblico conce derai torner a tuo vantaggio pi che ad altrui. XXXV. Ciascun taceva dopo queste parole, e il viso dell' imperatore manifestava la dubbiezza dell' animo suo, imperocch comandando gi egli ed eseguendo da imperadore , que' discorsi parevano distomelo. Allora Apollonio: Mi sembra, disse, che mal procediate, ren dendo l ' imperatore dubbioso in ci, che ha gi stabi lito, e che parliate con fanciullesca e affatto intempestiva loquacit. Se a m e, salito all' autorit che ha egli e consultante sui mezzi di far bene agli uomini, siffatti consigli aveste dato, sortirebbero essi l'effetto corrispon dente, perch le filosofiche sentenze giovano agli udi tori seguaci della filosofa. Ma consigliando un grande ^ gi avvezzo alle magistrature, e a cui, deposto il prin cipato, sovrastarebbe la morte, qual bisogno ci di dis-

a8 i VITA DI APOLLONIO TIANEO putare, quand'egli !a fortuna offertagli nonriRuta, ma gii spontanei suoi doni riceve, e prende consiglio come ne faccia miglior uso? In quella guisa adunque, che veggendo un atleta di gagliardo animo, di alta statura, e di bene proporzionate membra, adatto agli olimpici com battimenti, e gi per l 'Arcadia avviatosi, e che andandog!i incontro lo esortassimo a lottar con valore, e il consigliassimo che ottenuta la vittoria in Olimpia non permettesse al trombetta di dichiararlo vincitore, e non porgesse a! suo capo la corona d' appio, saremo detti fuor di cervello, e dileggiatori delle altrui fatiche; cos considerando l'uomo prode, da quanto numero di astuti sia cinto, da quante splendide armi difeso, quanta ca* valleria lo accompagni; ed oltre a ci di che grand'ani mo sia, e di quanta prudenza dotato, e come sia de gno di ottenere quello eh' ei si propone, lasciamolo ire ove la forza del suo cuore lo spinge, lieti augurj fac ciamogli , e maggiori prosperit promettiamogli. Ma voi neppure avvertiste esser egli padre di dueRgli,gi con dottieri di esercito, i quali, ov' ei non trasmetta loro l'im pero, nimicissimi gli saranno. Che dunque gli ri marrebbe, se non che di essere forzato a mover guerra a!!a propria famiglia? Laddove, assunto il principato, i figli suoi lo onoreranno, ed egli sostegno loro sar, ed essi di lui, e del padre diverranno custodi, non mer cenari , non forzati, n soltanto in apparenza affezio nati, ma congiuntissimi ed amicissimi. A me certamente poco importa, qualunque sia la forma del governo, vi vendo io soggetto soltanto agli iddj; ma non vorrei che per mancanza di giusto e moderato pastore l ' umano

LIBRO V. s83 gregge perisse. E siccome un uomo , illustre per virt, tramuta in modo lo stato popolare d' una repubblica, cbe sembra il governo di un solo ottimo, cos il prin cipato di un solo, che tutto dirige al pubblico bene, diventa uno stato popolare. Tu per , diceva Eufrate, non distruggesti Nerone. L'hai forse distrutto tu, o Eu frate? ovvero Dione ? o io ? Ma nessuno ce ne far col pa, n ci dir poltroni, bench, avendo altri filosofi ro vesciato innumerevoli tirannie, noi non abbiamo que sta gloria di aver procurata ad altri la libert. Nondi meno , rispetto a me , io pure scesi in campo contra Nerone, quando venni iniquissimamente di molte colpe accusato, e alla presenza dello sceleratissimo Tigellino mi opposi. E a Neron pure feci guerra con gli aiuti eh' io diedi a Vindice in Ispagna. Non per questo di* r di aver io cacciato i! tiranno, n voi chiamer pi deboli di quel che convenga a filosofi, perch noi cac ciaste. Ben lice al filosofo proferire ci che in mente gli viene, ma dee guardarsi, a mio avviso, Che nulla dica senza prudenza e fuor di ragione. Nel consigliar dun que un grande, il qual medita la ruina di un tiranno, fa d'uopo prima di tutto che il consiglio sia preciso, ac ci egli ne aflerri tostamente 1' oggetto, e poi che il pretesto sia conveniente, acci non paia uno spergiuro. Perch s'ei vuole mover l'arm i contro colui, che gli afEd un esercito, e a cui giur di suggerire e di fare quanto gli fosse giovevole, forza che cominci dall'iscusarsi presso gli iddj, e sciorsi col consenso loro dal giu ramento. Ha poi bisogno di molti amici, perocch tali cose non s'intraprendono senza scorta e sicurezza, e

384 V IT A DI APOLLONIO TIANEO di ampie ricchezze, onde conciliarsi i potenti, massi mamente attaccando un uomo che le ricchezze dell' in tero mondo possiede. E tutto ci quanto ritardo, quanto tempo esige? Ma intorno a ci voi a piacer vostro pen sate; e noi non torremo ad esaminare quello, che eg!i da un pezzo ha fisso nell' animo, e cui la fortuna, sen za pur faticare, seconda. Che direte per dell' altro caso? cio che quegli che ieri fu imperadore, e che nei templi di queste citt venne incoronato, e che tanto splendidamente e liheralmente amministra la giustizia verso i popoli, sia oggi dal pubblico trombettiere, se condo voi, denunziato che vuol vivere privatamente, come colui che avesse preso l ' imperio con leggerezza e da sconsigliato ? Siccome adunque , conducendo egli ad effetto il suo proponimento, quelli, ai quali il pensier suo confid, suoi fedelissimi guardiani divepteranno, cos se si risolvesse di cangiar pensiero gli diverrebbe nemico ciascuno, in cui mostrasse in avvenire non aver pi fiducia. XXXVI. Grate riuscirono all' imperadore queste pa role , e disse : Se tu abitassi nell' anima m ia, appena potuto avresti s chiaro esprimere quello eh' io penso. A te dunque mi attengo, imperocch reputo divino tutto ci che tu dici. Insegnami ora cosa convenga ad un principe buono. Apollonio allora rispose : Tu mi chiedi cosa , o imperadore , che io non so insegnare ; perocch la scienza del regnare bens la maggiore che sia tra gli uomini, ma non pu essere insegnata. Dir nondimeno ci , che io credo che sia ben fatto , ove tu il faccia. Abbi conto delle ricchezze ; non di

LIBRO V. *85 quelle che ti conservano riposte, perch coteste som esse altro che sabbia ammucchiata qua e l? (:) n di quelle che provengono dal pagamento de' tributi, ac compagnato dalle tristi querele degli uomini, perocch bratto ed oscuro l'oro che vien dalle lagrime. Le ric chezze all' incontro benissimo pi che altro principe userai, soccorrendo con esse i bisognosi, e lasciando che i ricchi godano in sicurezza quanto posseggono. Guarda di crederti lecito quel che ti piace, e cos pi moderato sarai. Le spiche pi alte e pi sovrastanti non ti curar di abbattere, essendo su ci iniqua la dot" trina di Aristotele (2), ma piuttosto leva di mezzo le indocili maniere, come levasi il lollio dalle biade. A quelli per che macchinano nuove cose mostrati terribile, non col punire ma col minacciar di punire. Riconosci tu stesso, o imperadre, per sovrana la legge, peroc ch pi mite sarai nell'emanar le-tue leggi, se tu pri mo le osserverai. Ora pi che innanzi venera gli iddj, e poi che da essi grandi cose ottenesti, di grandi cose li prega. In ci che appartiene all* impero, comportati da principe $ in quello che spetta al tuo corpo, da privato. Ti consigler io di aver in odio il giuoco de' dadi, l'eb(:) Gli scrittori romani accasano Vespasiano che inclinasse all'a varizia ; e convien dire che cosi fosse, poich Apollonio per pri mo consiglio gli suggerisce il retto uso delle ricchezze. Vedemmo per che anche a Bardane di Babilonia manifest eguali senti menti ; imperocch era d'avviso che i monarchi debbano sem pre mostrarsi splendidi e generosi. (2 ) Nei libri m e v della , dove pone questo mal con siglio in bocca a Periandro.

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VITA DI APOLLONIO TIANEO

briet, e gli amori, sapendo ohe anche da giovine te ne astenesti ? Dne figli tu h ai, o imperadore, di generosa indole, per quanto si dice. Questi raffrena pi che gii altri tutti, perch se essi alcuna mala azion commettessero, a te ne verrebbe il biasimo : anzi valiti con essi della minaccia, che non lascerai loro il principato, se non continueranno ad esser buoni ed onesti, acci non credano che il trono sia una sostanza ereditaria , ma bens premio delle virt. I piaceri che in Roma sono quasi cittadinati (e molti sono), vanno a parer mio lentamente diminuiti, essendo assai difficile il ridurre un popolo a vita molto moderata. Bisogna a poco a poco istil lare negli animi la mediocrit, alcuni viz{ correggendo apertamente, altri senza che se n' avvedano* Leviamo eziandio la superbia e il lusso de' liberti e de' servi, che il principato ti procura, avvezzandoli a vivere tanto pi sommessi, quanto pi alto il signor loro. Che altro resta, fuorch di parlar de' ministri, che vanno a go vernar le provincie? Non gi di quelli, che tu man derai da tua posta, perocch le magistrature tu le da rai sempre agli ottimi, ma s di quelli cui Verr asse gnata la provincia dalla sorte (3). Tra essi dico aversi
( 1) Allorch Augusto fece il riparto delle provincie, parecchie c !e pi importanti ritenne per se, le altre lasci al Senato. Nelle prime inviava egli a governarle i presidi, detti dai giuristi e dalle lapidi Legati d'Augusto propretori ; le seconde erano go vernate dai proconsoli eletti dal Senato. Cos insegnano Dione, Strabone e tutti gli eruditi nelle romane antichit. (3) Dopo Augusto, la mala amministrazione delle provincie cpHjo/gr* determin gli imperadori a destinarvi di propria autorit

LIBRO V. a8 y a mandar quelli che adatti sono ai popoli, toccati loro in sorte, per quanto possibile, cio che i dotti nella lingua greca i Greci presiedano, e quelli che parlano romano reggano chi della stessa lingua fa uso. E dir d'onde questo pensiero mi sia venuto. Mentr' io viag giava per il Peloponneso, era in Grecia prefetto uno, che il greco idioma ignorava, n i Greci intendevano lui. Spesso adunque o si ingannava, o era ingannato, perocch gli assessori e coloro che facen parte ne* con* sigli giudiziali facean trafHco della giustizia, e al pre fetto ponean mente quanto ad un servo. Queste, o imperadore, sono le cose che per ggi mi si affacciano; se altro verrammi in pensiero noi ci troveremo insieme di bel nuovo. Ora attendi agli aflari della repubblica, acci non credano i tuoi sudditi che tu stia ozioso pi che non conviene. XXXVII. Eufrate allora : Io pu re, disse, a quanto si detto acconsento. E che altro potrei fare dopo che han parlato i maestri? (:) Aggiugnet tuttavia quello che si lasciato indietro. Proteggi ed am a, o imperadore , quella filosofa , che si accorda colla natura , e guardati da quella che si vanta d* aver commercio con gli iddj. Coloro che tante e non sane cose di Dio si fi gurano , ci empiona di un vano orgoglio. Queste pai presidenti, e perch non ne fosse del tutto escluso il Senato , mandavano a lui l'elenco de'candidati da essi stabiliti, e il Senato per lo pi ne traeva a sorte il magistrato che gli occorreva di nominare. (t) Costui palpa Dione ed Apollonio, chiamandoli maestri ; ma vedremo frappoco come di traverso combatte l'opinione del Tiaaeo.

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VITA DI APOLLONIO TIANEO

rote eran dette contra Apollonio ; il quale , non dan dovi retta, partissi coi compagni, giacch finito aveva di ragionare. Disponendosi quindi Evirate a morderlo pi arditamente, 1' imperadore che se ne accorse Io in terruppe, e disse: Introducete coloro cui fa bisogno di presentarsi al magistrato, e il consiglio riprenda la sua forma (*). E cos Eufrate per la sua imprudenza nocque a s medesimo, poich l ' imperadore conobbe eh' egli era invidioso e maldicente, e che quando disput in favore dello stato popolare, noi fece per intimo convin cimento , ma per contraddire a ci che Apollonio avea stabilito intorno all' imperio. Non per questo l ' impera dore lo rispinse del tu tto , n gli mostr d'esserne adi rato. Cos pure non lod Dione, che il parer d'Eufrate seguiva, ma non lasci di amarlo. Imperocch nelle sue dispute era grazioso , astenevasi dalle contese, e una cotale amenit ne'suoi discorsi spargeva, come i pro fumi nel tempo de' sagriBzj ; oltre a ci sapeva meglio che nessuno parlare all'improvviso. L'imperadore per non solo amava Apollonio , ma in certo modo pendea da lui, sia che gli antichi fatti esponesse, o dell'india no Fraote parlasse, o i Rumi descrivesse e le belve che nell'india si trovano, ovvero annunziasse quanto presa givano gli dii circa l ' imperio. Composti e rassettati gli affari dell' Egitto, e stando per partirne l ' imperadore ,
(:) Aveva gi pronti Vespasiano i suoi consiglieri di Stato , e questo abboccamento coi filosofi non ad altro intese, che a sod disfazione del suo proprio giudizio, ed a tranquillare il suo spi rito.

LIBRO V. 189 volle aver seco Apollonio, ma egli se ne ricus, dicen do non aver per anco girato tutto l'Egitto, n conver sato coi GinnosoRsti, e ardentemente desiderare di far confronto della sapienza egizia con la indiana, n ( sog giungeva ) ho per anco bevuto alle fonti del Nilo. Uden do adunque l 'imperadre, eh' ei meditava di andare in Etiopia, gli disse: Ti ricorderai qualche volta di noi ? S per Giove , ei cispose, purch tu continui ad essere un buono imperadre , e di te medesimo ti rieordi. XXXVIII. Dopo ci, e celebrati nel tempio i sacriSzj, l'imperadore gli (liede pubblicamente la facolt di chie dergli i doni, ed egli, quasi in aria di chiedere: Quai doni adunque, disse, o imperador, mi darai ? Cui l ' altro ri spose : Dieci per ora, ma quando a Roma verrai tutto quello che ho. Soggiunse allora Apollonio: Giovami dun que risparmiare le cose tue al pari che le mie , e non dissiparle altrimenti, giacch son tutte riserbate per me. Egli meglio, o imperatore, che tu prenda pensier di costoro, i quali ne paiono bisognevoli, e accenn con la mano Eufrate co' di lui seguaci. Ad essi pertanto l ' imperadre impose, che dimandassero francamente. Dione allra arrossendo: Vorrei, disse, che meco riconcialiassi il maestro ApoHonio, al quale osai contraddire, mentre per lo addietro non ebbi mai con esso lui veru na dispula. Ci l'imperador commendando: Sin da ieri, disse, io nel richiesi ed ottenni, ora chiedi qual dono vuoi. Alloca Dione cos seguit : Lastene nativo di Apamea, oriundo della Bitinia, che insieme con me profess filosofa, invaghissi poscia del saio e della vita militare.
JFlfUMriMri, fO/72. 7. !Q

ago VITA DI APOLLONIO TIANEO Siccome dcesi che di nuovo ei brami i! manteHo (t), ti prego volergli accordare il congedo; e so eh' ei pure lo cerca. A me farai grazia, acci mi riesca farlo un uomo dabbene: a lu i, acci viver possa a suo modo. Disse al lora l 'imperadore: Sia tosto sciolto dalla milizia, e gli si dia quanto uso di dare agli emeriti, giacch egli ami co tuo e della R!oso6a (3). Dopo ci si volse ad Eufrate, il quale teneva scritto in un foglio le cose che invocava e il present, perch il solo imperador Io leggesse. Ma l 'imperadore volendo oflerire questa occasione ad Apol lonio di parlargli contro, lesse il foglio alla presenza di tutti. E si vide che Eufrate chiedeva s per s come pe' suoi, e i doni chiesti erano di danaro, o di mezzi atti a far danaro. Di che Apollonio ridendo: Come va, disse, che tu hai tanto arringato in favore de! governo popo lare , mentre eri per chiedere cotanti doni all' impera dore? Queste sono le parole, le quali trovo aver cagio nato la discordia che fu poi tra Apollonio ed Eufrate. XXXIX. Quando l ' imperadore partito fu dall'Egitto; essi attaccaronsi apertamente, Eufrate per senza rispar mio di sdegno e di ingiurie, ed Apollonio con ragioni e con pi filosofale contegno. Ma ci eh' egli in Eufrate riprese come contrario alla dignit della filosofia, giova sapere dallo stesso Apollonio nelle lettere eh' ei scrisse
(!) ! 6!oso6, come vedemmo in pi luoghi, vestivano il pgf# 0 , cio un ungo mantello. (3) Al soldato, che cercava la missione, ossia il congedo, pri ma che Unissero gli anni di servizio stabiliti, non accordavasi emolumento veruno, bens agii emeriti, cio a quelli che avean servito dieci anni nelle truppe ordinarie o sedici ne'pretoriani.

LIBRO V. 291 ad Eufrate, e quali son molte^ Ed 10 debbo costui dis velare , non perch mi proponga vituperarlo, ma per esporre a chi la ignora la vita di Apollomo. Quanto a ci che si dice de! !egoo ( e consta che Eufrate nel calor della disputa ne minacci Apollonio, ch'ei per non ard mandar via), molti TattribuisCono all'autorit di co lui, a! quale si faceano le dimande^ m aL io l'ascrivo alla ragione di quello che ne fu minacciato, con la quale si mostr superiore allo sdegno, che oramai avea vinto (:). XL. Ma la filosofia di Dione pareva ad Apollonio troppo fiorita e pi del convenevole tendente al piacere degli ascoltanti. Di che rimproverandolo gli disse : ZMt?e cetra jfh , e woyt ^J E nelle epistole che a lui diresse pi folte il riprese di cotesti popolari lisciamenti (a). XLI. Per qual cagione Apollonio non andasse a Ro(1) questo uno de* pi oscuri passi del presente libro. In che consistesse la pena minacciata del legno sarebbe troppo lun go, e forse inutile , l 'investigare. Ma qui sembra che anche !' im peradore se ne accagioni, forse indispettito del rifiuto di Apollo nio di seguirlo. un* acuta riflession di Filostrato (a parer mio ) quella di ascrivere la minaccia di siffatta pena alla ragione di Apollonio ; quasi dicendo che in faccia ai potenti spesso un ma lanno l*aver ragione. Ma Apollonio un alla ragion la pazienza, vinse lo sdegno del possente Eufrate, e schiv Tonta che costui meditava di fargli. (2) Dione venne per ci appunto sornomato (7/w<M(on:o per la molta sua eleganza di parlare. Scrisse un Trattato, Zh? co/nae , dice Aimerichio ; e ci stesso ci induce a credere che fosse un uomo alquanto e Seminato. Le parole qui riferite di Apol lonio si trovano nella nona delle sue lettere.

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VITA DI APOLLONIO TIANEO

ma , n pi con l'imperador favellasse dopo gli abboc camenti avuti in Egitto, bench invitato ne fosse, e che perci molte lettere ei gli scrivesse, ora manifester. Ne rone aveva accordata la libert alla Grecia , operando pi splendidamente che i suoi costumi non comporta vano, e le citt erano tornate alle maniere attiche e do riche , e tutto vi rifioriva, stando le citt in concordia fra loro, cosa che mai per Io passato avea la Grecia ot tenuto (i). Ma Vespasiano col passando ne la priv, col pretesto di sedizioni e d'altro, che tanto sdegno non meritava. Ci dunque, non a coloro soltanto, che ne eran vittime, ma anche ad Apollonio parve troppo pi grave di quello, che l'indole di un giusto imperio chie desse. Laonde le seguenti lettere scrisse all'imperadore.

wnperat&re ya/afe.
Tu hai ridotta la Grecia in servit, per quanto fa ma , e stimi aver cos fatto un po' pi di Serse ; ma non senti che ti sei reso inferiore a Nerone; perciocch Nerone, che n' era in possesso, la rinunzi (a). Sta sano. meifeMmo. Essendo tu s nemico de'G reci, che di liberi li hai
()) Ci accadde Tanno 67 , come da pi scrittori s raccoglie. (2) Mal sofferse ApoHonio che Vespasiano in questo affare si manifestasse men generoso di Nerone, e la superbia di Serse imi tasse.

LIBRO V. 293 fatti schiavi , qual bisogno hai della mia conversazione? Sta sano.

Nerone fra i giuochi fece liberi i Greci (i), e tu ope rando seriamente li ponesti in servit. Sta sano. Questo il motivo che rese Vespasiano odioso ad Apollonio. Informato per che in tutto il resto egli am ministrava assai bene la cosa pubblica, palesemente se ne allegr, e gli parve quasi che a lui pure ne derivasse qualche vantaggio. XLII. Tra le cose mirabili che accaddero ad Apollonio in Egitto pur la seguente. Un tale conduceva un lion mansueto con una coreggia a guisa di cane, e il lione faceva festa non solo a chi lo guidava, ma a chiunque gli andava appresso. Percorreva cos molti paesi, ed an che entrava con esso nei templi, essendo animai puro. Imperocch n il sangue delle vittime leccava, n le scorticate e in pezzi tagliate carni delle ostie prendeva, ma di melate focacce e di pane si dilettava, e delle cose che portansi alle seconde mense, e di carni cotte. Fu pur veduto a ber vino, e tuttavia serbare l ' antico costume. Venuto adunque il lione innanzi ad Apollonio, che nel tempio sedeva, e ginocchioni ver lui dolcemente
(:) La libert da Nerone accordata alla Grecia nell' anno so vrindicato probabilmente dovuta al piacere ch'egli ebbe di avere concorso ai celebri giuochi di essa e averne riportato tre corone, come (u detto di sopra.

394 VITA DI APOLLONIO TIANEO gagnolando il venerava pi che nessun altro mortale, aspettandone qualche mercede, come stimarono quasi tutti i circostanti. ApoHonio allora : Questo lione, dis se, ha bisogno di me, perch io vi informi di qual uomo chiuda in s l'anima. Egli adunque quell'Amasi, della prefettura saitica, il qual fu re d'Egitto (i). Queste pa role udendo il lione, miseramente e lamentevolmente fre mette , e colle ginocchia piegate url ed anche pianse. ApoHonio pertanto accarezzandolo : Io penso, disse , che questo lione debba mandarsi a Leontopoli (2), ed ivi collocarlo nel tempio ; parendomi una indegnit che un re, trasformato meglio che gli altri in belva reale, deb ba cos gironzare a guisa de'mendicanti. Adunatisi quin di i sacerdoti, celebrarono i sacriRzj per Amasi, e nell ' interno dell' Egitto spediron la bestia di collane c o g nata e di ghirlande, accompagnandola a suon di flauti, e carmi ed inni in onor suo recitando (3). XLIII. Abbondevolmente trattenutosi in Alessaudria,
( 1) Appartenne, giusta Manetone, alla dinastia i v i , e fu na tivo di Sais. (3) Di questa citt vedi Strabone , lib. XVH, e Plinio , lib. v. (5) La scienza simbolica , sacra per gli Egiziani, accordavasi co'principj Religiosi de'pittagorici, che di pubblico culto onoravano non meno gH dii che gli eroi. Amasi, posto ne! numero di que sti , per la sua magnanimit e clemenza non poteva meglio che dal lione simboleggiarsi. Quanto a mandarlo a Leontopoli, ci dal solo nome della citt pu essere cagionato, perch essendovi in Egitto Licopoli, cio la citt de' lupi, simbolo del dio Apollo, Cinopoli (citt del cane) simbolo di Mercurio e simili, cosi Leontopoli (citt del leone) simbolo di potenza e di superiorit, doveva essere l'asilo di quel rispettato animale.

LIBRO V. 195 incamminossi per 1 ' alto Egitto e per I' Etiopia ^ onde parlare co'GinnosoRsti. Lasciovvi per Menippo , per essere un di coloro, che gi sapevano sostenere pubbli camente una disputa, ed era libero parlatore, e perch tenesse d'occhio Eu&ate. Distolse pure Dioscoride dal seguirlo, veggendolo di poco gagliarda costituzione per sostenere il cammino. Convocati poi tutti gli altri ( pe rocch, dopo coloro che abbandonato lo avevano ad Aricia (:), pi altri si eran posti a) suo seguito), par tecip loro il viaggio, cominciando in questo modo: Di un proemio olimpico ho d'uopo, o uomini, presso voi; ed il proemio olimpico press' a poco cos. Gli Elies i, quando s' appressa il tempo de' giuochi olimpici, esercitano gli atleti per trenta giorni nella stessa citt loro di Elide ; poscia congregandoli, o il Dello, se i giuochi pitii h annosi a celebrare, o il Corinzio se gli istmici, cos !or dicono : eccow dinnanzi & ? jfaJio; Jiporiaieyi J a HomMM, ofegn:' de//a fMtorta. Gli Eliesi pa rimenti , quando arrivano ad Olimpia dicono ai loro atleti : < 5e w Ji'efe Jzporfaf/ ^ coMcor^o 0//wp:ay e nu//a operajfe w/wentc o , an Jate yrancAi / jg poi &ene ejerczfafz, ^a^a c/ajcMro g/* p/ace. Intesero n discepoli quel che lignificavano cotai parole y e circa venti di loro restaronsi con Menippo; gli altri poi in numero, per quanto io s , di dieci, fatte lor preci agli iddj, e celebrati sacriRzj, come si usa pel felice successo
(<) All* occasione che and a Rom a, come si veduto ai $ xxxv: del lib. iv.

VITA DI APOLLONIO TIANEO, LIBRO V. d una navigazione , montati sui camelli, avviaronsi per la via retta verso le piramidi, tenendosi a mano di ritta il Nilo. Di quando in quando imbarcavansi pure sul Rume, per tutto vedere quel che vi fosse. DiHatto n citt, n tempio, n cappella veruna, che in Egitto si trovi, trapassarono taciturni, ma in ciascun luogo o essi le sacre dottrine udivano , o ad altri le comunicavano. La nave nella quale entrato era Apollonio rassomiglia va ad una nave parlamentaria.
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DELLA VITA

DI APOLLONIO TIANEO

/J M O .SESTO.

I. LyCCUPA 1' Etiopia la massima parte dell' Occidental como di tutta la terra che sotto il sole, come l ' In dia ne occupa 1' orientale. ConRnante all'Egitto dalla parte del Meroe (*), e stendentesi ai Ranchi della inco gnita Libia (2) e altrove, Rnisce al mare, che i poeti chiamano Oceano (3), dando essi tal nome a tutto quello che circonda la terra. Essa d all' Egitto il Rume Ni!o, il qual principiando dai Catadupi, e tutto l'Egitto al lagando , dall' Etiopia deriva. Se la grandezza ne os(!) Da che gii Etiopi si estesero nell' Egitto , questo non pi ae Catadupe, come si vide ne! lib. m , x x , ma a! Meroe terminava. (a) Incognita, cio deserta. (5) L'Oceano occidentale.

VITA DI APOLLONIO TIANEO servi , questa regione non merita d ' essere paragonata all' India, n a verun'altra terra del continente fra queHe che son celebrate dag!i uomini. Che se anche l'intero Egitto all' Etiopia aggiungiamo ( locch stimiamo esser latto dal Nilo (*) ) y non agguagliano ambedue P India, ove a questa ampia regione si comparino. I Rumi di en trambe per sembreranno simili a chi paragonar voglia tra loro ci che PIndo e il Nilo presentano (a). Impe rocch entrambi innondano la terra che li contiene in quella s ta g io n e d ell'an n O y in cui la terra ne ha pi biso gno; e sono essi i soli Rumi, che olirono i coccodrilli ed il cavallo acquatico. Simile parimenti presso entrambi il rito delle Orgie y e molti di que'sacrifcj che su!P In d o si (anno y anche sul Nilo son celebrati. Testimoni altres della simiglianza delle due terre sono gli aromati che trovansi in ambedue y e i! sono i lioni, e P elefan te y il quale preso si accostuma nell'una e nell'altra a!la servit. Alimentano eziandio Bere, che nessuna altra terra hay ed uomini neriy che nessun'altra regione pro duce. Ivi pure son le famiglie de'pigmei y e , in altra parte y degli abbaiatori (3)y e pi altre maraviglie sif&tte. I grifoni per degli Indiani y e le formiche degli Etiopi bench dissimili nella forma y son simili y per quanto dicesiy nelle loro tendenze, narrandosi che in ambi i luoghi custodiscono I' oro , essendo affezionati a quei
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(t) Per la ragione che questo fiume scorre in ambe le regioni. (a) Un egual paragone tra l 'Indo e il Nilo si veduto nel lib. H , { xvnn (5) Intende de'cinocefali, di cui si parl nel lib .m , x*v.

LIBRO VI. 299 terreni che d'oro abbondano (;). Ma d ci sa detto abbastanza ; e torni la narrazon nostra al suo propo sito , e noi seguitiamo da vicino il nostr' uomo. II. Giunto egli pertanto ai confini dell' Egitto e del1' Etiopia, nel luogo che chiamano Sicamino (a), trov oro non coniato, e lino, ed avorio, e radici di erbe, ed anche unguenti ed aromati ; le quali cose tutte giaceva no senza guardiano alcuno, in uno spazio cui facean capo quattro strade. Cosa ci significhi dichiarer, giac ch ne dura anche ai d nostri 1' usanza. Formano gii Etiopi una Cera di tutto quello che 1' Etiopia produce, e coloro che le raccolgono accumulano in un medesi mo luogo coteste merci d' ogni genere, insieme a quelle di egual prezzo , che vi portano gli Egiziani, e vendo no loro le cose che ad essi abbondano e a questi man cano (3). Gli abitanti de' luoghi di confine dell' una e dell'altra regione, non son ancor neri all' intutto , ma traggono il colore dall'un popolo e dall'altro; cio sono un po' meno neri che gH Etiopi, e un poco pi che gli Egizj. Quando Apollonio ebbe intesa cotesta pratica di mercanteggiare, andava dicendo : I nostri buoni Greci, se da un soldo non lucrano un soldo , e se non danno
(t) Le formiche indiane scavatrici dell'oro sono rammentate da Erodoto, da Strabone, da Arriano, da Plinio, da Eliano, da Mela, da Clemente Alessandrino, ecc. (a) Tolomeo pone questa citt dopo Tebe ed Eleuzia. (3) Altri esempi ci offre l'antichit di simil maniera di com merciare tra le nazioni confinanti. Illustre soprattutto, e affatto so migliante a questo riferito da Filostrato , quello dei Seri, di cui parla il Mela nel lib. n i, cap. vn.

3oo VITA DI APOLLONIO TIANEO ess! stessi un prezzo iniquo aMe merci loro , esercitan do un sordido trafEco, e quelle gelosamente custoden do , dicono di non poter vivere. E ci fanno, 1' uno perch vede gi nubile !a figlia , l'altro il figlio gi ar rivato alla virilit, questi per mettere insieme la som ma della contribuzione, quegli per fabbricare una casa, e alcuno finalmente.perch unmercadante dee vergo gnarsi di essere inferior di ricchezze al suo compare. Ben meglio andrebbe il mondo, se in nessun pregio si tenessero le ricchezze , perocch fiorirebbe 1' egua glianza , 77 neroyrro gMicereMe inerte, (t) essendo gli uomini tra loro concordi, ed ogni terra parrebbe un paese medesimo. III. Di ci favellando ApoHonio, e secondo il suo so lito prendendo occasione dalla qualit del tempo a con tinuare i discorsi, arriv alla prefettura di Memnone. Avea per guida un giovinetto egizio, del quale scrive Damide le seguenti notizie. Timasione, era il nome del giovinetto, gi usciva di adolescenza, ed era di bellissime forme. Essendo castissimo di costumi, la matrigna, di lui innamorata , gli divent nemica, c lo sdegno del padre gli provoc. Non gli diede per le colpe , di cui si valse gi Fedra, ma Io accus di femminile sommis sione , e che dei maschi, dai quali era amato, si dilet tasse pi che delle femmine. Egli adunque ne'contorni di Memfi abitava; ed ivi comperata una meschina bar() Verso di Esiodo.

LIBRO VI. 3o! chetta, faceva il barcaiuolo sul Nilo. Veggendo egli Apollonio nella nave che il Rume saliva, mentr'ei ne scendeva , cap essere quella nave piena di sapienti, congetturandolo dai loro mantelli e dai libri che stavan leggendo , e preg che a lui purey di sapienza deside roso y concedessero di navigare insieme. Disse allora Apollonio : Questi y o compagni, un buon ragazzo , accontentiamolo adunque di ci ch'ei dimanda, e a quelli fra essi che gli sedean pi vicini raccont a bassa voce la storia della matrigna, mentre il giovinetto stava ancora co' remi appressandosi. Tosto poi ebe le barche furon congiunte y Timasione y dette alcune cose a! go vernatore della sua barca rispetto al carico, poi saltato nell' altra, tutti salut. Apollonio trattenutolo innanzi a se : Giovine egizio, gli disse ( poich di questo paese mi sembri) narra quel che di bene e di male hai fatto, acci di questo a cagion deli' e t , io ti perdoni, e del bene all' incontro ti lodi, e perch meco e con questi coltivar possa la RlosoRa. Veggendo poi che Timasione arrossiva , e la bocca alternativamente componea quan do per dire quando per tacere, insistette nella doman da , come se di lui nulla affatto avesse predetto. Tima sione allora assicuratosi, sciam : O dei, quale dir io di essere ? perocch malvagio non sono, ma neppur s se sia bene il riputarmi buono, perch non nessun merito il non aver fatto nulla di ingiusto. Allora Apol lonio: Deh, disse, tu mi parli, o giovinetto, quasi fossi allievo degli Indiani, poich cos pur sente il divino Iarca (t). Ma tu comcy e da chi ammaestrato, pensi iuta! (') Vedi H $ xxv del !ib. m , e il $ V M det vm.

3o2

VITA DI APOLLONIO TIANEO

guisa? giacch mi pare che ti guardi dall' imbrattarti d a!cUn vizio. Quando poi ebb'egli cominciato a narrare in quai modi la matrigna lo assalisse, e com'egli dall'amor di lei si allontanasse, un clamore si alz, per avere Apollonio le medesime cose divinamente predetto. Che questo, o amici ? riprese Timasion ; le cose che io rac conto tanto sono distanti dal maraviglioso quanto il sono, a creder m io, dal ridicolo. Rispose allora Damide : Di altro noi ci facciamo maraviglia, che tu ancora non sai; ed anche ti commendiamo, o giovinetto, perch stimi non aver con ci fatto nulla di insigne. Apollonio lo in terrog poi: SagriRchi tu a Venere, o giovinetto? Si per Giove, Timasione rispose, ed anche ogni d, pensando io che cotesta dea abbia gran parte s nelle divine ^he nelle umane cose. La qual risposta essendo assai pia ciuta ad Apollonio : Vogliamo , disse, o compagni, di comune assenso accordar a questo giovinetto la coro na, per la di lui temperanza? essendone egli pi degno dello stesso Ippolito Bgliuol di Teseo. Imperocch costui ebbe in disprezzo Venere, e forse perci da venereo af fetto stimolato non e ra , n forse nessuno amoretto coi suoi vezzi il lusing m ai, ma riusc salvatico e rozzo. Ma questi, confessandosi soggetto alla d ea, pur non lasci per nulla commoversi dalla innamorata, ma se ne allontan , temendo lo sdegno della dea stessa, ove da quell'illecito amore non si fosse astenuto. N io lodo qual virt, se alcuno sia d' animo contrario a qualsivo glia d io , come fu Ippolito verso Venere, ma stimo es sere maggior virt l'avere in venerazione tutti gli id d j, segnatamente in Atene, dove trovansi alzate le are an-

LIBRO VI. 3o3 che agli dii ignoti (*). Cos in proposito di Timasione filosof Apollonio, e il nome di Ippolito gli attribu, a cagione degli occhi con cui guard la matrigna. Si not pure aver egli molta cura del corpo, e sapere gra ziosamente esercitarsi di ginnastica. IV. Da lui dunque guidati narrano di esser giunti al luogo sacro a Memnone. E rispetto a Memnone scrive Damide quanto segue; cio ch'egli fu figliuolo dell'Aurora, e che non mor sotto T roia, perch a Troia non and mai, ma bens in Etiopia, dopo avervi regnato per lo spazio di cinque generazioni. Ma perch gli Etiopi vivono pi lungamente degli altri uomini, piangono Memnone e lo deplorano come se fosse giovinetto e da immatura morte venisse rapito. Il luogo poi, dov' egli sepolto, dicono esser simile ad una piazza antica, delle quali piazze rimangono alcune nelle citt altre volte po polose, dove si veggono frammenti di colonne e vestigia di m uri, e sedie, e porte, e statue di Mercurio , parte guaste dagli uomini, parte dal tempo. La statua di Me mnone , volta ai raggi del sole , sbarbata, di pietra n era, con ambi i piedi congiunti, come usava 1' arte statuaria di Dedalo, con le mani drittamente appoggiate alla sedia , quasi in atto di alzarsi in piedi. Decantano pure la forma del suo corpo, il brio degli occhi, e non so che della bocca che par che parli, e dicono che per qualche tempo minor maraviglia ne presero, perocch non ancora era venuta loro sott' occhio la forza che opera sulla statua. La quale tocca dal raggio del soie,
(<) Trovola col anche S. Paolo, come tutti sauno.

3o4 VITA DI APQLLONIO TIANEO a! momento del suo levare, riesci loro a! disopra d' o* gni ammirazione ; perocch appena il raggio le giunse a!!a bocca, mand fora !a voce ; e osservarono pi al legri g!i occhi fissarne la luce, come fanno coloro, cui molto alletta il sole ; e aggiungono avere allora capito perch paia che innanzi al sole s alzi in piedi, come usan coloro che in piedi venerano la divinit. Q u an d 'e b bero adunque sacrificato all'etiopico Sole ed a Meninone eoo () (che cos son que'numi cognominati dai sacer doti, l'uno dallo scaldare ed abbruciare, 1' altro dalla madre .Eoe , cio Aurora ), rimontarono s u i camelli, e verso i GinnosoRsti si incamminarono. V. AbbatterOnsi in un uomo, al quale ( essendo ve stito alla foggia di MemR, e parendo anzi smarrito che un che vada a luogo certo ) Damide richiese chi fosse, e per qual motivo andasse cos errando. Timasione al lora, a me, disse, e non a lui domandatelo ; perch egli non facilmente vi dir ci che gli avvenne, per vergogna della miseria in cui ; ma io che il conosco e il com piango vi esporr tutto ci che a lui concerne. Egli , senza volerlo, ha ucciso un MemRta$ e le leggi di MemR impongono che il reo di omicidio involontario si involi, c presso i GinnosoRsti trattengasi. Che se del suo mis fatto sia purgato, ei pu tornar puro alla patria, pur ch visiti prima il sepolcro dell' ucciso , e un sagriRcio
(!) Troppe sarebbe il notare ci che di Memnone e di questa maravigliosa sua statua si dagli scrittori divulgato. Ne trasmetto perci i curiosi alla grand' opera de! Kirker intitolata 1' fgiz/cco , e pi alla dissertazione del JKfewnone del dottissimo ablonski.

LIBRO VI, 3o5 s faccia, anche di poca spesa. Tutto per que! tempo, ne! qua!e non daiGinnosoRsti assoluto, bisogna ch'ei vada errando per questi lidi, sino a tanto che a!!e pre ghiere di lui non diano retta. Sopra ci Apollonio in terrog Timasione come i GinnosoRsti animati fossero verso quel fuggiasco, ed eg!i : Questo io non s, rispo se ; ben s che gi corre il settimo mese eh' ei va pre gando, n ancora ne ottiene il perdono. Poco saggi uomini !i dimostri, riprese Apollonio, se ricusano di assolver costui, e se non sanno che Filisco, ebe l'uo^ mo da lui ucciso, discende da Tamo egiziano (!),il quate in altri tempi saccheggi i! paese de*GinnosoRsti. Tima sione allora maravigliato: Che d tu? disse; Quello, se guit Apollonio, ch'ei fece in sua giovent. Perocch i GinnosoRsti rimproverarono e trattennero Tamo dal fare in MemR le novit eh' ei macchinava; ed egli impedito dall' opera tutto il paese da essi abitato devast, e fa moso divenne in MemR pe' suoi ladrocini Dalla schiatta di lu i, dopo tredici generazioni, veggo nato l'ora da costui ucciso Filisco, il quale dovrebbe esecrarsi, come chiaro, da quelli, i! cui paese in que' tempi Tamo pose a sacco. E egli dunque un operare da saggio, che colui al quale dovevano una corona offerire, quand'an che l ' avesse ucciso volontariamente, non vogliano essi assolvere di un omicidio involontario, che pur toma a loro vantaggio? Attonito il giovinetto per que! che udi va : E chi sei tu, disse, o ospite? Uno che fra i Ginno() Platone nel F&fn? colloca Tamo fra gli antichissimi re d'E gitto ; e Sincelo aggiugne che venne sbranato da un ippopotamo.

JF/MM rinr/, & M M . /.

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VITA DI APOLLONIO TIANEO

soRsti di qui a poco troverai, rispose Apollonio. E per ch non ancora mi lice parlare ad u n o , che di sangue macchiato, digli, o giovinetto, che stia di buon ani mo , e che in breve otterr l'espiazion del misfatto , purch venga dov' io prender albergo. Andatovi egli, ed Apollonio, eseguito sopra di lui quanto prescrissero Empedocle e Pittagora intorno alle purgazioni delle col pe ( t) , gli comand che partisse, come gi assolto del suo delitto. VI. Tolti di l sul nascer del sole, giunsero a mezzo d alla scuola de' GinnosoRsti. Narrano che cotesti Gin nosoRsti abitano sopra una collinetta non lungi dalle rive del Nilo. Che in sapienza sono essi pi superati dagli Indiani di quel che superino essi gli Egiz}. Che usano lo stesso vestito dei contadini ateniesi. Che poche piante vi ha nel distretto, e un bosco non molto gran de, nel quale convengono per trattare dei comuni inte ressi. Non hanno un solo tempietto , come gli Indiani, ma varj sparsi in altre parti del colle, e con tutta quella cura adorni, che dicesi praticata dagli Egizj. Venerano grandemente il Nilo , da essi creduto terra ed acqua tutt'insieme. Non di casa n di tetto abbisognano, perch vivono a ciel sereno. EdiRcarono per un albergo pe'iorestieri, con picco! portico, simigliante a quei portici degli Elei, dove l ' atleta aspetta sul mezzo d la voce del banditore.
(i) Le purificazioni gi insegnate da Orfeo vennero da Pitta gora rimesse in onore, come narra JambHco neHa vita di lui. Quanto a Empedocle veggansi Laerzio ed Ateneo.

LIBRO VI. 3oy VII. In questo luogo Damide rammenta un fatto di Eufrate, i quale noi crediamo per vero d!re una ra gazzata ed una bassezza affatto sconveniente a chi pro fessa filosofia. Ed , che avendo soventi udito da Apollo nio voler egli confrontare la sapienza degli Indiani con quella degli Egizj, mand certo Trasibu!o di Naucratide ai GinnosoRsti, acci dicesse lor male di Apollonio. Costui dunque disse d' esser ivi andato per brama di conversar seco loro, poi li avverti della venuta del Tianeo , e ci potere ad essi recare non picciol pericolo, stante che meditava alcuna maggior dottrina che quella dei Sapienti indiani, i quali in ogni suo discorso con somme lodi magnificava $ che infiniti argomenti avea preparato contr' essi $ ed esser tal uomo che nulla ac corda n al sole, n al cielo, n alla terra, perch as segna loro a piacer suo movimento, impulso e situa zione (*). Come Trasibulo ebbe siffatte cose esposte e ingrandite , partissene. V ili. I GinnosoRsti, stimando tutto ci vero , non ricusarono apertamente di parlare ad Apollonio, quand'ei fu giunto, ma Rnsero di essere occupati in gravi faccende, cui per allora dovevano interamente attendere: avrebbero per seco lui favellato, tosto che ne avessero agio, e che sapessero quel ch'ei voleva, e cosa andava a cercar loro. Il nunzio che gli mandarono aggiunse che intanto Apollonio co'suoi compagni soggiornasse nel
(n) Certamente Apollonio attribuiva ad un principio unico e supremo il moviment de*corpi celesti, e probabilmente ricono sceva nel sole il centro di tutto il sistema dell* universo, contra l'opinion comune degli altri filosofanti.

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VTA DI APOLLONIO TIANEO

portico. Ma ApoHonio rispose: Non voglio far parla dell' alloggio, perocch questo cielo permette a tutti di starvi ignudi (t) (rinfacciandoli che non per patimento ma per necessit andassero ignudi essi) : quello poi che io voglia, e la causa per cui sia qui venuto , che essi ancora ignorino , non io maraviglia ; gli Indiani per non me ne interrogarono mai (a). Intanto Apollonio co ricatosi all' ombra di un albero diede libert ai compa gni di fare qualunque inchiesta. IX. Damide allora tratto in disparte Timasione gli domand : Codesti GinnosoRsti, amico m io, cosa san no ? perocch egli verosimile che tu abbia conversato con essi. Molte e alte cose , rispose. Nondimeno, o buon nomo, continu Damide, il modo che tengono con noi non da saggi. Che il non voler conferire con tant'uomo intorno alla sapienzay e usar fasto con lui, non so, ami co, altrimenti chiamarlo che orgoglio. Appunto orgoglio, Timasione rispose, e tale che io, che gi due volte qui fui, non ho pi in essi veduto, perch furono sempre umani e graziosi con gli arrivati. E ultimamente, credo cinquanta giorni addietro, qui venne Trasibulo, niente distinto negli studj della sapienza, ed essi lo accolsero umanis simamente ; poich diceva di essere scolaro d' Eufrate. Allora Damide : Che d tu , mio bel giovine ? Il vedest Trasibulo diNaucratide in questa scuola? S i, disse; anzi nel suo ritorno il portai nella mia nave a seconda
(i) A cagione de! gran calore d quel clima. (i) Pemcch larca conobbe ApoHonio a prima vista, e seppe a qual Rne il visitasse , come si Ietto al v del lib m.

LIBRO IV. 309 de! Rume. Ora capisce il tutto, a fe di Minerva! scia m Damide con voce alta e sdegnosa; e, ben pu darsi che qualche frode abbia egli impastata. Interrompendolo qui Timasione : Quest'uomo, disse ( accennando Apol lonio ) , interrogato ieri da me chi fosse, non mi trov degno per anco del suo arcano $ ma tu , se questi non sono misterj, dimmi chi , che forse potr riferirti al cuna cosa atta a scoprir ci che cerchi. Inteso adunque da Damide eh' egli era il Tianeo : O ra , disse, tu sei al fatto. Sappi che Trasibulo, da me gi pel Nilo condot to e richiestogli perch fosse qui venuto, mi disvel i suoi biasimevoli artiRzj, confessando di aver empiuti di sospetto questi GinnosoRsti Contro Apollonio, acci quando fosse qui giunto lo trascurassero. Ignoro non dimeno la cagione per cui gli nemico , ma so che il ricorrere alle calunnie cosa d' animo effemminato, e di nessuna dottrina fornito. Io frattanto andr salu tarli , giacch mi sono am ici, e rilever in qual dispo sizione si trovino. Tornatosene quindi Timasione all'imbrunir della sera, non altro disse ad Apollonio fuorch di averli salutati ; ma avvert Damide segretamente, che all' indomani si sarebbero presentati, pieni per delle cose da Trasibulo udite. In quella sera, dopo aver par lato di cose indifferenti, e non abbastanza degne d'es^ sere descritte, addormentaronsi in quel medesimo luo go, dove aveano cenato. X. Appena fu il d chiaro, fatti i so!iti sacriRcj a! So le, Apollonio stavasi pensoso; quand'ecco avanzar verso lui Nilo, che era i! pi giovine tra i GinnosoRsti, e dir gli: Noi veniamo a te. Non ingiustamente, rispose Apol-

3:o VITA DI APOLLONIO TIANEO ionio, perch io per voi sin dal mare son qui venuto; e cosi detto, seguit Nilo. Incontrati gli altri nella vicinanza del portico e salutatisi a vicenda: Dove, richiese, ci ferme remo noi a parlare? Col, disse Tespesione, e additava il lugo. Era Tespesione tra i GinnosRsti il pi vecchio, e su tutti loro tenea principato. Seguivano essi il vec chio a lento e grave passo, come i greci dottori. Poi che tutti furono cos a caso seduti, perch in ci non osservavano ordine alcuno, ogni sguardo in Tespesione si volse, come al primo che dovea parlare; ed egli cos cominci : fama , o Apollonio , che tu visitasti Delfo ed Olimpia, avendolo a noi riferito Stratocle Favio, che disse averviti veduto. Ed pur fama che quelli che vanno a Delfo vi sono accolti con suoni e canti ed in ni, e con commedie e tragedie festeggiati, cui fanno succedere la lotta de'nudi atleti. In Olimpia per tutti codesti divertimenti vennero tolti, come poco convene voli , e non adatti al luogo, ma si presentano tosto agli stranieri i nudi lottatori, giusta la istituzione di Erco le. Ci sia d^ esempio a te, che sei venuto a paragonare la sapienza degli Indiani con quella, che qui si profes sa; perocch essi, asimiglianza dei DelR, allettano con varie lusinghe gli accorrenti, e noi all'incontro , come in Olimpia, ignudi siamo (i). Qui la terra nessun tap peto ci offre, n ci d latte o vino come ai baccanti, n l'aria dal terren ci solleva ^ ma sulla stessa nuda terra
(i) La sostanza di questo discorso : quanto pi generosi e viriR sono i giuochi d' Olimpia in confronto di queUi di Delio, tanto !a nostra sapienza pi ragguardevole di quella degli In diani.

LIBRO VI. 3n viviamo, da tei ricavando quello che spontaneamente porge, acci lietamente ce! porga, e non contra voglia e forzata (:). Che a noi per non manchi la possa in siffatti arti6 zj, tu il m ostra, o albero (volgendosi ad un olmo , che era il terzo dopo quello sotto cm favellava no ) , e saluta il sapiente ApoHonio. E l ' albero il salut giusta P avuto comando, con voce articolata e femmini le (a). Questo segno Tespesione gli mostr, con animo di nuocere agli Indiani, e sperando che ApoHonio si cambiasse dell' opinione che ne aveva, in caso che egli avesse voluto contrapporre i fatti e i detti degli Indiani. Soggiunse dappoi quanto segue : bastare al sapiente lo astenersi da cibo di cose animate , da cupidigia prove niente dagli occhi , e dalla invidia maestra di ingiuste azioni, e commotrice delle mani e deHa mente ; la ve rit non abbisognare della ostentazin dei miracoli, n dt arte magica. Osserva ( continuava ) il delfico Apollo^ che collocato in mezzo alla Grecia (3), e spande ora coli ; ivi, come tu sai, chi la divina risposta invoca , espone in brevi detti la sua dimanda, e Apollo, senza far pompa di alcun portento, suole manifestar quel che sa; eppure facilissimo a lui sarebbe scuotere tutto il monte Parnaso , e cangiato il Castalio fonte fargli spargere vi(:) Cio per forza di incantesimi, cme era opinione. (a) Porfirio nella vita di Pittagora asserisce che il fiume Cau caso salut con articolate voci quel filosofo. Il buon Filostrato non vuole che al suo ApoHonio manchino iprodigj, di cui ven ne onorato il di lui maestro. (3) Non in mezzo alla Grecia soltanto, ma in mezzo aHa terra pretendevano i Greci che fosse" Pelfo.

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VITA DI APOLLONIO TIANEO

n o , e la corrente del CeRso fermare ; m egli, lontatt d'ogni fasto , la verit sola pronunzia. Per lo che dee credersi che Apollo non ambisca n oro , h tutti quei magnfici doni sacri che veggonsi offerti, n del tempio rallegrisi, quand' anche gli si edificasse maggior del dop* pio che oggi non * E veramente quel dio abit in umil casetta, ed ivi g!i venne costrutta una capannuccia, nella quale fama che le api la cera, e gli uccelli le penne depnessero. In fatti la frugalit maestra della sapienz a , e lo pure della verit, la quale se tu abbraccerai ; messe in dimenticanza le favole degli Indiani, vero sa piente sarai chiamato. Perciocch il dire ./a o non y h , *0 o noM M , cod o non , di qual suono abbisogna? o di quale intonazione di voce, o , che pi, di quale ammirazione dell'animo? Hai tu veduto Ercole tra le pitture di Prodico? come Ercole fanculletto, n ancora certo del modo di vivere , preso per mano dalla malva gia volutt e dalla virt, a se lo traggano? Quella d'oro e di monili adorna, e di purpurea veste, con le guance splendenti, le chiome inanellate e gli occhi dolci dipin ta, e per sino coi calzari d'oro, di che pure fa pompa. La virt Allo incontro ^ simile ad una spossata donna per le fatiche, d' orrido aspetto, portando lo squallore fra le altre donne , co' piedi nudi, e malamente vestita, e farse tutta nuda 1' avrebbe fatta, se non avesse voluto ricordarsi della decenza femminile. Cosi tu, o Apollonio, fa ora conto di stare frammezzo alla filosofa indiana ed alla nostra, e che tu oda dirti da quella, che quando vorrai dormire ti stender uno strato di fior, che ti dar a bevere il latte, ti nutrir di miele, s che tu possa

LIBRO VL 3i3 quasi aspettarti da essa anche il nettare ; che ti porger ale quando le vorrai, e che di tripodi e mense d' oro ti fornir, mentre pranzerai ; che in fine non ti occorrer fa tic a rti in nulla, ma le cose tutte spontaneamente verranno ad offerirtisi. AH' incontro seguendo la nostra ti converr giacer sozzamente per te rra, vederti nudo, e avvolto al par di noi neHe fatiche, e qualunque cosa la quale non ti pervenga dalla fatica riputare n giocon da n cara, non essere vantatore, non andar a caccia di fasto, ed astenerti dalle visioni de' sogni, che gonfiano gli uomini che son sopra gli altri. Se dunque ad esem pio d' Ercole farai la tua scelta, e il maschio giudizio terrai, non isprezzando la frugalit n quella parsimo nia di vitto che consentanea alla natura, allora darai prova di aver superato molti lioni, troncato il capo a molte idre , vinti i Gerioni ed i Nessi, e fatta ogn'altra prodezza di Ercole. Ohe se preferirai gli artifizj degli impostori, e ci che le orecchie e gli cchi diletta, non comparirai pi sapiente di verun altro, e il giunoso&sta egizio avr trionfato di te* XI. Dopo queste parole tutti si volsero ad ApoHonio; i seguaci di lui persuasi ch'egli avrebbe contraddetto qualche cosa , e i compagni di Tespesione aspettanti a bocca aperta cosa gli potesse dir contro. Ma ApoHonio, poi che Io ebbe encomiato per la sua ricca eloquenza e per la gravit deHa pronunzia: Hai tu nuli' altro d aggiugnere ? disse ; cui quegli rispose : N per Giove. E richiedendo! di nuovo, se alcuno degli altri Egizj vo lesse altro aggiugnere : Tu gli hai tutti uditi per mia bocca, rispose. AHora ApoHonio, stato alcun poco so-

3t4

VITA DI APOLLONIO TIANEO

speso, e g occhi fissando quasi in traccia dell' udito di scorso, in questo modo favell : Certamente la eiezione che Prodico riferisce avere il giovinetto Ercole fa,tta, voi rettamente, e secondo i dettami della filosofia, espone ste , o sapienti dell' Egitto ; ma essa a me non appar tiene. Imperocch non per consultarvi sulla elezion della vita a voi mi presento, io che da gran tempo quella mi elessi, che parve a me la migliore ; e veggendomi per et maggiore di tutti voi, tranne Tespesione , po trei a pi buon dritto esservi consigliere di scegliere la sapienza, se per avventura in alcun di voi mi abbat tessi , che fatta ancor non avesse cotesta scelta. Nondi meno , bench mi trovi in questa e t , e sino a questo segno negli studj della sapienza inoltrato, non mi dis piace di farvi censori del mio sistema, mostrandovi cbe 10 dirittamente l'h o scelto, per non essermene sin qui venuto alla mente un migliore. Avendo io osservato non so che di sublime nella dottrina di Pittagora: per quale ineflabil sapienza conoscesse egli s stesso, non solo qua! era, ma eziandio qua! sarebbe: con quanta purit si accostasse agli altari : come serbasse il ventre puro dal mangiare animali, e intatto il corpo da ogni veste che da anima! provenisse : che il primo fu de' mortali a por freno alla lingua, dettando precetti coi quali po tentemente seppe comprimerla : e come insomma tutto 1 1 resto della filosofia rese verissima , e quasi di oracoli composta ; a' suoi ammaestramenti mi appigliai, e non di due filosofie una eleggendo, come tu mi consigli, ottimo Tespesione. Perch la filosofa collocando intor no a me tutte le sue opinioni, quante ve n' ha , e ve-

LIBRO VI. 3:5 stendo ciascuna d que' fregi che pi !e convenivano, mi comand che io ben le guardassi, e giudiziosa scelta poi ne facessi. La bellezza di tutte era al certo maravigliosa e quasi divina, e alcune soprastavano in modo, che gli occhi ne rimanevano abbagliati. In tutte io fis sai lo sguardo, da che esse medesime rendevanmi ar dito , manifestandosi a m e , e promettendo quanto mi avrebbero conceduto. E dicendomi l'u n a che gran co pia di piaceri senza eh' io faticassi acquisterei : 1' altra promettendomi dopo le fatiche una quieta vita : un' al tra molto gaudio misto alla fatica; e mostrandomi di letti da ogni parte, allentate le briglie de! ventre, le mani disposte a rapire ricchezze, nessun freno agli oc chi, e concedendomi amori, desiderj, e tutti g!i altri simili afletti; una fra esse trovai, la quale si vantava di saper contenere siffatte perturbazioni. Ella era temera ria , accusatrice, e pronta a combattere in qualsivoglia occasione ; ma aveva aspetto di sapienza, un aspetto cos singolare, che Pittagora stesso ne fu preso. Non stava costei in compagnia delle altre, ma separata da esse, e taciturna. Quand' ella ebbe compreso che io non mi appigliava a nessuna delle altre, e che per an co le qualit di lei mi rimanevano ignote : O giovinetto, mi disse, poco gioconda son io , e piena di fastidj; pe rocch chiunque nella mia provincia si rechi forza negargli ogni cibo che da animale provenga, che del vino si scordi, onde non turbare il vaso della sapienza, che riposto negli animi astinenti de! vino. N toga lo terr ca!do, n lana ad un animale tosata. Ben gli ac cordo calzari di scorze d'albero, e sonno senza verun

VITA DI APOLLONIO TIANEO apparecchio. E se inclinato i! sentissi ai di!etti di Venere, io ho tai profonde prigioni, dove Nemesi, mini stra della sapinza, lo spinga e rinchiuda. E tanto sono austera co' miei , che persino al!e lingue loro impongo legami. Ma quai premj rimangano a chi me preferisce, ascolta. Da me deriva temperanza e giustizia, da nes suna invidia sarai commosso, ed ai tiranni pi presto parrai terribile che suddito ; agli iddj pi accetto sarai con piccolissimi sacrificj , che coloro che largamente spargono il sangue dei tori. Mantenendoti puro io ti conceder anche !a facolt dell' antiveggenza, ed en& * pir gli occhi tuoi di tal luce, che potrai discemere dio e l'uomo eroe, e i fantasmi de!le ombre rispingere, quan do mentiscono umane forme. Io pertanto questa vita mi elessi, o sapienti deH' Egitto, e avendola scelta ret tamente , e ad esempio di Pittagora, n deluso ne fu i, n la deludo. Perocch ci che a' fHosofi spetta ho io adempiuto ^ e ci parimenti eh'essa ha promesso ad un filosofo ho interamente conseguito. Ho di poi meditato sull' origine di quest'arte, e donde partano i suoi prin cipe ; e mi paruto eh' eHa sia invenzione d'uomini eccellenti nella cognizione delle cose divine , e diligenti investigatori deHa natura deH' anima, la cui immortalit ed immutabilit son le sorgenti, dond' ella scaturisce. Fui quindi d'avviso che siffatta dottrina non si avesse ad attribuire agli Ateniesi, imperocch essi corruppero gli insegnamenti che Platone sapientissimamente e presso* ch divinamente dett nella citt loro intorno all'anima^ ammettendo opinioni contrarie, e al tutto false. Era dunque a considerarsi qual citt e qual sorta d'uomini,
3 :6

LIBRO VI. 3<y tra ! quali non questo o quello , ovver I' uno o l ' altro, ma d' ogni e t , dichiarasse di pensare in tal guisa delT anima. Io pertanto, cos diretto dalla mia giovinezza, e dalla ignoranza, di cui non sono ancor fibero, rivolsi il pensiero a voi, che avete fama di sapere assai cose per eccellenza, e volli di ci stesso far cenno al mio precettore (<). II qual riprendendomi cos disse : Se tu fossi un amante, o avessi P et propria all* amore, e trovato un bel giovinetto di lui ti invaghissi, cercheresti per certo di chi fosse figlio ; e se trovandolo nato da padre nobile in esercizio di magistrature, e da avi illu stri e primarj, lo chiamassi in vece figlio di un governator di trireme, ovvero di un tribuno, pensi tu che ti affezioneresti in tal modo 1' amato fanciullo ? o che pi presto egli non ti stimasse incivile, poi che noi chia mi co! nome del padre, ma con que! d'un ignobile o d'un bastardo ? Essendo tu dunque coltivatore della sapien za , che fu trovata dagli Indiani, perch non la dici fi glia de' naturali suoi genitori, ma bens di quelli che ne son genitori adottivi ? Perch attribuisci agli Egizj qualche cosa di pi stupendo, che se di nuovo scor resse il Nilo mischiato col miele , com* essi vantano es sere altra volta accaduto ? Queste ragioni perci mi fe cero vo!gere agli Indiani, prima che a voi, immaginan domi dovere ta!i uomini essere di pi sottile ingegno, perch godono di una luce pi p u ra, e aver essi a ra gionare con maggior verit della natura e degli iddj,
() Cio ad Eusseno, che si menzionato al { vi: de! primo libro.

3*8

VITA DI APOLLONIO TIANEO

per essere pi vicini agii iddj, ed abitar pi d'appresso ai principj de!!a calda e viviRca natura. Arrivato ad essi, la (orza della dottrina loro sopra di me fu eguale a quella dell'arte di Eschilo sopra gli Ateniesi. Fu que sti un poeta tragico, il quale vedendo la tragedia rozza mente composta e poco ornata, parte ridusse insieme i cori troppo disuniti $ parte ristrinse le troppo diffuse risposte degli istrioni, essendo nemico della prolissit di un discorso continuato da uno solo^ e parte dispose che le morti accadessero dentro la scena, e non si com mettessero stragi alla presenza di tutti. Le quali cose che noi stimiamo lodevoli rispetto all' a rte , crediam tuttavia che potevano venire in mente ad alcun altro, il quale fosse men valente di Eschilo in poesia. Ma egli per proprio ingegno conobbe che conveniva adope rare una voce conveniente alla poesia tragica, e co nobbe per 1' arte stessa eh' eli' era nata pi per essere sublime , che per starsi umile e rasente terra $ ordin un vestiario che indicasse la condizion degli eroi, e volle che gli istrioni calzassero i coturni, acci alti al par degli eroi caminassero, e il primo fu che lor po nesse tai vestimenti, che ognun giudicasse adatti ad eroi e ad eroine. Per ci gli Ateniesi lo reputano pa dre della tragedia, e nelle leste dionisiache lo invocano, bench sia morto ; e per decreto pubblico le tragedie di Eschilo si insegnano, ed egli nuovamente trionfa. Tutto ci non ostante breve il piacere d 'una trage dia , perch non diletta che pel piccolo spazio di un giorno, come porta la stagione in cui si celebrano le feste dionisiache. Ma il piacere della filosofa, compo-

LIBRO VI. 3:9 sta nel modo da Pittagora ordinato, e cos colma di divina indole, che gli Indiani vollero chiamarsi amici di Pittagora, non picciolo tempo dura, ma inRnito ed ogni numero passa. Non dee dunque parermi che stolta opera faccia colui, che preso si trova da una filosofa s bene adorna, che gli Indiani di maestosa veste ricoprono, e collocata in sublime e pressoch divino scenario, rendono altrui palese. Quanto dunque a buon dritto io li amassi, e quanto a buon dritto io sapienti e beati li stimi, ornai tempo informarvi. Io vidi cotesti uomini abitar sulla terra e non in terra; non aver m ura, e trovarsi difesi ; e nulla possedendo pos sedere ogni cosa. Se vi parlo in enimma, ci permette la sapienza di Pittagora ; perch colui cbe trov essere della dottrina maestro il silenzio, insegn pure a far uso di enimmi. E di siffatta sapienza voi parimenti fo ste consiglieri a Pittagora, in que'tempi in cui loda vate per anco la sapienza degli Indiani, come quelli che un tempo indiani pur foste (t). Ma siccome per vergogna della cagione, per cui forzati dallo sdegno dei terrieri qui rifuggiste, voleste parer tutt' altri che etiopi provenienti dalle Indie, cos faceste quanto era possibile, onde conseguir questo intento. Ed per ci che spogliati vi siete di qualunque ornamento, che da quelli si usasse, come se insieme con 1' abito anche il nome di Etiopi deponeste. Indi stabiliste che il culto degli iddj si fa cesse giusta il rito egizio anzi che giusta il vostro. Ol tre a ci teneste degli Indiani discorsi affatto sconve(') Veggasi di sopra, $ xx, lib. ni.

VITA DI APOLLONIO TIANEO nienti, quasi che que' rimproveri non ricadessero sopra di voi, come quelli che da coloro venite che siffatti rimproveri hanno meritato. N imo ad ora questa usan za cambiaste $ ma continuate in essa Rn dal tempo che de' loro ornamenti vi spogliaste $ di che oggi pur deste saggio con le ingiurie e coi satirici motti, dicendo che gli Indiani nulla di buono trovarono, ma soltanto spa ventaceli e ciurmeria che illudono gli occhi e gli orec chi. E perch non ancor conoscete qual sia la mia sa pienza , cos per stolida la riprendete, secondo il vo stro giudizio $ ma io nulla dir di me; e cosi pur fssi, quale gli Indiani stimano che io sia! Ben mi opporr che degli Indiani si parli male. Che se grano in voi di sapienza, e se questo favellar mio al vero si appon ga, imitate il poeta di Imera (t), il quale cant di Elena in senso diverso di ci che n avea prima cantato, chiamando Palinodia il suo nuovo poema, parendomi ornai tempo che voi parimenti meglio giudichiate di quel che sinora faceste, cambiando l ' opinion vostra intorno agli Indiani. E se a codesta Palinodia non vi consigliano le Muse, cessate almeno di vituperare tali uomini, che gli iddj rendono degni de' beni loro, nell'atto stesso che ne aggradiscono gli incruenti sagriRcj da essi offerti. Adducesti, o Tespesione, una storia del1' Oracolo pitio, che eretto in semplice forma e senza veruna industria, pure le sue risposte concede ; e ti gio vasti perorando dell' esempio di un tempio altre volte di cera e di piume composto. A me per non pare che
(!) Stesicoro.

3 io

LIBRO VI. fosse eretto senza veruna industria, perocch:


.Recate, aMge*, /e penne ; a p i, % a cera (i),

3n

quanto dire che vi era chi labbricava la casa, e che la casa aveva una forma. Ed io son d' avviso che Io stesso dio piccola giudicandola e indegna della sua sa pienza , volle che altro tempio gli si inalzasse ; e varj oggi appunto ve n' ha dell' ampiezza di cento piedi. In un de' quali fama che venissero appesi uccelletti d'o ro , insigni per certe loro voci da sirena. Ragunpure nel Pitio , a ragion d' ornamento , bellissimi donativi, n 1' arte statuaria vi rifiut, che in quel tempio gli eresse colossi, parte d'uomini, parte di iddj, e parte di cavalli, di tori ed altri animali; n sdegn che Poii gnoto vi dipingesse Glauco seduto sopra una conca, e la presa della rocca di Ilio. Non pens certamente ( il nume ) che i copiosi fregi di oro lidio convenissero al tempio Pitio, ma in grazia de' Greci toller che vi fos sero introdotti, acci, per quel che a me pare , cono scessero questi le ricchezze de' barbari, e a quelle anzi mirassero, che a saccheggiarsi a vicenda i proprj ter reni. Accett quindi que'greci apparati, come adatti alla sua sapienza, e ne rese illustre il suo tempio. E son parimenti d' avviso che soltanto per cagion di va ghezza stringa in versi le sue risposte, perch se ci non gli piacesse, le sue risposte sarebbero state queste: y /a fa/ coya, o non Jayb; ya, o non ya ; mena feco ! iaff, o non % menar teco; che sono tutte risposte pi
(t) Verso attribuito a Femonoe , prima sacerdotessa pitia, coi quale principi un cauto tendente a indurre gli abitanti a fabbri care il tempio d' Apollo.

3^

VITA DI APOLLONIO TIANEO

brevi e nt*Je, come voi solete chiamarle. Ma egli, per ch il parlar suo riesca magnifico, e pi grato ai chie denti , !o veste d poetica elocuzione. Stima oltre a ci non esser cosa che a lui resti ignota, ond' che affer ma sapere guanti grane//* M tronfio ne//* aren a, e co noscere /e wMMre iaMe Je/ wwe. Le quali cose porresti tu forse nel numero deHe ciurmerie, atteso che Apollo le annunzia non senza fasto e con franchezza ? E se ti piaccia, o Tespesione , di non isdegnarti del mio di scorso, dir: che anche le vecchierelle, vanno munite del crivello (<) a trovar pastori e bifolchi, quando le pecore sono inferme , e vendono loro la medicina, di cendo averla portata con s per fatidica ispirazione, e vogliono esser chiamate sapienti, anzi pi sapienti dei veri indovini. Ad esse mi sembrate simili voi, ov' io vi richiegga sulla sapienza degli Indiani. Perocch divini sono essi, e ben composti e adorni come il tempio di Pitia ; mentre voi. . . ma non voglio dir oltre, amando io il modesto parlare , come 1' amano gl' Indiani, la qua! modestia riguardo come guida e compagna della lingua ; e cos tengo dietro del pari a quanto mi sem bra lecito, con prudenza non meno che con am ore, e ci che a conseguir non arrivo mi guardo almeno dal dirne male. Tu all' incontro , istrutto da Omero , ove canta de' Ciclopi, che la terra non seminata n arata pasce que' ferocissimi e crudelissimi uomini, ne senti diletto e credi (a) ; e dove de^ baccanali degli Edo(') Il crivello iu sempre un arnese magico. (2) Omero nel!'

LIBRO VI. 3i3 nj ()) e de'Lidj racconta, non dubiti ch ela terra porga loro a bevere fontane di latte e di vino ; e neghi poi che agli entusiasti della universale sapienza conceda sponta neamente la testa i doni da lei provenienti. Eppure ho io veduto venire da s i tripodi, senza che alcun li mo vesse , ai conviti degli iddj ; n per ci M arte, bench rozzo e nemico, accus mai Vulcano, n gli dii dareb bero retta a chi quest' accusa gli facesse : Jlt* peccM, o , (yangfo per ornamento cfe' pranzi tfeg# * t% J / , w fn% r<?M c: ! prtx&g: ; n mai gli venne ascritto a colpa di avervi poste quelle figure di paggi tutte d'oro, come se dei metalli abusasse col rendere l ' oro ani m ato; imperocch ogni arte ha per oggetto l'ornamen to , essendosi tutto ci inventato a fin di ornamento, e cos diventassero arti. Anche lo andare scalzi, e il portar la bisaccia e il mantello si invent per ornamen to ; e per sino la nudit, che voi usate, rassomiglia un cotal poco a certo spregio e negligenza abituale, e pu pure paragonarsi ad una specie di ornato, e non le m anca, come si crede, un altro genere di fasto. Le pratiche poi relative a! Sole, e i riti patrj degli Indiani, sin che a lui piaccia d' esserne adorato , debbonsi giu dicare nello stesso modo. Perocch gli dii terrestri si compiacciono de' luoghi sotterranei e de' sagriRcj che nelle caverne son fatti loro ; ma al Sole offre l ' aria il cammino, ed giusto che coloro che vogliono degna mente onorarlo da terra sollevinsi, e in alto col nume
(i) Popoli della TracciA assai divoti Bacco

...... ego M M M M .BaceAd&or RfonXf....


dice Orazio nell' oda y del lib. M .

3i4 VITA DI APOLLONIO TIANEO stesso conversino. E questo tutti vorrebbero farlo, ma soli gli Indiani il possono. XII. Scrive Damide che a lui torn l'anima in corpo in udir tai parole ; e che il discorso d' ApoHonio si fat tamente gli stessi Egizj cotnmosse, che persin Tespe sione , quantunque nero y manifestamente arross $ e che in tutti gli altri ammirazion si dest per le udite cose, da quello fortemente e con facondia espresse. Dice poi che il pi giovine degli Etiopi y il qual chiamavasi Nilo y preso da gran meraviglia y sbalz fuori, e avvicinatosi ad ApoHonio con le mani tese il preg d voler narrare tutto quanto egli con gli Indiani avea fatto. Cui disse ApoHonio : Nessuna dottrina mi vieterebbe ri sponderti y veggendoti s docile, e d' ogni sapienza ama tore; ma non vorrei soffocar Tespesioney o se altri v'ha, che tratti di frascherie le cose degli Indiani y con le dottrine che io appresi da essi. A questo rispose Tespqsione y e disse : Se tu fossi n mercadante o un ma rinaio y e che di l ci recassi alcune merci y vorrest venderle senza lasciarle esaminare, n darle a gustare o a vedere ? Le darei y riprese ApoHonio y a chiunque le bramasse ; ma se alcuno venisse al lido, e le mercanzie biasimasse della nave test giunta y e me pure ingiu* riasse y come partito da un paese che nulla produca di buono y e per sopra pi mi riprendesse che io trasporto per mare roba di nessun valore y e gli altri in questa opinion sua tirasse, pensi tu y che uno venuto in cotal porto y si disponesse a gittar l' ancora e distender le funi, e non piuttosto rialzate le vele rispingesse la nave in alto mare y commettendo ai venti le sue ricchezze

LIBRO VI. 325 pih volentieri che ad uomini ignoranti ed inospitali ? Ma io (sciam Nilo) piglio le Ami, e te priego, obuon nocchiero, che delle merci da te condotte mi faccia par te ; anzi teco salir pur sulla nave per ben intendere e ricordare le merci che porti. XIII. Tespesione allora, fatto segno di silenzio: Sono contento, disse , o Apollonio, che tu ti sia doluto di ci che udisti ; perch a noi pure perdonerai lo sdegno nostro per avere tu impicciolita la nostra sapienza, pri ma di averne fatto alcuno sperimento. Rimase Apollo nio alquanto maravigliato di queste parole, per la ra gione che non gli era mai giunto all' orecchio quanto avessero con tra lui macchinato Eufrate e Trasibulo, ma coll' acume della sua mente comprendendo, secon do il solito, come fosse la cosa, cos disse: Nulla di ci sarebbe accaduto agli Indiani, n prestato avreb bero orecchio ai suggerimenti d' Eufrate, giacch hanno essi la facolt di indovinare. Nessuna discordia per surse privatamente fra me ed Eufrate; ma correggendolo io dell'amor suo per le ricchezze, e del volere far gua dagno sopra ogni cosa, parve a lui che io non oppor tuno consiglio gli dessi, n tale eh' ei potesse accattare. Egli crede che io cos gli parlassi per fargli oltraggio, e quindi non cessa mai di ordir contra me qualche in ganno. Ma poich, mentre i miei costumi ingiuriava, a voi sembrato meritevol di fede, osservate di grazia, che egli ha fatto ingiuria pi presto a voi stessi che a me. Io son d'avviso che non picciol pericolo corra chi dalla calunnia colpito, perch avuto in odio senz'altro, quand' anche nessun male abbia fatto; ma non fuori

3a6 VITA DI APOLLONIO TIANEO d percolo mi paiono coloro che porgono orecchio alle calunnie ; prima perch si palesano amatori della men zogna , e averla in pregio quanto la verit ; poi si ma nifestano leggieri e credenzoni, d ife tto , che vergo-* gnoso sin anco ne' giovinetti. Oltr' a ci si mostrano invidiosi, essendo l ' invidia maestra dell' ingiusto ascol tare ; e vanno pi facilmente soggetti a calunnia que* medesimi, che reputan vere le calunnie sparse contra altrui ; perch gli ingegni degli uomini sono pi incli nati a far quello, cui veggono essere prestata fede (;). Dio guardi che un uomo di tal fatta ottenga il princi pato , Lal popolo presieda, perocch sotto di lui an che un governo libero prenderebbe ferma di tirannide ; n che capo sia di un tribunale, perch di nessuna causa regolarmente giudicherebbe; n che una nave comandi, perocch tosto vi sorgerebbe una sedizione; n che guidi un esercito, perch il nemico ne avvantaggerebbe ; n che un cotal uomo si ponga a filosofare, perocch non potrebbe aver giusta idea delle cose. Ma Eufrate per sino giunto a impedire a voi di essere sapienti; peroc ch in qual modo coloro , che alle di lui menzogne si sottomisero, pretenderebbero aver sapienza, se a que sta mancarono col lasciarsi persuadere di cose inammis sibili , esposte da lui ? (3) Tespesione allora piacevol(:) Grande e notabil sentenza questa , eh' ogni uomo do vrebbe scolpir nella mente. Noi siamo s corrivi a credere il male che d'altrui ci vien detto, e si fcili a ripeterlo ad altri ; e non ci accorgiamo del torto che agli altri ed a noi stessi facciamo. (2 ) Ecco il giusto giudzio che la ragione imparziale dee fare di coloro che credono facilmente al male che si dice di altrui.

LIBRO VI. 3ay mente interruppe dicendo: Assai parlammo d'Eufrate, e di 6 ose di picciol momento ; anzi noi ci studieremo di riconciliarti con lui, stimando essere ufEcio della sa* pienza il metterci arbitri infra i sapienti. Cui rispose Apollonio : Ma con voi chi mi riconcilier ? Essendo indispensabile che chi ha posto in campo le menzogne dispongasi anche ostilmente a sostenerle. Sia come vuoi, disse Tespesione ; noi per filosoferemo a vicenda, e ci far pi agevole la nostra riconciliazione (:). XIV. Nilo pertanto ansioso di udire Apollonio : bene, disse, che tu principi il tuo discorso col raccon tarci tanto il viaggio che agli Indiani facesti, quanto le dispute con essi avute , le quali senza dubbio versarono sopra insigni argomenti. Ed io , continu Tespesione, desidero udirti intorno alla sapienza di Fraote ; giacche voi avete sparso che i colloquj che con voi tenne erano immagini di quelli degli Indiani. Apollonio adunque pi gliando il cominciamene del suo parlare da quello che %atto aveva in Babilonia, tutto distesamente narr ; ed essi con piacer lo ascoltavano ^ dalla dolcezza del suo dire allettati. Ma venuto il mezzod interruppero il discor so, perch anche i GinnosoRsti dispensano questo tempo . in cose sacre. XV. Stava Apollonio pranzando co' suoi compagni, quando capit Nilo con erbaggi, pani e Rutta parte da lui stesso portate , parte da altri ; e con molta gentilezza : I sapienti, disse, questi don! a voi mandano ed a me , perch io pure con voi pranzer, sebbene non invitato,
(!) E cos dovea conchiudere qnesto sapiente.

3a8 VITA DI APOLLONIO TIANEO come suo! dirsi volgarmente, ma invitandomi da me. Gratissimo dono ci rechi, o giovinetto, rispose Apollo pio, te stesso recando e !o ingegno tuo, essendo tu amator sincero della sapienza degli Indiani e di quella di Pittagora; siediti dunque presso m e, e desina. Siedo, disse Nilo, ma tu non hai tante vivande, che io mi possa empire. Pare, soggiunse Apollonio, che tu sia un mangione, anzi un gran ghiottone. Grandissimo, rispose !' altro ; perch sebbene tante e s laute vivande imban disti , pur sazio non sono, e fra poco torner a pren der cibo; cosicch non potrai altrimenti chiamarmi che insaziabile e vero ghiottone. Saziati dunque, disse Apol lonio ; e quanto alla materia de! parlare, parte la por gerai tu , parte io. XVI. Finito il pranzo : Io, disse Nilo, ne' scorsi tempi ho militato con questi Ginnosofsti, quasi associandomi in ischiera con una specie di veliti o di frombolieri ; ma ora indosser pi grave armatura, e de! tuo scudo mi freger. Tem o, o Egiziano, rispose Apollonio, che non avendo tu ancora preso in accurato esame il nostro sistema, e, pi prestamente di que! che importi !a ele zione del nostro stato, alla nostra disciplina consecrandoti, Tespesione e gli altri GinnosoRsti abbiano a far tene colpa. Cosi credo ancor io , rispose ; ma se chi elegge pu aver colpa, debbe altres averla chi non elegge; e se eleggeranno essi pure dopo dime verranno anche ritenuti come pi rei; perocch essendo pi vec chi e pi sapienti, e non avendo prima d 'o ra eletto ci che ho eletto io , a pi buon diritto meriteranno il biasimo, come quelli che s a me superiori non vollero

LIBRO VI. 3aa preferire una dottrina, di cui potrebbero valersi con maggiore utilit. AHora ApoHonio : Non volgar discorso, disse, tu pronunzii, o giovane , ma guardati che mal convenendo ess alla tua scuola cd alla tua et non possa venirti giustamente rinfacciato ; che sebbene con probabil ragione tu la tua dottrina rifiuti, parr nondi meno che troppo arditamente 1' attacchi, e che pi pre sto rifbrmator che seguace tiannunzii. Udendo l 'Egizio questo parere di ApoHonio, cos riprese : Nelle cose in cui fa d'uopo che il giovane ubbidisca ai vecchi, io non ho mancato m ai, e sino a tanto che io credetti che questi uomini possedessero tal sapienza, che nessun al tro uom o, con essi mi stetti. Ecco qual fu 1' occasioue, che a ci mi appigliassi. Mio padre esercit per alcun tempo la nautica, frequentando il Mar Rosso, e coman dava la nave che gli Egizj mandano in India (i)$ e aven do conversato con gli Indiani che abitano sulla costa ebbe de' sapienti che quivi erano informazioni eguali a quelle che tu poco fa ne esponesti. Di ci dunque par lando e udendo io che gli Indiani erano i sapientissimi fra i mortali, e che gli Etiopi erano coloni degli India ni , e camminavano sull' orme de' maggiori loro negli studj della sapienza, e la domestica disciplina ne os servavano , io , ancor fanciulletto, abbandonata la pa terna eredit a coloro che vi aspiravano, ignudo a que sti ignudi men venni, ansioso di imparare da essi la sa pienza degli Indiani, o queHa che le era germana. E beh mi parvero essi sapienti, ma non forniti di quella
(i) rammentata questa nave nei lib. m , $ xxxm.

33o VITA DI APOLLONIO TIANEO sapienza che hanno gli Indiani. Ed interrogando!! io perch non osservassero !a indiana filosofia, mi addas sero coutr' essa quelle stesse calunnie, che tu oggi ne udisti. Me per ancor giovinetto qua! mi vedi, aggre garono al collegio loro, non forse temendo che par tendomi da essi navigassi pel Mar Rosso, come gi mio padre , e come per dio non avrei lasciato di fare. Sino al colle di que' sapienti io era per trasferirmi, se te qui non mandava un qualche dio, ond' essermi scorta, acci sia sul Rosso Mare scorrendo, sia con gli abitanti di quelle rive parlando, io possa conoscere la sapienza indiana; giacch non oggi che io per la prima volta questa forma di vivere mi elessi, ma gi buon tempo, n ancora ho conseguito quanto di conseguire operai. Che male ci , se alcuno, accortosi di aver deviato da! suo proposito, ritorna a ci cui da principio aspi rava ? E se io inducessi costoro nell' opinion mia e li consigliassi a far quello di che mi sento io persuaso, qua! temerit ci sarebbe? Perciocch non da proibirsi che cosi faccia la giovent, come quella che in affer rare siffatte idee pi idonea della vecchiezza. Chiun que poi propone ad altri di scegliere quella sapienza che gi scelse egli stesso, schiva per lo meno 1' accusa di aver persuaso ad altrui que! eh' egli non crede; lad dove chiunque usa per s solo de' beni dalla fortuna concessi fa torto ai beni medesimi, poich tog!ie loro di porger diletto a molti. XVII. Avendo Ni!o in tal modo ordinatamente par lato , Apollonio rispose : Sin qui le vicende tue giova nili narrasti ; ma perch desiderando tu d' essere fatto

LIBRO VL 33! partecipe deHa ma sapienza, non tratti meco prima d tutto deHa mercede ? Trattiamone , disse Niio, e chie dimi ci che vuoi. Chiedo, soggiunse, che quel che tu eleggi lo elegga per te, e che tu non dia molestia ai GinnosoRsti con consigli che non gioveranno. Ubbidir, rispose, e questa sia la pattuita mercede. Tal fu il re ciproco loro colloquio. Dopo ci interrogandolo Nilo quanto tempo fsse per dimorare co' GinnosoRsti: Quan to, ei rispose, ne parr degna la sapienza loro, ove mi sia data facolt di disputare con essi. Dipoi andremo alle Catadupe a Rn di osservarvi le fonti del Nilo , ch il vedere dond' esce il Nilo, e udirne lo strepito una dilettevole cosa. Dopo questi ed altri parlari intorno alle cose indiane abbandonaronsi al sonno sull' erba. XVIII. Risorto il giorno, e fatte le solite preci, se guitando Nilo che a Tespesione li conduceva, salutatisi a vicenda, nel boschetto si assisero per principiarvi a disputare. ApoHonio diede cominciamento, e disse : I discorsi che ieri facemmo dichiarano quanto sia da pre giarsi il non tenere occulto quel che sappiamo. Percioc ch avendomi gl' Indiani co' precetti della sapienza loro istruito quanto bastar mi pareva, la memoria de' miei precettori vado oggid rinnovando, e le cose da essi imparate vo ne' miei viaggi ad altri insegnando. Quindi che a voi parimenti io sar utile, se della vostra dotta sapienza vogliate informarmi anzi eh' io parta ; perch non istar mai dallo sparger fra i Greci le dottrine vo stre, ed anche dallo scriverne ai medesimi Indiani. In terrogaci adunque , essi risposero , essendoch la dot

33s VITA DI APOLLONIO TIANEO trina suole per mezzo delle interrogazioni rendersi palese. XIX. Allora Apollonio: Comincer, disse, dal do mandarvi intorno agli dii ; e qual ragione vi mova ad offerire alla venerazione degli uomini di queste contrade le immagini s sconce e ridicole, eccetto poche, degli dii? Che dico poche? pochissime ve n' ha, che saggia mente sieno effigiate, e convenientemente alla natura divina ; mentre da tutte le altre sacre immagini, che sono presso di voi, sembrate adoratori di Reri e sozzi animali anzi che di dii. Sdegnossi Tespesione a cotai Rizzi, e disse : E in che modo sono ergiate presso voi codeste statue ? In modo , rispose Apollonio, che riescano bellissime , e che degnamente rappresentino gli iddj. T u, riprese Tespesione, intendi forse dire del Giove Olimpico, o del simulacro di Pallade, o di Ve nere Gnidia, o della Giunoue d' Argo, o d'altre s fatte statue celebri per eleganza e bellezza (:). Non dico sol tanto di queste, replic Apollonio , ma generalmente in tutte le altre la scultura ne ha serbato il decoro, lad dove direbbesi che voi vi facciate beffe degli dii, anzi che avervi fede. E che ? Tespesione soggiunse, salirono forse al cielo i Fidii ed i Prassiteli, per copiarvi le ef fgie degli iddj, e cos formarsene il tipo ? O altro fu
(<) O p n e m o ae/HH/efMr chiam Plinio la statua d' avorio e d' oro posta in Olimpia da Fidia. Quella di Pallade, la voro di Fidia essa pure, era nel Partenone. Prasitele fece quel!a di Omero in Guido, e Policleto quella di Giunone in Argo. Ol tre i molti antichi che ne parlano, consultisi intorno ad esse il dottiss. Giunto, De Pici. ecc.

LIBRO VI. 333 che diresse 1' arte loro ? Appunto altro , rispose ApolIonio , e questo altro pienissimo di sagacit. Che sar codest' altro ? chiese Tespesione; tu allegar non mi puoi che la imitazione. La fantasia, continu Apollonio, mae stra assai pi sagace della imitazione, perch la imita zione fa ci solamente eh' ella vede, ma la fantasia ci pur che non vede, formandoselo essa in modo che bene esprima I' oggetto (i). Aggiugni che la mente sbalordita dalle difficolt fa s che 1' imitazione s'intoppi ; all' in contro niente fa intoppare la fantasia, la quale senza punto smarrirsi si pone all'opera, che ha gi dentro di s incominciata. Quindi che colui ^ che si mette in mente la forma di Giove, bisogna che si Rguri vederlo insieme co! cilo , con le O re, e con gli astri, come nel suo estro si figur Fidia; e che fnga Pallade avente in animo gli eserciti, i consigli e le a rti, e quale salt fuori dal capo di Giove. Ma se tu formi uno sparviero, o una nottola, o un lupo, o un cane, e il collochi ne' templi a rappresentarvi Mercurio, Pallade, Apol lo (2), 1' onor della effgie sar per le Rere e per gli uc celli , e gli dii verranno messi molto al di sotto della lor dignit. Egli p are, disse allora Tespesione, che tu rigetti le cose nostre prima di averle esaminate. Consi glio prudente , quant' altro m ai, quel degli Egiz}, che
(!) Il bello ideale fu sempre 1 * archetipo delle arti imitatrici. (2 ) Nella pittura simbolica degli Egizj lo sparviero rappresen tava Apollo o il Sole , cos pure il lupo ; la nottola Pallade, il cane Mercurio. Esporre la ragione di cotai simboli sarebbe un perdersi nelle congetture con poco 0 nessun guadagno, e basti ci che qui appresso Tespesione ne dice.

334 VITA DI APOLLONIO TIANEO ninno ardisca di rappresentare temerariamente !e forme degli iddj, ma s di simboleggiarle e dar loro un certo occulto significato, acci in tal modo sembrino pi ve nerabili. A queste parole sorridendo Apollonio : O uo mini , disse, un gran profitto traeste dalla sapienza de gli Etiopi e degli Egizj, se a voi pare pi yenerabi!e c meglio atto a rappresentare gli dii o il cane, o !' ibi, o il becco (<), giacch csi ascolto dal sapiente Tespe sione. Ma cosa in essi, dimando io , di venerabi!e o di terribile? Ed quindi verisimile che i sacrileghi, e la turba de' bestemmiatori pi scherniscano che temano le immagini sacre di quella maniera. Che se hanno a dirsi pi venerande perch in quelle forme la mente pu me ditare , molto pi veneranda s al certo verrebbe ad es sere in Egitto la condizion degli iddj, se non si facesse di loro verun simulacro, e se in altro modo, con alquanto maggiore sapienza, e con arcano concetto fosse da voi trattata la teologia. Potevasi edificar templi in onor lo ro , insegnare quali altari erigere y quai sagrificj offe rire e quali n, e in qua! giorno, e per quanto tempoy e con quali solenni cantici, e con qual rito; ma nessun simulacro introdurvi, e lasciar che i divoti si immagi nassero da s l'effigie degli iddj. Perch la mente me desima disegna dentro di s alcuna forma e se la rap presenta meglio di qualsivoglia arte degli scultori. Voi all'incontro avete persin to!to ag!i iddj che gli occhi della mente se li figurino belli. Disse allora Tespesione: Fu un certo Socrate, vecchio Ateniese, sciocco a! pari
(') L'ibi rappresentava Iside, il becco il dio Pane.

LIBRO VI. 335 di no!, che il cane y 1' oca , il platano stimava d ii, e giurava per essi. Tutt' altro che sciocco, rispose Apol lonio y ma uomo divino, e vero sapiente ; e ben giurava per cotesti animali, non come fossero d ii, ma s per non giurar per gli dii (:). XX. Dopo queste parole, volendo Tespesione cam biar discorso, interrog Apollonio intorno ai flagelli degli Spartani, e se i Lacedemoni venivano pubblica mente sferzati. S , rispose Apollonio, e il pi robusta mente che possono, o Tespesione, ancora che liberis simi sieno, e civilizzati pi che altri. Ai seirvi delin quenti , replic Tespesione, che fanno essi dunque ? Non pi li uccidono, rispose, come gi concesse Li curgo , ma appunto sono cos flagellati. E che pare ai Greci di cotest' uso ? disse Tespesione. Vi accorrono, segu Apollonio, come andassero agli spettacoli Giacinzj, o alle feste de' combattenti ignudi (a), con diletto assistendovi e con tutta soddisfazione loro. N si vergo gnano que' buoni Greci, Tespesione riprese, in vedere che coloro che gi tennero il principato sovr' essi, ven gano pubblicamente sferzati? non arrosiscono d' esser soggetti all' imperio d'uomini, che si puniscono con la sferza in pubblico ? E tu perch non emendasti un tal costume? giacch si dice che in altri tempi avesti cura dei Lacedemoni. Fino a tanto, rispose Apollonio, che possibil mi fu di emendarli, io gli consigliai, ed essi prontamente i miei consigli eseguirono; perch essendo
(t) Seguiva Socrate in questo proposito la legge di Radamanto, della quale ci informa Porfirio nel m. De (3 ) Di cotai feste parla a lungo il Meursio.

336 VITA DI APOLLONIO TIANEO essi i popoli pi Uberi di tutta Grecia, cos a nessuno ubbidiscono quanto a chi ben !i consiglia. Ma il costume di punir col flagello si osserva in onore della Diana d Scizia (t), dicendo che cosi prescrivon gli oracoli $ e il contrapporsi agli iddj al parer mio gran pazzia. AHora Tespesione : T u , disse , o Apollonio, poco savj mi rap presenti gli dii de' Greci, se impongono che col flagello si battano tali uomini che zelantissimi sono di libert. Non imposero, quegli rispose, che col flagello si battes sero, ma bens che di umano sangue si aspergessero gli altari, perch in tal modo sono onorati nella Scizia. Ma i Lacedemoni sottilmente interpretando il sagriRcio, da cui non potevano esimersi, ad un contrasto di tol leranza appigliaronsi, per cui e la morte degli uomini si evitasse, e il sangue loro si consecrasse alta dea. Per ch dunque, Tespesione soggiunse, non immolano a Diana i forestieri, come gi usavano gli Sciti? Perch, rispose Apollonio, a nessun Greco piace imitar di so verchio i costumi de' Barbari. Eppure, continu Te spesione, meno inumani parrebbero immolandone uno o due, che valendosi contra tutti della legge che dis caccia i forestieri. Guardiamoci, o Tespesione, rispose Apollonio, dal criticare Licurgo; perch farebbe me stieri penetrar la sua m ente, e capire che vietando la dimora de' forestieri non intese di rendere fastidiosa la societ degli uomini, ma bens di mantenere intatti i costumi, togliendo a qualunque straniero l'accesso in
(2 ) vin della C eM farM M M M la chiama Lutazio nelle note al Kb* di Stazio ; ma di essa pure si vegga il Meursio.

LIBRO VI. 33y Sparta. Io per, Tespesion disse, terrei gli Spartani in tpiel pregio, in cui vogliono esser tenuti, se anche mi schiandosi con gli stranieri non si dipartissero dai co stumi patrj, perocch mantenendosi simili a s medesi mi , tanto in assenza di quelli quanto in presenza loro^ !ode di virtuosi si acquisterebbero. Ma essi, anche col tener lontani gli stranieri, corruppero i costumi loro, e veggonsi avere imitato le azioni di que' Greci, de'quali principalmente erano nemici. Gli affari marittimi, e le gabelle che vi sovrapposero sono dovute a suggerimenti, che sentono l'indole ttica; e quelle cose che gi sti marono cagioni di giusta guerra agli Ateniesi, quelle medesime, cangiando di parre, si indussero ad ammet tere essi pure, superiori, vero, per virt bellica agli Ateniesi, ma loro inferiori nelle faccende, che vollero appropriarsi. Oltre a ci questo stesso trasferimento della dea presa dai Taurici o dagli Sciti opera di chi agli stranieri costumi vuol conformarsi. Che se all' ora colo debbesi attribuire, che bisogno vi era di flagelli ? a che fngere una servii tolleranza? Assai pi degno de' Lacedemoni sarebbe stato, a parer mio, a 6 ne di in gagliardir gli animi contro la m orte, se uno spartano fanciullo spontaneamente si offerisse ad esser immolato sull' ara ; perocch questo avrebbe dimostrato essere gli Spartani di pi robusto petto , e trattenuto i Greci di mover l'arm i contraessi. Che se all'incontro dicessero parer loro essere assai meglio conservare i giovani per valersene in guerra, in tal caso era ai Lacedemoni pi che agli Sciti opportuna la legge dagli Sciti promulgata sopra i sessagenarj , provando che non per vanagloria
<f/z.o.trN,4TV, font. f. 33

338 VITA D! APOLLONIO TIANEO ma con vera virt disprezzano il morire. Queste cose, o Apollonio, non dico gi io contro i Lacedemoni, ma bens contro te. Imperocch se noi andiamo indagando maliziosamente le vecchie istituzioni, e quelle s anti chissime, che ci riesce impossibil conoscerle, incolpando gli dii, come approvatori di esse, scaturiranno da cotal modo di filosofare molte e molte assurde dottrine. Se dei misterj eleusini parliamo, perch tal rito ammettono e tal altro escludono? Se delle iniziazioni dei Samotraci, perch non queste cirimonie ma quelle vi si usano? cos dicasi delle feste donisie, di Priapo, e della efBgie di CiI!enio$ appena possiamo restarci dal non biasimarle. Passiamo dunque piuttosto ad altri oggetti, quali tu vuoi, osservando anche in ci la dottrina di Pittagora, che pur la nostra, cio ch'egli bello, se non in tutte le cose, almeno in queste, il tacere. A questo rispon dendo Apollonio disse: Se a te piacesse, o Tespesione, in tale argomento continuare, noi vedremmo esposte molte e chiare cose de* Lacedemoni, i quali in siffatti studj pi che tutti gli altri Greci si esercitano ; ma poi che da!la disputa nostra questa materia escludi per m odo, che pensi persino essere illecito parlarne, pas siamo pure ad altro argomento., che sia per di molto rilievo, come mi persuado a voi piaccia ; laonde discu tiamo alcun poco intorno alla giustizia. XXL Discutiamone, disse Tespesione, essendo argo mento convenientissimo tanto pei filosofi che per i meno addetti alla filosofia. Ma per non trattarne confusamente innestandovi le opinioni degi Indiani, e per cotale in nestamento allontanandoci dall' oggetto , comincia tu

LIBRO VI. 33p ad informarci quello che g!i Indiani sentano della giu stizia , giacch ragion vuole, che tu ne abbi col fatto ricerca. Se l'opinion loro si avr per buona, noi pure vi assentiremo, se in vece noi ne ragionassimo meglio , e tu approvaci; che ci pure ufHcio di giustizia. Tu parli ottimamente, rispose Apollonio, e in guisa che assai mi piace. Ascolta dunque quanto ivi si disput. Io dicea loro di essere in altri tempi (quando l'anima mia un altro corpo reggeva) stato capitano di una gran nave, e che giustissima cosa parevami d'aver fatto (in occasion che i pirati mi promisero un premio, ov'io dessi in mano loro la nave, dirigendone il corso al luogo, dond'essi disponevansi ad assalirla e predarne il carico) a prometter loro di cosi eseguire, e a navigare in vece al di sopra del promontorio, ove appiattavansi, a fine di evitarne 1' assalto. E che ? disse Tespesione , concedettero dunque gli Indiani che questa fosse opera di giustizia? Anzi ne risero, soggiunse Apollonio, di cendo che il non far cose ingiuste non giustizia. Bene pronunziaron gli Indiani, replic Tespesione; percioc ch n il non operare stoltamente prudenza , n il non disertare dal campo fortezza, n temperanza il non incorrere nelle turpitudini degli adulteri, n de gno di lode chi non appare malvagio, perch tutto ci che tanto pu meritar castigo che premio ancora di stante dall' essere virt. In qual maniera adunque, o Tespesione, continu Apollonio, avremo a credere de gno di corona il giusto? ovvero cosa debbe farsi per es serlo? Pi parcamente, disse Tespesione, e pi a pro posito, voi della giustizia disputaste, quando il re , che

34o

VITA DI APOLLONIO TIANEO

a quella s vasta e s beata regione impera , intervenne ai vostri colloquj, per consultarsi intorno ai governo, che cosa congiuntissima alla giustizia (:). Se Fraote vi fosse intervenuto (rispose Apollonio) tu a buon dritto ci incolperesti di non aver noi disputato della giustizia alla presenza di lui. Ma siccome da quanto ieri ti esposi devi averio conosciuto per uomo sbevazzatore e nemico d'ogni filosofia, che bisogno ci era di recare molestia a lui, o darci noi vanto di affaticarci per uno, il qual pensa che tutta la felicit consista in un lusso sibaritico? E perch ad uomini sapienti, quali noi siamo , pi che ai re ed ai capitani, appartiene lo investigare cosa sia giu stizia, cos facciamoci a rintracciare alcuno, che vera mente sia giusto. Questa lode di giusto mi credetti me ritar io quapdo fui comandante di nave, e meritarsela gli altri che da ingiuste azioni si astengono, ma voi non volete concederla, n degni stimate que' tali dell'onor di tal nome. E con ragione, replic Tespesione ; per ch non trovasi mai n presso gli Spartani, n presso gli Ateniesi, scritta sentenza, che ad alcuno si decreti la corona perch non discolo, o i diritti di cittadino si accordino perch non sacrilego. Quale adunque sar il giusto? (seguit Apollonio) o che far per es serlo? giacch non mi ricordo di veruno che venisse in coronato per titolo di giustizia, n di alcun decreto scritto in grazia di un uomo giusto, nel quale fosse detto 6foper.fi incoronar Co/o per ayere neMna/e azione prosofi

(') Vuole qui Tespesione rinfacciare ad ApoHonio ed ai filo indiani di non aver osato parlare della giustizia in faccia a Fraote con quella severit, che ora si vuole manifestare.

LIBRO VI. 341 yato < % # eMer gpmfo. Chi per osservi quanto accadde a Palamede sotto Troia, o a Socrate in Atene, vedr che la giustizia poco fortunata presso gli uomini, avendo essi, cos giustissimi com' erano , s grandi ingiustizie patito. Nondimeno essi perirono con apparenza di reit, per le accuse a torto ed ingiustamente ammesse. Ma Aristide figliuolo di Lisimaco venne dalla stessa giusti zia percosso, e tant'uomo di tanta virt fornito and in esilio ; per lo che ben abbastanza mi avveggo che la giu stizia tenuta come una cosa ridicola ; per la ragione che avendola Giove ed i fati disposta acci non fosse i&tta ingiuria agli uomini, non riesce poi a impedire th venga fatta ingiuria a lei medesima. A me pertanto le iniquit ad Aristide fatte bastano per dimostrare qual sia colui nqn ingiusto , e quale il giusto sia. Or dimmi (interruppe Tespesione), codesto Aristide non egli quello che voi, venuti dalla Grecia a far qui dimora, dite aver navigato alle isole, aRne di regolarne i tributi, e s moderatamente le cose ordin, che retrocedette in volto nel suo primo mantello ? Egli stesso, rispose Apol lonio; ed per lui, che in altri tempi l'amore della po vert prevalse fra noi. Se dunque, Tespesione soggiun se , due oratori trovati si fossero in Atene, diretti a lodare Aristide dopo il suo ritorno, e l'uno il giudicasse degno di corona par non eyjere tornafo pt& r/cco eh % % % / cAe era, e per non ayere acuminato per ye, ma rwnafMrj! :V p:& posero , e j jfejyo con /a pofer&& jMperan;%o ; e l'altro sentenziasse : G/accM non ordin trt&Mfi jMper:ort a//e y&rze <7e' contri&Ment:, ma yecon&t

34* VITA DI APOLLONIO TIANEO <?M ra c%e fra e g % * no/: Forg[ejsc orJ /a , e cAe :/ carico ntMMMe weno gra^o^o ^ g// Ma concesso f onore Jc//a corona , aMe^a /a JMag^y^'z/a; non pensi tu che lo stesso Aristide si sarebbe opposto a! primo de creto, come poco degno delie cose da lu fatte, cio che gli fosse decretato un premio per non aver fatto al cun male , e avrebbe probabilmente approvato il secon do , come tendente al medesimo scopo eh' egli si era proposto? Imperocch avendo riguardo alla utilit de gli Ateniesi e degli alleati, vide che i tributi dovevano essere moderati ; e ci dopo i tempi di Aristide divenne pi manifesto- Perch quando gli Ateniesi, eccedendo la misura de' tributi da lui stabilita, pi gravi li impo sero alle isole , la possanza che avevano in mare e che s formidabili li rendeva, venne meno , e quella invece si accrebbe dei Lacedemoni, sino a che nessuna forza agli Ateniesi rimase, e tutti quelli che al governo loro eran soggetti, rivolsero gli animi a nuovo ordin di cose, e ribellarono. Il giusto adunque, o ApoHonio , se la retta ragione seguir vogliamo, non gi quegli che non ingiusto, ma quegli che giustamente opera , e fa che gli altri non operino ingiustamente. Da codesta giustizia poi varie altre virt nasceranno, e segnatamente la giu diziaria e la legislativa ; perch un si#att'uomo giudi cher di gran lunga pi giustamente che coloro che pi gliano giuramento sulle carni frastagliate delle vittime , e detter legge al par di Solone e di Licurgo, ai quali nella promulgazion delle leggi fu guida e maestra la giustizia. Tali riferisce Damide essere stati i discorsi tenuti in

LIBRO VI. 343 torno all'uomo giusto, e aggiugne che a questa opinione ApoHonio consent, c !e diritte sentenze di Tespesione afferm. XXII. Venuti poi a filosofare suHa immortalit del1' anima e suHa natura non motto diversamente di quel che scrive Platone nel Timeo, e cos pur sulle leggi in Grecia vigenti, assai cose discussero. Indi Apol lonio , rompendo le dispute: Io qui venni, disse, tanto per visitar voi, quanto per vedere le sorgenti del Nilo, potendosi perdonare il non conoscerlo ad uno che ab bia scorso l'Egitto ; ma chi penetrato nell' Etiopia , come ho fatto io , il trapassarlo e il non averne tratto notizia alcuna, sarebbe vergogna. Vanne lietamente, rispose Tespesione, e s que' fonti sciogli i voti che vuoi, perocch in essi un nume soggiorna. Guida al tuo viaggio avrai, se a me eredi, Timasione, gi di Naucrati, ora di Memf!, il quale ha pratica di quelle sor genti , ed s mondo che non ha bisogno d'essere pur gato. A te p o i, o N ilo, vogliamo dir qualche cosa in disparte. Non isfugg ad Apollonio il senso di queste parole, ben comprendendo che essi mal soffrivano che Nilo gli fosse amico. Terminato adunque il colloquio, and a disporsi alla partenza, e raccogliere i fardelle tti, ond'esser pronto al nuovo viaggio sul far de! gior no. Poco dopo il raggiunse Nilo, che delle cose a lui dette nulla gli rifer, salvo che rideva dentro di s ; n alcuno perch ridesse lo interrog, rispettando il suo segreto. Cenato che ebbero, e favellato di cose di leggier momento , ne! medesimo luogo si addormentarono. XXIII. Appena fu giorno, salutati i GinnosoRsti, si

344 VITA DI APOLLONIO TIANEO posero in viaggio, lungo la sinistra del Nilo verso I monti. Ci che osservarono degno di memoria que sto. Le Catadupe sono montagne formate da un ammasso di terra, come i! Tmolo nella Lidia. Gi per esse scorre precipitoso il Nilo, e della terra che seco strascina for ma l'Egitto^). Il fragor del torrente, il quale prorompe con impeto per que'monti, e si scarica al tempo stesso con eguale strepito in grembo al Nilo, cosa veramente orrenda e intollerabile all' orecchio, e molti che vi s avvicinaron di troppo ne ripartirono sordi. XXIV. Inoltrando Apollonio co' suoi compagni, gli si affacciarono alcune colline , fertili di alberi, de' quali, non che delle foglie, della corteccia e della gomma che ne lagrima, gli Etiopi fanno traffico (a). Videro parimenti lungo il cammino lioni, pantere, ed altre siffatte belve, nessuna per delle quali li assal, ma tutte, come timorose degli uomini, cedettero il passo. Cervi ezian dio e capri osservarono, e struzzi, ed asini, ed altri animali, ma soprattutto quantit di buoi salvatici e di buoi-becchi, gli uni generati dal cervo e dal b u e, gli altri da quelli da cui prendono il nome. Abbatteronsi anche in molte ossa di coteste Bere, e in cadaveri mezzo divorati ; perch i lioni satollati della fresca preda non ne curano gli avanzi, sperando , per quanto io eredo , che prede novelle possano loro offerirsi. XXV. In codesta parte abitano gli Etiopi nomadi,
() Sopra di ci veggasi Omero , Erodoto, e pi d' ogni al tro Strabene, ^ib. X H e xv. (a)Mirobalaui chiama cotesti alberi s Teofrasto che Plinio, in dicandone anche le qualit medicinali.

LIBRO V!. 345 che fanno sui carri !e citt loro. Vicini a costoro stanno quelli che vanno a caccia d' elefanti, che poi vendono a pezzi, onde ricevettero il nome appunto dal cibarsi che fanno degli elefanti (*). Pi su vi ha i Nasamoni, e gli Androfagi, come pure i Pigmei , e gli Sciapodi, tutti popoli dell' Etiopia, che abitano lungo l'etiopico mare , dove non suol mai capitare uomo vivente, fuor ch spintovi da una procella (2). XXVI. Mentre parlavano fra loro delle bestie incon trate , e Closofavano sulla natura che l'una diversamente dell' altra alimenta , colp loro l'orecchio un fracasso simigHante ad un tuono, non per strepitoso, ma cupo e chiuso fra le nuvole. Disse allora Timasione : poco lontana la cateratta, la quale per chi sale la prima
(^Trogloditi, ovvero elefantofagi, vengono nominati dagli antichi. (a) I Nasamoni, che Diodoro Siculo rammenta nel lib. m , Lucano nel ix , e Plinio nel v i, dicendoli antropofagi, sono dal Vossio creduti gli odierni Ingi abitanti del Congo presso il lago Monemugo (Is. Voss.? de p. 65). Gli Sciapodi ed i pigmei notammo di sopra al $ 45 del lib. Ht, ma piacenti qui dell* esi stenza di questi ultimi citare, oltre Omero (lib. m, Z& M % e), Aristotele ( lib. v :n , a/:. ) e Plinio ( lib. v n , ) il suddetto Isacco Vossio , il qual pretende che tuttora esistano al di l delle fonti del Nilo, e vengano nella natia favella chiamati .BccAc&aAe ; a! quale aggiugner Giobbe Ludolfo, che nella Storia etiopica asserisce esistere i Pigmei anche oggid nel bel mezzo dell' Africa. N qui finiscono tutti gli scrittori si antichi che moderni, che vogliono farci credere questa specie d'uomini. Tuttavia ella va a mio giudizio creduta come quella dei Liliputini del celebre e graziosissimo Gulliver.

346

VITA DI APOLLONIO TIANEO

a incontrarsi, e per chi scende 1' ultima. Andati in nanzi circa dieci stadj ()), dicono aver veduto un fiume scorrere gi pe! m onte, non meno largo di quei che sono il Marsia e il Meandro ! dove cominciano a de fluire insieme. Recitate le preci lo ro , andaron oltre , n pi videro belve ; perch temendo esse naturalmente !o strepito, stanno pi volentieri presso le placide acque, che vicino alle cadenti dati'alto 6 romoreggianti. Avan zati ancora quindici stadj, udirono un altro suono or* ribile e insopportabile, maggiore il doppio del prim o, e da montagne assai pi alte con gran precipizio ca dente (2). Narra Damide che si ne fron colpiti i proprj orecchi e quelli di alcun altro de' compagni, che egli ne retrocesse, e preg Apollonio di non volere pas sar pi innanzi. Ma egli con forte animo insieme a Ti masione ed a Nilo sino alla terza cateratta pervenne, della quale al ritorno ragguagli come segue : Le som mit delle rupi sovrastare a! Nilo non pi di otto stadj in altezza: una costa rialzarsi dicontro ai monti, ne' sassi della quale la natura ha scavato lavori mirabili : le acque scendenti dai monti cascare con impeto entro quella costa, poscia rigogliose e spumanti nel Nilo tras fondersi: tutto ci in tali acque avvenire per essere
(t) Poco pi di un miglio. (a) Intorno ale cateratte del Nilo il nostro Fi!ostrato in er rore , come lo furono tutti gli antichi. Ci manifesto dalla Sto ria etiopica del sovraccitato Ludolfo, e il sar quanto prima as sai pi dalie continue visite che insigni viaggiatori, massimamente inglesi, vanno a tal oggetto non senza gran pericolo tentando ai di nostri.

LIBRO VI. 34y molto pi abbondanti d quelle gi osservate nelle cate ratte antecedenti : quindi il romore che di l su pei monti si ripercuote offender gli orecchi di chi va a os servarle. Quanto a spinger pi oltre il viaggio, onde gingnere alle prime fonti, dicono non solo esser diff cile andarvi, ma sino il pensarvi. Imperocch raccon tano eziandio molte cose dei dimonj sul fare di ci che dottamente cant Pindaro intorno al dimonio, che a quelle fonti presiede, a fine di regolarne il Nilo (:). XXVII. Vedute le cateratte, scesero in un villaggio non molto grande d'E tio p ia, dove al venir della sera cenarono, frapponendo ai serj discorsi piacevoli motti. Ma un gridore di donne del villaggio giunse loro all* 0 recchio , le quali si animavano a vicenda ad arrestarli, ed a cacciarli via, ed eccitavano gli uomini a prendervi parte. Questi tenendo pertiche e sassi e quant' altro venne alle mani d'ognuno, schiamazzavano tutti, come se le donne loro fossero violentate. Erano gi dieci mesi che il villaggio trovavasi infestato dalla larva di un sa tiro , furente di libidinso estro verso le donne, e dicevasi che due ne avesse uccise, le quali pareva che egli sommamente amasse. Apollonio, vedendo i suoi compa gni atterriti: Non abbiate paura, disse; io so che un satiro petulante insulta in questo luogo le femmine. S, per Giove, soggiunse Nilo; e noi GinnosoRsti informati della sua protervia non potemmo riuscir mai a farlo de(:) Fu gi accennato ai $ xxti il nume, che ai Nilo presiede. Qui si ripete, e citasi Pindaro. Ma i! passo, in cui Pindaro pu averne parlato , da porsi tra' molti versi di lui, che il tempo ci ha involati.

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VITA DI APOLLONIO TIANEO

sistere da' suoi oltraggi. Eppure, continu ApoHonio , contra eotesti protervi un rimedio, de! quale fama che altre volte si servisse Mida; perciocch Mida fu della specie de' satiri, come lo provano le sue orecchie. Un satiro, quasi per diritto di parentela, and a visi tar M ida, e a dileggiarne le orecchie, non solo con la nuda voce^ ma anche in musica. Ma egli istruito, come io credo, dalla madre, che un satiro, ove sia preso da! vino e sepolto nel sonno , torna ad essere tranquillo e totalmente si cangia, fece versar molto vino in un fonte vicino alla reggia, e mandovvi il satiro , il quale vi bebb e , e fu oppresso dal vino. E acci non paia questa una fanfaluca, udiamo da! principale del villaggio, se gli abitanti abbiano vino, e diamone al satiro, che accader a lui come a queHo di Mida (i). Piacque a tutti che cosi si facesse ; e posero quattro amfore egizie di vino nell'abbeveratoio, ove solevano dissetarsi le pecore del luogo, ed ApoHonio chiamovvi il satiro, segretamente eziandio non so che minacciando. Colui per non per anco ubbidiva, ma inebriossi (a! vapore) come se avesse bevuto , e quando fu interamente cotto, ora , disse ApoHonio , facciamo un brindisi a! satiro, poi che gi dorme. E detto questo, guid gli abitanti a!!' antro delle Ninfe, che non era dalla villa distante pi di un iugero, ed ivi mostrando il satiro addormentato co mand loro che si astenessero dal percuoterlo e dal vil(s) Nuovamente ha di ci parlato Filostrato nelle sue Tntntagwt, all'articolo di Mida. Ne abbiamo pur cenno in Senofonte nel primo libro della * % * Ctro, ed in Pausania nel cap. 4 del lib. t.

LIBRO VI. 34g laneggiarlo, perch, soggiungeva, cesser d' ora innanzi di molestarvi. Questa Impresa di Apollonio non fu a parer mio, un deviamento dei suo cammino, ma bens un' opera di passaggio. E se capitasse ad alcuno una sua lettera , eh' egli scrisse ad un giovinastro petulante, dove narra di avere in Etiopia reso mansueto un satiro, giuoco forza che di questa Istoria si ricordi. Non poi da mettersi In dubbio che vi sleno i satiri, e che molto inclinino all' amore ; perocch Io conobbi in Lenno un tale della mia condizione, alla madre del quale dicevasl andare un satiro in quella figura appunto, che con forme alla tradizione che se ne h a , comparendo vestito di una pelle di daino aderente agli omeri, i piedi an teriori della quale abbracciandogli il collo venivano ad aggrupparsi sul petto. Ma di ci nuli' altro aggiungo, giacch non si dee negar fede n alla sperienza, n a me. XXVIII. Ritornato Apollonio dall' Etiopia, le contro versie che erano tra Eufrate e lui cominciarono a farsi maggiori, a cagione delle dispute giornaliere. Gli oppose egli perci Menippo e Nilo, raramente volendo con Eu frate parlare, e particolar fiducia avendo in Nilo. XXIX. In que' girni Tito avea preso Gerosolima , ed empiuto di cadaveri ogui luogo. I popoli confinanti gli offerivano le corone trionfali, ma egli dicevasi inde gno di tanto onore, e non essere suo il merito di quel li impresa, ma aver Iddio adoperate le mani di lui per manifestar l ' ira sua. Ci molto piacque ad Apollonio, traendone argomento di sapienza in T ito , e di intelli genza delle umane e divine cose, non che di somma moderazione , rifiutando d' essere incoronato per avere

35o VITA DI APOLLONIO TIANEO sparso il sangue degli uomini (<). G!i scrisse pertanto una lettera, di cui volle che Damide fosse latore. La lettera fu questa : ^poMwiiO a 2%) genera/e Je' domani ya/ate. Perch tu egregiamente conosci a quali meriti si deb bono le corone, io la corona alla tua moderazione do vuta ti oflro, giacch la ricusasti pel titolo della lancia e del sangue nemico. Sta sano. Assai fu Tito contento di questa lettera, e s gli ri spose : 7o ft ringrazio a nome m/o e m/o p a J re , e ser&er yncmor:a 6?e//a tua genfi/ezza. 7o Ao preso Geroso/ima, e fa me. XXX. Chiamato Tito a Roma, di tutte le dignit insignito, si pose in viaggio per Roma, ond'esservi fatto collega del padre. Considerando adunque quanto a lui gioverebbe se ApoHonio potesse , anche per pochis simo tempo, trovarsi con esso, il preg che venisse ad Argo (2). E andatovi egli, Tito Io abbracci e gli disse: Mio padre nelle sue lettere mi informa de' consigli, di cui volle esser teco partecipe. Ecco una lettera, nella quale scrive essere tu il suo benefattore, e a te doversi
(!) Abbiamo da Flavio GioseSo, che la corona di cui qui si para, venne oHerta a Tito dai Parti. (2 ) Che questa fosse la citt d'Argo nella Cilicia si pu desu mere dall*avere Apollonio, dopo il presente colloquio, accompa gnato Tito sino a Tarso , che era parimenti citt delia Cilicia.

LIBRO VI. 35 : quanto no! siamo. Ma io che ho trent' anni, e investito mi trovo delta dignit stessa che ha il padre mio sessa genario, e son chiamato all'impero (n ancora so se io abbia dapprima imparato a ubbidire ) , temo non pormi a cimento maggiore delle mie forze. Apollonio allora, accarezzandogli il collo ( che robustissimo aveva e per nulla inferiore a coloro che si esercitano ne' giuo chi atletici ) , disse : Chi forzerebbe un toro che ha s gagliardo collo a lasciarsi porre al giogo ? Quegli, ri spose Tito, che allevommi vitello (intendendo il padre); al qual solamente son disposto ubbidire, per avermi sin da fanciullo avvezzato al voler suo. Rallegromi dun que , disse Apollonio, prima in vederti cos disposto ad ubbidire il padre , de! cui dominio son lieti anche i sud diti, che per natura non gli son figli (t); poi perch le virt sue coltiverai lui coltivando. Qual cetra di fatto c qual tibia render pi soave e grata armonia, quanto 1 associamento nell'impero della giovent alla vecchiez za? imperocch agiran di concerto le virt della matura e della giovine e t , s che la vecchiezza ne ingagliar disca , e la giovent si mantenga salda nell' osservanza dell' ordine e del decoro. XXXI. E a m e, disse T ito , quai precetti darai in torno al principato ed all'imperio? Oh! rispose Apol lonio ; ben gi sapesti da te stesso istruirti ; e coll'imitare il contegno del padre tuo, non dubbio che riu(t) Scrive Svetonio che corse fama a que' giorni che Tito ri bellandosi al padre meditasse di farsi imperadore dell' Oriente. A ci pare che alluda la compiacenza di Apollonio veggcndolo anzi cosi sommesso alla paterna autorit.

35* VITA DI APOLLONIO TIANEO sdrai smile a lu. Tuttavia ti esporr i consigli di Ar chita, che sono egregii, e degni d'essere imparati. Ar chita fu di Taranto, e seguace della dottrina di Pitta* gora; scrivendo egli sulla educazione de'Egli (i) disse: paJre ?wotfe//o a! ; quasi inten dendo che i genitori pi diligentemenie eserciterebbero le virt, ove fossero persuasi che i figli li somiglereb bero. Io inoltre ti aggregher Demetrio mio collega (2), il quale sar teco ogni volta che il vorrai, e ti indi cher le buone opere da farsi. In che consiste, o Apol lonio, la sapienza di quest'uomo? dimand Tito. Nella libert di parlare , rispose , nella verit , nell' intrepi dezza , perch ha molto del cagnesco (3). Ma turbatosi Tito a questa voce, Apollonio soggiunse: Ad Omero parve opportuno che il giovin Telemaco (4) avesse due cani, ch e, sebbene privi di ragione, lo accompagnas sero al congresso degli Itacesi, cui fnge mandarlo; ma costui sar tal cane che abbaier in favor tuo contra gli altri, ed anche contra te , se per caso errasti, sa pientemente per e non senza ragione. Dammi dunque, replic T ito , questo cane per seguace, e gli accorder pur che mi morda, ove mi vegga far cosa ingiusta. Scri v ergli una lettera , disse Apollonio, essend* egli ora a Roma a filosofare. Scrivila, disse T ito , e vorrei pure
(') Aggiungasi questo Hbro a quelli da Archita composti, dei quali Egidio Menagio ha preteso darci il catalogo nelle sue illu strazioni a Laerzio. (2 ) Quel medesimo di che tratta il xxiv del lib. :v. (5) Parla con la franchezza usata dai Cinici.

(4) Nel lib. n dell'

LIBRO VI. 353 che per amor mo qualcuno scrvesse a te d volermi es ser compagno nel viaggio a Roma. Verr, Apollonia rispose, quando ad ambedue noi torner pi opportuno. XXXII. Fatti poscia allontanare i circostanti cos continu Tito : siamo soli, o Tianeo ; mi concedi tu che io ti interroghi sopra ci che pi mi preme? Inter rogami , rispose ; e fallo con tanto maggior confidenza quanto di maggiore importanza quello che sei per chie dere. Ti interrogherei, disse T ito , intorno alla mia vi ta, e da chi principalmente debba io guardarmi, se per non ti paressi troppo tmido a prendermi fin d' ora tali sospetti. Mi parerai anzi ^ rispose Apollonio, cauto e prudente ; perch a ci prima di tutto giova aver atten zione. Indi alzando gli occhi a! Sole, giur per esso che di ci appunto facea conto parlargli, quand' anche non ne lo avesse richiesto ; perocch gli dii gli avevano im posto di predire a lu i, ch e, vivendo il padre , temesse coloro che sono a lui nemici, e, morendo, quelli che a lui son pi congiunti. Di qual genere di morte morr io ? dimand Tito. Di quello stesso, rispose, del qual dicesi mrto Ulisse, cui narrano esser venuta la morte dal mare. Damide interpreta queste parole cos : eh' ei dovesse guardarsi dalla puntura di un Trgono ( :) , dal quale vuoisi che Ulisse fosse ferito ; e Tito, avendo re gnato due anni dopo la morte del padre, mor a ca gione di un lepre marino; pesce che porta in s crti umori pi mortiferi di qualunque veleno trovisi in terra
(t) Sorta di pesce, di cui Rondelesio ( lib. x n ) riporta l'eClgie. Nicandro narra che Ulisse dov la sua morte al Trigono.
F/AtMriMr;, fcm . Z. a5

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VITA DI APOLLONIO TIANEO

0 in mare. Di codesto lepre dicesi che facesse uso Ne rone , ponendolo tra le vivande, onde avvelenare i suoi nemici ; e che lo adoperasse Domiziano contra il frate! T ito , non perch gli rincrescesse regnare insieme al fratello, ma perch gli toccava regnare insieme ad uo mo buono e clemente. Di queste cose in segreto ragio narono : in pubblico poi si abbracciarono, e a T ito , che partiva^ cos Apollonio grid : Supera, o imperatore, 1 nemici coir armi, e il padre tuo colle virt. XXXIII. La lettera eh' ei scrisse a Demetrio fu del tenore seguente:

a #emeaio Cane (i)


Io ti ho dato a Tito imperadore, acci gli insegni i costumi a principe convenienti. Fa che gli abbia detto il vero di t e , e sia tu il suo tutto, rinunciando soltanto alla tua iracondia. Addio. XXXIV. I cittadini di Ta&so erano stati in altro tempo nemici di Apollonio, s per le riprensioni con tinue con che li pungeva, e s perch essendo dilicati e pavoneggiantisi non potevano sopportar parole che fossero aspre (2). Allora per lo amavano in modo, che quasi fondatore ed unico sostegno della citt loro il
(i) Forse per ischerzare sulla dottrina di lu, e sulla sua im prudente franchezza; la qual fu tanta, che il buon Vespasiano fu costretto bandirlo, f (a) Ne abbiamo le prove in ci che leggemmo nel $ va de! primo libro.

LIBRO VI. 355 rispettavano. Avendo l'imperatore sagriRcato pubblica* mente, raunatasi la citt porse a lui suppliche sopra oggetti di somma importanza, cui rispose egli che ricor date le avrebbe al padre suo, presso il quale oRerivasi egli stesso per ambasciadore de' loro bisogni. Accosta to g li Apollonio cos gli disse : Se io rimproverassi aper tamente alcuni di cpstoro di essere stati nemici acer bissimi di te e del padre tuo, ed essere andati in depu tazione a Gerosolima per macchinar novit, e di avere occultamente aiutati quelli che erano tuoi nemici palesi, dimmi, che sarebbe di ossi ? Che altro , rispose T ito , che di venir tosto dannati a morte? Ma non egli, sog giunse ApoMonio, un vitupero, !' infliggere immediato castigo ai re i, e i beneRcj indugiare, e di quello arro garti tu stesso l ' autorit, di questi aspettare di averne parlato al padre? Piacquero queste parole all' impera tore, e disse : Accordo la domanda, n mio padre mi rimbrotter di essermi lasciato vincere dalla verit e da te. XXXV. Scrivono avere Apollonio molti popoli visitato, tanto le sue dottrine manifestando, quanto facendosi manifestare le altrui. Rispetto poi alle susseguenti pe regrinazioni , varie ne intraprese, non per molto lun ghe , n a luoghi che gi prima non conoscesse. Dopo il suo ritomo dall'Etiopia dimor lungamente nel basso Egitto; and in Fenicia, in Cilicia, nell'ionia, e gli Achei visit e di nuovo gl' Italiani, nulla trascurando giammai per parere sempre simile a s medesimo. Per ch sebbene si creda essere assai difficile il conoscere s stesso, pure io stimo pi difRcile che un sapiente ri*

356 VITA DI APOLLONIO TIANEO manga sempre tale; n per certo canger egli in me^ glio gli uomini di depravata indole, se prima non avr regolato s stesso in modo da rimanersi immutabile. Ma di ci ho tenuto altrove discorso , col quale ho inse gnato a quelli che con qualche diligenza ne trattano, che nessun accidente pu far cangiare o ridurre a ser vit uno , che uomo sia veramente. Ma per non essere prolissi in raccontare per minuto le cose che Apollonio filosoficamente oper e disse qua e l , e per non pa rere eh' io voglia troppo ieggertnente la storia esporre, che non senza fatica vo tessendo, in grazia di coloro, cui tant' uomo era ignoto, stimo pregio dell' opera nar rare le degne azioni di lu i, e quelle che sembrano pi meritevoli di memoria ; perocch narrazioni di tal sorta equivalgono alle visite degli Asclepiadi (i). XXXVI. Fuvvi un giovine non dotto, il qul per ammaestrava gli uccelli e tenevali in su camera onde imparassero cantare e parlare ^istruendoli ad imitare le voci um ane, e a modular colla gola al pari d 'u n flauto. Incontrandosi Apollonio con lui : Qual il tuo mestiere? gli chiese; ed accennando egli usignuoli, merli ed altri uccelli, disse che li istruiva a raddolcire la rozza, lor lingua, e intanto incolto parlatore egli stesso mostravasi. Perlocch Apollonio soggiunse : Parmi che tu anzi corrompa codesti uccelli, primamente col non per metter loro di usare la propria lingua, che tanto soa ve che nessun musicale istrumento giugne a imitarla; e
(') C!o& de' medici, le quali apportano vantaggio agli ammala ti , sia per l 'applicazione opportuna de* rimedj, sia pel conforto e il coraggio che danno.

LIBRO VI. 35y in secondo luogo, perch parlando tu peggio d tutti i Greci, li fai scolari deHa tua rozzezza. Oltre a ci , tu sciupi, o giovine, la tua sostanza, giacch i seguaci che hai e la tua pomposit mi fanno supporre che tu sia dilicato e ricco. Tal sorta di persone d ansa ai ca lunniatori , che le scagliano contro le lingue lo ro , si mili a strali ; e in tal caso a che ti giover lo ammae* strare gli uccelli? Che sebbene i canti di tutti gli usi gnuoli in uno riducessi, non potresti cacciartele d'intor no , s ti stanno addosso e ti stringono ; lapnde sarai forzato a profonder loro le tue facolt, e gettar 1' oro innanzi ad essi come si gettano le ossa ai cani, e di bel nuovo abbaiando essi, tu pi e pi ne d ia, s che in ultimo ne manchi e ti riduca a povert. A te dunque fa d'uopo una illustre conversione, e una mutazion di costumi, onde per avventura non abbi a trovarti spennacchiato senza avervi posto pensiero, e non giun ga a tale che i tuoi uccelli abbiano pi presto a far que* rele che canti. Il rimedio di cotal mutazione non gran fatta difficoltoso. Trovasi in ogni citt un genere di persone, le quali tu ancor non conosci, che si chia mano maestri. Dispensando ad essi piccola porzione delle tue facolt, possederai sicuramente il resto, per ch essi ti insegneranno 1' eloquenza dtel foro , che fa cilmente si impara. Che sp tu fossi ancor fanciullo , ti avrei consigliato andare alle scuole de' sofisti e de' filo? soG, e alla tua casa porre una siepe d' ogni sorta di sapienza ; ma perch i! tempo di impararla per te scorso, impara almeno di poter parlare per te medesi mo, ponendoti in capo che se avessi appreso scienz

358 VITA DI APOLLONIO TIANEO pi sublimi saresti simile ad un soldato di pesante ar matura e di terribile aspetto ; e che questa imparando avrai, se non altro, P armatura de' veliti o de' Rombolatori , e ferirai con essa que' cani de' calunniatori. In tese il giovine questo discorso, e abbandonata la cura degli uccelli si diede ai maestri, per opera de' quali acquist le forze della mente e della lingua. XXXVII. Circolavano in Sardi due fandonie; 1' una che una volta il Pattolo somministrava a Creso la sab bia d' oro (:) ; 1' altra che le piante fossero pi antiche della terra. Apollonio disse che la prima si poteva cre der probabile, perch anticamente nel monte Tmolo erano molti minuzzoli d' oro in forma d' arena, che le acque seco portavano e deponevano nel fiume Pattolo; coir andar del tempo per, come di tali cose suole av venire , a forza di lavarla passandovi sopra, la consuma rono. Dell' altra favola rideva, dicendo : Voi preten dete che le piante furono prima della terra, ma io che da tanti anni attendo alla filosofa non ho sinora potuto mai persuadermi che gli astri fossero prima del cielo; e insegn loro che nulla pu mai esser fatto se prima non esiste quello in cui debbe esser fatto. XXXVIII. Avendo il prefetto della Siria cagionato sedizione in Antiochia ^ spargendo tra' cittadini mille sospetti, e stando la citt divisa in faziosi radunamenti, un fortissimo terremoto sopravvenne, per cui tutti at territi salvaronsi nelle caverne, e com' il solito in
(*) Lo dice anche Plutarco nel libro de* fiumi ? Plinio ne! v , Strabone nel m i, ecc.

LIBRO VI. 35p siffatti portenti, pregarono a vicenda per la comune sa lute (:). Arrivatovi ApoHonio, disse loro : Manifesta mente vuole Dio tra voi conciliarvi; voi dunque non pi quind' innanzi discorderete, se timor sentirete di simili sciagure. E pose loro sott' occhio i mali che loro ne accaderebbero, formidabili s per 1' un partito che per 1? altro. XXXIX. Questo ancora degno di memoria credem mo. Un tale sagriRcava alla terra, onde trovarvi il te soro , n ebbe riguardo di ci stesso pregare ApoMonio. Ed egli, poi che seppe il suo desiderio, cos gli disse: Ti vedo gagliardemente intento al guadagno. Son s ta pino , quegli rispose, che nulla h o , tranne qualche mi seria che neppur basta a nodrir la famiglia. Egli par dunque, soggiunse Apollonio, che tu abbi a nodrire parecchi oziosi, eppur non hai cera di stordito. L'altro allora , piagnolando alcun poco : Ho quattro figliuole, disse, onde ho bisogno di quattro doti. Sole ventimila dramme ho io al presente, e divise che io le abbia sulle mie figlie, e loro parr di ricevere poco, ed io sar ri dotto all' ultimo verde, non rimanendomi quasi nulla. Sent ApoHonio alquanta piet di costui, e gli disse : Io dunque, e la terra, cui s che tu sacrifichi, prenderem cura di te. Detto ci, avviossi verso i sobborghi, come un di coloro che vogliono comperar fruttile vi stovi un campicello pieno di ulivi, e questi piacendogli
(t) Non trovasi negli storici vestigio alcuno, che io sappia, n di tal sedizione, n di tal terremoto; a meno che questo non si riferisca a quello accaduto in Antiochia ai tempi di Traiano. Nel qual caso le seguenti parole d'Apollonio avrebbero del profetico.

36o VITA DI APOLLONIO TIANEO perch* erano assai beli, e molto alti ; e osservatovi nn orticello , ove erano e sciami d' api e fiori, entrowi, come se volesse considerarlo pi da vicino, e fecevi un sacrificio a Pandora, indi torn in citt. And quindi a trovare il padrone del campicello, il quale ammassava ricchezze con iniquissimi mezzi, e delle sostanze dei Fenicj si caricava (per farsele poi confiscare ) (i), e gli domand : Quanto ti costa quel campicello ? E quanto spendesti di poi in coltivarlo ? E rispondendo egli che T aveva comperato Tanno dianzi per quindicimila dram me , e nessuna spesa avea fatto per coltivarlo, il per suase a rivenderlo a lui per ventimila dramme, guadagnandovene sopra cinquemila. Non comprendeva l'al tro, che mirava al tesoro, quant' utile avesse ad averne, e parevagli tanto dare e tanto ricevere, anzi scapitarvi, perch le ventimila dramme in mano erano sempre a sua disposizione, laddove il podere che ne acquistava restava esposto alle piogge, alla grandine e a quanto contribuisce a guastare i prodotti della campagna. Ma quando in un luogo vicino agli alveari dell' orticello tro v un vaso con entro tremila darici (z), e quando fece una raccolta abbondantissima di ulive , mentre altrove la terra non fu troppo feconda, celebr Apollonio con inni, e gli amanti delle figlie gli furono intorno, em piendogli con gran premura la casa.
(*) Durante la guerra Giudaica tutte le sostanze degli Ebrei, ovunque si trovassero , vennero conBscate. Molti perci aHrettaronsi a privarsene, e quindi molti usurai ne trassero profitto , a rischio di cader essi nella confisca. Vedi Strabone lib. xv:. (?) Cio sessanta mila dramme.

LIBRO VI. 36t XL* Quest' altro fatto < T Apollonio trovo specialmente memorabile. Un tale era innamorato della statua di Venere, che nuda si vede in Gnido ; e molti doni le avea consecrti, e pi promettea consecrarne, ove sua per nozze la rendesse (i). Tal cosa ad Apollonio parve assurda, s per s medesima, come perch i Gnidj non la vietavano, dicendo che la dea pi celebre dive niva eccitando siffatti amori ; e risolvette di purgare il tempio di codesta pazzia. E avendogli i Gnidj richiesto se avesse nulla ad emendare intorno ai loro sagriRcj ed alle preghiere , rispose : Emender gli occhi, ma i riti del tempio continuino quali ora sono. Indi chiamato a s quel tale innamorato, lo interrog se credeva nella esistenza degli iddj; e rispondendo egli di credervi s che ne era persino innamorato, e menzion facendo delle nozze , le quali a forza di sagrlRcj sperava celebrare, Apollonio soggiunse : O pazzo, i poeti che favoleggiano avere gli Anchisi ed i Pelei giaciuto con le dee, ti hanno guasto il cervello. Ma io rispetto ai reciproci amori penso che i dii amino le dee , gli uomini le donne, le bestie altre bestie, e generalmente ognuno ami il suo simile, onde riprodurre i simili a s dello stesso genere. Che se insiem si congiunga un genere con un genere d'altra sorta, pi non si conserva n la congiunzione, n 1' amore. E se ti fossi ricordato d'Issione, non ti sarebbe venuto mai ne! pensiero di amare chi a te non simile;
(i) Valerio Massimo nel lib. vm, e Plinio nel lib. xxxvi ram mentano questo folleggiamento amoroso per la statua delia Venere gnidia, della quale noi facemmo un cenno di sopra.

36i VITA DI APOLLONIO TIANEO egli afSso ad una ruota viene ora sottosopra aggirato ; e tu se da! tempio non partirai, nel profondo della ter ra Unirai la tua vita, n avrai ragion di lagnarti che gli dii ti abbiano ingiustamente dannato. Con questi detti il furore di colui rest spento, e dove prima dell' amor suo facea pompa, and a far sagriRcj per impetrare il perdono. XLI. Indi a poco trovandosi molestate dal terremoto le citt poste sulla sinistra dell' Ellesponto, andavano Egizj e Caldei scorrendo per esse a Rne di ragunar da nari, asserendo che fatto avrebbero a Nettuno ed alla Terra un sagriRcio, il quale avrebbe costato dieci ta lenti (f). Le citt dunque traevano danaro s dal pub blico che dal privato, tanto erano atterrite; perch co loro si rifiutavano a celebrare il sagriRzio, se la somma non fosse prima depositata presso i banchieri. Apollo nio pertanto deliber tra s di prender cura degli EHespontini, e recatosi nella citt dell* Ellesponto ne scac ci coloro che accumulavan ricchezze sui mali altrui ; e le cagioni esponendo dell'ira di Nettuno e della Terra, ed esortando che ciascuno la espiasse come poteva, con poca spesa rimosse 1' urgente pericolo, e la terra si acquet. XLII. Aveva l'imperatore Domiziano in que' giorni proibito che si facessero eunuchi, e che si piantassero
(t) Tra i ciurmatori dell'antichit occupano uno splendido luogo gli Egizj ed i Caldei. Costoro vantaVansi d saper placare l ' ira celeste, e il popolo se ne lasciava adescare. Sopra di che da. vedersi un bel tratto di Ippocrate nel cap. 5 De jacr.

LIBRO VI. 363 viti, c ordinato che le gi piantate si vendessero (t). Apollonio, che venuto era allora in Ionia: Questi or dini, disse, non appartengono a me , che sono forse il sol uomo, che uso non faccia n dell^ parti genitali, n del vino, ma codesto egregio monarca non vede che risparmiando gli uomini va per mutilando la terra. Da ci la Ionia prese coraggio, e os mandar suoi legati all' imperadore in favor delle viti, pregando ritirasse una legge, che rovinava le terre loro, col vietare che tali piante vi si coltivassero. XLIII. Celebre parimente ci eh' egli fece in Tar so. Un can rabbioso assali un giovinetto, e la morsi catura l'aveva ridotto in tale stato, che imitava tutto quello che i cani fanno ; perciocch abbaiava ed urlava^ e andava a quattro piedi, adoperando a tal uso anche le mani. Gi trenta giorni erano corsi eh' egli era cos travagliato , quando Apollonio, giunto in que' giorni a Tarso, fu a trovarlo. Ordin quindi che gli fosse con dotto il cane, cagione di quel male ; ma gli venne ri sposto che quel cane non si era veduto, attesoch il giovane fu da quello assalito fuor di citt, dove era ito a esercitarsi a vibrar dardi ; n aver potuto saper dall ' infermo qual ne fosse la forma, giacch pi non co nosceva nemmeno s medesimo. Soprastette egli alcun poco, poi disse : O Damide, quel cane bianco, assai peloso , molosso , ed uguale a un cane d'AmRlochia ; ed ora stassi tutto tremulo vicino ad un fonte ( e ne disse il nome ), avendo dell' acqua e desiderio e timore.
(*) Ne & memoria Syetono, D!one, Eusebio, e alcun altro.

364 VITA DI APOLLONIO TIANEO, LIBRO VI. Va e conducilo a me sulla riva del Rume, dove son !e palestre, non altro dicendogli se non che io lo cito. Menato quindi da Damide, il cane cadde ai pi di Apol lonio , gemendo y come usano i supplicanti innanzi agli altari. Apollonio con la mano palpandolo il rendea semprepi mansueto, e il giovinetto gli avvicinavay che pur teneva per mano. E perch non rimanesse celato al po polo il grande arcano , cos disse : L' anima di Telefo da Misia (*) in questo fanciullo trasmigr, come decre tarono i fati. Detto questo, comand al cane che lec casse la morsicatura, acci chi fu gi autor della piaga ne fosse anche il medico. Dopo ciy il giovinetto si volse al padrey e riconobbe la madre y salut per nome i com pagni y e bevve un poco d' acqua del Rume Cidno. N trascur Apollonio il cane y ma pregato il Rume ver esso il condusse. Entrato egli nell' acqua , poscia a riva tornando y mand un latrato y cosa che i cani arrabbiati non sogliono fare y e piegate le orecchie menava la coda, sentendosi guarire. Medicamento della rabbia in fatto T acqua y purch l 'arrabbiato possa sostenerla. Queste sono le opere da ApoHonio fatte pei tempj e per le citt y a castigo ed a beneRcio de'popoli , sopra morti ed infermi y con sapienti e non sapienti y ed an che coi rey che vollero il consiglio di lui per esercitare ed onorare la virt.
(t) Sappiamo da Apollodoro (Hb. in ) che codesto Telefo fu quello che ferito dalla lancia di Achille , da essa pure venne guarito , applicandola alla piaga. Cos ora il giovinetto ottiene il rimedio da quel medesimo cane d' ond' ebbe il morbo. In questo luogo Apollonio pare dotato di quella straordinaria sapienza, di cui Filostrato vuole ne*suoi lettori indurre la persuasione.

DELLA VITA

DI APOLLONIO TIANEO

/J A /iO .S'K/TY.W).

I. Jto non ignoro che de'veri RlosR ottima sperienza si ne' governi tirannici ; e di buon grado concedo che si prenda in esame in qua modo l'uno pi o meno delP altro siasi contr' essi diportato ; perch a ci appunto il mio discorso si addrizza. Nel tempo che regn D o-* miziano fu Apollonio coperto di dinunzie ed accuse. In qual occasione nascessero, e donde, e sotto quai nomi, spiegher fra poco. Ma trovando io necessario di espone com' egli e parlando e comparendo schiv la sentenza, convincendo egli il tiranno, anzi che rimanendo con vinto , mi sembrato opportuno di raccontar prima le azioni che pi degne di ricordanza trovai di alcuni sa pienti contro i tiranni, e queste poi coi fatti di Apollo nio paragonare ; perch in tal guisa si viene in chiaro della verit.

366 VITA DI APOLLONIO TIANEO II. Zenone di E!ea dunque, ' autore deHa Dialetti ca , venne arrestato qual macchinatore deHa rovina di Nearco tiranno di Misia (f). Posto pertanto all'eculeo, non manifest i compagni deHa congiura, ma dinunziando per poco fedeli coloro che fedelissimi erano al tiran no, questi come veramente rei perirono , ed egli liber la Misia, armando con tale astuzia la tirannide contra s stessa. Platone parimenti impegnossi per la libert dei Siculi, e si di complice con Dione, che a ci tendeva. Fitone, cacciato da Reggio, ricover presso Dionisio, ti ranno egli pur di Sicilia; e veggendosi da lui troppo pi onorato di quel che convenga ad un esule, and inve stigando P intenzion del tiranno, e conobbe aspirar egli a farsi signore di Reggio, e avendone per lettera infor mato i Reggiani, venne arrestato ; dopo ci il tiranno fattolo appender vivo ad una macchina, questa aHe mura accost, pensando che i Reggiani non la batterebbono per non offender Fitone ; ma egli con sue grida esortolli a batterla, dicendo esservi egli stato posto qual se gnale della libert loro. Eraclide e Pitone che uccisero il tracio C oti, crebbero insieme da fanciulli, poi la di sciplina dell'accademia seguirono, s che furono sapien ti , e quindi liberi. Chi non s le imprese di Callistene di Orintia? il quale avendo in un medesimo giorno lo dato e ripreso i Macedoni, nel tempo che somma era
(<) Questo e tutti i seguenti esempi si trovano in Diogene Laer zio , in Plutarco e negli altri pi noti storici dell* antichit, n io credo necessario 1' andarli parzialmente citando. Ben vero che non tutti i fatti qui ricordati si accordano per intero a ci che ne scrivono parzialmente gli autori.

LIBRO VII. 36y la possanza loro, fu spento perch non parve loro trop po grazioso. Anche il sinopese Diogene, e il tebano Crate, son celebri ; quegli per essere ito, subito dopo 1A battaglia di Cheronea, a rimproverare acremente Fi lippo in favor degli Ateniesi (de'quali diceva Eraclide: egli ha coll' armi disfatto coloro che coll' armi aveva in nalzati ) ; questi per avere risposto ad Alessandro, il qual diceva di volere rifabbricar Tebe a suo riguardo , non aver bisogno di una patria, che di nuovo sia rovi nata da alcuno pi in armi potente. Pi altri consimili esempi potrei addurre, ma la narrazion mia non per mette di andar per le lunghe , tanto pi che mi corre il dovere di disputare contra que' pochi che ho citati, non gi perch poco onorevoli sieno, o men lodati uni versalmente , ma perch sono inferiori alle cose fatte da Apollonio , bench di molto sieno superiori a quelle de gli altri. HI. L'impresa adunque di Zenone di Elea, e l'altra di quelli che uccisero Coti, non meritano di venir al pa ragone; perch ridurre a servit i Traci, i Misj ed i Geti facilissimo, liberameli stoltezza; non facendo essi verun conto della libert, e non stimando, a parer mio, vergognosa la schiavit. Poco saggio consiglio fu quel di Platone in cercar di emendare pi presto le cose di Sicilia che le ateniesi; tanto pi che a ci parve indotto dal danaro, ingannando ed ingannato al tempo stesso, locch non dico per rispetto a quelli cui rincrescerebbe di udirlo. Ben intraprese il reggiano Fitone contra Dio nisio , che un gagliardo imperio esercitava in Sicilia ; ma siccome ad ogni modo egli aspettar doveva la morte dal

368 VITA DI APOLLONIO TIANEO tiranno, quand' anche non fosse stato ucciso dalle frecce di Reggio, nulla oper, a mio avviso, di singolare, pre ferendo la morte s per 1' altrui libert che per la pro pria servit. Callistene parimenti infno ad oggi non ha schivato 1' infamia di malvagio , perocch lodando e vi tuperando ad un tempo o vituper coloro ch'ei stimava degni di lode, o coloro lod cui dovea biasimare. Aggiugniche chiunque con ingiurie perseguitala gente dabbene non pu non esser tacciato di invidia ; e cos chi i cattivi con elogi lusinga porta egli la colpa de'misfatti loro, perch se i malvagi si lodano pi malvagi di ventano. Cos se Diogene avesse que'discorsi tenuto a Filippo prima della battaglia di Cheronea, lo avrebbe forse trattenuto dal mover 1' armi contro gli Ateniesi, ma , tardi arrivando e a cose fatte, lo riprese, vero, ma non l'emend. Quanto a Crate, ogn'uomo che ami il pubblico bene lo giudicher riprensibile di non aver secondato 1' animo di Alessandro, che meditava di rie dificar Tbe. Apollonio all'incontro, n paventando per la patria minacciata, n disperando della salute del corpo, ne scendendo ad insulsi discorsi in favor de'Misj o de' G eti, n innanzi a principe di una sola isola e di piccola regione, ma di quello cui soggetto era il mare eia terra tutta, contra lui, dico, il quale superbamente regnava, si mise in campo pel vantaggio de'sudditi, con quello stesso animo, che fece uso contra Nerone. IV. Ma quella sia pur da chi vuole stimata come una scaramuccia, giacch non ponendosi egli stesso in ischiera , ma solo animando Vindice, e gravemente rimbrot tando Tigeilino, macchin la rovina del!a tirannide ^

LIBRO VII. 36p anzi riguardisi per un meschino racconto, non abbiso gnando un grand' animo ad assalire Nerone, che viveva a guisa di una ballerina o di una sonatrice. Ma che si dir di Domiziano ? il quale robusto era di corpo e ne mico de'piaceri che da musicali strumenti e da suoni de rivano, e indeboliscono le forze della facolt irascibile^ e che sue delizie faceva la calamit degli altri, e ci che ne provocava i gemiti, e diceva che la diffidenza delle repubbliche verso i tiranni e de'tiranni verso il popolo, era l ' amuleto del trono? (*) Ed era suo avviso che l'imperadore aveva a cessare la notte da ogni opera, e dar corso alle stragi. Quindi che il Senato venne privo di alcuni prestantissimi membri. Sotto di lui la filosofa prese cotale spavento , che i suoi seguaci, mutato abi to (a) rifuggironsi quali nelle ultime Gallie, quali nei deserti di Libia e di Sciza ; e alcuni appgliaronsi alla dottrina del tempo, adatta ai vz}. Ma Apollonio al par di Tiresia, cui Sofocle nell' Edipo fa dire :
jy e non o pipo , (3)

cos egli ,*toltasi la sapienza per signora , era de' pochi che ai tempi di Domiziano mantenevansi liberi, riputando dette a lui stesso le parole di Tiresia e di Sofocle, nulla temendo per s, ma compassionando coloro che rovi navano gli altri. Perci rivolse contra lui tutta la gio(!) 11 tristo ritratto che qui s fa d Domiziano ben corrispon de a quanto ne scrissero Svetonio e gli altri storici. (a) Cos fece Dione di Prusea, che vestitosi da villano and a lavorare la terra ; come vedremo nell* altro volume tra le Vite de' Sofisti. (3) Verso nella tragedia dell* Edipo tiranno. ^
.f/MMriMrf, few*. 7.

3yo VITA DI APOLLONIO TIANEO venta, che era ne! senato, e tutto l'accorgimento che in parecchi osserv ; e recatosi neHe provincie, co' prefetti 61osofando, insegn non essere immortale la potenza de' tiranni, e pi facilmente potersi distruggerli appunto perch son temuti. Oltre a ci vantava loro !e feste Panatenee degli Ateniesi, nelle quali Armodio ed Aristogitone si celebravano (t), e la grand'impresa di File (a), con che venne estinta la potenza dei trenta tiranni. Raccontava eziandio i fatti de' Romani medesi mi) e come ne! tempo che i! popolare governo reggevali cacciaron coll' armi la tirannide (3). V. Venuto in Efeso un recitator di tragedie, onde rappresentarvi la favola di Ino (4), e andato ad ascol tarlo il proconsole de!!'Asia, il qua! bench fosse un illustre giovane di consolare famiglia pure di cotai recite sentiva timore, l'attore giunse a que' versi in cui Euri pide scrisse che i tiranni per lungo tempo cresciuti in forza talvolta in brevi istanti sono dispersi. Apollonio allora saltellando sciam : eppur questo sciocco non in tende n me n Euripide. VI. Dipoi, sapendosi per fama che Domiziano avea
(<) Per opera de' quali fu spenta la tirannia di Ipparco, giu sta i racconti di Tucidide e di Valerio Massimo. ^2 ) Castello in cui rifuggissi con pochi seguaci Trasibulo. Vedi Cornelio Nepote. (3) Accenna la cacciata de'Tarquinj. (4) Una delie tragedie perdute di Euripide, ricordata da Aulo Cellio, da Pol!uce e da Stoheo. Quest* ultimo ami net suo Flo rilegio cv ne cita alcuni versi che corrispondono appunto a quello che qui se ne dice.

LIBRO V1L 3y: fatta una splendida espiazione alla dea Vest di Roma, con aver uccise tre vergini pel delitto d sciolta cin tura (t), e per non essersi, giusta il costume, serbate pure con gli uomini ; bench fosse obbligo loro di ufBziare in istato di castit aUa iliese Pallade (a), c ser bare il fuoco nel tempio di lei : Oh ! disse ApoHonio, a te parimenti, o Sole, fatta fosse una espiazione deHe ingiuste uccisioni, delle quali ora piena la terra in tera! Le quali parole non pronunziava igi egli in pri vato, come i timidi fanno, ma le predicava e ^acco mandava fra la moltitudine e aHa presenza di tutti. VIL E quando 1?imperadre, fatto uccider Sabino suo parente, condusse in moglie Giulia, gi sp^sa del1 ?ucciso, e di Domiziano nipote per essere figlia di Tito, gli Efesj ne festeggiavano pubblicamente le nozze (3), intervenuto ApoHonio ai sagrile} sciam: O notte deHa antiche Danaidi, fosti pure egregia ! (4)
(!) Furono fcwntMa e le due sorelle Oce/Zafc, come sappia mo da Svetonio e da Dione. (a) Nel tempio di Vesta era il simulacro di Pallade ; e le me daglie che se ne ha rappresentano Vesta seduta tenendo con una mano il palladio. Le quali medaglie chiamavansi M n w e come oggi diciamo /in'#: , ec., le monete che hanno 1' e&gie di alcun principe di tal nome. (3) Si ha una medaglia greca della c!tt& di Pergamo con l'ef6 gie di Domiziano e di Giulia. Questa misera principessa, figlia dell* imperador Tito , orbata del padre, e del marito Flavio Sa bino , divent preda del barbaro zio. Veggasi Svetonio, ec. (4) Uccisero le Danaidi gli sposi loro la prima notte; non uccise per Giuli* Domiziano, come par fosse il voto di Apol lonio.

3ya VITA DI APOLLONIO TIANEO Vili. Intanto le cose che di que'tempifacevansia Roma accaddero in questo modo. Preconizzavasi allo imperio Nerva, che in fatto dopo Domiziano moderatamente lo tenne. Del medesimo avviso erano OrRto e Rufo (!). Questi Domiziano, sotto colore che lo insi diassero, releg alle isole, e a Nerva comand di starsi a Taranto. Ad essi era Apollonio famigliarmente con giunto ; in tutto il tempo che Tito insieme al padre, p o i, dopo la morte di lui, solo regn, egli molto bene ammaestrati li aveva ne' buoni costumi, e come valen tuomini li avvicin a quegli imperadori. Li tenne poscia lontani da Domiziano, per essere costui superbo, e li confort a proteggere la comune libert. Ma comuni car loro per lettera siffatti consigli conobbe non esser cosa sicura; perch parecchi de'pi possenti citta dini gi erano stati traditi dai servi, dagli amici, dalle mogli, s che a que' giorni nemmeno la propria casa serbava un segreto. Sclti adunque alcuni pi prudenti de'suoi seguaci Apollonio, ora all'uno ora all'altro in disparte parlando , diceva : Io ti fo ministro di grande e importante arcano ; fa d'uopo che tu vada a Roma a trovare un tale, e insistere presso lui e persuaderlo con tutti que'modi che io stesso praticherei. Ma quando ebbe inteso che erano stati esiliati, e poi che li vide bastan temente animati contro il tiranno, ma dall'impresa ri tiratisi per pigrizia , and vicino al bosco di Smime,
(<) Salvidieno OrRto, e (per quanto si crede) Lucio Minuzio Rufo , stato console insieme a Domiziano Tanno 8 8 . Del loro csiglio, e di quello di Nerva , abbastanza raccontano gli storici.

LIBRO VII. 3y3 pel quale passa il Rame Melete, ed ivi arring intorno a! Fato ed aHa Necessit. IX. AHora poi che conobbe dovere ira poco salire al trono Nerva, tenne di ci discorso pubblicamente, mo strando , che nemmeno i tiranni possono far forza a quanto decretato dai fati. Una statua di bronzo erasi innalzata presso i! Melete a Domiziano, ed a s conver tendo ApoHonio queHi che andavano a vederla : O stol to , diceva, quanto mal conosci i decreti de'Fati e della Necessit! perch quegli, cui concede il Fato di regnare dopo di te, quand'anche da te fosse ucciso, riviverebbe. Tutto ci venne dinunziato a Domiziano da Eufrate, ma nessuno intendeva a qual di que' grandi siffatto ora colo si applicasse. II tiranno per, per liberarsi d' ogni timore , volgeva in pensiero di tutti ucciderli. Ma per non parere che egli a ci si risolvesse senza ragio ne , cit Apollonio a render ragione de' segreti consigli che con essi teneva. Imperocch facea conto che ema nando sentenza contra lui comparente, essi pure non si direbbero condannati senza udir le difese , ma come convinti dalla testimonianza di lui; ovvero se egli astu tamente si tenesse nascosto, gli altri nondimeno avreb bero a perire, perch qualificati rei dal complice loro, bench fuggiasco. X. Mentre F imperadre cos macchinava, e al pro console d'Asia imponeva che imprigionasse ApoHonio, e a Roma lo dirigesse, tutto ci per divina ispirazione, secondo il solito, il Tianeo previde. E dicendo egli ai suoi famigliari, che stava per intraprendere un viaggio assai singolare per lui, ad aleuni di loro venpe in me-

3y4 VITA DI APOLLONIO TIANEO moria il fatto dell' antico Abaride (*), e pens che forse una cosa di que! genere andasse immaginando. Eg!i per, senza pure averne fatto parola a Damide , con esso navig per l'Acaia. Scese di nave a Corinto, fece sul mezzod i consueti sagriRcj a! Sole, e verso sera sciolse le vele per Sicilia indi per l'Italia. Prospero ebbe il vento, e tranquillo il mare , s che in cinque giorni giunse a Pozzuolo. Ivi incontrossi in Demetrio (2), che pi degli altri filosofi ardimentoso, stavasi a picco!a di stanza da Roma, e bench sapesse eh' egli col era per isfuggir da! tiranno, pure onde incoraggiarlo gli disse : Io ti trovo immerso nelle delizie, e dimorante nella pi fe!lce parte della felice Italia (s'ella pu dirsi felice), dove anche Ulisse con la Leila Calipso intrattenendosi dimenticava, per quan^ dicono, il fumo e la casa d Itaca (3). Lo abbracci Demetrio, e ad allontanarne l'au gurio sciam* O dei! quanto danno patir la filosofa, che per tant'uomo in pericolo ! Allora Apollonio: Di che , disse, corro io pericolo ? Di nuli* altro, rispose , che di ci che tu gi sapevi, eppur qui venisti, ond' che io non so che mi pensare se i! tuo pensier non co
(*) Gii autor! delia vita di Pittagora raccontano di Abaride che viaggi P^r 1' aria a cavallo di una freccia. Questo racconto pu racchiudere un mistero teurgico, che io certamente non saprei come spiegare. (a) Quel medesimo, del quale si parl nel lib. iv, $ xxiv, ec. (5) Omero veramente pome Calipso nell' isola Ogigia (ora Lam pedusa) presso Malta. In qual modo Filostrato la faccia stanziare a Pozzuolo, non so intendere. Avess* egli equivocato con Circe, che abitava in que' contomi ?

UBRO VII. nosco. Ma non qui luogo di favellare; ritiriamo! in parte dove si possa parlar soli; e Damide pur v'intervenga, che io chiamo il Jo!ao (!) deHe tue imprese. XI. Dette queste parole li condusse in una viHetta, che gi fu deH'antico Cicerone, posta appena fuori deHa citt; ed ivi adagiaronsi a!!'ombra di un platano, men tre le cicale , concitate daHa calda stagione, cantavano intorno. Ad esse pertanto gli occhi alzando Demetrio: Oh voi beate, disse , e veramente sapienti, cui le Muse questa cantilena insegnarono, la qual finora non diede mai pretesto a dinunzie n a calunnie ; e fecero si che non andaste soggette al ventre, e vi posero ad abitar su questi alberi lungi dalla invidia degli uomini, dove lietamente cantate la felicit vostra e deHe Muse! Ben comprese Apollonio a che si riferissero le parole di De metrio, e riprendendole come troppo pi oziose di quello che doveva aspettarsene, disse: Volendo tu nu merare le lodi deHe cicale perch non hai voluto dirle palesemente, ma di nascoso in questo luogo, quasi siasi proclamata una legge, ehe nessuno ardisca lodare nemmen le cicale? Rispose allora Demetrio: Io non dissi ci per cagione di lode, ma per indicare che ad sse permesso questo loro canto, mentre a noi non pur lecito il borbottare, e il saper nostro ci si ascrive a delitto. L' accusa di Mileto e di Anito diceva : &Mrafe opera corrompendo /a gi*oyenf&, e/ntro() Ne! nono deHe racconta Ovidio che Jolao ai trov presente alla missione dell' idra, che Ercole fece , e che con un (erro infocato , eh* egli !e applic ai recisi colli, imped che nuovi capi vi rinascetsero.

3y6 VITA DI APOLLONIO TIANEO ducendo M w a Storno ag/* ; la no stra in questi termini: wm/yagiawenfe opcr^ ^ , co/^wn Jo e gMMftzta, e poj^eJew^o /a Faenza Je//e e uwafte c(Me, e wo/^o jajpeNJo Je/ ^ :f% o e 6?e//'e^mai. Tu poi, quanto maggiore fra noi la tua sapienza tanto pi astutamente ti vedrai accusato ; perocch Domiziano brama trovarti complice di quelle colpe, per le quali Nerva e gli amici suoi sono in esilio. E qual questa colpa, richiese Apollonio^ per cui son banditi? Un delitto, rispose, che oggi il som mo dei delitti, come pare a colui che li perseguita, perch dice averli scoperti in atto di congiurare e pri var lui del suo impero, afferma che tu a ci li istiga sti, mutilando , credo io, un fanciullo. Che l'avess'io mutilato , rispose Apollonio , acci l'impero fosse di strutto da un eunuco ? Non di questo, soggiunse l'altro, siamo calunniati, ma dicono che tu sagriRcasti il fan ciullo per curiosit delP avvenire, che ne' visceri giovenili meglio indicato. Nella tua accusa aggiungono e la foggia tua di vestire, e la nuova tua maniera di vive r e , e di pi che vi ha chi ti adora (f). Le quali cose tutte ho sapute da Telesino^ uomo non meno tuo che mio amico. Oh come a tempo, e fuori d* ogni speran za ^ disse Apollonio, ci verrebbe ora rincontro di Telesino ! tu parli al certo di quel filosofo, che fu console
(!) Vestiva alla RIosoSca, come vedemmo, astenevasi dal bever vino e dal mangiar carni di qualsivoglia animale , ed era sopraanomato comunemente il i&y/no, il prg/%fa, o con simil titolo di suprema lode. Si vedr nella sua apologia come di que sti pretesi delitti sappia difendersi.

LIBRO VII. 3yy all'epoca di Nerone (). Appunto di lui, rispose Deme trio. Come hai tn potuto, replic Apollonio, trovarti con lui? perch le tirannidi sogliono scagliarsi con velo cissimo impeto contra tutti coloro, che costituiti in di gnit conversino con persone, le quali sieno inquisite delle colpe, di che sei tu ora. Telesino , rispose Deme trio, ubbidendo a! pubblicato decreto, che venne test promulgato contra tutti i filosofi, usc di citt, volendo pi presto come filosofo andar profugo, che rimanersi come uomo consolare. Non vorrei, disse ApoMonio, che quest' uomo incorresse per cagion mia in qualche pericolo, perch basta il pericolo nel qual per la fi losofia. XII. Ma vorrei, Demetrio, che tu mi dicessi quello che a te pare che io far debba, o dire, onde acquetare il timore in cui sono. Se , rispose, non vuoi fartene bef fa, e se non dici di temere ci che non temi, il direi; perch ove tu veramente stimassi che da temere vi fosse per te, ti guarderesti per sin dal parlarne. Replic Apol lonio: Se tu ti trovassi avvolto, com'io, per egua! causa in pericolo, non fuggiresti tu ? Non io, per la dea Pal lade (a), rispose ; purch si agisse a norma del diritto.
(t) Se ne parl nel lib. tv , xxxvm. (a) H giurar per le dee, pi che per gli dii, pare che usas sero gl! antichi filosofi, n saprei dirne il perch. Ermogene nei di Senofonte giura per Pallade; Socrate nei TTeofcfc di Platone, ed Eschine presso Laerzio nella Vita di Aristippo , giuravano per Giunone. La naturale dolcezza del sesso, e la ri verenza alla immutabil giustizia di Giove, dovevano esserne la cagione. Noi pure nella santissima religion nostra confidiamo ge-

3?8 VITA Di APOLLONIO TIANEO Ma qui non s conosce diritto, bens un giudice il quale 0 non ascolta, s'io mi difendo, o anche ascoltando mi uccide, ancora che non reo di alcun delitto. N tu mi perdoneresti che io mi elegessi s fredda e vii morte, anzi che una degna della filosofa. E degna della filoso* Ra stimo io quella morte, ove si incontri racquistando la libert alla patria; o vendicando i genitori, i figli, t fratelli, i congiunti; o combattendo a favor degli amici, 1 quali dai sapienti credonsi preferibili sin anco ai con giunti, anzi a que* medesimi, che noi coni* amor ci acquistiamo. Ma il morire per poco plausibil cagione, per un certo fasto, e somministrare al tiranno un' ap parenza di avere ben fatto, io stimo pi intollerabile che il lasciarsi avvoltolare con l'ampia ruota, come nar rasi di Issione. Io penso per che per capo di tua di fesa porrai ci stesso dell' essere qui venuto senza veruu sospetto, con che la tua tranquilla coscienza testifichi; come pure che non avresti osato di far viaggio a que sti luoghi, se sapessi di aver commesso alcun delitto. Cos per altro non penser di te Domiziano, ma piut tosto ti far colpa di averlo sfacciatamente osato, con fidandoti nella tua maga; tanto pi che il facesti dopo la sua citazione, dalla quale, per quanto dicono, non ancora trascorso il decimo giorno. II presentarti dun que da te medesimo al giudizio, mentre ancor non udi sti qual giorno ti si assegni, darebbe peso all' accusa , perch parrebbe che tu l'avessi antiveduta, e confermeneralmente pi nella Madonna, come madre di misericordie e rifugio de*peccatori, che nel Signore, della cui giustizia sentia mo timore.

LIBRO VII. 379 rebbe la voce deH'ucciso fanciullo. Bada eziandio che quanto intorno ai fati ed aHa necessit dicono aver tu disputato nell' Ionia, a te stesso non avvenga, e che volendo ora il fato qualche molestia recarti, tu non vi ti trovi soggetto, non ponendo mente ch'egli sempre il meglio guardarsene. E se non hai per anco dimenti cati i tempi di Nerone, devi ricordarti quello che ac cadde a me, e come io non son codardo in faccia alla morte. Tuttavia in que' tempi avevasi anche qualche sol lievo ; perch soltanto la cetra parea far torto alla im periale maest di Nerone, nel rimanente non era egli de! tutto disarmonico; e spesso a cagion della cetra an dava indugiando, ed astenevasi dalla crudelt. Per que sto me pure non ammazz, bench gi sopra di me pendesse la spada, a cagione de' tuoi e de' miei ragio namenti, che feci nel bagno (!). Motivo a perdonarmi si fu che, mentr' egli cantava, un felice caso sorvenne, che egli attribu all' avere egregiamente modulato. Ma ora a qual modulazione, a qua! cetra daremo gli incen si ? tutto ora alleno daHe Muse, e impastato di bile, e costui n da s n da altri pu raddolcirsi. Dove Pindaro encomia la cetra dice eh' e!!a placa I! furore di Marte, e dalla guerra I! distacca; ma costui, sebbene abbia qui istituito un musicale combattimento, e pub blicamente incoronatine i vincitori (2), pure alcuni di
(n) Vedi sopra lib. !v, $ xm. (a) Avea Domiziano Istituito 1' Agone capitolino, nel quale garegglavasl di musica, di corsa equestre, e di ginnastica, non che di arte oratoria si nella greca che nel!a latina favella, e di ar peggiamene sopra diversi stromenti a corda ; oltre alla corsa delle fanciulle, come scrive Svetonio (m J9ont#. c. iv , num. 9 ).

38o VITA DI APOLLONI TIANEO questi uccse, i qua!!, come altri poi disse, quella mu sica! gara ultimamente co*flauti e con la voce espusero. Tu devi oltr a ci aver riguardo a quest! tuoi, che ti son compiici, i quali del paro insieme a te rovinerai, sia che troppo ardito tu paia, sia che tu dica cose, de!!e qua!i non potrai persuadere. La tua salute pertanto sta ne^ tuoi piedi. Di codeste navi parecchie, come tu vedi, sono pronte a far vela, qua!i per Libia, quali per T Egitto, altre ver !a Fenicia e Cipro, altre direttamente ver !a Sardegna, ed alcune a! di ! di Sardegna. Sa lendo adunque su qua! pi ti piace, facilmente, a pa rer mio, risolverai di andare dovunque piaccia si a te che a' tuoi. Certo che le tirannidi assai men gravi rie scono agli uomini illustri, quando esse li veggon vivere ritirati. XIII. Vinto Damide da questo parlar di Demetrio, cosi gli disse : Tu che s viva amicizia avesti sempre a quest' uomo, dio voglia che ora un gran vantaggio gli faccia! perch troppo debole l'autorit mia, quand'io Io consiglio a non farsi incontro alle spade gi alzate, e non opporsi ad una tirannide, della qua! non fu mai !a pi barbara. Di questo viaggio io neppure avrei saputo l'oggetto, se in te non mi fossi abbattuto, giacch io soglio seguirlo sempre pi prontamente d'ogn' altro ; e se alcun mi chiedesse per qual luogo io navighi, di vento un ridicolo, perch avendo trascorso il mar Si culo ed il Tirreno, ancora non ne s !a cagione. Che se, anteriormente informatone, qualohe pericolo incor ressi, almeno saprei che rispondere ai richiedenti; cio, che bramando ApoHonio !a morte, io suo emulo ho

LIBRO VH. 38t fatto vela con lu. Ma perch mi trov al buio di tutto convenevole che io dica almeno quel poco che a ; e Io dir in grazia sua, non gi per me. Voglio dire che se io incontrassi la morte , la filosofia non perderebbe gran cosa in m e, essendo io simile all* araldo di un va lente guerriero, n altro merito ho tranne quello di es ser seguace di tant' uomo. Se all' incontro fosse ucciso egli ( perch i governi tirannici sono assai speditivi a fa vorir l'uno e tor di mezzo l'altro) andrebbe, a mio giudizio, alzato un trofeo alla filosofia, per la perdita di colui che al di sopra d' ogni altro la coltivava. Molti Aniti e Meliti (t) sorgono contra noi, e varie accuse depongono a carico de' familiari di ApoHonio $ e un dice che questi si rise della tirannide mentr' ella pi l'opprimea ; un altro, che quegli incoraggi chi contr' essa parlava ; un terzo, che si data occasione a sparlare ; ed un quarto, che si partito dopo aver com mendato i biasimi che se ne ud. Quanto a me son d'avviso che debbasi per la filosofia morire, come il si debbe per le are e pei fuochi, per la patria e pei se polcri de' padri npstri ; giacch per la tutela di siffatte cose molti ed illustri soggetti incontraron la morte. Ma n vorrei morir io per distruggere la filosofia, n che alcun altro morisse di quelli che amano s lei che Apol lonio. XIV. Parl allora Apollonio, e disse : Bisogna per donare a Damide, se tanto cautamente dello stato pre sente delle cose ha ragionato. Perch essendo egli as(t) Furono questi g!i accusatori di Socrate.

383 VITA DI APOLLONIO TIANEO siro c soggetto ai Medi, dove i governi tirannici sona in fiore, non pu avere un sentir generoso intorno alla libert. Ma come tu possa, o Demetrio, {scusarti in faccia alla filosofa, non s$ poich incuti timore, anzi che dileguarlo, se veramente paresse che qualche ma lanno ci sovrastasse, come ti apparteneva, e non gi atterrire chi ha pur paura di ci che non nemmen verisimile che sia per accadere. Muoia pure 1' uom sag gio per le cagioni che tu numerasti, ma anche il non saggio per le cagioni stesse perisca $ perch il morire per la libert dalle leggi ordinato, e il morir pei pa renti , per gli amici, por le affezioni, dalla naturale le leggi e la natura hanno impero su tutti gli uomini, che a questa spontaneamente, a quelle per forza ubbidisco no. Ma molto pi conviene ai savj[ il morire per la pro pria dottrina. E questa, non per comando di alcuna legge, n per naturale istinto, ma spontaneamente, spinti da gagliardia d' animo e dal vigor della mente , hanno essi meditato ; e se alcuno perci si avvisasse di struggerla, piombi il fuoco sulla testa del saggio, piombi la scure, nulla di tutto ci potr vincerlo, n indurlo spensieratamente a mentire, ma nelle cose imparate ri marr si costante, come nelle sacre, cui fosse ascritto. 10 sen?a dubbio assai pi cognizioni ho che tutti gli al tri uomini, perch so ogni cosa ; ma quello eh' io so 1 1 so parte da buoni uomini, parte da filosofi, parte da me medesimo, parte ancora dagli dii immortali, e nulla dai tiranni. Che io poi non sia qui venuto stolida mente facil capire ; perch vi assicuro non farsi luogo a verun timore quanto alla mia persona, n posso venir

LIBRO VII. 383 ucciso dalia forza dei tiranno , quand' Io pure il volessi. Comprendo dall'altra parte I! pericolo di perder coloro, ai quali, sia c^e il tiranno mi faccia capo, sia che mi dica compagno, sar quel eh' ei vorr. Ma se io li tradissi, o col dilazionare, o col trattarne vilmente la causa, quale, per dio, sembrerei presso tutti i buoni? ovvero chi non mi ucciderebbe a ragione, per aver trascurato coloro, cui venne concesso quanto io chiesi agli iddj ? Che poi non mi fosse lecito di evitare la taccia di traditore, ora mostrer. Doppia l'indole delle tirannidi; o danno morte a'rei senza addurne la causa, o dopo averli posti in giudizio. L' un modo simile a quello delle pronte e feroci belve, l'altro a quello di animali pi deboli e pi pigri. Che l ' una e 1' altra maniera sia molestissima , a tutti manifesto, ove si richlamf per l ' una l'esempio della tirannide di Nerone violenta e sino il pretesto delle leggi imperfette, e per l'altra quella pi mansueta di Tiberio ; perocch il primo spense coloro eziandio che meno ne sospettavano; e il secondo an che quelli che gi ne aveano dubbio. Io per stimo peg giori quelle, che valgonsi del pretesto delle leggi, e pro nunziano sentenza a norma di esse ; perch non ope rano altrimenti secondo quelle, ma sentenziano a guisa di coloro, che non osservano forma veruna di giudizio, e solo pretestano quella specie di legge, che favorisce la passion loro. Aggiungesi che que' meschini condan nati a morte con una sentenza, che ha l'apparenza di giuridica, son anche fraudati della compassione di molti, la quale giusto concedere in vece di sepolcrale orna mento a quelli che ingiustamente periscono. Osservo

384 VITA 01 APOLLONIO TIANEO pertanto che P indole della presente tirannide prende una forma legale, e poi termina, se mal non mi ap pongo , in una total trascuranza del gius 3 perch di co loro eh'essa condanna, prima pure che siasi presa cognizion della causa, suole far sentenza, come se nes suna forma legale vi si fosse osservata 3 e chi poscia condannato per voto del giudice, manifesto che da quel solo voto e per colpa di quel giudice, ov'esso non sentenzii giusta le leggi, vien condannato. Ma colui che fuggisse dal comparire in giudizio come schiver di non essere per ci solo condannato ? e se io ora, in cui la fortuna di cotanti uomini posta , mi sottraessi dalla mia e lor difesa, in qual luogo della terra potr io per ci stesso comparir puro di colpa? Poniamo che giusto sia quanto dicesti, e che io come a verit volessi ub bidire , e che frattanto questi uomini venissero uccisi, quali preci allora potrei fare per impetrare una pro spera navigazione ? dove diriger la nave ? o presso chi mi sar lecito rifuggirmi? Bisognerebbe, a mio avviso , eh' io mi bandissi da tutto il mondo romano, e me ne andassi ad uomini amici, abitanti in terre incognite. Ma mi riuscirebbe egli tale o Fraote, o il re di Babilonia, o il divino larca , o il magnanimo Tespesione? Che se preferissi ricoverarmi in Etiopia, qual ragione all'amico Tespesione addarrei? perch se P avvenuto occultassi, parrei amator di menzogna, anzi schiavo di essa $ e se il vero avessi ad esporgli, in questa guisa dovrei par largli: Eufrate mi calunni, o Tespesione, in faccia vo stra di colpe , delle quali non sono pur consapevole. Costui mi ha chiamato millantatore, ciurmadore, e sprez-

LIBRO V!L 383 zatore superbo Ji ^utta !a sapienza Jeg!i Etio^M. !o non sono nulla di ci, ma bens un traditore e carneBce degH amie! miei, nessuna fede in me, ed altre siHatte magagne. E se per cotai meriti si debbe attendere la corona della virt, io vengo ora a mostrarmene cinto ) perch ho rovinato sino da fondamenti tante principa lissime case romane, che nessuno vi pu& pi abitare. Tu arrossisci, Demetrio, in udir ci; ben lo veggo. Che faresti poi se ti mettessi in mente Fraote , e me fug gente nell* India dinanzi a tant* uomo ? Con qual co raggio il guarderei io? Che gli direi , se avessi a inven tare la cagion della fuga? Forse, che in altri tempi io me gli presentai buono, innocente , e non alieno a in contrar la morte per gli amici, e che dopo avere seno lui conversato, P animo mio s' cambiato, e da te per suaso ta somma delle virt umane ho riguardato come una stoltezza ? Iarca non degnerebbe della mia andata richidermi, ma, come gi Eolo ad Ulisse, che mai uso avea fatto del dono di una prospera navigazione , e ignominiosamente gli ordin di uscir dell'isola, cos egli dal sacro colle mi scaccerebbe, incolpandomi di aver violato il mistero della bevanda di Tantalo (t); della quale pretendesi che chiunque ne beva partecipi egli pure del pericolo degli amici. Ben s, Demetrio, quanto tu sia valente a stringere in poche parole tutte le controversie, e parmi quindi che tu mi suggerisca : non andar dunque a costoro, ma bens dirigiti ad al*
(:) Pare da questo passo che consistesse in un reciproco giu ramento di amicizia.
fo n t. 7. 35

386 VITA DI APOLLONIO TIANEO tre genti, colle quali non abbi avuto anterire famiglia* rit, e cos la tua fuga ti riescir a dovere, potendo pi facilmente starti nascosto tra persone che non ti conoscono. Ma anche questa proposizione merita esame, e vediamo sino a qual segno pu essere verisimile. Io ne ragiono cos. Io son d' avviso che il sapiente non faccia cosa veruna s privatamente e da solo, n poter egli immaginarsi che ogni testimnio gli manchi, senza sentir per lo meno d' essere testimonio egli stesso. E , sia che la iscrizion pizia abbia per autore Io stesso Apol lo, sia che la dettasse un uomo conoscitore perfetto di s medesimo ( ') , e quindi pronunciasse una sentenza che tutti osservassero, a me pare al certo sapiente es sere colui, che s stesso conosca, e pronta abbia la mente, n faccia per timore nulla di ci che le volgari anime fanno, n turpemente commetta quanto altri senza rossore alcuno eseguisce $ perocch coloro che schiavi si rendono di una autorit tirannica, non ba dano a sacrificarle i pi cari amici, e temono ci che non da temersi, e quello che dee temersi non curano. Ci non soHre la vera sapienza, la quale , insieme alla iscrizion pizia, approva quella sentenza d'Euripide, che dice CMere /a coscienza % tormento Jegf* M om wM ,% M an* rypeyMano ayere ma/ operato (2). Questa fu ap punto che agli occhi di Oreste, quando contra la madre impazz, dipinse le immagini delle furie$ perch la mente signora delle cose da farsi, e la coscienza di quelle
(!) Consisteva nel celebre detto: Mwce te Chi lo at tribu aUo stesso Apollo, chi a Talete, chi a Chitone. (?) Nella tragedia di Oreste, verso 3g6 e 3^y.

LIBRO VII. 38y da vedersi^ he a lei ti oppongono ; quindi se !a mente !e buone azioni elegge , la coscienza accompagna con lode e con canti l'uomo a tutte le cose sacre, per tutti i paesi, pei tempii tutti degi iddj, e per ogni terra da gli uomini abitata; e sin quando ei dorme lo assiste , traendo dalia famiglia de' sogni un piacevolissimo coro d' applauso. Ma se lo stato deila mente al male lo in clina , !a coscienza non gli permetter di guardar nes sun uomo con occhio sicuro, n di parlare con fran chezza; e dai sacri ufEci e dal pregare il distoglie, non accordandogli pure di alzare le mani alle statue degli iddj, o deridendolo se le alza, in queHa guisa che le leggi deridono coloro che pregano d' essere tormentati; !o separa eziandio da qualunque raunanza d'uomini, e lo atterrisce nel sonno; e fa si che quanto vide nel giorno anche in quel momento creda o ascoltare o dire, e gli paiano tutte cose simili a sogno e ad aere vano, mo strandogli anzi come veri e giustamente terribili que'deboli e fantastici terrori. Quanto adunque la coscienza mi rimorderebbe, rifuggendomi, sia presso chi conosco, sia presso ignote persone, dopo aver tradito questi miei amici, credo aver io ampiamente dimostrato e con splendidissima verit. Ma io nemmeno vi andr tra dendo me medesimo, anzi torr a combattere contra il tiranno, cantando que'versi del fortissimo Omero :
O comHM Afar%e ec. (i). (:) Iliade 2 , v. 5oQ. In tutta questa tirata (che almeno per la sua lunghezza non troppo pitagorica, n confacente al solito laconismo di Apollonio), il buon Filostrato ha voluto sfoggiare*

388 VITA DI APOLLONIO TIANEO XV. Scrve Damide eh' ei rimase cos vinto da que sto discorso, che rentrgli tutta la forza e il coraggio nell* animo $ e che Demetrio non solo pi non gli con tradisse, ma ne fece gli encomj, e consentendo ai detti d' Apollonio come provenienti da Una divina ispirazio n e, Io esalt per il gran pericolo cui si esponeva, e perch Io affrontasse in onor parimenti delia filosofia. Poscia si offerse di condurli al proprio allggio, e pre gandone Apollonio, questi rispose: Gi comincia a im brunire , e fa d' uopo sciogliere le vele dal porto Ro mano (:) sul far della notte, tale essendo l'ora a que ste navi assegnata $ noi ceneremo insieme quando le cose mie trovinsi in migliore situazione ; tanto pi che forse ti si potrebbe accusare di aver cenato con un ne mico dell' imperadore $ n al porto voglio che tu mi accompagni^ acci di questo pure non si abbia sospetto, che avendo favellato meco mi avessi tu dato co!pevo!i consigli. Desistette allora Demetrio, ed, abbracciatili, cominci andarsene, rivolgendo di tratto in tratto la faccia, onde asciugarsi le lagrime. E Apollonio voltatosi a Damide: Se tu hai coraggio, gli disse, e ti senti in trepido al par di me , entriamo ambidue nella nave ; se poi ti manca 1' animo, sei ancora in tempo di qui ri manerti, potendo allogarti presso Demetrio, tuo e mio
tutta la sua dialettica, e la molta dottrina RlosoBca, di cui sentivasi ricco. Uno scrittore del secol d'Augusto avrebbe detto tutto ci in men di una pagina, e in modo pi chiaro, e non messo a tortura il povero traduttore. (i) Il porto di Pozzuolo, stando a Cluverio, fu lungo tempo, r unico da cui salpavano le navi di Roma.

LIBRO VII. 38p amicissimo. Ma rispondendogli Damide : Che penseresti di me^ gli disse, se dopo averti oggi udito disputar tanto intorno agli amici, ed alla partecipazione dei loro pericoli, quasi le tue parole non ini avessero persuaso, ti abbandonassi, e ricusassi di venire a parte de' tuoi pergli? massimamente che Cno ad ora non mi trovasti mai timido per cagion tua. Ben parli, disse Apollonio ; andiamone dunque ; io con quest' abito che ho ; ma a te giova cambiare il tuo in un plebeo, non conservarti la lunga chioma che h ai, e in vece di questo manto porti ,la veste di tela che qui, ed anche di questi cal zari spogliarti ; la ragione di tutto ci necessario pa lesarti (:). Nel corso di questa vita molto senza dubbio convien soffrire ; ma io non vorrei che tu per questo motivo venissi preso , e corressi la sorte mia ( e preso saresti se 1' abito ti scoprisse); ond'egli meglio che iu paia seguirmi, non come studioso della filosofa, ma s come amico, e famigliar mio. Tal fu la cagione, per la quale Damide cambi l'abito pitagorico; giacch narra 3 on averlo esso lasciato per essere divenuto pi timido, o per essersi pentito, ma per consenso alla invenzione di Apollonio, cui si accomod, cos esigendo la circostanza. , XVI. Partitisi da Pozzuolo, di ! a tre giorni entra rono nel(e foci del Tevere, donde poco resta a navi gare per giugnere a Roma. Prefetto del Pretorio era allora Eliano (a), che da gran tempo amava ApoHonio, col quale avea favellato in Egitto. Egli per salvezza di
(t) Anche Damide vestiva alla RlosoRca, e in que* tempi l 'a bito stesso diventava una colpa. (a) Casperio Eliano, del quale (anno menzione Dione e Vittore.

VITA DI APOLLONIO TIANEO lu non disse apertamente a Domiziano nemmeno una paro!a , non essendogli d permesso dalla qualit della sua magistratura. In qual modo avrebbe eg!i tolto a lodargli un uomo, che aveva fama di essere nemico deli' imperadore ? e come avrebbe egli pregato per lu i, come fosse suo amico ? Di tutte quelle a^ti pe r , che nascostamente potean giovargli , fece uso. Pe rocch essendo eg!i stato di gravi colpe dai calunniatori accusato, avanti il suo arrivo, Eliano diceva: Codesti sofisti, o imperadore, sono parlatori di pochissima le vatura , e tutta l ' arte loro st nella ostentazione, e per ch dal mestier che fanno non traggono alcun guada gno , cos bramano la morte, n aspettano ch'ella venga da s, ma con una specie di violenza se la procurano, provocando chi ha 1' armi in mano. A ci riflettendo anche Nerone, per quanto a me p are, non vol!e ucci dere Apollonio, perch quando ei seppe che affettava di desiderar la morte non per volont di perdonargliela vi si oppose, ma per trattarlo con maggior disprezzo di quel che fosse l ' ucciderlo. Cos pure confin nell' isola Giara (t) il toscano Musonio , stato in molti affari nemico al suo governo. Ed oggi pure i Greci amano codesti sofisti, perch allora tutti a quell'isola navigavano pel piacere di favellar seco lui, come ora per visitare la fontana^ perciocch nell'isoia stessa, dove non trovavasi acq[ha , Musonio scoperse una fontana, che i Greci celebrano quanto quella di Pegaso nell' Elicona.
390 (') Era quest' isola, come quella di Corsica , un luogo di de portazione ordinario a que' tempii Famoso ^ i verso del satirico:

ryarM ,

et carrere i& 'gH H nt

LIBRO VII. 3pt XVII. Con siffatte parole Eliano raddolciva 1' imperadore, prima che ApoHonio arrivasse; e giunto che fu anche pi cautamente vi si impegn. Impose dapprima che fosse preso e condotto innanzi a lui. E P accusatore gravemente incolpandolo che era un incantatore nel1 ? arte sua eccellente , Eliano gli disse : Riserbati le di sposte accuse contra costui al giudizio dell'imperadre. Apollonio poi diceva: Se io sono un incantatore, come posso essere tratto al giudizio? e se sto presente al giu dizio come sono un incantatore? a meno che non si dica aver le menzogne tanta fbrza, che neppure i ma ghi possano superarle. Disponendosi allora il denunziatore ad esporre qualche pi grave colpa, Eliano raffre nandolo disse : Lasciami libero quel poco di tempo che precede il giudizio ; volendo io sperimentare in disparte e non all' altrui presenza, i' animo del sofista ; il quale se confesser i delitto, le controversie giudiziali saran no abbreviate, e tu te ne andrai in pace ; se lo neghe r , l ' imperadre allora ne pronuncer la sentenza. Ritiratosi adunque in uno de' pi segreti gabinetti dei pretorio, dove si esaminano e si tengon sepolte le cau se pi gravi : Partitevi tu tti, disse, e nessuno qui resti ad udire , che tale 1' ordine dell' imperadre. XVIII. Appena furono soli, cos gli disse: Io, o Apol*lonio, era ancor giovinetto in quel tempo che il padre dell' imperadre giunse in Egitto per ivi sagriRcare agli iddj, e te consultare intorno le sue faccende. Io accom pagnava l ' imperadre nella qualit di tribuno de' sol dati , avendo gi qualche sperienia delle cose di guer ra, e tu poi di tante gentilezze mi colmasti, che mentre

3Q1 VITA DI APOLLONIO TIANEO l 'imperadore dava !e leggi alle citt, tu trattomi in dis-^ parte mi dicevi chi io e ra , qua! era il mio nome, c chi era mio padre $ anzi mi predicesti che avrei coperta questa magistratura, la quale da molti tenuta per grandissima e superiore ad ogni altra dignit, e che a me pare un gran fastidio, ed una infelicissima condi zione della mia vita , perocch sono il custode di un'as pra tirannide, e se male adempissi al dover mio teme rei la punizion degli dii. Che io dunque ti sia amico , gi il mostrai $ e se altri le medesime cose ti dicesse , che io dissi sulla origine del mio perpetuo amore verso di te , vi ha certamente chi ne pu ricordarne il carat tere e la natura. Dell' aver io voluto segretamente par larti di ci, di che il delatore ti aggrava, un mio pensiero, acci nella privata nostra conversazione tu possa confidar cicamente in quanto in poter mio, c conoscere quanto devi aspettarti dall' imperadore ; il aguale che sentenza sia per pronunziare su te non s. Egli per s animato, come il sono coloro che arden temente bramano di condannare ; ma vergognerebbesi che la sentenza mancasse di un solido fondamento, e cerca in te un pretesto onde incrudelire contro alcuni uomini consolari (t)$ perch egli vuol che si facciano 3ose che non sono da farsi, e dar loro T aria di giusti zia. Per la qpal cosa a me fa d'uopo di simulazione e di una apparente nimicizia contro di te$ perch se egli sospettasse che io pi blandamente operassi, non so qual di noi due perirebbe pi presto. (t) Intende parlare di Rufo, e degli altri partigiani di Ncry*

LIBRO VII. 393 XIX. Rispose Apollonio: Giacch possiamo aperta* mente parlare fra noi, e che tu hai proferito quanto serbi nell' animo, giusto che io pure ti imiti ; s fat tamente delle cose tue mi hai tu ragionato, quanto co loro che lungamente allevaronsi nella mia dottrina; e tanto amichevolmente, per Io dio Giove, meco usi, sino ad esporti a- miei stessi pericoli, che io pure il cuor mio ti aprir. Io avrei potuto fuggendo scappare ( e molti paesi del mondo mi sovvenivano che al vostro impero non obbediscono), e rifuggirmi presso uomini capienti , anzi pi sapienti di m e, ed ivi con retto or dine gli iddj venerare, trovandomi neHe terre di po poli, che amano gli dii molto pi che in questi luoghi, e presso i quali non si d n denunzia , n libello; e appunto perch ivi n si fa n si tollera l 'ingiuria, non < bisogno di giudizio veruno. Ma temendo che non mi 3 affibbiasse il delitto di traditore, col sottrarmi io alla difesa, e lasciar perire quelli che per mia cagione si trovano nel pericolo, qui venni a perorar la mia causa. Ma di che mi debba io difendere pregoti d'informarmi. XX. Diversi e non pochi, disse EHano, sono i capi d'accusa. Calunniano il tuo vestire, tutta la maniera del viver tuo , e 1' esserci alcuni che ti adorano $ ram mentano eziandio una risposta che tu desti in Efeso in torno al contagio che vi era; dicono parimenti che -molti discorsi hai tenuto, s in segreto che in pubblico, contro l'imperadore , come se ti venissero ispiraci divi namente ; ed aggiungono ( cosa che men delle altre a me par verisimile, perch so che non puoi spppbrtare la vista del sangue delle vittime, ma che l! imperadore

VITA DI APOLLONIO TIANEO tien per verissima ), che tu andasti a trovar Nerva in campagna, tagliasti a brani in grazia sua un fanciullo d'Arcadia, sagriRcandolo a Rne di procurare la rovina dell'imperadre, e con quel sagriRcio tu lo sollevasti alla speranza dell'impero. Assicurano che ci venne fatto una notte, in tempo di luna calante. A questa accusa adunque fermiamci, che di tutte la maggiore, n altra pi di quella chiama la nostra attenzione ; per ch chi fa materia d' accusa o il tuo vestire, o il tuo modo di vivere, o la scienza delle cose future, fat capo a questa, anzi pretende che questa stessa ti mosse a de linquere nelle altre cose, e ti spinse ad eseguire quel sagriRcio. Fa dunque d'uopo che tu ti apparecchi a confutarla. Disse allora Apollonio: Che io di ci non mi rida ti sia prova 1' essermi qui recata appunto per di fendermi ; e quand' anche io fossi d' animo sopra modo audace, e con alto sopracciglio sprezzassi la tirannide, a te nondimeno ubbidirei, s per essere tu quel che sei, come per 1' amor che mi porti. Quanto al parer malva gio al nemico non mi d gran fastidio, perch i nemici odiano non per le cose di che uno pubblicamente in colpato , ma per quelle da cui si stimano privatamente offesi. All'incontro il sentirsi accusar di malvagio da un amico tale affanno, che supera tutti gli altri che possano provenir dai nemici, perch non pu darsi che uno diventi odioso agli amici se non per avere dato pro ve di essere veramente malvagio. XXI. Approvava Eliano queste parole, e dicendogli che stesse di buon animo cominci a persuadersi che siffatt' uomo non si atterrirebbe in verun modo, quan394

LIBRO VII. 395 do pure contra lui si avventasse il capo di Medusa. Chiamati adunque coloro cui spettava : Ordino , disse , che sia costui tenuto in custodia sino a tanto che l'imperadore venga avvertito dei suo aprivo, e ascolti da lui medesimo quanto ha detto a me, e in cos dire mostravasi fortemente adirato ; pass quindi al palazzo imperiale per esercitarvi il suo ministero. Damide rac conta essere ivi accaduto un fatto, in parte simile e in parte no, a que! che accadde ad Aristide in Atene. Gli Ateniesi lo avevano condannato all'ostracismo, annoiati della di lui virt ; e trovandosi gi egli fuori della citta gli si f* incontro un contadino, e il preg che gli scri vesse una scheda contro Aristide, noi conoscendo egli, n sapendo scrivere, e per sola invidia essendogli av verso, perch era giusto (:). Cos ad Apollonio un tri buno, di quelli cui notissimo era, richiese quasi celian do per qual ragione si trovasse egli avvolto in quell'im broglio ; e rispostogli di non saperla, ben la so io , ri spose, ed perch vieni adorato dagli uomini, e ci fa nascer sospetto che tu voglia essere creduto un dio. E chi mai mi ador ? soggiunse Apollonio. Io stesso, disse il tribuno, in Efeso, che era ancora fanciullo, quando ci liberasti dal contagio. Ben facesti, rispose Apollonio, s tu che la citt d'Efeso liberata da tale malanno. Perci, continu !' altro, ho disposto una difesa in fa vor tu o , che ti purgher dalla colpa. Per lo che andia mone fuori della citt, e se io con !a mia spada ti mozzer il capo, in tal guisa la tua accusa andr in
(') Questo aneddoto raccontato anche da Cornelio Nepote.

VITA DI APOLLONIO TIANEO Rimo, e tu ne sortirai assolto ; all' incontro se tu mi spaventerai/s che mi cada il ferro dalie mani, in tal caso sar forza crederti un dio, e per questa causa, risguardata allora per vera, subirai il giudizio. Costui fu tanto pi villano dell? altro bramoso dell' esiglio d Aristide, che queste parole dicea ridendo, e dileggian dolo. Ma Apollonio Rngea non intenderlo, e si pose a parlar con Damide sul Delta, intorno al quale il Nilo in pi rami si parte. i XXII. Poco dopo Eliano chiamatolo innanzi a s&, comand che si mettesse nel carcere di coloro, che non sono legati da veruna catena,- sino a tanto, dice va, che l ' imperadore abbia il comodo di vederti, aven do egli deciso di aver prima teco un privato abbocca mento. Uscito adunque dal pretorio, e posto nel carce re : Parliamo, disse, o Damide, con gli uomini che qui sono. Che altro resta a fare per tutto il tempo che pu scorrere Rno che il tiranno meco favelli di ci che gli preme? Essi ci stimeranno ciarlieri, rispose Damide, se poi li distorremo dal meditare la difesa loro ; oltre a ci non mi par conveniente il ragionare con persone che gon contristate. Queste anzi, disse Apollonio , hanno sommo bisogno di discorsi che le confortino e giovino. Se io ben mi ricordo i versi di Omero (<), ne'quali raccolta che Elena mischi in una tazza varie medi cine egizie , acci cancellassero il dolore dell' animo, inclino a credere che Elena, allevata nella Biosofia del1 ? Egitto, offerisse agli afflitti la medicina coll' incante396

(t) Nel iv deir

LIBRO VII. 397 sim deHa tazza, cio giovasse loro co'discorsi frammischiati al vin che porgea. Questo verisimile, rispose Damide, massimamente se si accordi eh' eHa and in Egitto, e con Proteo convers, ovvero, come piace ad Omero, ebbe famigliarit con Tonide moglie di Polidamna. Ma di ci parleremo altra volta ; ora ho biso gno di chiederti tutt' altro. So, disse ApoHonio, di che vuoi chiedermi, cio de' discorsi che furono tra Eliano e m e, e quel eh' ei mi disse, e se mostrossi meco ter ribile o mite : questo brami sapere. E di tutto esatta mente Io inform. Damide pertanto , adoratolo , disse : Pi non parmi ora incredibile che una volta Leucotoe desse ad Ulisse, dopo eh' egli ebbe perduta la nave , una benda, merc la quale facendo remi delle proprie sue mani super i Butti del mare (:); perocch a noi parimenti ^ che ci abbattemmo in tempi difficilissimi e tremendi, un qualche dio, a mio credere , porge la mano, affinch non manchiamo affatto d' ogni salva mento. Tali parole riprendendo ApoHonio : Sino a quando, gli disse, continuerai tu a temere, e ad igno rare che la sapienza vince tu tti, sol che un istante la sentano, e che da nessuno vinta? Ma noi, seguit Damide, ci presentiamo ad un uomo, che privo di ogni sentimento, e che non solo non, sar da noi vin to , ma vorr che nulla diasi al mondo che possa vin cerlo. Tu dunque il comprendi o Damide ? disse Apol lonio. Il comprendo, rispose ; e come noi comprende rei ? Ci dunque, soggiunse ApoHonio, ti giovi a tanto (*) Nel v dell* Oi& M ea.

VITA DI APOLLONIO TIANEO pi disprezzare le opere del tiranno quanto meglio il conosci. XXIII, Mentre cos tra loro parlavano, un uomo accostossi, credo fosse della Cilicia, e disse : Io sto in pericolo della vita per le mie ricchezze. Disse allora Apollonio: Se tu le ricchezze ammassasti con ingiusto guadagno, cio con furti o veleni o uccisioni, o con iscavare i sepolcri degli antichi r e , che d* oro e di te sori sogliono esser forniti, non solo giusto che tu sia chiamato in giudizio, ma s pure che ti si trqnchi la tpsta ; perch ben vero che si acquistano ricchezze per queste vie, ma sono nefande e scelerate. Se poi 1$ adunasti per mezzo di eredit, o di onesta e non usu raria mercatura, chi sar s perverso che cl pretesto delle leggi ti tolga quello che a tenor delle leggi acqui stasti ? Quelle che io possedo, rispose, mi provennero da moiti parenti, e colarono tutte nella mia casa; n io ne fb uso come di cosa altrui, perch soh mie ; n come di cosa m ia, perch le rendo comuni con gli onesti uomini. I denunciatori depongono non accomo^ dare al principe che io abbondi di agi, perch se mac chinassi qualche congiura, mi verrebbero in acconcio, e se ad altri io mi accompagnassi a questi pure assai gioverebbero. Altre accuse vanno a foggia d'oracoli susurrando all' orecchio, cio che tutte le ricchezze, ove trapassino la mediocrit, generano petulanza, e a chi pi ne ha dell' ordinario insegnino alzar l cresta sugli altri, e gonfino gli animi, n soffrano star soggetti alle leggi, e appena si astengano dall' insultare perso nalmente i magistrati mandati al governo delle provin398

LIBRO VII. 399 eie ; sia perch si lascino essi dai danaro accalappiare, sia che a'ricchi si accordino, appunto perch le ric chezze li fa possenti. Io per, essendo ancor giovinetto, e prima che possedessi il valsente di cento talenti, mi rideva di tutto ci, n verun timore mi entrava a ca gione delle dovizie ; ma poich un giorno mi perven nero cinquecento talenti da uno zio, che morendo lasciommi suo erede, ho in guisa cangiato di parere, quanto un cavallo che di Rero e in&enabil che era di venta mansueto e ubbidiente. E via via promovendo Pluto i miei vantaggi, dal mare dalla terra molti beni recandomi, s del timore mi feci schiavo, che parte delle mie ricchezze ai calunniatori donai, onde con tale ghiottornia placarli ; parte ai magistrati, acci mi guardassero dalle insidie; parte ai congiunti perch non mi invidiassero ; e parte ai servi, acci non dive nissero peggiori, lagnandosi d' essere trascurati. Io pa sceva inoltre una splendida greggia di amici, perch essi tenendo d' occhio le cose m ie, o ne avevano cura essi stessi, o mi avvertivano anticipatamente di quanto occorreva. Nondimeno, sebbene in tal modo e s one stamente noi munissimo le ricchezze nostre, e quasi di steccati le cingessimo, ornai per cagion loro siamo con dotti in pericolo, n ancora ben certo, che almen la vita ne salveremo. ApoMonio gli rispose: Sta di buon animo, che quanto alla vita hai per mallevadore Pluto, perocch per cagion sua sei tenuto in carcere , ed egli far pure che tu sia dimesso, non solo liberandoti dalla carcere, ma anche dagli osseqqj dei delatori e dei servi, cui fosti perci sottoposto.

4oo VITA DI APOLLONIO TIANEO XXIV. E un altro, il qual diceva essere stato citato, perch in Taranto, dove esercitava la magistratura, non aveva in occasione de' sagriRcj aggiunto alte pub bliche preci, che Domiziano era figlio di PaHade (:), Apollonio rispose : Tu pensavi probabilmente, che Pai* lade, come quella che custod perpetuamente la sua verginit, non avesse partorito ; ma ignoravi, mi pare, che questa dea mise gi fuori un Dragone per gli Ate niesi (a). XXV. Eravi uno tenuto in prigione per lo stesso motivo. Possedendo un campicello nell'Acarnania presso le loci dell'Achelo, andava su piccola barca alle Echinadi; e sopranna di esse, osservando che gi al continente si era congiunta, vi lece una piantagione di begli alberi e di viti eccellenti, e procurovvisi una succiente co modit di vivere, perocch vi avea condotto dalla terra ferma tant' acqua, quanta bastava a quell' isoletta. Da ci scatur 1' accusa , che codesto Acarnano fosse un malvagio, e che conscio de'suoi gravi delitti si partisse dal continente, eh' egli aveva contaminato, e imitasse il fatto di Alcmeone Bgliuol d'AmRarao, che per otte nere di liberarsi dalle furie che 1' agitavano and ad
(:) Oltre alla venerazione che Domiziano a#ettava per la dea Pallade, assicura Svetonio che voleva egli stesso essere reputato un dio. (2 ) Fu questi Erittonio , giusta il racconto di Apollodoro net lib. ni. I autografi gli attribuiscono i piedi serpentini. Ovidio nel H: delle Afe& M BO T/ M dice de' Cecropi che il visitarono

LIBRO Vii. 4<>t abitare , dopo la moirte deHa mdre , aHe foci dell^Acheloo; come reo egli pure, se non deHa stessi clpa, almeno di una eguale o poco diversa (:). Ma egli asse riva che non avea preso ivi soggiorno per dotai causa, ma s per suo passatmpo, e che ci appunto avea dato occasione a fargli tale denunzia, e ad essere per anco ritenuto in carcere. XXVI. Pi altri aHacciavansi l dentrb ad ApoHonio, acerbamente lagnandosi deHo stato loro ( essendo fama che circa cinquanta persone fossero ivi racchiuse , tra le quali chi era ammalato, chi abbattuto dalla malin conia , chi aspettava la morte, chi invocava i 6gli, o i genitori, o le mogli) : O Damide, egli disse, parmi che costoro abbisognino # quel rimedio , ch'io test ricor d ai^). Sia pur esso egizio, o di qualsivoglia altro luo go , purch dagli orti deHa sapienza raccolgasi, faccia mone copia a questi meschini^ acci l'afflizione loro, prima anche deHa sentenza di Domiziano, non li op prima. Facciamolo, disse Damide, giacch mostrano di averne bisogno. ApoHonio dunque chiamatili intorno a s , cos parl loro : O voi, co'quali ho ip comune que sto albergo, io vi compiango veggendo che siete voi stessi cagione della rovina vostra, senza essere per anco certi, se la denunzia abbia a condannarvi ; in fatti mi
() Di Alcmeone, che uccise Enfile sua madre , e dalle fu rie agitato and a cercar pace, secondo l'oracolo , sopra una terra nuovissima, narra Diodoro Siculo nel lib. iv, e Pausapia nell' (n) Cio di quello prestato da Elena, e rammentato dianzi al S un.
.F/A A M M rf, &MH. / . 36

4oi VITA DI APOLLONIO TIANEO sembrate volervi da voi stessi uccidere, avanti che vn uccida !a morte per sentenza del giudice ; e quindi volervi mostrar coraggiosi in ci che temete, e ti midi per ci di che sentite coraggio. Non dovete cos comportarvi, ma bens sovvenirvi della sentenza di Archiloco pario (!), il quale dando il nome di pazienza alla tolleranza nei casi avversi diceva: C&'e7f era nnn w:yewzMne per aMewameyHo 4# m a# , cowe f arte ^ co/oro, cAe ^an^o o p e ra r f onJf, % M am % o pMre : wwaccM^o perjm /a wwe. N crediate che nn gran male sia questo, che voi per for za, io di mia voglia incontro. Perciocch se confessar vogliamo la colpa, dobbiamo piuttosto pianger quel giorno, in cui P animo vostro, strascinandovi a ingiusti o crudeli azioni, vi condusse in errore. Ma se tu affer mi che l ' isola di Acheloo non prendesti ad abitare per le cagioni dal tuo delatore esposte ; e tu che non di sponevi delle tue ricchezze per nuocere segretamente agli interessi de! principe ; e tu che non a bello studio togliesti al principe la sua parentela con Pallade ; se insomma nessun di voi confesser essere vere tutte le accuse, per cagione delle quali siete qui stretti, in pe ricolo della vita, a che giovano codesti gemiti per cose non vere? Imperciocch quanto pi alto riclamate i te stimoni , tanto pi coraggiosi dovete essere. I contrasti della tolleranza son questi : Stimate voi cosa dura Tes sere arrestati e vivere in carcere? o pensate che questo sia il principio di quanto avrete a patire? o credete che
(') La riporta Aristotile nel vu deir JEYtca.

LIBRO VH. 4^3 d solo sia bastante supplizio^ quand' anche nuH' a!tra pdna vi tocchi ? Ma io , che deHa umana ndole sono assai cognito , vi somministrer una dottrina per nuHa inferiore alte ricette de'medici, perch rimette le for ze , e non lascia morire. Noi uomini^ siamo sempre in carcere per tutto quel tempo, cui diamo il nome di vita , attesoch quest'anima al morta! corpo annoda ta (i), molte noie senza dubbio patisce^ ma^erve anche in tutto quello che agli uomini accade. Que' primi che fabbricaron !e case non osservarono, a parer mio, che d'altro carcere si circondavano. Certo che chi abita palazzi reali, di!igentissimamente difesi, va pi di ogn'altro ngardato come tenuto in pi stretta custodia di que!!i, che essi m^esimi fanno legare. E se Bi i a pensare alle citt ed ai bastioni^ mi paiono essere tante carceri tom uni, nelle quali racchiudnsi mercadadti, dottori , e attori e spettatori unitamente. Gli Sciti, che traggono la vita su i carri, non sono men di noi carce rati (a), perciocch sono attorniati dalPIstra, dal Termodonte, e dal Tanai, fiumi non ifacili a varcarsi, ove il gelo non li indurisca; oltre a ci dilatano !e loro abi tazioni su pei carri, trasportati qua e l sovr^ essi, ma
(t) Questa dottrina , come osserv Plutarco, principi divul garsi da Omero; la profess Talete, la proclam Platone nel Crala insegn Pittagora. Anche i sacri nostri scrittri conside rano il corpo nostro come una prigione passeggera dell'anima. (a) Tolomeo pone tra i popoli dell' antica Scizia i Daci, gli Alauni, gli Aors, ed i Rossolani ; le cui regioni corrispondono a quelle de oggi si chiamano Bessarabia, Vallachia, Moldavia e Transilvania.

4 o4 VITA DI APOLLONIO TIANEO sempre chiusi fra quelle loro casipola E se nn paresse troppo puerile concetto ? direi essere TOceano posto quasi per catana intorno alla terra. Venite / o poeti ^ che vostra mre e quella che ora espongo, e cantate a questi affannati, che anche Saturno fu gi per insidia di Giove legato; e che Marte, possentissimo nella guer ra , venne del pari accalappiato prima in cielo da Vul cano, poscia in terra dagli Alidi (*). La ricordanza di questi, e di parecchi sapienti e beati uomini, che dal1 ' insolenza del popolo o da *na forza tirannica ven nero tratti in carcere, faccia ^ che noi pure non rimanghiamo inferiori a n e lli che prima di nbiieguli patimenti sostennero. Questa parole cambiarono s fat tamente que' carcerati, che la maggior parte di essi presero cibo^, cssairn di piangere ^ e vennero nella dolce speranza che nessnn male fosse per aggravarli, sin che Apollonio stesse presente. XXVII. l d seguente ragion nuovamente nello stes so sus. Erasi intanto introdotto nel carcere un tale, da Domiziano sdotto, onde quei discorsi ascoltasse; il quale, a giudicarne dal volto, pareva affitto, e diceva di trovarsi esposto a grave pericolo. 11 suo parlare per era spiccio al modo di que' detrattori, che infilzano otto o dieci formole a un tratto. Ma Apollonio accor tosi della frode continuava nairando a dir cose, che non offerivano a colui verun appiglio. Imperocch ram*
(t) Giganti tra quelli che fecero guefra all'Olimpo, i quali ebbero Marte prigioniero ? come narra Apollodoro lib .! , cap.

V !T, $ 4-

LIBRO VII. 4o5 mentava ai circostanti diversi Rumi e montagne, rag guagliava di bestie e di piante^ e di ci gran diletto gli altri sentivano^ ma i! furbo non potea profittarne. E quan do costui tentar volle ApoMonio a dir male del tiranno, egli a lui dirizzandosi: Amio ^ gli disse, parla pure li beramente, che io non ti denunzir; io per tutto quello, che credo riprnsibile nell' imperadre, dirollo a lui medesimo. XXVIII. Altri episodj accaddero ih carcere, parte insidiosamente disposti, parte accidentali, non per di gran momento, n degni che io mi ti trattenga. Damide tuttavia, per nulla omettere, come io penso, volle fame menzione. Le cose nondimeno di qualche impor tanza sono le seguenti. Era la sra del quieto giorno che ApoMonio stava imprigionato, quando entr nel car cere uno, che parlava greco, e chiese : Dpv' il Tia neo? e allontanati gli dltri gli disse : Domani l'imperadore paler teco; e mostrava che ci inteso avesse da Elano. Intnda^ Marcano, rispose ApoHonio, e s che il sol Eliano pbta saperlo. Soggiunse l'altro: Anhe ^ guardiano della prigione stato ordinato che sia facile i& qualunque cosa tu deaid&&. Ben faceste, dtsse ApoHonio, ma io tanto qui che altrove vivo sempre ad un modo, discrrendo second T occasion s'of&e, non avendo bisogno di nulla. Non hai dunque nemmeu bisogno, o ApoHnio, seguit l'altro , di chi R consigli come tu debba regolarti parlando all' imperadre ? S per Giove, ch'io n'ho bisogno, rispose, a meno qhe per avventura non voglia persuadermi ad adularlo. E se egli ti suggerisse di non trattarlo con aria spregevole,

4o6 VITA DI APOLLONIO TIANEO n d stargli burbanzoso dinanzi ? Ottimamente, disse ApoHonio 3 e ci pure mi son preRsso. Io qui venni per questo, soggiunse l'altro, e son contento vederti dispo sto alla moderazione. Fa d' uopo altres che ti prepari a sostenere !a voce dell' imperadore e la severit de! suo volto; perocch la sua voce aspra, anche aHora che vuole parlar dolcemente, il sopracciglio gli giunge ai confini dell' occhio, e ie guance sono piene di bile ; e ci soprattutto manifestissimo in lui (:). Ma non at terrirti perci, oT ianeo, essendo questi pi efletti di natura, ohe di passione ^ e son sempre gli stessi. A, ci rispse ApoHonio : U!iss& entrando nell' antro di Polire mo , non sapeva ancora quanto alto fosse, n che cibi usasse y n il tuono della sua voce, pure si fece animo; e bench da principio qualche timor sentisse, Usc per dell' antro, do^e d'nome forte avea dato provai Cos sapr io pure uscirne sicuro e salvo, e me difendere e i miei compagni (a), in grazia de' quali mi sono gettato in questo pericolo. Com'ebbe dette queste parole a co lui, che gli era stato mandato, e riferitele a Damide, si pose a dormire* XXIX. Sul far del giorno un attuario del tribunal imperiale entr e disse : L'imperadore comanda, o Apol lonio ] che tu venga al palazzo verso il mezzod ; non gi per perorar !a tua causa , ma perch brama vederti e parlarti da solo a solo. A che mi fai questo invito ? (!) lo chiama PUnio ne! PanegMico, e wf/zM gli attriboisce Tacito nella vita di Agricola. (a) Cio Nerva, Ru& ed Or6 to.

LIBRO VII. 4oy rispose ApoHonio. Cui l 'altro : Non sei tu ApoHonio ? S sono, rispose, e quel di Tiana. A chi dunque, replic Peltro, tal comando direi? A quelli, disse ApoHonio, che mi hanno a condurre, perci pur necessario che io esca come si esce da un carcere. E 1 * altro : Ci pure stato imposto ai guardiani. Ed io, soggiunse ApoHo nio, all'assegnata ora verr. Io qui venni, continu il messo, ad avvertirtene, perch cos mi fu ordinato ieri sera sul tardi; e dopo ci andossene. XXX. ApoHonio, sul letticciuol ricadendo', disse a Damide : io ho bisogno di dormire, perch la scorsa notte inquieto passai, sforzandomi a richiamare in me moria le cose, che altra volta udii da Fraote. Egli era meglio, rispose Damide , che tu vegliassi per prepararti a quello che ti stato annunziato, trattandosi di un af fare di tanto rilievo. In che modo vuoi tu che io mi vi preparassi, disse Apollonio, se non s neppure di che sar interrogato ? Cui Damide : Ma tratterai tu la tua capitai causa cos aM'improvviso? Senza dubbio, disse ApoHonio, perch anche della stessa mia vita mi valgo all' improvviso. Ma adesso io voglio esporti le parole d Fraote, per cui mi tormentai la memoria, perch par ranno a te pure accomodate al caso presente. Insegnava Fraote che i lioni, cui gli uomini vogliono far mansue ti , non si denno tormentar di percosse, perocch pren dendoli a battiture essi non le dimenticano ; n si deb bono troppo accarezzare, perch in tal modo insuper-t biscono ; ma vanno del paro e minacciati e blanditi, onde condurli a mansueti costumi. Questo non diceva gi egli in proposito deiioni, perch noi non ragionava-

%o8 VITA DI APOLtONIO TIANEO mo del modo di mansuefare !e Rere, ma per indicare con qual freno si docinano i tiranni, pensando che chiunque ne facesse uso essi non cederebbero in verun eccesso. Questa dottrina, disse Damide, quadra perfettamente al far dei tiranni. Anche in Esopo si ha un lione giacente ^ella sua spelonca, il qualei non era altrimenti infermo, ma Sngeva esserlo , e cos ghermiva g^i animali che a n r davano a visitarlo. Ma la vopicciula disse : A che vi andr io , sapendo che nessun vi rimane, e non vegr gen^osi vestigio di chi esca? Io per, disse Apollonio, stimerei pi savia la volpe se entrata dentro non vi re stasse presa, e uscendo poi dajla spelonca lasciasse die tro s le sue orme. Detto ci, il sonno lo prese, che fu brevissimo e leggerissimo. XXXI. Inoltratosi il giorno, e fatti i sagriRzj al Sole, come potcansi fare in un carcere, si trattenne con quei che a lui si accostarono, rsppndendo loro sopra quanto ^'interrogavano. Poco prima di mezzo d torn l'attuario, ordinandogli che si avvicinasse alla porta: Apei non fossimo, diceva, per avventura chiamati pri ma d'essere al posto. Andiamo pure, disse Apollonio $ ed avviossi con certa qual ripugnanza. Quattro sgherri gli tenevano dietro ad una distanza maggiore, che non usano quando seguono a cagion di custodia. Damide pure il seguiva, tutto timido e pensieroso. Tutti volge vano gli occhi ad ApoHonio, s perch ne riguardavano l'abito , come perdh quasi oolpiti da un nume parevano stupefatti della sua figura. E lo stesso pericolo , cui si esponeva per gli amici suoi, gli conciliava i riguardi di coloro eziandio, che prima g!i erano contrari Ginto

UBRO VH. 409 inndnzi a!le porte de! palazzo, c veggendo altri esservi riveriti, altri riverire, e ponendo mente allo strepito di quelli che entravamo e che uscivano , voltossi a D a-* mide e disse: Parmi di essere ad un bagno : quelli che son fhora aRrettansi ad entrare, quei dentro ad uscire, cosicch gli uni somigliano a chi gi ai lavato^ gli al tri a chi aspira a lavarsi. Questa sentenza debbe la sciarsi intatta ad Apollonio, e non attribuirsi a questi o a quegli, essendo essa talmente di ApoHmo, che egli stesso in una sua lettera la riferisci. Veggendo ivi un uomo, gi di avanzata et, che ambiva il govrno di una provincia, e stavasi perci servilmente chino, e tutto sommesso ed ossequioso ^ disse a Damidd : Nem meno Soibcle ha potuto peMuadere costui, che M a eJf*ri&om%o va fuggito. Al quale per, rispondea Damide^ noi pure spontaneamente ci presentiamo, sino a trovarci ora dinanzi a queste soglie. Soggiunse allora Apollonio: Mi pare, o Damide, che tu creda che sia queste porte guardiano Eaco, come dicono esserlo di quelle delT inferno, tanto sembri simile ad un morto. Non affatto ad un morto, replic Damide, ma ad uno che vicino a morire. ApoHonio continu : Tu mi sembri, o Damide, di assai vile animo in faccia alta morte, quantunque sin dalla adolescnza abbi meco lun gamente filosofato. Ed io ti avrei creduto assai fortifi cato contr'essa, e che tu conoscessi tutta P arte mia di star contra lei munito. Perch in quel modo che ai guer rieri ed agli armigeri non solo fa di mestieri l'audacia, ma altres la scienza di ordinare l'esercito, che !orq di mostri quando giovi il mover battag!ia, cos anche ai

4 ' VITA DI APOLLONIO TIANEO RlosoR dee premere d conoscere l'opportunit de' tem pi , n cui morire, onde vi si prestino con animo deli berato, e non gi disordinatamente, n andando incon tro a!!a morte quasi per trasporto. Che io poi con otti mo consiglio mi sia prefsso morire in un momento ve* ramente opportuno alla filosofia ( in caso che. alcun tentasse di uccidermi ) , io can una lunga apologia, te pur presente, ad altri manifestai, e te ne ho informato sino aHa noia ('). E qui ebbe termine questo discorso. XXXII. Tosto che l'imperadore ebbe agio di parlare ad ApoHonio, quelH che n'ebbero commissione, allonta nati tutti gli altri, lo introdussero nel palazzo, vietandone in pari tempo a Damide l ' accesso. Stava l ' imperadre neHa sala di Adone, e una corona di verdi fronde aveva in capo, per aver poco dianzi sagriRcato a PaHade, Quella sala era tutta verdeggiante di mazzi di fiori, di quelli che gli Assiri coltivano in onore di Adone, e che portano intorno in occasione delle solenni sue feste, componendoli in modo che possano sotto un medesimo tetto custodirsi. Egli era peranc intento a que' sagriRcj, quando volgendosi, stupefatto dell'aspetto di Apol lonio , sciam : O Eliano, tu mi hai condotto un (li monio. Niente spaventandosi ApoHonio di tali parole, eh' ei chiaramente intese, cos disse : Io mi pensava, o imperadre, che PaHade ti avesse in sua custodia, come ebbe gi Diomede a Troia; al quale, togliendo la neb bia dagli occhi, che l'acutezza della vista impedisce, concedette che conoscer potesse i dii e gli uomini (a).
(') Veggasi di sopra i {$ xm e xnr. (i) Nel v dell* Maife.

LIBRO VII. 4 ti Ma la dea non ancora ti ha purgato, o imperadore, con questo genere di purga ; perch se ci non fosse, tu senz' altro meglio conosceresti la stessa PaHade, n porresti gli uomini nel numero degli spettri diabolici. E tu, o filosofo ^ rispose I' imperadore, quant' che ti sentisti to!ta cotesta nebbia ? Gi da gran tempo, ri spose Apollonio, e sin d'allora che a filosofar principiai* In qual maniera adunque, l ' imperdor seguit, sti masti dii i miei maggiori nemici? E tu , rispose Apoi* Ionio, qual guerra fai a Iarca ed a Fraote indiani? i quali soli fra i mortali io stimo essere dii, e degni di cotal nome. Non deviar verso l'Indie, disse l'impera* dor , ma rispondi di tuo amicissimo Nerva e de' suoi complici. Vuoi tu ch'io tratti la di lui causa, rispose Apollonio, o noi vuoi ? Trattala pure, disse l ' impera^ dor; che gi egli convinto del suo delitto. Ma tu come non sarai tenuto reo di ugual delitto, se ne sei consapevole? Se udir vuoi, rispose ApoHonio, 6no a qual segno io ne sia consapevole , ascoltami. A qual fine nasconderei io la verit? L'imperadore allora ere* alette aver ad udire importantissimi arcani, i quali con* tribuir dovessero a provocar la rovina di queHe persone. XXXIII. ApoHonio accortosi della speranza dell' im peradore , cui gi pareva di toccare le stelle, cos 4isse : Io conobbi essere Nerva moderatissimo sopra tutti gli uomini, mansuetissimo, affezionatissimo a te, ed ot timo magistrato, ma cos timoroso neHe grandi faocende, che per fin degli onori ha paura. Quanto agli amici suoi Rufo ed OrRt, de' quali tu intendi, essi pure, per quel che a me consta, sono uomini moderati ; e spre-

VITA DI APOLLONIO TIANEO giatori delle ricchezze, e alquanto lenti ad eseguire ci pure che lecito lor sia d'eseguire. N facilmente pertanto macchinerebbero novit, n a chi le macchinasse dareb* bero mano. Ci l ' imperadre udendo, avvamp d'ira^ e disse: Me dunque tu riprendi come calunniatorloro? e costoro, che io s essere sceleratissinii, e perturbatori del mio impero , francamente come buoni e tranquilli tu esalti? Ben capisco che essi pure^ se alcuno li in terrogasse sul tuo conto, non direbbon che sei un in* cantatore, uh temerario, un vantatore, un avaro; uno spregiator delle leggi, s ben tra voi cospiraste, o mal" vagissimo teste. Ma tutti questi fatti Patto d'accusa por* r in chiaro $ perocch ci che vi giuraste, e in quali feste , e quando, e con quai sagriRcj, non conosco io meno che se io stesso vi fossi intervenuto di presenza ne facessi parte. Ma ApoHonio nemmeno per ci sbigot* tito rispose : Brutta cosa ^ e poco d'accordo con le leggi, il disputare in giudizio dr ci, diche sei persuaso prima, o volrsi persuader prima di ci, che ancora non disputasti in giudizio. Se tale per il voler tuo^ permetti che di qui io cominci la mia difesa. Tu sei mal disposto contro di me, o imperadre, e mi reputi an-i che pi colpevole, che il mio delatore; perch le colpe eh'egli ha promesso di provare tu hai creduto prima ancra di udirlo. La tua difesa, rispose Domiziano, principia pure da quel capo che a te pi piace ; io gi so dove io abbia a Rnire e donde cominciare. XXXIV. E cominci tosto a villanamente trattarlo, facendogli radere la barba , e i capegli (!), e rispingen(!) Non era ai tempi di Domiziano cosa assai vergognosa l'a -

MBRO y n . 4 r3 dolo in catene frammezzo ai pi scellerati. Egli per : Io non sapeva, disse, che io corressi pericolo di essere raso ; quanto poi alle catene, se t mi credi un incan tatore j in qua! tAodo mi terrai legato? N te ne scior^ r, rispose ! 'imperadore, se prima non ti trasformi in acqua, o in Rera^ o in pianta. Quand'anche i! potessi ^ soggiunse Apoilomo^ non mi trasformerei in nulla di ci, per non tradir quelli, che contro ogni diritto sono in pericolo deHa v^itd ; ma perseverando ad essere quale ora sono , mi sottoporr a tutto che a danno de! mio corpo ordinerai, sin che io abbia diesala ausadique' va!entuomini. E chi preparer una difesa per te? disse !' imperadore ; ed egli : Il tempo, lo spirito degli iddj ; e 1' amore delia filosofia, cui mi sono interamente de* dicato. XXXV. Racconta Damide questo essere stato il pr&* ludio della difesa privatamente sostenuta innanzi a Domiziaho^ m aqelli, che mossi da invidia ne hanno parlato, dicono che realmente ei prima si difese , poi fu messo ai ceppi, ed anche tosato; e fingono altres una lettera /scritta ih lihgua ionica, fastidiosa per 1^ sua lunghezza, nella quale pretendono che Apollonio supplicasse Domiziano a liberarlo dai ceppi!. E ben vero che Apollonio scrisse il suo testamento in lingua ionica, ma non mi capit mi veruna sua lettera ionicamente scritta, bench foltissime io ne abbia rccolte; n mai
ver rasi i capegli e la barba , come ha notato il Camerario nel cap. 56 delle sue /force .m&c/.y'd. Ma vergognosissima tornava ad un pitagorico, qual era ApoHonio.

4*4 VITA DI APOLLONIO TIANEO vidi che fosse prolisso nel suo carteggio , essendo tuttd le sue lettere brevi, e quasi in cifra. Oltre a ci egli certo che part dal giudizio vlncitor di sua causa ; come dunque pu darsi che dopo pronunziata la sentenza ve nisse cacciato ai ferri? Ma qui non ancora trattiamo dif quel che avvenne In occaslon del giudizio ; ma bens ritorneremo su ci che riguarda la tonsura, e quello che egli ne disse, perch merita che se ne parli. XXXVI. Gi d due giorni stava egli stretto ne'ceppi, quando capit uno nella prigione, Il qual disse, che se avesse libert di parlar seco, ne avrebbe egli tratt gran* de vantaggio, perqh a Rnedi consigliarlo sulla sua sal vezza erasl col recato. Siracusano era costui, anima e lingua di Domiziano ; e subornato come quel primo ; di cui si detto di sopra, ma questi era Istruito a ren dere pi probabili le frodi, per cui veniva. Parlava egli confusamente, e facendo dello stato presente base alle sue insidie: O del, sciam, chi avrebbe pensato che un Apollonio venisse posto al ferri? Colui, disse Apolonio, che ai ferri mi pose, perch se non vi avesse pensato non mi vi avrebbe posto. Chi avrebbe creduto, continu l'altro, che si avessero a radere queste chiome d'ambrosia ? (:) Io che le nutriva, disse Apollotfio. Con qual cuore II tolleri tu ? segu colui ; Come convie ne , rispondeva Apollonio, a chi n di sua voglia n contra sua voglia qui venuto. E la tua gamb, dicea quegli, come sostien questi ceppi ? Noi s , replicava Apollonio, perch In altro ho la mente occupata. Ma, (') Quali Omero le attribuisce a Giove nel primo deH'M4< % e .

LIBRO VII. 4!$ soggiungea 1' altro, anche la mente snol occuparsi del dolore. No, rispondeva ApoHonio, perch !a mente in nomo d'alto animo, o non dorr, o mitigher il dolore. Che st meditando la tua mente? richiese l'altro. Questo appunto , ripigliava Apollonio , di non curarsi di ci. E l'altro di bel nuovo parlandogli della chioma, rivol gendovi ancora il discorso, ApoHonio disse : tua for tuna , o giovine, che tu non sia un di que' Greci, che andarono gi sotto Troia , che troppo gran doglia ti avrebbe costato, per quanto veggo, la chioma che Achille si recise in grazia di Patroclo, se pur la recise. Come te ne sarebbe mancato il cuore ? Perch se tanto ti crucci per la m ia, gi canuta e squaHda , che non avresti patito per quella, ancor pulita, ancor bionda? Aveva colui insidiosamente proferite quelle parole, onde conoscere di che maggiormente si lagnasse ApoHonio, e sicuramente acci l ' imperador bestemmiasse per lo stato in cui era. Ma pressoch soffocato dalle risposte di ApoHonio , riprese il discorso dicendogli : Tu sei in odio aH'imperadore per molte cagioni, e segnatamente perch Nerva, reo di lesa maest, gli fuggito. E furongli eziandio riferite alcune calunnie che tu di lui dicesti nella Ionia, e con avverso e nemico animo contra lui pronunziasti. Ma di queste, per quel che dicono, non fa egli conto, perch per maggior causa teco ira to , sebbene chi queste pure gli denunci sia personag gio molto eminente e glorioso. Veramente glorioso com battitore in Olimpia mi citi, disse ApoHonio , se pensa coprirsi di gloria per essere valente in calunniare. Ben comprendo costui dover essere Eufrate, che s macchi

4 ;6 VITA DI APOLLONIO TIANEO nare ogni ma!e contea m e, e dal quale altre volte pi gravi ingiurie ho ricevuto. Perch informato gi che io era per andare in Etiopia visitarvi i GinnosoRsti, mi calunni presso loro; e se io non mi fossi accorto delle Sue insidie avrei forse dovuto partirne senza pur vederli in faccia. Maravigliandosi il Siracusano di tali parole : Cos dunque, disse, tu stimi questa maggior faccenda che Tessere denunziato all'imperadre, e credi che il presente macchinamento d'Eufrate sia di minor peso che quello presso i GinnosoRsti? S , per Giove, rispo se; perch io col andai per imparare, e qui Venni per addottrinare. Di qual dottrina? disse il Siracusano. Che io son uomo buono ed onorato, rispose; e questo l'imperadore ancora noi sa* Anzi, replic !' altro, egregia mente le cose tue disporrai, istruendolo di cose, le quali ^e tu avessi dichiarate prima di qui recarti, non saresti giammai stato messo ai ferri. Comprendendo Apollonio che il Siracusano tendeva col suo discorso allo scopo medesimo , cui l'imperadre, e che egli pure era d'avviso, che per l 'affanno dei ceppi qualche bugia di rebbe egli contra gli accusati Amico , gli disse, se avendo a Domiziano detta la verit mi sono acquistato i ceppi, che mi acquister col mentire? A lui par de gna de' ferri la verit, a me la menzogna. Il Siracusano pertanto ammirandolo come filosofo, che ogn'altro sor passava (e il confess egli stesso in atto di andarsene), usc del carcere. XXXVII. Ma Apollonio guardando Damide, hai tu
(t) Cio Nerva, Rufo, ed OrKto.

LIBRO VII. 4<y inteso, disse, codesto Pitone? Ho inteso, rispose D&* mide, eh' egli un subornato venuto per soppiantarti ; ma perch tu lo chiami Pitone, e cosa tu intenda con. questo nome, non capisco. Soggiunse ApoHonio : Fu Pitone un orator di Bizanzio, e dicono eccellentissimo a persuadere (:). Mandato ambasciador di Filippo, 6gliuol di Aminta, alle citt greche onde indurle ad ac cettare la servit, posposti gli altri Greci tu tti, recossi in mezzo ad Atene, dove a que' giorni era in grandis simo vigore l'arte rettorica, lagnossi che Filippo rice veva ingiuria dagli Ateniesi, e che commettevano essi un grande errore, pretendendo che la Grecia fosse li bera. Ci andava gridando Pitone al popolo, come fama; ma Demostene di Peania contraddicendo con gran coraggio alla audacia del dicitore, solo trovossi a lui p ari, com' egli scrive nelle sue orazioni. Io per non mi dar gran vanto di non essere stato da costui se dotto a commettere quant' egli mi suggeriva , ma dico aver esso fatto con me quel che fece Pitone, perch mi venne a parlare indotto dalla mercede del tiranno, e a consigliarmi pessime cose. XXXVIII. Pi altri discorsi dello stesso genere tenne ApoHonio, e scrive Damide di s che stava meditando sullo stato presente, n sapea prevederne alcun esito, fuor di quello che dagli iddj deriv a favore di alcuni che li pregavano, e che trovavansi in impicci anche pi
(t) Ne fanno menzione Diodoro Siculo, Suida, Ateneo, Tzetze , ed altri.
jn H M M riL irf, f o r n . f 37

4 !8 VITA D APOLLONIO TiANEO sgravi. Poco prima poi di mezzod: O Tianeo, gli disse (assai compiacevasi Apollonio d'essere cos chiamato), che sar di noi? Quello che stato sinora, rispose, e niente pi , perch nessuno ci torr la vita. Ma chi, riprese Damide, tanto invulnerabile ? o almeno , quand' che sarai liberato? Stando all'arbitrio, rispo se , di chi fa le parti di giudice, dimani; stando al mio, in questo stesso momento. E si dicendo cav fuori del ceppo una gamba, e disse a Damide : Questo segno d libert ho voluto darti, acci tu stia di buon animo. Confessa Damide che allora per la prima volta conobbe del tutto che quest' uomo era di natura divina e supe riore all'umana; imperocch n col far sagriEzj ( e come avrebbe potuto farli ne! carcere?), n coll'uso delle preci, n una paroletta pur pronunziando, si fece beffe de' ceppi, e di bel nuovo la gamba vi rimise, standosi come gli altri incatenati. XXXIX. Ma gli uomini semplici dicono essere queste opere da mago, e simile errore ripetono anche in pi altre, che spettano interamente alla umana industria. Ricorrere a codest' arte han bisogno gli atleti, e tutti coloro che combattono negli agoni, spinti dalla cupi digia di vincere. Ma nessun aiuto pu essa prestar loro; tuttavia se a caso vi riportano vittoria la attribuiscono imprudentemente a quest' arte,. cui non minor fede prestano anche restando vinti ; e dicono : Se avess' io fatto il tal sagriRzio! Se alzato il tal profumo ! la vitto ria non mi sarebbe mancata. Cos parlano, cos inti mamente credono, e cos essere ostinatamente preten dono. La stessa opinione suol frequentare anche le

LIBRO VII. 4:p porte de' mercadanti ; perch de' guadagni del com mercio hanno cura di render partecipi l ' incantatore, e dei danni accusano o !a loro avarizia, o il non aver fa^o i sagrifizj a dovere. Cara soprattutto quest' arte agii amanti; essendo essi ammalati di tal malattia, che li rende soggetti a mille inganni, si che vanno a chie der soccorso anche alle vecchierelle, e nulla fanno che veramente di ammirazione sia degno, se non si rivol gano ai professori di essa arte, e se loro non prestino orecchio; i quali offrono loro o una cinta da portar addosso, o varie pietruzze, sia cavate da occulti luoghi della terra, sia cadute dalla luna e dagli astri, o aro mati di qualsivoglia maniera nati negli orti delL' India; le quali cose comperano ad alto prezzo, e nulla gio vano, Perch , se le persone, cui si aspira, mosse da qualche affetto verso gli amanti, o vinte dai donativi, danno prospero sfogo all'amore, allora 1' arte con gran lodi esaltata, come quella che tutto pu ; e se lo sperimento riesce vano, se ne d la colpa a qualche omissione, cio al non aver arso il tal incenso, fatto il tal sagrifzio, fatta la tale aspersione sul fuoco, stiman do che ci in questo proposito sia di grande e molta ef$cacia. I modi poi, con che si provocano siffatte ma* raviglie, e si fanno pi altri migacoli, si trovano espo sti in alcune lettere, nelle quali si pone diffusamente in ridicolo cotest' arte ; ma basti a me questa digres sione per dimostrare, che i giovanetti non debbono nemmeno conversare con tali persone, onde non avvez zarsi a siffatti errori neppure per ischerzo ; a che par-

4 io

V IT A D I A PO LLO N IO T IA N E O

lerei pi a lungo d cosa non meno contraria alla na tura che a!le leggi? (<) XL. Mentre Apollonio avea dato in tal modo prova di s a Damide, e stava con lui discorrendo di vprie cose, venne poco prima del mezzod uno , e all' orec chio gli disse: L'imperatore per suggerimento di Eliano ti impone che tu ti sciolga di questi ceppi, e ti per mette di starti libero nel carcere sin che giunga il tempo di difnderti, che probabilmente sar Ara cinque giorni. Rispose ApoHonio : Chi dunque mi lever da questo luogo ? Io , disse l ' altro ; seguimi. Tutti coloro che erano neHa prigione degli sciolti al rivederlo Io abbracciarono, veggendolo ad essi restituito, quando non lo speravano ; perocch un desiderio uguale a quello che i figli hanno del genitore, che dolcemente e piacevolmente li ammonisce, o che narra loro gli avve nimenti della sua prima giovinezza, nutrivano que' pri gionieri verso ApoHonio, e apertamente il manifestava n o ; non avendo egli tralasciato giammai di dar loro qualche consiglio. XLI. II giorno dopo, chiamato Damide, gli disse:
(t) Troppo di fatto va qu! trattenendosi Filostrato sulle super stiziose opinioni del suo tempo , le quali ( chi voglia sinceramente parlare ) non sono del tutto dileguate ai d nostri, massimamente in alcuni luoghi, e presso alcune condizioni d' uomini. Rimarr tuttavia da spiegarsi per qual prodigiosa dottrina sapesse Apol lonio sciogliersi dai ceppi , e molto pi scomparire dalla pre senza di Domiziano, come si vedr frappoco. Ma probabilmente, anzi sicuramente, in ci appunto consiste la parte romanzesca di questa Storia ; seppure non vogliasi credere che Eliano gli avesse nascostamente dato mano.

LIBRO VII. 4n 10 pure dovr lare !a ma difesa ne! d preSsso ; tu per va sulla strada che a Pozzuoo conduce ( e meglio che vi vada a piedi ), e sa!utato che ivi abbia Deme trio, voltati verso i mare da quella parte ov' l ' isola di Calipso, e l tu mi vedrai comparirti innanzi. Vivo, richiese Damide , o in qual modo ? Vivo, rispose Apol lonio ridendo , secondo l 'opinion mia: risuscitato, se condo la tua. Quegli dunque, di mala voglia per, come egli medesimo scrive, se ne part, n disperando all'intutto, come se per ApoHonio fosse Coita, n troppo lusingandosi che avesse a scapparla netta. Giunse in tre giorni a Pozz^jj^, dove ud la procella avvenutavi in quel frattempo, e che il vento e la pioggia agitando il mare varie navi affond ivi dirette, e varie altre spinse con forza contro !a Sicilia, e contro il Faro; e quindi comprese per qual ragione ApoHonio gli ordinasse di andarvi a piedi. XLII. Le seguenti cose Damide pose in iscritto, in formatone, dice egli, dai discorsi che tenne ApoHonio con Demetrio e con lui. Racconta che arriv a Roma un bellissimo giovinetto, nativo di Messenia citt dell'Arcadi (:). Molte persone si innamorarono di lu i, e Domiziano pi d'ogni altro; e s fattamente l'amavano, che non facevansi riguardo alcuno a dichiararsi rivali. Ma il giovinetto castissimo e ra , e il Sore dell' et sua custodia. N io torr a lodarlo che oro e danari ei sprezzasse , e gemme, e cavalli, ed altri donativi ^ per
(t) Non so come ^Mostrato ponga la citt di Messenia in Ar cadia , mentre tutti i geograA la collocano nel Peloponneso, verso 1 1 conRne.

4n

VITA DI APOLLONIO TIANEO

cui non pochi si rendono compiacenti i loro amatori; perch cos conviensi ad un uomo esser disposto. Ma potendo egli ottenere prem} maggiori di quanti mai venissero oHerti a A i da occhio di principi fosse desi derato , non siiece lecito mai di impadronirsi di quanto impadronir si poteva; per conseguenza fu posto in car cere, come piacque al suo vagheggino. Accostatosi egli ad ApoHonio, parea volesse parlargli, e non ardisse, per verecondia. Di che ApoHonio avvedutosi : Tu dun que, gii disse, che ancora non hai l'et capace % com metter delitti, sei carcerato, al pari di noi, che siamo tutti egualmente rei ? Mi converr a ^ ^ n o r i r e , ei ri spose*, giacch !e leggi de' nostri giorni stabiliscno la pena capitale alla castit. La stabilivano, disse Apollo nio , anche queHe dei tempi di Teseo, perocch il pa dre stesso condann a morte Ippolito per la sua castit* Me p u re, soggiunse il giovine, il padre mio ha rovina to; che essendo ioa&rcade, nato in M essenia,,nou mi allev ne'costumi greci, ma qui mandommi ad impa rare il diritto romane, e , qui venuto per questa cagio ne , l'imperadore mi osserv con maligno occhio. Apol lonio allora; come se non Io avesse capito: Dimmi, riprese , o giovinetto , ha forse l ' imperadore creduto che tu avessi gli occhi cerulei, mentre veggo che li hai neri ? o ha pensato che abbi il naso to rto , bench lo hai s ben fatto come quello della statua di M ercurio, che lavorata c#n sommo arti6 zio? o stima che la tua chioma sia d' altro colore che non ? la quale a me par che sia castagnina e lucida. La bocca tua parimenti fatta con tal proporzione , che graziosa riesce s ta

LIBRO VII. 4a3 cendo che parlando ; cos pure spaziosa e nobile !a tua fronte. E dunque 1*imperadore ha altrimenti riguar date codeste tue p a rti, poi che dici che con maligno occhio ti osserv ? Queste appunto , rispose il giovine, 3ono la mia rovina $ perocch innamorato d im e , nes suna lode risparmia, ma tenta far violenza alla mia pu dicizia, come quelli che sono innamorati di donne. Rallegratosi Apollonio in udir ci, ristette da! chieder gli cosa pensasse egli del giacer con un uomo, e se il giudicasse una vituperevole cosa, o n , e altre siflatty dimande, tanto pi che vide il giovinetto arrossire e parlar sotto voce. Interrogollo per in quest' altra ma niera. Hai tu servi in Arcadia ? Ed egli rispose, S , e molti. Che credi tu di essere rispetto a loro ? disse Apollouio. Ci che credon le leggi, rispose, cio ch'io ne sono il padrone. E non egli dovere de' servi, con tinu Apollonio , 1' ubbidite ai padroni ? o lice loro il ricusare ossequio in ci che piace ai padroni, i quali anche de' corpi loro hanno il dominio ? Comprendendo il giovane a quale risposta queste parole il conduceva no: Capisco, disse, quanto inespugnabile e violenta sia la potenza de'tiranni, giacch anche sui liberi vogliono esercitare il dominio $ ma io del corpo mio son padro ne , e inviolato lo serber. In qual modo ? disse Apol lonio ; perocch tu hai a fare con un am ante, il quale col ferro in pugno aspira alla tua bellezza come un af famato ? Perder piuttosto la te sta, rispose ; giacch sar forza che meco adoperi il ferro. Commendandolo adnnque Apollonio : Ben veggo , gli disse , che sei di Arcadia. Di questo giovinetto fa egli menzione anch

4 i4 VITA DI APOLLONIO TIANEO, LIBRO VII. in una sua lettera ; e assai pi bellamente il descrive che non ho io qui fatto; e per la sua castit lodandolo a quegli cui scrive soggiunge, che non fu dal tiranno condannato alla m orte, ma che dopo aver fatto mara vigliare la citt di Roma, trasferissi sopra una nave a Malea, e gli Arcadi lo onorarono molto pi di coloro che resistendo alle battiture ottengono la palma presso i Lacedemoni.

DELLA VITA

DI APOLLONIO TIANEO

Z7 B7 M) Or/L V/ O.

I. NNoLTR!AMC! oramai nei tribunale per ascoltarvi ApoHonio a difendere la sua causa. Quando gi alto fu il sole venne accordato ivi l'accesso ai gentiluomini. I famigliari dell' imperadore dicono che egli il giorno innaazi non avea preso cibo veruno, forse per meditare i punti relativi a questo giudizio. L'atto d'accusa tenea ir le m ani, e mostravasi talora fortemente sdegnato, talora pi raddolcito. Noi dobbiamo a buon dritto sup porlo in collera con le leggi, dalle quali erano stabiliti i regolari giudizj. II. Dall'altra parte noi troveremo ApoHonio, il qual pensa di andarvi pi per disputare, che per difendere la propria vita $ e ci possiamo argomentare da quel eh' ei fece prima di venire in tribunale. Perch neH'av-

4s6

VITA DI APOLLONIO TIA N E#

viarvisi domand all' attuario che il conduceva dove an dassero; e quegli rispondendo che il menava al tribu nale, gli chiese: E contra chi debbo io parlare? Contra il tuo accusatore ^ rispose 1' altro ; e l ' imperador poi sentenzier. E tra me e l 'imperador, soggiunse Apol lonio , chi giudicher? perch io dimostrer eh' egli fa ingiuria alla filosofa. Che importa all'imperadre, disse l'altro , della filosofia, quand' anche I' avesse ingiuriata viemmaggiormente? Eppure , continu ApoHonio, mol tissimo avrebbe a importargliene, per ben governare l'impero. Lod queste parole l'attuario, che era verso lui di animo benigno , come sin da principio avea mo strato ; poi gli disse: Con quanta acqua misurerai tu la tua arringa? (t) perch necessario che io il sappia prima che si tratti la cusa. Se Domiziano (rispose ApoHonio ) mi lascia parlare quanto la cauSa richiede , il Tebro stesso, che ne fosse l'oriuolo di misura, non basterebbe; se poi ho a d ir e , secondo il vorrei, ben sai che chi interroga d la misura a chi risponde. Tu possiedi due contrarie virt, disse l'attuario , quelle di perorare sullo stesso argomento tanto brevemente quan to a lungo. Tutt'altro che contrarie , segu ApoHonio, ma bens similissime, perch chi capace di una non pu dell'altra mancare. Ma la via di mezzo, che dell'una e dell'altra partecipi, non la chiamer io la terza virt
(:) Un oriuolo a polvere del tempo , che accordavasi ai rei per la misura si facesse con un oriuolo ad bitrio de* giudici il porvene la quantit onde lo stillicidio riuscisse pi o meno era per lo pi la misura difendersi. Qui pare che acqua, e che fosse in ar che i rei desiderassero , durevole.

LIBRO V ili.

437

dell'oratore, bens la prima; ed bo conosciuto che ne !a quarta il tacere ne! tempo de! giudizio. Questa , disse 1' a!tro, una virt inutile s a te che a tutti gli altri, la cui vita in pericolo. Ella per, soggiunse Apollonio, fu molto vantaggiosa a Socrate ateniese, quando si liber dalle accuse. Come gli fu vantaggiosa, seguit 1' altro , se col tacere incontr la morte ? Non mor altrimenti, disse ApoHonio, ma soltanto parve agli Ateniesi ch'ei morisse. Cos stava ApoHonio pre parandosi contra le imminenti minacce del tiranno. III. Quando fu al tribunale, un altro attuario gli si accost dicendo: T ianeo, entravi nudo. Rispose Apol lonio : Ho io a lavarmi, o a perorar la mia causa ? Non pel tuo abito, quegli soggiunge, ma l'imperadorproi* bisce che tu porti con te n amuleto, n libricciuolo, n scritto di sorta alcuna. Nemmeno lo stafHle, replic Apollonio, conveniente a coloro che gli suggerirono sif fatte pazzie ? Allora con gran voce l'accusatore sciam : Costui bestemmia, <? imperadore ; lo stregone mi mi naccia ; io te ne ho pur persuaso? Dunque, disse Apol lonio, lo stregone sei tu , non io; giacch io non ho potuto persuadere l ' imperadore che ni sono, e tu dici averlo persuaso che il sono. Vicino all' accusatore, che tali villanie spargeva, stava un certo liberto d'Eufrate, il quale dicevasi da Eufrate mandato per denunziare le dispute che Apollonio sostenute avea nella Ionia, prov veduto di danari, di cui doveva essere generoso all'ac cusatore medesimo. Fu questa come ,uqa scaramuccia introdotta prima del giudizio. IV. Quanto a ci che si fece in tempo de! giudizio

4*3

VITA DI APOLLONIO TIANEO

stesso, eccolo. Era i tribunale tutto apparato, come vi fosse invitata 1' adunanza per udirvi un panegirico. Vi si trovava intervenuto il Bore de' pi illustri per sonaggi , per ordine dell' imperadre, onde alla pre senza di molti sorprendere Apollonio, e trovarlo com plice con alcuni di essi. Egli per con tal cipiglio stava innanzi l ' imperadre, che neppure il guardava. E l'ac cusatore facendogli colpa di tal negligenza, e imponen dogli di volger g!i occhi al dio di tutti gli domini ( : ) , Apollonio alz lo sguardo alla volta della stanza, mo strando di alzarlo a Giove, e stimando in cuor suo pi tristo colui che tale adulazione accettava, che non era empio P adulatore. Grid poscia 1' accusatore : Mi sura ornai P acqua, o imperadre, perch se tu gli con cedi di parlar lungamente costui ci soffocher tutti. Io ho qui il libello, in cui sono descritti i capi d* accusa, ai quali bisogna ch'egli risponda; parli dunque distintamente sopra ciascuno. V. L'imperadre adunque lodando costui come otti mo consigliere, comand che Apollonio al modo che l'accusatore avea detto difendesse la causa; ma omet tendo egli tutti que' c a p i, che parevano poco degni di fame parola , di soli quattro, eh* egli credette pi dif ficili, e non facilmente scancellabili con una risposta, pose la quistione, nel tenor seguente: Qual il motivo, o ApoHonio, che non usi il vestito dagli altri usato, ma s uno tutto tuo e affatto singolare? Perch, rispor
(') Che Domiziano pretendesse di essere considerato come una divinit , il notammo di sopra , e lo dicono Svetonio , Aureho Vittore, Orosio, Eusebio, e pi altri.

LIBRO VIH. 439 s e , la terra che mi alimenta mi somministra nche il vestito , non volendo io recar danno ai miseri animali. hiterrogoMo di poi: Perch gH uomini ti chiamano dio? Perch, rispose, ogn' uomo che creduto buono si onora col cognome di dio. Che questa dottrina avesse egli adottata nella sua filosofia, risulta dai colloquj avuti in India (). !n terzo !uogo !o interrog suHa peste della citt d' Efeso $ Per qeale istinto , diceva, o su qual con gettura hai tu predetto agii Efesii che avrebbero sof ferto quel morbo? Rispose: Cibandomi io, o imperadore, pi leggermente degli altri, fui primo a presentire il male ; e , se piace, le cause ancora di cotai pestilenze riferir. Ma temendo l'impefradore, credo io , eh' egli non attribuisse la causa di queUa epidemia alle ingiusti zie , alle incestuose nozze, e a tutti gii altri disordini : Non ho bisogno, disse, di tante spiegazioni. Volendo aggiugnere la quarta dimanda, fssati gii occhi su i cir costanti personaggi, non la profer col suo impeto su bitaneo , ma assai tempo frappose, miMe pensieri vol gendo in mente, come uno storditoy la pronunzi Bnalm ente, non per nel modo che tutti si aspettavano. Perch credevano ch e, levata la maschera , e senza ri guardo alcuno alta fama di que' grandi, fosse per gri dare altamente intorno a! sagrifcare. Ma cosi non fece; anzi quasi interrogando con incertezza: Dimmi, disse, quel d che uscisti di casa e ti recasti in un campo, a quale oggetto sagrifcasti col un fanciullo? Apollonio
(t) Vedi il xvm del lib. m . Non istar qui a richiamare i luoghi della presente Storia, cui questo interrogatorio fa allusione perch suppongo non !i abbia il lettore dimenticati.

43 o

VITA D APOLLONIO TIANEO

aHora, come se riprendesse uno scolaretto: Usa migliori termini, disse, perch se io misi il piede fuori di casa, e aUa villetta mi recai, ivi pure deggio avere sagriScato; e se vi ho sagriScato, conyien pur dire che avr man giato deHe carni umaue del sagriSzio ; ma questo va provato da!!a testimonianza d'uomini degni di fede. A queste parole essendosi alzato intorno un applauso mag gior di quello, che non conveniva al tribunale dell' imperadore, Domiziano pensando che i circostanti se ne dichiarassero testimoni, e alquanto commosso dalle ri sposte di lui, poi che furono tutti calmati e tornati in huon contegno : Io ti assolvo, disse, dai delitti di cui fosti imputato; qui per rimarrai sino a tanto che io non abbia con te favellato privatamente. Egli, pren dendo allora maggior coraggio , disse : Ti rendo grazie, o imperadre ; ma debbo dirti che per cagione di certi sceleratissim uomini le citt cadono nell'estrema rovina, le isole sono piene di banditi, il continente di gem iti, l'esercito di paura, e il senato di sospetti. Ascoltami dunque ancora, se non t'incresce; se n , manda pure chi si pigli il mio corpo, giacch pigliar l'anima impos sibile; anzi n il corpo pigliar mi potrai , %M ie , w Panr/te FoM rar/M t (:). ()) Verso di Omero nella I fatti qui espoati sono ri petuti dal Cedreno a p. 2 ^ 5 , e da Tzetze nel primo delle r /e , cap. 6 0 . I poteri che qui vanta ApoHonio vant pure Simon mago , se vuoiti credere al suppo$to Clemente , lib. 9 , pag. 5?.

LIBRO Vili. 43! E s dicendo spar dai tribunale, cogliendo !a presente opportunit, perch ben si capiva che il tiranno non era seco sincero, e iacea conto di interrogarlo sopra cose di nessuna necessit, parendo a lui di aver fatto un gran che coll' aver lasciato in vita ApoHonio ; e beu prevedeva che a questo estremo avrebbe pur dovuto venire. Oltre a ci credette ottimamente fatto che non restasse pi oltre ignota la natura su a, e fosse manife sto che stava in sua mano il non lasciarsi contra sua voglia arrestare. Ci parimenti si accordava col timore, che prima il pungeva, di nuocere a que'personaggi. Perocch non avenda il tiranno osate introdurre veruna questione a caric loro, come avrebbe potuto con qual che verisimile giustizia dannarli a morte per delitti, che non erano emersi in giudizio ? Questo quanto ho tro vato essere in quella occasione avvenuto. VI. Siccome per esiste una orazione eh' ei scrisse, come avesse a recitarla in sua difesa con la misura del1' orinolo ad acqua, ove il tiranno non si fosse limitato alle interrogazioni che accennai^ cosi in questo libro la inserir. Non ignoro che la biasimeranno quelli chq amano un genere di eloquenza condito di basse adula zioni , perch meno castigata di quel che a parer loro convenga, e meno sublime, sia nelle parole che nelle sentenze. A me non pare per, considerando che Apoi* Ionio era un Rlosofo, che saviamente avrebbe egli fatto dissimulando il proprio carattere, affettando ! par* e * ( t ) , e rimbombando con la voce a foggia di un
(!) Accennati da Quintiliano nel lib. ix.

433

VITA DI APOLLONIO TIANEO

cembalo. Convengono questi artifizj ai reto ri, ma non a siffatti uomini. Perch se nei giudizj la forza delia eloquenza troppo patente, rende sospetto 1' oratore , come tendente a carpire i voti de' giudici ; se in vece sta occulta, ne uscir trionfante. Imperocch vera forza di dire quella, che tiene coperta al giudice la forza del dire. Ma il sapiente, che dee difendersi ( n il sa piente accuser ci che pu egli stesso punire), altri modi pone in u so , diversi da quelli che fanno perdere il tempo nelle liti del foro; cio un discorso, studiato s , ma che tale non paia. Fa anche d'uopo ch'egli n o n si alzi troppo, e che mostri trascuranza anzi che n ; cos pure che non faccia un sol cenno di compassione, perch come parler di compassione uno che non soffre di essere supplicato ? Tale pertanto sembrer, credo io, 1' orazion di Apollonio a quelli che non darebbero ascolto n a me n a lu i, se troppo mollemente parlas simo. Ella fu come segue: VII. !. E tra noi sorto, o imperadore, un contrasto sopra importantissimi oggetti (:). Perch tu in un peri colo ti trovi, non mai da verun imperadore incorso, se ^vero che senza alcun dritto ti fai persecutore della fi losofia ; ed io in tanto altro quanto non ebbe Socrate in Atene, i cui denunziatori dicevano fomentasse nuove opinioni intorno alle cose divine, senza per che n dio !o chiamassero, n pensassero che il fosse. Soprastando adunque s grave pericolo a ciascuno di n o i, non ricu(:) A ben intendere questa orazione (la quale a Filostrato anzi che ad ApoHonio parmi doversi attribuire) necessario ricor darsi i capi d' accusa, teste rinfacciatigli.

LIBRO VIII. 433 ser io di dare a te (pie! consiglio, che gi diedi a me medesimo. Certo che dappoi che in questo contrasto i! denunziatore ci ha tratto , invalsa in molti una opi nione di te e di me affatto contraria al vero. Stimano essi che in questa udienza tu prenda in tuo consigliere lo sdegno, e che lgio di esso, comunque !a causa si presenti, tu sia per uccidermi ; e pensano che io pssa sottrarmi al giudizio, con tutti que' modi che uno ha per sottrarsene; tale, o imperadre, !a supposizione di moltissimi rispetto a noi. Sebbene tutto ci mi sia giunto all'orecchio, nondimeno i! sHersi, e non come tuo avversario, quasi che tu avessi a udirmi con ma! disposto animo, ma per ubbidienza al!e !eggi, stonami innanzi all' esame ; e pregoti che tu voglia fare l stesso. Perch, quand'anche io avessi commessa alcuna colpa contro di te , la giustizia vuole che non si condanni prima di aver conosciuta !a causa, e che non siedasi in tribunale con animo prevenuto. In que! modo che se ti fosse detto qualmente 1' Armeno, o il Babilonese, o qualunque altro regnante di quelle provincie, e scortato da molta cavalleria, da moltissimi arcieri, da quantit somma di soldati e di oro, medita una impresa, merc !a quale ti possa privar dell' im pero, so che tu ridere sti in udirlo, cos non crederai che un uomo, che 6 losofo ed inerme, mova nascostamente una specie di guerra ad un imperadre romano; tanto pi se ci ti si denunzii da un calunniatore egiziano; mentre nessun cenno avuto ne avessi mai da PaHade, !a qual tu dici essere sollecita de' casi tuoi. A meno che per avventura !a facolt de!!'adulare ed el catunniare tant'oltre sia

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spnta dalla malignit degli uomini, che tu abbia a Cre dere che gli iddj vogliano opportunamente avvisarti an che delle pi piccole cose, come sarebbe del mal d'oc chi, dell'evitare la febbre, di un tumore ne'visceri, e porgerti la mano m edicatola, e sanarti ogni volta che non istai bene; e ali' incontro quando tu fossi in pericolo dell'imperio o della vita, non vogliano sugge rirti da quali persone tu debba guardarti, e di quali armi valerti contr'esse; ed essi calunniatori suppliscano presso te all' egida di Pallade ed alla mano di Giove, e professino di sapere de' fatti tuoi quello che gli stessi dii non sanno; e si dichiarino vegliare per te , per te dormire, seppure costoro posson dormire, mali a mali ( come dice il proverbio ) mai sempre ammucchiando, e di continuo componendo siflatte Iliadi. Far pompa di cavalli ; correre in mezzo al foro su candide quadrighe; in vasi d' argento e d'oro porgere i cibi ; goder di fan ciulli ad alto prezzo comprati; commettere adulterj, per quanto si possa nascostamente ci fare; maritarsi con donne gi da essi corrotte, ve sieno*trovati sul fatto; esser portati in trionfo, quai vincitori illustri, ogni qual volta o un filosofo o un uomo consoiare, da essi ingan nato , sia da te senza veruna sua colpa dannato a mor te ^ tutto ci, dico, alla libidine di codesti sceleratissimi si permetta, ed anche di pi che non abbiano rispetto veruno n delle leggi, n del cospetto degli uomini. Ma che costoro sappiano oltre alla umana condizione, e presumano di superar nella scienza gli iddj ^ io non solo il nego, ma inorridisco a sentirlo. Che se tu vi ac consentissi , chi sa che te pure non accusassero qual

LIBRO Vili. 435 reo di torte opinioni nelle cos^ divine? perciocch quan do nessun altro rimanga a costoro da accusare, spere ranno di inventar colpe a tuo carico. Ma ben mi avveg go che io Io ora pi l ' ufHzio di riprensore, che quello di difensore; tu per mi perdonerai di avere cos par lato per amor delle leggi, le quali se tu non riconoscessi per dominanti, non avresti dominio tu stesso. a. Ma chi avr io qui per avvocato? Perch se^ invocher Giove, sotto il quale confesso di esser vivuto sinora, si dir che io adopero incantesimi, e che il Cilo sulla terra trasporto. Consulteremo adunque su questa causa un nomo, che il volgo dice morto, ed io n (t). questi il padre tu o , che me tanto onor, quanto tu onori lui. Egli ha latto te imperadre, ed io Io Aci lui. Avvocato difensore della mia causa sia dun que egli, il quale molto meglio di te conosce le mie azioni. Imperocch venne egli in Egitto prima che imperador fosse, onde sagriRcare agli iddj egizj, e meco favellare intorno all'impero. Ed essendosi a me presen ta to , qund'io aveva la chioma e quest'abito^ nessuna osservazione mi fece sul vestir m io, stimando che bene stesse quanto mi apparteneva. Dichiar pure che ivi per eagibn mia venuto e ra , con molte laudi mi salut, di rigendomi parole che a nessun altro avea dirette, e ac cettandone altre che da nessun altro avrebbe accettate. Da me fu egli gagliardemente confermato nel disegno
(') I buoni uomini, secondo ApoHonio , come in pi luoghi ognuno pu avere Osservato , erano come d e i, per conseguenti itnanoftai.

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che a!! impero il guidava ^allora appunto che altri co minciavano a rimovernelo, poco opportunamente senza dubbio, come deve parere a te pure ; perch coloro che il dissuadevano di assumer l'impero , avrebbero te pure impedito di assumerlo dopo lui. Ma io, acci non pensasse di essere indegno del supremo potere, giacch ornai giunto era al vestibolo della reggia, suggerendogli che voi suoi figli ne chiamasse eredi, e conoscendo egli quanto bene il consigliassi, lui causa che venisse innal zato a questa sublime altezza, e che voi parimenti inna!zasse. Che se egli stimato mi avesse un mago, certo che non avrebbe mai conferito meco di s importanti aflari ; n parlandomene chiese che io forzassi i fati, o mostrassi che Giove stesso fosse a me soggetto, o che almeno io mentissi qualche prodigio, che mi confermasse per mago, e facessi levare il sole dall' occidente, e tra montare all' oriente ; n io Io avrei reputato degno dell'impero , s'egli avesse creduto che io potessi fare si mili portenti $ n avrebb' egli occupato con tali artiCzj l ' impero, che soltanto alla virt era dovuto. Aggiugni che io favellai seco nel tempio; ma le adunanze de' magi fuggono, per cos dire, dai templi degli iddj, i quali sono inopportuni a chi professa magia ; essi copronsi della notte e d' ogni specie di oscurit, acci que' stolti che li consultano non abbiano n occhi n orecchi. Anche privatamente parlai con esso lu i, alla presenza d'Eufrate e di Dione, quegli a me nimicissimo, amicis simo questi, n mai cesser di annoverarlo tr miei pi cari. Chi dunque avrebbe mosso discorso di arti magiche dinanzi ad uomini sapienti, o almeno di col-

LIBRO VHI. 437 tivatbri della sapienza ? ovvero chi non s guarderebbe d comparire un trst' uomo tanto in faccia agli amici che ai nemici ? Oltre a ci noi parlammo in senso mol to diverso. Tu forse hai pensato che il padre tuo, che all'impero mirava, pi presto negli incantesimi confi dasse che nella propria virt, o da me conseguisse che l'assunzion sua si riportasse agli iddj. Ma egli ave fi danza di impadronirsene prima pure che in Egitto ar rivasse. Egli invece ragion meco di cose pi nbili, cio delle leggi, dell* acquistar giustamente le ricchezze, dell'onorare dirittamente gli iddj, e udir volle quai beni possano da essi aspettarsi coloro che governano giusta la prescrizion delle leggi. Alle qual! cose tutte i magi sono sommamente contrarj ; perch dov' esse preval gono Parte loro precipita. 3. U n'altra avvertenza da aversi, o imperadore; ed che tutte le arti dagli uomini esercitate diverse operazioni eseguiscono, ma hanno tutte per fine prin cipale Io arricchirsi, qual pi , qual meno, e quale del sol mantenimnto contenta. N a ci tendono le sole arti plebee, ma le altre eziandio, e cosi le liberali, come le prossime alle liberali, tranne la ver filosofa. Chiamo arti liberali la poesia, la musica, I' astrono mia , ed anche l'arte de' sRsti e de' retori, che pero rano le cause nel foro* Prossime alle liberali chiamo h pittura, la p la stic a la scultura, la nautica, l ' agricolatura che sappia osservar le stagini ; le quali arti a me sembrano poco al di sotto delle liberali. Avvi un' altra arte, imperadore, che non appartiene alla vera sa pienza, ma spetta ai ciarlatani, la quale tu non devi

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confondere con 1' arte del predire ; perch questa , ove sfa veritiera, da aversi in gran pregio, d io non a ancora se sia un' arte. Ben dico che i magi mentiscono la sapienza, perch il far vedere che non quello che , o che ci che non , io lo attribuisco alla imma ginazione di coloro dhe lasciansi illudere; perch tutt^ la forza dell'arte loro posta nella stoltezza di chi vuol esserne illuso facendosene spettatore. Tutta l'arte consiste in questo che i magi ti*ano a far danari, e le ciurmerie onde ingannano il volgo ad altro non tendo no. Costoro affettano di possedere grandi ricchezze, e fanno a s ligi quelli che ne sono ardentemente bra mosi , assicurandoli che possono ci che vogliono. Qup!i ricchezze allo incontro, o imperadre , trovasti presso di me, per credere che io dessi opera ad una falsa sa pienza, massimamente dopo che il padre tuo mi conobbe alieno dalfamor del danaro ? E per mostrarti ch^io t%co il vero, dov' la lettera che quel magnanimo anzi divin uomo mi scrisse, in cui mi esalta s per altre cose che per la mia povert ? Eccola. Z'itnperaifor aJ

Se tutti, o Apollonio, filosofassero al pari di t e , onor smmo n avrebbero cosi la RlosbRa come la po vert , perch la filosofia si rimarrebbe incorrotta , e !a povert otterrebbe maggior numero di seguati. Sta sano. Accetta ora nella mia causa questa difesa del padre tu o , cio l'intemerata filosofia, e la volontaria povert.

, LIBRO Vili. 439 chu egli mi attribuisce; e ben ricordavasi egli di ci che vide io Egitto , quando Eufrate ed altri che simu^ lavabo Rlosoa, gli chiedevano danari scopertamente; ed io non sol noN* io avvicinava per domandargli de naro , ma quelhriaahEW H RV a come troppo poco Bloso& Sin da fancillo^ty^ j^ c h ^ &e sprezzai ; ond' che la patema eredit, chy HapKssnna e ra , considerando^ i coin accidente di un giorno ^ ai miei fratelli trasmisi, ed agli amici, ed ai parenti pi bisognosi, questo imparando dalla mia stessa casa, che non dobbiamo avere neces sit di cosa alcuna. Lasio a pafte che ne' miei viaggi Babilonia e n ell'in d ia, oltre il monte Caucaso e il fiu me Ifas, io lui per tutt simile a me medesimo. Ma delle cose che in quelle regioni io feci, senzd che aspirassi giammai a far danari, io chiamo in testimonio quest stesso Egiziano ; il qual dicendo che io ho cmmesso pessime azioni, e fomentati pessimi consigli, non mo stra per che i con male arti vi acquistassi ricchezze, n Che .fossi intento al guadagno. Mi stima egli s paz-* zo , che, facendo li mago, le scelleraggini da altri commesse per arricchire, io le commettessi per nulla ? e che esponendo, coin suol dirsi, le mie m erci, gri dassi : V enite, o stolti, che io fo gli incanti, non per przzo ma gratuitamente; anzi voi ne guadagnerete, partendovi ciascuno provveduto di quanto desidera, ed io rimarr esposto ai pericoli ed alte accuse? 4 - Ma perch troppo lungi hon ci menino quste sciocchezze, chiediamo all'avversario sopra di ch cl cnvenga primamente difendersi. E qual bisgno vi ha di chiederlo? fm dal principio del suo discorso celi mi

44o VITA DI APOLLONIO TIANEO accus della foggia mia di vestire, ndi de'cibi che uso, o da cui mi astengo. T u , divino Pittagora, difendimi in questo. Noi siamo citati in giudizio per cose, di cui tu sei inventore , io seguace. La te rra , o imperadre , produce agli uomini tutte le cose, e sol che vogliano starsi in pace cogli animali bruti, nulla manca loro del necessario. Altre cose da lei si ottengono col mietere , altre coll' arare, alimentando essa i suoi figli, secondo il riparto dele stagioni. Ma gli uomini, quasi ignari degli oflerti doni, strinsero il ferro contro gli animali , a fine di trame il vitto e il vestito. Questo per dai Bramani dell'india non venne approvato, e persuasero ai GinnosoRsti dell'Egitto di non approvarlo ; e questo da essi impar Pittagora, che fu il primo tra i Greci che and in Egitto , e lasci g!i animali aHa terra ; e stimando puri e mondi i frutti che la terra produce, questi assegn per cibo, come atti anodrire s il corpo che l'animo. II vestito poi, che vulgarmente daHe spo glie degli animali vien preso, insegn essere im puro, e di lino vestissi, e per lo stesso principio grasse i cal zari dalle cortecce degli alberi, f r a i varj giovamenti ch'egli ottenne da codesta sua purit , fu il principale quello di conoscere la sua propria anima. Imperocch vivendo egli al tempo che Troia era assediata pel rapi mento di Elena , ed essendo il pi avvenente de' figli uoli di P anto, ed il meglio vestito, vi fu ucciso in s fresca e t , che Omero compianger Io yoHe. Trasmigra tosi poscia in molti corpi, giusta la Ipgge Adrastea, pec cui l ' anima suole prendere varie forme , torn Anal mente nella forma d'uom o, e nacque da Mnesarchide

LIBRO VHI. 44^ di Samo, diventando di barbaro sapiente y e di troiano ion^y e in tal guisa immortale y che mai non dimenti coni d^ essere stato Euforbo (i). Io dunque ho indicato U padre della mia sapienza y e che non per invenzion m ia, ma per eredit ho da altri acquist$tpq))ssti nsi. Ma io non ho mai sinistramente pariato^K ^he pongono ogni delizia negli uccelli della Fencia y o nei fagiani y o n#^ copigli della Pannonia y che usano d? in grassare per imbandirne i conviti coloro che in tutto e per tutto favoriscono il ventre (a) ; n accuse ho scritto contra veruno a cagion de* pesci comperati a maggior prezzo (3) che non una volta i cavalli y prefe riti dai grandi y marcati con la lettera K come esimj ; n invidia ebbi mai de!!^ porpora o della dilicata veste pamEUa che altri^portasse (4). Ed io all' incontro, o
(t) Sin dal principio di questa Storia notammo quello che in corno a Pittagora, stato prima Euforbo, . sino a noi pervenuto. (a) I ,FTe7M C3)Pleny o uccelli di Fenicia , cos chiamati non dalla patria, ma dal rubicondo color delle penne, come rilevasi da Marziale, formavano uno de' pi ghiotti cibi delle mense ro mane. Cosi r a&f pA iM M CM petfta Co&AiF , giusta Petronio , cio il fagiano ; e cos le gaffe di Pannonia, ( che io credo es sere i conigli ).

. (3) . . .

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Cosi Petronio nel poemetto della C aerra w /F a, ove descrive la mollezza dei degenerati romani. (4 ) Cio drappi leggierissimi, sia di seta (che ci pur si pre tende da alcuni ) , sia di finissima lana. A ci parimenti Petro nio alluse in pi luoghi del suo

44* VITA DI APOLLONIO TIANEO dii, vengo strascinato in giudzio, per i frutti, e erbe ^ e i puri cibi di che mi nutro ! 6 . Neppur sicura questa mia veste , sforzandosi P aocusator di rapirmela , come un gran ripostiglio <H incantesimi. Ma senza por mente alla dottrina relativa alle cose animate ed alle inanimate, per cui uno dicasi puro e T altro impuro, che maggiore eccellenza ha in s una veste di lino che una di lana? imperocch que* sta tolta da un animale mansuetissimo e molto caro agli iddj, come quelli che non sdegnarono d'esser pa* stori; anzi? per Giove, codesto genere d'animali iu gi onorato con 1' oro dagli iddj, o dalle favole (t). H lino poi si semina senza verun apparata, n i le favole in verun luogo lo convertirono in oro ; ma -perch da cosa inanimata si raccoglie, puro fu 'risguatdato dagli ludi e ancor dagli Egizj; ond^ che esso a me ed a Pittagora somministra il vestito, tanto 3e disputiamo, quanto se preghiamo o sagriRchiamo ; e il passaa* la notte avvolti in esso cagiona purit, perch i sogni so gliono trasmettere pi chiari gli oracoli loro a chi segue la regola di vivere, che seguo io. 6. Anche la chioma debbo difendere, la quale altre volte io coltivai, giacch anche lo squallore qui de litto. Codesto Egiziano me accusar non doveva, ma i b io p sie vaghi giovincelli, che accendon le amiche o gli amanti, con cui stravizzano. Questi^ e non me, giudichi egli beati della loro capigliatura, e Jel profu mo che ne distilla ; e me creda in vece la stessa tordi(t) Si accenna il moatotM di FWyjo , che ebbei! velo d*oro.

LIBRO vm . 443 dezza, ovvero tal atlante, che ha Panin alieno da!f P amore. A costor io queste parole opporr: Lasciate, 0 meschini, d biasimare con !e ingiurie vostre ci che 1 Dorici hanno inventato; che iln o d rirela chioma pr* vehne dai Lacedemoni , e appunto in quel tempo ne fecero uso, in cui superavano s medesimi per guerriero valore. Fu Leonida re de^ Spartani, che per maggior gagliardia la chioma pokt , onde pi& venerando parer# agli amici, c pin tremendo i nemici. Quindi a suoi giorni tutta Sprta lasci lunghi i capegli, non m e ^ che ! tempi di Licurgo e di Kto* E ben era giusto che alla chioma del non si appressasse la forbice^ non dovendosi quaeta ad d e re te in queMa patte dov^ ^ la (onte di t^tti i siehai, dove son^ tutti gli oracoli, ^ dnde procedono le preci, e il discorso che T inte^ prete della ^apiecg. Herci Empedocle, di porporina iascia bendahdo la su nobilisMm chioma , Maestosa mente passeggiava le strade di Grcia , cantando inni ^ pei quali nn!uomo ma dio sarelAesi detto. Ed io+ che porto la chioma negletta, n soglio con sii&Ati! inni de* can#r!a , tratto sosto in giudizio, avanti Al tribunale. Che dovr dunque dire di Empedocl? Fu pel jmcnJbt? suo, o per PegragRa indole de^i uonninidd sp tempo, he non aoHerse da questi p er tal cagione veruna ca?lu n ^ a? y. Ma non altro dir dlia chioma, giacch eysh^ ora tagliata, e P invidia ha prevenuto 1 * accusa, !a qual mi costringe di;nuovo a difendermi di un altro! delitto, veramente gravissimo, e che tale da incuter te rre e non solo a te , o imperadre, ma pensino a

444 VITA DI APOLLONIO TIANEO Giove. Dice l'accusatore avermi gli uomini creduto M A dio, e proclamatomi apertamente tale / a cagione dei!e mie ciurmerie. Ma prima di farmi quest' accasa era si a provare con qual disputa , ovvero con quai parole e cn quai fatti prodigiosi, abbia io forzati gli uomini ad adorarmi. Perocch io non ho mai dichiarato nei miei discorsi ai Greci da quale corpo e in qual altro io fossi trasmigrato, o m qual sia per trasmigrare il mio spirito , bench io lo sappia sicurissimamente ; n ho cercato di spargere siffatta opinione di m e , n mi diedi aria di proferire oracoli e v aticin i come usanza de'fanatici; n ho mai saputo che citt ve runa abbia decretato che si facessero pubblici sagri* Rcj ad Apollonio; ancorch io abbia molto giovato a quanti ebbero di me bisogno. Ebbero bisogno di me gli infermi onde non esser pi oltre .affitti ; quelli che pre garono che pi religiosamente si intraprendessero e pi religiosamente si celebrassero le cose sacre; o che si estirpasse la superba prepotenza; o che le leggi trion fassero. E la mercede ch'io n'ebbi fu che essi si emen dassero. NeHe quali cose tutte io debbo essermi *Steso grato a te, perch in quel modo che i custodi de'buoi, tenendoli ben regolati, fanno cosa grata ehi n ' it padrone ; e i custodi delle greggio le ingrassano pl vantaggio de'possessori; e dalle malattie difende le pec chie chi le governa , acci il padrone non ne perda lo sciame; sinnlmehtc io i vizj delle citt correggendo, ti ho reso le citt meglio costumate; cosicch se esse m i avessero stimato un dio, codesto errore sarebbe stato utile a te , perch ascoltato mi avrebbero di buona vo

LIBRO VIH. 445 glia ^ temendo d non far coca, che agli idd non riu scisse accetta. Non ebbero per e$se questa opinione , ma quei!a soltanto che tra gli nomini e Dio esista una certa afBnit, per cui fra tutti gli animali 1' uotn solo, conosca Dio, e ragioni deUa sua propria natura , e come della natura divina sia egli partecipe, Rioso&re. E che egli sia simi!e a Dio la stessa sua immagine il dice, e ben lo dimostrano le arti de!!a pittura e delia scultura (i). Ed generalmente creduto cherda Dio vengano le virt all' uomo , e che colui che le possiede sia prossimo agli id d j, e divino egli stesso. Della quale opinione non far io autori gli Ateniesi, bench fossero essi i primi ad imporre agli uomini i cognomi di giusti, di Olimpj (2), ed altri di simil genere, i quali parmi contenere un non so che di divino al di l di quello che ad uomini convenga ; ma ne chiamer autore il pitio ApolHne. Perch anddto nel tempio di lui lo spartano Licurgo , dopo aver gi scritte le leggi, con cui governar Lacedemone, Apollo il salut, e quasi de liberando tra s quel che dovesse diluipensare, 6 n dal principio del suo oracolo disse che stava incerto se avesse a chiamarlo dio od uomo; e continuando il dir suo dichiar la propria sentenza, e appunto questo no me , come ad uomo buono, gli assegn (3). Non surse
( 1) Per quanto immaginazione dell* uomo abbia tentato di esaltarsi per ben rappresentare la divinit, ha per sempre do vuto applicarle la faccia e la forma dell'uomo. (a) Cosi venne cognominato Pericle, come pu vedersi in Plu tarco. (3) Erodoto nel lib. : ci conserv quest' oracolo, del qual parimenti fa cenno Plutarco nella vita di Licurgo.

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VITA DI APOLLONIO TIANEO

per questo veruna controversia contra Licurgo, n pericol veruno ira i Lacedemoni nacque, come, se egU affettasse di essere un dio, perch non aveva corretto P oracolo, che ta!e il chiam $ ali' incontro assentirono essi all' oracolo, essendo gi di ci persuasi prima pure ch'ei pronunziasse. La dottrina poi degli Indiani e de gli Egizj questa. Gli Egizj condannano in tutto il re sto gli Indiani, e ricusano e dottrine loro sulle regole della vita$ ma la dottrina che intorno all'architetto di tutte !e cose dagli Indiani decantata, approvano tanto che anche agli altri la insegnano, bench dagli Indiani venuta. Questa dottrina adunque stabilisce che DIO l'autore della origine di tutte le cose, e della natura^ e la ragione di aver ammessa codesta sentenza si che egli BUONO (t). Se dunque queste qualit sono cosi afRui, io rsto convinto da quella d o ttrinale perci dico che gli uomini buoni sono partecipi della natura divina ; e si dee stimare ch eli mondo, iLqual dipende dal DIO architetto, sia tutto ci che jjp cielo, in m are, ed in te rra , di che del pari sono partecipi gli uomini, tranne la differenza della fortuna. Anche dall'uomo buono di pende una specie di mondo, che non trapassa i limiti della sapienza $ e tu stesso , o imperadre, confesserai richiedersi per cotal mondo un uomo simile a Dio. E qual la forma di questo mondo ? Le anime corrotte si convertono in tutte le forme senza ragione veruna,
(i) Non isfuggir a nessun lettore come in ultima analisi la sostanza della filosofa di Apollonio consista nella bont m orale, e che T nomo essenzialmente buono simile alla divinit, la qwale tale perch essnziahRente buona.

LIBRO VII!. 44y le leggi paiono loro impraticabili, non serbano conti nenza , non moderazione, sino il divin colto prostitui scono; ed amano la loquacit ed il lusso, donde nasce la scioperatezza, che in qualsivoglia negozio pessima consigliera. Anime cosiffatte, quasi istupidite per cra pula . traboccano in molti eccessi ; n v' ha cosa che valga a penarne i stravizzi, quand'anche tuttii decotti bevessero, che oggi credonsi a tti, come la mandra gora, ad addormentare. Fa perci d'uopo di un uomo, che tolga a governarle; e lai uomo va considerato come un Dio che la sapienza manda per esse (<). Pe* rocch egli potente a richiamare gli animi dagli amori, eui si abbandonano assai pi ferocemente che non porta la comune consuetudine; ed anche dalla avarizia, a cagion della quale non dicono mai di aver quanto basta, n mai chiudon la bocca per quanto vi affluiscano le dovizie. Finalmente non sar forse impossbile a cotal uomo il trattenerlo dallo imbrattarsi di sangue, dal quale per n a me n a D io, artefice di tutte le cose^ possibi! purgarle. 8. Si pone eziandio tra le accuse, o imperadore, la salute che io resi ad Efeso. Di questa colpa voglio pur che mi aggravi 1' Egiziano, cui parr facilissimo 1' accusarmene. Ma pongasi ( se ti piace ) 1' accusa ne' seguenti termini. Presso gli Sciti ed i Celti, abitanti lungo
( ') Le disordinate passioni, i vizj, i capricci la sola sapienza (che in sostanza ia vera bont) pu edbbefrenare, ordinare, Arreggere. Questo i! 7n<?H 4&?, che accordato atta mente de!P uomo. Se egli noi sa governare, tanto peggio per lui. Tale , se non m'inganno , il ragionamento che qui & Apollonio.

448 VITA DI APOLLONIO TIANEO i Rami Istro e Reno ^ upa citt per nulla inferiore a& Efeso d^la Ionia. Q uesta, che of&e una rocca ben munita ai barbari, che sono tuoi nemici, pareva pros sima a rovinarsi per il contagio, ed Apollouio l'h a sal vata. Contro sif&tta accusa anche al sapiente non man cherebbe difesa, se pure l 'imperadre vincer volesse i nemici con ' armi e non co' morbi. Dio ne guardi, o imperadre, che n per tua n per mia cagione citt veruna perisca; o ch'io desideri vedere nemmeno n e' templi infierire il morbo, da cui son presi quelli che in essi giacciono (t). Ma concediamo, che abbiansi a tras curare i bisogni dei barbari, e che non debbansi ri condurre allo stato di sanit, per essere nimicissimi a n o i, ed implacabili verso i popoli nostri ^ chi per ne gher che non convenisse liberar Efeso, la quale trae origine dalla purissima Atene (a) $ che crebbe sopra le citt tutte di Ionia e di Lidia; che sporge in m are, formandovi un promontorio del luogo ove posta; che abbonda di studj, di filosofi e di oratori, per cui la c itt , uon nella forza della cavalleria, ma nella gran moltitudine d' uomini, e nella somma coltura della sa pienza , supera le altre ? Qual sapiente perci credi tu che rifiutasse di faticare per la salute di una tale citt ? massimamente ricordando che Democrito liber gi
(:) In luogo di pubblici spedali, che a que' tempi non erano per anco introdotti, si usava trasportare gli infermi nei tempi dedicati alle divinit locali, e soprattutto in quelli di Esculapio. (i) Androclo figliuolo di Codro re di Atene, cacciati i Carj che occupavano questa regione, vi stabili una colonia, e vi foud^ Efeso* Cosi Strabone.

LIBRO YIIL 44^ dalla peste gli Abderiti (t), che Sofocle ateniese mitig i venti, oltre modo e fuor di tempo infornanti (2^ e che Empedocle &en l'impeto delle nuvole rovesciantisi so pra Agrigento (3). 9. Ma qui 1' accusatore mi attacca in altra guisa, e tu udisti, o imperadore, eh' ei dice non farmi altri menti colpa di avere salvato Efeso, ma bens di averle predetto che le soprastva il contagio; perch ci sor-* passa l'umana sapienza, e sembra un portento, n po ter io tao t'oltre spingere la conoscenza del vero, senza essere un mago ribaldo. Che dir qui dunque Socrate per giustificarsi di ci ch'egli asseriva sapere da un ge nio? Che diranno i due ionj Talete ed Anassagora? il primp de' quali predisse la gran fertilit degli olivi, l'altro molti fenomeni del cielo? (4) Forse a predir ci si valsero essi delle arti magiche? E vero che anch'essi furop tratti in giudizio per tutt'altre cagioni, non tro vandosi in veruna parte delle denunzie , con che si ac-? cusarono, che sieno qualificati per m agi, avendo pre
ti) Veggasi il Menago nelle note a Laerzio sulla vita di De mocrito.
(a) La sapienza di Sofocle menzionata da Plutarco nella vita di Numa, da Cicerone nel lib. n della DwwMMMe, $ dall'ano^ mimo autor greco della sua vita. (5) Parrebbe quasi che Empedocle nel caso qui menzionato fosse trovatore o dei parafulmini o dei paragrandini. Porfirio nella vita di Pittagora, e Diogene Laerzio nel lib. v m , fanno alcun cenno di questo fatto d' Empedocle. (4) Del genio, o demonio di Socrate scrisse un trattato Seno* fonte. Ma s di Socrate che degli altri due possono consultarsi gli storici della filosofa cos antichi come moderni. '

i'vAOjriMr;, fom. f.

39

45o VITA DI APOLLONIO TIANEO detto il futuro. Qnt sarebbe senz'altro sembrata una ridicolaggine, n si potrebbe con nessuna verismiglianza rinfacciarne i sapio:ti deHa Ts^tglia, i quali mal sof ferivano udire che una donnicciola tirasse dal cielo la Luna (:). Ctonie dunque ho io fuor del solato presentito quello che accadde ad Efeso? Tu intendesti che lo stesso mio avversario ha detto che io; non io uso < A eI medesimo vitto degli altri ; e sin dal principio io stesso dissi quanto s^a leggiero il mio ciba , e a?me pi carno, che ad altri le delizie semitiche; Questo , o impera* d o r, tutto l ' arcano; per cui sono intatti i miei sensi, ai quali non solo nulla rimane oscuro, ma veggono an che come in un lucidissimo specchio tanta le cose pre* senti che le future. Imperocch il sapiente non aspetter che la terra innalzi i vapori, o che l'ama corrompasi, ove dalle regioni superne abbia ad emanare alcun mor b o ; ma queste cose sentir egli, allora pre che sono imminenti, pi tardi per che gli d ii, ma pi presto che la comune degli uomini ; perch gii iddj sentono le cose future, gli uomini le presenti, i saggi le vicine. Le cause poi della peste chiedimi, o imperadre, in dis parte , appartenendo esse ad una pi recondita sapienza di qneHa che meriti farne parte al volgo (i). Questa sola maniera di vitto adunque cagiona la sottigliezza de* sensi, ed tma virt atta a grandi e Stupende cose. (i) Le femmine di Tessaglia aveano fama d'%6se*e possenti streghe. (a) Intende P empiet e i libertinaggio del monarca, Come pu scorgersi dal $ v di qacsto libro.

UBRO YHI,

45:

E ^ues^) cba io si p#^ coaa&reudeBe per a!^ d ic a s i, quan^ isprattutto dal &tto de! contagio di Efeso. La fbHna di quel snerb ra^omigliava qbeHa di un vecchio mendico (r); io il vidi, evedntooi! conobbi, quel tsaA o non solo mitigai , ma tolsi a!R intutto. Co! iavor di q^at ^ io , lo dichiara !a sac^a statua da me inrEfeso pr(i& dedicata ad Ercole domatole de' mostri (2). Lui richiesi io per aiutatore, perch eg!i possente nom mom di sapienza che idi forza Uber altre volte P B3ide daH peste, purgandone i aocevoli vapori che dalla terra esaavaho per P asciugamento del 6 ume, che vi era stato mtrodottO nei regno di Augia. Credi tu Humque ^ o imperadore, che uno il qale ambi&ea som^mmneute di parer mago, attribuir voglia a dio qul che fa 3gli? Qaati ammiratori av rad eR 'artesu a, se a Dio ri&nsce i portienti? E come uRo ehe &Mse mago invo*cherebbe Ercole? *Que'miaeyabili fanno i loro sagri&aj nelle caverne agli dii infernali, tra i quali non puosii annoverar rcole, che puro e benevolo agli uomink !o ebbi perimenti ad implorarlo una volta nel Pelopou*neso, dove presso Corinto agghwsi lo spettro di Una lam ia, che divorava i pi bei g!otani (3); e in tal cou^trasto mi prest aiuto , n mi {abbisognarono all' uopo ricchi presenti, ma soltanto una focaccia e un po' d'in(') Veggasi il $ x del Hb. iv. (5) eie confermato da Lattanzio, cbe nd lib. v delle 7/icosi ne parla : % w o < % cwMtiMam ^0^0 refHr. (3) Come si vide nel lib. iv, $ xnv.

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VITA DI APOLLONIO TIANEO

censo, e qualche csa facendo, che alla salute degli uomini fosse giovevole ; perch ci solo essere ampia mercede deHe tollerate fatiche anche Euristeo giudic. Non ti rincresca, o imperadre, 1' aver udito le imprese d'rcole; perch di lui PaHade ebbe cura, essendo egli grazioso e benefico all'uman genere (:). io. Ma giacch tu vuoi ch'io mi giustifichi intorno al sagriRzio , facendomene tu cenno sin con la mano , ascolta l'ingenua mia difesa. Io che ho sempre bramato di fare tutto quanto fosse ag!i umini vantaggioso, non b per mai sagriRcato per essi; n cosa alcuna vorrei sgriRcare, n por mano a vittime sanguinose, n espri mer voti col colteHo sotto gH occhi, n insomma quel sagriRzio eseguir che tu intendi. Tu non mi terrai per uno Scita, o imperatore, n per uomo nato in luogo , ove non si conoscano sociali diritti ; n io ho mai par? tecipato ai sagriRzj che sono comuni ai Massageti ed ai Taurici, tanto pi che questi pure ho io indotto a de rogare al costume de' sagriRcj di sangue, e K ho trattati da pazzi, disputando con essi a lungo suHa facolt del vaticinare, e su quel eh' ella valga o non valga. Dar io dunque mano alle stragi, io che pi d' ogn' altr' uo mo conosco che gli iddj manifestano i lor segreti consig!i agli uomini puri e sapienti, bench non atti a va ticinare? porr io le mani nelle viscere, io , cui nelle
(t) PaHade era particolarmente venerata da Domiziano , come si di sopra osservato ; ed perci che Apollonio gli ricorda i fatti d' Ercole, che da Omero e da Pausania, in pi luoghi , troviamo particolarmente protetto da Pallade, dea della forza e della sapienza.

LIBRO V ili. 453 cose sacre quest* uso vietato, anzi empio? ond' che !a divina virt a me, se fossi anche impuro, accordava di predire il futuro. Oltre a ci , se alcuno, non fa cendosi carico che siffatti sagriRzj mi sono odiosissimi, vorr porre ad esame il mio accusatore, vedrai che egli stesso mi assolver delle co!pe che poc' anzi mi ha im putato. Imperocch come creder egli che colui, che egli dice aver predetta la peste ad Efeso senza avervi adoperato verun sagriRzio, avesse d' uopo di sagriRcj sanguinolenti per predir cose che anche non sagriRcando potea prevedere ? Anzi, di qual divinazione aveva io mestieri in cosa della quale io era molto prima persuaso ed aveva ad altri conRdata ? Che se vengo sottoposto al giudizio per cagione di Nerva e de'suoi famigliari, nuo vamente dir ci che dissi dianzi quando la denunzia me ne mostrasti; cio che io stimo Nerva degno d'ogni autorit e d'ogni lode, ma poco destro esecutor de'progetti. Perch ha il corpo rotto per m alattia, onde la mente eziandio ha s inferma, che non basta nemmeno al governo della propria casa. Egli per te loda per vi gore di corpo e di mente, cos facendo, per quel ch'io credo e che probabile, perch l'umano ingegno suol essere proclive a lodar quelle cose, alle quali le proprie forze non giungono. Singolare la modestia che meco serba, n io il vidi giammai ridere in mia presenza, n in modo alcuno scherzare, come tra gli amici accostu m asi, ma, a guisa de' giovanetti dinanzi ai genitori ed ai m aestri, le cose eh' ei dice me presente pronunzia con verecondia e per sino con un po' di rossore. E sa pendo egli il gran pregio che io fo della modestia, ne

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VITA DL APOLLONIO TIANEO

egli s grandemente geloso, che a me stesso talvolta sembrato ch'egi eccedere ne? suoi discorsi/Come par r dunque credibile che Nerva appetisca il principato, se ben contento sarebbe di poter governare la sua fa miglia ? o che meco di spinosissimi affari conferisca, se n de'pi piccoli ha coraggio parlarmi? o che mi con* Rdi un progetto, che non avrebbe a confidar a veruno, se a mio senno facesse ? Ovvero chi pi mi creder sa piente , ov' io prestassi fde alle arti divinatrici, e non la prestassi alla sapienza ? Quando poi sL aggiunge che Orfto e RufO] che io abbastanza conosco per uomini probi^ moderati e tranquilli, cadono in sospetto di vo ler occupare l ' imperio, non so se pi di questi che di NerVa si prenda errore. E egli pi verisimile che Nerva invada l ' imperi scortato da siffatti consiglieri, o che essi 1' abbiano a ci istigato ? i : . Chi poi volesse per ci sottopormi ai giudizio, debbe altres investigare a qua! fine io potessi col mio consiglio dar mano ai macchinatori di novit. Costui non dice n che io abbia preso danari da essi, n che da regali fossi vinto per entrare nella congiura. Ma veggiamo se io per avventura aspirandola grandi cose pen sarsi di avermi ad aspettare il premio in quel tem po, he! quale essi credessero farsi padroni dell'im pero, e ne! quale potessi molto chieder loro, e molto pi con seguire. Come esploreremo noi ben addentro questa supposizione? Ti sovvenga, o imperatore, di te mede s im o ^ degli antecessori tuoi ne!!'impero, dico de! fratello e de! padre tu o , non che di Nerone , sin che regnarono. Imperocch sotto cotcsti imperadori princi-

LIBRO Vili. 46$ palmente io vissi in qnalche splendore ^ avendo fatto prima il mo viaggio al' India. In questi trentotto anni adunque (che tanto spazio trascorso Rno al tempo tuo) io n 6 :equentai !e porte degli imperadori ( tranne quella di tuo {ladre in Egitto, bench egli ancora non fosse imperadre, e confessando che vi venne per ca? gion mia ) , n mai sentimento servile co' principi profersi, o co' popoli parlando de'principi; n ho cercato di accattar gloria per le lettere, o che a me scritte erano dai monarchi, o che io vantassi di scriver loro ; n mai gli imperatori l^o adulato per cavarne regali, non volendo mancare a me medesimo. Se per^ consi? derata la condizione de' poveri e de' ricchi, mi diman derai a quale di coteste famiglie io creda appartenere, ti dir che alle ricchissime ; imperocch il non aver io bisogno di cosa alcuna mi tien luogo di tutte le ric chezze della Lidia e del Pattolo. Come dunque aspet terei regali da quelli che ancora npn sono padroni del-. H imperio, per il tempo in cui credessi che avessero 3 regnare, io ohe n i Vostri accettai, che gi nell' im+ perio siete stabiliti ? o come fantasticherei mutazioni di regnanti, io che n a quelli che vi sono costituiti mi avvicino per averne guadagni? Quante dovizie per toccar possano ad un filosofo, che voglia adulare i pos* senti, il fatto d'Eufrate rende manifesto. E donde dir io essergli derivate le ricchezze ? anzi le miniere delle ricchezze? e gi per lui si disputa fra le mense : egli negoziante di gran maneggi, egli vile usuraio, egli ga belliere , egli banchiere, egli ogni cosa, vendibile e venditore; egli afEsso agli usci de' grandi, c pi tempo

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VITA DI APOLLONIO TIANEO

consuma fermaddovisi, che non gli uscieri stessi ; e spesso ne cacciato non altrimenti di un ghiotto cane. Costui, che non darebbe pure una dramma ad un Rio* sofo, chiude le sue dovizie Ara quattro m uri, e solo cotesto Egizio alimenta coi danari estorti agii a ltri, e contro me aguzza la lingua, che merita gli sia strap pata. :a. Ma cotesto Eufrate a te lascio, perch tu , se per sorte non ti diletti di adulatori, il troverai molto peggiore di quel eh' io '1 dipinsi. Ma ascolta ci che ri mane in mia difesa. Qual Ra essa ? e per qual motivo intrapresa ? Fu in quest' accusa innalzato un compianto per un fanciullo d' Arcadia, come ucciso da m e, n so ancor bene se di notte o in sogno : essere egli nato da nobili genitori, e di forma nella sua pallidezza av venente , come sono per lo pi i ragazzi degli Arcadi. Dicono che lui supplicante e singhiozzante io scannai, e colle mani intinte del suo sangue pregai gli iddj a pender palese il vero avvenire. In questi termini sta il tenore della accusa, relativa a me. Ci che segue ri guarda gli iddj : e dicono avermi udito pregarli in cotal m do, offerte loro le interiora per lieto augurio, e non aver tolta la vita a chi operava s empio sagriRcio. Che mi convien egli dire , o imperadore, di tali cose ; le quali non possono udirsi senza ribrezzo? Ma stando a ci, di che io debbo difendermi: Chi dunque code sto Arcade ? S' egli di non oscuri parenti, e di non ignobile forma, faci! ti era il cercare come si chiamas sero i suoi genitori, qua! fosse la sua famiglia, in quale citt d'Arcadia venisse aHevato, e da quai domestici

LIBRO VHI. 45? lari tratto ad essere col immolato. D tatto ci l'accu satre non fa indizio veruno , bench nel resto sia s valente mentitore. Per un servo adnnque mi si muove querela; perch uno che non ha nome, n parenti, n patria, n trib, non va egli annoverato fra i servi? nulla infatti di tutto ci pu l ' accusatore accennare. Ma chi qusto servo vendette ? chi in Arcadia il com pr ? Perch se i fanciulli d'Arcadia sono opportuni alla divinazione per mezzo delle interiora, egli verisimile che quel ragazzo sia stato venduto un gran prezzo; e che alcuno navigasse al Peloponneso, onde a noi codsto Arcade conducesse. Servi di P o n to , di L idia, o di Frigia faci! comperare qui in Roma, dove ne arri vano a branchi, e vendonsi a mucchi; atteso che queste genti, e cos gli altri barbari, in ogni tempo altrui soggette, non hanno finora creduto esser vergogna il servire. Ai Frigi cos famigliare il vendere i propr; figliuoli, che se per sorta cadano prigionieri non si danno pur un pensiero di liberarli. Ma i Greci sono ancora amatori della loro libert, e nessun Greco con durr fhor de' confini della Grecia a vendere alcuno per servo ; ond' che ivi non capitano mai n predatori n mercatanti d'uomini ; molto meno poi in A rcadia, dove pi che in tutta Grecia si ama la libert, e si ha bisogno di servi moltissimi. Perch l ' Arcadia in grah parte coperta di boscaglie e di p rati, non sui monti soltanto, ma eziandio nelle pianure. Hanno dunque bisogno di molti agricoltori, di molti caprai, porcai, pecorai, e bifolchi che governino i cavalli ed i buoi. E ivi pure necessario un gran numero di taglialegne,

458 VITA DI A POHONK) TIANEO anzi in questo si eserci,taup s{nda fappiull^ Che se tali ^on fossero gli Arcadiy ma potessero, come gli altri, vendere cs$i p u r e ilp r o servi yC psa im porterebbe^ quella famosa arte niagica, che Arcade fosse il fan-] ciuHo da immolarsi? Imperocch quanto a sapienza, non superano gli Arcadi gli altri G reci, perch sap piano pi d 'altr' uoam dimostrare ci che racchindesi nella borsa degli intestini ; ma sono nomini sempliois-? simi e di costumi porcini, s i^ pi cosey e s perch s'empiono il ventre di ghiande. Ma io forse tratto la mia causa con. maggiore artiRzio di quel che convenga al mio costume, mentre presi a descrivere le usanze d 'A rcadia, e col discorso sono andato a Unire nel Pe loponneso. Di fatto qual pi grande difesa addar possp finalmente, se non quella'che io non ho scannato e non scanno, n tocco mai sangue , quand' anche ne trovassi asperso 1' altare. Cos^ stabil: Pittagora, cos i seguaci di lui ; e cogl pure i GinnosoRsti d'Egitto ed i sapienti d ell'In d ia, 4ai. quali appunto si emanarono i fondamenti della sapienza di Pittagora, Quelli che coq questo rito sagriRcano non edlendojo in verun HM)do gliidd^y e giovano a s medesimi y onde invecchiare senza amma!arsi e rimanendo gagliardi, e pare che tanto avanzino nella sapienza y quanto men degli altri si trovin soggetti, e di nessuna cosa abbisognino. N certo fuori del convenevole, a paretrmio, chei buoni preghino gli iddj, usando piissim i sagriRzj ; e penso che^ avendo gli iddj lo stesso sentimento che io ho circa i sagriRcj y collocarono ne!la pi pura parte del mondo il terreno che produce gi incensi y acci di l

LIBRO VHI. pigliassimo la materia da osare sagriScando, senza ado perarvi coltello, omacchiar di sangue gli alberi. Ma io , come T accusa asserisce , dimenticando me stesso e gli iddj, celebrai sagriRcj in un modo , che n io ebbi mai in uso, n vorrei che altri giammai praticasse. :3. Ma anche di questa colpa assolvami il tempo che T accusatre indic. Imperocch se io in quel gior* n o , nel quale ei dice che il feci, mi trovai in villa, accorder che quel sagriSzio facessi, e che se il feci ne mangiai. Cosi dunque, o imperadre, continui a interi rogarmi soventi volte se io in quel tempo vivessi in Roma ? Tu pur vi vivevi, o ottimo imperatore $ n per ci dirai di aver &tto tal sagriCcio ; anzi anche 1' accusator medesimo vi era , n perci accorder di aver commesso omicidio, bench si aggirasse per Roma; 3 vi era parimenti una grandissima quantit d'uom ini, ai quali assai pi benigno saresti condannandoli all'esiglio, di queMo che sottoporli a siffatte accuse, per cui divenga argomento di colpa il trovarsi in Roma. Parmi anzi che questo stesso venire in Roma che uno faccia, debba probabilmente assolverlo dal delitto di macchinar novit, di che venisse sospettato. Che rivendo in una c itt, in cui tutti sono occhi, n vi ha cosa che non sia u d ita, sia che veramente facciasi o no , non pos* sibile ad alcuno il tentar cose nuove, meno che non abbia gran volont di morire; ed anzi gli uomini cauti e prudenti procedono a lento passo anche nelle fac-* cende adatto innocue. Che ho io dunque fatto in quella notte, o ac* cusatore? Che se tu interroghi me com'io fossi tu stesso,

46o

VITA DI APOLLONIO TIANEO

giacch sei disceso alle interrogazioni, dir che io^ pre parai ma!anni contro la buona gente , alzai il patibolo per gli innocenti, esposi mille fandonie all'imperadre, per acquistar fama a m e , e odio contra lui. Ma se mi interrogherai come filosofo, risponder eh' io celebrava il riso di Democrito, di cui faceva uso in tutte le cose umane. Che $e me propriamente dimanderai, ti infor mer , che trovavasi allora ammalato Filisco meliese, il qual meco attese quattro anni alla filosofia, che io sedetti presso il suo letticciuolo, essend' egli tanto ag gravato, che di quella malattia si mori. E comech io bramassi di aver molte lingue, onde pregare in vantag gio deH' anima su a, e avessi voluto per dio sapere gli inni di Orfeo, se alcuno ve n' ha che richiami in vita gli estinti, credo che per amor suo sarei disceso all'in* ferno, se tali grazie ottener fosse lecito , tanto gli era 10 affezionato per quanto aveva egli operato, come a filosofo spetta, giusta i miei voti. Queste cose, o imperadore, tu puoi pur udire da Telesino , uomo con solare , perch egli pur quella notte stette assistendo il Meliese. Che se la testimonianza di Telesino ti fsse sospetta, per essere annoverato anch' egli tra i filoso fanti , invoco quella de'medici, i quali furono Seleuco ciziceno, e Stratocle da Sidone. Cerca loro s'io dica 1 1 vero. Pi di trenta discepoli erano con essi, stati tutti testimonj di quanto espongo. Che se io mostrassi d i maggiormente bramare che si chiamassero i parenti di Fiisco, ci per avventura verrebbe interpretato come un mio pretesto, quasi che dilazionando volessi eludere il giudizio ; imperocch lasciata Roma auda-

LIBRO Vili. 46 t rono tutti immediatamente nella terra meliese, per larvi le esequie al defunto* Presentatevi, o testimonj , giacch per questa cagione siete citati : & producano ! fejtMwon/. Quanto adunque !a denunzia sia conforme al vero ampiamente la testimonianza di queste persone il dimostra : cio che io non fui ( di quei giorni ) nelle circostanti ville ma in citt , non fuori delle mura ma in casa, non presso Nerva ma presso Filisco, non oc* cupato a sparger sangue ma orando per la vita di lu i, non per oggetto spettante alla cosa pubblica ma per la filosofia, non macchinando novit a tuo danno ma in tento all salute di un mio simile. ! 5. Ohe raccontasi qui dunque di un fanciullo d'Arcadia ? che favoleggiasi di vittime ? o che diremo in ve dere che tali menzogne trovan pur chi le crede ? Sup poni, o imperadore, che non di rado si adducano in giudizio cose false per vere; ma l'assurdit di cotesto sagriRcio come la supporrai tu? Furono anche negli antichi tempi gli aruspici, peritissimi nell' arte lo ro , tra i quali nome grandissimo acquistarono Megistis di Acmania, Aristandro di Licia, e Sileno nativo di Ambracia. Esaminarono essi le interiora, l 'Acamanio di Leonida re di Sparta, il Licio quelle di Alessandro M agno, e Silano quelle di Ciro aspirante al regn. E se nelle viscere degli uomini alcun segno fosse posto o pi sicuro, o di pi profonda scienza, o pi evidente, non avrebbero tpovata difEcolt veruna a procurarsi di codeste vittime , essendo essi vicini a tai r e , che ave vano molti servi e molti prigionieri, e potevano impu nemente far m ale, e non temere di aversi af difendere

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ViTA DI APOLLONIO TIANEO

in giudizio, se avessero ucciso qualcuno. Ma io credo che a que' sapienti occorressero le medesime osserva zioni che ho fatto i o , che ini son fitto in capo ssefe verisimile che gli animali bruti essendo Uccisi agnz^ che abbiano sentimento alcuna della morte non sof fiano veruna perturbazione di viscere, perch nou w tendomo ci che vanno a sof&ire. Ma chi traver ve^simile che l'uomo^ in cui il timor della morte, bench pon vicina, sempre presente, possa, quando gli sta $oprae l'h a innanzi agli occhi, somministrare nel!# ^ne viscere alcun segno delle cose avvenire ? o essere altrimenti atto allo seop dei sagriRioZ Che io queste congetture dirittamente e secondo la natura abbia fatte, puoi da ci rilevarlo, o imperadre: il fegato, pel qua!3 i pratici dell'arte dicono stare la sede della divinazione, non formato di sangue p u ro , perch tutto il puro sangue contenuto dal cuore, donde per via delle vene diflbndesi in tutto il Corpo, Nel fegato riposto il fiele, <cbe eccita aH' ira ; ma il timore lo rispinge nelle parti concave del fegato. Messo per in bollore da quelli che #i lasciano trasportar dallo sdegno^ cosicch non possa pi capir nel suo vaso, conviene che spargasi s tj viciA legato ] e quindi ne occupa tutta la parte sinistra, anai tutte le parti nelle quali risiede la forza divinatrice di quel viscere; In quelli poi che da timore son presi, il fegato si contrae, e con esso contraesi quella luce, che sta nella sua cavit sinistra^ perciocch allora anche la parte pi pura del sangue, di cui si ingrossa il fegato, si ristringe, mentre la membrana dello stesso fegato naturalmente s'impicciolisce, e nuota in mezzo a ma

LIBRO VHL %63 teria trbida efangesa. O onqual seno adunque ^ o inSpdradord, eomn^etterebbesi un oin^cidio , se da tadi vittime Roti si potrebbe r itr a r r v^erbn pronostico? E nessun ^ottostio of&fana H p w a Pumaaa^ indote^ agitala dai sentimento ^ella m orte, e i fattp d quelli ^b w^oiono. Perocch i forti incontrano la morte con sdgno, g!iia&belli cn timore* Quindi che P a rte , nch ^resO i brbari non <tl tuttb ro^z^i, usa scan* nare Caprtti od augelH, perch animali s^smpliciMini, n^ molto lantani d^P essere insensati, non ammette Be'suoi arcani n gstlM, n p o rci, n to ri, perch pi generosi e^ irascibili. Ben vggo, o imperadore, ch'io debbo dispiacere a! mio avversario, perch io ti rendo pi dtto ^ e ato^trl di attentamente ascoltare P ora%ion m ia; onde ^e a^una ec^sa avessi io meno chiaramente ^pie^at , sol che tu mi interroghi, ia schiarir. i 6 . Quanto andava risposto alla ddnnnzia de!!'Egi ziano ho detto. Siccome per non sono d preterire nemmeno le cahmnie d'Eufrate, giudiea ora tu, o im peradore, qual di! noi due ^ccia miglior uso della fHoso6 . gli si a n tic a a spargere falsit sul conto Uio, qdtb m p&re nod sia ben fatto. Egli ti pone in mano l spada dentro di m 6 ; e questo non fo io. Qell per ^be gli somministra materia di cunhiarmi il parlare ch'io feci nelPIonia , e ch'egli pretende aver io tenuto con cattiva intenzione. Ma io col parlai dei Fati della Necessit; le mie parole appoggiai col prendere esempio dalle faccende dei principi, perch nelle cose degli uomini le vostre sono sempre le pi appariscenti. Filosofando deMa forza dei Fati io dissi es-

464 VITA M APOLLONIO TIANEO aere talmente immutabile ci che essi prescrissero, che se decretassero a favor di alcuno un impero, che ora tenuto da un altro , e che questo uccidesse quello per non venirne spogliato, quegli tornerebbe ancora in vita, solo per adempiere il decreto de'Fati. Noi soliamo talvolta valerci di ampollosi discorsi in grafia di coloro y che non prestanp fede alle cose dette moderatamente ; cos com' io dicessi: Hanno iF ati destinato che un tale sia falegname, e se costui avesse le mani tagliate, pur falegname sarebbe ^ e se ad uno hanno deliberato la vittoria del corso ne'giuochi olimpici, quand'anche si rompesse una gamba otterrebbe vittoria; e a cui accor dassero la maestria del saettare, questi co!pirebbe nel segno, anco se perdesse gii occhi. Mi sono poi valuto deir esempio dei re , riflettendo agli Acrisii, a 'L a j, a^ medo Astiage, e ad altri m olti, i quali pensarono di aver provveduto egregiamente alla sicurezza loro nel principato; dacch a!cuni uccisero perci i figli, alcuni i nipoti, secondo il pensier loro, pure furon da essi del regno spogliati, risortendo essi per opera d e'F ati dalla oscurit che li avvolgeva. Che se io volessi adu larti, direi che nell'animo mio ebbi pure in vistai tuoi casi, quando fosti assediato in questa citt da Vitellio, e che venne incendiato il tempio di Giove nel Campi doglio. Vitellio pens conseguire l ' intento se tu non gli fuggivi di m ano, bench fossi allora s giovinetto e non quale or sei; ma perch piacque altrimenti ai F ati, egli stesso, mentre cos lusingavasi, per, e tu possiedi oggi quello che possedeva egli. Ma siccome la musica dell' adulatore mi offende, e a me sembra difettosa di

LIBRO VIM; 46$ numeri, di consonanza d to n i, cosi romper (piesta corda io stesso ; ma vorrei che tu credessi non aver io pensato ai casi tuoi, e soltanto aver disputato dei Fati e della Necessit $ mentre il delatore mi accusa d aver parlato contro d te. Molti anche degli iddj la stessa dottrina professano, n il medesimo Giove sdegna udirsi dir dai poeti, quando narrano le guerre di Licia r
m M ? t&rpe&tne ? ecc, ecc. (!)

E altri versi di egual genere cantano sopra lu i, che lagnasi averlo i Fati orbato del Rgliuol suo. Ed anche altrove, cio dove parlano della stanza delle ombre, dicono eh' egli onor dell' aureo scettro il morto Mi nosse, fratello di Sarpedone (3), e il costitu giudice nel foro Aidoneo, perch non pot sottrarlo alle leggi dei Fati. A che dunque, o imperadore, ti adiri di codesta dottrina, poi che gli iddj la professano, i casi de'quali sono sempre stabili, n levano di vita i poetiche la pa lesano ? Egli mestieri ubbidire ai F a ti, e con equo animo sostenere le mutazioni delle cose , ed aver fede a Sofocle, il qual disse :
........... Ab* pan jogge#; A3 a yeccAtezzn a morfe t io// JMa fe c<w ff*M e t/ ^ <K M e (5).
(1) Omero nel^ 7fM K % p. (2 ) Nel primo def OifMea. (3) Questi versi attribuiti a Sofocle spetteranno ad alcuno de' poemi perduti di lui , giacch non si trovano fra quelli a noi pervenuti. & ?7M .A 3o

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ViTA Di APOLLONIO TIANEO

Di che nessuno mai disse meglio. Perocch volubile la (ottima degli uomini, e la durata deHa felicit, o imperadre, faccenda di un giorno. Uno che ha oggi !e mie ricchezze , 1' altro che ha quelle del? altro , e questi e quegli che possiede le cose di queU'uno e di quell'altro, Unisce col non averle. Ponendo niente, o impefadore, a queste verit, fa che abbian Rne gli esilj , fa che risparmisi il sangue, e metti in uso la fi losofia in tutto ci che ti riguarda, poich la vera filo sofa esclude ogni srta di perturbazione. Asciugar per tal modo le lagrime degli uoinini, di cui suona un moitiplice eco dai m are, ed un pi moltiplice dal conti nente, avendo ciascuno che piange troppa ragion di pian gere. I mali che da ci nscono innumerabili sono, e dipendono dalle lingue dei delatori, che rendono odiosi i sudditi agli occhi tu o i, e te stsso, imperadre, a tutti rendono odioso. V ili. Questa I' orazione che aveva ApoHonio dis posta in sua difesa. Nel fine di essa trovai le parole che disse nel terminare il primo discorso, cio il verso d' Omero iM s non H C C K % ?rgi, cA # M ;

e cos pure le parole che vi precedevano, e a queste andavansi a connettere. Quand' egli fu partito dai tri bunale , in un modo per cos dire divino e non facile a spiegarsi, il tiranno non si diport come i pi si credevano. Imperocch stilavano essi che ad alta voce mandasse in traccia di lu i, e avesse a perseguitarlo, e dovesse per tutti gli angoli deH' impero diffndere

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T ed in o /c h e in verun luogo possibi! gli fosse di sicu ramente stanziare. Ma eg!i nuHa fece di tutto ci ; ma si condusse quasi facendosi violenza contro la comune opinione, sia perch conoscesse di non avere succienti forze contra un tal uomo, sia per disprezzo, cme puossi congetturare da ci che segue. Pare per che ne rimanesse anzi maravigliato che indispettito. IX. Dopo Apollonio, stette l ' imperadore in giudizio per un' altra causa. Trattavasi di una controversia fra una citt ed un private, a cagione, credo , di un te stamento. Eragli uscito di memoria non solo il nome de'litiganti, ma eziandio l'oggetto della lite; perocch nelle sue interrogazioni non trovavasi alcun buon sento, e rispondeva tutt' altro di quel che spettasse alla causa. Locch apertamente indicava che il tiranno stavasi tutto attonito e perplesso, e ci tanto maggiormente quanto che gli adulatori e pi altre persone il persuadevano, che non gli sfggia mai nulia daHa memria, X. ApoHonio adunque lasciando in quel modo stordito il tiranno, e mostrando un cotal saggio de!la sua filo sofia , che cagion terrore ai Greci ed ai Barbari tutti, usc del tribunale prima del mezzod; e verso !o stesso mezzod apparve in Pozzaolo a Demetrio ed aDamide(i)t
(!) Di questa portentosa disparitene e comparizione di Apol lonio, th diremo noi? Cortamente ci che dioiamo dipiA altre impossibili cose , ove il concorso evidente di una sovrannaturale virt non ei induca a crederle. Tacito, che viveva a qne'tempi, e cui nulla sfugg che degno gli paresse di memoria, come gli doveva parere questo prodigio, se fosse avvenuto, near ne ha fatto parola ; non l ' imperadore Giuliano di poi; non altri scrit*

468 VITA DI APOLLONIO TIANEO Questa era stata ! cagione, per cui comand a Damide, che senza aspettare d udir !a difesa andasse a Pozzuolo. H pensier suo non gli avea prima schiarito ; ma perch egli era sommamente a lui necessrio, cos gli impose di fare quello che era consentaneo a quanto aveva deliberato Ira s. XI. Era Damide arrivato il giorno innanzi a Pozzuolo, e avea favellato con Demetrio di quanto trattavasi nel tribunale ; e Demetrio per tutto ci che ne udiva mostravasi mo!to pi allarmato di quel che convenga ad un allievo di Apollonio. Di nuovo perci delle mede sime cose il giorno dopo cercava conto, e dava ancor campo al suo spavento, passeggiando lungo quel lido del mare, dove i poeti collocano la favola di Calipso (n). E disperavano entrambi eh' egli avesse a tornare, ben sapendo come il tiranno si mostrassi crudele verso tutti. Volevano per eseguire i comandi di Apollonio , per ladevozion che ne avevano. Gi stracchi si assisero ne! tempio delle Ninfe , dov'era una vasca (3). questa di marmo bianco , e contiene una fontana d 'a c q u a , la
tori contemporanei, o poco lontani da quel tempo. Dunque F i lostrato o ha creduto col volgo , cui piace credere le maraviglie, 0 ha voluto imporre a chi ne* suoi racconti avea fede. (!) Di essa vedemmo quanto basta nel lib. vn. ! (a) Di un Ninfo a Pozzuolo nessuno scrittore, eccetto Filo strato in questo luogo, ha mai fatto menzione. Ma un terreno , dove abbondano i pozzi di acque calde,sulfuree,medicinali, ec., non poteva dalla religion de' pagani non credersi onorato della presenza delle minori divinit , cui consecravano essi le fonti, 1 fiumi e i mari.

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quale n mai trabocca dalla estremit degli orli, n mai si scema per quanto se n<e cavi. Ivi dunque si po sero a disputare sulla natura di quelP apqua ,m a assai leggermente ^ perciocch li pungea 1' af&nno che d'Ar pollonio sentivano, si che richiamarono il discorso in torno alle cose precedenti il giudizio. : XII. Rinnovando adunque Damide il pianto, e scia mando come prima : Vedremo noi pur anco una volta, o dei, quel nostro buono ed onesto compagno? Apol lonio, che gi era venuto nel tmpio e ci udiva, il vedrete, disse^ anzi gi il vedeste. Sei tu vivo ? disse Demetrio, perch non cessammo sin qui di piagnerti per morto; Stendendogli pertanto Apolloaio la mano, prendi, gli disse, e se io sparisco a guisa d' ombra^ allora credimi pure Tino sp e tta qui giunto dalla casa di Proserpina, quali sogliono i terrestri dii mostrare agli uomini che se ne spaventano (t). Che se mi presto al tuo toccare, piacciati di persuadere anche Damide che io vivo, e che non abbandonato il mio corpo. Non rimase loro perci verun dubbio , e rizzatisi in piedi lo abbracciarono e baciarono $ indi gli c h ie s e r o come Rnisse la causa ; perch Demetrio avea creduta <che non presse nemmeno dCe(id$rsi, come gi destir nato a dover ferire, ancorch sapesse che non era ro Idi nulla; e Damide pensava chc bens di^sp sl ftysse^ ma probabilmente poco prima, parendogli non potesse
(*) Ci parimenti serve a convincerci che ai tempi di Apol lonio, non che a quelli di Filostrato (come da pi altri passi di questa Storia si potuto rilevare ) credeVasi ai vampiri , ^i le muri , alle anime ricomparenti dei mrti ; ec. 7

VITA DI APOLLONIO TiANEO farlo in que! giorno medesimo. Rispose aHora ApoHonio: Io mi difesi, o amici, e noi vincemmo !a causa ; e la mia dilsa sostenni in questo medesimo giorno, poche ore f a , dicendola io su!!' appressare de! mezzod. Ma come tanto viaggio facesti, replic Demetrio, in s breve tempo ? Soggiunse ApoHonio : Tranne il montone ( di Frisse) e !e cerate ali (di D edalo), pensa ci che tu vuoi, purch di questo mio cammino tu faccia Dio ala tore (i). Io certamente stimo, ripet Demetrio, che nelle tue azioni e ne' discorsi sempre intervenga alcun dio, che cagione che cos prospere procedanole cose tue. Pregoti ora dirmi qual fosse la tua difesa, quale la colpa contehuta neH'atto di accusa, quale il modo te muto nel giudicarne, di che venisti interrogata, di che si convenne e di ebe n ; tutto insomma raccontami ^ end'io possa minutamente informarne Telesino, il quale non resta mai di chieder di te. Quindici giorni l a , de sinando egli meco m Anzio, verso la met del pranzo addofmentossi a tavola, e sofy che un fuoco allagava !a terra, e in un luogo avvolgeva tostamente gli moaMnl, in un altro chiudeva la stradaci fuggitivi, perocch dilatavasi come nn torrente d'acqua; e che tu nulla da Tesso patisti come gli altri, ma salvo passasti per mezzo al fuoco. Dopo un tal sogno, veM il? vino in omere degli iddj ^he i sogni a buon augurio V igono, e mi esort a stardi buon ania#o gglla tup causa. Disse allora ApoHonio : Non mi maraviglio che Telesino abbia p er
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(') Prato td EHe salwon T a vita dalo ed Icaro con 1$ arti&tibse^Ie.

Renoso mwntoae, Dc^

MBROVHI. 4 y: me dormito, avendo tante altre volte vegliato per me. Tutto quello cha^ ne! giudizio accaduto udirete , ma non qui; perocch gi pi che il mezzod, ed ora di tornare in citt ^ e iHaveHare cammin Scendo riesce pi dilettevole ^ e tien iuogodi compagnia. Andiamcene adunque confabulando di qual che chiedeste. Dirovvi pertanto ci che oggi $i (atto nel tribunale ; che ci che facessi prima entrambi il sapete ; tu perch vi in^ tervenisti, e tu perch senza dubbio, e non una spia voita, per Giove, ma ripetutamente udito 1' avrai, se io male non mi ricordo di Damide. Dir dunque le cose che non ancora note vi sono, cominciando il discorso da que!! e che io dissi prima del giudizio, e quel che ebbi a fare andandovi tutio nudo. E cos narr t^tto ci che avea detto, e principalmente quelle p^ro!e: ^ morte a me , e M partir suo dal pretorio ? e co me lo esegu. XIII. Sdamando allora Demetrio i to ben mi lusinr gava^ disse, che tu ne usciresti salvo, ma questo adesso e il principio di muovi tuoi pericoli, perch t imperadore ti dichiarer prescritto, e tu non saprai dove rivolgerti. Ma ApoHonio confortando Demejtyip pel timore che Aveva : tMo voglia, rispose, che 9 l#i pi facR non sia P attrappar voi che me; sapendo ben io com' egli ora si trovi; che avvezzo a udir di cnti^ nuo gli adulatori, ha invece test ascoltato $eyeri rim proveri; e per questi la mente de' tiranni ai altera, per questi s'infuria. Ma io al presente ho bisogno di qpiei e , perch dappoi che codesta contesa ho sostenuto ? non ancor mi posai. Disse allora Damide: Io, o Deme-

VITA DI APOLLONIO TIANEO trio , aveva un tal sentimento sui casi di quest' uomo ? che mi trovai forzato a tentar di distorlo dalla via ch'ei va calcando, e tu parimenti me ne persuadevi, acci non avesse a soggiacere ad altro diffcile guaio. Ma quando ei venne incatenato, come a me del certo sem br , e che io temei trovassi egli nel pi gran pericolo, e che mi disse stare in suo arbtrio lo sciorsene, e mi hiostr una gamba cavata dal ceppo, allora per la pri m a vo!ta compresi qual uomo fbss' egli, eio divino , e di troppo superiore al saper nostro. Per la qual posa se io avessi a incorrer pericoli anche pi gravi di que sto sotto gli auspicj di lui non istarei pauroso, quan di anche ne andasse deHa testa. Ma gi la sera si avan za ; andiamo m casa, e prendiamci cura di lui. Al lora ApoHonio : Io , disse, sol di dormire ho bisogno ; ogn' altro soccorso , vi sia o n , per me lo stesso. Dopo ci , fatte sue preci ad Apollo ed al Sole, entr nella casa da Demetrio abitata, e lavatisi i piedi, e detto a Damide che cenasse, perch parevagli che an cora fosse digiuno, coricossi nel letticciuolo, e in luogo dell'inno pronunziando un verso tP Omero in lode del sonno addormentossi, mostrando quasi non essere laudabil cosa il torsi affanno del presente. XIV. Come apparve l'aurora Demetrio gli dimand dove pensasse di ritirarsi, parendogli che gi gli suo nasse a!l' orecchio lo strepito de' cavalli, che !o sde* guato tiranno doveva, secondo lu i, mandar sull'orme di ApoHonio ; e questi rispose : N egli n verun altro mi perseguiter : tuttavia m'imbarcher pei* la Grecia. Davvero, soggiunse Demetrio, che ! sei sicuro! Quello

LIBRO V ili. 4?3 un paese apertissimo ; e come ti /nasconderai tu in luogo s aperto, se anche ne' pi occulti non gli sfug gisti? Non ho bisogno di nascondigli, disse ApoHonio; perch se ta terra tu tta, come tu credi, del tiranno, egli meglio trovarsi fra quelli che muoiono palese mente , che fra coloro che vivono nelle spelonche. E volgendosi a Damide : Hai tu saputo, continu , esser qui una nave che sta per andare in Sicilia? Il so, que gli rispose ; e se noi ci rechiamo verso il mare, trove remo il banditor sulla riva, e la nave gi pronta a scio glier dal porto, come capisco dalle grida de'nocchieri, e dall' opera che fanno di levar l'ancore. Montiamo in questa nave, disse ApoHonio, e navighiamo per ora in Sicilia, e poscia al Peloponneso. Va bene ^ disse Dami de , navighiam pure. Salutando quindi Demetrio, che era di ci malinconico, ed esortandolo a serbare for tezza d'animo qual conviensi ad uomo, cui prema del1' onore de* suoi simili, con prospero vento navigarono per la Sicilia. XV. Sorpassata dunque Messina giunsero il terzo giorno a Tauromenio, poi toccata Siracusa passarono nel Peloponneso sul principiar dell'autunno; e quel mar superato entrarono il sesto d neHe foci deH'Alfeo, dove questo Rume versa le ancor dolci sue qcque nel mape adriatico e siculo. Usciti dunque di nave, e stimando esser prezzo dell'opera se ad Olimpia si dirigessero, vi sitarono il tempio dell' olimpico Giove, n si allarga rono al di l di Scillunte. Gi per tutta Grecia ripetuta e costante fama divolgata si era che ApoHonio vivesse e che in Olimpia fosse^giunto; e da principio poca fede

4 ?4 VITA DI APOLLONIO TIANEO si aveva in tal dicera. Perocch oltre che nessuna proba bile speranza rimasta era di lui < , dappoi che soppesi che fu posto in catena, era anche venuto alP orecchip loro eh' egli era stato abbruciato vivo ; e <^ii ^prgtejadeva che fosse lasciato in vita ma legato pel collo con una fune tutta uncinata, chi precipitato in u abisso, chi gittatQ in un pozzo. Quando per P artivo di lui venne accertato, non concorsero mai di tanto bpona voglia i Greci a nessuna olimpiade, oaae allora per desiderio di vederlo; audaronvi pertanto da Elide, da Sparta, e dagli estremi conEni delP istmo di Gorinto, e gli Ate niesi eziandio , bench posti al di l del Peloponneso , n quelli mancarono delle citt che dirittamente alle porte di Pisi son volte, mon che que' savissimi frequen tatori del tempio d'A teue, e que' giovani che da tutte le parti accorrer sogliono in Atene. Anche alcuni Me garesi ad Olimpia allora avviaronsi, e parecchi de' pi nobili de'Beoti , degli Argivi, de' Focesi e dei Tessali. Di questi alcuni avevano altra volta donversato con ApoMomo, e venivano per acquistare .nuovi tesori di sapienza, persuasi di udirne parlare ia maggior copia e pi stupendamente ; ed altri, che nessuna conoscenza aveano di lui, stimavano fosse una indegnit non andare ad udirlo. A quelli pertanto che lo interrogavano come avesse potuto scampar dalle ugne del tiranno, egli ri spondeva non gi col darsene vanto, ma solo che avea difesa la propria c a w a , ed essersi cos salvato. E per ch m olti, che *laH' ItaMa venuti vi erano, andavano magnificando quant'egli fece nel tribunale, si foron que'Greci pv^si di venerazione per lui, che poco manc

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che non l'adorassero, sputandolo uomo divdo, per ci massimamente che egli non cercava innalzarsi sopra di loro in nessun modo. XVI. Un di que'giovani, che venuti erano da Atene, andava dicendo che la dea Pallade era sommamente propizia a!P imperadre, e -ApoMonio il consigli che tralasciasse di tener que' discorsi in Olimpia, e non calunniasse quella diva alla presenza di padre (j). E continuando eolui a usar parole anche pi imprudenti, e ad affermare che la dea ben faceva, perocch l'im peradore sotto il nome di lei esercitava in quella citt il potere supremo (a), ApoHonio gli disse : Lo esercita anche ne' Panatenei ? E cos gli chiuse la bocca con la prima risposta, rinfacciandogli che male giudicherebbe degli iddj se li stimasse favorire i tiranni ; e con la se conda gli mostr non essere le parole di lui consentanee a! decreto che di Amaodio e di Aristagitone fatto avean gli Ateniesi, se dopo avere ordinato che si alzassero nella piazza le statue !ano, in onore di ci che essi operarono nelle feste Panatenee, avessero ora di buon grado a concedere tale autorit ai tiranni, cosicch pa ressero delegati da questi a pnesiedere ad governo (3).
(:) tHoe di <Hove, nisui si famoso ara il simulacro in Olimpia. (a) Atene riguardavasi protetta specialmente da Pllade , e Do miziano , come imperadre di Rom a, ne era il signqre. (3) Pisistrato tiranno di Atene venne ucciso da Armodio ed Artatogitone tn tempo deHe fste panatenee, come si ha da Tu cidide , da Eliano, ec. A questi aveano gli Ateniesi alzato per riconoscenza 4e statue. O ra, come potrebbero aver caro il go verno di Domiziano gli Ateniesi, che tanto onorarono chi altra

4;6 VITA DI APOLLONIO TIANEO XVIL Avendo Damide avvertito ApoHonio, che poco danaro era loro rimasto pel viaggi sin l fatto : Dima ni, d^ss'egli, avr cura di ci. E il d seguente venuto nel tetnpio : Dammi, disse, o sacerdote, mille dramme dello erario di Giove, se per tu non creda che questo possa[ a Giove riuscir molesto. Il sacerdote rispose : Non isdegnerassi Giove per si poca cosa, ma piuttosto che tu non voglia pigliarne di pi. XVIII. Un tessalo chiamato Isagora venuto in Olim p ia, e abboccatosi con Apollonio, questi lo interrog dicendogli : Dimmi, Isagora, ella una lodevol cosa la Panegiride? (i) Lodevolissima, per lo dio Giove, quegli rispose, perch sommamente gioconda per gli uomini e grata agli iddj. Qual dunque, segu Apollonio, la materia sua; io te ne parlo come se ti chiedessi della materia di questa statua, e tu mi rispondessi che d* oro e d' avorio. Rispose 1' altro : O Apolloaio , che materia aver puote una cosa incorporea ? Moltissima, riprese ApoHonio , e assai diversa ^ perch nell Pane*? giriJe vi hanno luoghi sacri, sagriRzj, e spazj da cori rere , e spettacoli varj, ed uomini di pi condizini ^ alcuni vegnenti dai vicini paesi, ed altri da assai lonta? n i, cd anche oltramarini, anzi verisimile che concor rano a bene istituirla parecchie arti ed invenzioni, e la stssa vera sapienza, e i poti, e i consulti e le dispute della civil prudenza, e 8 n anco la ginnastica e la m u<*
volta li rese liberi ? Tale mi sembra ssere il ragionamento di Apollonio in questo luogo. (!) Luogo, dove parlando gareggiavano i sofisti ne giuochi olimpici , trattando argomenti filosofici d' ogni maniera.

LIBRO Vili. 4; 7 sica, come per patrio costume usano : Pizj. Egli pare, 0 Apollonio, diceva Isagora y che in tal modo la Panegiride sia non solo una cosa corporea, ma di pi nobil materia composta che non le citt, giacch raccoglie ed unisce in s le ottime tra le buone cose e le nobi lissime tra le nobili. Noi dunque, o Isagora, disse Apol lonio, faremo della Panegiride quel conto chp molti fanno de' baloardi o delle navi? O ne penseremo noi diversamente ? II tuo concetto, o Tianeo , rispose I' al* tro, giusto, e noi dobbiamo abbracciarlo. AI contra rio T soggiunse Apollonio, ei parr imperfetto a (chiun que consideri la Panegiride come la considero io. Im perocch a me pare che le navi abbiano bisogno degli uomini e gli uomini delle navi, e penso che agli uomini non sarebbe venuto in mente giammai di correr sul m are, se non vi fossero dtate le navi ; e cos pure che gli uomini rendono sicuri i baloardi, e i baloardi gli uomini: In egual modo la Panegiride tanto un con vgno degli uomini, come il luogo dove tiensi il con vegno; e ci tanto meglio si confronta se si rifletta che 1 baloardi e le navi non si costruiscono che dal!t? mani degli uomini, e che dalle stesse mani d'essi uomini sono guaste, ove in lor cessi la natia indole; e cosi vengono da esse ingegnosamente innalzati begli ediEzj, acci sieno degni di contenere le onorevoli assemble. Infatto e ginnasj e portici e fontane e case sogliono dalla uma na industria fabbricarsi come si fa de' bastioni e delle navi. Ma questo Alfeo, e il circo, e Io stadio, e i bo schetti esistevano prima degli uomini y l'Alfeo per som ministrare bevanda e bagni: il circo per oilefire una

% y8 VITA DI APOLLONIO TIANEO vasta pianura aMa corsa de'cavalli ? lo stadio per dare campo aMa polverosa !otta e a! corso degli atleti, po nendo nella sua ampiezza e nel prolungamento del vallo una certa meta: i boschetti poi per dare le corone a! vincitori, e spazio alle contese di quegli atleti che s esercitano al corso. Le quali cose tutte prese gi in considerazione da Ercole, ed allettato dalla naturai bellezza di Olimpia, gli parve luogo degno da celebrarvi le feste che fino al giorno d'oggi vi son esercitate (t). XIX. Poi che gi quaranta giorni stato era in Olimpia a disputare, e ad insegnar pi cose sapientemente: Io, disse, mi riserbo , o G reci, di venir quistionando con voi di terra in terra, ne' tempi delle panegiridi, delle sacre processioni, de'mister}, de'sagriBcj, delle liba zioni, cose tutte de!!e quali spetta il ragionare all'uomo savio. Ora per mi occorre di passare in Lebadia, per(t) Tatto questo ragionamento , che mi ha costato non poco per renderlo passabilmente chiaro ( essendo adatto inintelligibile presso tutti gli altri traduttori), in ultima analisi un vero guaz zabugli^ Pare che il concetto che Filostrato volle esprimere ri ducasi a questi termini : Gli uomini fanno le cose , le cose gli uomini, e questi senza quelle nulla possono, e quelle senza que sti nulla sono. Tutto adunque pu essere utile , ove si adoperi nel senso, pel quale fu fatto. E 1 * utilit cresce pregio alla cosa, e T uomo dee vieppi giovarsene ed averla in istima. Cosi in questo , come in altri luoghi , Filostrato ha voluto imitar Senofonte e Platone, che u* loro dialoghi^ fanno parlar Socrate con tutte le sottigliezze della filosofia. Ma presso Platone e presso Senofonte le conseguenze riescono evidenti, laddove in Filostrato forza andarle pescando al buio, e rimanersi ancora nella in certezza di avere beu pescato.

LIBRO V1H. 479 ch ancora non favellai con Trofbnio (:)y bench visi tassi ta!vo!ta il suo tempio. Dette queste parole se ne part perlaLebadia, non lasciando addietro nessuno di quelli che lo ammiravano. L* antro di Lebadia sacro a Trofonio Bgliuolod'Apllo, e soltanto coloro che vanno a invocarne gli oracoli ne accordato 1' accesso. Non egli veduto nel tempio, ma un cotal poco fuori del tempio sopra n' altura. Quell'antro chiuso da spranghe di ferro da tutte le parti $ la discesa ne cos stretta, che soltanto sedendo vi si pu entrare. Ammettonvisi i concorrenti, purch di bianche vesti si copra no , e portino focacce belate nelle mani per calmare i rettili che assaltano chi discende. La terra poi li resti tuisce, alcuni a piccola distanza, altri assai lungi da!l ' antro, perch*alcuni sono rispinti sin oltre Locri e la F ocide, e i pi verso i confini della Beozia. Entrato adunque Apollonio nel tempio : Io voglio, disse, inter narmi, onde consultare sopra oggetti di filosofia ; ma opponendosi i sacerdoti, i quali dicevano al popolo che non avrebbero giammai permesso ad uno stregone di andare a perlustrare quel sacro speco, e ad ApoHonio asserivano che soltanto i malvagi e gli impuri scende vano a consultarne l'oracolo, egli se ne rimase quel giorno assiso sul margine delle fonti di E rcina, ragio nando della causa e della maniera di quell'oracolo, che solamente pel mezzo di colui che il consulta risponde. Venuta poi la sera and con parecchi giovanetti suoi
(!) Quanto qui detto ^i Trofonio e de! suo antro, pu ri scontrarsi nella Beozia di Pausania.

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VITA DI APOLLONIO TIANEO

seguaci all' antro, strappate quattro spranghe che co* privano i chiavistelli, per cui si apriva l'ingresso, pe netr sotterra, involto nel manto, com'uomo disposto a sostener le sue tesi. E ci riusc accetto a quel nume, che Trofonio a'suoi sacerdoti apparendo, non solo se veramente li pose in avvertenza intorno un tant' uomo, ma altres comand loro che lo seguitassero in Aulide, dov'egli uscirebbe dell'antro in un modo del tutto am mirabile. Ne usc di fatto d l a sette giorni, cosa non ancora avvenuta a nessuno di quelli entrati nello speco, portando un libricciuolo attissimo a potarvi le dimande. Quando fu dentro avea chiesto : Quale, o Trofonio, pensi tu clie sia la ElosoSa pi pura : La veramente ot tima? E il libricuolo conteneva le opinioni di Pittago ra , quasi in prova che la filosofia di .lui era dal con senso di quell' oracolo confermata. XX. Codesto libricciuolo conservasi tuttora in An zio, citt d 'Italia, posta lungo la m arina, dove per esso appunto i curiosi concorrono. Le cose tutte che io ho qui narrate confesso averle udite dai cittadini di Lebadia; quello per che di esso libro io penso, dir , cio eli' esso venne dipoi presentato all' imperatore Adriano, insieme con alcune lettere di ApoHonio, pe rocch non gli pervennero tu tte , e fu lasciato nel pa lazzo imperiale di Anzio, di c u i, pi che di quanti fossero in Italia, quel principe si compiaceva. XXL Vennero dall'ionia a ritrovare ApoHonio tutti i suoi discepoli, che dai Greci eran chiamati gli Apollonii, e frammischiatisi agli abitanti di que' luoghi for marono un corpo di giovent degno di ammirazione,

LIBRO V ili. 48 : tanto in ragione del numero, quanto dell' ardor !oro pegli stud} RlosoRcL Negletta per nc giacea !a retori ca , e poco prgio faceano di chi la professava, perch ad altro non mira che ai bel parlare ; ma tutti a gara si dedicavano alla filosofia d'Apollonio. Ed egli, come di Gige e di Creso si narra, che tenevano aperte le porte de' loro tesori acci chiunque ne abbisognava ne prendesse , a tutti che d'im parar sapienza cercavano partecipava la propria, daado a ciascuno licenza di in terrogarlo sopra qual si voglia materia. XXII. Incolpandolo alcuni che rifiutasse di visitale i magistrati del luogo, c li riducesse a non aver faccen de , e beffandolo alcuni con dire cA' e* MVCMwa /e pe core % * * % ? !< % & yenfya awMtnarM persone Je/ ./oro , egli rispose : nero, per /o ; e ^ y ^ ^ Che intendeva egli con tali parole ? Osservando che le persone del foro gode vano molta autorit presso il volgo, e ehe di povere di ventavano ricche, e che aizzavano gli odj degli uomini^ onde acquistar guadagno dalle altrui discordie, volle tener lontani i giovanetti dal praticarle; e quelli che usavano famigliarmente con esse castig con acerbi rimproveri, onde lavarli di s brutta macchia. Altre volte infatto erasene egli mostrato nemico, e lo incarcera mento di Roma, quelli che ivi stavano in ceppi, e che vi perivano, lo avevano posto di s cattivo umore con tro quella professione, che persino credeva doversi tutte quelle calamit attribuire anzi ai legulei, ed ai retorici, che allo stesso tiranno. XXIII. Nel tempo eh' egli stette a filosofar nella Gre* -FfM M rA ^rv, & ?yn. /L 5*

VITA DI APOLLONIO TIANEO eia apparve in cielo questo prodigio. Una corona, rassomigliante all' arcobaleno, circond il globo solare , oscurandone i raggi (:). Nacque tosto l 'opinion gene rale ebe que! prodigio indicasse un cangiamento di c se. Laonde il rettor dell'Acaja in Atene chiam ApoHo nio in Beozia, e gli disse: Ho saputo che tu possiedi perfettamente la scienza delle cose divide. E non anche delie umane ? rispose ApoHonio. Ci pure ho saputo, segu quegli, e lo credo. Dappoich dunque, soggiunse Apollonio, ci pure mi attribuisci, son persuaso che non vorrai curiosamente indagare i consigli degli iddj, perch cos persuade la scienza delle cose umane. Ma instando 1' altro con graziose parole che dicesse il pa rer suo, aggiungendo eh' egli temeva, che tutto fosse per convertirsi in oscura notte : Sta di buon animo, disse Apollonio, che da tal notte scaturir qualche luce. XXIV. Finalmente dopo aver soddisfatto il piacer suo nell' osservare !e cose della Grecia, dove avea di morato due anni, veleggi per la Ionia, p 1' accompa gn tutta la comitiva de'suoi seguaci. Grand'opera^ diede alla filosofa s in Smirne come in Efeso, non tralasciando per di visitare anche le altre citt ; n fuvvene alcuna cui non giugnesse gradito, apzi non pa resse sommame^t^degno d'essere desiderato, e a tutti i buoni non riuscisse Utilissimo. XXV. Ma gi deciso aveano gli dii, che Domiziano venisse cacciato dall'impero de! mondo; perch uccider
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(') H Riccioli nell' del sole. .

dice che fu un ecclssi aHK&w

LIBRO VHI. 48A fece Clemente, uomo consolare, al quale avea dato in moglie una sua sorella (*); e avea pur decretato che di l a tre o quattro giorni avesse anch' ella a seguire il marito. Un liberto adunque di lei, chiamato Stefano, indicato dalla figura de! prodigio (2), sia per vendetta dell'ucciso, sia per vendetta di tutti, con quel corag gio , con che altre volte gli Ateniesi amantissimi della libert, assal il tiranno. Nascosto pertanto sotto il braccio sinistro un corto pugnale, e fasciatasi la mano come se 1' avesse rotta, ed aspettatolo che usciva del tribunale: Ho necessit, gli disse, o imperadore, di parlar teco a quattr' Qcchi, avendo importantissime cose a dirti. Non ricusando il tiranno F abboccamento, e condotto!o nel gabinetto, dove l ' imperadore custodi va gli arredi pi cari, Stefano disse,: Non altrimenti morto, coihe tu credi, il tuo sommo nemico Clemente; ma sta in luogo a me noto, e di nuovo contra di te si dispone. A tai parole alz egli un forte grido, e Stefa no accostatosi a lui che temeva, e tratto dalla fasciata mano il coltello il fer tra la coscia e il ventre di ferita non atta a farlo tosto morire, ma bastante a dargli morte poco dopo (3). Ma egli che robusto era di cor po , e appena aveva quarantacinque anni d' et , stret(t) Flavia DomitiHa , non per sorella di Domiziano , ma fi glia della sorella. Questa era gi morta quando Vespasiano suo padre sali al trono. Vedi Svetonio. (2 ) chiamasi in greco la corona. Notammo di sopra che una corona intorno al sole fu il fenomeno osservato. (3) La descrizione di questa morte abbiamo da Svetonio e da Dione in termini quasi uguali a quei di^Filostrato.

VITA DI APOLLONIO TIANEO tasi con una mano la piaga, gittossi addosso a Stefano, e sotto sei mise, punzecchiandogli g!i occhi e percotendog!i il volto con un calice d' oro, che ivi era ad uso de' sagriRcj ; e invocando Pallade che il soccorresse. Udendo pertanto le guardie del suo corpo ch'egli stava male, entrarono tutti insieme, e finirono di uccidere il tiranno, che gi era svenuto. XXVI. Questo fatto accadeva a Roma; ma Apollo nio il vedeva in Efeso come se vi fosse presente. Stava egli disputando in mezzo agli alberi d 'u n boschetto sull' ora del mezzod, nella quale si eseguiva quel fatto nel palazzo dell' imperadre ; e da principio come sbi gottito abbass la voce , poscia continu il discorso con minor forza di quella che usava, in parlando, come fanno coloro che in mezzo al discorso pensano ad al tro ; poi tacque, come se dimenticato avesse le parole, e torvamente guardando il suolo, facendo tre o quattro passi in avanti grid : Ammazza il tiranno, ammazzalo; non gi come uno che traesse dallo specchio l ' imma gine della verit, ma come chi vedesse cogli occhi pro pri ci che dice, e volesse dar mano egli pure a quel che si fa. Tutta la citt d' Efeso rimase maravigliata ( perocch tutti correvano ad ascoltarlo ed egli so prastando alcun poco, come far sogliono quelli che osservano qual esito aver debba una cosa ancora dubiosa, alla fin disse: State di buon animo, o cittadini, perch oggi fu ucciso il tiranno; che dico io oggi? in questo momento: Cos mi aiuti Pallade; in questo stesso momento, eh' io vi parlava, e dopo il qual tacqui. Pensaron gH Efesii eh' egli impazzisse, desiderando
484

LIBRO V ili. 485 per che vero (osse quant' ei diceva, e a! tempo stesso paventando che di averlo udito si facesse loro un de? !itto: Non mi & maraviglia, continu ApoHonio, che sia tra voi chi non presti fede a'miei detti, perocch nmmen tutta Roma ne per anco informata; ma ecco, ecco che il sa, ecco la gente correr per le vie, ecco gli uomini in folla che il credono, e i pi ne esultano con doppia, con quadrupla gioia, insieme a tutto il concorso popolo. E qui pure ne giugner la novella ; e voi dovete perci digerire i vostri sagriGzj sino al tempo che ve ne arrivi 1' annunzio ; ma io , che tutto vidi con gli occhi miei, vado a sciorre i voti agli iddj. XXVII. luter fede ancor non trovavano le sue pa*role quando vennero corrieri a recarne il lieto vvido^ e quindi a testificare !a sapienza di ApoHonio. Inape^ rocch e della uccision del tiranno, e del giorno che accadde, e del meriggio , e degli uccrsoH che gli fu* yono addosso il racconto corrispondeva per modo, che chiaro si vide avere gli dii manifestato ogni Cosa ad Apollonio, mentre stava col disputando. Di l a trenta giorni gli scrisse Nerva aver gi ottenuto il roman impero, grazie agli dii e ad Apollonio, e che pi facil mente il custodirebbe, se Apollonio a lu! si, recasse per essergli consigliero. Questi gli rispose he' Seguenti ter mini , che allora furono un enimma: Ab: yenza o' imperatore, interne wyereyMo /angMMwno tempo , ne/ ^Mg/e n JMg/t a&rz ^/gnore^geremo no :, n no: g/: a/tr/. E voleva, per quanto pare, far cenno che egli frappoco era per passare di questa vita, e che breve stato sarebbe il principato di Nerva. DiHatto l ' imperio

486 VITA DI APOLLONIO TIANEO d lui dur un anno e quattro mesi con lode d ottimo principe (i). XXVIIL Ma perch non sembrasse di prendersi poca cura di un amico e di un principe s eccellente, una nuova ietter gii scrisse, nella quale parecchi avverti* menti gli dava intorno al bene amministrar la repub* blica. Quindi, chiamato Damide, gli disse : Questo aHare richiede P opera tu a , perch gli arcani, che ia lettera contiene, sono bens scritti all! imperadre , ma sono tali che & d'uopo che io li schiarisca o in per sona: o per tuo mezzo. Dice Damide che tardi si accorse di qvedf astuzia; perocch !a lettera trattava di impor* tantissimi affari ma era chiarissima, ed egli venne per tutt' altra cagione mandato. Qua! Ai dunque codesta astuzia d'ApoHonio ? In ttitto il tempo della sua vita pronunzi egli pi volte questa sentenza : y*a^ w n pMoty Per al* lontanar dunque Damide da s , onde uscir di vita iaenza testimonj, Us il pretesto della lettera, nde con essa mandarlo a Roma. E confessa Damide che quando fece partenza l ' animo assai turbato sentissi, bench
(i) Cos pur dicono Eusebio ed Aurelio Vittore; ma Dione gli d nove giorni di pi. Il Pagio aeHe sue osservazioni ag!i annali del Barenio tenta di acpoh^odare questa differenza. (a) Per quanto molti insegnamepti deHa RlosoHa pittagorica sieno degni di lode ( a mio giudizio), questo per vero dire non mi va troppo a sangue. Perch ogni galantuomo debbe esser lie to di lasciar questa vita circondato da* 3uoi, e non isolato e na scosto. Forse qualche pi arcano senso questa sentenza contiene, che non qui luogo di investigare.

LIBRO VIH. 48y ignorasse ci che stava per accadere. ApoHonio per, che certamente il sapeva, nulla tuttavia gli disse di ci che sogliono dire queMi che non hanno a pi rivedersi, tanto bMt&Qgo ei a che ognun credesse eh' egli sarebbe vivuto sempre ; soltanto questa esortazione gli fece : O Damide, ogni volta ehe anche trovandoti solo atten derai alla RloeoRa, di me ti ricorda. XXIX. A questo luogo ha Sne la narrazione che l'assiro Damide espose dei fatti di Apollonia tianeo; che della morte di Ini (:) ( seppure egli morto ) (3) variamente si da altri parlato, e nulla ne ha detto Damide. Io credo per non doyerla io tacere, acci la presente storia abbia il suo fine. Che et avesse quando
(:) Accadde T anno di Roma % 9 , o al pi 85o , regnando Nerva. vero che l 'Autore della cronica alessandrina dice che Apollonio mori nell* anno che erano consoli Aproniano e Pam pino , il qual sarebbg y anno seUMnp del regno di Adriano; mq questo sicuramente uo equivoco prodotto dalla esistenza di un altro Apollonio, diverso dal nostro ^ ai tetnpi di queir impera tore , come pu vedersi nello Suidp. (3) Dopo le maraviglie sin qui raccontate, e dopo aver fa tto dire ai Bramini che Apollonio non sarebbe stato dalla morte colpito ( vedasi di sopra nel lib. nr ) , ben giusto che il buon Prostrato ritqpga gogne incerto i! 6ne delia vka di lui, che a suo giudizio fu un uotnp pressoch divino. A tale opinione per tanto (che a* suoi tempi era comune) non solo allude quanto in questo e nel seguente paragrafo si narra, ma eziandio quella specie di culto che il nome suo per pi secoli ottenne , s nelle tante immagini che sparse furon pei tempj, come ne' tempj che a lui Stesso consecrarono i Tianei dapprima , indi l ' imperador Caracalla , secondo scrive tra gli altri Dione nel lib. yy.

VITA DI APOLLONIO TIANEO mor non ha Damide riferito; degli altri scrittori v'ha chi dice essere giunto all'ottantesimo anno, chi oltre il nonagesimo, e chi a! di l del centesimo, invec chiando in tutto il suo corpo, ma serbandosi vegeto e gentile non men di un giovane. Imperocch anche le rughe della vecchiaia hanno la bellezza loro, che in lui fu assai notabile, come il dimostrano tanto i suoi ritratti nel tempio di Tiana, quanto le scritture de'dotti, che la vecchiezza di ApoHonio esaltano pi che gi si esaltava la giovinezza di Alcibiade. XXX. Raccontano alcuni esser egli morto in Efeso, in tempo che servito era da due ancelle, dopo che tutti i liberti di lui, che rammentammo in principio, avean cessato di vivere. Dicono che avendo egli data ad una di esse la libert, l ' altra si lagnava con lui che degna non la trovasse dell' egual benefzio , e che ApoHonio le abbia risposto : Ti giova il servire anche a le i, per ch questo sar principio di tua fortuna. Morto adun que ApoHonio , e questa rimasta al servizio dell' altra, Ri essa per una leggerissima causa venduta ad un mer catante di schiavi, da cui altri la comper, bench non fosse molto bella. Costui nondimeno invaghitosene, la fece sua moglie, sebbene fosse un commerciante non ordinario, e n'ebbe figliuoli. Alcuni altri affermano es ser egli morto in Lindo (:), appena entrato nel tempio di PaHade, dove disparve dalla vista degli uomini ; ed altri asseriscono morisse in Creta in modo anche pi
488
(!) Borgo deH^ isola di Rodi, rammentato da Strabone nel
lib . U T .

LIBRO Vili. 439 maraviglioso di quello d Lindo; cio, che dimorando egli inC reta, con una autorit maggiore dei solito, entr di notte avanzata nei tempio deHa dea Ditinna(:), dove stavano in guardia, per sicurezza ^e' tesori che vi sono, certi cani, che i Cretesi credono non inferiori n agli orsi, n a qualsivoglia ferocissima belva ; che questi gli andarono incontro senza pur abbaiare, ma facendogli festa pi che non* usavano verso quelli ehe frequentemente vedevano ; che perci i prelati di tem pio , reputandolo un mago, e spargendo voce che avea gettata ai cani la ciambella per placarli, lo presero e incatenarono; che a mezza notte (s) si sciolse egli dalle cateoe , chiam coloro che Io aveano legato, per non far ci occultamente, e avviatosi aM e porte del tempio le trov aperte : Che, rientrato, le porte da s stesse si richiusero com' erano prima, e che tutto ad un tratto risuon una voce di vergini cantanti, la qual di ceva : ^M7 H ferra , Men* , wan: ; come dir volesse : JaMa Mrra aJ/a region XXXI. Dell'anima p oi, cio eh' ella sia immortale ,
(:) Nome; attribuito dai Cretesi a Diana. Di questo tempio fia t menzione anche Erodoto nei lib. m. (a) Piacemi notare come tutti i prodgi ad Apollonio attribui ti , si fanno eseguire o i mezzod o alla mezza notte. Credo che ogni lettore se ne ricorder, tanto ci ripetuto. Fossero que ste le ore pi eHicaci nelle opere di magia ? mi duole che non vi abbia pi magi dai quali informarsene ; che a volercene in sanire per mezzo de* libri di scienze arcane, sempre enigmatici, artificiosi ed in gergo, penso che sia impossibile, supposto pure che coteste scienze non sieno interamente ed asslutamele false.

490 VITA DI APOLLONIO TIANEO filosof egli ancr dopo morto, insegnando !a verit di questa dottrina , ma per mal soffrendo di cos spinose materie vogliasi troppo curiosamente dispo^yere. Imperocch venne a Tiana un giovinetto, fortissimo nel quistionare, e non facilmente cedevole alla verit; e siccome ApoHonio era gi morto, e dopo questo avve nimento si erano assai divise le opinioni, bench nes suno osasse di rivocare in dubbio che 1' anima fosse immortale, cosi moltissimo parlare se ne faceva, tro vandovi g!*an quantit di giovani consecrati allo studio delia sapienza, Quel giovinetto adunque lungi dall' assentire all' opinione della immortalit dell'anima: Io , disse, o cittadini quanti $iete, gi da dieci mesi prego ApoHonio che mi riveli !a dottrina vera dell'apima, ma egli sin'ora cos morto che n aHe yuie preghiere comparso, n mi ha convinto eh' egli sia fatto immota tale. Queste furono pHora le parole del giovine. Cinque d dopo, nuovamente suHo stesso argomento favellando, addormentossi ne! medesimo luogo ove favellava. Dei giovani che aveano con lui disputato, qal si diede a leggere , quale a disegnar sulla polvere figure geometri che. Quando ad un tratto egli salt in piedi come un infuriato, con gli occhi socchiusi e coperto di sudre , e grid : Ornai ti credo. Interrogandolo i circostanti cosa gli fosse avvenuto : Non vedete voi, rispose, quel sa piente ApoHonio, che non solo sta ascoltando la no stra disputa, ma canta eziandio stupendi versi intorno all' anima? Dov* egli? chiedevano gli altri; che ci compaia dinanzi, che ci pi caro a noi sarebbe che il possesso di tutti i tesori degli uomini! Soggiunse il

LIBRO Vili. 49! giovine allora : Egli pare esser venuto soltanto per so stener meco la disputa su ci che io Rn qui non cre detti. Udite dunque le cose che su tal dottrina egli come da! tripode sacro pronunzia:
................ &z m e n te n o n u n t o r e ,

CAe < X M a ina non c, ma d 6 ? < ? Zc/e/p. t ,JD * cory/er jc/o/to ffet yhpwo ^ Tw e^cery/ co/ paro efew coAz, (s) ^ yneJ yno% ay4o e g/ogo. a% < ? cAc g/o^a t/ y^er ct, ye f/ negA *? percA wgionnr jt?H re w eP M O t
< $ !e te %rnti cre^*?

Cos Apollonio da questo suo tripode manifesti oracoli emanando, gli arcani dell'anima profer, acci che lieti e consci! della natura nostra l ce ne andiamo dove comandano i fati. Non mi ricordo di essermi incontrato giammai in verun sepolcro di cotant' uomo , n in verun monumento, bench io abbia scorsa !a pi gran parte della terra ; ma ben mi abbattei a udire mirabili elogj di lui. Anzi la stessa citt di Tiana considerata come sacra (a), e non va soggetta ai legati, che gli imperadori vi mandano; perocch gli imperadori ap punto non Sdegnarono di onorare Apollonio con quei medesimi onori, di che solevano essere onorati essi stessi.
(:) Altro domma deHa filosofia pitagorica. (a) Non raro il titol di Sacra alle antiche citt, come i numismatici hanno osservato. L' Arduino tra questi ci ha fatto conoscere una medaglia di Tiana, coniata 1' ultimo anno del reguo di Adriano, del quale oCre anche l ' eiEgie.

LE L E T T E R E

DI APOLLONIO TIANEO
VOLGARIZZATE

PROEMIO
DEL TRADUTTORE.

A u - ' imperatore Adriano, che ebbe in altissima stima Apollonio, venne presentata una raccolta delle lettere di quel sapiente, ed egli fece riporla, insieme ad altri scritti dello stesso filosofo, nella biblioteca della citt di Anzio, cui quel principe era affezionato. Cos ve demmo aver narrato Filostrato nei xx dell'ottavo li bro , dove aggiugne che quella raccolta non era com pieta. Di parecchie altre lettere da lui vedute confessa egli di aver fatt' uso nel compilare la storia di tant' uo mo ( lib. !, n ), e di averne egli stesso raunate molte dichiara nel xxxv de! Hb. vn. Varie di tali lettere sono anche da lui riportate, e varie altre si veggono menzionate da Suida negli articoli di Basso, di Mu sonio , e di Scopeliano. Che quelle , che io presento ora per la prima volta volgarizzate, e che da diversi cdici si sono cavate, procedano ab antiquo dalla col-

496 PROEMIO lezione di Anzio, o da quella di Filostrato, impossi bile di verificare. Certo che Filostrato in pi luoghi accenna lettere di Apollonio, le quali in queste da me tradotte non veggonsi comprese. All'incontro molti fram menti di coteste lettere ci ha conservati Stobeo, ed uno Porfirio, i quali perci si troveranno qui aggiunti. Oravi, sobrie e sommamente concise sono coteste lettere per la massima parte, quali convengono al ca rattere di colui che le scrisse. Il primo a produrne al quante fu Bartolomeo giustinopolitano, che le pubblic barbaramente tradotte in latino, insieme alle pretese lettere di Falaride ed a quelle di Bruto, nel i 5 oa, in P. Nonai le ridusse a miglior lingua, e fecero esse parte della .Farragine jEpMto/e /acomcAe pubblicata da Gilberto Cousin ( Cognato ) canonico di Nozerai, l ' an no i 5 5 4 , in Basilea, poscia in Colonia l'anno *6o6, in 12. Giovanni Buchlero le riprodusse nel suo JlMoro JeMere /acoHtcAe. Le ristamp quindi in greco il ce lebre Enrico Stefano l'anno 1677, in 8., insieme a pi altri opuscoli greco-latini. II dotto Lubino, fattane una nuova versione latina, le ripubblic, insieme a quelle di Anacarsi, di Euyipide , e di Teano coi tipi Commeliani l'anno :6 o :, in 8.^ Alla quale nuova versione tut tavia non si attenne Giovanni Cuiacio, o qual altro si fosse 1' editore delle Epistole greche stampate 1' an-

DEL TRADUTTORE. no 1606, con la data d 6b/o^:ae -^//o^rogMw. A que ste tre ultime edizioni, e segnatamente a quella del Lubino, volle saggiamente attenersi 1' eruditissimo Olea rio nella sua grandiosa edizione delle opere de' Filostrati , da me presa per testo. Siccome per queste lettere, cos imperfette ed a brani come ci giunsero, sono forse P unico scritto che ci rimanga di Apollonio, penso che non sia fuor di luogo, n riuscir debba discaro ai lettori, l'andar cer cando quali altre opere quel sommo ingegno dettasse. In ci pure vuoisi prendere a guida il nostro Filostrato che in pi luoghi n$ parla, e sulle cui tracce anche l ' insigne critico test menzionato fece eguali indgini. Nel xxiv del libro ! ricorda Filostrato un Thno che Apollonio cant in onore di Mnempsine, ossia della Memoria, specie di divinit assai pregiata dagli Indiani, e venerata dai Pitagorici. Una sua Orazione agli Egizj accennata nel xv del libro m. Pu darsi per che sia dessa una cosa me desima col discorso da Apollonio tenuto a Tespesione nel lib. v:. Il libro Z)e'Jomm: pitagorici da lui compilato, e sul quale and a consultare 1' oracolo nell' antro di Trofbnio, citato nel libro v!H, xix. Soggiunse Filo& M H . V. 5a

PROEMIO strato che cotesto libro si conservava a' suoi d in An zio , cio nella biblioteca ivi istituita da Adriano. Va tra'suoi scritti registrato anche il JTay&MMento, che !' autor nostro nel in del libro ! dice dettato da una divina ispirazione; locch dee credersi, perocch i te stamenti de' RlosoC sono per lo pi Una professione Jella dottrina loro. Questo testamento era scritto in lingua ionica, giusta ci che se ne dice al xxxv dei libro vn. L' che ApoHonio avea disposta ^ onde ginsti6carsi avanti a Domiziano, e di cui non si valse (ove a lui se ne voglia accordare il merito), ci tutta intera conservata da Filostrato nel libro VH i. Quattro libri per mezzo degft *Mfrt gli attribuisce Meragene, che Filostrato cita nel x n del libro in. Un trattato Det il medesimo storico nello stesso luogo rammenta, asserendo di averlo egli veduto in parecchi templi, citt e case. In esso pretendesi che Apollonio insegnasse l ' ar/e JeMe eyocazton:, quell' arte misteriosa, per cui pot conversar egli stesso coll'anima di Achille ( nel libro !V) , e per cui Pittagora ebbe &migliari cplloquj con Pallade e con le Muse, come detto nel bel principio della vita di Apollonio. Quel trattato di nuovo citato nel libro nr, x<x, di-

4 g8

DEL TRADUTTORE. 499 cendolo scrtto neHa lingua vernacola ^ cio d GapVanno per ultimo ricordati gli OracoR d^ApolloniOy che Codino Curopalata nel suo libro De wagMe ecc/djzae ef au/ae Co^^fa^^wpoJAa^ac, ove parla delle origini di Costantinopoli, asserisce trovarsi col scolpiti sopra colonne di bronzo, le quali dice ivi poste da ApoHonio medesimo. Alle novantacinque lettere dello stesso ApoHonio che ora si danno per !a prima volta ridotte all' italiana &veHa, potrebbesi aggiugnere quel picco! numero di es se , che citammo incontrarsi neHa vita da Filostrato scritta ; ma parendoci inutile o viziosa cotale ripetizio ne , cosi si omessa, tranne alcuna che qui trovasi pi completa. Piacemi in 6ne di avvertire che ottantacinque di esse vennero anche tradotte in lingua tedesca dal professore Seybold, e pubblicate con assai dotte annotazioni in a vo!umiin8. aLemgo negli ann; 1776 e tyyy.

EPISTOLE

DI APOLLONIO TIANEO
VOLGARIZZATE

I. ^

(:).

I o sono amico de'SIosoS; ma n adesso, n poi, voglio aver amicizia co' soSsti ^2) y co' gramatici ^ e con a!tra siflhtta razza di gente. Questo per non ha da importar nulla a t e , a meno che tu pure non ne fossi del numero. Ben devi risguardare come a te dette !e seguenti parole : Sta in guardia de* tuoi alletti, e sfor zati d' esser 6Iosofo, e di non invidiare queHi che H son veramente , tanto pi che ornai ti sovrasta !a vec-^ chiaia e !a morte.

(w ) Quanto fossp costui nemico di Apollonio, si veduto nella vita di lui, e spezialmente nel lib. v , xxxv. (a) Cicerone nel secondo delle drcciM & M M cA * defin sce il sofista per couf,

E P IS T O L E

II.

m ctejW M ?.

La virt s acquista per natura, per educazione, per possessq e per uso ; e ciascuna d queste cose merita esserci bene accetta in grazia d lei. Fa dunque mestieri di considerare se tu sia di alcuna di esse mancante. O desisti dalla soSstica, o liberamente comunicala a tutti quelli che incontri; poich le tue parole non la cedono a quelle di Megabise (<).
HI.

Dalla Siria, donde partisti, sino all' Italia, molte popolazioni hai trascorso, alle quali ti mostrasti colla doppia veste, che chiamasi Regia (a). Altre volte avevi il mantello , bianca e foltissima la barba, e nient' al tro (3). Come accade che ora retrocedi per mare, con ducendo una ^ave da trasporto carica d'argento, d'oro, di varj vasi, di vesti dipinte, e d' ogni sorta di orna menti ^ non che di fasto , di superbia e di improbit ? Che carico egli codesto, e che mirabil maniera di mercanteggiare ? Eppure Zenone trafficava di vilissimi commestibili (4).
(t) Negli del Gano troviamo quello di/?aro%e;?a3fe, cio superbe. Ognun sa che Megabise fu un satrapa della Persia. (i) Cio la porpora sopra la tunica. (5) Prendeva le apparenze del filosofo e non Io era. (4) Ad En&ate th af&ttavs la filosofa stoica, ed era si tur pemente ricco, contrappone la povert e la vera filosofia di Zenone capo di quella setta.

DI APOLLONIO TIANEO
IV. TMediafno.

$o3

Di poche tue cose abbisognerebbero g!! uomini Ube ri , se liberi pur fossero i RlosoC. Stava bene pertanto che tu non fossi tanto sollecito di acquistare pi roba che non ti era necessaria, tanto acquistando!a in qual sivoglia modo , quanto segnatamente in un modo ver gognoso. Nondimeno essendo ci fatto una volta, ne veniva tosto il consiglio che tu avessi a distribuire con gran diligenza una parte delle tue facolt. Sovvengati dunque che hai la patria e gli amici.

DeHe dottrine di Epicuro quella che tratta della vo lutt non ha pi bisogno di verun difensore, tranne il suo orto e la sua scuola, da che si osserva che veris sima tenuta anche nella Stoa (:). Che se per contrada dire ad essa tu recassi innanzi le dispute e le sentenze di Crisippo, avvi pure un certo scritto nelle lettere dell'imperadre, che dice: jE^/rafe Aa pyiMO, g HM oyo Aa prejo; e ci senza dubbio Epicuro non fece mai. VI. Interrogai certi ricchi, se la vita paresse lro fasti diosa e molesta: E com3 no? mi risposero. Chiesi pl(<) La severit della scuota stoica non poteva accordare! aoa !a mdulgenta della epicurea. M a Eafrate era s^oieo, eppRf aw av^a T oro. Dunque non trovava contrariet fra le due dottrine.

So4 EPISTOLE !ora !a ragione di quei lamento ; ed essi dissero esserne cagione le ricchezze. E tu/meschino, sei divenuto ric co da poco in qua !
VII

Tosto che tu prestissimamente sia giunto ad Ega, ed ivi scaricata la nave, fa di tornar pure prestissimamente in Italia, ed ivi parimenti datti a corteggiare gli infer m i,! vecchi, le vecchie, gli orfani, g!i agiati, i zerbini, i Midi ed i Geti. Dicono che bisogna dar mano ad ogni cosa chi vuol fare buoni negozj. A me basta veder tra panata nella casa di Temide quella peschereccia tua barca (t).
V ili.

Non hai tu pure qualche accusa da scrivere ? Se prendi animo di osarlo, tu parimenti pupi dire , come generalmente da altri si fa : Apollonio si tien lontano da qualunque bagno (2). Ma egli non esce mai di casa, e puri custodisce i suoi piedi. Non vedesi mai eh' egli ponga in movimento alcun membro de! suo corpo. Ha per Inanima sempre in moto. Ha gran cura del!a sua chioma. Ci fa ogni Greco, ed egli greco, e non bar baro. Porta la veste di lino. Porta ci che fra le cose
(:) Le mal pescate ricchezze d'Eufrate desidera permane della giustizia restituite a chi vanno. (2 ) Vedila vita d'Apolonio lib !, $ xvi. Tutte le accuse per qui riferite spettano all^ vita pitagorica da lui professata , come appare s dalla sua apologia nel lib. v m , vi e v u , e s dalla lettera xnH , che gi vedr a suo luogo. Osservisi che ad ogni accusa contrappone la difesa.

DI APOLLONIO TIANEO So5 sacre degli uomini purissima. Professa la divinazione. Il pi delle cose avvolto in tal buio, che il conoscere alcun che del futuro in altro modo impossibile. Ma ci non ist bene ad un filosofo. Se sta bene a Dio* Ma guarisce le infermit del corpo, e mitiga Je passio ni. Questo* delitto ha egli in comune con Esculapio. Mangia da solo. Perch gli altri divorano. Poco parla e di poche cose. Perch pu tacere. Si astiene da ogni sorta di carni e di animali. Perch egH nomo. Se tu, Eufrate, questa denunzia soscriverai, vi aggiugnerai fors' anco : Se avesse tantin di giudizio , accetterebbe danaro, come i' accetto io , e regali, e dignit pubbli" ca. Anzi se tantin di giudizio ha egli, non accetter nulla di ci. L'accettasse*almeno in grazia della patria! Non patria quella, la ^ual non sa cosa in s contiene.
IX. ^ D/one (:).

Meglio diletterai con la cetra e co' flauti che co! di scorso ; essendo quelli gli stromenti che piacciono, e prendendo il nome di arte musicale. Il discorso all' in contro richiede verit ; e tu cosi devi fare, cosi scrive re ^ cos parlare, se vero che per amore della verit ami di filosofare.
X. medaytnM?.

Alcuni mi domandano perch io abbia desistito dal disputare pubblicamente. Sappiano adunque coloro,
Dione di Prusia, sopraddetto per la sua eloquenza il CrfNe parlammo al xxxvH e X L del lib. vi, e ne ve dremo nel secondo volume la vita. (i)

5o6 EPISTOLE cui preme saperlo, che nessuna orazione pu giovare, la quale, essendo una, ad Uno scopo solo non sia an che diretta. Chiunque pertanto disputa diversamente , il fa per ambizione (:).
XI. Cesarea (2 ).

G!i uomini hanno primamente bisogno in tutto e per tutto degli iddj, poscia delle citt. Perocch dopo gli iddj si debbono onorar le citt, quelle cose che spet tano alla citt vengono preferite d chiunque ha fior di senno. Che se non solo sia citt, ma anche la prin cipale della Palestina, e di quante ivi sono la maggiore per grandezza , per leggi, per istituzioni, e per cele brit degli avi, o nella guerra o nelle arti della pace , siccome la citt vostra, ella va su tutte le altre am mirata e onorata s da me che da qualunque, il quale abbia senno. Tal dunque il fondamento della prefe renza , secondo la ragion comune, se pure ci che dal giudizio dipende comune. Che se oltre a ci la citt stessa fu la prima ad onorar l'uomo, bench o ancor pellegrino o da essa lontano, qual degna retribuzione trover egli quell' uomo , o troverem noi del paro ? Ci sol per avventura, che secondando certa inclinazione del proprio ingegno preghi Dio di accordare ogni bene alla citt, e che il suo voto sia esaudito. Questo quello che io non lascer mai di fare per voi, tanto pi che
(:) Vuole con ci rimproverare Dione della soverchia lezio sit ed aHettazione delle sue arringhe. (2 ) Cesarea d Palestina, la quale onor in alcun modo Apol lonio, che perci con questa lettera la ringrazia.

DI APOLLONIO TIANEO 5oy vo lieto delle greche costumanze, che nelle vostre pub bliche lettere manifestano il naturai pregio loro. Quanto ad Apollonio fgliuol d'Afrodisio, giovine di ottima in dole , e degno del nome vostro, procurer, se la buo<* na fortuna mi aiuti, di rendervelo utile sott'ogni aspetto.

Quella citt che in tal guisa diportasi verso Dio e verso gli uomini degni di onore, beata ella stessa, ed a coloro, della cui virt fa testimonianza, giovevole nella pratica della virt. Non dunque difBcile ^ volen do cos! graziare, il cos diportarsi, anzi nulla vi ha tra le umane cose di pi pregevole. Ma il trovarvi una re tribuzione , che interamente ne adequi il favore, non sol non facile, ma impossibile. Perch ci che in via d'ordine secondo non pu mai diventar primo in via di natura. Per conseguenza necessario il porger preci a Dio per voi, che vi retribuisca, essendomi voi cos superiori non soltanto per facolt ma anche per la cosa stessa; giacch nessun mortale il potrebbe. Quello poi che bramate, cio che io sia con voi, ci parimenti io riguardo come un tratto della vostra benevolenza per m e, in quel modo che io bramerei che mi fosse con cesso di trovarmi con voi. I vostri deputati Geronimo e Zenone tanto pi cari mi sono, quanto che sono amici miei.
XIII. .df/

Anche Stratone uscito di vita ^ lasciando sulla terra quanto avea di mortale. Sta dunque a noi, che siamo

5o8 EPISTOLE tuttora puniti quaggi, ossia, per parlar come il volgo, che viviamo ( i) , il prenderci alcun pensiero deMe cose sue. Ed altri pure prendansi a buon diritto altra cura , o adesso, o quindi a poco, sia come suoi familiari, sia come amici ; n altro pi opportuno tempo vi ha di conoscerli, ove anche prima in codeste denominazioni qualche cosa di vero si trovasse. Io per me, volendo anche in questa occasione mostrarmi tutto vostro, al di lui figlio Alessandro (z), natogli da Seleucide, parte ciper la dottrina mia. Intanto gli ho gi somministrato danaro, e sono per somministrargliene anche pi altro, ov' egli trovi conveniente di pi altro ricevere.
XIV. iRi/hi/c.

Vengo da molti pi volte richiesto perch io non sia stato citato in Italia , ovvero perch, quantunque non citato, io vi andassi, come tu , e come forse qualche altro. Io per nulla voglio rispondere alla seconda in chiesta per non parer presso alcuni, che io sappia una causa, la quale di saper non mi curo. Ma alla prima che altro risponder dovrei se non che tanto pi dili gentemente venni citato, quanto pi n' era lontano ?
XV. m edaM TM O.

Scrive Platone (3) non essere la virt sottoposta al


(:) dottrina de* platonici e de'pitagorici chele anime subi scono in questa vita il castigo de' peccati anteriormente fatti, (a) D costui si trover menzione nel secndo libro delle ife* che daremo poi. (5) Nel x della

DI APOLLONIO TIANEO Sog dominio di alcuno. Laddove pertanto vi abbia chi que sta sentenza non pregi e non se ne compiaccia, ma alrincontro !igio sia del danaro, costui a! dominio di molti assoggettasi.
XVI. y n e< % 6M M <?.

Tu pensi che i 61oso6 , i quali seguono Pittagora, o anche Orfeo, si debbano chiamar Magi. Ed io penso che Magi vanno detti ancor quelli che seguono Giove, quando esser vogliano divini e giusti.
XVII.

I Persiani chiamano magi gli iddj. Il mago adunque un ministro degli iddj, ovvero partecipa deHa indole divina. Ma tu non sei mago, dunque ateo.
XVIII.

Che P uomo sia irragionevole per natura, lo disse i Bsico Eraclito. Se ci dunque vero, com' verissimo, meritamente va coperto per vergogna il viso a chiunque delia propria opinione da sciocco si gon6a.
XIX. ^ *&K%?e#ano (i).

Cinque sono generalmente i caratteri del discorso : HiHosoSco, io storico, il giudiziario, il letterario, e quello che si adopera in commentare. Dei quali carat() Si ramment nel lib. ! delia vita d'Apollonio, e se ne tro ver menzione fra la vita de' SoRsti.

EPISTOLE teri, qui secondo il naturale ordin loro disposti, il pri mo ottien tosto il suo fine, quando, secondo la facolt e l'ingegno di alcuno, al discorso veramente convenga. Il secondo di sua natura ottimo, e se ad alcuno man-* chi per natura, viene espresso per imitazione. Quello poi che ottimo veramente, diffcil riesce s a trovarsi che a giudicarsi. Cosicch ottenendo ciascuno dalla na tura quel carattere che pi gli proprio e conveniente, in esso anche pi saldo mantiensi.
5*0
XX. FleMP.

Ove tu avessi gagliardia di cuore, siccome hai, ti fa rebbe eziandio mestieri d'esser prudente. Che se avessi prudenza, e la gagliardia di cuore ti mancasse, questa gagliardia ti converrebbe acquistare. Perocch l'una h a sempre bisogno dell' altra, come la vista ha bisogno delta luce, e la luce della vista.
XXI. yfeyyo.

Conviene tenersi lontano dai barbari, e non essere liberale con essi; ch non ist lor bene, essendo essi barbari, il ricevere beneRcii.
XXII. Lej&owaMc.

Bisogna ne!la povert essere? di forte animo, nella ricchezza ricordarsi de!la umana condizione.
XXIII. ^ CWifne.

Pittagora disse T arte medica essere una divinissima

DI APOLLONIO TIANEO 5< ! cosa. Tal dunque essendo, fa d'uopo insieme al corpo prender cura dell' anima. Altrimenti non sano sar l'a nimale , il quale nella principal parte di s trovisi in fermo.
XXIV. (<) ^ ag/i

Voi degnaste invitarmi alla palestra olimpica, e mi inviaste per ci vostri legati. Io per non interverrei allo spettacolo ed alle gare de'corpi y se una maggiore gara di virt da chi non interviene venisse perci ne gletta.
XXV. ^

I certami olimpici istituironsi dopo. Prima per voi eravate nemici y ma n poscia amici diveniste.
XXVI. M M & M # dieMe c<M e sacre w OZw:^ia.

Gli iddj non hanno bisogno di vittime. Che fa dun que chi aspira ottenere la grazia loro? Io credo l ' ot tenga, se possiede un animo ben fattOy e se giovi quanto pu agli uomini y secondo il merito loro. Queste sono le cose care agli iddj ; che quanto alle vittime anche gli atei le hanno offerte (2).
XXVII. ^ tSacerdoi* 4# DeZ/b.

I sacerdoti imbrattano di sangue gli altari y poi fanno


(i) Il motivo di questa lettera pu dedursi dal xxtv dei lib. w della antecedente vita. (a) Parmi che a ci si riferisca la disputa che ebbe ApoHonio nel tempio d' Esculapio in Ega, come dai x e n del lib. !.

EPISTOLE le maraviglie dei mali che avvengono nelle citt) quan do trovansi avvolte ne!!e maggiori calamit. O stupi dezza f Eraclito era pure un sapiente, ma egli non per suase agli Efes) di far uso dji fango per isfangarsi.
XXVIII. ^ re

5 ia

Zamolschi fu buon uomo e Alosofo, perocch era discepolo di Pittagoya. E se a' suoi tempi tanta stata fosse l'autorit % lel nome romano, egli spontaneamente sarebbesi dichiarato amico di Roma. Se tu pertanto pensi di intraprendere guerra e travagli per la libert ^ ascolta da filosofo, cio da libero (a).
XXIX. ^ M /t ZFgy&t&yrc.

I giorni festivi sono cagione di malattie; perch i la vori cessano, e ad altro non tendono che a riempire i ventre (3).
XXX. .P/vcMra&yrz (4).

Sia pure in mano vostra il supremo potere. Ma se


(i) Cio de' Sarmati e de' Daci , i quali al principio dell' im pero di Vespasiano devastarono la Misia e la Pannonia. ZamoIschi, scita egli pure, spesso ricordato da chiunque ha scritto di Pittagora. (3 ) Giusta il celebre paradosso degli stoici : jo&M sapiens A&er. (5) Quanto il mondo antico simigliante al moderno ! dicasi poi che il mondo invecchia, e che peggiora. (4) Cio ai presidi, 0 governatori di provincia, lusser poi investiti della dignit pretoria, 0 della proconsolare, come si altrove notato.

DI APOLLONIO TIANEO $<3 voi conosceste Parte del governare, per qual motivo le citt vostre vanno deteriorando, in quanto a voi spetta ? Se poi non la conoscete, dovevate prima istruirvi e poi comandare. XXX!. ^ /yrofura/ort Che giova io amputare i rami di quelle piante salva ti che, che nascono per nuocere agli uomini, e lasciar ne intatte !e radici ? XXXII. y?/ caHceM er* A nulla servono in una citt le statue , le varie pit ture , i passeggi e i teatri, se anche la sapienza e la legge non vi si osservino ; e la sapienza e la legge non sono le cose summentovate, ma bens molto diverse da quelle. XXXIII. ^ I figli vostri abbisognano di padri, i giovani di vec chi , le femmine d'uom ini, gli uomini di principi, i principi di leggi, le leggi di filosofi, i filosofi di dii, e gli dii di fede. Voi discendete da egregj antenati : do vete per conseguenza odiare le cose presenti. XXXIV. ^ (<).

Io ho percorsa la provincia degli Argivi, l Focide , la Locride, e Sicione, e Megara, ed ogni volta che mi
(t) Intende del museo Alessandrino, del quale si trover men zione nella vita di Polemone tra quelle de' sofisti.

font. 7^

35

3:4 EPISTOLE s offerse occasione di disputare ebbi a troncare la dispu ta. Se alcuno me ne chiedesse il motivo, io dir alle Muse ed a voi: Io sono divenuto un barbaro, non per essere stato lungo tempo lontano dalla Grecia, ma per avervi lungo tempo soggiornato.
XXXV. yM Ent'eo (!).

Virt e ricchezze sono cose da noi reciprocamente stimate tra lor contrarie. Perocch ogni menoma dimi nuzione di queste un aumento dell'altra, ed ogni au mento fa l'altra scemare. Come pu darsi pertanto che uno le possegga entrambe ? fuorch nella opinion degli stolti, ai quali anche le ricchezze paiono virt. T u dunque non devi permettere che i concittadini ci igno rino , n dar luogo che iaccian pregio di noi come ric chi , anzi che come RlosoR. Ch' ella vergognosissima cosa il parere che da noi tengasi dietro affannosamente alle ricchezze, tanto pi che vi sono tali uomini, i quali per lasciare una memoria di s le dispregiano, bench non sieno mossi da verun amore per la virt.
XXXVI. i&MF# Corica (2 ).

Il calcidese Prassi tele (3), spinto da una pazzia fu rente, e armato di spada, venuto alla mia casa, man dato da te, che pur sei filosofo, e direttore de'giuochi
(:) Fratei d'Apollonio, come dalla lettera m . Di lui si fa cenno al xxi del lib. 1. (2) Di lui vedasi il xxv: del lib. :v. (5) Se ne parla di nuovo nella lettera u x , Lxxiv , e Lxxvt.

D i A POLLON IO TIA N EO

5 <5

istmici. La mercede che per questo assassinio gii venne accordata era la pratica con tua moglie. Eppure, o im* purissimo Basso, io ti ho moltissime volte beneficato.
XXXVH.

Se alcun de' Corinzj dimanda come sia morto il pa dre di Basso , tutti i cittadini, come anche i forestieri, risponderanno : Di veleno. Se cerca chi lo abbia dato? anche i vicini diranno: Il filosofo. E nondimeno cotesto scelerato segu piangendo il funerale del padre.
XXXV ili. (:).

Tra voi non ha seggio la virt. E chi di virt vanterebbesi? Se poi aspirate al seggio della malizia, vi aspi rate tutti a buon dritto. Cosi diranno dei Sardiani tutti i Sardiani. Come ci? Perch nessuno di cotesti abitanti amico dell'altro, s che per bont di cuore dissimuli cosa alcuna, che faccia all' altro vergogna.
XXXIX. medeMBM.

Sconci nomi son quelli delle flotte vostre, Coddari, e Sirisitauri (a). Voi li proponete come ragguardevolis simi ai figli vostri, e vi stimate felici se li ottenete voi stessi.
(<) Gii abitanti di Sardi, presso cui le (azioni e i partiti im perversavano , come da questa e dalle seguenti lettere, non che da quelle segnate LV ! e Lxxv. (a) Forse nomi di dignit marinaresche. Non li trovo ripetuti da nessun altro scrittore.

5<6

EPSTOLE
XL.

Voi siete Coddari, e Sirisitauri ^ ma qual nome da rete alle Rglie e mogli vostre ? perch esse pure appar tengono a cotesti ordini, e sono di gran lunga pi ar dite,
XL!.

Egli verisimile che a voi nemmeno i vostri servi portino amore, prima perch son servi, poi perch molti spettano ad altri ordini $ avendo essi pure, al pari di voi, 1' ordine e la famiglia loro.
XLH. PtafoHMi.

Se alcuno ha dato danaro ad Apollonio, e se ne d, egli lo avr giudicato di ci degno, e , ise ne abbisogni, lo accetter. Ma non accetter mai pagamento per la filosofa ( che insegna ), quand' anche si trovasse all'in digenza.
XLIiL ^ cAe panfaygMO 4# Mqytewzg.

Se alcuno si vanti d'essere mio famigliare, deve dire eziandio di affaccendarsi nell' interno della mia casa, di astenersi da ogni sorta di bagno, di non ammazzare animali, n mangiar carni, d' essere privo di passioni, di invidia, di malignit, d'odio, di calunnia, di inimi cizia $ di appartenere insmma al numero degli uomini liberi (:). In caso diverso convien guardarsene, perch
Giusta le istituzioni pitagoriche da Apollonio professate.

DI APOLLONIO TIANEO 5;? mente vita e costumi, e usa false parole ; che sono ar gomenti di una vita ben diversa.
XLIV.

Non da maravigliarsi, che mentre gli altri,uomini mi stimano un uomo divino, e alcuni sin anche un dio, ci tuttora ignori la sola patria, per la quale principal mente io mi sono studiato di farmi illustre. N a voi pure, o fratelli, noto, per quanto veggo, questo al meno, che io mi trovo superiore a molti s nel discorso che ne' costumi; perocch in qual modo mi stimereste voi diversamente di quel ch'io sono? O grave ignoranza di coloro che hanno bisogno che altri li prevenga, am monendoli di quelle cose, delle quali solamente, per essere allatto indotti, non aspettansi di venire istruiti ; ignoranza, dico, della patria e de'fratelH. A me certa mente non nascosto quanto sia bello il risguardar co me patria la terra tutta, come fratelli ed amici tutti gli uomini, perocch dagli dii provengono, e sono di una stessa natura; massimamente che avvi una egual comu nanza di affetti in ogni modo ed in tutti, e in qualun que luogo, e presso qual vogliasi condizione, sia egli 1' uomo o barbaro o greco o altrimente nato. Ma 1' af-, fetto della parentela non pu esser vinto da nessuna sapienza, ed ogni cosa a s trae la cosa che le pa rente. Cos l'omerico Ulisse, come raccontasi, non pre fer alla sua Itaca l ' immortalit offertagli dalla dea (:).Io poi veggo che questa legge ha forza eziandio tra i
(!) Cio da Calipso , come pu vedersi nel v dell' Ot&yye#.

Si 8

E P IS T O L E

brut!, imperocch nessun volatile va a giacere fuor del suo nido, e quanto vive ne! mare ne bens estratto da chi il pesca, ma con invincibile affetto ha brama di ri tornarvi ; n !a fame tanto spinge le Rere, che lungi da!!e spelnche !oro rimangano. La natura produsse l'uomo, e perci anche il celebre per sapienza $ al quale sebbene ogni suolo largamente ogni cosa (bruisca, pure non oHre i monumenti degli avi da poter dimostrare*
XLV. ^ T w eJeFM M O .

Se la RlosoRa pregevole sopra ogni cosa, e se io sono reputato Rlosofo, ingiustamente si asserir odiar io i fratelli, e odiarli per una cagione poco lodevole e non liberale. Imperocch si suppone che ci proceda in grazia delle ricchezze, le quali io, prima pure che a losofar cominciassi, procurai disprezzare. Quindi de! non avere io scritto tutt' altra pi ragionevole causa andava pensata. Ed che io me ne astenni per non pa rere superbo scrivendo il vro, o di animo abbietto scrivendo il falso^ cosa, s l'un che l'altra, egualmente spiacevole s ai fratelli che a qualsiasi amico. Ora per ci pure vi avverto, che probabilmente iddio mi dar grazia che, visitati in Rodi g!i amici miei, non molto dopo io venga a voi, Rnita la primavera.
XLVL ^ ConeKo.

Dicono che tu abbia ingiuriato mio fratello Estieo, ci dopo essergliti fatto amico, se per tu sei amico di alcuno. Guardati dunque, o Gordio, di non far dan no ad uomo, che tal non pare ma . Saluta il Rgliuo!

DI APOLLONIO TIANEO 5 f9 tuo Aristoclide, che io desidero che a te non simigli. Eppure tu ancor fosti giovine lontano da ogni rimpro vero.
XLVII ^ a/ 4 % e'

A voi, che di tornar mi imponete, ubbidisco. Ci da! canto mio sommamente onorevole alla citt io stimo, quand' essa costringer possa un suo cittadino a cagion di onore. Certo che i! tempo che io ho speso a viag giare , T ho speso, bench i! dirlo senta di orgoglio, fine di acquistar gloria e fama a voi, e P amicizia di il lustri citt, non che di illustri uomini. Che se voi degni siete di una anche maggiore e migliore estimazione, ! forze mie e quelle del mio ingegno non hanno potuto n far n tentare di pi.
XLVH!. jZVofM no.

Assai t'inganni, se pensi che io abbia bisogno di cosa alcuna o da te, co! quale io don ebbi mai nulla di comune, o da chiunque altro egualmente che a te so migli. N ci che ti disponevi a spendere poteva in ve run modo avvantaggiarti, essendo io solito di ringraziare anche se nessuna spesa per me si faccia. Perch in sif fatta guisa soltanto io conservo i miei cstumi. E che tali sieno in me i costumi, e tale la disposizion mia verso tutti i miei cittadini ( non volendo per ci dire verso tutti gli uomini ), facil conoscere dall' esempio di altri concittadini, ehe io ho beneficati ogni qua! volta ne ebbero bisogno, senza per mai costringerli a far meco lo stesso. Non averti a male pertanto, che io

5^0 EPISTOLE abbia ripreso, come s conveniva, il mo domestico per avere a principio accettato alcuna cosa da te, e fattogli tosto quanto accett restituire a Lisia amico tuo^ come pure amico mio, giacch non conosceva egli nessuno de' serv da te lasciati. Che se si fanno discorsi contra di me, faccansene pure anche in appresso. Qual mara viglia? una specie di necessit il tener discorsi mali gni di tutto ci, qualunque sia, che sorpassa il restante Cos pur di Pittagora, di Orfeo, di Piatone e di So crate non soio si dicevano cose contrarie, ma eziandio si scrivevano $ anzi persino dello stesso Dio si sparla. Ma gli uomini buoni danno luogo al!a verit, s che conoscendosi alcun poco fra ioro ammettano ii contra rio del male che altri ne dice. Ben ridicola cotesta razza d' uomini ! dico di quella di cotal infimo genere. Quanto a me ci solo oramai sar bene di ricordare, che di me, come d' uomo divino, gli stessi dii (:) han no reso testimonianza. Ma i! parlar di s stesso con lo de non ist bene. Ti auguro ottima salute.
XLIX. ^ jfTerM C M tH P.

Le lettere da te mandate mi rallegrarono somma mente, perch racchiudono molta famigliarit e la ricor danza delia nostra prosapia; e ben credo al desiderio che hai s di vedermi che d'essere da me veduto. Io dunque verr cost, e fra non molto; per lo che vorrei che tu non ne partissi. Venuto ch'io sia tu converserai
(t) Vuoi dire sicuramente i filosofi indiani, i quali si chia mavano d!i, come dalla vita antecedente lib. H i , xvm, e dal discorso che Apollonio fa a Tespesione nel lib. V!, ed altrove.

DI APOLLONIO TIANEO 5 s: Meco a preferenza d tutt'altri parenti ed amici; che tale il debito mio.

In genere di dei sapientissimo era Pittagora; ma tu mi sembri ancora infinitamente lontano dalla vera filo sofia e scienza; senza di cbe tu certo n mal diresti di lu i, n torresti a perseguitare a morte alcuni suoi imi tatori. E dunque convenevole che tu operi in altra gui sa , giacch hai deviato dalia filosofia, n pi formidabil !e sei di quello che il fosse Pandaro a Menelao, quando turb i patR (t).
LI. yne4% e.yM no.

V'ha chi ti biasima di aver accettato danaro dall'im peratore ^ ma ci naturale , a meno che non credasi che tu tante volte e s gran mercede accettassi per la tua filosofia da quegli che ti reputava filosofo.
LH. medcMmo.

Colui che frequenti un uomo pitagorico quale e quante cose ne conseguir egli ? I! dir io. L' arte di formare le leggi, la geometria, l'astronomia, l'aritmetica, 1' ar monia, !a musica, la medicina, e la universale celeste divinazione. Ed anche le seguenti pi belle prerogative, cio grandezza d' animo , gravit, costanza, buona fa(') Pandaro mosso da Minerva scocc uno strale contro Me nelao , e non fece che sfiorargli la pelle ; e cos ruppe la tregua stabilita dianzi. Vedi Omero nel iy dell'

gas EPISTOLE ma, cognizione (e non opinione) degli iddj, certa scienza ( e non credulo consentimento ) dei demoni, l'amicizia di entrambi, Tesser contento di s medesimo, l'assiduita, la frugalit, la facilit delle cose necessarie, l ' integrit de' sensi, 1' agilit , la facile respirazione , il color conveniente, la sanit , la tranquillit , l ' immor talit. E da te cosa conseguono quelli che ti frequenta no ? La virt che tu hai.
U H . C/dK6?/o af de'TTanet(i).

Apollonio vostro concittadino, filosofo pittagorico, che ha fatto un bel viaggio in Grecia, e molto ai nostri giovani insegn, che voi di degni onori premiaste, co me meritano i buoni uomini, e coloro che veramente sono filosofi, anche della nostra benevolenza accompa gniamo , la quale con questa lettera abbiamo voluto ren dervi nota.
LIV. Roman/ (2).

Alla maggior parte di voi stanno a cuore i porti, gli ediEcj, i portici delle fabbriche e dei templi, ed i pas seggi. Ma n a voi n alle leggi stanno a cuore i fan ciulli sparsi per le citt, i giovani e le donne. Conveni va egli dunque 1' accordarvi 1' autorit che avete?
. (<) Dopo aver lungamente dimorato nell' ndia ed in Asia ApoHonio venne richiamato alta patria, e colmato di onori. Ci debb' essere avvenuto poco prima della morte di Claudio im p., che lui di questa graziosa lettera (a Fiostrato rimasta ignota) aceompagn. (a) Cio ai proconsoli e pretori delle provincie.

DI APOLLONIO TIANEO
LV.

5a3

Egli naturale , che ogni cosa giunta al suo termine finalmente perisca; questo appunto cagiona vecchiezza in tutte le cose, per cui non puonno pi oltre sussistere. Non ti crucci pertanto la perdita della mogHe nel fiore degli anni suoi, n giudica, perch la morte dicesi essere qualche cosa, che miglior sia la vita , la quale anzi molto da meno stimata da coloro che ben la pensano. Tu dunque seconda il fratello, che per notis sima professione filosofo, e specialmente pittagorico, cio ApoHonio, e fa che la tua famiglia ritorni nell'an tico stato. Perch sebbene nella prima moglie alcuna cosa noi riprendemmo, non senza cagione ci mostrava mo timorosi. Ma se fu essa custode della sua onest , amorosa al marito, e quindi, meritevole di stima, per ch con agitato animo non aspetteremo noi lo stesso da un' altra ? La quale anche verisimile che vorr esser migliore, se vedr che nel biasimo della prima tu non fosti ingiusto. Oltre a ci movati anche !' interesse de' tuoi fratelli, finora perci conservato. Imperocch il maggiore di essi ancora non si ammogli ; e quanto all'ultimo ancora gli riman la speranza di aver de'Egli, bench ci non picciol tempo richiegga. Noi tre na scemmo da un sol genitore, e nessuno di noi lo an cora; quindi in egual pericolo si trova la patria e la f& * miglia nostra. E se noi siamo del padre nostro migliori (bench, essendo egli padre, inferiori gli siamo} non egli verisimile che migliori saran pure queHi che da noi

5i4 EPISTOLE verranno ? Nascano adunque, onde lasciar loro i nomi nostri, nel modo che i nostri avi composero la serie de' posteri. Di pi non potei scrivere a cagione delle lacri me , n altro aveva di pi opportuno da scrivere.
LVL jft <RzM #ayM .

Creso perdette il principato de' Lidi, dopo superato Haly. Fu preso vivo, messo in ceppi, posto sul rogo, nel quale vide acceso il fuoco e in alto salire : nondi meno visse, perch era caro agli iddj. Che fece egli dipoi codesto vostro progenitore insieme e re ? Quegli, che senza sua colpa avea tanto sofferto, venne ammesso alla tavola del suo nemico, e gli divenne benevolo con sigliere e fido amico. Ma presso voi ogni cosa perfida, illegittima, implacabile, non che profana ed empia , contro i parenti, i figli, gli amici, i cognati, gli operai. Voi siete nemici, senza che abbiate per superato Haly, e senza avere data ospitalit a stranieri. E la terra vi accorda i suoi frutti ? o terra ingiusta !
LVH. ycrtMort (*).

Il lume la presenza del fuoco, perch certamente non esisterebbe in altro modo. Fuoco adunque quel medesimo da cui noi veniamo compresi, e quegli cui tocca ne abbrucia. Il lume invece of&e lo splendor suo soltanto agli occhi, agendo sovr' essi non col far forza ma persuadendo lenemente. Cos il discorso : uno
(t) L' oggetto di questa lettera parmi relativo a quanto si legge nel xxx del lb. tv della vita di Apollonio.

DI APOLLONIO TIANEO 5*5 quasi altro fuoco, e a noi riesce molesto, 1' altro fa lume e splendore. E dato che sia questo il migliore ( ove ci che io dico non sia pi che un desiderio ) vorrei che a me fosse concesso.
LVHI. ^

Nessuna cosa perisce interamente, ma soltanto in ispecie, come nessuna, fuorch in ispecie, se ne gene ra (:). Perch quando una cosa passa dallo stato ef^enza allo stato nafMra , ci pare una generazione ; come par morte quando dallo stato < & natura a quello e^enza ritorna. Siccme dunque niente si genera assolutamente, e niente assolutamente si distrugge, ma solo ora si rende visibile ed ora si sottrae di bel nuovo dalla vista, nel primo caso per la densit della materia, nel secondo per la tenuit dell' eMenza, cosi questa sempre la stessa, tranne la differenza di moto o di quiete. Qusta differenza propriamente necessaria alla mutazione, la quale non avviene estrinsecamente, ma a cagion della quale il tutto si trasmuta in parti; e le parti ritornano poi nel tutto quando tutto ci che le compo ne si ricongiunge. Che se alcun dimandasse : come na sce che ci si renda ora visibile, ora invisibile, e
(i) Questa lettera un saggio di filosofia pittagorica-platonica sul principio sostanziale delle cose; e puossi riporre tra i molti sogni cosmogonici e metafsici de' filosofi s antichi che moderni. Alla difEcolt somma dell'argomento unisce questa lettera la som ma oscurit de' termini e dei periodi ; la quale ho io studiato di rendere chiara il meglio che era possibile. Del resto la dottrina di Apollonio qui dettata pute alquanto di Spinosismo.

5s6 EPSTOLE formisi o cogli stessi principi o con diversi : potrebbe rispondersi : secondo porta la qualit del genere, qua lunque ei sia, delle cose poste nel mondo, che quando pieno si rende visibile per la densit che ritiene, o invisibile ove per la sua tenuit diventi, per cos dire, vuoto ; secondo che la materia, la quale da un intrin seca forza ritenuta, trabocca dall'eterno vaso che la contiene, il quale non ha n principio n Rne. Ma che direm noi dell'errore da nessun avvertito pertanto tempo ? Pensano alcuni, i quali hanno soltanto posta cura alla causa paziente, ignorando che ivi pur fosse un principio efficiente, che tutto ci che nasce per mezzo di genitori non nasca altrimenti dai genitori, come causa efBciente ; in quella guisa che quanto sorge dalla terra, non la terra che lo produce. Ma nessuna modi6caz!one delle cose visibili spetta ai singoli i&a, bens qualunque modificazione spetta alla singola cosa. E ci con qual altro nome vorr chicchessia chia marlo fuorch con quello di prna eMnza ? la quale senza dubbio la sola che fa, in Cui si fa, che diventa tutto in tutte le cose, Dio eterno, sol che si ammetta, bench non giustamente, un nome proprio, applicato alla variet de' nomi e delle forme. Ma ci cosa da nulla. Alcuno per si lagna eziandio quando per cam biamento, non di natura o di essenza, ma di modi6cazione, diventa Dio chi era uomo (:). Se vuoisi per dar luogo alla verit, tu non devi avere dolor deHa morte,
(t) Essendo Iddio ogni cosa, come ha detto poc'anzi, ne viene che sa anche uomo senza pregiudizio delia sua divina es senza. Questo parmi aversi voluto qui dire.

DI APOLLONIO TIANEO 527 ma s onore e rispetto. Ottimo culto pertanto e di te degno sar, ove, a Dio lasciando quello che cost si pratica, governerai gli uotnini alla tua cura afEdati nel modo che li governasti sin qui. Vergogna per te sareb be , che il tempo , anzi che la ragione, miglior ti ren desse , poich il tempo allevia il dolore anche agli uo mini malvagi. Grandissima cosa un' amplissima magi stratura, e chi alle grandi case presiede ottimo diverr, quando impari dapprima a presiedere a s medesimo. Come pu esser lecito il pregare che non accada ci che per volont di Dio accade ? Che se avvi nelle cose un ordine, e certamente vi ha, ad esso presiede Iddio; il sapiente al certo non sceglie da s stesso i beni, che ci sarebbe un ingiusto appetito e farebbesi contro l'or dine, ma tutto quel che gli accade considera come util suo. Divagati, sana te stesso, esercita la tua carica giu diziale , emenda i rei, e cos asciugherai le tue lagrime. Non i privati interessi vanno anteposti ai pubblici, ma i pubblici ai privati. Oltr' a ci quanta sorta di conforti non hai tu avuto ? Tu hai pianto il Bgliuol tuo insieme a tutta la provincia. Sia grato a coloro che teco pian gono ; e grato sarai se di pianger desisti, se pi oltre non ti affiggi. Dici di non avere amici, ma hai un Bglio. Morto egli pure? Ci dica chi veramente lo sappia. Perch ci che non perisce, perch appunto ci che non debbe aver 6ne, altrimenti converrebbe credere che anche dal nulla qualche cosa potesse trarsi. Ma come sarebbe ci possibile, se non accadde mai che cosa alcuna si convertisse nel nulla ? Altri iors' anco ti dir che s facendo tu oHendi la piet e la giustizia,

EPISTOLE cio la piet verso Dio, e la giustizia ed anche la piet verso il figlio. Vuoi tu sapere cos' la morte ? Levami di qua, me separando dal corpo dopo questa voce (:), la quale se tu non rivestirai di bel nuovo, tu mi avrai reso ad un tratto migliore di te. Tu hai tempo, hai moglie prudente e amante del marito, sei di tutte le cose istruito, prendi dunque da te medesimo quel che desideri. Un Romano negli antichi tempi, perch l ' au torit e il decoro dell' impero non soffrisse macchia, uccise il proprio figlio, e l ' uccise menta*' era vincito re (a). Tu , nobilissimo , fra i Romani, presiedi a cin quecento citt (3); ma tale hai reso la condizione tua, che un altro non potrebbe nemmeno presiedere con si curezza alla propria famiglia, non che a citt ed a pro vincie. Se cost fosse Apollonio, persuaderebbe senza dubbio Fabulla (4) a non piangere.
528

H X . Garwo re dei .Ba&Mmayt a A eogW M & z re deg# furiant (5).

Se tu non ti prendessi briga degli affari che per nulla


(!) Pare che intenda altro la morte non essere che 1' ultima emission della voce e del Rato, ossa dell'anima, la quale se di materia non rivestita, riprende la sua natura divina. (2 ) Ognuno conosce la storia di T. Manlio 7 trasmessaci da Livio nel vm , da Floro nel , ecc. (5) Da ci pu dedursi , che cotesto Valerio era proconsole in Asia, dove GioseSo novera appunto 5oo citt (#<?//. JM., lib. n). (4) Questo debb' essere il nome della moglie di Valerio. (5) Come questa lettera si trovi fra quelle di Apollonio, non possibile sapere. Ma essendovi io la riporto. Q uando Apollonio fu in Babilonia il re che vi trov era Bardane, e nessuna parola

DI APOLLONIO TIANEO 529 a te spettano, non eserciteresti autorit, n dresti sen tenze in Babilonia, regnando tu sull' India. Qua! rap porto hai tu dunque co! popo! nostro ? Altra volta hai tentato al mio impero, blandendomi con lettere, ce dendomi tanti comandi, e mascherando di umanit 1' avarizia. Ma altro pi non (arai, perch non hai po tuto restar nascosto.
LX. ^ JFa/rafe.

Prassitele di Calcide fu un uomo furioso (:). Costui comparve dinanzi !a casa mia, impugnando la spada, in mezzo a Corinto, assieme a un cotal tuo famigliare. Qual dunque la causa di coteste insidie ? Io certa mente non ho mai scompigliato i tuoi bovi (2) ;
. ...

A < ?

cM yw o& t g:6g& * om & roM e t/ pelago jowora

tra la mia e la tua filosofia. LXI. ^ Zeg& onaM e. Sapient' uomo fu lo scita Anacarsi. Ma s' eg!i vera mente fu scita, dunque anche uno scita sar sapiente.
vi si disse di Garmo. Quando fu nell' ndie di qua dei Gange, il re era Fraote , di l non altro dice se non che era un bar baro. (*) una replica di ci che scrisse neli'anterior lettera n. xxxvn. (2 ) Maniera proverbiale , tratta dall' Iliade ( lib. ! ) , come ne son tratti i seguenti versi, che io ho copiato dalla traduzione del cav. Monti.

M m ,Z .

54

53o

E P IS T O L E LXIL f ZaceffewOM* a 6?

Noi ti destiniamo gii onori che ti sono dovuti ( t ) , e perch tu ne sia certo marchiamo coi pubblico sigillo il presente dispaccio.
LXHI. a* e /oro

Vidi i legati vostri non aver barba, succinti i Ranchi e le cosce, di bianche leggieri e pieghevoli tuniche ve stiti, le dita circondate di molti e preziosi anelli, e i piedi di ionico calzare coperti (a). Per conseguenza io non potei riconoscerli per que' legati che dicean d'es sere; di fatto la lettera li qualificava soltanto per Lace demoni.
. LX1V.

Soventi volte mi chiamate a porger consiglio alle leggi vostre ed alla giovent. Ma non la citt di Solone quella che mi chiama. Rendasi dunque ossequio a Li curgo (3).
LXV. .E/y/ aJ % e y M y ? M ? JPtana.

Voi praticate ogni sorta di sagriEzj, ogni maniera di reai culto; non siete perci n crapuloni, n spregevoli
(t) Vedasi nel lib. nv xxxi 1*onorevole accoglienza (atta da gli Spartani ad Apollonio in Olimpia. (a) Nel { xxvH del libro succitato veggonsi gli stessi rimproveri; cosicch pare che Filostrato avesse questa lettera sott' occhi. (5) Solone diede le leggi ad Atene, Licurgo a Sparta. Sparta chiede i lumi d' Apollonio, il quale pare perci compiacersene.

DI APOLLONIO TIANEO 53: diluviatori, smpre pessimi vicini ed ospiti della dea. Ma non si rifugge parimenti cost qualsivoglia monello, o ladrone , o falsario , e qual si sia empio e sacrilego ? Perocch veggo che cotesto tempio il luogo sicuro di coloro, per cui 1' altrui roba non sicura.
LXVL

Arriva di Grecia un uomo, greco di nascita, non ateniese n megarese, chiamato Apollonio, per soggior nare con la dea vostra. Preparatemi un luogo, e assi curatevi che non ci sar bisogno di espiazione, quan di auche vi rimanessi eternamente (i).
LXVH. yne4% esvM t.

Il tempio aperto ai sagriRcatori ? ai divoti, ai can tanti , ai supplichevoli, ai Greci, ai barbari, agli uo mini liberi ed ai servi. Questa legge pi che divina ; e ben vi conosco i simboli di Giove e di Latona (3) ; purch ci soltanto ne ottengano (3).
LXVIH. ^

Un terremoto ha percosso il vostro paese, come pi volte percosse 1' altrui. Questi per sostennero la dis grazia loro avvenuta per una fiatale necessit, e degli
(t) Allude qui pure al diritto d' asilo , che otteneva nel tem pio di Diana ogni sorta di canaglia , come ha detto nella lettera antecedente. (2 ) Di cui Diana era figlia. (3) Cio, che non altro i malvagi vi abbiano che 1' asilo.

Ma EPISTOLE altri che pur la soffersero sentirono piet, noh odi. Voi so!i il ferro e il fuoco impugnate contro gii stessi dii, anzi contro que' dii, de' quali in qualunque stato ^ e prima e dopo i pericoli, hanno g!i uomini maggioremente bisogno. Eppure andate dicendo continuamente ( allora che Nettuno scuote la terra vostra ) che un fi losofo , un amico de' Greci, il quale pubb!icamente cotesta sciagura ha palesato, e i terremoti imminenti pre detto, ne la cagione (t). Oh pubblica goHaggine! Eptpure si dice che Talete fu un vostro antenato (a).
LX1X. ^

Molti da molti luoghi, quale per una causa qua! per un' altra, giovani e vecchi, usano visitarmi. Io dunque mi fo a considerare, il pi esattamente che sia possibi le, la natura e l'indole di ciascheduno, non che il pen sar loro, o buono o cattivo, verso la patria. Sino a questo giorno per non trovo motivo di preferire a voi TrallianLn i Lidi, n g!i Achivi, n gli Ionj ; come nemmanco, tra que!li de!l' antica Grecia, i T urii, i Crotoniati, o i Tarentini, o altri che per cotai luoghi son detti i beati Itaiani, n qualunque altro popolo. Qual dunque la causa per cui tanto io vi stimi, ben ch non abiti con siflatti uomini, alla cui stirpe tutta via appartengo? Il dir in altra occasione. Ora altro tempo non ho che di lodar voi, ed i vostri magnati,
(') Parla di s medesimo. Veggasi in proposito il xx dd Hb. !V. (2 ) Insigne fsico, ed uno de'sette sapienti.

DI APOLLONIO TIANEO S33 tome coloro che d gran lunga superano per virt e pcf sapienza i principali d^!e altye citt ^ 3 qeHi spezial mente deHe citt, da cui traggono origine.
LXX

Voi siete orinndi da Atene ^ come dice Platone nei Timeo. Ma quelli bandiscon daH'Attica !a vostra comun dea, da voi detta Neith, da essi Minerva, cessando di esser Greci. Cme cessin d'esser Greci, ora dir. Nes sun vecchio d*Atene sapiente , imperocch a nessuno interamente venuta la baA a , ed alcuno non ne ha affatto. Adulatore in casa, cortjgianp sugli usci, mez zano eziando dinanzi lunghi muricciuoli, e parasito ne! porto Munichio, e nel Pireo ; insomma la dea non abita pi n anche H Sunio (i).
LXXI.

A vostro avvilo i Greci sono cos chiamati per la di scendenza e r antica loro colonia. Siccome poi son proprie a! Greci le consuetudini, le leggi, la lingua ed costumi, cos Io sono !e indoli e le speie degi uo mini. Ma alia maggior parte di voi non pi restano nemmeno i nomi greci, ma per la presente vostra feli cit perdeste persino i contrassegni de' vostri maggio ri (2). Essi pertanto a bun diritto sino dai sepolcri loro
(<) Ultimo promontorio deli* Attica, nel quale nemmeno pu credersi rifuggita Minerva, essendo gli Ateniesi involti ne' vizj. (a) La Ionia venuta in poter de* Romani, e d essi colmata di beneAcj, pot dimenticarsi d'essere greca.

(0 ?W .

*34

534 EPSTOLE vi allontanerebbero , perch vi sareste riconosciuti. In? fatti se gi possedeste nomi di eroi, e di illustri capi tani di navali battaglie, e d tegislatori, ora quei pos sedete dei LucuHi, de' Fabricj e de'beati lor Lucii. Io per vorrei pi tosto esser chiamato Babbeo.
LXX1I. ^

Il genitor nostro ApoHonio discese da tre Menodoti; tu brami ad un tratto aver nome Lucrezio, o Lupes co. Da qual di costoro discendi? poi vergogna Pavere il nome di alcuno e non le qualit.
LXXllI. yne;f& M 7H <7.

Io mi trovo lontano daHa patria con buona fortuna. Tuttavia mi vengono in mente gli interessi delta citt. Imperocch il fato spinge al termin loro quegli uomini, che avevano a sorte conseguito i primi onori cittadine schi. In appresso per comanderanno i ragazzi, e poco dopo i bambini. Quindi mi nasce il timore che la cosa pubblica, se venisse trattata dai giovani, non andasse a terra ; il qual timore per tu non devi avere, peroc ch noi gi passammo gran parte della vita nostra.
LXXIY. Jfg/

Meschina era la figura di Basso e meschina la su^ rendita, bench il padre suo possedesse grandi ricchez ze. Dapprima quindi fuggi aMegara, insieme aduno de' suoi innamorati, per quanto si dice , e in compa gnia del mezzano. S l'u n che l'altro per non avean

DI APOtLNIO TIANEO 535 modi n pel viaggio n pel vitto. Pass poi nella Siria. Eufrate ricevette codesto svenevole, come rilevato lo avrebbe, essendo egli tuttavia belloccio, qualunque altro, che ne avesse bisogno, e cui piacesse a cagion di amore abbracciare un tristissimo partito (:). LXXV- ^ A! Bglio di Aliatta mancavano le forze ed i consigli per difendere la citt, sehben fosse un re, anzi un Cre so. Ma voi cme e in qual Mone afEdando rompeste una imperdonabile guerra, giovani, fanciulli, vecchi, anzi persino donzelle e donne? Convien credere che la citt vostra sia ora preda di qualche fria, e non pi di Ce rere , perch questa diva ama gli uomini, ma a voi chi ispira tanto furore ? (a) LXXVI. ^ Era naturale che un vecchio filosofo bramasse visi tare la vostra antica e vasta citt. Io dunque vi venni spontaneamente, non aspettando d'esservi, com eta pi altre, invitato , per tentar pure se io potersi la vo stra citt conciliare coi buoni costumi, co' talenti, con le leggi e con Dio ; e feci a tal fine quanto mi fu pos(:) I! Basso, del quale qui scritto, quel medesimo cui ve demmo diretta la lettera xxivi. Siccome Eufrate aHettavq la fi losofia amstera degli stoici, cosi Apollonio fa a questi conoscere quanto fosse indegno di appartener loro. (a) L ' oggetto questa lettera la sedizion de* Sardiani, alla quale pure spettano pi o meno le lettere xxxvHi, xxxnc, 3&,LVt.

536 EPISTOLE sibile. Ma la sedizione, come altri disse, p peggior della guerra. . Qualunque cosa abbia o idsgUata^ intorno alla Rio* so6 a , non la insegnai per Eu&ate. Nessun creda per che mi recasse timore n la spada di Prassitele n il veleno di Lisio (:); giacch son questi i bei tratti d^EuAate. LXXYHL ^ fara % % < ;A e so/^o cp/t /w.

. . . . nob per le acque di Tantalo, con che mi ini ziale (3). LXXIX. Quando P animo non calcola ci che possa bastare a corpo, non pu nemmeno essere content di s mede simo , e a s bastare (3). LXXX. ^ uomini pm ragguardevoli sogliono esser brevissimi he't#r& discrsi. Se dunque i ciarlieri sentissero la mo+ lesti , ehe agli altri cagionano, si;renderebbono meno prolissi nel parlare (4).
(*) Yeggansi le lettere xxxv: e nx. (a) Questo (rammento si trova in Porfirio verso la fine del suo M6rb Quanto dlP oggetto consultisi la vit4), Rb. Mt,

^ itiii, xxxii e n.
(3) Altro (rametit serbatoci da Stobeo nel sermone X . (4) E questo brano di lettera pur dovuto a Stobeo nel serMone xxxvi, e 6o5 tutti ^elH che seguono sino alla &&e, che egH % 4 h trasmesso sparsi ne*suoi discorsi.

DI APOLLONIO TIANEO
LXXXI. ^

53y

Simonide ha detto non essersi mai pentito d aver taciuto, e spesso di aver parlato.
LXXX!I. ^ ?ne4f< M M 7H .

La loquacit strascina a molti precipizj; perci pi sicura cosa i! tacere.


LXXXHL

Abbietta cosa i! mentire; l'uomo ingenuo ama !a verit.


LXXX1V. ^ ZMMqpoR.

Non credete che a me sia facile il persuadere altrui di checchessia; perocch usando io pure di poltiglia e di vitto qualunque, non riesco a fame voi persuasi.
LXXXV. ft&Hweneo.

Noi facemmo studio di accontentarci del poco, non gi con animo di sempre far uso di vili e misere cose, ma per fortificar 1' animo rispetto ad esse.
LXXXYI. H H

Il frutto dell'iracondia la insania.


LXXXV!!.

L'affezione dell' ira , ove non si curi e guariscasi, degenera in malattia naturale.

538

EPISTOLE DI APOLLONIO TIANEO


LXXXV1U. ^

Parecchi son g!i uomini che de'proprj delitti s fanno avvocati, e d quelli da altri commessi accusatori.
LXXXIX. Danao.

A cosa fatta pi non si pensi.


XC. ^

Il non essere, niente ^ 1' essere un guaio.


XC1.

Non si ha da avere invidia di alcuno ; perocch buoni meritano !a buona fortuna, ed i cattivi vivono male anche con essa.
XCI. ^ JD/anM M ?.

Prima che vengano addosso i malanni, sta bene lo imparar quanto giovi una tranquilla sapienza.
XC1II. ^

GH amici, di cui veniamo privati, non debbonsi con pompose lagrime onorare, ma serbarne grata memoria, perocch lietissima vita quella che noi facciam con gli amici.
XC1V. ^ Tleefefo.

DeHe cose che ci riescono moleste conviene cercar sollievo nelle sciagure degli altri.
XCY. ^

Breve la vita per colui, cui va tutto a seconda ; lunga per quegli, cui poco favorevole la fortuna.

BIBLIOTECA GRECA VOLGARIZZATA

IL TIPOGRAFO EDITORE

Promisi d dare in luce co' miei torchi una TR&Rofec greca solarizzata de! tutto simi!e ne! tipografico lavoro all' altra mia edizione CoMana Jeg/: anticA: jforM! grec* so^arzzaff, ed ora colla pubblicazione de! I.** volume delle Opere d'Isocrate comincio a tener mia parola. Il quale Saggio varr a far meglio conoscere ag!i amatori della greca Letteratura i pregi della nuova impresa, ed il frutto che potr derivarne alla studiosa giovent. Ac ciocch poi ognuno pi maturamente deliberi sulla pro posta di sottoscriversi alla intiera collezione, intendo che le Opere d'Isocrate, tutte comprese in due soli vo lumi , e rilasciate al mero prezzo di associazione non debbano vincolare all' acquisto degli autori successivi. Le sottoscrizioni adunque sortiranno i! loro pieno effetto colla stampa del terzo volume, il quale conterr ezian dio 1' elenco delle opere principali, co' rispettivi nomi deloro volgarizzatori, che avranno luogo in questa rac colta. Imploro de! pubblico buona accoglienza alle ar due mie fatiche, ed incitamento a reggerne il peso.
PROSPETTO DELL' ASSOCIAZIONE SUDDETTA

In quest Biblioteca si comprenderanno gli Scrittori gentili e cristiani, i poeti ed i prosatori nei var} generi dell'umano sapere. Fra le traduzioni si sceglier quella che viene repu tata la migliore da! comune consentimento, e quando

siano diversi! componimenti dello stesso Autore, e pi li suoi traduttori, si cercher sempre di conciliare colia scelta la variet. Che se di qualche Autore non si pos siede che una sola versione, a lei si avr ricorso ; e se di tal altro nessuna per anche se ne possedesse, verr supplita a questa mancanza o colla pubblicazione d manoscritti inediti, o coll' aiuto di valenti letterati, che promettono favorevolmente 1' opera loro. Ciascun Autore star da per s solo, e sar anche venduto separatamente, come si pratica cogli Autori componenti la Co/Zana &or:c! ; e quando per la tenue mole pi Autori in un sol volume si contenessero, un separato frontispizio, ed una impaginatura separata li distinguer in modo che P associato, o il compratore della T&Miofeca potr alla fine dell' edizione riunirli fa cilmente , secondo il genere cui appartengono, o P or dine de' tempi, o la qualit degli argomenti. L'edizione verr eseguita in doppio formato, cio di ottavo, e di quarto in carta velina, del tutto simile a quella degli Storici Greci, perch possano questi con quelli formare la suddetta JM'/io%eca Greca yo^gawzzafa. Il prezzo sar di un cent. ita!, alla pagina pei signori Associati a tutta la i& & /M y% eca, e di un quinto di pi per quelli che vorranno gli Autori separati.
M i! a n o , L u g io 1828. H T ip . FRANCESCO SONZOGNO q." G . T&.

, K M #?. 3y55.

ELENCO
DEGLI
S T O R ! C ! G A P U B B U C A T !
DELLA

^faMOCMZ. M t 8. m 4- D iTTT e DARETE. Storia dell'assedio d Troia, v. i . ^ r . 6,:5 DioDORO SicuLO. Biblioteca Storica, v. 7 . . . a 55,4? FLAvio. Antichit e Guerre giudaiche, v. 7 . . ^ 35,90 SENOFONTE. Ciropedia, v. a ................................ )) 6,67 Storie greche, v. : ......................................... a 4,3a Opuscoli, v. a . . . . ............................... a 8,98 D10NE CAssio. Storie romane coll'aggiunta dell'Epitome di SiRlino, v. 5 ......................................... ^ 52,57 PonENo. Stratagemmi, v. : .................................... )) 5,20 ERooiANo. Vite degli Imperadori dopo Marco, v. :. M 3,90 DiowiGi D'ALicAitNASso. Antichit romane, v. 3 . ^ 16,a5 Opuscoli, v a .................................... ..... v !!,74 * ERODOTO. Le nove Muse , v. 2 .......................... * 16,67 * PLUTARCO. Vite degli uomini illustri, v. 6 . . ^ 49)49 * Opuscoli morali, v. 5 .................................... a <8,46 * PonBio. Le S torie, v. 4 .................................... " 27,60 * STORici M INORI. Trattati v a rj, v. 2.....................n : i ,55 ARRiANo. Storie su la spedizione di Alessandro, v. 1. " 5,45 Opuscoli, v. ! ................................................... ^ 8,75 * PAusANiA. Descrizione della Grecia , v. : . . v 9,10 APOLLODORO. Biblioteca , v. 1 ............................... " 5,80 * STRABONE. Geografa. 1 prolegomeni, v. n . . ^ 8,08 * FiLosTRATi. Le Opere ^ v. i ............................... w 6,20 io, 5o 65,17 61,80 n ,45 7,80 16,5o 67,01 9,40

6,55
28,4o 22,i5 24,60

83,64 34,48 43,65 20,85 8,85


i5,57 14,60 10,17 12,75 11,55

N. B. jPegH jtorfct ^M&fettz Aappe^e a/cunt e^emp/art ^ carta c o tta, t ^aatt poj^ono ac^KMtar^t co/: ^aatcAe p/cco/o aame/to prezzo. O/tre ^ cAe ^e/z^o/zo ay:cAe aMtort jep aratt co/t woft/ca agg^za^ta a t prezzo 6%'ag.yoc/az/oHe. f potaci /?/:ora pa&57icat^co^ta/2o m 8.fr. 552, : 6 , e^ tw 4* A *. 582, 48. L 'a^ter^co * inarca /e opere yzo^ accora cowptete. GiuLiAKo. Opere ^ce/te. Primo volgarizzamento italiano, del conte Spiridione Petrettini corcirese , in 8.0 , fr. 5. ^aawtMM^Me /e Opere CiMt/awo a rigore tery^wt ?:oyt a&&ta?z ^e^te^ra qraette cAe co^tita/^coMO /a Co/Ja/^a ^eg/i a/z//cA^ *y/or/ct G rec:, tate 7' ^ per ^ e ^ e ^ a^Mtt cAe M gtac?/c co/zpe/:tewt^-y/wo ^ rendere comune a ^ ewtraw^e /t yr?Mato <?et^ e^ttz/o/!e 8.0 , /t caratteri e /a carta / co^i potr^y:/:o / Pi gnori ^t^oc/ati atta Co/ta^a , ^yaatora ^e ^rawt^o t' ac^KMto , M^er/rte ^tccorojawey!te ^otto ognt rapporto nef/a /oro ?accotta.

AUTORI DELLA SUDDETTA


/n dt FiLosTRATi. Ae O^cre. Nuova traduzione di Vincenzo Lancetti, i voi. l ed ultimo. PtuTARco. Z rM & ce geyMra^e, e Cowwe^^ tw y , con nuove aggiunte alle Vite degli Uomini illustri, il voL V i! ed ultimo. QpaFcoR Traduzione dell* Adriani riscontrata nuovamente col testo greco da Francesco Ambrosoli, il voi. !V. PouBto. Le &orte. Nuova trad. del dott. !. Kohen, il voi. V. ERO DO TO . Ze noce J% Me. Nuova traduzione del cav. Andrea Mustoxidi. il voi. li. PAosANiA. Dejcnzfowe d^JJa Crec/a. Nuovo volgarizzamento dei cav. Sebastiano Ciampi, il voL .

STO RICI M iN O R n. 2 * % 4 % M Z M ? 7 Mdfpe/ve, tra le quali molte nuove, il voi. ii.


PRO CO H O . tSY crH Z jegW^a. per

ST R A B O N E .f

R&rt dt Geogr^/!a. Nuova traduzione del cav. de: diteci Nuova

SEN O FO N TE. Z'aMa&aj/, o jta Za

Andrea Mustoxidi.

traduzione del profi Carlo Boucheron. APPIAN. 7 de/Ze &or/e RowMne. Traduzione dell'ab. Marco MastroRni. TcciMDE. Z < ? CMerre fra : pcpoRdeJR: J^brea ed r CarfagineM. Nuova traduzione.
DiOGENE LABRZio. J jKC d e/Z e^ /e, d!e'djywn/ e degZ/ app*-

de* <?A/ar/ /?Zcyq/Z. Nuova traduzione del conte Luigi Lechi. OPERE DIVERSE A^McaZe. BIBLIOTECA GRECA VOLGARIZZATA. Orazio^t ed J5 ]pMfoZe d'fyocrafe recate dal greco nell' italiano idioma ed illu strate da G. M. Labanti, corredate in questa seconda edizione di nuove aggiunte ed importanti annotazioni del Brequigny, Cesarotti, Coray, Mustoxidi, ed altri critici, il voi. 1, in 8.* . . .................................................. Fr. 5,oa PAEsi (i) del lago di Como in nuova foggia descritti ec., con ua carta topograRca e sei vedute, in i8^ . . . . B i,y 4 PoLi. *S3gg:o ^Zo^q/?co, in m ........................................* 4,io

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