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rischio calco lat o .

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http://www.rischio calco lato .it/2013/10/o perazio ne-verita-a-che-punto -e-la-no tte-italiana.html

OPERAZIONE VERITA: A CHE PUNTO E LA NOTTE ITALIANA

Premessa: In questi anni di crisi, oltre alle tasse e al disagio economico e sociale, c stata unaltra grande costante che ha tenuto compagnia alle nostre giornate, ai nostri momenti: la menzogna prof erita in modo sistematico dai vari governi e dai politici di turno che, in maniera spudorata e vergognosa, hanno reiteratamente mentito e mistif icato (e continuano a f arlo) circa lesatta situazione delleconomia e dei conti pubblici, in costante ed inesorabile deterioramento. chiaro che tutto ci incorpora evidenti elementi di criminalit, proprio perch tende ad alimentare f alse aspettative nei conf ronti degli agenti economici pi deboli: i disoccupati con le loro f amiglie e le imprese, prime vittime sacrif icali di questa crisi. Proprio per questo, insieme ad altri siti amici, tra i pi seguiti in Italia di economia, tutti liberi e senza padroni, abbiamo pensato di lanciare, coralmente, tutti insieme, questo post divulgativo al f ine di f ar ben comprendere lesatto stato dei conti pubblici e delleconomia. LA MENZ OGNA

I grafici che seguono esplicano in maniera esaustiva i clamorosi errori previsionali commessi dai vari governi che si sono alternati negli ultimi 3 anni di cirsi, su Deficit Pubblico, Debito pubblico e Pil Nominale.

Come noto, appena qualche di settimane f a, il governo ha reso pubblica la Nota di Aggiornamento al DEF. Per chi non lo sapesse, il DEF il documento di economia e f inanza che rappresenta il punto nodale nella programmazione della politica economica e di bilancio del paese. Il punto dincontro tra politica nazionale e lUnione Europea, che incorpora le variabili macroeconomiche e di bilancio che il governo stima si possano realizzare, stante una crescita presunta del PIL. Leggendo il documento licenziato dal governo, la cosa che pi lascia perplessi, dover constatare la volgarit della menzogna esercitata dal governo, proprio su talune variabili che risultano manif estamente abbellite, taroccate, per nulla aderenti con la realt dei f atti, con lesatta situazione delleconomia italiana e dei conti pubblici. Questi ultimi, appositamente massaggiati per of f rire un quadro della f inanza pubblica migliore rispetto a quello che ef f ettivamente .

Cerchiamo di andare nel dettaglio. LA MENZ OGNA SUI CONT I PUBBLICI La nota licenziata dal Governo, rispetto al DEF di primavera, con la f ine dellanno ormai alle porte, recepisce ci che era ormai chiaro da mesi, pi o meno a tutti i commentatori di buon senso. Ossia che il Pil, anche questanno, diminuir dell1.7%(?), posizionandosi a 1.557,3 miliardi di euro, quindi ben oltre l1.3% previsto solo a maggio dal governo Monti. Sul f ronte della spesa pubblica, il governo, proprio con lintento di esporre un def icit migliore rispetto a quello reale, da un lato ha aumentato di un miliardo di euro la spesa corrente (pensioni, stipendi, acquisti); mentre, dallaltro, ha corretto al ribasso la stima della spesa in conto capitale portandola a 807,6 miliardi rispetto agli 810, 6 precedentemente previsti: quindi, 3 miliardi in meno di spese che aiuterebbero (secondo il governo) a f ar rientrare sotto il 3% lo sconf inamento def icit/Pil. Ma entrando nel dettaglio del DEF, si scopre che questo (apparente) miglioramento, determinato da artifici contabili, per cui si dif f eriscono allanno successivo (cio al 2014) talune spese in conto capitale originariamente previste nel 2013, nonostante la spesa per investimenti sia stata f ortemente ridotta in questi ultimi anni proprio per esigenze di bilancio, non considerando che questa determina anche delle manif estazioni virtuose per il ciclo economico. E ovvio che, se cossi f osse, questa pratica andr ad impattare sul f abbisogno del prossimo anno. Ci nonostante, analizzando le spese della amministrazioni pubbliche e proiettando al 31 dicembre il consuntivo realizzato nei primi sette mesi dellanno -dove sono cresciute dell1.8% rispetto allo stesso periodo del 2012- si osserva che queste, a f ine anno, dovrebbero aggirarsi intorno ai 678.5 miliardi di euro: cio 6 miliardi in pi rispetto ai valori rettif icati dal governo nella nota di aggiornamento. Sul f ronte delle entrate, a causa dellaleatoriet dei pagamenti da parte degli agenti economici, la questione molto pi dif f icile da interpretare. Anche se i dati disponibili delle entrate tributarie, per i primi 8 mesi dellanno, registrano una diminuzione dello 0.3% rispetto allo stesso periodo del 2012. Le entrate contributive, invece, secondo quanto comunicato dalla Ragioneria Generale dello Stato, nei primi sette mesi dellanno, si sono attestate a circa 124 miliardi di euro, in f lessione dello 0.9% rispetto allo stesso periodo del 2012. Proiettando a tutto il 2013 i dati sulle entrate tributarie e contributive realizzate nei primi 9 mesi, dando per certa una copertura del taglio della seconda rata dellIMU -in parte assorbito anche dal recente aumento IVA- e, in via del tutto prudenziale, ipotizzando comunque un miglioramento dellandamento delle entrate, verosimile ritenere, a f ine anno, un minor gettito che oscilli tra +0,1 e +0,4% per le entrate del 2013 sul 2012, ad un valore tra 755 e 757 miliardi di Euro, contro 759 preventivati, con un ammanco tra 2,0 e 4,0 miliardi. Quindi in estrema sintesi, alla luce di quanto sopra esposto, si potrebbe ritenere del tutto verosimile un deficit, a fine anno, oscillante tra il 3.4% e il 3.6%, cio dai 4 ai 6 miliardi in pi rispetto ai 48.7 miliardi stimati dal governo nella nota di aggiornamento, con un debito pubblico prossimo al 134% contro li stima del governo al 132,9

In buona sostanza, questo il quadro di f inanza pubblica che, con ogni probabilit, ci attender da qui a f ine anno, salvo ulteriori manovre correttive o giochi di prestigio per esporre un def icit inf eriore al 3%. Ma in uno scenario come quello descritto, nel quale si balla proprio ai limiti, nonostante la manovra di contenimento di 1.6 miliardi di euro varata lo scorso 10 ottobre, molto dipender dalla crescita economica dellultima parte dellanno e dalle entrate tributarie degli ultimi mesi, anche se, a parer di chi scrive, i margini di ottimismo sembrano piuttosto ridotti, se non addirittura inesistenti.

COME TAROCCARE LE PREVISIONI SULLA SPESA PER INT ERESSI Ma andando oltre, sempre nel DEF, e sempre a proposito dellinattendibilit delle stime governative, si scopre che, sul f ronte della stima della spesa per interessi, il tandem Letta-Saccomanni, compiono una vera e propria manovra di prestigio, degna di Mago Otelma.

Tanto per renderci conto di cosa stiamo parlando, vi propongo questa tabella che riepiloga la stima della spesa per interessi dal 2014 al 2017: sulla prima riga quella ef f ettuata dal Governo Monti, sulla seconda quella del Governo Letta con la nota di aggiornamento al DEF.

Stima Spesa per interessi Gov. Monti vs Gov. Letta . (dati in migliaia di euro) 2014 Def . Maggio 2013- MONT I Agg. Def settembre- LET TA RISPARMIO 90377 86087 4290 2015 97465 88827 8638 2016 104384 91858 12526 2017 109289 92500 16789

Come f acile intuire, gi dal 2014, f ino ad arrivare al 2017, il governo Letta stima un robusto e progressivo risparmio per la spesa per interessi, f ino a giungere, nel 2017, appunto, a oltre 16 miliardi di euro, equivalenti ad 1 punto percentuale del Pil. E chiaro che queste presunte economie determinano un miglioramento dei saldi di f inanza pubblica. A questo punto occorrerebbe chiedersi perch il governo stimi una riduzione cos signif icativa del costo per interessi, o secondo quale parametro. Prima di dare una risposta allinterrogativo, bene precisare che, come giustamente segnala il Prof . Gustavo Piga nel suo blog, ormai da oltre 15 anni a questa parte, o meglio f ino allultimo DEF dello scorso maggio, le previsioni di stima della spesa per interessi venivano formulate utilizzando i tassi impliciti nella curva dei rendimenti italiana rilevati a met marzo 2013.. In buona sostanza si tratta(va) di un criterio riconosciuto dalla comunit scientif ica e f inanziaria, che traeva f ondamento proprio dallanalisi della curva dei tassi in un determinato periodo temporale. Con la nota di aggiornamento, il governo cambia paradigma. Inf atti, sul documento, la stima della spesa per interessi f onda la sua previsione su una ipotetica e una graduale chiusura degli spread di rendimento a dieci anni dei titoli di stato italiani rispetto a quelli tedeschi a 200 punti base nel 2014, 150 nel 2015 e 100 nel 2016 e 2017. Cio, per dirla in parole pi semplici, il costo degli interessi sarebbe destinato a scendere in ragione di una ipotetica diminuzione degli spread. Siamo quasi al demenziale o, se pref erite, al dilettantismo, poich, un analisi di questo genere, priva di qualsiasi f ondamento, non solo scientif ico, ma anche logico. Invero, va precisato che un calo dello spread non signif ica automaticamente una diminuzione dei costi al servizio del debito (interessi). Inf atti, lo spread, altro non che una variabile che misura la dif f erenza tra il rendimento Btp decennale e quello del bund tedesco: anche questultimo soggetto a variare in ragione di una moltitudine di variabili economiche e di mercato.

Ne consegue, in maniera peraltro del tutto ovvia, che se diminuisce lo spread, ma al tempo stesso aumenta il rendimento del bund, laumento del titolo tedesco vanif ica in tutto o in parte il benef icio prodotto dal ripiegamento dello spread . Da ci se ne deduce che se ad un eventuale aumento del rendimento del Bund, non si contrappone un calo pi che proporzionale dello spread, il costo del debito aumenta anzich diminuire. Questo, banalmente, per signif icarvi che la stima f atta dal governo per quantif icare la spesa per gli interessi, oltre ad essere inf ondata nel metodo, lo anche logicamente. Detto ci, con ogni probabilit, ci che induce il governo a ritenere un ripiegamento dello spread nei conf ronti del titolo tedesco, verosimilmente, risiede proprio nelle previsioni di crescita del PIL, dal 2014 al 2017, a parer di chi scrive, fin troppo ottimiste, o meglio non realizzabili. Il perch dovrebbe esser chiaro. Inf atti tanto pi la crescita si dimostrer (almeno sulla carta) vigorosa, tanto pi i conti pubblici si stabilizzeranno verso sentieri di maggiore sostenibilit (sempre sulla carta) e, di conseguenza, aumenter anche la f iducia degli investitori nei titoli del debito pubblico, determinando anche un ripiegamento dello spread, magari allineandosi (??) alle previsioni elaborate dal governo nel DEF. Quindi, un rientro dello spread a 100 punti base, in ragione della crescita esponenziale del PIL esposta nel DEF, potrebbe essere verosimile. Ma ci che non lo , sono le previsioni sul PIL.

A PROPOSIT O DELLE PREVISIONI FANTASIOSE SULLA CRESCITA Ecco, il punto proprio la crescita economica. E proprio qui che il governo commette una vera e propria indecenza, proiettando stime che, non senza dif f icolt e f antasia, potrebbero semmai essere ospitate nel libro dei sogni, nonostante, nel corso degli ultimi 14 anni ed oltre, il PIL dellItalia sia cresciuto mediamente ad un livello ben inf eriore (oltre 1%) rispetto alla media UE27.

Ad ogni buon conto, la Nota di Aggiornamento al DEF si f onda su una dinamica di tassi di crescita del Pil dal 2014 al 2017 decisamente ottimista: 2014 +1,0%; 2015 +1,7%; 2016 +1.8%; 2017 +1.9%.

Cio, una crescita molto pi robusta di quella mediamente prodotta negli ultimi 13/15 anni, ascrivibile, secondo il DEF, allimpatto (positivo) che dovrebbe produrre le rif orme varate dai governi negli ultimi anni. Che poi, quali sarebbero queste rif orme, sf ugge del tutto. In pratica, una crescita ben superiore a quella prevista da altre istituzioni finanziarie internazionali (es FMI) che appaiono comunque fuori dalla portata dellItalia, almeno nel contesto che andremo tra poco a chiarire. E chiaro che gonf iare ad arte una previsione di crescita per i prossimi anni, in visione prospettica, rende il quadro di sostenibilit delle f inanze pubbliche assai pi roseo rispetto a quello che altrimenti sarebbe. Per il semplice f atto che, ampliare la base imponibile (maggiore PIL), ha come ovvia conseguenza anche un aumento delle entrate f iscali, determinando un miglioramento dei def icit, senza che ci derivi da un inasprimento delle aliquote. E questo f avorirebbe anche un maggior interesse nellacquisto del debito italiano anche da parte degli investitori, che comunque sanno (o meglio dovrebbero sapere) che si tratta di previsioni di crescita del tutto irrealizzabili. Anche perch, se f osse lo stesso governo a disegnare una quadro di sostenibilit delle f inanze pubbliche a tinte f osche (cio pi verosimile alla realt), chi mai avrebbe interesse ad investire sul debito pubblico italiano, se non con un rendimento che incorpori anche un maggior premio di rischio? Quindi, banchieri compiacenti, ancorch conoscano (o quantomeno lo sospettino) che i dati sulla crescita siano del tutto inverosimili, acquistano ugualmente il debito pubblico. Perch sanno che il governo, alloccorrenza e in caso di necessit, in virt dellautorit che ha di imporre tasse -nelle f orme pi f antasiose possibili, patrimoniali comprese- sar sempre disponibile ad intermediare ricchezza (quella degli italiani, nello specif ico)e ripagare il debito nei conf ronti degli investitori. Ma siccome il Governo ben conosce che i dati sono del tutto dissociati dalla realt e che si tratta di ipotesi irrealizzabili, destinate a nauf ragare aprendo buchi nel bilancio dello stato, anticipa gli eventi. Quindi vara una nuova manovra in modo che, quando ci si accorger del nauf ragio delle previsioni di crescita, tutto sar gi pi o meno sotto controllo. Perch, chiaro: le clausole di salvaguardia servono proprio a questo. Salvo ulteriori manovre e quindi altre tasse. Ed quello che, in buona sostanza, stato f atto nei giorni scorsi varando la Legge di Stabilit, della quale parleremo pi dif f usamente in prossimo articolo. Ma tornando al f attore crescita economica, vorrei proporvi un breve ragionamento, di buon senso, per f arvi ben comprendere quanto siano inf ondate le previsioni di crescita f ormulate dal governo. Ragionamento che, per certi versi, esula dalla solita prospettiva approcciata dagli economisti su tali tipi di analisi. Nulla di complesso e particolarmente dif f icile. Per comprende di cosa stiamo parlando, bene f are un breve excursus su ci che stata la crescita italiana negli ultimi 13 anni, ossia dallintroduzione delleuro. Ragioneremo in termini nominali. Cio non considerando lef f etto inf lazione che si manif estata nel periodo considerato e che, comunque, giova ricordare, stata di circa il 30% dal 2000 al 2013.

Come f acile osservare, in tutto il periodo considerato, lItalia cresciuta in maniera del tutto asf ittica: certamente non in sintonia con le proprie necessit, e, mediamente, come evidenziato in precedenza, ben oltre un punto percentuale annuo in meno rispetto alla media dei pausi UE27. Nel f rattempo, il debito italiano ha conosciuto ritmi di crescita molto pi sostenuti, con una drammatica accelerazione proprio dal 2008 in poi. Ossia con lesplosione della crisi che ha determinato, ad esempio, un maggior esborso da parte dello Stato per sussidi di disoccupazione, o per la partecipazione ai vari piani di salvataggio condotti nel cotesto europeo.

Tant che, dal 2000 in avanti, il debito pubblico non mai sceso sotto il 103% del Pil -quando i parametri di Maastricht lo vorrebbero conf inato al 60% del prodotto lordo- con unaccelerazione vertiginosa proprio nellultimo quinquennio. Fino a giungere, alla f ine del 2013, a ridosso del 134% del Pil. Circa 2090 miliardi di euro, a f ronte dei un PIl appena sopra ai 1550 miliardi di euro. Tanto per of f rirvi lidea dellaccelerazione subita dal debito pubblico, giova ricordare che, da f ine 2011 ad oggi, il debito cresciuto di circa 170 miliardi, ossia oltre l8% dello stock totale. Arrivati a questo punto, il caso di ricordare che dal 2015, lItalia, in applicazione del Fiscal Compact, per i prossimi 20 anni, dovr procedere ad una riduzione del debito pubblico di 1/20 allanno in ragione del PIl, al f ine di conf inare il debito entro il 60% imposto da Maastricht. Per sostenere labbattimento del debito pubblico in un percorso cos impegnativo, la condizione necessaria che il PIL nominale cresca di almeno il 3% per i prossimi 20 anni. In modo tale che -conf ida il governo- una volta stabilizzato, il debito possa rientrare in maniera quasi automatica. Questa condizione imprescindibile, bench sulle previsioni del governo sia soddisf atta, appare del tutto irrealizzabile, almeno per i prossimi anni. Ritornando alla dinamica del PIl dal 2000 in avanti, giova segnalare che questo passato dai 1191 miliardi dellanno 2000, f ino ai 1567 miliardi del 2008. Per poi f lettere ai 1520 miliardi con la recessione del 2009, e riprendersi nel 2011, f ino a giungere ai 1580 miliardi e per poi f lettere nuovamente nel 2012 e 2013, f ino ad attestarsi, secondo le stime DEF, ai 1557 miliardi del 2013. Da ci se ne deduce che il PIl, negli ultimi 14 anni (comprendendo anche in dato del 2013, indicato nel DEF a 1557 miliardi) cresciuto di appena 366 miliardi di euro nominali: ossia solo del 30.74%, appena poco sopra il livello di inf lazione cumulata nello stesso periodo. Ossia, non cresciuto in termini reali. Secondo le previsioni riportate nel DEF , gi dal 2014, il Pil salir a 1602 miliardi, per poi passare a 1660 nel 2014, 1718 nel 2016 e 1779 nel 2017. Cio ben 222 miliardi in pi rispetto ai livelli di f ine 2013 (quasi il 15% in pi), che rappresentano circa il 60% della crescita realizzata negli ultimi 13 anni. Tutto questo riscontrabile dal graf ico (1) sopra esposto, dove dal 2014 in poi, secondo le previsioni del DEF, si assiste ad un irripidimento della curva del PIL nominale, che incorpora tassi di crescita medi nel quadriennio di oltre il 3% annuo. A questo banale ragionamento, si potrebbe obiettare che sostanzialmente insensato paragonare la crescita del PIL nominale in due periodi temporali dif f erenti, senza considerare gli ef f etti inf lattivi acquisiti, che hanno comunque contribuito ad una maggiore crescita dal PIL nominale. Vero: osservazione ineccepibile. Ma che non cambia di molto le previsioni troppo ottimistiche f atte dal governo, atteso che le previsioni sullinf lazione sembrano anchesse f uori dalla realt, stante anche la persistente debolezza dei consumi che si protrarr anche nei prossimi anni, spingendo al ribasso anche le previsioni sullinf lazione. Di conseguenza, con un inf lazione che verosimilmente sar destinata a rimanere al disotto delle previsioni, la perf ormance del PIL nominale appare ben al disopra di ogni ragionevole previsione.

CONDIZ IONI ECONOMICHE OPPOST E A conf erma dello scenario sopra evidenziato e di quanto siano inverosimili le previsioni di crescita del PIL elaborate dal Governo, giova ricordare che nel periodo considerato , almeno fino al 2007, si sono verificate eccellenti condizioni di crescita nelle aree economiche pi importanti del mondo, che, indubbiamente, hanno trainato la crescita italiana, con un export particolarmente dinamico. In questo periodo, al netto delle distorsioni prodotte, si assistito anche ad un abbondanza di credito che stato riversato nelleconomia, determinando una f ase virtuosa del ciclo economico.

La f acilit di accesso al credito ha consentito agli operatori economici il f inanziamento delle proprie attivit e dei propri bisogni: le imprese hanno potuto investire in opif ici, capannoni, immobili, attrezzature, macchinari e ricerca. Mentre le f amiglie ed i privati, nellacquisto di case, automobili, o altri beni durevoli. E evidente che dinamiche di questo tipo abbiano avuto un enorme impulso sullo sviluppo economico del periodo considerato, determinando f enomeni virtuosi anche nella disoccupazione, che ha conosciuto livelli minimi proprio nel 2007, al 6.1%. E f uori da ogni dubbio che queste condizioni abbiano contribuito signif icativamente alla crescita del PIL che, tuttavia, ricordiamo, stata ben al disotto della media europea e delle necessit del paese.

Ad oggi sembra di vivere in un altro mondo. Le desertif icazione economica prodotta dalla crisi e dalle politiche di austerity sotto gli occhi di tutti, soprattutto nella monotonia delle tasche degli italiani. La disoccupazione doppia (oltre il 12%) rispetto ai tassi minimi del 2007, mentre quella giovanile ha superato la soglia del 40%, con punte ben superiori al 50% in alcune zone del sud. Tuttavia, il tasso di disoccupazione indicato dalle statistiche oltre il 12%, non racconta affatto lesatta drammaticit della piaga della disoccupazione , poich non tiene conto di chi ha smesso di cercare lavoro o di chi sottoccupato. Non tiene neanche conto delle centinaia di migliaia di persone che ancora godono della cassa integrazione e che sono in f orza ad aziende che non avranno mai la possibilit di riemergere da questa situazione. Se di considerassero anche queste variabili, il dato sarebbe proiettato ben oltre la soglia del 20%. Inoltre, rispetto al periodo che potremmo chiamare delle vacche grasse (2000-2007, N.d.r.), il reddito procapite reale precipitato ai livelli che non si vedevano da oltre un quindicennio. La capacit dei spesa della f amiglie, anche a causa dellinasprimento f iscale di questi ultimi anni, ha subito un drammatico tracollo. Decine di migliaia di imprese hanno cessato la loro attivit, hanno chiuso i battenti o si sono delocalizzate in aree geograf iche ove risulti pi conveniente f are impresa. La pressione f iscale ha raggiunto livelli record, ben superiori a quelli conosciuti f ino al 2007. Ancora: le banche sono alle prese con sof f erenze record che si attestano ad oltre quota 140 miliardi di euro. Queste, sono almeno quelle uf f iciali. Poi ci sarebbero anche quelle non ancora emerse, che le banche cercano di mantenere latenti pi a lungo possibile. Stando la f ragilit del sistema bancario (solo per usare un euf emismo), appare del tutto improbabile che le banche possano tornare ad allargare i coroni della borsa e sostenere un ciclo economico, ancorch trainato da altre economie mondiali che comunque,pur mostrando segnali di maggior ottimismo,sono ben lontane dai f asti del periodo delle vacche grasse. Nel contesto europeo, invece, giova segnalare che molte economie sono alle prese con percorsi di rientro dai def icit che chiaramente impattano sul siclo economico di quelle nazioni e, conseguentemente, anche nella componente export del PIL italiano. Queste sono solo alcune delle variabili economiche f ortemente deteriorate che non possono che aggravare le previsioni di crescita per il prossimo f uturo, rendendo gli sf orzi previsionali del governo del tutto inattendibili. E chiaro che queste variabili -che costituiscono solo una minima parte di quelle che si potrebbero considerare ai f ini della nostra analisi e che conf ermerebbero comunque il nostro ragionamento-, stando la persistente f ragilit, non potranno contribuire alla crescita del PIL, come invece avvenuto in passato nel periodo di crescita economica. Eppure, questo ragionamento, che non ha ben poco di dottrina economica, sembra sf uggire del tutto al governo che ipotizza previsioni di crescita f uori da ogni logica di buon senso.

Di conseguenza non si comprendono le ragioni per cui il PIL, nei prossimi 4 anni, debba cresce in maniera cos esponenziale come, invece, prevede il governo. Per dirla in maniera prosaica, potremmo chiederci: ALLA LUCE DELLA DEVASTAZ IONE ECONOMICA INT ERVENUTA, PERCHE MAI LECONOMIA ITALIANA, NEI PROSSIMI 4 ANNI, DOVREBBE CRESCERE IN MANIERA BEN PIU SOST ENUTA RISPET T O A QUANT O AVVENUT O NEI PRIMI 8 ANNI DEL SECOLO, IN CONDIZ IONI IMPARAGONABILI RISPET T O ALLE AT T UALI? La risposta semplice. Ossia non esiste nessun elemento che possa conf ermare i livelli di ottimismo prof usi dal governo, posto il f atto che, lItalia, in questa crisi, ha perso anche una buona parte della capacit di reazione ad agganciare cicli economici favorevoli, ancorch indotti da altre economie trainanti. In altre parole, a parer di chi scrive, lItalia si trova a vivere unepoca di declino economico e sociale di lungo periodo, dalla quale uscirne non sar af f atto f acile, se non impossibile, permanendo simili condizioni. In una situazione come quella descritta, con un cambio non rappresentativo dei caratteri di debolezza strutturale delleconomia italiana, invertire la tendenza, verosimilmente, sar del tutto improbabile. Nella condizione attuale, lipotesi che appare pi verosimile quella secondo la quale lItalia si trover ad alternare periodi recessivi, con periodi di bassa crescita ( stagnazione), in un percorso altamente allarmante e distruttivo che determiner: Declino inarrestabile del sistema produttivo manif atturiero italiano; Aumento della disoccupazione e crescita del paese da sognare per lungo tempo; Impoverimento continuo delle f amiglie, della classe media e poi anche degli altri; Collasso del welf are attuale perch insostenibile. La Blogosf era Economica Ai nostri lettori piaciuto anche Dal primo trimestre 2013 arrivano segnali negativi sui conti pubblici italiani Gli ef f etti negativi dei f attori del debito pubblico sulla vita reale La lezione dellUE tedesca nel caso ROSCO (Grecia): prima li af f ami e poi li compri, un monito per lItalia Monitoraggio conti pubblici Stima f lash secondo trimestre 2013 Powered by Grazie per avere votato! Ora dillo a tutto il mondo via Twitter! no, pref erisco tenerlo per me Come ti senti dopo avere letto questo post? Eccitato 00% Af f ascinato 00% Divertito 00% Annoiato 00% Triste 00% Arrabbiato 00%

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