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Il Giardino dei Pensieri - Studi di storia della Filosofia Dicembre 2000 Febbraio 2007 Elio Rindone

Luomo tra terra e cielo Il mondo biblico


Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa l'uomo perch te ne ricordi e il figlio dell'uomo perch te ne curi? Eppure l'hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi" (Salmi, 8, 4-7) Una cultura originale Pure la tradizione biblica, anchessa come quella greca estremamente variegata, ha come cifra caratteristica lesaltazione delluomo, tanto che solo di questultimo si dice un paio di volte che fatto a immagine di Jahve. Non possibile qui ripercorrere il lungo cammino che, dalle pagine pi antiche di quello che si suole chiamare Antico Testamento, giunge sino ai testi che esprimono le certezze della primitiva comunit cristiana, ma cercheremo di mettere in luce almeno le tappe pi significative di tale cammino. Potremo accorgerci, cos, che il popolo ebraico ha elaborato una concezione delluomo che, se da una parte presenta innegabili convergenze con alcune idee presenti nella cultura greca, dallaltra ha una sua profonda originalit. Antico Testamento. Luomo: un essere vivente Per descrivere luomo la Scrittura utilizza tre termini aramaici fra loro intimamente collegati: basr, cio carne o corpo (gr. srx o soma), nefesh, tradotto comunemente con anima (gr. psych) ed infine rah, spirito (gr. pnema). I tre termini, e ci va ribadito con forza, indicano lintero essere umano, sebbene con sfumature diverse: basr ne sottolinea la debolezza e la caducit, nefesh il principio vitale e rah quella pienezza di vita che uno speciale dono divino. Lessere umano "" dunque basr e nefesh, e "riceve" rah. Il vocabolo nefesh, che compare circa 750 volte nellAT, possiede un etimo vicino a quello dei termini gola, bocca e respiro e designa sia la vita sia luomo vivente. Nel primo libro della Bibbia, per esempio, si dice che luomo diventa un vivente, nefesh, proprio perch riceve il respiro vitale da Dio: il Signore Dio plasm luomo con polvere del suolo e soffi nelle sue narici un alito di vita (nismat) e luomo divenne un essere vivente (nefesh) (Gen 2,7). Concezione unitaria Per l'antico Israele, dunque, l'uomo una persona vivente (nefesh) che trova la sua visibilit attraverso la carne (basr), carne vivente. Il nefesh indica la persona nella sua interezza, con la sua capacit di sentire e di decidere, ed profondamente unito con il basr, la sua manifestazione corporea. evidente, quindi, che la Scrittura presenta una concezione assolutamente unitaria delluomo, molto pi vicina a quella omerica che a quella platonica:
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nefesh e basr sono elementi inscindibili, tanto che non si pensa che luno possa vivere davvero senza laltro, con lovvia conseguenza che con la morte tutto finisce, la persona non c' pi. Rimangono solo delle larve, raccolte come nella mitologia greca in un unico luogo. Lo sheol Per gli ebrei, infatti, la terra era piatta e sotto terra cera un'enorme voragine, una caverna, che era il regno dei morti: idea che abbiamo gi ritrovato nella mitologia greca. Questa voragine in ebraico si chiama sheol, vocabolo la cui radice non molto chiara, ma che probabilmente significa colui che inghiotte. Quando, circa 150 anni prima dellera cristiana, la Bibbia venne tradotta dallebraico nella lingua greca perch gli ebrei della diaspora parlavano ormai solo il greco, il termine sheol venne tradotto ovviamente con ade. E quando lAT e il NT vennero tradotti in latino, correttamente fu scelto il termine inferi: gli dei inferi per i latini erano appunto le divinit che abitavano il regno dei morti. Quindi sheol, ade e inferi significano la stessa cosa: il regno dei morti, dove tutti quanti dopo la morte vanno a finire, perch tutti, sia buoni che cattivi, finiscono sotto terra. Prospettiva terrena Come i greci dellet arcaica, dunque, anche gli ebrei non concepivano lidea di un premio per i buoni e di un castigo per i malvagi dopo la morte. Lideale di moralit era certamente diverso da quello greco ma il destino delluomo si giocava sempre su questa terra. Labbondanza e il pacifico godimento dei beni terreni erano considerati la ricompensa di una vita giusta e loggetto della benedizione divina: "se tu [Israele] obbedirai fedelmente alla voce del Signore tuo Dio [ ] sarai benedetto nella citt e benedetto nella campagna. Benedetto sar il frutto del tuo seno, il frutto del tuo suolo e il frutto del tuo bestiame; benedetti i parti delle tue vacche e i nati delle tue pecore. Benedette saranno la tua cesta e la tua madia"(Deuteronomio 28, 1. 3-5). I malvagi invece sarebbero stati puniti con una vita breve, una grande povert e una moglie sterile. Una volta morti, per, tutti gli uomini andavano a finire nel regno dei morti, semplici ombre prive di vita personale. Rifiuto dellimmortalit Queste convinzioni erano cos radicate in Israele che, quando due secoli prima della nostra era cominciarono a penetrare anche nel mondo ebraico le idee della filosofia greca sullimmortalit dellanima, un teologo chiamato Qolet, e cio Il Predicatore, scrisse un libro, ancora oggi inserito nel canone biblico, per contestare decisamente tali novit: la sorte degli uomini e quella delle bestie la stessa; come muoiono queste muoiono quelli; c un solo soffio vitale per tutti. Non esiste superiorit delluomo rispetto alle bestie, perch tutto vanit. Tutti sono diretti verso la medesima dimora: tutto venuto dalla polvere e tutto ritorna nella polvere(Qolet 3, 19-20). Affermazioni che sembrano non ammettere replica, e che invece saranno messe in discussione da nuove esperienze. Insormontabili difficolt La concezione tradizionale della retribuzione terrena, infatti, non molto convincente, perch troppe volte smentita dallesperienza. Spesso, infatti, persone pie hanno una vita disgraziata mentre i peggiori mascalzoni godono di tutti i beni del mondo. Per rimediare a questo scandalo, si immagina in un primo momento che i giusti che soffrono stiano espiando per i propri parenti, perch Jahve punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione. Ma questa, evidentemente, una soluzione poco ragionevole, e infatti non regger a lungo: gi nel VI secolo a. C. viene contestata dal profeta Ezechiele, che afferma che la responsabilit morale personale e che nessuno pu essere punito per le
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colpe di un altro. Nuove prospettive Una nuova soluzione comincia invece a farsi strada sotto la pressione di unesperienza sconvolgente: i giusti non solo non hanno una vita felice ma addirittura vengono sottoposti ad atroci sofferenze proprio perch vogliono mantenersi fedeli alle loro tradizioni. quanto accade intorno al 150 a. C. in seguito alla tremenda persecuzione scatenata da Antioco Epifane, che voleva grecizzare i costumi ebraici. Proprio allora presso i circoli farisaici, composti da persone pie e osservanti della legge, cominci ad affiorare lidea di una retribuzione nellaldil. Nel libro di Daniele si accenna, cos, a un ritorno alla vita dopo la morte, ma soltanto per i giusti: Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per linfamia eterna. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre(Dn 12,2-3). Un primo accenno alla risurrezione Quello usato nel libro di Daniele, evidentemente, un linguaggio poetico, da non prendere alla lettera: non facile dire come immagini lautore il risveglio per la vita eterna dei giusti e per la vergogna eterna dei malvagi o lo splendore dei saggi, n quando avverr tutto ci. Quel che certo che la Bibbia ebraica si chiude con questo messaggio: i giusti ritorneranno alla vita. Negli stessi ambienti, per, circolavano altri libri che gli ebrei non riconoscevano come ispirati ma che sono stati considerati tali dalla Chiesa cattolica. In uno di questi libri, sempre a proposito della persecuzione di Antioco Epifane, si dice qualcosa di pi sulla modalit di questo ritorno alla vita. Nel secondo libro dei Maccabei, infatti, il quarto dei sette fratelli martiri dice al re che lo condanna a morire fra i tormenti: " bello morire a causa degli uomini, per attendere da Dio ladempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te la risurrezione non sar per la vita" (2Mac 7,14). I giusti, e solo loro, meritano dunque di tornare alla vita, di essere risuscitati, unespressione destinata a un grande avvenire. I farisei al tempo di Ges Queste idee sulla risurrezione tuttavia non si affermeranno facilmente. Esse verranno decisamente rifiutate dai sadducei, che erano le autorit religiose dellepoca di Ges: non sono contenute nei primi cinque libri della Bibbia, la "Torah", e perci sono da loro considerate eretiche. La dottrina della risurrezione dei giusti si consolida invece presso i farisei, laici pii che praticano in maniera rigorosa tutti i precetti della legge mosaica e che attendono unadeguata ricompensa per i loro meriti. I farisei credono infatti che dopo la morte tutti gli uomini, come dice la tradizione, finiscono nel regno dei morti. In un imprecisato ultimo giorno, per, i martiri e i giusti torneranno in vita. Coerentemente con lantropologia ebraica, che non conosce unanima immortale, questo ritorno alla vita consister in una risurrezione dei corpi, intesa proprio come rianimazione dei cadaveri: di nuovo nefesh e basr costituiranno un tutto vivente. Nuovo Testamento. Lantropologia del vangelo In questo ambiente culturale prende forma il messaggio di Ges. Messaggio che i suoi discepoli diffonderanno utilizzando la ligua franca del tempo, e cio il greco. Leggendo i vangeli, perci, necessario tener sempre presente che i termini usati, se sono quelli propri della cultura greca, veicolano per idee che sono spesso diverse da quelle per noi pi familiari. Ad esempio, quando nel Getsmani Ges dice: "La mia anima triste sino alla
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morte. Restate qui e vegliate"(Marco 14, 34), la psych di cui si parla non lanima in senso platonico ma il nefesh, il soggetto, la persona vivente. Si potrebbe quindi tradurre: io sono triste sino alla morte. Parimenti, lesortazione a non aver paura "di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere lanima"(Matteo 10, 28) non presuppone la contrapposizione platonica tra un soma mortale e una psych immortale: si vuol dire semplicemente che la personalit, la dignit di soggetto morale conta ben pi del benessere corporeo. Equivoci Il vangelo, non si ribadir mai abbastanza, non conosce unanima immortale. La dimenticanza di questo dato incontrovertibile genera colossali equivoci. A proposito della morte di Ges in croce, per esempio, si legge che "chinato il capo, consegn lo spirito (paredoke to pnema)"(Giovanni 19, 30). Questa versione ha suggerito per secoli lidea che lanima di Ges, sopravvissuta, sia stata affidata al Padre. La traduzione della CEI chinato il capo, spir se evita un simile fraintendimento, costituisce per una banalizzazione del testo greco, che ha un ben pi ricco significato. Il termine pnema sappiamo infatti che traduce rah, cio quella vita piena che frutto di uno speciale rapporto con Dio. Morendo, Ges riconsegna quindi non la sua anima ma quel dono che aveva ricevuto quando, al momento del battesimo, "vide lo spirito di Dio (pnema theou) scendere come una colomba e venire su di lui"(Matteo 3, 16). E laldil? Ma, anche ammettendo che il vangelo non parli di unanima immortale, il messaggio di Ges non resta sempre incentrato sullaldil? Chi potrebbe negare che la resurrezione, la promessa di una vita dopo la morte sia al centro del messaggio evangelico? Il cuore della buona novella non stato colto esattamente da Paolo, quando scrive: "se Cristo non risuscitato, allora vana la nostra predicazione ed vana anche la vostra fede"(I Corinzi 15, 14)? Se lidea della resurrezione fa indiscutibilmente parte del messaggio originario, resta da vedere per come essa debba essere concepita. Pare infatti che Ges abbia condiviso la credenza farisaica nella resurrezione ma che le abbia attribuito un diverso significato: la resurrezione di cui parla Ges non sarebbe affatto la rianimazione dei cadaveri nellultimo giorno, immaginata dai farisei e raffigurata tante volte nei grandi capolavori della pittura cristiana. Un mondo nuovo La predicazione di Ges certo era incentrata sullattesa di un mondo nuovo in cui gli uomini possano vivere una vita pienamente umana, libera dalle sofferenze causate dallegoismo, dallavidit e dalla brama di potere. Infatti, dando inizio al suo ministero nella sinagoga di Nazaret, Ges legge il passo di Isaia (61, 1-3) che contiene questo annuncio: "Lo spirito del Signore sopra di me; per questo mi ha consacrato con lunzione e mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, per rimettere in libert gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore"(Luca 4, 18-19) e, arrotolato il volume, aggiunge: "oggi si adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi"(ivi 4, 21). Se avranno fiducia in lui e nel suo messaggio, se si lascerano trasformare dallo spirito di Jahve e impareranno ad amare anche i nemici, gli uomini potranno costruire davvero un mondo meraviglioso, e quindi godere, gi da ora, di una vita di qualit divina. La vita eterna
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proprio questa vita di una ricchezza sconfinata ci che il vangelo chiama vita eterna, e si tratta di una possibilit immediata e non riservata a un lontano futuro: "Chi crede nel Figlio ha la vita eterna"(Giovanni 3, 36); "chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna"(ivi 5, 24). Se il testo usa verbi allindicativo presente, chiaro che intende parlare di unintensit di vita da sperimentare qui, sulla terra; ma la vita di cui si tratta non quella biologica, dato che non viene scalfita dalla morte: "chi crede in me, anche se muore, vivr; chiunque vive e crede in me, non morr in eterno"(ivi 11, 25-26). Evidentemente si parla di viventi che in senso fisico sperimenteranno certo la morte ma che in senso spirituale non la sperimenteranno mai perch gi ora sono in possesso di una vita che resiste al disfacimento a cui tutti gli uomini sono soggetti. Gi risuscitati Il messaggio cristiano primitivo pare che intendesse riferirsi a questa vita nuova quando parlava di resurrezione: non la rianimazione dei cadaveri alla fine dei tempi ma limmediata trasformazione degli uomini che ricevono lo spirito (rah) di Dio. Questidea si pu rintracciare nel Nuovo Testamento quando Paolo scrive che Dio "da morti che eravamo per i nostri peccati, ci ha fatto rivivere con Cristo [ ]. Con lui ci ha anche risuscitati"(Efesini 2, 5-6). La morte di cui il testo parla non quella fisica ma quella prodotta dal peccato; parimenti la resurrezione non il ritorno alla vita del cadavere ma la vita nuova di chi a somiglianza di Ges gi risuscitato. Certo, non era facile cogliere queste nuove prospettive e nelle Scritture cristiane non mancano i passi in cui sopravvivono le immagini tradizionali: anzi gi tra i discepoli di Paolo si torna espicitamente alla concezione farisaica della resurrezione, mettendo in guardia contro coloro "i quali hanno deviato dalla verit, sostenendo che la risurrezione gi avvenuta e cos sconvolgono la fede di alcuni"(II Timoteo 2, 18). I morti non risorgono In realt non si comprende il messaggio del NT se non se ne coglie la valenza simbolica. Quando, per esempio, Ges parla della necessit di rinascere, Nicodemo non comprende cosa voglia dire perch intende le parole nel loro significato letterale: "Come pu un uomo nascere quando vecchio? Pu forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?"(Giovanni 3, 4). La stessa cosa vale per la resurrezione. Inviando i discepoli a predicare, Ges dice: "Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demni"(Matteo 10, 18). Se inteso alla lettera, questinvito stato un colossale fallimento, dato che in duemila anni resurrezioni non ne abbiamo visto. In senso spirituale, invece, assolutamente vero che milioni di uomini e donne hanno sperimentato una pienezza di vita che non viene compromessa dalla morte fisica, inverando la promessa di Ges: "se uno osserva la mia parola, non vedr mai la morte"(Giovanni 8, 51). Se la resurrezione la rinascita spirituale, allora essa, come si legge nellapocrifo Vangelo secondo Filippo, riguarda i vivi e non i morti: "Quanti affermano che prima si deve morire e poi risuscitare, si ingannano. Se da vivi non ottengono la risurrezione, quando moriranno non otterranno nulla". E la resurrezione di Ges? Ma allora Ges non prima morto e poi risorto? Anche in questo caso occorre liberarsi dalle immagini del Risorto che esce con la bandiera dalla tomba col coperchio rovesciato. I vangeli ignorano una simile scena e nessuna telecamera posta in prossimit del sepolcro avrebbe potuto riprenderla, per il semplice motivo che la resurrezione di Ges non un fatto storico ma un dato di fede. Nei vangeli non si dice mai che Ges stato visto da chi era
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rimasto estraneo al suo messaggio: egli appare soltanto ai suoi discepoli, a coloro che si erano lasciati coinvolgere dalle sue parole e che ora lo sentono presente in mezzo a loro perch credono che lo Spirito (pnema) di Jahve lo ha "risuscitato dai morti"(Romani 8, 11). Sarebbe un errore leggere i racconti della resurrezione come se costituissero una cronistoria degli eventi; citando passi dellAT, costruendo scene ricche di pathos, utilizzando schemi letterari a noi estranei, i vangeli intendono trasmettere un messaggio teologico. Unesperienza di fede la loro esperienza di fede che, dopo un pi o meno lungo periodo di smarrimento e di sconforto, porta i discepoli a capire che la morte fisica non poteva aver distrutto la ricchezza di una vita come quella di Ges. Egli era pieno di vita, e perci capace di donare vita, era un rinato, un risuscitato, e perci coloro che accolgono il suo messaggio rinascono e risuscitano. Lannuncio della sua resurrezione, allora, non che la presa di coscienza da parte della comunit primitiva del fatto che la morte non pu avere la meglio su chi gi risuscitato: era semplicemente impossibile che la morte "lo tenesse in suo potere"(Atti 2, 24). Ancora una volta, il Vangelo secondo Filippo che trasmette con particolare chiarezza questa certezza di fede: "Coloro che affermano: "Il Signore morto e (poi) risuscitato", sbagliano. Egli, infatti, prima risorse e (poi) mor. Chi non ottiene prima la risurrezione, costui morir". E il purgatorio? Se a questo punto qualcuno dei presenti vuole andare a prendere una boccata daria, a bere un cordiale o almeno un bicchiere dacqua fresca, facciamo senzaltro una pausa! Pu essere una buona idea, anche perch le sorprese non sono finite. Infatti chi abituato a credere che il vangelo voglia soprattutto imporci delle rinunce ora per evitarci poi le pene dellinferno, e indicarci cos la via pi diretta per il paradiso, magari dopo una sosta possibilmente breve in purgatorio, caldamente invitato a mettere in discussione tali idee. Le splendide immagini della Commedia dantesca hanno infatti poco a che fare col vangelo. Sulla questione del purgatorio non neanche il caso di soffermarsi: la bibbia non ne parla ed ormai assodato che si tratta di una nozione elaborata dai teologi del XII secolo per non mandare troppa gente allinferno (consentendo poi a tanti preti di far soldi con le messe per i defunti). Neanche linferno? Ma il vangelo non conosce neanche linferno, inteso come luogo in cui i peccatori saranno puniti per leternit. Parla tre o quattro volte degli inferi che, come sappiamo, traducono limmagine mitica dello sheol, dellade. Cos, per esempio, Ges dice a Pietro a proposito della sua comunit: "le porte degli inferi non prevarranno contro di essa"(Matteo 16, 18), e cio la potenza della morte non potr soffocare unautentica esperienza di fede. Pi spesso ricorre il termine Geenna: Ges invita a cavarsi locchio che occasione di peccato, perch meglio "entrare nella vita con un occhio solo, che avere due occhi ed essere gettato nella Geenna del fuoco"(Matteo 18, 9). Ma cosa la Geenna? Ge Hinnom il nome di una valle nei pressi di Gerusalemme. Nellantichit vi venivano bruciati i bambini per ottenere i favori del dio Moloch. Poi divenne limmondezzaio di Gerusalemme, dove il fuoco ardeva giorno e notte per incenerire i rifiuti della citt. La religiosit farisaica, che esigeva un sistema di premi e castighi ultraterreni, port a identificare quel burrone come il luogo della punizione dei malvagi, che sarebbero stati ivi tormentati per un anno, prima dellannientamento definitivo. N gli inferi n la Geenna, dunque, sono linferno come luogo di supplizi eterni.
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E il paradiso? Ci resta, almeno, il paradiso? I cristiani non sono quelli che sperano di andare per leternit in paradiso? Per quanto incredibile possa sembrare, del paradiso il vangelo parla una volta sola. Gi questa constatazione dovrebbe suggerire una semplice riflessione: se fosse cos importante, Ges ne avrebbe parlato certo a pi riprese. Invece il vangelo solo a Ges agonizzante sulla croce fa dire, rivolto al buon ladrone, "oggi sarai con me nel paradiso" (Luca 23, 43). Il termine paradiso deriva da una parola persiana, pardez, che significa giardino, e secondo lAT Jahve avrebbe piantato "un giardino in Eden"(Gen 2,8), per collocarvi luomo. Il racconto del paradiso terrestre serve a illustrare il mondo buono a cui luomo aspira ma che non riuscito a realizzare. Ora il vangelo dice: proprio colui che stato condannato al supplizio infame della croce, riservato ai peggiori malfattori, capace di indicare la via per realizzare il mondo buono, il paradiso. Il regno dei cieli Lespressione che ricorre frequentemente nel vangelo , invece, regno dei cieli. Questo il cuore dellannuncio di Ges: "Convertitevi, perch il regno dei cieli vicino"(Matteo 4, 17). Identificare, per, il regno dei cieli con il paradiso non che un terribile equivoco. Lespressione solo un semitismo proprio del vangelo matteano, che non vuole nominare Jahve. Il suo significato esattamente quello del versetto parallelo del vangelo marciano: "Il tempo compiuto e il regno di Dio vicino; convertitevi e credete al vangelo"(Marco 1, 15). Il regno dei cieli, quindi, non affatto laldil, il mondo nuovo da realizzare qui sulla terra, abbattendo le divisioni prodotte dalle gerarchie di potere e di ricchezza. E la condizione per attuarlo una concreta volont di condivisione: "vendi tutto quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi"(Matteo 19, 21). Si tratta di un invito radicale rivolto non a un gruppo scelto, capace di impegnarsi in prestazioni supererogatorie, ma a tutti: "il dono dei beni ai poveri non un consiglio, n lelargizione del superfluo, ma la condizione per seguire Ges ed entrare nel regno di Dio" (R. FABRIS, La scelta dei poveri nella Bibbia, Milano 1991, p 156). Chi dentro e chi fuori Questa capacit di condivisione lelemento discriminante tra chi fa parte del regno e chi ne resta fuori: "Ges allora disse ai suoi discepoli: In verit vi dico: difficilmente un ricco entrer nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: pi facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli"(Matteo 19, 23-24). I ricchi attaccati alle loro ricchezze sono, nellottica evangelica, gli esclusi dal regno; non i lebbrosi, non i peccatori disprezzati dai benpensanti: "I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio" (Matteo 21, 31). Dovrebbe essere ormai chiaro che Ges non parla del cielo, ma della terra: quando afferma che i ricchi non entreranno nel regno dei cieli non vuol dire che non andranno in paradiso ma che su questa terra non avranno la pienezza di vita che nasce dalla condivisione. E non certo un caso che uno dei pochi episodi che ricorre in tutti e quattro i vangeli quello della moltiplicazione dei pani, che illustra efficacemente lidea che se gli uomini saranno capaci di vincere il loro egoismo sar possibile una vita buona per tutti. In conclusione Bisogna, dunque, riconoscere che la Scrittura presenta una visione assolutamente unitaria delluomo, il cui compito quello di collaborare con Jahve ecco la fondamentale nozione di alleanza per fare di questo mondo un giardino di delizie. Il messaggio di Ges si inserisce in questa tradizione e in polemica con la religiosit farisaica, che immagina castighi ultraterreni per i malvagi e una resurrezione, intesa come rianimazione dei
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cadaveri, per i giusti invita a convertirsi, a rinascere, a vivere una vita libera dallegoismo e dallodio, e perci di una tale intensit da vincere il timore della morte biologica. Chi vive ripiegato su di s e non si preoccupa degli altri, chi non dona gioia ma causa sofferenza, chi non si fa pane per gli altri ma toglie loro il pane, una persona che pian piano soffoca fino a spegnere l'energia vitale che aveva dentro: allora veramente la morte lannientamento definitivo. Da questo annientamento il vangelo vuole liberare gli uomini: questa la morte vinta dalla resurrezione. E questa vittoria sulla morte sperimenta il discepolo di Ges, perch, come scrive il teologo evangelico Jrgen Moltmann, "La risurrezione non l'oppio dell'al-dil, propinato per illusoriamente consolare, ma la forza della rinascita in questa vita. La speranza non ha per oggetto un altro mondo, ma la redenzione di questo mondo" ("Riforma", 28/4/2006, p. 7).

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