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DIDEROT

IL POLITICO, IL FILOSOFO LO SCRITTORE


SCRITTI DI A. BECQ, M. BUFFAT, P. C A S I N I , C H O U I L L E T , J. D E P R U N , B. DIDIER, J. E H R A R D , S. G A R G NI R A B B I , J. G E F F R I A U D ROSSO, G.L. GOGGI, J. M A R C H A N D , L. P E R O L , A PIZZORUSSO, C. ROSSO, L. SALKIN-SBIROL1, G. S C A R A F F I A , L. SOZZ1, P. V E R N I E R E A C U R A DI A L F R E D O M A N G O PREFAZIONE DI PAOLO A L A T R I

I lettori che desiderano essere regolarmente informati sulle novit pubblicate dalla nostra C a s a Editrice possono scrivere, m a n d a n d o il loro indirizzo, alla "Franco Angel, Vale Monza 106, 20127 Milano", ordinando poi i volumi direttamente alla loro Librera. FRANCO ANGELI

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DIDEROT LA TRADIZIONE DEI MORALISTI: DA LA ROCHEFOUCAULD A HUSSERL
et de la vrit". C'est la leon mme de l'Emile. 12. De l'ducation publique, Amsterdam 1762 in 12, XX 235 P H est catalogu la Bibliothque Nationale parmi les oeuvres de Diderot. Un autre exemplaire identique est dat de 1763. Le premier est sur microfiches (cote M 6402) l'autre cot R 54705. 13. "Je confie Sa Majest Impriale mes penses comme elles me viennent. La grce que je lui demande, c'est que si, par hasard, il s'en trouve une qui lui paraisse sense, de vouloir bien se la rendre propre, sans quoi il y a cent parier contre un qu'elle restera sans effet. On se fera un plaisir, un honneur de seconder la vue de Votre Majest; si cette vue est d'un petit particulier comme moi, qui s'en vient de huit cents lieues se donner les airs d'approuver ou de blmer, cela se rduira rien, si ce n'est me faire des ennemis. (...) Ainsi j'ose demander et j'espre obtenir de Votre Majest Impriale qu'elle gardera par devers elle tous mes petits papiers pour en faire l'usage qui lui conviendra. Peut-tre ne faudrait-il songer quelque innovation que quand je serai loign" . Mmoires pour Catherine II n 6 (O.C. Lew. X 579). 14. Table ronde du CNRS sur l'dition des Oeuvres Compltes de Diderot, Paris, juillet 1984. 15- Mmoires pour Catherine II n 4 (O.C. Lew. X 572-3). "L'instituteur entre chez la mre, le soir deux heures du matin, l'heure qu'elle rentre. La mre. Ah! l'abb, vous voil! L'instituteur. Oui, madame. La mre. Est-ce que vous venez coucher avec moi? L'instituteur. Je viens vous dire que je m'en vais demain. La mre. Cela n'est pas vrai, vous ne vous en allez pas, et pourquoi vous en aller? L'instituteur. C'est que je ne puis rien faire de vos enfants. La mre. Et qui est-ce qui vous dit d'en faire quelque chose, mon cher abb? Vous vous donnez bien du souci et bien de la peine inutilement. Mon fils apprendra de vos mathmatiques, de votre latin, de votre grec, de votre physique, de toutes vos sciences, ce qu'il pourra; qu'il se porte bien, qu'il ait de la grce, qu'il parle avec esprit, qu'il plaise dans le monde, qu'il soit aimable et amusant; c'est tout ce que je vous demande pour l'an. Le cadet pourrait bien tre un sot, malgr vous. Eh! bien, l'abb, nous en ferons ou un militaire, ou un ecclsiastique; au pis aller, il aura la charge du prsident son oncle. Et puisque votre projet n'est pas de coucher avec moi, allez-vous en car il est tard; et que je n'entende plus parler de ces fadaises-l (...) Et ce qu'il y a de trs plaisant, c'est que c'est l'abb qui a tort et la mre qui a raison".

Corrado Rosso

Che Diderot sia un moralista serabra del tutto pacifico. Lui stesso si sempr considerato come tale. Verso la fine dlia vita ancora scriver di s: "Je me crois passable moraliste, parce que cette science ne suppose qu'un peu de justesse dans l'esprit, une me bien faite, de frquents soliloques, et la sincrit la plus rigoureuse avec soi-mme, savoir s'accuser et ignorer l'art de s'absoudre" (1). Man mano che negli ultimi decenni la critica si accresciuta di contributi d'ogni genere, la figura di un Diderot moralista aumentava di statura assumendo contorni sempre pi netti e aspetti sempre pi suggestivi. Bisogna dire pero che proprio l'uso del termine, di moralista se giova a far grandeggiare Diderot, tende a isolarlo dal contesto storico, a fare cio del "fenomeno Diderot" un fenomeno unico, irripetibile, imparagonabile. La pur cosi vasta bibliografa critica su Diderot contiene ben pochi nomi di ,autori che collochino Diderot moralista in una prospettiva storica determinata (2). Se tutti sono in un certo senso moralisti, in che modo preciso Diderot un moralista? come si collega ai moralisti del suo tempo e a quelli del secolo precedente, i grandi moralisti del Grand Sicle? Si deve a Herbert Dieckmann (3) una risposta a quesito. Secondo il grande critico, cui tanto devono tal gli

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sentence, trattata in modo retorico-letterario e senza accenni ai moralisti. In quanto al termine aphorisme constatiamo che risulta pertinente al diritto e alla medicina ed definito come una mas sima corta la cui verit fondata sull'esperienza e sulla riflessione e che, nel breve giro di qualche parola, contiene una gran ricchezza di significati. Possiamo dunque dire che 11atteggiamento di non ricezione dei moralisti del Seicento da parte di Jaucourt significativo sia dal punto di vista che c'interessa in modo particolare (la reazione di Diderot) sia a livello di mentalit collettiva. Cio tutta un'poca che appunto si esprime ne11'Encyclopdie, ritiene che la morale debba fondarsi sul'utilit immediata e sui bisogni pi generali della natura umana. La morale insegnata attraverso massime e caratteri non imbocca le strade rette e luminose che ormai si sono aperte all'umanit, ma si perde in sofismi vani e in estetiche civetterie. In altri trmini, fra "philosophe" e "moraliste" ci sembra ci sia opposizio.ne, incomprensione, conflitto (6). In realt questo scontro forse pi apparente che reale e deve essere ridimensionato, come abbiamo mostrato in altri lavori: la nozione dell'"honnte homme" permette infatti di stabilire una connessione e persino un rapporto di continuit fra queste figure umane e ideologiche. Qui ci basti osservare che uno dei trattati di morale pi diffusi del secolo, quello di Toussaint, Les moeurs, apparso nel 1748, comporta un insegnamento della morale attraverso "caratteri", per cui sotto questo aspetto l'autore puo considerarsi un continuatore di La Bruyre. Anlogamente, potremmo evocare, nello stesso Settecento, un autore come Vauvenargues, anche lui dipintore di "caratteri", ma citazione un po1 sospetta, se Vauvenargues, sotto tanti aspetti si presenta ancora come un figlio spirituale del Seicento. Prescindendo dalla ricezione dei moralisti a livello di mentalit collettive e venendo ora pi particolarmente a Diderot, possiamo constatare che anche presso di lui, malgrado le sue dichiarazioni e il carattere stesso della sua opera, la tradizione dei moralisti lungi dall'esser recepita con univoca positivit. Prendiamo per esempio La Bruyre. Diderot loda l'autore dei famosi ritratti nel

Discours prliminaire alla sua traduzione del saggio di Shaftesbury, non esitando a dire che si cava maggior profitto da una pagina di La Bruyre che non da un intero trattato di filosofa, come quello di Edme Pourchot, autore non molto noto, la cui opera era uscita nella quarta edizione nel 1744 (7). Ci malgrado, tutto il brano suona negativamente per i moralisti. La morale non manca infatti di lunghi trattati, maP non ne sono stati dati gli elementi, e questi non sono certo costituiti da quelle raccolte di massime senza legame e senza ordine nelle quali si cercato di deprimere l'uomo senza pensare a correggerlo. Certamente meglio La Bruyre di Pourchot, ma un fatto - conclude Diderot - che n gli uni n gli altri (n i moralisti n i filosofi) sono capaci di rendere un lettore virtuoso "par principes". In un contesto inatteso, dopo yuna citazione di La Rochefoucauld su cui ci soffermeremo pi avanti, ritroviamo la Bruyre, e cio nelle Leons de clavecin. Qui il grande ritrattista esaltato come tale: "Portraitiste; sublime rosaire de maximes ingnieuses enfiles grain grain" (8). Ma per l'utilit e anche forse per il piacere si preferirebbe un ragionatore ben solido che riuscisse a dimostrare la consonanza di virt e felicit. In un brano che nell'edizione Asszat-Tourneux attribuito a Diderot, dal titolo Spculations utiles et maximes instructives (9) assistiamo a una forte stroncatura collettiva dei moralisti: "Je voudrais bien savoir pouquoi ces faiseurs de maximes, commencer par Montaigne, La Rochefoucauld, Nicole, La Bruyre, Trublet (...) ont tous t pntres du plus profond mpris pour l'espce humaine. Montaigne nous croit incapables de rien savoir et de rien connatre; La Rochefoucauld dbute par nous assurer que nos vertus ne sont que des vices dguiss; toute la morale du grand Nicole est fonde sur deux principes, c'est que la mchancet dcoule de notre nature corrompue par le pch originel, et que le peu de bien que nous faisons est l'effet de la grce de Dieu; presque tous les portraits de La Bruyre sont un dnigrement, et ses

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di Richardson sui moralisti. Tutto quanto Montaigne, Charron, La Rochefoucauld e gli altri moralisti hanno messo nelle loro massime, Richardson l'ha messo in azione. Pertanto un uorao intelligente che legga attentamente le opere di Richardson pu ricostruire la maggior parte delle massime dei moralisti: ma, se parte dalle massime, non riuscir a rifare una sola pagina di Richardson. Pessimismo, astrattezza, mancanza di sistematicit, ecco quanto Diderot rimprovera ai moralisti. Pertanto abbiamo proprio l'impressione che il discorso con cui avevamo iniziato questo scritto ora s'infletta sino a capovolgersi. Diderot moralista, dicevamo: ma dove sono i moralisti? Dawero Diderot philosophe e enciclopedista ha rotto definitivamente colla tradizione dei moralisti. Una tradizione logora nell'et dei lumi trionfanti. L'atteggiamento generale di Diderot utilitaristico e progressista, ormai insofferente a quel tipo di pensare, a quelle abitudini di scrittura. Potr forse ancora fare qualche saluto amichevole, qualche sorriso ammiccante, potr ancora tributare qualche elogio ai moralisti del Grand Sicle, ma sono cenni e sorrisi ormai scialbati: Diderot si trova sull'altra sponda, dall'altra parte del fiume. Tutto lo porta o contro o al di l. Se dawero le cose stessero cosi, tutto sarebbe molto semplice e il nostro discorso, dopo aver fissato il posto che hanno i moralisti nell'opera di Diderot, e aver presentato qualche conclusione pi o meno negativa, si fermerebbe qui. In realt tutto molto pi complicato perch Diderot sempre Diderot, un personaggio e un pensatore che mostra continuamente, nelle pieghe infinite dlia sua personalit, aspetti inattesi e contraddittori. E' dunque impossibile raccogliere 11atteggiamento di Diderot nei riguardi dei moralisti in un solo giudizio negativo. La sua pur reale insofferenza e la sua opposizione non sono mai definitive. Baster - per convincersene - continuare la lettura del brano gi citato, sulle Spculations utiles (21). Il pessimismo ei moralisti lo disgusta, ma ecco che Diderot tenta di giustificario. E ci fa presentando tre ipotesi: forse questi autori hanno preso in s stessi o in coloro che frequentavano, un'idea cosi triste dlia natura

umana ; oppure pensavano che era inutile lodare i galantuomini e ch'era meglio metterci in guardia contro i malvagi; oppure, infine, ch'era meglio diminuir la nostra vanit e smontare sin dal principio l'orgoglio che sarebbe nato in noi in seguito ai loro eventuali elogi. Queste ipotesi sono ispirate a una prudenza che pu far pensare a qualche brano dell'Imitazione di Cristo (22). In ogni caso queste riflessioni sulla natura umana sono utili perch precisa Diderot - possono venir considrate come delle grosse raccolte di esperienze fisiche che attendono un principio generale che le colleghi l 1 una all'altra. Sono come i materiali destinati alla costruzione di un grosso edificio che si completer poi (o forse mai). Intanto, questi. moralisti continuano a lavorare dando colpi di piccone. Di qui 1'incitamento fra il serio e l'ironico: "Allons, mes amis, piochez toujours: c'est fort bien fait vous". Questo brano di Diderot sembra aver tr/ovato una vivace e intelligente risposta in una lettera di Madame d'Epinay che cosi gli scrive: "Ah! philosophe! que je rvre votre tonnement, et que je vous flicite de cette heureuse scurit! Quoi! vous ignorez srieusement o Montaigne, La Rochefoucauld et La Bruyre ont puis leurs tristes maximes de morale? Vous les regardez comme des recueils d'expriences physiques, qui attendent quelque principe qui les lie? Hlas! heureux mille fois celui qui ne le trouvera pas, ou qui se croira fond en nier l'existence! Non; ce n'est ni dans eux-mmes, ni dans le. coeur des gens qu'ils ont particulirement frquents, qu'ils ont vu l'homme mchant, personel et faux. Ce n'est pas par politique qu'ils croient devoir montrer le mal prfrablement au bien; c'est pour dire la vrit; et cette vrit, ils l'ont puise dans la connaissance de la nature humaine et de sa faiblesse, et dans la recherche de la socit, telle qu'elle est institue (23). Madame d'Epinay conclude osservando che non esistono n uomini virtuosi n malvagi: nicamente la societ che Ii

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discontinuo (33), espressione del genio, che spesso disuguale, Diderot esce in questa interrogazione retorica che molto significativa: "Qui est-ce qui a plus de penses remarquables, qui est-ce qui a plus crit par lignes saillantes, que La Bruyre et La Rochefoucauld? Et La Rochefoucauld manque de gnie?" (34). Sembra dunque conveniente prolungare oltre le consuetudini il pranzo d'affari di Dierot coi moralisti.La conversazione, con questa gente un po ' antipatica e troppo triste, tutt'altro che vuota. Vestiti cosi di nero sembrano un po1 lugubri, ma le cose che dicono sono molto interessanti. La loro eloquenza tanto elegante quanto profonda. Da cosa nasce cosa. a un tratto ci si accorge che analoghi problemi vengono impostati e risolti in modo analogo. In altre parole meno immaginose possiamo dire che, studiando certe reazioni tipiche di Diderot, riveniamo in lui un approccio, e una scrittura che sono' propri dei moralisti. Con ci non vogliamo certo dimenticare o minimizzare la polmica di Diderot contro la tradizione dei moralisti. Ma un fatto che esiste anche il Diderot di cui parliamo ora. Cominciamo dal mtodo. Qule che sia la critica di Diderot nei riguardi dei moralisti, non c' dubbio che una vasta materia ideolgica li accomuna, non solo perch oggetto di intenso e uguale dibattito, ma perch affrontata con analoghe peripezie metodologiche. Non dimentichiamo infatti che nei moralisti l'aspetto descrittivo del loro approccio alla realt morale non si distingue mai del tutto da un propensione normativo-regolistica. Ora, questi due atteggiamenti sono spesso concomitanti e coabitano sia pure con disagio nell1animo mosso di Diderot. Infatti se moralismo critico vuol dire dubitare di tutto ed enucleare le aporie dlia morale, come armonizzarlo con quella morale normativa cui tanto fortemente tende Diderot, malgrado l'impianto deterministico del suo pensiero: anzi, diremmo, proprio in reazione al determinismo? Se la liberta non fosse un problema, Diderot non si preoccuperebbe tanto di fondarla

o di deprimerla. Il fatalismo di Diderot un fatalismo critico, una delle tante "sfide" di Diderot (35) Nelle Penses sur l'interprtation de la nature leggiamo che se i fenomeni non sono concatenati (enchans) gli uni agli altri non c' filosofa (36). Negli Entretiens sur le fils naturel Dorval osserva che 1'arte drammatica prepara gli avvenimenti nicamente per collegarli strettamente gli uni agli altri (les enchaner): il che possibile perch gi lo sono nella natura (37).Neil'Entretien entre d'Alembert et Diderot leggiamo che "tout se tient dans la nature" (38). E queste citazioni di un analogo pensiero potrebbero continuare: ma ci fermiamo. Cio che c'interessa mostrare che proprio qui si potrebbe misurare un forte divario; fra la concezione di Diderot e quella dei moralisti. Infatti, il modo di procedere di questi ultimi postula e conferma l'impossibilit di leggere i fenomeni morali come si legge un libro ben costuito. Atomismo, soluzioni di continuit, .conflitti, rotture di ogni genere, scoscendimenti, sbalzi ecc. carattTerizzano l'universo indagato dai moralisti. Sembra dunque che l1 atteggiamento oppure la crisi sia superata dalla certezza normativa. Nei quai caso i moralisti apparterrebbero a uno stadio preliminare dlia ricerca, quando il dubbio rgna e le tenebre sono fitte. In realt non c' n un prima n poi. Le due tendenze sussistono malagevolmente nell'animo di Diderot senza che l'una abbia definitivamente il sopravvento sull'altra. Persino lo spettro del determinismo si rivela poi di buon carattere perch si adatta a convivere con un moralista moralizzante che non disdegnerebbe,in certi casi, di salire su di un pulpitoj magari su quello del fratello ... E veniamo ora ai contenuti, anch'essi simili. Prendiamo un grosso problema, quello dlia felicita. I "philosophes" sembravano d'accordo, pur nella loro operosa discordia, almen su qualche punto fondamentale e uno di questi era senza dubbio l'idea che le riforme dovessero tener conto della felicita pubblica cosi da difenderla ed eventualmente produrla e aumentarla. Ora Diderot che pur ha concepito l'Encyclopdie per il bene dell'umanit, perch - scriveva (39) - gli uomini del futuro, i "nostri nipoti", divengano al tempo stesso pi virtuosi e pi felici, si mostra poi

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attinte le certezze che ci fanno vivere. Non c'era dunque bisogno di essere dei "philosophes" e di darsi tanto da fare per offrire ai contemporanei uno strumento formidabile di conoscenza come l'Encyclopdie, se poi le verit fondamental! si colgono attraverso intuizioni sentimentali. Da questo paradosso metodologico risulta evidente che la ricerca morale non parte da un sistema di conoscenze da accettarsi e da trasmettersi per procedere oltre. 'una ricerca in cui si sempre novizi, in cui ogni progresse nel sapere deve mutarsi in un1esperienza personale, in cui la validit dei risultati commisurata necessariamente alla falsificazione o all1accertamento positivo, falsifieazioni e verifiche che non sono mai definitive. Pertanto 1'espressione "tradizione dei moralisti", che pur usiamo, puo essere del tutto fuorviante, quando la s'intenda come un complesso di conoscenze che i moralisti si trasmetterebbero con una fedelt pari alla loro passivit. Tradizione deve essere dunque intesa in un senso metodologico cio come trasmissione di una maniera di porre i problemi e di risolverli, almeno entro certi limiti. 'Soluzione dunque soprattutto pi una infinita apertura problemtica che una soluzione oggettiva e ben definita. Resta ora da analizzare il secondo atteggiamento fondamentale caratterizzante la civilt dei moralisti e che rinvenibile in Diderot. Si tratta cio di una particolare valutazione della scrittura. A tal proposito molto rivelativo un brano come questo, che troviamo nella dedica a Naigeon dell'Essai sur les rgnes de Claude et de Nron: "Je n . e compose point, je ne suis point auteur; je lis ou je converse, j'interroge ou je rponds. Si l'on n'entend que moi, on me reprochera d'tre dcousu, peut-tre mme obscur, surtout aux endroits o j'examine les ouvrages de Snque; et l'on me lira, je ne dis pas avec autant de plaisir, comme on lit les Maximes de La Rochefoucauld, et un chapitre de La Bruyre" ( 4 6 ) . Al tramonto della sua vita, Diderot ci offre qui una confessione estremamente importante. Ci d il suo giudizio sul suo scrivere. Ecco dunque la sua scrittura, che la

negazione dello scrivere. Ed prezioso il riferimento, questa volta tutt'altro che polmico, ai moralisti. Ricordiamo l'inizio delle Penses sur l'interprtation de la nature : "Je laisserai les penses se succder sous ma plume, dans l'ordre mme selon lequel les objets se sont offerts ma rflexion" (47) Ail'inizio del Salon del Grimm, scrive: "Voici, mon ami les ides qui m'ont pass par la tte (...) je les jette sur le papier, sans me soucier ni de les trier ni de les crire. Il y en aura de vraies, il y en aura de fausses" ( 4 8 ) . Riprendendo dopo molti anni la Lettre sur les aveugles Diderot si serve della stessa immagine, eolio stesso verbo: "Je vais jeter sans ordre, sur le papier, des phnomnes qui ne m'taient pas connus" (49). Nel bel mezzo dell'Essai sur la peinture Diderot conclude il capitolo in questo modo assai disinvolto: "Mais ce que j'esquisse ici en passant se trouvera peut-tre un peu plus fortement rendu au chapitre de la composition qui va suivre. Qui sait o l'enchanement des ides me conduira? ma foi! Ce n'est pas moi" (50). Le ultime parole sembrano alludere a una totale spersonalizzazione dell'autore. Non lui che scrive, sono le idee che gli dettano la pagina, quasi come se lui non esistesse pi. E' una specie di scrittura automatica che potrebbe far pensare ai surrealisti (51) I tale contesto si capisce il senso di quello straordinario elogio della distrazione che Diderot ha tributato nella voce omonima dell'Encyclopdie: la distrazione ha la sua origine in un'eccellente qualit dell'intelletto, cio un'estrema facilita di generare le idee l'una dall'altra. Il suo 1761 Diderot, rivolgendosi a

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tipo di espressione come quello aforstico. Dalle Penses philosophiques (1746) alle Penses dtaches sur la peinture (1776), dall1 alba di una vita tutta dedicata alla meditazione al suo intenso tramonto, una tale continuit in una scelta formale non pone dubbi sul riconoscimento della validit di un simile strumento stilistico per Diderot. Una scelta formale in cui l'ordine non sostituito dallo scucito, ma dove il disordine trova un occulto ordinamento (59), cosi come il frammentarismo delle massime di La Rochefoucauld rinvia a un ordine che, annunciato dal famoso esergo (60), si ritrova poi dappertutto ma sempre in modi diversi e imprevisti, i quali difficilmente ammettono gerarchie o concatenazioni. Quale che sia dunque oggi la valutazione critica degli strumenti formali di cui si vale Diderot, da ogni parte si ammette tuttavia che ci possano essere diversi Diderot nell'unit catica del suo pensiero, e che le tesi pi opposte possono coabitare. E' c.hiaro pertanto che, se s'intende la tradizione dei moralisti non tanto come una tradizione di pensiero morale sistemtico, n come una trasmissione di saggezza proverbiale (sapienziale-paremiologica), e ancor merio come il passivo tramandarsi di un compatto e acritico atteggiamento moral-regolistico, bensi come un filone critico-gnomico di cui lo scetticismo apparente in realt una scepsi, nella quale il dubbio un modo di ricerca, non una finalit, Diderot senz'altro in tanti aspetti della sua opera e della sua personalit, un moralista in questo senso. Un moralista che interroga, che ha il gusto dell'interrogazione, la gioia della ricir i Al punto, paradossale, che il cercare apporta soddisfazioni le quali potrebbero venire estinte dall'aver trovato- Di qui un aspetto lessinghiano e faustiano in Diderot che anni fa abbiamo sottolineato (6l). Ma il moralismo critico e zetetico di Diderot non assume mai 1'aspetto orgoglioso ed egemonico dell pens kantiano o cartesiano. Sensibile alia passione della ricerca, Diderot apre incommensurabilmente il compasso delle sue valutazioni. Tale apertura che constatiamo sul piano della coscienza riflessa correlata a una ben pi vasta cenestesi immediata sulla quale Diderot si esprime con effuso lirismo (62). Ma

1'apertura della teoresi moralistica che c'interessa in questa sede. Su tale apertura si possono fare - almeno cosi riteniamo - delle osservazioni della maggiore importanza. In primo luogo se ne puo sottolineare 1'inevitabile carattere di desoggettivizzazione. Pi ci si apre agli altri, sia in uno sforzo di comprensione che in una rilassata auscultazione, meno si s stessi. Si tratta di una specie di non-violenza teoretica, se il pensiero imperativo e dogmtico si chiude alia comprensione degli altri o tende a fagocitarne la personalit intellettuale. Questa desoggettivizzazione in Diderot si constata non solo nel suo approccio teoretico-morale, ma anche nella stessa complessa vicenda del suo vivere e del suo scrivere. Su ci nulla di pi iIlumnate stato detto di quanto troviamo in un saggio di Jean Starobinski (63). Dal'interpretazione del critico svizzero emerge un Diderot che giovane si pone nell'ombra di Shaftesbury, vecchio a quella di Seneca: che traduce, chiosa, commenta, adottando per lo pi un "parti pris d'criture marginale". Metodo che permette a Diderot di abbandonarsi senza problemi a tutta la focosa discontinuit delle sue- idee successive, come si vede per esempio in Jacques le Fataliste. Metodo, in ultima analisi, che permette di ribaltare la passivit in una nuova e attiva liberta, come dimostra Starobinski. Infatti la comunione col tutto conferisce una straordinaria indipendenza del filosofo nei riguardi del tiranno: la morte dell'io la libert delio spirito che, attraverso il filosofo, giudica tutti gli uomini, li guida e li regge come nello staordinario brano dell'Essai sur les rgnes de Claude et de Nron ( 6 4 ) . Starobinski pu dunque concludere che 1'estrema dpossession pu rovesciarsi, in Diderot, nell'infinita indipendenza. Senza pervenire a un risultato cosi radicale ed estremo, che ha tutta la luce dell'eroismo ma anche il triste bagliore del tramonto (65), la desoggettivizzazione conseguente alte^.straordinaria apertura dell'approccio di Diderot pu essr' la base naturale e lo stimolo fecondo per l'applicazione di un mtodo che questa volta non rinvia pi ai moralisti e alla loro tradizione, bensi precorre originalmente una procedura fra le pi famose della filosofa contempornea. Cio il riaggancio di Diderot alla

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NOTE 1. Essai sur les rgnes de Claude et de Nron, At., III, p. 401 (Citiamo in base aile Oeuvres compltes, a cura di Jules Asszat e Maurice Tourneux, Paris, Garnier, 1875-1877, vol. 20: sigla = At.). Si noti che nella Lettre sur les Aveugles (At., I, p, 286). Diderot si definisce come un "homme qui aime (...) moraliser"; in ogni caso "moraliste", "moraliser" sono termini ricorrenti sotto la sua penna. Sempre in tale contesto cfr. questo brano molto familiare di una lettera indirizzata alla figlia e al genero. Nel dolore per la loro partenza Diderot scrive queste righe molto significative, nella loro liberta, per quanto c'interessa: "(...) un bon pre est souvent un trs mchant homme; et je portais secrtement au fond de mon coeur, ce sentiment, honnte, doux et humain: prissent tous les autres, pourvu que mes enfants prosprent, et je me persuade que c'est l pourtant un de ces cas ou l'on estime moins et l'on n'en aime que davantage. Il y a toujours quelque chose qui ne nous dplat pas dans l'injustice qui nous sert; et puis si la morale vous plat, prenez La Bruyre ou La Rochefoucauld pour supplment ce que je supprime; ou dites de moi ce que Dom Quichotte disait de" Sancho: 'Enfile, bourreau, enfile1. Il tait un moulin proverbes, et je suis un moulin maximes", (il corsivo nostro; in questo brano, come in tutti gli altri del presente saggio l'ortografia modernizzata) (Citiamo in base all'edizione dlia Correspondance, a cura di Georges Roth e Jean Varloot, Paris, Les Editions de Minuit, 1955-1970, vol. 1 6 ) . Per questa lettera v. vol. XV, p. 148 (31 maggio 1779). 2. Fra questi doveroso citare almeno Pierre Hermand, autore di un diligente spoglio, dal titolo Les ides morales de Diderot, Paris, Puf., 1923. 3. Cfr. Cinq leons sur Diderot, Genve, Droz; Paris, Minard, 1959, p. 64 e s s. 4 Su quest'opera esaminata in questo contesto . l'ottimo studio di Gita May, Les "Penses dtaches sur la peinture" de Diderot et la tradition classique de la "maxime" et de la "pense", Revue d'histoire littraire de la France", 1970, pp. 45-63 5- Su Jaucourt v. la monografa di Madeleine F. Morris, Le chevalier de Jaucourt. Un ami de la terre, 1704-1780, Genve, Droz, 1979. E1 noto che Diderot ail'origine di un giudizio alquanto riduttivo di Jaucourt, che la critica oggi ridimensiona. 6. Per quanto concerne il concetto del "philosophe" nl. Settecento si pu ricorrere con frutto alla messa a punto di Ann Thomson, Le philosophe et la socit, "Studies on Voltaire and the eighteenth Century", Transactions of he fifth International ongress on the Enlightenment, vol. 190, I, 1980, pp. 273-284. 7. At. ,1, p.11. 8 . At., XII, p . 3 1 6 . 9. At., IV, p. 90.

10. At., XII, p. 3 1 6 . 11. A t . , x i i , p p . 3 1 5 - 3 1 6 . 12. Il giansenismo di La Rochefoucauld stato recentemente valutato in tutti i suoi aspetti nel lucido libro di Jean Lafond, La Rochefoucauld. Augustinisme et littrature, Paris, Klincksieck, 1977 13. At., V, p. 466. In una delle ultime edizioni italiane dell'opera, e cio in quella a cura di Andrea Calzolari (Milano, Franco Maria Ricci Editore, "La biblioteca blu", 1973, nuova ed. 1982) si legge che il Neveu de Rameau "uno dei libri pi irriducibilmente cinici ed immorali dlia cultura moderna: proprio per questo di qui comincia la costruzione di un1etica nuova". 1 4 . ? aprile 1772, Correspondance, XII, p. 47. 15. On human nature (Trait de la nature humaine ..., Amsterdam, 1772). 16. At., XI, p. 117. La massima di La Rochefoucauld la seguente: "Dans l'adversit de nos meilleurs amis, nous trouvons toujours quelque chose qui ne nous dplat pas". Taie massima compariva sotto il numero 99 nella prima edizione ( 1665) - Venne dall'autore soppressa nelle successive edizioni. Diderot la cita cosi" dans les plus grands malheurs des personnes qui nous sont les plus chres, il y a toujours quelche chose qui ne nous dplat pas". Si pu pensare che questa citazione (con quanto segue sulle rappresentazioni teatrali dlia virt perseguitata) sia stata prodotta da un passo del saggio di Burke sull'origine delle idee, sul sublime: v. in particolare la sezione XIV che tratta degli effetti dlia simpata nelle sventure dei nostri simili. Qui Burke scrive di esser convinto che le sofferenze altrui possono provocare un alto grado di "delizia": ora ben nota l'influenza esercitata da Burke su Diderot. 1 7 . At., III, I 6 0 . Per dar un contenuto cristiano alle massime di La Rochefoucauld venne diffusa l'interpretazione secondo la quale esse sarebbero State dirette contro l'orgoglio stoico. La virt dei filosofi stoici sarebbe una virt fallace, perch non illuminata dalla luce cristiana. Perci il volto severo di Seneja non deve ingannare: 1'angelo che rappresenta l'amore dlia verit lo smaschera e ne scopre un viso deturpato dal vizio. Questo frontespizio si vedeva nelle prime edizioni delle massime. Sul reale significato di questa operazione di propaganda v. il libro citato di Jean Lafond. p. 59 e sgg. Lo stato degli studi su La Rochefoucauld e sul suo tempo non permetteva a Diderot una presa di coscienza netta di tale strategia. Ma a Diderot non sfugge il senso genuino e la forza razionalistica dlia dottrina di La RochefSucauld, scrittore calunniato tanto quanto Epicuro": Il parat que le mot volupt, mal entendu, rendit odieux, ainsi que le mot intrt, aussi mal entendu, excita le murmure des hypocrites e des ignorants contre un philosophe moderne" (At., III, p. 316). Si noti che questo "philosophe moderne" potrebbe essere Helvtius, ma in quanto riscopritore di La Rochefoucauld. 18. At., VI, p. 262.

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n'avait pas mis les pieds depuis cinq six ans. Il s'assied; une fille de joie prend une chaise ct de lui. Il la suit chez elle; elle lui donne la mauvaise sant; il en meurt. C'tait un fils unique; et voil son pre, sa mre et toute sa famille plongs dans la dsolation. Une jeune fille, dvote comme un petit ange, dans le mme instant s'en allait la messe. Elle trouve sur son chemin un petit voisin de quinze seize ans, qu'elle avait lorgn quelquefois, et qui ne manquait pas de got pour elle. Il la prend sous le bras; l'orage les fora l'un et l'autre chercher un asile, mais o? dans la chambre du petit voisin. Je ne sais comment cela se fit, mais elle en sortit grosse. Voil sa mre en fureur. Elle accouche, et puis on la claquemure pour le reste de sa vie dans un clo'itre. C'est contre ces tours du sort que les Maximes de La Rochefoucauld et tous les livres du monde ne peuvent rien (...) Oh! les ineptes et les plates cratures que nous serions, si nous ne savions que ce que nous avons lu! Les pauvres choses que tous ces principes crits, .mme dans les ouvrages les plus profonds, -en comparaison des besoins et des circonstances de la vie! Ecoutez un blasphme: La Bruyre, La Rochefoucauld, sont- des livres bien communs, bien plats, en comparaison de ce qui se pratique de ruses, de finesses, de politique, de raisonnements profonds, un jour de march la halle". 35. V. al riguardo il lmpido saggio di Lionello Sozzi, Padroni di se stessi, la sfida di Diderot, "Intersezioni - Rivista di storia delle idee", 1 9 8 1 , pp. 351-360. 36. 37. 38. 39. 40. At., II, p. 57, LVIII, 1. At., VII, p . 130. At., II, p . 111. At., XIV, p . 4 1 5 . Correspondance, V., pp. 109-110 (lettera a Sophie Volland dell'8 settembre 1765; v. anche II, p. 3 1 8 ) (lettera alla medesima del 3 novembre 1759).

54. At., X, p. 351-352, XI, P 245. 5 5 . Cfr. in particolare il capitolo 56 V

su

La

pense

et

ses

modes

d'expression nelle Cinq leons op.cit. il saggio: Diderot et le problme de l'expressivit: de la pensee "Cahiers de l'Association Internationale au dialogue heuristique,

des Etudes Franaises", 1961, N. 13, pp. 283-297. 5 7 . Queste pagine, per altro brillanti, del noto critico belga, potrebbero farlo ascrivere fra coloro che nel nostro libro La "maxime". Saggi per una tipologa critica, Napoli, Esi, 1968, abbiamo individuati come i "nemici" dlia massima (v. il capitolo I) 5 8 . V. articolo citato. 59. Per cui diventa di

moda

parlare

di

"ordine

del

disordine"

in

Diderot. 60. Nos vertus ne sont, le plus souvent, que des vices dguises". 61 Nel saggio: "Aufklrung" 1955, pp. e ''Encyclopdie" : poi Diderot in e Lessing, ' "Filosofa", 554-573, ripreso Illuminismo,

felicita, dolore: miti e Ideologie francesi, Napoli, E si ,1969 (cap. I). 62. Alludiamo al famoso brano degli Elments de physiologie: "Je suis port croire que tout ce que nous avons vu, connu, aperu, entendu,: jusqu'aux arbres d'une longue forts, que dis-je? jusque' la disposition des branches, la forme des feuilles (...) jusqu' l'aspect des grains de sable du rivage de la mer, aux ingalits de la surface des flots (...) jusqu' la multitude des voix humaines (...) la mlodie et l'harmonie de tous les airs (...) de tous les concerts que nous avons entendus, tout cela existe en nous notre insu" (At., IX, pp. 366-367). 63. Cfr. Diderot et la parole des autres, "Critique", 1971, pp. 3-22. 6 4 . "Le magistrat rend la justice 5le philosophe apprend au magistrat ce que c'est que le juste et l'injuste. Le militaire dfend la patrie; le philosophe apprend au militaire ce que c'est qu'une patrie. Le prtre recommande au peuple l'amour et le respect pour les dieux, le philosophe apprend au prtre ce que c'est que les dieux. Le souverain commande tous; le philosophe apprend au souverain quelle est l'origine et la limite de son autorit. Chaque homme a des devoirs remplir dans sa famille et dans la socit, le philosophe apprend chacun quels sont ces devoirs. L'homme est expos l'infortune et la douleur; le philosophe apprend l'homme souffrir" (At., III, p. 2 4 8 ) . 65. Leggiamo infatti, sempre nello stesso contesto: "On ne pense, on ne parle avec force que du fond de son tombeau" (At., III, p. 219). Non dimentichiamo, d'altra parte, che questa 1'ultima opera di Diderot. 66. A t . , X p . 194. 6 7 . At., I, pp. 3 6 9 - 3 7 0 (Lettre sur les sourds et muets). Queste "nubi" costituiscono un topos con cui Diderot gioca liberamente. In una lettera a Falconet del maggio 1767 (Correspondance, VII, p. 6 5 )

41. Correspondance, XVI, pp. 57-58. 42. Correspondance, IX, p. 61 (lettera del maggio 1769 a Mdame de Maux). 43. At., II, p . 248. 44. Correspondance, IV, p. 39 (lettera a Sophie Volland del 14 luglio s 1762). Correspondance VI, p. 98 (lettera del 15 febbraio 1766). At., III, p. 10. At., II, p. 9 . At., X, p . 107. At., I, p . 3 3 1 . At., X, p . 4 9 6 . Sul rapporte Diderot-surrealismo v. le utili osservazioni di Jacques Proust, in Lectures de Diderot, Paris, Armand Colin, 1974, p. 131 e sgg. (Proust esamina in particolare l'interpretazione di R. Lov) 52. At., VI, p p . 375-376. 45. 46. 47. 48. 49. 50. 51. 53. At., V, p. 3 8 7 .

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mauvais raisonneur" (Correspondance, VI, pp. 257-258, lettera del 5 19. Come non pensare alla famosa proposizione di Spinoza: "Ordo et connexio idearum idem est ac ordo et connexio rerum". (Etica IX, 7) 20. At., V. p. 213. 21. At., IV, p. 90 e sgg. 22. V. per esempio Libro I, cap. II, dove si sottolinea che la lezione . pi elevata e pi salutare conoscersi bene e percio disprezzarsi. Non avere alcuna buona opinione di s stessi e stimare molto gli altri una grande saggezza e un1alta perfezione. Manca ovviamente in Diderot la presa di coscienza dell'impatto dell'etica cristiana sui moralisti. Eppure all'origine della stessa etica cristiana si trova un discorso aforstico: v. al riguardo l'interessante saggio di Charles E. Carlston, Proverbs, maxims and the historical Jesus, "Journal of Biblical Literature", 1980, p. 87-105. 23. Correspondance, XII, p. 28. La lettera forse del 1772, giorno e mese sono imprecisati. 24. Correspondance, op.cit. XII, pp. 28-29. 25. Il rapporto Montaigne-Diderot stato oggetto di studio nel libro di Jrme Schwartz, Diderot and Montaigne: the "Essai" and the shaping of Diderot's huanism, Genve, Droz, 1966. Trattando Montaigne come un moralista, alla stessa stregua dei moralisti del '600, siamo consci di una certa approssimazione di cui soffre il nostro discorso, che percio vuol essere soprattutto pragmtico e indirizzato a chiarire un aspetto importante dell'opera di Diderot. In senso pi rigoroso siamo soliti dare alla nozione di moralista un significato pi ristretto e pi preciso di quanto generalmente si faccia. Consideriamo infatti il fenomeno del moralismo critico come una realt ideolgica e stilistica che si prodotta in modo esemplare e paradigmtico nel Seicento francese e che consiste nell'opera dei moralisti espressa attraverso la scrittura aforstica. V. al riguarda la nostra nota Per una definizione del moralista (rassegna bibliografa), "Studi francesi", 1984, . 82, pp. 93-98, in cui fra l'altro viene discusso l'importante libro di Louis Van Delft, Le moraliste classique. Essai de dfinition et de typologie, Genve, Droz, 1982. 26. At., II, p. 272. 27. Troviamo qui la definizione di Montaigne come di un autore originale divenuto "le brviaire des honntes gens" (At., III, p. 235) 28. Cfr. l'articolo Pyrrhonienne ou Sceptique (Philosophie). 29. At., I, p. 217. 30. Ha osservato bene a questo riguardo M. Dreano, cui si devono ottime pagine sulla presenza di Montaigne in Diderot che "toutes ces affirmations ne s'accordent pas toujours parfaitement, tous ces traits composent une physionomie complexe" (La renomme de Montaigne en France au XVIIIe sicle, 1677-1802, Angers, Editions de l'Ouest, 1952, pp. 300-312. Tra l'altro Dreano fa notare che esiste in Diderot un certo mimetismo lingstico di cui Montaigne fa generosamente le spese. 3 1 . Dove leggiamo (Montaigne) "toujours grand crivain, mais souvent agosto 1766). 32. Correspondance, XV, pp. 322-323. 33. Sullo stile di Seneca come Stile epigrammatico . le fini osservazioni di Alfonso Trana, Lo stile "drammatico" del filosofo Seneca, Bologna,. Patron, 1974. Fra moite altre ovvie analogie rivenibili fra Seneca e i moralisti pu essere interessante sottolineare che la condanna della speranza quale atteggiamento passionale non controllabile che si trova in Seneca e in numerosi altri pensatori antichi (persino in Boezio!) ripresa in chiave irnica da La Rochefoucauld: cfr. la massima l68: "L'esprance, toute trompeuse qu'elle est, sert au moins nous mener la fin de la vie par un chemin agrable". Eppure proprio il ritrovamento della speranza (dal cristianesimo al comunismo) ci che secondo Trana costituisce "una delle grandi linee spartiacque fra il mondo antico e quello medioevale e moderno", (op.cit., p. 89). 34. At., III, p. 226. Continua la messa in rapporte, nell'Essai sur les rgnes de Claude et de Nron, di La Rochefoucauld con Seneca e viceversa. A proposito di un'osservazione di Seneca sull'ambizione, leggiamo: "Croit-on que cette pense dpart celles de La Rochefoucauld?" (At., III, p. 215). Il "filosofo" si esprime come Seneca (e come La Rochefoucauld, aggiungiamo noi): "Penser fortement, s'exprimer d'une manire claire, laconique, et prcise" (ibidem, p. 231): ma la chiarezza della laconicit non ambiguit? Traendo dalle lettere di Seneca, che per lui sono un "cours de morale complet", un florilegio di massime, Diderot vuol che la sua opera, congiunta e confusa con quella di Seneca, si legga come si leggono le massime di La Rochefoucauld: "Lisez le reste de mon ouvrage comme vous liriez les penses dtaches de La Rochefoucauld" (ibidem, p. 201). Se vero che talvolta Diderot censura i "concetti", le "pointes", i giochi di parole dello stile di Seneca (ibidem, p. 267), la figura di Seneca, nel suo pathos, nella sua ricchezza e anche nella sua inesauribile ambiguit davvero la manifestazione pi completa del moralista. Un moralista eminentemente problemtico, perch "(...) comme il n'y a presque aucune proposition sur les moeurs qui soit vraie sans exception, il arrive souvent au moraliste d'assurer le pour et le contre; selon qu'il se renferme dans la loi gnrale, ou qu'il ne considre qu'un cas particulier, l'homme lui para'itra grand ou petit" (ibidem, pp. 211-212). L'entusiasmo moralistico di Diderot non pu che far naufragio davnti a una constatazione come questa: "Il n'y a pas de science plus vidente et plus simple que la morale pour l'ignorant; il n'y en a pas de plus pineuse et de plus obscure pour le savant" (ibidem, p. 313). E, ancora, contro i moralisti come non citare questi due aneddoti che troviamo nei Miscellanea philosophiques (At., IV, pp. 98-99)?: "Un jeune impie, v~etu d'un habit d'carlate qu'il portait pour la premire fois, est forc par un orage d'entrer dans l'glise o il

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tradizione dei moralisti, qui illustrato, puo dar luogo, paradossalmente e felicemente alla sua inserzione nel movimento che caratterizza l'operazione fondamentale della fenomenologa di Husserl. Basta infatti sostituire alla parola "desoggettivizzazione" 1'espressione . "eliminazione dello psicologismo" e gi ci troviamo sul terreno della fenomenologa. Cio, per conoscere dawero la realt e arrivare alie "cose stesse" - come voleva Husserl e come gi vi arrivava, secondo Diderot, Chardin (66) - occorre praticare una "sospensione del giudizio", proprio come quando si distratti, e allora tutte le idee vengono a noi, senza ordine e senza fretta. Ma la distrazione uno stato passivo che 1'individuo subisce, senza predisporla o determinarla. C' invece un modo di sospendere il giudizio volontariamente, di interrompere la catena rigorosa delle deduzioni monoideistiche. Di taie modalit attiva ail'origine la volont zetetica di Diderot, come nel famoso passo: "Pour moi, qui m'occupe plutt former des nuages qu' les dissiper, et suspendre les jugements qu' jueger" (67). Ora, come non mettere in rapporto puntuale questo passo e tanti altri e, soprattutto, la costante procedura osservabile in Diderot di aprirsi alla realt, di auscultarla senza pregiudizio, di udire tutte le voci, di seguire, per un momento, tutte le idee e tutte le opinioni, con l'operazione preliminare e fondamentale della fenomenologa? L' "epoch" di Husserl quella gi praticata da Diderot. Secondo Husserl 1'"epoch" consiste nel sospendere interamente il giudizio nei riguardi del contenuto dottrinale di tutte le filosofie precedenti (68). Per Husserl 1'autentica e sola procedura razionale il saper "volgersi alie cose stesse", risalendo dai discorsi e dalle opinioni alie cose, interrogndole nel loro "offrirsi", ed eliminando cosi tutti i pregiudizi a esse estranei (69). Si tratta, insomma, di aprire gli occhi e di offrirsi alla realt nel suo carattere assolutamente sorgivo (70). Praticata la "sospensione", resa tersa la vista da

ombre e da paraocchi, allora la realt emerge nella sua candida totalit, cosi come il Monte Bianco si vede, a un tratto "offrirsi" ed emergere in tutta la sua colossale estensione e verticalit allorch si giunge sulla cima di una montagna minore, circostante. Prima se ne vedevano soltanto alcune guglie, solo alcuni ghiacciai, a seconda dei punti di vista scelti. Adesso si scelto il punto di vista della totalit, impregiudicato e sovrano. Unicamente questo abbandono alla totalit rende possibile il vero sapere. Infatti, per ritornare ancora a Husserl, 1'immediato vedere, non solo il vedere sensibile ed emprico, ma il vedere in generale, "come coscienza originalmente offerente di qualsiasi specie" 1'ultima fonte di legittimit di tutte le affermazioni razionali. Tale legittimazione possibile solo se il veduto stato visto nella sua originale offerenza (71). Inoltre, verificata in Diderot l'esistenza intuitiva e implcita di una riduzione eidetica dell'esperienza nel rispetto del puro veduto e di una messa in parentesi di qualsiasi significato o pregiudizio che potrebbero perturbare la purezza dell'ascolto, si potrebbe anche ipotizzare in nuce l'esistenza di una specie di "residuo fenomenologico". Questo - com' noto - ci che Husserl definisce la "coscienza pura nel suo essere assoluto" (72). Ci questo teatro sulla cui scena Diderot lascia liberamente succedere le idee, ha un direttore che sceglie gli spettacoli, alternandoli e variandoli in base al suo gusto, a quello degli spettatori, agli umori degli artisti e alia capienza della sala. quando non c' spettacolo, il luogo dello spettacolo esiste, anche se la scena vuota. Questo spazio indipendente, questo luogo mgico, ora tutto sfavillante di luci, ora immerso nel buio pi silente, la coscienza pura di Husserl o la coscienza del filosofo secondo Diderot, cui tutti i poteri sono attribuiti, secondo il brano straordinario che abbiamo citato. Alio stesso modo in cui la messa in parentesi non sopprime la coscienza pura, cosi la marginalit del filosofo si risolve nella sua onnipresenza dominatrice.

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opposto la stupidit, per cui l'intelletto permane su di una sola idea. Ma allora come distinguere la stupidit dall'atteggiamento mentale di colui che elimina tutte le idee che gli paiono estranee ail'idea su cui si sofferma volontariamente e pertinacemente? Diderot non risolve questo problema ma lascia chiaramente trasparire la sua simpatia per una passivit che in realt apertura, che la possibilit stessa di captare tutto quanto sfugge all'attivit egemonica e semplificatrice, schematizzante dell'intelletto. Ma se Diderot ripugna dal monoideismo, non perci abbraccia senza qualche titubanza quello che chiama sempre nella stessa voce dell1 Encyclopdie - "libertinage d'esprit". Il contrasto o la sinergia fra questi due atteggiamenti del resto distintivo della sua ricchissima personalit. In ogni .caso un fatto che sottolineare il "valore" della distrazione vuol dire, in altre parole, infrangere le catene di ogni mtodo. Su questo punto Diderot non ha peli sulla lingua: ci sono dei casi, - osserva -, in cui nulla stanca di pi e in pura perdita che l'obbedienza a un mtodo, il quale imprigiona le membra e intralcia l'intelletto: per di pi, se lo perdete di vista un momento, siete perduti (52). Se dunque si deve scegliere fra l'avvilente disciplina di un mtodo e 1'esaltante "libertinage d'esprit", Diderot non ha esitazioni. Per convincersene baster rileggere la spendida ouverture del Neveu de Rameau, dove ritroviamo il termine di "libertinage": "J'abandonne mon esprit tout son libertinage: je le laisse matre de suivre la premire ide sage ou folle qui se prsente, comme on voit (...) nos jeunes dissolus marcher sur le pas d'une courtisane l'air vent, au visage riant, l'oeil vif, au nez retrouss, quitter celle-ci pour me autre, les attaquant toutes et ne s'attachant aucune. Mes penses ce sont mes catins" (53). Sempre in quest'ordine d'idee rientra 1'elogio dell'esquisse, (54) ove la vita prevale sulle forme definite

e definitive. E altri aspetti ancora si potrebbero citare di questo atteggiamento di Diderot: ma non questo il luogo per farlo in modo esauriente. Osserviamo piuttosto che tale atteggiamento di Diderot ne ha fatto insieme la sfortuna e la fortuna. Nell'Ottocento e ancora nel nostro secolo 1'infinita "apertura" di Dierot ha incoraggiato i suoi detrattori, i quali si sono rifiutati di vedere in lui un "autore", poich non ne avrebbe avuto n la coscienza, n la volont creativa n il rigore definitivo. La situazione di Diderot oggi radicalmente cambiata. Ci che gli veniva imputato come difetto, ora gli viene attribuito come mrito. Oppure, presso critici pi penetranti, difetto e mrito confluiscono l'uno nell'altro, fino a non distinguersi pi, cosi da costituire un enigma ffascinante. In questo senso particolarmente importante l'interpretazione di Dieckmann (55), che enuclea il disagio profondo di Diderot, sempre alla ricerca di un'espressione adeguata. II frammentarismo da lui privilegiato nelle sue opere a struttura aforstica esprimerebbe 1'irriducibile molteplicit del suo spirito, la ricchezza s'traboccante dei contenuti insofferenti al sistema. Di qui il rapporto eccezionale di Diderot coi suoi pensieri, i quali finiscono per assumere una vita autonoma e quasi sfuggono al loro creatore. Questo rapporto contrastato che - aggiurigiamo noi - potrebbe far pensare a quello di Pirandello coi suoi famosi personaggi - si realizza nei modi pi diversi e ciascuno sempre inadeguato della scrittura discontinua, la quale si attua via via come lettera, dialogo, paradosso, sogno, aforisma. L'aspetto problemtico di questa soluzione soltanto accennato da Dieckmann: presso un critico come Roland Mortier ( 5 6 ) la soluzione aforstica del tutto insoddisfacente. La coagulazione delle prime meditazioni di Diderot nelle Penses philosophiques una tpica soluzione di compromesso. La procedura euristica di Diderot trova qui uno sbocco soltanto infelice. II genere dell'aforisma, genere amorfo, frammentario, invertebrato, senza consistenza n struttura, 1'lveo naturale e obbligato di un pensiero ancora esitante, attirato da opzioni contrastant! (57) Tutto il contrario risulta dall'analisi di Gita May (58), secondo la quale impressionante la fedelt di Diderot a un

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jour et la nuit l'extrmit d'un tlescope pour dterminer le mouvement d'un astre, et personne ne s'tudiera soi-mme, n'aura le courage de nous tenir un registre exact de toutes les penses de son esprit, de tous les mouvements de son coeur, de toutes ses peines, de tous ses plaisirs, et des sicles innombrables se passeront sans qu'on sache si la vie est une bonne ou une mauvaise chose, si la nature humaine est bonne ou mchante, ce qui fait notre bonheur et notre malheur" (44) Per i nostri fini baster ora ricordare due atteggiamenti fondamentali che qualificano la civilt dei moralisti e che possibile riscontrare pienamente in Diderot. Il primo espresso in una lettera a Falconet del 1766 (45), e concerne l'importanza delle "verit di sentimento" contrapposte aile "verit di dimostrazione". Scrive Diderot che: "les vrits de sentiment sont plus inbranlables dans notre me que les vrits de dmonstration rigoureuse, quoiqu'il soit souvent impossible de satisfaire pleinement l'esprit sur les premires. Toutes les preuves qu'on en apporte, prises sparment, peuvent tre contestes; mais le faisceau est plus difficile rompre. Quand vous aurez bris tous mes btonnets, je n'en soupirerai pas moins aprs l'immortalit". I critici hanno visto in questo pensiero un riflesso dlia famosa dicotomia pascaliana fra "esprit de finesse" e "esprit de gomtrie". Ma non c' solo un rapporto con Pascal. Questa dicotomia pu venir presa come una sorta di manifest metodologico del tipo di ricerca intrapreso dai moralisti nella loro opposizione alia ricerca tcnica e razionalmente concatenata. E1 un manifest che anche un paradosso. Infatti, grazie a una serie di intuisioni privilegate, senza una preparazione metdica, viene coito ci che per l'uomo essenziale, cio l'ordine dei valori. Nel luogo apparentemente meno consono, non in una scuola n in una biblioteca, senza conoscenze erudite o enciclopediche, in un rapporto meramente mondano, vengono

piuttosto scettico sulla possibilit che ha l'uomo di attingere il "bonheur". C' una "galit des conditions" che rende ben poco diversa la felicita del padrone di casa da quella del suo portinaio. Dunque, perch tanto affaticarsi? Non meglio abbandonarsi al torrente che trascina tutto, uomini e cose? (40). In una lettera non datata, diretta a persona incgnita, Diderot racconta una disincantata e leggiadra favola che ha per oggetto il "bonheur". Questo, nelia sua verit, abito un giorno la terra,ma sia che questa fosse troppo povera e triste per lui, sia che fosse leggero per natura, sia che non potesse stare fermo, se ne ando, non si sa dove, in cielo, sotto terra? Ma, andandosene via lascio le sue vesti. Il dolore, che sempre gli stava aile calcagna, e che non riusciva mai a trovare un albergo che gli aprisse le porte, si impadroni dei suoi vestiti. Ed ora il cdolore che si presenta senza posa a noi sotto le vesti del piacere. Ecco tutto quanto ci resta, la pena sotto le apparenze dlia felicita (41) Perci il problema del progresso per Diderot si pone cosi: certamente non siamo pi cosi barbari come i nostri padri: siamo pi illumint! (clairs). Ma siamo migliori? Questo un altro argomento (42). Forse la differenza nel bene e nel maie, il progresso verso il bene, la caduta nel maie, le avanzate e le sconfitte, riguardano soltanto gli individui : per i gruppi, le societ e le specie bene e maie presentano limiti invalicabili (43) Si potrebbe fare una lunga lista di "contenuti" che costituiscono il materiale tipico dibattuto dai moralisti e si troverebbe fcilmente che quasi nessuno di essi assente o trascurato nella meditazione di Diderot, dall'analisi dei sentimenti e delle passioni, a quella dell'amor proprio, dei cnflitti di valore, del senso e dlia definizione dlia virt. E si troverebbe anche che le risposte di Diderot non sono molto differenti da quella date dai moralisti agli analoghi interrogativi. Si tratta di una ricerca mai finita, che sempre da ricominciarsi. Una ricerca in cui, a cinquant1anni, Diderot si sente ancora novizio: "(...) Comment, ai-je dit, un astronome passe trente ans de sa vie au haut d'un.observatoire, l'oeil appliqu le

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diver si da quelli in cui viveva Diderot ma un fatto che quest'ultimo doveva trovare in Montaigne una specie di autentico fratello spirituale per quel suo modo cosi sorgivo e immediato di pensare, cosi libero e cosi felicemente ondeggiante. Nella Promenade du sceptique ritroviamo ancora Montaigne come colui che ha dato ai pirronisti uno stendardo e una divisa (la famosa bilancia colla scritta Que sais-je?). Diderot aggiunge che le libere meditazioni di Montaigne, scritte " btons rompus" hanno continuato a far proseliti (29). Fratellanza e alleanza dunque da ogni punto di vista. Ma tutto cio - paradossalmente - non semplifica il problema. Proprio perch sotto tanti aspetti Diderot si sentiva cosi congeniale a Montaigne, sarebbe assai difficile valutare esattamente le analogie e le discrepanze: tutto alla fine si confonde come in una nube pi o meno luminosa dietro la quale s'intravvede correre il disco lucente del sole (30). In ogni caso raro che 11 ammirazione di Diderot, che si nutre di pensieri forti e anche sottili, se non ambigui, si raffreddi davvero. Forse solo in una lettera a Falconet (31) e, soprattutto<, nell1 articolo art de 11'Encyclopdie, si nota un certo distacco critico. L1 atteggiamento di Montaigne nei riguardi delle armi da fuoco, considrate praticamente inefficaci e di cui si spera 1'eliminazione (il loro effetto sembra nicamente ... acstico!) pare giustamente a Diderot assolutamente puerile. Bacone, - osserva Diderot - avrebbe ragionato infinitamente meglio. Ma la cosa pi bella che dobbiamo dire su Montaigne nei suo rapporto con Diderot non appartiene a Diderot - bensi a Sophie Volland. Costei, morta il 22 Febbraio 1784? dunque pochi mesi prima di Diderot, che scomparir il 31 luglio, aveva destinato all'amico, con lascito testamentario, gli Essais, in sette volumi, rilegati in marocchino rosso, pi un anello "que j'appelle ma pauline" (32). Se si pensa a quello straordinario rapporto di simpata intellettuale e amorosa che esistette fra Sophie Volland e Diderot, questo dono estremamente significativo. Puo servirci come un delicato, potico ed amoroso smbolo dei rapporti fra Diderot e Montaigne. Ma non solo Montaigne ci permette di riavvicinare Diderot alla tradizione dei moralisti. Difendendo Seneca e lo stile

rende tali. Il desolante ritratto dei moralisti porta almeno all'indulgenza, tanto pi che gli uomini sono suscettibili di modificazioni. Ma Madame d'Epinay non sembra crederci troppo e, alla fine dlia lettera, oscilla fra l'adesione alla condanna roussoiana dlia societ e un pessimismo irredemibile (24) Ma torniamo ora a Diderot. Ci sembra dunque che questo brano sia ambiguo ma che, in ogni caso, lasci aperto come uno spiraglio: ne risulta la possibilit di un incontro di lavoro fra i moralisti. e Diderot. Il pranzo d'affari poi sempre prolungato quando fra i moralisti c' un personaggio come Montaigne (25). Il giudizio pi significativo su Montaigne lo troviamo senz1altro nelle Rflexions sur le livre de "l'Esprit" par M.Helvtius (26). Rimproverando ail'autore il carattere troppo metodico del libro, che pur snoda una serie di paradossi, Diderot osserva che un "autore paradossale" non deve mai dire esattamente quanto pensa, ma fornire delle prove: deve penetrare furtivamente nei cuore del lettore e non colla forza. Questa la grande arte di Montaigne "qui ne veut jamais prouver, et qui va toujours prouvant, et me ballottant du blanc au noir, et du noir au blanc". Troviamo ancora Montaigne diverse volte nell'Essax sur les rgnes de Claude et de Nron, citato sempre con entusiasmo, perch Montaigne ha simpata per il prediletto Seneca (27). Neil'Encyclopdie (28) Diderot ha scritto un vero e proprio elogio di Montaigne. Costui, - scrive Diderot - 1'autore di quegli Essais che saranno letti finch esisteranno uomini amanti dlia verit, dlia forza e dlia semplicit. Colui che non ama Montaigne ha qualche vizio nei cuore o nell'intelletto. Le contraddizioni dlia sua opera sono l'immagine fedele delle contraddizioni dell'intelletto umano. Cio che Montaigne scrive quanto lo colpisce nei momento in cui scrive: in tal modo si abbandona al germogliare delle idee senza preoccuparsi dlia loro concatenazione. Non dunque n pi conseguente n pi scucito quando scrive che quando pensa o sogna. Questo giudizio che qui abbiamo rpidamente riferito dettato da una tale simpata che si pu pensare a una sorta di affettuosa gemellanza sentita da Diderot nei riguardi di Montaigne. E' vero che i tempi di Montaigne erano tanto

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un ipocrita, - come voleva La Rochefoucauld, questo "grand dtracteur" delle virt umane, - non ci sarebbe pi stata speranza di saggezza sulla terra. Colpire la virt di Seneca come compire la virt stessa (17) Se poi chiediamo a Diderot una riflessione sullo stilema che caratterizza fondamentalmente la scrittura dei moralisti, cio la massima, ne otteniamo risposte piuttosto deludenti. In Jacques le Fataliste, alla fine della storia di Desglands, Jacques propone al padrone di prendere il fresco sulle rive di un ruscello. Il padrone d'accordo, ma rammenta a Jacques che questi raffreddato. Al che Jacques oppone un ragionamento d'ispirazione allopatica: poich il raffreddore dovuto al caldo, il freddo lo guarir: infatti "i contrari si curano coi contrari". Su questa massima il padrone imposta una riflessione pi generale: ci che vero in morale vero anche per il fsico, per cui ha potuto notare questo fatto abbastanza singolare, cio che: "(...) il n'y a gure de maximes de morale dont on ne ft un aphorisme de mdecine, et rciproquement peu d'aphorismes de mdecine dont on ne ft une maxime de morale" (l8). E1 ovvio che questo parallelismo (19) svilisce la massima, riducendola a una regola e vietandole altri campi di esperienza che non siano oggetto di esperienza fisico-medica. Ma la stroncatura pi decisa della massima si trova all'inizio dell'Eloge dedicato a Richardson (20). Leggiamo qui una caratterizzazione fortemente riduttiva della massima. Questa una regola astratta e generale, una norma di condotta la cui applicazione ci lasciata a carico. In quanto la massima, per la sua irrimediabile astrattezza, non imprime alcuna immagine sensibile nel nostro spirito, essa risulta al margine dell'umanit. Al contrario, colui che agisce provoca in noi delle passioni e, se virtuoso, esige la nostra partecipazione attiva accanto a lui e non possiamo esimerci dal vibrare con lui. Se, d'altra parte, un individuo, ingiusto e vizioso, costui non puo non provocare la nostra avversione. Di qui risulta l'assoluta superiorit

rflexions, autant de petites satires; Trublet n'estime pas plus l'homme que ses devanciers". La Rochefoucauld in particolare sembra pi maltrattato degli altri. Nelle gi menzionate Leons de clavecin il celebre moralista vi appare come un odioso cortigiano giansenista, calunniatore della natura umana (10). In questa occasione Diderot fa notare che la morale fatta di atti, non di parole n di sottigliezze, alla maniera dei moralisti (11). Non c' perci da stupirsi che il "giansenista" (12) La Rochefoucauld si ritrovi con Pascal in un dialogo del Neveu de Rameau (13) dove Lui deplora l'assenza di una vera poesa lrica da potersi tradurre in msica. Autori come Quinault, La Motte, Fontenelle non sanno scrivere versi musicabili, ma solo "sentences ingnieuses". Tanto varrebbe "musiquer les 'Maximes' de La Rochefoucauld ou les 'Penses' de Pascal". Citazione situata in un punto centrale dell'opera di Diderot, ma fortemente riduttiva. Troviamo ancora La Rochefoucauld (questa volta non pi con Pascal ma con la Bruyre) in un brano di una lettera, probabilmente diretta a Naigeon (14) in cui si parla della traduzione di un'opera di Hobbes effettuata da d'Holbach (15): Diderot conclude esaltando il trattato di Hobbes, tanto superiore a La Bruyre e a La Rochefoucauld: comparazione fra autori troppo diversi, anche se accomunati da un uguale realismo. E nel Salon de 177 troviamo un amaro La Rochefoucauld, quello della mas sima seconde la quale nelle pi grandi sventure di coloro che ci sono cari c' sempre qualcosa che non ci dispiace (16). Quando poi si tratta di difendere il troppo amato Seneca, Diderot non esita a.dissociarsi fortemente da La Rochefoucauld, come in un veemente brano dell'Essai sur les rgnes de Claude et de Nron in cui esorta un "giovin signore", discendente dal moralista, a impedire che vengano riprodotte edizioni delle Maximes comportanti l'immagine del busto di Seneca col volto coperto dalla maschera della virt, per cui si denuncia l'inganno: il volto di Seneca laido come il vizio, accattivante invece la virt, ma questa non che una maschera. Bisogna agire contro questa odiosa macchinazione, ma non si pu disconoscere l'ottima scelta compiuta da La Rochefoucauld: se Seneca fosse stato

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studi' di Diderot, il problema si deve impostare cosi: Diderot rientra nella tradizione dei moralisti perch aveva il gusto dei problemi morali e perch 1'interesse che lo muoveva verso questi problemi era altrettanto estetico quanto etico. La morale lo attirava corne l'arte: cio, sotto molti aspetti, Diderot era un moralista artista, in quanto s'interessava alla morale da artista. Non era tanto un fondatore di un sistema quanto un appassionato di morale. Non solo, ma Diderot- secondo Dieckmann - si riallaccia alla tradizione dei moralisti del Seicento anche per l'aspetto esteriore e formale di un'opera come le Penses philosophiques. Costituita da paragrafi brevi e da pensieri staccati quest1opera richiama le Penses di Pascal, con cui del resto forma un dialogo. Inoltre Dieckmann sottolinea il rapporto abbastanza stretto di Diderot con la Bruyre. E' ovvio poi che questo discorso puo utilmente venir esteso ad altre opere come le Penses sur l'interprtation de la nature e le Penses dtaches sur la peinture (4), per non citare ancora altri scritti del grande enciclopedista. Ma ecco che il cielo terso sotto cui si snodava il nostro ragionamento improvvisamente si vela. Perch, se un fatto che tutti sono d'accordo nel considerare Diderot come un moralista, il suo inserimento in una precisa tradizione pone qualche problema. Non dobbiamo dimenticare che Diderot stato il creatore e l'animatore dell'Enyclopdie. Ora, se apriamo l'Encyclopdie alla voce moraliste, scritta da Jaucourt, fedele portavoce del pensiero di Diderot (5), troviamo una sorpresa. Per calcolo o per oblio, non sappiamo esattamente, quel moralista critico che Diderot ha lasciato che il moralista dlia tradizione vemsse letteralmente fatto a pezzi. Secondo il redattore di questa voce i soli moralisti modrai che abbiano trattato dlia "science des moeurs sono Grozio, Pufendorf, Barbeyrac, qualche inglese come Wollaston e Cumberland, e poi Nicole e La Placette. Ma questi sono nomi di giuristi, di filosofi del diritto, di filQsofi, di teologi. I moralisti del Grand Sicle che fine hanno fatto? I moralisti che siamo soliti a citare, ad. ammirare oppure a criticare, dove sono? Non troveremo dunque alcun cenno di La Rochefoucauld, di La Bruyre, di Pascal, di Vauvenargues? In

realt il cenno lo troviamo, ma del tutto negativo. Questi moralisti, che non hanno l'onore di una citazione nominale, vengono sistemati in due catgorie di reprobi. I primi assomigliano a un "matre d'criture" che proporrebbe dei buoni modelli senza insegnare agli allievi come si fa a tenere la penna in mano per tracciare le lettere. I second! hanno attinto le loro idee sulla morale ora nel delirio dell'immaginazione ora in massime assolutamente contrarie alla natura umana (e si puo pensare che qui Jaucourt alluda a Pascal). Parecchi moralisti poi, - e questi ultimi potrebbero rientrare in una sottoclasse o in una classe a s, ma cio non ben chiaro si sono dedicati ail1esecuzione di ritratti molto raffinati, tralasciando pero di illustrare il mtodo e i principi che pur costituiscono la parte fondamentale dlia morale. E' ovvio che questo uno strale contro La Bruyre. Si tratta, in ogni caso, di scrittori che vogliono diventare "gens d'esprit", cio che pensano pi ad abbagliare che a istruire: e cosi perdono di vista l'unico fine che dovrebbero proporsi, che quello dell1utilit. Ora meglio - cosi conclude Jaucourt - esercitare il mestiere di manovale che asslvere male le funzioni di architetto. Se per Jaucourt i moralisti del Grand Sicle. non serabrano esistere o sono semplicemente 1'espressione di una stortura ideologica oppure se costituiscono soltanto una delle tante futili civetterie letterarie caratterizzanti ogni momento dlia civilt, lo strumento principe del loro Stile, la massima, non riceve miglior trattamento. Alla voce maximes dobbiamo aceontentarci di questa ben lacnica definizione: "regola, principio, fondamento di qualche arte o scienza". Subito dopo, 'ben maggior spazio dato alla "maxime perfide", cio la sentenza proposta ai tempi di Cromwell, secondo la quale era lecito prendere le armi, in nome del re, contro la persona stessa del sovrano: l'articolo non d per altri particolari e si limita, alla fine, a far sapere che tale massima venne condannata durante il regno di Carlo II. E troviamo pure la voce maximes in arte militare: in questo caso il termine concerne le fortificazioni. Decisamente pi lunga la voce avente per oggetto la maxime in msica. Null^ d1interessante troviamo poi alla voce

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leggiamo: "J'ai de temps en temps besoin d'un commentaire (in un'altro testo si legge: tuteur) qui ne laisse pas subsister une ligne du texte, et vous le ferez. Je serai le vent du .midi qui assemble les nues, et vous le vent du nord qui les balaye". Nell'altro testo si legge: "Je serai le nephelegeneta et vous serez l'aquilon ou bore qui balaye le ciel". Ora, creare delle "nuvole", essere "nefelogeneti" un bene o un maie? E'un sereno rendersi conto delle . difficolt oppure un insano indulgere al gusto dlia disputa? A quest1ultimo caso si adatta questa "pense dtache" (At., XII, p. 79): "Il est une certaine subtilit d'esprit trs pernicieuse; elle sme le doute et l'incertitude. Ces amasseurs de nuages . me dplaisent spcialement; ils ressemblent au vent qui remplit les yeux de poussire" (il corsivo nostro). La vera filosofa sempre nefeloscopia oppure il giocare colle nubi il vanificante inganno teso dalla dea irritata agli uomini, da Nefele invidiosa? Cfr. Ideen zu einer reinen Phnomenologie und Phnomenologischen Philosophie, I, Halle a.d.S., Max Niemeyer, 1928 (terza edizione), II, par. 18, p. 33. Ibidem, par. 19, p. 35: "Vernnftig oder wissenschaftlich ber Sache, urteilen, das heisst aber, sich nach den Sache, selbst richten, bzw. von den Reden und Meinungen auf die Sachen, selbst zurckgehen, sie in ihrer Selbstgegebenheit befragen und alle fachfremden Vorurteile beiseitetun" (il corsivo nostro). Facendo un salto nel tempo e nei contenuti, vien voglia di ripetere i famosi versi di Ungaretti: "Mi tengo a quest'albero mutilato abbandonato in questa dolina che ha il languore di un circo prima 0 dopo lo spettacolo e guardo il passaggio quieto delle nuvole sulla luna stamani mi sono disteso in un'urna d'acqua e come una reliquia ho risposato L'Isonzo scorrendo mi levigava come un suo sasso" (I fiumi). Ibidem, par. 19, p. 36: "Das unmittelbare 'Sehen', nicht bloss das sinnliche, erfahrende Sehen, sondern das Sehen berhaupt als originr gebendes Bewusstsein welcher Art immer, ist die letzte Rechtsquelle aller vernnftigen Behauptungen. Rechtgebende Funktion hat sie nur, weil und soweit sie originr gebende ist". Questa "offerenza ssoluta" (Selbstgegebenheit), questa "datit" immediata espressa gi da Diderot in modo semplicissimo ed essenziale nella

frase citata che apre le Penses sur l'interprtation de la nature: "Je laisserai les penses se succder sous ma plume, dans l'ordre mme selon lequel les objets se sont offerts ma rflexion". Ibidem, par. 50, p. 94

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