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Persistenze trecentesche nel borgo dei Vergini di Napoli

Mariarosaria Ruggiero*

Abstract In Vergini suburb, in Naples, survive remains of fourteenth-century frescoes of various styles. This paper analyzes the technical-historical and artistic features belonging to the Pietro Cavallini manner, to the neofeudal style diffused during the Ludovico of Angis ten-year-power (1352-1362), but also to an excellent tradition originating from Giotto and Maso and attributable to Roberto dOderisio and to Maestro di Giovanni Barrile. The activity of studying and divulging these pictures is extremely important since the frescoes and the fourteenth century Neapolitan great figurative arts decay deprived us of a full knowledge of this fascinating season of the Neapolitan art.

Lodierna immagine architettonica del quartiere dei Vergini dominata dalle fabbriche civili e religiose del Seicento e del Settecento. Gli impianti urbanistici angioino e rinascimentale sono interamente scomparsi a causa dellirregolare orografia dellintera area, sottoposta per secoli alle furie delle acque che calavano da Capodimonte, e a seguito dei rifacimenti e della massiccia urbanizzazione, dovute alliniziativa del governo di Pedro de Toledo. Ma anteriormente alla murazione vicereale, avviata nel 1537, esisteva gi un territorio suburbiale intitolato dei Vergini.1 Per ricostruirne laspetto trecentesco bisogna riferirsi alla pi antica fonte, Benedetto di Falco: Fuor della Porta di San Giovanni a Carbonara

la chiesa di S. Maria della Sua Virginit [] a cui servono quei monaci li quali furono istituiti e ordinati da Cleto,2 seguita dalla descrizione altrettanto vaga di de
Stefano nel 1560.3 La pianta di Lafrery (1566) la prima immagine del borgo che rappresentato come evento extra moenia gi compiuto per forma e struttura4 essendo gi elevate le quinte architettoniche lungo il sistema viario a doppia Y (Fig. 1). Nel 1623 DEngenio Caracciolo precis che fuori porta San Gennaro, allinterno del borgo, oltre allantica chiesa di S. Maria dei Vergini, si ergeva anche la chiesa di S. Antonio Abate antichissima grancia di SS. Giovanni e Paolo di S. Maria di Casamari,

della citt di Veroli ed Badia, e sempre stata commenda de prelati di grandissima eminenza. 5
* Osservatorio Permanente per la Protezione dei Beni Culturali ed Ambientali in Area di Crisi dellI.S.Fo.R.M. 1 Quello che attualmente indicato come Borgo dei Vergini un quartiere nato dal secolare sovrapporsi di edifici civili e religiosi ai margini di un vallone naturale, lungo il quale in epoca greca furono impiantati nuclei cimiteriali, sia per la vicinanza con Neapolis, sia per lestrema facilit con cui era possibile scavare il tufo del fianco collinare. Cfr. Maddoli 1992, pp. 263 e 266. Anche in epoca romana tombe ed ipogei furono ricavati lungo i percorsi naturali e, in et paleocristiana, i cunicoli scavati per le necropoli ospitarono le catacombe, presso i cui ingressi sorsero le prime basiliche, quelle di S. Gennaro e S. Gaudioso. Cfr. de Seta 1973, pp. 33-37. 2 Di Falco 1972, p. 146. 3 De Stefano 1560, f. 163v. 4 Buccaro 1991, p. 117. 5 DEngenio Caracciolo 1623, p. 606.

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La conferma dellesistenza di unantichissima chiesa, dedicata a S. Antonio, viene anche dal rituale del vescovo Giovanni III Orsini del 1328, dal quale si ricava che lArchiepiscopus equitat cum diaconibus [] usque ad viam S. Gaudiosi (oggi S. Maria della Sanit) [] hoc peracto

veniunt ad viam Sanctii Antonii [].6 Il DEngenio,


inoltre, ebbe modo di consultare presso la chiesa dei Vergini un atto notarile del 1334, mediante il quale i fondatori ne cedevano la propriet ai Padri Crociferi e dal quale si evinceva, oltre alla data della fondazione risalente al 1326, che il dominio confinava con la chiesa di S. Pietro de Carbonario. Di questultima non resta alcuna traccia, ma delle chiese di S. Antoniello e di S. Maria dei Vergini si conservano non solo un ricordo nelle fonti, ma anche frammentari documenti figurativi, individuati dopo che scavi condotti nel corso del 1. Il Borgo dei Vergini nella Pianta del Duca di Noja. Novecento hanno in parte restituito le strutture trecentesche. La costruzione pi antica, S. Antoniello, fu portata alla luce nel 1933 in seguito ai lavori di restauro della sovrastante chiesa di S. Maria Succurre Miseris, diretti
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Parascandolo 1847, pp.123, 128-129.

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dallallora soprintendente Gino Chierici (Fig. 2.). Lasportazione del terreno alluvionale rivel la presenza di un ambiente con pareti affrescate, che alcuni anni dopo Ottavio Morisani tent di interpretare.7 Dopo di lui nessuno tornato sullargomento e, a oltre settantanni dal rinvenimento, labbandono e lumidit hanno quasi del tutto cancellato gli affreschi. La pi antica notizia di questa chiesa risale al 1623, quando dEngenio Caracciolo la defin una badia, grancia antichissima dei SS. Giovanni e Paolo di S. Maria di Casamari della citt di Veroli.8 Dalle fonti successive emerge che nel 1613 fu rilevata ormai abbandonata e cadente, da quattro nobildonne napoletane, che avevano fondato nellattiguo palazzo della famiglia Marzano un conservatorio di donne. La chiesa venne ripristinata e rinominata col titolo di S. Maria Succurre Miseris.9 Agli inizi del Settecento Fer2. Veduta assonometrica della Chiesa di dinando Sanfelice modific laspetto dellintera S. Maria Succurre Miseris e della sottoquinta architettonica del borgo, con la riedificastante Chiesa di S. Antoniello zione su S. Antoniello di una nuova chiesa con (restauro del 1933). 10 pianta centrale, e con la costruzione del Palazzo dello Spagnolo, uno degli episodi pi rilevanti del Rococ napoletano.11 Della struttura angioina restano la zona presbiteriale e labside, mentre la navata non pot essere rintracciata dallo scavo poich inglobata nelle fondazioni degli edifici che la sovrastano. Labside misura m 5,95 di larghezza per 5,75 di lunghezza e lungo tutto il perimetro corre un sedile in muratura; nel mezzo vi sono ancora i resti delMorisani 1942, pp. 148-163. DEngenio Caracciolo 1623, p. 606. 9 Le notizie relative alla fondazione di questo conservatorio di donne da parte della principessa di Stigliano, della marchesa di Bracigliano, di Maria Caracciolo e di Dorotea del Tufo riportata senza variazioni di rilievo dalla maggior parte delle fonti a partire da G. C. Capaccio (1634, p. 140) e da P. Sarnelli (p. 103). Vedi, anche, Parrino 1788, p. 41; Galanti 1829; Sasso 1856, pp. 349-350; Celano, Chiarini 1856, p. 402; Galante 1872, pp. 305-316; Dal Bono 1876, 490. 10 Il ritrovamento presso lArchivio Storico Comunale di un disegno della pianta di S. Maria Succurre Miseris, datato 1719, ha posto fine alla dibattuta questione cronologica. Cfr. Gambardella 1969, pp. 195-203; Gamardella 1974. 11 Buccaro 1991, pp. 147-150.
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3. Napoli. Chiesa di S. Antoniello (interno).

laltare.12 La chiesa doveva essere molto pi alta dellattuale livello di copertura, costituito dal pavimento della chiesa superiore. Era coperta da volte a crociera costolonate distrutte dal Sanfelice per poggiarvi limpiantito della nuova costruzione sul terreno di riempimento, ammassatosi per le diverse alluvioni. Dagli sparsi e numerosi resti di affresco si deduce che le pareti dovevano essere completamente ricoperte di pitture (Fig. 3), ma a causa dello stato di deperimento in cui versano, di esse non possibile dare una lettura univoca, n si riesce ad intuire il programma complessivo, poich la loro esecuzione risale a campagne decorative diverse. I brani pi antichi sono rappresentati da due frammenti di teste di Angeli, splendide per fattura e qualit di esecuzione. Entrambe possono essere riferite allambito di cultura cavalliniana, ma sono frutto di due autorevoli personalit che si distinguono, allinterno della cerchia di Cavallini, per conoscenze ed esperienze diverse. Il primo angelo presenta un modellato fermo ed equilibrato (Fig. 4); il rapporto delle
Sulle pareti laterali vi sono due nicchie: quella di destra con arco trilobato impostato su colonnine, con capitelli scolpiti a motivi vegetali nel tufo; quella di sinistra, non in perfetta corrispondenza, con arco a tutto sesto, priva di qualsiasi elemento architettonico decorativo.
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parti del volto risulta armonico e di grande eleganza rappresentativa. La finezza del tratto e la dolcezza dellincarnato lo legano ai modi del maestro che, nella chiesa di S. Maria Donnaregina, intervenne nellesecuzione del Profeta e dellApostolo a lato dellAscensione e che esegu anche il S. Tommaso (Fig. 5) ed il Profeta Elia. In queste figure e nellangelo di S. Antoniello presente lo stesso trattamento del chiaroscuro che d evidenza agli zigomi, avvolge con toni del volto e si sofferma sul lato in scorcio. Una debole ombreggiatura contorna gli occhi, marcati da una salda linea nera, e il mento. Un tale trattamento luministico rivolto a fornire plasticit alle forme imbevute di un colore vibratile. La modellazione degli incarnati ottenuta attraverso gradazioni di luci pi che con lombra, lasciando a questa una funzione di rilievo, parti-

colarmente sensibile nel brusco affondamento che segue la sfuggente linea marginale della guancia destra.13 Corrispondono nei personaggi questa caratteristica diminuzione repentina della luce sulla guancia in scorcio, come pure lesecuzione dei capelli disegnati ciocca a ciocca, lalto imposto dellorecchio sul collo e le spalle strette e cadenti. Lesecutore di Donnaregina, indicato da de Castris come Maestro C, ritenuto dallo studioso pi in linea con le ricerche del Maestro B, cio di quellartista che, nellambito della cerchia romana del Cavallini, era il pi vicino al caposcuola, capace di comprendere meglio gli esperimenti di plasticit paragiotteschi,14 intrapresi dal maestro al tempo dellAracoeli. Ma Tomei che sottolinea una stretta dipendenza dallautografia cavalliniana, ravvisa in queste figure di Apostoli e Profeti uno svi13 14

4. Napoli, Chiesa di S. Antoniello. Artista cavalliniano, Angelo.

5. Napoli, Chiesa di S. Maria Donnaregina. Artista cavalliniano, S. Tommaso.

Morisani 1942, p. 162. de Castris 1986, p. 288.

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6. Napoli, Chiesa di S. Antoniello. Artista cavalliniano, Angelo.

7. Napoli, Chiesa di S. Maria Donnaregina. Artista cavalliniano, Angelo.

luppo interno alla vicenda artistica di Cavallini15 che discende direttamente dal Giudizio di S. Cecilia in Trastevere. Ad ogni modo langelo di S. Antoniello cos vicino a quelle immagini di Donnaregina da poter essere ascritto allo stesso artista e collocato cronologicamente tra il secondo ed il terzo decennio del Trecento. Anche laltro frammento dAngelo (Fig. 6) trova il suo referente artistico in Donnaregina, ma questa volta nei personaggi del Giudizio Universale. Il potente senso di energia e il vigore sono gli stessi che descrivono plasticismo energico. Anche se il pessimo stato di conservazione ne altera la lettura, il contrasto chiaroscurale doveva essere marcato gi in origine. Gli accordi di tono non sono graduali, ma segnati da ombre dense sullincarnato etereo, cosicch ne deriva un efficace senso di movimento che contrappone questa figura solida e corporea alle fattezze spirituali e alla composta serenit dellaltro angelo. Non v dubbio che chi realizz i personaggi del Giudizio di Donnaregina (Fig. 7) se15

Tomei 2000, pp. 120-130. Prima di Tomei avevano parlato di paternit cavalliniana Toesca 1927, p. 297; Morisani 1947, p.27.

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condo la ricostruzione di de Castris, iI Maestro D 16 dette saggio delle sue capacit anche in questa piccola abbazia fuori Porta San Gennaro. Anche il Maestro D intervenne nella chiesa delle clarisse tra il secondo ed il terzo decennio del Trecento. Infatti le maestranze di Donnaregina attive tra interruzioni e riprese per pi di un decennio, dalla fine del secondo agli inizi del quarto17 elevarono i ponteggi prima nella navata, per la realizzazione dei Profeti e degli Apostoli e, nel contempo, sulla controfacciata per lesecuzione della Madonna Apocalittica e della parte alta con il Giudizio Universale; in seguito i lavori proseguirono sulla parete sinistra, con le Storie della Passione, poi su quella destra dove furono narrate le Storie di S. Elisabetta e della parte inferiore del Giudizio.18 Dunque i Maestri C e D erano al lavoro sui ponteggi di Donnaregina nel medesimo lasso di tempo, vale a dire nella prima fase dellaffrescatura e come ha suggerito de Castris, collaborarono alla realizzazione della Madonna Apocalittica.19 possibile che, interrotti i lavori a causa della morte di Maria dUngheria (1323), i due maestri trovassero ingaggio nella decorazione della chiesa di S. Antoniello, della quale non conosciamo la data di fondazione, verosimilmente riconducibile entro i primi due

8. Napoli, Chiesa di S. Maria ai Vergini. Anonimo del terzo decennio del XIV sec.,

Hecce Homo, S. Giovanni Battista e S. Pietro.


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9. Napoli, Chiesa di S. Maria ai Vergini. Anonimo del terzo decennio del XIV sec.,

S. Giovanni Evangelista, S. Paolo e S. Gennaro.

de Castris 1986, pp. 288-289. Per la determinazione delle diverse campagne di affrescatura in S. Maria Donnaregina cfr. Bologna 1969, pp. 134-138. Si veda pure de Castris 1986, pp. 286-290. Per un riesame complessivo della letteratura che si era occupata in precedenza delle spettanze e della datazione del ciclo pittorico, cfr. Morisani 1947, pp. 26, 27 e note a cap. V. 18 de Castris1986, pp. 289-290. 19 Bologna 1969, pp. 134-135; de Castris 1986, pp. 288-289.

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decenni del Trecento. Nel corso del secondo decennio, dopo la partenza della corte papale per Avignone (1309) e forse in seguito alla morte di Pietro Cavallini, il mercato romano non doveva offrire a quei pittori, formatisi allombra del maestro, proficue opportunit di lavoro. Era pertanto naturale che gli artisti allopera nella chiesa napoletana delle clarisse, che rappresentava una prestigiosa commissione dato il patrocinio regale, continuassero a prestare la loro opera per il territorio angioino, come dimostrano i tanti episodi figurativi rintracciati anche in provincia.20 Altre tracce di tale cultura si ritrovano allinterno dello stesso borgo negli ambienti sotterranei della chiesa di S. Maria dei Vergini.21 Delimitate da quattro fasce di colore (giallo, rosso, bianco, giallo), nellabsidiola, si leggono un Ecce Homo, a mezzo busto in un sarcofago, e sei figure di Santi, tre per lato (Figg. 8-9). Le immagini di sinistra sono pi guaste di modo che si riconosce con certezza solo S. Pietro, che si trova in mezzo a due figure maschili nimbate. A destra si distinguono S. Giovanni Evangelista, S. Paolo e S. Gennaro. Alla sinistra di Cristo probabilmente raffigurato S. Giovanni Battista. Credo che Laffresco fu verosimilmente voluto dai fondatori della chiesa e che rimonti
de Castris rintraccia le modalit pittoriche del Maestro D in diverse opere napoletane degli anni 20 e 30: nellAnnunciazione un tempo nel chiostrino di Donnaregina, nel Redentore nel Battistero di S. Giovanni in Fonte a S. Restituta, nel S. Antonio Abate in S. Domenico Maggiore e nella Madonna col Bambino del Museo di S. Francesco a Folloni. Lo studioso cita pure gli affreschi di S. Antoniello definendoli piuttosto notevoli e la Crocifissione di S. Maria dei Vergini, la quale per di altro ambito. Cfr. de Castris 1986, pp. 288-290. Al medesimo giro di cultura cavalliniana, invece, dovevano appartenere anche le figure di S. Antonio Abate e S. Nicola, che un tempo si trovavano sulla parete sinistra dellabside, la cui lettura affidabile oggi unicamente alla foto pubblicata da Morisani, della quale non esistono copie. Cfr. Morisani 1942, p.155. 21 Nel 1963, nel corso di alcuni lavori di trasformazione della sagrestia della Chiesa, emersero i resti di una cappella, in parte affrescata, che secondo Franco Strazzullo corrisponde non gi alla primitiva struttura trecentesca, quanto piuttosto alla chiesa di S. Pietro de Carbonario, citata nel documento del 1334, poich il paramento murario fatto di conci regolari e squadrati, segnalato da P. Guida, corrisponderebbe alla parte alta del muro esterno di S. Maria, la quale avrebbe subito, nel corso dei rifacimenti del 1585, riferiti da una lapide, solo una sopraelevazione del pavimento. Rispetto a questa interpretazione si pu osservare che la cappella rinvenuta si trova poco discosta lattuale chiesa e, nonostante si ignorino le distanze che separavano S. Pietro da S. Maria, non verosimile che il confine della prima si trovasse a ridosso del complesso di S. Maria. Infatti nella, pianta di Lafrery (1566), anteriore alle supposte ricostruzioni del 1585, il corpo di fabbrica di S. Maria risulta piuttosto ampio e isolato nel suo perimetro esterno. Inoltre quel magistero di conci del fianco meridionale esterno -purtoppo non pi leggibile perch intonacato- potrebbe appartenere ad un altro versante del complesso di S. Maria dei Vergini, composto da ecclesia et hospitale. pi logico pensare che dovendo sopraelevare le strutture danneggiate dallalluvione del 1585, e dovendo sviluppare la struttura, i Padri Crociferi usassero come fondazione non gi soltanto la piccola chiesa, ma anche parte del convento. Tra laltro lavori di ampliamento dovettero occorrere gi nel Trecento, subito dopo lacquisizione dellimmobile (1334), poich oltre a servire da ospizio per i poveri, la struttura da quel momento doveva accogliere anche un certo numero di frati, che da Amalfi si trasferirono a Napoli. Daltronde se il pararnento descritto da Guida corrisponde a quello dellattuale chiesa dei Vergini, visto da Strazzullo prima dellincalcinatura, presumibile che appartengano allo stesso complesso di S. Maria. Cfr. Guida 1968; Fiengo, Strazzullo 1990, pp. 210-215.
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allepoca della sua costruzione e cio al 1326.22 Lesecutore un modesto maestro locale dai modi arcaici, simili a quelli dellanonimo esecutore degli affreschi della Cappella Loffredo in S. Maria Donnaregina e di una Crocifissione in S. Chiara.23 I tipi raffigurati hanno qualcosa in comune anche con gli affreschi della cappella di S. Giovanni Battista ai Ca10. Napoli, Cappella di S. Giovanni Battista ai 24 Camaldoli. Anonimo del terzo decennio del XIV maldoli di Napoli. In entrambe le secolo, Battesimo di Cristo (particolare). masse risultano semplificate, non sufficientemente plastiche, anche se nel trapasso dal Cristo tra Santi al Battesimo dei Camaldoli emerge gi un leggero scarto di qualit (Figg. 10-11). In questultimo la posa del Battista col braccio proteso segna volutamente lo spazio in larghezza e in profondit. Il colore steso a larghe pennellate che definiscono interi piani e i contrasti chiaroscurali sono bruschi e d energici. Ampi tratti di biacca rigano i nasi a11. Napoli, Cappella di S. Giovanni Battista ai guzzi, sottolineano gli zigomi e le ruCamaldoli. Anonimo del terzo decennio del XIV secolo, Battesimo di Cristo (particolare). ghe, rivelano landamento dei panneggi; allopposto, marcate linee nere definiscono il colore degli occhi a mandorla, mentre ampie zone scure vengono utilizzate per definire lombreggiatura. Le pitture dei Vergini sono realizzate attraverso lo stesso procedimento coloristico e,
La data di edificazione fu riportata da C. DEngenio Caracciolo (1623, pp. 606-607), che pot consultare nella Chiesa dei Vergini latto notarile del 1334, rogato dal notaio Vincenzo Vulcano, mediante il quale i fondatori ne cedevano la propriet ai Padri Crociferi. Di quel documento esiste una copia cinquecentesca, priva di data di fondazione ma con i nomi di tutti i nobili mecenati, nella premessa - contenente le Memorie della Fundazione, e progressi della Casa della Congregazione della Missione - al manoscritto Volume Primo di Scritture Circa lOrigene, e Progressi della Fondazione in Napoli fatta Per gli RR.PP. della Missione da Roma, Napoli, Archivio della Casa della Missione dei Padri Vincenziani. Pubblicato da Fiengo, Strazzullo 119, pp. 210-215, il documento riportato anche da Costa 1991, pp. 42-49. 23 de Castris 1986, p. 290. 24 Guerra 1867, pp. 69-88; Maniscalco, Ruggiero 1993, pp. 11-18.
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sebbene esista un lieve scarto tra le due esecuzioni, esse si possono riferire allo stesso autore, con un anticipo degli affreschi dei Vergini su quelli dei Camaldoli e con un divario nella qualit dei dati secondari ascrivibile al differente peso delle commissioni, anche se entrambe le cappelle erano di pertinenza privata e ubicate fuori porta. Se la datazione degli affreschi di S. Maria pu collocarsi a ridosso della data di fondazione, entro la fine del terzo decennio va pure datato il Battesimo dei Camaldoli. 12. Napoli, Chiesa di S. Maria ai Vergini. Roberto dOderisio, Crocifissione. Ben pi alta la qualit espressa dai resti di una Crocifissione presenti al di sopra del catino absidale con lEcce Homo tra Santi, nella stessa cappellina sotterranea (Fig. 12). Della scena rimane purtroppo solo il lato sinistro con le Vergini dolenti, e il guasto Cristo morto; completamente sparito il lato destro. Quanto sopravvive per sufficiente per affermare che si tratta di unopera di Roberto dOderisio.25 La mano del maggiore giottesco napoletano prontamente riconoscibile nella strutturazione plastica delle Vergini. Lorganizzazione ritmica delle masse e la sapiente costruzione volumetrica dei volti richiamano le altre opere di analogo soggetto di Roberto: la Crocifissione del Museo di Capodimonte quella autografa di San Francesco ad Eboli (Salerno, Museo Diocesano) e laltra conservata nel Museo del Louvre, attribuite rispettivamente da Bologna e da de Castris (Figg. 13-14).26 Nellaffresco napoletano manca il vasto respiro e la complessa articolazione della tavola ebolitana e i colori sono parchi e politi, ma proprio per questo risultano densi e
Secondo lingegner Guida la commissione dellopera, di cui riconosce laltissima levatura qualitativa, sarebbe dovuta ai Carmignano, che compaiono in numerosi membri tra i fondatori della cappella. Cfr. Guida 1968, p. 15. Per R. Pinto (1997, p. 43), nellopera vi uninfluenza giottesca che per non consente di avvicinarla alle opere di Roberto dOderisio. 26 de Castris 1986, p. 280; Bologna 1969, p. 267.
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13. Napoli, Museo di Capodimonte. Roberto dOderisio, Crocifissione.

14. Salerno, Museo del Duomo. Roberto dOderisio, Crocifissione.

corposi; la gamma cromatica quella degli affreschi dellIncoronata: va dal giallo ocra al verde intenso, con passaggi dal rosso mattone al vermiglio; un pregevole blu oltremarino fa da sfondo alle figure. La resa del chiaroscuro, che ha una funzione costruttiva nelle composizione delle masse e delle fisionomie, produce gli stessi effetti di definizione statuina della tavola ebolitana.27 La sobriet dellesecuzione non diminuisce laccurata strutturazione dei volumi di marca giottesco-masiana. 15. New York. Metropolitan Museum. Roberto dOderisio, San Giovanni e la Maddalena (anta di dittico) Le masse corporee cadenzano lo spazio con il gioco euritmico delle teste; i precisi tagli dei volti e la loro intensit espressiva hanno la medesima forza dei personaggi del dittico, diviso tra la National Gallery e il Metropolitan Museum, raffigurante Cristo morto e la Vergine e S. Giovanni e la Maddalena (Fig. 15). Si confronti anche il volto della donna sullestrema destra con quello di Maria nella tavola che raffigura Cristo nel Sepolcro, al Fogg Art Museum di Cambridge Mass. (Fig.
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Bologna 1969, pp. 258-264.

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16. Cambridge (Mass.), Fogg Art Museum. Roberto dOderisio, Cristo nel Sepolcro.

16).28 Rispetto a queste opere laffresco dei Vergini privo di quegli accenti patetici, della religiosit mistica e cor- tese, tipica della fase senese avignonese a cui appartengono, e ben definita da de Castris,29 ma sono presenti in nuce i tratti e le peculia28

Sulla base della descrizione di De Dominici e di altri indizi, Ferdinando Bologna (1969, pp. 297-298) ha ritenuto questa tavola la parte centrale del complesso polittico che completava laltare maggiore della Chiesa dellIncoronata. 29 de Castris 1986, p. 380.

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rit fisionomiche della galleria dei personaggi oderisiani. Il Cristo morto purtroppo il brano meno leggibile del- laffresco. Tuttavia ancora possibile percepire la pioggia di luce che investe il corpo, la scarna muscolatura, la marcata linea dello sterno e la conformazione fisica cos vicina al Crocifisso del Museo di Capodimonte. Questultimo, attribuito a Roberto da Ferdinando Bologna con una datazione entro il quarto decennio del Trecento, definito come il documento di una fase vitale dellarte di Ro-

berto, la cui ricerca sembra essersi svolta da un primo momento di adesione a Giotto stesso [...] ad uno stadio di crescente adesione allarte di Maso.30 La Crocifissione di
S. Maria ai Vergini si colloca cronologicamente in prossimit di quelle di Capodimonte e di Salerno, quando larte di Roberto raggiunge il tempo del pi risoluto voltarsi verso Maso,31 ad una data che cade probabilmente entro la fine degli anni Quaranta del secolo. La conferma di tale sistemazione temporale e le circostanze che condussero il giovane Roberto a lavorare in quegli anni in una chiesetta fuori Porta San Gennaro sono fornite da dati esterni. Nellatto notarile col quale i complateari donarono nel 1334 la chiesa e lospedale di S. Maria dei Vergini ai Padri Crociferi risulta che ipsi Homines de platea preditta [...] dederunt, concesserunt, donaverunt et tradiderunt frati Marino

de Sancto Severino priori ecclesie et hospitalis Sancte Marie dicti ordinis de Amalfi [...] quandam petiam terre cum quandam ecclesia discoperta et hospitale copertum.32
Lordine citato quello dei Padri Armiferi o Crociferi, i quali in Amalfi possedevano una chiesa e un ospedale detto di S. Maria de Bononia, poich i ministri di quel senodochio erano subordinati al priorato di Bologna.33 Nella nuova sede napoletana essi avrebbero dovuto officiare i riti sacri e provvedere adeguatamente in perpetuo allospedale per la cura dei poveri. Infatti non era loro concesso di alienare n permutare il complesso n di mutarne il titolo.34 La chiesa di S. Maria dei Vergini, consegnata nel 1334 al priore di Amalfi, doveva essere a quel tempo decorata dal solo affresco del catino absidale, rimontante si visto al 1326 circa. probabile che fu padre Marino a commissionare per la prima ed unica sede napoletana dei Crociferi un dipinto dal soggetto attinente con lordine: la Crocifissione.
30 31

Bologna 1969, pp. 266-267. Bologna 1969, p. 267. Pierluigi Leone de Castris (1986, p. 375), a proposito della lunetta di Capodimonte, dice: fra tutte le prime opere rappresenta il momento pi prossimo al linguaggio del Maestro delle Vele sia per fedelt compositiva sia per ricchezza cromatica. 32 Fiengo, Strazzullo 1990, pp. 210-211; anche in Costa 1991, p. 43. 33 Camera 1876, p. LI. 34 Solvendo insuper predittus frater Marinus [...] promisit et convenit [...] accrescere ed augmentare et non

minuere in aliquo, et nullo unquam tempore dictam ecclesian, et hospitale vendere seu alienare seu permutare [...] et quod vocabulum, ipsius ecclesie non mutabitur. Fiengo, Strazzullo 1990, pp. 210-211; anche in
Costa 1991, pp. 47-48.

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Si pu ipotizzare che dovendo affidare lopera ad un artista napoletano si lasciasse consigliare da qualche nobile della comunit amalfitana di Napoli. Si ricordi che proprio per Antonio Coppola il giovane Roberto realizz un pentittico, destinato alla chiesa di S. Lorenzo a Scala - riflesso immediato del polittico di uguale soggetto che Giotto-Maso lasci nella cappella di Castelnuovo.35 Un po pi a sud, ad Eboli, lasci la preziosa Crocifissione firmata e infine a S. Giovanni del Toro a Ravello affresc una DormitioCoronatio in una cappella laterale alla sagrestia, anchessa patronato dei Coppola. 36 Il contatto del frate con il pittore dovette aver luogo allinterno del giro di conoscenze amalfitane. Certamente lopera dellOderisio doveva essere nota ed apprezzata nella capitale come in costiera, anche grazie al patrocinio di una famiglia cos autorevole e 17. Napoli, Chiesa di S. Antoniello. Artista giottesco, Testa di Santo stimata alla corte napoletana, come quella dei Coppola. importante inoltre sottolineare che il ramo di Scala di questa casata (laltro era di Salerno) era iscritto al Sedile di Montagna,37 lo stesso a cui appartenevano i Carmignano, fondatori della chiesa.38 Forse furono proprio i contatti tra le due famiglie a determinare la cessione di una sede napoletana all ordine amalfitano. Diventa verosimile che un appartenente alla famiglia Coppola, forse Antonio stesso, promuovesse la venuta dei Crociferi a Napoli e che avesse trovato in quel conventino fuori porta S. Gennaro la sede opportuna per la loro sistemazione e, nella famiglia Carmignano, i giusti benefattori. Del resto per loro stessa ammissione i nobili proprietari della chiesa non erano pi in grado di provvedere al conveniente mantenimento del complesso. Sta di fatto che dal 18 gennaio del 1334 i frati amalfitani presero possesso della chiesa e dellospedale di S. Maria dei Vergini ed una parte di essi si trasfer nella nuova sede
35

La restituzione delle opere allambiente della costa amalfitana, la loro esegesi artistica e lattribuzione a Roberto dOderisio sono di Ferdinando Bologna (1969, pp. 2458-266). Cfr. de Castris 1995, pp. 45-49. 36 Lidentificazione e lattribuzione sono di de Castris (1986, p. 375). 37 Candida Gonzaga 1857, pp. 11-15 38 De Lellis 1654, p. 267.

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18-19. Napoli, Cappella Palatina in Castelnuovo. Bottega di Giotto, Teste decorative.

nella capitale. La sicura data diviene il post quem per la cronologia dellaffresco, realizzato dallOderisio entro la fine dello stesso anno o al pi tardi nel corso del 1335, proprio a met di quel decennio durante il quale lartista - formatosi sulla lezione giottesca intorno al 1330 - andava maturando una maggiore intelligenza prospettica, un rigore metrico e una struttura sempre pi masiani. Ma allinterno del Borgo, questa Crocifissione non lunico esempio di cultura giottesca meridionale. Nella chiesa di S. Antoniello, infatti, resiste sulla parete di sinistra un frammento di Testa di santo (Fig. 17). Questa bella immagine frontale rimanda subito allambiente palatino di Castelnuovo, in particolare alle Teste decorative che ornano gli strombi dei finestroni (Fig. 18). Lintelligenza delle ricerche formali e soprattutto lestrema condensazione plastica sono tratti dalla lezione che Maso lasci a Napoli e questa testa si allinea agli approfondimenti che andavano maturando allinterno della cappella e nella pi stretta cerchia di giotteschi locali, nellinterpretazione, cio, del Maestro delle Tempere francescane, del maestro di Giovanni Barrile e di Roberto dOderisio. La luce, piuttosto che essere assorbita dal pigmento pittorico, segna con una certa sgar-

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20-21. Napoli, Chiesa di S. Antoniello. Maestro di Giovanni Barrile (?), S. Nicola tra due Santi.

beria la fronte larga, il naso e gli alti zigomi del santo; essa esalta la stereometricit delle forme che non attenua la monumentalit del volto, ottenuta attraverso una costruzione perfetta della testa, su cui poggiano ombre sfuggenti, e la fermezza dello sguardo. Un simile procedimento lo si ritrova in alcune figure di Roberto dOderisio, in particolare nella Testa di Cristo della cuspide della tavola al Fogg Art Museum (Cambridge, Mass.), alla mano del quale forse questo frammento appartiene. Questa Testa di Santo si inserisce a pieno titolo nel troncone di ricerca oderisiano, in cui forte la propensione per un linguaggio giocato sulla plasticit delle masse, dove i dati formali hanno maggiore rilievo su quelli cromatico-luminosi, in unepoca che non pu andare oltre la fine degli anni Quaranta del secolo. Anche laltro troncone di ricerca post-giottesca, impersonato dal maestro di Giovanni Barrile39 e caratterizzato da una spiccata attitudine a costruire la forma per mezzo di unanalisi puramente luministica della sua consistenza esistenziale nellatmosfera e

mediante un processo di unione del colore affatto giottesco, che produce un risalto altamente veridico,40 presente nella chiesa di S. Antoniello, con lautorevolezza del
maestro in persona. Lopera che contiene tali segnali raffigura Tre Santi, purtroppo acefali, di cui quello me39 40

Aceto1992, pp. 55-62. Bologna 1969, p. 206.

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diano , facilmente individuabile in S. Nicola.41 Ad uno sguardo globale queste tre allungate figure rivelano un senso di monumentalit e di metricit strutturale davvero notevole (Figg. 20-21). Gi Morisani ebbe a rilevare che lesecutore era un maestro che guard a Giotto stesso e che oper nella sua immediata vicinanza, del quale colse soprattutto la peculiare risoluzione luministica che produce un gioco di luci argentine, quasi senza ombre.42 Il pittore esplora le forme attraverso un trattamento del colore che si imbeve di luce e lo restituisce sotto forma di rilievi ed ombre leggerissime; la gamma cromatica tenerissima e i passaggi chiaroscurali ricercati. Come nel S. Ludovico da Tolosa del Museo Granet di Aix-en-Provence,43 lultimo personaggio del riquadro di S. Antoniello piega leggermente la gamba destra, producendo un garbato anchement; ma il compito di suggerire la posa tutto affidato alla luce, che crea un trapezio allungato sulla gamba, strutturandone cos il volume. Se non bastasse questo singolare procedimento cromatico-luminoso a riportarci nellorbita del maestro giottesco, si osservi con quanta forza la figura del bambino si allontana dal fondo e assume un suo rilievo. Per talune caratteristiche la si pu confrontare con le donne di profilo nel Matrimonio della Vergine, nella Cappella Barrile in S. Lorenzo maggiore (Fig. 22). Medesimi sono lintensit dello sguardo e la marcata linea nera che profila e sbalza il volto. Dallaccostamento emerge la medesima modalit costruttiva delle figure con le braccia corte, il lungo e avanzato imposto del collo sulle spalle curve e la vita tagliata bassa.
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22. Napoli, Chiesa di S. Lorenzo maggiore. Maestro di Giovanni Barrile, Sposalizio della Vergine

23. Parigi, Biblioteca Nazionale, Bible Moralise. Maestro di Giovanni Barrile, Le Nozze di Canaa.

La prima figura a sinistra indossa una veste rossa sotto un manto verde, che scende in fluenti pieghe parallele; S. Nicola al centro tiene per i capelli il bambino del miracolo e, secondo liconografia, compare in vesti episcopali; il terzo personaggio avvolto in un manto blu che ricade in ampie sinuosit del tessuto. 42 Morisani 1942, p. l55. 43 Lattribuzione al maestro di Giovanni Barrile di Ferdinando Bologna (1969, pp. 211-213).

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Anche la foggia dellabito - con la scollatura di pari ampiezza sul davanti e sulla schiena, con il manicottolo che aderisce allavambraccio e crea, aprendosi, un profondo cono - sostanzialmente identico a quelli descritti nellaffresco di S. Lorenzo.44 In particolare questa figurina sembra avere un puntuale riscontro nel servitore della Nozze di Cana, miniatura della Bible Moralise (ms. fr. n. 9561, Parigi Bibliothque Nationale), opera restituita al Maestro di Giovanni 24. Napoli, Chiesa di S. Antoniello. Anonimo dellottavo decenBarrile da Ferdinando Bologna nio del XIV sec., Santo Vescovo, S. Antonio Abate e S. Giuliano. (Fig. 23).45 Quantunque questi personaggi di S. Antoniello siano privi delle teste, che avrebbero certamente fornito maggiori indizi nella precisazione del loro autore, bene non sottovalutare ci che un occhio attento pu ancora leggere in questi brandelli di affreschi: vale a dire laltissima qualit della tecnica pittorica che rivela lintervento del Maestro di Giovanni Barrile. Gli elementi per fornire una datazione sono davvero scarsi. In 25. Napoli, Chiesa di S. Antoniello. Anonimo dellottavo decenbase allesegesi stilistica e alla vinio del XIV sec., S. Antonio Abate e S. Giuliano (particolare). cinanza con gli affreschi Barrile si tentati di collocarli entro la fine degli anni Quaranta del Trecento e una conferma potrebbe venire dalla anticipa-zione della Bible Moralise ad una data intorno al 135044

Come ha dimostrato Francesco Aceto (1992, pp. 61-62), questo tipo di manicottolo raggiunge un tale stadio di sviluppo intorno al 1343-46, corrispondente alla raffigurazione degli abiti nella cappella Barrile. 45 Bologna 1969, pp. 314-316.

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1352, operata da de Castris,46 con la quale ha qualche punto di contatto. A qualche decennio pi tardi risale laffresco della stessa parete destra dellabside, che raffigura un Santo vescovo, S. Antonio Abate e S. Giuliano47 riquadrati da cornici colorate (Figg. 24-25). Sul margine inferiore destro restano le tracce di un intonaco pi antico, con fiori rossi e 26. Molines, Biblioteca del Seminario, Bibbia ms.1. gialli e racemi su fondo Cristoforo Ormina, S. Martino a cavallo. bianco. Anche se nelle figure non mancano accenni ad una ricerca di equilibrio compositivo, i panneggi, eccessivamente simmetrici e semplificati, deprimono il senso di massa e infondono ai santi una posa bloccata, quasi impietrita. I personaggi esibiscono unintensificazione dei dati grafici, una eccessiva ricerca linearistica, che in S. Giuliano rasenta la leziosit, a scapito della resa plastica, affidata tutta alle ampie e giustapposte campiture di colore, mediante le quali si definiscono i piani. Manca qualsiasi accenno alla gradazione chiaroscurale, tanto che i passaggi tonali risultano troppo grossolani. Il linguaggio di questo affresco risale al settimo decennio del Trecento, quando a Napoli si diffusero i modi del fiorentino Niccol di Tommaso, sullormai imperante cultura cortese e cavalleresca. noto che intensissimi rapporti artistici - oltre che dinastici tra Napoli e la Provenza interessarono alcuni artisti del calibro di Roberto dOderisio, del miniatore Cristoforo Orimina e del Maestro della Cappella Barrile.48 Il S. Martino,
de Castris 1986, p. 415. La combinazione iconografica di S. Antonio Abate con S. Giuliano lOspitaliere ripete quella che presente nelle tavole laterali del pentittico Coppola, messa in relazione da Ferdinando Bologna (1969, p. 259) con lonomastica dei componenti della famiglia. Ritrovare questo accostamento in S. Antoniello pu indicare forse, oltre alla corrispondenza con i nomi dei committenti, il carattere monastico ed ascetico del luogo, essendo entrambe le vite dei Santi dedite al romitaggio. 48 Cfr. Bologna 1969, pp. 293-325; Sabatini 1974, pp. 33-40; de Castris 1986, pp. 378-379, 408-418; Abbate 1998, pp. 50-52.
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27. Napoli, Chiesa di S. Antoniello. Anonimo dellottavo decennio del XIV sec., Testa di Santo.

28. Napoli, Museo di Capodimonte. Niccol di Tommaso,

S. Francesco dAssisi e S. Pietro.

29. Napoli, Chiesa di S. Antoniello. Anonimo dellottavo decennio del XIV sec., Santo.

infatti, rappresentato nelle vesti di un cavaliere armato e agghindato alla moda, ha laspetto di un giovane appartenente alla nobilt francese e sembra tratto dalle miniature di un romanzo cavalleresco dellepoca (Fig. 26). Questi Santi furono eseguiti da un artista di non altissima levatura, formatosi nel clima neofeudale di Ludovico dAngi (1352-1362), quando la cultura figurativa napoletana sub una sterzata verso larte cortese di Avignone e si apr allaffermazione dei modi di Niccol di Tommaso. La presenza nella capitale del maestro toscano e lattenzione che gli rivolsero alcuni artisti locali testimoniata dallultimo gruppo di affreschi, presi in esame. Si tratta di alcuni frammenti di Santi, un tempo corredati da storie della loro vita, ancora visibili allepoca di Morisani,49 ma oggi del tutto illeggibili. Le figure sono caratterizzate da una certa saldezza del disegno e il primo santo (Fig. 27) ha forti affinit con il S. Francesco dAssisi, nello sportello sinistro del trittico di S. Antonio Abate di Niccol di Tommaso (Fig. 28), col quale condivide la forza con cui il volume della testa ruota nello spazio e si stacca netta dallaureola e la spaziatura delle sue parti. Laltro santo (Fig. 29) rappresentato frontalmente e il viso spartito in due dalla lunga linea del naso; marcate increspature solcano la fronte e i lati degli occhi. La luce, come nelle figure del toscano, si appoggia sul naso e sullarcata sopracciliare, dove forma un caratteristico triangolo luminoso. Pi di unaffinit lega questi personaggi con quelli di Niccol di Tommaso e, certamente lanonimo autore comprese a fondo il suo linguaggio e lo interpret fedelmente. probabile che i monaci di S. Antoniello, avendo avuto conoscenza del trittico che Nic49

Morisani 1942, p. 158, fig. 9.

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col esegu per lomonima e prossima chiesa di Foria, richiedessero una prestazione simile al maestro fiorentino o, pi verosimilmente, ad un suo stretto collaboratore. Questi potrebbe essere identificato con lancora anonimo maestro fiorentino attivo a Casaluce, nel castello del Balzo, dove affresc un ciclo di storie dal contenuto ancora oscuro a causa dello stato frammentario degli intonaci. Secondo il giudizio di Ferdinando 30-31. Niccol di Tommaso, S. Pietro Celestino in cattedra (Casaluce, Chiesa del Castello); S. Antonio Abate Bologna, questo pittore, ancora ma(Napoli, Museo di Capodimonte). siano, sa possedere una monumentalit simile a quella dellOrcagna50 e il suo percorso va giustificato ponendolo in contiguit cronologica e desperienza con il pi certo Niccol di Tommaso che firm nel 1371 il polittico per S. Antonio Abate a Foria (Figg. 30-31). Con questi frammenti, che devono essere datati intorno al 1375, si chiude il resoconto su ci che miracolosamente sopravanza del Trecento nel borgo dei Vergini di Napoli e che ha resistito alle ingiurie della natura e alla dimenticanza degli uomini. Dallinsieme dei dati storici e figurativi S. Maria risulta non aver avuto, nelle dimensioni e nella portata, il lignaggio di una chiesa particolarmente nota e ragguardevole per la fede dei napoletani, ma la chiesa di S. Antoniello, invece, lascia presupporre un originario destino ben diverso. Se infatti la pi rilevante sezione della navata, rimasta sepolta sotto gli edifici di via Vergini, dovette essere affrescata con tanta sovrabbondanza quanto la piccola abside e il brevissimo tratto della navata venuto alla luce, questa chiesa doveva presentarsi agli occhi dei contemporanei come una vera e propria antologia di quanto la pittura napoletana ai pi alti livelli, seppe esprimere in et angioina.

Morisani (1947, pp. 156-157) li attribu ad Andrea Vanni e li interpret come le Storie di S. Pietro Celestino. Bologna (1969, p. 326) ha precisato che non si tratta dellopera di Vanni, ma neanche di cultura senese; essi non illustrano le Storie di S. Pietro Celestino (che si trovano in unaltra ala del castello e che sono di Niccol di Tommaso) e sono invece da riferire ad un anonimo maestro fiorentino, affine al di Tommaso e attivo intorno al 1370.

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