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Concetto di spazio nel carteggio Leibniz-Clarke Loggetto di questa trattazione il carteggio intercorso tra il filosofo tedesco G.W. Leibniz ed il teologo inglese Samuel Clarke. Loccasione per il confronto si present dopo che il primo, nel 1715, scrivendo una lettera alla principessa del Galles Carolina, evidenzi polemicamente linsorgere di una filosofia in cui molti rendono corporee le anime, altri giungono a materializzare lo stesso Dio. I riferimenti pi espliciti sono a Locke e a Newton, citati rispettivamente nel 2 e nel 3 paragrafo, ma dopo la prima risposta di Clarke il filosofo della natura teorizzatore della gravit rimarr lunico protagonista della disputa. Prima di addentrarci nel carteggio vero e proprio necessario quantomeno far luce su alcuni dei concetti chiave esposti da Newton in una delle sue opere pi famose: l ottica. 1. Newton: le forze, gli atomi e lo spazio Nellarco degli oltre trentanni che passarono tra la prima edizione dell Ottica nel 1704 e la revisione nel 1717/18, Newton continu a porsi problemi di carattere epistemologico e scientifico, che per non riusc a sviluppare compiutamente. Fortunatamente queste Questioni non rimasero nella mente dellautore, ma saranno aggiunte al terzo e ultimo libro. Particolarmente interessanti sono i temi trattati dal filosofo inglese nellultima Questione, la numero 311:
Le parti pi piccole dei corpi non hanno certe potenze, virt o forze per effetto delle quali agiscono a distanza, non solo sui raggi di luce [] ma anche le une sulle altre []? infatti ben noto che i corpi agiscono luno sullaltro per effetto delle attrazioni di gravit, del magnetismo e dellelettricit; e questi esempi mostrano lordine e il corso della natura, e rendono non improbabile che ci possano essere altri poteri attrattivi oltre questi. []. Ci che chiamo attrazione pu essere prodotto da un impulso e da qualche altro mezzo a me sconosciuto.

E pi avanti continua2:
Le particelle di tutti i corpi duri omogenei [] aderiscono insieme con molta forza. E per spiegare come ci possa avvenire, qualcuno ha inventato gli atomi uncinati []; altri ci dicono che le particelle sono tenute insieme dalla quiete []; altri ancora ci dicono che sono tenute insieme da movimenti cospiranti []. Io invece dalla coesione dei corpi desumerei che le loro particelle si attraggono lun laltra per effetto di una certa forza, che straordinariamente forte nel contatto immediato.

Interessante notare come in entrambi questi brani lattenzione di Newton sia diretta a quelle che lui definisce certe potenze, virt o forze le quali fanno s che non solo i corpi, ma anche i loro atomi, interagiscano tra di loro. Il problema si pone quando, dopo aver citato le tre forze da lui ritenute causa di queste interazioni, il filosofo naturale inglese ci dice di ritenere che non sarebbe improbabile lesistenza di altri poteri attrattivi oltre a questi. Ma cosa intende Newton?

1 Cfr. I. NEWTON, Opticks [1740], trad. it. Torino, UTET 1978 2 Cfr. I. NEWTON (ivi: 591-592)

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La situazione si fa pi chiara quando lautore dell Ottica nelle pagine successive, riferendosi alle tre forze citate in precedenza, dichiara3:
In tal modo luniverso naturale sar strettamente conforme a se stesso e semplicissimo, producendo tutti i grandi movimenti dei corpi celesti per effetto della gravit []; e quasi tutti i movimenti minori delle particelle []. La forza dinerzia quel principio passivo a causa del quale i corpi persistono nel loro stato di moto o di quiete []. In conseguenza di questo solo principio per non ci sarebbe mai potuto essere movimento. [] ora che [i corpi] si muovono necessario un altro principio che ne conservi il movimento.

Per Newton la gravit, il magnetismo, lelettricit e la forza dinerzia possono spiegare il modo in cui il movimento avviene non come esso prodotto e mantenuto. La spiegazione arriva poco dopo4:
[] mi sembra probabile che Dio al principio del mondo abbia formato la materia di particelle solide [] e mobili [] tanto perfettamente dure, da non poter mai consumarsi: [] nessuna forza comune essendo in grado di dividere ci che Dio [] ha fatto uno.

Dio colui che, creando la materia solida ma soprattutto mobile, ha dato principio al movimento, dando ai corpi come leggi generali e non come qualit occulte aristoteliche la gravit, il magnetismo e lelettricit. Il compito del filosofo della natura non quello di spiegare il movimento come una qualit occulta, bens quello di derivare dai fenomeni due o tre principi generali del moto e poi spiegare come le propriet e le azioni di tutte le cose corporee derivino da questi principi palesi []5. Ma il ruolo di Dio nel sistema newtoniano continua ad essere centrale5:
[] non da filosofi cercar di trovare una qualunque altra origine del mondo o pretendere che esso sia potuto nascere dal caos per effetto si semplici leggi naturali []. Tale meravigliosa uniformit del sistema planetario deve essere considerata il risultato di una scelta.

Siamo ora arrivati al culmine del pensiero newtoniano: dopo aver esposto ed accettato una teoria corpuscolare della materia, e dopo aver descritto le forze attrattive e repulsive che regolano il movimento, Newton nelle ultime pagine della sua Ottica6:
[luniformit del sistema planetario] non pu essere che la conseguenza della sapienza e dellabilit di un Agente potente ed eterno che essendo in ogni luogo in grado di muovere con la sua volont i corpi nel suo infinito e uniforme sensorio. [] tuttavia non dobbiamo considerare il mondo come corpo di Dio []. Egli un essere uniforme, privo di organi []; ed egli non lanima [del mondo] pi di quanto lanima delluomo non sia lanima di quelle forme che [] giungono al luogo del sentire, dove lanima le percepisce per la sua immediata presenza

Ecco il frammento sui cui si confronteranno Leibniz e Clarke: Dio attraverso il suo sensorio immediatamente presente ai corpi governa il mondo, dopo averlo creato. Lo spazio si identifica cos con questo sensorio infinito e uniforme, e per questo assoluto e autonomo rispetto ai corpi contenuti in esso.

1 Cfr. I. NEWTON, Opticks [1740], trad. it. Torino, UTET 1978 2 Cfr. I. NEWTON (ivi: 591-592)

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2. Leibniz e Clarke: una polemica metafisica. Il carteggio polemico intercorso tra Leibniz e Clarke ebbe luogo tra il novembre 1715 e lottobre 1716, quindi con Newton ancora in vita. Esso si articola in cinque scritti leibniziani e quattro clarkeiani che ora prenderemo in esame.
2a. Primo scambio epistolare.

Il casus belli fu la gi menzionata lettera inviata da Leibniz alla principessa Carolina, in cui il filosofo tedesco lamentava un eccessivo sviluppo del materialismo. In particolare partendo dal testo newtoniano citato in precedenza7, il filosofo tedesco lo critica cos8:
Newton afferma che lo spazio lorgano, del quale Dio si serve per sentire le cose. Ma se Egli ha bisogno di qualche mezzo per sentirle, esse non dipendono, perci, intieramente da Lui, e non sono lopera sua. Newton e i suoi seguaci hanno unidea molto ridicola dellopera di Dio. Secondo loro, Dio ha bisogno di caricare di tanto in tanto il suo orologio, che altrimenti cesserebbe di agire.

La prima accusa di Leibniz tanto breve quanto potente: il Dio newtoniano avrebbe bisogno di un organo, lo spazio, per sentire i corpi che eppure lui stesso dovrebbe aver creato; inoltre sarebbe costretto in qualche modo a ricaricare il mondo-orologio per far s che il movimento non si esaurisca. Se cos fosse ,per il filosofo della Teodicea, Dio perderebbe la sua onnipotenza e soprattutto il mondo non sarebbe pi una macchina perfetta ma un orologio difettoso. Clarke, teologo newtoniano, risponde alle prime accuse in questo modo9:
[] vi sono alcuni che concepiscono le anime umane e lo stesso dio come esseri corporei; ma costoro sono nemici dichiarati dei principi matematici della filosofia[]. Newton non dice che lo spazio lorgano di cui Dio si serve per percepire le cose []. Al contrario dice che Dio, essendo onnipotente, percepisce ogni cosa co la sua immediata presenza []. Per rendere pi intellegibile la cosa, la illustra con un paragone []. [] la nozione del mondo come una grande macchina, che si muove senza lintervento di Dio, [] la nozione propria del materialismo e del fato, e che [] tende, in effetti, a bandire Dio dal mondo.

Troviamo qui da subito le due posizioni dalle quali Clarke non si muover per il resto delle epistole: innanzitutto la parola sensorium, sulla quale Leibniz caviller a lungo, non indica una presunta corporeit di Dio, n una necessit dello stesso per la conoscenza di ci che ha creato; quello che usa Newton un semplice paragone didattico. Seconda questione che rimarr centrale nella disputa dialettica il significato dellazione di Dio nel mondo: se per Leibniz azione significa, almeno nel senso di ricarica dellorologio, diminuzione della perfezione dellopera di creazione, per Clarke essa invece ribadisce lonnipotenza e la provvidenza di Dio, che altrimenti sarebbe bandito dal mondo. Vedremo da subito come questa soluzione non soddisfer affatto il filosofo tedesco.

1 Cfr. I. NEWTON, Opticks [1740], trad. it. Torino, UTET 1978 2 Cfr. I. NEWTON (ivi: 591-592)

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2b. Secondo scambio epistolare. Nella sua seconda epistola Leibniz inizi criticando da subito il fondamento del pensiero newtoniano e quindi clarkeiano, i principi matematici10: []non credo che vi sia motivo di aggiungere che i principi matematici della filosofia siano opposti a quelli dei materialisti. Al contrario sono identici []. Cos non sono i principi matematici [], ma i principi metafisici che si debbono opporre a quelli dei materialisti. Ricordiamo che lopera pi importante di Newton furono i Principi matematici della filosofia naturale, opera su cui sia lautore stesso che il suo seguace Clarke fondano le proprio convinzioni non esclusivamente fisiche. Questa puntualizzazione leibniziana quindi non si presenta come una semplice correzione lessicale, ma come un incisivo attacco epistemologico. Ma quali sono i principi metafisici di cui si parla?11 Il grande principio delle matematiche il principio di contraddizione []. Ma per passare dalla matematica alla fisica, occorre [] una ragion sufficiente. Nulla, cio, accade senza che vi sia una ragione per cui sia cos piuttosto che altrimenti. Ora con questo solo principio [] io dimostro la Divinit e tutto il resto della metafisica [] ed anche []i principi fisici indipendenti dalla matematica. Questo passaggio fondamentale evidenzia innanzitutto una cosa: per Leibniz matematica e fisica sono due discipline ontologicamente differenti, tanto da voler spiegare la seconda attraverso principi metafisici. Altro dato fondamentale lutilizzo del principio di ragione sufficiente: allinterno del sistema leibniziano esso diventa fondamentale su tutti i livelli; dalla dimostrazione della divinit, a quella del movimento fisico, passando per la metafisica in toto. La volont di Leibniz quella di dimostrare la povert esplicativa dei principi matematici rispetto a quello che si presente come un principio universale. A questo punto il filosofo tedesco ritorna sul concetto di sensorium12: [] la parola sensorium ha sempre significato lorgano della sensazione: padroni lui [Newton] e i suoi amici di spiegarsi in modo affatto diverso []. Ma subito dopo la puntualizzazione non pi solo lessicale13: si suppone che la presenza dellanima sia sufficiente perch appercepisca ci che avviene nel cervello []. Occorre tuttaltro che la semplice presenza perch una cosa rappresenti ci che accade nellaltra []. Lo spazio, secondo Newton, intimamente presente al corpo []; segue forse , da ci, che lo spazio appercepisce quel che avviene nel corpo e che se ne ricordi appena il corpo ne sia uscito? [] La ragione per la quale Dio appercepisce ogni cosa, non la sua semplice presenza, ma la sua attivit: perch Egli conserva le cose con unazione che continuamente produce quanto v in esse di bont e perfezione. Se ci si attiene alle parole di Newton, dice Leibniz, si deduce che Dio, attraverso il suo sensorio immediatamente presente a tutti i corpi, li ordina e gestisce solo in virt di questa sua immediatezza. Ma qui il filosofo tedesco fa entrare in gioco una particolare concezione
1 Cfr. I. NEWTON, Opticks [1740], trad. it. Torino, UTET 1978 2 Cfr. I. NEWTON (ivi: 591-592)

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del suo pensiero, quella di appercezione, ossia la capacit di una monade di percepire in maniera chiara e distinta le sue percezioni. Nella gerarchia monadica ovviamente Dio rappresenta la monade delle monadi, che non solo pu fare e disfare le monadi inferiori, ma che, ricollegandoci al frammento poco sopra [vd. n 11 pg. 4], la ragione ultima delle cose, quindi anche fondamento del principio di ragione sufficiente. Ma Leibniz vuole rendere chiara una cosa14: io non dico affatto che il mondo corporeo sia una macchina o un orologio che funzioni senza lintervento di Dio; anzi professo che le creature hanno bisogno della sua continua influenza, aggiungo, per, che un orologio che funziona senza aver bisogno di correzioni. Dio ha tutto preveduto []. Nelle sue opere c unarmonia [] prestabilita. Questa opinione non esclude affatto la provvidenza o il governo di Dio []. Una vera provvidenza divina richiede una perfetta preveggenza []. Clarke risponde da subito chiarendo che i principi matematici vanno contro la supposizione dei materialisti i quali credono che la struttura delluniverso sia stata prodotta esclusivamente da principi meccanici15: [] i principi matematici mostrano [], che lo stato delle cose [la costituzione del sole e dei pianeti] tale che non avrebbe potuto essere prodotto che da una causa intelligente e libera. [] cos questi principi possono [per cos dire] essere chiamati metafisici. E riguardo alla ragione sufficiente continua16: vero che nulla esiste senza una ragione sufficiente []. Spesso per la ragione sufficiente non altro che la semplice volont di Dio. Non pu mancare anche in questo scritto la disputa sulla parola sensorio17: la parola sensorio non significa propriamente lorgano, ma il luogo della sensazione. [] Newton non dice che lo spazio il sensorio, ma che (in via soltanto di paragone) come se fosse il sensorio ecc. La soluzione del problema dellimpossibilit di appercezione senza azione risolta cos18: Dio percepisce le cose non certo con la semplice presenza, n con la sua zione su di esse; ma soltanto perch una sostanza vivente ed intelligente. Ultima ma centrale questione trattata quella della prescienza e preveggenza di Dio sul destino del creato19: la saggezza e la prescienza di Dio non consistono nel preparare in anticipo i rimedi [] [bens] nel formare dallinizio un disegno, che il suo potere ed il suo governo pongono continuamente in esecuzione.

1 Cfr. I. NEWTON, Opticks [1740], trad. it. Torino, UTET 1978 2 Cfr. I. NEWTON (ivi: 591-592)

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2c. Terzo scambio epistolare. La polemica continua nel terzo scambio epistolare, il quale per alcuni verso si riavvicina alloggetto della disputa, ossia la concezione dello spazio; dallaltra, partendo da questo, se ne allontana per portarsi su un terreno che comunque resta congeniale a entrambi gli interlocutori, quello della metafisica che a tratti si fa teodicea. Leibniz inizia la sua risposta con un altro attacco alla concezione dello spazio come di un assoluto19: Dico [ lo spazio reale assoluto] idolo non in un significato teologico, ma filosofico, come diceva un tempo il cancelliere Bacone []. [] ho osservato pi di una volta che considero lo spazio come qualcosa di puramente relativo, cos come il tempo: un ordine della coesistenze, al pari del tempo che un ordine delle successioni. Infatti lo spazio segna, in termini di possibilit, un ordine di quelle cose che esistono nello stesso tempo, in quanto esistono insieme, senza entrare nei loro modi particolare desistere, e quando si vedono pi cose insieme, si percepisce questo ordine di cose tra loro. Laccettazione dello spazio come un reale assoluto, porterebbe ad una conseguenza che per il filosofo tedesco inaccettabile20: affermo, dunque, che se lo spazio fosse un essere assoluto, accadrebbe qualcosa della quale sarebbe impossibile una ragione sufficiente []. Ecco come dimostro la cosa. Lo spazio qualcosa di assolutamente uniforme; e, senza le cose che vi si trovano, un punto dello spazio differisce assolutamente in nulla da un altro punto dello spazio. Da ci segue [] che impossibile che vi sia una ragione per la quale Dio [] abbia situato i corpi nello spazio e non altrimenti e perch tutto non sia posto, ad esempio, a rovescio []. Ma se lo spazio non altro che quellordine o rapporto e non proprio nulla senza i corpi [] quei due stati, luno quale e laltro supposto al rovescio, non differiscono affatto tra loro: la loro differenza [] non si trova che nella supposizione fantastica della realt dello spazio in s stesso. In verit luno sarebbe la stessa cosa dellaltro, cos come sono assolutamente indiscernibili21 e perci non c motivo di chiedersi la preferenza delluno rispetto allaltro. Con questo esempio Leibniz vuole dimostrare che, qualora lo spazio fosse una realt assoluta, Dio non avrebbe avuto ragione di porre i corpi in un modo piuttosto che in un altro. Ma la distinzione tra diritto e rovescio si ha solamente postulando lo spazio come essere a s stante; se invece lo si considera come coesistenza di corpi, il diritto e il rovescio non solo non sono pi assoluti, ma diventano indiscernibili. In questo modo la ragione sufficiente viene mantenuta, ma non deve essere confusa con la volont di Dio perch22: [] ci significa sostenere che Dio voglia qualcosa senza che vi sia alcuna ragione sufficiente della sua volont [], ed ricadere nella vaga indifferenza che io ho ampiamente dimostrata essere [] contraria alla saggezza di Dio, come se egli potesse operare senza agire con ragioni.

1 Cfr. I. NEWTON, Opticks [1740], trad. it. Torino, UTET 1978 2 Cfr. I. NEWTON (ivi: 591-592)

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Ma allora Dio sottoposto in qualche modo alla ragione sufficiente23? Mi si obietta che non ammettendo questa pura e semplice volont, sarebbe togliere a Dio potere di scegliere e cadere nella fatalit. Ma tutto il contrario; si ammette in Dio il potere di scegliere, perch lo si fonda sulla ragione della scelta conforme alla sua saggezza. Non questa fatalit che bisogna evitare [] ma la fatalit che necessit bruta, dove non c n saggezza ne scelta. In chiusura Leibniz torna sulla questione dellappercezione dei corpi da parte di Dio24: la semplice presenza duna sostanza, anche animata, non basta per le percezioni. []. Dio non presente alle cose per situazione, ma per essenza: la sua presenza si manifesta con la sua azione. []. Se la forza attiva si perdesse nelluniverso [] il disordine avrebbe luogo non soltanto in relazione a noi, ma anche a Dio stesso. Egli poteva prevenirlo [] ed in effetti ha agito cos. La questione : se Dio agisce nel modo pi regolare e perfetto; se la sua macchina possa cadere in disordine, che egli poi obbligato a correggere con vie straordinarie; se la volont di Dio sia capace di agire senza ragione; se lo spazio un essere assoluto [].

1 Cfr. I. NEWTON, Opticks [1740], trad. it. Torino, UTET 1978 2 Cfr. I. NEWTON (ivi: 591-592)

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