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ASTRONOMI A NOVA

n. 1 , magg i o 201 1
EAN Eur o pea n As t r os ky Ne t wo r k
AS T RONOMI A & I NF OR MAZ I ONE
INDICE
- Editoriale p. 3
- Fabrizio CIABATTARI, Il progetto di ricerca di Supernovae allOsservatorio Astronomico di Monte
Agliale p. 4
- Francesco ONGARO, Quarto centenario dellottica di Keplero. Nel 1611, lAstronomo Imperiale
pubblic la sua rivoluzionaria Dioptrice p. 10
- Carlo MARAZZINI, La prima volta di Astrofilo. Storia di una parola ipercolta che ora ci
familiare p. 17
- Giancarlo BATTISTI, 18 febbraio: cronaca di un evento solare eccezionale p. 19
- Cristian FATTINNANZI , Saturno in alta risoluzione p. 21
- VIDEO: Il dobsoniano RP ASTRO NGC 16 commentato da Salvatore Albano p. 24
- 4 Convegno EAN a Concordia sulla Secchia (MO), 27-28-29 maggio 2011 p. 25
Webzine gratuita
www.eanweb.com
- Supplemento al n. 1 di ASTRONOMI A NOVA: Mauro DOLCI, Astrosismologia di Giove
Pagina 1

REDAZIONE

Direttore editoriale: Rodolfo Calanca, rodolfo.calanca@gmail.com
Co-direttore: Angelo Angeletti, angelo.angeletti@virgilio.it
Redattore responsabile: Manlio Bellesi, manlio.bellesi@libero.it
Redattore: Lorenzo Brandi, lbrandi@email.it
Responsabile dei servizi web: Nicol Conte, tecnonico@gmail.com

SPONSOR
PROGETTI EAN
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EDITORIALE A CURA DELLA REDAZIONE EAN
Da alcuni anni EAN European Astrosky Network,
www.eanweb.com, svolge unintensa attivit culturale e
scientifica, con una particolare attenzione alla comunica-
zione e alla divulgazione astronomica.
EAN ha dato vita alla webzine ASTRONOMIA NOVA per-
ch ritiene necessario un salto concettuale davvero signi-
ficativo nel fare comunicazione scientifica, con un uso
allargato, intelligente e diversificato del web attraverso
lapplicazione di strumenti innovativi, quali i servizi multi-
mediali di informazione.
Attraverso la webzine, EAN si propone, anzitutto, di costi-
tuire un ausilio di ordine culturale e scientifico per tutti gli
appassionati di astronomia, compresi studenti e docenti di
ogni ordine e grado. Essa si offre per anche come luogo di
confronto delle idee e delle esperienze culturali e scientifi-
che di professionisti ed amatori dellastronomia.
ASTRONOMIA NOVA utilizza, ed utilizzer ancor pi in
futuro, video a supporto dellinformazione, anche attraver-
so ampi servizi sui nuovi telescopi ed accessori che il mer-
cato propone ai professionisti ed agli appassionati di astro-
nomia.
Gi da questo primo numero, alcuni articoli sono accompa-
gnati da video (che finiranno sul canale EAN di Youtube,
www.youtube.com/user/rudycalanca) realizzati dagli auto-
ri che introducono cos largomento da essi trattato.
Nelle settimane successive alla pubblicazione della webzi-
ne, sulle Newsletter EAN, indicheremo le date nelle quali,
attraverso il servizio televisivo EAN e la chat ad essa asso-
ciata, essi risponderanno in diretta alle domande dei letto-
ri. Dopo la lettura degli articoli, potrete inviarci i vostri
quesiti a: info@eanweb.com; le domande pi interessanti
saranno trattate dagli autori nelle dirette web.
Per celebrare lavvio della pubblicazione di ASTRONOMIA
NOVA sottoponiamo allattenzione dei nostri gentili lettori
un supplemento speciale al n. 1, dedicato
allAstrosismologia di Giove, un importante lavoro di ricer-
ca svolto da Mauro Dolci, Astronomo Ricercatore presso
INAF Osservatorio Astronomico Collurania (Teramo,
www.oa-teramo.inaf.it/ita/). Come opportunamente ci
informa il dr. Dolci, lAstrosismologia planetaria una
branca dellastronomia accessibile anche agli astrofili, i
quali, coltivandola, potrebbero dare un significativo contri-
buto scientifico alla conoscenza dei pianeti giganti del Si-
stema solare, Giove e Saturno.
Alle associazioni astrofili ed ai singoli appassionati rivolgia-
mo linvito a segnalarci le loro iniziative di interesse pub-
blico: serate osservative, star party, programmi, progetti e,
ovviamente, articoli (alla solita mail: info@eanweb.com).
Chiediamo a tutti di collaborare rispettando le specifiche
riportate nellultima pagina della webzine, riguardanti le
modalit di inoltro degli articoli e delle note informative.
Unultima informazione, in chiusura di questo editoriale,
riguarda il logo ed il nome della webzine. Il logo tratto da
uno splendido disegno di Russell William Porter (1871-
1949), artista, ingegnere ed astrofilo americano che fu am-
piamente coinvolto nella progettazione del telescopio di 5
metri dellOsservatorio di Monte Palomar. Il soggetto del
disegno, datato 1936, una raffigurazione dellOsservatorio
che sarebbe sorto sulla cima di Monte Palomar oltre un
decennio dopo. Il titolo ASTRONOMIA NOVA ed il forma-
to grafico corrispondente, tratto direttamente dal fronte-
spizio della grande opera di Keplero, Astronomia Nova
(1609) - si veda la figura a pagina 10, nella quale sono for-
mulate le prime due leggi del moto dei pianeti.
LA REDAZIONE DI ASTRONOMIA NOVA
Da sinistra: Rodolfo Calanca, Angelo Angeletti, Manlio Bellesi, Lorenzo Brandi, Nicol Conte
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Il progetto di ricerca di Supernovae
allOsservatorio Astronomico di Monte Agliale
Fabrizio Ciabattari
info@oama.it
Abstract: sono descritti gli interventi a livello hardware e software che hanno permesso di
trasformare losservatorio di Monte Agliale in una struttura completamente automatica, in
grado di attuare sessioni senza alcuna assistenza remota. Il volume di immagini realizzabili,
per il progetto di monitoraggio di Supernovae, cresce sensibilmente e vengono quindi illustra-
ti gli interventi implementati per la successiva fase di analisi. Infine si presentano i risultati
pi significativi e viene valutata la possibilit di realizzare un coordinamento tra pi stazioni
interessate al progetto.
LOsservatorio Astronomico di Monte Agliale (sito web:
www.oama.it) una struttura pubblica che sorge nei
pressi del paese di Cune, nel Comune di Borgo a Mozza-
no, in provincia di Lucca. Le infrastrutture sono state
realizzate grazie ai contributi e alloperato del Comune e
della Comunit Montana della Media Valle del Serchio.
Le attrezzature tecniche sono di propriet
dellassociazione di astrofili Gruppo Ricerche Astrono-
miche (GRA), incaricata della conduzione di tutte le atti-
vit. L'edificio che ospita il telescopio (fig. 1) consiste di
un ambiente con una copertura a tetto scorrevole,
allinterno del quale sono alloggiati alcuni telescopi
Schmidt-Cassegrain classe 20 30 cm ed il telescopio
principale.
E motorizzato con il sistema di puntamento elettronico
FS2 ed equipaggiato con una camera CCD FLI Proline e
focheggiatore elettronico FLI PDF. A breve verr instal-
lata anche la ruota portafiltri FLI CFW2-7.
La camera CCD monta il chip Marconi 4710, un disposi-
tivo retroilluminato processato con trattamento mi-
dband e caratterizzato da una matrice con 1056x1027
pixel da 13 micron di lato. Larea del chip di 13.3 mm
2
;
questi parametri permettono di ottenere un campo in-
quadrato di circa 20 arcmin e una scala, sul piano foca-
le, di 1.16 arcsec/pixel. Sul telescopio principale instal-
lato un rifrattore guida da 12 cm di apertura, ridotto a
f/7.5; il rifrattore monta una camera CCD SBIG ST7 che,
in binning 2, presenta una scala intorno a 4 arcsec/
pixel. Il telescopio pilotato attraverso il software pla-
netario TheSky6 mentre le camere CCD ed il focheggia-
tore sono controllate con MaxIm DL.
Per lesecuzione delle procedure astrometriche viene
adoperato CCDSoft. Grazie allintegrazione di librerie di
funzioni, possibile gestire i tre applicativi (MaxIm DL,
TheSky6 e CCDSoft) allinterno di progetti Visual Basic
(VB). Ci ha permesso la realizzazione di programmi VB
personalizzati, finalizzati allimplementazione delle pro-
cedure atte alla realizzazione dellautomazione
dellosservatorio.
Altri interventi fondamentali sono stati la motorizzazio-
ne del tetto scorrevole dellosservatorio e lacquisto della
scheda IOADR810, prodotta dalla National Control De-
vices, fondamentale per lutilizzo dei diversi dispositivi:
sensori di presenze, di pioggia, di continuit elettrica,
comandi di apertura/chiusura del tetto scorrevole, con-
trollo dei fine corsa movimento tetto e telescopio, con-
trollo degli alimentatori.
La scheda IOADR810 programmabile con i pi comuni
software ed un dispositivo ibrido, dotato di relays e
porte I/O analogico-digitali (figura 3).
Fig.1: ledificio del telescopio dellOsservatorio Astrono-
mico di Monte Agliale.
Losservatorio stato trasformato in una struttura com-
pletamente automatica, capace di eseguire intere sessio-
ni osservative in piena autonomia, senza alcun controllo
di operatori in situ, n on line. Il telescopio automatiz-
zato un Newton da 50 cm di apertura, f/4.5 (fig. 2).
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Una ulteriore scheda dinterfaccia autocostruita, provvi-
sta di altrettanti relays e disaccoppiatori ottici, ha per-
messo il cablaggio di tutti gli apparati. Un cellulare in-
stallato in osservatorio consente il videocontrollo
delledificio rispondendo ed effettuando chiamate auto-
matiche. Il software skydaemon, sviluppato in VB
(Visual Basic), sovrintende alla gestione
dellosservatorio. Allavvio di una sessione automatica,
vengono realizzate le seguenti procedure: controllo della
posizione dei fine corsa relativi al movimento del tetto,
apertura del tetto scorrevole, verifica della posizione dei
fine corsa movimento tetto, accensione degli alimenta-
tori delle camere CCD e del sistema di puntamento elet-
tronico FS2, raffreddamento delle camere CCD, sincro-
nizzazione iniziale del telescopio, verifica della posizione
iniziale dai dati astrometrici relativi alla prima immagi-
ne, avvio dellapplicativo masacas, che provvede alla
conduzione della sessione osservativa, come illustrato in
seguito. Durante lattivit osservativa, skydaemon moni-
tora periodicamente diversi sensori e segnali: controlla i
sensori di rilevamento presenze allesterno
dellosservatorio, il sensore di pioggia, il limite orario
imposto inizialmente, la presenza dellenergia di rete (in
assenza di energia elettrica un gruppo di continuit assi-
cura lalimentazione per un tempo adeguato a completa-
re lo shutdown), eventuali allarmi dovuti a cielo nuvolo-
so o trasmessi tramite internet. Al termine della sessio-
ne vengono eseguite le procedure inverse: il telescopio si
sposta in posizione di parcheggio, vengono disattivati i
link con le camere CCD, con il focheggiatore e con il si-
stema di puntamento FS2, vengono spenti gli alimenta-
tori. Infine viene chiuso il tetto scorrevole
dellosservatorio.
Fig. 2: Il telescopio da 50 cm di apertura f/4.5, si pu
notare la camera FLI Proline ed il focheggiatore FLI
PDF montati al fuoco Newton; in parallelo installato
il telescopio rifrattore con camera SBIG ST7.
Come detto sopra, skydaemon lancia masacas, appli-
cativo sviluppato in VB. Esso il software deputato alla
effettiva realizzazione del programma osservativo: itera
le diverse fasi che vanno dal puntamento del telescopio
(secondo un programma predefinito) alla realizzazione
della ripresa digitale e al salvataggio del file in formato
FIT, attraverso lesecuzione dellastrometria e la conse-
guente sincronizzazione del telescopio sul punto della
volta celeste effettivamente inquadrato.
La lista dei campi da fotografare, nellambito della ses-
sione osservativa automatica, viene fornita al software
masacas sotto forma di un file di testo chiamato
target.txt. Ogni record consiste di campi con i valori dei
parametri necessari alla realizzazione della ripresa: le
coordinate equatoriali del soggetto, il tempo di esposi-
zione, la precisione da assicurare nel puntamento del
telescopio, leventuale filtro da adoperare ed il numero
di copie da effettuare. Un ulteriore campo permette di
realizzare particolari task, prima di effettuare la ripre-
sa digitale stessa. Attualmente quelli implementati sono
i seguenti: modifica del binning, avvio della procedura
di autofocus/defocus, avvio della procedura di autogui-
da, realizzazione di immagini di buio (anzich di luce),
attivazione della procedura per la realizzazione di ripre-
se drift scan per osservazioni di occultazioni asteroidali.
Fig. 3: Il dispositivo IOADR810 e la scheda autoco-
struita hanno permesso l'interfacciamento dei diversi
apparati installati in osservatorio.
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I programmi skydaemon e masacas, durante la fase ope-
rativa, aggiornano continuamente alcuni file, descrittivi
delle varie azioni realizzate. I seguenti file di log (fig.
4) costituiscono un esempio relativo alla sessione osser-
vativa del 24 marzo 2011, dedicata principalmente al
monitoraggio di Supernovae. Skydaemon.log riporta
tutte le fasi di gestione e controllo dellosservatorio, ope-
rate dal software skydaemon: si nota che la sessione
iniziata alle ora 19.15 e si protratta fino allalba (5.35).
Masacas.log mostra, invece, un dettaglio della serie di
riprese digitali di diversi soggetti: le voci relative ai cam-
pi PGC si riferiscono a galassie del catalogo Principal
Galaxy Catalog selezionate per la ricerca di possibili Su-
pernovae; le righe relative alloggetto 1998WL9 sono
invece descrittive dellosservazione del pianetino
1998WL9 (scoperto dallosservatorio di Monte Aglieale
nel lontano 1998). Nella parte superiore si pu anche
notare la sequenza di azioni relative alla procedura di
autofocheggiamento che ha permesso di migliorare il
fuoco, passando da immagini con una larghezza di 1.8
pixel a 1.4 pixel. Nella sessione del 24 marzo 2011 sono
state realizzate 615 differenti riprese digitali a circa lo
stesso numero di campi di galassie e 5 focheggiamenti
automatici.
Lultimo aspetto significativo che caratterizza il sistema
e che lo rende completamente autonomo, il fatto che le
immagini realizzate vengono gestite automaticamente
da un ulteriore software (netdaemon) che si occupa
dellupload su server: netdaemon, tramite una connes-
sione internet ADSL, carica le immagini della sessione
(e quelle di confronto necessarie per la successiva anali-
si) su un server usato come ponte per lo scambio e la
condivisione dei file da parte dei membri del gruppo.
In particolare, in occasione della sessione del 24 marzo,
netdaemon ha trasferito i 615 file immagine, insieme ai
corrispondenti per il confronto, per un totale di 1220 file
FIT da circa 300 KB ciascuno.
Il completamento della gestione remota/automatica
reso possibile dal fatto che netdaemon, oltre ad assicu-
rare lupload automatico dei file, consente il controllo
remoto di tutte le fondamentali procedure: permette
lavvio remoto della sessione, fornendo i parametri
dingresso a skydaemon ed il file dei bersagli a masacas
(target.txt). Permette di scaricare, in tempo reale, i file
immagine, di intervenire sulla lista dei bersagli, di con-
trollare landamento della sessione ed, eventualmente,
di interromperla. Generalmente la sessione procede in
modalit automatica, fino allorario imposto (lalba) o
finch un eventuale segnale di allarme non la interrom-
pa. Ovviamente anche possibile, mediante software di
desktop remoto, intervenire da casa prendendo possesso
dei computer in osservatorio e quindi passando ad una
gestione manuale, sospendendo quella automatica.
Fig. 4: I file skydaemon.log (sinistra) e masacas.log vengono prodotti dalle routine di automazione e descrivo-
no tutte le attivit realizzate dagli applicativi skydaemon e masacas.
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Il sistema stato concepito per la realizzazione di pro-
grammi osservativi automatici dedicati ad attivit di
ricerca/monitoraggio in tutti quei contesti che si basano
sullimaging digitale.
Sono state realizzate, con esito positivo, sessioni finaliz-
zate allosservazione di transiti di pianeti extrasolari e di
occultazioni asteroidali, sessioni per il monitoraggio di
corpi minori del sistema solare (asteroidi, comete) e fe-
nomeni di Supernovae.
Una volta disponibile la ruota portafiltri, diverr possi-
bile programmare osservazioni fotometriche automati-
che.
Lattivit principale condotta presso losservatorio di
Monte Agliale ha riguardato, in questi ultimi anni, pro-
grammi di ricerca di Supernovae.
La realizzazione del sistema automatico sopra descritto
ha richiesto diverso tempo; le prime sessioni sono state
condotte, con una certa affidabilit, dal 2008.
Inizialmente disponevamo di una camera CCD SBIG
ST6 che permetteva di ottenere campi relativamente
piccoli; dal giugno 2009 sono entrate in funzione la ca-
mera Proline ed il focheggiatore PDF.
Per lattivit di ricerca di Supernovae necessario dotar-
si di una lista di potenziali bersagli rappresentati da
campi di galassie nelle quali sia possibile scorgere la
presenza di oggetti appartenenti a tale classe.
Abbiamo operato interrogando il database PGC di
TheSky6 e ottenuto una lista di circa 40000 campi di
galassie soddisfacenti determinati criteri, relativamente
alla magnitudine superficiale, alle dimensioni angolari e
alla posizione sulla volta celeste. Questi dati sono stati
arrangiati in un file (catalog.xls) di un foglio elettronico
e, attraverso semplici operazioni di filtro, possibile
ottenere un sottoinsieme di alcune centinaia di galassie
da fotografare notte per notte. Questo sottoinsieme di
bersagli viene a sua volta organizzato nel file di testo
target.txt che, opportunamente formattato, viene in-
terpretato da masacas nella conduzione della sessione
osservativa automatica. Il file catalogo.xls (fig. 5) viene
aggiornato con i dati relativi ad ogni sessione aggiun-
gendo, per ogni campo di galassie catalogato e fotogra-
fato, informazioni sulla data e sulla directory contenente
i file immagine. Per noi costituisce anche una sorta di
indice, indispensabile per il reperimento di un qualun-
que file immagine archiviato.

Fig. 5: il file catalogo.xls rappresenta il database della lista dei bersagli per lattivit di ricerca di Supernovae e per-
mette la realizzazione di diverse importanti procedure quali lassemblaggio del file target.txt mediante operazioni di
filtro, la ricerca di file immagine nellarchivio, la ricerca di eventuali prediscovery, calcoli statistici sulle osservazioni,
ecc.
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Chi si occupa di ricerca di Supernovae sa che, anche per un
semplice controllo visuale, indispensabile disporre di im-
magini di confronto. Spesso queste sono rappresentate da
riprese digitali realizzate agli stessi oggetti ma in momenti
precedenti.
Noi abbiamo optato per una scelta diversa, soprattutto per-
ch nella prima fase tali confronti erano del tutto assenti.
Abbiamo sviluppato una routine, attiva nei computer
dellosservatorio in contemporanea con lo svolgimento del-
la sessione automatica, che si occupa di reperire le imma-
gini di confronto: lapplicativo (ancora scritto in VB) si col-
lega al sito Digitized Sky Survey e provvede
allinterrogazione del database, scaricando unimmagine di
confronto, appartenente alla survey DSS 2 red, per ogni
immagine realizzata nella contemporanea sessione osser-
vativa. Sfruttando i parametri noti dalla soluzione astrome-
trica, il programma scarica unimmagine perfettamente
sovrapponibile (fig. 6) a quella realizzata dal nostro tele-
scopio (in termini di centro del campo inquadrato,
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dei membri del gruppo.

RISULTATI
Una versione ridotta del pacchetto di routine sviluppato
per losservatorio di Monte Agliale stata esportata su si-
stemi privati. Il primo risultato significativo cos arrivato
con la scoperta della SN 2007ru il 27/11/2007, effettuata
con un telescopio SC da 30 cm di apertura che operava dai
sobborghi di Lucca e che veniva pilotato dai software di
automazione, allora in fase di debug. Nel 2008 sono arri-
vate le prime scoperte effettuate da Monte Agliale grazie al
sistema automatico descritto. Nel giugno 2009 la vecchia
camera CCD ST6 stata sostituita dalla nuova arrivata FLI
Proline (con relativo focheggiatore PDF) che ha dato altri
frutti. La tabella seguente riporta una sintesi dei risultati
pi significativi. Una considerazione particolare va dedica-
ta alloggetto classificato PSN J12052970+4646315: si
tratta di una possibile Supernova da noi scoperta la notte
del 15 gennaio 2011. Dal 2011 il CBAT, lente professionale
che si occupa della raccolta, validazione e diffusione di
Fig.6: Limmagine a sinistra ritrae la galassia PGC19790, ripresa in una sessione osservativa automatica e con un
tempo di esposizione di 20 secondi. Limmagine a destra, relativa alla Survey POSS2 red, stata scaricata automati-
camente dal sito del Digitized Sky Survey. La perfetta sovrapponibilit permette la realizzazione di operazioni di
blink, senza alcun passaggio intermedio. visibile la Supernova classificata 2009mj , scoperta dallosservatorio di
Monte Agliale.
estensione del campo e rotazione del campo). Limmagine
di confronto generalmente pi profonda della nostra,
priva di difetti e quindi perfettamente adeguata a rappre-
sentare un valido termine di paragone per la ricerca di Su-
pernovae nelle nostre immagini. Al termine della sessione
osservativa, netdaemon carica sul server ponte i due insie-
mi di immagini: quello costituito dalle riprese digitali effet-
tuate dal nostro telescopio e quello costituito dalle corri-
spondenti immagini di confronto scaricate dal sito del Di-
gitized Sky Survey. Il download dei file per la successi-
va analisi viene realizzato comodamente da casa da parte
notizie inerenti fenomeni astronomici transienti quali
lesplosione di Supernovae, ha modificato la procedura per
lattribuzione del codice identificativo a nuove Supernoava-
e: le segnalazioni vengono caricate, dagli autori della possi-
bile scoperta, sulla pagina delle Transient Objects Confir-
mation Page. Una volta confermata la natura del fenome-
no attraverso l'analisi spettroscopica, il CBAT procede
allassegnazione del codice identificativo e alla pubblicazio-
ne del documento ufficiale (CBET/IAUC). Quello che
accaduto che per numerosi oggetti apparsi su TOCP non
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sono disponibili spettri di conferma. E tra questi vi pro-
prio loggetto da noi segnalato! Sebbene sia stato osservato e
confermato in momenti diversi da pi osservatri, non
stato analizzato adeguatamente e ormai letteralmente
svanito.
Numerosi sono i progetti di ricerca (professionali e amato-
riali) impegnati nel monitoraggio di fenomeni di Supernova-
e; se il ritmo delle scoperte dovesse superare quello con cui
possibile, per la comunit astronomica, procedere allanalisi
e alla caratterizzazione spettroscopica delle stesse, il rischio
di vedere dimenticate un crescente numero di PSN potreb-
be diventare sempre pi attuale.
La lista degli oggetti in attesa di conferma sul sito TOCP
gi molto lunga e comprende, insieme alla nostra PSN
J12052970+4646315, numerose altre segnalazioni afferenti
a progetti professionali (ad esempio il Catalina Real-time
Transient Survey e il Lick Observatory Supernova
Search) e a noti astrofili (quali Boles e Puckett). Motivo di
ulteriore rammarico rappresentato dal fatto che almeno
sei Supernovae sono state fotografate nelle nostre sessioni
osservative automatiche ma non sono state viste in tempo:
in certi casi, data la mole di immagini disponibili, lanalisi
stata condotta frettolosamente e ci ha impedito di scorgere
alcuni oggetti (peraltro molto deboli) la cui scoperta sarebbe
stata attribuita al nostro gruppo. In altri casi le condizioni
meteorologiche hanno impedito di tornare a osservare un
sospetto individuato; loggetto stato confermato essere
proprio una Supernova, ma la segnalazione stata fornita
correttamente da parte di altri gruppi. Da giugno 2009 ad
oggi (fine marzo 2011) abbiamo realizzato circa 33400 ripre-
se di campi di galassie. Considerando le Supernovae scoper-
te e le prediscovery di questo lasso di tempo, estrapoliamo
un tasso di scoperta pari a circa 1 Supernova ogni 3300 im-
magini, in media.
Fabrizio Ciabattari, laureato in Fisica nel 1995, discutendo una tesi di fisica dello
stato solido, da tempo appassionato di astronomia. Ha avuto unesperienza lavorativa
presso una multinazionale di microelettronica e attualmente insegnante di Matemati-
ca nelle scuola media superiore; da anni si occupa di ricerca di Supernovae
allOsservatorio Astronomico di Monte Agliale, in localit Cune, nel Comune di Borgo a
Mozzano (Lucca). Ha allattivo numerose scoperte. Il sito dellOsservatorio
: www.oama.it , mail_ info@oama.it
Ovviamente linformazione puramente statistica e si pos-
sono verificare oscillazioni significative rispetto al dato
medio. Spesso ci siamo imbattuti in Supernovae scoperte
pochi giorni prima; un leggero anticipo nellosservazione
di quel campo avrebbe fatto aumentare il precedente para-
metro. Riteniamo comunque che il valore medio sopra
riportato sia indicativo della necessit di giungere ad un
coordinamento di alcune postazioni impegnate in questa
attivit. Con una strumentazione equivalente a quella ope-
rante presso losservatorio di Monte Agliale, in una sessio-
ne invernale opportunamente pianificata, si riescono a
realizzare oltre 750 puntamenti e altrettanti scatti fotogra-
fici, superando la magnitudine 19 (senza luso di filtri).
Basterebbero cinque strumenti automatizzati, operanti
in maniera coordinata, per realizzare oltre 3500 immagini
di campi distinti, in una sola notte!
Un altro delicato aspetto fortemente correlato con quanto
detto sopra, rappresentato dalla successiva fase di con-
trollo delle immagini. Viste le numerose prediscovery di
cui sopra, possiamo assicurare che lattenta analisi visuale
di centinaia di immagini, nello spazio di una giornata, non
per nulla banale; leventuale controllo di migliaia di im-
magini, nello stesso periodo di tempo, richiederebbe la
costituzione di una schiera di collaboratori ben affiatati e
coordinati. A questo problema abbiamo cercato di dare
unaltra risposta con la realizzazione di un software che
analizzi automaticamente le immagini, effettuando una
prima scrematura delle stesse. Alcune Supernovae, tra
cui lultima della tabella precedente, sono state individuate
proprio con questa modalit: il programma ha evidenziato
un segnale che, nel successivo controllo, si confermato
essere proprio una Supernova. In questo periodo, oltre
alla consueta attivit osservativa, stiamo procedendo nello
sviluppo di questa routine che si spera possa costituire un
valido supporto nella fase di analisi, consentendoci di pro-
cessare efficacemente volumi di immagini sempre maggio-
ri.
Visto il perdurare della fase di sperimentazione e di debug
di tale progetto, preferiamo non entrare, in questa sede,
nei dettagli che lo caratterizzano, rimandando piuttosto ad
alcuni link sul sito del nostro osservatorio (www.oama.it)
o ad un prossimo intervento su queste stesse pagine.
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Lottica di Keplero
Quattro secoli fa Keplero pubblic la sua rivoluzionaria Dioptrice
Francesco Ongaro
Quando nella primavera del 1610 Giovanni Keplero
(1571-1630) incontr lamico Matthus Wacker von
Wackenfels (1550-1619), dal quale ebbe notizia delle
scoperte galileiane presentate nel Sidereus Nuncius, la
sua prima preoccupazione fu che i quattro corpi celesti
osservati dal pisano non fossero nuovi pianeti

(nota 1).
In seguito allimprovvisa morte di Tycho Brahe (1546-
1601) egli era infatti divenuto matematico imperiale
alla corte di Rodolfo II (1552-1612) e, dopo anni di du-
ro lavoro, aveva da poco dato alle stampe lAstronomia
Nova. Nellopera, monumento dellastronomia moder-
na, che molto deve alle minuziose misure di Marte col-
lezionate dallastronomo danese, Keplero aveva demo-
lito lultimo grande dogma del pensiero antico, quello
secondo il quale tutti i corpi celesti, nella loro eterna
perfezione e incorruttibilit, si muovessero seguendo
delle circonferenze o con moti che risultassero da com-
binazioni di queste.
Nel proprio intimo per, bench fosse un copernicano
convinto e uno scienziato pronto a ricredersi di fronte
allevidenza delle osservazioni, aveva sempre rigettato
lidea che luniverso potesse essere infinito e si era con-
servato fedele alla costruzione rigorosamente geome-
trica e compatta del cosmo enunciata nel suo primo
lavoro, il Mysterium Cosmographicum, nella quale il
numero dei pianeti non poteva essere superiore a sei
perch cinque era quello dei solidi platonici che era
possibile collocare con una certa proporzionalit tra
unorbita e quella successiva.
Una interpretazione geometrica del cosmo - Keplero
era convinto che la geometria fosse un riflesso della
mente divina - che il matematico tedesco non abban-
doner mai e che si concretizzer nella formula che
stabilisce una corrispondenza tra i periodi di rivoluzio-
ne dei pianeti e il semiasse maggiore della loro ellisse,
oggi nota come terza legge di Keplero. Fu quindi con
molto sollievo che, ricevuta per mezzo
dellambasciatore toscano a Praga copia del Sidereus,
assieme alla preghiera di esprimere un parere al ri-
guardo, Keplero constat che i corpi celesti studiati da
Galileo non erano pianeti sconosciuti ma nuove lune
orbitanti attorno a Giove. Scoperta che di per s vanifi-
cava uno degli argomenti di natura meccanica che met-
tevano in campo coloro che si opponevano alle novit
della dottrina copernicana: perch mai solo la luna
avrebbe dovuto ruotare attorno alla Terra, quando tutti
i pianeti ruotavano invece attorno al sole?
Nella risposta che Keplero invi sotto forma di lettera,
nota come Dissertatio cum Nuncio Sidereo, solo undici
giorni dopo aver ricevuto il libro, il matematico impe-
riale appoggi con incondizionata fermezza le asserzio-
ni galileiane e le sostenne contro coloro che a priori
giudicavano inverosimile o falso tutto ci che non co-
noscevano.
Il monumento dedicato
a Keplero (la figura a
destra) e a Tycho Bra-
he, collocato nei pressi
del Ginnasio Kepler
di Praga.
F r o n t e s p i z i o
dellAstronomia Nova,
stampata a Praga nel
1609, opera nella quale
Keplero formul le prime
due leggi del moto dei
pianeti.
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Una difesa che giungeva forse inattesa (nota 2), ma che
risult molto preziosa in un momento in cui da tutte le
parti si stavano levando gli scudi contro lopera del pisa-
no. Soprattutto dopo uninfausta serata di osservazioni, a
Bologna, presso labitazione dellastronomo Giovanni An-
tonio Magini (1555-1617), con pochi prescelti, che si era
conclusa con un nulla di fatto, probabilmente a causa del-
la difficolt nelluso del telescopio e dellimperizia degli
osservatori. In particolare uno dei presenti, Martin
Horky, figlio di un pastore boemo, in seguito a
quellinsoddisfacente esperienza diede alle stampe un
libretto, Peregrinatio contra Nuncio Sidereo, nel quale
sosteneva che quanto affermato nel Sidereus era solo
frutto della fantasia malata di Galileo.
Certo, Keplero espresse qualche riserva. Non tanto sui
contenuti, quanto sulla forma. Egli nella Dissertatio si
dimostr infatti critico rispetto allassenza di riferi-
menti nel Sidereus al lavoro di filosofi della natura pre-
cedenti che avevano aperto la via alle nuove scoperte.
Ma soprattutto lament la mancanza di un capitolo che
desse giustificazione dellattendibilit scientifica di uno
strumento come il telescopio, usato fino a quel mo-
mento solo per applicazioni militari e delle cui leggi di
funzionamento ottico non si conosceva quasi nulla.
Lacuna che esponeva lautore agli strali dei suoi avver-
sari.
Molti di quelli infatti si accanivano su aspetti
allapparenza secondari, accusando Galileo di pavoneg-
giarsi nellutilizzo di uno strumento inventato da altri o
facendo leva sullinaffidabilit del medesimo nello stu-
dio dei cieli. Di fatto attribuendo i satelliti gioviani, le
stelle della Via Lattea e le increspature della superficie
lunare a imperfezioni sul vetro delle lenti o a fantomati-
che bolle di gas che avrebbero ingannato locchio
dellosservatore (nota 3). Nellapproccio alle nuove sco-
perte i due studiosi manifestarono unattitudine diffe-
rente. Mentre litaliano si limit alla descrizione dei
fatti osservati, il tedesco si preoccup fin da subito di
inserire le nuove scoperte allinterno del pensiero scien-
tifico dellepoca per poter poi organizzare i fatti in un
unico systema mundi.
Pare quasi che a Galileo importasse pi distinguersi
dalla sua epoca e dai suoi predecessori che non con-
frontarsi con laltrui pensiero, quasi che la sua opera
segnasse linizio di qualcosa di completamente diverso
che non poteva avere termini di paragone. In questa
chiave di lettura la Dissertatio pu essere considerata il
primo passo di avvicinamento da parte di Keplero
Frontespizio della Dis-
sertatio cum Nuncio
Sidereo, pubblicata da
Keplero a Praga nel
1610, nella quale com-
menta le scoperte tele-
scopiche galileiane
alle novit introdotte nellastronomia dallutilizzo del
nuovo strumento, cammino che si concluder poi con la
pubblicazione della Dioptrice.
Comunque sia, la risposta del pisano, nonostante il ma-
tematico imperiale fosse stato uno dei suoi pi strenui
difensori, giunse a Praga solo a met dellagosto di
quellanno. E soltanto dopo che Keplero gli aveva invia-
to una seconda lettera lamentandosi, lui che era stato il
solo a credere alle affermazioni contenute nel Sidereus
senza averne avuto alcuna prova, di non aver potuto
ancora far uso di un cannocchiale per poter osservare a
propria volta la meraviglia dei satelliti medicei.
Nella lettera di risposta, non accompagnata tra laltro
dallo strumento di cui Keplero aveva fatto di nuovo e-
splicita richiesta, Galileo ringraziava il matematico im-
periale del suo sostegno e si rammaricava di non poter-
gli mandare quanto richiedeva, avendo egli appena fat-
to dono di un identico strumento al Granduca di Tosca-
na. Gli prometteva per che presto ne avrebbe costruito
uno appositamente per lui. Una risposta scarna, diplo-
matica, che non sembrava voler incoraggiare future
collaborazioni. Tra laltro, in maniera molto poco ele-
gante, Galileo faceva riferimento al compenso ricevuto
dal Granduca e alla sua nomina a Phylosophus et Ma-
thematicus del Granducato (nota 4).
Pare quasi che Galileo nutrisse una sorta di diffidenza
istintiva nei confronti di un uomo dal pensiero a tratti
misticheggiante che, pur condividendo la fede coperni-
cana, non percepiva affine al proprio spirito. Nella let-
tera infatti non fece alcuna menzione delle sue pi re-
centi osservazioni di Venere e di Saturno, gli anelli del
quale aveva scambiato per due nuovi satelliti.
Keplero riusc soltanto alla fine dellestate del 1610 a
puntare per la prima volta verso il cielo un telescopio
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con gli ingrandimenti appropriati, grazie alla benevo-
lenza dellElettore Ernst di Colonia, duca di Baviera,
recatosi a Praga per le divergenze insorte tra Rodolfo II
e il fratello Mattia che avrebbero presto precipitato
lEuropa nel baratro della Guerra dei Trentanni, il
quale aveva avuto in dono lo strumento proprio da Ga-
lileo. Il risultato di quelle osservazioni, condotte alla
presenza di testimoni, ciascuno dei quali, indipenden-
temente dagli altri, aveva segnato sopra una lavagnetta
quanto aveva visto, diede piena conferma alle novit
del Sidereus e prese forma testuale in una relazione
intitolata Narratio de Jovis Satellibus che arriv a Fi-
renze prima della fine dellanno e contribu a rafforzare
la reputazione di Galileo.
Keplero si sent pronto a quel punto per colmare quella
che considerava la maggiore lacuna del testo galileiano.
Nei mesi immediatamente successivi alle sue osserva-
zioni con il cannocchiale del duca di Baviera scrisse
infatti la Dioptrice. Un lavoro intenso che lo occup per
parecchie settimane e che per una serie di contrattempi
vide le stampe solo nella primavera del 1611.
Lopera si poteva suddividere in due parti. Una prefa-
zione, nella quale erano anche accluse le lettere nelle
quali Galileo rendeva conto delle sue recenti scoperte
su Venere e Saturno (nota 5), e una successione di 141
teoremi distinti in definizioni, assiomi - teoremi che
non avevano bisogno di dimostrazione -, problemi -
teoremi che venivano dimostrati - e preposizioni - cio
teoremi che erano conseguenze di assiomi e definizioni
(nota 6). Un impianto severo, senza fronzoli, scientifico
nel senso moderno del termine, nel quale non era
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La Dioptrice lopera
di Keplero che rivolu-
zion lottica; vi tro-
viamo la prima spie-
gazione corretta del
cannocchiale galileia-
no e il primo schema
ottico del cannocchia-
le kepleriano.
concesso spazio a digressioni metafisiche e non si anda-
va in cerca di significati che andassero oltre i fenomeni
visibili. N pi n meno di ci di cui cera bisogno in
unepoca in cui le lenti, capaci di deformare le immagi-
ni del mondo, a volte anche in maniera grottesca, erano
trattate con estrema diffidenza da parte della comunit
scientifica, la quale era propensa a considerarle pi di-
spositivi magici (nota 7) che non strumenti utili per
indagare la natura. La consapevolezza rispetto al senso
e al significato del proprio lavoro emergeva da parte di
Keplero fin dalle prime righe della prefazione, subito
dopo la dedica iniziale a Ernst di Colonia, nelle quali
affermava di presentare al lettore un libro matematico,
difficile da capire, che richiedeva un certo ingegno e
uno smodato desiderio di comprendere la causa delle
cose (nota 8). Egli sapeva che solo un testo rigoroso dal
punto di vista matematico poteva giustificare lutilizzo
delle lenti nel telescopio e avvalorare le scoperte gali-
leiane. Dopo il Mysterium e lAstronomia Nova egli
proseguiva dunque nella costruzione di unastronomia
fondata sulla geometria e sul copernicanesimo, dando il
via alla nuova scienza dei fenomeni di rifrazione,
lunica che potesse individuare le cause di funziona-
mento del cannocchiale.
Anche le lettere di Galileo inserite nella prefazione in
fondo avevano lo scopo di giustificare questa imposta-
zione. Laccurata descrizione delle fasi di Venere (nota
9), della natura tenebrosa dei pianeti (nota 10) e dei
satelliti di Saturno (nota 11) erano osservazioni che da
sole non bastavano, sembrava voler dire Keplero, per-
ch per poter essere credibili avevano necessit di un
sostegno teorico. Sostegno che lui era pronto a fornire a
coloro che avessero intelletto pronto e voglia di faticare
sui teoremi.
Era come se il pensiero di Galileo fosse rivolto a tutti,
in maniera indistinta (nota 12), mentre quello di Keple-
ro fosse indirizzato soltanto verso quel ristretto gruppo
di persone che avevano la possibilit di comprendere
un linguaggio per iniziati (nota 13) Due modi antitetici
di concepire il sapere e la gestione del medesimo che
mettevano in evidenza una volta di pi quella differenza
di personalit esistente tra i due che avrebbe precluso
ogni futura collaborazione. La seconda parte della
Dioptrice, quella pi importante, incominciava subito
entrando nel merito della questione, senza inutili orpel-
li filosofici che Keplero aveva relegato nella prefazione.
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Gi nella prima pagina compariva un disegno con la
descrizione di un apparato (nota 14) e di un esperimen-
to che permetteva di calcolare, per mezzo di semplici
formule trigonometriche, la rifrazione di un raggio di
luce che cambiava mezzo, dallaria al vetro e viceversa.
Quindi Keplero proseguiva stabilendo che cosa intende-
va per angolo di incidenza e di rifrazione ed enunciava
le leggi che descrivevano i fenomeni (nota 15), arrivan-
do anche a scoprire langolo di riflessione totale, cio
langolo di incidenza oltre il quale non vi era pi rifra-
zione ma solo riflessione.
Poi si dedicava con grande accuratezza allo studio delle
lenti e alle loro immagini, reali e virtuali, analizzando
dal punto di vista geometrico la traiettoria di un raggio
attraverso una lente semplice e poi attraverso sistemi
complessi di due e di tre lenti. Il tutto gli permise di
porre le basi alla fine del testo per un miglioramento
del cannocchiale galileiano, suggerendo lutilizzo di
una coppia di lenti convesse invece che una lente con-
cava e una convessa. In quel modo, bench risultasse
ribaltata, a parit di qualit di lenti limmagine era
molto pi nitida. A tal riguardo passato alla storia il
teorema numero 86, nel quale Keplero mostrava come
attraverso due lenti convesse un oggetto apparisse in-
grandito e invertito. Nel telescopio kepleriano i raggi
rifratti dallobiettivo dirigevano verso punti di conver-
genza che erano posti prima delloculare, sulla superfi-
cie del quale arrivavano quindi divergenti e invertiti
per essere poi di nuovo rifratti verso la pupilla. La dif-
ferenza rispetto allo strumento di Galileo consisteva
quindi nelluso come oculare di una lente convessa in-
vece che di un concava, la quale era invece posta prima
dei punti di convergenza dei raggi rifratti dallobiettivo.
Keplero non realizz mai questo tipo di telescopio che
venne invece costruito per la prima volta solo una deci-
na danni dopo.
Nella prima pagina
della Dioptrice Ke-
plero descrive uno
strumento utile per
determinare empi-
ricamente la rifra-
zione di un raggio
di luce.
Nel Problema 86 (Due lenti convesse garantiscono una migliore visione, ma rovesciano
limmagine) Keplero descrive per la prima volta il funzionamento del cannocchiale
kepleriano.
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INVITO ALLA RICERCA, NELLE BIBLIOTECHE ITA-
LIANE, DELLE COPIE SUPERSTITI DELLA DIOPTRI-
CE

Data limportanza di questopera di Keplero nello svi-
luppo del pensiero umano e nellaffermazione della teo-
ria eliocentrica copernicana, nel quarto centenario della
sua pubblicazione sarebbe interessante condurre un
censimento delle copie tuttora esistenti nelle bibliote-
che italiane - di molte delle quali non si ha notizia per
meglio comprendere, anche dalle note scritte a margi-
ne, la diffusione e linfluenza esercitata al momento
della sua pubblicazione.
La Dioptrice, dopo la prima edizione del 1611, fu ri-
stampata a Londra nel 1653 e nel 1683, insieme al Side-
reus ed allInstitutio astronomica di Pierre Gassendi.
Una domanda interessante riguarda il numero di esem-
plari della Dioptrice che sono stati complessivamente
stampati nel corso del Seicento. Occorre premettere che
in quel secolo non era usuale che leditore rendesse
pubblico il numero delle copie stampate di unopera. Si
pu dire, con una certa attendibilit, che difficilmente il
numero degli esemplari di una tiratura superasse le
mille unit.
Una tiratura media, infatti, si aggirava tra le 400 e le
800 copie. LAstronomia Nova, opera fondamentale di
Keplero, nellunica edizione del 1609, arriv forse a 500
copie. La Dioptrice, nelle sue tre edizioni secentesche,
non ha quasi certamente superato una tiratura com-
plessiva di 1500-2000 copie.
La domanda alla quale vorremmo dare una risposta,
anche solo parziale, : quante copie della Dioptrice so-
no ancora esistenti nelle biblioteche pubbliche e private
in Italia?
Al momento non abbiamo alcuna risposta certa, essen-
do molti i fattori che incidono sulla conservazione delle
opere a stampa, vecchie di alcuni secoli. Della prima
edizione della Dioptrice, credo non ne siano sopravvis-
suti pi di un centinaio di esemplari.

COME PROCEDERE NELLA RICERCA

Il censimento non ha affatto la pretesa di costituire, in
s, uno studio analitico; la sua funzione , pi semplice-
mente, quella di fornire un primo strumento di ricerca
e di orientamento per gli studiosi e gli storici.
Per gli appassionati, gli studenti e gli insegnanti, parte-
cipare a questo progetto pu essere una buona occasio-
ne per accostarsi alla storia dellastronomia, entrare
nelle biblioteche ed assaporare in senso quasi letterale,
il Tempo. Ma non solo, toccare con le proprie mani pa-
gine vecchie di secoli, nelle quali le grandi idee che
stanno alla base della Rivoluzione astronomica scorro-
no ancora pienamente vitali, pu essere unemozione
unica ed assolutamente indescrivibile!
La necessit di recarsi personalmente nelle biblioteche,
in Italia e, quando possibile, in Europa, dettata dal
fatto che la grande maggioranza di esse non ha i propri
cataloghi disponibili sul web.
Ancora molti cataloghi sono sotto forma di schedari o
di volumi manoscritti e la ricerca deve essere paziente-
mente condotta senza dimenticare di chiedere il prezio-
sissimo aiuto dei bibliotecari che possono dare un o-
rientamento alla ricerca. Una volta reperito il volume (o
i volumi) ed averlo richiesto per la consultazione, esso
va trattato con estrema cura. Lo si sfogli delicatamente
pagina per pagina, controllando che non vi siano parti
mancanti e si cerchino eventuali annotazioni mano-
scritte, firme, date, ecc.
Si chieda lautorizzazione, a scopo di studio, alla ripro-
duzione fotografica del frontespizio e delle note pi e-
stese. Foto digitale in formato JPG, leggibili, vanno be-
nissimo!
E importante segnalare alla redazione di ASTRONO-
MIA NOVA, info@eanweb.com, anche lesito di una
visita infruttuosa, in modo da tenere una traccia
dellinsieme delle biblioteche visitate.
Ecco un esempio di note relative alla copia della Diop-
trice conservata nella Biblioteca Comunale
dellArchiginnasio di Bologna:
Linterno del piatto del frontespizio presenta una scritta
latina di difficile interpretazione. La copia segnata
dallumidit. A p. 25 ci sono alcune correzioni al testo
italiano della lettera di Galileo. Aggiunta a p. 27, relativa
a Simon Mario. Alle pagg. 8-9-10 della Dioptrice vera e
propria ci sono delle annotazioni latine. Sottolineature a
p. 15. Nota latina a p. 16 e a p. 20. A p. 29, propositio
LXX, c una nota latina abbastanza lunga. Cancellatura
a p. 35. Importante nota a p. 39, propositio XXCIII (fig.
5), molto lunga quasi certamente da attribuire al conte
bolognese Carlo Antonio Manzini, un appassionato di
ottica e autore di un testo di abbastanza noto, pubblicato
a Bologna nel 1660, dal titolo: Locchiale allocchio. Nota
latina a p. 63.
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Riassumendo, ecco le informazioni che si dovrebbero
raccogliere:

* Nome della biblioteca
* prendere nota della collocazione dellopera;
* Foto del frontespizio e di eventuali annotazioni, date,
ecc.
* accertarsi dellintegrit fisica dellopera; segnalare
eventuali pagine mancanti (scorrendo la numerazione
delle pagine)
* prendere le esatte dimensioni delle pagine del libro
* indicare il periodo, anche approssimato, della rilega-
tura. Se non si ha esperienza, chiedere la collaborazione
di un bibliotecario esperto.
* se indicata la provenienza (proprietario, ecc.) speci-
ficare dove essa appare: Ad esempio, se sul frontespizio,
scrivete: tp, oppure se nellaltra facciata, usare la sigla
convenzionale: c<2>.

NOTE ALLARTICOLO

Nota 1: Lepisodio da lui stesso riferito nellopuscolo
Strena seu de nive sexangula, dedicato allamico con il
quale aveva condiviso numerose conversazioni su molte-
plici argomenti scientifici e filosofici.

Nota 2: Non va dimenticato che Galileo non aveva mai
ottemperato alle richieste di commento dellAstronomia
Nova da parte di Keplero e lultimo contatto epistolare tra
i due risaliva al 1597, quando il toscano, dopo aver ricevu-
to copia del Mysterium, aveva inviato una lettera lodando
il lavoro del tedesco e dichiarandosi a sua volta copernica-
no.

Nota 3: A questo riguardo credo sia utile tener presente
che Galileo non invent il cannocchiale ma ebbe modo di
notarne uno a Venezia probabilmente nel circolo di per-
sone che ruotava attorno a Paolo Sarpi di provenienza
parigina. Egli possedeva per quello che mancava a molti
suoi detrattori: le competenze e le capacit per costruirse-
lo per conto proprio. A conferma di ci, basti ricordare che
lo stesso Keplero, chiese quanto prima uno copia dello
strumento a Galileo perch a Praga nessuno di sua cono-
scenza era in grado di realizzarne uno che producesse gli
ingrandimenti adeguati.

Nota 4: il Granduca di Toscana, il quale [] mi fece
dono [] di pi di mille pezzi doro e ora mi richiama in
patria con un stipendio annuo pari a mille pezzi doro e
con il titolo di Filosofo e Matematico di sua Altezza, e inol-
tre senza alcun altro onere, perch io abbia tutto lagio di
perfezionare i miei scritti di meccanica, sulla costituzione
delluniverso e sul moto locale sia naturale sia violento, di
cui ho dimostrato geometricamente numerose propriet
insospettate e mirabili, Cfr. Bucciantini, p. 191.

Nota 5: Inclusione che venne realizzata allultimo mo-
mento, poco prima della pubblicazione. Le lettere sono
prima presentate in originale e poi tradotte e commentate
in latino da Keplero.

Nota 6: Cfr. Caspar pag.198.

Nota 7: Nella De Magia Naturalis del 1593 il Della Porta
si era peritato di dimostrare in quanti modi si potesse stu-
pire o meravigliare un pubblico mediante luso delle lenti.

Nota 8: Libellum exhibeo, lector amice, mathematicum,
hoc est captu non adeo facilem: et qui non tantum inge-
nium in lectore requirat, sed etiam attentionem mentis
praecipuam, et cupiditatem incredibilem cognoscendi
rerum causa.
Quasi sicuramente il conte bolognese Carlo Antonio
Manzini, appassionato di ottica, a scrivere questa no-
ta a margine, a commento della figura a pag. 39 della
Dioptrice (si tratta della copia, un po rovinata
dallumidit, conservata presso la Biblioteca Comuna-
le dellArchiginnasio di Bologna), nella quale rimanda
a Girolamo Sirtori e ad alcuni passi di un suo libretto
sul cannocchiale, il De Telescopio, 1618 e a Galileo
Galilei .
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Nota 9: Fenomeno tra laltro in accordo con il sistema
tychonico oltre che con quella copernicano.

Nota 10: ho demostratione certa che s come tutti i
Pianeti ricevono il lume dal Sole essendo per se stessi
tenebrosi e opachi, cos le stelle fisse risplendono per
loro natura, non bisognose della illustrazione de i raggi
solari.

Nota 11: Galileo descrive il sistema degli anelli di Sa-
turno essere non una stella sola, ma tre insieme, le
quali quasi si toccano [] Saturno sia una stella lun-
ghetta in forma duna uliva [] ma servendosi di un
Occhiale, che moltiplichi pi di mille volte in superficie,
si vedranno li tre globi distintissimi, et che quasi si toc-
cano, non apparendo tra essi maggior divisione di un
sottil filo oscuro.

Nota 12: Non a caso Galileo present il pi delle volte
come testimoni delle proprie osservazioni illustri per-
sonaggi della societ civile, non appartenenti alla co-
munit scientifica.

Nota 13: Uno dei rimproveri che Keplero rivolse a Ga-
lileo nella lettera del 9 agosto 1910 riguardava laver
fornito le proprie osservazioni scevre da ogni interpre-
tazione a chiunque, anche a chi non aveva strumenti
per comprenderle. Cfr. Bucciantini p. 202.

Nota 14: Il tutto era costituito da due assi di legno, tra
loro perpendicolari, e da un cubo di vetro inserito tra
queste. Lasse verticale proiettava nel corso della gior-
nata la propria ombra che era diversa in lunghezza
allesterno e allinterno del cubo. Dalla misura delle
ombre, con un banale rapporto di cateti si risaliva pri-
ma alle tangenti e poi al calcolo dellampiezza degli an-
goli di incidenza e di rifrazione.

Nota 15: Di problemi connessi alla rifrazione si era gi
occupato anche Tycho Brahe nel tentativo di calcolare
con la massima esattezza possibile la parallasse diurna
di Marte al fine di poter valutare la distanza del pianeta
dalla Terra. Cfr. Ferguson p.141.

Nota 16: Duobus convexis majora et distincta prae-
stare visibilis, sed eversu situ.



Breve bibliografia di riferimento dellarticolo

Bucciantini Massimo, Galileo e Keplero, Einaudi, Tori-
no, 2003.
Caspar Max, Kepler, Dover Publications Inc., NewYork,
1993.
Ferguson Kitty, Luomo dal naso doro, Longanesi, Mi-
lano, 2003.
Galileo Galilei, Opere, Riccardo Ricciardi Editore, Mila-
no, 2006.
Koestler Arthur, I sonnambuli. Storia delle concezioni
delluniverso, Editoriale Jaca Book, Milano, 2002.
Lombardi Anna Maria, Keplero, Codice edizioni, Tori-
no, 2008.
Rottman Gerald, The geometry of light, Published by
Gerald Rottman, Baltimore, 2008.
Verdet Jean-Pierre, Storia dellastronomia, Longanesi,
Milano, 1990.


Francesco Ongaro nato a Brescia nel 1966, vive in Fran-
ciacorta. laureato in fisica, si divide tra la scrittura e
linsegnamento. Ha pubblicato due romanzi storici che sono
stati tradotti in diverse lingue: Luomo che cambi i cieli
(imperniato sulla figura dellastronomo danese Tycho Brahe
e sulla rivoluzione copernicana) e Memorie di un cartografo
veneziano (che ha per protagonista Sebastiano Caboto ed
ambientato nel secolo delle grandi esplorazioni).
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Gli astrofili potrebbero essere curiosi di sapere quan-
do sia nato il termine che li designa, parola oggi as-
solutamente comune nella nostra lingua, adottata fra
laltro in forma ufficiale da molte importanti associa-
zioni amatoriali, in primo luogo dallUAI, lUnione
Astrofili Italiani.
Tradizionalmente, si indica come prima attestazio-
ne il maggio 1900, quando usc il periodico di di-
vulgazione astronomica LAstrofilo. Rivista mensile
illustrata del Cielo, fondato dal capitano Isidoro
Baroni, traduttore italiano de Le stelle di Flamma-
rion. Va precisato che la prima attestazione non
corrisponde quasi mai alla data di nascita di un ter-
mine, ma indica il momento della sua prima docu-
mentazione scritta: nulla vieta che il medesimo ter-
mine circolasse gi prima senza essere scritto, e
quindi senza che sia possibile, a distanza di genera-
zioni, fornirne la prova documentata.
Fino a poco tempo fa, si riteneva appunto che il termine
astrofilo fosse attestato per la prima volta nel 1900 (solo
lo Zingarelli 2011, come le edizioni precedenti, si ostina
nel proporre il 1950, commettendo un vistoso errore che
avrebbe dovuto essere corretto da tempo). Tuttavia anche
la data 1900 deve essere corretta. In un articolo pubbli-
cato nella rivista di studi linguistici Lingua Nostra (vol.
LXVIII, 2007, fasc. 1-2, pp. 46-48) ho retrodatato astrofi-
lo al 1835.
In quellanno fu pubblicato a Milano il trattatello
Dellastronomia popolare di Adolphe Qutelet, sedi-
cesimo volume della Biblioteca scelta di opere fran-
cesi tradotte in lingua italiana. Qutelet (1796-
1874) era un astronomo belga esperto di matematica
e di statistica.
Il libretto milanese del 1835 traduceva loriginale
francese del 1827 Astronomie populaire, uscito pres-
so leditore H. Tarlier di Bruxelles. Una buona retro-
datazione, quindi: dal 1900 al 1835, sessantacinque
anni. Ora, per, anche la retrodatazione del termine
astrofilo da me indicata va leggermente corretta,
perch Rodolfo Calanca ha rintracciato unedizione
precedente dellAstronomia popolare italiana,
La prima volta di Astrofilo
Storia di una parola ipercolta che ora ci familiare
Claudio Marazzini
risalente al 1829, stampata a Roma, non a Milano: A.
Qutelet, Dell'astronomia popolare insegnata in
diciotto lezioni nel volgar nostro recata, ed illustra-
ta con note da L. Ghirelli, Roma, Dalla societ tipo-
grafica, 1829.
Lintroduzione del termine astrofilo, comunque, non
del Qutelet, ma del traduttore italiano Ghirelli,
nella presentazione ai lettori, intitolata, appunto (qui
ricorre la parola che ci interessa), Il traduttore agli
astrofili. Il significato attribuito al termine ana-
logo a quello moderno, perch il traduttore italiano
cos scriveva, rivolgendosi ai lettori astrofili nel
forbito e manierato italiano del tempo (cito dalled.
1835):

niun s ebete di ragione sievi, [...] che di sublime intendi-
mento fornito sdegni libera spaziare sua immaginazione
su le immense regioni del cielo; laonde, resa siffatta ope-
ra alla comune degli uomini, e questa volgendo io in no-
stra volgar favella, avr, lo spero, un che di avvantaggio
recato ai giovani studiosi, ed a coloro non meno che,
privi del suffragio della memoria, caduco lintelletto li
torni, potendo merc questa traduzione la tardit del
loro ingegno coprire; che anzi in guisa potr chiunque
assaporare il bello, il sommo di una tanta dottrina, che
sapiente avr a dirsene [...] ed i pi ignari in cosiffatte
discipline pur giungere potranno di leggieri al possedi-
mento di quelle astronomiche cognizioni almeno, che a
mestieri vengono, affinch impostura non valga ad abu-
sare di loro ignoranza.
Questo L. Ghirelli dovrebbe essere tal Luigi, ignoto
alle fonti bibliografiche (compreso il DBI, Dizionario
Biografico degli Italiani), ma di cui risultano alcuni
scritti di medicina, rintracciabili tramite la consulta-
zione di cataloghi elettronici, opere che riportano
allarea di Roma, dove risultano stampate (cfr.nota
1). Usando lappellativo astrofili, il Ghirelli si rivol-
geva dunque, a scopo divulgativo ed educativo, a un
pubblico inesperto, popolare (quello stesso per il
quale aveva scritto il Qutelet), con lintento di co-
municare ai neofiti le cognizioni fondamentali
dellastronomia.
Va notato che Ghirelli usava la parola senza sentire la
necessit di commentarla o giustificarla, quindi senza
darle il peso di un neologismo.
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Eppure si trattava di una parola colta, di matrice classi-
ca (greco filos, amico di...), composta in una forma
che del resto si ritrova in altri cultismi italiani: si pensi
alla settecentesca Accademia dei Georgofili, o,
nellOttocento, a zoofilo, o, ancora, con diversa disposi-
zione dellelemento componente, al temine filonauta,
oggi estinto, per indicare chi si dilettava della naviga-
zione da diporto ( il titolo di un libro sullargomento
pubblicato dalla casa editrice Hoepli nel 1894). Prima
di assumere il significato astronomico, la designazione
di Astrofilo era stata usata persino come nome acca-
demico arcadico, dal letterato pugliese Emmanuele Mo-
la, che divenne nellArcadia romana Astrofilo Ida-
lio (1793); e del resto Astrofilo esisteva come nome
proprio fin dal Cinquecento (si rintraccia tal Baldassar-
re Astrofilo di S. Angelo in Vado) (cfr. nota 2).
Ovviamente come nome o soprannome accademico il
termine alludeva allamore per gli astri, ma in un senso
letterario e poetico assolutamente estraneo
allosservazione scientifica, che emerge solo dalla tradu-
zione del libro di Qutelet in poi. Si pu dunque osser-
vare che in questo come in altri casi la matrice colta e
ipercolta differenzia litaliano dalle altre lingue, perch
lequivalente francese amateur dastronomie, quello
inglese amateur astronomer, o anche enthusiast for
astronomy. Insomma, lastrofilo italiano si fregia dav-
vero di un nome coltissimo, altisonante e letterario.
C infine un problema legato al significato moderno. Si
veda ad esempio la pagina Web del Circolo Astrofili
Talmassons (Talmassons una localit presso Udine),
che propone un ricco Dizionario on line di termini
astronomici: vi si trova ovviamente anche la voce
La parola astrofilo utilizzata da Luigi Ghirelli nella tra-
duzione dellopera di A. Quetelet, Astronomia Popolare
(Roma 1829), e forse per la prima volta, in un contesto
scientifico.
astrofilo (www.castfvg.it/zzz/ids/astrofilo.html), ma
viene contestata la definizione di astronomo dilettan-
te, comunemente fornita da molti vocabolari recenti,
quali il Gradit, lo Zingarelli, il Dizionario della lingua
italiana Devoto-Oli. Un altro vocabolario, il Sabatini-
Coletti, fin dalled. ed. 2003 definisce lastrofilo, come
Chi si diletta di astronomia, senza usare dilettante.
Questa definizione, che risale al grande linguista Bruno
Migliorini (la si trova nelle sue Parole nuove, Hoepli,
Milano, 1963), lunica che risulta ben accetta alla sen-
sibilit degli astrofili pi fieri, ai quali la parola
dilettante pare offensiva.

NOTE

Nota 1: Luigi Ghirelli compare in alcune pubblicazioni scien-
tifiche della prima met dellOttocento, come si ricava dalle
schede ICCU che qui trascrivo: Sulla lettera del signor Luigi
Ghirelli f. r. intorno al litontritico rimedio per i calcoli ori-
narj riflessioni di Pietro Battaglini tolentinate farmacista in
Roma, Roma, Presso la Societa Tipografica, 1828; Lettera di
Luigi Ghirelli f.r. diretta all'eccellentissimo signore Giacomo
dott. Folchi, Roma, Per la Societ Tipografica, 1828;
A.J.L.Jourdan, Farmacopea universale ossia Prospetto delle
farmacopee di Amsterdam, Anversa, Dublino, Edimburgo...,
prima traduzione italiana dal francese con note ed aggiunte di
Luigi Ghirelli, In Roma, Presso Benigno Scalabrini, 1829; Il
neo-litontrittico memoria di Luigi Ghirelli, Seconda edizione,
Roma, Per Mercuri e Robaglia, 1830. Risulta anche unaltra
traduzione di Luigi Ghirelli, dei Precetti igienici contro il co-
lera morbo, seguiti da una dissertazione diagnostica curati-
va sul colera morbo di L.A. Gosse, del 1831, senza luogo, con-
servata a Torino nella biblioteca dellAccademia delle Scienze.

Nota 2: Lo menziona G. Colucci, Delle antichit picene, tomo
IV, Fermo, Dai torchi dellautore, 1789, p. 283.
Claudio Marazzini, titolare della cattedra di Storia della lingua
italiana nella Facolt di Lettere dell'Universit del Piemonte O-
rientale "A. Avogadro" (sede di Vercelli), nato a Torino il
26.10.1949. autore di numerosi saggi (articoli e volumi) su temi
di storia della lingua italiana, sulla questione della lingua, sulla
storia linguistica regionale, sui rapporti lingua-dialetto, sul lin-
guaggio letterario, sulla cultura popolare, sulla storia della lingui-
stica, e ha pubblicato anche due interventi su temi legati alla sto-
ria dellastronomia, entrambi connessi a Galileo. Dal 18 maggio
2010 Socio corrispondente dellAccademia delle Scienze di Tori-
no per la Classe di Scienze morali, storiche e filologiche.
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18 febbraio 2011: cronaca con immagini di un evento solare eccezionale
Nascono quattro protuberanze solari e ne muoiono due
Giancarlo Battisti
Una mattinata piacevole, per un osservatore del
Sole, quella del 18 febbraio 2010!
Ho infatti assistito alla nascita di 2 protuberanze
solari importanti, che sono scomparse nel giro di
circa cinquanta minuti, contemporaneamente si
sono sviluppate altre due protuberanze, una in
prossimit di una macchia, mentre laltra alla fine
dellosservazione, sul gruppo di macchie al bordo.
Ho ripreso fotograficamente levoluzione del feno-
meno sia in luce didrogeno che in luce bianca; vi
sottopongo una sintesi delle immagini pi signifi-
cative.
In alto: immagine 8169 ore 11:39:34
Inizio ad osservare il Sole e vedo uno strana conforma-
zione che non ho ma mai osservato prima; una forma-
zione emiciclica associata ad una zona pi luminosa di
facole; tale formazione si trova esattamente a nord della
macchia solare pi evidente nellimmagine; analoga-
mente qualcosa di simile stava accadendo anche
nellaltro gruppo di macche solari sul bordo ovest del
disco solare, per la mia attenzione era concentrata
sullevento pi significativo; mi sarei accorto solo suc-
cessivamente di quanto stava avvenendo l.

A destra: Immagine 8184 - ore 12:04:22
La coppia di protuberanze inizia a dissolversi. La prima
quella in alto; la zona da dove sono nate appare pi
chiara rispetto al resto della superficie. Contemporane-
amente si stanno innescando nuovi processi esplosivi
sul gruppo di macchie al bordo; di li a poco nascer una
nuova protuberanza.
In alto: Immagine 8172 ore 11:42:08
La zona di intensa attivit si divisa ed ogni pro-
tuberanza incomincia a muoversi in direzioni di-
verse.
In alto: Immagine 8176 ore 11:48:00
Le protuberanze si dividono sempre pi.
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In alto: Immagine 8187 ore 12.26.56

Alla sinistra della macchia superiore, si sviluppa un
punto luminoso dal quale sembra scaturire una piccola
protuberanza, mentre sul gruppo di macchie al bordo si
vede, molto bene, la nuova protuberanza che si sviluppa
verticalmente.

Tutte le immagini del Sole sono state riprese con un
rifrattore apocromatico ED Scopos - Baader Planeta-
rium da 66mm F=400mm. F/6 filtro Coronado da 40
mm; Canon 300D a ISO 100 ed esposizioni di 1/30s
1/40s.
Giancarlo Battisti nato a Roma nel 1942. Da sempre
appassionato di astronomia, ha conosciuto negli anni nume-
rose realt astronomiche: dalla lunga vicenda della riapertura
del Planetario di Roma, alla costituzione di vari gruppi astro-
fili aziendali nellambito delle societ di telecomunicazioni
dove ha lavorato per anni (Italcable, Telecom Italia), fino alla
costituzione nel 1990 dellassociazione Astris, esperienze
tutte accompagnate da manifestazioni di grande rilievo nella
capitale. Nel 2008 dopo diverse vicende burocratiche, vede
finalmente la realizzazione dellOsservatorio astronomico
Claudio Del Sole a Cervara di Roma (Subiaco) allinterno del
Parco regionale dei Monti Simbruini: il sogno che diventa
realt. Recentemente ha iniziato a coniugare la passione per il
Cielo con lArte, altra sua grande passione maturata sin da
giovane: tale sinergia ha arricchito la sua creativit, portando-
lo a fondare nel 2009 il movimento artistico NeoAstralismo.
E possibile prendere visione del suo recente sviluppo artistico
visitando il sito web: http//www.giancarlobattisti.it

Pubblicazioni:
Atlante grafico delle galassie (coautore insieme ad Azzaro,
Del Sole ed. UAI - 2007)
Dalla Via Lattea al Big Bang (relazione presentata al 42
convegno 2010)
Atlante grafico delle nebulose planetarie( in allestimento)
A spasso tra le galassie (in allestimento)
Il cielo delle galassie (in allestimento)
Associazione Astris Roma
www. astrisroma.org, astris.roma@gmail.com

LAssociazione Astris a.p.s.(associazione di promozione sociale), grazie al suo nuovo statuto, apre le iscrizioni a tutti
gli appassionati e simpatizzanti di astronomia. Per lanno in corso sono pianificate le seguenti attivit:
- Ciclo di Conversazioni Astronomichea cadenza mensile
presso la canonica della Parrocchia di S. Saturnino Sala S.Chiara - via Avigliana, 3 Roma.
- Ciclo di osservazioni astronomiche a cadenza mensile
presso lOsservatorio astronomico sociale Claudio Del Sole,
localit Prataglia, Comune di Cervara di Roma.
Per le date ed orari dei suddetti cicli, siete pregati di consultare il sito internet dellAssociazione.
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Saturno in alta risoluzione
Cristian Fattinnanzi
Presentiamo alcune straordinarie immagini di Saturno
di Cristian Fattinnanzi, notissimo astrofotografo di fa-
ma internazionale, ottenute nel corso di questa opposi-
zione del pianeta.
6 febbraio 2011: E la prima immagine ottenuta da
Cristian in questa opposizione di Saturno. La strumen-
tazione utilizzata: newton 0,36 m, f/5; focale equivalen-
te: 10 m; DBK 21 + IRcut, seeing: 5/10.
8 marzo 2011: Saturno mostra ancora la bellissima
tempesta nell'emisfero nord.
La luminosit del satellite Tethys stata aumentata
separatamente dal resto dell'immagine.
La strumentazione utilizzata: newton 0,36 m, f/5; foca-
le equivalente: 10 m; DBK 21 + IRcut, seeing: 6-7/10
8-9 marzo 2011: Straordinaria elaborazione delle im-
magini di Saturno che Cristian cos commenta:
Sfruttando le immagini in sequenza del mio video,
sono riuscito a calcolare approssimativamente il peri-
odo di rotazione del "sospetto" spokes.
La macchia scura sugli anelli si vede con sufficiente
chiarezza nelle immagini riprese tra le ore 23:50 ut del
2011/03/08 e le ore 00:30 ut del 2011/03/09.
Ho ruotato la prospettiva dell'immagine per poter cal-
colare comodamente l'angolo in cui si vede ruotare la
macchia scura, dopo averla evidenziata.
In questo modo, nei 50 minuti in cui visibile, ho sco-
perto che ha ruotato di 30, per cui risulta che compie
un giro in circa 10 ore.
Non so se questo periodo di rotazione giusto e corri-
sponde alla realt, ma quel dettaglio di sicuro ruota
con questa velocit.
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A S T RONOMI A NOVA
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12 marzo 2011: La tempesta nellemisfero nord di Sa-
turno estesissima! Cristian commenta cos la sua os-
servazione: Anche ieri sera, complice un cielo interes-
sante e la possibilit di fare tardi senza lassillo della
sveglia mattutina, ho continuato a sorvegliare Satur-
no. Per aumentare un po' la forza del segnale ho ridot-
to la focale a 8,4 m (invece dei soliti 10 m), cos ho ot-
tenuto frame pi luminosi, da circa 170 ADU, proba-
bilmente anche pi facilmente allineabili da "IRIS", il
software di C. Buil, www.astrosurf.com/buil/us/iris/
iris.htm , che sotto i 140 ADU fatica un po' a svolgere
in modo affidabile questa operazione. In ogni caso il
risultato buono.
La strumentazione utilizzata: newton 0,36 m, f/5; foca-
le equivalente: 8,4 m; DBK 21 + IRcut, seeing: 6-7/10.
24 marzo 2011: Saturno ed i satelliti Enceladus, Dione,
Tethys. Il commento di Cristian: Questa stata proba-
bilmente la miglior serata in cui ho potuto riprendere
Saturno. Spettacolari le perturbazioni generate dalla
tempesta! .
La strumentazione utilizzata: newton 0,36 m, f/5; focale
equivalente: 8,4 m; DBK 21 + IRcut, seeing: 6-7/10.
29 marzo 2011: Saturno ed il satellite Tethys. Il com-
mento di Cristian: Questa immagine tra le migliori di
questa opposizione.
La strumentazione utilizzata: newton 0,36 m, f/5; focale
equivalente: 8,4 m; DBK 21 + IRcut, seeing: 7/10.
29 marzo 2011: In questaltra immagine del 29 marzo
appare un probabile spokes sugli anelli di Saturno. Il
commento di Cristian: limmagine evidenzia un'altra
formazione scura sull'anello "B" di Saturno. Credo pos-
sa ritenersi un'altra possibile segnalazione di spokes!.
La strumentazione utilizzata: newton 0,36 m, f/5; focale
equivalente: 8,4 m; DBK 21 + IRcut, seeing: 7/10.
I misteriosi spokes che a volte appaiono nellanello B,
non hanno una spiegazione semplice. I nuovi dati dell0
spettrometro a infrarossi della sonda Cassini sembrano
suggerire una loro possibile origine legata alla presenza
di ghiaccio d'acqua. Lesistenza degli spokes fu eviden-
ziata per la prima volta dalla sonda Voyager nel
1980. Non noto il meccanismo che ne produce la for-
mazione e la repentina scomparsa.
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31 marzo 2011: Il commento di Cristian: Ho aumenta-
to nuovamente la focale di ripresa dato che nei giorni
vicini all'opposizione il pianeta al massimo della lumi-
nosit. La strumentazione utilizzata: newton 0,36 m,
f/5; focale equivalente: 9,8 m; DBK 21 + IRcut, seeing:
6/10.
2 aprile 2011: Saturno in unaltra splendida immagine.
Il commento di Cristian: Ancora ben visibile la parte
iniziale della tempesta.
La strumentazione utilizzata: newton 0,36 m, f/5; focale
equivalente: 9,8 m; DBK 21 + IRcut, seeing: 6-7/10.
20 aprile 2011: Una delle ultime immagini di Saturno
realizzate da Cristian.
La strumentazione utilizzata: newton 0,36 m, f/5; focale
equivalente: 9,6 m; DBK 21 + IRcut, seeing: 6/10.
Cristian Fattinnanzi uno dei pi affermati astrofoto-
grafi a livello internazionale. Le sue immagini planetarie
sono pubblicate dalle maggiori riviste astronomiche, non
solo italiane.
PROGETTI EAN
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Non facile scegliere lo strumento adatto alle proprie
esigenze, ne per quanto riguarda chi si occupa di foto-
grafia astronomica, ne chi ha scelta losservazione visu-
ale come veicolo per limmenso cielo.
Dal Dobson (uno strumento che rappresenta una filoso-
fia dellosservazione) pi semplice e spartano, al tele-
scopio semplice almeno per quanto riguarda il pro-
getto ma complesso nello stesso tempo.
Apertura, trasportabilit, manovrabilit e disponibilit
di accessori utili e intelligenti, rappresentano il sale di
una scelta consapevole e mirata.
Il nuovissimo nato di casa RP astro, rappresenta una
scelta ideale per chi, non volendo rinunciare
allapertura generosa, vuole dotarsi di uno strumento
essenzialmente semplice ma al contempo Hi Tech.
Con un diametro di 402 mm e una lunghezza focale di
f/4,5, questo strumento pu essere utilizzato senza una

scala (come avviene nei grandi dobsoniani), al pi uno
scalotto
Diverse sono le innovazioni: una struttura leggera ed
esteticamente accattivante, una trasportabilit davvero
alta (pu essere interamente smontato e caricato su una
piccola utilitaria), possibile computerizzarlo
(computer passivo) scegliendo di montare degli enco-
ders
Nonostante una struttura [apparentemente] fragile, ma
elegante, i tempi di smorzamento sono pi che accetta-
bili, ed essendo totalmente frizionato (in entrambi gli
assi), possibile fruire di movimenti docili, decisamen-
te desiderabili a ingrandimenti sostenuti.
Desidero ringraziare la ditta RP astro, per aver messo
gentilmente a disposizione lesemplare esaminato nel
video.
COMMENTO DI SALVATORE ALBANO AL TELESCOPIO RP ASTRO NGC 16
Il nuovo telescopio dobsoniano ultra portatile da 16" della
RP ASTRO pu essere considerato il pi compatto e leggero
al mondo.
SALVATORE ALBANO astrofilo dallet di 14 anni, unendo la
passione per losservazione visuale del cielo profondo a quella per la
divulgazione. Presto in libreria il suo nuovo libro di astronomia os-
servativa.
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Comune di Concordia
sulla Secchia



4 CONVEGNO EAN
L'ASTRONOMI A I N I TALI A NEL 150ANNI VERSARI O
DELL'UNI TA' NAZI ONALE. PROBLEMI E PROSPETTI VE
Concordia sulla Secchia (Modena), 27-28-29 maggio 2011
Un evento di cultura astronomica in collaborazione con CPL Concordia e con il
patrocinio del Comune di Concordia sulla Secchia (MO) e dellINAF, Istituto Na-
zionale di Astrofisica.
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4 CONVEGNO EAN

L'ASTRONOMI A I N I TALI A NEL 150ANNI VERSARI O DELL'UNI TA' NAZI ONALE.
PROBLEMI E PROSPETTI VE

27-28-29 maggio 2011 - Teatro del Popolo di Concordia sulla Secchia (MO)
In diretta sul web: www.eanweb.com; www.cpl.it

EAN European Astrosky Network, www.eanweb.com, in collaborazione con il Comune di
Concordia sulla Secchia e di CPL Concordia, organizza un Congresso astronomico allo scopo di
celebrare il 150 dell'Unit Nazionale.
Il tema : "L'ASTRONOMI A I N I TALI A NEL 150 ANNI VERSARI O DELL'UNI TA' NAZI ONA-
LE. PROBLEMI E PROSPETTI VE".

PREMESSA

Nessun Ente od organizzazione astronomica nazionale ha finora espressamente dedicato un proprio
convegno o congresso, al 150 anniversario dellUnit dItalia.
EAN ritiene che, invece, sia assolutamente opportuno commemorare questo fondamentale evento della
nostra storia nazionale anche nellambito di una manifestazione culturale incentrata sulla scienza astro-
nomica.
Daltra parte, noto come Giuseppe Mazzini, uno dei padri della Patria, insegnasse con passione
lastronomia, nella sua Scuola Italiana gratuita per i bambini poveri fondata nel suo primo "esilio" lon-
dinese e, nell'ottica della formazione di nuovi cittadini liberi, proponesse la materia come essenziale
nell'educazione dei giovani.


Bozza programma Convegno

27 maggio: serata inaugurale, presso il Teatro Comunale di Concordia S/S, intitolata TERRE DEL
CI ELO, nel corso della quale si osserver, e si mander in diretta sul web, l'osservazione del transito di
un pianeta extrasolare. Tale osservazione sar commentata sia da astronomi sia da alcuni ospiti presti-
giosi della cultura e delle arti In sintesi, i momenti cruciali della serata:

In apertura di serata, cerimonia dell'attribuzione del nome di un asteroide che sar ufficialmente deno-
minato "UNITA'DITALIA", un secondo, dedicato ad uno dei padri fondatori della Patria, Giuseppe
Mazzini, che avr la denominazione ufficiale GIUSEPPEMAZZINI ed un terzo a Goffredo Mameli
(denominazione: 8569 MAMELI), autore dei versi dellinno nazionale.
Diretta web del transito del pianeta extrasolare TrES-4b da un paio di Osservatori astronomici INAF,
con il commento, in Teatro, di astronomi e degli ospiti.

L'osservazione del transito del pianeta extrasolare TrES-4b, rientrer nelle manifestazioni astronomiche
promosse per celebrare il 150 dell'Unit Nazionale. Si inviteranno gli Osservatori astronomici profes-
sionali, scolastici ed amatoriali dEuropa, ad osservare questo transito, dedicandola al nostro Paese.

Assegnazione del Premio Marsden 2011.


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28-29 maggio: 4 Convegno EAN: "L'ASTRONOMI A I N I TALI A NEL 150 DELL'UNI TA', PROBLEMI
E PROSPETTI VE".

I temi in discussione sono:
- L'astronomia in Italia dal 1861 ad oggi
- Il futuro della ricerca scientifica ed astronomica
- Problematiche nella comunicazione della scienza
- Didattica e divulgazione dell'astronomia
- Astronomi e astrofili a confronto
- Aspetti economico-commerciali dellastronomia

OSPITI E RELATORI (elenco provvisorio soggetto a modifiche)
- Prof. Cesare Barbieri, ordinario di astronomia allUniversit di Padova
- Prof. Corrado Bartolini, associato di astronomia allUniversit di Bologna.
- Prof. Giovanni Bignami, ordinario di astronomia e astrofisica presso lo IUSS di Pavia. E stato presidente
dellAgenzia Spaziale Italiana.
- Dott. Lorenzo Brandi, astronomo, ha collaborato con il Planetario di Firenze ed stato tutor presso il labo-
ratorio di Didattica Ambientale a villa Demidoff, Firenze.
- Nico Cappelluti e' INAF postdoctoral fellow all'osservatorio astronomico
di Bologna. E uno dei vincitori del Premio Marsden 2011
- Dott. Mario Di Martino, astronomo presso lOsservatorio Astronomico INAF di Torino.
- Dott. Mario Di Sora, Presidente dellUnione Astrofili Italiani
- Dott. Mauro Dolci, ricercatore presso lOsservatorio Astronomico INAF di Teramo
- Dario Fo, regista, drammaturgo, attore e scenografo, vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel
1997.
- Jacopo Fo, scrittore, attore, fumettista e regista.
- Prof. Flavio Fusi Pecci, direttore dellOsservatorio Astronomico INAF di Bologna.
- Prof. Vittorio Goretti, astrometrista, uno dei vincitori del Premio Marsden 2011
- Dott. Umberto Guidoni, astronauta, fisico e uomo politico. Ha partecipato a due missioni NASA a bordo
dello Space Shuttle.
- Dott. Corrado Lamberti, ha diretto per ventanni la pi importante rivista di divulgazione astronomica ita-
liana, LAstronomia.
- Prof.ssa Anna Maria Lombardi, docente di fisica
- Dott. Salvo Massaro, si occupa dello sviluppo di software astronomico
- Prof. Massimo Mazzoni, ricercatore dellUniversit di Firenze, presso il Dipartimento di Astronomia e
Scienza dello Spazio
- Prof.ssa Angela Misiano, docente di fisica, responsabile della didattica della Societ Astronomica Italiana
- Dott. Alberto Ombres, titolare della ditta commerciale Caelum
- Dott. Francesco Poppi, Head of Communication and Outreach Office presso INAF-Osservatorio Astrono-
mico di Bologna
- Franca Rame, attrice teatrale e drammaturga.
- Dott. Francesco Rea, Responsabile dell'Ufficio Relazioni con il Pubblico e la Stampa dell'INAF.
La sismologia di Giove
Mauro Dolci

SUPPLEMENTO AL N. 1, maggio 2011
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S u p p l e me n t o A S T RONOMI A NOVA
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La sismologia di Giove
Mauro Dolci
dolci@oa-teramo.inaf.it
Abstract: La sismologia gioviana ha una letteratura sorprendentemente carente che annovera, accanto a
numerose previsioni teoriche, solo cinque osservazioni da terra.
In questo lavoro si riassume lo stato della ricerca, mostrando in particolare le potenzialit che essa offre per
indagare la struttura interna di Giove e, con essa, acquisire informazioni sulle protostelle e sulla formazione
dei sistemi planetari.
Viene presentato e descritto in dettaglio il problema delle fluttuazioni dellalbedo di Giove, che contaminano
gli spettri di potenza dei segnali sismici. Si propongono infine idee-guida per un progetto osservativo basato
sul supporto di telescopi amatoriali.

Scientific literature in the field of Jovian Seismology is surprisingly poor. Besides much theoretical work,
only five ground-based observations have been performed so far. This paper summarizes the current state of
the research. The diagnostic potential of seismological studies to investigate the interior of Jupiter (and,
more generally, information about protostars and planetary systems) is addressed. The problem of albedo
fluctuations and their effect on the seismic power spectra is described. Basic ideas for a new project for
ground-based observations supported by a small telescopes network are presented.
1 Introduzione. Il pianeta Giove

La sismologia del pianeta Giove un campo della mo-
derna astrofisica che si sviluppato negli ultimi
trentanni. Solo in tempi recenti, infatti, il crescente svi-
luppo delle tecnologie osservative ha permesso di rivela-
re segnali astronomici di ampiezza sempre pi piccola,
come quelli legati alle deboli oscillazioni globali risonan-
ti di questo pianeta gigante. Nel contempo ci spiega
perch la sismologia di Giove non si sia sviluppata pa-
rallelamente alla sismologia stellare, che invece una
disciplina senz'altro pi affermata e diffusa: nel caso
stellare, infatti, malgrado il ridotto flusso luminoso pro-
veniente dagli oggetti osservati, i segnali sismici tipici
hanno ampiezza notevolmente maggiore, e quindi rive-
labile con minor difficolt.
Giove si pone a met strada tra il caso del Sole e quello
delle stelle: esso infatti un oggetto tipicamente stellare
rispetto al Sole, ma molto brillante rispetto alla quasi
totalit delle altre stelle e si presenta come un ideale
banco di prova per estendere al caso stellare le tecniche
sismologiche solari. Le osservazioni possono inoltre es-
sere condotte con dettaglio di immagine: questo fatto,
non realizzabile nel caso delle stelle, pone Giove in una
posizione di privilegio. Giove il pi grande dei pianeti
del Sistema Solare. Con un raggio medio di 68975 Km
esso potrebbe contenere 1300 pianeti uguali alla Terra e
la sua massa, pari a 1.901 x 10
27
Kg, supera di 2.5 volte la
massa di tutti gli altri pianeti messi insieme. La densit
media di questo gigante pari a 1340 Kg m
-3
e
laccelerazione gravitazionale media in superficie si ag-
gira intorno ai 25 m s
-2
. Giove orbita intorno al Sole ad
una distanza media di 5.203 U.A., compiendo una rivo-
luzione completa in circa 11.86 anni: ogni (1+1/11.86)
anni ~13 mesi, quindi, la Terra e Giove vengono a tro-
varsi nella stessa configurazione orbitale (opposizione,
quadratura, ecc.). Nella Tabella 1.1 sono riassunti i dati
di maggior interesse (da Smoluchowski, 1981). Lo studio
di questo sistema richiede anzitutto lassunzione di un
insieme di coordinate ben definite. La latitudine va di-
stinta in planetografica e planetocentrica: la latitudine
planetografica langolo formato con il piano equato-
riale dalla semiretta passante per il punto considerato e
perpendicolare alla superficie del pianeta; la latitudine
planetocentrica, invece, langolo formato con il piano
equatoriale dalla semiretta passante per il punto consi-
derato e per il centro del pianeta. Le due definizioni di
latitudine coinciderebbero se il pianeta fosse esattamen-
te sferico: nel caso di Giove la differenza non trascura-
bile, dato il suo notevole schiacciamento (oblateness f
~0.065) e in pratica si usa la latitudine zenocentrica
nelle effemeridi satellitarie, mentre si usa quella zeno-
grafica per descrivere le caratteristiche superficiali del
pianeta. La definizione della longitudine, come ben
noto, invece vincolata allesistenza di qualche partico-
lare caratteristica superficiale solidale con la rotazione:
nel caso di Giove ci porta a notevoli problemi giacch
ci che si osserva, in tutte le bande spettrali, solo la
circolazione atmosferica a diverse profondit. In conse-
guenza di tutto ci, nel corso degli anni, si pervenuti
alla definizione di ben tre sistemi di longitudine.

Tabella 1.1 Dati di fondamentale interesse sul pianeta Giove (da Smoluchowski, 1981).
S u p p l e me n t o A S T RONOMI A NOVA
n . 1 , ma g g i o 2 0 1 1 Pagina 2
I cosiddetti System I e System II sono definiti in base ad
osservazioni da Terra del moto E-W di piccole caratteri-
stiche delle nubi gioviane, e ad essi corrispondono pe-
riodi di rotazione, per le regioni equatoriali, di
9
h
50
m
30.003
s
e 9
h
55
m
40.632
s
rispettivamente. Il
System III, invece, stato definito osservando la perio-
dicit di certe variazioni nelle radioemissioni di Giove,
che stata fatta risalire alla rotazione della magnetosfe-
ra gioviana, agganciata a quella del pianeta stesso: ad
esso corrisponde un periodo di rotazione equatoriale di
9
h
55
m
29.710
s
e, poich per tempi medio-piccoli la pre-
cessione dellasse magnetico di Giove rispetto allasse
planetario sicuramente trascurabile, questo sistema
il pi usato nella pratica (Riddle & Warwick, 1976).
Ci che immediatamente colpisce di questi dati la ve-
loce rotazione di Giove intorno al proprio asse, con fre-
quenza v
J
~176 Hz (si pensi, per confronto, ai valori
per Terra e Sole, vT ~11.6 Hz e vS ~2.7 Hz): questo
fatto ha una notevole importanza, come vedremo,
nellambito dellosservazione e dellinterpretazione dei
dati sismologici gioviani.
Linterno gioviano molto probabilmente liquido, come
conseguenza dellenorme quantit di calore generata da
Giove (il quale, come riportato in Tabella 1.1, emette pi
del doppio della radiazione solare ricevuta); cionono-
stante, esso freddo, nel senso che lenergia termica
media per unit di volume circa 20 volte inferiore a
quella gravitazionale (Stevenson & Salpeter, 1981). Que-
sto implica che lequazione di stato interna dovrebbe
descrivere una miscela liquido-gassosa che va da
unatmosfera allo stato ordinario ad un interno allo sta-
to di plasma degenere.
Secondo i modelli attuali, Giove possiede un interno
stratificato (Figura 1.1): il nucleo costituito da mate-
riali rocciosi (Fe, Ni, SiO2, MgO) ad una pressione di
circa 200 Mbar, ed sovrastato da un mantello formato
prevalentemente da ghiacci e da un inviluppo costituito
da una miscela di idrogeno metallico ed elio; proceden-
do verso lesterno, al diminuire della pressione,
lidrogeno passa allo stato molecolare (a circa 3 Mbar) e
successivamente si sale verso le regioni atmosferiche.
La densit (e con essa la velocit del suono, molto im-
portante ai fini sismologici) subisce tre discontinuit,
una alla transizione tra core e mantello, la seconda alla
transizione tra mantello ed inviluppo e la terza in corri-
spondenza della cosiddetta Plasma Phase Transition
(PPT) da idrogeno metallico a molecolare.
Questa configurazione tuttora oggetto di discussione,
giacch non ovviamente possibile osservare diretta-
mente gli strati profondi del pianeta. Ci si basa quindi su
dati osservativi quali massa, raggio, temperatura super-
ficiale, bilancio termico e momenti gravitazionali J2-J6 ,
da porre come vincoli alle equazioni fondamentali dei
vari modelli teorici. Gli ingredienti necessari a ciascun
modello sono la composizione chimica, il regime termo-
dinamico e lequazione di stato: una eccellente discus-
sione di questi aspetti quella del gi citato lavoro di
Stevenson & Salpeter del 1981.
Questo implica che lequazione di stato interna dovreb-
be descrivere una miscela liquido-gassosa che va da
unatmosfera allo stato ordinario ad un interno allo sta-
to di plasma degenere.
Secondo i modelli attuali, Giove possiede un interno
stratificato (Figura 1.1): il nucleo costituito da mate-
riali rocciosi (Fe, Ni, SiO2, MgO) ad una pressione di
circa 200 Mbar, ed sovrastato da un mantello formato
prevalentemente da ghiacci e da un inviluppo costituito
da una miscela di idrogeno metallico ed elio; proceden-
do verso lesterno, al diminuire della pressione,
lidrogeno passa allo stato molecolare (a circa 3 Mbar) e
successivamente si sale verso le regioni atmosferiche.
La densit (e con essa la velocit del suono, molto im-
portante ai fini sismologici) subisce tre discontinuit,
una alla transizione tra core e mantello, la seconda alla
transizione tra mantello ed inviluppo e la terza in corri-
spondenza della cosiddetta Plasma Phase Transition
(PPT) da idrogeno metallico a molecolare.
Questa configurazione tuttora oggetto di discussione,
giacch non ovviamente possibile osservare diretta-
mente gli strati profondi del pianeta. Ci si basa quindi su
dati osservativi quali massa, raggio, temperatura super-
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ficiale, bilancio termico e momenti gravitazionali J2-J6 ,
da porre come vincoli alle equazioni fondamentali dei
vari modelli teorici. Gli ingredienti necessari a ciascun
modello sono la composizione chimica, il regime termo-
dinamico e lequazione di stato: una eccellente discus-
sione di questi aspetti quella del gi citato lavoro di
Stevenson & Salpeter del 1981.
La pi critica delle assunzioni riguarda lequazione di
stato, per la quale non ancora disponibile una soddi-
sfacente espressione che permetta di descrivere comple-
tamente linterno di Giove. I modelli utilizzano solita-
mente una serie di equazioni di stato per descrivere se-
paratamente ciascuna delle zone interne caratterizzate
da diverse condizioni (equazione per i gas perfetti, equa-
zione di Van der Waals, equazioni per un plasma di i-
drogeno allo stato degenere), che vengono poi raccorda-
te in modo continuo alle rispettive frontiere. La pi re-
cente delle versioni proposte prevede lesistenza di una
PPT del primo ordine al passaggio da idrogeno moleco-
lare a metallico, e rappresenta lattuale frontiera teorica
in questo campo (Saumon & Chabrier, 1989, 1992a,
1992b).
I modelli sono prevalentemente adiabatici (Hubbard et
al., 1974; Stevenson & Salpeter, 1977; Gudkova et al.,
1988; Hubbard & Marley, 1989; Zharkov & Gudkova,
1991; Chabrier et al., 1992; Saumon et al., 1992) e fon-
dati sullipotesi di un pianeta completamente convettivo
(Hubbard, 1968, 1969; Zharkov & Trubitsyn, 1969); re-
centemente stata ipotizzata lesistenza di una regione
radiativa tra i livelli a temperature 1200 K e 3000 K
(Guillot et al., 1994a) e sono stati proposti modelli con-
vettivo-radiativi (Guillot et al., 1994b).
La principale differenza tra i modelli convettivi e quelli
radiativi nella temperatura interna richiesta per man-
tenere le stesse condizioni esterne osservate: questa
temperatura considerevolmente pi bassa per i model-
Figura 1.1 Struttura interna di Giove a grandi linee. Si nota la discontinui-
t tra core e mantello a circa 10 Mbar, corrispondenti (secondo alcuni model-
li) a una distanza di 0.15 raggi gioviani dal centro, e la PPT da idrogeno me-
tallico a molecolare, a circa 3 Mbar, corrispondenti a una distanza di circa 0.7
raggi gioviani dal centro. La composizione chimica largamente incerta.

Pagina 3
li radiativi (circa il 30 % per Giove e il 15 % per Saturno)
e corrispondentemente la PPT si colloca pi in profondi-
t. Questo fatto di fondamentale importanza nelle pre-
visioni teoriche dei pattern di oscillazione dei pianeti
giganti.
Latmosfera gioviana, che convenzionalmente si estende
al di sopra del livello a 1 bar, infine anchessa molto
importante per gli studi sismologici del pianeta, sia dal
punto di vista teorico che da quello osservativo. I costi-
tuenti principali sono idrogeno molecolare (H2), metano
(CH4), ammoniaca (NH3), acido solfidrico (H2S) e fosfi-
na (PH3). Le reazioni termochimiche e fotochimiche
sono molto complesse (Prinn & Owen, 1981) e ad esse
legata lesistenza dei numerosi coloranti osservabili sulla
superficie del pianeta: recentemente la sequenza di im-
patti dei frammenti della Cometa Shoemaker-Levy 9 sul
pianeta gigante ha permesso di acquisire ulteriori dati
su questi costituenti, in particolare quelli dell'atmosfera
interna, portati in superficie dagli eventi esplosivi
Figura 1.2 La struttura termica verticale dellatmosfera
gioviana (da Hunten, 1981). I dati sono prevalentemente otte-
nuti per inversione teorica degli spettri osservati dai dati rile-
vati durante le occultazioni stellari e delle sonde Pioneer e
Voyager. La struttura termica , nelle grandi linee, simile a
quella terrestre, con una inversione termica in tropopausa. Su
Giove, tuttavia, sembra mancare completamente la stratopau-
sa, che sulla Terra si trova a circa 50 k m di altezza; per questo
motivo la si pone convenzionalmente al livello di pressione di 1
mbar.
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Le osservazioni da Terra e le missioni Pioneer, Voyager
e, pi recentemente, la missione Galileo, hanno permes-
so di determinare in modo soddisfacente il profilo verti-
cale di temperatura e pressione in atmosfera: esso mo-
strato nella Figura 1.2, tratta da Hunten, 1981. Nella tro-
posfera, che si estende da 1 bar a 0.1 bar e che conti-
nuamente e rapidamente mescolata dai moti verticali, il
bilancio termico avviene essenzialmente tra il flusso di
calore e i moti verticali; il gradiente termico vicino a
quello adiabatico, pari a circa 1.9 K Km
-1
. La tempera-
tura dunque decresce con laltezza, raggiungendo un
minimo intorno a 110 K al livello di 0.1 bar
(tropopausa).
Al di sopra della tropopausa sono presenti zone di bilan-
cio radiativo tra la radiazione emessa da Giove e quella
ricevuta dal Sole da un lato e il raffreddamento infraros-
so dallaltro: si tratta della stratosfera, che va da 0.1 bar
a 1 mbar e in cui la temperatura risale fino a 150 170 K,
e della mesosfera, che si estende da 1 mbar a 1 mbar e
che sostanzialmente isoterma, anche se con una lieve
dipendenza latitudinale: gi le osservazioni Pioneer rile-
vavano temperature a 10 mbar pi alte a 10 che a 58 di
latitudine e, successivamente, i dati delle sonde Voyager
hanno completato il quadro, mostrato nella Figura 1.3
(Hanel et al., 1979).
La mesopausa, a 1 mbar, segna la transizione alla ter-
mosfera, in cui laumento rapido di temperatura dovu-
to a conduzione verso il basso da parte della sovrastante
ionosfera (fino a 850 K); la stratopausa, invece, che
sulla Terra caratterizzata da un massimo di tempera-
tura a circa 50 Km di altezza, del tutto assente su Gio-
ve e la si pone convenzionalmente al livello di 1 mbar.
Gli strati atmosferici sono agitati da un insieme di venti
zonali, che spirano parallelamente all'equatore con velo-
cit fino a 160 m s
-1
e con direzione variabile (verso Est o
verso Ovest) , apparentemente legata alla struttura a
bande dell'atmosfera visibile del pianeta. Una delle ca-
ratteristiche pi importanti di questi venti, messa in
rilievo nel corso della missione Galileo, la loro perma-
nenza in profondit: la sonda, infatti, nella sua fase di
discensione nell'atmosfera tra gli strati a 0.1 bar e a 24
bar, ha rilevato un aumento delle velocit dei venti con
la profondit fino a 200 m s
-1
.
Questo fatto di notevolissima importanza nello studio
della dinamica atmosferica, della meteorologia gioviana
e, in particolare nella nostra discussione, per una mag-
gior comprensione dei meccanismi di generazione e di
propagazione di onde sismiche nellinterno e negli strati
atomsferici pi alti di Giove.
Nonostante quanto esposto fin qui possa far sembrare
che la struttura del pianeta Giove sia ben nota, ci vero
solo nelle grandi linee: come si visto, lequazione di
stato dei costituenti interni ancora in gran parte da
comprendere (soprattutto perch da comprendere il
comportamento della materia a quelle pressioni e densi-
t), cos come non si conosce affatto nel dettaglio la
composizione chimica dei vari strati (supposta di tipo
solare).
I dati sismologici possono senzaltro costituire una po-
tente sonda dellinterno planetario, permettendo di risa-
lire ai profili verticali di velocit del suono e densit e di
rilevare in modo non ambiguo le eventuali anomalie
interne (come le discontinuit).
Figura 1.3 - Il profilo verticale di temperatura e pressio-
ne nell'atmosfera gioviana misurato dalla sonda Voyager 1
(da Hanel et al., 1979). Si noti la dipendenza latitudinale
delle curve, con particolare riferimento alla North Equato-
rial Belt a +10 e alla South Equatorial Belt a -15.
Nella figura riportato anche il profilo misurato in corri-
spondenza della Grande Macchia Rossa, che mostra una
dipendenza specifica anche dalla dinamica e dalla compo-
sizione chimica.
Dal canto suo, la conoscenza dellinterno di questo pia-
neta importante non solo dal punto di vista planetolo-
gico (Giove il maggior rappresentante dei pianeti gi-
ganti, quindi le sue caratteristiche sono indicative della
struttura e della formazione del Sistema Solare in gene-
re): essa importante almeno per altri tre aspetti.
Dal punto di vista stellare, Giove pu essere considerato
una nana bruna, quindi conoscere in dettaglio la sua
struttura significa conoscere la struttura stellare in una
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regione del diagramma di Herzsprung-Russel diversa
dalla sequenza principale, ove si trova il Sole; inoltre
Giove spesso considerato una stella mancata, quindi
pu darci informazioni importanti sui fenomeni che in-
teressano le stelle nascenti.
Conoscere in dettaglio la struttura interna di Giove si
rivela inoltre di cruciale importanza per investigare al-
cuni aspetti, tuttora sconosciuti, dei meccanismi di for-
mazione del Sistema Solare. Questo campo di ricerca ha
assunto una importanza fondamentale nellAstrofisica
negli ultimi quindici anni, da quando cio la scoperta di
un numero progressivamente crescente di pianeti extra-
solari, la maggior parte dei quali finora aventi confi-
gurazioni inusuali (Hot Jupiters), ha aperto il dibattito
sui meccanismi di formazione e stabilizzazione di un
sistema planetario intorno ad una stella.
Giove importante anche per inferire notizie sul com-
portamento della materia in condizioni termodinami-
che estreme: il gigante gassoso infatti un laboratorio
nel quale si realizzano condizioni di temperatura, pres-
sione e densit che non si riscontrano nelle stelle (ove la
temperatura molto pi elevata). A titolo di esempio
possono essere citati gli studi sulla trasformazione da
orto-idrogeno a para-idrogeno nellinterno gioviano
(Conrath & Gierasch, 1984). Ma anche nel campo della
Fisica Nucleare infine possibile trovare motivi di inte-
ressamento ai fenomeni gioviani, come la possibilit di
studiare i dettagli della cosiddetta fusione fredda, che
avviene naturalmente date le condizioni di pressione e
densit - allinterno del pianeta (Gajda & Rafelski, 1991,
1992; Chulick et al., 1992), ma dal cui studio dettagliato
potrebbero nascere applicazioni interessanti ed inaspet-
tate.

2 I fondamenti della sismologia stellare
Descrivere in modo esauriente la teoria delle oscillazioni
stellari un compito che va al di l degli scopi di questo
lavoro. Per chi fosse interessato allargomento si riman-
da quindi allottimo libro di Unno et al., 1979.
Qui si richiameranno in poche righe i concetti di base.
Le oscillazioni stellari sono descritte matematicamente
da una serie di equazioni che descrivono il modo in cui,
durante levoluzione del fenomeno, si conservano la
massa, il momento e lenergia. Le grandezze coinvolte
sono necessariamente mediate sui periodi della turbo-
lenza del plasma stellare, evitando cos che la trattazione
matematica del problema diventi impraticabile. Sono
inoltre fatte alcune importanti ipotesi, la pi importante
delle quali quella di simmetria sferica. Di particolare
rilievo lapprossimazione che consiste nel trascurare
almeno inizialmente - la rotazione ed il campo magneti-
co, che implicherebbero necessariamente una trattazio-
ne magnetofluidodinamica di estrema complessit.
Linfluenza di questa grandezze, del resto, appare deci-
samente importante per la propagazione e la manifesta-
zione delle oscillazioni stellari: per tale motivo la rota-
zione ed il campo magnetico, inzialmente trascurati per
rendere agevole la soluzione del problema, vengono suc-
cessivamente riconsiderate seguendo lapproccio della
teoria delle perturbazioni. Si assume cio che la loro
influenza, seppur importante, sia minore di quella degli
altri fenomeni fin qui considerati (idrodinamicit, tra-
sporto convettivo, etc.): questo permette di giungere a
nuove soluzioni matematiche, che si discostano solo lie-
vemente (al massimo entro il secondordine) da quelle
esatte e che quindi permettono di descrivere in modo
pi che soddisfacente, nella sua globalit, il fenomeno
fisico considerato.
Le oscillazioni stellari descritte dal modello appaiono
come delle funzioni donda, ovvero espressioni che de-
scrivono landamento dellampiezza delloscillazione in
funzione delle coordinate spaziali (forma globale del
fronte donda) e del tempo (propagazione del fronte
donda).
Figura 2.1 Esempi di onde di pressione
(modi p) e onde di gravit (modi g) tratti
dallesperienza quotidiana. A sinistra, la
chiara struttura di un treno di onde p nel
quale, ad ongi zona di compressione
dellumidit atmosferica, corrisponde una
nube, alternata ad una zona chiara corri-
spondente alla rarefazione dellumidit at-
mosferica. A destra, le onde g in propagazio-
ne sulla superficie di discontinuit aria/
acqua a seguito della perturbazione della
stessa causata dalla caduta di una goccia
dacqua.
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Esistono in verit numerosi tipi di onde in grado di pro-
pagarsi allinterno di una struttura fluida: i cosiddetti
modi p sono onde acustiche che si propagano in un mez-
zo grazie ad una successione regolare di fasi di compres-
sione e rarefazione del mezzo stesso, mentre i cosiddetti
modi g sono onde di gravit (non onde gravitazionali!)
che si propagano allinterfaccia tra due mezzi di densit
molto diversa. Esempi di onde p ed onde g sono forniti,
nella nostra esperienza quotidiana, rispettivamente dal-
la formazione di treni di nuvolette che si osservano tal-
volta nel cielo e dalle onde sulla superficie di uno spec-
chio dacqua (Figura 2.1). Altri tipi di onde sono i cosid-
detti modi f e le oscillazioni libere, ma qui ci limiteremo
solo ai modi p e ai modi g, il cui potere diagnostico per
linvestigazione della struttura interna delle stelle chia-
ro se si considera da un lato la possibilit dei modi p di
propagarsi allinterno dellintera struttura e, dallaltro,
la caratteristica dei modi g di generarsi e propagarsi
laddove esistono discontinuit interne come le PPT gio-
viane. Sfortunatamente i modi g sono caratterizzati da
ampiezze estremamente ridotte rispetto ai modi p, e la
loro rivelazione estremamente ardua, anche nei casi
stellare e solare.
Per i modi p, la forma delle funzioni donda soluzioni
delle equazioni che descrivono il modello sono diretta-
mente legate alle cosiddette funzioni associate di Legen-
dre, dette anche armoniche sferiche superficiali:

Y(u,) = P

m
(cosu)e
im


con l intero positivo ed m=-l, -l+1,..., l-1, l.
In particolare, la variazione della pressione p e lo spo-
stamento x per un modo p sono descritti dalle seguenti
espressioni:
p(t,r,u,) = p(r)Y

m
(u,)e
-i
ot

= [
r
(r),
h
(r) c/cu,
h
(r)(1/sinu)c/c] Y

m
(u,)e
-i
ot


Nella Figura 2.2 sono riportati i pattern di oscillazione
tipici per alcuni valori dei gradi superficiali (,m). In ge-
nere essi presentano linee nodali (ossia con sposta-
mento nullo), delle quali |m| lungo i paralleli ed -|m|
lungo i meridiani; i modi con m=0 hanno solo meridiani
e sono detti settoriali; quelli con |m|= hanno solo i pa-
ralleli e sono detti zonali; gli altri sono genericamente
denominati modi tesserali.
Nel caso statico considerato, le autofrequenze o
n,
dipen-
dono solo dal grado e dal cosiddetto ordine radiale n
(associato alle funzioni radiali di cui si parler tra poco)
e sono pertanto degeneri in m.
Affrontare in dettaglio questa trattazione va al di l degli
scopi di questo lavoro; si possono per descrivere in mo-
do semplice alcune caratteristiche qualitative delle auto-
frequenze. Per fare questo, si parte dalla cosiddetta rela-
zione di dispersione

kr
2
= (o
2
-L

2
)( o
2
-N
2
)/ o
2
c
2


in cui kr il numero donda radiale, s la frequenza, c la
velocit del suono ed Ll ed N sono due frequenze criti-
che, dette rispettivamente frequenza acustica critica (o
di Lamb) e frequenza di Brnt-Visl. Questa relazio-
ne mostra che queste due frequenze sono di importanza
fondamentale per la propagazione di unonda allinterno
di una massa gassosa: se infatti s
2
minore di Ll
2
e N
2
(o
maggiore di ambedue), kr reale e londa si propaga ra-
dialmente; se invece s
2
compreso tra i valori di Ll
2
e N
2
,
kr immaginario e lampiezza dellonda si smorzer e-
sponenzialmente (onda evanescente).
Londa presenta dunque un comportamento particolare
nella zona in cui kr =0, situazione che si presenta in due
distinti casi. Nel primo caso, kr
2
passa da valori positivi
a negativi, ovvero kr passa da valori reali a immaginari:
si generano dunque due onde, una delle quali viene ri-
flessa allindietro e laltra si smorza esponenzialmente.
Figura 2.2 Pattern di oscillazione non-
radiale tipici di alcuni modi normali con di-
verso grado , m. Si notino le linee nodali, a
oscillazione stazionaria nulla. In longitudine
ne esistono sempre 2m, mentre in latitudine
se ne generano -m. Per i modi settoriali
(=m) non esistono dunque linee nodali lungo
i paralleli, ed il pattern di oscillazione ha una
dipendenza esclusivamente longitudinale.
Questo fatto rende questi modi particolar-
mente sensibili alla configurazione orbitale
durante la quale effettuata losservazione
(tramite langolo di fase al terminatore).

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Nel secondo caso, kr a passare da valori positivi a ne-
gativi, mantenendosi reale: ci vuol dire che londa
stata gradualmente rifratta fino ad invertire la propria
direzione di propagazione. Nel complesso si innesca un
meccanismo di intrappolamento dei modi nella zona di
propagazione, illustrato schematicamente nella Figura
2.3.
Non tratteremo oltre questa parte, che molto interes-
sante ma altrettanto complessa. Ci baster qui pervenire
subito ad una espressione per le frequenze tipiche di
oscillazione (Brown & Gilliland, 1994) data da

e
n,
= e
0
(n+/2+c)-f(n,)

in cui c una costante, f(n,) una funzione dipendente
solo dai gradi dell'armonica e e
0
la frequenza fondamen-
tale, legata in modo semplice al tempo di attraversa-
mento della stella da parte di unonda sonora,

e
0
= t (}
0
R
dr/c)
-1


evidente come la conoscenza di e
0
permetta di inferire
importanti informazioni sulle caratteristiche interne
della stella. Pi in generale, si utilizzano diverse proprie-
t generali delineate dalle equazioni del modello per
inferire la struttura interna delloggetto osservato:
questo, in sintesi, lo scopo della sismologia stellare e
planetaria.
Figura 2.3 - Intrappolamento di onde globali risonanti nel
Sole. Le onde sono riflesse indietro in prossimit della su-
perficie e rifratte gradualmente verso lo interno, fino ad
invertire la direzione di propagazione. Quanto pi basso il
grado , tanto pi in profondit si colloca il punto di inver-
sione.
Dal punto di vista osservativo, per rilevare le oscillazioni
stellari necessario acquisire serie temporali di dati,
generalmente di intensit o di velocit, che possibilmen-
te siano ininterrotte ed abbiano la massima lunghezza
possibile. Questi due requisiti sono essenziali ai fini del-
la successiva analisi armonica che porta alla costruzione
degli spettri di potenza dei segnali osservati: gli spettri
avranno una risoluzione in frequenza tanto maggiore
quanto pi i due requisiti summenzionati sono rispetta-
ti; in particolare lesistenza di una window function,
legata alle interruzioni nelle sequenze osservative, si
traduce nella comparsa di side-lobes in corrispondenza
di ciascun picco nello spettro, riducendo sensibilmente
la risoluzione spettrale.
Nel caso stellare i dati sono acquisiti necessariamente a
disco integrato: quindi si ha un solo spettro di potenza,
come quello mostrato in Figura 2.4 nel caso del Sole. In
esso le eventuali autofrequenze, almeno in limitati inter-
valli di frequenza, sono equispaziate con spaziatura e0 ;
questa correlazione tra i picchi dello spettro pu essere
messa in evidenza mediante i cosiddetti diagrammi a
echelle. In essi lintervallo di frequenza 0 s e s eMAX
suddiviso in una serie di segmenti contigui,
e = joe + e
con j intero e 0 s e s oe , e la distribuzione unidimen-
sionale di potenza convertita in una distribuzio-
ne bidimensionale descritta dai parametri j (o joe
Figura 2.4 - Spettro di potenza delle oscillazioni sola-
ri. In ascissa sono riportate le frequenze (in mHz), in
ordinata la potenza (per unit di frequenza) delle varie
componenti monocromatiche. Il picco di massima po-
tenza si colloca vicino a 3 mHz. Per tale motivo i modi
p solari sono anche noti come oscillazioni a 5 minuti.
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uniformit dimensionale) e e. In questo caso, utilizzan-
do unespressione ricorsiva del tipo v=ke0 (con k intero)
e considerando i limiti imposti a e, si arriva facilmente
ai seguenti limiti su k:


Quindi tra le ordinate joe e (j+1)oe si posizioner (se
esiste) il picco di potenza corrispondente allintero
k= int[(j+1)oe/e0]; lascissa corrispondente si ricava
risostituendo questo valore di k nellespressione per le
frequenze ed ottenendo


nella quale e evidentemente dipende da j, a meno che o
e/e0 non sia intero: in questultimo caso, infatti, (j+1)o
e/e0 coincide con la sua parte intera ed i due termini
contenenti j a secondo membro si elidono. In conclusio-
ne, i picchi di oscillazione (e non quelli di rumore) si
allineeranno nel diagramma a echelle, con pendenza
dipendente da oe/e0 (allineamento verticale se oe =e0):
chiaro quindi come dai diagrammi a echelle si possa
arrivare alla determinazione di e0. Nella realt
lallineamento nel diagramma a echelle avviene solo lo-
calmente: si avranno invece, globalmente, delle curve
pi o meno pronunciate, come in Figura 2.5, le cui ca-
ratteristiche tuttavia possono ugualmente essere ricon-
dotte a parametri fisici fondamentali.
Nel caso del Sole e dei pianeti in linea di principio pos-
sibile osservare con dettaglio di immagine. In tal caso in
ogni immagine si pu isolare il contributo dovuto a cia-
scuna armonica sferica (mediante unoperazione di ma-
scheramento) e calcolarne il relativo spettro di potenza.
I bassi flussi luminosi utilizzati, dovuti allutilizzo di
bande spettrali estremamente strette, unitamente ai
0 0
) 1 (
e
oe
e
oe
+ < s j k j
oe e
e
oe
e j j
(

+ = '
0
0
) 1 ( int
Figura 2.5 - Diagramma a echelle di oscillazioni so-
lari: per la spiegazione si rimanda al testo. La teoria
permette in genere di identificare le tracce dei modi di
diverso grado .
tempi di esposizione ridotti (per poter adeguatamente
campionare le oscillazioni stesse) hanno tuttavia reso,
fino ad ora, questa tecnica impraticabile per i pianeti.

A conclusione di questo importante paragrafo va neces-
sariamente discusso leffetto della rotazione sulle fre-
quenze di oscillazione, finora trascurato. La trattazione
estremamente complessa, ma si pu ricavare, almeno
nel caso della rotazione rigida, una importante correzio-
ne al primo ordine per le frequenze di oscillazione.
In questo caso, infatti, lintero modello pu essere trat-
tato riscrivendo le equazioni fondamentali in un sistema
di riferimento ruotante con velocit angolare di rotazio-
ne. Si giunge quindi ancora a soluzioni oscillatorie del
tipo

r e
i(m

-
o
t)


purch alla frequenza on,
si sostituisca la frequenza on,
,m = on,
- mO . Quindi le frequenze di modi corrispon-
denti a valori eguali ed opposti di m, che nel caso statico
degeneravano in ununica frequenza associata al grado
, subiscono ora uno splitting rotazionale di entit 2m
O (quindi proporzionale al grado azimuthale m). Nel
caso di rotazione differenziale, che poi quella che ri-
guarda praticamente tutti i casi reali, il calcolo assai
pi complesso (Hansen et al., 1977) e non pu essere
trattato in questa sede.


3 La sismologia del pianeta Giove
Lesistenza di oscillazioni libere all'interno dei pianeti
giganti stata considerata per la prima volta da Voron-
tsov et al. (1976) che hanno calcolato periodi compresi
fra 5 minuti e 2 ore e mezza circa e che hanno in seguito
considerato anche gli effetti della rotazione (Vorontsov
et al., 1981). Questi primi studi non considerano tuttavia
nel dettaglio la struttura interna di Giove ed inoltre si
riferiscono ad oscillazioni sferoidali a basso ordine ra-
diale n (>>n). Per questo motivo, la nascita della si-
smologia gioviana va fatta risalire solo alla met degli
anni 80, quando con il lavoro di Bercovici & Schubert
(1987) vengono per la prima volta considerate le oscilla-
zioni a n medio-alto (<<n), intrappolate al di sotto del-
la troposfera gioviana. Sono queste le onde che si mani-
festano anche in superficie e che quindi sono effettiva-
mente osservabili: esse hanno periodi compresi fra 4 e
20 minuti (frequenze tra 0.8 e 4 mHz), con il picco di
potenza intorno a 10 minuti (frequenza pari a 1.67
mHz ) e con una frequenza e0 = 152 - 155 Hz (Mosser
et al., 1988; Mosser, 1990; Lee, 1993, Provost et al.,
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1994; Gudkova & Zarkhov, 1999).
Le velocit tipiche di oscillazione e le corrispondenti
fluttuazioni di intensit sono legate allenergetica dei
meccanismi di eccitazione delle oscillazioni allinterno
di Giove.
Probabilmente il meccanismo pi efficiente
laccoppiamento tra i moti convettivi e le onde acusti-
che che nel Sole sarebbe certamente in grado di fornire
un quantitativo sufficiente di energia alle onde; le fre-
quenze dei moti turbolenti solari, tuttavia, non sono
commensurabili con i 5 minuti delle oscillazioni. In Gio-
ve si verifica probabilmente la situazione opposta: i pe-
riodi dei moti turbolenti si accoppiano efficientemente
con le frequenze acustiche (4.520 minuti), ma la poten-
za per unit di volume fornita ad unonda acustica dal
decadimento di un vortice piuttosto esigua. Essa di-
pende essenzialmente dal numero di Mach M

W = ( u
3
/ )( M
3
+ M
5
)

(con densit del gas, u velocit del vortice e sua lun-
ghezza donda) e su Giove questultimo molto piccolo
(al massimo 0.08 per i jet equatoriali); il trasferimento
di energia perci notevolmente ridotto e per ~ 0.1 Kg
m
-3
, u s 80 m s
-1
, ~ 20 Km, c ~ 1 Km s
-1
, si trova
unampiezza nella velocit verticale delle oscillazioni u0
s 0.5 m s
-1
, di ben tre ordini di grandezza inferiore alle
velocit tipiche di 500 m s
-1
che producono gli shift Dop-
pler osservati sulle righe spettrali del Sole. Le corrispon-
denti fluttuazioni di intensit sono inferiori allo 0.3 % e
corrispondono a fluttuazioni di temperatura effettiva
inferiori 0.033 K (Deming et al., 1989). Il meccanismo
potrebbe invece funzionare su Saturno, dove il numero
di Mach vale circa 1.
Altri meccanismi possono naturalmente essere invocati
per eccitare onde risonanti in Giove. Il primo di essi la
sovrastabilit termica: una particella di fluido che si
comprime adiabaticamente in seguito alle oscillazioni
diviene pi calda e quindi pi opaca: essa pu dunque
assorbire una quantit di energia radiativa sufficiente a
farla espandere pi rapidamente che in un processo pu-
ramente adiabatico. Il meccanismo dovrebbe essere
piuttosto efficiente nel Sole; in Giove esso seriamente
limitato dalla bassa luminosit specifica del pianeta.
Una seconda sorgente di energia pu essere costituita
dal rilascio di calore latente di condensazione da parte
di composti come H2O, NH3, NH4SH. La condensazione
potrebbe essere indotta proprio dal passaggio di
unonda attraverso uno strato suscettibile di tale feno-
meno: la stessa onda, entrando nello strato, acquisireb-
be energia ed ampiezza. Il flusso netto di energia do-
vrebbe per essere nullo, in quanto un rilascio opposto
di calore dovrebbe avvenire per londa in uscita.
Un terzo meccanismo invocato rappresentato da uno
squilibrio nucleare dellidrogeno. Infatti, al di sopra dei
200 K il gas costituito dal 25 % di paraidrogeno (spin
antiparalleli) e dal 75 % di ortoidrogeno (spin paralleli);
in prossimit dello zero assoluto, invece, la composizio-
ne dovrebbe consistere di solo paraidrogeno. La trasfor-
mazione di ortoidrogeno in paraidrogeno potrebbe dun-
que costituire una sorgente di energia. Il problema di
questo scenario che la trasformazione , con ogni pro-
babilit, estremamente lenta: Bercovici & Schubert
(1987) hanno calcolato che unonda acustica impieghe-
rebbe circa 10
6
oscillazioni, ovvero pi di 10 anni, per
raddoppiare la propria ampiezza. Questo tempo va con-
frontato con la vita media dei modi, che dovrebbe valere
al massimo 10
10
s (circa 300 anni !) al di sotto di 1 mHz
e circa 10 giorni intorno a 3 mHz (Mosser, 1995). Se ne
conclude che non si ha un aumento significativo
dellampiezza prima che gli agenti dissipativi atmosferici
attenuino completamente loscillazione. Il problema
della energetica rimane aperto, cos come quello del va-
lore di o, e pu ricevere chiarimenti proprio dallo studio
dei modi.
Il potere diagnostico dei dati sismologici, tuttavia, se da
un lato apre la porta alla soluzione di numerosi proble-
mi, dallaltro rende piuttosto ardua la loro interpretazio-
ne. La struttura interna di Giove, come si visto nel pa-
ragrafo 1, molto complessa e lesistenza di diverse di-
scontinuit nella velocit del suono si manifesta nelle
frequenze di oscillazione.
Le varie discontinuit introducono infatti un brusco
cambiamento nella equispaziatura delle frequenze, inte-
ressando per solo quei modi che penetrano tanto in
profondit da attraversarle: cos il core gioviano influen-
zer i modi ad basso, mentre la discontinuit
mantello/inviluppo e la PPT riguarderanno modi con
fino a un valore massimo via via crescente. Questa influ-
enza si dovrebbe manifestare nei diagrammi a echelle,
come quello calcolato teoricamente da Mosser (Mosser
et al., 1988) e riportato in Figura 3.1. Evidentemente, da
unattenta valutazione di questi effetti, possibile rica-
vare informazioni fondamentali sulle discontinuit in
questione.
stata anche avanzata lipotesi che la troposfera e la
stratosfera gioviane influenzino significativamente i
pattern di oscillazione (Mosser et al., 1994).
In base ai calcoli effettuati, i modi acustici si accoppie-
rebbero infatti con le onde stratosferiche generando una
variazione netta nei pattern oscillatori. Questo fatto
stato preso in esame pi recentemente per legare la for-
mazione di nubi nellalta atmosfera gioviana alleffetto
delle onde che si propagano in essa (VidMachenko,
2002).
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Se confermato, questo effetto farebbe s che i modi p in
propagazione nellatmosfera di Giove inducano variazio-
ni nella figura complessiva delle nubi atmosferiche e di
conseguenza nella distribuzione zenografica dellalbedo
gioviana. Si tratta di un risultato di notevole portata in
quanto, come vedremo, uno dei maggiori problemi
nellosservazione di oscillazioni gioviane rappresentato
proprio dalle fluttuazioni di albedo sulla superficie del
gigante gassoso.
con |m|= i quali percorrono il tratto pi lungo; di con-
seguenza si assiste ad uno spostamento di tutte le fre-
quenze preferibilmente verso lunghi periodi di oscilla-
zione (Vorontsov et al., 1981; Mosser, 1990; Lee, 1993).
Leffetto complessivo della rotazione importante poi-
ch gli splitting rotazionali sono dello stesso ordine, se
non addirittura maggiori, della spaziatura in frequenza
e0. Questo da un lato significa che la validit della trat-
tazione della rotazione come una perturbazione va at-
tentamente valutata, dallaltro implica, fisicamente,
lesistenza di una interazione tra i modi (precisamente,
il modo interagirebbe solo con i modi -2 ed +2
(Vorontsov et al., 1981)) che andrebbe descritta, pertan-
to, con lintroduzione di termini non-lineari nelle equa-
zioni di oscillazione.
In conclusione, ci si aspetta che lo spettro delle oscilla-
zioni di Giove sia straordinariamente complicato e che
linterpretazione di un simile pattern sia tuttaltro che
agevole. chiaro daltro canto che maggiore complessit
implica maggiore potenzialit diagnostica: nel caso di
Giove, cio, i dati osservativi sono senzaltro molto ric-
chi di informazione fisica sul suo interno.

4 Le osservazioni condotte finora e il pro-
blema delle fluttuazioni di albedo

Il gran lavoro teorico svolto a partire dal 1976 e visto nel
precedente capitolo stato finora supportato solo in
minima parte dai dati osservativi. La ragione di ci
probabilmente da ricercare nelle tecniche osservative
ancora sostanzialmente inadeguate allo scopo; una se-
conda spiegazione potrebbe essere la grossa difficolt
che tuttora persiste nel trovare un accordo fra i dati pro-
venienti dai diversi esperimenti e nel riconciliare le os-
servazioni con l'incerta teoria esistente. altres vero
che un tale panorama dovrebbe maggiormente spingere
la curiosit degli scienziati verso una simile sfida tecno-
logico - scientifica. A tale riguardo colpisce il fatto che,
dopo le osservazioni pubblicate nel 2001 dal gruppo
francese dellOsservatorio di Parigi, guidato da Benoit
Mosser, e da quello italiano dellUniversit La Sapien-
za guidato da Alessandro Cacciani, di cui faceva parte
lautore di questo articolo, la letteratura sullargomento
sia sostanzialmente carente.
La comparsa di solo due lavori osservativi nellultimo
decennio (Gaulme et al. 2005; Gaulme et al., 2010), en-
trambi riferiti ad un esperimento spaziale finalizzato
alla ricerca di oscillazioni gioviane con tecniche pura-
mente fotometriche, fa ritenere che la carenza di lettera-
tura sullargomento sia dovuta soprattutto
allinterruzione delle osservazioni con tecniche doppler.
In tal senso il gruppo francese di Mosser ha interrotto le
Figura 3.1 Linfluenza del core di Giove sui diagrammi
a echelle teorici dei modi a basso grado . La brusca di-
scontinuit nelle tracce dovuta al fatto che i modi di
diverso grado penetrano a profondit diverse (da Mosser
et al., 1988).
Un altro effetto che produce effetti drammatici sulle
frequenze di oscillazione la veloce rotazione di Giove
(O / e0 ~ 18 %). Come si gi visto, essa si manifesta
con uno splitting dei modi con m uguale ed opposto,
come calcolato ad esempio da Vorontsov et al. (1976):
on,,m = on,
+ m tn,
O

dove il coefficiente tn,
vale al massimo circa 0.3 (molto
diverso, quindi, da 1). Essa tuttavia si manifesta anche
attraverso lo schiacciamento del pianeta e la conseguen-
te deformazione delle superficie equipotenziali gravita-
zionali.
Questa circostanza rende di fatto impossibile applicare
una semplice formula di shift rotazionale simmetrico, il
quale nel caso considerato invece chiaramente non-
lineare in m e dipende anche dal segno di quest'ultimo;
si assiste inoltre ad uno shift del modo m=0 dal suo va-
lore imperturbato (cosa che non accadrebbe nel caso di
una rotazione rigida). Dal punto di vista fisico, a causa
dell'ellitticit del pianeta, i modi con m=0, che si propa-
gano lungo i meridiani, devono percorrere un tratto mi-
nore dei modi ad m superiori, in particolare dei modi
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osservazioni dedicandosi soprattutto ai dati fotometrici
del satellite COROT e alla progettazione di nuovi esperi-
menti per osservazioni doppler continuative
dallAntartide. Il gruppo di Cacciani si invece, purtrop-
po, sciolto nel 2007 con la scomparsa di questultimo.
Storicamente, le prime osservazioni sismologiche di
Giove sono state effettuate con tecniche infrarosse nel
1987 presso lInfraRed Telescope Facility (IRTF) della
NASA in due distinte campagne osservative: nella pri-
ma, svoltasi dal 4 al 7 Giugno, stato usato un singolo
rivelatore infrarosso ed stata evidenziata lesistenza di
onde atmosferiche (Mumma et al., 1989); nella seconda,
avvenuta dal 4 all8 Novembre, stato usato un array
lineare di 20 rivelatori infrarossi (Deming et al., 1989).
curioso a questo riguardo notare che Michael Mumma
andrebbe considerato il primo in assoluto ad aver fatto
osservazioni sismologiche di Giove; in realt questo pri-
mato va ascritto a Drake Deming, il primo a pubblicare
un articolo specifico su questo argomento.
Le osservazioni di Deming sono state condotte a una
lunghezza donda di circa 10 mm, con una larghezza di
banda relativamente grande, circa 7.8 mm; Giove stato
osservato lungo lequatore e le fluttuazioni dovute alla
trasparenza dellatmosfera terrestre sono state eliminate
mediante un Lock-In, alternando, alla frequenza di 13
Hz, losservazione del disco gioviano con quella di una
regione di cielo distante circa 70 arcsec da esso. Come
risultato delle sue osservazioni, Deming ha posto un
limite superiore di circa 1 m s
-1
sulle ampiezze dei modi,
chiarendo nel contempo la natura delle onde rivelate da
Mumma.
Si tratta di una struttura ondulatoria termica di tipo non
-acustico, praticamente statica ed ancorata alla rotazio-
ne del pianeta. Questa struttura probabilmente gi
presente nei dati delle sonde Voyager (Magalhes et al.,
1991; Pirraglia, 1992) ed gi stata riportata da diversi
autori (Harrington et al., 1996a, 1996b; Magalhes et
al., 1989). Nuove osservazioni con camere infrarosse ad
alta risoluzione ed alta sensibilit effettuate da Deming
in anni pi recenti (Deming et al., 1997) hanno confer-
mato le sue precedenti conclusioni.
Contemporaneamente alle osservazioni di Deming, un
gruppo dellUniversit di Nizza ha eseguito osservazioni
della luce solare riflessa da Giove a disco integrato, uti-
lizzando il telescopio da 152 cm di diametro
dellObservatoire de Haute Provence (OHP), dal 2 al 7
Novembre 1987 (Schmider et al., 1991). La misura sta-
ta effettuata con la tecnica del Filtro Magneto-Ottico: la
luce viene trasmessa solo in due bande molto strette
(circa 50 m) situate sulle ali opposte di ciascuna delle
righe D1 e D2 del doppietto del Sodio (a 5896 e 5890
rispettivamente). Si pu quindi parlare di una misura
Doppler, nel senso che la banda del filtro molto pi
stretta della larghezza tipica della riga e quindi un picco-
lo spostamento o una deformazione nel profilo di riga si
traduce in una variazione di intensit nella luce tra-
smessa (Figura 4.1). Tuttavia, per evitare che questo
segnale si confonda con le effettive variazioni di intensi-
t dello spettro (dovute principalmente alle fluttuazioni
della trasparenza atmosferica) si effettua una normaliz-
zazione acquisendo contemporaneamente il segnale del
continuo spettrale per mezzo di un filtro a larga banda.


Figura 4.1 Principio dellosservazione Doppler. Un
filtro a banda passante molto stretta (larghezza Af)
posizionato sullala di una riga spettrale. In posizione di
riposo (riga centrata alla lunghezza donda 0) il filtro
trasmette una flusso luminoso FTOT. Quando il corpo
emettitore animato da un moto con velocit v, la riga
si sposta per effetto Doppler ad una lunghezza donda
0=0(1-v/c), dove c la velocit della luce. La banda
passante del filtro trasmette un flusso FTOT il quale,
grazie alla ripidezza del profilo della riga, sensibilmen-
te diverso dal flusso FTOT anche quando la nuova lun-
ghezza donda 0 sia solo lievemente diversa dalla lun-
ghezza donda a riposo 0. La tecnica Doppler, cio,
consente di evidenziare come segnale fotometrico rile-
vabile, differenze di velocit molto piccole.



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Con un totale di 17 ore di dati non consecutivi sono state
evidenziate strutture discrete ben definite nello spettro
di potenza (Figura 4.2), riferibili ad oscillazioni globali
gioviane aventi ampiezze comprese tra 4 e 8 m s
-1
. Suc-
cessivamente stata anche tentata la loro identificazio-
ne come modi p di grado =1 ed =2 (Mosser et al.,
1991). Lo stesso risultato stato ottenuto al Canada-
France-Hawaii Telescope (CFH) dal 10 al 13 Gennaio
1990 e dal 3 al 7 Gennaio 1991, osservando un disco di
12 arcsec di diametro sulla superficie di Giove con uno
Spettrometro a Trasformata di Fourier (FTS) (Mosser et
al., 1993). Questo strumento, come quello usato da
Schmider (1991), permette di rivelare piccole variazioni
nei profili delle righe spettrali; nondimeno, le sue note-
voli propriet di multiplexing consentono di osservare
simultaneamente un gran numero di righe (fino a pi di
500) e quindi di far entrare molta pi luce nel rivelatore,
come nelle osservazioni di Deming (1989). La regione
spettrale osservata quella della banda 3v3 del metano,
a circa 1.1 m.
Gli spettri di potenza risultanti hanno la stessa struttura
delineata da Schmider (1991), con limiti simili anche
sulle ampiezze delle velocit di oscillazione, ritoccati
successivamente (nel 1996) sempre da Mosser et al.
(1999) ad un nuovo limite superiore dellampiezza dei
modi pari a 60 cm s
-1
.
Questi risultati, in linea di principio, non sono in contra-
sto. Le diverse tecniche impiegate sono differentemente
sensibili alle diverse modalit di oscillazione e sondano,
inoltre, diverse profondit nellatmosfera gioviana: il
livello a circa 0.5 bar nelle osservazioni di Deming
(1989); quello a circa 1.3 bar in quelle di Mosser (1993);
e quello a circa 3 bar in quelle effettuate da Schmider
(1991). Quindi si potrebbe pensare a qualche processo
fisico per il quale i modi rivelati da Schmider e Mosser
risultino completamente smorzati al livello, pi basso,
studiato da Deming.
Nel 1995, tuttavia, in un articolo apparso sulla rivista
Icarus, stato mostrato che fluttuazioni quasi-
periodiche di albedo, dovute a regioni di diverse dimen-
sioni che attraversano continuamente il disco gioviano,
possono seriamente contaminare gli spettri di potenza
almeno fino a 700 mHz (Lederer et al., 1995); questo
limite superiore era tuttavia riconosciuto dallautrice
come non dotato di reale significato fisico, ma definito
solo dalla massima risoluzione raggiunta nelle immagini
visuali.
pertanto assai probabile che, ripetendo tali osserva-
zioni con una risoluzione molto pi elevata, si scopra
che anche la restante porzione di spettro contaminata
dalle fluttuazioni di albedo.
Sulla base di queste considerazioni, alla fine degli anni
90 il gruppo dellUniversit La Sapienza effettu una
serie di osservazioni basate sul Filtro Magneto-Ottico
(Cacciani et al., 2001). Tale filtro consente di effettuare
una tecnica Doppler a doppia banda passante, con le
due bande (denominate B ed R) posizionate da parti
opposte rispetto alla posizione naturale della riga in esa-
me (figura 4.3).
Grazie alla doppia banda, sono disponibili due distinti
segnali a lunghezze donda diverse (che divengono tre
quando si acquisisca separatamente, anche a banda re-
lativamente larga, un segnale su una porzione dello
spettro continuo adiacente la riga) ed possibile effettu-
are misure differenziali. questa la vera tecnica Dop-
pler normalmente usata in Eliosismologia (segnale B-R
normalizzato a B+R) ed stata estesa al caso stellare per
la prima volta nel 1994, in occasione degli impatti della
cometa Shoemaker-Levy 9 su Giove (Cacciani et al.,
1995a,b,c).
Questo tipo di applicazione seriamente limitata dal
flusso fotonico estremamente ridotto e dalle velocit
orbitali sistematiche che possono spostare le righe di
assorbimento stellari al di fuori della portata delle ban-
de passanti del MOF: osservazioni stellari con tecniche
magneto-ottiche sono state effettivamente tentate nel
passato (Gelly, 1986; Innis et al., 1991, 1994), ma
lanalisi dei dati molto difficile, eccetto che nel caso di
pulsazioni di grossa ampiezza (si veda il buon articolo di
review di Brown & Gilliland, 1994).
per evidente laltissimo potere di reiezione dei segna-
li indesiderati: la tecnica si presta quindi molto bene a
queste condizioni estreme di osservazione. Per di pi
un tale sistema, a differenza di una tecnica spettroscopi-
Figura 4.2 Lo spettro di potenza delle oscillazioni di Gio-
ve ottenuto da Schmider et al. (1991). I picchi di potenza
sono prevalentemente raggruppati nella zona intorno a 0.5
mHz e in quella intorno a 1.6 mHz.
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ca o interferometrica (come quelle adottate dal gruppo
di Mosser), permette di trasmettere direttamente imma-
gini monocromatiche delloggetto osservato: con lo
sviluppo di rivelatori ad alta sensibilit, dunque spera-
bile poter un giorno studiare direttamente, con tale tec-
nica, Dopplergrammi di Giove e Saturno, come si fa at-
tualmente per il Sole.
Losservazione effettuata dal Gruppo dellUniversit La
Sapienza, di cui faceva parte lautore, si svolta al tele-
scopio TNT dellOsservatorio Astronomico di Collurania
nel corso di 3 notti di osservazione, dall 11 al 13 Luglio
1996. Ogni notte consisteva di circa 6 ore di dati. Ogni
secondo si acquisivano, mediante un fotomoltiplicatore
ed un sistema a conteggio di fotoni, i flussi provenienti
alternativamente dalle bande B ed R del filtro utilizzato
(ciascuna avente una larghezza di circa 40 m), insieme
con il flusso del segnale di spettro continuo, acquisito
nelle adiacenze della riga spettrale presa in esame, con
un filtro interferenziale di 30 di larghezza.
Con i tre segnali a disposizione, vennero elaborati due
algoritmi separati: il cosiddetto segnale-differenza D =
(B-R)/(B+R) ed il cosiddetto segnale-somma S = (B+R)/
continuo. Gli spettri di potenza misurati per tali segnali
sono riportati nella figura 4.4.
Un punto cruciale nellinterpretazione di questi risultati
capire quale la sensibilit dei diversi metodi di misu-
ra alle oscillazioni di Giove e alle fluttuazioni di albedo
sulla sua superficie.
Le sensibilit SD ed SS sono naturalmente differenti a
causa delle differenze nelle tecniche impiegate. In realt
esse dipendono anche dal periodo di osservazione tobs (a
causa della velocit orbitale relativa), dal modo di oscil-
lazione (,m) osservato e dalla sua parit (ovvero dalla
parit di +|m| ).
Si trova, molto in generale, che le grandezze SD ed SS
present ano comport ament i compl ement ari
allopposizione e in quadratura: per un dato fenomeno
(oscillazioni o fluttuazioni di albedo), quando una qual-
siasi delle due nulla allopposizione, allora sar massi-
ma verso la quadratura, e viceversa; e quando luna
massima in quadratura, laltra ivi nulla, e viceversa
allopposizione. Per di pi, sia in opposizione che in
quadratura, quando una qualsiasi delle due tecniche
massimamente sensibile alle oscillazioni, allora sar
quasi insensibile alle fluttuazioni di albedo, e viceversa.
Figura 4.3 Le due bande di trasmissione del Filtro Ma-
gneto-Ottico (B, R) e della riga di assorbimento delloggetto
osservato.
Figura 2.13 Gli spettri di potenza di S=(B+R)/continuo (a sinistra, fino a 4 mHz) e D=(B-R)/(B+R) (a destra, fino a
15 mHz) ottenuti dal Gruppo dellUniversit La Sapienza nel 1996. Lo spettro di S mostra alcune caratteristiche simili
agli spettri ottenuti da Schmider et al. (1991) e da Mosser et al. (1993); lo spettro di D non sembra invece mostrare alcuna
caratteristica significativa al di sopra di un livello rms di rumore corrispondente a 1.2 m/s, ad eccezione di due picchi in-
torno a 1.6 mHz (modi gioviani ?) e a 3 mHz (oscillazioni a 5 minuti nella luce solare riflessa da Giove?).
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Precisamente, la tecnica D prevalentemente sensibile
alle oscillazioni allopposizione e alle fluttuazioni di al-
bedo in quadratura; la tecnica S, viceversa, prevalente-
mente sensibile alle fluttuazioni di albedo
allopposizione e alle oscillazioni verso la quadratura.
Applicando queste conclusioni ai dati rilevati, si pu
ragionevolmente affermare che nei dati non erano pre-
senti oscillazioni con un'ampiezza al di sopra del livello
rms di rumore, ovvero circa 1.2 m s
-1
., altrimenti avreb-
bero dovuto essere visibili nello spettro di D. Le fluttua-
zioni di albedo potevano invece essere presenti in questo
spettro, ma non sarebbero state in ogni caso visibili a
causa dell'insensibilit di questa tecnica. Fa eccezione
doverosa una coppia di picchi posizionati intorno a 1.6
mHz e intorno a 3 mHz. Si potrebbe trattare, nel primo
caso, di reali oscillazioni gioviane rilevate dalla misura
e, nel secondo caso, di oscillazioni a 5 minuti nella luce
solare riflessa da Giove. Trattandosi per di picchi isola-
ti e non risolti in una struttura pi o meno complessa,
questa conclusione non ha potuto essere confermata.
Lo spettro di S, dal canto suo, poteva contenere oscilla-
zioni ma non mostrarle poich non era sensibile ad esse
nella configurazione orbitale allepoca della misura; i
gruppi di frequenze che esso conteneva non erano per-
tanto di natura oscillatoria. Per questo motivo il gruppo
a basse frequenze (~500 Hz) viene indicato come evi-
denza delle fluttuazioni di albedo gi discusse da Lede-
rer (1995), cos come anche il gruppo a frequenze supe-
riori (~1.6 mHz), seppur non incluso nell'intervallo pre-
visto da Lederer (s 700 mHz).
In definitiva, i risultati delle (poche) osservazioni sismo-
logiche di Giove apparse finora in letteratura, pur non
essendo in accordo tra loro, non sono necessariamente
in contrasto.
Appare chiaro infatti che di volta in volta stata data
diversa attenzione a due aspetti molto importanti di
questo tipo di misure: la giusta calibrazione dei dati ed
una loro corretta interpretazione in termini di vere o-
scillazioni o di fluttuazioni di albedo gioviana. Una di-
scussione accurata in tal senso stata proposta solo dal
gruppo dellUniversit La Sapienza (Cacciani et al.,
2001), mentre le misure eseguite in precedenza sono
fortemente sospette di una calibrazione sostanzialmente
inesatta.
I risultati presentati da Mosser (1999), ad esempio, po-
trebbero essere riconciliati con quelli ottenuti da Caccia-
ni (2001) se il coefficiente di calibrazione differisse da
quello vero di circa un ordine di grandezza. In tal caso i
4 cm s
-1
mHz
-1
di rumore di fondo diverrebbero 40 cm s
-
1
mHz
-1
e, riportati alla risoluzione spettrale della misura
di Cacciani (3.81 mHz), fornirebbero un livello di rumo-
re nello spettro di potenza compreso tra 1 e 2 m s
-1
, per-
fettamente consistente con il risultato di questultimo.
In ogni caso per confrontare i vari risultati occorre tene-
re conto esattamente della configurazione orbitale Sole-
Giove-Terra allepoca della misura: solo in questo modo,
infatti, si pu non solo calibrare esattamente il dato spe-
rimentale in velocit, ma anche rendersi conto se ci che
si sta osservando (e che si pu osservare) un segnale di
velocit oppure una fluttuazione di albedo.


4 Idee per un monitoraggio da terra con
piccoli telescopi

Le oscillazioni gioviane costituiscono piccole perturba-
zioni dello stato della superficie del gigante gassoso e
sono assai difficili da rilevare con una singola osserva-
zione, qualunque possa essere il tempo di esposizione
utilizzato.
Trattandosi di un fenomeno oscillatorio periodico, assu-
me invece importanza il campionamento dello stesso:
tanto maggiore lintervallo di tempo su cui viene cam-
pionato un dato modo di oscillazione, tanto pi alto sar
il rapporto segnale-rumore con il quale, nello spettro di
potenza, sar visibile il picco alla frequenza corrispon-
dente.
In tal senso, quindi, lintervallo di campionamento assu-
me la stessa importanza che ha il tempo di integrazione
in una singola esposizione. , questa, una caratteristica
dei fenomeni periodici: le caratteristiche di
unoscillazione, pur non visibili nella cosiddetta serie
temporale (time series) dei dati, emergono quando se ne
calcoli lo spettro di potenza (con algoritmi pi o meno
complessi di trasformata di Fourier, come la Fast Fou-
rier Transform o FFT): ci accade perch il fenomeno
periodico, pur di ampiezza non direttamente rilevabile,
tuttavia sempre presente nella serie dei dati in modo
coerente con s stesso, al contrario del rumore, il quale
non ha coerenza interna su nessun intervallo di tempo e
quindi, pur dominando il dato direttamente osservato,
si distribuisce poi su tutto lintervallo di frequenze dimi-
nuendo di conseguenza in intensit.
Che si osservi con dettaglio di immagine o a disco inte-
grato, quindi, la sismologia gioviana comporta
lacquisizione di serie temporali che siano il pi lunghe
possibile e per di pi siano ininterrotte, di modo che lo
spettro di potenza corrispondente non risenta degli in-
tervalli di interruzione i quali, costituiti di fatto da misu-
re nulle, simulano un comportamento del fenomeno
oscillatorio che risulta diverso da quello reale.
Chiaramente sussistono dei vincoli sui tempi di integra-
zione del singolo dato, i quali non possono superare il
tempo massimo di campionamento della serie tempora-
le. Le caratteristiche della serie temporale infatti in-
fluenzano lintervallo di frequenze che possibile esplo-
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rare, che si estende in genere fino ad una frequenza
massima v
max
= 1 / 2t, pari cio a met dellinverso del
tempo di campionamento (teorema di Nyquist), e che ha
una risoluzione in frequenza Av = 1/T, pari cio
allinverso della lunghezza temporale della time series.
Ne consegue che per analizzare in modo sicuro
lintervallo di frequenze previsto per le oscillazioni gio-
viane (0.8 4 mHz) si deve essere in grado di ricavare
lo spettro di potenza fino ad almeno 5 mHz: ci implica
un tempo di campionamento massimo

t = 1 / (2 5 mHz) = 1 / (0.01 s
-1
) = 100 sec

che costituisce, quindi, anche un limite superiore al
tempo di integrazione sul singolo dato. Il tempo di inte-
grazione tipico deve quindi essere dellordine di 1 min,
in modo da campionare adeguatamente il fenomeno con
pi di 2 punti per periodo di oscillazione (questultimo
numero corrisponde infatti al minimo campionamento
di Nyquist, che in genere da evitare).
Un tempo di integrazione di 1 min rappresenta tuttavia
una notevole sfida per osservazioni di Giove a banda
stretta. Considerando la larghezza di ciascuna delle due
bande passanti del Filtro Magneto-Ottico (40 m), la
magnitudine corrispondente di Giove risulta aumentata
di almeno 12 unit rispetto alla magnitudine di Giove
nella banda V di Johnson. In opposizione, quindi, Giove
a disco integrato appare come un oggetto non pi bril-
lante di 10
m
11
m
ed necessaria una buona apertura per
effettuare osservazioni di 1 min di posa con un rapporto
segnale-rumore soddisfacente. Lapertura cresce poi al
limite della tecnologia attuale se si vuole osservare Gio-
ve con dettaglio di immagine, giacch un rapido calcolo
mostra un aumento di altre 11-12 magnitudini nella lu-
minosit superficiale del pianeta per arcosecondo qua-
drato.
Le cose vanno solo leggermente meglio per il campiona-
mento dellalbedo di Giove nella regione spettrale di
interesse (ovvero nelle adiacenze delle righe su cui si
effettua losservazione Doppler). Con un filtro interfe-
renziale da 30 di larghezza, infatti, la luminosit di
Giove a disco integrato diminuisce soltanto di 5 magni-
tudini circa, alle quali va per sommata la diminuzione
di circa 11 magnitudini nelle osservazioni con dettaglio
di immagine a 1 arcsec di risoluzione, che sono inevita-
bili in questo caso. Nel complesso, Giove appare come
una sorgente estesa avente una luminosit superficiale
compresa fra 13 e 14 mag/arcsec
2
. Il dato appare scon-
fortante, ma va considerato che il vincolo del tempo di
campionamento qui non deve essere necessariamente
rispettato: le fluttuazioni di albedo, infatti, influenzano i
dati zenosismologici per una combinazione della veloce
rotazione di Giove e della loro lenta variazione intrinse-
ca (e si parla difatti di disturbi quasi-periodici negli
spettri di oscillazione). dunque possibile, in definitiva,
campionare le fluttuazioni di albedo con tempi di inte-
grazione adeguati: leffetto pieno di queste fluttuazioni
si calcola poi ricostruendo una mappa multi-rotazionale
dellalbedo sulla superficie di Giove, ed andando a ri-
osservare questultima con il tempo di campionamento
desiderato.
Si pu pensare pertanto ad un programma di osserva-
zioni sismologiche di Giove basato su un telescopio di
apertura adeguata che effettua osservazioni Doppler a
disco integrato, supportato da una rete di piccoli tele-
scopi (amatoriali) che effettuano un monitoraggio conti-
nuo e rigoroso dellalbedo gioviana.
I requisiti abbastanza stringenti sulla risoluzione spazia-
le possono essere soddisfatti grazie alle attuali tecniche
di ricostruzione delle immagini, purch naturalmente ne
siano verificate entro una tolleranza da stabilire la
coerenza, la conservazione dei flussi (per non alterare la
fotometria e quindi la distribuzione dellalbedo) e la non
-introduzione di disturbi artificiali o effetti parassiti.
Un tale programma necessiterebbe naturalmente del
reperimento della strumentazione adeguata (filtri a ban-
da strettissima per effettuare osservazioni Doppler al
telescopio principale, e filtri a banda stretta per la rete
di monitoraggio ai piccoli telescopi) e della messa a pun-
to di algoritmi di intercalibrazione delle misure di albe-
do da telescopi diversi e non necessariamente forniti
della stessa strumentazione.
Tuttavia, una volta ovviato a questi fondamentali requi-
siti, esso permetterebbe di sondare, con lausilio di tele-
scopi amatoriali, un campo della moderna astrofisica
ancora poco esplorato ma potenzialmente ricco di im-
portanti implicazioni.




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Mauro Dolci nato a Roma nel 1969. Ha conseguito pri-
ma la laurea in Fisica nel 1995 e poi il Dottorato di Ricerca
in Fisica nel 2000, presso l'Universit "La Sapienza" di Ro-
ma. Dallo stesso anno lavora presso l'INAF-Osservatorio
Astronomico di Collurania Teramo (OACTe), in cui Astro-
nomo Ricercatore di ruolo dall'ottobre 2004. responsabi-
le tecnico per la camera infrarossa SWIRCAM della Stazio-
ne Osservativa di Campo Imperatore e coordinatore del
Progetto AMICA (Antarctic Multiband Infrared CAmera).
Nel 1998 ha partecipato alla XIV Campagna Antartica del
Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA)
presso la Base Italiana di Baia Terra Nova. Ricopre l'incari-
co di Responsabile per le Attivit Didattiche e Divulgative
dell'INAF-OACTe ed membro del Comitato Nazionale per
le Olimpiadi Italiane di Astronomia.

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