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BATTISTA MONDIN

Storia
della
Metafisica
Volume 3
EDIZIONI STUDIO DOMENICANO
TUTTII DIRITTI SONO RISERVATI
1998 - PDUL Edizioni Studio Domenicano
Via delPOsservanza 72 - 40136
Bologna
- ITALIA
Tel. 051/582034
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wwwcsd-domenicanit
Finito di
stampare
nel mese di novembre 1998
presso
le Grafiche Dehonianc
Bologna
PROLOGO
L'epoca
moderna
l'epoca
delle
grandi conquiste
scientifiche, tecno-
logiche
e
geografiche
che consentono all'uomo di diventare
padrone
della natura
e,
nel
contempo,
di affermare la
propria
autonomianei con-
fronti delle
potenze soprannaturali:

l'epoca dellantropocentrismo
e
della secolarizzazione. In
questa
nuova situazione in cui la
potenza
dell'uomo sembra cancellare ed esautorare la
potenza
di
Dio,
egli
si
crea, logicamente,
una nuova
immagine
del mondo e
di
se stesso. La sua
ricerca
prevalentemente
scientifica; ma
questa
ricerca,
quanto
meno
nella
prima
modernit, non rende
superflua
e non esclude
l'indagine
metafisica.
Oltre allo studio dei fenomeni naturali che la scienza ora in
grado
di effettuare con estrema
precisione, grazie
ai nuovi strumenti di cui di-
spone,
resta ancora
importante
la ricerca delle cause ultime e del
princi-
pio primo
di tali fenomeni.
Cos,
fino a
quando perdura
la fiducia della
ragione
nei
propri poteri,
essa non cessa di esibirsi anche nel
campo
della metafisica e costruisce nuovi
imponenti
sistemi metafisici
se-
guendo
i classici
paradigmi
di Platone e
di Aristotele. Ma a un certo
punto
la
ragione
diviene critica dei suoi stessi
poteri
e tra le
cose
che
mette in dubbioc'
proprio
la
sua
capacit
di
portare
a soluzionei
gran-
di
problem
della metafisica intorno al
mondo,
all'uomo
e a Dio. Nella
seconda modernit da
una
ragione troppo
forte si
passa
a una
ragione
eccessivamente debole e rinunciataria,
la
quale
considera del tutto
impraticabilel'indagine
metafisica.
Cos,
nell'epoca
moderna,
la metafisica
segue
un
percorso
ben
preciso
che si snoda in tre fasi. La
prima,
caratterizzatadalla fiducia nella metafi-
sica, e
questa
fiducia si
esprime
in due modi: nella rivisitazionedelle rne-
tafisiche tradizionali d-i
Platone,
Aristotele e S.
Tommaso, e nella creazio-
ne
d
nuove
metafisiche
(Cartesio, Malebranche,
Spinoza,
Leibniz).
La se-
conda, caratterizzata dalla sfiducia nella
metafisica, e
questa
sfiducia si
esprime
sia
nelfagnosticismo
(Hume e Kant),
sia nelldealismf)
(Fichte,
Schelling, Hegel).
La
terza,
segnata
dal rifiuto e dal
superamento
della
metafisica,
superamento
che si
compie
con vari
procedimenti:
con
l'ana
lisi
linguistica (Camap, Wittgenstein),
la
fenomenologia
(Husserl,
Heideg-
6 P
rologo
ger),
la nuova
ermeneutica (Gadamer, Ricoeur),
la
psicanalisi
(Freud,
Jung),
che,
per,
non tratteremo
in
questo
lavoro. Ma il
superamento
della metafisica
segna
allo stesso
tempo
la fine della modernit e
l'in-
gresso
nella
postmodernit.
La
parabola
della metafisica moderna fornisce una
ulteriore conferma
di
una
importante
Verit storica: le
grandi
creazioni metafisiche coin-
cidono
sempre
con
la fase
aurea
di
una
civilt. Mentre la
scomparsa
della
metafisica e uno dei
segni pi eloquenti
della miseria di una civilt.
UUMANESIMO: PROLOGODELLA CIVILTMODERNA
Tra
l'epoca
medievale
e
quella
moderna si colloca un intermezzo a cui
vengono
dati i nomi di Umanesimo
e Rinascimento.
Questo
intermezzo
funge
da
prologo
della civilt moderna
e della sua metafisica.
Il
passaggio
da
un'epoca
a un'altra
non mai istantaneo. Le
epoche
sono
periodi storici plurisecolari,
e
i
trapassi
culturali durano
qualche
secolo.
Cos
se
il secolo XIV e il secolo del tramonto della civitas christiana
e
della metafisica
cristiana,
il secolo XVII
segna
l'inizio della modernit
e
la nascita della metafisica
moderna,
che
non
pi
una metafisica cristia-
na ma una metafisica
secolarizzata,
perfettamente
laica.
In
mezzo ci sono due secoli che
non sono
speculativamenteVuoti, ma
che
sono
periodi
di transizione. I secoli XV e XVI
sono secoli in cui la
cultura
europea
conosce una straordinaria vitalit
e
di
esplosiva
creati-
vit. Grandiosi
sono i risultati che
essa fa
registrare
nei
campi
della
pit-
tura,
della
scultura, dell'architettura,
della
letteratura,
della
musica,
del-
la
politica
e
della
religione.
Per
questo
motivo a
questo periodo
stato
dato il
nome
di Rinascimento:
grazie
alle
nuove
scoperte
tutto viene sot-
toposto
a una
profonda
trasformazione. Sono due secoli ricchi di
grandi
personalit
e di
grandissimi geni.
Basti fare
qualche
nome: Donatello,
Raffaello, Leonardo,
Michelangelo
per
le arti
figurative,
Palestrina
per
la
musica, Cervantes e Ariosto
per
la
letteratura,
Carlo V
e Francesco I
per
la
politica,
Lutero
e
Ignazio
di
Loyola
per
la
religione.
Ma tutto sommato i secoli XV
e XVI
rispecchiano un'epoca speculati-
vamente
povera
se viene
paragonata
con le
epoche
di Platone
e Aristote-
le,
di Plotino
e
Agostino,
di Tommasoe Scoto.
un'epoca pi importan-
te
per
i commenti a Platone, Aristotele
e Tommaso che
per
la creazione
di
nuove sintesi metafisiche.
Per,
ripeto,
non
un'epoca
metafisicamen-
te
vuota,
bench
rimanga un'epoca
di
transizione,
la
quale
per
un. Verso
va oltre il
medioevo,
in
quanto pone
l'uomo al centro di
ogni
sua consi-
derazione
(da
qui
il
nome
di
Umanesimo), mentre
per
un altro
Verso con-
tinua a
proporre
i
grandi
sistemi metafisici di
Platone, Aristotele
e
S. Tommaso. Pertanto
gli
indirizzi metafisici dominanti dei secoli XV e
XVI
sono tre: l'indirizzo
platonico,
che ha
come centro
principale
Firenze; l'indirizzo
aristotelico,
che ha
come centro
principale Padova; e
l'indirizzotomistico che ha
come centro
principale
Salamanca.
10 Parte
prima
Due sono
i tratti salienti della cultura rinascimentaleche incidono
anche sulla
speculazione
metafisica:
l'inquietudine spirituale
e la laiciz
zazione della cultura.
C' una storiografia
laica dominante dal secolo dei lumi fino alla
pri-
ma met del Novecento che ha
dipinto
lUmanesimo e
il Rinascimento
come un
movimento
spirituale
di rifiuto del cristianesimo e
di ritorno al
paganesimo.
Ma
questo,
come
stato
ampiamente
dimostrato,
un
grosso abbaglio, poich
il ritorno alla classicit fu
semplicemente
un
ri-
torno formale ai modelli
linguistici
e
letterari dell'antichit;
per
tutto il
resto
gli
umanisti e
i rinascimentali
prestavano
ferma adesione alla fede
e alle tradizioni cristiane. Certo la cultura umanistica si
propone
di rea-
lizzare un nuovo
tipo
di
uomo,
un nuovo
modello di umanit: una uma-
nit
pi piena, pi integra, pi
autonoma, pi
matura,
pi
libera,
pi
sicura di se stessa e
dei
propri
mezzi,
pi consapevole
della
propria
grandezza
e
dignit; quella
umanit
bella, fiera, forte, decisa,
stupenda-
mente
rappresentata
dalle statue di Donatello e
di
Michelangelo.
Senon-
ch la
grandezza
e
la
dignit
dell'uomo non sono vissute
dagli
umanisti
e
dai rinascimentalicon
pacifica
serenit,
bens con
profonda inquietudine.
L'inquietudine spirituale
e
religiosa
in effetti un tratto caratteristico
della cultura umanistica. Nonch
eliminato,
lassillo
religioso
continua
a
urgere, riappare
anzi alla fine del
Quattrocento,
anche
per
Yincupirsi
dell'anima italiana di fronte ai
tragici
casi della
penisola, pi
forte;
il bi-
sogno
di
giustificare
l'essere e
il
mondo, natura e creatura,
volont e for-
tuna,
di afferrarsi a una
legge
morale che da nessun'altra fonte sembra
poter sgorgare,
riconduce l'uomo all'idea di
Dio,
di
un Dio trascendente
che il
Signore
dell'umanit terrenaw
Tutto
questo
conferma
quanto
abbiamodetto
poco sopra:
lUmanesi-
mo rimane ancora una
cultura
profondamente religiosa
e
sostanzial-
mente cristiana. Senonch il ribaltamento
de1l'epicentro
culturale da
Dio all'uomo -
genera
una nuova
spiritualit segnata
da tensioni e
in-
quietudini ignote all'epoca precedente.
Scrive N.
Berdjiaev:
Uumanesimo
l'immagine
di
un
conflitto
aspro
e
appassionato,
en-
tro il contenuto
spirituale
del cristianesimo,
costituitosi durante tutto
il
medioevo,
fra l'anima umana
che
aspirava
a un altro mondo tra-
scendente e non
poteva
accontentarsi di
questo
mondo
terreno, e le
forme antiche che senza
posa
si rinnovanoed erano
sempre
animatri-
ci. L'anima era in realt dolorosamente tormentata dalla sete di re-
denzione,
di iniziazioneal mistero di
quella
stessa redenzione che era
rimasta sconosciuta ai
popoli
antichi. Era
oppressa
dalla coscienza
del
peccato, per
il suo
parteggiare
fra due mondi,
ed era
incapace
di
1)
F. CHABoD,
"Il Rinascimento",
in Problemi storici e arientamentz
storiograficz,
Como
1942,
pp.
475-476.
Lllmancsimo:
prologo
della civilt moderna 11
soddisfare le forme di vita naturale e culturale dell'antichit. La Rina-
scita ha risentito nel
profondo questo
tormento della coscienza
quale
retaggio
della
esperienza
medievale con
i suoi dualismi tra Dio e
il
diavolo,
cielo e terra, spirito
e carne;
essa
rappresenta
il
rapporto
tra
la coscienza cristiana trascendente che
rompe
tutte le barriere e
lo
spi-
rito immanente nel naturalismoclassico (...).
Il Rinascimento
pone
in
evidenza
l'impossibilit,
che esisteva,
di realizzare le istanze della
perfezione
e
della serenit classica
nell'epoca
cristiana della
storia,
perch
la
separazione
che la coscienza cristiana stabilisce tra la vita
temporale
e
quella
eterna,
tra il mondo chiuso e
immanentee
il mon-
do infinito e trascendente, non
pu
essere
superata
nei limiti della
cultura storica terrena?
Un'altra
peculiarit
della cultura umanistica la sua
parziale
laicizzazio-
ne,
che si realizza a tre livelli: nei
luoghi,
nelle
persone
e
nelle
discipline.
Anzitutto nei
luoghi.
Mentre nel medioevo i centri di cultura erano
stati un
monopolio
della Chiesa, ora, nell'epoca
rinascimentale
sorgono
molte universit
per
volont dei
principi
e
dei
sovrani, e
accademie di
studio
per
iniziativa
privata.
Nel
Quattrocento
le fondazioni
universitarie
si
moltiplicano,
assu-
mendo un
andamento sistematico. E forse un
aspetto
della
generale
ripresa
dell'Occidente in
questo periodo;
vollero avere
la loro univer-
sit non
solo i
sovrani, ma
anche i
principi
forniti di un
appannaggio
e
i comuni. In Francia
nacquero
con
la
guerra
dei Cent'Anni le uni-
versit di Caen (1432) e di Bordeaux (1441),
che
gli inglesi
fondarono
nelle
province
che
speravano
di
conservare,
mentre Carlo Vll ne
fon-
dava una
"armagnacca"
a Poitiers,
per
bilanciarel'universit di Pari-
gi
(...).
Anche
nell'Impero
furono numerose
le fondazioni su
iniziativa
di comuni e
di
principi:
ricordiamo in
particolare quelle
dell'univer-
sit di Lovanio (1425)
che
era stata richiesta dal duca di Brabante (...).
Sono ancora
di nascita
quattrocentesca
le universit di
Wiirzburg
(1402),
Lipsia
(1409),
Rostock (1419),
Treviri
(1454), Friburgo
di
Brisgovia
(1455),
Basilea (1419), lngolstadt
(1459), Magonza
(1476) e
Tubinga
(1476-7).
Per
opera
dei sovrani si
complet
la rete delle uni-
versit nei
regni
di Scozia
(Glasgow,
145D; Aberdeen, 1494), e di Ca-
stiglia
(Alcal, 1499),
di
Aragona
(Barcellona, 1450,
Saragozza,
1474;
Valenza,
1500 ...).
Nell'ultimo
venticinquennio
del
Quattrocento
an-
che la Scandinavia si
integro nell'Europa
delle universit con
la fon-
dazione
degli
studia di
Uppsala
(1477) e
Copenaghen
(1478).3
La laicizzazionedella cultura
riguarda
in secondo
luogo
le
persone.
La cultura non
pi appannaggio
esclusivo dei chierici
e dei monaci co-
me nel
medioevo, ma
diviene
sempre pi spesso
un
beneanche dei laici.
2)
N.
BERDJIAEV,
Le sens de
l'histoire,
Paris 1948,
pp.
116 ss.
3) ]. VERGER,
Le universit nel
medioevo,
Bologna
1991,
pp.
147-148.
12 Parte
prima
D'altronde
gli
stessi obiettivi dell'universit
sono
profondamente
muta-
ti. Le
nuove universit
non
hanno
pi
come obiettivo
principale
la
pre-
parazione
di
teologi
e canonisti
per
la
Chiesa,
bens di
amministratori,
giuristi,
educatori
per
lo Stato. Ma molti studenti
frequentano
l'univer-
sit anche soltanto
per
una
migliore
formazione
personale.
C', infine, una laicizzazioneanche nell'ambitodelle
discipline.
Oltre
alle
discipline
che
avevano una finalit
preminentemente religiosa,
co-
me la
filosofia, il diritto
e la
teologia,
ora
acquistano importanza
sempre
maggiore discipline
laiche
come la
politica,
la
morale,
la
matematica,
l'alchimia, l'astronomia.
Questa
laicizzazionedella cultura ebbe
un
peso
considerevole anche sulla
metafisica,
che
ora non viene
pi
elaborata
all'interno della
teologia
e in vista della
teologia,
ma in modo autono-
mo. Cos la distinzione della metafisica dalla
teologia
non
pi
soltanto
formale
come in S. Tommaso ma anche
materiale, e la distinzione si tra-
sforma in
completa separazione.
L'INDIRIZZO PLATONICO:
NICOL
CUSANO,
MARSILIO
FICINO,
GIORDANOBRUNO
Mentre la
grande
Scolastica aveva
fatto
registrare
il ritorno di Aristo-
tele in
Occidente, e
il trionfo della sua
metafisica sulla metafisica
plato-
nica,
che
era stata
profondamente
trasformata,
lUmanesimo
segna
il ri-
torno di Platone e
la sua rivincita nei confronti di Aristotele.
Alla rivincita di Platone contribuirono due fattori. Anzitutto un fatto-
re
che
possiamo
chiamare interno: la
maggiore
sintonia della filosofia
platonica,
sia nella forma sia nei
contenuti, con lo
spirito degli
umanisti,
uomini
religiosamente inquieti,
amanti del
dialogo
e
grandi
estimatori
della finezza dello stile letterario. In secondo
luogo,
un
fattore esterno:
gli
assidui contatti che i latini riuscirono ad avere con
i
greci, prima
in
occasione del Concilio di Firenze
(1439) e
poi
in
conseguenza
della ca-
duta di
Costantinopoli
(1453)
che costrinse molti
esponenti
della Cultura
greca
ad abbandonarela loro
patria
e a cercare
rifugio
in Italia.
La
figura
di
maggiore spicco
di
questi
intellettuali
greci
che ebbero
assidui
e
prolungati rapporti
con
i latini fu Basilio Bessarione
(1402-
1472).
Nel Concilio di Firenze
egli
era stato uno dei
principali
artefici
della
ricomposizione
dello
scisma, e
dopo
la caduta di
Costantinopoli
aveva cercato di mettere in salvo tutto ci che
poteva
della cultura elle-
nica
acquistando
e
facendo
copiare
una
grande quantit
di codici
greci,
che nel 1468 don alla
repubblica veneta,
fondando cos la famosa Bi-
blioteca Marciana. Bessarione era un
grande
estimatore di
Platone, e
quando Giorgio
di Trebisondanelle sue
Comparationes
Aristotelis et Platonis
accus Platone di
essere
il
padre
di tutte le
eresie,
Bessarione ne divenne
l'avvocato
pi
Valente e
compose
i
quattro
libri del suo In calunzniatorem
Platonis,
la cui
pubblicazionesegn
una
tappa
miliarenella storia
degli
studi
platonici.
In
questo
scritto all'arist0te1ism0
esagerato
del suo
avversario
Giorgio
di
Trebisonda,
Bessarione
contrappone
il
platonismo,
ma senza
cadere
negli
eccessi di
quest'ultimo;
senza
fatica mostra la
maggiore
consonanza del
platonismo
con
il
cristianesimo, consonanza
testimoniata dalle dottrine sulla creazione e l'immortalit
dell'anima,
sulla
provvidenza
divina
e sulla
teologia
mistica. Per
egli
non Vuolein-
correre
in
un errore
analogo
a
quello
del suo avversario e con
grande
equilibrio
sottolinea anche Yinconciliabilitdi alcune dottrine
platoniche
con
l'insegnamento
della Chiesa; cos ad
esempio
la
preesistenza
delle
14 Parte
prima
anime,
il
politeismo,
le anime dei cieli e delle stelle. Bessarione insomma
non vuole laborare lit Platonem christianzzm
fuissc
ostendanius, ma solo
rintuzzare
gIi
attacchi del Trebisonda.
Il ritorno di Platonein Occidente non
segn
soltanto una forte
ripresa
degli
studi
platonici,
ma anche
una
significativa
rinascita del
platoni-
smo.
I
principali
artefici di tale rinascita furono Nicol
Cusano,
Marsilio
Ficino e
Giordano Bruno.
Essi
attingono
abbondantementealle fresche
sorgenti
di Platonee
dei
neoplatonici
e
operano
in tal modo
un
profondo
rinnovamento della
metafisica,
dando vita a una nuova
forma di
platonismo
cristiano,
che
diversamente dal
platonismo
dei
Padri,
che
era di
stampo
teocentrico,
ora
diviene di
marca
antropocentrica.
La metafisica di
Cusano,
Ficino e
Bruno essenzialmente
platonica
e
antropocentrca: platonica quanto
al
genere, antropocentrica quanto
alla differenza
specifica.
Nicol Cusano
Come abbiamo
gi
rilevato,
nel
campo
della
speculazione
filosoficae
della metafisica in
particolare,
il secolo XV non un secolo di
giganti.
Nella
maggior parte
dei casi abbiamodei buoni Commentatori e
propaga-
tori del
pensiero
di
Occam, Scoto,
Tommaso
d'Aquino,
Aristotele e Pla-
tone. Solo Cusano fa eccezione:
egli
un autentico
genio
che
sa di vivere
in
tempi
nuovi con istanze,
sfide e conoscenze
nuove,
e sente il
bisogno
di
operare
una sintesi
poderosa
di tutto ci che
filosofia,
teologia,
scienza,
matematica, metafisica,
mistica hanno fatto conoscere dell'universo. In-
gegno
di interessi
universali,
dedito
a studi di
logica,
matematica, astro-
nomia, fisica,
geografia,
diritto,
scienze della
natura, metafisica,
storia
delle
religioni,
riun scienza classica e medievale, e ne fece una
grande
sintesi,
inizio e
primo patrimonio
dell'et moderna
(R. Klibanski).
Uomo di
preghiera
e
di
azione,
umanista coltissimo
e
di vasta
esperien-
za
filologica, religioso
di una
religiosit profondamente
vissuta alla luce
di idee moderate e rinnovatrici,
scrittore instancabileed
erudito,
devoto
ma senza fanatismi,
sincero senza sottintesi,
aperto
e tollerante,
leale
combattente
per
la fede in Dio e
per
la salvezza della Chiesa visibile,
Cusano
prodigo
tutta la sua vita
per
un ideale di elevazione
spirituale
della
religione
cristiana,
di cui vedeva le debolezze
e
che voleva in
ogni
modo eliminare o almeno emendare.
g
Del
suo vasto,
ricco e
profondo pensiero
a noi
qui
interessa soltanto
i
la
parte
che
riguarda
la
metafisica, che, tra l'altro, la
parte pi impor-
tante e
pi originale.
1) Sul Bessarione lo studio
migliore
resta
quello
di L.
MOHLER,
Kardinal Bessariun als
Thenloge,
Humanist und
Staatsman,
Paderborn 1923.
Nicol
Cusano,
Marsilio
Picino,
Giordano Bruno
15
VITA
Nicol Cusano
(Nicolaus
Chrypffs)
nacque
a Cues
(Treviri)
nel 1401
da
povera famiglia. Dopo
un anno trascorso all'universit di
Heidelberg
(1416),
egli frequenta
la facolt di diritto dell'universit di Padova con-
seguendo,
nel
1423,
il
grado
di doctor ciecretorunz. Ma a Padova i suoi in-
teressi lo
portano
a
frequentare
anche la facoltdelle arti: vi
conosce Vit-
torino da
Feltre, entra in amicizia con Paolo dal Pozzo Toscanelli al
quale
rester
legato
per
tutta la
vita, e
pu
ascoltare il matematico e
astronomoProsdocimo de Beldomandi.
Dopo
un breve
soggiorno
a Roma nel
1424,
Cusano ritorna in Germa-
nia dove si iscrive alla facolt di
teologia
dell'universit di Colonia.
Qui
ha
come amico e maestro Emerico da
Campo,
un
seguace
di Alberto
Magno,
che lo introduce ad
Aristotele,
allo
Pseudo-Dionigi
e a Lullo,
che
rappresentano
le fonti
pi
remote nella formazione della filosofia
umanista. Gi in
questo periodo,
con animo di
vero umanista,
egli
si de-
dica alla ricerca di vecchi codici latini ed fortunato:
scopre
un codice di
Plautoche
riporta
il testo di ben 12
commedie, e
di Cicerone
scopre
il De
Fato,
il De
Legibus
e il De
repulzlica.
Il
nome del Cusano diventa cos noto
nel mondo
degli
umanisti e
la
sua
persona
verr accolta con Calore nella
cerchia
umanistica,
che si costituisce a Basilea durante il Concilioe
che
include tra
gli
altri Enea Silvio Piccolomini. In
questo periodo
avviene
anche la
sua ordinazionesacerdotale e il
godimento
delle
prime preben-
de a Treviri e a Coblenza. La
prima predica
conservata del Natale
1430,
e Venne tenuta nella chiesa di S. Floriano
a Coblenza.
Grazie alla
sua
preparazione
culturale,
la sincerit della sua
spiritua-
lit,
l'equilibrio
e
la moderazione
personale,
il clero tedesco lo invia
quale
suo
delegato
al Conciliodi Basilea nel
1432,
dove il Cusano divie-
ne uno dei
protagonisti
e un convinto assertore della
posizione
concilia-
rista,
che
egli espone
nella
sua
prima grande
opera,
il De concordantia
catholica,
in 3 libri. Ma
negli
anni
successivi,
malgrado
la
grande
autorit
guadagnatasi
a Basilea,
il Cusano Viene
progressivamente
accostandosi
alla Curia romana. Alla fine si schiera
con
Eugenio
IV e contro
l'antipa-
pa
Felice
V, e
caldeggia
il trasferimento del Concilio
a Ferrara,
in
occa-
sione della
programmata
venuta dei Padri
greci,
per
trattare l'unione
della Chiesa ortodossa
con la Chiesa latina. Il Cusano
capo
della dele-
gazione
inviata dal
papa
nel 1437 a
Costantinopoli
per accompagnare
in
Italia il
patriarca
e
i
padri greci.
La
delegazione
ha buon esito e
il 9
apri-
le 1438 si
apre
a Ferrara il Conciliodell'unione. Da
Costantinopoli
il Cu-
sano
ha scortato le
personalit pi
eminenti sul
piano
filosofico
e teolo-
gico:
Gemisto
Pletone,
il Bessarione
e molti altri. Ha
portato
con s an-
che molti codici
greci,
tra cui la
Teologia platonica
di
Proclo,
che affida al
Traversari
per
la traduzionein latino.
16 Parte
prima
Nel 1448 viene creato cardinale da Nicol V. Tra il 1438 e il 1448 il Cu-
sano
pubblica
una
lunga
serie di
opere,
tra cui i suoi due trattati
pi
ce-
lebri,
il De docta
ignorantia
e
il De coniecturis. Ne] 1450 viene nominato
vescovo di
Bressanone,
dove non
gradito
dal
clero,
che
gli
rende la vita
difficile
e
il
governo
della diocesi
impossibile.
Cos nel
1458,
Cusano ac-
cetta l'invito dell'amico
pontefice
Pio II a lasciare Bressanone e a
trasfe-
rirsi a Roma,
dove viene nominato
Legatus
urbis, una
specie
di vicario
generale.
Muore a Todi nel 1464.
OPERE
Nicol Cusano ha scritto
molto,
soprattutto
di
filosofia,
matematicae
teologia.
Il suo
pensiero filosofico-teologico
contenuto nel De coniectit-
ris
(1440) e
principalmente
nel De docta
ignoranti}:
(1440-1445).
La dottri-
na
esposta
in
questo
libro fu in
seguito ripresa
e
difesa in
Apologia
doctae
ignorantiae
(1449);
Idiotae libri
(1450);
De venatione
sapientiae
(1463).
Allarnbito
pi specificamente teologico appartengono:
De concordantia
catholica
(1433);
De visione Dei
(1453);
De
pace
fidei
(1453);
Cribatio Alkoran
(1461) (un'introduzione
alla fede cattolica scritta
per
musulmani);
la tri-
logia:
De Dea abscondito,
De
quaerendo
Deum,
De dato Patris luminum
(1445-1446);
De
genesi
(1447);
De
apice
theoriae
(1464),
che tratta della
Visione beatifica. Da non dimenticare le Omelie
(circa trecento),
dove
spesso
il Cusano
espone
temi di
dogmatica
e
di morale.
Come ci dice il Cusano stesso nella chiusura del De docta
ignorantia,
nel 1438 sulla nave
che lo
riportava
in
patria
di ritorno dalla
Grecia,
eb-
be dal Dio della luce" una
grande
illuminazione:l'idea fondamentale
della
conoscenza intesa come
cosciente
ignoranza".
A tutto il
processo
conoscitivo
egli poi
attribu il nome
di dotta
ignorantia
e trasse tale termi-
nologia
da
una
lettera di S.
Agostino
a
Proba: Est
ergo
in nobis
quaedazwi,
ut dicam,
docta
ignorantia
sed docta
spiriti:
Dei,
qui
adiuvat
infirmitatem
nostram (PL 33, 504).
Da
questa
intuizione
nacque
la sua
opera
princi-
pale,
De docta
ignorantia,
che costituisce la
vera
Summa del suo
pensiero.
L'opera
e divisa in tre libri.
Nel
primo pone
anzitutto i fondamenti della
Conoscenza;
la
precisio-
ne
irraggiungibile,perch
la Verit
precisa

incomprensibile:sappia-
mo
solo di non conoscerla. Passa
quindi
a trattare del massinzo assoluto:
Dio, uno e trino. Cerca
poi
nella matematicae
nella
geometria
simboli
atti a
esprimere
il mistero di
Dio,
sia la sua unit sia la sua trinit, e
pro-
pone
una
serie di
figure
infinite usate come
simboli dell'infinito. Alla fi-
ne
discute del Valore della
teologia positiva
e
negativa,
dando la
prefe-
renza
alla seconda.
Nel secondo libro tratta del massimo
contratto,
ossia dell'universo. Di
questo
descrive sia l'unit sia la
trinit,
mettendo in luce la differenza

Nicol Cusano,
MarsilioPicino,
Giordano Bruno 17
tra la uni-trinit dell'universo e
la uni-trinit di Dio. Alla fine illustra
l'armonia dell'universo.
Nel terzo libro
parla
del massimo contratto e assoluto,
Ges Cristo. Do-
po
aver mostrata la
possibilit
del contratto
massimo e assoluto,
il Cusa-
no
espone
i
grandi
misteri della realt di Cristo: la nascita della
Vergine
nella
pienezza
dei
tempi,
la morte
affinch l'umanit
superi
i limiti della
propria
naturalit carnale,
la risurrezione affinch ne1l'umanitdi Cristo
tutti
gli
uomini
risorgano,
l'ascesa al cielo e
il
giudizio
finale.
Negli
ulti-
mi
capitoli
di
questo
libro il Cusano tratta brevemente della Chiesa
come unit di tutti i fedeli in
Cristo, analoga
all'unit delle tre
persone
in Dio e
delle due nature in Cristo.
Sin d'ora
possiamo
osservare
che mentre l'ordine del De docta
igno-
rantia ricalca da vicino l'ordine della Summa
Theologiae
di S. Tommaso
(anch'essa
suddivisa in tre
parti,
la
prima
dedicata al Dio uno e trino,
la seconda all'uomo e
la terza a
Cristo e
ai sacramenti),
per
contro il lin-
guaggio
e
il metodo del Cusano sono
assai diversi da
quelli dell'Aqui-
nate. Il metodo
dell'Aquinate

quello dellargornentazione
teologica,
che assume come
premessa
principale
(la maggiore)
una
verit rivelata;
invece il metodo del Cusaflo
quello
della
argomentazionelogico-mate-
matica,
che
procede
deduttivamente
assumendo come
principi
determi-
nati assiomi.
Quanto
al
linguaggio quello
di S. Tommaso biblico-filoso-
fico mentre
quello
del Cusano filosofico-matematico.
Tuttavia il De docta
ignoranti}:
un libro,
in
prevalenza,
di
teologia.
Vi dominano i due terni della tradizionecristiana: il trinitario (Dio
una
sostanza in tre
persone)
e
il
cristologico
(Cristo
e una
sola
persona
con
due
nature,
l'umana e
la
divina).
Il Cusano
per
non
si
impegna
in
que-
ste formule
dogmatiche,
che ormai la tradizioneaveva reso
pacifiche,
al-
meno in Occidente.
Egli
interessato
piuttosto
a
farne
un'applicazione
speculativa,
a
irnpiegarle
ricavandotutto il senso
filosoficoche esse
pos-
sono
dare. D'altra
parte,
nel trattare
di
teologia, egli

premuto
anche
dall'esigenza opposta: quella
di limitare le
pretese arroganti
della
ragio-
ne discorsiva che vedeva dominare tra i
teologi
del suo
tempo,
le sotti-
gliezze
della
logica
e
della dialettica umane
nei confronti della maest
misteriosa di Dio?
lL PLATONISMODI CUsANo
Il Cusano un latonico,
i recisamente un neo
latonico assai ori-
.
P
.
P
p
. . .
P
.
ginale,
autore del tentativo
pi
ardito Cll
leggere
in
chiave
neoplatonica
e
di
inquadrare
dentro
gli
schemi del
neoplatonismo
i
grandi
misteri del
3) G. SANTINELLO,
Introduzione a N. CUSANO,
La dotta
ignoranza.
Le
congetture,
Rusconi,
Milano1988,
p.
22.
18 Parte
prinza
cristianesimo relativi a Dio,
alla
Trinit, a Cristo e all'uomo. Il Cusano e
doppiamente
neoplatonico:
nel metodo che
assiomatico-deduttivo
come nella Elernentatio
theologica
di Proclo
e nel De
causis, e nel sistema
che
gerarchicamente
ordinato secondo
una
sequenza
di triadi
e
procede
dal massimo
verso il minimo
come nelle Enneadi di Platino. Lordine del-
l'universo del Cusano identico a
quello
dei
neoplatonici:
Dio
(= Uno),
Intelligenza
(= Nous), Anima
(=
Psych) e
Corpo ( = mondo
materiale).3
Studiosissimo di Platone
e di tutto il
platonismo,
che si estende da
Plotino fino
a Eckhart,
passando
attraverso Proclo,
lo
Pseudo-Dionigi
e
Scoto
Eriugena,
il Cusano rivisse
potentemente
in se stesso
questi
filoni
di
speculazione filosofico-religiosae ne fece sostanza della
sua metafisi-
ca,
della
sua
teologia
e della
sua mistica.
Egli
stesso si riteneva
discepolo
dello
Pseudo-Dionigi
e
rimproverava
addirittura ad Aristotele di
non
aver
capito
ci che
comprese
il filosofo
cristiano, e cio che il Dio vero
il Dio
degli opposti, l'opposizione
senza
opposizione.
La
sostanza del
pensiero
di Cusano
soprattutto
cristiana
e
platoni-
ca. E il termine s0stanza viene usato
qui
in
senso
proprio
e
rigoroso.
Infatti nel sistema di Cusano il
platonismo
costituisce
un elemento
so-
stanziale
e non
semplicemente
formale ed
espressivo.
Mentre nei Padri
il
platonismo
non
riguarda
mai la
sostanza,
che tratta esclusivamente
dalla
Scrittura, ma
semplicemente
la forma
espressiva
(il
linguaggio),
nel Cusano il
platonismo
diventa
una
componente
essenziale del
suo si-
stema.
Questo,
procedendo assiomaticamente, assume i
postulati
di
base dal
platonismo e se ne avvale
per inquadrare
e chiarire le Verit
fondamentali del
cristianesimo}
le
quali acquistano
in tal modo
una no-
tevole valenza
razionale, molto
pi
forte di
quella
che
potevano
avere
nelle costruzioni
teologiche
della scolastica
e della
patristica.
Ma in
que-
sto modo la
teologia cristiana,
nel
Cusano, finisce
per
risolversi in una
grande
sintesi metafisica di
platonismo
e di cristianesimo.
Ma il Cusano
seppe operare
un'acuta
e
intelligente
sintesi di
questi
due
ingredienti principali
del
suo
pensiero, integrandola
con molti e
importantissimi
risultati scientifici del
tempo, appresi
a Padova
e in
ge-
nere nella
sua
lunga
permanenza
in Italia. I suoi interessi scientifici lo
u:
\_z La mente
raffigura
nei
segni
delle
parole queste
unit mentali
(realt). La
pri-
ma, mente
suprema
e
semplicissima,
la chiama
Dio;
la
seconda, che e radice
e
non ha altra radice
prima
di
s, la chiama
intelligenza;
la terza che
quadrata,
contrazione
dell'intelligenza,
la chiama
anima; Yultima,
esplicazione
nella
gros-
sezza del
solido,
congettura
sia il
corpo
(De coniecturis
I, 14).
4) Gli assiomi fondamentali
su cui si
regge
tutto il sistema del De docta
ignorantia
sono i
seguenti:
il massimo ci di cui
non ci
pu
essere di
maggiore;
uno e
ci cui convienela
pienezza;
il massimo assoluto l'uno nel
quale
sono tutte le
cose;
il massimo
proveniente
dell'assoluta l'universo in cui esiste in forma
con-
tratta il massimoassoluto
(De dacia
ignoranti}:
I, 2, 6).
Nicol
Cusano,
Marsilio Ficinn,
Giordano Bruno 19
portarono
a concezioni
persino
ardite
per
i suoi
tempi:
si
pensi
alla con-
cezione dellnfinitdell'universo e
alla dottrina della coincidenza
degli
opposti
in matematica e
in
geometria.
La matematica insieme alla
geo-
metria e
alfastronomia in Cusano assume
anche il valore di tramite e
simbolo
per
l'intelletto che vuole elevarsi alla
contemplazione
dell'eter-
no e
del divino. Ma
ogni
interesse scientifico
sempre
trasvalutato alla
luce della Verit metafisica che
per
lui,
incentrata in
Dio,
massimo e
mi-
nimo allo stesso
tempo, rappresentava
il centro dell'intero universo.
LA DOTTRINADELLA CONOSCENZA!
IL PRINCIPIO DELLA COINCIDENZA DEGLI OPPOSTI
L'illuminazionedi cui
parla
il Cusano alla fine del De docta
ignorantia
non
fu un
episodio
casuale ma
rappresenta
la chiave di tutto il suo
pen-
siero.
Ogni
filosofo
e
teologo geniale
ha
un suo
modo di vedere le
cose,
che dovuto a unntuizione
originaria.
Questa pu
essere
l'intuizione
delle Idee
(Platone),
dell'atto e
potenza
(Aristotele),
della verit
(Agosti-
no),
delractus essendi (Tommaso),
del
Cogito
(Cartesio),
della
giustifica-
zione sine
operibus
(Lutero) ecc.
La
grande
intuizione del Cusano la
docta
ignorantia
intesa come
coincidenti};
oppositorurzi
in Dio. Si tratta di
una
coincidenza che scavalca
logicamente
tutti i criteri della
ragione
e
che
pu
essere
colta soltanto dall'intelletto.
La dotta
ignoranza
una
disposizione spirituale
che si assume
quando
si riconosce che l'essenza delle
cose,
che la verit
degli
enti,

inattingibile
nella sua
purezza,
ricercata da tutti i
filosofi, ma
da nessu-
no
scoperta
nella sua
realt in s. E
quanto pi
a fondo saremo
dotti in
questa ignoranza,
tanto
pi
abbiamo accesso
alla Verit.5 Fedele alle
esigenze
della dotta
ignoranza
il Cusano afferma che il modo
migliore
per
parlare
di Dio non
quello positivo,
che
pu
condurre allidolatria,
bens
quello negativo:
la sacra
ignoranza
ci ha
insegnato
che Dio inef-
fabile, perch
infinitamente
pi grande
di tutte le cose
cui si
possa
dare un nome.6
Le vie
per
parlare
di Dio
gi
tracciatedalla
patristica
e
dalla scolasti-
ca erano
due: la
positiva
e
la
negativa.
Secondo la
prima,
si
possono pre-
dicare
propriamente
di Dio tutte le
perfezioni
trascendentali
perch
que-
ste,
quanto
al loro
contenuto,
si dicono
primariamente
e
principalmente
di Dio. Secondo l'altra
Via,
quella negativa, neppure
le
perfezioni
tra-
scendentali si
possono
dire
positivamente
di Dio
perch
noi
ignoriamo
come esse si attuano in Lui. Cos l'unico
linguaggio appropriato per par-
5)
De dacia
ignorantia
I, 3,
10.
5) Ibid.
I, 26,
87.
20 Parte
prima
lare di Dio rimane
quello negativo,
il
quale,
secondo la celebre formula
eckhartiana, dice che Dio non n
questo
n
quello.
Il Cusano cerca
di
uscire da
questa impasse capovolgendo
la
posizione degli apofatici,
senza
peraltro accoglierepienamente quella
dei
catafatici,
poich
nel-
lUn0
(Dio)
si trova riunito tutto ci che nel
molteplice
diviso. Allora
necessario affermare di Dio sia
questo
sia
quello".
Infatti ci che noi
concepiamo
come distinto e contrario,
in Lui
perfettamente
identico.
Anche
gli opposti
in lui fanno una cosa sola: coincidono. La
fede, scrive
il
Cusano,
coglie
il divino
con
pi
verit mediante la dotta
ignoranza
e
crede che colui che adora
come
uno,
tutte le
cose in maniera
una,
colui
che
onora come luce
inaccessibile,non una luce
eguale
a
questa corpo-
rea,
cui si
oppongono
le
tenebre, ma luce
semplicissima
e infinita; ove le
tenebre
sono
la medesima luce
infinita; e tale luce infinita
splende
sem-
pre
nella nostra
ignoranza,
ma le tenebre
non
la
possono comprendere.
E cos la
teologia negativa
tanto necessaria
rispetto
a
quella
affermati-
va che, senza di
essa,
Dio non sarebbe adorato come infinito, ma
piutto-
sto come creatura? La
teologia negativa
ha l'ultima
parola:
Per
questa
teologia negativa
Dio non n
padre,
n
figlio,
n
spirito santo, ma
sol-
tanto infinito. Uinfinit in
quanto
tale, non n
generante,
n
generata,
n
procedente (...). Perci,
secondo tale
teologia, egli
non conoscibile
n in
questo
secolo n in
quello
futuro,
perch ogni
creatura tenebra
nei suoi
confronti, e non
pu comprendere
la luce
infinita;
egli
noto
solo a se medesimow
Nel
suo
gradino pi
alto,
quando percepisce
con "sacra
ignoranza
Dio,
Yintelletto in
grado
di
penetrare
il mistero della conciliabilit
degli
opposti
al di l della loro reale
inconciliabilit;
Capace
di
capire
come un
arco di circonferenza esteso all'infinitocoincida
con la
retta, come il dia-
metro della circonferenza coincida
con la
retta, come la linea infinita
triangolo
massimo,
circolo e sfera.9 Si
pu comprendere
anche
come un
poligono
di lati infiniti
possa
coincidere
con il cerchio in cui
iscritto,
come il minimo caldo
possa
coincidere con
il minimo freddo. Ma chia-
ro
che la conciliazioneavviene nella
piena ignoranza
della
ragione,
nel
mistero dellAssoluto in cui
ogni
verit assorbe
e invera la contraria in
una sorta di
superiore
forma di sintesi
spirituale
non
comprensibile
a
fa-
colt discorsive
e a
spiriti
non adusati a elevarsi tanto in alto. K.
Iaspers,
grande
studioso
e ammiratore del
Cusano,
ha cos descritto il
parados-
sale
processo
della docta
ignorantia:
Conoscere
per
mezzo del non
sape-
re. Quando
ci siamo distaccati da
tutto, con
questo
atto tocchiamo - in
modo non concettualizzabile la Trascendenza
(e
questo
mediante la

Nicol
Cusano,
MarsilioFicino,
Giordano Bruno 21
riflessione, non
mediante lestasi 0 l'unione mistica,
n mediante la
sop-
pressione
della scissione tra il
soggetto
e
l'oggetto).
Il
pensiero
oscilla.
Non cessa
di balbettare
o, meglio,
di oscillare in
questa
chiarezza al di
sopra
di
ogni
chiarezza e
di
raggiungere
in ci la certezza di s e
di ci
che si cerca. Nellautentica situazione limite nel cui seno
l'esistenza
umana
avviene realmente,
questo
significa
- nel
campo
del
linguaggio
che
giunge
all'estremo: "Tutto il resto
silenzio", ma non
per
il
Cusano,
cristiano che unisce la fede alla rivelazionemm
LA METAFISICADElLA COINCIDENZA DEGLI OPPOSTI
Il De dacia
ignorantia,
di cui
generalmente
si conoscono
le tesi relative
alla inconoscibilitdi Dio molto di
pi
che
un
profondo
trattato di
gno-
seologia teologica.
Questo scritto, infatti,
contiene
l'esposizionepi
com-
pleta
e
pi
sistematica del
pensiero
metafisico del Cusano. Come abbia-
mo
gi
ricordato,
l'opera
si articola in tre libri: il
primo
tratta di
Dio;
il
secondo dell'universo;
il terzo dei
rapporti
di Dio con le sue creature.
Principio
basilaredella costruzione metafisica del Cusano il
princi-
pio
della coincidenti}:
oppositorum
che,
per
lui, non
ha soltanto un
Valore e
una funzione
gnoseologica
ma
anche
e
soprattutto
ontologica: gli oppo-
sti vanno
pensati
come coincidenti, perch
di fatto nel
Principio primo,
il
Massimo,
Dio sono
coincidenti.
Gli
opposti
sono
innumerevoli: reale/ideale,
apparente/ vero,
contin-
gente/
assoluto,
molteplice
/
uno, potenza/
atto,
ente/
essere,
minimo/ mas-
simo, temporale/eterno,
finito/
infinito ecc. La
polarit
su cui il Cusano
edifica tutto il suo sistema
quella
tra massimo e minimo,
che corri-
sponde
alla
polarit
tra
infinito e
finito. L'obiettivo della sua
indagine
metafisica non
quello
di
argomentare
l'esistenza del
Massimo,
lInfini-
to,
il Trascendente a
partire
dal
minimo,
il
finito, I'immanente, perch
per
lui la realt del Massimo, delllnfinito,
del Trascendente
coimplica-
ta necessariamente con
quella
del
minimo,
del
finito,
dellimmanente. Il
suo intento, invece,

quello
di far luce sui
rapporti
che intercorrono tra i
poli, gli opposti,
i contrari. La
sua
grande preoccupazione
di evitare
gli
scogli
del monismo da una
parte
e del dualismo dall'altra. Con la dottri-
na della coincidentia
oppositorunz egli
ritiene di riuscire a
condurre in
porto questa
difficile
navigazione.
Il metodo della docta
ignorantia
che il Cusano
adopera per
la elabora-
zione della sua metafisica sostanzialmente un
metodo risolutivo e sin-
tetico, ma
che ha carattere intuitivo e non
raziocinativo. Scrive il Cu-
sano:
La filosofia che vuole intendere con
semplicissima
intuizione l'u-
nit massima nel suo vero senso
di
trinit, non
pu
che necessariamente
1D) K.
JASPERS,
Nikolaus
Cusanus,
Miinchen
1964,
p.
97.
22 Parte
prima
rifiutare
tutto ci che
oggetto
di
immaginazione
e di
ragionamentowl
L'in-
tuizioneha
luogo
collocandosi in un
punto
di vista
superiore
alle diffe-
renze fra le
cose e alla diversit fra tutte le
figure
della
matematica,
pro-
prio perch
dicemmo che nel
massimo, linea,
superficie,
circolo
e sfera
concidonoml Il
punto
di vista
superiore, eminenziale, non elimina le
differenze, ma le assorbe
e le riconduce all'unit
originaria,
dove si tro-
vano ancora nello stato di indfferenziazione
e di
perfetta
identit. Solo
chi
possiede
uno stato di sublime
ascesi,
giunge
alla
perfettissima e
astrattissima
intelligenza
nella
quale
tutte le cose ritrovano una loro
unit e la linea sola sia anche
triangolo
e il circolo sfera
e l'unit trinit
e,
ancora,
laccidente sia
sostanza,
il
corpo spirito,
il moto
quiete
e tante
altre
cose simili,mentre necessario
rigettare
tutto ci che
comprensi-
bilesolo
a mezzo del
senso,
della
immaginazione
o
della
ragione
con
tutte le
sue naturali
possibilit:
solo cos sar
possibilecomprendere
come, se una cosa si
pu
intendere solo riferita
allUno,
bisogna
pensare
che lUno il
tutto, e
coerentemente,
che
ogni
suo elemento tutto nel-
luno.13
Il
paradigma
metafisico del Cusano
integralmente neoplatonico:
neoplatonico
il
suo metodo
assiomatico-deduttivo;
neoplatonico
il
principio primo
da cui trae
origine
tutta la
realt, lUno. Anche la
sua
una metafisica
henologica
e non
ontologica.
Il
suo sistema costruito
come
quello
di Plotino e di Proclo
su una triade
fondamentale,
che viene
fatta
corrispondere
alla triade cristiana del
Padre,
del
Figlio
e dello
Spirito
Santo. Ma nella
henologia
del Cusano c'
un
grande
sforzo di
semplificare
linterminabileteoria delle emanazioni
e delle
triadi,
ridu-
cendo tutto a due sole realt: la realt
dellUno/Trinite la realt del
suo
specchio,
l'Universo.
ESISTENZA,
NATURA, ATTRIBUTI Dl DIO
Come si e
detto,
la costruzione metafisica del Cusano assiomatico-
deduttiva, come
quelle
di
Plotino, Proclo,
Scoto
Eriugena,
Anselmo
d'Aosta.
una costruzione che
parte
dall'alto
e discende velocemente
verso
il basso:
parte
da Dio
per
andare
poi
verso le
creature.
In
una costruzione
assiomatica, a
priori,
occorre
partire
con un concet-
to di Dio il
pi
ricco
possibile,
che abbracci tutta la realt e
ogni
sorta di
perfezione.
Anselmo riteneva che
a
questa esigenza
di
onnicomprensi-
vit
rispondesse
bene la definizioneDio colui di cui non si
pu pen-
sare nulla di
maggiore.
Il Cusano trova
ancora
pi
felice la definizione:
l) Da docta
ignoranti}: I,
1D.
u)
Ibid.
73) Ibd.
Nicol Cusano,
MarsilioF
icino,
Giordano Bruno 23
Dio il Massimo.

una
definizione
pi
incisiva anche
se,
nella s0-
stanza
corrisponde
alla definizione anselmiana. lnfatti da ritenere
massimoin natura ci di cui non
pu
esservi alcunch di
pi grande.l4
Ora, non vi dubbioche il Massimo deve esistere. Infatti il Massimo
assoluto,
poich
esaurisce in s tutte le infinite
possibilit
di esistenza,

sempre
totalmente in atto e come non
pu
essere
pi grande
di
quello
che ,
cos
per
la stessa
ragione
non
pu
essere minore
proprio perch,
come
si detto,
esaurisce tutte le infinite
possibilit
di esistenza>>fl5
Il
primo
attributo del Massimo di essere
onnicomprensiva:
esso
abbraccia
ogni
realt,
grande
e
piccola, perfetta
e
imperfetta,
assoluta e
contingente,
durevole
e transitoria,
bella
e
brutta ecc.
Nel Massimo tutti
gli opposti
che nel finito sembrano inconciliabilie irriducibili,
si trovano
pacificamente
uniti e
riconciliati.Scrive il Cusano:
Al Massimo assoluto
giammai
si addice una
opposizione, perch
esso al di
sopra
di
ogni opposizione.
Poich
dunque
il Massimo as-
soluto tutte le cose
esistenti in
atto,
in modo tale che
respinge
da se
qualsiasi opposizione,
cos esso coincide con il minimo ed
parimenti
al di
sopra
di
ogni
affermazionee di
ogni negazione.
E tutto ci che si
pensa
che
possa
esistere,
esiste non
pi
di
quanto potrebbe
anche non
esistere. Ma cos
perch
tutte le
cose,
ed tutte le
cose
perch

nessuna cosa ed il massimo
proprio perch
il minimo. E
proprio
la
stessa cosa
affermare: Dio il massimo assoluto ed
luce, e: Dio la
massima luce
proprio perch
la luce minima. Se le cose stessero
diversamente,
il Massimo assolutonon sarebbein atto tutti i
possibili,
se non
fosse in altre
parole,
il termine di tutte le
cose,
senza
tuttavia
esaurirsi in alcuna di esse.16
II secondo attributo del Massimo
quello
di
essere
infinito.
Ma non
si
tratta di
una
infinit indeterminata come
quella
della materia e della
quantit,
bens di una
infinit
determinatissima,
che abbraccia
ogni per-
fezione.
Ogni
altra realt al di fuori del Massimo e finita e limitata, e a
sua
volta
presuppone
la realt infinita del Massimo. Ecco il
ragionamen-
to del Cusano:
Qualsiasi cosa
finita e limitata ha
un suo
principio
dal
quale
trae ori-
gine
e nel
quale
confluisce, e
poich
non si
pu
dire che il Massimo
sia un ente
maggiore
di
un
dato finito o
che sia finito
rispetto
a un
altro finito e cos via,
perch
in tal caso
il Massimo sarebbe della stes-
sa natura dei finiti,
cos necessario che il Massimo in atto sia
princi-
pio
e
fine di tutte le cose
finite?
14) Ibid, 1,
2.
15) Ibid, 4.
16) Ibid.
17) Ibid, I, 6.
24 Parte
prima
Dopo
avere caratterizzato la natura del
Principio primo
di tutte le
cose con titoli relativi:
massimo,
onnicomprensivo,
infinito,
il Cusano
passa
a illustrarei suoi attributi trascendentali:
l'unit, l'essere,
la verit.
In
primo luogo
il Massimo unit assoluta: Yunit
assoluta,
cui nulla
a fronte, lo stesso Massimo
assoluto,
che in fondo
non che il Dio
che tutti veneriamo. E tale
unit, se la massima unit
immaginabile,
non
ha in s il
principio
della
molteplicit perch
essa esaurisce tutto le-
sistente creato.18
Qui
il Cusano ha
cura di
precisare
che
non si tratta di
una unit numerica
(non un numero)o
quantitativa,
ma di
una uni-
t
qualitativa,
che esclude
ogni
forma di
composizione
e
di divisione.
Viene
poi
l'essere. Come in tutte le metafisiche
henologiche
anche in
quella
del Cusano l'Essere
non
la
prima
realt
ma viene
dopo
lUno.
L'essere necessariamente
compreso
nel
Massimo, in
quanto
il Massimo
la condizione
prima
di tutto l'essere. Ecco come il Cusano
argomen-
ta
questa
tesi:
Ammettiamoche il Massimo sia riducibileall'essere
e,
in
conseguen-
za,
di
poter
dire: al massimo
essere nulla si
oppone,
n l'essere nor-
malmente
inteso,
n l'essere minimo:
come, infatti, si
potrebbe
pensa-
re
che il Massimo
possa
essere
privo
di
esistenza,
allorch il minimo
essere si identifica col massimo essere?
N,
invero alcuna
cosa senza
l'essere
pu
essere
compresa.
E ci
vero
perch
l'assolutoessere non
pu
essere altro che il Massimo assoluto e niente
potr
mai
essere
compreso
senza includerein
esso
il concetto di Massimoml
Il terzo attributo trascendentale del Massimo e
quello
della verit: la
verit massima il Massimo assolutom Ma di che verit si tratta? Non
della verit del
principio
di identit
o
di
non contraddizione,
bens della
verit della coincidentia
zippositorzzm
per
cui il Massimo
pu
essere sia
questo
sia
quello,
sia il massimo sia il minimo. E
dunque
sommamente
vero sar che lo stesso Massimo in se sia o non sia
oppure
sia
e nello
stesso
tempo
anche
non sia
o, ancora,
che
non si dia alcuna di
queste
due
ipotesi,
dal momento che altro
non
possibile
affermare
e
neppure
pensare
in
PIOPOSOmZZ
Altri attributi che il Cusano
assegna
al Massimo
dopo
i trascendentali
sono:
la
semplicit,
la necessit e Peternitfl
Conclusa la deduzione
degli
attributi che
competono
al Massimo il
Cusano ribadisce che
nessuno di
questi
nomi
esprime
la
sua essenza.
18) una,
5.
19) Cf. una.
20) llvid, 1, e.
N) Ibd.
) Ibid.
23) ci.
11nd,, l, 6-7.
Nicol Cusano,
MarsilioFicino,
Giordano Bruno 25
Infatti nessun
termine indicacon esattezza il Massimo,
che al di l di
ogni possibilit
di definizione. Tuttaviaal Massimo si addice necessaria-
mente che sia massimo e ineffabilee
che sia solo definibilecol termine
massimo essendo al di l di
ogni
altra
possibile
denominazione
(per
nomen
maximum
super
omne esse n0minabile).24
Dopo
avere illustratola natura e
gli
attributi del Massimo utilizzando
il
comune
linguaggio
della metafisica
neoplatonica,
il Cusano Cerca
di
riformulare le stesse tesi,
in
particolare quelle
della coincidentia
opposito-
rum e
della
omnicomprensivit
del Massimo ricorrendo al
linguaggio
delle matematiche.
Questo
linguaggio,
che esente da
ogni antropomor-
fismo,
gli
sembra
particolarmente
idoneo
per parlare
della ineffabile
realt del Massimo, una
realt infinita in cui tutti
gli opposti
si ritrovano
presenti
e coincidono, superando
ci che li
separa
e
li divide.
Qui
il Cu-
sano si avventura
in
ipotesi
matematichemolto fantasiose e tuttavia as-
sai
suggestive.
Le
immagini pi eloquenti
sono
quelle
della linea infinita
e
della sfera infinita. La linea infinita
pu
essere
sia
triangolo
sia circolo
e
pu
assumere
le
pi
svariate
figure geometriche.
Ma ancora
pi strepi-
tose sono le
qualit
della
sfera infinita.
Ecco come
le descrive il Cusano in
un
celebre
passo
del De docta
ignorantia.

possibile
notare
che nella sfera_infinita concorrono verso
il centro
tre linee massime:
quella
della
lunghezza, quella
della
larghezza,
quella
della
profondit.
Ma il centro della sfera infinita si identifica
con il suo
diametro e con
la sua
circonferenza. Pertanto la sfera infini-
ta si identifica col suo
diametro e con
la sua circonferenza, ma
anche
con
le tre inee suddette, e
poich
essa
si identifica nel centro con
le
tre linee nominate,
cos il centro
racchiude in s
quelle
tre linee nel
loro
complesso,
cio la
lunghezza,
la
larghezza,
la
profondit.
Cos
essa
sar il massimo
semplicissimo
e
infinito e
ogni
elemento che lo
compone,
la
lunghezza,
la
larghezza
e
la
profondit,
si identificher
con l'uno indivisibile,semplicissimo,
massimo. Come il centro
prece-
de la
lunghezza,
la
larghezza,
la
profondit
ed anche il fine e il tra-
mite di
esse,
cos nella sfera infinita il
centro,
lo
spessore
(cmssitudo) e
la circonferenza sono
la stessa cosa.
E come
la sfera infinita total-
mente in atto e
semplicissima,
cos il Massimo totalmente in atto e
semplicissimo,
e come
la sfera la linea in atto e il
triangolo
il circo-
lo in
atto,
cos il Massimo tutte
quelle
cose
in atto (...).
Come dun-
que
la sfera la
pi perfetta
tra le
figure
e
di essa una
figura pi gran-
de non esiste,
cos il Massimo la
perfezione pi
elevata fra tutte.
Ogni
cosa
imperfetta
in s diventa
perfettissima
in
esse,
allo stesso
modo che una
linea infinita sfera e
in
questa
la curvatura la rettili-
neit,
la
composizionesemplicit,
la diversit
identit,
la1terit unit
e cos
per
tutti i rimanenti concetti simili.25
34) Ibid.,
6.
25) lbid.,
23.
26 Parte
prima
Dopo
aver illustratole
stupefacenti
doti della sfera infinita
ecco
l'ap-
plicazione
che il Cusano fa di
questa immagine
al
caso di Dio:
Dio l'unica
ragione semplicissima
di tutto l'universo e come da in-
finite
figurazioni
circolari
nasce la sfera
massima, cos
Dio, come sfera
massima
(ita Dcus uti
sphaera maxima),
la misura
semplicissima
di
tutti i movimenti circolari: infatti
ogni capacit
di Vivere e intendere e
ogni
movimento hanno la loro
ragion
d'essere da
lui, in lui
e
per
lui,
presso
il
quale
la rivoluzionedell'ottava sfera
non
pi
breve nel suo
corso della rivoluzionedella sfera
infinita,
poich Egli
il fine di
ogni
movimento
e in Lui
ogni
movimento termina
come se trovasse
ripo-
so.
Egli
e ancora
quiete
massima e in Lui
ogni
moto
quiete.
Solo
cos,
dunque,
la massima
quiete
misura di tutti i movimenti come la
linea massimamenteretta misura di tutte le circonferenze
e
la
mas-
sima
presenzialit
ossia l'eternit
(maxima
praesentia
sive
aeternitas)
misura di tutti i
tempi:
in Dio tutti i moti naturali trovano
riposo
come nel loro fine
e
ogni potenzialit
in lui si
perfeziona
come in
uninfinita attualit. Poich
Egli
l'entit di
ogni
cosa esistente e
ogni
movimento mira
all'essere, si evince che
Lui,
che
per
definizione
quiete,
lo stesso
moto,
proprio perch
fine del moto
stesso,
ossia
forma, atto dell'essere. Tutti
gli
enti
pertanto
muovono verso Dio, e
poich
essi
sono finiti
e non
possono
in modo uniforme
partecipare
di
quel
loro
fine, come si
pu
notare dal
paragone
che si
pu
stabilirefra
essi,
cos alcuni di essi
partecipano
del fine
per
mezzo di altri inter-
mediari,
proprio
come la linea
a mezzo del
triangolo
e del circolo si
riconduce alla
sfera, e il
triangolo
si riconduce alla sfera
per
mezzo
del circolo e il circolo alla sfera da solo>>.2
LA
DEDUZIONE DELLA TRINIT
Il Cusano
uno dei
pochi teologi
del
Quattrocento
che si
occupato
del mistero trinitario in modo
originale.
Per l'autore del De docta
igno-
rantia
questo
mistero non costituisce
pi
come
per
i Padri
un
problema.
I
grandi
Concili ecumenici del IV e V secolo l'avevano chiaramente defi-
nito con la notissima formula: il Dio cristiano uno nella natura e trino
nelle
persone.
L'interesse del Cusano
perci
si concentra
principalmente
sulla
questione linguistica
e
anche
per
risolvere tale
problema egli
si ri-
volge
al
neoplatonismo.
Com'
noto, quello
dei
neoplatonici
un sistema essenzialmente tri-
nitario, costruito sulle tre
ipostasi primariedell'Uno,
il Nous
(Intelligen-
za) e la
Psych (Anima). Mario Vittorino vi
aveva trovato
una
figura
ec-
cellente
per
dare
espressione linguistica
e concettuale al mistero cristia-
no
della Trinit.
Ma,
poco dopo, Agostino
aveva abbandonato
l'immagi-
25) lbid.
Nicol
Cusano,
MarsilioPicino, Giordano Bruno 27
ne
metafisica dei
neoplatonici
e l'aveva sostituita con la sua
celeberrima
immaginepsicologica
dell'anima che dotata di tre facolt: la
memoria,
l'intelletto e
la volont
(amore), e aveva
chiamato il Padre
memoria,
il
Figlio
intelletto e lo
Spirito
Santo amore.
Nicol Cusano
ripristina
lo schema metafisico di
Plotino,
Porfirio
e
Proclo, ma
anzich far derivare la seconda
e
la terza Persona dall'Uno
per
Via di
emanazione,
fa derivare la
seconda,
il
Figlio, per
Via di
genera-
zione e
la
terza,
lo
Spirito
Santo,
per
via di connessione.
inoltre,
per parla-
re delle tre
persone
divine
egli
introduce tre
singolari espressioni:
unit
per
il
Padre,
eguaglianza per
il
Figlio,
e
connessione
per
lo
Spirito
Santo.
Egli giudica questo linguaggio migliore
di
quello
tradizionale,
conside-
rato
troppo antropomorfico:
Se i nostri dottori santissimi chiamarono
l'unit
padre, l'eguaglianza spirito
e la connessione
spirito
santo,
lo fe-
cero
per
una certa connessione con le cose mortali.7 Inoltre il Cusano
crede che
con
questo linguaggio
sia
pi
facileintendere le
processioni
divine che mediante il
linguaggio dellanalogia psicologica.
Pare infatti
cosa ovvia che la seconda
persona
essendo
eguale
al Padre come
lui
coeterna,
infinitamente
potente, sapiente,
ecc.
E
pare
cosa
altrettanto
ovvia che
se la terza
persona
definita come
connessione sia
eguale
alle
prime
due dalle
quali procede.
Scrive il Cusano: Procedere
significa
un
certo estendersi d'una cosa
nell'altra.
Quando
due cose sono
eguali,
una
certa
eguaglianza
si estende dall'una
all'altra,
che in
qualche
modo le
congiunge
e le connette. Si dice
dunque giustamente
che la connessione
procede
dall'unit e
dallbguaglianza
dell'unit. La connessione non
riguarda
un termine
soltanto, ma unit che
procede
dall'unit verso
l'eguaglianza
e
dall'eguaglianza
dell'unit verso l'unit. Giustamente si
dice
procedere
dall'uno e dall'altro,
perch
si tratta
quasi
di
un estender-
si
reciproco
dall'uno Verso
laltro.28
Il Cusano
per parlare
della Trinit non
impiega neppure
i termini
sostanza, natura",
per
indicare
l'unit, e
"persona" per
indicare la
trinit: vuole evitare
questa terminologia, pur
antichissima, nicena,
per-
ch
troppo legata all'esperienza
del mondo o
anche forse
perch
risente
di Aristotele.
Egli preferisce
le formule
speculative:
unit, eguaglianza
e
connessione,
provenienti
da Boezio e
dalla scuola di Chartres. Resta
per
che anche
questi
termini e
la stessa concezione di
una
relazionetri-
nitaria,
il
pensiero
di
una relazionalit in
Dio, sono connessi alla
rappre-
sentazione del
mondo,
sia
pure
secondo il modello
platonico.
In s
-
senza
vederlo in
rapporto
al mondo - Dio
semplicemente
infinito,
di
lui nulla si
pu
dire, e nessuna
terminologia
trinitaria lo
pu esprimere.
27) lhid, l,
9.
28) Ibia,
6.
28 Parte
prima
La
preferenza
del Cusano
per
l'astratt0
spiega
il suo uso
della mate-
matica e della
geometria
in
questo argomento
trinitario. Si tratta
pero
di
un uso traslato e simbolico delle
figure geometriche
(linea,
triangolo,
cerchio, sfera).
la
parte
certo
pi
caduca del
pensiero
cusaniano, non
tanto
per
la teorizzazionedel
simbolo, forse,
quanto per
il
suo concreto
impiego,
che d
luogo
a un
apparato pesante
e barocco,
ereditato da
Raimondo
Lullo
e
da Eimericoda
Campom?
LA CREAZIONE
Nella dottrina della creazione il Cusano non si allontana dalle
posi-
zioni tradizionali che sotto
l'aspetto linguistico, poich
nella sostanza
egli
ricalca la linea dottrinale di S. Tommaso. Come
lAngelicoegli
ricor-
re ai classici concetti di
partecipazione
e assimilazione, e sostituisce
invece
quello
di comunicazione con contrazione ed
esplicazione,
che
definiscono
meglio
la natura dell'azione del Creatore. Ci che Dio crea
urfesplicazione
contratta dellUno. Il mondo o universo il contratto
massimo ed
esiste in modo contratto nell'essere di
ogni cosa,
in tutte le cose
prin-
cipio contratto,
fine contratto delle
cose,
ente
contratto,
infinit
con-
tratta,
cosi da
essere infinito contratto (...).
Ma l'unit
contratta,
che
l'universo
uno,
sebbene sia uno massimo,
essendo
contratto, non
sciolto da
pluralit,
anche
se non vi che
un solo massimo contratto.
Sebbenesia massimamente
uno,
la sua unit tuttavia contratta nella
pluralit,
anche
se non vi che
un solo massimo contratto. Sebbene
sia massimamente
uno,
la sua unit tuttavia contratta nella
plura-
lit, come l'infinita contratta nella
finitezza,
la
semplicit
nella com-
posizione,
l'eternit nella
successione,
la necessit nella
possibilit,
e
cos
via; come se la necessit assoluta si comunicasse
senza mescolan-
za,
e finisse nel suo
opposto
in modo contratto>>fi0
Le creature sono entit solo in
quanto partecipano
in modo contratto
dell'unit
assoluta, di cui
divengono esplicazioni
e
somiglianze.
Il concetto di
esplicazione
usato dal Cusano
come
corrispettivo
di
quello
di
complicazione.
Contro le
accuse
di
panteismo
che
gli
furono
mosse a
proposito
di
questi
concetti,
Cusano ne
d
un
chiarimento nel-
l'opera Eapologia
della dotta
ignoranza
difendendosi
dagli
attacchi dell'a-
ristotelico Giovanni Wenck. Il
principio primo
di
non-contraddizione,
cui si
appellava
il
Wenck,

primo
secondo il Cusano solo nell'ambito
della
ragione
discorsiva, ma non
rispetto
allintelletto intuitivo. Le cose
39)
G.
SANTINELLO,
op.
cit,
p.
24.
30) De dotta
ignorantia
Il, 113-114.
Nicnl Cusano, Marsilio
Ficino,
Giordano Bruno 29
sono
in Dio solo
complicativamente,
mentre nell'universo si
esplicano
da lui
secondo le contrazioni.
Questa
Verit Vale solo
per
il nostro intelletto. Cu-
sano non
ha mai affermato la coincidenza della creatura con
il Creatore.
Nel terzo libro dei
dialoghi
delldiotoCusano chiarisce
ancora
meglio
il concetto di
esplicazione collegandolo
con
quello
di assimilazione:
come Dio l'entit assoluta che la
complicazione
di tutti
gli
enti,
cos
la nostra mente
l'immagine
di
quella
entit infinita che la
complica-
zione di tutte le
immagini.
Perci se
chiamerai
questa
divina
sempli-
cit mente infinita, essa sar
l'esemplare
della nostra mente. Se chiame-
rai la mente divina totalit di verit delle
cose,
dirai che la nostra mente
la totalit delle assimilazioni delle
cose,
s da
essere
la totalit delle
nozioni. La concezione della mente divina la
produzione
delle cose. La
concezionedella nostra mente la nozione delle cose.
Con i concetti di
partecipazione,
contrazione,
esplicazione
e assimila-
zione il Cusano si mette al
riparo
da
ogni
accusa
di
panteismo.
Linfinita
differenza
qualitativa
che
separa
le creature dal Creatore viene
adegua-
tamente
espressa,
e si tratta
per l'appunto
di una
differenza
qualitativa
e
non
semplicementequantitativa
come
nel
neoplatonismo.
LUCI OMBRE NET. PENSIERO DEL CUSANO
Pensatore indubbiamente
geniale,
uno
dei
pi grandi
metafisici di
tutti i
tempi
secondo K.
Iaspersfi
il Cusano non ebbe
praticamente
nes-
sun
discepolo,
n una
scuola
teologica
che si sia fatta carico della diffu-
sione del suo
pensiero
e le sue dottrine. Cos la fama del Cusano nel
Cinquecento
e Seicento risulter
maggiormente legata
alla sua
cosmolo-
gia
che alla
sua
teologia.
<<La
cosmologia
del Cusano fu viva in tutto il
'500 e
agli
inizi dell'et moderna. Tracce dell'influenza cusaniana sono
state rilevatein
Copernico
(...).
Cenni sulle tesi
cosmologiche
cusaniane
sono
rinvenibiliin
Campanella
e
Keplero,
in
Cartesio,
Mersenne e Gas-
sendi.32
Come abbiamo
pi
volte
osservato,
il Cusano riuscito a creare una
poderosa
sintesi tra
platonismo
e cristianesimo,
dove
per
il cristianesi-
mo sembra
pagare troppo
cara la sua alleanza col
platonismo.
Si ha l'im-
pressione
che il
platonismo
in Cusano la faccia da
padrona
anzich da
ancella, e
che nella razionalizzazione
platonica
del Cusano le verit teo-
logiche
siano trasformate in verit metafisiche. Il Cusano era convinto
che il Vecchio
(le
verit del
cristianesimo) non si
poteva respingere
e
che
il
nuovo (Yumanesimo
neoplatonico)
non si
poteva
misconoscere e Cos
31) Cf. K.
JASPERS,
I
grandifilosofi,
Milano1973,
p.
1034.
32)
G.
SANTINELLO,
Introduzionea Nicnl
Cusano, Laterza,
Bari
1971,
p.
144.
30 Parte
prima
cerc di fonderli in una mirabilesintesi
prendendo
da essi
quanto
di
Vitale
e
appropriato
alle nuove
esigenze
essi offrivano.
Ernst Cassirer dice
giustamente
che la filosofiadel Cusano cresce e
si
sviluppa
a contatto dei
problemi
della
cristologia,
delle
questioni
della Trinit e della incarnazionedi
Dio;
il Cusano non
prende
come
punto
di
partenza
il
nuovo contenuto (della nuova et del Rinascimen-
to), ma trasforma e
perfeziona
il materialetradizionale
(del Medioevo);
la
teologia
costituisce
perci
il centro unitario del sistema intorno
ad
essa
gravitano
i concetti fondamentali>>.33
Ma, a
ben
vedere,
nel
Cusano c' un'eccessiva
ontologizzazionc
dei misteri cristiani - ben
pi
grande
di
quella
che alcuni autori hanno
rimproverato
ai
padri
della
Chiesa
-.
E anche
se l'accusa di
panteismo
che
spesso gli
stata
mossa,
risulta
infondata,
perch egli
non si stanca di
ripetere
che la massima
unit con Dio non
sopprime
la distinzione
personale
della
creatura,
cio-
nondimeno l'eccessiva
ontologizzazione
lo
porta
a trattare
gli
abitanti
del Cielo
pi
come
principi
metafisici che
come
persone.
Ma il
Vero
punch/m
dolens della
teologia
e dell'intero sistema del
Cusano costituito dal
principio
della c0incidentia
oppositorum".
Le
ragioni
che
possono
avere convinto il Cusano della bont di
questo prin-
cipio
sono
due:
1)
l'infinita di
Dio,
la
quale comporta
che in lui siano
presenti
tutte le
perfezioni presenti
nell'universo; 2)
il desiderio di sot-
trarre la nostra conoscenza di Dio
agli
schemi
e ai criteri della
ragione
che
sono
quelli
delle distinzioni chiare
e
precise,
dei
giudizi categorici,
dei
principi
di identit
e
di
contraddizione,
dei
ragionamenti rigorosi
ecc. Ma
questa preoccupazione
era
gi presente
nei
padri
e
negli
scola-
stici i
quali
avevano
affermato sia l'infinita
perfezione
di Dio sia la
sua
inconoscibilit,senza
peraltro
ricorrere alla coincidentia
oppositorum.
Essi
avevano anche
professato
il
principio
della dotta
ignorantia,
ma senza
contrabbandarlo
poi
con una
presunta
conoscenza
superiore,
ultra-
razionale,
che
pretende
di dire di Dio tutto
quanto
a
livello razionaleera
gi
stato dichiarato indicibile.
Agostino,
Anselmo
e Tommaso esclude-
vano
che la coincidenta
oppositorum
fosse utilizzabile
per
parlare
di
Dio,
poich
dalla sua natura assente
qualsiasi imperfezione
e
limitazione.
Degli opposti:
benee male, verit ed
errore,
bellezzae bruttezza, amore
e odio, essere e nulia ecc. uno solo
applicabile
a Dio,
quello
che
conno-
ta
perfezione.
La teoria della COHCIETZH
oppositorum
non conduce all'in-
finitamente
perfetto
bens a un caos totale, a un mare immenso dove
tutto confuso e indistinto. Nel suo ottimo studio sul
Cusano,
F. Van
Steenberghen,
a
proposito
del
principio
della coincidentia
oppositurum
osserva
giustamente
che
se
per
un verso esso costituisce
l'originalit
33) E.
CASSIRER,
Storia della
filosofia
motierna, Einaudi,
Torino
1961,
p
140.
Nicol C
usano,
Marsilio
Ficino,
Giordano Bruno 31
essenziale del suo
pensiero
e del suo sistema,
per
un
altrp
verso costitui-
sce
anche la
sua
debolezza
e
il
suo
maggior pericolo.
E molto difficile
comprendere
il valore che il Cusano riserva alla facolt di
conoscere
propriamente umana,
cio la
ragione,
la sola che ci
possa permettere
di
controllare le nostre conoscenze e
organizzarle
in un tutto coerente e lo-
gico.
Senza dubbio
egli pretende
di
applicare
la coincidenza soltanto
all'essere
assoluto, a Dio, e alla sostanza dell'essere
partecipato;
ma se
il
principio
di contraddizione
non
ha valore che
per
la nostra
ragione,
0
almeno
per
ci che
oggetto
della
ragione,
non si vede
come
si
possa
ancora
parlare
di metafisica o
di
teologia,
e con che diritto il Cusano
possa
discutere di
questioni
che
riguardano
unicamente
gli oggetti
di in-
tuizione. Se
cos,
le affermazioni
dellintelligenza
sono senza
possibi-
lit di
controllo; le sue affermazioni
non sono
pi
vere delle
sue
nega-
zioni: la
porta

aperta
a un
tempo,
allilluminismo,
al fideismo
e all'a-
gnosticismo>>fi4
Anche la
simbologia
matematicatanto cara al Cusano
e
da lui utiliz-
zata
proprio
per
illustrare la coincidentia
oppositoruni

semplicemente
illusoria. Infatti si tratta
quasi sempre
di simboli
impossibili
come la
coincidenza di
una retta con una curva: infatti fino a
quando
una retta
tale
non sar mai una curva e finch
una curva
tale, non sar mai
una
retta;
oppure
la coincidenza di
un
triangolo
con un
cerchio:
perch
fin-
ch
un
triangolo
rimane
triangolo
non diventer mai
un
cerchio
e
finch
un cerchio un
cerchio
non diventer mai un
triangolo.
Nel suo insieme,
la
proposta
cusaniana rimane affascinante
per
la
sua
profondit
e
per
le
sue
suggestioni.
Il
suo sistema
non e affatto eclettico
ma assai
compatto
e unitario. La sua filosofia
per
lui una ricerca con-
tinua, o
piuttosto
una serie di ricerche
convergenti
della verit. Essa
costituita da
un insieme di
idee,
al
primo aspetto
confuse ed
espresse
pi
o meno nettamente, ma
che
gravitano
attorno a un centro immutabi-
le.
Questo centro
una metafisica
religiosa
che
implica
tre verit fonda-
mentali: la trascendenza di
Dio,
la
sua causalit
creatrice,
la finalit del-
luomo.35
MarsilioFicino
Il secondo
grande
tentativo
operato
nel
Quattrocento
di creare una
vasta sintesi tra
platonismo
e cristianesimo fu realizzatoda Marsilio Fi-
cino.
Questi, a
quanto pare, agisce
in modo
completamenteindipenden-
te dal
Cusano,
del
quale
non
ignora
soltanto le
opere
e
il
pensiero
ma
34) F. VAN
STEENBERGHN,
Le cardinal Nicnlas de Cues (1401-1464). L'artista La
perasc,
Paris
1920,
p.
446.
35) lbid.,
pp.
443-444.
32 Parte
prima
persino
il
nome esatto. Nellunico testo in cui
parla
di lui ci d una ver-
sione
storpiata
del suo nome:
Speculationes
Nicolai Caisii
(o Cusii).36
Pur essendo entrambi
platonici
cristiani,
i loro indirizzi filosofici so-
no sostanzialmente diversi: il
platonismo
del Cusano
conserva ancora
un carattere fortemente
teocentrico, mentre
quello
del Ficino diviene
marcatamente
antropocentrico.
La
preoccupazione primaria
del Cusano
far luce
sullUno,
l'assolutamente
Massimo, Dio, e la dottrina della
dotta
ignorantia
nonch la
logica
della coincidentia
oppositorum rispondo-
no esattamente a
questa esigenza.
Invece la
preoccupazione
del Cusano

quella
di evidenziarela
grandezza
dell'uomo,
il
microcosmo,
il
piccolo
Dio. Oltre che
negli
obiettivi il Cusano e il Ficino si
distinguono
anche
nei metodi:
quello
del Cusano essenzialmente un metodo
speculativo,
senza nessun interesse
filologico,
mentre
quello
del Ficino
primaria-
mente
filologico
e solo secondariamente
speculativo.
VITA E OPERE
Marsilio Ficino
nacque
a
Figline
in Valdarno il 19 ottobre 1433. Dal
diminutivo del
nome
paterno,
Diotifeci,
deriv
l'appellativo
Ficino.
Indirizzato
agli
studi di
medicina,
il Ficino non si distolse tuttavia dal-
l'interesse
per
le
lettere,
alle
quali
fin
per
dedicare
gran parte
della sua
attivit,
sin dal
1459, anno in cui Cosimo dei
Medici,
riconoscendoin lui
doti eccezionali di
studioso,
di umanista e
di
pensatore, prese
a
proteg-
gero
con
munificenza mecenatesca. Poco
tempo dopo
inizi lo studio
del
greco,
del
quale
si
impadron
ben
presto.
Avuta in dono da Cosimo
la villadi
Careggi,
in
questa egli
alternava il lavoro di traduzione
degli
scritti
platonici
(Platone, Plotino, Proclo,
Pseudo
Dionigi
ecc.)
alle
con-
versazioni di
argomento
filosofico,
politico,
letterario, con
gli
amici:
que-
sto cenacolo di studi fu detto Accademia
platonica.
Sono
gli
anni
pi
fe-
condi del Ficino. Pubblica i
primi
scritti: De
voluptate,
De laudibus
philo-
sophiae,
De laudibus medicinae. Presto iniziail lavoro di traduttore:
gli
inni
attribuiti a Orfeo e a Omero,
la
Teogonia
di
Esiodo;
gli
inni di
Proclo,
i
dialoghi
di Platone
(alcuni
dei
quali
comment: famoso il Commento al
Simposio),
le Enneadi di
Plotino,
di cui scrisse anche
un commento. Dello
Pseudo-Dionigi
traduce il De divinis nominibus e
la De
mystica theologia.
Nel
platonismo
Ficino
scopre
profonde
consonanze
col cristianesimo
e cos si delinea
sempre pi
chiaramente nel suo
pensiero
il
progetto
di
operare
un
connubio tra
queste
due
grandissime
correnti
spirituali.
Di
fatto,
il connubioideale tra
platonismo
e cristianesimo si trova realizza-
to non
soltanto nella dottrina
ma
anche nella
personalit
di Marsilio
36) Cf. P. O. KRISTELLER, Studies in the Renaissance,
Thouglat
and
Letters,
Roma 1956,
p.
36, n. 1.
Nicol
Cusano,
MarsilioF
icino,
Giordano Bruno
33
Ficino,
il
quale pratico
sempre,
con animo
pieno
di sincera
religiosit,
il
culto cattolico e fin col farsi ordinare
prete,
cedendo, a
quanto pare
alle
esortazioni di Lorenzo il
Magnifico,
nel 1473.
Riallacciandosi alla tradizione
platonica
e meditando sui testi di Pla-
tone,
Plotino e Proclo,
il Ficino
concep
il
disegno, portato
a termine nel
periodo
della sua maturit
spirituale,
dal 1469 al
1475,
di ricostruire su
fondamento
platonico
la
teologia
cristiana:
nacquero
cos i diciotto libri
Tlzeologiaplatonica
de irrimortalitate
animorum,
pubblicati
nel 1482 e il trat-
tato De christiana
religione,
in cui l'intento
apologetico
si
congiunge
all'assunto fondamentale della dottrina
ficiniana,
poich
il
platonismo
V considerato
come
il nucleo essenziale di
una
teologia
razionalei cui
principi
coincidono
con
quelli
della rivelazionecristiana: tale coinciden-
za il
principale argomento
con cui si riesce a
dimostrare l'eccellenza
del cristianesimo
rispetto
alle altre
religioni.
Dopo
il 1474 il Ficino scrisse
opere
di mistica
religiosa
e
di morale:
De
rapta
Paali;
De divina
providentia;
De
lamine;
Sermoni morali della stulti-
tia et miseria
degli
uomini. Gli studi
non distraevano il Ficino dai suoi
doveri sacerdotali:
ne sono
prova
le
Praedicationes,
da lui tenute a S. Ma-
ria del Fiore e nella chiesa
degli Angioli
e
che
non
poche
volte
congiun-
gono
ai sentimenti di
piet religiosa
dotti motivi di
speculazione.
Dalle
pubbliche
lezioni del Ficino
nacque
il commento alle
Epistole
di S. Paolo.
Per la vita di Ficino
come
uomo,
prete, pensatore
e medico e tutta
rispecchiata nellfpistolarii)
in 12 libri. ll Ficino mor a Firenze il 1 otto-
bre 1499.
IL PROGETTORELIGIOSO-TEOLOGICODI FICINO
Ficino l'autoredi
un
progetto religioso-teologico
assai
ambizioso,
al
quale
si d
generalmente
il
nome
di
platonismo
cristiano ma
che in realt
Vuol
essere molto di
pi.
Infatti l'obiettivo
principale
e costante del Fici-
no
fu
quello
di elaborare
una nuova
filosofia religiosa
tesa a unificare in
un unico sistema tutta
l'esperienza religiosa
dell'umanit. Ci
significa
che,
per
Ficino, tra le varie
religioni
dell'umanit
precristiana
e cristiane-
simo non si d antinomia ma una certa continuit:
esse fanno
parte
di
un unico
processo
storico-salvificoche ha
come
punto
culminante
e con-
clusivo il cristianesimo. L'idea del Ficino
aveva
gi
avuto dei
precedenti
nell'epoca patristica.
Basti
pensare
alla dottrina del
Logos spermatiks
di
Giustino
e alla dottrina di Clemente Alessandrino
a
proposito
della fun-
zione
propedeutica
svolta dalla filosofia
greca rispetto
al
Vangelo.
Ma
ora in Ficino
queste
intuizioni
divengono
una teoria articolata di ben
pi
vaste
proporzioni.
Ma Ci che
peculiare
del
progetto religioso-teologico
del Ficino
che il filo
rosso che unifica
l'esperienza religiosa
dell'umanit
non
rap-
34 Parte
printa
presentato
dalla rivelazione
(distinguendo magari
tra una rivelazione
naturale e una
rivelazione
soprannaturale
come si usa fare
oggi)
bens
dalla filosofia.Cos nella sua veste di
piofilosofo
il Ficino cerca di
cogliere
l'unica
sapicntia
in tutte le forme in cui si rivela,
nei libri sacri come
nella
risposta
dottrinale dei
poeti,
nellarmonia
pitagorica
dei
cieli, come nella
perfetta disposizione
della
natura,
espressa
nella
sua
perenne
bellezza.
In tal modo la
pia philasotvlzia
si trasforma in una
ciocta
religio, capace
di
cogliere
le radici divine del Tutto e
il mirabile
dispiegarsi
della Unit
eterna nella
molteplicit
inesauribiledella sua creazione.
ll
proposito
dominante del De christinna
religgione
consiste nel
procla-
mare
l'assoluta identit di
pietas
e
di
sapicntia,
ossia
l'inseparabile
con-
giunzione
della
religio
con la
philosorhiaz.
Ci consente al Ficino di richia-
marsi a
quei
dotti "divinamente
ispirati,
che nei
tempi
antichissimi fu-
rono insieme sacerdoti e
sapienti, indagatori
delle
causaererum e
ordina-
tori del culto attribuito alla
causa
prinm.
Cos
pu
scrivere che i
profeti
biblici furono non
solo uomini di altissima
piet,
ma
pure
filosofi;
che
nell'antico
Egitto
il sacerdozio fu
sempre
attribuito ai conoscitori della
natura,
maestri
pure
delle "cose divine;
che similmente
presso
i
Persiani,
i
Magi, depositari
dei misteri del
mondo,
presiedettero
ai
sacrifici;
che i sette
sapienti greci
ebbero anch'essi
dignit
di sacerdoti;
che i druidi celti furono i custodi di unbcculta filosofia non meno dei
bramani
indiani; e che,
alle
origini
cristiane,
quando
la fede era
pi
pura, episcopi
e
"presbiteri"
unirono alla verit ortodossa delle loro
dottrine
teologiche
conoscenze
filosofiche
non meno certe e utilissime.
Al divorzio tra
pietas
e
sapientia
che si era andato consumando alla
fine del medioevo Ficino vuole
reagire ricuperando quei principi
comu-
ni alla
sapientia
e
alla
religio,
ossia
quel
nucleo
pi
antico e
profondo
di
una veritas alla
quale
tutti
gli
uomini devono
partecipare.
Ma
questo
non
infirma nel Ficino la convinzione che solo la
religione
cristiana in
grado
di
operare questa
unificazione,
ricondurre cio
"piet
e
filoso-
fia nell'alveo di
un'esperienza sapienziale
unica e
riconoscere
quel
tanto di verit che tutte le fedi
e
le filosofienon
empie" possiedono
quando
non
siano
inquinate
o distorte dal loro fine dalla forza delle
passioni
e
"idola"
mondani,
oppure
inficiate
dallignoranza.
IL PLATONISMODI FICINO
Ficino
doppiamente legato
a
Platone: come
filologo
e come
teologo.
Come
filologo egli spese
molto
tempo
e
molte
energie
a studiare,
tradur-
re e commentare Platone e
i
neoplatonici.
Come
teologo
ha utilizzatoPla-
tone
per operare
una nuova sintesi tra cristianesimo e
filosofia creando
un nuovo
modello di
teologia platonica:
non
pi
teocentrica come
quella
dei Padri e
del Cusano,
bens
antropocentrica.
Nicol
Cusano,
Marsilio
Fi'cin0,
Giordano Bruno 35
Due sembrano le
ragioni
che hanno
spi.nto
il Ficino verso
il
platoni-
smo e a
fare di
esso
la
sua arma
principale
a difesa del cristianesimo:
l)
ll
dilagare
del naturalismoe del razionalismoin molti ambienti
uma-
nistici,
dove si metteva in dubbio l'immortalit dell'anima e la
provvi-
denza divina. Nella sua
polemica
antinaturalisticae a
sostegno
dei valori
spirituali,
Ficino trovava nel
pensiero platonico
ottimi
argomenti
a
favore
dell'immortalit
dell'anima,
della esistenza di
un mondo
e
di
una
giu-
stizia ultraterreni
e
della
provvidenza
divina. Penso - scrive il Ficino -
che sia stato
disposto
dalla divina
provvidenza
che anche le menti
per-
vertite di molti che
non
cedono facilmentealla sola autorit della
legge
divina,
siano convinti dalle
ragioni platonichc
che
suffragano
la
religione
(...) e
che coloro i
quali
pensano
solo
a
quelie
cose
che
riguardano
il
corpo
e infelicemente
antepongono
le ombre delle
cose alle cose stesse,
spinti
dalle concezioni
platoniche
finiscano
per anteporre
le
cose alle ombre?
2) Una certa insofferenza
verso
gli
schemi dellaristotelismoin cui si era
irrigidita
la
Scolastica,
dogmatizzando
e
ponendo
la filosofiain
una
posi-
zione di
dipendenza
dalla
teologia.
Questa
insofferenza del Ficino rivela
uno stato d'animo
comune a molti studiosi del suo
tempo,
ma
egli
il
primo
che,
dopo
la
polemica
tra
platonici
e aristotelci,
vede la
possibilit
del rinnovamentodela
teologia,
in
un ritorno a Platone
e al
neoplatoni-
sino e imbocca
coraggiosamente questa
strada.
Ma Platone
ripensato
dal Ficino attraverso la rielaborazione
ploti-
niana,
pi
vicina
certo,
col suo interno dinamismo
dialettico,
all'esigen-
za
spirituale
del cristianesimo che
non la
pura
dottrina intellettualistica
di Platone. Plotino
insegna
al Ficino la verit del
duplice atto,
per
cui nes-
sun ente
perfetto
resta immutabilesolo con se stesso
ma,
mentre resta in
s, emana e
trapassa
in
altro, infine se medesimo
e
l'altro. Cos il divi-
no,
uno
in se e trascendente,
anche
l'anima,
anche il
cosmo,
e l'anima
e
il
cosmo a loro volta si divinizzano interiormente. Nasce cos una
visione cosmica e
spirituale
che fa insieme
appello
alla trascendenza
e
allimmanenza
(o interiorit):
l'universo
paragonato
a un cerchio il cui
centro Dio e la cui
superficie
non che il centro medesimo nel suo
dinamismo
e
sviluppo;
Dio - detto - interno a ciascun essere
pi
che
esso non sia a se medesimo; l'uomo, infine, il
microcosmo,
che in s
ritrova le note di
perfezione
del
macrocosmo,
ed la realt tutta nel farsi
presente
a se stessa. Centro dell'universo
Dio, ma dal
punto
di vista
della ricostruzione
speculativa
dei
gradi
e
delle forme"
dell'essere,
an-
che luomo: si attua col Ficino
una visione
antropocentrica
del mondo.33
37)
Theologia platonica
XIV,
54
C.
CARBONARA, Umanesimo,
in
Enrirlopedili Filosofica
lV,
Firenze
1957,
CC. 1378-1379.
36 Parte
prima
ILCRISTIANESIMO DI FICINO
Sul cristianesimo di Ficino sono state dette molte inesattezze. A causa
del suo eccessivo entusiasmo
per
Platone,
alcuni studiosi hanno
messo
in dubbio la sincerit e l'autenticit della sua
fede cristiana. L0 hanno
accusato di avere
preferito
Platone a Cristo, Socrate,
Pitagora,
Plotino ai
santi del cristianesimo. Ma
queste
accuse sembrano totalmente
gratuite
e infondate. L'unico obiettivodi tutta
l'opera
di Ficino non fu convertire
il cristianesimo al
platonismo,
bens mettere Platone al servizio del cri-
stianesimo cos come aveva
fatto S. Tommaso con
Aristotele.
IndubbiamenteFicino rese
Platone
pi
cristiano di
quello
che fu in
realt. Cosi
per
es.
trattando della Trinit mentre
per
un verso
dichiara
che nei testi
platonici
di
questo
mistero non si
parla
mai
esplicitamente,
per
un
altro verso ammette che vi si incontrano clementi che in
qualche
modo alludono al mistero trinitario. Inoltre c' indubbiamentein Ficino
un
abuso del
linguaggio platonico.
Cos
per
esempio quando
afferma
che Ges Cristo non
fu altro che l'idea divina resa
manifesta
agli
occhi
umani (divina
ipsa
idea virtutum humarzis oculis
manifesta).
Ma Yortodossia di Ficino al di
sopra
di
ogni sospetto.
Nella
Theologia
platonica egli
dichiara: In omnibus
quae
hic aut alibi a me tractantur,
tan-
tum assertum esse
volo
quantum
ab Ecclesia
COHPTGHT
(In tutti
gli argo-
menti che
Vengono
da me
studiati
qui
o altrove,
intendo che stato so-
stenuto solamente
quanto

approvato
dalla Chiesa).
Nel De christiana
religione
ribadisce
pi
Volte l'idea che maestro della Vita non
Platone,
di cui
egli
non
pu
essere
che
un maestro inferiore;
il maestro vero e
autentico Ges Cristo. Ci che di valido e salutare stato detto da Pla
tone e
dagli
altri filosofi, non
accaduto senza
la
grazia
del
Signore.
Quanto
profondo
e
sincero fosse il suo
impegno religioso
Ficino lo fece
intendere,
in
una sua lettera,
allorch invitato a
difendere la
religione
cristiana,
rispose
che lo faceva volentieri: non
quia religio
huiusmodi
defensoribus egeat
(...) sed
auia
tunc solum
feliciter
vivere,
ima tunc solum
viziere mihi videar cum
de divinis scriba et
loquor
aut
cogito
(non
perch
una
tale
religione
abbia
bisogno
di
difensori, [...] ma
perch
solo allora mi
sembra di vivere felicemente,
anzi solo allora mi sembra di vivere
quan-
do scrivo e
parlo
o
medito sulle cose divine).39
DIGNITDELL'UOMO E IMMORTALITDELL'ANIMA
Sostanzialmente cristiana la concezione che Ficino ha di
Dio,
del-
l'uomo e dell'universo,
anche se
trattando di
questi argomenti
il suo
ricorso al
linguaggio
dei
neoplatonici
molto insistente. Per Ficino
Dio,
39)
Cf.
"Ficin",
in DTCV/ 2,
2286-2290.
Nicol
Cusano,
Marsilio
Ficino,
Giordano Bruno
37
che
per
il
neoplatonismo
era l'Uno
semplicissimo,
assolutamente
imper
sonale, si
trasforma, come
insegna
il
cristianesimo,
in
persona
autoco-
sciente che, nella sua infinit, conosce il tutto in s come causa
prima
del
tutto. Ficino afferma tuttora con
Plotino che le
cose ex Deo
rrzariant, ma la
sua emanazione ha i caratteri della
creazione, come atto che trova le
sue
radici nella
sapienza
e nella bont di Dio.
Inoltre, mentre l'Uno
plotinia-
no dimora beatonella sua solitudine e non si
cura del mondo che deriva
da
lui,
il Dio ficiniano
ama
le
sue creature,
le
illumina,
infonde in
esse
la
grazia
ed
egli
stesso si
incarna,
diventandol'Uomo-Dio.
L'uomo,
partecipe
a un
tempo
del mondo
spirituale grazie
all'anima
e
di
quello
materiale,
grazie
al
corpo
a suo
modo tutte le
cose,

copula
mandi, vera aniversoram
conaexio,
il microcosmo.
Egli
infatti imita Dio
con l'unit,
gli Angeli
con l'intelletto, la
specie propria
dell'anima
con la
ragione, gli
animali bruti col
senso,
le
piante
col
nzitrimerzto,
le
cose inani-
mate col
semplice
essere. L'uomo dell'universo
gode
di
una
particolare
dignit
e
questa

riposta
essenzialmente nella libert di cui l'anima
dotata e
per
cui
l'uomo,
invece di trovarsi confinatoin una
determinata
sfera
dell'essere,
pu,
volendo,
diventare
tutto, e
pu
ascendere fino a
Dio.
Del
problema
dell'immortalit
dell'anima,
problema
dibattutissimo
nella seconda met del
Quattrocento,
Ficino si
occupa per
esteso nei
suoi
Tlzeologia platonica
de immortalitate arriiirorirm libri XVIII. Contro
gli
aristotelici della linea averroistica che
negavano
l'immortalit dell'ani-
ma
personale,
Ficino adduce moltissimi
argomenti
a favore della tesi
contraria,
in
particolare
la libert
(IX, 4),
la tensione verso
l'infinito
(XIV, 5),
l'aspirazione
a esistere
sempre
(XIV, 5),
lo sforzo di diventare tutte le
cose (XIV, 3).
E cos l'anima
pur
mescolandosi
con le
cose mortali, resta
in se stessa immortale.
Infatti, come essa si inserisce tutta intera,
cos
tutta intera si
ritrae, senza
disperdersi.
E
poich,
mentre
regge
i
corpi,
resta ancora attaccata alle cose divine,
signora
dei
corpi,
non
compa-
gna.
Questo
il miracolo
pi grande
che si dia in natura.
Infatti, mentre
le altre cose che
sono al di sotto di Dio sono
singolarmente
ciascuna
una
sola
cosa,
questa
tutte le
cose insieme. Possiede in s
l'immagine
delle
cose divine da cui
essa stessa
dipende,
ma delle
cose inferiori
possiede
le
ragioni
e i
modelli,
che
essa stessa in certo modo
produce.
Ed essendo
nel
mezzo
di tutte le
cose, possiede
le forze di tutte le
cose. Che, se
cos,
penetra
in tutto. E
perch
essa medesima il
vero e
proprio legame
dell'universo, mentre
passa
in altro
non
abbandona ci in cui si
trova,
ma si trasferisce di cosa in
cosa e tutto
sempre
conserva,
cosicch
a
cagione pu
dirsi centro della
natura,
mediet di tutte insieme le
cose,
serie del
mondo,
volto del
tutto,
nodo e
congiunzione
del mondo
(III, 2).
4)
Cf. De cliristiana
religione,
c. 16.
38 Parte
prinza
Queste
le linee essenziali del
pensiero
ficiniano. Ma la concezione
neoplatonica
dell'essere,
portando
il Ficino a
vedere nel cosmo
forze di
natura
psichica,
10 condusse altres alle
soglie dell'astrologia
e della
magia,
dal cui fascino
egli
fu senza
dubbio
conquistato.
E
poich
come
medico usava
delle
preghiere
come
di un mezzo curativo e credeva al-
l'influenza
degli
astri,
fu accusato di
negromanzia
sotto Innocenzo VIII
(1484-1492), e fu costretto a
difendersi con una
Apologia.
INFLUSSO DI FICINO SUI POSTERI
Vasta risonanza ebbe il
pensiero
di Marsilio Ficino
negli
ambienti
filosofici,
artistici e
letterari italiani del
Cinquecento:
in
particolare
su
Michelangelo
in arte e
Giordano Bruno in filosofia. Per il
progetto per
cui
egli
aveva tanto assiduamente c calorosamente lavorato: creare una
nuova
sintesi tra
platonismo
e cristianesimo,
ebbe
pi
ammiratori che
seguaci.
Tuttavia
egli
riusc a creare uno
spirito, segnalo
i
pericoli
del-
lumanesimo dotto,
indic
un orientamento
nuovo,
e
questo spirito
che,
gi
durante la sua vita,
si diffuse in Italia, Germania, Francia,
vi
ispir
pensatori
e artisti,
penetr profondamente
nell'umancsimo modifican-
done le tendenze e le manifestazionbifll
Il
pi
illustre
discepolo
di Ficino fu Giovanni Pico della Mirandola
(1463-1494),
il
quale
ebbein comune col suo maestrol'obiettivodi rinno-
vare
il
pensiero
cristiano riconducendolo a Platone e ai
neoplatonici.
Come
Ficino,
Pico aveva una
grande preparazionefilologica
ma lo
supe-
rava
per
acutezza di
ingegno
e
forza sistematica.
Purtroppo
la brevit
della sua esistenza non
gli
consent di realizzarei suoi ambiziosi
proget-
ti. Il suo
capolavoro filosofico-teologico
costituito dalla celebre orazio-
ne De hominis
dignitate,
forse il
pi
alto documento della
speculazione
umanistica sull'uomo. Pico esalta l'uomo
perch
la sua essenza
spiritua-
le si attua nella libert delle scelte
e
delle determinazioni. O
suprema
liberalitdi Dio
padre!
O
suprema
e
mirabilefelicit dell'uomo! a cui
concesso
di ottenere ci che desidera,
di essere
ci che vuole. I bruti nel
nascere seco recano
dal seno materno tutto ci che
avranno.
Gli
spiriti
superni
o dall'inizio o
poco dopo
furono ci che
saranno
nei secoli dei
secoli. Nell'uomo nascente il Padre
ripose
semi
d'ogni specie
e
germi
d'ogni
vita. E secondo che ciascuno li avr coltivati,
quelli
cresceranno e
daranno in lui i loro frutti. E
se saranno
vegetali
sar
pianta;
se sensibili,
sar
bruto;
se
razionali,
diventer animale celeste; se intellettuali,
sar
angelo
e
figlio
di Dio.
41) P. lMBART DE LA TOUR,
Les
origines
de la
Reformc,
Paris
1909, II,
p.
337.
Nicol
Cusano,
Marsilio F
icino,
Giordano Bruno
39
L'uomo,
dunque,
per
la
sua
capacit
di
conoscere la verit e di fare il
bene creato a
immagine
e
somiglianza
di
Dio,
libero di
autogestirsi
e
di modellarsi.
perci
microcosmo del
macrocosmo. Tuttavia, come ri-
sulta dal brano
Citato,
tale
posizione
di un umanesimo teocentrico fini-
sce
per
esaltare esclusivamente la
singolare grandezza
dell'uomo
a
spese
della sua umiliantemiseria: sfocia cosi in
un ottimismo
antropolo-
gico
molto
pericoloso
che, a un certo
punto generer quell'uomo prome-
teico e faustianoche creder di
poter
fare
a meno
di Dio.
Giordano Bruno
VITA E OPERE
Filippo
Bruno
nacque
a Nola nel 1548. Fu in
Napoli
a
imparar
littere
de
umanit,
logica
e dialetticasino a 14 anni, Sui
quindici
anni entr in
Napoli
nel convento di San
Domenico, nellOrdinedei
Predicatori,
pren-
dendo il
nome
di
Giordano,
che
mantenne
per
tutta la vita. Poco
dopo
l'ordinazione sacerdotale fu istruito contro di lui
un
processo
deresia.
Allora,
temendo di
essere messo
in
prigione,
se ne and da
Napoli
e
arriv a Roma,
nel convento di Santa Maria
sopra
Minerva. Ma le noti-
zie
giuntegli
da
Napoli sullaggravarsi
delle
accuse contro di lui e
il ti-
more di
essere
incolpato
di un assassinio
commesso in Roma da
un altro
frate, lindussero
a
fuggire
anche da Roma
deponendo
l'abito. Si rec
prima
a Noli,
quindi
a Savona, a Torino
e a Venezia,
dove fece
stampare
un certo
libretto,
intitolato Dei
segni
dei
tenrpi,
che e andato
perduto.
Lasci l'Ordine Domenicano nel 1576
per
Contrasti dottrinali. Si
rifugio
quindi
in
Svizzera,
poi
in
Francia,
Inghilterra,
Germania
e, infine, a
Venezia,
dove
era stato invitato da Giovanni
Mocenigo,
che desiderava
essere istruito da lui nella mnemotecnica
(tecnica
per
rafforzare la
me-
moria)
di cui il Bruno
era
grande esperto
e su cui aveva
pubblicato
varie
opere,
tra cui il De umbris idearum. Ma il
Mocenigo,
insoddisfatto dell'in-
segnamento
ricevuto,
lo denunzi al Sant'Uffizio
per
le dichiarazioni
eretiche
fattegl. interrogato dall'lnquisizioneveneta,
Bruno chiese
per-
dono delle
sue eresie e dubbi
e
promise
di far riforma notabiledella
sua vita. Senonch il Sant'Uffizio chiese
e ottenne che il Bruno fosse
inviato a Roma
dove,
rinchiuso nelle
carceri,
fu
lungamente
e a molte
riprese interrogato per
un
periodo
di otto anni.
Quando
gli
furono
con-
testate
proposizioni precise,
il 21 dicembre 1599 il Bruno
rispose
di
non
riconoscervi eresia e di
non
sapere
che
cosa dovesse
ritrattare;
allora
papa
ClementeVIII ordin di
rompere gli indugi
e affrettare la sentenza.
L'8 febbraio 1600
gli Inquisitori pronunziarono
la sentenza: come eretico
impenitente,
il Bruno doveva
essere
degradato
da tutti
gli
ordini eccle-
siastici,
scacciato dalla Chiesa
e rilasciatoalla Corte del Governatore di
40 Parte
prima
Roma
"per
le debite
pene".
Poich la
pena per
gli
eretici
impenitenti
era
il
rogo,
il Bruno fu
arso
in
Campo
dei Fiori il 17 febbraio 1600. La fer-
mezza
mostrata nel
lungo processo
romano e
Yintrepidezza
con cui sal
al
rogo
ne fecero un
martire del libero
pensiero e,
come tale,
fu varia-
mente celebrato
lungo
i secoli.
La vasta
produzione
letteraria del Bruno si concentra nel decennio
che va dal 1582 al 1592 e abbracciatesti in
prosa
e
in
poesia, opere
latine
e italiane. Fondamentali
per
il suo
pensiero
metafisico sono
il De I
infini-
to universo e
mondi e
il De immenso (versione
atina
dell'opera preceden-
te).
Altre
opere importanti
sono
il De la
causa, principio
e [H10
che e il
pro-
logo
al De
l'infinito
e
La cena
delle ceneri che il
preprologo,
come
pure
Spaccio
de la bestia
trionfante
e
Degli eroicifurori.
Di
grande
interesse
per
la
conoscenza
del suo
pensiero
metafisico e anche la Summa terminorum
nzetaphysicorum.
lL NEOPLATONISMODI GIORDANO BRUNO
Nel
linguaggio
filosofico,
nella
speculazione
metafisica e
nella
cosmovisioneGiordano Bruno un
neoplatonico.
Ma con
lui il
neopla-
tonismo fa
registrare
un
ulteriore distacco dalla
prospettiva
teocentrica
della metafisica cristiana e un
deciso avvicinamentoa
quella antropo-
centrica della metafisica moderna. Mentre in Cusano il
neoplatonismo
era ancora
posto
interamente al servizio della metafisica cristiana e
il
Ficino continuava a essere un suo socio leale e fedele,
in Bruno il divor-
zio dal cristianesimo
completo.
L'universo
disegnato
dalle
pagine
bruniane non
ha davvero
pi
nulla di cristiano (C. Vasoli).
Per il Bruno
il mondo non soltanto l'emanazionedi Dio ma Dio stesso. In
questa
realt,
che al
tempo
stesso
principio
e
conseguenza,
causa
ed effetto di
un
unico
processo,
il
rapporto
tra il mondo naturale e Dio non
e certo
pi
la ibera
creazione,
bens una
pura
manifestazione eternamente
espressa
nella identit infinita della natura. O, come detto in un
famo-
so testo bruniano che benilluminasulla nuova concezione della
infinit,
maturata sulle orme
del
Cusano, e
che diventa il
pilastro portante
di
tutto il suo
edificio metafisico:
bisogna
che di
un inaccessovolto divino
sia uno
infinitosimulacro,
nel
quale,
come
infiniti
membri,
poi
si ritrovi-
no
mondi innumerabili.Nasce cos a Conclusione di
una
delle
pi
sin-
golari esperienze
del
pensiero
umanstico,
l'idea della
perfetta
corri-
spondenza
e anzi identit tra l'ordine della natura e
il
dispiegarsi
del-
lintima vita divina
o,
per
meglio
dire,
di un eterno fluiredall'Uno asso-
luto
degli aspetti contingenti
della realt e
del loro circolare ritorno alla
propria origine.
La docta
ignorantia
del
Cusano,
tesa a
salvaguardare
linsondabile
mistero della natura divina, e
l'attesa trascendente di cui si era
nutrita la
Nicol
Cusano,
Marsilio
Ficiiio, Giordano Bruno 41
religiosit platonica
del Ficino si mutano nella
piena
coscienza dell'uni-
co orizzonte in cui si
svolge
il destino
umano,
della sola realt che in s
tutto
Comprende
e risolve. I veri
contemplatori
della natura - scrive il
Bruno - liberi ormai da
vana ansia e stolta
cura del bramar
lontano,
possono
riconoscere cos nel
presente
e nel loro
impegno
di
uomini,
la
Vera norma morale. E l'individuo che
"per
essenza Dio" - ed anzi
tutt'uno con la divinit - ritrova nel ritorno alla sua natura divina e nella
consapevolezza
del suo
appartenere
a "l'essere di tutte le
cose",
il
signifi-
cato di
una
potenza
infinita la cui
opera
non
pu
avere limiti
o
confini.
lo
tengo
un infinito
universo, cio effetto dell'infinita divina
potentia,
perch
stimavo
cosa
indegna
della divina bont
e
potentia
che,
possen-
do
produr
oltre
questo
mondo
un
altro mondo ed altri
infiniti,
produ-
cesse un mondo finito. Mentre in Plotino l'identificazione
con lUno
era
il risultato del mistico
regresso
dell'anima al
suo
Principio,
in Bruno l'i.-
dentificazione la
conseguenza
della infinita divina
potenza
che fa s
che i suoi effetti siano tutti divini. Pertanto nella metafisica bruniana
non esiste alcun divario tra
complicazione
ed
esplicazione
delle
cose: lUno
rimane
sempre
identico a se stesso.
IL
METODO
Il metodo filosoficodi Giordano Bruno non n il metodo assiomati-
codeduttivo dei
neoplatonici
n il metodo
empiricoinduttivo degli
ari-
stotelici,
bens il metodo
dialogico
tanto caro a
Platone
e
che il Nolano
pratica egregiamente
in molti suoi scritti. intenzionalmente
per
vorreb-
be
essere un
procedimento risolutivo, come il Bruno lascia chiaramente
intendere da
un
passo significativo
del De la
causa, principio
c una:
Voglio
che
apprendiate pi capi
di
questa importantissima
scienza
e
di
questo
fondamento solidissimo de le veritadi
e secreti di natura.
Prima
dunque, voglio
che notiate essere una e medesima
scala,
per
la
quale
natura discende alla
produzione
de le
cose,
e l'intelletto
ascen-
de alla
cognizione
di
quelle;
e che l'uno
e l'altra de l'unit
procede
all'unit,
passando
per
la moltitudine di mezzi
(...).
Aggiungi
a
quel
che detto
che,
quando
l'intelletto vuol
comprendere
l'essenza d'una
cosa,
va
simplificandoquanto pu; voglio
dire,
dalla
composizione
e
moltitudine
se ritira,
rigettando gli
accidenti
corrottibili,
le dimensio-
ni,
i
segni,
le
figure
a
quello
che
sottogiace
a
queste
cose. Cos la
lunga
scrittura e
prolissa
orazione
non intendemo, se non
per
contra-
zione a una
semplice
intenzione. Lintelletto in
questo
dimostra
aper-
tamente come ne l'unit consista la sostanza de le
cose,
la
quale
va
Cercando o in Verit
o in similitudine
Quindi
il
grado
delle
intelligenze: perch
le inferiori
non
possono
intendere molte
cose,
se
non con molte
specie,
similitudini
e forme;
le
superiori
intendono
megliormente
con
poche;
le altissime
con
pochissime, perfettamente.
42 Parte
prima
La
prima Intelligenza
in
una
idea
perfettissimamente comprende
il
tutto;
la divina Mente e
l'Unit assoluta, senza
specie
alcuna,
ella
medesimo 10 che intende e lo ch' inteso. Cosi
dunque,
montando noi
alla
perfetta cognizione,
andiamo
complicando
la moltitudine; come,
descendendosi alla
produzione
de le
cose,
si va
esplicando
la unit. Il
descenso da uno ente a
infiniti individui e
specie
innumerabili,
lo
ascenso da
questi
a
quello>>fl
Ma la
logica
in Bruno e
spesso
sopraffatta
dalla retorica e cos,
nella
storia della filosofia e della metafisica
egli
viene ricordato
piuttosto per
1audaciadelle affermazioni e la ricchezza della
immaginazione
che
per
le
conquiste
del
suo
giudizio
e
per
la felice
scoperta
della verit. In lui
l'intuizione
prevale sultargomentazione
e
il
suo
filosofare non
segue
nessun
ordine
preciso
ma
esplode
Vulcanicamentesotto
limpeto
del mo-
mento. Di
qui
il
severo
giudizio
di
Hegel
su Bruno:
Ci che
contraddistingue
i suoi svariati scritti da un iato il bell'en-
tusiasmo di unani1na nobile,
che sente in s irnmanente lo
spirito
e
ha coscienza che l'unit del suo essere
costituisce l'intera vita del
pen-
siero. C' del baccantico in
questo
modo di
cogliere questa profonda
coscienza;
trabocca
per
farsi
oggetto
a se stesso ed
esprimere questa
ricchezza. Ma soltanto nel
sapere
lo
spirito pu generare
se
stesso
come un tutto;
sino a
che
non
ha ancora
raggiunto questa
coscienza
scientifica, Cerca
soltanto di afferrare tutte le forme senza
poterle
ordi-
nare convenientemente. Una ricchezza svariata ma disordinata di tal
fatta ci
porge appunto
Bruno, e
perci
le sue
esposizioni pigliano
spesso
un
aspetto
torbido, confuso,
allegorico
di fanatismo mistico.
Molti suoi scritti sono
in
versi, e vi si trova molto di
fantastico, come
quando
in
un suo libro,
lo
Spaccio
della bestia
trionfante
dice che al
posto
delle stelle
bisognerebbe
metter
qualcos'altro.
Al suo
grande
entusiasmo
interiore
egli
sacrifica i suoi interessi
personali;
ed esso
non
gli
d
requie.
E
presto
detto: una testa
inquieta
che non stata
in
grado
di
reggere
se stessa. Donde
questa
insoddisfazione?
Egli
non
poteva
adattarsi al
finito,
al
male,
all'ordinario. Di
qui
la sua
inquietudine.
Si sollev all'unica universale sostanzialit,
superando
quella separazione
dellautocoscienza della natura che le rabbassa
entrambe. Dio era bens nellautocoscienza,ma dall'esterno e insieme
come un altro
rispetto
a lui, era
un'altra realt,
la natura fatta da
Dio,
sua creatura, non sua
immagine.43
42)
De la
causa, principio
e
mio, dialogo quinto,
a cura
di C. Licitra,
Firenze
1925,
pp.
86-89.
43)
G. W. F. HEGEL,
Lezioni sulla storia
dellafilosofia,
Firenze 1934,
V0l. III,
p.
215.
Nicol
Cusarzo,
Marsilio
Picino,
Giordano Bruno 43
Tuttavia,
bench l'intuizione e l'entusiasmo in Bruno abbiano il so-
pravvento
sul
pacato
raziocinio e sul
rigore dell'indagine
scientifica,
non v' dubbio che
egli
mostrava un
grande apprezzamento
per
la
scienza e
per
la ricerca scientifica.
Apprezzava specialmente
la
nuova
concezione eliocentrica di
Copernico
e
la difese ardentemente contro la
vecchia concezione
geocentrica
di Aristotele e Tolomeo. Ma anche evi-
dente che il Nolano si schierava
con
Copernico
contro Aristotele
pi per
ragioni
filosofiche che scientifiche. Secondo lui la dottrina
copernicana
era sufficiente
a consentire l'accesso
a una nuova e vera
contemplazione
della natura.
IL LINGUAGGIO METAFSICO
Il
linguaggio
metafisico del Bruno
spiccatamente neoplatonico,
con
importanti prestiti
mutuati dal Cusano. Per introdurci nel suo
pensiero
metafisico benedare un'occhiata al
suo dizionarietto
filosofico,
Summa
terminorunz
metaphysicorirrrz/A
In
questo
scritto infatti Giordano Bruno
espone
i termini chiave della metafisica cos come sono intesi da lui stes-
so nella
sua concezionedel mondo.
Molto
eloquenti
sono le sue definizioni di
Sostanza, Verit, Quantit,
Necessit, Trinit, con
riferimento
a Dio.
- Sostanza -
Dio,
dunque,
sostanza universale
nell'essere, sostanza
per
cui tutte le
cose
sono,
essenza fonte di
ogni essenza,
per
cui
tutto ci che
e,
intima a
ogni
ente
pi
che la
propria
forma
e
la
pro-
pria
natura
possa
essere a ciascuno. Come infatti la natura fonda-
mento di entit a ciascuna
cosa, cos,
pi profondamente,
alla natura
di ciascuna cosa fondamento Dio. Perci ben detto "in esso vivia-
mo, vegetiamo
e siamo",
perch
vita della
vita,
vegetazione
della
vegetazione,
essenza della entit.
- Verit - Per la verit di Dio tutte le cose sono
vere, perch
se Dio non
fosse
veramente,
niente sarebbe
vero,
onde
egli
la stessa verit,
dalla cui fonte le altre cose
pi
e
meno, pi.in
alto e
pi
in basso sono
nell'ordine delle cose secondo che della
sua verit
pi
o meno
parte-
cipano.
E
quanto pi
si allontanano da lui le
cose,
avvicinandosi al
gradino pi
basso della scala di
natura, meno
hanno di verit e
pi
di
vanit,
fino al fondo della
scala,
che e detto
vanit, male,
tenebre:
semplicemente, per,
il vano non nulla di
positivo,
ma
solo contra-
rio al vero.
44) Una traduzione
parziale
di
quest'opera
e stata curata da C. Guzzo
per
la Grande
enciclopediafilosofica,
vol. VI. E di
questa
traduzioneche ci siamo serviti nel
pre-
sente
capitolo.
44 Parte
prima
-
Quantit
Dio infinito di infinita
potenza, sapienza
e bont,
in uno
spazio
infinito a lui
soggetto,
sufficientissimamentefecondo e fecon-
da un'infinita
potenza
suscettrice, sicch, come
egli
infinito intensi-
vamente,
intero e
in
ogni luogo,
cos anche secondo la
capacit
si
trovi un
infinito
corporeo
e materiale,
che
con
varie
parti
e
in vari
luoghi riempia
lo
spazio
e soddisfi
l'appetito
della materia.
- Necessit - La volont di Dio e la stessa necessit e
la necessit la
stessa divina
volont,
nella
quale
la necessit non
pregiudica
la li-
bert, perch
necessit e
libert sono una cosa sola. Che la necessit
non necessit alla
necessit, e ancora
sopra
la necessit non C'
necessit, come
sopra
la libert non c' libert. In
Dio,
dunque,
la li-
bert fa la necessit e
la necessit attesta la libert. Che
quello
che
limmutabilesostanza vuole,
lo vuole immutabilmente,
il che voler-
lo necessariamente. Ma
poich
non vuole necessariamente
per
una
volont aliena che faccia necessit,
bens
per propria
volont,
lungi
dall'essere
questa
necessit contro la
libert, sono
piuttosto
una e
medesima cosa la stessa libert,
volont e necessit.
- Trinit.
diffuso
presso
i
platonici
il
paragone, appreso dagli egizia-
ni,
per
il
quale
la divinit abbraccia in un'unit una
triade
sopranna-
turale,
nello stesso modo che nel sole c'
sostanza,
luce e calore, e
queste
tre cose
contempliamo
in esso
in
duplice
modo. C' infatti la
sua sostanza assoluta,
propria
e
per
s, e c'e il
vestigio
della sua
sostanza,
col
quale
il
padre
della
generazione
costituisce sostanzial-
mente le altre
cose.
C'
poi
la
luce,
radicata nella sua sostanza che,
perseverando
in lui
immobile, effonde; e c' la luce che effusa e
comunicata e
attinge
tutte le cose esteriori vivificandole.E ancora
c'
il calore
che,
nel
subietto,
suo accidente
proprio,
e
anche calore ci
che si effonde dal
subietto, e
dal
vestigio
ritrovato nelle cose riscal-
date secondo la
capacit
di ciascuno. Cos nella
semplicit
della divi-
na sostanza
queste
tre cose
possiamo contemplare
secondo similitudi-
ne (...).
Nondimeno
per
la necessit e
l'ordine della
contemplazione,
ammettiamonella divinit tre
cose,
da
speculare
distintamente secon-
do la
capacit
di
comprensione
del nostro
ingegno:
l'essenza secondo
le
predette ragioni, per
la
quale parlavano
di
paternit
della divi-
nit,
l'intelligenza, quasi primo
effetto di tanta
essenza,
chiamavano
Figlio coeterno; l'amore,
che
grazie
al
concepimento
della bellezza
perspicua
in s
gran prole,
chiamavano
gran
demone.
Bench
queste
definizioni eccettuata
quella
della
quantit
-
non si
allontanino
gran
che
dall'insegnamento
tradizionaledella metafisica cri-
stiana,
nelle intenzioni del Nolani) subiscono
una
inflessionechiaramen-
te
panteistica:
Dio la sostanza di
tutto,
la verit di
tutto;
tutte le cose
procedono
da lui necessariamente, e
la Trinit una
distinzione
pura-
mente modale all'interno dellUno che
a seconda del
punto
di vista
pu
essere
detto
sostanza, luce, calore,
vale a dire
Padre,
Figlio
e
Spirito
i
(
gran
demone").
Nicol
Cuscino,
Marsilio
Ficino,
Giordano Bruno 45
LA METAFISICADELUINFINITO
L'asse
portante
di tutto l'edificiometafisico del Bruno costituito dal
concetto di
infinito,
un concetto non nuovo ma che nel Nolano assume
un
significato
rivoluzionario. Gi Scoto aveva fatto dell'infinito il costi-
tutivo metafisico di Dio e
Cusano l'aveva considerato il
primo
e
princi-
pale
attributo del Massimo. La
grande
novit del Bruno che l'infinito
diviene
un
attributo oltre che di Dio anche della
natura,
del mondo e
di
innumerevoli altre realt.
Noi
sappiamo
che
problema capitale
della metafisica
quello
di
coniugare
l'uno col
molteplice,
il
tempo
con l'eternit,
l'ente
con l'essere,
il finito
con
l'infinito. Molte le soluzioni che
sono state avanzate:
parteci-
pazione,
creazione, emanazione, coincidenza,
complicazione,
divisione
ecc. Bruno
taglia
il nodo
gordiano
eliminando il finito e infinitizzando
tutto:
ogni
realt oltre che di Dio
partecipe
del suo attributo dell'infi-
nit.
L'opposizione
tra finito
e
infinitoviene eliminata
con
la
soppressio
ne del
finito,
facendo di
esso una irradiazione dell'infinito
stesso,
che
non si
moltiplica
dividendosi
e
limitandosi
ma clonandosi. Dite che
quel tutto,
che si vede di differenza
negli corpi, quanto
alle
formazioni,
complessioni, figure,
colori e altre
propritadi
e comunitadi, non e altro
che
un
diverso Volto della medesima sostanza. L'infinito
implicato
nella divina sostanza viene
esplicato
in
questo
suo simulacro infinito
che
l'universo,
capacissimo
di innumerevoli
mondi, e non
gi
nelle
anguste
forme di
una natura finita.
Quello
dell'infinito tema dominan-
te di molti scritti del
Nolano, ma
in
particolare
di due
dialoghi:
Della
causa, principio
e mio e De l
infinito
universo e mondi. Nel
primo
si
parla
dell'infinito in
quanto complica
in se
l'opposizione
di materia e forma;
nel secondo si
presenta
l'infinitoche si
esplica
nella ricca e
innumerabile
variet della natura.
Leggiamo
un
passo
del De la
causa, principio
e uno
in cui la concezione
bruniana dellInfinitoviene
esposta
in tutta chiarezza.

dunque
l'universo
uno, infinito,
immobile.
Una, dico,
1a
possibi-
lit
assoluta, uno l'atto, una
la forma
o anima, una
la materia o
corpo,
una la
cosa,
uno lo
ente, uno il massimo e ottimo;
il
quale
non deve
poter
essere
compreso;
e
per
infinibilee interminabile, e
per
tanto
infinito
interminato, e
per conseguenza
immobile.
Questo non si
muove localmente,
perch
non
ha
cosa fuor di
s, ove si
trasporte,
atteso che sia il tutto. Non si
genera;
perch
non altro essere
che lui
possa
desiderare o
aspettare,
atteso che abbia tutto lo
essere. Non si
corrompe; perch
non altra cosa in cui si
cange,
atteso che lui sia
ogni
cosa. Non
pu
sminuire n
crescere,
atteso che infinito; a cui
come non si
pu aggiungere,
cos da cui non si
pu
sottrarre,
per
ci
che l'infinito
non
ha
part proporzionabili.
Non alterabilein altra
disposizione, perch
non
ha esterno da cui
patisca
e
per
cui
venga
in
46 Parte
prima
qualche
affezione. Oltre che,
per comprender
tutte contrarietadi nel-
l'esser suo
in unit e convenienza, e nessuna
inclinazione
poter
avere
ad altro e altro modo d'essere, non
pu
esser
soggetto
di mutazione
secondo
qualit
alcuna, n
pu
aver contrario 0 diverso, che lo
alteri,
perch
in lui
ogni
cosa
concorde. Non materia, perch
non
figura-
to,
n
figurabile;
non terminato n terminabile.Non forma
perch
non informa,
n
figura
altro, atteso che
tutto,
massimo,

uno,

universo. Non misurabilen misura. Non si
Comprende, perch
non

maggiore
di s. Non si
compreso,
perch
non minore di s. Non
si
agguaglia, perch
non altro e altro, ma uno e medesimo. Essendo
medesimo e
uno,
non
ha
essere
ed
essere,
non ha
parte
e
parte;
e
per-
ci che non
ha
parte
e
parte,
non
composto.
Questo
termine,
di
sorte che
non

termine;
talmente forma che
non forma; talmente
materia che
non
materia;
talmente anima che non
anima:
perch

il tutto indifferentemente, e
per

uno,
l'universo uno.
ln
questo
certamente non
maggiore
l'altezza che la
lunghezza
e
profondit;
onde
per
certa similitudinesi chiama, ma non ,
sfera.
Nella sfera,
medesima cosa

lunghezza
che
larghezza
e
profondo,
perch
hanno medesimo termine; ma
nell'universo medesima cosa

larghezza, lunghezza
e
profondo, perch
medesimamente non
hanno
termine e sono
infinite. Se non
hanno
mezzo, quadrante
e altre misu-
re,
se non
vi
misura, non
vi
parte proporzionale,
n assolutamente
parte
che differisca dal tutto.
Perch se
vuoi dir
parte
dell'infinito,
bisogna
dirla infinito; se infinito, concorre
in uno essere con
il tutto:
dunque
l'universo
uno,
infinito,
impartibile
(...).
Dunque
l'indivi-
duo non e differente dal
dividuo,
il
simplicissimo
da l'infinito,
il
cen-
tro da la circonferenza. Perch
dunque
l'infinito tutto
quello
che
pu essere,

immobile;perch
in lui tutto indifferente,

uno;
e
per-
ch ha tutta la
grandezza
e
perfezione,
che si
possa
oltre ed oltre
avere,

massimo, ottimo,
immenso>>n5
L'infinitodel Bruno non un cielo
opaco
in cui non si
scorge pi
nes-
suna stella,
n la notte buia di cui
parla Hegel,
in cui tutte le vacche so-
no nere.
Non un tutto caotico ma ordinatissimo.
Ogni
cosa vi
presen-
te con tutta la ricchezza delle
proprie perfezioni,
e
tale ricchezza dovu-
ta al fatto che nessuna
parte
differisce dal
tutto, perch

parte
dell'infi-
nito. Cos la forma talmente forma che
non forma,
la materia tal-
mente materia che
non

materia, e
l'anima talmente anima che
non
anima. L'infinito infinito
perch
abbraccia
tutto,
e
ogni parte
infinita
perch
una
"clonazione" dell'infinito. Tutto infinitoma
ogni
cosa lo
a
modo suo.
Con
un'operazione
di estrema sintesi e
semplificazione
il Bruno nel
suo
infinito riunisce tutto ci che in
questo
mondo
composto
e diviso;
egli
eleva e
unifica tutta la realt in un unico
punto
centrale, massimo,
45) De la
causa, principio
c uno, dialogo quinto,
cit.,
pp.
78-80.
Nicol
Cusano,
Marsilio
Ficino,
Giordano Bruno 47
ottimo,
immenso.
Quella
del Bruno una
potente suggestione
mistica
che contrasta oltre che
con
l'esperienza
comune
anche
con
l'indagine
scientifica che scruta la realt atomizzandola
piuttosto
che eliminando
differenze
e divisioni.
LA VISIONE COSMOLOGICA
Pi che
una
henologia
o una
ontologia
la metafisica del Bruno una
infinitologia.
Per
pi
che dell'infinito
generante,
Dio,
egli
si
occupa
del-
l'infinito
generato,
l'universo.
Cos,
sostanzialmente la metafisica del
Nolano una
cosmologia
che si
contrappone
volutamente e drasticamen-
te alla
cosmologia
aristotelica. Contro la
cosmologia
di Aristotele sono
diretti i
primi quattro dialoghi
di De
l'infinito,
universo e
mondi. La sua
critica e rivolta
soprattutto
ala immobilitdella
terra,
al Motore immo-
bile,
alla
gerarchia
dei motori subordinati alla distinzione di
una realt
sublunareda
una
superiore.
Il suo universo
infinito, immobile,
immenso ed costituito di mol-
ti e
infiniti
mondi,
che si muovono in uno
spazio
infinito. E come
l'uni-
verso mosso da un'anima intellettiva
universale,
la Mente
divina,
cos
ciascuno
degli
astri o
mondi ha la
propria
anima intellettiva
e,
in
ogni
mondo,
ciascuna
cosa,
anche
se
apparentemente
inanimata,
ha
propria
anima e
intelligenza,
che la
plasma
e le
provvede.
L'anima vivifica la
materia dal di
dentro;
anzi anima
(forma) e materia non sono due
sostanze che si uniscono: il Nolano le riduce a "uno essere e una radice",
perch
la materia stessa
produce
le forme che via via assume.
Propria-
mente le forme sono infinite,
per riempire
l'infinito
spazio
ed essere l'in-
finita
genitura
dell'infinito
generante,
che il Bruno
concepisce
come
l'Uno
plotiniano
e
che chiama col nome
di Mente
sopra
le
cose,
distin-
guendo
concettualmente tale Mente
sopra
le
cose,
o Dio,
dalla mente
nelle
cose,
che e Faverroistico Intelletto datore delle
forme,
inteso come
una
facoltdell'Anima
universale, a sua
Volta intesa come interna all'u-
niversale
materia,
sempre
naturalmenteanimata.
Secondo Bruno tutti i mondi sono abitati da esseri viventi:
Questi sono
gli
mondi abitati e colti tutti da
gli
animali
suoi,
oltre
che essi son
gli principalissimi
e
pi
divini animali
dell'universo; e
ciascun dessi non e meno
composto
di
quattro
elementi che
questo
in
cui ne ritroviamo;
benchin altri
predomini
una
qualit
attiva,
in altri
altra;
onde altri sono
sensibili
per l'acqua,
altri son sensibili
per
il
foco. Oltre
gli quai quattro
elementi che
vegnono
in
composizione
di
questi,
una eterea
regione,
come
abbiamo
detto, immensa,
nella
qual
si
muove,
vive e
vegeta
il tutto.
Questo
letere che contiene e
penetra ogni
cosa.4
4*) De
l'infinito,
universo e mondi,
dialogo quinto.
48 Parte
prinza
C' all'interno dell'universo una
energia plasmatrice
che Bruno chia-
ma Monade. Ad essa dedicato il
poema
omonimo.
Egli
vi
rappresenta
questa
forza
originaria
nelle sue diverse manifestazioni creatrici.
Opera
della natura dice il Bruno -
ogni
circolo,
qualsiasi impulso,
moto,
forza, azione,
passione, senso, cognizione,
e vita;
in
quanto
centro
anima che si trova
ovunque
diffusa, mentre ad essa tendono tutte le cose
come la sfera al centro.47
La
natura,
secondo
Bruno,
si
presenta
come circulzis, come
fatum,
co-
me lex, come
circolo massimo
illimitato, come minimo che sostiene
tutto, come
spazio
unico,
per
il fatto stesso che e dato senza
limite.
L'universo interamente mosso
da
questa
forza
poderosa,
che
provoca
i
mutamenti nella fisionomia costante dello
spazio
infinito,
che alous
zmus,
(imnia
concipieizs,
aeternitas Ima
simul
atque perfecta
onmia
possiderzs,
tempus
14mm: motus
quietisque
omnia nlzerzsura (unicoventre che
concepisce
ogni cosa,
eternit unica e
nello stesso
tempo perfetta
che
possiede ogni
cosa,
unico
tempo
misura del moto e
di
ogni quiete
e
che coincide con
la
Monade,
vale a
dire
con Dio)>>.43
Poich tutto , nell'universo,
animato e razionale,
l'uomo
per
il
Bruno una
delle forme che
assume
luniversale
natura,
tutta animata e
tutta
intelligente.
Da ci non deriva un abbassamento dell'uomo a natu
ra,
ma un
innalzamentodell'intera natura a ci che si e soliti ritenere i
pregi particolari
dell'umanit.
Quindi
Pindustriosa civilt che
gli
uomi-
ni creano con
il loro
ingegno
e
il loro lavoro continua
l'opera
che tutta la
natura fa
con mirabilearte.
LA RELIGIONE FlLOSOFlCA
Il sistema metafisico bruniano ovviamente
panteistico,
anche
se
l'interesse del Bruno
per
Dio, come si e
visto,

piuttosto marginale.
In
effetti la
sua attenzione si concentra assai cli
pi
sullfinfinito
generato,
l'universo,
che sul|'infinito
generante,
la Monade o Mente divina. La
religione ,
per
il
Bruno,
il contatto e l'adesione al divino che la
ragione
pu compiere
risalendo dalla visione delle cose mortali all'unico
elargi-
tore
supremo,
che d ad
esse esistenza e
significato; teologia vera,
la
Con
templazione
dell'unica verit
dispiegata
nella
molteplice
vicenda dell'u-
niverso; conoscenza certa di
Dio,
la
pura
visione di
quella
sola fonte
dalla
quale promana,
in inesauribile
ricchezza,
l'eterno
nascere e mutare
del tutto. Perci se il
teologo
tradizionale,
chiuso nella lettura e
interpre-
tazione della
Scrittura,
pu
comunicare solo
agli
indotti
un'immagine
confusa
e favolosa di
quella
divinit che il filosofo invece
contempla
in
47)
Opera
latina
conscriptn, Napoli 1884, vol.
l,
pars
ll,
p.
338.
45) Ibid.,
p.
346.
Nicol
Cusano,
Marsilio
Picino,
Giordano Bruno
49
assoluta chiarezza,
il
Bruno,
in
polemica
con il
"volgo
dei
teologi,
vuole ridurre le
religioni positive
al mero
compito
di
leges
o
discipline
pratiche,
esaltando l'ascesa razionale della
mente,
il
suo
puro volgere
lo
sguardo
alla divina natura delle cose. Autentica
religione pertanto
solo
la
metafisica, non la
teologia.
Infatti,
Dio e
il
mondo,
l'eternit della
causa e l'infinita attuale dell'effetto si rivelano al libero filosofo morto
al
volgo,
alla
moltitudine,
sciolto dai nodi de
perturbanti
sensi,
libero
dal carnal
carcere della
materia,
ed
egli gittate
le
muraglie
a terra
tutto occhio
all'aspetto
di tutto l'orizzonte,
comprende
e
raccoglie,
contratta in s
quella
divinit che inutile
cercare altrove, nei libri
della tradizioneo nelle
speculazioni
dei
teologi.
Questo
Dio cui il Bruno si
volge
con
mistico entusiasmo
appunto
l'unit immortale del
tutto,
la "monade" da cui scaturisce tutto il molte-
plice,
il
principio
identico e assoluto che fondamento
e
ragione
dell'u-
niverso, vera essenza dell'essere di tutti. Ma
proprio perch
tale divinit
sempre
si Comunica
agli
effetti naturali ed la natura della
natura,
l Vmima
dell'anima: del
mondo, essa
pure
al di l
e
al di
sopra
di
ogni
forma
parti-
colare e sensibile,
di
quelle immagini
transitorie e mortali nelle
quali
ha
voluto chiuderla la mente limitata dell'uomo. Convinto della
legittimit
di tutte le forme che
assume la vita della natura e
dell'umana
civilt,
il
Bruno non
pu
ammettere modelli a cui sia
rigoroso
dovere
attenersi,
n
in filosofia
(donde
la lotta contro la
supremazia
dell'aristotelismo),
n in
religione
(dove
piuttosto
riconduce il cristianesimo alla verit universa-
le, nota
egualmente
a Salomone e a
Pitagora,
anzich
giudicare
le altre
religioni
secondo la loro vicinanza o
lontananza dal
cristianesimo).
Alla
lunga
vicenda delle
religioni
e
delle
fedi,
al variare dei nomi e
dei culti
con cui Dio stato onorato
einvocato,
si
oppone
infatti la nuova
espe-
rienza di
un
sapere
che
sappia
ascendere dalle forme naturali alla divi-
nit una
semplice
et absoluta in se stessa,
multiforme e omniforme in
tutte le cose.
Il
vero
filosofo
e
il
vero
religioso,
il conoscitore della natura
e di Dio si incontrano e si identificano nel
processo
della mente
capace
di
giungere
alla
suprema
identificazionecol
tutto,
di unirsi con la Mona-
de eterna.
JINFLUSSO
L'influssodel Bruno sulla filosofiamoderna stato considerevolema
piuttosto
saltuario.

molto evidente e marcato in
Spinoza
e
negli
ideali-
sti
tedeschi, Fichte,
Schelling
e
I-Iegel,
che
riprendono
molte tesi fonda-
mentali del Nolano sui
rapporti
tra Dio e
il mondo
(rezatura
naturans e
natura
maturata,
finito
e infinito, lo
empirico
e lo
puro,
Idea in s e Idea
extra se ecc).
50 Parte
garima
Per
quanto
concerne
Spinoza, egli
ben
pi
ardito del Bruno
quando
si tratta di descrivere l'unica
Sostanza,
questa
Natura che
e, a volta a
volta,
al di
sopra
e all'interno dell'universo.
Spinoza
sicuro di
possede-
re un'idea
adeguata
di Dio. Bruno crede che
non sia
possibileconcepire
la divinit
se non
per analogia
e
in
qualche
modo
approssimativamente.
Per entrambi esiste un
doppio
infinito,
quello generante
e
quello
genera-
to. Ma il loro
doppio
infinito
lungi
dal
presentare gli
stessi caratteri
quando
lo si esamini
pi
da vicino. Ci che reale in
Spinoza
la dua-
lit,
la
molteplicit;
l'unit
non che
logica
e
apparente.
Grazie all'in-
fluenza
cartesiana, tra il
pensiero
e l'estensione dello
Spinoza
sussiste una
differenza cosi essenziale che
non si cancella
neppure
nella Sostanza
divina. Al contrario Bruno lascia tutto risolversi in un'unit
reale, asso-
lutamente
semplice,
dotata di un'inesauribile
fecondit, unit che
meno sostanza che
causa,
causa eterna,
forza universalmente
produttri-
ce e
sempre
attiva. Nel mondo matematicizzatodi
Spinoza
tutto deter-
minato more
algebrico
e tutto sembra
ridursi,
sotto forma di attributi e di
modi, a
pure
concezioni astratte. Per
contro,
per
Bruno,
nulla di
pi
mosso e
di
pi
animato del mondo dei
dettagli;
le
parti pi
inerti,
pi
insensibili della creazione
sono
piene
di
energia
e
di
intelligenza;
tutto
manifesta
dell'anima,
della
potenza,
del
calore,
della
gioia;
tutto
canto,
festa,
culto e amore.
Ma
Schelling
l'autore che ha assimilato
pi profondamente
il
pen-
siero del Bruno.
Questo
filosofo idealista non si limitato ad
approfon-
dire le idee del Bruno e delle sue
opere,
ma
ha
sviluppato
sotto il loro
influsso
un sistema
analogo
a
quello
del Nolano avvalendosi
degli
stessi
strumenti
linguistici
e concettuali.
Egli , come Bruno,
poeta
e artista. Il
fulgore
e
la fecondit
dell'immaginazione,
la ricchezza
e
la variet del
linguaggio distinguono egualmente
l'uno
e
l'altro.
Schelling,
come
Bruno, mette l'intuizione intellettuale al di
sopra degli
altri mezzi di
conoscenza. Pure il
suo Assoluto
non
differisce dal
principio
di vita
e
di
forza che costituisce la Monade
suprema
di
Bruno,
di
questa potenza
dinamicacheanima il mondo del Bruno, sotto il titolo di anima univer-
sale.
Egli
aveva
gi assegnato
alla metafisica il
compito
non tanto di
pro-
vare l'esistenza delle
cose invisibilied
eterne,
quanto
di mostrare in
qual
maniera
esse esistano, dove e come si
sviluppino. Schelling
fa consistere
in
questa
Genesi" la funzione
principale
della filosofia. Ma
particolar-
mente sull'identit
perfetta degli opposti,
carattere
dellAssoluto,
che i
due
pensatori
si accordano: Bruno lo chiama il
punto supremo
della
coincidenza,
Schelling
il
punto
dell'indifferenza. I contrari sono
per
ambedue dei
gradi
o
degli aspetti
di
potenze opposte,
ma sostenute da
un'attivit identica
e
permanente; per
ambedue,
ogni parte
del tutto
pu
diventare
tutto,
attraversare
tutto,
salire e discendere in
ogni senso,
gra-
zie a una certa scala, a un
percorso
circolare che
seguono
le idee
e
le
Nicol
Cusano, MarsilioFicino, Giordano Bruno 51
cose,
e
che le riconduce
sempre
all'unit
primitiva.
Tuttavia
Schelling,
essendo stato
discepolo
di Kant
e Fichte
prima
di esserlo di Bruno e
Spinoza,
ordina le
opposizioni
e le classifica
seguendo
la distinzioneche
risale a Descartes, quella
del
soggetto
e
dell'oggetto. Soggetto
e
oggetto,
pensiero
ed
esistenza,
nozione e
cosa,
finito
e infinito,
tutte
queste
anti-
tesi,
comprese
sotto i termini di ideale e
di
reale, si risolvono in un termi-
ne
superiore,
dove si confondonoe si uniscono. Una divisione cos
rigo-
rosa,
una classificazionecosi radicale estranea al
Bruno,
che forma
tante triadi
quante
diadi
e
giammai
stato vivamente
Colpito
dalla
op-
posizione
fondamentale,
tipica
della
modernit,
tra l'io e il non-io.
Oltre che sui
panteisti
l'influsso del
Bruno, specialmente
in
Italia,
stato forte anche
su tutti
gli
avversari della Chiesa
e del cristianesimo:
sui liberi
pensatori, gli
anticlericali,
i
massoni,
per
i
quali egli
divenne il
profeta, lspiratore,
il
modello,
il martire.
52 Parte
prima
Suggerimenti bibliografici
NICOL CUSANO
Edizioni:
Opera
Omnia,
ed. Faber
Stapulensis, Parigi
1514.
ormai a
buon
punto
l'edizione critica
dell'Opera
Omnia a cura dell'Accademia
delle Scienze di
Heidelberg (Lipsia
1932
55.).
Traduzioni italiane:
Opere filosofiche,
a cura
di G. Federci
Vescovini,
UTET,
Torino
1972;
Opere religiose,
a cura
di P.
Gaia, UTET,
Torino
1972;
Scritti
filosofici,
in tre
volumi, a cura di G.
Santinello, Zanichelli,
Bologna
1972
ss.;
La dotta
ignoranza.
Le
congetture,
a cura
di G.
Santinello, Rusconi,
Milano 1988.
Stadi: AA.
Vv.,
Nicol da
Casa,
Relazioni al
convegno
di Bressanone del
1960, Sansoni,
Firenze
1962;
AA.
Vv.,
Nieol Cusano
agli
inizi del mondo
nzoderno,
Atti del
Congresso
internazionaledi Bressanone del
1964,
Sansoni,
Firenze
1970;
F.
BATTAGLIA,
Metafisica, religione
e
politica
nel
pen-
siero di Nieol di
Casa,
Bologna
1965; I.
E.
BIECHLER,
The
Religions
Language of
Nicliolas
of
Casa,
Missoula Mo
1975;
A.
BONETTI,
La ricerca me-
tafisica
nel
pensiero
di Nicol
Cusano,
Brescia
1973;
R.
HAUBST,
Das Bild des
Einen una Dreieinen Gottes nach Nikolaas van Kaes,
Trier
1952; ID.,
Die
Christologie
des Nikolans
oon Kaes,
Freiburg
i.B.
1956; ]. HOPKINS,
Nicholas
of
Cusas
Metaphysies of
Contraction,
Minneapolis
1983; I. KOCH,
Nikolazis
von Kaes and seine
Umwelt,
Heidelberg
1948;
P.
ROTTA,
Nicol
Casano,
Milano
1942;
G.
SANTINELLO,
Il
pensiero
di Nicol Casano nella
saa
prospet-
tiva
estetica,
Padova
1948; ID.,
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a Nicol
Casano,
Bari 1971
(1982,
2* ed. con
aggiornamento bibliografico);
F. VAN
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Le cardinal Nicolas de Cues (1401-1464). ljaetion-La
pense,
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(rimanetuttora lo studio
migliore).
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Edizioni: Marsilii Ficini Fiorentini
Opera,
2
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1561-1576,
rist.
anast. Torino 1962.
Traduzioni italiane:
Teologia platonica,
a cura di M.
Schiavone,
2
voll.,
Bologna
1966;
Il libro
dell'amore, a cura di S.
Niccoli,
Firenze 1987.
Studi: W.
DRESS,
Die
Mystik
des Marsilius
Ficino,
Berlin
1929;
A.
I.
F15-
STUGIRE,
La
philosophie
de l'amour et Marsile
Ficin,
Paris
1941;
P. O.
KRISTELLER,
Il
pensiero filosofico
di Marsilio
Ficino,
Firenze
1953;
R.
MARCEL,
MarsileF
icin,
Paris
1958;
G.
SArTTA,
La
filosofia
di Marsilio
Picino,
Firenze
1944;
M.
SCHLAVONE,
Problemi
filosofici
in Marsilio
Ficino,
Milano1957.
Nicol
Cusano,
Marsilio
Ficino,
Giordano Bruno 53
GIORDANOBRUNO
Edizioni:
Scripta
Omnia, a cura
di A. F.
Gfrrer,
Stuttgart
1834 (incom-
pleta); Opera
latina
conscripta,
edizione nazionalea cura
di Vari
studiosi,
Napoli-Firenze
1879-1891,
in 3 v011.: di
questi
volumi il
primo
suddivi-
so in 4
parti,
il secondo in
3, mentre il terzo consta di
un unico
tomo;
Opere
italiane, a cura
di G.
Gentile,
Bari
1907-1908,
in 2 V01l.: I.
Dialoghi
nzetaflsici;
II.
Dialoghi
morali.
Studi: G.
ACQUILECCHIA,
Giordano
Bruno,
Roma
1971;
N.
BADALONI,
Il
pensiero
di Giordano
Bruno,
Firenze
1952;
M.
CILIBERTO,
Lessico di Giorda-
no Bruno,
2 voll.,
Roma
1979;
A.
CORSANO,
Il
pensiero
di Giordano Bruno nel
suo
svolgimento
storico,
Firenze
1940;
E.
GARIN, Bruno,
Roma-Milano
1966;
A.
GUZZO,
Giordano
Bruno,
Torino
1960;
L.
OLSCHKI, Bruno,
Bari
1927;
F.
PAPI,
Antropologia
e
civilt nel
pensiero
di Giordano
Bruno,
Firenze
1968;
I.
VECCHIOTTI,
Che cosa ha veramente detto
Bruno,
Roma 1971;
F. A.
YATES,
Giordano Bruno e
la tradizione
ermetica,
Bari 1969.
54
L'INDIRIZZOARISTOTELICO:
ACHILLINI,NIFO, POMPONAZZI,ZABARELLA,
TELESIO
L"'uomonuovo"
e
la nuova cultura"
dell'epoca
rinascimentale- il XV
e
il XVI secolo
sono sorti
e si sono
sviluppati
in diretto contrasto con
la
Scolastica
e contro Aristotele. L'et
nuova,
cos
marcatamente
antropo-
centrica, non
poteva
nutrire
grandi
ambizioni
metafisiche; ciononostan-
te essa favorisce la rinascita del
platonismo
e un nuovo
sviluppo
della
metafisica
platonica.
Viceversa
sottopone
a severa critica
Yaristotelismo,
specialmente
la visione aristotelica del mondo e
l'impianto
metafisico.
Gli stessi
seguaci
di
Aristotele,
che
sono numerosi a Padova
e a
Bologna,
le due
grandi
roccaforti dell'aristotelismo
averroistico, non si
segnalano
per
un
significativoapporto
alla metafisica dello
Stagrita.
Il loro interes-
se,
come
quello
di tutti i
rinascimentali,
si concentra sulluomo:
quasi
tutte le loro discussioni
riguardano
la natura dell'anima
umana,
l'im-
mortalit,
la natura dell'intelletto
agente, l'agire
umano e
quindi
letica
e
la
politica.
Nessuno si
occupa
del
problema
dell'essere,
pochi
del
pro-
blema di Dio.
Cos, mentre con
il
Cusano, Ficino e Giordano Bruno la
metafisica
platonica
rifiorisce
e
fa
segnare
ulteriori
sviluppi,
nulla di
tutto
questo
troviamo tra
gli
aristotelici. La metafisica che si richiamadi-
rettamente ad Aristotele nei secoli XV
e
XVI
scompare quasi
del tutto.
Tra
gli
umanisti c'
un vivo interessa anche
per
Aristotele, ma si tratta
prevalentemente
di
un
interessefilologico.
Le
conoscenze del
greco
che
molti studiosi di
quest'epoca acquistano
consentono loro di fare
nuove
edizioni di Aristotele nella
lingua originale
e di
curare nuove e
pi
cor-
rette traduzioni nella
lingua
latina. Il contributo dei dotti bizantiniVenuti
in Italia
per comporre
lo scisma della Chiesa
greca
,
nel
campo
delle ver-
sioni
aristoteliche, determinante: dal Bessarione
(traduttore della Meta-
fisica),
a
Giorgio
da Trebisonda
(Retorica, Fisica,
De
anima, De coelo,
De
generatione
et
corruptone,
De
animalibus,
De
generatione),
al Gaza
(De animalibus,
De
generatione
animaliunz,
De
partibus
animalium).
Alla
scuola dei nuovi maestri di
greco
si formano molti
traduttori, tra i
quali
si
distinguono
Leonardo Bruni
(celebre
quanto
discusso
per
le Versioni
dell'Etica Nicomaclzea
e
della
Politica),
Francesco Filelfo
(che rende in lati-
no
la Rethoricaad
Alexandritm),
Gregorio
Tifernate
(Etica
Eirdemia
e
Magna
moralia) e
Giorgio
Valla
(De c0610,
Magna
moralia, Poetica).
Achillini,
Nifo, Pomponazzi,
Zabarella,
Telesio 55
Atteggiamento
comune di
questi
traduttori la
polemica
-
ora
espli-
cita ora
implicita

con le traduzioni medievali di Aristotele,
"orride" e
incolte",
cui viene
contrapposta
l'esigenza
di traduzioni non solo
pi
fedeli al testo
greco,
ma
che
soprattutto
10 rendano
pi
ornato e soave
agli
orecchi dei
latini,
educati alle finezze dell'arte retorica ciceroniana;
ci
comporta
anche
un
discutibileallontanamento
dall'originale,
verso il
quale
non
sempre
si mostra sufficiente
rispetto;
cos accade che le nuove
versioni siano meno
critiche di
quelle
medievali.
Questo
tuttavia non
diminuisce
l'importanza
delle nuove
traduzioni umanistiche e
la loro
influenza sulla cultura filosofica del Rinascimento: anzitutto il ritorno
agli originali greci risponde
alla nuova
esigenza, proposta
dalla "filolo-
gia"
umanistica di
cogliere
l'antico
e
quindi
anche il
pensiero
di
Aristotele nella
sua
reale
prospettiva
storica,
al di l delle incrostazioni
scolastiche,
nella convinzione che esse ne avevano corrotto, con
il lin-
guaggio,
il
pensiero:
lo sottolineava con
precisione
Girolamo Donato,
che nel
presentare
la sua versione di Alessandro di
Afrodisia, non
solo
polemizzava
contro il
platonismo
fiorentino e contro
Yaristotelismoara-
bo - il
quale
si era
limitato a
parafrasare
i commentatori
greci
-
ma altres
prendeva posizione
contro il concordismodei Commentatori medievali i
quali rrzagis
ex
religione quam
ex
Aristotelis doctrina acutissincze
izhilasophafl"
simt (hanno
filosofatoin
modo
assai
profondo grazie pi
alla
religione
che alla dottrina di
Aristotele).
Inoltre
grazie all'opera
dei nuovi tra-
duttori si veniva ad
allargare
la conoscenza
della tradizione filosofica
antica e
quindi
anche la varia e
complessa
storia del
peripatetismo,
at-
traverso la lettura dei commentatori
greci,
alcuni dei
quali
erano
rimasti
del tutto
ignorati,
o
poco
noti,
durante ii
medioevo;
tra
questi,
due
soprattutto
esercitarono una
larga
influenza sulla cultura universitaria
determinando nuovi orientamenti nelle
interpretazioni
aristoteliche:
Alessandro di Afrodisiail cui trattato De artima venne
per
la
prima
volta
tradotto da Girolamo Donato (1495), e
Simplicio,
il cui De
artima,
forse
usato
per primo
da Pico della Mirandola,
fu
pubblicato
nel 1527 e tra-
dotto in latino nel 1543. Le nuove
traduzioni contribuirono notevol-
mente ad
allargare
la
conoscenza
stessa di
Aristotele; non
solo infatti
esse
offrivano una
pi
scaltrita
filologia
per
Yesegesi
del
testo, ma
pone-
vano l'accento su un
Aristotele nuovo
rispetto
a
quello vulgato
nelle
scuole medievali:l'autore
degli
scritti etici e
politici,
maestrodi vita civi-
le e
di
umana conversazione,
contrapposto
allAristotele fisico e metafi-
sico che trionfava nelle scuole;
l'opera
del Bruni da
questo punto
di
vista
esemplare
e definisce
gi
un
atteggiamento
che,
dalla cultura
quat-
trocentesca, giunger
fino allinoltratoSecentow
Le
figure pi importanti
dell'aristotelismo
quattrocentesco
e
cinque-
centesco sono Achillini,
N
ifo,
Pomponazzi,
Zabarella
e
Telesio.
l)
T. CREGORY, "Aristotelismo",in Grande
enciclopediafilosofica,
VI,
p.
609.
56 Parte
prima
AlessandroAchillini
Alessandro Achillini
uno dei
pochi peripatetici
del Rinascimento
che
presti
attenzioneanche alle dottrine metafisiche di Aristotele. Nato a
Bologna
nel
1463,
fu
professore
di
logica
nella sua citt
natale,
poi
di fi-
losofia naturale
(1487-94) e
di medicina teorica
(1494-97) e di entrambe
le materie
(1497-1506). Quindi
pass
a Padova a
insegnarvi
filosofia
mo-
rale
contemporaneamente
a
Pomponazzi.
Torno, infine, a
Bologna
(1508)
ove mor
(1512).
Le sue
opere principali
sono i
Quodlibeta
de in
telfigen
tiis
(1494),
il De 0r-
bibus
(1498) e il De elementis
(1505) oltre
a molti trattati
specifici.
Diversamente da Alberto
Magno,
Tommaso
d'Aquino
e Duns
Scoto,
i
quali
avevano cercato di armonizzare Aristotele con il
cristianesimo,
I'Achillini,
pur
ribadendo
pi
volte che la verit si deve
cercare nella fe-
de cristiana e non in
Aristotele,
intende
esporre
Yautentico
pensiero
dello
Stagirita,
evidenziando
come in alcuni
punti
esso contrasti
aperta-
mente con
il cristianesimo. Cos la
sua
esegesi
dei testi aristotelici viene
a coincidere sostanzialmentecon
Yesegesi averroistico-sigieriana.
Il Motore immobileche Aristotele
pone
al vertice
dell'universo, se-
condo
Achillini,muove
il mondo con una
forza intensivamente infinita:
mens
plzilosoplzifuit
Deum
essefiniti vfgoris (l'opinione
del filosofo fu che
Dio
possiede
una forza
finita).
Ma l'Achillinisi affretta a osservare
che
diversa e
opposta
la tesi Vera (ad
oppositum
est zreritas)
insegnata
dalla
fede,
per
la
quale,
Dio dotato di
una
forza infinita. Lo stesso dicasi
per
l'atto di intellezione divina
(secondo
il
filosofo, Dio
conosce se stes-
so e non le altre
cose,
mentre vero che Deus
cognoscit
onmia),
per
la
libert di Dio
(negata daltaristotelismo,
che
pone
il mondo come effetto
necessario della natura di
Dio), e
per
la
creazione, estranea alla filosofia
peripatetica,
ma
che
purtuttavia
vera
per
la fede. Da
Dio,
l'universo si
snoda secondo la successione scalare delle
intelligenze
e dei
cieli,
dei
quali
ciascuna di
esse forma. Otto sono le
intelligenze
come
pure
i
cieli, e
la
prima
Dio. Esse sono
legate
da un
rapporto
di continuit e
subordinazione,
per
cui
ogni intelligenza

agente rispetto
alla inferiore
e
potenziale rispetto
alla
superiore.
Il
complesso
delle
intelligenze
e
dei
cieli
proposto
a
ogni
forma di mutamento nell'universo
sublunare, co-
sicch, secondo
Achillini,se
per
caso
i cieli
cessassero di
muoversi, ces-
serebbe
ogni
moto anche nel mondo sublunare e tutto verrebbe ridotto
alla Condizionedi
pura
materia.
Anche
nell'interpretazione
del
pensiero
di Aristotele sullintelletto
agente
e sullanima
umana,
Achillini fa
sue le tesi averroistiche dell'u-
nit dell'intelletto e della mortalit dell'anima
personale.
Con
Sigieri
egli
sostiene che l'intelletto informando la
cogitativa,
informa con esso
tutto l'uomo
e
lo costituisce nel suo
essere,
cosi da
porsi
come ultima
Achillini,Nzfo, Pomponazzi,
Zabarella,
Telesio 57
forma
qua
homo est homo. L'anima umana
dunque composta
da
un
principio
edotto dalla
potenza
della materia e
da
uno venuto dal di fuo-
ri che
porta
a
perfezione
la
cogitativa.
E ancora a
Sigieri
si
ispirano
la
dottrina dellAchillinsulfintelletto
agente,
identificatocon Dio, e
quella
sulla felicit come
congiungimento
dell'intelletto
possibile
con
le intelli-
genze separate
e con
Dio.
Agostino
Nifo
Nato a Sessa nel
1473,
dapprima insegno
a
Napoli;
si trasfer
quindi
a
Padova,
aderendo
per
qualche tempo
all'averr0ismodi NicolettoVernia.
Tenne
poi
cattedra in diverse citt italiane: a Salerno, Pisa,
Bologna,
Roma e
infinedi
nuovo a Salerno,
dove mor tra il 1545 e
il 1546.
Tra le sue numerose
opere
ricordiamo: De intellectu
(1503),
De
infinitate
primi
motoris (1504) e
Tractatusda immnrtalitczte animaecontra
Ponzponatium
(1518). Compose
inoltre numerosi commenti aristotelici (14 voll.,
Parigi
1654) e
cur un'edizionedelle
opere
di
Averro,
illustrandolecon
ampie
note.
Da
posizioni
iniziali dichiaratamente averroistiche,
in
un
secondo
tempo
- sia
per
far dimenticareil
suo
passato
e
per
ingraziarsi
le autorit
ecclesiastiche, sia
per
una
diversa Valutazionedelraristotelismo forse
sotto l'influsso dei
platonici
fiorentini e
di Pico
Nifo divenne strenuo
avversario dellaverroismo e
dell'alessandrinismoche,
affermando la
mortalit dell'anima, sono
la causa
per
cui i filosofi
oggi
non
sfoggiano
pi
buoni costumi (di
qui
la
polemica
contro
Pomponazzi).
Anzi nel suo
commento
alla Destructio di Averro si fa vanto di andare oltre il
compito
dei commentatori - che
quello
di
esporre
il
pensiero
dell'autore
(quid
auctor velit et sentiat)
-
per
confutare le dottrine contrarie alla
fede;
egli
voleva cos
seguire
S. Tommaso
d'Aquino,
riconoscendolo
fidum
ducem.
Nel Tractatusde. immortalitute animaecontra
Pompomztium
Nifo critica il
pensiero
di
Pomponazzi
che, come si vedr
pi sopra,
asseriva l'assolu-
ta
impossibilitper
l'anima di
agire
e
di sussistere altrimenti che in
stretta
dipendenza
dal
corpo,
da cui riceve i caratteri della individualit.
Negli ottantacinque capitoli
del Tractatus,
l'autoreaccusa
il
Pomponazzi
di non aver
preso
in
esame
il
pensiero
di Platone in ordine allimmorta
lit dell'anima e
di avere
male inteso sia Yaristotelismoche l'averroismo.
La tematica della
spiritualit
e
immortalit dell'anima
oggetto
di
accurata
indagine
anche nel De intellectu, dove,
per,
le tesi criticate non
sono
del
Pomponazzi
bens di Alessandro di
Afrodisia,
Temistio e
Averro.
Egli respinge
anche la tesi della
doppia
verit,
secondo cui
l'immortalit dell'anima
pu
essere
solo
oggetto
di fede. Indubbiamente
la fede
procura
una certezza che la sola
ragione
non
pu raggiungere,
58 Parte
prinza
per
la
ragione
e in
grado
di fornire solidi
argomenti
a favore dell'im-
mortalit
dell'anima,
bench esistano molte difficolt in
questo campo.
Il
problema
dell'immortalit dell'anima strettamente
legato
al
proble-
ma dell'unione dell'anima col
corpo.
A
questo proposito
il Nifo distin-
gue
tre
tipi
di forme: forme totalmente immerse nel
corpo
(come
la for-
ma del
tavolo), forme totalmente
separate
dal
corpo
(tali sono le anime
degli
esseri Celesti
e
gli angeli) e,
infine, forme che in
parte
si
immerge-
no
nella materia e in
parte
se ne distaccano. Il terzo
tipo

quello
dell'a-
nima umana. In
quanto
forma del
corpo
essa
individuale, ma in
quan-
to dotata di
un certo
potere
della luce
universale,
universale;
tale
la sua attitudine universale
agli intelligibili.
Contro Averro il Nifo
sostiene che n l'intelletto
agente
n l'intelletto
possibile
possono
esiste-
re
separati dall'anima,
perch
l'intelletto
agente
e l'intelletto
possibile
sono virt e facolt dell'anima
razionale,
in virt delle
quali
l'anima
razionale
portata per
natura a divenire
ogni
cosa intenzionalmente
e a
fare
ogni
cosa
spiritualmente.
Pietro
Pomponazzi
Pietro
Pomponazzi
nacque
a Mantova nel 1462 da
famiglia
nobile
e
ricca. Studi a Padova
e ivi si laure in medicina nel 1487. Rivelatasi l'a-
cutezza del
suo
ingegno,
l'anno
dopo egli
ottenne allo Studio
patavino
l'insegnamento
straordinario della filosofiain concorrenza con l'Achilli-
ni, secondo uifusanza universitaria
propria
di
quei tempi.
Fu
quella
un'epoca battagliera
per
la vita del
Pomponazzi, messo ancor
giovane
e
inesperto
di fronte alla
perizia
e
alla dottrina di
un
insigne
maestro.
Comunque
il
suo
insegnamento
fu molto
apprezzato,
tanto che
pochi
an-
ni
dopo egli
fu
promosso
"ordinario di filosofianaturale"
(1495). Quando
lo Studio
patavino
fu Chiuso
(1509),
in
seguito agli
avvenimenti
provocati
dalla
lega
di
Cambrai,
Pomponazzi pass
a
insegnare
a Ferrara, e
infine
a
Bologna,
dove concluse anche la
sua esistenza il 18
maggio
1525.
Durante il
suo
lungo periodo
di
insegnamento Pomponazzi
si trov a
commentare -
spesso pi
d'una volta
tutte le
opere
aristoteliche, com-
menti rimasti
pero
in
gran parte
inediti. Tra le
opere pubblicate
le
pi
importanti
sono: De iznmortalitatc
animae,
il
suo libro
pi
discusso, cui
seguirono Ihfllpologia
(1518) e
il
Defensorium (1519), tutti
e tre raccolti nel
1525 in un unico volume insieme ad altri
scritti, tra cui il De nutritionc et
augmentatione
e
il De in tensione et
renrissionefornrarum. Dopo
la
sua morte
furono
pubblicati
il De IICGHCIOTIHS
(1556) e
il De
fato (1567).
Pomponazzi
fu
una delle
personalit pi rappresentative
del Rinasci-
mento filosoficoitaliano ed ebbe alcuni
aspetti
di
originalit, perch
in-
tese il rinnovamento del
pensiero superando
le
posizioni
della Scolasti-
ca,
e
quindi
non come un ritorno
a Platone, come facevanomolti umani-
Achillini,
N
Ifo, Pomponazzi,
Zabarella,
Telesio 59
sti
per
valorizzare il mistico slancio dell'anima Verso l'Assoluto,
bens
ad
Aristotele,
la cui dottrina
per
non
interpretava seguendo
le orme di
S. Tommaso e
della scuola
peripatetica
cristiana, ma accettandoin linea
generale
le conclusioni a cui erano
giunti
i commentatori
greci, primo
tra i
quali
Alessandrodi Afrodisia.
Ci che caratterizzail
pensiero
di
Pomponazzi
non la dottrina della
doppia
verit che
egli
ricusava
apertamente,
ma della
doppia
fede":
una fede filosofica
e una
fede
cristiana, con
l'assegnazione
del
primato
alla
seconda, perch
soltanto la fede cristiana fa
conoscere con certezza
la
verit,
escludendo tuttavia
qualsiasi
subordinazione da
parte
della
prima, perch
tra fede filosofica
e
fede
religiosa
non
c'
armonia,
bens
aperto
conflitto.
Infatti,
mentre la filosofia
insegna
che l'anima morta-
le,
la fede
insegna
che
immortale; mentre la filosofia
insegna
che il
mondo increato ed
eterno,
la fede
insegna
che ha
un
inizio e
che di
durata
limitata;
mentre la fede
insegna
che Dio conosce tutte le cose
in
tutti i
dettagli,
la filosofia
insegna
che di
questo
mondo Dio conosce
sol-
tanto le
leggi generali;
mentre la fede esclude
qualsiasi
conflitto tra
provvidenza, predestinazione
e libert,
la filosofia afferma che l dove
c'
provvidenza
e
predestinazione
non ci
pu
essere libert, e, viceversa,
dove c' libert
non
ci
pu
essere
n
provvidenza
n
predestinazione.
Secondo
Pomponazzi,
massimo
rappresentante
della razionalit filo-
sofica fu
Aristotele, e l'unico
esegeta
autentico
degli
scritti dello
Stagiri-
ta fu Alessandro di
Afrodsia;mentre
egli
considera confusa
e
inaccetta-
bile
Yesegesi
concordista di S. Tommaso.
Chiarite le intenzioni del
Pomponazzi,
che
sono
quelle
di far dire alla
filosofiasoltanto
quanto
in
grado
di dire
con
la
pura
ragione,
e
questo,
a
suo
giudizio, corrisponde
esattamente a
quanto
riuscito a dire Aristo-
tele,
massimo tra tutti i
geni
filosofici,
vediamo brevemente le tesi
pi
si-
gnificative
delle due
opere principali,
il De inlrrzorfalitnte animate e
il De
fato.
In
un
primo tempo, Pomponazzi
aveva condivisonon solo la
polemi-
ca antiaverroisticadi Tommaso
d'Aquino,
ma aveva
anche ritenuto
-
con
lAquinate,
Contro Scoto
- dimostrabilel'immortalit dell'anima dai
prin-
cipi
aristotelici; successivamente,
nel De
immortalitate,
egli
cambia ra-
dicalmente
posizione,
e
respinge gli argomenti
dell'aristotelismo tomi-
sta
per
dimostrare l'immortalit.
Pomponazzi
condivide il
punto
di vista
degli
umanisti
riguardo
alla
centralit
dell'uomo,
posto
al confinetra natura e
soprannatura,
tra tem-
porale
ed
eterno, ma
anzich far
prevalere
nell'uomo la
parte superiore,
cos da
acconsentirgli
di
appartenere pi
al cielo che alla
terra,
pi agli
angeli
che alle
bestie,
egli
fa
prevalere
la
parte
inferiore, e
quindi
affer-
ma
l'appartenenza
sostanziale dell'uomo alla terra e
al
regno degli
ani-
mali.
Pomponazzi
accusa S. Tommaso di voler
separare
quello
che
sostanzialmente unito e
giunge
cos al
capovolgimento
della tesi tomi-
6G Parte
prima
sta: l'anima
non
per
se immortale e secundztm
quid
mortale, ma al contra-
rio
per
se mortale e secundunz
quid
immortale. L0
provano
i
legami
che
saldano l'anima razionalealla vita
Vegetativo-sensitiva,
che Aristotele ha
riassuntonel suo concetto di forma sostanziale e nel nesso
posto
tra intel-
letto e fantasia.
Pomponazzi
non
esclude che l'intelletto
goda
di
un'ope-
razione
propria grazie
alla
quale
conosce Yuniversale, ma insiste sul fatto
che
l'intelletto
non
pu
fare
questo
senza
il
concorso dei sensi e della fan-
tasia: <<E essenziale allntellettt) scrive
Pomponazzi
- intendere
per
mezzo
di
immagini
sensibili,come stato dimostrato
e come risulta dal-
la definizione
dell'anima,
dato che atto del
corpo
fisico
organico, per
cui in
ogni
sua
operazione
ha
bisogno dell'organo
corporeo;
ma ci che
cos intende necessariamente
inseparabile;dunque
l'intelletto
umano
mortale. E
pi
avanti: Perci
appare pi logico
che l'anima
umana,
essendo la
pi
alta e la
pi perfetta
delle forme
materiali,
sia Veramente
ci in virt del
quale qualcosa
e
questo qualcosa,
e in
nessun modo essa
sia
qualcosa per
s. Per cui forma in senso stretto,
che comincia ad
es-
sere e finisce insieme col
corpo,
e
che
per
nessuna
ragione pu operare
ed esistere senza di
esso;
e
ha soltanto un unico modo di
essere e di
ope-
rare. Qualsiasi
altra
opinione
si rivela contraria alla retta
ragione
ed
estranea al
pensiero
di Aristotele?
La
genialit
del
Pomponazzi
trova la
pi completa espressione
nel
De
fato,
dove affronta
uno
dei
problemi
metafisici
pi spinosi
e
pi
di-
battuti dai
filosofi,
quello
dei
rapporti
tra
provvidenza
divina
(e
prede-
stinazione)
da una
parte
e libert umana dall'altra.
Egli svolge
un'accu-
rata
rassegna
delle svariate soluzioni che
sono state date
a
questo pro-
blema,
per
concludere alla fine che le analisi
pi
attendibili
sono
quella
cristiana e
quella
stoica. La
prima
afferma la
compatibilit
della
provvi-
denza
(predestinazione) con la
libert, la seconda
ne
ribadisce l'incom-
patibilit.
Alla
prima
necessario aderire
e riconoscere che l'unica
vera se si
professa
la
religione
cristiana;
alla seconda necessario assen-
tire se ci si basa esclusivamente sulle considerazioni della
ragione.
Ecco
come l'autoreconclude la
sua
dotta dissertazione:
A
proposito
del fato e del liberoarbitriosono state riferite sei
opinio-
ni; e nessuna di
queste

priva
di
qualche spunto
efficace
e nessuna si
presenta
immune da
gravissime
difficolt e incertezze. infatti, se
qualcuno
le consideri
attentamente,
facendosi
guidare
solo dalla ra-
gione,
non ce n' alcuna che soddisfi del tutto. Dico, tuttavia,
due co-
se: in
primo luogo,
che nei limiti dei
puri principi
naturali e
per quan-
to
concesso
alla
ragione umana,
secondo il mio
parere
meno con-
traddittoria
quella degli
Stoici.3
2) De inzrrmrtalitate animae, c.
9.
3)
Dcfuto, Epilogo.
Achillini,
Nifo, Pompomzzzi,
Zabarella, Telesio 61
Nella visuale stoica il Fato domina
sovrano: esso
porta
alla luce tutte
le
cose,
ma successivamente tutte le
divora, in un
ciclo che
non cessa
mai,
che annulla
ogni
distinzione
e
ogni privilegio:
E
come nell'univer-
so
si
pu
constatare che
una terra ora fertile diviene
poi
sterile, in
un
continuo
avvicendamento,
allo stesso modo i
grandi
ricchi si mutano in
abietti
e
poveri,
e cos via
con
legge
universale, come risulta dalla sto-
ria. Davanti a
questo
inarrestabileciclone del Fato che
non
risparmia
nessuna
persona
e nessuna
cosa,
tutte le ambizioni
e
le illusioni
degli
umanisti si dissolvono. Alla
dignitas
homins di
Pico,
il
Pomponazzi
con-
trappone
la caducitas
e la tranitas hominis: l'uomo e una nullit, e la nul-
lit una falce inesorabileche
non
risparmia
nessuno.
Se si considera rettamente e si
prende
in
esame tutto
l'universo,
ci si
rende conto che in
esso non ci sono
che uomini sciocchi
e scellerati e
che molti che
sono stimati
sapienti
sono
pi
stolti
degli
altri, e che
quelli
che
sono ritenuti
migliori
molte volte sono
peggiori
degli
altri.
Certo la nostra
saggezza
stoltezza e la nostra bont cattiveria. E suf-
ficiente infatti che
non si trovi
malvagit
nel
cielo; ma al di sotto del
cielo della
luna,
poich
tutte le cose ivi tendono alla
morte,
tutte sono
fetide
e
putride.4
Quale
stridente contrasto tra
gli
inni dei
neoplatonici
(Cusano, Ficino
e Bruno)
alla
grandezza
delluomo e le lamentazioni del
Pomponazzi per
la
sua miseria! E tuttavia sia i
primi
che il secondo
preparano lingresso
a
tempi
nuovi
per
la metafisica. Mentre i
platonici accolgono
la linea della
ragione
forte dei razionalisti
e
degli
illuministi,
Pomponazzi prepara
l'ac-
coglimento
della linea della
ragione
debole
degli
scettici e
degli empiri-
sti.
Jacopo
Zabarella
Jacopo
Zabarella
nacque
a Padova nel 1533. Era
figlio
di una delle
pi
vecchie
e illustri
famiglie padovane;
come
primogenito
eredit dal
padre
Giulio il titolo di Conte
palatino,
e venne educato
e istruito
come
si confacevaai nobiluominiitaliani del Rinascimento.
Frequento
l'uni-
versit della sua citt
natale,
studiando
logica
e filosofia naturale. Con-
segu
la laurea nel 1553. Dieci anni
pi
tardi
successe
al
suo maestroBer-
nardino Tomitano nella
prima
cattedra di
logica, passando
nel 1568 al-
l'insegnamento
della filosofia
naturale,
incarico che mantenne sino alla
morte
(1589).
4)
Ibid.
62 Parte
prima
Oltre a commenti a numerose
opere
di Aristotele (Fisica,
De
anima,
Analitici
secondi)
Zabarella scrisse:
Opera logica
(1578),
Tabulae
logica?
(1580),
De naturalis scientiae constitutione (1586), De rebus naturalibus
(1590),
che include tra l'altro De mente humana,
De mente
agente,
De ordine
intelligendi.
Anche Zabarella nei trattati del De rebus
naturalibus, come
pure
nel
commento al De anima dibatte la vexcitissimtz
quaestio,
che da
sempre
divi-
deva
gli
aristotelici,
sulla natura dell'intelletto umano e sui suoi
rapporti
con
l'anima
e
il
corpo,
attestandosi
praticamente
sulle
posizioni
di Ales-
sandro di Afrodisiae di
Pomponazzi
e
criticando
apertamente
sia Aver-
ro sia Tommaso
d'Aquino.
In
polemica
con Averro,
che riduceva l'intelletto a
forma
assistente,
Zabarella ritiene vera
la dottrina di coloro i
quali
dicono che l'anima
razionale umana
veramente forma
dell'uomo,
per
cui l'uomo uomo
ed costituito nella
specie.
Questa
la
posizione,
dice
Zabarella,
di
Alessandro di Afrodisiacome di Tommaso
d'Aquino;
ma se
egli
utilizza
gli argomenti
di
quest'ultimo
contro
gli
averroisti,
dalYAquinate
netta-
mente si
separa,
aderendo alla
posizione
alessandrinista,
per
il
pi
coe-
rente
sviluppo
del concetto di
forma infornzante,
contro
ogni interpreta-
zione che tenti di introdurre una
separazione
sostanziale tra anima intel-
lettiva
e
corpo.
A
questo punto
Zabarella offre un'acuta
spiegazione
di ci che
per
Aristotele
significa
essere
"separabile"
e "immisto",
detto dell'intelletto.
Quando
il
filosofo,
egli spiega,
dice che l'intelletto
separabile,
non
vuol
dire che esista
separato,
come
concludono
gli
averroisti, ma
semplice-
mente che
esso non una facolt
organica
(HBHECHH! non esse
organi-
cum),
perch nell'operazione
non
ha
bisogno
di
organo corporeo;
ma
questa
sua autonomianon
comporta

come
insegnava
S. Tommaso
- che
esso
possa
esistere
indipendentemente
dal
corpo
di cui forma: infatti
nulla dimostra che
una forma, non essendo
legata all'organo
della sua
operazione,
sia
per
natura
separabile:
la forma dell'elemento infatti -
scrive Zabarella -
non
ha
nessun
organo,
ma non
per questo

separabile
dalla
materia, e ci
pu ripetersi
anche dell'anima
razionale, se si vuole
restare aderenti
all'insegnamento
di Aristotele. Nello stesso senso va
interpretato
l'essere immixtus
dell'intelletto, se si riferisce al suo non
essere della natura
degli oggetti
conosciuti e
al
suo essere autonomo
rispetto
al
corpo
in
operando:
N dal fatto che l'intelletto nel ricevere
non si serve
dell'organo, qualcuno pu
inferire che esso e forma
separa-
ta dal
corpo,
che
non d l'essere al
corpo:
giacch
altro e considerare
l'intelletto secondo il
suo
essere,
altro secondo
l'operazione.
Infatti
secondo l'essere
suo forma del
corpo
e
informa realmente la
materia,
secondo
l'operazione

rispetto
alla materia
pi
elevato delle altre
parti
dell'anima e nella recezione della
specie
non
si serve
di alcuna
parte
del
Achillini,
Nzfo, Pomponazzz,
Zabarella,
Telesio 63
corpo,
se dev'essere cos immisto da intendere tutte le cose. N
ell'opera-
zione
dunque
appare
che l'intelletto
non e mescolato
con alcuna natura
delle
cose n con alcuna
parte
del
corpo
come
organo,
e cos in tutti e
due i modi immisto nella
sua
operazione.5
Con
questa precisa
definizionedella
"separabilit"
dell'intelletto - che
Zabarella
svolge superando
anche le
posizioni
di
Pomponazzi
alle
quali
esplicitamente
si riferisce
ripresa Pinterpretazione
di Alessandro di
Afrodisia,
che si avverte anche nell'identificazione
con l'intelletto
agente
supremo,
con la Mente
divina,
il solo vero intelletto
agente,
fonte di
ogni
conoscenza e
quindi
il solo
capace
di rendere
intelligibiligli oggettifi
Notevole influssoesercit lo Zabarella con le sue
opere logiche,
dove
definisce il metodo sulla base dell'ordine della
conoscenza (orde
doctri-
nae),
distinguendo,
come
gi
facevano i
medievali,
il momento risoluti-
vo
(dagli
effetti alle
cause)
da
quello compositivo
(dalle cause
agli
effet-
ti), ma
integrando
l'un l'altro nell'unico
processo
del conoscere.
Bernardino Telesio
Nato a Cosenza nel
1509,
Bernardino Telesio studi
fisica,
medicina
e
filosofia a Padova.
Dopo
un
paio
d'anni di ritiro in un convento bene-
dettino
(1544-1545),
si trasfer a Roma e successivamente a
Napoli
e a
Cosenza dove concluse i suoi
giorni
(l 588).
Nel 1565
apparvero
i due
primi
libri del suo
capolavoro,
De rerum
natura
juxta
sua
propvria priizcipia, completato
in nove libri nell'edizione
del 1586. Il
discepolo
Antonio Persio
pubblic postumi
(1590) i Varii de
rebus naturalibus libelli.
Bench
spesso
e
volentieri
polemizzi
con Aristotele,
Telesio rimane
sostanzialmente un
peripatetico nell'approccio
alla
realt,
che
quello
di
studiarla
juxta propria principia,
anzich mediante
principi
trascendenti e
ideali, esterni alle
cose,
come facevano i
platonici.
I temi fondamentali
della
sua ricerca
sono
quelli propri
di
ogni
metafisica, l'uomo,
il mondo
e
Dio, ma
la
sua
indagine
fatta
con uno
spirito
fisicalisticoed
empiristico
pi
che
metafisico, con l'intento di decifrare i
principi
costitutivi dell'uo-
mo e
del
mondo,
anzich di scrutare le
cause ultime.
Cos, mentre la
spe-
culazione di Aristotele abbracciava le
quattro cause, quella
di Telesio si
concentra sulle
cause materiale
e
formale.
5) De mente
fiumana, c. 9.
r) Cf.lliid.,c.13.
64 Parte
prima
L UOMO
Telesio
aveva conosciuto laristotelismoaverroistico a
Padova ed era
edotto
degli atteggiamenti degli
aristotelici di fronte al
problema
del-
l'uomo;
d'altra
parte egli
non
ignorava
la strenua
polemica
dei fiorenti-
ni,
condotta in
nome del
platonismo,
contro il naturalismo
degli
alessan-
drinisti;
la
sua
fede nel cristianesimo non
poteva, comunque,
mettere in
dubbio un elemento cos fondamentale del
cristianesimo, come
quello
dell'immortalit dell'anima. Di
qui
la
polemica
telcsiana sul
problema
dell'uomo. Con
gli
aristotelici
egli
non
pu
non riconoscere l'immersio-
ne dell'uomo nell'atmosfera del sensibile: molti dati della vita
psichica
umana lo hanno avvertito che nell'uomo la sensibilitha
un
ruolo fon-
damentale, e mentre
Pomponazzi,
sulla scia di Alessandro di
Afrodisia,
riduce l'intelletto a
fantasia
legata
al
corpo,
Telesio convinto che in
fondo la conoscenza
della
natura, come
complesso
di realt
percepibili
con
i
sensi,
esige pure
nell'uomo una struttura sensibile. D'altra
parte
l'uomo,
nella
sua totalit, non
pu
venir ridotto a
puro
senso;
esistono
in lui
tendenze,
bisogni
e orizzonti che trascendono il
piano
della natura
e
del
sensibile;e mentre si
pu
accedere alla
posizione degli
aristotelici
per quanto
attieneun certo
piano
dell'uomo, non si
pu
non dar
ragione
a Ficino e ai
platonici
nel
proclamare
nell'uomo l'esistenza di
un
piano
superiore
di vita. Telesio
non un
metafisico:
egli
non
si
propone
il
pro-
blema radicale dell'unit di
quell'essere
che
l'uomo;
si ferma
(direm-
mo
oggi)
a una
fenomenologia
dell'attivit
umana e
scopre
in essa la
presenza
di due
piani,
sensibile
e
intelligibile,
che attestano la
presenza
di due
principi:
un
principio psichico
e uno
spirituale.
ll
principio
della
psichicit
sensibileo
animale detto da Telesio
spiri-
tus,
mentre il
principio
della Vita
spirituale
detto
mens. Lo
spiritus
in
fondo rientra in
quell'agente
naturale che il
calore, nasce e muore con
l'uomo; l'anima,
la
mens, invece,
creata da Dio e
aggiunta
al
composto
di materia e
spiritus.
Che l'affermazionedella creazione diretta dell'ani-
ma da
parte
di Dio
(a
Deo
creata),
abbia un valore
religioso
fuori di
dubbio, ma essa
ha
pure
un
valore filosoficoin
quanto poggia,
come
nel
Ficino,
sulla
presenza
nell'uomo di orizzonti
superiori
e
irriducibilialla
sfera del senso. Si detto che Telesio ammette la mens
superaddita
soltan-
to
per
fede
e non
per
motivi
teoretici; ma
egli
stesso si incarica di
repli-
care
dicendo che l'esistenza di tale anima non ci viene
insegnata
soltan-
to dalla Sacra
Scrittura, ma si
pu
intendere anche mediante
ragiona-
menti umani (hitmanis
etiam
intelligere
licei
rati0nibus);7
il che
quanto
dire che la tesi dell'anima
spirituale
assume
anche
un valore teoretico. Si
ancora osservato
che l'ammissione della
mens in contrasto con la me-
7) De rerum tintura VIII,
8.
Achilln,
Nifo, Pomponazzi,
Zabarella,
Telesio
65
tafisica materialistica di Telesio. Ma l'esistenza in lui di
una metafisica
materialisticae tutt'altro che
pacifica.
Come si
vedr,
Telesio non
voleva
offrire una metafisica come Visione della realt nella sua interezza, ma
solo una
filosofiadella natura
una
cosmologia

come aveva fatto Ari-
stotele nella
sua Fisica e
nelle
opere
ad essa connesse.

logico
che
una
filosofiadella
natura,
chiusa nei
propri
limiti,
si risolva in una metafisica
materialistica
qualora
la si consideri come concezione
globale
della real-
t; ma in tal caso
qualsiasi
trattato di fisica
o
di
chimica,
elevato a conce-
zione della realt
intera,
si trasforma in metafisica materialistica. Non
siamo
quindi,
col
telesianesimo,
di fronte a una metafisica, bens di fron-
te a una filosofia della
natura,
includente
per
una
parte
anche
l'uomo,
del
quale
tuttavia viene affermata
l'emergenza
sulla natura in funzione
dell'anima
spirituale.
IL MONDO
Sul
piano
formale il De rerum natura vuole essere un commentarioad
Aristotele, ma si tratta di
un trattato che intende finalmente
rivolgersi
alle
cose
in
se stesse; e mentre
gli
aristotelici trattano della natura
adope-
rando
gli
strumenti della
logica
e della
metafisica,
Telesio si mantiene
pi
di loro fedele allo
spirito
del1arstotelsmo come
atteggiamento
aperto
sulla natura. Infatti, se
gli
aristotelici
spiegano
la natura secondo
i
principali
di
Aristotele,
egli
intende
investigarla
in
s,
cos
com', e
quin-
di
esporla juxta propria principia.
Il
senso vero e ovvio della formula
juxta propria princpia,
e non
quello prestatole
da critici non
troppo
obiettivi,
che Telesio vuole offrire
una
filosofia della natura costruita
secondo i
principi
offerti dalla natura stessa e non secondo
quelli
che
vengono imposti
dalle elucubrazioni dei filosofi. Un
atteggiamento
aprioristico
nello studio della
natura,
avverte Telesio, si
arroga pratica-
mente lo stesso
potere
di Dio nel fissare le
leggi
della
natura;
questo
avevano fatto
e
facevano
gli
aristotelici: Come
percorrendo
la natura e
arrogandosi
non
solo la
sapienza
ma
pur
la
potenza
di Dio medesimo
essi
imposero
alle cose
leggi
che non avevano
scoperto
nelle cose e
che
invece
bisognava
assolutamenteenucleare dalle cose stesse
(quae
ab
ipsis
omnino habenda eran!
rebus).8
Come abbiamo
gi
rilevato,
l'intenzione di Telesio nel De rerum natu-
ra non di elaborare
una
spiegazione generale
della
realt,
ossia una
metafisica, ma soltanto della natura sensibile,
cio del mondo
materiale,
anche
se ci
comporta
un accenno a Dio
e
all'anima
spirituale
dell'uo-
mo. Lontano dal
punto
di vista della metafisica aristotelica Telesio
non
crede di doversi
rivolgere
alle
categorie
di
quella
metafisica
per spiegare
S) Ibid., Proemio.
66 Parte
prima
la natura del mondo. La materia
prima
aristotelica,
comei concetti di atto
e
potenza,
di forma
e
privazione,
assolutamente
non
percepibili
dai sensi
e
dalla fantasia
non dicono nulla alla sete di concretezza di 'l"elesio. Certo
anche Telesio
parla
di materia ma si tratta della materia
corporea
e i soli
principi
che
egli
riconosce
per spiegare
la
molteplicit
e
i cambiamenti
che la investono sono
il caldo e
il
freddo,
due
principi
che
nessuno
pu
mettere in dubbio: tutto il
complesso
del movimento e della
biologicit
trova la
sua
radice nel calore in lotta
permanente
col freddo. La terra e
il
cielo
sono
i due elementi-centri del
mondo, come sedi
rispettivamente
del freddo e del caldo. Dall'incontrotra il calore
(che
proviene
dal
cielo) e
la terra si
generano
tutti
gli
esseri: i
minerali,
i
vegetali, gli
animali e l'ira
m0,
i
quali
sono variamente animati" a seconda della
quantit
di calore
e di movimento che
contengono.
Vi
dunque
unit e continuit in natura
e
la differenza tra
gli
esseri di
questo
mondo solo di
grado
e non di
qualit
(ilozoismo e
panpsichismo).
'l"elesir) riconosce
nondimeno, come
si visto,
all'uomo anche un'anima
soprannaturale:
sostanza altra dallo
spirito
seminale, veramente divina
e
infusa da Dio stesso.
DIO
Nella sua
cosmologia
oltre che all'anima
spirituale
e immortale Tele-
sio fa
posto
anche
a Dio. Nella
sua
opera
il
problema
di Dio entra di ri-
flesso in
quanto,
come
sappiamo, argomento
ne lo studio della natura.
Telesio non
intendeva addentrarsi in una trattazione
metafisica,
che la-
sciava ad altri
pi preparati."
L'esistenza di Dio
per
lui
certa, non soltanto
per
fede o in base alle
Scritture, ma
anche in funzione di
un'indagine
razionale. La
procedura
telesiana
per
l'ascesa a Dio si distacca dalla tradizione aristotelica che
partiva
dal movimento cosmico inteso localmente
(tria motus) e si rif
invece a un
fenomeno che
non
ha
bisogno
di far intervenire
postulati
metafisici e
lunghe argomentazioni per
arrivare fino a Dio,
il fenomeno
dell'ordine: Dio il
garante
di
questordine,
in
quanto
il creatore e
il
legislatore
delle cosefl" La
presenza
di Dio nel mondo si rivela
proprio
in
un
governo,
che si incarna nelle
leggi
da lui stabilite: tali
leggi
non
ri-
chiedono
un intervento straordinario o
miracoloso della
divinit; esse
hanno valore come
regole
immanenti alla natura delle
cose,
la
quale
ed
agisce perch
e
in
quanto
creatura di Dio.
Il ritorno delle cose a Dio,
che funzione della
religione,
si realizza
nell'anima da Dio
creata, con
la
quale
l'uomo trascende la sua stessa
presenza
nel mondo.
9) Cf. lbizi,l,
10.
m) Cf.ll1id., IV,
25.
Achillini,
Nifo, Pomponazzi,
Zabarella,
Telesio 67
Pi che
per
le
sue teorie sulla
natura,
sull'uomo
e su Dio,
che sotto
molti
aspetti, specialmente quelle
sulla natura e sull'uomo,
riecheggiano
le teorie dei
presocratici
e
dellaristotelismo
averroistico,
l'opera
di
Telesio
importante per
l'affermazione dell'autonomia della filosofia
naturale, e
per
il
suo
programma,
che
quello
di studiare la natura se-
condo i
principi
che le
sono
propri, quindi
non con
la fantasia del
mago
e
dellastrologo
e
neppure
con
i
procedimenti
astrattamente deduttivi dei
peripatetici,
ma con
l'osservazione
empirica
e con
il metodo induttivo.
Con il motto
"juxta propria principia",
Telesio indica chiaramente
quel-
lo che dev'essere
l'oggetto
della
scienza,
anche
se
di fatto
egli
non sa
ancora
distinguere
nettamente tra filosofia naturale
e
scienza. Comun-
que, pur
restando dentro i limiti della filosofia
naturale,
il
suo uno stu-
dio che
cessa di
essere
astrologia
o
magia
e si avvia a
diventare fondata
ricerca scientifica. Se si tiene conto del
programma
di
Telesio,
anche il
suo
forte sensismo non
sorprende pi
di tanto: esso trova la
sua
giustifi-
cazione nelle
esigenze
stesse dello studio concreto della
natura,
studio
che dev'essere
perseguito
col metodo
sperimentale.
E il sensismo di Te-
lesio ha valore
precisamente
in
quanto getta
le basi di tale metodo.
Per
quanto
concerne
la storia della metafisica Telesio
segna
la
parabola
conclusivadella metafisica
aristotelica,
che
per qualche tempo
si era
ridot-
ta a mera
esegesi
dei testi e dei
punti pi
difficili
e
pi
discussi delle
opere
dello
Stagirita,
mentre ora con
Telesio
scompare
del tutto. Si salva solo la
fisica, ma anche nella elaborazione della fisica Telesio
non
segue pi
i
paradigmi
aristotelici,
anticipando
invece
quelli
di Bacone.
Conclusione
Verso la fine del
Cinquecento
la crisi dellaristotelismo ormai
aperta:
Pallargarsi
dell'orizzonte
culturale,
la
nuova
prospettiva
in cui il
pensie-
ro antico viene
posto
dalla
filologia
umanistica,
le
nuove
scoperte
dell'a-
stronomia
e
della
scienza,
si fanno sentire anche all'interno delle aule
universitarie,
dove e
d'obbligo Weggere"
Aristotele
e
ripercorrerne
il si-
stema. Tuttavia
proprio per questo
incardinamentonelle universit -
Yaristotelismo continua
per
tutto il
Cinquecento
e ancora nel Seicento
a
costituire
oggetto
di
trattati,
commenti e
dispute,
i cui temi
sono monoto-
namente
gli
stessi,
anche
se si nota
qua
e
l
una
pi
attenta ricostruzione
del testo e una
pi ampia
conoscenza dei commentatori
greci, special-
mente di Alessandro di Afrodisia
e
di
Simplicio.
Ma il tentativo di ri-
prendere
Aristotele alla
lettera, rinunciando
a rinnovarlo
profondamente
come aveva fatto S.
Tommaso,
cogliendone
lo
spirito
e i
principi
basilari,
segn
la fine deltaristotelismo.
N)
Cf. T.
CREGORY,
0p.
ciL,
p.
626.
68 Parte
prima
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Telesio, T0-
rino 1923.
70
LINDIRIZZO TOMISTA
Nel secondo volume,
quello
dedicato alla metafisica cristiana,
abbiamo
visto che
essa
ha
raggiunto
il suo
apice
con S. Tommaso
d'Aquino,
il
crea-
tore di
una
metafisica dell'essere,
in cui sulla base di
un concetto forte,
il
concetto intensivo dell'essere,
egli opera
una
possente
e
grandiosa
sintesi
tra
platonismo
e aristotelismo,
tra lfiziscensus di Aristotele e il descensus di
Platone, rinvigorendo
e
trasfigurando
le loro
geniali
intuizioni metafisi-
che. Cos anche il Dottore
Angelico,
non solo nella storia della
teologia,
ma
anche in
quella
della metafisica,
diviene un classico che si affianca a
Platone e
ad Aristotele:
nell'epoca
in cui i
discepoli
dei
grandi padri
della metafisica dell'Uno e
della Sostanza
pi
che alla creazione di
nuovi sistemi si dedicano allo studio dei loro scritti e alla
esegesi
delle
loro
dottrine,
altrettanto fanno i
discepoli
di S. Tommaso. Il
Quat-
trocento e il
Cinquecento divengono l'epoca
dei commenti e
delle
pa-
rafrasi delle due Swmnae, e delle
disputazioni
e
dellapprofondimento
dei
punti
incerti e oscuri della filosofia e
della
teologia Clell'Aquinate,
nonch dei
primi
tentativi di sistematizzarela sua
metafisica. A
questo
oscuro ma
importante
lavoro attesero
principalmente
i Domenicani Ca-
preolo,
Silvestri e Gaetano, ma
anche alcuni Gesuiti,
in
particolare
il
Suarez. Ma
prima
di
parlare
di
questi grandi
studiosi di S. Tommaso,
dobbiamoricordare alcuni antefatti che favoriscono la
ripresa
e
la diffu-
sione del suo
pensiero,
alcuni
riguardano
direttamente il Dottore An-
gelico,
altri la seconda Scolastica.
Nel 1323 Tommaso
d'Aquino
venne canonizzato,
dissipando
in tal
modo
ogni
dubbio sullortod0ssia della sua
sintesi
filosofico-teologica.
Ciononostante nel secolo XIV il tomismocontinu ad
avere
vita difficile:
quasi ovunque
era
sopraffatto
dai fautori della via moderna,
la via di
Occam e dei suoi numerosi
discepoli.
La situazione cambilentamente a
favore di S. Tommaso nel secolo
XV,
specialmente
dal momento in
cui,
verso
la fine del
Quattrocento,
alcune delle
principali
universit fecero
adottare la Summa
Theologiae
come testo
principale
di
insegnamento
al
posto
dei Libri SHETIGTHTH di Pier Lombardo. Roccaforte del tomi-
smo (come
la definiva Lutero) era
naturalmente Colonia,
la citt dove
S. Tommaso aveva
completato
i suoi studi
teologici
e dove aveva
inizia-
to il suo
insegnamento,
negli
anni 1247-1252. Guidata da uomini di Valo-
re come Enrico di Gorkum(T 1431),
l'universit di Colonia divent a
po-
L'indirizzotomistu 71
co a
poco
la
precorritrice
della rinascita tomista. Con il
suo libro
stampa-
to nel
1473,
Compendium
Summae
theologiae
S.
Thomae, Enrico di Gorkum
offri
un eccellente riassunto del contenuto del testo e della concezione
teologica
del
grande
maestro.
Ma anche
a
Parigi,
che ormai aveva
perduto quell'egemonia teologica
che
aveva esercitato
per
un
paio
di
secolifl
dopo
un
lungo predominio
dei moderni
(Nicola d'Autrecourt, Giovanni
Buridano, Pietro
d'Ailly),
la
via
antiqua riprese vigore, soprattutto per
merito di Giovanni
Capreolo,
il
princeps thomistarum,
che iniziil
suo
insegnamento
nel 1407. Anche il
convento domenicano di
Saint-Jacques,
che
era
sempre
rimasto fedele
alla tradizione
tomista,
contribu efficacemente
a
far
conoscere il
pensie-
ro
dellAngelico
Un ruolo
importante
nella creazione della scuola tomista ebbero
anche le
pi
recenti universit di Salamanca
e di
Tolosa,
in
particolare
la
prima. Salamanca, che
era stata fondata nel
1381,
fu la
prima
a ottenere
dal
papa avignonese
Benedetto
XIII,
all'inizio del sec. XV,
la facolt di
conferirela licentia docendi in
teologia.
Salamanca,
che diverr ben
presto
non solo la
pi importante
universit
iberica, ma anche
una delle
pi
prestigiose
di tutta la
cristianit,
si schier sin dall'inizio dalla
parte
di
S. Tommaso. Da Salamanca uscir la
maggior parte
dei
teologi
della
Controriforma, tutti valenti
discepoli
di Tommaso
dAquino.
Salamanca
divenne, inoltre,
il centro
principale
della seconda
Scolastica, cos
come
Parigi
era stato il fulcro della
prima.
Carlo
Giacn, autore di
una fondamentale
monografia
sulla seconda
Scolastica!
ne descrive cos
gli aspetti
fondamentali:
La Seconda Scolastica sostanzialmentela Scolastica del
Cinquecent-
o,
chiamata da
qualche
storico della filosofiaScolastica
spagnola, per-
che alcuni illustri
rappresentanti
della medesima
appartenevano
alla
nazione di Carlo V
e
di
Filippo
II. Essa un rifiorimento della
Scolastica
medievale, una corrente di
pensiero
che si
svolge parallela
a
quelle
promosse
dalla rinascita del
platonismo
di
Bessarione,
di
MarsilioFicino
e
di Pico della
Mirandola, dellaristotelismoaverroisti-
co del
Vernia, dellAchillini
e del
Nifo, dellaristotelismoalessandristi-
co del
Pomponazzi
e del naturalismo di
Telesio,
del Bruno
e del
Campanella.
Nel medesimo
tempo
scrivevano i loro
capolavori
di sto-
ria
e di
politica
il
Machiavelli,
il
Guicciardini,
il Bodin. Era la continua-
zione delle
interpretazioni
ortodosse dellaristotelismodel Duecento
e del
Trecento,
che si richiamavanoai nomi di Tommaso
d'Aquino
e
Duns Scoto
(...).
l) All'iniziodel secolo XV il
papa avignonese
Benedetto
XIII, adirato
per
l'ostilit
manifestata nei suoi confronti dalla Facolt
teologica parigina,
la
privo
dell'e-
sclusiva del conferimento dei
gradi
accademici in
teologia,
ossia della licentia
docendi.
2) C.
GIACN, La Seconda
Scolastica,
3
voll., Milano1944-1950.
72 Parte
prima
Generalmente si
pensa
che la Seconda Scolasticasia
legata
alla riforma
della Chiesa,
provocata
dal
protestantesimo
e
promossa
dal Concilio
di Trento. Storicamente risulta che la riforma della Chiesa era
gi
in
atto,
bench
non
nel suo
pieno sviluppo,
ancor
prima dellapparizione
di
Lutero;
il Conciliodi Trento non
avrebbe
potuto
aver
luogo
se
la
riformanon avesse
gi
maturato le condizioni che dovevano sostener-
ne le discussioni e le deliberazioni:
gli
studi
teologici
e filosofici,
scrit-
turistici e
patristici
dovevano
gi
essere
rifioriti
perch
le assisi triden-
tine
potessero svolgersi.
Il Concilio di 'lrento,
che sta come
al centro
del
Cinquecento,
era
gi
stato
preceduto
da una
prima parte
della
Seconda Scolastica, e
giov
moltissimo allo
sviluppo
della seconda
parte.
Il card.
Gaetano,
che ebbe da Leone X l'incarico di incontrarsi
con Lutero
per
la
questione
delle
indulgenze,

gi
uno
degli
autori
principali
della
prima
fase della Seconda Scolastica, e
rappresenta
lo
spirito
nuovo
animatore della
ripresa
di
questa speculazione.
I
pregi pi cospicui
di
questa ripresa
non sono
stati di natura
gnoseo
logica
e metafisica, ma
piuttosto
etica e
giuridica.
Nei
campi
della
gnoseologia
e della metafisica devono anzi essere
rilevati notevoli
indebolimenti,
quegli
indebolimenti che
aggravarono
lo sfaldamento
dell'unit del
pensiero
occidentale,
che fecero sentire
sempre pi
impellente
il
bisogno
di un nuovo
metodo
per
scoprire
e
raggiungere
la
verit,
di un nuovo
punto
di
partenza
della
filosofia,
di una nuova
metafisica;
i
pionieri
saranno
Galilei e Bacone, e
fondatore Cartesio. E
la Scolastica conoscer inevitabilmenteuna seconda decadenza. Ma
un merito
per
rimane vivo e vivificante, e
riguarda
la filosofia del
diritto,
la dottrina dello
Stato,
il diritto internazionale, con
i nomi
spe-
cialmente del Vitoria e
del
Suarez;
sulle loro
opere
studieranno il
Grozio e
giusnaturalisti
del Seicento e
del Settecento!
Come rileva Giacn la seconda Scolastica e stata assai
pi
feconda
nelle
discipline pratiche
della morale e del
diritto,
che in
quelle speculati-
ve della
gnoseologia
e
della metafisica. In tali
settori,
oltre ai ricordati
Francisco Vitoria e Francisco Suarez si distinsero
Domingo
de
Soto,
Mel-
chior
Cano,
Roberto Bellarmino e
Luis Molina. A noi
qui per
interessa-
no
soltanto
gli sviluppi
della metafisica tomista nei secoli XV e XVI,
che
non sono
stati
particolarmente
esaltanti e
significativi,
in
quanto
anche i
tomsti, come
i
platonici
e
gli
aristotelici,
preferiscono
lavorare sulle fonti,
commentando
gli
scritti del loro
maestro, specialmente
le due
grandi
Summaedi S. Tommaso,
anzich
approfondire
e
sviluppare
ulteriormente
il suo sistema metafisico. I
pi insigni esponenti
del tomismo nel
periodo
del Rinascimento sono:
Giovanni
Capreolo,
Francesco Silvestri,
Tomma-
so de
Vio,
detto il Gaetanoe Francesco Suarez.
3) ID.,
La Seconda Scolastica,
in Grande
enciclopediafilosofica
IX,
pp.
2039-2040.
L'indirizzoturnista
73
Giovanni
Capreolo
Originario
della diocesi di
Rodez,
dove
nacque
verso il
1380,
Ca-
preolo
entr nel convento dei Predicatori di
questa
citt. Nel 1407
gli
fu
affidato l'incarico di
leggere
le Sentenze nel convento
parigino
di Saint-
Jacques.
Di ritorno
a
Rodez nel
1426,
lavor alla redazione
e alla
pubbli-
cazione della
sua
opera
monumentale,
Libri
defensionunz theologiae
divi
doetoris Tlzomaede
Aquino
in libros Sententiaruin. I
quattro
libri furono
portati
a termine nel 1432 e
pubblicati
per
la
prima
volta a Venezia nel
1483.
Capreolo
mor a Rodez nel 1444.
Secondo M. Grabmann le
Defensiones pu
essere
designata
come l'o-
pera
storicamente
pi importante
che la scuola tomistica abbia
prodotto
a difesa della dottrina
dell'Aquinate.4
\
Come
appare
dal
titolo,
le
Defensiones
sono
unapologia
del tomismo
che il
Capreolo
fu costretto a condurre
non secondo l'ordine della Summa
Theologiae,
bens secondo l'ordine del commento tomistico alle Sentenze
di Pier
Lombardo,
sia
perch
le Sentenze costituivano ancora il testo uffi-
ciale delle scuole
teologiche,
sia
perch gli
avversari
attaccavanoil tomi-
smo
quale
si era manifestato
principalmente
in
quel
commento. Codesti
avversari del
tomismo,
che
allora, come si
visto,
andava
sempre pi
affermandosi, erano numerosi: tra
gli
stessi Domenicani
emergeva
Durando di S. Porciano
e tra i Francescani Duns Scoto
e Pietro
Aureolo,
ma
soprattutto
la folta schiera dei nominalisti
guidata
dal loro
principa-
le
esponente, Guglielmo
d'Occam.
Grazie alla
sua
opera,
strettamente fedele al
pensiero
del
maestro,
il
Capreolo
si
guadagn
il titolo di
parinceps
thornistarzirn. Il
suo
influsso
sulla scuola di S. Tommaso fu duraturo
e considerevole e contribu
pi
di
qualsiasi
altro a fissare la
specificit
della
sua
teologia.
Tuttavia
egli
non
ha
mancato di
portare
il
suo contributo chiarificatoreanche
su
que-
stioni filosofiche
importanti,
come
quella
del costitutivo della
persona
e
quella
del
principio
di individuazionenelle
cose materiali.
Il
Capreolo
afferma che
per
S. Tommaso la
persona,
o
meglio
la
per-
sonalit,
costituita formalmente dallsse actualis existetitiae
o sussi-
stenza", cio dall'atto di esistere.
Quindi,
perch
si abbia la
personalit
ontologica,
oltre la natura individua, non si richiede altro che l'atto di
esistere.
Ogni
natura umana individua che
possiede
il
proprio
atto di
esistere,

persona.
Cristo invece non
persona
umana
perch,
sebbene
abbia
una natura
individua, latto del
suo esistere
quello
stesso increa-
to del Verbo.
Riguardo poi
al
principio
di
individuazione,
la materia
") M.
GRABMANN, Storia della
teologia cattolica, Milano
1937,
p.
137.
74 Parte
prima
signata
di cui
parla
S. Tommaso non
per
il
Capreolo
che la materia sub
quantitate,
ossia la materia attualmente
quantificata.
In entrambe le
que-
stioni il
Capreolo
ha
interpretato
il
pensiero
e la dottrina
deYAquinate
meglio
dei tomist
posteriori.
Francesco Silvestri
Francesco dei
Silvestri,
detto il Ferrarese
(Perrariensis)
nacque
a Fer-
rara nel 1474. Entrato a
14 anni nellOrdinedi S.
Domenico,
terminati
gli
studi inizi
l'insegnamento
di filosofia
e
di
teologia, prima
a
Mantova
(dal 1498) e
poi
a Milano
(1503) e a
Bologna
(1507)
dove nel 1516 fu no-
minato maestro di
teologia
alluniversit. Vicario della Provincia lom-
barda
(1518),
nel 1524 venne nominato Maestro Generale dell'Ordine.
Mor a Rennes nel 1528.
La sua
opera maggiore
In Zibms S. Thomae
Aquinats
contra
gentes
com-
mentaria,
pubblicato per
la
prima
volta a Venezia nel 1524.
Questo
famo-
so commento alla
ContrapGentiles
per
volont di Leone XIII fu incluso
nella Edizione "leonina" a
fianco al testo di S. Tommaso. Altre
opere
che
interessano la filosofia sono
due commenti di Aristotele: Adnotationes in
libros
posferiorum
Aristotelis e
In tres libros de anima.
Nella scuola tomista il Silvestri essenzialmente il
contemporaneo,
lemulo,
Pammiratore e
talvolta il critico discreto ma fermo del Gaetano.
E mentre il Gaetano rimasto il commentatore
quasi
ufficiale della Sum-
ma
Theologiae,
il Silvestri divenne il commentatore
pi
consultato della
Summa contra Gentiles. Silvestri un commentatore onesto, serio,
facon-
do,
fedele al
maestro,
che ci si
compiacer
di studiare
per
meglio
com-
prendere
non
solo la Summa contra
gentes,
ma
anche la metafisica tomi-
sta (M.
M. Gorce). Meno acuto del
Gaetano,
il Ferrarese indubbiamen-
te
pi
fedele sia allo
spirito
sia alla lettera del Dottore
Angelico.
Lo si
pu
constatare
agevolmente
dando
uno
sguardo
ai temi della
metafisica,
del-
Panalogia
(difende
Panalogia
secundum
prius
et
posterius
che
esige
1'0rd0 ad
unum e
quindi
un
analogato principale),
dell'immortalit dell'anima
(che
ritiene filosoficamentedimostrabile),
dei
rapporti
tra fede e
ragione,
di
filosofia
e
teologia
(che
interpreta
alla luce dell'armoniae non
della
sepa-
razionenetta e insanabile).
Raramente il Ferrarese si allontana da S. Tom-
maso. Cos,
per
es.,
contrariamente
allAquinate, egli
crede che sia
possi-
bilela
molteplicit
numerica delle
essenze
pure
(angeliche),
bench non
ne
comprenda
il modo
(Summa contra Gentiles
II, 93).
Anche
per
Silvestri come
per
il
Gaetano,
Yavversaro
principale

Scoto. Contro le critiche del Dottor Sottile
egli
illustra,
sostiene e
difende
le
principali
tesi tomistiche, come
quelle
di atto e
potenza,
materia e
fonna, essenza ed esistenza,
unicit della forma
sostanziale,
distinzione
reale delle facolt dall'essenza dell'anima,
materia
prima, principio
di
L'indirizzotomista 75
individuazione; e
in
psicologia:
distinzione reale fra intelletto
agente
e
possibile,
immaterialit come causa
di
intelligibilit,spiritualit
e im-
mortalit dell'anima. Nel costitutivo metafisico della
persona
il Ferrarese
concorda col
Gaetano,
affermando che si tratta di
un termine" della
sostanza individuale,
poi
chiamato modo sostanziale (Ibid. IV, 3, n. 1).
Sulla
questione
dell'immortalit dell'anima che nel
Cinquecento
era
al centro di accesissime
dispute
tra i commentatori di
Aristotele,
Silvestri si schiera
con
Peseges
che era stata
proposta
da S. Tommaso.
Commentandola Summa contra
gentiles, proprio
nei
capitoli
in cui
l'Aqui-
nate
indugia
a dare la sua
interpretazione
di
Aristotele,
Silvestri critica
quella
del
Gaetano, senza mai nominarlo, ma
citando alla lettera le
paro-
le del suo Commento al De anima. Riferita
l'interpretazione
dell'intelletto
agente, egli
dimostra che secondo Aristotele si tratta di
una
facolt del-
l'anima, e non
di una causa esterna all'anima. Commenta
gli
accenni che
Aristotele fa della immortalit dell'anima nei
luoghi
dove
non ne
tratta
espressamente,
e
afferma che senza di essa non
hanno
nessun
significa-
to. Per Aristotele
ugualmente
incorruttibiletanto l'intelletto
agente
quanto quello possibile;
in nessun
modo YHLUBHTEextrinsecus dell'anima
umana
al
corpo pu significare
che l'anima viene illuminatadallintel
letto
agente. Soprattutto
si ferma a
confutare la traduzione e
la
interpre-
tazione del
passo pi
difficilee tormentato del lll libro del De
anima,
dove Aristotele afferma dell'intelletto che
separato
soltanto
quello
che veramente ,
che
per
il Gaetano
significava:

separato
soltanto l'in-
telletto che veramente esiste come sostanza,
mentre il Ferrarese traduce
e commenta: e
separato,
immortale ed eterno soltanto l'intelletto che
veramente intelletto, e non
l'intelletto
passivo
(o
cogitativo),
di cui
Aristotele
parla
subito
dopo
Con la
sua
esegesi intelligente
ed
equilibrata
del
pensiero dell'Ange-
lico,
Silvestri eserciti) un
influssonotevole anche sui
migliori rappresen-
tanti della seconda e terza Scolastica.
Tommaso de Vio
Tommaso de
Vio,
detto il
Gaetano,
essendo nato a Gaeta nel
1468,
entr ancor
giovane
nell'Ordine dei Frati Predicatori.
Compi gli
studi
nelle scuole domenicane di
Napoli
e
Bologna; quindi, giunto
a
Padova
intorno al
1491,
inizi la
sua carriera di
magister
nello Studio locale del
suo Ordine,
prima
di
diventare,
nel
1494,
professore
di metafisica nella
universit
patavina.
Qui
ebbe subito a confrontarsi con
il
Trombetta,
che
era il suo rivale nella cattedra
scotista, e con i
professori
averroisti anco-
ra molto
influenti;
fu
pure collega
di
Pomponazzi
e
di Nifo. A
qua-
rant'anni fu nominato Maestro Generale del suo Ordine e nel 1517 fu
76 Parte
prinm
nominato cardinale. ll Gaetano fu tra coloro che indussero Giulio II a
convocare il V Concilio Lateranense
(1512-1517) e durante i lavori del
Concilio ebbe la franchezza di esternare le sue idee decisamente rifor-
matrici.
All'apertura
della seconda sessione tenne un discorso di
grande
spessore,
affermando la necessit della riforma della
Chiesa,
della
restaurazionedei buoni costumi nel clero
e nel
popolo
cristiano,
della
eliminazione
degli scismi,
della conversione
degli
infedeli e del ritorno
allortodossia
degli eretici;
propositi
che dovevano attuarsi con la
predi-
cazione e il convincimento
e, soprattutto,
mediante la introduzione di
leggi giuste.
Il Gaetano ebbe
un ruolo
importante
nelle
prime
vicende
della
Riforma,
in
quanto
Leone X lo inviin Germania in
qualit
di
lega-
to
papale
per
discutere
con Lutero il
problema
delle
indulgenze
e delle
altre
questioni
sollevate dal
monaco tedesco. Ma lincontro
non sort
esito
positivo. Dopo
la morte di Leone
X,
il
nuovo
papa
Adriano VI lo
incaricodi
una
legazione
in
Ungheria,
Boemia e Polonia,
per fronteggia-
re
la minaccia turca. Sotto il
pontificato
di Clemente VII il Gaetano tra-
scorse
anni di ritiro e di studio fino al
1534, anno della
sua morte.
Nonostante i
molteplici
e
gravosi impegni
che
comportavano
i suoi
uffici di Maestro Generale dell'Ordine
prima
e
di cardinale della Curia
poi,
il Gaetano trovo il
tempo
di scrivere ben 157
opere
di
filosofia, teo-
logia
ed
esegesi
biblica,
opere profonde
e
originali
che
non mancarono
di suscitare discussioni
e
polemiche
anche all'interno del
suo stesso Or-
dine, a causa della
sua libert di
giudizio
e lacutezza
e
complessit
delle
sue conclusioni. La sua costante
presenza
al centro di alcune delle
discussioni filosofiche
e
teologiche pi
rilevanti della cultura scolastica
del
tempo
rivela le
particolari qualit
e
la finezza intellettuale di
un
dotto che
seppe comprendere
alcune
esigenze
essenziali del
profondo
rinnovamentointellettuale
gi
in
atto, e
che intese
adeguare
la
sua ben
ferma fedelt dottrinale ai molti
problemi
di ordine
teorico, didattico,
metodologico
e
spirituale emergenti
da una cultura straordinariamente
ricca, ma
travagliata
da crisi e conflitti di
ogni
genere
(C. Vasoli).
Nell'imponente catalogo
dei suoi scritti risaltano i
seguenti
titoli:
In
sncrae
Scriphzraeexpositicnzem
(che include tra
gli
altri i
seguenti
com-
menti: ln lihrum
10b;
In
Psnlnzos;
In
Evangelia Matthei, Marci, Lucae,
Iolznnnis;
In Acta
Apostolarunz;
In
Epistolas
Patria");
Scripta philosophiczz
(Che
include il commento al De ente ct cssentia e il De IOHTHHHT
analogia);
Commentario: in tres libros Aristotelis De
anima; e
l'imponente
commento
alla Smnma
Tlzeoltigiae
di S. Tommaso.
La fama del Gaetano
legata
al suo monumentale commento alla
Silnmm
Thrologiae,
di cui
egli
considerato il commentatore
per
eccellen-
za. Il suo influsso sui
posteri
fu
enorme, specialmente
sui tomisti. Gran
parte
della seconda Scolastica
e
del neotomismosi formata sulla lettura
gaetanista
di S. Tommaso. Ma la
storiografia pi
recente (a
partire
da
L'indirizzotomista 77
Gilson)
ha sollevato
gravi
riserve a
proposito
dell'autenticit del tomi-
smo
del Gaetano. Indubbiamenteil Gaetano un
ottimo commentatore
sia di Aristotele sia di S. Tommaso, ma a mio
parere,
anzich
interpreta-
re
Tommaso alla luce delle sue
dottrine
pi originali,
10
interpreta
alla
luce di
Aristotele,
che il
Gaetano,
anzich
leggere
in chiave tomistica,
interpreta,
come
il suo
collega Pomponazzi,
in chiave averroistica. I se-
gni pi
evidenti di
questo
"tradimento" di S. Tommaso sono tre: 1. il
Gaetano
ignora completamente
la
grande originalit
della metafisica to-
mistica dellactus essendi;
2. mentre S. Tommaso sostiene la tesi che
possibile
dimostrare l'immortalit dell'anima e
legge
il terzo libro del
De Anima di Aristotele in
questo
senso,
il Gaetano fa sua
l'interpretazio-
ne averroistica e
dichiara che l'immortalit dell'anima indimostrabile:
Sicuf nescio
mysterium
Trinitatis,
sicut nescio animam immortalem... (come
non conosco
razionalmenteil mistero della Trinit, come non conosco
l'anima immortale...);
3. mentre S. Tommasoritiene che tra fede e
ragio-
ne, come
pure
in linea di
principio,
tra filosofia e
teologia
esiste una
profonda,
sostanziale armonia,
il
Gaetano, sposando
le
posizioni degli
averroisti del suo
tempo,
sostiene che tra i due
campi
la
separazione

nettissima e
che tesi come
l'immortalit dellanima e
la
provvidenza
divina sono
valide soltanto
per
i
teologi
e
per
i credenti. A
causa
di
que-
sta difformit dal
pensiero dellAquinate,
il confratello del Gaetano,
Bartolomeo di
Spina,
ebbe lardire di intervenire contro il
pi
illustre
maestro del suo
Ordine
pubblicando,
nel
1518, tre scritti contro il Gae-
tano:
Propugnaculum
Aristotelis de immortalitate animata contra Thonzam
Cajetanum;
Tutela treritatis de imnzortalitate animae contra Petrunz
Pomponatizim; Flagellum
in trcs libros
apologiae
eiusdem. In
questi
lavori il
di
Spina
difendeva la retta dottrina aristotelica,
considerata del tutto
consona a
quella
tomista e metteva sotto accusa
sia il
Pomponazzi
che il
Gaetano, colpevoli
di avere
indebolito la credenza nellimmortalit del-
l'anima con i loro
argomenti
che la riducevano soltanto a una
questione
di
fede, estranea alle dimostrazioni filosofiche.
Tra
gli opuscoli filosofici
del Gaetano
quello
che ha
sempre
suscitato
il
maggior
interesse il De nominunz
analogia,
dove
egli
teorizza
quella
che fino alla met del secolo XX era ritenuta la versione ufficiale della
dottrina tomistica
dellanalogia.
Nel
suo
lucido trattato il de Vio
propo-
ne una
classificazionedella
analogia
in tre
tipi (ineguaglianza,
attribu-
zione e
proporzionalit),
ne
studia i vari risvolti
logici
e
gnoseologici
e
conclude che
Yanalogia
da
preferire
nella determinazionedel
significato
del
linguaggioteologico
non
quella
di attribuzione(che
per
lui
equiva-
le ad attribuzione estrinseca)
bens
quella
di
proporzionalit propria.
Ma recenti studiosi della dottrina di S. Tommaso
sull'analogia
(Gilson,
Fabro,
Mclnerny, Montagnes,
Mondin)
hanno contestato
Yesegesi gaeta-
niana e
hanno mostrato che S. Tommaso
parla quasi sempre
di
analogia
78 Parte
prima
secundunz
prius
et
posterius,
e
quindi
fa valere
Panalogia
di attribuzione
intrinseca, anzich
Panalogia
di
proporzionalit.
Nel commento al De ente et essentia di S.
Tommaso, Gaetano
respinge
le critiche scotiste
allbntologia
tomista
e difende la dottrina d
ellmalogia
entis.
In
generale, tuttavia,
bisogna
ammettere che nel Gaetano si
registra
non solo
un "tradimento" della metafisica tomistica
ma
anche
un inde-
bolimento della metafisica in
generale.
Tale indebolimento
appare
evi-
dente in due
questioni:
la dimostrabilit
dell'immortalit dell'anima
e
quella
dell'esistenza di Dio.
Egli
evidentemente
ammise
sempre
che
l'uomo dotato di un'anima
immortale,
ma,
mentre all'inizio della
sua
attivit scientifica accettava tale immortalit come una verit dimostra-
bilecon
argomenti puramente razionali,
afferm
poi
che
Aristotele,
il
filosofo
per
eccellenza, non l'aveva
ammessa o l'aveva almeno lasciata
in
dubbio, e infinedichiar che
non
pu
essere dimostrata razionalmen-
te ma soltanto creduta in
nome della rivelazionecristiana.
Nel 1503 e nel 1507
egli provava
l'immortalit dell'anima
partendo
come faceva S. Tommaso dalla
spiritualit
della medesima. Nel 1509
per,
nel commento al De anima di
Aristotele,
dopo
essersi fatto realizza-
re una nuova traduzione del
testo
greco,
afferm che lo
Stagirita,
non
solo titubante
vestigia
delibavit
(affront con
passo
vacillante)
la
que-
stione dell'immortalit
dell'anima, ma lasci sub dubio
(in dubbio) se
l'anima continui a vivere
dopo
la morte del
corpo.
Secondo Aristotele
l'intelletto
possibileproprio
di ciascun
uomo,
corruttibile
e mortale,
mentre l'intelletto
agente,
unico e
separato dagli uomini,
e incorruttibile
e immortale.
Ma,
aggiungeva
il
Gaetano, Aristotele
erra nel ritenere che
per
aversi
spiritualit
e immortalit dell'intelletto sia necessaria l'indi-
pendenza
dell'intelletto dal
corpo
non solo
tamqziam
a
subjccto,
anche
se,
per
conoscere,
l'intelletto
per
avere
l'oggetto
subordinato in
questa
vita alla
presenza
di fantasmi. Infatti ci non
gli impedisce
che nell'esse-
re sia
indipendente
da
ogni
soggetto
di
inesione, cio dal
corpo.
Nel
1528,
dopo
circa vent'anni di attivit
speculativa
nella
quale
non
fece alcun
accenno alla
questione
dell'immortalit
dell'anima, in
un
"Commento
all'Epistola
di San Paolo ai
Romani,
mise sullo stesso
pia-
no
di indimostrabilitrazionaleil mistero della
Trinit,
quello
dell'Incar-
nazione e l'immortalit dell'anima. Nel 1534 scrisse che
nessun filosofo
aveva finora "dimostrato"
rigorosamente
che l'anima dell'uomo fosse
immortale: i motivi addotti
erano soltanto
probabili.
In
un altro
punto
il Gaetano si discost dal
parere
comune dei
com-
mentatori di S. Tommaso: nel
giudicare
insufficienti le
"cinque
vie"
per
dimostrare l'esistenza di Dio.
Egli, esponendole,
sostenne che
con esse si
pu
certamente
giungere
all'affermazionedell'esistenza nel mondo di
qualche
essere
del
tutto
incorporeo,
di
qualche
altro
essere non contin-
L'indirizzotomista 79
gente
ma necessario,
di
qualche
altro sommamente
intelligente,
ma che,
non
provandosi per
ci
stesso,
l'unicit
e
l'infinita di
un essere
supremo,
non era dimostrata l'esistenza di Dio. Soltanto con
gli argomenti
recati da
S. Tommaso nel trattare le
questioni
successive, riguardanti appunto
l'u-
nicit e l'infinita
perfezione
di
Dio, se ne
provava
veramente l'esistenza.
Nel famoso Commento alla Summa
Tlzeologiae
il Gaetanonon si accon
tenta di
esporre
con
grande
acutezza il
pensiero clell'Aquinate, ma,
quando gli
si
presenta
l'occasione,
egli propone
anche le
proprie
teorie.
Questo
monumentale commento fu
composto
nel
Corso
di Vent'anni e
portato
a termine nel 1522. La
ragione
che sembra avere indotto il cardi-
nale Gaetano a
questa grande impresa
sembra essere
quella gi
indicata
in
precedenza,
ossia il fatto che la Summa era ormai diventata testo uffi-
ciale in molte facolt di
teologia,
al
posto
dei Libri sententiarum di Pier
Lombardo. Storicamente risulta che il Gaetano fu il
primo
a
portare
a
termine un commento
completo
della Summa
Theologiae;
e del resto
que-
sta sua
opera
fu talmente eccellente da
raccogliere
il consenso non sol-
tanto di numerosissimi studiosi anche
non
cattolici
ma
dello stesso ma-
gistero
ecclesiastico. Cos Leone
Xlll,
dando il via all'edizionecritica
delle
opere
di S.
Tommaso,
ordin che insieme alla Summa fosse
pubbli-
cato anche il commento
gaetaniano.
Tuttaviail
suo commento ai
tempi
di Pio V aveva subito
qualche
emendamento,
l dove il Gaetano aveva
espresso opinioni troppo personali
e non conformi
all'insegnamento
ufficialedella Chiesa cattolica.
Ma, come rilevail
Mandonnet, si tratta di
soppressioni
"inoffensiVe".
Nel
suo commento il Gaetano ha di mira
soprattutto
la difesa della
dottrina tomistica
dagli
attacchi di Scoto. Nella Tertia Pars a
questa
preoccupazione
si
aggiunge quella
di. difendere la dottrina cattolica con-
tro il luteranesimo. Il Gaetano
respinge
la dottrina della
justificatio
sola
fide,
insiste sulla necessit della
cooperazione
dell'uomo alla
grazia,
difendele
opere
buone"
e
la libertdell'arbitrio".
Inumertisi commenti alla Bibbia da lui
composti appartengono
all'ul-
timo
periodo
della vita del Gaetano.
Questi
commenti risentono dell'in-
fluenza di metodi e
ispirazioni
umanistici. Il Gaetano utilizz
gli
"Scho-
lia" di
Erasmo,
col
quale egli
intrattenne anche
uno scambio
epistolare.
I
suoi commenti abbondano di osservazioni
teologiche importanti,
che
possono
essere
lette
utilmente, come
complemento
al
suo commento alla
Summa.
80 Parte
prima
Francisco Suarez
VITA E OPERE
Nato a
Granada nel
1548, a
soli tredici anni Francisco Suarez
gi
fre-
quenta
l'universit di Salamanca. Fattosi
gesuita,
a sedici
anni,
inizia
subito il
corso
di filosofiasotto la
guida
del
p.
Andrs
Martinez,
dando
presto prova
di una
speciale
attitudine
per
la
speculazione
filosofica. Nel
1570
porta
a termine il corso di
teologia
nella universit di Salamanca
con una
discussione
pubblica
intorno alla
superiorit
della
grazia
di Ma-
ria
su
quella
dei santi. Ordinato sacerdote nel
1572,
insegna prima
filo-
sofia a Salamanca e
Segovia
(1570-1574),
poi teologia
a Valladolid,
Sego-
Via e Avila(1574-1580).
Chiamato nel 1580 a
insegnare teologia
al
Collegio
Romano,
deve ritornare in
Spagna
(1585)
per
la sua
malferma
salute. Continua
l'insegnamentoteologico
ad Alcal fino al 1593.
Quattro
anni
pi
tardi, le
ripetute
richieste dell'universit di
Coimbra,
ap-
poggiate
da
Filippo
II,
lo inducono ad accettare la cattedra del
primo
anno di
teologia.
Cos,
fino
a due anni
prima
deila sua morte (1615)
alter-
na i suoi lavori di scrittore con
l'insegnamento
della
disciplina
di cui era
titolare. Interviene anche, ma non in maniera
significativa, negli
ultimi
episodi
della controversia De
auxiliis,
che
aveva
dato
luogo
al durissimo
scontro tra Bafiez e Molina, con il suo
opuscolo
De trem
intelligentia
auxilit"
efiicacis. Negli
ultimi anni del suo
insegnamento, per espresso
invito del
papa,
interviene con la
Defeizsio fidei
nella
polemica
suscitata dal
re
d'Inghilterra
Giacomo I. Nel 1615 si ritira a Lisbona nel noviziato della
Compagnia,
dove muore serenamente
il 25 settembre 1617.
Suarez stato indubbiamenteil
teologo pi prolifico dell'epoca
mo-
derna. I trattati
pubblicati
da lui
o
che
aveva
lasciato
quasi
del tutto
gi
pronti per
la
stampa
formano nell'edizione
dell'Opera
011111112
(Venezia
1747
95.; Parigi
1856) un
complesso
di 23 volumi "in folio". Ma
rimango-
no ancora non
pochi
scritti inediti. Tra le
opere pi importanti segnalia
mo: De Verbo incarnato
(1590);
Disputationcs mctaplzysiczic
(1597);
Varia
(JpHSCOa theologiczz
(1599); De vera
intellijgerztia
(1605);
De virtule et stata
religionis
(2
voll.
1608-1609);
De
legibus
ex de? D00
legislatore
(1612).
Non solo tra i
contemporanei,
ma
anche tra i
posteri,
almeno
per
un
paio
di
secoli,
il
prestigio
di cui
godette
il Suarez fu talmente
grande
da
guadagnargli
titolo di DOCOF cxirniirs.
LE DISIJUTATIONESMETAPHYSICAF
Le
Disputationcs metaphysicae
sono
il
capolavoro speculativo
di Sua-
rez,
il
pi importantc
trattato di metafisica della seconda Scolastica e
una
delle
opere
pi
influenti
per
tutto il
periodo
che va fino a Kant.
ljindirizzotomista 81
Nella storia della metafisica le
Disputationes
sono una
pietra
miliare
che
segna
il confinetra la strada
percorsa
dai medievali e
dagli
umanisti
da una
parte
e
quella
nuova
che
percorreranno
i moderni dall'altra. Con
le sue
Disputationes
Suarez
inaugura
un nuovo
modo di fare metafisica e
allo stesso
tempo
elabora una
metafisica
aperta
alla modernit.
Il titolo
completo
delle
Disputationes
:
Dispatazioni metafisiche
nelle
quali
viene
presentata
nel
suo
ordine l'intera
teologia
naturale e
vengono
altres
discusse accuratamente le
questioni pertinenti
a tutti i dodici libri della
Metafisica
di Aristotele.
Come si evince dal
titolo,
due sono
gli
obiettivi che
Suarez
si
propone
in
quest'opera:
1,
elaborare con
il
linguaggio
e
il metodo della metafisi-
ca una
teologia
naturale; 2,
riproporre,
secondo un nuovo ordine,
tutti i
problemi
fondamentali
(disputationes)
dell'intera metafisica aristotelica.
Gi Aristotele
assegnava
alla metafisica il
compito
di studiare le
cause
ultime e
quindi
Dio,
ultimissima tra tutte le cause.
Per n Aristo-
tele n Tommaso
d'Aquino
identificavano
l'oggetto
della metafisica con
lo studio di Dio. Perci la metafisica non era un trattato di
teologia
natu-
rale bens di
ontologia, poich
il suo
oggetto proprio
e l'ente in
quanto
ente. Invece Suarez identifica la metafisica con la
teologia
naturale e
viceversa la
teologia
naturale con
la metafisica. Certo
l'oggetto
della me-
tafisica e anche
per
Suarez l'ente, ma
poich questo
si suddivide in ente
finito e infinito,
la metafisica studia
primariamente
e
principalmente
l'ente infinito,
ossia Dio. In tal modo Suarez
pone
una
netta
separazione
tra la
teologia dogmatica
che tratta di
Dio,
del vero Dio, come si reso
noto mediante la rivelazione; e
la
teologia
naturale che riesce a
fare
un
suo
discorso
su
Dio avvalendosi di
argomenti
filosofici,ma come si
vedr si tratta di
un
discorso assai limitato e
che
non
raggiungere
il
carattere della assoluta certezza.
La seconda
peculiarit
delle
Disputationes
consiste nel modo nuovo
di
esporre
i dodici libri della
Metafisica
di Aristotele. Ci che Suarez offre al
lettore non
pi
labitualee
fedele commento al testo aristotelico, come
si era
fatto da
sempre:
da Alessandro di Afrodisia fino ad Averro,
da
S. Tommaso fin a Zabarella, ma una
ristrutturazione di tutto il materiale
della
Metafisica
secondo
un
ordine nuovo dettato dalla
logica
interna dei
problemi
discussi. Cos il testo aristotelico rimane alla base
e
vi conti-
nuamente citato, ma non
pi
esso a
fornire la struttura della scienza in
questione,
la
quale
viene invece
concepita
e articolata secondo una sin-
tassi sua
propria.
Tuttavia,
il debito secolare con
il Filosofo va
pagato,
e
una
volta
per
tutte. Per
questo
Suarez
appronta
e
allega
alle sue
Distmta-
tiones un
"Indice
dettagliatissimo
della
Metafisica
di
Aristotele",
in cui
passa rapidamente
in
rassegna,
libro
per
libro,
capitolo per capitolo,
il
testo del
Filosofo,
innestando
per
cos dire a
ogni passaggio
aristotelico
il rimandoa
quella
delle sue
54
Disputazioni
in cui il
problema presenta-
82 Parte
prima
to dallo
Stagirita
viene
ripreso,
rielaborato
(attraverso il confronto con
i
commentatori antichi
e medievali) e
infinerisolto. In tal modo la tradi-
zione
lungi
dall'essere
superata,
trasformata in un vero e
proprio
ca-
none", in una sorta di rubrica dei
problemi
metafisici
fondamentali, e
di
conseguenza
il
commento ceder definitivamenteil
posto
alla
questione
o alla discussione - alla
Disputazione, appunto ,
la
quale
ci si
presenta
cos,
ben
pi
che
una forma
letteraria, come un vero e
proprio
metodo
ermeneutico,
il cui
principio supremo
diventa
quello
dello
ras
ipsas
con-
templari.
Per cui tutto si
giocher
nella costituzione di
questa res,
vale a
dire
(metodologicamente)
nell'assicurazionedel concetto stesso della
realt" dell'ente.5
Con
questa
risistemazionedella
Metafisica
Suarez
inaugura
di fatto la
forma moderna del trattato di metafisicafi Nelle
Disputationes egli
offre
la
prima
trattazione sistematica
completa
di tutte le
questioni
discusse
dalla filosofiascolastica in forma
indipendente,
sia dalla
teologia
sia dal
testo aristotelico. In tal modo
egli
costituisce la metafisica nella sua
spe-
cificit e totalit, e nella
sua
piena
autonomia.
LA
STRUTTURADELLE DISPLITATIONES
Le
Disputationes
si
aprono
con la definizionedella
natura,
dell'ogget-
to,
del metodo
e
della finalit della metafisica
(Disp.
I-III).
Si
passa quin-
di allo studio delle tre
propriet
trascendentali dell'ente:
unit,
Verit
e
bont, e dei loro
rispettivi
contrari: la
possibilit
della
distinzione,
della
falsit
e del male
(Disp.
IV-XI).
Si
procede poi
a considerare le cause
pro-
prie
dell'ente, non solo
quella
che lo
crea,
ma
soprattutto quelle
che
esso
stesso esercita in
quanto
tale:
causa materiale, formale, efficiente,
finale
ed
esemplare
come la
grande
rete che tiene assieme le azioni e le
passio-
ni del reale
(Disp. XII-XXVII). Viene
quindi
introdotta la
capitale
divisio-
ne dell'ente in ente infinito ed ente finito
(Disp.
XXVIII), una divisione
che nell'intento del Suarez
non
interrompe,
n tanto meno
spezza, quan-
to
piuttosto
incrocia la linea unitaria
dell'ente,
tendendo
agli
estremi la
capacit comprensiva
e connettiva del
suo concetto.

perci
all'interno
di
quest'ultimo, quindi
entro la
prospettiva ontologica iniziale,
che si af-
fronta il
problema
dell'esistenza e dell'essenza dell'ente
primo
e in-
creato,
tentandone
una
duplice
dimostrazione, a
posteriori
e a
priori
(Disp.
XXIX-XXX).
Nella stessa
prospettiva
si
inquadra
la
questione
del-
la distinzionetra essenza
ed esistenza nell'ente finito
(Disp.
XXXI).
5) C.
ESPOSITO,
Introduzione a F.
SuAKez,
Meditazioni
metafisiche I-III, Milano
1996,
p.
7.
6) Cf. C. GIACN, Suarez, Brescia 1945,
pp.
51-79.
L'indirizzotomista 83
A
questo punto
le
Disputationes
si concentrano sulla descrizione del-
l'ente
finito,
seguendo
lo schema aristotelico delle dieci
categorie:
anzi-
tutto il
genere supremo,
la sostanza
creata,
immateriale e materiale
(Disp.
XXXll-XXXVI),
distinta e
accompagnata
a sua
volta dai nove
ge-
neri di accidenti:
quantit, qualit,
relazione, azione,
passione, tempo,
luogo,
sito e
abito
(Disp.
XXXVII-LUI),
fino a
giungere
a
quello
che in
primo tempo
era stato escluso
dall'oggetto
della
metafisica, ma
che
poi
viene
ricuperato
anch'esso nella sua
entit
propria:
l'ente di
ragione
(Disp.
LIV).
LA NECESSITA DI UN NUOVO TRATTATODI METAFISICA
Come abbiamo
gi
notato,
la
pubblicazione
delle
Disputationes
meta-
pltysicae
costituisce un evento davvero
epocale
nella storia della metafi-
sica,
almeno
per quanto
concerne
la metafisica dell'essere - vale a dire la
metafisica di
tipo ontologico
-.
Infatti la
prima
Volta,
dopo
Aristotele,
che
questo paradigma
metafisico viene
presentato
in maniera autono-
ma, rispetto
al testo dello
Stagirita.
I
platonici
(Plotino, Porfirio, Proclo, Cusano, Bruno),
che costruivano
la metafisica secondo il
paradigma henologico,
avevano
elaborato i loro
sistemi in totale autonomia
rispetto
a
Platone e alle sue
opere,
anche
se
la
Repubblica,
il
Timeo,
il
Sofista,
il
Parmenide, e
altri
dialoghi
erano
fre-
quentemente
citati nei loro scritti.
Invece tutti i metafisici dell'essere avevano costruito i loro sistemi
commentando o
parafrasando
la
Metafisica
di Aristotele. E cos
l'equa-
zione metafisica = Aristotele era
talmente consolidata che
era
quasi
impensabile
che ci fosse altra metafisica al di fuori di
quella ontologica.
D'altra
parte
nessuno dei creatori di nuove
metafisiche
ontologiche
(Tommaso, Bonaventura, Scoto, Occam) aveva dato al
proprio
sistema
una elaborazione
organica
e sistematica. Le intuizioni che
avevano
fatto
vedere l'essere da una nuova
prospettiva,
diversa da
quella
di Aristote-
le, avevano fornito loro una nuova lettura dei
rapporti
ente/
essere,
ma
tutto era rimasto ancora allo stato
germinale.
Nessuno aveva costruito
sistematicamenteuna nuova
metafisica
ontologica.
Suarez nelle
sue
Disputationes
opera
il
grande
passo
di
sganciare
la
metafisica dell'essere dal testo
aristotelico,
ma lo fa non
partendo
dalla
metafisica al fine di rinnovarla
e
svilupparla,
bens muovendo dalla teo-
logia,
in
quanto
avverte la necessit di
porre
in
mano
al
teologo
uno
strumento filosoficoordinato
e
completo,
che
gli
consenta di fare il
pro-
prio
lavoro di
approfondimento
della Verit rivelata.
Suarez convinto
-
come erano convinti Tommaso e Bonaventura -
che la
teologia,
anzich rendere
superflua
la
metafisica,
la
esige
come
84 Parte
prima
sua
principale
ancella:
senza
questa
la
teologia
non in
grado
di
com-
piere
il
proprio
lavoro: dare
unespressione intelligente
e
approfondita
ai
grandi
misteri della fede cristiana. Scrive il Suarez nel
suo Proemio al-
le
DSpLIHOlZESZ
La
teologia
divina e
soprannaturale
(divina et
SHPETIHIHTS
theolo-
gin),
pur
basandosi su una illuminazionedivina e su
principi
rivelati
da
Dio,
si
compie
in realt tramite un discorso e un
ragionamento
umano,
e
per questo
si
giova
anche di verit conosciute
per
la luce
naturale, servendosene
come
di ministri e strumenti
per compiere
i
suoi discorsi e
per
illustrare le verit divine. Ma tra tutte le scienze
naturali,
la scienza che e
prima rispetto
alle
altre, e
che ha
guadagna-
to il
nome
di filosofia
prima,

quella
che
principalmente
serve
la teo-
logia
sacra e
soprannaturale:
sia
perch
si
approssima pi
di
ogni
altra alla
conoscenza delle cose divine, sia anche
perch
essa
esplica
e
conferma
quei principi
naturali che
comprendono
tutte le cose e che,
in un certo modo, assicurano e
sostengono
tutto il
sapere.
Riconosciuta la necessit della metafisica in vista della
teologia,
si
pu procedere
in due modi: in modo
occasionale,
illustrandole dottrine
della metafisica nel
corso della trattazione
teologica,
l dove lo richieda
la
comprensione
di
un determinato mistero
era
quanto
avevano fatto
tutti
gli
Scolastici
-, oppure
in
un
modo sistematico e
Completo,
come
lavoro
preliminare
a
quello
della
teologia soprannaturale.
Suarez del-
l'avviso che il secondo
procedimento
sia decisamente
pi vantaggioso
del
primo.
Ecco
quanto egli
scrive al
riguardo
sempre
nel Proemio alle
Disputationes:
Poich durante le
disputazioni
sui misteri divini mi si
presentavano
quelle
dottrine
metafisiche, senza la cui
conoscenza e
intelligenza
a
mala
pena,
se non
per
niente affatto, si
possono
trattare
quei
misteri
superiori,
secondo la
dignit
che
spetta
loro, ero
spesso
costretto o a
mischiare
con le cose divine o
soprannaturali
dei
problemi
inferiori,
il
che
spiacevole
o
di
poca
utilit ai
lettori; o se non altro
per
evitare
questo
incomodo, ero costretto a
esporre
brevemente il mio
pensiero
su tali cose e a
richiedere al lettore
quasi
una nuda fede in esse. Il che
era certamente fastidioso
per
me,
e a lui
poteva
anche, e con
ragione,
sembrare
inopportuno.
Tali
principi
e verit metafisiche
infatti, sono
talmente connessi con le conclusioni e con i discorsi
teologici
che, se
si tralasciasse la scienza e la
perfetta
conoscenza dei
primi,
si farebbe
necessariamente vacillareoltre misura anche la scienza dei secondi.
Mosso
dunque
da
queste ragioni,
e
dietro richiesta di
molti,
ho deciso
di scrivere
dapprima quest'opera,
nella
quale
fossero
comprese
tutte
le
disputazioni
metafisiche,
secondo il metodo dottrinale
pi
adatto
alla
comprensione
delle
cose stesse e alla
brevit, e
che
pi
servisse
alla
sapienza
rivelata.
L'indirizzotomista 85
I
rapporti
nonch la distinzione tra
philosolialziapriora
e
theologiu
super-
rzaturalis sono
ulteriormente
precisati
dal Suarez nel Proemio al Tracfatits
de divina substantia. Il
suo
punto
di
partenza

quello
tradizionale,
poich
il Doctor eximius,
riferendosi
a S. Paolo,
distingue
una duplice teologia,
naturale
e
rivelata: Tutto ci che si attribuisce a
Dio in
quanto
uno
pu
essere
conosciuto mediante due
teologie,
naturale e
nfusa
o
sopranna-
turale. Ma
questa
dualit non
implica
una
inutile concorrenza o un
doppione, perch
anche la
teologia
naturale ha
una
propria
finalit che
riguarda
il
perfezionamento
della natura umana (ad
perfectionem
natu-
rae
humanae
pertinet)
e
inoltre
perch
rende
un
grande
servizio alla
altior et
superior tizeologia.
D'altro
canto,
quest'ultima

indispensabile
allo
sviluppo
e alla conferma della
teologia
dei filosofi.
Questo paralleli-
smo
relativo e
questa
subordinazione
reciproca
danno conto del fatto
che
gli
autori scolastici abbiano lasciato in una certa confusione
queste
due
teologie", pressoch complementari
(e
che Paul Tillich
collegher
secondo il
principio
di
correlazione).

precisamente l'esigenza
di evita-
re
qualsiasi promiscuit
e
confusione tra
teologia
naturale e
teologia
ri-
velata che ha indotto il Suarez a
elaborare a
parte
le
Disputationes
metaphysicae,
come
doctrinae
conzplementttm, presentando
in maniera
distinta
e
separata
(distinctezzc
separatim)
la
teologia
naturale.
Pur elaborata in vista della
teologia,
la metafisica
ontologica
del Sua-
rez
gode
di
una
completa
autonomia e
nella
sua
costruzione
presenta
notevoli affinit
non
solo di struttura ma
anche di contenuti con
la meta-
fisica di
Avicenna, specialmente per quanto
attiene la concezione essen-
zialisticadell'essere.
Con la mediazionedi AvicennaSuarez
opera
il
generoso
tentativo di
mettere d'accordo le due massime metafisiche cristiane del.
Medioevo,
la
metafisica di S. Tommaso e
quella
di Duns Scoto. Ma
pi
che
un
accordo
Suarez ottiene un
compromesso
nel
quale
chi
pi
ci
perde

lAquinate.
Infatti la
sua
metafisica dell'acfus essendi viene sacrificata alle metafisi-
che essenzialistiche dei
possibili
e
degli
effettibilidi Avicennae
di Scoto.
Pur cercando di restare nella scia del Dottore
Angelico,
Suarez lo fa
con
grande
libert,
distaccandosi dal maestro
proprio
nei
punti pi
caratteri-
stici e
qualificanti
della
sua
metafisica: il concetto di
essere,
la distinzio-
ne tra essenza
ed
essere,
la dottrina
dell'analogia
e
il
rapporto
tra mate-
ria
e
forma
(e atto e
potenza).
Suarez abbandona il concetto intensivo
dell'essere, l'essere inteso come
perfezione
assoluta
e radicale, come
perfezione
di tutte le
perfezioni
e come
attualit di tutti
gli atti, e inten-
de, come Scoto,
l'essere in modo
estensivo, come
la
propriet pi
comu-
ne
di tutte le
cose e come un concetto
astratto,
univoco e massimamente
universale
e
semplice (Conccptus simplicissinzus).
86 Parte
prinza
I CAPISALDI DELLA METAFISICASUAREZIANA
Oggetto
della
metafisica, secondo
Suarez,
l'ens ut
sic,
che e
appunto
l'essere
univoco,
poich
ha in s
unam
simplicenz
rationenz
fornzalerwi
adag-
quatam (Disp.
2, sect.
2, 11). Questa
ratio
universalis,
in
quanto praecisa
ma
realis
(ratio
quasi
actualis) si ritrova in tutti i termini
inferiori, verso cui
viene fatta discendere
(Disp. 2, 1, 26),
affinch l'ente
singolo
possa
esse-
re
pensato.
Come
Scoto,
anche Suarez convinto che
se si rinunciasse
a
questo superconcetto
univoco verrebbe
messa in crisi
ogni
certezza e
chia-
rezza della
metafisica, e
perci
non si
pu rigettare
l'unit del concetto
per garantire l'analogia;
ma invece,
dovendo
perdere
una
delle
due,
sareb-
be
meglio perdere Panalogia
che incerta in
luogo
dell'unit del concetto
che si
pu
manifestamentefondare
con sicure
ragioni (Disp.
2, 2, 36).
Questo
concetto reale deve
Compre/tendere
Deum,
poi gli angeli
e tutte le
sostanze materiali
e
gli
accidenti
(Disp.
1, 1, 26).
La metafisica che
conosce
l'essere nella
sua
totalit include Dio nel suo
proprio oggetto
(ut sub
obiecto
suo Deum
complectatur) (Disp. 1, 1, 19),
ed
essa
pu esplicare
a
priori
le dimensioni dell'essere in
quanto
tali, ossia i suoi attributi trascen-
dentali
(unit, verit, bont) senza riferimentodiretto
agli inferiora
(Dio e
il
mondo)
(Disp. 1, 1, 28), tra i
quali
finalmente
vige Panalogia
e il
princi-
pio
di causalit. In
ogni
caso la
pi pura
realizzazionedellmessere"
e in
tal modo
l'oggetto adeguato (materiale)
della
metafisica,
il
suo
obiectum
primariunr
et
principale
non
pu
essere altri che Dio
(Disp.
2, 1, 26).
In
questo
modo, Suarez si allontana da S. Tommasooltre che nel
con-
cetto di
essere anche nella definizione
dell'oggetto
della metafisica.
S. Tommaso faceva s rientrare Dio nella
metafisica, ma non come suo
oggetto
bens
come suo termine ultimo. includendo Dio tra
gli oggetti
della metafisica Suarez la fa decadere
a un mero
studio di
essenze (l'es-
senzialismotante volte denunciato da Fabro
e Gilson),
anzich conside-
rarla un'autentica ricerca "fattuale" dell'ultimo fondamento
degli
enti
contingenti
che
non
pu
essere
altri che l'asse
ipsum
subsistens: al
quale
per
si
giunge
soltanto al termine della metafisica!
Il secondo cardine della metafisica
delYAquinate
la distinzione
reale tra essenza
ed esistenza. Suarez
respinge
tale distinzione
e
concepi-
sce
Yessenza
e
l'esistenza
non come
due elementi che insieme
compon-
gono
l'ente
finito,
bens
come due modi diversi di
concepire
lo stesso
ente: l'essenza
rappresenta
la modalit
potenziale,
l'esistenza la moda
lit effettiva
(reale).
Nella dottrina
dellanalogia
Suarez critica e
respinge
l'interpretazione
che
ne aveva
dato il
Gaetano,
il
quale
aveva escluso l'a-
nalogia
di attribuzione intrinseca
per
privilegiareYanalogia
di
propor-
zionalit
propria.
Secondo Suarez le
cose stanno esattamente
all'oppo-
sto: la
proporzionalit
tra Dio
e
le creature non
pu
essere
propria
ma
semplicemente
metaforica;
per
contro tra Dio e
le creature si
pu
dare
L'indirizzotomista
87
oltre che urflattribuzioneestrinseca
(per
cui la
propriet predicata ap-
partiene
realmente soltanto
all'analogato principale
e
degli
altri analo-
gati
viene detta soltanto
grazie
a
qualche
nesso
causale
con
Vanalogato
principale,
come
quando
si
predica
sano del
bambino,
della medicina,
del
colore,
del clima
ecc.,
la sanit intrinsecamente soltanto del bambi-
no),
anche unattribuzioneintrinseca:
questa comporta
la
presenza
della
perfezione predicata
in tutti
gli analogati
(nel
principale
come nei secon-
dari), ma
un'appartenenza
che avvienesecondo
un
ordine: la
perfezio-
ne
(per
es. dell'essere,
della
bont,
della verit
ecc.)
appartiene
anzitutto,
primariamente, pienamente all'analogato principale
(Dio) e
secondaria-
mente e
in modo
limitato,
partecipato agli analogati
secondi
(le creatu-
re). Cos,
Yanalogia
o attribuzione che la creatura
pu
avere con
Dio
rispetto
al concetto di
ente,
del secondo
tipo
(ossia
Yanalogia
di attri-
buzione
intrinseca),
cio fondata sul
proprio
e intrinseco essere
il
quale
possiede
un
rapporto
o
dipendenza
essenziale da Dio (essentialem
habita-
dinem
sea
dependentianz
a Deo).7
Infine
quanto
ai
rapporti
tra materia e
forma,
Suarez
concepisce questi
due elementi come due entit a s stan-
ti, e non come due
principi
coessenziali della realt materiale
e,
per spie-
gare
l'unione,
postula
un
legame,
un
"modo"
unificatore,
cosicch la
sostanza ilemorfa,
in
luogo
di
comportare
solo due elementi ne
esige
tre.
Allo stesso modo che entifica la materia e la forma
per
unirle in
un
secondo momento Suarez entifica la sostanza e
Yaccidentee li Cementa a
cose
fatte con un nuovo modo" tanto che Paccidentenon
individuato
dalla sostanza ma
da
se stesso, e
nel corso del divenire uno stesso acci-
dente individuale
pu passare
da una sostanza all'altra.
Nella metafisica dell'essere necessario Suarez dichiara
insufficiente,
per provare
l'esistenza di
Dio,
l'argomento
aristotelico desunto dal mo-
to: esso non basta a
provare
nemmeno
l'esistenza di una sostanza imma-
teriale e
spirituale;
il
principio
0mm:
quod
ntozietur ab alia movetar (tutto
ci che si
muove
mosso da un altro) non vale
per gli
esseri
viventi, e i
cieli
possono
essere mossi da
una
forma ad essi intrinseca. Perci il
prin-
cipio
omne
quod
nzovetur ab all'0 movetur dev'essere modificato in
omne
quod fit,
ab
aliofit
(tutto
ci che fatto fatto da un altro).
Con
questa
nuova
formulazione del
principio
di causalit il Suarez ottiene la se-
guente
dimostrazionedell'esistenza di Dio:
Ogni
ente o
fatto, o non
fatto ed
increato; ma tutti
gli
esseri che
sono nell'universo non
posso-
no essere fatti;
dunque
necessario che ci sia
qualche
ente non fatto,
increato
(Disp.
XXIX, l).
Ma anche
con
questa argomentazione,
secondo
Suarez,
si arriva a
uno o
pi
esseri
incausati,non necessariamentea uno solo. Scrive il Sua-
rez a
questo proposito:
7)
Disputationes rrzetaphysicae
28,
sect. 3,
16.
88 Parte
prima
Bench col
ragionamento
svolto nella sezione
precedente
sia stato
provato
con evidenza che tutti
gli
enti
non
possono
essere stati fatti,
ma ce m;
qualcuno
di non fatto, non si
ancora concluso con
quel
raziocinio che sia uno solo
e non
pi. Qualcuno
potrebbe
dire infatti
che tutto ci che stato fatto stato fatto da altri
e,
in
questa progres-
sione,
bisogna
fermarsi, nei
singoli
ordini delle
cose,
in
qualche prin-
cipio
non fatto; e
pur
tuttavia non in un uno e medesimo
principio,
ma in
pi,
secondo la diversit delle cose e delle
specie,
come hanno
fatto alcuni
ponendo principi
diversi secondo la diversit delle cose
(per
es. un dio del
frumento, un altro del vino
ecc)
(Disp. XXIX, 2).
C' tuttavia un
argomento
che conduce anche all'unicit del Primo
Principio:

l'argomento
dell'ordine.
Infatti,
benchi
singoli
effetti
presi
e considerati
per
s
non mostrino che
uno e medesimo il fattore di tut-
to,
tuttavia la bellezza dell'intero universo e la
meravigliosa
connessione
e ordine di tutte le cose
che
sono in
esso,
dichiarano
a sufficienza che
uno
il
primo ente,
da cui tutto retto e trae
origine
(ibiat). Per,
secondo
Suarez,
questo argomento
non e
apodittico
e
ha contro di s
gravi
dif-
ficolt. Ma
pu
dimostrarsi che nel concetto di ente necessario e inclusa
a
priori
l'unicit, e allora si ha finalmente la
prova
dell'esistenza di
Dio,
anche
perch
l'unicit
porta
con s l'infinitadi
ogni perfezione possibile.
Ad
ogni
modo,
bench le
singole prove
dell'esistenza di Dio
prese
isolatamente non siano decisive e non bastino a
costringere
l'intelletto
dell'uomo
pertinace
all'assenso, tuttavia le varie
argomentazioni
prese
tutte insieme sono benefficaci e mostrano assai sufficientementela
pre-
detta verit
(Disp.
XXIX, 3).
Su
questi capisaldi
si
regge
tutto il resto dell'edificio metafisico del
Suarez. Il Doctor exiniius con
logico rigore
deduce
gli
attributi della natu-
ra divina, a
partire
da
quello
della
perfezione (Disp. XXX, 1). Dio, non
avendo ricevuto
l'essere,
lo
possiede pienamente, perfettamente.
Per
questo
motivo anche
infinito,
semplicissimo, immenso, immutabile,
sapientissimo:
vive di vita intellettuale e felicissima,

onnipotente.
Per la
questione
della Conciliazionetra azione divina e libert
umana,
Suarez trov la soluzionenel ricorso alla scienza media.
Questa
permet-
te a Dio di
conoscere
i
futuribili,cio
quello
che la volont umana fareb-
be se fosse
posta
in certe circostanze. Verificandosi allora certe circostan-
ze
piuttosto
che
altre,
Dio
pu sapere quale
sar il
comportamento
della
volont
umana,
e
quindi
concorrere con essa simultaneamente alla
pro-
duzione dell'atto.
Poi,
passando
all'ente
finito,
Suarez analizza tutti i
molteplici
ele-
menti che lo
compongono.
Come si
gi
detto,
egli
riduce la fondamen-
tale
distinzione/composizione
tra essenza ed esistenza in una distinzio-
8) Cf. De
grzrtia
111,
25.
L'indirizzotomista 89
ne/
composizione
meramente
logica:
lens
quo,
vale a dire l'esistenza,

soltanto unastrazione della mente. In
particolare
l'essenza di una cosa
non
pu
essere distinta dalla
sua esistenza, perch
un ente non
pu
es-
sere costituito da
qualche cosa
da
esso distinta;
Fesistenza creata finita
non
perch
ricevuta da un'essenza come atto in una
potenza,
ma in
virt della divina
potenza.
Cos,
soppresso
Fans
quo
(l'esistenza),
Suarez
si sente costretto a trovarvi un
surrogato
in
quei
"modi" - sostanziali
0
accidentali - di cui
gi
alcuni Scolastici avevano
parlato.
Essi non sono
propriamente
entit, ma
modificazioni reali delle
entit,
richieste dalla
natura
degli
esseri creati, finiti,
imperfetti,
destinati a stare insieme
gli
uni con
gli
altri
per
completarsi
a vicenda.

per
un
modo sostanziale
che la natura individua costituita
persona; per
un
modo sostanziale
gli
accidenti ineriscono alla
sostanza,
per
un modo sostanziale
ogni
forma
unita alla
propria
materia. Materia e
forma
sono due
enti, come due
atomi,
la cui unione costituisce il
corpo.
Non
ripugna
che la materia ab-
bia
pi
forme sostanziali. L'individuazionenon data dalla
materia, ma
da tutto l'ente. Nel
corpo
vi sono
due
estensioni, una
entitatva e una
quantitativa; questa aggiunge
a
quella Pimpenetrabilit.
Quanto
alla
determinazionedelle
categorie,
Suarez ritienenon
potersi provare
con
la
ragione
che
gli
accidenti siano
pi
o meno
di
nove.
Da
parte
sua
egli
nega
la realt
degli
ultimi sei e
della relazione.
Oltre che dell'ente
primo,
o Dio, e dell'ente finito
(la creatura)
in
ge-
nerale nelle
Disputationes
Suarez si
occupa
anche
degli angeli
e si chiede
che cosa
possa
conoscere la
ragione
intorno alla essenza delle
intelligen-
ze create
(Disp.
XXXV)
In
questa
affascinante
ma
complessa questione
il Doctor eximius cerca
di mediare ancora una volta tra la
posizione
del
Doctor
angelicus
e
quella
del Doctor subtilis,
privilegiando
tuttavia
que-
st'ultima in diversi
punti.
Sulla
questione
della
pura
spiritualit degli
angeli
e
della loro immaterialit naturale Suarez
segue
la dottrina di
S.
Tommaso, ma ammette che ci
possono
essere
molti
angeli
all'interno
di una
medesima
specie,
come aveva sostenuto Scoto. Per
quanto
con-
cerne
la conoscenza e
la volont
angelica,
Suarez resta fedele alla
posi-
zione
tomista, ma se ne
distacca
quando
afferma il
primato
della
libert,
secondo il
pensiero
scotista,
per
cui
l'angelo
avrebbe
potuto peccare
contro l'ordine naturale anche in modo
veniale, e
avrebbe
potuto pentir-
si del
suo
peccato, poich
non determinato irrevocabilmentenel beneo
nel
male,
per
il fatto stesso che almeno una
volta ha scelto liberamente.
9) Oltre
all'esposizione
sintetica delle
Disputntiones,
al terna
degli angeli
Suarez ha
dedicato un
ampio trattato,
il De
angelis
che
rappresenta probabilmente
la sinte-
si
pi completa
di
angelologia
e
demonologia
dell'et moderna
(R. LAVATORI,
Cli
angeli,
Torino
1971,
p.
177).
90 Parte
prima
facilenotare nelle
Disputatiortes
una
grave
lacuna: in
esse
si
parla
della sostanza divina,
della sostanza
angelica
e della sostanza materiale,
mentre si
ignora completamente
la sostanza
umana,
che
pure
ha molti
pi
titoli della sostanza materiale
per
essere inclusa in un trattato di me-
tafisica. Forse l'esclusione dovuta
all'ampiezza
e
complessit
della te-
matica che
non
poteva
essere
adeguatamente
svolta in un volume
piut-
tosto sintetico
quali
sono le
Disputationes.
Le
questioni
metafisiche relative all'uomo
sono
comunque
accurata-
mente esaminate dal Suarez nel
suo De anima.
Nell'uomo, anima e
Corpo
formano
una
unit
sostanziale?"
tuttavia essi
non sono uniti immediata-
mente,
bens attraverso uno
di
quei
modi sostanziali di cui si detto.
L'anima intellettiva nell'uomo l'unica forma sostanziale. La sua
spiri-
tualit
provata
dalle
operazioni indipendenti
dalla materia. Sulla
spi-
ritualit fondata l'immortalit
dell'anima,
che
pure
dimostrata dal
desiderio della
felicit,
inattuabilein
questa
Vita, e
dalla necessit di
una
retribuzione
giusta.
LA
DIVISIONE DELLA METAFISICAIN GENERALE E SPECIALE
Con le
Disputatiotzes nzetaphysicae
Suarez non soltanto l'artefice della
separazione
della metafisica dalla
teologia
da
una
parte,
e
dai commenta-
ri aristotelici
dall'altra,
conferendole lo statuto di
un trattato
completa-
mente
autonomo,
ma anche colui che
per primo
divide la metafisica in
due
parti:
una
prima parte
che tratta dell'ente in
generale,
delle sue
rationes Cmnmunes et
quasi
transcendentales
(propriet
comuni e
quasi
tra-
scendentali) (
la
parte
a cui si d il
nome di
ontologia),
una seconda
parte
che studia i vari
generi
dell'ente: l'ente increato
(Dio),
l'ente creato
immateriale
(l'angelo)
e l'ente materiale
(a
questa parte
si d il nome di
nzetaphysicaspecialis).
Di
questa
divisione
logica
troviamo un riscontro visibilenel fatto che
Suarez stesso divide la
sua
opera
in due tomi: il
primo comprende
le
Disputazioni
lXXVIl, e sono
quelle
in cui si affrontano le
questioni
del-
l'ente in
generale,
delle
sue
propriet
trascendentali e
di tutte le sue cau-
se. Invece il secondo tomo include le
Disputazioni
XXVIII-LIV,
le
quali
trattano della sostanza
divina,
angelica
e
materiale.
Riguardo
alla divi-
sione della metafisica in due
parti
ecco
quanto
scrive il Doctor eximius
nella introduzione
generale
alle
Disputationes
(in cui
spiega
il motivo e
lo
svolgimento
dell'intera
opera
al
lettore):
m) Cf. De anima
l,
12.
H) Cf.
lbid, C. 9.
L'indirizzoturnista 91
Nel
primo
tomo viene attentamente considerata la
pi ampia
e uni-
versale
ragione dell'oggetto
della metafisica e cio
quella
che viene
chiamata
ente, con le sue
propriet
e le sue cause.
Ed in
questa
con-
siderazione delle cause
che mi sono soffermato
pi ampiamente
di
quanto
si faccia di
solito, perch
l'ho
giudicata
non solo molto diffici-
le, ma
anche di
grande
utilit
per
tutta la filosofia e
teologia.
Nel
secondo
tomo, invece,
abbiamotrattato le
ragioni
inferiori dello stes-
so
oggetto,
iniziandodalla divisione dell'ente in creato e creatore,
inte-
sa come
divisione
primaria,
la
pi
vicina alla
quiddit
dell'ente e
la
pi
atta allo
svolgimento
di
questa
dottrina;
svolgimento
che in
seguito procede
trattando ci che
compreso
sotto
queste partizioni,
fino a tutti i
generi
e
gradi
dell'ente contenuti entro i termini o limiti
di
questa
scienza.
Questa
divisione della metafisica in cui lo studio dell'ente in
generale
viene
anteposto
allo studio di Dio
implica
sia un'idea
particolare
della
metafisica - che l'idea essenzialistica di Avicennae Scoto e non certo l'i-
dea realistica di Aristotele o di S. Tommaso
e
inoltre una
determinata
concezione
per quanto
attiene la
priorit degli argomenti.
La
priorit,
dal
punto
di vista
dell'indagine,
secondo Suarez,
compete
alla
amplissima
et
universalissima ratio dell'ente che
l'oggetto principale
della metafisica;
solo esso costituisce
l'oggetto adeguato;
ciononostante Dio rimane
l'og-
getto prirnario,
nella misura in cui
rappresenta
la
praecipua pars
entis.

soltanto a
questo
titolo
e non
considerato in
se stesso,
sub sua
propria
ratio-
ne deitatis che Dio "fa
parte" dell'oggetto
della metafisica: Deum contineri
sub
objactr:
huius scientiae ut
primum
ac
praecpuum objectiznr,
non tamen ut
adaequatunz
(Dio

compreso
sotto
l'oggetto
di
questa
scienza in
quanto
primo
e
principaleoggetto,
non
pero
in
quanto adeguato) (Disp.
l, 1, 26)-
Infatti la "ratio sub
qua"
Dio conosciuto dal metafisico la ratio Com-
munis aliis rebus.
la Comunanza
di
questa ragione
formale che consente
di conservare
l'unit della metafisica nonostante la
grande disparit
dei
suoi
oggetti.
Bench Dio e le
intelligenze
considerate in se stesse (SECUH-
dum se consideratae),
sembrino
appartenere
a un
grado
e a un ordine
superiori,
tuttavia,
in
quanto
cadono sotto la nostra considerazione, non
possono
essere
disgiunti
dalla considerazione dei loro attributi trascen-
dentali
(Disp.
I, 3, 10).
Pertanto,
pur
privilegiando
la
prima pars
principalis
o
generalis,
Suarez
rifiuta di
separare
completamente,
secondo la sua
specificit propria,
la
secunda
pars
che rimane
comunque
la
praecipua.
Il Doctor exinzius affronta
questa
difficolta
proposito
della
questione
del
tipo
di unit che
compe-
te alla metafisica come
scienza: unit
specifica
o unit
generica? Dopo
avere
esposto
la dottrina - che dar il via alla tradizionale
ripartizione
in
mctaphysica generalis
e
metaplzysica specialis
- circa l'unit
generica
della
metafisica la
quale comprende
tre scienze
specifiche
(la
scienza dell'ente
in
quanto
ente,
la scienza delle
intelligenze
create e
la scienza di
Dio),
92 Parte
prima
Suarez
contrappone
a
questa tripartizione
l'unit formale della ratio sub
qua
e del
tipo
di astrazione
propria
della metafisica. L'unit che viene
cos messa in risalto la Linit di una intentio 0 di una consideratio,
l'unit
di
una ratio
cognoscendi
anzich di
una ratio esser-idi.
Cos l'andamento di
Suarez, secondo il filo delle divisioni successive
che scandiscono le
Disputafioixes,
Sembrerebbecontraddire la tesi
qui
af-
fermata dell'unit
specifica
della metafisica. Tuttavia
malgradoquesto
tentennamento molto
grave,
resta il fatto molto evidente che Suarez
senz'altro l'autoreche
segna
una
tappa
decisiva nel movimento
gi
anti-
co conducente
a
separare
una metafisica
generale,
il cui
oggetto proprio
Yens commune
sumptztnz,
e una metafisica
speciale
che
prende
in consi-
derazione Dio e le
intelligenze separatem
Dopo
aver
presentato
sommariamente la metafisica che Suarez ci
offre nelle
sue
Disputatiorzes
ora di chiedersi:
qual
il metodo
seguito
dal Doctor exitnizrs nella elaborazionedella
sua metafisica, e,
in definitiva
che
genere
di metafisica e
quella
che
egli
ci
propone?
Quanto
al metodo Suarez non
segue
ne il metodo della resolutizz
degli
aristotelici, n il metodo della
compositia
dei
platonici.
La sua ricerca non
va n
dagli
effetti alle cause (Aristotele), n dalle
cause
agli
effetti
(Platone). Il
suo
metodo descrittivo ed
esplicativo.
Nella
prima parte
delle
Dispumtioncs
la descrizione
e la
spiegazioneriguardano
il concetto
di ente e le
sue
propriet
trascendentali oltre che i vari
tipi
di
causalit;
mentre nella seconda
parte
la ricerca si concentra sulla natura e sulle
propriet
delle tre forme
principali
che
assume la sostanza: la forma
divina,
la forma
angelica
e la forma materiale.
Il metodo analitico-descrittivousato dal Suarez rivela chiaramente in
che
cosa
egli
fa consistere la metafisica.
Questa
per
lui
non unardita
e
rischiosa
navigazione
che ci fa uscire da
questo
mondo della caducit e
delfapparenza
per
condurci
a
quello
della inzmutabilitas
e della zzeritas.
La metafisica suareziana una meticolosa
perlustrazione
del mondo
dell'essere,
il
quale
in
un
primo
momento visto molto da lontano e
dall'alto,
cogliendone
le caratteristiche
pi generali
e
pi
comuni; e
poi,
nel secondo momento considerato
pi
da vicino nelle sue attuazioni
particolari:
cos anche Dio diviene
una
specie
di
ente,
anzich l'asse
ipsum
subsistens.
Nella metafisica suareziana non c' n il faticoso ascensus di Aristote-
le e
di S. Tommaso n il
rapido
(ESCETISHS di
Plotino, Porfirio, Proclo,
Cu-
sano,
ma c' una
lunghissima
escursione
per cogliere
le
propriet
del-
l'ente: sia
quelle generali
sia
quelle specifiche
dell'ente
divino,
angelico
e materiale. Di
grande
efficacia l'escursione suareziana attraverso la
foresta
degli
innumerevoli elementi che
compongono
l'ente
materiale,
13) ].
F.
COURTINE,
SLIHFCZ et le
systme
de la
mtaphysique,
Paris
1990,
p.
333.
L'indirizzoturnista 93
specialmente
i suoi accidenti. Tuttavia,
per
una ricerca autenticamente
metafisica tutta
questa ontologia
una
divagazione
e un inutilecarico di
pesante
zavorra. Ci che conta in metafisica la "seconda
navigazione":
l'uscita dalla terra incerta e infida del finito e del transitorio,
per rag-
giungere
la sicura
sponda
dell'infinito
e
dell'eterno. Su
questo punto
ve-
devano molto benei
platonici,
secondo i
quali
inutilecontinuare a esa-
minare l'ente nelle sue
varie suddivisioni. Ci che necessario lasciare
la "foresta" dell'ente materiale e finito, e usando i
"puri ragionamenti",
cercare
di
pervenire
al mondo dello
spirito.
Riducendo la metafisica a
semplice ontologia
Suarez l'ha indebolita
notevolmente e
ha
preparato
la sua
trasformazionein mera
fenomenolo-
gia
dell'essere.
DIFFUSIONE E INFLUSSO DELLE DISPUTATIONES
E DELLA METAFISICASUAREZIANA
Abbiamodetto e
ripetuto
che le
Disputatioizes rappresentano
una
pie-
tra miliaree un momento
epocale
nella storia della metafisica,
perch
le
danno uno statuto del tutto autonomo e una
strutturazione
profonda-
mente rinnovata. Per almeno due secoli le
Disputationes
hanno esercitato
un
influsso molto vasto e
profondo,
che
non
stato ancora
adeguata-
mente esaminatofi
Elaborando una
metafisica
praticamente
neutra, perch
come
abbiamo
visto le
Disputationes
non
presentano
un
sistema metafisico bens una
fenomenologia
dell'essere,
Suarez venne
accolto favorevolmentein mol-
tissimi ambienti,non
solo cattolici ma
anche
protestanti,
non solo
religio-
si, ma
anche
laici, non solo da
parte
dei
Gesuiti,
di cui divenne il filosofo
ufficiale, ma
anche dei
Domenicani,
dei Francescani,
degli Agostiniani.
Largamente
favorevole fu
l'accoglienza
delle
Dispumtiones negli
ambienti
cattolici,
in
quanto
essi trovavano
nell'opera
del Suarez un te-
sto
esemplare
da mettere in mano sia ai docenti che
agli
studenti
per
lo
studio della metafisica. Le
Disputationes
diventano inoltre
un
modello di
trattazione della scienza metafisica che trova molti imitatori. In diversi
trattati o corsi di filosofia
pubblicati
in
Europa
nei secoli XVII e
XVIII da
autori
scolastici,
si avverte chiaramente l'influsso delle
Disputationes;
all'interno della filosofia scolastica il
pensiero
di Suarez diventa una
delle correnti
pi importanti,
ma
pi
nel
senso
di
una
tendenza che nel
senso di una vera e
propria
"scuola". Dalle diverse cattedre intitolate a
Suarez sorte un
po dappertutto
in
Spagna gi
subito
dopo
la sua morte
(a Salamanca, Alcal, Valladolid,
Burgos) quello
che si trasmette
pi
che
13) Cf. ibid,
pp.
403-436.
94 Parte
prima
una dottrina
particolare
un
approccio
sistematico
peculiare
ai
proble-
mi della metafisica
e
della
teologia.
Importante
nel secolo XVII la recezione e diffusionedella metafisica
suareziana anche tra i
teologi protestanti, specialmente
in Germania.
Singolare
situazione,
quella
che vede uno dei
teologi
di
punta
della
Chiesa cattolica diventare
uno
degli
autori di filosofia
pi
studiati nel
campo
avversario (nel
quale egli
viene visto come un
importante pun-
to di
collegamento
con tutta la tradizione
medievale).
Ma non si tratta di
una
semplice
coincidenza,
anzi riteniamo che il
caso
possa
essere
spie-
gato proprio
in base al carattere
per
cos dire neutro"
dellbntologia
suareziana, non
impegnata
cio con nient'altro
se non un'accurata feno-
menologia
dell'ente
e
quindi
fruibilein vario modo all'interno di oriz-
zonti culturali anche nettamente differenti.
La netta
separazione
della metafisica dalla
teologia
e
la
sua sostanziale
neutralit ha
reso
possibileun'accoglienza
favorevole delle
Disputationes
anche
negli
ambienti
laici,
da
parte
di alcuni dei massimi
esponenti
della
filosofia moderna. Cartesio utilizzale
Disputationes
nelle
sue Meditazioni;
Leibniz le
legge
appena
sedicenne
come fosse
un romanzo (!) e
le cita
nella
sua tesi scritta in
latino,
sul
principio
di individuazionediscussa
all'universit di
Lipsia;
Grozio lo considera un filosofo
e un
teologo
di
ineguagliabilepenetrazione; Berkeley
valorizza nel suo
Alczfrone
il
con-
cetto suareziano della
conoscenza divina in
rapporto
a
quella umana;
il
giovane
Vico si chiude
un anno in
casa
per
venire a
capo
della "Metafi-
sica" del Padre Suarez. Hanno familiarit
con
le
Disputationes
Wolff
e
Baumgarten.
Anche
Schopenhauer
cita con ammirazione
questo
vero e
proprio compendio
della intera filosofiascolastica.
Tutto ci conferma la
singolare importanza
che la
figura
di Suarez
riveste nella storia della
metafisica,
anche
se di fatto i suoi
apporti
sono
considerevoli nel
campo dellbntologia,
mentre sono di scarso valore nel
campo
della metafisica vera e
propria.
CONCLUSIONE
Oltre che in metafisica il
genio speculativo
del Suarez si
espresse
con
straordinario
vigore
e
originalit
in molti altri
campi
della filosofia
e
della
teologia.
In filosofiaSuarez fu
grande soprattutto
nella scienza del
diritto: mentre
oggi
le
Disputationes
sono studiate
come
semplice
docu-
mento storico della filosofia
neoscolastica,
il De
legilms
studiato
per
trarne
ispirazione
e motivi dalla filosofiadel diritto
per
la dottrina dello
Stato,
per
il
primato
della
democrazia,
per
il diritto internazionale.
14)
Cf. E. LWALTFR,
Spanisclz-jesuitisclze
und deutscli-lutlzerischc
Metaphysik
des '17.
jal-zrhunderts, Hamburg 1935,
pp.
60-76.
L'indirizzotomista
95
Ma Suarez voleva essere e fu
soprattutto teologo,
e come
teologo egli
fu indubbiamente
grandissimo.
Secondo A.
Bernareggi,
Suarez stato
il
pi completo
e
poderoso ingegno
fra
quanti
hanno fiorito nella
Scolastica durante la
splendida
rinascita dei secoli XVI
e XVII. La vastit
dell'opera
sua e la versatilitdella
sua mente, come
pure
la
sua eccezio-
nale erudizione
e
la efficacia
e la
profondit
del
suo
argomentare, gli
hanno conferito
un tale
primato,
che
nessuno
gli pu
seriamente conte-
stare.
Egli
stato d'altronde, tanto nella dottrina che nel
metodo, e
per
quanto
era
possibile
a un uomo del
suo
tempo,
il
pi
moderno di
coloro,
che alcuni anche
ora si ostinano a
chiamare
con frase che
suona ironica
per
chi la
pronuncia

theoiogi
recentioresmfi
Analogo
ma assai
pi
autorevoleil
giudizio
di M.
Grabmann,
famoso
storico della
teologia
e della Scolastica in modo
particolare.
Il
giudizio
che
egli
formula sulle
Disputationes metaphysicae
vale
per
tutta la
produ-
zione filosofica
e
teologica
nel suo insieme. Scrive il Grabmannz
Suarez riunisce con una
stupefacente
erudizione su
ogni singolo
problema trattato,
l'insieme della documentazione conosciuta al
suo
tempo.
Non solo cita una
pleiade
di autori dalle tendenze
pi dispa-
rate, ma, generalmente,
ha
esposto
le loro teorie cos da renderne una
fedele
immagine
(...). Tra i tratti dominanti della sua
opera
va
segna-
lato
un vivo senso del
reale,
vale a dire una
penetrazione
acuta che lo
conduce fino al
cuore del
problema
per
svilupparneiuminosamente,
in tutti i
dettagli,
il
processo argomentativo
che conduce alla soluzio-
ne.
Dopo
averlo letto ci si trova informati
su tutti
gli aspetti
di una
questione,
le
difficolt,
le
ramificazioni,le diverse
risposte
che
posso-
no essere date. Per
questa qualit
come
per
la serena
oggettivit,
Suarez fa
pensare
a S. Tommaso
d'Aquino.
Ma
egli rassomiglia
anche
a S.
Bonaventura,
per
la
profondit
della vita interiore e
la
grande
nobiltdella sua vita interamente consacrataa Dio e
alla verit>>fl6
Importante
e
autorevole anche il
giudizio
di l. Dumont alla fine del
suo eccellente studio sulla
teologia dogmatica
del Suarez. Scrive Dumont:
Suarez non un
semplice
erudito, un
enciclopedsta
e un
compilato-
re. Perch
non si
semplicemente
limitato
a
leggere
e ad assimilare
documenti, n a
fornire l'inventario delle
opinioni pi
diverse. Di
tutte le
opinioni egli
ha offerto
una critica attenta e
metodica. Con
raro discernimento, senza
piegarsi
a
priori
davanti ad alcuna
autorit,
senza mai
piegarsi
alla
pressione
delle amicizieo delle
chiesuole,
ha
W) A.
BERNAREGCJ,
La
personalit siriennfica
di Francesca
Suarez,
in AA.
Vv.,
Suarez.
Terzo centenario della
morte,
Milano
1918,
p.
35.
15) M.
GRABMANN, "Die
Disputaiiorzes Hietaphysicae
des F.
Suarez", in /Iittelalterliches
Geistesleben
I,
pp.
534 ss.
96 Parte
prima
analizzato, discusso,
sondato
ogni
sistema
per
sceverare
l'incerto dal
solido. Ed la maestriacon cui
egli
ha
compiuto questa
cernita,
giu-
dicato secondo il
vero valore,
in tante materie differenti,
l'insegna-
mento dei suoi
predecessori
e dei suoi
contemporanei, prima
di
pro-
porre
la
propria
soluzione in
piena cognizione
di
causa,
che
gli

valso il titolo di Dottore Esimio (m).
Suarez ha il merito di avere
messo a
punto
sulla
maggior parte
dei
grandi problemi
della metafi-
sica,
della
teologia dogmatica
e morale e della
spiritualit
cristiana
una dottrina marcatamente
competente, giudiziosa
e sicura. Meno
brillantedi
altri,
la sua
opera
non stata certamente meno feconda, e
indubbiamentenon sar meno
durevole-m
Davanti a
questo
coro
di
elogi
e di consensi sulla
importanza, profon-
dit
e
validit
dell'opera
suareziana, trovo sconcertante il
giudizio pe-
santemente
negativo espresso
da U. von
Balthasarnei confronti del teo-
logo spagnolo. Dopo
una breve
esposizione
del concetto di
essere,
che
consente al Suarez di fare di Dio
l'oggetto
stesso della
metafisica,
Balthasar
osserva
che in
questo
modo:
la
speculazione
viene
apparentemente
resa idonea a ben
sapere
il
fatto che anche
su Dio,
sul suo
essere,
pensare
e
agire quanto
alla
creazione,
redenzionee finale
compimento
(nella fede), a
impadronir-
si
speculativamente
dell'essere illuminatoa
giorno
fino nei suoi abissi
mediante
operazioni
concettuali, e con i
puntelli
e
i mezzi di un enor-
me materiale,
che affluisce dalla tradizione
(...).
Con la
sparizione
della coscienza filosofica del mistero
sparisce
anche
quella teologica,
la
quale
tuttavia secondo Yassioma
gratin sizpponit,
non destruit natu-
ram,
sed elevat dovrebbe
rappresentare
un sentimento
pi
intenso e
profondo
del mistero della
gloria.
Ma un sentimento simile non
lo
irradiano in
genere
ormai
pi gli
strumenti didattici della neoscolasti-
ca
clericale con
la loro
presunta
informazione
apologetica
su tutto e
su tutti. Essi influisconoin tutta
corrispondenza
sulla
predica
e sul-
l'insegnamento
cristiano, se non addirittura sulla
preghiera
e
sulla
meditazionedei
fedeli, con le
quali
un
simileilluminismosta
per
in
invincibilecontraddizione.Mentre nel
primitivo
medioevo fino all'in-
circa a Bonaventura la
teologia
e la mistica (obiettiva)esistevano indi-
vise (...)
da allora il "rnistico viene ben
presto relegato
alla sua
sog-
gettiva esperienza
della
gloria
e marcato con la nota della ecceziona-
lit, mentre la
regola

rappresentata
dalla metafisica ecclesiastica
logico-conseguenziale-concettualistica.1
17)
P.
DUMONT, "Suarez,
DTC XIV/ 2,
2690-2691.
13)
H. U. voN BALTHASAR,
Gloria V: Nello
spazio
della
metafisica,
Milano
1975,
pp.
33-34.
L'indirizzotomista 97
Il
giudizio
di
Von
Balthasar assai
severo,
e a mio
parere qui
ci tro-
viamo di fronte a un'analisi che
non n
equa
n
felice,
bens
palese-
mente
parziale
e tendenziosa. Alcuni rilievidi Balthasar
sono
pertinenti
solo
se riferiti alla Scolastica decadente del Settecento che
pu
essere
qualificata
come una metafisica ecclesiastica
logico-consequenziale-
concettualistica. Ma non sono
affatto
applicabili
al Suarez: in lui
non
c'
nessuna
perdita
della coscienza del
mistero, nessuna
pretesa
di collo-
carsi al di
sopra
dei misteri
per
scrutarli fino in
fondo, non c' una fana-
tica esaltazione della
filosofia,
della
ragione,
della metafisica a detrimen-
to della
fede,
della
teologia,
della mistica. Ci che troviamo in Suarez
invece una
stupenda polifonia sugli
effetti della
grazia
nella natura del-
l'uomo
redento, e sui trionfi del
soprannaturale
nel
naturale,
precisa-
mente come vuole 1o stiledell'arte barocca. Il
barocco,
anche nella teolo-
gia
del
Suarez,

un umanesimo cristiano
non un umanesimo
pagano,

un umanesimo mistico non un umanesimo
illuministico,
un umane-
simo
ortodosso, non un umanesimo
gnostico.
98 Parte
prima
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PARTESECONDA
LA PRIMA MODERNIT
LA METAFISICA
MODERNA FINO A KANT
LA MODERNIT
E LA SUA METAFISICA
L'essenza della modernit
I confini
temporali dell'epoca
moderna
sono
piuttosto
incerti e flut-
tuanti. Ceneralmente si
collegano
i suoi inizi
con
la
scoperta
dell'Ameri-
ca (1492) e
la
sua fine
con la Rivoluzione francese
(l 789). Ma mentre la
scoperta
dell'America fu indubbiamente
un
grande
evento che
oper
una svolta
profonda
nella storia dell'umanit
e
pu, quindi,
essere as-
sunto
come linea di demarcazione tra
l'epoca
medievale
e
l'epoca
mo-
derna, non
pare
invece
ragionevole
collocare la Rivoluzionefrancese al-
la fine
dell'epoca moderna,
in
quanto
costituisce
piuttosto
uno dei suoi
eventi centrali
e
pi
emblematici.
L'epoca
moderna si
prolunga
certa-
mente anche
dopo
la
Rivoluzione
e,
forse, si
protrae
fino alla seconda
Guerra Mondiale
(1935-1945).
Ad
ogni
modo,
pi
che
a fatti esteriori
come una
scoperta geografica
e un conflitto
bellico,
la modernit si
Collega
ad avvenimenti
spirituali
e
culturali,
che
sono
i fatti ai
quali
necessario fare riferimento
per capire
il volto
nuovo
che
assume la metafisica durante
l'epoca
moderna.
Allora, ci domandiamo: che cos' la modernit?
"Moderno" deriva dal latino modo =
poco
fa,
adesso. Il moderno
,
quindi, l'epoca
del
nuovo, l'epoca
in cui c' del
nuovo e non
solo il ritor-
no
all'eguale.
Del termine
"moderno", nei vari momenti della storia si
sono
appropriate
molte
generazioni.
Cos i cristiani della tarda latinit si
chiamavano in latino moderni nei confronti dei
pagani
che essi
designa-
vano come
antiqui.
Gli scolastici del
sec. XIII
qualificavano
come moderni
i
teologi
del
sec. XII
per distinguerli
dai Padri della Chiesa. Ma nell'uso
corrente "moderno" diventato sinonimo di et moderna
e viene inteso
come
epoca
storica che succede allevoantico
e
al medioevo.
Quindi
mo-
dernit" anzitutto
un concetto
temporale:
esso connota
un'epoca
stori-
ca
(quella
che viene
dopo
il
medioevo). Ma "modernit anche
un con-
cetto culturale:
designa
una struttura
culturale, una civilt,
quella
forma
culturale
o civilt che
a
partire
dal secolo XVI ha modellato la societ
europea
e successivamente
penetrata
anche
negli
altri
continenti,
spe-
cialmente
quelli
del Nuovo Mondo.
Molte
sono
le caratteristiche della modernit
e
questo
d conto della
notevole variet di definizioni che
sono state
proposte per
designare
la
sua essenza.
104 Parte seconda
IL CONCETTODI I-IEGEL
A
Hegel
si riconosce il merito di avere
sollevato
per
primo
la
questio-
ne
dell'essenza della modernitfl
Hegel
identifica la modernit con
la
soggettivit
e
la
soggettivit,
a sua Volta, con
la libert.
Questa,
che se
condo lo stesso
Hegel
era
gi
stata
la
grande conquista
del cristianesimo,
costituisce l'essenza dello
spirito.
Perci la
soggettivit
fa
una cosa
sola
con
la libert. Il
principio
del mondo moderno in
genere
la libert
della
soggettivit, per
cui tutti
gli aspetti
essenziali,
che esistono nella
totalit
spirituale,
si
sviluppano, pervenendo
al loro diritto?
Hegel,
quando
definisce la fisionomia dell'et moderna (0
del mondo moderno)
spiega
la
soggettivit"
con
la libert" e
la riflessione": La
grandezza
del nostro
tempo
che esso
riconosce la
libert,
la
propriet
dello
spirito
di essere
in s
presso
di s>>fi
soggettivit,
secondo
Hegel, significa
autonomia
nell'agire
e
diritto
alla critica. Di fatto la modernit non
pu
n vuole
pi
mutuare i
propri
criteri di orientamento di modelli di un'altra
epoca:
essa
deve
attingere
la
propria
normativit da se stessa. La modernit si vede affidata a se
stessa, senza
alcuna
possibilit
di
fuga.
Ne deriva la tendenza ad autoe-
saltarsi e a illudersi,
cio ad assolutizzare
gli
stadi relativi alla riflessione
e
dellemancipazitine.
La definizione
hegeliana
della modernit,
la cui essenza
viene
riposta
nella
soggettivit,
stata
ripresa
da molti autori tedeschi:
Dilthey,
Husserl, Weber,
Scheler ecc.
La si trova
anche in
Heidegger,
il
quale
a
questo
riguardo
cos si
esprime:
L'et che noi chiamiamo
tempo
mo-
derno (...)
si determina in
quanto
l'uomo divienemisura e centro
dell'es-
sente. L'uomo ci che sta alla base di tutto Yessente, cio,
modernamen-
te,
cli
ogni oggettivazione
e rappresentabilit,
il subiectztnwfl
ALTRICONCETTI DI
MODFRNIT
Dopo Hegel
l autoaccertamentodella modernit divieneuno
dei
pro-
blemi
pi
discussi del nostro
tempo;
nella
disputa intervengono
studiosi di
Varie
discipline:
storici
(Spengler, Toymbee, Huizinga),
filosofi (Comte,
Nietzsche, Cassirer, Husserl,
Heidegger,
Maritain, Fabro, Gadamer,
Del
')
Hegel per primo
eleva a
problema
filosofico
quel processo
di distacco della
modernit dalle
suggestioni
normative del
passato,
che non rientrano in essa
(...),
soltanto alla fine del XVIII secolo il
problema
dellhutoaccertamcnto della
modernit si acuisce a tal
punto,
che
Hegel pu
vederlo come
problema
filosofi-
co,
e
precisamente
come il
problema fondamentale
della sua
filosofia
(j. HABRMAS,
Il
discorsofilosofico
della modernit, Laterza,
Bari 1987,
p.
16).
2)
C. W. F.
HEGEL,
Lineamenti della
filosofia
del diritto, Laterza,
Bari
1965,
p.
361.
3) ID, Lezioni sulla storia della
filosofia,
Nuova Italia,
Firenze
1944,
III / 2,
p.
283.
4)
M. HEIDEGGER, Nietzsche,
Pfullingen
1961,
vol.
Il,
p.
61.
La modernit
e
la
sua
nzetafisica
105
Noce
ecc.),
teologi
(Guardini,
De
Lubac, Bonhoeffer, Tillich, Rahner, Lo-
nergan
ecc.),
sociologi
(Weber, Luhmann,
Berger,
Adorno,
Habermas
ecc.).
Alla base delle
nuove definizioni rimane
sempre
il concetto
hegeliano
dell'autonomiadel
soggetto,
ma tale autonomiaviene vista e
interpreta-
ta in molti modi:
come
antropocentrsamo
(Rahner), come naturalismo
(Guardini), come immanentismo
(Fabro), come
illuminismo
(Adorno),co-
me secolarizzazione
(Bonhoeffer,
Del
Noce), come
progresso
(Weber),come
storicit
(Gadamer).
LA MODERNIT
COME SINTESI DI VALORI ASSOLUTI E VALORI STRUMENTALI
Ci che
qualifica
una cultura
sono
i suoi valori: i valori che
nutrono,
ispirano, sostengono,
orientano tutto
l'agire
di
una societ
(popolo,
nazione). In
effetti, ancora
pi
che
gli
eventi
storici,
i
personaggi
o
i
pro-
dotti
culturali, sono
i
valori,
i motivi
ideali,
quelli
che contano nella defi-
nizione dell'anima di
una cultura. Per
questo
motivo
gli
studiosi hanno
individuatol'essenza della Civilt
greca
nella cultura del
buono,
del
vero
e
del
bello;
l'essenza della civilt
romana nella cultura della
sobriet,
della
giustizia
e
del
diritto;
l'essenza della civilt indiana nella cultura
della
"Compassione",
della
apparenza" (maya)
e
della
contemplazione;
l'essenza della civilt cristiana nella cultura
dell'amore,
della
speranza
e
della
pace.
Se definendol'essenza della modernit si
segue questo procedimento
allora si deve concludere che -
come abbiamo mostrato nel
saggio
Una
nuova
cultura
per
una 1111071F!
s0ciet5 - l'essenza della modernit consiste
nella felice combinazione
e
fusione tra valori assoluti di matrice cristia-
na (i
valori della
persona,
della
libert, dell'amore, della
trascendenza,
della
solidariet,
della
verit, ecc.) e
valori strumentali
escogitati
dalla
modernit
(scienza,
tecnologia,
industria, economia,
progresso
ecc.).
La modernit
non
affatto, come molta
storiografia
laica vorrebbefar
credere, una civilt secolarizzata
e tanto meno atea,
bens
una
civilt
profondamente
intrisa di
religiosit,
sia che si tratti di
religiosit
cattoli-
ca come nei
paesi
latini
oppure
di
religiosit protestante
come nei
paesi
anglosassoni.
Basta dare
uno
sguardo
alle
grandi produzioni
culturali
(artistiche, letterarie,
poetiche,
musicali,
sociali
ecc.)
che
gli
italiani,
gli
spagnoli,
i
portoghesi,
i
francesi,
gli inglesi, gli
olandesi,
gli
svedesi,
i
tedeschi,
i
polacchi
e i russi hanno realizzato dal XVI al XIX secolo
per
averne una
sicura
riprova.
Pertanto l'autonomiadel
soggetto
e
delle
sue
molteplici
attivit nonch le
stupende conquiste
scientifichee
tecnologi-
che
non sono mai affermate contro Dio n sono
mai intese in senso
pro-
5) Edizioni Massimo,
Milano
1982,
2 ed.
106 Parte seconda
meteico o faustiano, ma come
espressione
di
quella singolare dignit
che
Dio ha voluto conferire all'uomo. In
effetti,
da Pico della Mirandola,
Leonardo da
Vinci,
Cartesio e Pascal, fino a Herder, Kant, Fichte,
Hegcl,
la modernit
sempre
concepita
come una
forma di umanesimo
religio-
so: un
umanesimo
religioso
di
grado superiore
e
pi
maturo
rispetto
allumanesimoteocentrico del medioevo.
La modernit ha funzionato
egregiamente
finch durata la sintesi
armoniosa tra valori assoluti
e
valori strumentali, e
lungo
l'arco di
quat-
tro secoli
(XVI-XIX) essa riuscita a
produrre quei
risultati
meravigliosi
di cui si
appena
detto
sopra.
Poi,
durante il secolo
XIX, con
Yassolutiz-
zazione dei valori strumentali da
una
parte
(scienza, tecnologia, pro-
gresso,
benessere) e
la
contemporanea
eliminazione dei valori assoluti
(persona,
verit, virt,
saggezza,
bont ecc.) dall'altra,
il connubio si
spezzato
e
la modernit entrata in crisi e
alla fine ha consumato tutte
le risorse
spirituali
di cui era
capace.
A
quel punto l'epoca
della moder-
nit si conclusa e
ha avuto iniziola
post-modernit.
La metafisica moderna
, ovviamente,
la metafisica che stata elabo-
rata come
sostegno speculativo
dei valori della modernit. Essa si
assunta
questo compito
e
l'ha svolto con
grande impegno
fino
a Kant,
il
quale,
pur
restando ancora
profondamentelegato
ai Valori della moder-
nit, ,
tuttavia
persuaso
che la
speculazione
metafisica
non
sia in
grado
di fornire una
giustificazioneadeguata
di tali valori.
Le caratteristiche della metafisicamoderna
Lo
spirito
della metafisica moderna coincide
con
lo
spirito
della
modernit. Cos la metafisica moderna una
metafisica
profondamente
soggettiva"
(vale a
dire orientata verso
il
soggetto
anzich verso
l'og-
getto), antropocentrica,
autonoma,
secolarizzata e
fortemente inclinata
verso
limmanentismo.
La
prima
caratteristica della metafisica moderna l'autonomia: una
doppia
autonomia. In
primo luogo
nei confronti di Aristotele e
della sua
Metafisica e,
in secondo
luogo,
nei confronti della
teologia.
Ma
quella
che
conta di
pi
la seconda autonomia. Essa conduce non
soltanto al di-
vorzio della filosofiadalla
teologia,
ma
anche all'asso1uto
predominio
della filosofianei confronti della
teologia.
Sono finiti i
tempi
in cui la
"padrona
era
la
teologia
e
la filosofia
era
la
sua
umileancella. Ora le
parti
si sono
invertite. Chi detta
legge,
chi
pronuncia
l'ultima sentenza
non
pi
il
teologo
bens il filosofo. Mai
come
nell'epoca
moderna si
registrata
una cos
grande povert teologica
di fronte
a una enorme esu-
beranza filosofica. Cos chi vuole informarsi
su Dio,
sull'uomo
e
sul
mondo
non si
rivolge pi
al
teologo
ma
al filosofo: il
dotto,
il
sapiente

il filosofo. L'era del razionalismoe dell'illuminismo l'era dei filosofi.
La modernit
e
la
sua
metafisica
107
Una seconda caratteristica della metafisica moderna la
sua
separa-
zione dalla scienza. La distinzione tra metafisica
(filosofia
prima)
e
scienza
(filosofiaseconda) era stata chiaramente
percepita
da
Aristotele,
e
proprio
la
scoperta
di tale distinzione
aveva reso
possibile
la metafisi-
ca,
la
quale
non studia settori
particolari
della realt
ma l'intero, non
determinati
gruppi
di enti
ma
l'ente in
quanto
tale, non i fenomeni
ma le
loro
cause. Di
fatto,
per,
mancandouna chiara distinzionetra il metodo
della metafisica
e
quello
della
scienza, tutta la
philosophia
naturalis veni-
va assorbita dalla metafisica.
Questa non studia solo l'essere in
quanto
tale
ma anche tutti
gli
enti. Cos i sistemi
metafisici,
specialmente quelli
platonici
erano onninconclusivi. Con la
scoperta
di
una nuova metodo-
logia,
la
metodologia
calcolatoria della
scienza,
che in
grado
di
appro-
priarsi
del
linguaggio
delle
matematiche, i confini del territorio della
scienza
sono distintamente tracciati:il
suo il territorio dei fenomeni fi-
sici e naturali,
perch
soltanto
questi
fenomeni
sono
verificabili
e
quanti-
ficabili.
Questa
distinzione netta dell'area della scienza
comporta
tutta-
via un considerevole
restringimento
dell'area della metafisica. Di fatto
nella metafisica moderna
sparisce praticamente l0ntologia
intesa come
studio dell'essere in
generale.
Infatti l'essere in
generale
non interessa
per
nulla
agli
scienziati,
che studiano soltanto
gli
esseri
particolari
e
par-
ticolari settori della realt. Ma
non serve
pi neppure
al
metafisico,
per-
ch il
suo
campo
lo studio di
quegli
esseri che
non cadono dentro
l'ambitodella ricerca
scientifica, ossia
gli
esseri
spirituali:
Dio,
gli angeli,
l'anima. Cos dalla metafisica moderna
scompaiono
tutti i
grandi
temi
della metafisica
generale:
la definizionedel concetto di
ente,
le
sue
pro-
priet
trascendentali,
le distinzioni tra atto e
potenza,
essenza
ed esi-
stenza,
materia e forma,
l'esame delle
cause e
dei
principi primi,
lo stu-
dio
degli
accidenti
ecc. In
definitiva,
la metafisica si riduce alla
teologia
naturale
(teodicea) e
alla
psicologia
razionale.
Infine,
la
nuova metafisi-
ca non n
ontologica
n
henologica;
non viene costruita n intorno
all'essere n intorno
all'uno,
ma
intorno a due
oggetti principali:
l'Io
(l'anima, l'uomo,
la natura
umana) e Dio. Cos stato
giustamente
affer-
mato che la metafisica moderna si risolve in
tinologia
(dal
greco
ti,
tins =
qualcosa
e
lcgos
= studio:
deIYaZiquid,
della
res,
della
substantiakfi
Scien-
tia de
aliquo
et nihilo la definizioneche dava
Clauberg
della metafisica?
Altra caratteristica
primaria
della metafisica moderna il condiziona-
mento
gnoseologico.
Che la teoria della
conoscenza
(gnoseologia)
sia
decisiva
per
la metafisica abbastanza
ovvio, tanto che si
pu
dire
qua-
lis
gnoseologia
talis
metaphysica.
Infatti la
gnoseologia
che decide
come
e
quali
realt sia
possibile
conoscere. Non
possibile
la metafisica
se la
6) Cf.
I.
F.
COURTINE,
0p.
cit,
pp.
536 s.
7)
Cf.
I. CLAUBERC,
Elementi:
philosophine
seu
ontosophia, Groningen
1647.
108 Parte seconda
nostra conoscenza non
oltrepassa
il mondo
dell'esperienza
sensibile,
cio se l'uomo dotato soltanto di sensi
esterni,
memoria e
fantasia co-
me
gli
animali. La
porta
della metafisica si
spalanca
soltanto se si rico-
nosce
all'uomo anche
una conoscenza
intellettive: la conoscenza
della
mente (nous),
della
ragione (logus),
dell'intelletto (intellectzis).
Ma il solo
possesso
della
ragione
o
intelletto non
fornisce immediatamentela chia-
ve
della metafisica, perch
il
potere
della
ragione
e
il
suo modo di
opera-
re
pu
essere
variamente
interpretato: pu
essere
ridotto a un mero
potere
critico,
che
proclama l'impotenza
della
ragione
nel
campo
della
metafisica e
lo
costringe
dentro il
campo
della scienza. La
ragione
non

in
grado
di
compiere
la seconda
navigazione; pu
calcolare i
concetti,
i
numeri,
i fenomeni, ma non
pu scoprire
la loro causa.
Oppure
si rico-
nosce
alla
ragione
la
capacit
di
compiere
la difficiletraversata, ma
anche
qui
ci sono
varie
possibilit:
l'alternativain definitiva tra l'intui-
zione e
Yastrazione. Se si utilizzal'intuizione(illuminazione)
la
sponda
della realt metafisica
raggiunta agevolmente.
Invece se ci si affida al-
Yastrazione
l'operazione
diviene molto
pi
ardua: lflzscensus duro
e
difficile
e
anche
l'esplorazione
divienemolto
pi
faticosa.
Con
questa mappa
delle
molteplici
soluzioni del
problema
della
conoscenza
si
comprende
come
il
preambolo gnoseologico
condizioni
tutto il restante lavoro del filosofo.
Dell'importanza capitale
del
problema
della conoscenza avevano
chiara coscienza sia Platone che Aristotele,
sia
Agostino
che
Tommaso,
ma tutti
questi grandi
metafisici l'avevano risolto in modo
positivo
o
con
la via delfintuizione(illuminazione)o con
la via dell'astrazione. In-
vece
Occam che
negava
sia l'intuizioneintellettuale sia Pastrazioneave-
va
gi
sbarrato la strada alla metafisica.
Cos
l'epoca
moderna
porta
il
problema gnoseologico
in
primo piano
e ne
fa la
questione preliminare
e decisiva di
ogni
altro discorso. Il fatto
sorprendente
che tra le varie soluzioni
possibili
viene scartata la solu-
zione intermedia dellastrazione, e cos
rimangono
soltanto due soluzio-
ni decisamente antitetiche: l'intuizione intellettuale da
una
parte
e
l'in-
tuizonesensibiledall'altra. La
prima
soluzione
apre
l'accesso alla meta-
fisica,
la seconda la chiude. La
prima
la
gnoseoltigia
dei razionalisti,
la
seconda e la
gnoseologia degli empiristi.
Inoltre la
gnoseologia
non
condiziona soltanto la
possibilit
della
metafisica
ma
anche il
paradigma:
escludendo lastrazione rimane sol-
tanto il
paradigma platonico
e viene meno
il
paradigma
aristotelico. E,
in effetti, tutte le metafisiche dei razionalisti sono
sostanzialmente meta-
fisiche
platoniche.
Cos fino
a Kant,
il
quale
dar
un assetto
completa-
mente nuovo e
rivoluzionario
(
la famosa rivoluzione
copernicana!)
al
problema gnoseologico,
e
di
conseguenza
anche al
problema
metafisico.
CARTESIO,
ILPADREDELLA METAFISICAMODERNA
Vita
e
opere
Rene Descartes
(Cartesio)
nacque
il 31
marzo
1596/3 La
Ijayein Ion-
rainecda
nobile
famiglia:
suo
padre
era
il
presidente
del
parlamento
del-
la
Bretagna.
Fece i
primi
studi nel
collegio
La
Flche,a_uno
dei
pi
famosi
Collegi
per
i
nobilifltenuto
dai Gesuiti. Presto si
rese conto della vacuit
delle dottrine scientifichecorrenti e
non tardo a biasimareil metodo ari-
stotelico
e
la fisica di
Aristotele quali responsabili
del mancato
progres-
_
_so
delle scienze.
Disgustato
da
questa
situazione nel 1612 lasci
ilmeolle-
gio per
darsi alla carriera delle armi. Si arruol al servizio di
variigene-
rali
e
partecip
a numerose
campagne
militari,
pi per
girare
il mondo
che
per
Combattere.
Nell'inverno
1619,
forzato
a starsene chiuso in
casa,
cominci a riflet-
tere seriamente sullo
scopo
della
sua vita. Tre volte
sogno
che la
sua
vocazione era di riformare la scienza
e
di ricercare la verit basandosi
sulla sola
ragione:
Cercare il
vero metodo
per pervenire
alla
conoscen-
za
di tutte le
cose di cui la mente
umana
capacefl
Per fino al 1624
continu nella carriera militare.
Nel 1625 and
a Roma
per
lanno santo e
fece
un
pellegrinaggio
alla
Madonna di Loreto. Poi ritorn a
Parigi,
dove il cardinale De Berulle lo
incoraggi
a dedicarsi allo studio della scienza. Per mettere in
pratica
questo proposito compero
una casa in
Olanda, e vi si ritiro lontano dalle
distrazioni della vita mondana di
Parigi.
lort
presto
a termine
un'opera
intitolata Tmite du
monde, in cui so-
steneva nuove teorie scientifiche.
Ma,
avendo
saputo
della condanna di
Galileo,
per prudenza
non
lo diede alle
stampe.
Nel 1636
pubblic
alcu-
ni
saggi
e il Discorso sul metodo
come
prefazione
di
quegli
scritti. ll
sag-
gio principale

quello
sulla
geometria
dove Cartesio
pone
le basi delia
geometria
analitica. Una delle
particolarit
dei
saggi
e il fatto che furono
pubblicati
in
lingua
francese, mentre fino ad allora
era costume usare
il
latino
per qualsiasi opera
seria.
1)
Discorso sul
metodo, 2.
110 Parte seconda
Nel 1641 diede alle
stampe
Le meditazioni,
il
suo
capolavoro
filosofico.
Un amico dell'autore,
il P.
Mersenne,
per
farlo conoscere
distribu
lopera
alle
maggiori personalit
nel
campo
filosoficoe
scientifici) del
tempo
e
sollecito le loro critiche. Le obiezioni dei
filosofi,
dei
teologi,
di Hobbes,
Arnauld
e Gassendi,
seguite
dalla
risposta
di
Cartesio,
furono
poi pub-
blicate insieme alle
Meditazioni, come
appendice.
Voetius, rettore dell'u-
niversit di Utrecht, attacc violentementeCartesio accusandolodi atei-
smo.
Alla calunnia il filosofo
rispose adeguatamente.
Allora fu denun-
ciato all'autoritcivilee
per poco
non
fin in
prigione.
Nel 1644
pubblic lprincipi
della
filosofia
in cui l'Autore
presenta
una
sintesi di tutto il
suo
sapere
filosofico
e
scientifico.
Intanto la fama di Cartesio si era
sparsa
in tutto il mondo ed
egli
la
teneva viva con una
corrispondenza
vastissima
(neIYOpera
Omnia
lEpi-
stolario
occupa quasi
met della
pubblicazione).
Sollecitato dalla
regina
Cristina di Svezia a scrivere un
libro sul Som-
mo Bene,
Cartesio
compose
un'opera
intitolata Trattatosulle
passioni
del-
l'anima. In
seguito
la
regina
lo invito ad andare in Svezia a
fondarvi
unAccademia delle scienze. Il filosofo accolse l'invito nel 1649. In Sve-
zia Cartesio trovo un
clima molto
rigido.
All'inizio del 1650 fu
preso
dalla febbre
e
in
capo
a due settimane mor. Allora
un suo
discepolo
scrisse a
Parigi:
U11 febbraio abbiamo
perso
Cartesio.
Piango
ancora
mentre vi
scrivo, perch
la sua
dottrina e
la sua mente
superavano
il
candore e
la
semplicit,
la bont e
l'innocenza della
sua
vita.
Delle
opere
di Cartesio le
pi
celebri sono
il Discorso sul metodo
e
le
Meditazioni.
Queste
approfondiscono
le
questioni
trattate nel Discorso.
Il Discorso
un'opera
di modesta
mole, ma ricca di contenuto:
vi sono
trattati tutti i
principali problemi
filosofici,
da
quello logico
a
quello
etico, a
quello teologico.

un'opera
celebre
per
la
sua
insuperabile
chia-
rezza,
per
la
semplicit
dello stile,
per
la bellezzadelle
immagini.

nota
anche
per
un'altra
peculiarit:
la
prima opera
filosofica
importante
scritta in
lingua volgare.
Meno celebri del Metodo e
delle Meditazioni sono
le
Regole per
la
guida
dell'intelligenza
e i
Principi
della
filosofia,
e tuttavia sono
due
opere
impor-
tanti,
che si affiancano e
completano
le due
opere
maggiori:
le
Regole
come
introduzione al
Metodo, e
i
Principi
come
integrazione
delle Medita-
zzonzfl
2) Le versioni italiane da noi utilizzatesono le
seguenti: Regole per
la
guida
dell'intel-
ligenza.
Ricerca della Lverit. Discorso sul metodo, a cura
di G. Galli e A. Carlini,
Bari
1954;
Meditazioni
filosofiche,
a cura di G. De
Giuli,
Milano
1954;
l
principi
della
filo-
sofia,
a cura di G. Colli,
Torino 1967.
Cartesio,
il
padre
della
metafisica
moderna 111
La nuova metafisica di Cartesio
Padre della filosofiamoderna la definizioneche tutti
gli
storici
riconoscono
a Cartesio. Ma si
pu assegnargli
anche il titolo di
padre
della metafisica moderna? Credo di s. Infatti i tre tratti caratteristici
della metafisica moderna si ritrovano tutti insieme
per
la
prima
volta
nel
pensiero
di Cartesio.
1)
La
sua
metafisica nettamente
sganciata
sia dalla
teologia
sia dal
testo aristotelico. Si tratta indubbiamentedi
uno
sganciamentoparziale
e
non totale; tuttavia effettivo
e
profondo,
e non si incontra in
nessuno
dei
pensatori
che l'hanno
preceduto:
assai
pi completo
e
radicale che in
Cusano e Suarez. Le sue Meditazioni
filosofiche
sono un modello
perfetto
della nuova metafisica: autonomasia
rispetto
alla
teologia
sia
rispetto
ad
Aristotele. Ma
come hanno evidenziatoGilson e
Koyr
in Cartesio i
lega-
mi con
la
teologia
scolastica
e con
Aristotele
non sono ancora totalmente
recisi. Grande il debito che
egli
paga
alla Scolastica
non
soltanto
per
quanto
attiene il
linguaggio
filosofico, ma
anche
per quanto
concerne le
problematiche
e non
di rado le stesse soluzioni.
Quanto
poi
ad
Aristotele,
nonostante la forte
allergia
che Cartesio manifesta
verso
il
suo
pensiero,
non soltanto
egli
si
appropria
di alcune
categorie
fondamentali della
sua
metafisica, ma
anche dell'indirizzo realistico della filosofiaaristotelica.
Pur
partendo
dal
Cogito
tutta la
speculazione
cartesiana ha di mira il
rag-
giungimento
della
verit,
che sta nella
conoscenza
oggettiva
della realtfi
2)
La metafisica
generale,
intesa come
ontologia,
scompare
e riman-
gono
soltanto le metafisiche
speciali,
che trattano di
Dio,
dell'anima
(e
del
mondo).

quanto
chiaramente insinuato dal titolo che Cartesio
d alle
sue
Meditazioni che nell'edizionedel 1641 era:
Meditationes de
prima phiiosophia,
in
qua
Dei existentia et anirnaeimmortalitas
demonstrantur,
e nell'edizionedel 1642 era
leggermente
modificato nel modo
seguente:
Meditationes de
prima phiiosophia,
in
quibus
Dei existentia et animachumanae
a
corpore
distinctio demonstrantur. Nellenunciato cartesiano
prima philo-
saphia
non
significa philosophiagcneralis,
bens
prote philosophia:
la filoso-
fia del
divino,
in
quanto
esso costituisce Velemento
primario
della realt.
Le due
parti
della metafisica indicate dal titolo delle Meditazioni corri-
spondono
alla
teologia
naturale
e
alla
psicologia
razionale. Nelle Medita-
zioni si
parla
anche del mondo materiale. E cos si
pu cogliere
in
que-
st'opera
il
primo
abbozzo della
tripartizione
della metafisica
speciale,
divenuta immediatamente
classica,
la
quale comprende
oltre alla teolo-
3) Cf. E.
CiisoN, La doctrine cartsienne de la libertet la
thologie,
Paris
1913; lD., Index
schoiastico-cartsien, Paris
1913,- lo.,
Etudes
sur le rrie de la
pensc
mdivale dans la
formation
da
systine cartsien,
Strasbourg
1921;
A.
KOYR,
Essai sur Fide de Dieu et
les
preuzzes
de son esistence dans
Descartes, Paris 1922.
112 Parte seconda
gia
naturale
e
la
psicologia
anche la
cosmologia,
la
quale
si
occupa
de
re
materiali. La eliminazione
delrontologia
fa
parte
del
progetto
cartesiano
di
superare
Vastratta
speculazione
di Aristotele
per
concentrare l'atten-
zione esclusivamente sulle cose realmente esistenti:
Dio, l'anima,
il
mon-
do. Tutto
questo corrisponde
a
quella
che stata chiamata la "vita
em-
piristica"
del
pensiero
di Cartesio.
3)
Il terzo tratto caratteristicodella metafisica moderna che si
inaugu-
ra
con
Cartesio la subordinazionedella metafisica alla
gnoseologia:
c'e
un
preambolo gnoseologico
che la metafisica
non
pu
omettere. Cos,
soltanto
dopo
aver attraversato il deserto dei dubbioCartesio
pu
tenta-
re
la
sua
veloce
navigazione
verso il sicuro
porto
della trascendenza.
Grazie
a
questa
nuova
impostazione
Cartesio diviene il
nuovo Platone,
il
nuovo Aristotele,
il
nuovo
Agostino,
il
nuovo Tommaso. Con Cartesio
la metafisica inizia un cammino nuovo: essa
abbandona le vie tracciate
dai
grandi
metafisici dell'antichit
e
dai metafisici cristiani. Non cammi-
na
pi lungo
i sentieri delVUno,
del
Bello,
della
Sostanza,
della
Verit,
dell'Essere. Cartesio traccia un sentiero
nuovo,
o
adoperando l'immagi-
ne
platonica
della
navigazione, segue
una rotta
nuova,
che
sposta
il
punto
di
partenza
dal terreno
ontologico
a
quello gnoseologico.
Cos nel
padre
della metafisica moderna la metafisica
generale
non
pi
l'on-
tologia,
bens la
gnoseologia.
Il
preambolo gnoseologico
La necessit di tracciare un nuovo itinerario
per
1a metafisica assu-
mendo
un nuovo metodo
ispira
tutti
gli
scritti di Cartesio. Gi nelle
Rego-
le,
che la
sua
prima opera
filosofica
leggiamo:
Affinch
non siamo
sempre
incerti su ci che
possa
l'animo nostro e
affinch
questo
non si affatichi invano e sconsideratamente,
prima
che noi ci
accingiamo
alla conoscenza
delle cose
particolari, bisogna
almeno
una
volta nella vita aver ricercato
diligentemente
di
quali
cognizioni
lumana
ragione
sia
capace
(...).
Veramente nulla si
pu
cercare
di
pi
utiledi ci che sia lumana
conoscenza,
e
fin dove
essa
si estenda. E
quindi
ora noi riuniamo ci in un'unica
questione,
la
quale pensiamo
che sia da esaminare
prima
di
tutte; e
pensiamo
che
ci si debba fare almeno una
volta nella vita di
ognuno
di
quelli
che
poco poco
amino la
verit, poich
in tale
indagine
sono
compresi
i
veri strumenti del
sapere
e tutto il metodo. Niente
poi
mi sembra
pi
sciocco che discutere accanitamente intorno
agli
arcani della
natura,
allinflussodei cieli su
questo
basso mondo,
alla
predizione degli
avvenimenti futuri, e simili, come molti fanno, e tuttavia non essersi
mai chiesti
se
la
ragione
umana
basti a
scoprire
tali c0se.4
4)
Regole
VIII,
pp.
32-33.
Cartesio,
il
madre
della
metafisica
moderna
113
Ma come
procedere
alla verifica del valore della nostra conoscenza?
del tutto inutilecontrollare le
singole
scienze e conoscenze.
Il
procedi-
mento
migliore

quello
di affrontare il
problema
alla radice: controllan-
do la
capacit
conoscitiva di cui l'uomo
dispone,
la
sua mente.
Infatti,
poich
tutte le scienze non sono
nient'altro che lumano
sape-
re,
il
quale
permane sempre
uno e medesimo,
per
differenti che siano
gii oggetti
a cui si
applica,
n
prende
da essi
maggior
distinzione di
quanta
ne
prenda
il lume del sole dalla Variet delle
cose
che illumi-
na,
non c'
bisogno
di racchiuderela mente in alcun
limite; e invero la
Conoscenza
di un unica verit non ci disvia, come
fa invece l'esercizio
di
un mestiere,
dal ritrovamento di
un'altra, ma
piuttosto
ci di
aiuto. E mi sembra
cosa
da destar
proprio meraviglia,
che
gran
nume-
ro di
persone
indaghi dilgentissimamente
i costumi
degli uomini,
le
virt delle
piante,
i moti
degli
astri,
le trasformazioni dei
metalli, e
gli
oggetti
di altre simili
discipline,
e
che
pertanto quasi
nessuno
volga
il
pensiero
alla retta
mente,
ossia a
questa
universale
sapienza, quando
nondimenotutte le altre
cose sono
degne
di stima non tanto di
per
s,
quanto perch portano qualche
tributo ad
essa. E
per
fermo
proponia-
mo
prima
di tutto
questa regola, poich
niente ci allontana
maggior-
mente dalla retta via di ricerca della
verit,
che
dirigere gli
studi
non
gi
a
tal fine
generale,
ma a
qualche
fine
particolare
(...).
Se uno
per-
tanto vuole
indagare
sul serio la verit delle
cose,
non deve
scegliere
una
qualche
scienza
particolare, poich
sono tutte
congiunte
tra loro
e
dipendenti
ciascuna dalle
altre; ma
egli pensi
soltanto ad aumentare
il natural lume della
ragione,
non
per
risolvere
questa
o
quella
diffi-
colt di
scuola, ma
affinch nei
singoli
casi della Vita l'intelletto additi
alla volont che
cosa sia da
scegliere
.5
Affermandoche
prima
di
usare uno strumento, un attrezzo,

oppor-
tuno verificare
se in condizionedi ben
funzionare,
Cartesio
non inse-
gna
nulla di straordinario. Anche il contadino
prima
di mettersi a
falcia-
re
il fieno controlla
se
la lama della
sua
falce abbastanza
tagliente,
altrimenti
provvede
ad
affilarla;
cos chi Vuole
intraprendere
un
lungo
viaggio, prima
fa controllare il
motore,
le
gomme,
la benzina della
sua
auto. Ci che nuovo in Cartesio la radicalit dei controlli a cui
egli
intende
sottoporre gli
strumenti conoscitivi di cui l'uomo
dispone. Egli
procede
a una decostruzione
completa,
a uno smontamentototale di
ogni
conoscenza accumulatain
passato:
non
solo delle
sue Conoscenze
perso-
nali, ma
di tutte le
conoscenze
accumulate dallumana
ragione, quindi
di tutte le
conoscenze scientifiche
e filosofiche
(non
di
quelle religiose,
in
quanto queste
non sono
frutto della
ragione,
ma
di
qualche
divina rive-
lazione).
Egli
fa
piazza pulita
di tutto
quello
che
aveva
imparato
dai
ge-
suiti al
collegio
La Flche: tutte le teorie
scientifiche, tutti i sistemi filoso-
5)
Ibid.
l,
pp.
3-5.
1 14 Parte seconda
fici
vengono spazzati
via
con una
buona dose di tracotanza.
la
grande
conversione,
la rivoluzione che sta alla base di
ogni
metafisica. Senon
ch nella metafisica Classica
e
nella metafisica cristiana la conversione
che dava il via alla seconda
navigazioneriguardava
il mondo
materiale,
il mondo sensibile
e
contingente
e
la
navigazioneportava
Verso
la
spon-
da del mondo trascendente. La metafisica cartesiana inizia
con
l'abban-
dono
non
del mondo
materiale, ma
del mondo
culturale,
che in realt
non e meno
fragile,
caduco
e
contingente
del mondo materiale.
E
cosi, tutta la ricerca di Cartesio si concentra sul valore delle nostre
facolt conoscitive:
sensi, fantasia,
ragionamento.
Per accertare il loro
valore,
secondo
Cartesio, non c' via
migliore
del dubbio:
sottoponiamo
al
vaglio
del dubbio tutte le nostre conoscenze
fino
a
quando
ne
scopriamo
qualcuna
di assolutamentecerta. Su
questa
si
potr poi
innalzaretutto l'e-
dificiometafisico. Il dubbio
pertanto
il metodo
per scoprire
la verit.
servendosi del dubbio ntetodico Cartesio mette in
disparte
come
malsi-
cure tutte le
conoscenze
acquistate
con
i sensi e con
l'immaginazione,
per-
ch
queste
facoltmolto
spesso
ci
ingannano.
Ma non c' da fidarsi
nep-
pure
delle
conoscenze ottenute mediante il
ragionamento, perch
anche
nel
ragionare
molte volte erriamo. Cos non c' nessuna conoscenza
parti-
colare che
possa
resistere alla
prova
del dubbio. Anche nelle cose
appa-
rentemente
pi semplici
e
pi
evidenti
ancora
possibile
che noi ci
ingan-
niamo. Infatti tutto
quello
che
esperimentiamo
da
svegli possiamo speri-
rnentarlo anche dormendo nel
sogno
e non
disponiamo
di
nessun criterio
per
stabilire
quando
siamo
svegli
e
quando
siamo addormentati. E
poi,
ammesso
pure
che fossimo in
grado
di
farlo, ci
potrebbe
benissimo
essere
un
Dio
onnipotente
e
ingannatore
della mente che ci ha creati in modo
che ci
inganniamo
anche
quando
diciamo che due
pi
due
uguale
a
quattro, oppure
facendocicredere che due
per
due fa sei anzich
quattro.
Giunti
a
questo punto
evidente che il dubbioha
preso
nella
sua rete
tutte le
cose.
Proprio
tutto?
No,
questo
non
possibile.
Scrive Cartesio
nella
Quarta
parte
del Discorso sul metodo:
Infine,
considerando che
gli
stessi
pensieri
che noi abbiamo
quando
siamo desti
possono
tutti venirci anche
quando
dormiamo bench
allora non ve ne sia alcuno
vero,
mi misi a
fingere
che tutto
quanto
era entrato nel mio
spirito
sino a
quae momento, non
fosse
pi
vero
delle illusioni dei miei
sogni.
Ma,
subito
dopo,
mi accorsi che, mentre
volevo in tal modo
pensare
falsa
ogni cosa, bisognava
necessariamen-
te che
io,
che la
pensavo,
fossi
pure
qualcosa.
Per
cui,
dato che
questa
verit: Io
penso,
dunque
sono
(Ego cogito, ergo
sum,
sive existo), cos
ferma
e certa che
non avrebbero
potuto
scuoterla neanche le
pi
stra-
vaganti supposizioni degli
scettici,
giudicai
di
poterla accogliere
sen-
za esitazionecome il
principio primo
della nzia
fllosofiam
6) Discorso sul metodo,
p.
147.
Cartesio,
il
padre
della
nzetafisica
moderna
115
Come dichiara solennemente
Cartesio,
il
Cogito
ergo
sum il
principio
primo
della
sua filosofia,
il fondamentodi tutto il
suo edificiofilosoficoe
metafisico. Si tratta infatti di una verit che
non
ha soltanto
un valore
gnoseologico
ma
anche
ontologico, poich
il
cogito
strettamente
legato
al
sum;
non c' soltanto il
pensiero (pi
o meno fittizio,
pi
0 meno certo)
ma anche l'essere. E ci che interessa
qui

proprio
il
sum, Fexistere,
l'esse-
re,
e si tratta di "essere
reale,
le cui condizioni di esistenza vanno
verifi-
cate dato che fanno da
supporto
a un conoscere errabondo,
che
spesso
cade nel dubbio
e
nell'errore. C'
Comunque
un
punto
di
partenza
soli-
dissimo: la verit dell'esistenza del
soggetto cogitante: Ripugna
infatti
ritenere che colui che
pensa,
in
quello
stesso
tempo
in cui
pensa,
non esi-
sta. E
quindi questa conoscenza,
io
penso, dunque sono,
la
prima
e la
pi
certa di tutte
quelle
verit che incontri
chiunque
filosoficon ordine.7
La metafisica del
Cogito
e
la mathesisuniversalis
Ci che caratterizza la metafisica
sempre
lo studio dell'Intero
e la
ricerca del
Principio primo.
Ma all'lnter0
e
al
Principio primo
si
pu
accedere da molti
versanti,
considerandoli da molte
prospettive:
dell'Es-
sere,
del
Bello,
del
Vero,
del
Bene,
della
Perfezione,
della
Contingenza,
della
Possibilit,
dell'Ordine ecc. Cartesio, come si vedr, non
ignora
al-
cuni di
questi
versanti, ma da scalatore molto ardito vuole tentare la
sca-
lata del
Principio primo
considerandolo da
un nuovo versante, quello
del
Cogito.
Cos la metafisica diviene in Cartesio uno studio dell'essere
in
quanto cogitabilefi
Il
cogitabile
abbraccia un orizzonte vastissimo ancora
pi
vasto di
quello
dell'ente; infatti, mentre l'ente abbraccia tutto ci che
(id
quod
revera est,
diceva
Suarez),
il
cogitabile
abbracciatutto ci che
pensabile:
0mm:
quod Cogitari potest.
Il versante metafisico del
Cogitabile

completa-
mente nuovo: coincide solo
parzialmente
col versante
agostnano
della
verit,
poich
la verit da Cartesio vista
pi
dal
punto
di vista
sogget-
tivo del
cogitante (dell'ago Cogito)
che dal
punto
di vista
oggettivo,
anche
se in definitiva ci che Cartesio ricerca la verit
oggettiva.
Dunque
il
Cogito
ergo
sum il fondamento di tutto l'edificio
speculati-
vo del
padre
della metafisica moderna. Ma
per
costruire un buon edifi-
cio
non
basta
disporre
di
un
buon
fondamento;
necessario anche
un
buon
metodo, occorre
procedere
con ordine nella costruzione e
far
uso
di strumenti
adeguati
e
di buon materiale. Finch tutto
questo
non
pronto, compreso
il
progetto
dell'edificio, da stolti iniziare la costru-
7)
Principi, p.
77.
3) Cf.
I.
L.
MARION,
Sur le
prisma nztaphysique
de
Dcscartcs,
Paris 1983.
l 16 [Jarte seconda
zione. Tutto
questo
Cartesio lo
sapeva
benissimo e cos
dopo
la
corag-
giosa
demolizionedi tutte le costruzioni
precedenti
e
dopo
aver
posto
le
basi della nuova costruzione,
prima
di andare avanti
egli
si
premura
di
scegliere
ancora tre Cose: l'ordine,
gli
strumenti dell'induzione e
della
deduzione, e
il materiale delle idee innate. Di
questi argomenti
Cartesio
si
occupa
oltre che nel Discorso e
nelle
Regole,
anche nelle Meditazioni
(I-III) e nei
Principi
(l, 1-10).
L'insiemedell'ordine
(regole),
dellnduzionee della deduzione e
del-
le idee innate costituisce ci che Cartesio chiama irmthesis univcrsalis o
sapentia
universalis.

stato
giustamente
detto che nella metafisica cartesiana la matlzesis
LlHUEfSfllS
prende
il
posto
che
aveva avuto
Yontologia
nella metafisica
classica
e cristiana. Noi
sappiamo
che Cartesio costruisce una metafisica
senza
ontologia; per egli
non
accede immediatamente alla metafisica
speciale
di Dio e dell'anima senza aver
prima
accuratamenteelaborato
una
disciplina generale,
la mathesis uniziersals, una matematica che non
abbraccia soltanto
Yaritmetica,
la
geometria,
l'astronomia,
la
meccanica,
l'ottica,
la
musica, ma moltissime altre
discipline: praticamente
-
come
scrive Cartesio nelle
Regole
- tutte
quelle
cose nelle
quali
si esamina
l'ordine o misura, e non
ha interesse se
tale misura si debba ricercare nei
numeri o nelle
figure,
o
negli
astri, o nei suoi o in
qualsiasi
altro
oggetto,
e
perci
ci deve
essere una
scienza
generale,
che
spieghi
tutto ci che si
pu
chiedere circa l'ordine e la misura non riferita ad alcuna
speciale
materia,
ed
essa,
non
gi
con un
vocabolo
straniero, ma con uno
gi
antico e accettato dall'uso,
ha da essere
chiamata matematicauniversale
(matliesis unixersalis),
poich
in
questa
si contiene tutto ci
per
cui altre
scienze sono dette
parti
della matematica.
Quanto
poi questa superi
in
utilit
e
facilitle altre che le sono subordinate,
manifestato da
ci,
che
essa si estende a tutte le cose a cui si estendono
quelle,
e
per
di
pi
a
molte
altre, e
che
se Contiene alcune difficolt,
le medesime esistono
anche in
quelle,
e
per
di
pi
altre
ce ne sono derivanti dalla
particolarit
degli oggetti,
le
quali
in
essa non sonow
Nelredificio
speculativo
cartesiano la mathcsis univcrsnlis
svolge
chia-
ramente il ruolo di
una
metafisica
generale,
al
posto
della
ontologia.
La
mathesis Lmiversalis un
metodo
generale
in
grado
di trattare di tutte le
cose (rcs onznes), ma
in
quanto
conoscibili:de onmi re
scibili
o
meglio
de
omni re in
quantum
scibilifi
")
Regola
IV,
p.
17.
l) Ci.
].
F.
COURTINE,
0p.
ciafl,
pp.
489492.
Cartesio,
il
padre
della
metafisica
moderna 117
Le REGOLE DEI. MFTODO
La mathesis unioersalis essenzialmente il nuovo metodo cartesiano.
Per metodo - scrive Cartesio intendo delle
regole
certe e facili,os-
servando le
quali
esattamente nessuno dar mai
per
vero ci che sia
falso, e senza consumare inutilmentealcuno sforzo della
mente, ma
gra-
datamente aumentando
sempre
il
sapere, perverr
alla vera
cognizione
di tutte le cosew
Nel
suo
primo saggio
filosofico, intitolato
precisamente Regole
per
la
guida dellntelligenza,
Cartesio formula
e
spiega per
esteso ben XXI
rego-
le. Poi nel Metodo
compie
un
taglio
netto e le riduce a
quattro,
che vale la
pena
di
riportare
alla lettera:
La
prima
era
di
non
accogliere
mai nulla
per
vero che non conoscessi
esser tale con evidenza: di
evitare, cio, accuratamente la
precipita-
zione e la
prevenzione;
e di non
comprendere
nei miei
giudizi
nulla
di
pi
di
quello
che si
presentava
cos chiaramente e distintamente
alla mia
intelligenza
da escludere
ogni possibilit
di dubbio.
La seconda era di dividere
ogni problema preso
a studiare in tante
parti
minori,
quante
fosse
possibile
e necessario
per meglio
risolverlo.
La
terza,
di condurre
con
ordine i miei
pensieri,
cominciando
dagli
oggetti pi semplici
e
pi
facilia
conoscere,
per
salire a
poco
a
poco,
come
per gradi,
sino alla conoscenza dei
pi complessi;
e
supponen-
do
un
ordine anche tra
quelli
di cui
gli
uni non
procedono
natural-
mente da altri.
L'ultima
(quarta),
di far
dovunque
enumerazioni cos
complete
e revi-
sioni Cos
generali
da
esser sicuro di
non aver omesso nullaml
Come si vede Cartesio elabora
un
metodo
semplicissimo,
che vale
per
qualsiasi
genere
di ricerca e
di scienza. Nella
prima regola egli
fissa
il criterio di verit.
Questo
consiste nel non
accogliere
mai nulla di vero
che
non sia conosciuto evidentemente come tale;
ossia
nellaccoglicrc
nella mente solo ci che talmente chiaro
e distinto da escludere
qual-
siasi
possibilit
di dubbio. il Celebre Cri terio della chiarezza
e
distinzione.
Questo
criterio sar criticato da molti filosofi
soprattutto
da Pascal e
da Vico. Da Pascal
perch troppo
limitato in
quanto
ci sono
molte verit
che si devono accettare anche
se
alla mente non
sembrano chiare
e
distinte;
p.
es.
l'esistenza di Dio. Da Vico
perch troppo largo,
in
quanto
non
basta
a
giustificare
neppure
il
principio
fondamentaledi Cartesio: il
Cogito ergo
sum.
11)
Regole
IV,
p.
13.
12)
Discorso sul ntetodo
II,
p.
137.
118 Parte seconda
Comunque
la chiarezza
e
la
distinzione,
pur
non
essendo sufficienti a
garantire
la verit obiettivadi una
proposizione,
sono
per
utili indizi
e
meritano,
pertanto,
di essere
presi
in attenta considerazione
quando
si
vuole
giudicare
della verit di
qualche
conoscenza.
Le altre tre
regole
fissano come lo studioso si deve
comportare
du-
rante le tre fasi
principali dell'indagine.
Nella
prima
fase occorre divide-
re
i
problemi
in tante
parti quante

possibile.
Nella seconda
bisogna
condurre
con
ordine la
ricerca,
Cominciando
dagli oggetti pi semplici,
per
salire a
poco
a
poco,
come
per gradi,
sino alla conoscenza dei
pi
composti.
Infine,
nella
terza,
necessario fare
dappertutto
delle enume-
razioni cos
Complete
e delle
rassegne
cos
generali
da essere sicuro di
non omettere nulla.
Confrontandoil metodo di Cartesio con
i metodi di Bacone e di Cali-
lei facileconstatare che
quello
di Cartesio mette in rilievoalcuni ele-
menti che
sono stati tralasciati
negli
altri
due, ossia il criterio di
verit,
la
divisione delle difficolt e
la
gradualit dell'indagine.
Quanto
invece
Cartesio enuncia nella
quarta regola
in maniera
vaga
e astratta,
trova il
suo necessario
complemento
nelle
regole
di Galileoe nelle tavole di Ba-
cone.
UINTLIIZIONE E LA DEDUZIONE
Queste
quattro regole
aiutano
l'intelligenza
a far buon uso dei suoi
strumenti
conoscitivi,
che Cartesio riduce
a
due: l'intuizionee
la deduzio-
ne.
Egli
scarta decisamente il
procedimento
dellflistrazionee
questa
volta
non lo fa
per
la sua
congenita allergia
verso tutto ci che
proviene
da
Aristotele, ma
perch, dipendendo
dai sensi e dalla
fantasia,
Pastrazione
continuamente
esposta
alle debolezze e
agli inganni
di
queste
facolt.
Sia dell'intuizionecome della deduzione Cartesio fornisce definizioni
molto
precise.
Eccole:
Per intuito
(intuizione)
intendo non la incostante attenzione dei sensi
o
ingannevolegiudiziodell'immaginazione
malamente
combinatrice,
bens un concetto della mente
pura
e attenta tanto ovvio e distinto,
che intorno a ci
pensiamo
non
rimanga
assolutamentealcun
dubbio;
ossia,
il che il
medesimo, un concetto non
dubbio della mente
pura
e attenta,
il
quale
nasce
dalla luce della sola
ragiona.
Per deduzione intendiamo tutto ci che Viene concluso necessaria-
mente da certe altre
cose conosciute con certezzaau.
13)
Regole
III,
p.
10.
14) IblLL,
p.
11.
Cartesio,
il
padre
della
metafisica
moderna 119
Come
precisa
lo stesso Cartesio,
l'intuizione
presente
anche nel
pro-
cesso deduttivo: infatti senza l'intuizione
questo
non
potrebbe avanzare;
ma
l'atto dell'intuizi0ne
esplode soprattutto
nel momento in cui la
deduzione
raggiunge
la conclusione:
Invero la deduzione non sembra che abbia
luogo
tutta simultanea-
mente,
bens
implica
un certo movimento della nostra
intelligenza,
inferente una cosa
da
un'altra; e
per questo
fu
giusto distinguerla
dal-
l'intuito. Se
per volgiamo
ad
essa, quando

gi compiuta,
lattenzio-
ne,
allora
non
presenta pi
un movimento,
bens il termine del movi-
mento, e
perci supponemmo
che
essa
si
potesse
veder
per
intuito,
quando

semplice
e
perspicua,
ma non se
complicata
e oscuranti
Decidendo di voler utilizzare
per
la costruzione del
proprio
edificio
metafisico esclusivamente
gli
strumenti sicurissimi della intuizione e
della
deduzione,
implicitamente
Cartesio
opera
una
scelta anche
per
quanto
attiene il
tipo
di sistema metafisico che
egli
intende costruire: il
tipo
assiomatico-deduttivodei
neoplatonici
e non
il
tipo problematico-
induttivo
degli
aristotelici. Come i
neoplatonici
costruivano il loro siste-
ma
deduttivamente
partendo
da alcuni
principi
fondamentali, detti as-
siomi o
dignitates,
cos Cartesio:
egli
pone,
come abbiamo
visto, una
pri-
ma verit
certissima,
fondamentale
e
da
quella poi
ricava deduttiva-
mente e analiticamente tutto il resto del suo sistema. Ma diversamente
dai
neoplatonici
che costruivano i loro sistemi assumendo come intui-
zione di
partenza
l'intuizione
dellUno,
del
Massimo,
del Vero ecc. Car-
tesio assume come
punto
di
partenza
e come base di tutta la sua costru-
zione Yintuizionedell'Io.
Cos in Cartesio c' un
miscuglio
di
empirismo,
che il frutto del
Cogito
e di
platonismo
che
proviene
dalle istanze metafisiche che
sorreg-
gono
tutto il sistema.
LE IDEF. INNATE
Il terzo e ultimo elemento del metodo cartesiano sono le "idee chiare
e distinte:
con idee chiare
e distinte che
egli
intende innalzare il suo
solido edificio metafisico. Ma dove la mente
pu attingere queste
idee
che
con la chiarezza
e distinzionehanno il carattere della securitas?
AbbiamoVisto che l'idea
basilare,
il cardine di tutta la
nuova
metafi-
sica cartesiana il
Cogito
ergo
sum: si tratta della chiara intuizione della
propria
esistenza all'interno dell'atto del
cogitare. Questa non un'idea
innata ma
acquisita: acquisita
mediante
un atto di riflessioneche sfocia
nella intuizione del
sum. Ma
per
costruire l'edificio metafisico la
pietra
15) Ibid.
XI,
p.
41.
16) Cf.
I. LAPORTE,
Le rationalismcde
Descartes,
Paris
1945,
pp.
476 ss.
120 Parte seconda
angolare
del
cogito
non basta, occorrono molte altre
pietre
e mattoni,
ossia molte altre idee che siano anch'esse chiare
e distinte come
il
cogito:
in
particolare
sono necessarie le idee di
Dio,
dell'anima e
del mondo.
Come
acquisirle?
Sul
problema dell'origine
delle idee Cartesio ha formulato la famosa
teoria delle idee
innate,
aziventizic
efattizie.
Ecco il Celebre testo delle
Meditazioni su
questo argomento:
Ora di
queste
idee,
le une mi sembrano essere nate in
me,
altre esser-
mi estranee ed essermi venute dal di
fuori,
altre essere formate e tro-
vate da me stesso. Difatti la
facolt
di
concepire quel
che in
generale
si
chiama una cosa 0 una verit o un
pensiero
mi sembra di
non
averla
da altro che dalla mia
propria
natura; ma se io ora odo un rumore,
se
vedo il
sole, se avverto il
colore,
finora ho
giudicato
che
questi
senti-
menti derivano da
qualche
cosa
che fuori di
noi; e
infine mi sembra
che le
sirene,
gli ippogrifi
e tutte le altre simili chimere
sono
finzioni
e
invenzioni del mio
spirito.
Ma forse mi
posso
anche
persuadere
che
queste
idee sono tutte del
genere
di
quelle
che io chiamo estranee e
che mi
vengono
dal di fuori
(avventizie)o che sono tutte nate con me,
o
che
sono tutte
prodotte
da me:
poich
non ho ancora trovato la loro Uflm
origina.
Abbiamosottolineatol'ultima frase
perch
da
essa
risulta che Carte-
sio
proponeva
la
sua
teoria sulle idee
innate,
avventiziee
fattizienon co-
me una tesi sicura bens come una
ipotesi
su cui aveva ancora
delle
per-
plessit.
Inoltre,
per quanto
concerne
le idee innate da
questo
testo risul-
ta che
pi
che
a
singole
idee
egli
si riferisce alle
facolt
di cui la natura ha
dotato Ia mente umana
per
farla
pensare.

Di fatto
per
altrove Cartesio
parla espressamente
di idee innate che
sono
germinalmentc presenti
nella nostra mente:
Uumana mente ha
un
qualcosa
di
divino,
in cui i semi delle idee
utili sono
sparsi
(in
quo prima cogitationtim
utiliumsemina ita
jacta
sunt)
in maniera che
sovente,
quantunque negletti
e
soffocati da mal diretti
studi,
producono
messe
spontaneamlfi
In
questa
teoria delle idee
innate,
che ha formato uno dei
luoghi
con-
tro cui
pi
violente si
appuntarono
le critiche
degli empiristi posteriori
(di
Locke e Hume in
particolare),
visibileuna derivazione
platonica:
per
idea,
Cartesio intende "la forma di
ogni pensiero;
l'idea di
un
og-
getto (per
es.
del
sole)
l'oggetto
stesso in
quanto pensato,
cio l'idea
del sole il sole stesso esistente nellintellett0, non formalmente, ma
oggettivamente
e
intenzionalmente.
17) Meditazioni
III,
p.
40.
18)
Regole
IV,
pp.
13-14.
Cartesio,
il
padre
della
metafisica
moderna 121
Ci che ovvio che sia le idee innate sia le avventiziehanno carat-
tere
oggettivo:
non sono cio invenzioni del
soggetto
come
la chimera e
Fippogrifo,
ma
chiari
rispecchiamenti
della realt. Cartesio non un
idealista ma un realista,
per
un
realista
platonico
e non un realista ari-
stotelico. La mente non si forma le idee mediante l'azione astrattiva del
soggetto,
ma
mediante l'azioneilluminativa
dell'oggetto. Nellapprendi-
mento della verit la mente
sempre
passiva
e se
la Volont 0
le
paSf-EO-
ni non
oppongono
qualche
ostacolo la verit si
impone
con tutta la sua
chiarezza e distinzione. Pero le verit trascendenti o
metafisiche - l'ani-
ma e Dio -
non si offrono alla nostra intuizione immediatamente: sono
certamente innate ma non ovvie e
completamente
elaborate. Sono
pre-
senti sin dall'inizio, ma sono innate alla maniera di
germi
o
di sementi.
Basta coltivare la mente con
ordine e
questa
a un certo
punto
fa
crescere
e
maturare le idee innate fino a
coglierle
con
chiarezza e
distinzione.
Nella
metodologia
cartesiana non la maieutica socratica che
svolge
questa
funzione,
bens la mathesis imiversalis.
La metafisica di Dio
A
questo punto
Cartesio
ha esaurito i
compiti
che sono
propri
di una
metafisica
generale
che affronta il
problema
dell'intero e del
Principio
primo pi
dal versante del
soggetto
conoscente e
del
cogitabile
che da
quello dell'oggetto
conosciuto e
dell'ente. Ora
dispone
di una
verit
basilare: l'esistenza dell'Io,
di
un
metodo: l'induzione e la deduzione, e
di un criterio
per
selezionareil materialedella costruzione: le idee chiare
e distinte. Ormai 1o scetticismo stato debellato e si
pu procedere
alla
costruzione dell'edificiometafisico.
Ma
qui
a
Cartesio si
prospettano
due
possibilit: quella psicologica
riflessiva
e
quella ontologico-deduttiva.
Sia nella
questione
della esisten-
za
di Dio come
in
quella
dell'anima umana
egli
decide di sfruttarle
entrambe.
Tre sono
le
esposizioni
sistematiche che Cartesio ci ha lasciato del suo
pensiero
filosoficoe
metafisico: il
Discorso,
le Meditazioni e i
Principi.
In
tutte
egli presenta
una
costruzione metafisica
piccola
ed essenziale. ll
suo De Deo et de anima non
ha nulla di
paragonabile
con
le
imponenti
trattazioni di S.
Tommaso,
Duns Scoto e Suarez.
Quelli
di Cartesio sono
brevi
saggi, opuscoli pi
che trattati.
L'esposizione pi
esauriente
per quanto
attiene le
questioni
metafisi-
che sono le Meditazioni che, come
abbiamo ricordato,
portano
un
titolo
molto
eloquente:
Meditationes de
prinza philasophia,
in
qua
Dei existentia et
animae irnmertalitas demanstrantzir. L'intento di scrivere un nuovo trattato
di metafisica chiaramente attestato da Cartesio stesso nella Prefazione
di
quest'opera:
Ora,
dopo
avere a
sufficienza conosciuto le
opinioni
122 Parte seconda
degli uomini,
intraprendo
di
nuovo a trattare di Dio e
dell'anima
uma-
na,
e insieme a
gettare
le fondamenta della filosofia
prima.
Uobiettivo
specifico
del
suo trattato
spiegato pi dettagliatamente
da Cartesio nella Lettera ai
Signori
Decani e Dottori della Sacra Facolt di
Teologia
di
Parigi.
In
questo importante
documento
l'autore,
nel Chiede-
re
la collaborazione delle massime autorit della cultura francese
per
leggere
e
correggere
il
suo testo e
suggerirgli
le cose
pi opportune per
una revisione,
confermala sua tesi che le
somme verit dell'esistenza di
Dio
e dell'immortalit dell'anima
possono
essere
provate
tanto con la
filosofia
quanto
con 1a
teologia.
La
teologia procede
sul fondamento
della fede
rivelata,
che un dono di
Dio;
le
prove
di
ragione
della filoso-
fia
sono invece
appropriate per gli
infedeli
e
per
le
persone
di fede vacil-
lante. Ecco il
passo pi importante
della lettera:
lo ho
sempre
ritenuto che i due
problemi
di Dio e dell'anima siano i
principali
fra
quelli
che debbono
essere dimostrati dalle
ragioni
della
filosofia
piuttosto
che della
teologia; giacch,
sebbene
a noi che siamo
credenti basti credere
per
fede all'esistenza di Dio e allmmortalit
dell'anima, certo non sembra
possibile
di
poter
mai convincere
gli
infedeli della verit di
una
religione,
e forse
neppure
di alcuna virt
morale, se
prima
non si dimostrano loro due
cose
per
mezzo della
ragione
naturale
(...).
E sebbeneio creda che
quasi impossibile
inventare nuove dimostra-
zioni,
pure
io credo che
non si
possa
fare nulla di
pi
utilein filosofia
che ricercare
ancora una volta con cura le
migliori ragioni
e
disporle
in
un ordine cos chiaro ed
esatto,
in modo che tutti siano ormai
per-
suasi che
sono delle dimostrazioni Vere e
propriem
A tal
fine,
per
rendere
pi cogenti
e
rigorose
le sue dimostrazioni,
Cartesio ha
optato per
il metodo della deduzione consecutiva
propria
delle dimostrazioni della
geometria
classica, convinto come era che
que-
ste sue nuove dimostrazioni metafisiche
superavano
in certezza le stesse
dimostrazioni matematiche.
Per,
di
fatto,
nelle
Meditazioni,
per provare
l'esistenza di
Dio,
Cartesio ricorre oltre che alla dimostrazioneassiomatico-deduttiva
(nel-
l'argomento ontologico),
anche alla
argomentazione esperienziale-
induttiva
(nell'argomento
riflessivo sulla natura del
Cogito).
E in effetti
nella
teoiogia
naturale cartesiana le
nuove vie
per provare
l'esistenza di
Dio
sono due: la via
psicologico-riflessiva
e la via
ontologico-deduttiva.
19) Meditazioni,
pp.
3-5.
Cartesio,
il
padre
della
metafisica
moderna 123
LA VIA PSCOLOGICO-RIFLESSIVA
Con
logico rigore
Cartesio costruisce la
prima prova
dell'esistenza di
Dio basandosi sull'unica verit che resiste al tarlo di
qualsiasi
dubbio,
il
Cogito ergo
sum. Qui
c' un sum
innegabile,
il
sum
del mio lo. Ma di che
sum
si tratta?

forse un'esistenza assoluta, infinita,
perfetta,
eterna?
il
sum
originario
e inderivato,
il
Principioprimo
da cui deriva
ogni
altra
cosa? Certo,
questa
una
soluzione
possibile,
ed la soluzioneche
spo-
seranno
gli
idealisti, ma non
Cartesio.
Egli
invece riflette sul
proprio
lo
come aveva
fatto
Agostino,
e
nel
proprio
lo trova l'accesso a Dio, non
attraverso la memoria e
la
percezione
di una
suprema
Verit, come acca-
deva in
Agostino,
ma attraverso
la riflessione sulla
contingenza
e
sulla
finitezza dell'Io,
quella contingenza
e
finitezza che si manifestano nel
dubbio. Infatti riflettendo sul fatto che io dubitavo e
che
per
conse-
guenza
il mio essere non era tutto
perfetto, perch
vedevo chiaramente
che era una
pi gran
perfezione
conoscere
che
dubitare,
mi
proposi
di
cercare
donde avessi
imparato
a
pensare
qualche
cosa
di
pi perfetto
che io non
fossi e
conobbi con
evidenza che doveva essere
da
qualche
natura che fosse in realt
pi perfetta.
Infatti,
insiste Cartesio,
l'Io
pu
prendere
coscienza della
propria
finitezza e
imperfezione
soltanto com-
misurandosi con le idee di infinito e
di
perfetto.
Ora,
idee cos
grandi
devono avere una causa
proporzionata
e
la causa
proporzionata
in defi-
nitiva non
pu
essere
altri che Dio. Ecco il celebre testo delle Medi fazioni
dove Cartesio d la
compiuta
formulazionedi
questa
dimostrazione:
Col nome
di Dio io intendo una sostanza infinita, eterna,
immutabi-
le,
indipendente,
onnisciente,
onnipotente,
e da cui io e tutte le altre
cose
che sono (se
Vero
che ve ne sono
di
esistenti) sono state create e
prodotte.
Ora,
queste qualit
sono cos
grandi
ed eminenti che,
quan-
to
pi
attentamente le
considero,
tanto meno
mi
persuado
che l'idea
che io ne
ho
possa
avere la sua
origine
da me
solo. E di
conseguenza

necessario concludere,
da tutto
quello
che ho detto
prima,
che Dio
esiste: difatti,
sebbene l'idea di sostanza sia in me
per
il fatto stesso
che io sono una sostanza,
non
potrei
tuttavia avere
l'idea di una
sostanza infinita,
io che
sono un essere finito, se essa non
fosse stata
messa
in me da
qualche
sostanza che fosse veramente infinita. E non
debbo
immaginare
di non
concepire
l'infinito
per
mezzo
di una vera
idea, ma
solo
come
negazione
del
finito,
cos come
intendo il
riposo
e
le tenebre come
negazione
del movimentoe della
luce; giacch
al con-
trario,
vedo manifestamente che si ritrova in me
pi
realt nella
sostanza infinita che nella sostanza finita, e
pertanto
io ho in me la
nozione di infinito
prima
di
quella
del
finito,
cio di Dio
prima
di
me
stesso; difatti, come sarebbe
possibile
conoscere
che io dubito e desi-
clero,
cio che mi manca
qualche
cosa e che non sono
perfetto,
se non
avessi in
me
l'idea di
un essere
pi perfetto
di
me,
al cui confronto io
conosco
i difetti della mia natura?
124 Parte seconda
(<10) Questa idea, dico, di un essere sovranamente
perfetto
e infinito, e
verissima:
difatti, sebbeneforse si
possa immaginare
che
un tal
essere
non esista, non si
pu
tuttavia
immaginare
che la
sua idea
non
rap-
presenti
nulla di reale. Essa anche molto chiara
e distinta,
perch
tutto ci che il mio
spirito concepisce
chiaramente
e distintamente di
reale e di
vero, e
che contiene in s
qualche perfezione,
contenuto e
racchiuso tutto in
questa
idea. E
questo
non cessa d'essere
vero,
seb-
bene io
non
comprenda
l'infinito
c sebbene si trovino in Dio un'infi-
nit di cose
che
non
posso capire,
n forse
raggiungere
col mio
pen-
siero
poich
nella natura dell'infinitoche
non lo
possa comprendere
io che
sono finito
e limitato: basta che io
capisca
bene
questo,
e
che
ritenga
che tutto
quello
che
concepisce
chiaramente
e in cui so essere
qualche perfezione, e forse anche infinite altre che
ignoro,
in Dio
formalmente ed
eminentemente, affinch l'idea che io ne ho sia la
pi
vera,
la
pi
chiara
e la
pi
distinta di tutte
quelle
che
sono nel mio
spirito.2
La forza di
questa argomentazione
di Cartesio
legata
alla validit di
due affermazioni: la
prima
che l'uomo in
possesso
di un'idea chiara
e distinta di
Dio;
la seconda che un'idea chiara
e distinta dev'essere
necessariamente
vera e che,
quindi,
esiste realmente
l'oggetto
che vi
viene
rappresentato.
Si tratta di due
postulati
assai
controversi, contro
cui i critici di Cartesio solleveranno
innumerevoli obiezioni.
Poco
pi
avanti,
nella Terza
Meditazione, Cartesio
propone
una
seconda formulazione dello stesso
argomento psicologico
riflessivo in
cui si
osserva
che
non solo l'idea di
perfetto
e
prodotta
nella nostra
mente da
Dio, ma che la nostra stessa esistenza deve
a Lui la
sua
origine,
perch altrimenti,
possedendo
l'idea di
perfetto,
l'uomo si sarebbe data
un'esistenza
perfetta.
Ecco il testo di
questa
seconda
argomentazione:
Per
questo voglio qui passare
oltre
e considerare
se io
stesso,
che ho
questa
idea di
Dio,
potrei
essere
qualora
non vi fosse Dio. E doman-
do,
da chi avrei la mia esistenza? Forse da me stesso o
dai miei
geni-
tori, o da
qualche
altra causa meno
perfetta
di
Dio,
poich
non si
pu
immaginare
nulla di
perfetto quanto
e
pi
di lui.
Ora, se io fossi indi-
pendente
da
ogni
altro e fossi io stesso l'autore del mio
essere,
non
dubiterei di
nulla, non avrei
desideri, insomma
non mancherei di
alcuna
perfezione, poich
mi sarei dato da
me stesso tutte
quelle
per-
fezioni di cui ho l'idea in
me, e cos sarei Dio. N mi debbo
immagi-
nare
che le
cose che mi
mancano siano forse
pi
difficilida
acquistare
di tutte
quelle
che
gi possiedo:
al contrario e certissimo che sarebbe
molto
pi
difficileche
i0,
cio una cosa o una sostanza
pensante,
sia
uscito dal
nulla,
di
quel
che sarebbe
Facquistarmi
la luce e la cono-
scenza
di molte cose
che
ignoro,
e che non sono altro che accidenti di
m) una.
111,
pp.
49-50.
Cartesio,
il
padre
della
metafisica
moderna 125
questa
sostanza; e, certo, se
mi fosse stato dato in
pi questo
che ho
detto, se cio fossi io stesso l'autoredel mio
essere, non
mi sarei
nega-
to almeno le cose
che si
possono
avere con
la
maggiore
facilit, come
sono una
quantit
di conoscenze
di cui la mia natura si trova
privam
Corollario di tutto ci che e stato detto che l'idea di Dio non
pu
venire
acquisita
in un momento determinato della vita
spirituale;
bens
dev'essere innata,
data da Dio all'uomo nell'atto stesso della creazione
dell'uomo, e cio in
una con
la facoltdi conoscere.
LA VIA ONTOLOGlCO-DEDUTTIVA
Assumendo come
strumenti della conoscenza
l'intuizionee
la dedu-
zione,
Cartesio avrebbe
potuto
costruire il
suo
edificio metafisico
par-
tendo direttamente dalla intuizione di
Dio, come aveva
fatto S. Ansel-
mo,
visto che l'affermazionedell'idea innata di Dio fa
parte
del suo
si-
stema. Per il
preambolo gnoseologico
lo
costringe
a costruire l'edificio
sulla
pietra angolare
del
Cogito e, quindi,
a servirsi anzitutto della via
psicologico-riflessiva.
Ma Cartesio non
poteva
trascurare
la via
ontologi-
co-deduttiva,
la
quale,
tra l'altro,
ha il
grandissimoVantaggio
di scansa-
re
le difficolt della
prima
via:
l'ipotesi
di una mente che
pur
disponen-
do di un'idea chiara e
distinta di Dio si lascia tuttavia torturare dal dub-
bio universale, e
il circolo vizioso di un
Dio che si fa
garante
della verit
delle idee chiare e distinte,
dopo
che la sua stessa esistenza viene fonda-
ta sulla chiarezza e
distinzione dell'idea di Dio. Tutte
queste
difficolt
scompaiono
immediatamente
nella via
ontologica.
Nella via
ontologico-deduttiva
l'esistenza di Dio tratta
direttamente
dalla definizione della sua natura.
la famosa
prova
ontologica
di S.
Anselmo,
il
quale
mostra che
una
volta che si definisce Dio come
colui
di cui non si
pu pensare
nulla di
pi grande,
non
si
pu pi negarne
l'esistenza. Cartesio modifica
leggermente
la definizione anselmiana di
Dio: Dio viene definito come essere
sovranamente
perfetto.
Ma,
argo-
menta Cartesio,
per
essere veramente tale dev'essere
concepito
come
esistente,
altrimenti si
potrebbe pensarlo
ancora
pi perfetto
(cio
esi-
stente):
il che sarebbe contraddittorio col suo stesso concetto. Ecco il
testo della
prova
ontologica
di Cartesio:
certo che io trovo in me
l'idea di
Dio,
cio l'idea di un essere
sovranamente
perfetto,
non meno
di
quella
di un numero o
di un'i-
dea o
figura qualsiasi:
e riconosco che un'attuale ed eterna esistenza
appartiene
alla sua natura, non meno
chiaramente e
distintamente di
quel
che io conosca
che tutto
quel
che io
posso
dimostrare di
qualche
21) Ibial,
p.
52.
126 Parte seconda
figura
0 di
qualche numero
appartiene
veramente alla natura di
quel-
la
figura
0 di
quel
numero. Pertanto, anche
se tutto
quel
che ho
con-
cluso nelle Meditazioni
precedenti
non fosse riconosciuto
vero,
l'esi-
stenza di Dio dovrebbe
essere nel mio
spirito
certa almeno
quanto
tutte le verit matematiche le
quali riguardano
i numeri e le
figure,
sebbene in verit
questo
non sembri a
prima
vista
completamente
manifesto, ma sembri
avere
l'apparenza
di
un sofisma.
Essendomi abituato a fare distinzione in
tutte le altre cose fra l'esi-
stenza e l'essenza, mi
sono facilmente
persuaso
che l'esistenza di Dio
pu
essere
separata
dalla
sua
essenza,
e cos si
pu concepire
Dio
come non esistente attualmente. Nondimeno
quando
vi
penso
con
maggiore attenzione, riconosco manifestamenteche l'esistenza di Dio
non
pu
essere
separata
dalla
sua essenza come non
pu
in
un trian-
golo
rettilineol'essenza
essere
separata
dalla
uguaglianzadegli ango-
li a due
retti, n l'idea di
montagna
essere
separata
dall'idea di valle:
cosicch c' altrettanta
ripugnanza
a
concepire
un Dio, cio un essere
sovranamente
perfetto,
al
quale
manchi Pesistenzaml
La
prova ontologica
che
dopo
le incisive critiche di S. Tommaso
ave-
va subito
un considerevole
declino, col rilanciodi Cartesio torna a trion-
fare
e diviene
una delle dimostrazioni
pi quotate
della metafisica
mo-
derna:
se ne servono
Malebranche,
Spinoza, Leibniz,
Wolff
e
lo
stesso
Hegel.
Ma anche alla
prova ontologica
sar fatale il
colpo
che le viene
inferto da Kant all'interno del
pi ampio
discorso da lui svolto contro le
pretese
teoretiche della metafisica. Ad
ogni modo, anche nella
prova
ontologica
la metafisica moderna
figlia
di Cartesio.
Concludendola
Quinta Meditazione, Cartesio torna sul
problema
del
supposto
circolo vizioso che
grava
sulla chiarezza
e distinzione delle
idee. A
questo punto
il circolo vizioso stato rimosso: l'esistenza di Dio
diviene il
principio
e il fondamento di
ogni
certezza e
quindi
anche del
valore delle idee chiare
e distinte: La certezza e verit di
ogni
scienza
dipende
dalla
conoscenza del
vero Dio.
Ma
qualcuno
si domander: stando cos le
cose,
valeva la
pena percor-
rere la
lunga
e tortuosa via del dubbio e del
Cogito?
Non sarebbe stato
meglio seguire
una rotta
pi
veloce e
navigare
dritti
su Dio,
sul
Principio
primo
di
ogni
cosa? Ma allora dove sarebbe andata
a finire la modernit
di Cartesio e il
suo
dialogare
con
gli
scettici e
i libertini del
suo
tempo?
Ad
ogni
modo, nonostante il
lungo girovagare, quella
di Cartesio
una
metaphysica
brevis, che trascura
ogni
ulteriore
approfondimento
sugli
attributi di
Dio,
sulle
sue facolt
e
operazioni,
sulla creazione e
sulla
provvidenza.
Pi che fornire
un trattato
completo
di
teologia
natu-
rale Cartesio ambiva
a
comprovare
la bont e l'efficaciadel
suo metodo;
voleva inoltre dimostrare che il
suo era un autenticofilosofare
cristiano,
22) ibia, v,
pp.
71-72.
Cartesio,
il
padre
della
metafisica
moderna 127
in
grado
di
prestare
un
buon servizio alla
religione
e
alla
teologia,
senza
minimamente ledere i diritti della
ragione
e
della scienza. Come rileva
A. Del
Noce,
le Meditazioni
rappresentano per
lui (Cartesio)
l'adempi-
mento di
quellincontro
tra la
garanzia logica
della sua
scienza e
lapolo-
getica
del cristianesimo che aveva
pensato
nel 163D. Lo stesso
processo
di
pensiero
che
permette
di fondare la sua nuova
fisica riduce 1'ateo
all'insipicns
nel senso
di
ignorante
(non
pu
avere certezza delle stesse
verit matematiche) e di
pazzo
(non
pu
avere certezza delle stesse
affermazioni del senso comune).
Metodo di
questa
ricerca il dubbio in
quanto
esercizio della libert Vista come
potere
di
negativit:
strumento
per
isolare realt
ontologiche,
per
far
cogliere
nel confuso
(Pimplicito)
dell'esperienza
l'ordine
ontologico
delle sostanze. Questo
dubbio si
separa
da
quello
scettico non
semplicementeperch provvisorio
e
desti-
nato a essere
superato
nella
certezza;
in realt
esso
gi
dall'inizio
incli-
nato contro
il naturalismoche la condizionedello scetticismo. E desti-
nato a fare
emergere
la situazione
ontologica
dell'uomo ntedium tra il
mondo e Dio dalla sua
trascendenza
rispetto
al mondo
(provata
dalla
sua
capacit
di
negarlo);
trascendenza che mi
possibile
riconoscere
per
quella presenza
al mio
pensiero
dell'idea di
Dio,
che la successiva rifles-
sione render
esplicita.23
La metafisica dell'uomo
e
il
primato
della libert
La seconda
grande questione
metafisica che Cartesio affronta nelle
Meditazioni
filosofiche

quella
relativa all'anima umana:
la sua natura,
i
suoi
rapporti
col
corpo
(animae
humanaea
torpore
distinctio, come
dice il ti-
tolo della Seconda Edizione), e
l'immortalit
(Dei
existentia et animae im-
mortalitas
demonstrantur, come
scritto nel titolo della PrimaEdizione).
Anche nella
questione antropologica,
come
in
quella teologica
Carte-
sio ha
a
disposizione
due vie: la via
psicologico-riflessiva
e
la
via
ontolo-
gico-deduttiva,
e
vuole avvalersi di entrambe. Nei
Principi
dichiara di
voler
seguire
la via
ontologico-deduttiva:
Orbene, poich
Dio solo la vera causa
di tutte le cose
che
sono e
possono
essere,
ben chiaro che noi
seguiremo
la
miglior
via del filo-
sofare, se tenteremo di dedurre dalla
conoscenza di Dio stesso la
spiegazio-
ne delle
cose
da lui
create,
in modo tale da
acquistare
la scienza
pi
perfetta,
che
quella degli
effetti dalle
cause. E affinch ci addentria-
mo
qui
abbastanza al sicuro e senza
pericolo
di
errate,
dovremo
usare
la
precauzione
di ricordarci
sempre quanto pi

possibile
che
Dio,
autoredelle
cose,

infinito, e noi affatto finiti>>24
l) A.
DEL _NOCE,
"Descartes", in
Enciclopediafilosofical, 1509-1510.
24)
Principi
l,
p.
85.
128 Parte seconda
Pero,
di
fatto,
sia nel Discorso sia nelle
Meditazioni,
l'unica via che
egli
percorre

quella psicologico-riflessiva.Egli
assume come sicuro
punto
di
partenza
il
suo
Cogito
ergo
sum e
riflettendo
su
questa
verit trae tutte
le conclusioni circa la natura dell'anima
e i suoi
rapporti
col
corpo.
La
prima
Conclusione che il
Cogito
rivela il carattere
pensante
dell'a-
nima. Di
per
s
questa
una verit molto ovvia e
innegabile,
ma Carte-
sio si
spinge
molto
pi
in l:
non
solo l'anima
svolge
l'attivit del
pensa-
re,
ma
la
sua stessa sostanza consiste nel
pensare:

res
cogitarzs,
e
l'uomo
stesso si
identifica, come
insegnava
Platone, con la sola sostanza
spiri-
tuale: l'anima. Certo l'uomo
possiede
anche il
corpo,
ma
questo
non
fa
parte
dell'essenza della natura umana. Scrive Cartesio in una nota
pagi-
na
del Discorso:
Poi, esaminando
con attenzione ci che io
ero,
e vedendo che
potevo
fingere,
s,
di
non avere nessun
corpo,
e
che
non esistesse il mondo
o
altro
luogo
dove io fossi, ma non
perci potevo fingere
di
non esserci
io,
perch, anzi,
dal fatto stesso di dubitare delle altre
cose
seguiva
nel modo
pi
evidente e certo che io
esistevo; laddove, se io avessi
solamente cessato di
pensare,
ancorch tutto il resto di
quel
che io
avevo
immaginato
fosse stato
Veramente, non avrei avuto
ragione
alcuna di credere d'esser mai esistito: ne conclusi
essere io una
sostanza,
di cui tutta l'essenza
o natura consiste solo nel
pensare,
e
che
per
esistere non
ha
bisogno
di
luogo
alcuno,
n
dipende
da
cosa
alcuna materiale.
Questo
che dico
"Io,
dunque,
cio, l'anima,
per
cui
sono
quel
che
sono,

qualcosa
di interamente distinto dal
corpo,
ed
anzi tanto
pi
facilmente
conosciuto,
s che,
anche
se il
corpo
non esi-
stesse, non
perci
cesserebbe di
essere tutto ci che .25
Ma, se
l'essenza dell'uomo l'anima, in che
rapporto
viene a trovarsi
l'anima col
corpo?
Cartesio considera il
corpo
come una sostanza com-
pleta
per
conto
suo,
una sostanza diversa
e
opposta
a
quella
dell'anima:
mentre l'anima
una res
cogitans,
il
corpo
una res extensa. Per nell'uo-
mo
queste
due
sostanze,
pur
radicalmente
diverse,
si trovano
congiunte.
La loro unione
non e cos
profonda
come aveva
pensato
Aristotele,
secondo il
quale
l'anima
e
il
corpo
formano
una unit
profonda,
un
sinolo,
essendo unite tra loro
sostanzialmente; ma
neppure
cos
superfi-
ciale
come aveva
pensato
Platone,
che
aveva
paragonato
l'anima
a un
cavaliere
e
il
corpo
al
suo
cavallo. Secondo Cartesio l'unione tra anima e
corpo
ha
luogo
nel cervello
(pi precisamente
nella
ghiandola pineale).
Sostanzialmente,
Cartesio non
pone
alcuna differenza tra il
corpo
umano e
i
corpi degli
animali: sono tutti
automi,
OSSB macchine
semo-
venti. Il movimento causato
dagli spiriti
animali,
che
sono come un
vento sottilissimo, o
piuttosto
come una
fiamma
purissima
e molto
viva,
25)
Discorso sul metodo
IV,
p.
147.
Cartesio,
il
padre
della
metafisica
moderna
129
la
quale
salendo continuamente e in
grande
abbondanza dal
cuore
al
cervello, e di l
passando
per
mezzo dei nervi nei
muscoli, mette in
movimentotutte le membram
Ci che
distingue
l'uomo
dagli
animali l'anima. Gli animali non
han-
no nessun'anima;
l'uomo invece ha un'anima creata da Dio. E si tratta di
un'anima immortale.
Nella
polemica
con
gli
scettici e
i libertini la
questione
dell'immorta-
lit dell'anima
non era meno scottante e decisiva della
questione
dell'e-
sistenza di Dio: dalla
sua soluzionenon
dipendeva
soltanto il
prosegui-
mento dell'esistenza dell'uomo
dopo
la vita
terrena, ma
anche tutta la
sua condotta morale
e
religiosa
in
questo
mondo. Cos
questa questione
nelle Meditazioni doveva essere affrontata direttamente
con
grande
impegno, quanto
meno tale sembrava essere l'intenzione di
Cartesio,
dal momento che
l'argomento compariva
nel titolo stesso
dell'opera:
Meditationes de.
prima philosophia,
irz
qua
Dei existentia et animae inzmortali-
tas demonstrantttr. Di fatto
poi
la
questione
della immortalit dell'anima
era stata talmente trascurata da
costringere
l'autorea modificare il titolo
dell'opera
che, come
sappiamo,
divenne il
seguente:
Meditcztiones de
prima philosophia,
in
quibus
Dei existentia et animae humanae
a
corpore
dis tinctio demonstrantur.
Allirnperdonabile
omissione Cartesio cerc di
riparare aggiungendo
una nuova
prefazione
alla seconda edizione delle
Meditazioni,
dove
Cerca di mettere in chiaro il
suo
pensiero
sulla
questione
dell'immorta-
lit
dell'anima,
dichiarandoche
essa indubbiamenteimmortale anche
se
per provare questa
verit
non ci sono
argomenti
basati su idee chiare
e distinte. Ecco
quanto egli
scrive a
questo riguardo:
Poich
pu
succedere che
qualcuno aspetti
da
me,
a
questo punto
delle
ragioni
che dimostrino l'immortalit
dell'anima, credo di dover-
li avvertire che, avendo cercato di non scrivere in
questo
trattato nulla
di cui
non avessi una esattissima
dimostrazione, mi sono visto obbli-
gato
a
seguire
un ordine simile a
quello
di cui si servono i
geometri,
cio
premettere
anzitutto
quelle
cose
da cui
dipende
la
proposizione
che si
ricerca,
prima
di concludere.
Ora,
la
prima
e
principale
cosa
che
necessaria
per
ben
conoscere Fimmortalit dell'anima
quella
di
farsene
un concetto chiaro
e netto e
completamente distinto
da
ogni
concetto che si
pu
avere del
corpo,
cosa che ho fatto. E
necessario,
inoltre,
sapere
che tutto ci che noi
concepiamo
chiaramente
e distin-
tamente
vero
per
il modo
con cui lo
concepiamo:
cosa che
non ho
potuto provare prima
nella
quarta
Meditazione. Di
pi
occorre avere
un concetto distinto della natura del
corpo,
concetto che si forma in
parte
nella
seconda, in
parte
nella
quinta
e nella sesta Meditazione.
26) Ibid.
v,
p.
164.
130 Parte seconda
E infine si deve concludere da tutto
questo
che le cose che si
concepi-
scono
chiaramente come sostanze diverse,
cos come si
concepiscono
lo
spirito
e
il
corpo,
sono di fatto sostanze realmente distinte le une
dalle altre, e
questa
la conclusionedella sesta Meditazione (...).
Non ho trattato
pi
innanzi
questo argomento
in
questo
scritto,
sia
perch questo
basta
a mostrare abbastanza chiaramente che dalla cor-
ruzione del
corpo
non
segue
la morte dell'anima, e basta
quindi
a
dare
agli
uomini la
speranza
di
una
seconda vita
dopo
la
morte;
sia
ancora
perch
le
premesse
da cui si
pu
trarre come
conseguenza
l'immortalit dell'anima
dipendono
dalla
spiegazione
di tutta la fisi-
ca. Anzitutto
per sapere
che tutte le sostanze in
generale,
cio tutte le
cose
che non
possono
esistere senza essere
create da
Dio, sono
per
loro natura incorruttibilie non
possono
mai
cessare
di
esistere, a me-
no
che Dio non le riduca al nulla
negando
loro il suo aiuto, e
poi per
osservare
che il
corpo,
in
generale,
una sostanza, e
per questo
anch'esso non
perisce;
ma
il
corpo
umano,
in
quanto
differisce
dagli
altri
corpi,

composto
di un certo insieme di membra e
di altri simili
accidenti,
mentre l'anima umana non
composta
di
accidenti, ma
una
pura
sostanza. E sebbenetutti i suoi accidenti si
mutino, sebbene,
per esempio,
essa
concepisca
certe
cose,
ne
voglia
altre, ne senta altre
ecc,
pure
l'anima non
cambia: mentre il
corpo
umano
cambia
per
il
solo fatto del cambiarsi della
figura
di
qualcuna
delle sue
parti.
Dal
che deriva che il
corpo
umano
pu
morire facilissimamente,mentre
lo
spirito
o l'anima dell'uomo (io non faccio distinzione tra le due
parole)
e
per
natura immortale?
A
questo punto
la
parte
strettamente
metafisica
dell'antropologia
di
per
se conclusa.

stato infatti dimostrato che l'essere dell'uomo nella
sua
parte primaria
e veramente essenziale, l'anima,
trascende
questo
mondo: immateriale,
spirituale,
immortale.
Ma Cartesio sa molto bene che,
bench
immortale,
l'anima decide del
proprio
destino in
questo
mondo, attraverso
il
proprio agire.
Tutta la
realt umana
in
gestazione,
non
solo
quella
del
corpo,
ma
anche
quella
dell'anima. Gi si visto che
l'anima,
per quanto riguarda
il
conoscere,
possiede
idee
germinali:
esse
si
sviluppano
e
raggiungono
il livello della
chiarezza attraverso la riflessione e
la deduzione.

quindi importante
esaminare
quali
sono le facoltdi Cui l'anima
dispone.
Abbiamo
gi
no-
tato che Cartesio
ignora
la
memoria, e cos
egli
riduce tutte le
operazioni
dell'anima a due facolt
principali:
una
la
percezione,
ossia
l'opera-
zione dell'intelletto;
l'altra la volizione,
ossia
l'operazione
della volont.
Giacch sentire,
immaginare,
e
intendere
puramente,
sono
soltanto mo-
di diversi di
percepire,
come
pure
desiderare, avversare,
affermare, ne-
gare,
dubitare, sono
modi diversi di volerems
37) Meditazioni,
pp.
13-14.
38)
Principi
I, n. 32.
Cartesio, il
padre
della
metafisica
moderna 131
Ci che caratterizza
l'antropologia
cartesiana il ruolo che vi si asse-
gna
alla
libert, e
anche in
questo
Cartesio il
padre
della filosofia
mo-
derna.
Questa
avr
particolare
cura nel trattare della
libert,
preparando
il terreno all'uomo rivoluzionarioche
spezzer
tutte le catene
politiche,
culturali, sociali,
religiose
che l'avevano tenuto
prigioniero
non soltanto
nell'antichit
e nel medioevo ma anche durante
l'epoca
moderna.
Nell'uomo di Cartesio la libert la facolt
sovrana;
i suoi
poteri
so-
no
illimitati. La libert rende l'uomo
signore
di se stesso e delle
proprie
azioni.
Egli pu
liberamentedecidere
se
dubitare
o uscire dal
dubbio, se
credere o non credere, se studiare o non studiare. L'uomo ha la libert di
resistere alle tentazioni del demonio come
pure
alla
grazia
di Dio.
Ma l'uomo veramente libero?
Che l'uomo sia libero
per
Cartesio verit
certissima,
anzi ovvia. Per
averne la
prova
non c'
bisogno
di
appoggiarsi
sulla
Scrittura,
n sulla
metafisica, n sulla
morale,
n sul diritto. Basta
interrogare
la coscienza:
questa
non ci dice soltanto che esistiamo
(Cogito
ergo
sunz) ma
anche che
siamo liberi.
ll fatto che vi sia libert nella nostra volont e
che ad arbitrio
possia-
mo assentire o non assentire a molte
cose,
manifesto al
punto
che
da annoverarsi fra le nozioni
prime
e affatto comuni che ci sono inna-
te. E ci fu
palese
al massimo
poco
fa
quando
Cercando di dubitaredi
tutto,
ci
spingemmo
al
punto
di
figurarci
che
qualche potentissimo
autore della nostra
origine
tentasse con
ogni
mezzo
di
ingannarci;
nondimenoinfatti
esperimentavamo
esservi in noi la libert di
poter-
ci astenere dal credere
quelle
cose
che
non erano senz'altro Certe ed
esaminate a fondo; e nessuna cosa
pu
essere
per
s nota e
meglio
veduta che allora
parevano
non dubbie.29
Muovendosi sulla linea di
Scoto,
al
quale
Cartesio debitore di alcu-
ne tesi fondamentali della sua dottrina sulla
libertfi
egli
vede in
essa
la
pi grande,
la
pi
eccellente,
la
pi perfetta
di tutte le facolt
umane.
Essa decisamente
pi
eccellente dello stesso intelletto:
Fra tutte le cose
che
sono in
me,
non ve n' alcuna tanto
grande
e
perfetta
che
non riconosca che
possa
essere
pi grande
e
pi perfetta
ancora. Se infatti considero la mia facolt di
concepire,
trovo che
essa
molto
poco
estesa e limitata, e insieme mi
rappresenta
l'idea di una
facolt
pi ampia
e
anche
infinita; e
dal fatto solo che
me ne
posso
rappresentare
l'idea,
concepisce
senza difficolt che
appartiene
alla
natura di Dio. Allo stesso modo ne esamino la memoria e
l'immagi-
nazioneo un'altra facolt
qualsiasi
che sia in
me,
non ne trovo alcuna
29) lbid, n. 39. L'evidenza della libert viene ribadita
poco pi
avanti al n. 41:
<4...
della libert
poi
e della indifferenza che in
noi, siamo cos coscienti che
non
vi
nulla che
comprendiamopi
evidentemente
e
pi perfettamente.
3) Cf. E.
GILsoN, La dottrine cartsienne de la
libert, cit.
132 Parte seconda
che
non sia molto
piccola.
e limitata, mentre in Dio immensa e infini-
ta. Vi e solo la volont 0 la libert dellarbitrioche sento in me cos e
di cui non
concepisce
altra idea
pi grande
ed
estesa,
cosicch
essa
soprattutto
mi fa
conoscere che i0
porto l'immagine
e
la
somiglianza
di DOm
A
questo argomento
di matrice scotista Cartesio a
sostegno
della
supremazia
della volont sullintelletto ne
aggiunge
un altro suo
proprio:
l'assegnazione
alla volont di alcune azioni che i filosofi
precedenti
ave-
vano
attribuito all'intelletto: il
dubbio,
l'opinione,
l'affermazione,
la ne-
gazione,
il
giudizio.
Secondo Cartesio
spetta
alla volont non
soltanto
fare
o non fare, ma
anche affermare
o
negare,
ricercare o
fuggire
le cose
che l'intelletto ci
presenta?
l'affermazione
e
la
negazione
che costitui-
scono
propriamente
il
giudiziopossono
essere
proposte
dall'intelletto ma
sono
sempre pronunciate
dalla volont. Il
giudizio
dal
quale pu
nascere
l'errore trae
origine
dal concorso simultaneo di due
cause:
la facolt del
conoscere o intelletto e la facoltdello
scegliere
o liberoarbitrio:
In
seguito
a ci,
venendo a considerare
pi
da vicino me e
i miei
errori,
i
quali
soli testimoniano che c' in me
della
imperfezione,
trovo che essi
dipendono
dal
concorso
di due
cause,
cio dalla facolt
di conoscere
che in me e dalla facolt di scelta o libero
arbitrio,
cio
dal mio intelletto
e insieme dalla mia volont. Difatti
con
l'intelletto
solo non affermo ne
nego
alcuna
cosa,
ma soltanto
concepisce
le idee
delle
cose
che
posso
affermare
o
negare>>.33
Da
queste
considerazioni
gi emerge
che nonostante il tanto concla-
mato razionalismo
cartesiano,
in effetti il
padre
della filosofiamoderna
essenzialmente
un
volontarista e con
la sua teoria che
l'affermazione,
la
negazione
e il
giudizio
sono atti della Volont
piuttosto
che dell'intellet-
to,
egli spalanca
la strada a
quella
concezione della
ragione
strumentale
(ragione
strumento della volont di
potenza)
che diventer
uno
dei trat-
ti
specifici
della cultura
moderna, una cultura che anzich illuministica
finisce
per
diventare meramente
tecnologica,
mentre
contemporanea-
mente l'h0m0
sapiens
subisce la metamorfosi in homo
faber.
Mentre Cartesio e noto
per
la chiarezza
e distinzionedel suo metodo,
il
linguaggio
di cui
egli
fa
uso
per
definire la libert tutt'altro che chiaro
e distinto.
Egli parla
indifferentemente di
"volont, "libert,
libero
arbitrio",
"assenza di
costrizione",
"indifferenzadi fronte
a
due alternati-
ve,
espressioni
che
per
gii
scolastici non erano
affatto
equivalenti.
Que-
sta confusione di
linguaggio
nasce
probabilmente
dal trasferimentodelle
pi importanti
attivit dell'intelletto
(affermazione,
negazione, giudizio)
3) Meditazioni IV,
pp.
62-63.
33) lbid,
p.
63.
33) Ibid,
pp.
61-62.
Cartesio,
il
padre
della
metafisica
moderna
133
alla volont.
Questo
fa s che l'atto liberonon
segua
ma
preceda
il
giudi-
zio stesso. Cos la libert finisce necessariamente
per
coincidere con
la
volont, come
dice testualmente Cartesio: la volont o la libert dell'ar-
bitrio consiste soltanto in
questo:
che noi
possiamo
fare
o non
fare
una
cosa,
cio affermare o
negare,
ricercare o
fuggire
una cosam
Mentre Aristotele e Tommaso
distinguevant)
nettamente tra volont e
libert e ritenevano liberi soltanto
gli
atti che
sono
guida
dalla
ragione,
Cartesio,
sull'esempio
di
Scoto, sovverte il
rapporto
tra
ragione
e vo-
lont;
quest'ultima presiede
alle stesse funzioni fondamentali della ra-
gione, imponendo
ad
essa
le
leggi
del suo arbitrio. In
questo
dominio
della volont sulla
ragione
sta,
secondo
Cartesio,
il cuore
della libert.
La volont non sottost a nessuna
norma,
nessun criterio, nessun
giudi-
zio che le
venga presentato
dalla
ragione,
ma essa stessa invece a deci-
dere del valore di
qualsiasi giudizio,
di
ogni
criterio e verit.
L'errore fondamentale di Cartesio sta
nellbquiparare
l'azione della
volont a
quella
dell'intelletto,
il
giudizio.
In tal modo la funzione della
volont non
pi
limitata a
integrare
col suo
impulso
una
cognizione
ancora
lacunosao
inadeguata
e a determinare cos l'attuazionedel
giudi-
zio, ma viene estesa alla formazione del
giudizio
nella sua
universalit.
In
questo
senso
si
potrebbe
dire che
ogni cognizione,
data la Volitivit del
giudizio,

un atto di
fede.
In realt Cartesio
concepisce
tutti
gli
assensi sul
tipo
dell'assenso di fede del sistema scolastico. In tal modo
egli
estende
quel primato
assoluto del Volere sul
comprendere
che
proprio
dell'atto
di fede a tutta la sfera della conoscenza umana. Ci troviamo cos davanti
a una nuova concezione della libert,
la
quale implica
l'autonomiadel-
l'uomo di fronte alla verit in
quanto egli

responsabile
della verit.
questa
autonomia che costituisce l'essenza del
Cogito
e attesta che la
verit cosa
umana,
per
il fatto che io devo attuarla
perch
esista: di
qui
per
Cartesio,
il
giudizio
consiste
nell'adeguazione
della volont
e
nel-
l'impegno (engagement)
liberodel mio essere>>fi5
La
cosmologia:
scienza
e
metafisica
La filosofiadella natura
(cosmologia) gioca
un ruolo
importante,
anzi
decisivo,
in una metafisica di
stampo sperimentale-risolutivo
come
quello
aristotelico: una metafisica che
muove i suoi
passi
da
questo
mondo
e trova in
questo
stesso mondo la
ragione per
cui
esso non
pu
essere
tutto, non
pu
coincidere
con l'Intero n essere il
Principioprimo
di
ogni
cosa. Ma, come abbiamo
gi
avuto modo di
osservare
in
prece-
denza, una
filosofiadella natura non si deve mai trasformarein una fisi-
Ibiii,
p.
63.
33) C.
FAsRo, Introduzione {IIGSHJO
moderno, Roma
1969,
2*
ed.,
p.
977.
134 Parte seconda
ca e
neppure
in una
cosmologia.
Infatti
non la descrizione di
questo
mondo che interessa il
metafisico, ma
semplicemente
la
scoperta
di
quei
principi
e di
quei
fenomeni fondamentali che lo inducono a
intraprende-
re
la seconda
navigazione.
In
una
metafisica di
stampo
aristotelico la
filosofia della natura
indispensabile,
ma non fine a se stessa,
bens
funge
da
pedana
di lancio
verso
la realt trascendente.
Invece nella metafisica di
stampo platonico
che, come
sappiamo,

una metafisica
assiomatico-deduttiva,
la filosofia della natura
un'ap-
pendice
del tutto secondaria. Tutto
sommato,
per
un
platonico, quando
si esaurito il discorso su Dio e le realt
spirituali
(le
intelligenze)
e si
stabilitoche anche l'uomo
appartiene
a
questo
mondo in
quanto spirito,
la
speculazione
metafisica
potrebbe
anche
arrestarsi,
tralasciando
ogni
ulteriore discorso sul
mondo,
sulla
corporeit
e sulla materia. Senonch
poi
ci si scontra anche col fenomeno della realt
materiale, una
realt
oscura e in un certo senso assurda,
in
quanto
inderivabiledallo
spirito.
Cos
per
i
platonici
necessario inventare un
peccato degli spiriti
e delle
anime,
per spiegare
la loro
presenza
in
questo
mondo: una tenebrosa
caverna dalle cui
pesanti
catene occorre tentare di liberarsi.
La costruzione metafisica cartesiana essenzialmente
platonica:
Cartesio non sale a Dio
partendo
dal mondo
fisico, materiale, ma
dalla
idea chiara
e
distinta di Dio
Cerca
di dedurre
ogni
altra realt. Perci di
fatto nel suo
pensiero
non esiste una filosofiadella
natura, ma
soltanto
una scienza della
natura, una
fisica,
ed
una
fisica a cui
egli
tiene moltis-
simo,
perch
sa di essere uno scienziato di
valore,
che ha contribuito al
progresso
della fisica e della matematica. Per
questo
motivo,
oltre che in
saggi specificamente
scientifici
(i suoi trattati sulla
luce)
egli espone
la
sua
cosmologia
in tutte le sue
opere
filosofiche: nella
quinta parte
del
Metodo,
nella
quinta
Meditazione
e, pi estesamente,
nelle ultime tre
parti
dei
Principi
della
filosofia.
Nella filosofiadella natura fondamentale la decisione di Cartesio di
non
prendere
in considerazione la causalit finale ma soltanto la causa-
lit efficiente:
Cos non
desumeremo mai nessuna
ragione
circa le Cose naturali,
dal fine che si
proposto
Dio o la natura nel
farle;
poich
non dobbia-
mo essere tanto
arroganti
da ritenerci
partecipi
delle sue decisioni:
ma
considerandolo
come causa
efficiente di tutte le
cose,
vedremo
che
cosa
si dovr
concludere,
in base al lume naturale che
egli
ha
posto
in
noi,
da
quei
suoi attributi di cui ha voluto che noi avessimo
qualche
nozione,
riguardo
a
quei
suoi effetti che
appaiono
ai nostri
sensi;
memori
tuttavia, come
gi
si detto,
che
a
questo
lume natura-
le si deve credere sino a tanto che
non
venga
rivelato nulla in contra-
rio da D0.3"
36)
[rincipi
I, n. 28,
p.
s7.
Cartesio,
il
padre
della
metafisica
moderna 135
Secondo
Cartesio, gli
elementi costitutivi del mondo fisico sono due:
l'estensione
e
il movimento:
La natura del
corpo
considerato universalmente non consiste nel
fatto che sia una cosa dura 0
pesante
o colorata, o che in
qualche
altro
modo tocca i
sensi; ma soltanto nel fatto che cosa estesa in
lungo,
in
largo
e
in
profondit.
Infatti,
quanto
alla durezza il
senso non ci indi-
ca di essa null'altro, se non
che le
parti
dei
corpi
duri resistono al
moto delle nostre mani,
quando
si incontrano con esse (...). Per la
stessa
ragione
si
pu
mostrare che il
peso,
il
colore, e tutte le altre
simili
qualit,
che si sentono nella materia
corporea, possono
essere
tolte da
essa,
rimanendo essa
intera: donde
segue
che la
sua natura
non
dipende
da nessuna di esse?
Unica causa
della formazionedei
corpi
il moto: il moto d all'esten-
sione le diverse forme
e,
in tal
modo,
d
origine
alle varie cose. Delle
varie
propriet
che noi attribuiamo alle cose solo
quelle primarie (spazio,
figura,
numero) sono
oggettive,
ossia
appartengono
effettivamente alle
cose;
invece
quelle
secondarie
(odore, colore,
sapore,
calore,
durezza
ecc.)
sono
soggettive.
Cos,
per
es.,
in
un
pezzo
di
cera messa
al fuoco facile
constatare che il colore
cambia,
l'odore
se ne
va,
ecc. e
che rimane solo
qualcosa
che
occupa spazio,
ha
una
figura
ed
capace
di
essere
divisa.
E ovvio che
questa interpretazione
estremamente meccanicistica del
mondo
naturale,
di cui si
pretende
di
spiegare
tutti i fenomeni solo col
movimento e con le
particelle
materiali, come
facevano
gli
atomisti
greci,
non
pu
risultare molto
soddisfacente,
anche
se
metodologica-
mente,
almeno
per
alcuni rami della
scienza,
l'esclusione della causa
finale e
dell'aspetto qualitativo, pu
rivelarsi molto
proficua.
Qui,
per,
Cartesio
pi
che all'osservazione scientifica obbedisce alla ferrea
logica
della
spartizione
dell'universo in due mondi: il mondo della
res
cogitans
che
quello degli spiriti,
e il mondo della
res extensa che
quello
dei
corpi.
Del
primo
si
occupa
la
metafisica,
del secondo la scienza.
Dal che risulta che in Cartesio c' una netta distinzione tra scienza e
metafisica, e
il
legame
che
lega queste
due forme di
sapere
tutto som-
mato
accidentale, e
pu giovare pi
alla scienza che alla metafisica. Il
passaggio
dalla scienza alla metafisica ha
un
solo
scopo:
rassicurare, su
base
incrollabile,
la fede della scienza in se stessa. Una volta
autonoma,
la scienza ricondotta alla metafisica
non come alla
sua
causa,
ma come
a una sua
garanzia.
Pertanto, come scrive
Hamelin,
nel
piano
sistemati
co della filosofia
cartesiana,
la metafisica
procede
e
fonda la
fisica, cui si
connettono,
quali applicazioni complementari,
le tre scienze
pratiche
della
meccanica,
della medicina
e
della morale,38
37) Ibfd.
Il, n. 4,
p.
131.
3) O.
HAMELIN,
Le
systme
de
Descartes,
Paris
1921,
2* ed,
p.
2].
136 Parte seconda
Questo
e
innegabile
dal
punto
di vista
teoretico, ma
dal
punto
di vi-
sta storico l'ordine invertito:
prima
abbiamoil Cartesio scienziatoe
poi
il Cartesio metafisico. Prima del 1630
egli
ricerca soluzioni
precise
di
problemi particolari
di matematica e
di
fisica-matematica;
dopo
il 1630
abbandona
queste
ricerche
e
procede
alla costruzione di
un vasto siste-
ma di
sapere
universale,
da cui sono assenti le soluzioni di
dettaglio
e la
tecnica matematica. Di
fatto,
per, pur
mantenendoformalmente distin-
te scienza e metafisica,
Cartesio finisce
per
costruire un sistema
unitario,
un sistema totale di
sapere
Certo,
insieme metafisico
e
scientifico: siste-
ma fondamentalmente diverso da
quello
aristotelico,
dato che del
tutto immanente alla certezza matematica
implicita
nel1intelletto chiaro
e distinto; ma non
per questo,
meno totale,
ed anzi
pi
unitario,
nella
sua
esigenza
di
rigore
assoluto.
Questa
totalit sistematica non affatto
quella
richiesta da
un'enciclopedia
delle
Conoscenze
materiali realmente
acquisite,
ma l'unit fondamentale dei
principi primi,
da cui discendo-
no tutte le
conoscenze certe
possibilim-i?
Obiezioni
e
risposte
Per farci unidea
pi completa
della vastissima risonanza che riscosse
la
nuova metafisica di Cartesio
gi
tra i suoi
contemporanei
utile dare
uno
sguardo
alle obiezioni che furono mosse

su
richiesta dello stesso
Cartesio - alle dottrine da lui
esposte
nelleMeditazioni dai
pi
illustri
rap-
presentanti
di tutte le Correnti filosofichedel suo
tempo.
Tutto il materia-
le della discussione venne raccoltonel volume Obiectioneset
responsioncs,
edito insieme alle Meditazioni. Si tratta di sette
gruppi
di obiezioni che
sono state inviate a Cartesio
rispettivamente
da: Giovanni Katerus
(Catero),
teologo
dei Paesi
Bassi,
padre
Marino
Mersenne,
eminente teo-
logo
cattolico,
amico di
Cartesio,
Tommaso
Hobbes,
il noto autore del
Leviatano,
Antonio Amauld,
famoso
giansenista
e
portorealista,
Pietro
Gassendi, noto filosofo
e
fisico
francese, un
gruppo
di
teologi
e
filosofi
della
Sorbona, e Pietro
Bourdin, un
gesuita professore
di matematica al
collegio
di La
Flche,
dove come
sappiamo
aveva
studiato Cartesio.
Molte discussioni
riguardano
le definizioni dei termini usati da
Cartesio,
che molte volte si allontanano dalle note definizioni
degli
scolastici. Ma
in
quella
stessa
polemica
ci sono momenti
pi
decisivi
per
la
compren-
sione del
pensiero
cartesiano sia in
generale
sia su
punti particolari.
39) M.
CUEROULT,
Descarfes selon l'anime des raisnns,
vol. l,
Paris
1953,
p.
18.
Cartesio,
il
padre
della
metafisica
rrzoderna 137
PRIME OBIEZlONl
Le obiezioni di Katerus
riguardano
le dimostrazioni dell'esistenza di
Dio. Katerus rilevache la dimostrazionedell'esistenza di Dio basata sul-
la sua causazionedelle idee in
noi,
implica
il ricorso alla via della causa
efficiente,
proposta
da Aristotele e
da S. Tommaso. Ma Cartesio osserva
che la causalit di Dio nell'atto stesso della
creazione,
mentre
Egli

causa di se stesso (nel senso
di fondamento); e
che
dunque
Dio come
causa
supera
la serie delle cause efficienti,
che
per
se stessa si
produr-
rebbe all'infinito, e non
pu
condurre alla
conoscenza
di Dio se non
posta
in
rapporto
con la
prova
ontologica.
SECONDE OBIEZIONI
Padre
Mersenne, a nome dei suoi
amici,
fa osservare a Cartesio che
non si trovava nelle Meditationes una
sola
parola
intorno a1l'immortalit
dell'anima.
Cartesio,
pur
preparandosi
ad accettare le critiche
rivoltegli
modificandoil titolo della seconda
edizione,
gli
offre, a
conclusionedel-
la sua
Responsio,
uno
schema molto interessante di
Ragioni
che
prova-
no l'esistenza di Dio e la distinzione che vi tra lo
spirito
e
il
corpo
umano, disposte
in ordine
geometrico.
Mediante
definizioni,
postulati
e assiomi,
che utilizzernella redazione dei
Principi, egli
dimostra, con
un
primo saggio
di
quel
metodo filosofico
geometrizzante
che
aveva
sempre
designato
come suo ideale,
quattro proposizioni:
1)
l'esistenza di
Dio si conosce
dalla sola considerazione della sua natura; 2) essa
dimostrata anche dai suoi
effetti,
per
ci solo che la sua
idea in
noi;
3)
ed anche dimostrata dal fatto che noi
stessi,
che abbiamoin noi la
sua idea, esistiamo; 4)
lo
spirito
e il
corpo
sono realmente distinti.
TERzEOBIEZIONI
Le obiezioni di
Hobbes,
ribattute da Cartesio
punto per punto,
si
riducono in ultima analisi allo
svolgimento
di
questa
alternativa dialetti-
ca: se la cosa
pensante
(res
Cogitans)
e la cosa estesa (res extensa)
occupa-
no nella natura due linee
parallele,
l'una con le idee e l'altra con
i
corpi,
la loro relazione
pi ragionevole
sarebbedi riconoscere l'esistenza delle
idee come altrettanti attributi dei
corpi
e a
questi appartenenti.
Ma il
pensiero
di
un
corpo,
come
oggetto
del
pensiero
-
replica
Cartesio -
non
reversibilenel
corpo
di
un
pensiero, poich
il
corpo
include,
nella
sua
nozione,
qualit immaginabili,
eppure
non
pensabili
distintamente, e le
loro
cause meccaniche,
che il
pensiero
puro
non contiene.
138 Parte seconda
QUARTEOBIEZIONI
Arnauld,
nelle sue obiezioni,
chiede a Cartesio ulteriori chiarimenti
sui
problemi pi
scottanti della
teologia
naturale: "la natura dello
spirito
umano, "Dio" e le cose
che
possono
turbare i
teologi.
Cartesio am-
mette che
non avrebbe
potuto
desiderare
maggiore chiaroveggenza
circa
il
significato
dei suoi
scritti, ma
secondo lui
egli
aveva
gi
soddisfatto
pienamente
a
queste
difficolt. La sua concezione del
corpo
non era smi-
nuita dalla
sua metafisica, ma resa invece
"completa": quella
di una
sostanza con i suoi attributi. La sua concezione dell'anima era
superiore
a
questa
nella
certezza, e
appunto
la certezza intima la rendeva
ancora
pi
concreta. Il concetto di
perfezione
nella dimostrazionedell'esistenza
di Dio era del tutto conforme alla teoria
classica, aristotelica e tomistica.
La
sua
teologia
razionale
era,
senza dubbio,
appropriata
a menti eserci-
tate e a
spiriti
forti, tuttavia
poteva permettere
di risolvere le difficolt
dei
dogmi
allo
scopo
di
persuadere
le
intelligenze pi
deboli.
QUINTE OBIEZIONI
Radicali
erano le obiezioni del materialista
Gassendi,
il
quale aggre-
diva il cartesianesimo
lungo
tutto il suo fronte dottrinale: il dubbio
metodico,
il
"Cogito,
l'idea di
Dio,
i
rapporti
tra anima e
corpo. Riguar
do alla dimostrazione dell'esistenza di
Dio,
Gassendi contestava l'uni-
versalit di fatto dell'idea di Dio e
quindi
l'universalit di diritto della
dimostrazione della
sua esistenza. Cartesio
gli rispose
Cortesemente e
pazientemente
ricostruendovi a riscontro le
proprie posizioni.

un
fatto
per
che i due avversari non si erano incontrati:
neppure
letteralmente,
perch
Gassendi,
per
designare
Cartesio, aveva usato
l'appellativo
"o
Animal", e Cartesio
per designare
Gassendi
quello
di o Carne!". Cos
avevano
parlato
la Carne e lo
Spirito,
non i due filosofi.
SEsTE OBIEZIONI
Queste obiezioni,
raccolte dal
padre
Mersenne,
comprendono
una
serie di
scrupoli teologici
che
sono in sostanza del
tipo
di
quelli
rias-
sunti da Arnaud
e
delle difficolt circa la
cognizione
dell'anima e la sua
distinzione dal
corpo,
che
erano
gi
state
proposte
dallo stesso Mersen-
ne;
infine una
sola obiezionema ben
ragionata
di "alcuni filosofi e
geo-
metri, se sia
possibile
cio
togliere ogni
e
qualsiasi
elemento
corporeo
dal concetto dello
spirito
umano.
Per
rispondere
anche a
questa
dubita-
zione,
Cartesio traccia una
breve storia del
processo per
cui era
passata
la sua mente
nell'accogliere
l'idea comune
di
corpo,
dapprima, poi
depurarla
via via secondo la
scienza,
infinetrascenderlanell'idea di esten-
Cartesio,
il
padre
della
metafisica
moderna
139
sione reale:
sviluppando
con
tono
autobiografico
l'analisi dello stesso
processo
fatta nella seconda Meditazione. In
questo
excursus addotto il
famoso
argomento
del bastone che
appare spezzato per
la rifrazione
dell'acqua, per provare
che la realt fisica
pu
essere
differente dai feno-
meni sensibili.
SETTIMEOBIEZIONI
A
giudizio
unanime
gli
studiosi,
oltre che
prolisse
e
superficialissime,
le obiezioni del Bourdin
sono
assurde
perch
attribuiscono a Cartesio
opinioni quasi sempre
diverse da
quelle
che
gli
sono
proprie.
In
una
let-
tera a Mersenne del 3D
luglio
1640 Cartesio
scrive, a
proposito
della cri-
tica del Bourdin alla Diottrica:
Egli
non
obietta
neppure
una
parola
con-
tro ci che ho
scritto, ma mi fa dire sciocchezze
a cui non
ho mai
pensa-
to,
per poi
confutarle...Il medesimo si
pu
affermare di
queste
obie-
zioni alle Meditazioni.
Recezione
e
interpretazione
del
pensiero
di Cartesio
Cartesio il
padre
della filosofia
e
della metafisica moderna.
Quasi
tutti
gli
indirizzi filosofici moderni hanno trovato in lui
una
copiosa
fonte di
ispirazione
e un
importante
alleato: i razionalisti
e
gli
illumini-
sti, gli
idealisti
e
gli spiritualisti,
i
positivisti
e
i
neoscolastici,
gli
esisten-
zialisti
e
i
fenomenologi.
Cos, tante sono
le correnti della filosofia
moderna
e
altrettante
sono
le
interpretazioni
che
sono state date del
pensiero
cartesiano.
La variet delle
interpretazioni dipende
dalla
qualit
delle
risposte
che
vengono
date ai
seguenti interrogativi: quella
di Cartesio una
filo-
sofia
religiosa
oppure
laica? una
fisica
oppure
una metafisica? e se
una metafisica,
una
metafisica realista
oppure
idealista?
o
semplice-
mente una
fenomenologia?
A1
primo interrogativo,
filosofia
religiosa
o laica,
numerosi studiosi
hanno
risposto
che la filosofiadi Cartesio una
filosofiaprofondamente
reli-
giosa,
maturata all'interno della
Controriforma,
in
polemica
con
i libertini
e
i miscredenti.
Questa era
gi l'interpretazione
di Arnauldche
aveva
elogiato
Cartesio
per
la
sua
presa
di
posizione
contro
gli
scettici e contro i
libertini.
Questa
interpretazione
stata ribadita in
tempi
moderni da
H. Gouhier
e
da A.
Espinas.
Gouhier considera il
pensiero
di Cartesio
come rivolto esclusivamenteall'affermazionedelle Verit"
religiose,
e anzi
4")
H.
GoUHIER,
La
pense religieuse
de
Descartes, Pari-s 1924.
41)
A.
ESPINAS, Descartes et la
morale, 2 voll., Paris 1925.
140 Parte seconda
al servizio delle
cose
spirituali,
e
giunge
ad attribuire
a Cartesio
l'atteg-
giamento
di chi ha ricevuto la visita dello
Spirito
divino, e
dopo quell'o-
ra sacra (inverno 1619-1620),
quando
Cartesio dice di
avere avuto la mi-
rabileVisione della matematica
universale, cammina da certezza a cer-
tezza. Pertanto Cartesio e Pascal
non sono due
nemici, ma lavorano
per
la stessa causa: il
primo pi
con
la
ragione,
il secondo
pi
col cuore.
A.
Espinas
riafferma
l'ispirazionereligiosa
di
Cartesio,
ponendola
anche
in
rapporto,
oltre che
con
le tendenze
religiose
del
tempo,
con
quelle
politiche sociali, letterarie
e
artistiche
e riconducendola
specialmente
a
S.
Agostino,
a imitazione del
quale,
e in funzione
antiscolastica, Cartesio
avrebbededicato la
propria
attivit a servizio della
Chiesa, del
dogma
e
dell'ortodossia.
A
questa interpretazione gi gli
illuministi
contrapposero
una
interpre-
tazione laica
e ostile
non solo alla scolastica
ma al cattolicesimo stesso.
Secondo tale
interpretazione
la
religiosit
di Cartesio solo
apparente,
una
religiosit
di facciata
e interessata, una maschera
per
sfuggire
alle
accuse
dell'lnquisizione.
Il Gioberti ha
presentato
la filosofiadi Cartesio
come
irreligiiusa e,
in
particolare, luterana,
perch
basata sulla
ragione
soggettiva.
E nonostante che anche tra i cattolici si levassero nel secolo
XIX alcune voci a difesa almeno
parziale,
il
giudizio
di
irreligiosit
pre-
valse in
campo
cattolico
e venne
largamente
condiviso dalla
maggior
parte degli
storici francesi
(Ch. Renouvier,
L.
Liard,
E.
Brehier,
M.
Leroy).
Senza
accusare Cartesio di malafede anche M.
Blondel,
E. (jilson e
I.
Maritain hanno sottolineatola sostanzialelaicit del
pensiero
cartesiano.
Al secondo
interrogativo:
fisica
o metafisica,
la
risposta pi
comune
che nella filosofia di Cartesio il
primato spetta
alla metafisica.
Questa

l'interpretazione
che hanno dato i razionalisti
(gi
a
partire
da
Spinoza),
gli
idealisti,
gli spiritualisti,
i
neoscolastici,
gli
esistenzialisti
(Sartre
in
particolare).
Allinterpretazione
metafisica i
positivsti
hanno
contrapposto
l'inter-
pretazione scientifica.
Secondo
questa interpretazione
tutta la
grandezza
di Cartesio sta nei suoi
apporti
alla fisica
e
alla
matematica;
la
sua meta-
fisica sarebbe
un
eclettismo
pasticciato
di filosofiascolastica
e di
psicolo-
gismo.
Secondo Ch.
Renouvier,
che uno
dei
principali esponenti
di
questa
linea
interpretativa,
Cartesio e eminentemente fisico
e matema-
tico, e si
distingue
da Bacone
per
il fatto che
prende
le
mosse
da
un
metodo
generale,
che
gli permette
di sottrarre immediatamentela fisica
alle
qualit
reali
e
alle forme sostanziali"
per legarla
in modo defini-
tivo alle
leggi
matematichedel
numero,
della
figura
e
del movimentom
43) V.
CIOBERTI,
Introduzioneallo studio
dcllaflosofia, Capolago
1845.
) CH.
RENOUVIER,
Manuel de
philosophie
moderne, Paris 1842,
p.
53.
Cartesio,
il
padre
della
metafisica
nzodermz 141
Il
capostipite
della
interpretazione
idealistica e ovviamente
Hegel.
Scri-
ve
Hegel
in
un'importante pagina
delle sue
Lezioni sulla storia
dellafiloso-
fra:
Soltanto con Cartesio,
dopo
la scuola
neoplatonica
e ci che ad essa
si
collega, perveniamo propriamente
a una
filosofia
autonoma, consa-
pevole
di derivare in modo
indipendente
dalla
ragione, consapevole
che Pautocoscienza momento essenziale del vero.
La
filosofia,
che
ha ormai una base sua
propria, peculiare,
abbandona
completamente
quanto
al
principio,
la
teologia filosofeggiante,
e la colloca dall'altra
parte.
Ormai
possiamo
dire di trovarci in
essa
proprio
a casa nostra
e,
come
il
navigatore dopo lungo
errare
sul
pelago
infuriato,
possiamo
gridar
terra!: a Cartesio difatti mette
capo
veramente la cultura de]-
let
moderna,
il
pensiero
della filosofiamoderna,
dopo
che a
lungo
si
era
andati avanti sulla vecchia via.44
A
giudizio
di
I-Iegel,
Cartesio conferendo forza e incisivit alla filoso-
fia che succede allo scolasticismo e al
teologismo,
afferma il
principio
dell'unit tra
pensiero
ed essere
e,
con
il
Cogito
e
la
prova
ontologica
del-
l'esistenza di
Dio,
orienta chiaramente la ricerca filosofica verso
l'au-
tofondazionenella dimensionedella interiorit,
ossia verso
lidealismo.
Sulla strada
aperta
da
Hegel
si sono
poi
incamminati
gli
idealisti
(F.
W.
I. Schelling), gli spiritualisti
francesi
(V. Cousin,
Maine de Biran),
i neokantiani (E. Cassirer), i
neohegeliani
(O. Hamelin),
gli
esistenzialisti
(I.
P.
Sartre).
Una nuova
linea
interpretativa, quella fenomenologica
stata
pro-
spettata
da E. Husserlfi e
da M.
Merleau-Pontyt
anche se
ne l'uno n
l'altro condividela
fenomenologia
cartesiana del
Cogito,
in
quanto
vizia-
ta da
preoccupazioni soggettivistiche
e
psicologistiche.
In base al nostro studio sulla metafisica cartesiana,
ci
pare
che ai tre
interrogativi
che hanno dato
luogo
alle
molteplici interpretazioni
di cui
abbiamo tracciatouna
piccola mappa
sia
giusto
dare le
seguenti risposte:
1) Quella
di Cartesio una
filosofialaica e non una
filosofia
religiosa;
ma non
laicista,
perch
anzi cerca
l'accordo con
la
teologia,
volendo
per rag iungere
le verit
religiose
con
i soli strumenti del lume della
ragione.
una
filosofiache ricusa il misticismoe Pintimismo, come
pure
lo scetticismo e
Fagnosticismo.
Sostanzialmente si
pu qualificare
come
filosofia
cristiana,
la
quale
in
quanto
filosofia rimane
pur sempre
laica. E
una
filosofiacristiana
perch
fa suoi
gli apporti
filosofici del cristianesi-
mo: unicit di
Dio,
divina
provvidenza,
libert,
valore assoluto della
44)
'.
.
F.
HECFI,
Lezioni sulla storia
dcllafilosofia,
Firenze 1967,
vol.
III,
p.
73.
45
f. E.
HUSSERL,
Mditations
cartsienncs,
Paris 1931.
46)
f M. ERLEAU-PONTY,
Phnonznologie
de la
perccption,
Paris 1945.
00G
142 Parte seconda
persona
ecc. Scrive beneDel Noce: Tuttoil
suo
pensiero (di Cartesio)
si
forma
perci
entro la tesi
tradizionale, mai da lui
posta
in discussione
(non
perch
si tratti di
un residuo, ma
perch
mai ebbe
l'impressione
di
un
dissidio),
della distinzione metodica della
ragione
e della fede.
Domandarsi
perci
che
cosa
egli
avrebbe fatto
se la
ragione gli
avesse
manifestato delle verit che
gli
fossero
apparse
come non
componibili
con
quelle
della
fede; se avrebbe fatto
propri
i dettati della
ragione o se
vi avrebberinunciatoin
nome della
fede,
ecc,

porsi
una
questione
che
non
ha
senso, perch
mai
gli
si affaccio il
problema
di
questo
scontro.
Bisogna guardarsi
dallattribuirgli
una
posizione
illuministicain antici-
po,
l'idea di un'assoluta sovranit della
ragione:
il
campo
della
ragione

per
lui
limitato, tra il sovrarazionale
e l'infrarazionale.+7
2)

una metafisica che


nonostante
cronologicamente,
come si
visto,
sia venuta
dopo
la
fisica, non
dipende
minimamente da
essa; anzi,
dal
punto
di vista teoretico
se c'
una
dipendenza
e
quella
della fisica nei
confronti della metafisica
e non viceversa. Si tratta di
una metafisica
pla-
tonica
e
ontologistica,
costruita tutta dall'alto al basso: dalla Verit certa
ed evidente di Dio
sono derivate tutte le altre verit
e realt.
3)

una metafisica di
stampo
realistico e non idealistico. Il criterio di
verit
per
Cartesio l'evidenza
con cui
l'oggetto
si manifesta
e si
impo-
ne al
soggetto,
e
quando
l'evidenza chiara il
soggetto
non
pu
ricusar-
la, come l'occhio
non
pu
rifiutarsi di vedere
una
montagna
illuminata
dalla luce del sole. Non e una metafisica
immanentisticabens trascen-
dentistica,
anche
se l'itinerario cartesiano
quello delfimmanenza,
in
quanto procede
dal
soggetto,
dalllo, e va verso
il mondo
e verso Dio.
Ci che
distingue
la metafisica cartesiana dalla metafisica classica non
tanto il
punto
di arrivo
(Dio),
quanto
il
punto
di
partenza,
che
non
pi
il
mondo,
la natura
fisica, materiale, ma l'Io nella
sua
operazione
specu-
lativa,
l'Io
pensante
(res
cogitans).
Pertanto una metafisica
antropocen-
trica anzich cosmocentrica
come era
la metafisica classica in tutte le
sue
versioni. In
quanto antropocentrica
la metafisica cartesiana si
distingue
anche dalla metafisica cristiana che
era essenzialmente teocentrica. L'an-
tropocentrismo
sar
uno dei caratteri fondamentali di tutta la metafisica
moderna.
47) A. DEL
NOCE, "Dcscartes", cit., 1496-1497.
Cartesio,
il
padre
della
nzetafisica
moderna 143
Suggerimenti bibliografici
EDIZIONI
Oeuvres de Descartes,
ed. C. Adam e
P.
Tannery,
11
v0ll.,
Paris 1897-
1900;
della
Correspondance
fu curata una nuova
edizione da C. Adame
G. Milhaud,5 v0ll.,
Paris 1936 ss.
STUDI
Sterminata la letteratura su
Cartesio.
Qui
ci limitiamo solo a
pochi
studi di carattere
generale,
e
agli
studi
pi importanti
sul
pensiero
meta-
fisico.
a) Studi
generali
C. H.
BECK,
Descartes erste
Philosophic,
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144
MALEBRANCHE E UONTOLOGISMO
Tutta la metafisica moderna cammina dentro il solco tracciato da
Cartesio;
per
contro
gli
antimetafisici
(Pascal, Hume, Vico)
vedono in
Cartesio il loro
principale
nemico. Per tra
gli
eredi
spiritiuali
di
Cartesio
non c'e concordia. Ci sono
discepoli
che
cercano di mantenere
pressoch
inalterata l'eredit del Maestro:
questo
il
caso ci Ma-
lebranche; mentre altri la sfruttano
con
grande
libert: cos faranno
Spi-
noza, Leibniz,
Wolff
e
gli spiritualisti
francesi dell'Ottocento.
Vediamoanzitutto il
pensiero
del suo
discepolo pi
fedele,
Malebranche.
Vita
e
opere
Nato a
Parigi
nel
1638,
Nicolas Malebranche
era
figlio
di
un
consiglie-
re del
re. Di salute
cagionevole
fece i
primi
studi in
casa. Sedicenne entr
nel
collegio
di la Marche dove studi filosofiasotto la
guida
di
un ari-
stotelico che
per
non riusc
a
fargli
apprezzare
la materia. Successiva-
mente
pass
alla Sorbona
per
lo studio della
teologia,
senza trarne
gran-
de soddisfazione, Nel 1664 entr
nell'Oratorio",
dove trov
un
ambien-
te molto
congeniale
a un
temperamento
come il
suo, portato
al
raccogli-
mento dell'anima
e alla concentrazione del
pensiero.
Nel
1664,
l'anno
della
sua ordinazione
sacerdotale,
Malebranche
scopr
in
una
libreria l'o-
pera postuma
di
Cartesio,
che
aveva come titolo Tmit de l'homme. Lo
lesse
con
grande interesse, e da
quel
momento si
impegn
totalmente
nello studio della filosofia
e anche della scienza. Divenne cos uno scien-
ziato e un filosofo di valore
e di
prestigio. sporadicamente
si dedic
anche alla
predicazione;
ma usualmente
egli
realizzava la sua vocazione
sacerdotale essenzialmente attraverso la
sua attivit di studioso. Ma
pro-
prio questa
attivit lo trascin in
numerose e
aspre polemiche,
in cui
dimostr molta vivacit
e molto ardore nel difendereil
proprio pensiero.
Fin dal
1675,
dopo
il
primo
tomo de La Rcherche de la
Vrite,
l'abate
di S.
Foucher, con la
Critique
de la Rcherche de la Verit lo induceva
a
pre-
cisare i
rapporti
fra
ragione
e fede, come
pure
la
sua
opposizione
a
Car-
tesio sulle verit
eterne, e
sulle
idee, essenze necessarie e non
semplici
modi di fatto inerenti al nostro
pensiero.
Il Traitde la nature et de la
grcce
(1680)
suscit le riserve di
Bossuet,
di
Fnlon
e
soprattutto
di Amauld. Ne
segu
una
lunga
serie di
Risposte,
Malebranclzee
Fontolngisma
145
Difese, Lettere,
che si trascinarono avanti
per
oltre un
ventennio. Le re-
pliche
di Malebranche,
da lui
ristampate
nel
1709,
costituiscono
gi
di
per
s
un'opera
di
gran
mole.
Intanto nel 1696
egli
aveva
difeso Poccasionalismocontro Fontenelle
e aveva
pubblicato
una
Rponse

Regia,
un
cartesiano dal
quale
era
stato
criticato nel
Systme
de
philosoplzie
(1690),
particolarmente riguardo
alla
percezione
e alla visione di Dio.
Avendogli
richiesto il benedettinoF.
Lamy
di intervenire a
favore del
quietismo, egli
invece critico
questa
dottrina nel Trait de l'amour de
Dieu,
cercando tuttavia di evitare
qualsiasi polemica personale.
La stessa av-
versione
per
le
dispute
si manifesta nella sua ultima
opera,
le
Rflexions
sur
la
prntotion physique,
che confutava il Trait de l astio-n de Dieu sur les
cratures del
padre
Boursier (1713).
Malebranche,
durante
gli
ultimi mesi della sua esistenza fu un esem-
pio per
tutti con
l'esercizio delle virt cristiane e con
le manifestazioni
della sua
piet
sacerdotale e
sorprese
tutti
quelli
che 10 circondavano
con
la lucidit di
spirito
con
cui si informava delfevolversi della sua
malattia. Mor a
Parigi
il 13 ottobre 1715.
Oltre alle
opere
gi
ricordate,
nella vasta
produzione
letteraria del
Malebranche vanno
segnalate
anche le
seguenti:
Convcrsations chrtien-
ncs (1676);
Mditations chrtiennes (1683);
Trait de morale (1684);
Entrtiens
sur
la
mtaphysique
(1688).
Le
opere
che interessano
pi
direttamente la metafisica sono
due:
La Recherche de la Vrite Entrtiens sur
la
mtaphysique.
Malebranchee
Cartesio
Nonostante le
molteplici
e
profonde divergenze
dalle dottrine del
Maestro,
Malebranche Continua ad essere considerato,
oltre che il
pi
geniale,
anche il
pi
fedele tra i
cartesiani,
cio tra i filosofi
per
i
quali
Cartesio stato un
punto
di riferimento
e,
in
qualche
modo, un
capo-
scuola". Uortodossia cartesiana di
Malebranche,
sempre
affermata ma
anche
sempre
contestata
-
giustamente
Blondel ha
parlato
di un
"anti-
cartesianesimo di Malebranche
su
tutti i
punti
del sistema filosofico-
non mai forse cos
esplicita
e cos
innegabile,pur
non essendo n
pe-
dissequa
n
ripetitiva,
come
nel
problema
della
priorit
della certezza di
Dio
rispetto
alla certezza di tutti
gli
esseri che
sono
oggetto
della nostra
Conoscenzaml
1) S. NICOLOSI,
Mudernit e ricerca di
Dio,
Roma
1997,
p.
94.
146 Parte seconda
Ma, forse, ancora
pi
che
a Cartesio, Malebranche e debitore ad
Agostino. Uagostinismo
che
era
gi
forte in
Cartesio, in Malebranche di-
viene ancora
pi accentuato,
guadagnando
inoltre in
genuinit.
Ad
ogni
modo, a
questi
due maestri Malebranche fa riferimentoin modo
esplici-
to e con
grande frequenza,
cercando di
sviluppare
e
approfondire
quan-
to essi
avevano
insegnato.
Il
prolegomenognoseologico
Anche la metafisica di
Malebranche, come
gi quella
del
suo maestro
Cartesio,
dispone
di un consistente
prolegomeno gnoseologico,
che
per
molto diverso da
quello
dell'autoredel Discorso sul
metodo,
il cui
lungo
preambolo
passa
attraverso il
crogiolo
del dubbio metodico.
Ora,
Carte-
sio
aveva affermato che
per
conoscere la Verit la
ragione dispone
essen-
zialmente di due strumenti: l'intuizione
e la deduzione. Ma
poich
l'in-
tuizione, mettendo direttamente
a contatto con la realt
(
infatti
una Vi-
sione della
verit),
e di
per
s
incompatibile
con il dubbio
(qualsiasi
dub-
bio, sia reale sia
metodico),
Malebranche
oltrepassa
la via tortuosa del
dubbio, e comincia di l dove Cartesio
aveva finito:
partendo
dalle
po-
sizioni
raggiunte
dal Maestro
cerca di enucleare tutta la dottrina conte-
nuta in
mite
nell'insegnamento cartesiano,
applicando rigorosamente
il
metodo deduttivo.
Questo
fa
capo
allintuizionedi una verit
primariaonnicomprensiva,
da cui
procedono
tutte le altre. Ecco la
ragione per
cui Malebranche af-
ferma che la nostra mente conosce direttamente Dio: infatti l'idea di Dio
la
pi
ricca,
la
pi comprensiva
di tutte le idee e include
ogni
altra idea.
Secondo Malebranche la
conoscenza intellettiva
non
ha
luogo
per
astrazionecome
insegnavano
Aristotelee
gli
scolastici, n
per
innatismo
come voleva
Cartesio,
bens
per
visione diretta delle idee di Dio. Male-
branche ha
polemizzato
a
lungo
con Cartesio sia
sull'origine
sia sulla
natura delle idee. Le idee in Dio
sono eterne e non create come
preten-
deva Cartesio: lo
sono certo che le idee delle
cose sono immutabili e
che le verit
e le
leggi
eterne sono necessarie:
impossibile
che
esse non
siano
quali
sono. Ebbeneio non vedo niente di immutabilee di
necessa-
rio in
me;
io
posso
non essere affatto, e non essere
quale sono; pu
acca-
dere che esistano
degli spiriti
che
non si
rassomigliano
assolutamente,
eppure
sono certo che
non
possono
esserci
spiriti
che Vedano delle
verit
e delle
leggi
diverse da
quelle
che io vedo: difatti
ogni spirito
vede necessariamente che due e due fanno
quattro
e
che da
preferirsi
l'amico al
cane. Si deve
quindi
concludere che la
ragione
che tutti
gli
spiriti
consultano la
Ragione
immutabile
e necessaria;
3) Recherche
III,
parte
II, c. 10.
Malebranchee
Vontologiszno
147
Il motivo
per
cui la nostra conoscenza
gode
di assoluta certezza
precisamente questo:
che vede le idee e
i
principi primi
in Dio: Noi
vediamo tutte le cose
in Do.3
Comunque voglia
intendersi
qui l'espres-
sione visione in Dio",

innegabile
che
qui
si afferma che
ogni
cono-
scenza umana
si fonda in una certa conoscenza
di
Dio,
cio nella certez-
za
che Dio esiste,
che e "visibilealla nostra mente e
che
questa
"visi0-
ne" condizione
previa
e
irrecusabiledi tutto il nostro conoscere.
La
prova
ontologica
dell'esistenza di Dio
Questo preambolo gnoseologico
consente a
Malebranche di costruire
un sistema metafisico
perfettamente
deduttivo,
che ha
come
punto
di
partenza
l'intuizionedi Dio e
della sua esistenza.
L'intuizione di Dio
gli permette
di elaborare una
prova
ontologica
della
sua
esistenza. Malebranche riconosce che ci sono
molte
prove
vali-
de dell'esistenza di
Dio, ma
risulta evidente che la sua
preferenza
va
all'argomento
che,
nel solco
dell'insegnamento
cartesiano,
parte
dalla
presenza
nella nostra mente dell'idea dell'Essere
perfettissimo.
Questa
idea,
per,
si
pu presentare
sotto vari
aspetti:
come
id
quo
maius
cogitari
nequit
(Anselmo), come
infinito (Scoto), come
massimo
(Cusano) ecc. e
ciascuna di
queste
idee si
pu
utilizzare
per
effettuare la deduzione"
dell'esistenza di Dio.
Quella
che Malebranche
predilige
l'idea di infini-
to: dal
possesso
di
questa
idea
egli
ricava la
prova
della esistenza rea-
le" di Dio. La
pi
bella
prova
dell'esistenza di Dio
egli argomenta
- la
pi
alta,
la
pi
consistente,
la
prima prova, ossia
quella
che
presuppone
meno
cose,
l'idea che abbiamodell'infinito. E manifesto
infatti,
che lo
spirito percepisce
l'infinito,
pur
non
comprendendolo,
e
che ha un'idea
molto distinta di
Dio,
che
pu venirgli
solo dall'unione che ha
con lui,
perch
non si
pu concepire
che l'idea di un essere
infinitamente
perfet-
to, come
quella
che abbiamodi Dio sia
qualcosa
di creato.4
l
passaggi
di
questa prova
sono
due.
Il
primo
che l'idea di infinitonon
pu
essere tratta da
quella
di fini-
to;
viceversa l'idea di finito che viene
ritagliata
da
quella
di infinito. Di
conseguenza
ogni
nostra idea di finito rimanda all'idea di infinito. Lo
spirito
- scrive Malebranche -
non
percepisce
nulla se non
nellidea che
ha dell'infinitoe una
tale idea non
affatto formata dal confuso accozzo
di tutte le idee
degli
esseri
particolari,
come
pensano
i filosofi;
al contra-
rio, tutte
queste
idee
particolari
sono
quelle
che
sono, perch partecipa-
no dell'idea
generale
dell'infinito;
allo stesso modo,
Dio non trae il
pro-
3) Ibid, c. 6.
4)
Ibid.
148 Parte seconda
prio
essere dalle
creature, ma tutte le
creature sono solo
partecipazioni
imperfette
dell'essere divino>>5
Il secondo
passaggio
che l'idea di infinito include necessariamente
l'esistenza. Ecco come Malebranche formula
questo passaggio:
L'infinito
non si
pu
vedere che in
se stesso, poich
nulla di finito
pu rappresentare
l'infinito. Se si
pensa
a Dio,
bisogna
che
egli
esista.
Un
essere,
bench
conosciuto, u non esistere affatto. E ossibile
P
vedere la sua
essenza,
la sua esistenza,
la
sua idea senza di lui. Ma non
e
possibile
vedere l'essenza dell'infinito
senza la sua esistenza,
l'idea
dell'essere,
dato che l'essere
non
ha idea alcuna che lo
rappresenti.
Non ha
un
archetipo
che
contenga
tutta la sua realt
intelligibile.
E
Parchetpo
di se stesso e racchiudein s
Parchetipo
di tutti
gli
esseriw
Come aveva
gi
rilevatoS.
Tommaso, criticando S.
Anselmo,
la diffi-
colt della
prova (mtologica
non sta tanto nel secondo
passaggio
(la
de-
duzione dell'esistenza di Dio dalla definizionedella sua essenza),
quan-
to nel
primo
che
riguarda
la definizionestessa di Dio. S. Tommaso ave-
va osservato che noi
non
possediamo
che
un concetto
negativo
dell'id
quo
nzaius
cogitari nequit.
Molti filosofi obiettano
a Malebranche che lo
spirito
umano non ha l'idea di
un Essere infinitamente
perfetto.
Al che
Malebranche
replica
domandando loro
se un essere infinitamente
per-
fetto sia rotondo
o
quadrato
0
qualcosa
d'altro. Dovrebbero coerente-
mente confessare che
non sanno
rispondere affatto, se vero che
non
hanno l'idea di
quell'essere.
Se invece
rispondono,
come in realt fanno
sempre,
che l'Essere
perfettissimo
non n
rotondo, n
quadrato, questo

segno
che essi ne hanno l'idea?
Molti altri filosofi obiettano -
con Gaunilone che la deduzione dell'e-
sistenza di Dio dalla definizione della
sua essenza
un sofisma.
Malebranche ammette che ci accadrebbenel caso
che l'idea di Dio fosse
solo una "finzionedello
spirito",
cos come lo
sono le idee
complesse,
le
quali possono
essere
persino
false
o contraddittorie, come
per
es.,
l'idea
di
un
corpo
infinitamente
perfetto:
idea
contraddittoria,
perch
la
corpo-
reit esclude la
perfezione
assoluta. Ma l'idea di
Dio,
dell'essere
infinito,
non e una
semplice
finzione dello
spirito,
non
neppure
un'idea
com-
plessa
che
possa
contenere una contraddizione.Non c' nulla di
pi
sem-
plice
di
essa,
quantunque
essa
comprenda
tutto ci che e tutto ci che
pu
essere.
L'idea dell'essere in
generale,
o dell'infinito,
racchiude in se
l'esistenza
necessaria,
giacch
evidente che l'Essere -
non un "tale esse-
re" determinato
e
perci
"finito" ha l'esistenza da
se stesso, e non
pu
5) Ibid.
5) Enlreticns
II,
4.
7)
Cf. Rcchcrclie
IV,
11.
Malebranche e I
bntolagismo
149
non essere attualmente, perch
sarebbe
impossibile
e contraddittorioche
il vero essere
fosse senza esistenza,
cio che fosse "non essere. Si
pu
ammettere che i
corpi
non esistano,
dato che i
corpi
sono dei "tali esseri
che
partecipano
dell'essere e ne
dipendono.
Ma l'essere senza
limitazio-
ne (sans restriction)
e necessario e
indipendente
da
ogni
altro
essere,
ha il
suo
fondamento solo in se stesso,
ed anzi il fondamento di tutto ci
che esiste.
Quelli
che non
riescono a
capire
che Dio esiste in realt non
considerano l'Essere assoluto,
bens un "tale essere",
determinato e
fini-
to,
cio un essere che,
logicamente, pu
tanto esistere
quanto
non esiste-
re.
Ma l'essere senza
restrizioni -
argomenta
Malebranche - necessa-
rio;

indipendente;
trae
solo da s ci che
e; tutto ci che Viene da lui.
Se c'
qualcosa, egli
,
poich
tutto ci che viene da
lui; ma
quand'an-
che non
vi fosse nessuna cosa
particolare, egli
sarebbe,
perch
e
per
se
stesso, e non
lo si
pu concepire
chiaramente come esistente, a meno di
rappresentarselo
come un essere
particolare,
0 come un essere
qualun-
que,
considerando cos un'idea che non
ha nulla a
che fare con
la suaw
Bisogna
ricordarsi

prosegue
Malebranche - che
quando
si vede una
creatura non
la si vede affatto in se stessa n
per
se stessa: la si vede solo
attraverso certe
perfezioni
che sono
in
Dio,
nelle
quali
essa
rappresen-
tata. Di
conseguenza,
si
pu
Vedere l'essenza di
una creatura senza
vederne
l'esistenza, giacch
si
pu
vedere in Dio ci che la
rappresenta,
senza
che di fatto
quella
creatura esista. Tutto diverso, invece,
il
caso
dell'Essere infinitamente
perfetto:
non
lo si
pu
Vedere che in
se stesso,
perch
non c' nulla di finito che
possa
rappresentare
l'infinito. Non si
pu
Vedere Dio se non esiste; non si
pu
vedere l'essenza di
un
Essere
infinitamente
perfetto
senza
vederne l'esistenza; non lo si
pu
Vedere
soltanto come un essere
"possibile",giacch
nulla lo
comprende
e
nulla
lo
pu rappresentare.
Se
quindi
si
pensa
all'Essere infinitamente
perfet-
to,
necessario che
esso
esista realmente, e non
soltanto che sia
pura-
mente
possibile}!
A
scanso
di
equivoci
e
per proteggersi
da
possibili
accuse
di mistici-
smo o
di
panteismo,
Malebranche ha
cura
di
precisare
che la visione di
Dio di cui
egli parla,
non
una Visione chiara
e distinta, come
quella
dei
beati,
bens oscura e
confusa. Non
possibile,
infatti,
scoprire
la
propriet
che essenziale all'infinito,
di essere
allo stesso
tempo
uno e
ogni cosa, composto, per
cos dire di un'infinit di
perfezioni
diverse,
eppure
cos
semplici
da racchiudere
ogni
sua
singola perfezione,
tutte le
altre senza
alcuna distinzionerealemm
8)
Ibid.
9)
Cf. Ibid.
1)
Entretiens Il,
4.
150 Parte seconda
L'argomento ontologico, come si
visto,
per
Malebranche
non solo
il
migliore
di tutti
gli argomenti,
ma nella sua metafisica anche l'unico
argomento possibile,
mentre
ogni
altro
argomento
-
cosmologico,
antro-
pologico, teleologico, etico,
deontologico,
ecc.
diviene inaccettabile.
LOratoriano, infatti, si trova costretto a
"ignorare"
le
prove
tradizionali
fondate sulla
contingenza
del mondo
corporeo
-
specialmente quelle
che
presuppongono l'esperienza
diretta del mondo
sensibile, come ad
es.
quella
del Primo Motore
e
quella
dell'ordine universale - anche
perch
egli
afferma chiaramente
e in modo
ancora
pi perentorio
di
quanto
non
avesse fatto
Cartesio, l'evanescenza
e la
problematicit
della stessa esi-
stenza del mondo
corporeo.
La
polemica
intorno
all'argomento ontologico,
che si riaccende tutte
le volte in cui
questo argomento
Viene
proposto,
non
potr
mai avere n
vinti n vincitori
e
quindi
non vedr mai la fine. Tutto
dipende
dalla
opzione
iniziale tra il
paradigma
metafisico
platonico e
il
paradigma
metafisico aristotelico.
In
quello platonico
la
prima
realt
(le Idee, lUno,
il
Necessario,
il Mas-
simo, lInfinito,
il Perfetto
ecc.) viene colta
immediatamente
e
integral-
mente sin
dall'inizio, e da
quel
Primo
procede poi
tutto sia nell'ordine
noetico
(logico)
che in
quello ontologico.
Qui
l'argomento ontologico
diventa
perfettamente
legittimo.
Nelle filosofieche accettano
l'argomen-
to
ontologico,
la certezza della esistenza di Dio
non la verit che "con-
clude" l'itinerario
filosofico,bens
quella
da cui
esso
prende
l'avvio, e in
cui il sistema delle certezze trova uno dei suoi
pilastri
fondamentalim
Nel
paradigma
metafisico aristotelico il vertice della
realt, Dio,
si
raggiunge
soltanto
dopo
un'accurata
esplorazione
del mondo che ci cir-
conda,
sia
esso
il mondo fisico
oppure
il mondo
umano: ma in
questo
paradigma
c' un'autentica
ascesa o un'autentica
navigazione,
a seconda
della metafora che si
preferisca
usare. Evidentemente nel
paradigma
ari-
stotelico dove
non esiste altra
partenza
che
quella
dal basso
l'argomento
ontologico
diviene
improponibile,
e
gli
unici
argomenti
accettabilisono
quelli
della risoluzione
(resolutio)
degli
effetti nella loro Causa
suprema.
Indipendentemente
dalle considerazioni di
carattere
generale
a
pro-
posito
del
"preambolo" gnoseologico
di Malebranche si deve constatare
in
lui, come in
Cartesio, l'eliminazionedella
operazione
del
giudizio,
per
ridurre tutto alla intuizione
e alla deduzione. Di
qui
la
pretesa
che la
nostra mente
possa
avere una "visione di Dio" e unintuizionedella
sua
realt; mentre di fatto l'unico livello veritativo a cui essa
pu
arrivare
quello
di affermare che
a Dio
appartengono
determinati
attributi, senza
tuttavia mai intuire che
cosa essi siano effettivamentein Dio.
11) SNICOLOSI,
0p.
ci},
p.
108.
Malebranche e
Fontologismo
151
Dio e
il mondo
Il mondo non
pu
essere
un'emanazionenecessaria della divinitm
Con
questa lapidaria
dichiarazioneMalebranche
respinge categorica-
mente la tentazione, comune a tutti i sistemi metafisici
neoplatonizzanti,
di fare del mondo ufiemanazione
di
Dio, e
difendeuno
dei cardini della
filosofiacristiana: ilteorema della creazione. Secondo tale teorema
la
creazione
procede
dalla
saggezza
e
dalla
potenza
di
Dio,
il
quale sceglie
liberamente di rendere le creature
partecipi
del
proprio
essere.
Scrive
Malebranche a
questo proposito:
Quesfidea
dell'Essere infinitamente
perfetto
racchiudedue attributi
assolutamente necessari
per
creare
il mondo: una
saggezza
senza
limiti e una
potenza
alla
quale
nulla
pu
resistere. La
saggezza
di Dio
gli
rivela un'infinit di idee di diverse
opere
e tutte le vie
possibiliper
eseguire
i suoi
disegni.
La sua
potenza
lo rende a
tal
punto padrone
di
ogni cosa,
e cos
indipendente
da
qualsiasi
intervento estraneo,
da
far s che le sue
volont siano
eseguite,
se
soltanto
egli
lo desidero.
ll criterio a cui Dio si attiene nella creazione
quello
di non
fare
per
Vie molto
complesse quello
che
pu
fare
per
vie
pi semplici,
infatti la
sua
saggezza
gli impedisce
di
prendere
di tutti i
disegni possibili,quello
che non

pi saggio.
Cos Dio avrebbe indubbiamente
potuto
creare
un
mondo
pi perfetto
di
quello
attuale, ma
pagando
il
prezzo
di
leggi
pi complesse
e
intricate:
Dio
poteva,
senza dubbio,
fare un mondo
pi perfetto
di
quello
da
noi abitato. Per
es., egli poteva
fare in modo che la
pioggia,
che serve
a rendere feconda la
terra,
cadesse
pi regolarmente
sui
campi
lavo-
rati anzich nel mare
dove non
cos
indispensabile.
Ma
per
realizza-
re
questo
mondo
pi perfetto
sarebbe occorso
che
egli
modificasse la
semplicit
delle sue vie,
che
moltiplicasse
le
leggi
della comunicazio-
ne
dei movimenti mediante i
quali
il mondo si
regge,
e allora non ci
sarebbe
pi
stata tra l'azione di Dio e la sua
opera,
la
proporzione
necessaria
per
indurre un
Essere infinitamente
saggio
ad
agire o,
per
lo
meno,
non ci sarebbe stata la stessa
proporzione
tra l'azionedi Dio
e
questo
mondo cos
perfetto,
che c' tra le
leggi
della natura e
il
mondo che noi abitiamo. Difatti il nostro mondo,
per quanto imper-
tetto lo si
voglia immaginare,
fondato su
delle
leggi
di movimento
cos
semplici
e cos naturali da essere
perfettamente degno
dell'infini-
ta
saggezza
del suo
Artefice.|4
12)
Traitsur la nature et la
grce
l,
12.
13) Entretiens III, 10.
14) Traitsur
la nature et la
grcce
l,
18.
152 Parte seconda
Fine unico della creazione la
gloria
di Dio:
Egli
vuole che la
sua
opera, per
la
sua bellezza
e la
sua
magnificenza, porti
il
carattere della
sua eccellenza
e della sua
grandezza,
e
che le
sue vie non smentiscano la
sua infinita
saggezza
e la sua immutabilit
(...).
Egli
ha fatto
per
la bel-
lezza dell'universo
e
la salvezza
degli
uomini tutto ci che
pu
fare, non
assolutamente, ma
agendo
come deve
agire, agendo per
la
sua
gloria
se-
condo tutto ci che >>J5
Fin
qui
Malebranche
riprende
le classiche dottrine della metafisica
cristiana.
Egli
propone
invece
insegnamenti nuovi,
pur ispirandosi
par-
zialmente ad
Agostino, quando
passa
a trattare della causalit divina. A
questo riguardo
tutti i metafisici Cristiani riconoscono che Dio e l'unica
causa dell'essere, mentre
dell'agire
Dio la
causa
principale
e le creature
sono cause secondarie
o strumentali. Malebranche
spazza
via le
cause
seconde
e riduce
l'apporto
delle creature a mere occasioni. Tutto
questo
e la
logica
conseguenza
del
suo
ontologismo.
Fedele al
principio
secon-
do cui lo
spirito
vede tutte le
cose in
Dio, Malebranche rende
superflue
le creature non solo nell'ordine
logico-gnoseologico
per
conoscere Dio,
ma anche nell'ordine
dinamicocausale, nelle
operazioni
e trasformazio-
ni che hanno
luogo
in
questo
mondo. Non solo Malebranche elimina dal
suo sistema la
lunga
serie di intermediari che si incontra in tutti i sistemi
neoplatonici,
ma fa di Dio l'unico
agente
di tutto
quanto
accade nel
mondo.
Causare,
per
Malebranche,
sempre un
creare,
e creare un
gesto
divino. Chiamando
Cause le
creature,
la filosofia dei
pagani
si
rende
colpevole
di
una contraddizione
e insieme di
un
sacrilegio.
Malebranche denuncia l'errore
pi pericoloso
della filosofia
degli
anti-
chi
e di coloro che
seguono
Aristotele. Ammettere infatti che le creatu-
re siano dotate di attivit causale
significa
farne altrettante
piccole
divi-
nit: Dio solo Atto e fonte di
ogni
efficacia causale sia nei
corpi
che
negli spiriti.
Dio fa tutto come causa
verace,
e non comunica la
sua
po-
tenza alle creature se non stabilendole
come cause occasionali in
conse-
guenza
delle
leggi generali.
Pertanto non sono dotati di
un
proprio pote-
re causalen i
corpi
n
gli spiriti,
n
l'uomo, n
gli angeli.
Ecco
un
passo significativo
in Cui Malebranche esclude il
potere
cau-
sale dei
corpi:
Dunque
la forza motrice di
un
corpo
non altro che l'efficaciadella
volont di Dio che lo
conserva successivamente in
luoghi
diversi.
Una volta
supposto
ci,
stabiliamoche
questa boccia
si metta in moto
e
che
lungo
il suo
percorso
ne incontri un'altra immobile:
l'esperienza
ci
insegna
che immancabilmente
quest'ultima
si metter
pure
in
movimento e secondo delle
leggi precise sempre
esattamente
rispetta-
te. Tuttoci chiaro
per principio.
Difatti
un
corpo
non
pu
muover-
15) Entretiens
XII,
21.
Malebranche e
Frmtolagsmo
153
ne un
altro senza trasmettergli
un
po
della sua forza motrice. Ora,
la
forza motrice di un
corpo
in movimento altro non se non
la volont
di Dio creatore che lo conserva
successivamente in diversi
luoghi.
Perci non affatto una
qualit
che
appartenga
a
questo corpo: gli
appartengono
soltanto le sue modalit; e
queste
sono
inseparabili
dalle sostanze. I
corpi dunque
non
possono
muoversi vicendevol-
mente, e
il loro incontro 0
urto soltanto una causa
occasionale della
distribuzione del loro movimento. E ci
perch
essendo
impenetrabi-
li, una
specie
di necessit il fatto che
Dio,
il
quale
a mio
giudizio
agisce sempre
con
la stessa efficacia o
la stessa
quantit
di forza
motrice,
distribuisca
per
cos dire nel
corpo
urtato la forza motrice di
quella
che urta e in
proporzione
alla
grandezza
dell'urto.16
Anche
l'agire
dell'uomo,
lo stesso
agire
della sua volont, non
ha
altra causa
sufficiente che Dio:
L'uomo vuole, ma le volont sono
impotenti
in se stesse, non
produ-
cono niente, non
impediscono
affatto che Dio faccia tutto, poich
lo
stesso Dio che crea
in noi le nostre
volont con
la
spinta
che ci d
verso il bene in
generale, poich
senza
questa spinta
noi non
potrem-
mo
voler niente. L'uomo in se stesso trova solo l'errore e il
peccato
che
non sono
niente.17
Ma
questa
totale
dipendenza
del movimento della volont umana
dal volere divino non
conduce necessariamente alla
negazione
della
libert della volont?
Questa
una
conseguenza
che Malebranche vuole
assolutamente
scongiurare, perch
sa
molto beneche se
noi non
avessi-
mo libert alcuna, non ci sarebbero n
pene
n
ricompense
future,
poi-
ch
senza
libert non ci sono n buone n cattive azioni,
di modo che la
religione
sarebbe un'illusionee un
fantasmaz-xsA
questo punto
l'Orato-
riano introduce la fondamentale distinzione tra movimento
generale
della volont verso
il
bene,
che
sempre
causato
da
Dio, e
movimento
verso
i beni
particolari,
che invece
prodotto
dalla libert.
Ci che
preme
maggiormente
a
Malebranche l'esclusione di
qual-
siasi
rapporto
causale tra l'anima e
il
corpo.
Egli
fa sua
la
posizione
di
Cartesio sulla totale
separazione
tra res
cogitans
e res extensa,
la
quale
ha
come
inevitabile
conseguenza
che n l'anima
possa
essere causa
di alcun
movimentonel
corpo,
n il
corpo possa generare
delle
passioni
nell'ani-
ma: si tratta soltanto
e
sempre
di
rapporti
occasionali.
Qualsiasi
altra
spiegazione,
secondo Malebranche, arbitraria e
Conduce a un
circolo
vizioso, poich
non si ha affatto un'idea chiara della forza che l'anima
ha sul
corpo,
n
quella
che il
corpo
ha sullanima: non
si sa
troppo
bene
16) Ibid, VII,
11.
17) Recherclte,
XV.
13) Ibd.
154 Parte seconda
ci che si dice
quando
lo si afferma
positivamente.
Si entrati in
questa
opinione
con un
pregiudizio;
si creduto che cos fosse da bambini
e da
quando
si stati
capaci
di
sentire; ma
lo
spirito,
la
ragione,
la riflessione
vi
sono estranei.19
'
Nelle ultime frasi troviamo una chiara
anticipazionedegli argomenti
con cui Hume
negher
il
principio
di causalit. Ma le
ragioni
di Hume
saranno esattamente
opposte
a
quelle
di Malebranche: Hume
negher
il
principio
di causalit
per sgretolare
le fondamenta della
teologia
natura-
le
(e di
qualsiasi metafisica),
invece Malebranche
nega
il
principio
di
causalit
per
ricondurretutto alla volont di Dio
e
alla
sua
gloria.
C'
per
ancora lo
scoglio
del
male,
che
mette
sempre
a dura
prova
qualsiasi
metafisica. Malebranche rifiuta le soluzioni facili
(di
cui secon-
do lui si accontentato lo stesso
Agostino),
le
quali
fanno del male un
elemento
puramente negativo, rispetto
a un bene
maggiore.
Dio,
infini-
tamente
buono, non
pu
volere la moltitudine dei dannati: infinitamente
potente, Egli pu
e vuole salvare tutti
gli
uomini. Ma Dio ha
verso di s
il dovere di
agire
sempre
secondo l'ordine delle
perfezioni:
la
regola
del-
la
semplicit
delle
vie,
insieme con
quella
dell'eccellenza
dell'opera,
co-
stituisce il fondamento dellaudacecostruzione che Malebranche
svilup-
pa
nel Traite de la nature et de la
gnce.
Solo l'incarnazionedel Verbo di
Dio d alla creazione un valore infinito: Dio ha
permesso
il
peccato per-
ch il Salvatore
avesse la
gloria
di edificare la
sua Chiesa
partendo
da
una natura totalmente
priva
di santit. La Redenzione
quindi
arricchisce
il
disegno primordiale
subordinandosi ad esso.
Nella elaborazione della dottrina della
grazia
di Malebranche ci sono
indubbiamentedei
punti
discutibili:
con Yoccasionalismo
egli
indeboli-
sce l'azionedi
Cristo, mentre col
parallelismo
tra
concupiscenza
e
grazia
egli
sminuisce il
potere
e il valore della
grazia.
Tuttavia, a ben
vedere,
la
concezione di Malebranche molto vicina alla concezione
agostiniana.
Per lo
meno le si avvicinadi
pi
di
quella
di Giansenio
e della
maggior
parte degli
scolastici. Si
potrebbe dunque
dire
senza tradire il
suo
pen-
siero che la
natura,
la
quale,
per
meritare,
deve andare
pi
in l di
quan-
to non sia
spinta
dalla
grazia
medicinale;
in realt utilizzaun'altra
gra-
zia,
pi
radicale
e
pi
intima,
la forza di
questo
nuovo slancio. Comun-
que
si
prendano questi
correttivi,
si confesser tuttavia che la
posizione
di Malebranche
per
lo
meno "delicata
e
che
non ,
neppure
lui, un
interprete
assolutamente sicuro di S.
Agostino. Leggendolo
da cartesia-
no,
come Giansenio lo
leggeva,
bench
egli,
come scolastico, lo avver-
sasse,
non era inevitabileche
come Giansenio lo tradisse un
po'?.2
19) Ibid.
2)
H. DF
LUBAC,
Agostino
e la
teologia
moderna,
Bologna
1968,
pp.
93-94.
Malebranche e l
bntologismo
155
Rapporti
tra fede
e
ragione,
tra filosofia
e
religione
Com'
noto,
Cartesio aveva
posto
una netta
separazione
tra fede e ra-
gione,
tra filosofia
e
religione.
Grande merito di Malebranche di essersi
opposto
con tutte le sue forze a
questa posizione,
benchin Cartesio non
fosse affatto dettata da
ragioni
di
disprezzo
o svalutazione della fede e
della
religione.
Malebranchericusa anche di
giustapporre semplicemente
i due settori della fede e della
ragione
e
si
propone
invece di
operare
una
sintesi tra
gli
elementi tratti dalla fede
e
quelli
ricavati dalla
filosofia,una
sintesi in cui
gli
elementi
componenti svolgono
un
ruolo di
reciproco
influssoe
compenetrazione.
Malebranche considera conveniente e neces-
saria una
collaborazionetra
religione
e filosofia, una
Collaborazionevan-
taggiosa per
entrambe. Infatti,
da
una
parte
i
dogmi
rivelati danno conto
di determinati fatti: essi
possono
diventare
principi
di
spiegazione
meta-
fisica. Da un'altra
parte,
senza
scoprire questi dogmi
come
fatti realmen-
te accaduti e senza
sopprimere questi
misteri,
la nostra
ragione pu
applicarsi
utilmentead essi
per
chiarirli in
qualche
misura.
Riaffermando la tesi della filosofia cristiana Malebranche ricalca le
orme
di
Clemente,
Origene, Agostino,
Bonaventura. Per
questi
autori il
cristianesimoera la vera
filosofia. Ma essi
concepivano
la comunione tra
fede
e
ragione
come una
specie
di
sposalizio
di
fatto, in concreto. Nel loro
pensiero
c'
semplicemente
l'assorbimentodi fatto di tutte le verit
par-
ziali e subordinate nella verit totale e
superiore
del mistero del Verbo
Incarnato. Malebranche invece tende
a
far
prevalere
la concezione di
una
specie
di unit di diritto tra i due ordini.
Egli
inclina, infatti,a
identi-
ficare il Verbo e la
Ragione.

precisamente
su
questo punto
che il suo
atteggiamento,
di
per
s lodevole,
solleva delle riserve ed
esige
delle
spiegazioni.
Egli
non naturalizzail
soprannaturale:
su
questo
non c' alcun dub-
bio. Ma non altrettanto certo che
egli
non
soprannaturalizzi
il natu-
rale. La
posizione
che
egli occupa
in una materia cos delicata non
di rado
equivoca.
Facciamoun
esempio.
In
qualche parte egli
dichia-
ra che e la stessa
Sapienza
che
parla
immediatamente a coloro che
scoprono
la verit nellevidenzadei
ragionamenti
e
che
parla
median-
te le Scritture a coloro che
ne
capiscono
bene il senso. Come non
sospettare
che
qui
ci sia una certa confusionedi
ordini,
mediante una
segreta
esaltazione della natura fino al livello della
grazia?
Tuttaviail
malessere che si
prova
leggendo
testi come
questo
viene corretto
dalla buona
impressione
che lasciano altre dichiarazioni dell'autore.
In
esse
egli
si
esprime
con
formule che fanno
capire
che non caduto
negli
errori che
gli vengono
rmproverat.
E
tuttavia,
sui
rapporti
tra
natura e
grazia egli
non ha mai
proposto
una soluzione interamente
esente da
ambiguit>>2
21) ]. WEHRL,
"Malebranche in DTC
IX,
1800-1801.
156 Parte seconda
L'accusa
pi grave
che si
muove a Malebranche
quella
del
pantei-
smo. Questa accusa viene
collegata
al
suo
ontologismo:
la visione di Dio
e di tutte le Cose
in Dio sembra condurre necessariamentealla identifica-
zione delle cose con Dio stesso.
Questa
teoria della
conoscenza imme-
diata di Dio considerata nella storia della filosofiasia come un corolla-
rio necessario del
panteismo,
sia come un suo
principio
necessario (...).
Essa si mostra come
principio
del
panteismo
nel sistema di Malebranche
e nei suoi
discepoli
fino
a Giobertiml Ma se si tiene conto che in Male-
branche l'identificazionedelle creature con Dio avviene sul
piano
ideale
non su
quello
reale, storico,
pare
che l'accusa di
panteismo
sia del tutto
gratuita.
La critica recente si divide tra coloro che vedono in Malebranche
un
fedele
discepolo
di Cartesio
e
quelli
invece che vedono in lui
un
disce-
polo
e continuatore di Pascal23 In realt la
sua
"apologetica
del cristia-
nesimo" lo
contrappone
sia a Cartesio sia a Pascal: a Cartesio,
il
quale
si
disinteressa totalmente delle verit della
religione
e dei
dogmi
della fede
cristiana; a Pascal, a motivo del
suo sforzo costante di
operare
una
profonda
osmosi tra fede
e
ragione.
Ad
ogni
modo nella sostanza e
nel
suo insieme
l'opera
di Malebranche
molto
pi
vicina a Cartesio che
a Pascal. La
sua
apologetica
del cristia-
nesimo,
proprio perch
diversamente da
quella
di Pascal cerc di
dialoga-
re eccessivamente col
suo
tempo,
col cartesianesimo e col
razionalismo,
si
rivel necessariamente
pi
caduca di
quella
dell'autoredei Pensieri.
La
gloria
di Malebranche ha eclissatc)
per
la
posterit
tanti altri carte-
siani minori i
quali,
in
quell'epoca
medesima, tentarono con
un'opera-
zione
analoga
di realizzare
una sintesi tra cartesianesimo e cristianesi-
mo. Tra costoro ricordiamo altri due
preti
dell'Oratorio:
Francois
de
Lamy
e Nicolas Poisson. Il
padre Lamy,
nominato nel 1673
professore
di
filosofia alla facolt delle arti di
Angers,
con
l'obbligo
di
insegnare
la
dottrina tradizionaledi Aristotele
e
di S.
Tommaso,
introdusse nei suoi
corsi alcune
proposizioni
nettamente favorevoli al cartesianesimo. Il
padre
Poisson,
nel
1671,
pubblic
i suoi Commentaires 014
renzarque
sur
la
mtlzode de M.
Descartes,
che ebbero
una
parte
considerevole nella storia
del. cartesianesimo. Ma
questi
non sono
che
rappresentanti privilegiati
di tutto un movimento,
la cui vera storia rimane ancora da scrivere e
che, sicuramente, senza averlo
voluto,
prepar
le vie del razionalismo
del secolo XVIII?
2 Z
) A.
FONCK,
"Ontologisme",
in DTC
XI,
1058.
23) Sulla linea
pascaliana
del
pensiero
di Malebranchesi veda l'autorevole
saggio
di
M.
BLONDEL, [Janticartsiarxisnte de
Nlalebranche, Revue de
metaphysique
et de
morale,
gennaio
1916 (numero
dedicato a Malebranche). Invece sul cartesiane-
simo di Malebranche si veda H.
GOUHIER, La vocation de MHlBlJHZIClIE, Paris 1926.
La tesi di Gouhier che Malebranchenon
parte
da Cartesio ma lo incontra.
24)
l-l.
IEDIN (ed), Storia della Chiesa
VII,
Milano
1977,
p.
123.
Malebranclzee
l'0rzt0I0g;I'sin0
157
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I. WEHRL, Malebranche",
in DTC
IX,
1776-1804.
158
SPINOZA E LA METAFISICADELLA SOSTANZA
Il ritorno di
Spinoza
Benedetto
Spinoza
fu
quasi
interamente
ignorato
fino a un
secolo do-
po
la
sua morte. Fu
grandemente
rivalutato dai tedeschi
(Lessing, Iacobi,
Mendelsohn, Herder, e
gli
Idealisti)
che diventarono suoi entusiastici
ammiratori e
gli
assicurarono un
posto
tra i
pi grandi pensatori
di tutta
la storia.
Mentre i
contemporanei
avevano accusato
Spinoza
di
ateismo,
i tede-
schi 10 esaltarono
per
il
suo misticismo. La discussione sull'ateismo
e
misticismo di
Spinoza
non ancora conclusa.
Oggi per
nessuno osa
pi
mettere in dubbio la
grande
statura filosoficadel rabbino scomuni-
cato di Amsterdam.
Egli
fu
un
filosofo che alla luce di una sola
grande
idea
(quella
di
sostanza)
ha tentato di
spiegare
l'enorme
complessit
dell'universo.
Vita
e
opere
Baruch
(Benedetto)
De
Spinoza
nacque
ad Amsterdam il 24 novem-
bre 1632 da una
famiglia
ebrea che
era stata costretta ad abbandonarela
Spagna
per
l'intolleranza
religiosa
di
quel paese.
Fu educato nella comu-
nit israelita di Amsterdam. Il
padre
voleva fare del
piccolo
Benedetto
un
rabbino
e
per questo
lo mand alla scuola della
Sinagoga.
Per,
oltre
lo studio delle Sacre Scritture
e
dei
rabbini, Benedetto coltiv anche lo
studio della filosofia
(Giordano Bruno,
Bacone e
soprattutto
Cartesio) e
della
teologia protestante.
Lentamente si convinse che
l'interpretazione
tradizionaledella Sacra Scrittura
era errata. Nel 1656 fu scomunicato
dalla comunit israelitaed
espulso
per
"eresie
praticate
e
insegnate".
A1-
lora
Spinoza
abbandon Amsterdam
e si rec a Leida,
dove si mise a
fa-
re il
levigatore
di lenti ottiche. Nel
tempo
che
gli
sopravanzava
attende-
va
allo studio della filosofia. Da allora
Spinoza,
di salute
cagionevtle,
geloso
della sua
indipendenza spirituale,
condusse
una vita modesta,
tranquilla
e riservata.
Quando un suo amico e scolaro,
Simone de
Vries,
volie
assicurargli
una
pensione
di 500 fiorini
annui,
Spinoza
afferm che
erano
troppi
e
non volle accettarne
pi
di 300.
Spinoza
e la
metafisica
della sostanza 159
Nel 1658 scrisse il suo
primo
libro, Breve trattato su Dio e sull'uomo
e sulla
felicit,
che
pero
fu
pubblicato
solo due secoli
pi
tardi. Nel 1663
fu
pubblicato
il solo scritto a cui
Spinoza
abbia
giudicatogiusto apporre
il suo nome: Renati Cartesii
principiaphilosoplzae.Cogitata metaplzisica.
Nel 1670
comparve
anonimo il Tractatits
teologico
-
politicus
in cui si
sosteneva che in
una
libera comunit dovrebbeessere lecito a
ognuno
pensare
quello
che vuole
e
dire ci che
pensa.
Il libro fu subito condan-
nato dalla Chiesa
protestante
e da
quella
cattolica.
Precedentemente
Spinoza
aveva
portato
a termine la
sua
opera
prin-
cipale,
Ethica ordine
geometrico
demonstrata, ma ne aveva rinviato la
pub-
blicazione
per
timore di
una
condanna. LEtica fu
pubblicata
nel
1677,
subito
dopo
la morte del suo autore,
insieme al Tractatus
politicus
e al
Tractatitsde cmertdatitmeHCUGCZJS.
Spinoza
mor il 21 febbraio 1677 di tubercolosi.
Spinoza
e
Cartesio
Cartesio aveva
pensato
che la metafisica assioinatico-deduttiva che
era
il
paradigma
caro
ai
neoplatonici
fosse l'unica in
grado
di fornire
verit sicure e incontrovertibili.
Per,
poi
di
fatto,
egli
non aveva
per
nulla
elaborato la
sua
metafisica secondo
quel rigore
matematicoche
egli
stesso
aveva
auspicato,
mescolandoinsieme
procedimenti
induttivi e
deduttivi.
il
progetto
cartesiano fu
portato
a
compimento
da
Spinoza,
che di
Cartesio era stato un attento e
assiduo lettore Anche
Spinoza
affasci-
nato dai nuovi metodi scientifici elaborati da
Bacone,
Galileo
e Cartesio,
e avverte la necessit di assicurare solide basi
gnoseologiche
al suo edi-
ficio metafisico. Cos scrive il suo Tractatusde emendatione intellectus. Ma
tutto
questo
visto in funzionemetafisica.
Oltre che il metodo assiomatico
Spinoza riprende
da Cartesio le due
dottrine che fanno da
sostegno
a tutta la costruzione metafisica: la defi-
nizione di Dio come sostanza infinita, e la divisione della realt nei due
grandi
settori della res
cogitans
e della res extensa. Senonch
egli
si affret-
ta a
rivoluzionarela metafisica
cartesiana, ponendo
Dio come unica so-
stanza e facendodel
pensiero
(res
cogitans)
e della estensione (res extensa)
non
due realt
distinte, a cui fanno
capo
due
generi
di
sostanze, gli spi-
riti e i
corpi,
bens due attributi dell'unica
sostanza,
infinita ed eterna.
In
questo
modo,
pur raccogliendo
la
comune eredit
cartesiana,
di
questa
eredit
Spinoza
fa
sua
la
parte
laica", mentre Malebranche si era
accaparratoquella religiosa".
Cos
Spinoza approfondisce
ulteriormen-
te il distacco e
la
separazione
tra fede e
ragione,
tra filosofiae
teologia,
che
era
gi
in atto in
Cartesio;
mentre
proprio
su
questo punto
Male-
branche
aveva
gi
criticato il
suo maestro, e aveva
rinsaldato i
legami
tra
ragione
e rivelazione, tra filosofiae
teologia.
160 Parte seconda
L'ispirazione
di costruire una metafisica monistica a
Spinoza pi
che
da Cartesio venne
dal Cusano e
da Giordano Bruno. Le loro filosofie
contenevano i
germi
di
un monismo
ontologico:
i
germi
maturarono,
dissimulati nel
grembo
del
cartesianesimo,
poi
vennero immediatamen-
te alla
luce,
portati
a maturazionedal razionalismo
impietoso
del
pensa-
tore olandese.
Nel sottofondo del
pensiero
di
Spinoza
c' anche
un tono mistico,
la
cui ultima matrice
pi
che il
neoplatonismo
la
religione
in cui era nato
e cresciuto,
il
giudaismo,
sia filosoficosia
religioso.
Per
pur
tenendo conto di tutti
questi
influssi
parziali,
essi
impalli-
discono dinanzi al
genio
cartesiano,
che abbraccia e
compenetra
tutto il
pensiero
di
Spinoza
nellEtica.
Qui, non solo
egli
adotta il razionalismo
di
Cartesio, ma lo
spinge
fino alle estreme
conseguenze: egli
non com-
batte la
metafisica
di Cartesio che
per
superarla, appoggiandosi
sul meto-
do cartesianoml
Il
prolegomenognoseologico
Costruire o non costruire una metafisica, costruire una
metafisica di
indirizzo
non
platonico,
aristotelico,
agostiniano,
tomistico,
cartesiano
ecc.,
in definitiva
dipende sempre
dalla teoria della conoscenza
che si
condivide.
Questo
spiega perch
un
preambolo gnoseologico

sempre
necessario se non
si vuole costruire un
edificio metafisico sulla sabbia.
Di
questa esigenza
i metafisici
moderni,
che considerano come asso-
lutamente
prioritario
il
problema gnoseologico,
sono
tutti
pienamente
consapevoli,
anche
Spinoza. Egli
avverte
l'importanza
di
questo proble-
ma,
ma il
suo modo cli affrontarlo molto diverso da
quello
di Cartesio.
Profondamente cartesiano in metafisica e
anche nella
metodologia
(as-
siomatico-deduttiva)
della
metafisica,
Spinoza
non lo altrettanto in
gnoseologia,
e
questo perch egli
vuole essere
pi
fedele al metodo
geo-
metrico dello stesso Cartesio. Cos
egli
si libera velocemente dalla insi-
dia del dubbio
metodico, a cui dedica soltanto il
seguente paragrafo
del
De emendationeintellectus:
Se
qualche
scettico resta ancora
dubbioso di fronte alla
prima
verit
(la cui luce si
impone
da s
immediatamente) e a ci che da essa deri-
va,
o
egli parla
sicuramente contro ci che
egli pensa
realmente, o dob-
biamo riconoscere che
qualcuno
accecato nel suo
spirito
sin dalla
nascita
oppure
a causa di
pregiudizi
dovuti a
qualche
fattore esterno?
1) I. MARCHAL,
Le
poinf
de
dparz
de la
nzthaphysique
II,
Paris
1942,
p.
89.
3) De emendatione
intellectus,
ed. Van Vloten-N. Land,
LAia
1914,
vol.
I,
p.
14.
Spinoza
e
la
metafisica
della sostanza 161
Nella sua
gnoseologia Spinoza prende
in considerazionele Varieforme
di
conoscenza,
stabilisceil loro
grado
di Verit e
indica il metodo da
se-
guire per
ottenere il
grado pi
elevato,
mediantela
conoscenza intuitiva.
Della
questione gnoseologica Spinoza
si
occupa
incidentalmente
anche
nelltica, ma nel De entendatione intellectus che
egli
affronta il
problema
in modo sistematicoe
approfondito.
L'obiettivoche il filosofo
olandese si
propone
in
quest'opera

agli antipodi
di
quello
che
aveva
indotto Cartesio a scrivere il
suo Discorso sul metodo. Cartesio voleva
dimostrare che la nostra conoscenza
ha
un indubbioValore
per
assicura-
re un
solido fondamento
non
alla metafisica bens alla
scienza,
alla
sua
fisica in modo
particolare.
Cos il suo obiettivo
scoprire
una verit che
funga
da cardine di tutte le altre. Per
contro,
in
Spinoza
il
problema
gno-
seologico
ed
epistemologico
finalizzato
all'etica;
cos la sua ricerca non
rivolta alla
scoperta
di
una verit
primaria
e inconcussa,
bens del
vero
bene,
di
quel
bene che
procura
all'uomo la
piena
realizzazionedi
se stes-
so e
quindi
la felicit. Ecco
quanto
scrive
Spinoza
nellesordio del De
emendatione:
Dopo
che
l'esperienza
mi ebbe
insegnato
che tutto ci che suole
accadere nella vita ordinaria Vano e futile,
poich
mi
accorgevo
che
tutte le cose
per
le
quali
temevo o
che temevo non erano in s n
buone n
cattive, se non in
quanto
il mio animo si facevada
esse
sti-
molare,
decisi alla fine di
cercare,
se ci fosse un bene vero e
capace
di
comunicarsi, e dal
quale
soltanto l'animo
potesse
essere soddisfatto,
una
volta
rigettati
tutti
gli
altri
beni; se ci fosse
per giunta qualcosa,
grazie
al cui ritrovamentoe
acquisizione
io
potessi godere per sempre
una
gioia
continua e
grandissima
(continua ac sunrma in aeternum
frue-
rer laetitia).3
Non solo la
gnoseologia,
ma
anche tutta la
metafisica, come si Vedr,
in
Spinoza,
finalizzata
all'etica;
di
qui
il titolo del
capolavoro spin0zia
no
Ethicaordine
geometrico
demonstrata.
Cos,
logicamente,
il
primo quesito
di
Spinoza
Verte sul Vero bene e
Fagevole
dimostrazionedel vero bene non
pu
consistere nelle ricchez-
ze, negli
onori o nel
piacere;
ma
neppure
il vero bene viene
riposto
da
Spinoza
in
qualche
supremo principio
del
bene, esterno all'uomo;
il
Vero
bene relativo all'uomo: il bene che consente all'uomo la
piena
realiz-
zazione di
se stesso, L'uomo stimolato a ricercare i mezzi che
possano
condurlo a tale
perfezione:
tutto ci che
pu
servire a
questo scopo
come mezzo si chiama
vero bene: sommo bene
poi giungere
al
punto
di fruire di tale
natura, se ci
pu
avvenirem:
3) una,
13.3.
4) 11nd,,
p.
6.
162 Parte seconda
Ma la ricerca del vero bene-
come la ricerca della verit
per
Cartesio
-
esige
un esame accurato
degli
strumenti conoscitivi di cui l'uomo
dispo-
ne e
la verifica di
quale
di essi sia in
grado
di
svelargli quale
sia il Vero
bene. A
questo punto Spinoza compie
una sua
rassegna
dei vari modi di
conoscenza
di cui
l'intelligenza
umana dotata, conoscenza
che nel De
emendatinnechiama
perceptio
e nellfthica
cognitio.
Nel De emendatione
egli distingue quattro generi
di
perceptio:
1) ex
auditu; 2)
ab
experientia zaalqa;
3)
raziocnativa
(essentia
rei ex alia re conclu-
ditur); 4)
intuitiva
(res
percipitur per
solam suam essentiamfi
NelYEthicai
primi
due
generi
sono unificati e ridotti a uno solo; cos si hanno soltan-
to tre
tipi
fondamentali di
conoscenza,
che
sono
Collegati rispettivamen-
te alla
immaginazione(imaginatio),
alla
ragione
(ratio) e alla scientia intui-
tiva. Alla
immaginazione(anticipando
Hume)
Spinoza
ascrive la forma-
zione delle idee universali
(che
egli
chiama indistintamente
imagines
universales,
notiones u-niversales,
ideae
surmne
Confusae).
A
questo genere
non
appartengono
soltanto le idee dei
generi
(animalit) e delle
specie
(umanit) ma
anche dei trascendentali
(bont, bellezza, essere,
verit
ecc.).6
La ratio la
conoscenza
raziocinativao dimostrativa,
la
quale
ot-
tiene idee
adeguate
dell'essenza delle cose e
delle loro
propriet,
median-
te il
ragionamento.
Infine la scientia intuilitva fa
conoscere direttamente e
adeguatamente
l'essenza della realt e tutto ci che
essa include:
pro-
priet,
attributi, modi,
ossia tutta la realt:
Questo
genere
di
conoscen-
za
procede
dallidea
adeguata
della essenza formale di alcuni attributi
di Dio alla conoscenza
adeguata
della
essenza delle Cose? Tutte le idee
sono
in Dio e
in
quanto
si riferiscono a Dio sono vere e
adeguata.
Ovviamentedei tre
generi
di
conoscenza
il
migliore

l'ultimo,
perch
solo
questo
fa
comprendere
l'essenza
adeguata
della
cose
(comprehendit
essentiam rei
adaequatam)
senza incorrere in alcun
pericolo? perci

quello
che va
maggiormente
ricercato.
Piantato fermamente il chiodo robusto della
conoscenza intuitiva,
unica conoscenza vera e
adeguata, Spinoza passa
a trattare del metodo
per
conoscere
le
cose
mediante
questo tipo
di
conoscenza:
Postquam
novimus
quaenam Cognitio
nobis sit
necessaria,
tradenda est Via et Methudus,
qua
res,
quae
sunt
Cognoscendae,
tali
cogrzitiorze cognoscamus
(Dopo
aver
conosciuto
quale
Conoscenza sia necessaria
per
noi,
bisogna
indicare la
Via e il Metodo
con il
quale possiamo
conoscere con
tale conoscenza
le
cose
che si devono
conoscere)>>.10
s) Cf.
ibid,
p.
7.
6) Cf. Ethica
Il, XL,
sch. 1 et 2.
7) Ibid,
sch. 2.
S)
lbid.
Il,
XXVI dem.
9) De emcndatione,
p.
10.
m) Ibia.
Spinoza
e la
metafisica
della sostanza
163
Il metodo di
Spinoza
non
pu
essere
che il metodo assiomatico-de-
duttivo, ossia il metodo
geometrico
cartesiano che
Spinoza
chiama
an-
che riflessivo"
-,
che
per egli
intenzionatoad
applicare pi rigorosa-
mente e alla lettera di
quanto
non avesse fatto l'autore del Discorso sul
metodo.
In che
cosa consista il metodo riflessivo detto chiaramente nel
se-
guente
passo
del De ernendationeintellectus:
Il metodo non altro che
conoscenza riflessiva
o idea della
idea; e
poich
non si d idea della
idea, se
prima
non si dia
l'idea, non ci sar
metodo, se
prima
non si dia l'idea. Perci sar buon metodo
quello
che mostra come sia da
guidare
la mente secondo le
regole
della idea
vera data.
Dunque,
dal momento che il
rapporto
che intercorre fra
due idee il medesimo che
quello
sussistente fra le
rispettive
essenze
formali,
segue
che la
conoscenza riflessiva
(cognitinnenz. reflexizram)
dell'idea dell'Essere
perfettissimo
sar
superiore
alla
conoscenza
riflessiva di tutte le altre
idee; ossia sar
pi perfetto
il
metodo,
che
mostra come sia da
guidare
la mente secondo la
norma dell'idea data
daYEssere
perfettissimo.11
Ci che
questo
metodo
presuppone
l'intuizionedell'idea madre di
tutte le
idee,
da cui
poi
si ricavano riflessivamente
e deduttivamente
tutte le altre. Per Platone
erano le Idee del Bello
e del
Bene,
per
Plotino
l'Idea
dellUno,
per
Cusano l'idea del
Massimo,
per
Cartesio le Idee del
Perfetto
e dell'Infinito. Per
Spinoza
l'Idea di Dio inteso
come Sostanza.
Questa
un'idea innata
e non
acquisita perch
soltanto un'idea innata
pu
essere intuita. Scrive
Spinoza
a
questo proposito:
Allo stesso modo che
gli
uomini al
principio
con strumenti innati
poterono
fare alcune
cose molto
facili,
seppure
a fatica
e
imperfetta-
mente, e con
queste
cose cos fatte
ne fecero altre
pi
difficili
con mino-
re fatica
e
pi perfettamente, e in tal modo
gradualmente procedendo
da
opere
molto
semplici
a strumenti
e
dagli
strumenti ad altre
opere
e
strumenti
sono
giunti
al
punto
di
produrre
tante cose e assai difficili
con
poca
fatica, cos anche l'intelletto
per
la
sua forza innata
(in tellectus
m
sua nativa)
si
procura
strumenti
intellettuali, e da
queste opere
altri
strumenti,
ossia la
potenza
di ricercare
ulteriormente, e cos
procede
grado
per grado
fino
a
raggiungere
il culmine della
sapienzam
Cos,
posto
il cardine della madre di tutte le
idee, Dio,
partendo
da
questa
stessa idea
Spinoza pu
costruire
geometricamente" tutto il
suo
edificio
metafisico, un edificio molto
pi
sobrio dei
grandiosi
edifici
assiomatico-deduttivi di
Plotino, Porfirio, Proclo, Cusano, Bruno e dello
H)
Ibid.,p.12.
l?) lbxd,
p.
lO.
164 Parte seconda
stesso Cartesio: tutto il suo
edificio si concentra infatti esclusivamente
su
due realt: Dio e
l'uomo.
Le considerazioni
precedenti contengono praticamente
tutta la dottri-
na
della conoscenza
di
Spinoza.
Essa
presuppone
l'immediatezza della
verit,
l dove
l'oggetto
e colto
dall'intelligenza
intuitivamente:
Ad
pro-
bandam veritatem et bonum ratiociniiznz,
nullis n05
egere
instrmizerzts,
nisi
ipsa
meritate et bono ratiocinio (Per
provare
la verit e il buon
ragionamen-
to noi non
abbiamo
bisogno
di alcun altro strumento se non
la verit
stessa e il buon
ragionamento).13
Infatti il buon
ragionamento
viene
comprovato
soltanto
ragionando
benem La verit non
ha
bisogno
di
garanti
esterni e
diviene
palese
mediante la
perfetta
coerenza
razionale
del
pensiero.
Da
questi principi generali Spinoza passa
a
studiare le loro
applicazio-
ni:
Incipim-rzrrs itaqrle
a
prima parte
methodi,
quae
est
distinguere
Ideam
Veram a coetcris
perceptionibzis
(Iniziamo perci
dalla
prima parte
del
metodo che
distinguere
lIdea vera
dalle altre
percezioni)>>.15
Il De anten-
datione
sviluppa
soltanto
questa parte,
che tuttavia la
pi importante
poich
virtualmente
comprende
tutte le altre.
Spinoza distingue
tra idee
fittiziee idee vere.
L'idea fittizia (idea fitta)
frutto della
immaginazione,
mentre l'idea vera
prodotta
dallintelletto
oppure
dalla
ragione.
L'idea
fittizia
sempre
confusa e
complessa.
Invece l'idea vera
chiara
e
distin-
ta,

semplice,
o
nell'eventualitche sia
composta,
sono
chiari
gli
elemen-
ti che la
compongono.
L'idea vera innata
oppure
il risultato della
riflessione. L'idea vera si ottiene
riproducendo
l'ordine
oggettivo
della
natura,
onde sar necessario,
per
rispettare
il
giusto processo
dell'intelli-
genza,
ricavare le idee dalle
cose
reali secondo la successione delle cause.
A scanso
di malintesi
Spinoza precisa
che le cose
reali non sono
le cose
come mutevoli,
bens le cose
fisse ed eterne ossia le essenze e
le
leggi
che
vi sono
iscritte e
secondo le
quali
le cose
mutevoli mutano.
Distinguendo
la conoscenza
sensibileda
quella
razionale e intuitiva,
Spinoza
da un
lato mostra i limiti del
sapere
fondato sulle sensazioni e
sullimmaginazionee,
dall'altro,
stringe
in unit il
sapere
razionale e
quello
intuitivo,
cio scienza e metafisica,
da cui unicamente
garantita
la verit. Tuttaviasi deve
aggiungere
che il
rigore
razionale di
Spinoza

impregnato
di motivi
misticheggianti
e
neoplatonzzanti,
ad
esempio,
quando
nel Breve Trattato si dice che l'uomo si trova in comunione con
Dio e
la conoscenza
intuitiva della cosa
godimento
della cosa stessa, e
nella Parte
Quinta
dell'Etica si afferma che dal terzo
genere
di conoscen-
za deriva Pamore intellettuale dell'uomo
per
Dio, ma
questo
amore
altro
non
che l'amore di Dio col
quale Egli
ama se stesso.
13) Ibid,
p.
14.
14)
Ihid.
l5) Ibid,
p.
15.
Spinoza
e la
metafisica
della sostanza 165
Lo
scopo
della filosofiadi
Spinoza,
che coincide anche
con una
preci-
sa scelta
metodologica,
di dare
una definizionedel mondo e delle
cose
umane,
che sia sostenuta nel modo
pi rigoroso
da
ragioni
scientifiche
e
sia,
perci,
libera da
pregiudizi, superstizioni,
arbitri
e fantasticherie. E
questo
il motivo
principale
per
cui
Spinoza
nell'Etica adotta il
tipico
mos
geometricus,
che
l'espressione formale,
nei limiti della cultura secente-
sca, dell'interpretazione
scientifica dell'universo. ln
generale
si deve
dire -
come osserva
giustamente
G. Semerari che
Spinoza
elabora le
sue tesi sforzandosi di
sviluppare logicamente,
conducendole sino alle
estreme
conseguenze,
le
proposte
che
gli vengono
dalle fonti alle
quali
si riferisce. Tale
sforzo, mentre caratterizza nella maniera
pi originale
la filosofia
spinoziana
la mette nondimenoin una altrettanto caratteristi-
ca
posizione
di
ambiguit
per
la
quale essa,
pur
sotto la
superficie
di
una straordinaria
coerenza,
risulta
legata
a motivi
contraddittori, sicch
della filosofiadi
Spinoza
si
pu
dire,
ad
esempio,
come infatti accadu-
to, tanto che ateismo
quanto
che acosmismo.Da ci deriva
quel tipi-
co oscillaredella filosofia
spinoziana
tra
punti
di vista
opposti,
tra teolo-
gismo
e
antropologismo,
tra monismo
e
pluralismo,
tra sostanzialismo
e
fenomenologismo,
tra razionalismo
e
antropomorfismo>>fl6
La metafisica della Sostanza
La metafisica
sempre
un tentativo di visualizzare
lIntero, ma non
una
contemplazione,
bens
uno
sguardo
sull'intero da
un determinato
punto
di vista:
quel punto
di vista che ritenuto massimamente
com-
prensivo
ed
esplicativo
di tutto ci che l'intero abbraccia.
I due creatori della metafisica
classica, Platone
e Aristotele, non erano
riusciti ad
avere una visualizzazionedell'intero
pienamente
soddisfacen-
te
perch mancava loro un'unica
causa
suprema
del tutto.
Nellepoca
classica,
alla
visualizzazione
onnicomprensiva
e
onniesplicatvagiunsero
i
neoplatonici ponendo
lUno
quale principio
supremo
ed esclusivo di
ogni
realt. Ma nella
costruzione della loro metafisica unitaria i
neoplato-
nici
erano
gi
debitori d.ella metafisica
religiosa
di Filone
e
di
Origene.
Nella metafisica cristiana che
poteva
contare sul
concetto dell'unico
Dio,
la
visualizzazionedell'Intero avviene molto
pi agevolmente,
per-
ch ovvio che Dio
principio
unico di
ogni cosa, poich
tutte le
cose
sono conosciute, volute
e create da
Lui, e che l'uomo riesce ad
avere una
comprensionepiena
della realt nel mondo in cui riesce a vedere tutte le
cose in Dio. La metafisica
cristiana,
oltre che sulla verit dell'unico
Dio,
poteva
contare anche
su molte altre verit
rivelate,
che le
consentivano
16)
G.
SEMERARI, Benedetto
Spinoza,
in Grande
antologiafilnsofca,XIII,
p.
6.
166 Parte seconda
di
allargare
il suo
sguardo
sull'Intero. Tuttavia erano
sempre
considera-
zioni limitate,
fatte da determinati
punti
di
vista,
attraverso
determinati
attributi di Dio. Cos l'Intero veniva visto attraverso
l'attributo della Ve-
rit
(Agostino),
della Bont
(Pseudo-Dionigi),
della Grandezza (S.
Ansel-
mo),
della Perfezione (Bonaventura),
dell'Essere (Tommaso),
delllnfinit
(Scoto) ecc.
Nel1'Intero tali
perfezioni
si
presentano
in tutto il loro
fulgore
in
Dio, e con
luminosit
pi
o meno
grande
anche nelle creature. Tutte le
metafisiche cristiane hanno una
visione dellIntero che
sempre
rispetto-
sa
oltre che di Dio anche delle sue creature,
di
quelle
immateriali
(Ange-
li) e
di
quelle
materiali;
soprattutto
attenta e
rispettosa
verso l'uomo,
la
creatura
pi
amata
da
Dio,
{mago
Dei, e
vicario di Dio in
questo
mondo.
Tuttala metafisica cristiana costruita sullarmonia tra fede e
ragione.
Spinoza
un
rrzetafisico
moderno,
che fa camminare
la metafisica sulle
sue
gambe, tagliando
il cordone ombelicaleche l'aveva tenuta
legata
alla
teologia
e
ignorando
completamente
il discorso che la Tor" e
il
Vangelo
avevano
fatto su
Dio. Come i
neoplatonici
anche
Spinoza pone
al vertice di tutta la realt un
unico
principio.
Ma visto da
quale prospet-
tiva?
Spinoza
assume
la
prospettiva
della sostanza:
quella prospettiva
che aveva
gi
consentito ad Aristotele di costruire un Vasto e
robusto
sistema
metafisico. Anche la metafisica di
Spinoza
sostanzialmente
una
usiologia;
ma mentre
la
usiologia
di Aristotele era
induttiva e
plura-
listica,
quella
di
Spinoza
deduttiva e
monistica.
Egli pone
a
fondamen-
to di tutto un'unica sostanza che assorbe ed esaurisce in se stessa
qual-
siasi altra realt. Cos l'ebreo olandese costruisce il
pi compatto
e
pi
rigoroso
monismo
usiologico
che si
potesse
immaginare.
Pur costruita
deduttivamente,
nella metafisica
spinoziana
di
per
se non
c' nessuna
deduzione, perch
non
c' nulla da dedurre al di fuori della divina
sostanza. C' solo un'intuizione fondamentale,
l'intuizione
di
quella
somma,
chiarissima e
perfettamente
adeguata
idea che abbraccia
ogni
altra idea: l'intuizione
dell'idea di Dio. Cos
quella
visione di tutte le
cose
in Dio di cui
parlava
Malebranche,

pienamente
riuscita a
Spinoza
che vede tutte le cose
sub
specie
aeternitatis.
Dopo queste
considerazioni
preliminari
che ci forniscono la chiave di
lettura della metafisica
spinoziana,
vediamo ora come essa
viene strut-
turata, con
rigorosit
matematica
ricorrendo al metodo assiomatico-
deduttivo
proprio
della
geometria
euclidea.
Il titolo del
capolavoro
di
Spinoza,
Ethicaordine
geometrico
demonstruta
non
deve trarre
in
inganno,
poich
anche
se
la
parte
conclusiva
dellbpe-
ra riguarda propriamente
l'etica,
le
quattro
parti
che la
precedono
sono
dedicate alla
teologia
naturale e
alla
antropologia
filosofica. Di fatto
lEthica la "summa filosofica
di
Spinoza.
Come abbiamo
gi
detto,
]EthiCa divisa in
cinque parti
che trattano
rispettivamente:
Spinoza
e la
metafisica
della sostanza 167
PARTE PRIMA: De Dea. Dio viene studiato sotto il
nome di "sostanza".
Se ne d la definizione
e
poi
si esaminano i suoi attributi
(pensiero
ed
estensione) e
le
sue
propriet:
unit, causalit,
semplicit,
libert, eter-
nit, ecc.
PARTE SECONDA: De natura et
origine
mentis.
Qui
si
parla
della natura
dell'uomo, con
particolare riguardo
per
la sua
parte spirituale,
l'anima,
e
i suoi
rapporti
col
corpo.
PARTE TERZA: De
origine
et natura
aficctuum.
Tratta
dell'origine
e della
natura delle
passioni.
PARTE
QUARTA:
De servitute immuni: seu de
afiectuum
viribus. Studia la
forza delle
passioni
e
la
soggezione
dell'uomo alle medesime. Alla fine
si illustranole Virt dell'uomo libero.
PARTE
QUINTA:
De
potentia
intellectus
seu
de iibertate humana.
Questa
ultima
parte
tratta della libert che l'uomo
pu acquistare
sottometten-
do le
passioni
al dominio delia
ragione.
Una volta
soggiogate
le
passioni
l'uomo in
grado
di
raggiungere
la
felicit, il Sommo
Bene,
che consiste
nell'Am0r intellectuaiis Dei.
Soltanto le
prime
due
parti riguardano
la
metafisica,
che una meta-
fisica ridotta
all'osso,
in
quanto prende
in considerazione solo due
realt,
Dio e l'anima
(la mente).
Noi
qui
ci
occuperemo soprattutto
della
prima,
che
quella
che caratterizza
maggiormente
lo
spinozismo.
LE DEFINIZIONI E GLI ASSIOMI DI PARTENZA
Volendo costruire il
suo sistema metafisico deduttivamente
e
geome-
tricamente,
all'inizio
Spinoza pone
una serie di definizioni
e
di assiomi
che
fungono
da fondamento
e
da base di tutta la costruzione. Li trascri-
viamo cos
come sono
disposti
da
Spinoza
anche
se l'ordine delle defini-
zioni
e
degli
assiomi
potrebbe
essere diverso,
perch
in sede
logica
si
potevano
collocare al
primo posto
la definizione di sostanza come
la
definizione di
Dio,
essendo
queste
le Idee madri da cui
Spinoza
ricava
tutte le altre idee.
Le
definizioni
sono otto
e sono le
seguenti:
I. Per causa di s
(causamsui)
intendo ci la cui essenza
implica
l'esisten-
za,
ossia ci la cui natura non
pu
essere
concepita
se non come esistente.
II. Si dice finita nel
suo
genere quella
cosa che
pu
essere delimitata
da un'altra della stessa natura. Per
es.,
il
corpo
si dice
finito,
perch
ne
concepiamo
un altro
sempre pi grande.
Cos
un
pensiero
Viene limitato
da
un altro
pensiero.
Ma
un
corpo
non limitato da
un
pensiero,
n un
pensiero
da
un
corpo.
III. Intendo
per
sostanza ci che in s e
per
s viene
concepito (quod
in se est et
per
se
concipit-ur):
vale
a
dire ci il cui concetto non
abbisogna
del concetto di un'altra cosa da cui debba
essere formato.
168 Parte seconda
IV. Per attributo intendo ci che l'intelletto
percepisce
della
sostanza,
come costituente la
sua essenza.
V. Per modo intendo le affezioni della sostanza (substantaeafiectones)
ossia ci che in altro
per
il cui mezzo
viene anche
concepito.
VI. Per Dio intendo un essere
assolutamenteinfinito, cio una sostan-
za costante di infiniti
attributi,
Ciascuno dei
quali esprime
l'essenza infi-
nita ed eterna.
VII. Si dice libera
quella
cosa
che esiste
per
la sola necessit della sua
natura ed determinata soltanto da s ad
agire;
si dice invece necessaria
o
piuttosto
coatta
quella
che Viene determinata a esistere e
operare
in
una certa e
determinata maniera.
VIII. Per eternit intendo la stessa esistenza,
in
quanto
si
pensa
che
segua
necessariamentedalla sola definizioneda una cosa eterna.
Gli assiomi sono sette e sono i
seguenti:
l. Tuttele cose
che
sono,
sono o
in s o
in
un
altro.
II. Ci che non
pu
essere
concepito per
altro,
deve essere
concepito
per
se.
III. Da una data causa
determinata
segue
necessariamente un effetto,
e
al
contrario, ove non sia data alcuna causa determinata
impossibile
che
segua
un effetto.
IV. La conoscenza
dell'effetto
dipende
dalla conoscenza
della causa e
la
implica.
V. Le cose
che non
hanno nulla di Comune tra loro
non
possono
nem-
meno essere
intese l'una
per
mezzo dell'altra,
ossia il concetto dell'una
non
implica
il concetto dell'altra.
VI. L'idea vcra
deve accordarsi col suo
ideato.
VII. L'essenza di ci che
pu
essere
pensato
come non esistente non
implica
l'esistenza.
In
precedenza
abbiamoVisto che nella metafisica cartesiana
scompa-
re la distinzione tra metafisica
generale (ontologia)
e
speciale (teologia
naturale,
antropologica, cosmologia),
e
il
posto
di
quella generale
viene
preso
dallepistemologia:
risolto il
problema
della conoscenza
Cartesio
affronta immediatamente il
problema
di Dio e
il
problema
dell'anima.
La stessa
semplificazione
la ritroviamo nella metafisica
spinoziana:
non
c' nessun
discorso
generale
sull'essere, mentre, come si visto,
c' un
articolato discorso sul conoscere (De
emendatione irztellectus). Per, con
un
po
di buona volont, una
"mini-ontologia"
si
pu
ricavare dalle
definizioni e
dagli
assiomi della Parte Prima dell'Etica. Vi si
definisce,
infatti,
lEssere che viene identificatocon
la
sostanza,
si definiscono inol-
tre le
grandi ripartizioni
dell'essere,
in finito
e infinito,
in necessario e
libero;
si definiscono i concetti di
causa,
eternit,
accidente (modo),
attri-
buto, essenza,
esistenza. Meno i concetti di materia e forma,
di atto e
Spinoza
e
la
nzetafisica
della sostanza 169
potenza,
in
questa mini-ontologia"
abbiamo
praticamente
tutti
gli
ele-
menti essenziali
dellbntologia
aristotelica.
Tutte le definizioni di
Spinoza
meriterebbero
un
lungo esame,
sia sto-
rico sia
teoretico,
per scoprire
le fonti scolastiche da cui il filosofoolan-
dese le ha ricavate
e
le variazioni che
egli
vi ha
apportato per
farle
qua-
drare
con il
proprio
sistema; ma
questa
ricerca
va ben oltre l'economia
del
presente
lavoro. Cos ci limiteremo
a
qualche
breve
segnalazione.
Osserviamo anzitutto che sostanzialmente conformi alla tradizione
scolastica sono le definizioni che
Spinoza
d di
Dio, attributo,
infinito
e
finito; mentre
importanti
innovazioni
compaiono
nelle
sue
definizioni di
causa,
sostanza e
libert.
Causa
Aristotele aveva distinto
quattro
Cause: materiale, formale,
efficiente
e finale. In
Spinoza scompaiono completamente
sia la
causa materiale
sia la
causa finale:
uno dei
punti
forti della
sua metafisica la
negazione
del
finalismo, frutto, a suo
parere,
di
una
immaginazioneinfantile;men-
tre la materia viene assorbitanella res extensa. Cos
Spinoza
nel suo con-
cetto di
causa fa confluirela
causa efficiente, come
principio
della
pro-
duttivit di
una
cosa,
e
la
causa formale, come
principio
di
intelligibilit.
Ecco, allora,
che
causa di
se stesso
(causa sui)
ci la cui natura conce-
pita
necessariamente
come esistente, mentre causa
adeguata

quella
il
cui effetto conosciuto chiaramente
e distintamente
per
mezzo di
es-
sa;18
ma e
vero anche il contrario: causa
adeguata

quella
che rende
pienamente intelligibile
il
suo effetto fino ai minimi
dettagli,
inclusa la
sua esistenza. IJEssere
primo,
Dio,

perfettamente intelligibile
in
se
stesso e
da
se stesso: conoscerlo riconoscere immediatamente la sua
esistenza. Pertanto
egli

propriamente
causa sui: l'essere la cui essenza
implica
l'esistenza.
Sostanza
Alla definizione che
Spinoza
d di
questo
concetto
occorre
prestare
grande attenzione,
perch
su tale concetto che
egli
costruisce -
geometri-
camente -
tutto il suo edificio metafisico. La
sua metafisica, come abbia-
mo
gi
detto,
una
usiologia,
e una
usiologia radicale,
ossia monistica.
Anche nella definizionedi sostanza
Spinoza
fa confluiredue elemen-
ti: il classico elemento della sussistenza
(in se est) e
il
nuovo elemento
della
intelligibilit(per
se
concipitur).
Il secondo elemento
per Spinoza
I7) Per un'accurataanalisi delle matrici dei termini chiavi della metafisica
spinozia-
na cf. H. A.
WOLFSON,
The
Philosophyof Spinoza,
New York
1958,
pp.
61-158.
l) Etlzica
III, def. 1.
17D Parte seconda
conta
pi
del
primo;
infatti nella seconda definizione
egli
tralascia il in
se est, e conserva
soltanto il secondo: id cuius
conceptus
non
indigct
con-
ceptu
alterius rei.
Per dare una
pregnanza
cos forte al concetto di sostanza
Spinoza po-
teva richiamarsi a Cartesio,
il
quale
aveva
definito la sostanza come n35
quae
ita
existit, ut nulla alia re
indigcat
ad existendum. Per 10 stesso
Cartesio aveva osservato che,
preso
alla
lettera,
questo
concetto era
applicabile
solo a Dio; e
che
per
applicarlo
alle creature
-
analogicamen-
te -
era
necessario
apporvi
la
seguente aggiunta:
res
quae
solo Dei con-
cursu
egcnt
ad existendum.
La definizione di Cartesio
salvaguarda
le distinzioni essenziali che
non
pu
sacrificarenessuna
metafisica non
panteista.
Perch
Spinoza,
che conosceva
sicuramente
queste
distinzioni,
ritiene necessario abban-
donarlee
restringere
la nozione di sostanza a
quella
di
indipendenza
as-
soluta? Ci dovuto certamente a una
ragione profonda
e non a
scelte
arbitrarie; una
ragione profonda
che
esigeva
la modifica,
chiaramente
voluta,
della definizionecartesiana.
Cartesio aveva
bisogno
di
un
concetto duttile,
analogico
di sostanza
perch
la sua metafisica,
ancorch
separata
dalla
teologia,
non voleva
entrare in conflitto con
la scienza sacra. Questi scrupoli
dottrinali nel
"laicissimo
Spinoza scompaiono completamente; egli
lascia cadere
come
superate
le concessioni che Cartesio aveva
fatto alla Scolastica
per
restare
integralmente
fedele ai suoi
principi gnoseoltigici
e
metafisici. Il
filosofo olandese abbandona,
quindi,
anche il
principio dellanalogia.
l
suoi concetti
rigorosamente
scientifici sono
tutti univoci e
descrivono
adeguatamente
la realt che
rappresentano.
Pertanto il concetto di so-
stanza si
applica
esclusivamente e univocamente allEssere
primo
e non
c'
posto per
un'applicazioneanalogica
di tale concetto ad altre sostanze
seconde o
participate".
Libert
Ancora
pi profonda
la revisione
operata
da
Spinoza
nella definizio-
ne
del concetto di libert.
Egli
esclude
categoricamente
che la libert con-
sista nel liberumarbitriumo
nella electio
(scelta)
perch
a suo
giudizio
un
arbitrioo una
scelta
suppongono
una
inadeguata
conoscenza
delle cose.
Perci
Spinoza
riduce la libert alla
spontaneit,
e
questa
e una
qualit
di
chi
opera
secondo le
leggi
della
propria
natura, e non subisce nessuna
costrizionedall'esterno.
Questa libert,
che coincide con
la necessit della
natura, non
esclude il determinismo interno, e non
appartiene
che a Dio:
Sequitur...
solum Deum esse causam
Ziberamm
19) lbiii,I,
Prop.
XVII,
coroll. 2.
Spinoza
e la
metafisica
della sostanza 171
CONSIDERAZIONI
PRELIMINARI SULLA SOSTANZA
Bench la Parte
prima
dell'Ethicasia intitolata
a Dio,
De
Dea,
avendo
Spinoza
assunto come idea chiave della sua metafisica l'idea di sostan-
za, egli
inizia
logicamente
la sua
TIflESSOHE
(deduzione) illustrandoalcu-
ne
propriet
fondamentali della sostanza: la
priorit
della sostanza ri-
spetto agli
accidenti
(Prop.
I);
la necessit della
sua esistenza,
perch
questo
rientra nella
sua stessa definizione
(Prop.
VII);
l'impossibilit
che
una sostanza sia
prodotta
da altre sostanze
(Prop.
VI),
perch
anche
que-
sto rientra nella definizionestessa della sostanza
(di essere
concepita
da
se stessa);
impossibilit
che esistano due sostanze della stessa natura e
con i medesimi
attributi,
perch
sarebbero
indistinguibili(Prop.
V).
Ogni
sostanza necessariamente
infinita perch
non c' nulla che la
pos-
sa limitare. Ecco come
Spinoza
prova questo punto:
Non esiste se non una sola sostanza di
un
solo attributo
(per
la
Prop.
V) e
alla
sua natura
appartiene
Pesistere
(per
la
Prop.
VII).
Sar dun-
que proprio
della sua natura l'esistere
o come finita
o come infinita.
Ma non esiste come finita. Infatti
(per
la Def.
II) dovrebbeessere limi-
tata da un'altra della stessa
natura,
che dovrebbe
pure
esistere
neces-
sariamente
(per
la
Prop.
VII); e cos vi sarebbero due sostanze del
medesimo attributo la
qual
cosa assurda
(per
la
Prop.
V). Esiste
dunque
come infinitam"
Ovviamente,
poich
la sostanza infinita
non
potendo
esserci due
infiniti
esiste una sala sostanza. Con
questo
solido retroterra
usiologico
Spinoza pu agevolmente impostare
e
svolgere
il
suo discorso su Dio,
al
quale
unicamente
spetta
il titolo di sostanza
perch
Dio solo colui che
esiste
per
s ed
concepito
da se stesso. Il discorso
su Dio inizia con la
bella definizioneche
Spinoza
aveva
gi
inclusa tra le definizioni
generali
con cui
apre
la Parte Prima dell'Etica: Dio la sostanza che consta di infi-
niti
attributi, ciascuno dei
quali esprime
un'essenza eterna e infinita>>.21
PROVEDELUESISTENZA DI DIO
L'obiettivoche
Spinoza
si.
propone
nella
sua dimostrazione dell'esi-
stenza di Dio di
provare
che
quella
di Dio non un'idea
fittizia", una
creazione della
fantasia, una illusione, un fantasma, un
miraggio,
bens
una
idea
vera, reale,
cio un'idea che
rispecchia,
rappresenta, riproduce
una realt,
la realt dell'Essere
assoluto,
della Sostanza infinita. Le idee
fittizie
non sono mai idee di
cose, perch nessuna
ha
un
oggetto
reale
20) Ibirt,
Prop.
VIII,
dim.
21) lbid,
Prop.
XI.
172 Parte seconda
come
principio
e
nulla hanno di
fronte,
fuori dello
spirito.
Solo le esi-
stenze extramentali sono reali e le idee dello
spirito
sono reali unica-
mente nella misura in cui
rappresentano queste
esistenze extramentali.
Spinoza pertanto,
con
le
sue
prove
dell'esistenza di Dio vuole associare
che Dio non un essere fittizio, non un essere verbale, non un essere
di
ragione,
bens un essere reale il
quale
esiste fuori della nostra mente ed
la fonte e
la
contropartita
dell'idea che ne
abbiamo. La
sostanza,
dice
Spinoza,
fuori dell'intelletto,
vale
a
dire non

foggiata
dall'intelletto; e
soggiunge:
e fittizia soltanto
quella
concezione di Dio la
quale
usa
il
nome
di Dio fuori di
ogni
coerenza con
la sua natura reale.
Spinoza
non
si stanca di
ripetere
che l'idea di Dio un'idea
vera,
chiara
e distinta,
intuita direttamente e non
acquisita per
Via di
ragionamento,
un'idea
adeguata:
la
conoscenza
dell'eterna e infinita essenza
di
Dio,
che
ogni
idea racchiude,
adeguata
e vera,22 e, precisa Spinoza, per
idea ade-
guata
io intendo un'idea la
quale,
considerata in
s, a
prescindere
dal-
l'oggetto, possiede
tutte le
propriet
o tutti i
segni
interni di un'idea
vera.33 Per
Spinoza dunque
la realt dell'idea di
Dio,
in altri termini l'e-
sistenza di
Dio,
di
per
se evidente come un
dato di conoscenza
imme-
diata,
poich
noi
possiamo attingere
una conoscenza
di Dio altrettanto
chiara che
quella
del nostro
corpo.24
Stando cos le
cose,
di
per
s,
qualsiasi
dimostrazionedella esistenza
di Dio diviene
superflua.
Ma
poich Spinoza
sa
che
questo
un
argo-
mento
importante
che
nessun
filosofo
pu
trascurare e
che esiste
sempre
qualche
ateo che
finge
che Dio non c'e,
egli
si sente in dovere di addurre
delle buone
prove
che attestano che Dio esiste.
Dell'argomento egli
si
occupa
in tre
opere:
Cogliate metaphysira,
Breve trattato ed Etica.
Nelle
Propositiorzes
dei
Cogitata metaphysica espone
e commenta le tre
prove
cartesiane dell'esistenza di Dio. La
quinta proposizione
cos
enunciata: Conosciamo l'esistenza di Dio dalla sola considerazione
della sua natura;
la sesta
proposizione:
L'esistenza di Dio si dimostra
a
posteriori
dal solo fatto che c' in noi l'idea di
lui;
la settima
proposi-
zione: L'esistenza di Dio si dimostra anche dal fatto che noi
stessi,
che
ne
abbiamol'idea,
esistiamo.
Nel Breve trattato elabora un suo
schema delle
prove
dell'esistenza di
Dio,
dividendole in: a
priori
e a
posteriori.
Della
prova
a
priori presenta
due versioni:
1)
Tuttoci che noi chiaramentee
distintamente intendia-
mo
appartenere
alla natura di
una
cosa, possiamo
affermarlodi essa con
Verit. Ma che l'esistenza
appartenga
aila natura di Dio noi
possiamo
32) Ittici, ll,
Prop.
XLlV.
33) lbiCL,
Clef. IV.
24)
Traci brev.
ll,
19.
Spinoza
e la
metafisica
della sostanza 173
chiaramente e distintamente intendere.
Dunque
Dio esiste. 2)
Le es-
senze
delle cose sono
ab aeterno e
per
tutta l'eternit devono restare im-
mutabili.L'esistenza di Dio e essenza.
Dunque
l'esistenza di Dio eter-
na e
immutabile.25Della
prova
a
posteriori presenta
una sola versione
ma
ampiamente
articolata: in essa
Spinoza
fa vedere che dei/esserci una
causa
del
possesso
dell'idea di Dio da
parte
dell'uomo, e
che l'unica
Causa
adeguata
non
pu
essere
che Dio stesso. Alla fine del
capitolo,
valutando i due
procedimenti, Spinoza
dichiara
apertamente
che il
pi
valido
quello
a
priori:
Da tutto
questo, dunque, segue
chiaramente che Dio
pu
essere
dimostrato tanto a
priori quanto
a
posteriori.
Anzi molto
meglio
a
priori
che a
posteriori: poich
la dimostrazionea
posteriori
delle cose
avviene
per
una causa
ad esse
inferiore: ci che in loro un'evidente
imperfe-
zione, perch
esse non
possono
farsi conoscere da se stesse, ma
sol-
tanto in forza di cause esterne. Dio, tuttavia,
prima
causa
di tutte le
cose e
anche
causa
di se stesso si fa conoscere
per
se stesso. Perci
non
ha molto Valore
quanto
fu detto da Tommaso
d'Aquino,
che cio
Dio non
pu
essere
dimostrato a
priori, perch
non
ha causa?!
NelPEtica
per
dimostrare che Dio esiste
Spinoza
adduce
quattro
prove
di cui le
prime
due e
l'ultima sono
ontologiche
o a
priori,
mentre
la terza a
posteriori.
Quest'ultima
riferita
pi per
compiacere
i lettori e
per rispetto
alla tradizioneche tanto
spazio
aveva
sempre
concesso
alle
prove
a
posteriori,
che
per
il suo
intrinseco valore. In effetti,
in una
costruzione assiomatico-deduttiva come
la
sua,
dove tutto si basa sul-
lintuizionedell'idea
adeguata
di
Dio,
la sola
prova legittima
di
per
s
la
prova
ontologica
o a
priori.
La
Proposizione
XI recita: Dio,
ossia la sostanza
che consta di infiniti
attributi,
ciascuno dei
quali esprime
una essenza eterna e infinita,
esiste
necessariamente. Nella dimostrazione della verit di
questa proposi-
zione
Spinoza,
come
si detto,
adduce
quattro argomenti.
Primo
argomento
molto conciso ed una delle enunciazioni
pi Stringate
della
prova
ontologica,
basata sulla
impensabilit
che Dio non
esista:
Se
neghi
(che
la sostanza esista necessariamente),
pensa,
se ci
pu
accadere,
che Dio non
esista. La sua essenza
allora non
implica
l'esi-
stenza. E
questo
e assurdo.
Dunque
Dio esiste necessariamente.
25) Ibid.,
pars
I, c. 1.
35)
bid.
174 Parte seconda
Secondo
argomento

molto
pi ampio
e
pi
articolato del
primo,
e
procede, sviluppando
ulteriormente,
in modo analitico il concetto di sostanza e
quello
di
cau-
sa. Di
ogni
cosa
- afferma
Spinoza
- si deve
assegnare,
se esiste,
perch
esiste; se invece non esiste,
perch
non esiste.
Questa causa o
ragione,
0
contenuta nella
natura della
cosa,
0 si trova al di fuori di
essa:
E ci di
per
s manifesto. Da ci
segue
che esiste necessariamente
ci di cui non si d alcuna
ragione
n
causa,
che
impedisca
che
esso
esista. Se
pertanto
non si
pu
dare alcuna
ragione
n
causa
che
impe-
disca che Dio esiste o che
sopprima
la
sua esistenza,
si deve senz'altro
concludereche
egli
necessariamenteesiste.
Terzo
argomento

l'argomento
a
posteriori
basato sul fatto della nostra
esistenza,
un'e-
sistenza finita che ha
bisogno
di
una causa affinch abbia
luogo.
Infatti
noi
potremmo
anche
non esistere:
Poter non esistere
impotenza; per
contro
poter
esistere
potenza
(come di
per
s
noto). Se
pertanto
ci che
gi
esiste necessariamente
sono soltanto
gli
esseri
finiti,
gli
esseri finiti
sono
dunque pi potenti
dell'Essere assolutamente infinito:
e
questo
(com'
di
per
s
noto)
as-
surdo:
dunque
o non esiste
nulla, o esiste anche necessariamentel'Essere
assolutamenteinfinito. E noi esistiamo o in
noi, o in altro che esiste
neces-
sariamente.
Dunque
esiste Plssere assolutamente
infinito, cio Dio.
Quarto
argomento
basato sull'idea di
perfezione:
...
la
perfezione
di
una cosa non ne
toglie l'esistenza,
al contrario la
pone; limperfezione, invece,
la
sopprime
e cos noi della esistenza di
nessuna cosa
possiamo
essere
pi
certi che dell'esistenza dell'Essere
assolutamente
infinito, ossia
perfetto,
cio di Dio.
infatti,
poich
la
sua
essenza esclude
ogni imperfezione
e
implica
assoluta
perfezione,
essa
toglie ogni ragione
di dubbio intorno alla
sua esistenza,
la
qual
cosa
credo sar chiara a colui
che,
anche
per poco,
Vi facciaattenzione.
Qui non vale la
pena
di rifare la storia
dell'argomento ontologico
e
della
sua straordinaria riviviscenza nella metafisica moderna
a
partire
da Cartesio. Come abbiamo
gi
detto e
ripetuto, soprattutto
in
Spino-
za, questo
l'unico
argomento legittimo
e
possibile:
una "riflessione"
su ci che l'idea di Dio include
necessariamente, e si tratta di
quella
idea
chiara
e distinta,
adeguata
e vera che
Spinoza
reclama di
possedere.
27) Si veda al
riguardo
l'eccellente
capitolo
di H. A.
WOLI-SON,
The
Philosoprhy
of Spinoza,
cit., sulle
prove
dell'esistenza di
Dio,
pp.
158-212.
Spinoza
e la
metafisica
della sostanza 175
La metafisica di
Spinoza
non sta o cade, a seconda del valore che vie-
ne riconosciuto
all'argomentoontologico,
ma sta 0
cade
a seconda che si
accettino
0
si rifiutinoi suoi
postulati
fondamentali, tra cui il
postulato
di un'idea
adeguata,
chiara
e
distinta di Dio.
PROPRIETE ATTRIBUTIDI DIO
Nella metafisica cristiana si
pariava
di
propriet
e di attributi di Dio
come se si trattasse della stessa cosa: cosi erano
allo stesso
tempo
sia
propriet
sia attributi
l'unit,
la
semplicit,
linfinit, Pimmutabilit,
l'e-
ternit, limmaterialit,
la
sapienza,
la
potenza,
la
bont,
la verit ecc.
Spinoza,
invece,
pone
una distinzione tra
propriet
e attributi, e riserva
il nome di attributo alla
capacit
di
rappresentare
totalmente la divina
sostanza,
mentre chiama
propriet quelle
caratteristiche che
distinguono
Dio da
ogni
altra realt. Le
propriet
divine su cui
Spinoza pone mag-
giormente
l'accento
sono tre: infinit, unicit,
necessit.

gi
stato dimostrato,
parlando
della
sostanza,
che
essa di diritto
infinita: est necessario
infinita; ora, poich
tale sostanza Dio
stesso,
egli
a sua volta
infinito.
Lo stesso
argomento
vale anche
per
la dimo-
strazione che Dio non
pu
essere
che
uno solo: Di
qui segue
chiarissi-
mamente che Dio e
zmfco,
cio in natura non si d se non una sola
sostanza, e
che
essa assolutamente
infinita, come
abbiamo
gi
accen-
nato nello Scolio della
Prop.
X.28
Altra
propriet
della divina sostanza la necessita.
Questa non
riguar-
da soltanto il
suo essere come
insegnava
la metafisica cristiana ma anche
il
suo
agire,
come
affermava la metafisica
neoplatonica:
tutto Ci che
pro-
cede da Dio
procede
da lui necessariamente. Perci
Spinoza nega
la
con-
tingenza:
In rerum natura nullum datur
contingens
(In natura non c' nulla
di
contingentebfl- Contingente
,
per
lui, un
fatto necessario di cui
igno-
riamo la necessit. Nella
proposizione
voluntas
non
potesz
vocari
causa
liberased tantum necessaria
(la
volont
non
pu
essere
chiamata
causa libe-
ra ma soltanto
necessaria),
Spinoza
dimostra che Dio non libero in
quanto
abbialibert di
scelta, ma in
quanto agisce spontaneamente.
Per il
filosofoolandese le
cose non avrebbero
potuto
essere
prodotte
da Dio in
ordine
e
modo diverso da
quello
con cui sono state
prodotte>>fiflperch
le
cose
procedono
necessariamente dalla divina
natura, e sono determinate
all'esistenza e all'azionedalla necessit della natura di Dio.
Di tutte le
propriet
che
Spinoza assegna
alla
sostanza, quella
che
decide del destino della
sua metafisica la
propriet
della unicit. Infat-
25) EthicaI,
Prop.
XIV,
coroll. 1.
29) lbid,
Prop.
XXIX.
3) Ibid,
Prop.
XXXIII.
176 Parte seconda
ti,
asserito che la sostanza non
pu
essere
che
una sola, evidente che
solo Dio
pu
meritare
questo
titolo, e
che nessun'altra cosa
dispone
di
una
propria
consistenza n
logica
n
ontologica:
tutto si trova assorbito
e
incorporato
in
Dio;
ogni
realt diviene divina,
fa
parte
di
Dio,
una
modificazionedi Dio. Il
panteismo
una
conseguenza
inevitabile.
Stabilital'unicit e
l'infinita della
sostanza,
dato che
non si tratta di
una
realt
amorfa,
di
un oceano
vastissimo
piatto
e incolore,
bens di un
universo
pieno
di vita e di
ogni
sorta di
esseri,
il
problema
con cui
Spi-
noza deve fare i conti
quello
della
molteplicit
delle manifestazioni
della sostanza. La metafisica classica aveva risolto il
problema
con la
dottrina della
emanazione;
la metafisica cristiana con la dottrina della
creazione.
Spinoza
rifiuta fermamente la dottrina della creazione e ritor-
na
praticamente
alla dottrina
platonica
della emanazione. Secondo il fi-
losofo olandese la dottrina della creazione
un'ipotesi
insostenibile
(Prop.
II-VI).
La relazione della sostanza con
gli
altri esseri non una re-
lazione tra sostanza infinita
e sostanze finite,
bens tra la sostanza e
i
suoi modi. Ora la relazione tra sostanza e modi non la relazione tra
creatore e creatura,
bens la relazione fra il tutto e le
parti,
o
pi
esatta-
mente tra luniversale e il
particolare
(Def. V,
Prop.
l).
Per dar conto della
molteplicit
e
ricchezza delle manifestazioni del-
l'unica
sostanza,
di fatto
Spinoza
ricorre a due
grandi
coordinate: la
coordinata verticale
degli
attributi che
gli permette
di
segmentare
la so-
stanza secondo infinite
prospettive;
la coordinata orizzontale dei
modi,
che
gli
consente di
distinguere
tra natura natumns e natura maturata.
Ricordiamo anzitutto la definizione
spinoziana
di attributo: Per at-
tributo intendo ci?) che l'intelletto
percepisce
della sostanza come
costi-
tuente la sua essenza.
Ricordiamo inoltre che definendo Dio
Spinoza
ha
gi
affermato che una sostanza costante di infiniti
attributi,
ciascu-
no dei
quali esprime
l'essenza infinita ed eterna. A
sostegno
di
questa
tesi,
cio
dell'appartenenza
a Dio di
un numero infinito di
attributi,
Spi-
noza adduce la
seguente argomentazione:
...
tutti
gli
attributi che la sostanza
possiede
furono in essa
sempre
insieme,
n l'uno
pu
essere
prodotto
dall'altro; ma ciascuno
esprime
la
realt,
ossia l'essere della sostanza. Non
dunque
per
niente assur-
do attribuire
pi
attributi a una sola
sostanza;
Ch anzi in natura nien-
te
pi
chiaro di
ci,
che
ogni
ente debba essere
concepito
sotto
qual-
che
attributo, e
quanta pi
realt o essere abbia,
tanti
pi
attributi
pos-
segga,
che
esprimono
la necessit o eternit e l'infinita; e in conse-
guenza,
niente ancora
pi
chiaro del fatto che l'ente assolutamente
infinito sia da definirsi necessariamente (come
abbiamo detto nella
definizione VI) come un essere
costituito di infiniti
attributi,
ognuno
dei
quali esprime
una certa essenza
infinitaed eternam
31) Ibid,
Prop.
IX, col.
Spinoza
e la
metafisica
della sostanza 177
Gli attributi di Dio accessibilialla nostra conoscenza sono
per
soltan-
to due: l'estensione e
il
pensiero.
Questa
restrizione
per
chi reclama d'avere
un'idea
adeguata
di Dio
piuttosto sorprendente.
Ad
ogni
modo,
il
me-
todo
geometrico,
che
esige
allo stesso
tempo
anche
una
rigorosa
fedelt
ai dati delle
scienze, non consente a
Spinoza
di dedurne di
pi.
Ci che
qui
va rimarcato che
gli
attributi non sono altro che
pro-
spettive
del nostro
pensiero
(id
quod
intellectas de substantiu
percipit)
e
non dei modi di
essere della sostanza stessa: sono nostre vedute su Dio
e non
parti
dell'essere divino
(come
i
modi), sono
considerazioni
e non
rappresentazioni
reali. Su
questo punto Spinoza

categorico:
Fuori
dell'intellettonulla vi oltre la sostanza e le sue affezioni>>fi2
Agli
attributi divini
Spinoza
riconosce le stesse
propriet
che
gli
sco-
lastici
assegnavano
ai trascendentali: sono
coestensivi con
la sostanza
divina, e inoltre ciascuno
di_
essi
rispecchia completamente
e
perfetta-
mente tutto ci che
espresso negli
altri attributi. Perci tutta la sostan-
za divina allo stesso
tempo
sia
pensiero
sia estensione e il
pensiero
ri-
specchia
tutto ci che c' nella estensione e viceversa.
Discorrendo
degli
attributi del
pensiero (cogitatio)
e
della estensione
(extensio)
Spinoza
si
ricollega
alla distinzione cartesiana tra res
cogitans
e
res extensa, ma
modificando
profondamente
il
senso
che
queste categorie
avevano
per
l'autoredel Discorso sul
metodo,
per
il
quale
esse denotavano
due
generi
di sostanze: le sostanze
spirituali
e le sostanze materiali. In-
vece
Spinoza
trasforma sia la res
cogitans
come
la
res extensa in due attri-
buti
divini,
operando
in tal modo l'assorbimento
completo
di
ogni
cosa
in
Dio.
Spinoza
sa bene che
l'assegnazione
dell'attributo della estensione
alla sostanza divina va contro una
delle tesi fondamentali della metafisica
sia classica sia
cristiana, ma
il
suo monsmo
usiologico
non
gli
consente
altra scelta
e cos afferma
categoricamente:
Extensio attributum est Dei,
sive Deus est res extensa>>.33 E
agli
scolastici che
sostengono
che la sostanza
corporea
stata creata da Dio
egli replica
che
ignorano
del tutto da
quale potenza
divina
pu
essere creata: il che chiaramente mostra che
essi non intendono ci che essi stessi dicono. Io
almeno,
secondo il mio
giudizio,
ho dimostrato
(vedi
Coroll.
Prop.
VI e Scoiio II
Prop.
VIII)
che
nessuna sostanza
pu
essere
prodotta
o creata da altro essere. Inoltre
nella
Prop.
XIV abbiamomostrato che oltre Dio non si
pu
dare n
pensa-
re alcuna
sostanza; e
da
qui
abbiamoconcluso che la sostanza estesa (sab-
stantiam
extensam)
uno
degli
attributi infiniti di Dio.34
32) lbd,
Prop.
IV,
clim.
33) lbitt, II,
Prop.
II.
34) Ibid, l,
Prop.
XV,
scol.
178 Parte seconda
La sostanza con i suoi attributi costituisce ci che
Spinoza
chiama
na-
tura
naturans,
di cui
egli
d la
seguente
definizione: Per natura naturan-
te dobbiamointendere ci che in s e
per
s viene
concepito,
ossia
quei
tali attributi della sostanza che
ne
esprimono
l'eterna
e
infinita
essenza,
cio Dio in
quanto
viene considerato come causa 1ibera>>.35
I MODI DELLA SOSTANZA DIVINAI L'UOMO
Esaurito il discorso sulla sostanza
divina, su Dio e
i suoi
attributi,
Spinoza
passa
a trattare
dell'agire
divino e dei suoi effetti. Le tesi
pi
originali
della metafisica
spinoziana
a
questo riguardo
sono due:
1)
la
negazione
della dottrina della creazione e il
ripristino
della dottrina
della emanazione
spontanea
e necessaria; 2)
l'affermazionedellinfinit
degli
effetti
dell'agire
divino. Gli
effetti, come
sappiamo,
sono chiamati
affezioni
(afiectiones)
o modificazioni
(modi).
Gi abbiamo Visto che
Spinoza
considera
impraticabile
la via della
creazione,
perch
a suo
giudizioquesta
via intrisa di
antropomorfismi
e
conduce
a vicoli ciechi
(specialmente
nei
problemi
del male e della
libert). Pertanto via abbordabile che tra l'altro
quadra perfettamente
col metodo
geometrico,
dove tutto
procede
necessariamente -
quella
della emanazione: la
generazione spontanea
da
parte
della natura natu-
rans: Tutte le Cose sono in Dio
e tutte le
cose
che accadonoaccadono
per
le sole
leggi
della natura infinita di
Dio>>;36
Dio
agisce per
le sole
leggi
della sua natura, e non costretto da alcuno? Dio e la sostanza
generante
(natura natumns)
ed
generante
attraverso il suo
pensiero,
l'intelletto
divino. Il mondo la natura
rzaturata,
e lideato dell'intelletto divino.
La natura divina e
prodigiosamente
feconda e
pertanto
infinite sono
le
sue affezioni
e le sue modificazioni: Dalla necessit della natura divi-
na
devono
seguire
infinite
cose,
in infiniti modi
(cio tutto
quello
che
pu
accadere sotto un
intelletto
infinito).38
E nello Scolio della
Prop.
XVII
Spinoza soggiunge:
lo credo di aver mostrato abbastanza chiaramente
(Prop.
XVI)
che
dalla somma
potenza
di
Dio,
ossia dalla infinita natura in infiniti
modi infinite
cose,
cio tutte le cose sono necessariamente derivate, o
sempre seguono
con la medesima
necessit,
allo stesso modo che
dalla natura del
triangolo
dalla
eternit, e
per
l'eternit,
segue
che i
35) Ibiclfi,
Prop.
XXIX,
scol.
3") Ibid,
Prop.
XV,
scol.
37) Ilid,
Prop.
XVII.
3) Ibia,
Prop.
XVI.
Spinoza
e la
nzetafisica
della sostanza 179
suoi tre
angoli
sono
eguali
a due retti. Per
questo Ponnipotenza
di
Dio fu in atto daltetemit e
per
l'eternit
rester,
nella stessa attua-
lit. E in
questo
modo,
almeno secondo il mio
parere,
viene stabilita
una
onnipotenza
di Dio di
gran lunga pi perfetta?
Caratterizzandoulteriormente la natura della causalit
divina,
Spino-
za, coerentemente,
afferma che
essa
ha carattere immanente e non tran-
seunte: Deus est omnium rerum causa immanens, non vero transienmxfifi Suc-
cessivamente
egli spiega
che in Dio essenza ed esistenza coincidono,
mentre nelle
cose
da Dio
prodotte
essenza
ed esistenza sono distinte,
che
tutto ci che
segue
dalla natura di
un attributo di Dio eterno e infinito,
e
che tutte le cose sono determinate ad
operare
da Dio stesso.
Quindi
Spinoza
ribadisce che nella natura non vi nulla di
contingente,
ma tutte
le cose sono determinate dalla necessit della natura divina a esistere e a
operare
in
una Certa maniera. E finalmenteconclude: Le cose non
hanno
potuto
essere
prodotte
da Dio in nessun altro modo n in nessun altro
ordine se non nel modo e nell'ordinein cui sono state
prodotte
(res
nullo
alia
modo,
neque
alia ordine
produci potuerunt, quam productae
sunt).4'
Spinoza
suddivide i modi in due
grandi categorie:
infiniti e
finiti. l
modi infiniti
sono
quattro:
due
prodotti
immediatamenteda Dio: il mo-
vimento (motus) e l'intelletto infinito
(intellectus absolute
infinitus);
e due
prodotti
da Dio mediatamente: il volto di tutto l'universo
(facies
totius
universi),
che
prodotto
dal
movimento, e l'idea di Dio
(idea Dei),
che
prodotta
dallntellettoinfinito.
I modi finiti
sono
infiniti. Essi non sono altro che le cose
particolari:
Queste cose
particolari
altro non sono
che affezioni
degli
attributi di
Dio,
ossia modi
per
mezzo dei
quali vengono espressi
in una certa e
determinata maniera
gli
attributi di Dio.4
Tutto il
grande apparato
dei modi messi insieme costituisce la natura
naturata. Di
questo Spinoza
d la
seguente
definizione: Tutto ci che
procede
dalla necessit della natura di Dio o
di ciascuno
degli
attributi
di
Dio,
in
quanto vengono
considerati come Cose
che
sono in Dio
e
che
non
possono
esistere n essere
concepite indipendentemente
da Dio.43
La natura maturata non
disgiunta
dalla tintura naturans alla
stregua
di una nuova sostanza, come
quando
il
padre genera
il
figlio,
ma il
modo di
essere
globale
della natura natumns in
quanto
effetto del suo
eterno
autoporsi. Rispetto
alla natura maturata la natura naturans merita
pi
che mai
l'appellativo
di
causa sui.
3) Ibid,
Prop.
XVII,
scol.
40) Ibizt,
Prop.
XVIII.
41) Ibid.,
Prop.
XXXIII.
42) Ibid,
Prop.
XXV, coroll.
43) lbid,
Prop. XXIX,
scol.
180 Parte seconda
Una metafisica che come
quella
di
Spinoza
riduce tutta la realt a
un'unica sostanza e
che
non
distingue
come
facevaAristotele tra sostan-
ze
prime
e sostanze seconde,
propriamente parlando
non
e
pi
una me-
tafisica, ma
semplicemente
un
monismo
usiologico.
Tuttavia,
ponendo
una
distinzione radicale tra la Sostanza e i suoi modi,
in fondo
Spinoza
riesce a
salvaguardare quella
differenza
qualitativa
tra la causa e
i suoi
effetti, tra l'infinito e
il finito, tra il tutto e
le
sue
parti
che caratterizza
l'autenticametafisica.
All'interno del suo
disegno
metafisico, a un
tempo semplice
e
gran-
dioso, come
si conviene a una costruzione deduttiva basata su un
unico
principio
(la Sostanza, Dio) e
due soli attributi,
dove tutto accade secon-
do le
leggi
della necessit,
Spinoza
colloca l'Uomo.
Questi
una
perfetta
immagine
di
Dio,
in
quanto riproduce
in s in modo eccellente i due
attributi divini della res
cogitans,
nella mente (anima) e
della
res extensa
(corpo).
Come abbiamo
visto,
allo studio della natura umana
Spinoza
dedica la
Parte seconda
dell'Etica, mentre riserva alle ultime tre Parti l'esame del-
l'agire
umano.
Anche la trattazionedella natura
umana,
delle sue
azioni e
delle sue
passioni
condotta secondo il
procedimento
assiomatico-dedut-
tivo,
caratteristico del mos
geometricus.
Il
procedimento
deduttivo
porta
Spinoza
anzitutto a
negare
che l'uomo sia una sostanza: La sostanza
-
egli
afferma -
non
costituisce la forma dell'uomo,
infatti l'essenza della
sostanza
implica
l'esistenza; ora se
la sostanza fosse la forma dell'uomo,
questi
dovrebbeesistere necessariamente. Ma ci aSSurdOm
Dato che non una sostanza e certamente
neppure
un
attributo della
sostanza occorre
concludere che l'uomo un modo,
anzi la sintesi di
due modificazioni della sostanza divina, e
precisamente
della modifica-
zione dell'attributo del
pensiero
e
della modificazionedell'attributo del-
l'estensione. La modificazione dell'attributo del
pensiero
e la mente o
anima,
la
quale,
secondo
Spinoza,
non e altro che l'idea di
una cosa
esi-
stente di fatto.45 La modificazione della estensione il
corpo,
che
Spinoza
definisce
come
l'oggetto
della idea che costituisce
l'oggetto
della mentewb La mente dell'uomo
spiega
l'autore dell'Etica - una
parte
dell'infinito intelletto di Dio (e
il
corpo
una
parte
della infinita
estensione di
Dio).
Perci
quando
diciamo che la mente contisce
questa
o
quella
cosa non diciamo altro che
Dio, non in
quanto
infinito, ma
in
quanto
si manifesta nella natura della
mente,
ossia in
quanto
costituisce
l'essenza della
mente,
ha
questa
o
quella
ideam?
44) lbiri,H, Prop.
X dim.
45) Ibid.,
Prop.
XI.
46) lbirl,
Prop.
XIII.
47) Itali,
Prop.
Xl,
coroll.
Spinoza
e la
metafisica
della sostanza 181
Spinoza spiega
la difficile
questione
dei
rapporti
tra anima e
corpo
con la teoria del
perfetto parallelismo
e l'esatta coincidenza che
egli
ha
introdotto
per
spiegare
i
rapporti
tra
gli
attributi divini della res
cogitans
e
la res extensa. Pertanto
l'anima non
agisce
sul
corpo
n il
corpo
agisce
sullanima. Per tutto
quello
che accadenel
corpo
avviene
parallelamen-
te
anche nellanima e
viceversa. Tra idea e
ideato c'
perfetta
corrispon-
denza, come
c'
perfetta corrispondenza
tra ras
cogitans
e res extensa nel-
la Mente divina.
Come la mente il
corrispettivo
del
corpo
nellattributo del
pensiero,
cos le
cognizioni
che la mente
acquista
sono il
corrispettivo
dei movimen-
ti che succedono nel
corpo.
Se i movimenti del
corpo
sono
chiari e distinti,
nella mente ci sar un'idea chiara e
precisa
(cio adeguata);
se invece i
movimenti sono
complicati
e confusi,
anche nella mente si
registrer
un'i-
dea
inadeguata
e
confusa. Tale
sempre
la conoscenza
sensitiva.
Impro-
priamente questa
conoscenza
pu
essere
detta falsa. Invece la conoscenza
della intuizionee
della
ragione

sempre
adeguata
e
quindi
vera.
Una delle tesi caratteristiche e
basilari dello
spinozismo
la
negazione
della libert umana.
A
sostegno
di
questa
tesi
Spinoza
adduce vari
argo-
menti,
di cui il
principale

l'ignoranza
delle vere cause.
L'illusionedi
una libert,
che non
sia il riconoscimento dell'ordine necessario,
in cui
luomo come
ogni
altro essere
naturale collocato e da cui
governato,
discende dal fatto che
gli
uomini
generalmente
conoscono
le
proprie
azioni, ma
ignorano
le cause
di
queste
azioni. Per il motivo vero non

di ordine
psicologico,
ma ontologico.
La volont umana non
pu
essere
libera
per
la
ragione seguente:
la volont non
una
facolt a s
stante,
ma una
modalit del
pensiero
e come
tale ha
per
causa
il
pensiero.
Non
pu quindi
essere
libera.Come si vede, su
questo punto Spinoza
ribal-
ta
completamente
la
posizione
di Cartesio,
che subordinava
pienamente
l'intelletto alla Volont, e
faceva della libert la massima
perfezione
del-
l'essere umano.
Daltronde anche
qui Spinoza
doveva e
voleva essere
coerente col suo
metodo
geometrico,
che il metodo della
ragione
ed
esige
che tutte le cose
accadanonecessariamente.
In
questo quadro
si
dispiega
la concezione
propriamente
etica di
Spinoza, imperniata
su tre
punti
fondamentali.
Il
primo
il
rapporto
sussistente tra
esperienza
conoscitiva ed
esperienza
morale,
per
cui le
possibilit
del
comportamento
morale variano col variare delle
possibi-
lit conoscitive: a una conoscenza
fatta di idee
inadeguate corrisponde
uno stato
di
passivit
della mente,
mentre a una conoscenza
basata su
idee
adeguate
fa riscontro una
condizionedi attivit della mente.
Il se-
48)
Cf. ibid.,
Prop.
Xll.
49) Cf. ibia, Prop.
LI.
5) Cf. ibiti,
Prop.
XLVIII-L.
182 Parte seconda
condo
punto
il
concetto di
conatus
essendi,
che lo sforzo
con il
quale
ciascuna
cosa cerca di
perseverare
nel
suo essere secondo le
possibilit
della
propria
natura: anzi l'essenza
attuale di
una cosa non altro che
questo
sforzo di durare. Il terzo
punto
la riduzione
nominalisticadi bene
e male
a enti di
ragione,
che
esprimono
il
rapporto
in cui
qualcosa
si trova
rispetto
alle
esigenze
di
conservazione di
un determinato
essere. Nel Bre-
ve
trattata,
buono
e cattivo denotano ci che si accorda
e non si accorda
con l'idea
generale
che si ha di
un
essere,
mentre
nell'Etica, buono
e catti-
vo
vengono pi specificamenteidentificati
con l'utile
e il dannoso.
Compito
della morale il
governo degli affetti.
Gli "affetti"
(afiectus) sono
le affezioni del
corpo per
le
quali
aumentatao diminuita la
potenza
d'a-
zione del
corpo:
Per affetto intendo le modificazioni del
corpo,
dalle
quali
la
potenza
di
agire
dello stesso
corpo
Viene
aumentatao diminuita,
viene aiutata
o
impedita,
e nello stesso
tempo
le idee di
queste
modifica-
zioni.51 ljaffetto si chiama
propriamente
azione
quando
noi
ne siamo la
causa
adeguata; quando
invece di
un affetto noi siamo solo
parzialmente
causa,
l'affetto si chiama
passione.
Il
grande
tema dell'etica
spinoziana

la trasformazionedelle
passioni
in
azioni,
dello
stato
passivo
della
mente
in
uno stato attivo
o, pi genericamentedetto,
il
passaggio
da
una condi-
zione in cui l'uomo eteronomo e schiavo
(de servitute
birmana, il titolo
della
Quarta
parte dell'Etica) a una condizione in cui l'uomo
gode
di
piena
autonomiae libert
(da libertatehumana
l'argomento
della
Quinta
Parte). Per la
miglioreintelligenza
di ci non va dimenticatoche nel con-
cetto di affetto
Spinoza
include anche
l'idea di affezione.
Conseguente-
mente la
conoscenza,
nei suoi vari
gradi,
il
presupposto principale
e
decisivo del
passaggio
dalla
passione
all'azione: la
conoscenza ristretta
all'opinione e alla fantasia
manterr la
mente al livello della
passione,
mentre la
conoscenza scientifica
e
quella
filosofica
porteranno
la
mente
al livello
dell'azione,
che
Spinoza
chiama libert
o beatitudine.
Nel Breve trattato
Spinoza
afferma che l'anima
continua
a essere schia-
va delle
passioni
finch ha
una conoscenza
inadeguata
delle
cose,
ma
quando
giunge
a conoscere Dio, allora
non
pu pi
essere disturbata da
alcuna
passionefi Questa dottrina
ampiamente
sviluppata
nella Parte
Quinta dell'Etica.
Qui
Spinoza
dimostra che l'affetto
prodotto
nell'anima
dall'idea di Dio l'affetto
pi
forte,
capace quindi
di controllare tutte le
passioni. Pertanto,
la
perfezione massimacui l'uomo
pu
e deve
aspirare
la
conoscenza di Dio: Mentis
summa virtus est Deum
intelligere
seu
cognosceremfl
Dalla
conoscenza di Dio
nasce l'amore intellettuale di
Dio,
51) una, 111, dei. 111.
53) Cf. Traci. lare-ti.
Il, 19.
53) Ethica
V,
Prop. XXVII, dim.
Spinoza
e la
nretafisica
della sostanza 183
in cui consiste il sommo bene e la felicit dell'uomo: Nostra salus seu
beatitudoseu Iibertas consistit... in. constarzti et aeterno
ergo
Deum am0rc>>.54
Cos
per
una via assai macchinosa
e arida, contrastante non solo con
le
opinioni
del
volgo,
rna
anche
con
quelle
dei
dotti,
alla fine
Spinoza
raggiunge
una
sublime conclusione che
era
gi
stata
quella
a cui erano
giunti
i massimi
esponenti
sia della metafisica classica sia di
quella
cri-
stiana: la
contemplazione
e l'unionecon Dio sommo Bene.
Conclusione
La metafisica ha
sempre
come obiettivola conoscenza dell'intero. La
metafisica di
Spinoza
realizza
questo
obiettivo in
modo,
apparentemen-
te,
perfetto.
Alla mente lucida e
penetrante
di
Spinoza
lIntero dischiude
tutti i suoi misteri e rivela tutti i suoi tesori. Dinanzi allIntero
Spinoza
non
viene mai assalito da
quel
timore e tremore da cui sono colti Pascal
e
Kierkegaard. Spinoza
lo
contempla
con matematica freddezza nella
sua immensa e
infinita
grandezza.
L'intero da
Spinoza
non visto
guar-
dando dal basso verso l'alto, ma
dall'alto verso
il
basso; non Visto
guardando
dalle
parti
verso il
tutto,
bens dal tutto verso
le
parti;
non
procedendo dagli
effetti alla
causa,
ma
dalla
causa
agli
effetti. Anzitutto

contemplata
la Sostanza nei suoi infiniti attributi
e, poi,
in essa sono
chiaramente
percepiti
anche tutti i suoi infiniti modi. Nell'anno
geometri-
cus, rigoroso
e inarrestabile,non c' nessuna incertezza, nessun dubbio,
nessuna confusione:
ogni
cosa trova la sua esatta
posizione
e la sua
per-
fetta
spiegazione.
L'ordine
geometrico
consente a
Spinoza
di realizzare un
razionalismo
assoluto,
che si
spinge
molto
pi
in l
degli
altri razionalismi elaborati da
Cartesio,
Malebranche
e
Leibniz.
In
Cartesio,
Dio senza dubbio
l'oggetto
della
pi
chiara
e
distinta
delle
idee, ma
questa
idea ce lo fa
conoscere come
incomprensibile.
Tocchiamo
l'infinito, non
lo
comprendiamo.
Tale
incomprensibilit
risul-
ta evidente
nellbnnipotenza,
la
quale,
elevata al di
sopra
della nostra
ragione,
ne rende
precari
i
principi
stessi, e non le lascia altro Valore che
quello
di cui l'ha investita un arbitrario decreto. Da Dio il decreto si
espande
sulle
cose. Fatto
per
conoscere
il
finito,
il nostro
intelletto,
inca-
pace
di decidere se esse siano finite o infinite,
si trova ridotto alla
pru-
dente affermazionedella indefinita.
In Malebranche la
ragione guadagna
ulteriore terreno nella sua con-
quista
di Dio. Non solo
raggiunge
un'idea chiara
e
distinta di
Lui, ma
vede tutte le cose
in Dio. Di fatto
per
anche Malebranche riconosce che
54) Ibid,
Prop.
XXXVI,
scol.
184 Parte seconda
di Dio la mente
pu
costruirsi soltanto una
rappresentazione
estrinseca
a
partire
dai suoi effetti.
Cos,
<<il Dio
onnipotente,
che fa tutto in
tutti,

il Dio del
celato,
ignoto,
invisibile.
Leibniz, come vedremo,
afferma luniversale
intelligibilit
delle
cose,
e
quindi
anzitutto
e
soprattutto
di Dio. Tuttavia
egli
confessa
l'impossibi-
lit di trasformare la nostra conoscenza chiara
e distinta in conoscenza
adeguata,
e
questo impone
una severa restrizioneal
potere
della
ragione
umana. Non c'
quindi
da
meravigliarsi
se
il contatto intimo con le
cose
sia cercato alla fine da Leibniz nel
profondo
delle
percezioni oscure,
che
consente una comunicazione
pi
vera e
pi
diretta
con la natura e con
Dio.
Ogni
riserva di fronte al mistero di Dio
scompare
in
Spinoza.
Il razio-
nalismo
assoluto,
imponendo
la totale
intelligibilit
di
Dio,
chiave della
totale
intelligenza
delle
cose,

per Spinoza
il
primo
articolo di
fede,
il
primo postulato
della
sua metafisica. Per esso soltanto, l'anima,
purgata
dalle tante
superstizioni
cui la nozione di
un
Dio
incomprensibile
il
supremo
asilo,
compie quella
unione
perfetta
di Dio e dell'uomo che
condizionala
sua salvezza. In
conseguenza, ogni interpretazione
dell'in-
sieme
o
di
un
dettaglio
dell'Etica,
che reintroduca
pi
o meno
qualche
incomprensibilit
in Dio e nelle
cose,
un
grave
tradimento della meta-
fisica
spinoziana.
Tutto il sistema una costruzione della
pura ragione
e
vuole
essere una costruzione
perfetta. Perci, nonostante
Spinoza pro-
clami l'amor intellectualis
Dei,
nella sua metafisica nulla
sopravvissuto
della mistica dei
neoplatonici,
dove nella unione del solo col Solo" tutti
i veli della
ragione
sono stati rimossi e tutti i concetti sono stati cancella-
ti e ci che rimane una mistica unione senza visione. Ma tutto
questo
per Spinoza

puro
oscurantismo: senza
ragione
non c'
visione, e senza
visione non c' unione e
quindo
neppure
amore.55
55) Cf. M.
GUEROULT,
Spinoza,
I:
Dieu, Paris
1971,
pp.
9-15.
Spinoza
e la
metafisica
della sostanza 185
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186
PASCAL E LA METAFISICADEL CUORE
Pascal
un
grande
metafisico
Chi ricostruisce la storia della
metafisica,
quando
si imbatte in Pascal
si chiede
se c' un
posto
anche
per
lui in
questa
storia
gloriosa
e affasci-
nante. A mio
parere
la
risposta
non
pu
essere
che
positiva.
Infatti nel
corso dei secoli
pochi
altri
pensatori
si sono cimentati con i massimi
pro-
blemi metafisici che
riguardano
l'anima
e Dio con lo stesso veemente
ardore di Pascal. Per lui
questi
sono
problemi
vitali,
problemi
decisivi a
cui l'uomo non si
pu
affatto sottrarre. Non
sono
problemi
indifferenti
o
di
poco
conto come sostenevano
gli
scettici e
i
libertini,
gli
avversari con
i
quali
Pascal non si stanca mai di
polemizzare.
Ma, ovviamente,
Pascal non rientra nei
quadri speculativi
della meta-
fisica moderna.
Anzi,
Pascal essenzialmente un anti-moderno;
il
pi
deciso
e
pi energico degli
antimoderni.
Egli
combatte
con tutte le sue
forze contro tutto ci che col nome modernit si vuole esaltare e sban-
dierare.
Egli
contesta decisamente Cartesio e
il
suo
modo di fare metafi-
sica, e lo
squalifica
come
pensatore
inutilee incerto";
condanna la
sua
separazione
della
ragione
dalla
fede,
della metafisica dalla
religione,
ri-
fiuta
energicamente
il metodo
geometrico
e matematico nelle
questioni
metafisiche,
morali
e
religiose,
e lo sostituisce con
il metodo dialettico.
Ciononostante la metafisica
pascaliana
non meno
esigente
della meta-
fisica di Cartesio e
Spinoza;
anzi, a ben vedere lo molto
pi, perch
muove da una visione
pi completa
delle risorse conoscitive dell'uomo
e
da
una
pi profonda
coscienza del mistero di Dio.
La riflessione filosofica di Pascal nasce
dall'esigenza
di
porre
una
diga
alla marea montante
degli
scettici e dei libertini che invadeva la
Francia nel secolo XVII. A codesti razionalisti altezzosi Pascal non si
oppone
con
la
fuga
nel fideismo
e
nel
pietismo,
come
facevano molti
suoi
contemporanei,
invece si affida
egli
stesso alle armi della
ragione,
e
le
adopera
con
grande
abilit.Pascal difende i diritti della fede
e
del cri-
stianesimo, anzitutto,
in nome dei diritti e delle
esigenze
della
ragione
stessa,
combatte contro la
ragione
dei razionalisti in
nome
di
una
ragio-
ne
superiore.
Cos contro Cartesio
e contro
Spinoza,
che
con
il loro
esprit
de
gometric,
avevano costruito una
metafisica chiusa
e autosufficiente,
Pascal con il suo
esprit
de
finesse
elabora una
metafisica
aperta.
Con la
Pascal e la
nzetafisica
del "cuore" 187
sua
ragione superiore
Pascal conduce l'uomo oltre l'uomo (l'uomo
su-
pera
infinitamentel'uomo recita un
famoso
pensiero pascaliano)
e
oltre
il mondo. La metafisica
pascaliana
e una
metafisica del mistero dell'uo-
mo e
del mistero di
Dio;
una
metafisica che cammina nelle orme
ago-
stiniane della insaziabilitdello
spirito
e
della docta
ignorantia;
la meta-
fisica della miseriae
della
grandezza
dell'uomo.
Pascal un
metafisico
atipico
non
solo
per
la sua
epoca
ma nell'intero
arco
della storia della metafisica:
egli
affronta i
problemi
metafisici in un
modo assolutamente nuovo e
personalissimo.
Pascal non si richiama a
nessuna scuola,
n a
quella degli
aristotelici,
n a
quella
dei
platonici.
Le
categorie
con
cui
egli
lavora non sono
n
quelle cosmologiche
n
quelle
ontologiche,
ma sono
piuttosto
categorie
essenzialmente
personalistiche.
Nel secolo del razionalismo
dogmatico
messo
in moto da Cartesio e
Spinoza,
Pascal si
staglia
come una
figura
solitaria,
capace
di sintetizza-
re
nellorigina1it
del
pensiero
e
della scelta di vita il
rigore
della ricerca
scientifica,
l'intensit della vita
spirituale, l'inquietudine
di un'esistenza
bruciata dall'amore
per
l'uomo e
per
Dio. Il suo
ingegno
ha lasciato trac-
ce nei testi classici di fisica e
la sua
riflessionefilosoficaha
aperto,
nella
speculazione antropologica
occidentale, un varco
attraverso il
quale
la
ricerca del senso
dell'uomo e del suo
destino
passata
senza
pi
arre-
starsi sino ai
giorni
nostri, percorrendo gli
itinerari sia della filosofia
agnostica
e atea,
sia della filosofiadi
ispirazione
cristiana sia della teolo-
gia.
Del suo
grandissimo ingegno
a noi
qui
interessa il fondamentale
ap-
porto
allo
sviluppo
della metafisica moderna.
Vita
e
opere
Blaise Pascal ebbe una
vita breve, ma ricca di vicende che interessano
direttamente la storia
religiosa
del suo
paese
e
che hanno rilevanzaan-
che
per
la storia della filosofiae
della
teologia.
Nacque
a Clermont Ferrand il 16
giugno
1623; a
7 anni si trasfer a
Pa-
rigi
insieme al
padre,
alto
magistrato
e uomo
di vasti interessi culturali,
particolarmenteportato per
gli
studi scientifici,
matematici e
fisici. Stu-
dente assai
precoce
e in
gran parte
autodidatta, a
soli 12 anni di et
Pascal
scopr
da solo
(avendogli
il
padre
sottratto i libri di matematica
per
fargli
studiare il latino)
la
geometria
fino alla trentaduesima
proposi-
zione di Euclide. A 16 anni
compose
un
Trattatosulla sezioni coniche; a
18
anni ebbe la
prima
idea della macchina calcolatrice,
che volle costruire
per
aiutare il
padre
nei suoi
conteggi.
Nello stesso
tempo
conferm le
scoperte
di Torricelli sulla
pressione
atmosferica. Ma l'eccessivo lavoro
mino la sua
salute
gi
debole
per
costituzione e
fin col farlo ammalare
gravemente.
188 Parte seconda
All'iniziodel 1646 accadde
un fatto che doveva
avere
importanti
con-
seguenze per
la vita di Pascal: suo
padre
scivolando sul
ghiaccio
si
era
Slogato
un femore. Per curarlo furono chiamati due
chirurghi gianseni-
sti,
i
quali
mentre
prestavano
la loro assistenza
allatnmalato, discuteva-
no con lui di
problemi teologici,
in
particolare
dei
problemi
sulla
grazia
di cui si
era
occupato
Giansenio nel
suo
Azigustinzis, pubblicato
nel 1640.
Naturalmente il
giovane
Pascal assistette a
queste
discussioni
e vi trov
un terreno di
speculazione
che fino
a
quel
momento
non aveva mai af-
frontato.
Qui
si situa
quella
che fu chiamata la
prinm
conversione di Pa-
scal,
che
non ha nulla a che vedere
con la seconda
vera conversione.
Blaise Pascal nel 1647 fu visitato due volte da Cartesio. Nel
primo
in-
contro i due filosofi discussero sul
vuoto;
nel secondo Cartesio diede
a
Pascal
qualche consiglio
medico
per
la
sua salute.
Nel 1648 Pascal
frequento
con
la sorella
Jaqueline
i
seguaci
di Saint-
Cyran
che lo
guidarono
al misticismo di
Port-Royal.
Ma
dopo
la morte
del
padre (1651)
che l'aveva lasciato erede di un'enorme
fortuna, il suo
fervore
religioso
sembr
scemare ed ebbe inizio
quello
che fu chiamato
il
periodo
mondano di
Pascal,
dovuto in
parte
alla
proibizione
dei suoi
medici di dedicarsi
a
qualsiasi
lavoro
intellettuale,
pregiudizievole
alla
sua salute
gi
tanto
precaria
e al loro divieto di
praticare
esercizi di
penitenza.
Madame
Perier, sua sorella,
tiene
per
a
precisare
che duran-
te
quel periodo
per grazia
di
Dio,
Blaise si tenne lontano dai vizi.
La crisi
venne
superata
nella notte del 23 novembre
1654,
durante la
quale
Pascal ebbe
una sorta di visione mistica. A ricordo di
quella
notte
indimenticabilePascal scrisse il
suo famoso
Memoriale, che termina con
le
seguenti
dichiarazioni:
Questa
la vita
eterna,
che
conoscano te solo
vero Dio
e colui che tu hai
mandato,
Ges Cristo.
Ges Cristo. Ges Cristo. Io me ne sono
separato;
l'ho
fuggito, rinnegato,
crocifisso.
Che
non sia mai
separato
da lui.
Lo si
conserva soltanto
per
le vie
insegnate
dal
Vangelo.
Rinunzia totale e dolce.
Completa
sottomissione a Ges Cristo
e al mio direttore.
La
gioia
in eterno
per
un
giorno
di
prova
sulla terra.
Non obliviscar
sermones UOS. Amen.
Dopo
la
conversione, documentata in maniera commovente nel Mc-
moriala, Pascal fece
grandi progressi
nella vita
spirituale,
come si
pu
ri-
levare anche dalla
Preghiera per
donzandare
a Dio
difare
buon uso delle ma-
lattie, uno scritto molto edificante. Alla conversione
segu
la
ripresa
di
rapporti
sempre pi frequenti
e intensi con
Port-Royal
che, a
quel
tem-
po,
aveva accoltotra le sue mura un
piccolo
gruppo
di laici desiderosi di
condurre
una vita di
penitenza
e di santificazione.
130150111 e la
metafisica
del cu0re"
189
Nel 1656 Pascal viene chiamato dai
portorealisti
in aiuto di
Arnauld,
minacciatodi scomunica a causa delle
sue
posizioni giansenistiche, e a
difendereil
giansenismo dagli
attacchi dei
gesuiti.
Pascal accolse l'invito
e
compose
le Lettere
provinciali,
che fece circolare
anonime,
in cui con
dialettica abilissima
e con ironia ora sottileora
spietata,
metteva a nudo
aspetti
discutibilidella dottrina
tipica
della
Compagnia
di
Ges,
special-
mente nel
campo
morale.
In
quegli
stessi anni
gli
venne in mente di scrivere
unflpologia
del cri-
stianesimo contro i
libertini,un Vasto
progetto
che
non
pot
realizzare
a
causa della
sua morte. I frammenti di
quest'opera
furono raccolti nel
Volume intitolato Penses
(Pensieri). Pascal mor a
Parigi
il 19
giugno
1662
dopo
atroci
sofferenze,
che
seppe sopportare
con
grande rassegna-
zione. Le
sue ultime
parole
furono: Che Dio
non mi abbandoni mai".
La
questione
dei metodi
Non
pu
costituire una
sorpresa
se nel secolo in cui la
questione
del
metodo diventata di moda
e in cui
tutti,
scienziati
(Galilei) e filosofi
(Bacone, Cartesio,
Spinoza,
Leibniz)
si
occupano
di
questo problema
ed
elaborano nuovi
metodi,
anche
Pascal, scienziato
geniale
e filosofo
profondo,
interviene nel dibattito
e lo fa in modo
originale
e
coraggioso,
manifestando subito la sua antimodernit.
Egli reagisce vigorosamente
contro la tendenza di fare del metodo
geometrico
della
pura ragione
l'u-
nico metodo
per
lo studio della
realt,
di
qualsiasi
realt, e
per
la ricerca
della verit. Per
conseguire questi
obiettivi,
sostiene
Pascal,
esiste un
metodo
migliore, pi
conforme alle
esigenze
della realt e della verit:
il metodo del cuore. Il
suo criterio non
quello
delle idee chiare
e
distinte,
della esattezza e della
precisione,
della deduzione
rigorosa;
ma
la
"finezza", l'umilee docileascolto della voce delle
cose,
il sentimen-
to" della verit.
Nella edizione
Brunschwicg
dei
Pensieri,
molto
opportunamente
tutti
i
"pensieri
che
riguardano
il metodo
sono
opportunamente raggruppa-
ti nella Prima Sezione
(nn. 1-59). Ecco
come Pascal, con
quel
suo stile
conciso e sentenzioso che caratterizza
una mente molto lucida e
pene-
trante,
descrive la differenza tra i due
approcci
alie
cose, quello
dell'e-
sprit
de
gonzetrie
e
quello dellrsprit dcfinesse:
.. (Gli
spiriti)
abituati ai
principi precisi
e
appariscenti
di
geometria,
e a
ragionare
solo
dopo
averli ben visti e
maneggiati,
si
perdono
nelle
cose di
finesse,
dove i
principi
non si lasciano
maneggiare
allo stesso
modo.
Questi
si vedono
appena,
e si sentono
pi
che
non si
vedono;
una fatica
improba
cercare
di farli sentire a coloro che
non li sentono
da
se stessi: sono cose talmente delicate
e cos
numerose,
che richie-
dono
un senso delicatissimo
e acuto
per
essere sentite e
per giudicare
190 Parte seconda
rettamente e
giustamente
secondo
questo
sentimento; senza
per
lo
pi
dimostrare ordinatamente come in
geometria perch
non se ne
possiedono
(nello
stesso modo)
i
principi;
inoltre una simile
impresa
sarebbe interminabile.
Bisogna
vedere la cosa con un solo
sguardo
e
non
per
graduale ragionamento,
fino a un
certo
punto.
E cos raro
che i
geometri
siano fini
e
che i fini siano
geometri, per
il fatto che i
geometri vogliono
trattare
geometricamente
le cose
fini e si rendono
ridicoli
pretendendo
di cominciare dalle definizioni
prima
e
dai
prin-
cipi poi,
mentre non
questo
il modo di
procedere
in tal
genere
di
ragionamento.
Non che lo
spirito
non
segua
tale
procedimento;
ma
lo
fa tacitamente, naturalmente, senza
regole: spiegarlo
non dato ad
alcuno;
sentirlo di
pochi
I
geometri
che sono soltanto
geometri
hanno
dunque
la mente
capace
di veder chiaro
purch
si
spieghi
loro minuziosamente
ogni cosa,
mediante definizioni e
principi;
altrimenti sono
miopi
e
insopportabi-
li,
perch
sanno
ragionare
soltanto rettamente su
principi
ben chiari.
E i fini che
sono
soltanto fini non
possono
avere
la
pazienza
di scen-
dere fino ai
principi primi
delle cose
speculative
e
di
immaginazione,
che non
hanno mai visto nella vita reale e
che
sono
completamente
fuori dell'uso comune.1
I due
procedimenti
sono talmente diversi,
che chi
pratica quello geo-
metrico di solito non
capisce
e anzi rifiuta
l'esprit
de
fiesse,
e
chi invece
si lascia condurre
dall'estate} definesse
di solito non
comprende
e
si
oppo-
ne
allfiasprit
de
gomctrie:
Coloro
quali
sono abituati a
giudicare
col sentimento non
compren-
dono nulla delle cose di
puro
ragionamento, perch vogliono pene-
trare subito tutto con un
colpo
d'occhio e non sono abituati a cercare
i
principi.
Gli altri invece che sono soliti
ragionare
secondo
principi
non
comprendono
nulla delle cose di
sentimento, perch
vi cercano
i
principi
e non
possono
vedere con un sol
colpo
d'occhio.
(...)
All'intuto
appartiene
il
sentimento, come le scienze
appartengo-
no allintelletto. La finezza della
intuizione,
la
geometria
dell'intel-
l!ttO.2
A
quali oggetti
si addice
l'esprit
de
gometrie?
Ovviamente a tutto il
mondo della
materia,
della
estensione,
della
quantit,
dei numeri. Invece
l'ambito
dellflasprit
de
finesse
e il mondo dello
spirito, quindi
dell'anima e
di
Dio,
della
morale,
della metafisica e della
religione.
Mentre
l'esprit
de
gometrie appartiene
alla
ragione, l'esprit
de
finesse appartiene
al cuore.
Il
cuore
ha le sue
ragioni,
che la
ragione
non
conosce,
sentenzia Pascal in
un celeberrimo
pensierofi
e le intuizioni del cuore sono
pi importanti
1)
B.
PASCAL, Pensieri,
Torino 1956, tr. di M. F. Sciacca.
2)
lbid. 3-4.
3) lbid. 277.
Pascal e la
metafisica
del cu0re 191
dei concetti della
ragione.
Occorre
per
evitare due
eccessi,
avverte lo
stesso Pascal: escludere la
ragione,
non ammettere
che la
ragionew
Il
cuore,
secondo Pascal,
spalanca
all'uomo la
porta
di realt e
di veri-
t,
altrimenti
precluse
alla
ragione
e sono le realt e
le verit
pi impor-
tanti in
quanto riguardano
l'anima e Dio. Conosciamo la verit non
sol-
tanto con
la
ragione
ma
anche
con
il
cuore;
per questa
seconda via cono-
sciamo i
principi primi,
e
invano il
ragionamento,
che
non
vi ha
parte
alcuna, cerca
di combatterli.5
il cuore
che sente Dio, non
la
ragio-
ne.f= Il
cuore
ha il suo ordine;
lintelletto ha il
suo (...).
Non si
prova
che
si debba essere amati,
esponendo
secondo un
ordine razionale le cause
dell'amore: sarebberidicolo?
Anche nel suo
dominio la
ragione
costretta a riconoscere la
propria
insufficienza e a
far
dipendere
i suoi
principi
dalla conoscenza
del cuo-
re. Infatti,
questi
si
possono
giustificare
solo indirettamente,
per
negazio-
ne,
cio col riconoscere come errore
il
contrario;
invece il
cuore sente
direttamente che lo
spazio
ha tre dimensioni,
che i numeri sono infiniti;
tale certezza che non
dimostra se stessa, precisamente perch
diversa
dalla dimostrazione. E come

principi
della matematica,
anche
quelli
della metafisica
e
della
religione
sono
conosciuti dal
cuore,
la conoscen-
za vera e
suprema.
Qui per
vale la
pena
di
precisare
che affermando che esiste una
seconda via di accesso
alla verit,
quella
del
cuore,
una via ancora
pi
importante
di
quella
della
ragione,
Pascal non
intende affatto sostenere
che
quella
del
cuore una
via
pi pulita
e
incontaminatadi
quella
della
ragione,
che invece sarebbe insozzata e
pervertita.
Anzi al
pericolo
della
perversione
e della sozzura molto
pi esposto
il
cuore
che la
ragione.
Annota Pascal.
Quanto
fondo e
pieno
di lordure il cuore
umanolmfl La
ragione
stessa risente assai della
perversione
del
cuore,
e
molti suoi tra-
viamenti sono
dovuti alle
passioni
del cuore.
In
effetti,
Come ci si
gua-
sta l'intelletto,
cos ci si
guasta
anche il sentimento. L'uno e
l'altro si for-
mano con
la conversazione e con
la conversazione si
guastano.
Cos le
buone o le cattive lo formano o
lo
guastano. Importa dunque
moltissimo
saper
bene
scegliere per
formarlo e non
guastarlo,
ma non

possibile
fare
questa
scelta se
intelletto e sentimento non sono
gi
formati e non
guastati.
Circolo vizioso,
fortunato chi sa
uscirne?
4)
127111253.
5)
lbid. 282.
e)
Ibicz278.
7)
lbid. 283.
8) lbid. 146.
9) Ibid. 6.
192 Parte seconda
Dopo
la
prima
Sezione sul
Metodo, l'edizione
Brunschvicg
colloca le
Sezioni che
riguardano
i
quattro grandi
temi
dell'apologetica pascaliana:
l'Uomo, Dio,
Cristo e la Chiesa. In
questa
sede le Sezioni che ci
riguar-
dano
sono
quelle
che
vanno dalla Seconda alla
Ottava,
che lo stesso Pa-
scal suddivide in due
parti:
Prinm
parte:
Miseria dell'uomo senza Dio.
Seconda
parte:
Felicit dell'uomo
Con Dio.
Oppure:
Prima
parte:
La natura corrotta. Dimostrarlo
con la natura stessa.
Seconda
parte:
Vi un Redentore. Dimostrarlo
Con
la Scritturaw
L'enigma
umano
Come
Agostino
e come Cartesio,
anche Pascal iniziala
sua riflessione
metafisica
con
lo studio dell'uomo
(e non del
mondo). Con
questo
stu-
dio vivacee
penetrante egli
fa vedere che l'uomo
non
pu
essere tutto:
egli
certamente un essere di
una straordinaria
grandezza
ma
allo stes-
so
tempo
anche afflitto da una estrema miseria;
un essere intermedio
tra
l'angelo
e la bestia. Nello studio
deIlenigma-uomo
Pascal fa toccare
con mano
quale
mostruoso
paradosso
sia l'uomo:
un
impasto impressio-
nante di
grandezza
e miseria,
di
potenza
e debolezza,
di virt e Vizio,
di
intelligenza
e
insipienza,
un
ibridodi materia e
spirito.
Ma
quali
sono i titoli della
sua
grandezza
e
quali gli
indizi della
sua
miseria?
Questi sono
gli interrogativi
su cui Pascal ama soffermarsi
e
lo
fa in modo
geniale
e
magistrale.
Il massimo titolo della
grandezza
dell'uomo i1
pensiero.
Ecco un
picco-
lo
florilegio
di
pensieri"
che illustranoefficacemente
questo profondo
convincimentodi Pascal:
Il
pensiero
fa la
grandezza
dell'uomo.
L'uomo
non che
una
canna,
la
pi
debole della
natura; ma una
canna
pensante.
Non occorre
che l'universo intero si armi
per
schiac-
ciarlo:
un
vapore,
una
goccia d'acqua
bastano
per
ucciderlo.
Ma,
quand'anche
l'universo lo
schiacciasse, l'uomo sarebbe
ancor
pi
no-
biledi ci che lo
uccide,
perch
sa
di morire e conosce
la
superiorit
che l'universo ha
su di
lui;
l'universo non ne sa nulla. Tutta la nostra
dignit
consiste
ziunque
nel
pensiero.
l che dobbiamo elevarci e non
nello
spazio
e nel
tempo,
che
non
sapremmo riempire.
Lavoriamo
dunque
a ben
pensare,
ecco
il
principio
della moraleml
N) Ibid. 60.
H)
hid. 346.
12) lbid. 347.
Pascal e
la
metafisica
del cu0re"
193
Non nello
spazio
che debbo cercare
la mia
dignit,
ma nella disci-
plina
del mio
pensiero.
Non avrei alcuna
superiorit
a
possedere
delle terre: con
lo
spazio
l'universo mi
comprende
e
minghiotte
come
un
punto;
col
pensiero
io lo
comprendo>>fl3
Nella
categoria
del
pensiero
Pascal fa rientrare non soltanto la
ragio-
ne e l'intelletto, ma
anche il cuore e
il sentimento. Con
queste
facolt
l'uomo
pu penetrare
oltre che nel mondo della materia anche in
quello
dello
spirito:
nel mondo dell'anima e
nel mondo di Dio. Grandi
quindi
sono
le altezze a cui
pu giungere
l'uomo col suo
pensiero;
ma sono
altezze
ch'egli
riesce
appena
a
sfiorare e
di cui non
pu
mai
impadronir-
si. L'anima non sosta a
lungo
a
quelle grandi
altezze
spirituali,
che
tocca
qualche
volta;
vi balza solamente, non come su
di
un trono,
per
sempre,
ma
per
un
attimo soltanto>>.'4
Ma Pascal si mostra ancora
pi
abilenello smascherarele miserie del-
l'uomo. Per fare uscire il libertino dalla sua
superbia
e
dal suo
torpore
egli
cerca
di
fargli
toccare con mano
quanto
sia
tragicamente
assurda la
vita dell'uomo su
questa
terra. Ecco alcuni
pensieri"
a
questo riguardo:
lo non so
chi mi abbiamesso
al
mondo, n cosa sia il
mondo,
n cosa
sia io stesso: io sono
in una
terribile
ignoranza
di tutte le
Cose;
io non
so
che cosa sia il mio
corpo,
i miei
sensi,
la mia anima e
quella parte
di me stesso che
pensa
quello
che
dico,
che riflette su tutto e su se
stessa e non si conosce
pi
delle altre cose.
Contemplo questi spaven-
tosi
spazi
dell'universo che mi chiudono e
mi trovo
legato
a un
ango-
lo di
questa
estensione, senza
che io
sappia perch
io sono
piuttosto
in
questo luogo
che in un altro,
n
perch questo poco tempo
che mi
concesso
di vivere mi sia stato
assegnato
in
questo punto piuttosto
che in un
altro di tutta l'eternit che mi ha
preceduto
e di
quella
che
mi
seguir.
Non vedo che infiniti da tutte le
parti,
che mi chiudono
come un atomo e come un'ombrache dura un solo istante senza
ritor-
no. Tutto
quello
che
s0 che ben
presto
dovr
morire, ma
quello
che
pi ignoro

questa
stessa morte che
non
potr
evitare. Come non so
donde
vengo,
cos non so
dove
vado; so soltanto che,
uscendo da
questo
mondo,
precipito per sempre
o nel nulla o
nelle mani di un
Dio
irato, senza
sapere
a
quale
di
queste
due condizioni dovr
parte-
cipare per
Yeternit. Ecco il mio
stato, pieno
di debolezza e
di incer-
tezza. E da tutto
questo, dunque,
io concludo che debbo
passare
tutti
i
giorni
della mia vita senza
preoccuparmi
e senza cercare
quello
che
mi
capiter.15
13) Ibid. 348.
14) Ibid. 352.
15) Ibid. 194.
194 Parte seconda
Riconosciamo
dunque
i nostri limiti: siamo
e non siamo
tutto; quel
che abbiamo di
essere ci ruba la
conoscenza dei
princpi primi,
che
nascono dal
nulla; e il
poco
che abbiamodi essere ci nascondela vista
dell'infinito. La nostra
intelligenza
occupa
nell'ordine delle
cose
intel-
ligibili
lo stesso
posto
del nostro
corpo
nella estensione della natura.
Limitati in
ogni
modo,
questo
stato intermedio tra due estremi si
trova in tutte le nostre facolt. l nostri sensi non
percepiscono
nulla di
estremo:
troppo
rumore ci
assorda;
troppa
luce ci
abbaglia; troppa
lontananza e
troppa
vicinanza
impediscono
la
vista,
troppa lunghez
za e
troppa
brevit rendono
oscuro un discorso; un eccesso di verit
ci
stupisce
(...). Ecco la nostra condizione: essa ci rende
incapaci
di
sapere
con certezza e
di
ignorare
assolutamente.
Navighiamo
per
un
vasto
spazio, sempre
incerti e fluttuanti,
spinti
da un
capo
all'altro.
Qualsiasi
termine al
quale pensiamo
di attaccarci
per
star fermi vacil-
la
e ci
abbandona; e se lo
seguiamo
si sottraealle nostre
prese: sguscia
e
sfugge
in una
fuga
eterna. Nulla si arresta
per
noi.
Questa
la
nostra naturale
condizione; e tuttavia la
pi
contraria alla nostra
inclinazione;
ardiamo dal desiderio di trovare una
posizione
stabile,
un'ultima base costante
per
edificarvi
sopra
una torre,
che si innalzi
verso l'infinito; ma
ogni
nostro fondamento scricchiola
e
la terra si
apre
fino
agli
abissiw!
La miseria dell'uomo risulta da
una
capacit
beante,
aperta
sullinfinito,
mai
soddisfatta, e
da
uno slancio che
non
raggiunge
mai il suo
fine.
L'uomo
supera
infinitamente
l'uomo,17
poich
vi nell'uomo
pi
che
nell'uomostesso. Ma allora che cos' l'uomo? Che
novit,
che
mostro,
che
caos,
che
soggetto
di
contraddizioni,
che
prodigio: giudice
di tutte le
cose,
imbelle
verme della
terra,
depositario
del
vero,
cloaca di incertezze e
di
errore, gloria
e rifiutodell'universo. Chi
sbroglierquesto imbroglo?.1*
Montaigne
aveva scritto con
grande compiacimento
di se stesso:
Non ho visto mostro e miracolo al mondo
pi palese
di
me stesso. Il
mostro era
dunque per
lui ci che conveniva svelare
per
sottolinearneil
carattere eccezionale e unico. Per Pascal il mostro -
l'enigma
umano
-
rinvia alia difformit
e
al
male, e in
questo
senso
l'uomo davvero
mostruoso: ma
questa
mostruosit si trova strettamente mescolata a ci
che vi di divino
nell'uomo,
poich
Dio lo
giudica degno
di
portargli
la
buona novella.
Perci l'uomo non
deve
disperare
della
propria
miseria; poich
la
grandezza
dell'uomo
grande proprio
in
quanto
conosce
di
essere
mise-
rabile. Un albero
non si riconosce miserabilemwLe miserie stesse del-
I6)
Ibid. 72.
I7) Ibid. 434.
m) Ibid.
W)
Ibid. 397.
Pascal e la
nzetafilsica
del "cuore"
195
l'uomo,
tutte,
provano
la sua
grandezza.
Sono miserie di
un
gran signo-
re le
sue,
miserie di
un re
spodestatomo
Pertanto, non si deve calcare
troppo
la
mano sulla miseria dell'uomo
perch questo
10
sprofonderebbe
nella
disperazione; ma si deve evitare
allo stesso
tempo
di esaltare eccessivamente la
sua
grandezza perch
questo gli
monterebbe la testa e lo
insuperbirebbe.
Scrive Pascal in due
noti frammenti dei Pensieri:

pericoloso
mostrare
troppo all'uomo
come sia
uguale
alle
bestie,
senza
mostrargli
la
sua
grandezza.
E
anche pericoloso fargli
notare la
sua
grandezza
senza la
sua bassezza. E ancora
pi pericoloso fargli
ignorare
l'una e l'altra. Non
bisogna
che l'uomo creda di
essere
egua-
le alle
bestie, n
agli angeli,
n che
ignori
l'una e l'altra
cosa,
ma che
l'una
e l'altra conosca.21
Che
ora l'uomo
giudichi
il
proprio
Valore. Ami
se stesso, perch
in
lui c' una natura
capace
di
bene; ma non ami
perci
le miserie che
sono in essa. Si
disprezzi perch questa capacit

vuota, ma non
disprezzi
per questo
la
sua naturale
capacit.
Si
odi, si
ami;
ha in s la
capacit
di
conoscere la verit
e di
essere felice, ma non
ha la verit
costante e soddisfacente>>22
Per
quanto grande
sia
Yenigmaticit
dell'essere
umano,
l'uomo ha il
dovere di
cercare
la soluzione di tale
enigma.
La cosa
peggiore
secondo
Pascal nascondersi dietro al
paravento
o dello scetticismo di Pirrone
oppure
della evasione di
Montaigne:
<<Non
posso approvare
se non
quelli
che
cercano
gemendomi
Di
qui
il
proposito
e
il
programma
di
Pascal:
Io vorrei condurre l'uomo
a desiderare di trovare la
verit, a essere
pronto
e
libero dalle
passioni
per seguirla
dove la
trover,
sapendo
quanto
la
sua conoscenza si sia oscurata
per
le
passioni;
ben vorrei
che odiasse in s la
concupiscenza
che da
se stessa lo
determina,
affinch
non Yaccecasse nel fare la
sua scelta e non Fimmobilizzasse
quando
avr scelto>>24
Nella visione
antropologica pascaliana
c'
un dualismo che ricalca da
vicino il dualismo dei
platonici,
ma con uno
spostamento
dal
piano
on-
tologico
al
piano
morale. In entrambi i casi si chiede all'uomo di uscire
da
se stesso: dal
corpo
e
dalla
pesantezza
della
materia,
i
platonici;
dalla
miseria,
dalle
passioni,
dalla
concupiscenza
e dal
vizio,
Pascal. Prendere
20)
lbid. 39s.
21) lbid. 417.
22) lbid. 423.
23)
lbid. 421.
24)
Ibid. 423.
196 Parte seconda
coscienza di una
condizionealienata costituisce
per
entrambi il
punto
di
partenza per
intraprendere
la
grande
e faticosa ascesa verso la
Verit,
la
salvezza,
la felicit. Le vie dei
platonici per compiere
la difficilee
ardi-
mentosa
impresa
erano la metafisica,
la mistica e la
religione.
Queste so-
no
anche le vie di Pascal.
Il mistero divino
L'uomo che rimane chiuso in se stesso o
per
rassegnazione,
o
per
disperazione,
o
per
evasioneo
per
compiacenza,
non trover mai la solu-
zione del
proprio enigma.
La soluzione conclusiva
pu fornirgliela
sol-
tanto la
religione,
e
per
un
credente come Pascal,
soltanto il cristianesimo.
Ma c una
soluzione
preliminare
e
parziale
Che
spetta
alla metafisica.
Della
importanza
e
della necessit della metafisica avevano
gi parla-
to
Aristotele
e
molti altri
dopo
di
lui, tra cui Avicenna,
Tommaso
d'Aqui-
no e
Cartesio. Essenzialmente si trattava di
una
necessit
epistemologica:
quella
di una scienza
superiore,
una
scienza
primaria
(la
prete philosophia)
che
fungesse
da fondamentoe
completamento
di tutte le altre scienze.
Pascal un antirazionalista, ma non un
antimetafisico: solo che a una
metafisica della
ragione egli preferisce
una
metafisica del cuore"..
Espressamente egli
non si
occupa
della
metafisica, ma
quando
vuole
portare
l'uomo fuori dalla sua
pesante
e
vischiosa miseria
per
mostrargli
la
verit,
egli compie
una
navigazione analoga
a
quella
di Platone e
quindi
fa dellautenticametafisica. Per l'autore dei Pensieri ci che
giu-
stifica la metafisica non

un'esigenza epistemologica
bens morale: il
primo passo per
condurre l'uomo fuori dalla sua
miseria.
Sia la
grandezza
sia la miseria inducono l'uomo a
cimentarsi col
mistero di
Dio; un
mistero ineludibilema
allo stesso
tempo
insondabile.
La
grandezza
dell'uomo,
che
come si visto sta nel
pensiero,
non
pu
sottrarsi al mistero di Dio. Su
questo punto
Pascal ha scritto
pagine
meravigliose
e
di uno straordinario
vigore.
Nessuno ha mai denunciato
con altrettanta forza la vilt del
pensiero
debole come
ha fatto Pascal.
C' una
pagina
dei Pensieri che ha
un
singolare profumo
di attualit e
che merita di essere letta attentamente. Scrive Pascal:
...
Uimmortalit dell'anima cosa
che ci
importa
tanto,
che ci
riguar-
da cos
profondamente,
che
bisogna
aver
perduto ogni
buon senso
per
rimanere indifferenti alla conoscenza
del suo destino. Tutte le
nostre azioni e
i nostri
pensieri
devono
prendere
strade ben diverse
secondo che si abbia o no
la
speranza
di beni
eterni,
che addirittura
impossibile
fare un
solo
passo
con criterio e con
giudizio
se non
orientandosi su
quel punto,
che deve essere
il nostro
supremo ogget-
to. Perci il nostro
primo
interesse e il nostro
primo
dovere di veder
chiaro intorno a
questo argomento
da cui
dipende
tutta la nostra con-
Pascal e
la
metafisica
del "cuore" 197
dotta. Pertanto tra coloro che non ne sono
persuasi,
io faccio una
grande
differenza tra
quelli
che si
impegnano
con tutte le loro forze
per
istruirsene e
gli
altri che Vivono senza
darsene
pena
o
pensiero.
Non
posso
non avere
compassione per
coloro che
gemono
sincera-
mente in
questo
dubbio,
che lo considerano come l'estremo dei mali e
nulla
risparmiano per
uscirne e fanno di
questa
ricerca la loro
princi-
pale
e
pi
seria
occupazione.
Ma
per quelli
che trascorrono la vita senza
pensare
a
questo
fine ulti-
mo e
per
il solo fatto che
non trovano in se stessi
argomenti persuasi-
vi trascurano di cercarli
altrove, e di esaminare a fondo tale
opinione
per
stabilirese di
quelle
che il
popolo
riceve
per semplicit
credula,
0
di
quelle
che,
quantunque
oscure
per
se stesse,
hanno tuttavia un
fondamento solidissimo e incrollabile;
per
costoro ho
una considera-
zione ben diversa.
Questa negligenza,
in
una cosa
che
riguarda
e loro
stessi e
la loro eternit, e
il loro
tutto,
mi irrita
pi
che commuovermi;
mi
stupisce
e
mi
sgomenta:
la trovo mostruosa. E non
parlo
cos
per
pio
zelo di una devozione
spirituale.
Al
contrario,
penso
che si
dovrebbe avere
questo
sentimento
per
un
principio
di interesse
umano e d'amor
proprio:
non occorre
per questo,
veder
meglio
di
quel
che vedono le
persone
meno
illuminate.
E
dunque
sicuramente un
gran
male l'essere in tale dubbio; ma
quando
si in tale stato e almeno dovere
indispensabile
cercare.
E cos
colui che dubita e che non cerca ,
nello stesso
tempo,
molto infelice e
molto
ingiusto.
Che
se
poi
se ne resta
tranquillo
e soddisfatto, e lo
pro-
fessi
e
si
glori
cli
questo
suo stato, e ne faccia motivo di
gioia
e
di
vanto,
io non trovo
parole per qualificare
un essere
cos insensato.25
Nell'uomo il
problema
metafisico
riguarda principalmente
l'anima,
la
sua natura
spirituale
e
immortale. Nellunivers0 il
problema
metafisico
numero uno Yesistenza di
Dio, un
Dio creatore e
provvidente.
Certo il
primo
un
problema
metafisico di
capitale importanza
e solo un insen-
sato, come dice
Pascal,
pu
disattenderlo,
perch
dalla sua
soluzione di-
pende
la
grandezza
e la miseria dell'uomo: enorme
infatti la sua
gran-
dezza se l'anima immortale; estrema e la
sua miseria se
l'anima mor-
tale.
Per,
alla
fine,
per
trovare una valida
risposta
al
proprio enigma
l'uomo deve uscire da se stesso e
rivolgersi
a Dio. Per Pascal rimanesem-
pre
valido il celebre detto di
Agostino: lnquietum
esi cor nostrmri donec
requiescat
in te. Ma
per
rivolgersi
a Dio si
esige
da
parte
della
ragione
il
riconoscimento della verit della
sua esistenza: una
verit
per
nulla evi-
dente,
dato che molti la
negano.
Occorre
quindi
dimostrarla. Con
quale
procedimento?
25) Ibid. 194.
198 Parte seconda
Pascal
giudica troppo presuntuosi
i
procedimenti
tradizionalicon cui
i filosofi hanno Cercato di
provare
l'esistenza di Dio. Sono
procedimenti
troppo
astrusi e
inefficaci: Sono
prove
che convincono solo l'intellet-
to.Z6 Le
prove
metafisiche di Dio sono
cos lontane dal
ragionamento
degli
uomini e cos
complicate,
che
colpiscono poco.
E
quand'anche
ser-
vissero ad
alcuni, non
servirebberoche nel1attim0 in cui afferrano la di-
mostrazione;
un'ora
dopo
subentrerebbeil timore di essersi
sbagliati?
Con le loro
prove
i filosofi
pretendono
di fornire l'evidenza di
una
realt
che rimane
sempre
profondamente
occulta
e misteriosa. Nel
mondo,
insiste Pascal, non c' una
chiara
trasparenza
dell'esistenza di Dio: Se il
mondo sussistesse
per
istruire l'uomo intorno a Dio,
la
sua
divinit ri-
splenderebbe
da tutte le
parti
in maniera incontestabile
(...).
Ci che vi
appare
non indica n esclusione totale,
n una
presenza
manifesta della
divinit, ma la
presenza
di
un
Dio che si nasconde. Tutto
porta questa
im-
prontam

dunque
vero
che tutto istruisce l'uomo della sua
condizio-
ne,
ma
bisogna
intendere
bene;
perch
non vero
che tutto riveli
Dio, e
non vero
che tutto nasconda Dio. Ma vero
che insieme si nasconde a
quelli
che lo tentano e
che si rivela a coloro che lo
cercano, perch gli
uomini sono
insieme
indegni
di Dio e
capaci
di
Dio;
indegni per
la loro
corruzione,
capaci perla
loro
primitiva
natura.2
L'uomo rimane
dunque sempre capax
Dei,
anche
dopo
la
caduta,
grazie
alla sua natura
originaria; per
non
essendoci un'eVidenza schiacciante
della realt di
Dio, l'uomo, a causa
della
sua corruzione
pu
anche ricusar-
la. Pertanto il riconoscimentodell'esistenza di Dio
appartiene pi
all'ordi-
ne delle decisioni che a
quello
delle dimostrazioni. Non si tratta
per
di un
atto di
fede, ma di una
decisione razionale
ponderata
e calcolata.
Cos al
posto
delle classiche
prove
rigorosamente
dimostrative Pascal
propone
la
sua
celebre scommessa su Dio,
la
quale
si basa sul calcolo delle
probabilit.
In base al calcolo delle
probabilit
- scrive Pascal dovete
cercare con tutte le vostre forze la
verit; perch
se rnorrete senza
adora-
re
il
vero
Principio,
sarete
perduto
.3"
Il famoso
argomento
di
Pascal,
nella
sostanza, suona cos: nessuno
pu
sottrarsi al dilemma:Dio
, o non .

un
problema
di
vita, non un
problema puramente speculativo, perch bisogna agire
0 come se
Dio
esistesse o come se non esistesse. La neutralit
impossibile. Dunque
scommettere
bisogna,
non nostro arbitrio;
siete
obbligato; quale
via
dunque prendete?.31
26) Ibid. 252.
37) lhid. 243.
23)
lbid. 556.
3) Ibid. 557.
3) Ibid. 236.
3T) Ibd. 233.
Pascal
e la
metafisica
del "citare" 199
Consideriamol'alternativa
come un
gioco
nel
quale
uscir testa o cro-
ce. Per
quale
scommettere? Secondo
ragione
non si
pu
scommettere
n
per
l'una n
per
l'altra
parte, perch
secondo
ragione
nessuna delle
due
pu
essere esclusa. La
ragione
in ci
non
pu
decidere; c' un Caos
infinitoche ci divide. Si fa
un
gioco,
all'estremit di
questa
distanza infi-
nita che dar
croce o testa. Per
quale
scommettere? Secondo
ragione,
non
potete
farlo n
per
l'una n
per
l'altra;
secondo
ragione
non
potete
escludere
nessuna delle due.32
Allora,
la
scommessa Va fatta
su ci che
maggiormente risponde
al
proprio
interesse. Ammettiamo: Dio esiste. Che
cosa si rischia
a vivere
come se Dio esistesse? I
piaceri
e
i beni del
mondo, cio un bene finito.
Che
cosa si
guadagna?
Un
guadagno
infinito.
Allora, se si Vince si
gua-
dagna tutto; se si
perde
si
perde
tutto. Non resta che
scommettere che
Dio
, senza esitare.
Anche
ammesse infinite
possibilitnegative
contro
una sola favorevole
sarebbe
sempre
conveniente scommettere
per
l'esistenza di
Dio,
perch
c'
di contro una eternit di vita e di felicit. Ma in realt le
probabilitsono
finite
e
quel
che si rischia finito di fronte
a una infinit di vita infinitamen-
te felice. Ci
pone
fine al
gioco:
dove si tratta dell'infinito
e dove
non c'
infinit di
probabilit
di
perdita
contro
quella
di
vincita, non c'
pareggio:
bisogna
dare tutto
(ossia tutti i beni di
questo
mondo
per
la vita
eterna).33
A conferma della bont della
scommessa su Dio e sullmmortalit
dell'anima alla fine Pascal elenca i
vantaggi
che tale
scommessa frutta
gi
nella vita
presente:
Ma
per
convincervi che
questa
la
strada,
vi dico che cos diminui-
ranno le
passioni,
che
sono il vostro
grande
ostacolo
(...). Voi sarete
fedele, onesto, umile, riconoscente, benefico, amico, sincero, verace.
ln
verit, non vi
muoverete nei morbosi
piaceri,
nella
vanagloria,
negli allettamenti; ma non ne
godrete degli
altri? Vi dico che in
questa
vita ci
guadagnerete;
e a
ogni
nuovo
passo
che farete in
questa
strada,
vedrete
tanta certezza di vincere
e
sempre pi
il nulla di
quello
che
arrischiate, che
riconoscerete alla fine di
aver scommesso
per
una
cosa
certa, infinita, in cambiodella
quale
non avete offerto nul1a.34
Non c' studioso di Pascal che
non abbia fornito
una sua
interpreta-
zione di
questo
famosissimo frammento detto "della scommessa".35 Noi
qui
ci limiteremo
a
poche
osservazioni tese a far
cogliere
il
senso e la
por-
tata
dell'argomento
pascaliano.
32) Ibid.
33) lbid.
34g
Ibid.
35
Tra
gli
altri ricordiamo C.
BESSE, Le
pari,
Paris
1923;
A.
DUCAS, Le
pari
de Pascal.
Les
sources
possibles
de
Fargament
da
pari,
Paris
1951;
R.
GUARDINI, Pascal, Brescia
1956,
pp.
157
ss.;
CH.
JOURNET,
Verit di Pascal
Saggio
sul valore
apologetico
dei
"Pensieri", Alba
1960; M. F.
SCIACCA, Pascal, Milano
1962, 3a
ecl.,
pp.
186
ss.
200 Parte seconda
Ricordiamo anzitutto che
l'argomento
della scommessa era
gi
stato
utilizzato
dagli apologisti
della
prima
met del Seicento
per provare
l'im-
mortalit dell'anima. Pascal il
primo
a
usarlo oltre che
per
l'immorta-
lit dell'anima anche
per
l'esistenza di
Dio, collegando
cos strettamente
tra loro i due massimi
problemi
della metafisica, come avevano
gi
fatto
prima
di lui S.
Agostino
e
Cartesio. Per l'autoredei Pensieri l'esistenza di
Dio infinitamente buono e
l'immortalit dell'anima sono
due
aspetti
della medesima
problematica
metafisica e
religiosa, quale
era
accettata o
rifiutatadai suoi
contemporanei.
ln secondo
luogo, l'argomento
della scommessa era
perfettamente
intonato con
lo stile di una
metafisica esistenziale e non
semplicemente
speculativa,
che toccasse
il cuore
oltre che la
mente,
quale
voleva essere
quella
di Pascal.
Abbiamo
gi
visto il
giudizio
sostanzialmente
negativo
di Pascal
sulle tradizionali
prove
metafisiche della esistenza di Dio. Non sono
prove
false, ma
inefficacie
pertanto
inutili,
oltre che difficilie
tante volte
incomprensibili.
Esse
possono appagare
l'intelletto di
qualcuno,
ma
lasciano indifferenteil
cuore
dellateo. Possono
provare
l'esistenza
di
un
Assoluto,
di un Infinito,
cli un
Principio primo,
di una
divinit
imperso-
nale, ma non
di un
Dio
personale,
Creatore e
Provvidente. Nel fram-
mento 229 Pascal afferma chiaramente
che la natura
-
cio la scienza
della natura che
riguarda
le cose
secondo
gli
schemi della metafisica
speculativa
della
pura
ragione
- ci d luce sufficiente
per
ripudiare
l'a-
teismo, ma
addensa anche tante nubi da non
darci la certezza
per ripo-
sare
in
pace
nel
possesso
dell'idea di Dio.
Ecco
quel
che io vedo e
che mi turba. Guardo da tutte le
parti
e
dap-
pertutto
non
vedo che oscurit. La natura non
mi offre nulla che
non
sia materia di dubbio e
di
inquietudine.
Se io non
vi
scorgessi
nulla
che denotasse una Divinit,
mi determinerei alla
negativa;
se
vedessi
dappertutto gli
indizi di un Creatore,
riposerei
in
pace
nella fede. Ma,
poich
vedo
troppo per negare
e
troppo poco per
rassicurarmi,
mi
trovo in una
condizione
compassionevole,
e
nella
quale
cento volte
ho desiderato che la
natura, se c' un
Dio che la
sostiene, ce ne
desse
indiziosenza
equivoco.37
Ancora
pi
chiaro
quanto
si
legge
nel successivo frammento230,
nel
quale Yincomprensibilt

applicata
non
soltanto a Dio, ma
anche ai
pro-
blemi dell'immortalit dellanima,
della creazione,
oltre che, ovviamente,
a
quello
del
peccato originale.
Incomprensibile
che Dio esista, e
in-
comprensibile
che non esista;
che l'anima sia unita al
corpo,
che noi non
36)
Cf.
].
E. DANGERS, Ijapolagtique
cn France de 1580 1670 - Pascal et ses
prcurseurs,
Paris 1954.
37)
lbid. 229.
Pascal e In
rrzetafisica
del "cuore 201
abbiamo
anima,
che il mondo sia
creato,
che
non 10 sia
ecc.,
che il
pecca-
to
originalesia, e
che
non esista affattom-S
A
questo giunge
la metafisica della
pura ragione:
a un Dio neutrale e
impersonale
che lascia del tutto indifferenteil
negatore
di
Dio,
lateo. Per
stanare lateo dal suo fortilizio,
da dove reclama
prove
scientifiche" del-
la esistenza di
Dio,
la metafisica della
pura ragione
non basta; occorre la
metafisica del "cuore.
Questa non
presenta argomenti
che rischiarano
ulteriormente
l'intelletto, ma un
argomento
che induce il
cuore
alla de-
cisione.
L'argomento
della
scommessa
ha
precisamente questa
funzione:
indurre l'uomo alla decisione
per
Dio,
accantonando
per
il momento sia
gli argomenti
del deista a favore di Dio sia
gli argomenti
dellateo contro
Dio. La
scommessa
spezza
la
logica angusta
della metafisica
speculativa,
e
fornisce al
cuore
ragioni
decisive
per
scommettere
per
Dio:
per
il Som-
mo Bene va
pagato qualsiasi
prezzo,
ancorch la
probabilit
della sua esi-
stenza fosse minima. La
scommessa
esige
una scelta
esistenziale,
im-
pegna
la
logica
del
cuore,
e
prepara
l'incontro con Cristo oltre che
con
Dio.
In terzo
luogo, l'argomento
della
scommessa non va
letto
come un
rifiuto delle
prove
metafisiche
tradizionali,ma come un
importante
sup-
plemento
e una
integrazione
di
quelle.
Esso si affianca
agli argomenti
della
ragione,
di
per
s severi ma non efficaci,
per
renderli oltre che veri
anche efficaci. La metafisica
speculativa

gi
un esodo da
questo
mondo
e un
primo ingresso
nel territorio della
verit, ma ancora una verit
molto incerta e insicura. Un
passo
ulteriore viene
compiuto
dalla metafi-
sica del
cuore con la
sua scommessa:
questa
aiuta a dare l'assenso alle
due verit
fondamentali,
delfesistenza di Dio e
della immortalit dell'a-
nima,
verit di
per
s accessibilianche ai
filosofi, ma che
per
diventare
efficaci
e
persuasive
sul
piano
esistenziale richiedono la conversione del
cuore.
Parlando dei
metodi,
abbiamo visto che
esprit
de
gonzetrie
e
esprit
de
finesse
non sono alternativi
ma
complementari:
come le forme di verit a
ciascuno di essi
corrispondenti,
non solo non si
contraddicono, ma sono
compresenti
nella
pienezza
concreta e assoluta dell'unica verit. La stes-
sa Considerazione vale
per
le
argomentazioni
metafisiche della
pura
ragione
e le
argomentazioni
metafisiche che toccano il
cuore e
il senti-
mento.
Uantropologia
della
grandezza
e della miseria
e, analogamente,
la metafisica della
ragione
e del
cuore non sono vedute
opposte
e anti-
nomiche, ma due
aspetti
essenziali della stessa realt. Tutte e
due
sono
valide
e
sul
piano
della verit la
grandezza
dell'uomo e la
ragione pos-
sono vantare un
primato,
ma sul
piano spirituale
e dell'autenticitdel-
l'incontro
con un Dio
personale,
nella condizione attuale
dell'umanit,
33) Ibid. 230.
202 Parte seconda
risulta
pi
efficacela
consapevolezza
della nostra miseria, e conta di
pi
il cuore e la sua
conversione. E
questo
il
punto
decisivo: la conversione
del cuore.
Il
grande
balzo,
la svolta decisiva non
la
scoperta
dell'esisten-
za
di Dio ma la conversione: la scommessa
che vale la
pena
di rinuncia-
re a tutti i beni di
questo
mondo
per
affidarsi e
impegnarsi
esclusiva-
mente
per
l'unico vero Bene,
Dio.
Ma a
questo punto
affiora un
serio
interrogativo:

proprio
vero
che
una
volta che l'uomo vede che
pi vantaggioso
scommettere su Dio,
ha anche la volont e
il
coraggio
di fare
questa grossissima
scommessa?
O anche i sottili
ragionamenti pascaliani
sulla
probabilit
del bene infi-
nito - che
per
molta
gente
non sono meno astrusi delle
prove
metafisiche
dell'esistenza di Dio - continuano a
lasciare l'uomo
prigioniero
delle sue
incertezze,
perplessit,
dubbi,
indecisioni? Ci sar
sempre
chi dir:
megli0
un uovo
oggi
che
una
gallina
domani". Se la miseria dell'uomo
davvero cos
grande
come
la
dipinge
Pascal, essa continuer a ottene-
brare la mente e a
corrompere
il
cuore
anche
dopo
il macchinosocalcolo
delle
probabilite, perci, gli impedir
di decidersi seriamente
per
Dio.
La
logica
della miseria non
pu
essere
sopraffatta
ne dalle
ragioni
della
mente n da
quelle
del cuore.
L'ultimo
passo
verso
Dio un
passo
che
l'uomo non
pu compiere
con
i soli strumenti
dellkrsprit
de
finesse oppu-
re
dell'esprz't
de
geometrie.
La condizionedella miseria,
che
quella
in cui
tutta l'umanit
piombata dopo
il
peccato
di
Adamo,
impedisce
sia al
cuore sia alla
ragione
di scommettere seriamente su
Dio.
Questa
certamente la
posizione
di Pascal. La dicotomia di fondo
che attraversa tutta la sua
antropologia
non e tra ia
ragione
e
il
cuore,
bens tra il
peccato
e
la
grazia,
tra l'amore di s e
l'amore di Dio. L'uomo
decaduto
pu
certamente conoscere Dio, ma rifiuta di amarlo con tutto
il suo
cuore,
mentre si attacca con
cupidigia
alle creature.
Dunque
tutto
ci che ci
spinge
ad attaccarci alle creature male,
perch
ci
impedisce
di servire Dio, se lo conosciamo, o di cercarlo se non lo conosciamo. Ora
noi siamo
pieni
di
concupiscenza; dunque
siamo
pieni
di
male,
dunque
dobbiamoodiare noi stessi e tutto ci che ci
spinge
ad attaccarci ad altro
che
a Dio>>.39
Secondo Pascal la metafisica dei filosofi,
per quanto
volenterosa,
rimane
sempre
una
metafisica sostanzialmente alienatae
alienante. Essa
non
riesce
neppure
a convincere l'uomo di trovarsi in una
condizionedi
perdizione.
La metafisica dei filosofi
pu
indubbiamentelasciarsi alle
spalle questo
mondo e
intraprendere
la seconda
navigazione,
ma
destinata a
incagliarsi
su
qualche scoglio
e
quindi
al fallimento.
39) Ibia. 479.
Pascal e
la
metafisica
del "cu0re 203
Nella sua severa
pars
destruens -
a cui dedicata tutta la Prima
parte
dei Pensieri
-,
Pascal fa vedere che i filosofi sono
impotenti
a
chiarire
veramente il mistero dell'uomo. Gli stoici hanno
optato per
la
grandez-
za e sono Caduti
nellbrgoglio; gli
scettici
per
la miseria e sono
caduti in
unndifferenza
riprovevole.
Tutti i vostri lumi
possono
arrivare a cono-
scere
che
non in voi troverete la verit e
ilbene. I filosofi
ve
l'hanno
pro-
messo e non
l'hanno
potuto
fare. Essi non conoscono
n
quale
sia il
vero
bene,
n
quale
il vostro vero stato. Come avrebberodato rimedi ai vostri
mali,
che essi non
hanno
neppure
conosciuti? Le vostre malattie
princi-
pali
sono
l'orgoglio
che vi sottrae a Dio,
la
concupiscenza
che vi attacca
alla
terra;
ed essi non
hanno fatto altro se non conservare
almeno una
di
queste
due malattie. Se vi hanno dato Dio
per oggetto,
stato
per
ali-
mentare la vostra
superbia;
vi hanno fatto
pensare
che siete simili e
conformi
a
lui
per
vostra natura. E
quelli
che hanno visto la vanit di
questa pretesa
vi hanno
gettato
nell'altro
precipizio,
facendoviintendere
che la vostra natura simile a
quella
delle
bestie, e
vi hanno
portato
a
cercare
il vostro bene nelle
concupiscenze
che sono
retaggio degli
ani-
mali. Non
questo
il mezzo
per
farvi
guarire
dalle vostre
ingiustizie,
che
questi saggi
non
hanno affatto conosciuto (430).
Ci che
non
possibile
ai filosofi
non lo nemmeno
alle
grandi
reli-
gioni
dell'umanit. Pascal
interroga
uno
per
uno,
brevemente,
Yislami-
smo,
il
buddhismo,
la
religione pagana.
Ma invano. Per
quanto
si esami-
nino tutte le
religioni
del
mondo,
conclude Pascal, non ce
n' alcuna che
porti
una
risposta
davvero decisiva al mistero dell'uomo e del suo
desti-
no. Si considerino a
questo riguardo
tutte le
religioni
del mondo e si
veda se ce n' un'altra,
oltre
a
quella
cristiana,
che ci soddisfi
(...). Quale
religione, dunque,
ci
insegner
a
guarire l'orgoglio
e
la
concupiscenza?
quale religione
finalmente ci mostrer il nostro bene,
i nostri doveri,
le
debolezze che da esso ci
distolgono,
la causa
di
queste
debolezze,
i rime-
di che le
possono
guarire
e
i mezzi
per
ottenere
questi
rimedi? Tutte le
religioni
non
l'hanno
potuto
(ibid.).
La soluzionecristiana
dell'enigma
umano
La soluzionedefinitiva e
completa dellenigma
umano
viene da Ges
Cristo: In Ges Cristo tutte le soluzioni si accordano
(688). Egli
il
punto
di riconciliazionedi tutti i nostri
paradossi,
di tutte le nostre anti-
nomie. Per Pascal, Cristo il centro di
tutto,
la
ragione
e
il
senso
di
tutto,
delluomo
e
di Dio
(cf. 673).
Di
conseguenza
la verit delluomo si trova
solo in lui. Solo Cristo chiarisce il
paradosso
della
grandezza-miseria
dell'uomo. Da una
parte
infatti,
l'incarnazionemostra all'uomo la
grandezza
della sua
miseria con
la
grandezza
del rimedio che ci volu-
204 Parte seconda
to (526); dall'altra,
la croce rivela la
grandezza
dell'anima
umana,
chia-
mata dalla misericordia a condividere ia stessa vita divina
(Mermorialc).
La
conoscenza di Dio senza
quella
della
propria
miseria
inorgoglisce.
La
conoscenza della
propria
miseria senza
quella
di Dio
genera
la
dispe-
razione. La
conoscenza di Ges Cristo realizza il
giusto mezzo, perch
vi troviamo Dio e
la nostra miseria
(527). Non conosciamo Dio che
per
Ges Cristo. Senza
questo
Mediatore, abolita
ogni
comunicazionecon
Dio;
per
Ges Cristo conosciamo Dio. Tutti coloro che hanno
preteso
co-
noscere Dio e
provarlo
senza Ges Cristo
non
possedevano
che
prove
impotenti
(547).
Senza Ges Cristo l'uomo necessariamentenel vizio
e nella
miseria; con Ges Cristo esente da vizio e
da miseria. In lui
tutta la nostra virt e
la nostra felicit. Fuori di lui
non v' che
vizio,
mi-
seria, errore, tenebre, morte, disperazione (546). Non solo conosciamo
Dio solo in Ges
Cristo, ma conosciamo noi stessi solo in Ges Cristo.
Al di fuori di Ges Cristo
non
sappiamo
n che cos' la
vita,
n la
morte,
n
Dio, n noi stessi
(548).
Utilizzandola
figura paolina
e
agostiniana
del
nzeditrtorv,
Pascal sotto-
linea la
duplice
mediazionesvolta da Cristo nei confronti dell'umanit.
Egli
mediatore sul
piano oggettivo, poich
rivela all'uomo
l'immagine
del Dio vivente e
l'immagine
dell'uomo secondo
Dio;
e inoltre mediato-
re sul
piano soggettivo, poich
d
all'uomo, che si
apre
a Dio,
il solido
punto d'appoggio
della
sua esistenza;
gli
conferisce
l'atteggiamento
amante e filialeche lo salva. Cristo Veramente la totalit del senso del-
l'uomo:
egli
decifra e salva.
luce e rimedio, Verit e Vita. L'uomo non si
scopre
e non si realizza n nella
figura
del
saggio,
n in
quella
dell'eroe,
ma in Ges Cristo crocifisso. In lui il
peccato
assunto ma e anche
espiato
e
superato
nell'amore;
la nostra
colpa

riconosciuta,
perdonata
e
superata
dalla
grazia.
Per Pascal esiste
quindi
una sola
spiegazione
dell'uomo:
quella
della fede cristiana.
Ma la bont della soluzione cristiana
dellenigma
umano
- oltre che
dalla
perfetta rispondenza
tra la soluzione
e
l'enigma
stesso

trova ulte-
riori confermein tutta una serie di solidi indizi:le
profezie,
i
miracoli,
lo
sviluppo prodigioso
e
pacifico
del cristianesimo
ecc. Preferisco
seguire
Ges
Cristo,
che
qualsiasi
altro,
perclfegli
ha
miracoli,
profezie,
dottrina,
perpetuit
ecc. (822). Ges Cristo
prima,
e
dopo gli apostoli
e i
primi
santi hanno fatto miracoli
e
in
gran
numero, perch
non essendo le
profe-
zie ancora
compiute,
e
adempiendosi anzi,
per
loro
mezzo,
nessuna testi-
monianza
poteva
esservi tranne i miracoli
(...).
Le
profezie adempiute
sono un miracolo
permanente
(638).
Tratti caratteristici della
vera reli-
gione
sono:
perpetuit,
santit di
costumi,
miracoli
(844). Gli eretici
hanno
sempre
combattuto
questi contrassegni perch
non
li
posseggono.
Pascal e la
metafisica
del cu0re" 205
Conversione del cuore e
follia della croce
Ma Pascal
perfettamente consapevole
che tutte le belle
argomenta-
zioni da lui
ingegnosamente
costruite nella sua
apologetica
del cristianesi-
mo non bastano a
indurre il libertino ad abbracciare Cristo. Per
questo
occorre
anche e
soprattutto
la conversione del
cuore;
occorre
la follia
della croce.
La
ragione pu
condurre alla
conoscenza,
ma
incapace
di
condurre all'amore. Quanta
distanza tra il conoscere
Dio e
Pamarlo!
(280),
esclama Pascal.
il
cuore
che sente Dio, non
la
ragione.
Ecco cos'
la fede: Dio sensibileal
cuore,
non
alla
ragione
(278).
<<La fede dono di
Dio; non
diremo mai, credetelo,
che sia un
dono del
ragionamento
(279).
Perci tutta
Papologetica
non
pu
essere
che un
preambolo
alla fede.
Questa
tutt'altra cosa: essa
dono
puramente
gratuito.
La nostra ascesa
Verso
Dio
vana,
se
egli
stesso non
discende Verso
di noi. Cos mentre
nella sua struttura
argomentativa lapologetica pascaliana procede
coe-
rentemente dal basso:
dallenigma
umano
al faro luminoso di
Cristo;
dal-
lintelligenza
verso l'amore;
Yefficacia
soteriologica procede
tutta dall'al-
to. Vi dichiariamo che niente di tutto ci
(miracoli, profezie
ecc.)
pu
trasformarci e
renderci
capaci
di amare e conoscere
Dio fuorch la virt e
la follia della
croce,
senza
sapienza
n
segni;
non mai i
segni
senza
questa
virt. Cos la nostra
religione
folle se si
guarda
alla sua causa effettiva,
savia se
si
guarda
alla
sapienza
che
prepara
ad essa (587).
La nostra
religione
savia e
folle. Savia
perch
la
pi sapiente
e
la
meglio
fondata
in miracoli e
profezie
ecc. Folle
perch
non sono
affatto tutte
queste
cose
che fan s che si sia cristiani. Esse
valgono
a
far condannare
quelli
che ne
restano al di fuori, ma non a
far credere
quelli
che vi sono
dentro. Ci che
fa credere la
croce,
ne {macuatasii crux (I
Cor 1, 17).
E infatti S. Paolo,
che
pur
era
in
saggezza
e in
segni,
dice di non essere venuto n in
saggezza
n in
segni: perch
veniva
per
convertire (588).
L'itinerario
apologetico pascaliano

quello dellirttellige
ut credas che
alla fine si
coniuga
con
il crede ut
irttelligas;
in effetti soltanto il credere
rende efficaceVin
telligere.
In tutto
questo
Pascal
profondamenteagosti-
niano. La sua sintonia
spirituale
e
intellettuale con
Agostino
lo
port
a
schierarsi
apertamente
con
gli agostiniani
del
suo
tempo,
i
giansenisti,
anche
se
il loro
agostinismo
tradiva su
alcuni
punti importanti
il Dottore
di
lppona.
Conclusione
La metafisica di Pascal una
metafisica cristiana molto diversa dalla
grande
metafisica cristiana del
medioevo,
sempre
basata
-
non
solo in
Anselmo e S. Tommaso, ma
anche in
Agostino,
Bonaventura e Scoto
sullarm0nia tra fede
e
ragione
consistente in una felice
sintesi
tra Verit
206 Parte seconda
mutuate della metafisica classica
(di Platone
o
di
Aristotele) e verit
attinte dal cristianesimo.
Quella di Pascal
una metafisica basata
piutto-
sto sul conflitto
e lantinomia tra fede e
ragione,
sulla critica dei filosofi e
delle loro teorie
e sulla rivendicazionedell'assoluta
singolarit
ed esclu-
sivit della verit cristiana. Dio
d'Abramo,Dio
dIsacco, Dio di Giacob-
be, e non dei filosofi
e dei
sapienti.
Dio di
Cristo, avrebbescritto Pascal
nel
suo famoso Memoriale.
Questa
dichiarazioneviene
ripresa
e ribadita
anche in
uno dei frammenti
pi
belli dei Pensieri:
Il Dio dei cristiani
non consiste solamente in
un Dio
semplicemente
autore delle verit
geometriche e dell'ordine
degli elementi;
questa

la
posizione
dei
pagani
o
degli epicurei.
Non consiste solo in
un Dio
che esercita la
sua
provvidenza
sulla vita
e sui beni
degli uomini,
per
donare
una felice serie di anni
a
quelli
che lo adorano. Ma il Dio di
Abramo, dIsacco,
il Dio di
Giacobbe,
il Dio dei cristiani un Dio d'a-
more e
di
consolazione, un Dio che
riempie
l'anima
e il
cuore di
quelli
che
egli possiede,
un Dio che fa sentire loro interiormente la
loro miseria e la
sua misericordia
infinita;
che
compenetra
la loro
anima;
che la
riempie
di
umilt,
di
gioia,
di
confidenza, d'amore,
che
li rende
incapaci
di altro fine che
non sia lui medesimo
(556).
La metafisica cristiana medievale
era basata sull'idea della sostanziale
integrit
della natura umana anche
dopo
il
peccato originale,
una natura
che la
grazia
non
distrugge
ma
perfeziona.
Invece la metafisica di Pascal
si basa
su una concezione fortemente
negativa
della natura
umana,
che
egli
considera
profondamente
e
irreparabilmente
corrotta dalla miseria
del
peccato.
A Pascal manc il
senso creatumle: visse cos intensamente la
negativit
del
peccato
da
non
poter
vivere altrettanto intensamente la
positivit
della creazione. Il
Dio-Padre,
che
crea
per
amore ed
provvi-
denza,
offuscato dal
Dio-Figlio,
che crocifisso
per gli
uomini.
Quella
che
possiamo
chiamare la
sua
antropologia teologica
incentrata tutta
sulla follia del
peccato
e
sulla follia della
croce; manca
quasi
del tutto una
corrispondente antropologia
che abbia
come centro l'altro
aspetto
delle
possibilit
della libert
umana e
dell'opera
dell'uomo nel
mondo,
anche
ai fini della
sua salvezza. Non
Agostino,
ma
agostinismo
unilaterale
e
manchevole,
che
va subito
e
sempre
correttofio
Tutta la metafisica di Pascal essenzialmente
una metafisica della
indigenza
e della
miseria,
che fa intuire la
grandezza
dell'uomo, ma allo
stesso
tempo
rende
palese
la necessit della redenzione
e della
grazia
di
Cristo,
per
consentire all'uomo di diventare effettivamente
grande.
Tutto
quello
che ci
importa
conoscere che siamo
miserabili, corrotti,
separati
da
Dio; ma riscattati da Ges
Cristo; e di ci abbiamo
prove
mirabilisulla terra
(560).
4) M. F.
SCIACCA, Pascal, cit.,
pp.
218.
Pascal c la
metafisica
del cuore 207
Suggerimenti
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a cura
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208
LEIBNIZ E LA
METAFISICADELLA MONADE
Vita
e
opere
Gottfried WilhelmLeibniz
nacque
a
Lipsia
il 1
luglio
1646. Suo
padre
era
giureconsulto e
professore
di morale all'universit di
Lipsia.
Leibniz
fece i
primi
studi sotto la
sua
guida.
La
sua materia
preferita
era la filo-
sofia:
leggeva
con lo stesso entusiasmo
gli
Antichi
(Platone e Aristotele)
e i Moderni
(Bacone,
Campanella, Hobbes, Locke, Galileo
e Cartesio).
A 16 anni fece
l'ingresso
alla universit di
Lipsia
dove continu
gli
studi
filosofici. Poi
pass
all'universit di
Iena,
dove si diede
con
preferenza
alla
matematica;
gli
Venne l'idea di
applicare
il metodo matematicoalla
filosofia
e a tale fine scrisse la Dissertatio de arte combinatoria
(il suo
"Discorso sul
metodo"). Nel 1666 si laure in
legge
secondo i desideri
del
padre.
Per
qualche
anno continu
gli
studi
giuridici
e scrisse
opere
di morale e diritto.
Col 1672 inizia
per
Leibniz
un
periodo
di
viaggi.
Prima
va a
Parigi
dove,
dopo
il fallito tentativo di indurre
Luigi
XIV
a
intraprendere
una
crociata contro i
Turchi,
riprende
lo studio della
matematica,
in cui di-
viene
uno
degli
studiosi
pi
celebri del
tempo Scopre
il calcolo differen-
ziale
e
il
regolo
calcolatore.
In
questo tempo
si incontra
con Bossuet col
quale
entra in trattative
per
la riunionedelle Chiese
protestanti
con
quella
cattolica. Leibniz
non
tard ad
accorgersi
dellnattuabilitdella riunionee tuttavia continu a
lavorare
per appianare
le diversit tra le varie confessioni cristiane fino
alla
morte.
Nel 1676 torna in Hannover
ove, come bibliotecario
e
consigliere
del
duca Gianni
Federico,
gode grande
stima e influenza.
In
questo periodo disegna
e realizza le sue
grandi
opere
filosofiche.
Scrive il Discorso di
metafisica
(1686) e la
Monadolotgia
(1714).
La fine di Leibniz fu tuttavia solitaria
e triste. Nel
1714, morta la
prin-
cipessa
Sofia,
elettrice di
Hannover,
il
grande
filosofo si vide abbando-
nato. Mor due anni
dopo
e
fu
sepolto
senza
accompagnamento
funebre.
Fra le
opere
scientifiche ricordiamo i suoi scritti sul calcolo infinitesi-
male: Nova methodus
pro
ntaxirnis et minimis
e De Geometria TECOHdLI et
anali/si"
irtdivisibilium
utque infinitorum, pubblicati
nel 1684
e nel
1686,
che
diedero
luogo
alla
polemica
con Newton. Il Newton infatti nei suoi Phi-
losophiae
naturalis
principia mathematica,
pubblicati
nel
1687, enunciava
gli
Leibniz e la
metafisica
della monade 209
stessi concetti del Leibniz sul calcolo infinitesimale, ma
li aveva
gi
esposti
molti anni
prima
in alcune lettere. Il
giudizio pi
sereno
dei
po-
steri ha assodato che
ognuno
dei due
pensatori
era
giunto
indipendente-
mente dall'altro alla medesima
scoperta.
Fra le
opere
filosofiche,
che sono numerosissime, e tra le
quali
hanno
grande importanza
le lettere,
ricordiamo il Discorso di
Metafisica
(1686),
il
Nuovo sistema sulla natura e
la comunicazionedelle sostanze (1695),
i
Principi
della natura e della
graziafondati
sulla
ragione
e
la
Monadologia,
scritta nel
1714, ma
pubblicata postuma
nel 1721. Le
opere
che abbiamoora citate,
tutte brevi,
hanno in comune
il carattere di sistematicit; anzi,
ognuna
riassume
gli
elementi fondamentali della filosofialeibniziana.
Le
opere
filosofiche di
pi grande
mole: I Nuovi
saggi
sullfinteiletto
zmiano,
scritti nel 1704, ma non
pubblicati
da Leibniz, e
i
Saggi
di Teodicea
(1710) sono
scritti di occasione e
polemici:
il
primo
una
discussione del
Saggio
sullntelletto anrano
di G. Locke,
il secondo una
polemica
con
P.
Bayle.
Il
programma
metafisico leibniziano
Leibniz l'ultimo
grande esponente
della corrente razionalista, non-
ch il
padre
della filosofia tedesca,
che
con
lui maturo
rapidamente
e
in
breve
tempo super
di
gran
lunga
la filosofia di tutti
gli
altri
paesi
dell'Europa
e del mondo.
Scienziato
insigne,
al
quale
si devono alcune
importanti scoperte
come
il calcolo infinitesimale, e
filosofo
geniale, partendo
da Aristotele,
Leibniz ha cercato di rinnovare la metafisica nei due rami fondamentali
della
cosmologia
(filosofia
della natura) e
della
teologia
naturale,
facen-
do
un'opera
di mediazione tra il monismo di
Spinoza
e
il
pluralismo
dualistico di Cartesio. In
cosmologia
con
la dottrina sulla monade
egli
pone
alla base del mondo materiale un
principio spirituale
altamente
dinamico,
dotato di coscienza e
di volont. Nella
teologia
naturale,
gra-
zie al suo
innato ottimismo, egli
sostiene che
questo
il
migliore
dei
mondi
possibili.
Leibniz non
ha elaborato un sistema
completo
di
metafisica;
tuttavia
egli
uno
dei
pi profondi
metafisici di tutti i
tempi
e
ha
preso posizio-
ne
per
la metafisica come
scienza deduttiva, come essa stava davanti
agli
occhi dei suoi
contemporanei
secondo la tradizionewUna
qualit
caratteristica di Leibniz
rispetto
a
molti
pensatori
del suo
tempo
che
egli
intende
pensare
ancora
ontologicamente,
secondo il modo della
1)
P.
PETERSEN,
Geschichte dar aristoteliscien
Philosophie
in:
protestantiscizcn
Deutscizland,
Lepzig
1921,
p.
377.
210 Parte seconda
scuola antica. Nel secolo XVIII
possono
farlo
ancora solamente Wolff
e
una
parte
dei
wolffiani;
nel secolo XIX non
pu
farlo
pi
nessuno: allora
tutta la riflessioneteoretica divent
gnoseologia?
Come Pascal anche Leibniz
pone
una netta distinzione tra scienza
e
metafisica, e come Pascal
egli
si
ispira
spesso
ad
Agostino, ma diversa-
mente da Pascal che
aveva un'idea
pessimistica
e
tragica
dell'uomo e
del
mondo, Leibniz ha un'idea
sostanzialmente
positiva e ottimisticafi
Egli
non conosce nessun insanabile
contrasto tra fede
e
ragione; concepi-
sce la fede soltanto
come l'ultimo stadio di una
ragione
totalmente
informata,
che si
muove
spontaneamente verso Dio, senza
che interven-
ga
un richiamo dall'alto al
quale
l'amore dell'uomo debba umilmente
aprirsi.
Leibniz ha
piena
fiducia nella
ragione,
che ha in s le idee innate
dei
principi primi
e delle verit fondamentali
e se ne avvale
per
costrui-
re un sistema metafisico in cui
ogni
cosa funziona
egregiamente
secon-
do le
leggi
immutabilidi un'armonia
prestabilita
da Dio.
All'epoca
in cui Leibniz form la
sua cultura,
la filosofia che si inse-
gnava
nelle
universit,
specialmente
in
quelle tedesche, era
quella
scola-
stica. Pi
precisamente
quella
che Giacn chiama la "seconda scolasti-
ca",
che
come
sappiamo
aveva ricevuto la
sua elaborazione ufficiale
per
mano di F. Suarez.
Egli poi
lesse anche
gli
scolastici medievali
(dei
quali
del
resto trovava riferite le
opinioni
anche dal
Suarez), e
opere
di Plato-
ne e
di
Aristotele,
che trovava nella biblioteca
paterna.
Il
primo
scritto fi-
losofico di
Leibniz,
la tesi
per
il baccalaureato
sostenuta davanti alla Fa-
colt di filosofiadell'universit di
Lipsia
nel
1663, tratta di
un
argomen-
to
tipicamente
scolastico: il
principio
di
individuazione, ed intitolato
Disputatio metaphysica
de
principio
individui.
Ma
se la filosofiascolastica
era
quella insegnata
nelle
universit, non
si
pu
dire che
essa dominasse la cultura del secolo
XVII,
la
quale
della
scolastica
avversava sia il metodo sia
l'applicazione
che
questa
faceva
dei
principi
della metafisica allo studio della natura.
Galilei, Bacone e
Cartesio
avevano
rimpiazzato
il metodo
sillogistico
deduttivo
degli
sco-
lastici
con il metodo
sperimentale
della osservazione
e della induzione
e
avevano introdotto
una nuova scienza della
natura,
basata esclusiva-
mente
sugli aspetti quantitativi
e calcolabilidelle
cose,
distaccandola
dalla metafisica della
sostanza e delle forme sostanziali.
Leibniz,
dopo
aver studiato la filosofia
scolastica, conobbe la
nuova
scienza della natura e abbracci
per
un certo
periodo
anche la concezio-
ne filosofica che
ne era il
presupposto
teoretico,
cio il
meccanicismo,
ma
poi
ne vide l'insufficienza
e
comprese
la necessit di
una sintesi che
tenesse conto delle verit
messe
in luce dai moderni
e
di
quelle
contenu-
2) N.
HARTMANN, Leibniz als
Metaphysiker,
Berlin
1946,
p.
13.
3) Cf.
J. CUl'I"I()l\', Pascal et
Leibniz,
Paris 1951.
Leibniz
e la
metafisica
della monade 211
te nella filosofia aristotelica. Fatte
queste premesse,
e ricordando che
presso
alcuni moderni il meccanicismo
prendeva
la forma di
atomismo,
potremo capire meglio
il
significato
dei
seguenti passi
leibniziani:
Ero
penetrato
ben avanti nel
paese degli Scolastici,
quando
le mate-
matiche
e
gli
autori moderni me ne fecero uscire ch'era
ancora molto
giovane.
l loro bei modi di
spiegare
la natura meccanicamente mi
affascinarono
e
disprezzai
con
ragione
il metodo di
quelli
che ricorro-
no solo alle forme o facolt dalle
quali
non si
impara
nulla. Ma
poi,
avendo cercato di
approfondire
i
principi
stessi della
meccanica,
per
rendere
ragione
delle
leggi
di natura che
l'esperienza
ci fa
conoscere,
mi accorsi che la sola considerazionedi una massa estesa non era suf-
ficiente
e
che
bisognava
usare anche la nozione di
forza,
che
perfet-
tamente
intelligibile
bench
appartenga
alla metafisicam
E altrove:
So che metto innanzi
un
gran paradosso quando pretendo
di riabili-
tare in
qualche
modo la filosofiaantica e di
reintegrare
nei loro diritti
le forme sostanziali che
sono state
quasi
bandite, ma forse
non mi si
condanner cos alla
leggera, quando
si
sapr
che ho molto meditato
sulla filosofia
moderna,
che ho dedicato molto
tempo
alle
esperienze
della fisica
e alle dimostrazioni della
geometria,
che
per lungo tempo
sono stato
persuaso
della vanit di
questi
esseri e che
sono stato infi-
ne
obbligato
a riammetterli contro mia
voglia
e
quasi
per
forza,
dopo
aver fatto io stesso delle
ricerche, le
quali
mi hanno indotto a ricono-
scere che i nostri moderni
non rendono
giustizia
a S. Tommaso e ad
altri
grandi
uomini di
quel tempo
e
che vi nelle
opinioni
dei filosofi
e
teologi
scolastici molta
pi
solidit di
quel
che si
pensi.5
Ma che
cosa cercava e trovava Leibniz nelle forme sostanziali?
Il
principio
che d unit all'essere
e
il
principio
intrinseco di attivit.
Ora,
Patomismo
non
salvaguardava
il
principio
di
unit; mentre il meccanici-
smo non dava conto del
principio
di attivit. Scrive ancora Leibniz a
questo proposito:
Da
principio, quando
mi fui liberatodal
giogo
di
Aristotele, mi
incontrai col Vuoto e con
gli atomi,
poich
sono le
cose che
pi
soddi-
sfano
Yimmaginazione. Ma, essendone
uscito,
dopo
molte meditazio-
ni,
mi accorsi che
impossibiletrovare i
principi
cli
una vera unit
nella materia sola o in ci che e solo
passivo, poich
in essa tutto
collezione o ammasso di
parti
all'infinito.
Ora,
poich
la moltitudine
non trae la
sua realt
se non dalle
vere unit che
vengono
da altra
4) NOHJELZL!
Systme,
in C.
GERHARDT, Die
philosophischeSchrifterz
von C. W. Leibniz
(da
qui
in avanti indicheremo
questa
edizione con la dicitura
"Gerhardtfi,
vol.
IV,
p.
478.
5) Cf. Discours de
Mtaphysique,
ediz.
Gerhardt, IV,
p.
435.
212 Parte seconda
parte,
evidente che il continuo non
pu
essere
composto.
Sicch
per
trovare
queste
unit reali fui costretto a ricorrere a un
punto
reale e
per
cos dire animato, o a un atomo di sostanza che deve includere in
s
qualche
cosa
di formale e
di attivo
per
costituire un essere
comple-
to. Conclusi
dunque
che la loro natura consiste nella
forza,
e
che da
questa segue
qualche
cosa
di
analogo
alla sensazione,
alla tendenza,
sicch
bisognava concepire
le forze a
somiglianza
della nozione che
abbiamo delle anime. Aristotele le chiama Qantelechie
prima";
io le
chiamerei
forze, pi intelligibilmente,forze prfilifffflm
Questo
principio
di unit e
di attivit
quello
che
pi
tardi Leibniz
chiamer HIOTHdE. La monade sar infatti definita da Leibniz come una
sostanza
semplice,
senza
parti
e
capace
di azione.
Leibniz,
pero,
non
ha studiato invano i moderni "riformatori"?
Dopo
averli analizzati attentamente, non
pu pi
ritornare alla
posizione
ari-
stotelica
pura
e
semplice,
ma
giunge
a una sintesi
geniale
tra il finalismo
tradizionalee
la nuova
concezionedella natura.
Del
primo egli
accetta la
tesi che necessario risalire a un
principio
immanente di attivit (forma,
entelechia, monade) se si vuole trovare la
ragione
HTIII dei fatti natura-
li, e
fare una
filosofia
della
natura;
della concezione moderna
egli
accetta
l'affermazione che se si vuole conoscere come si
svolga
l'attivit delle
cose,
se si vuole una conoscenza
specifica
della natura
bisogna
limitarsi a
considerare solo
gli aspetti quantitativi,
misurabili,calcolabili,
matema-
tizzabili
(grandezza,
forma, numero),
ossia estensione e moto locale.
Ecco come
si
esprime
Leibniz:
Chi
potrebbe negare
la forma sostanziale,
ossia ci
per
cui la sostan-
za di un
corpo
differisce da
quella
di un altro?
Questo
solo in
que-
stione: se
ci che Aristotele ha detto in
generale
sulla materia,
la
forma,
la mutazione si debba
spiegare
in
particolare
con
grandezza,
forma e moto
(...).
Sono d'accordo che la considerazione di
queste
forme sostanziali non serve a
nulla nelle dottrine
particolari
della fisi-
ca e non deve essere usata
per
spiegare
i fenomeni in
particolare.
E in
questo
hanno
sbagliato gli
scolastici e
i medici dei
tempi passati
che
ne
seguivano l'esempio,
credendo di
spiegare
le
propriet
dei
corpi
col ricorrere a forme e
qualit,
senza
preoccuparsi
di esaminare
il
modo
dell'operazione,
come se uno si accontentasse di dire che l'oro-
logio
ha la
propriet
orodittica che
proviene
dalla sua forma, senza
considerare in che cosa
consista tale
qualit...
Ma
questo
cattivo uso
delle forme non
deve farci
negare
una cosa
la cui conoscenza
cos
necessaria in metafisica,
che senza
di essa non si
potrebbero
conosce-
re
i
principi
costitutivi della realt,
n elevare lo
spirito
alla conoscen-
za delle nature
incorporee
e delle
meraviglie
di Dio>>.==
5) Nouveau
Sysfme,
cit.,
pp.
478-479.
7) Cf. Discours de
Mtaphysiqitc,
cit.,
pp.
445-446.
8) zbid,
pp.
434-435
Leibniz e
la
metafisica
della monade 213
Ma nel
programma
metafisico di Leibniz c' molto di
pi
della crea-
zione di una
filosofiadella natura che
sa
accogliere
le istanze dei moder-
ni mantenendo saldi i
principi
metafisici
degli
antichi. La sua
preoccu-
pazione
fondamentale salvare dallidra dell'unica sostanza di
Spinoza,
la
dignit
e l'autonomia
degli
individui. Nelle sue
celebri Lezioni sulla
storia della
filosofiaHegel
dichiara che ci che c' di
grande
in Leibniz il
principio
di individualit. Secondo l-I. Heimsoeth,
la dottrina leibnizia-
na
della monade offre il sistema classico dellindividualismo.In effetti
ci che c' di
singolare
nella metafisica della monade l'affermazione
del valore assoluto dell'individuo e
la sua
assoluta
priorit rispetto
a
qualsiasi principio
universale,
si chiami
Uno, Intelletto, Bene, Sostanza,
Volont,
Essere. Per Leibniz,
che
su
questo punto
si rif ad Occam,
l'uni-
versale
sempre
un'astrazionee
mai una realt;
questa

sempre
indivi-
duale,
particolare, singola.
L'individuo non
pu sorgere
dalluniversale
n mediante
aggiunte
n mediante
negazioni.
Ciascun individuo
individuato da tutta la sua entit. L'individuo non
una evanescente
manifestazionedelluniversale, ma ci che c' di
pi
reale nell'universo.
E il mondo
meraviglioso
non
perch
un'unica sostanza, ma
perch

l'insieme armonioso di infiniti individui o monadi,
ciascuna delle
quali
rispecchia
in s tutti
gli
altri individui o
monadi. Secondo la concezione
di Leibniz,
il
polo opposto
della vera
filosofia
rappresentato
dal
monopsichismo degli
averroisti,
dove una
sola anima universale, come
un oceano
spirituale, inghiotte
le anime
singole.
Al
monopsichismo
di
Averroe al monismo
usiologico
di
Spinoza
Leibniz
contrappone
il suo
individualismo
pluralistico
che
presenta
la realt come
costituita di
un
numero
infinitodi sostanze tutte viventi,
conoscenti e
attive.
Siamo davvero
agli antipodi
dei sistemi monistici.
Qui
c' la consacra-
zione di un
pluralismo
oceanico. Il mondo leibniziano si
espande
verso
una
infinit di
galassie,
e
ogni
individuo
(monade)

gi per
conto suo
una
galassia.
L'universo come
un'orchestra enorme
in cui
ogni
suo-
natore
esegue
perfettamente
la
sua
parte,
in sintonia con tutti
gli
altri.
Punto di
partenza
della metafisica leibniziana la dottrina aristoteli-
ca
della
sostanza,
a cui
pero
Leibniz
apporta
modifiche
profonde,
ab-
bandonando alcuni
principi
fondamentali della metafisica dello
Stagi-
rita. Infatti la monade leibniziananon e solo un
principio
di unit e
di
attivit, come
lmentelechia aristotelica, ma un
tutto". Lentelechia
aristotelica
principio
determinatore della
materia;
la monade leibnizia-
na non
ha una materia da
determinare, e ci
perch
Leibniz ritiene inin-
telligibili
i caratteri della materia aristotelica:
molteplicit
e
potenzialit.
La
molteplicit
deve ridursi
all'unit,
secondo Leibniz: la
molteplicit
non
pu
essere
concepita
se non come una somma
di
unit, e la
potenza
9)
H.
HEIMSOETH,
I
grandi
temi della
metafisica
occidentale,
Milano
1973,
p.
212.
214 Parte seconda
deve ridursi
a unattualit
non ancora manifesta. I
primi paragrafi
della
Monadologia
affermano la riduzionedallesteso al
semplice,
dal
moltepli-
ce alluno, e
ogni
volta che Leibniz si trover di fronte al concetto di
potenza
lo scarter come
inintelligibile.
Le facolt
senza
qualche atto,
in
una
parola,
le
pure potenze
della Scuola
non sono altro che funzioni
che la natura non conosce e
che si
ottengono
solo a forza di astrazioni.
Infatti dove si trover mai al mondo una facolt che sia
pura potenza
e
non eserciti anche
qualche
atto? C'
sempre
una
disposizioneparticolare
all'azione
e a un'azione
piuttosto
che un'altra. E oltre alla
disposizione
c' una tendenza
allazione,
anzi un'infinit di tali tendenze in
ogni sog-
getto
e
queste
tendenze
non sono mai senza
qualche
effetto.10
La
negazione
della realt della
potenza porta
Leibniz ad affermare che
ogni
sostanza ha in s fin da
principio
tutta l'attivit di cui
capace,
anzi
addirittura la sua attivit. Si
capisce
allora
perch
le monadi siano isola-
te, senza comunicazione tra loro, senza
porte
n finestre
come dice
Leibniz. Non hanno
bisogno
di comunicare fra
loro,
perch
ognuna porta
gi
in s tutto
quello
di cui
capaceper
essere
specchio
dell'universo.
Al
suo
programma
metafisico Leibniz ha dato
perfetta
esecuzione
nella
Monadologia. L'opera,
che
non un monumentale trattato bens
un
breve
saggio,
una
splendida
sintesi di tutto il
pensiero
filosoficoleibni-
ziano. Lo scritto si
compone
di
cinque parti,
cos distribuite:
- Parte Prima: la
sostanza,
- Parte Seconda: la
conoscenza,
- Parte Terza:
Dio,
Parte
Quarta:
la struttura
dell'universo,
-
Parte
Quinta:
la Societ
degli spiriti.
Qui
noi ci
permettiamo
di modificare
leggermente
l'ordine della
Monadologia,
dando la
precedenza
alla dottrina della
conoscenza, poich
questa,
come
sappiamo,
un
prologo indispensabile
di
ogni
metafisica.
Per le altre
parti, poi,
terremo conto anche
degli sviluppi
che Leibniz
ha dato al suo
pensiero
in altre
opere.
Dottrina della
conoscenza
Le dottrine che caratterizzanola
gnoseologia
leibniziana
sono due: le
idee innate e
il
principio
di
ragion
sufficiente.
Come
sappiamo, quella
delle idee innate una teoria che risale ad
Agostino
e che tra i moderni
era stata
ripresa
da Cartesio e Malebran-
che, ma
che
aveva suscitato oltre che le antiche riserve e
critiche di
S.
Tommaso,
anche
quelle
recenti di
Locke,
che
se ne era
occupato espres-
1) Nuovi
saggi
II,
cap.
1, 2.
Leibniz e
la
metafisica
della monade 215
samente nel suo
famoso
Saggio
sullfintelletto umano.
Su
questo punto
capitale
Leibniz interviene in vari scritti
e, specialmente,
oltre che nella
Seconda Parte della
Movmdologia,
nei Nuovi
saggi
sullntelletto umano.
Giustamente, anzitutto,
Leibniz si
preoccupa
di
respingere
la critica
lockiana alle idee innate. L'errore di
Locke, a
parere
di Leibniz, sta nel
concepire
le idee innate come
idee
gi completamente sviluppate
e
quin-
di come idee chiare e
distinte. Invece,
ribatte Leibniz,
le idee innate non
sono
chiare e distinte,
cio idee di cui siamo
pienamente consapevoli;
sono
piuttosto
confuse e oscure, piccole percezioni,
idee in
germe;
sono
simili alle venature che in un
blocco di marmo delineino,
per
es.,
la
figu-
ra
di
Ercole,
sicch sono
sufficienti
pochi colpi
di martello
per
togliere
il
marmo
superfluo
e
fare
apparire
la statua.
L'esperienza compie appunto
la funzione di martello
per
togliere
il marmo
superfluo:
rende attuali,
cio
pienamente
chiare
e
distinte le idee che nell'anima erano
solamente
germi.
Quali sono
le idee innate? Sono i
primi principi
(di identit,
di non
contraddizione,
di
ragion
sufficiente):
quei principi
che non
potrebbero
derivare
dall'esperienza perch
sono
dotati di una
evidenza e
di una
necessit che le conoscenze empiriche
non
possono
avere.
Leibniz divide le conoscenze
della
ragione
umana
in due
grandi
gruppi: quelle
che fanno
capo
al
principio
di non
contraddizionee
quel-
le che fanno
capo
al
principio
di
ragion
sufficiente. Le
prime
sono
le
Verit di
ragione
(necessarie);
le seconde sono
le verit di fatto
(contin-
genti);
le
prime riguardano
la
logica,
le seconde la metafisica.
Il
principio
di
ragion sufiicicnte

quello
in forza del
quale
riteniamo
che
nessun
fatto
potrebbe
essere vero o reale, nessuna
proposizione
vera,
senza
che vi sia una
ragion
sufficiente
perch
sia cos e non
altrimenti.
Per
quanto
siffatte
ragioni
il
pi
delle volte non
possono
venire co-
nosciutem E secondo la formulazionedei
Principi
della natura e
della
gra-
zia: Nulla accade senza
che sia
possibile, per
chi conosce
perfettamente
le
cose,
di dare una
ragione
sufficiente a determinare
perch
cos e non
altrimentim

certo,
per
es.,
che
ogni
sostanza la
ragion
d'essere delle
sue
qualit,
ma noi non
possiamo penetrare
a fondo la natura delle cose e
leggere
in esse tutti i loro attributi: alcuni li troviamo l,
nell'esperienza,
senza
vederli
sgorgare, per
dir
cos,
da una natura; sappiamo per
che da
una natura debbono
sgorgare, pur
senza
sapere
da
quale.
Il
principio
di
ragion
sufficiente una
delle
grandi scoperte
di Leibniz.
Questo
principio gli
consente di dare un
sicuro fondamento alla intelli-
gibilit
delle
cose,
non tanto delle
essenze,
la cui
intelligibilit
ovvia in
quanto corrisponde
alla loro stessa definizione, ma
dei
fatti,
delle esi-
11) Monadologia,
n. 32.
12)
Principes
de la natura et de la
gnce,
7,
ed.
Gerhardt, VI,
p.
602.
216 Parte seconda
stenze.
Infatti,
poich
nelle
cose create l'esistenza
non ha
una connessio-
ne necessaria
con l'essenza, l'uomo
non
pu
conoscere 0
provare
a
prio-
ri
(cio
appellandosi
alla definizionedell'essenza delle
cose)
le verit di
fatto. Per non
privare completamente l'intelligenza
umana di
una Vera
conoscenza di tali
verit,
Leibniz ricorre al
principio
di
ragion
sufficien-
te,
il
quale
assicura che vi e senz'altro
una
ragione
per
tutto ci che
acca-
de, anche
se non la vediamo. Come
precisa
lo stesso Leibniz, il
principio
di
ragion
sufficiente
un
principio
direttivo
e non uno costitutivo del
conoscere: esso non
produce nessuna conoscenza
specifica
di
questa
o
quella cosa,
ma
garantendo
la razionalit del
reale,
invita
a studiarlo
e
promette
al ricercatore che la
sua fatica
non sar vana. Kant
e altri filo-
sofi identificherannoil
principio
di
ragion
sufficiente
con il
principio
di
causalit. In realt in Leibniz
questo principio
ha
una
portata maggiore,
e non interessa soltanto la fisica
e la metafisica
ma
anche la
logica
e la
matematica.
Come vedremo
pi
avanti Leibniz metter a buon frutto il
principio
di
ragion
sufficiente
per
risolvere l'arduo
problema dell'origine
delle
cose da Dio. Con
questo principio egli
si
apre
un varco tra il cieco neces-
sitarismo di
Spinoza
e Valtrettanto cieco
libertinismo
di Cartesio. Per
Spinoza l'origine
delle
cose dovuta
a cieca
necessit;
per
Cartesio,
invece, a una libert
senza
regole.
Nessuna delle due
soluzioni, a
giudi-
zio di
Leibniz, soddisfacente. La
prima perch
non
salvaguarda
la li-
bert di
Dio,
la seconda
perch
non
spiega
l'ordine stabile delle
cose.
Una
spiegazione
esauriente non
pu
essere basata
su una cieca neces-
sit, n su
una libert
spregiudicata,
bens
su una certa convenienza
e
ragionevolezza.
Leibniz crede di trovare
questa
convenienza
e
ragione-
volezza nel
principio
di
ragion
sufficiente,
per
il
quale
tutto ci che
avviene non avviene n necessariamente n
arbitrariamente, ma
per
un
giusto
motivo. Ad
esso sottost anche Dio in tutte le
sue
operazioni.
La monade
Nella
Monadologia
Leibniz, a fondamentodi tutto il suo edificio meta-
fisico
pone
la
monade,
di cui d anzitutto la
definizione,
poi
ne
prova
l'esistenza,
quindi
ne enumera le
propriet,
e infine esamina i suoi
rap-
porti
con le altre monadi
e con il
corpo.
Della monade
egli
d la
seguente
definizione: Una monade altro
non se non una sostanza
semplice
che entra nei
composti: semplice,
ossia senza
parti.13
Che la monade esiste lo
prova
cos: Debbono
esser-
ci le sostanze
semplici
dal momento che vi
sono dei
composti;
il
compo-
l)
Monadologia,
n. 1.
Leibniz e
la
metafisica
della monade 217
sto infatti
non che
un ammasso 0
aggregato
di
semplici.14 Propriet
primaria
della monade la
senzplicit:
nelle monadi non
vi sono
parti
e
non sono
possibili
n
estensione,
n
figura,
n divisibilit>>jlDalla sem-
plicit
della monade deriva la sua
ingenerabilit
(e quindi pu
aver
origi-
ne
solo
per
creazione) e
tflCOTTIlbl.Le monadi devono
possedere
delle
qualit.
Infatti se le sostanze
semplici
non
differissero
per
le loro
qualit
non vi sarebbe modo di
accorgersi
di alcuna diversit nelle cose.
[...] Inoltre, se le monadi fossero senza
qualit,
non
potrebbero
distin-
guersi
luna dallaltra.16
Questa proposizione
chiamata
principio degli
indiscemibili.
In altri termini:
Non ci sono due monadi
uguali
tra di loro:
Bisogna proprio
che
ogni
monade sia differente da
qualsiasi
altra. Poich
non
vi sono mai in natu-
ra due enti
perfettamente uguali
l'uno all'altro e fra i
quali
non sia
possi-
biletrovare una
differenza interna e fondata su una
denominazione
intrinseca.17
Appetizione:
tutte le monadi
sono
dotate di
appetizione,
ossia della
propriet
di Volere e
desiderare.
Percezione: tutte le monadi sono
dotate di
percezione
(da distinguere
dalfappercezione
o coscienza), ossia della facoltdi conoscere.
L'esistenza della
percezione
in tutte le monadi
provata
dalla
presen-
2a
nell'uomo di
piccole percezioni
indistinte.
Noi
sperimentiamo
di fatto in noi stessi uno stato nel
quale
non ci
ricordiamo di nulla e non abbiamo nessuna
percezione
distinta, come
quando
ci
coglie
uno
svenimento o siamo in un sonno
profondo
e
senza
sogni.
In tale stato l'anima non
differisce sensibilmenteda
una
semplice
monade; ma siccome non si tratta di
uno stato duraturo e l'a-
nima se ne libera, essa
qualche
Cosa
di
pi
(di una
semplice
mo-
nade).
Non si deve
per
inferirc che in
quello
stato la sostanza
sempli-
ce non
rimanga
senza
percezioni.
Ci non
pu essere,
anche solo
per
le
ragioni
dette
prima, perch
ella non
pu perire
e
neppure pu
sussi-
stere senza qualche
affezione,
che
non
poi
se non
la
sua
percezione.
Nello
stordimento, anzi,
si ha
una
grande
moltitudinedi
piccole per-
cezioni sebbene non vi sia in esse nulla di distinto: come
quando
si
gira parecchie
volte di
seguito sempre
in uno stesso senso ci Viene
una
vertigine
che
pu
farci svenire e non ci lascia
distinguere
nulla.
La morte
pu appunto
mettere
gli
animali
per
un certo
tempo
in tale
stato. E siccome lo stato
presente
di una sostanza
semplice

sempre
conseguenza
naturale del
suo stato
precedente,
cos che il
presente

14) Ibid, n. 2.
15) Ibid., n. 3.
N) Ibiti,nn. 5,
8.
17) Ibid., n. 9.
l) Cf.
ibd, n. 15.
218 Parte seconda
gravido
dell'avvenire,
si vede che,
poich
allo
svegliarsi
dallo stordi-
mento ci si
accorge
delle
proprie percezioni, bisogna pure
averne
avute immediatamente
prima
senza
che ci siamo
accorti; una
perce-
zione infatti non
potrebbe sorgere
naturalmente
se non da un'altra
percezione,
cos
come un movimento non
pu sorgere
naturalmente
se non da un altro movimento. Di
qui
si vede
che, se non avessimo
nelle
percezioni
nulla di distinto
e,
per
cos
dire,
in rilievoe
di
un
gusto pi spiccato,
ci ritroveremmo
sempre
nello stordimento.
Questo
appunto
lo stato delle monadi
pure
e
semplicimw
Alla diversit di
grado
di
appetizione
e
percezione
dovuta la diver-
sificazionefra le monadi.
La monade
specchio
dell'universo. Sebbenenon abbia
finestre, essa
ha
rapporti
con tutte le
altre,
perch
ciascuna monade
rispecchia
a suo
modo le altre.
Quindi
ogni
monade ha
con
le altre monadi
una
relazione
di
rappresentazione.
Inoltre,
ogni
monade ha
con le altre monadi una relazione di conve-
nienza,
in
quanto
Dio,
scegliendo
una monade,
ha tenuto
presenti
le esi-
genze
di tutte le altre. Ora
[...]
questo
adattamento di tutte le cose create
a ciascuna e
di ciascuna a tutte le
altre,
fa s che
ogni
sostanza
semplice
abbiadei
rapporti esprimenti
tutte le altre e sia di
conseguenza
uno
spec-
chio vivo e
perpetuo
dell'universo.
Come una medesima
citt,
guardata
da diversi
lati,
sembra ben di-
versa e viene come
moltiplicata prospettcamente,
allo stesso modo,
in
grazia
della moltitudine infinita di sostanze
semplici,
vi sono come
altrettanti
universi,
che
non sono
pertanto
se non le
prospettive
di uno
solo dei differenti
punti
di vista delle
singole
monadi.
Questo
il mezzo
di ottenere tanta variet
quanta

possibile,
insieme con
il massimo ordi-
ne
che si
possa;
ci che
significa
che il mezzo
per
ottenere tutta la
per-
fezione
p0ssbile>>.20
Anima
e
corpo:
armonia
prestabilita
Tutte le cose
di
questo
mondo,
secondo
Leibniz, sono costituite di
entelcheia
(principio
attivo) e materia
prima (principio passivo).
La mate-
ria il
corpo,
il
quale
non altro che
una costellazione di monadi subor-
dinate a una
monade
principale
(la
quale
nei loro
riguardi funge
da
anima):
Ogni
corpo
ha
una
entelecheia dominante che costituisce l'ani-
ma dellanimale>>.21
Ogni parte
del
corpo,
anche
se
piccola,
costituisce un
19) Ibid, nn. 20-24.
20) Ibid, nn. 56-58.
21) ibid, n.. 70.
Leibniz e la
metafisica
della monade 219
organismo meraviglioso; questo perch ogni
frammento di materia
animato.
Ogni
frammento di materia
pu
essere
raffigurato
come un
giardino pieno
di
piante
e come uno
stagno pieno
di
pesci.
Ma ciascun
ramo della
pianta
e ciascun membro dell'animale
e ciascuna
goccia
dei
suoi umori e a sua volta un tale
giardino
e un tale
stagnoml
Nel
problema
dei
rapporti
tra anima e
corpo,
Leibniz
distingue
due
aspetti: quello
dell'unionetra anima e
corpo
e
quello
dell'azione
reciproca.
A suo
parere
l'unione dellanima alle
singole
monadi
a lei subordina-
te
instabile,
poich
tutti i
corpi
sono
in
perpetuo
flusso come
i
fiumi;
e
delle
parti
Vi entrano e Vi escono senza interruzione. Cos l'anima non
cambia
corpo
se non a
poco
a
poco
di modo che
essa non si trova mai
d'un tratto
spogliata
di tutti i suoi
organi;
e
negli
animali vi s sovente
metamorfosi, ma non mai
metempsicosi
n
trasmigrazione
delle
anime;
n tanto meno si danno anime
separate,
n
geni
senza
corpo.
Solo Dio
ne
completamente
senza.23
Per l'unione dell'anima
con un
corpo
stabile,
perch
non
si danno
anime affatto
separate; quindi
tanto il
corpo,4
come l'anima,25 e tutto
l'essere della
monadefisono immortali,
indistruttibili.
Singolare
la
posizione
che
assume Leibniz di fronte al
problema
dei
rapporti
fra anima e
corpo. Egli respinge
le soluzioni celebri di
Platone,
Aristotele,
Agostino,
Cartesio,
Spinoza
e
Malebranche. I
primi quattro,
anche
se in maniera
diversa, avevano tutti ritenuto che fra anima
e
Corpo
esistesse un
rapporto
causale,
almeno dellanima sul
corpo;
Spinoza
aveva affermato l'esistenza di
un
rapporto
di
semplice paralleli-
smo: accade nell'anima
quanto
accade nel
corpo,
senza interventi
supe-
riori e senza influssi
reciproci.
InfineMalebranche
aveva dato la
sua ver-
sione con la dottrina dellbccasionalismo:l'azione
apparente
dell'anima
sul
corpo,
e viceversa,
viene
esplicata
da Dio allorch anima e
corpo
si
trovano in certe circostanze
(occasioni). Leibniz
respinge
tutte
queste
soluzioni. A suo avviso,
fra anima e
corpo
c' un
rapporto
effettivo;
que-
sto non viene
per
da
una delle due
parti
(anima e
corpo)
ma
da un'ar-
monia
prestabilita
da Dio. L'anima
segue
le sue
proprie leggi
e
anche il
corpo
le
sue;
e si incontrano in virt dell'armonia
prestabilita
fra tutte le
anime, perch
tutte sono
rappresentazioni
di un medesimo universo?
L'anima
e il
corpo
si
comportano
come due
orologi perfettamente
sin-
cronizzati:
segnano
lo stesso
tempo
senza
che
uno eserciti alcun influsso
sull'altro. Le anime
agiscono
secondo le
leggi
delle cause finali
per appe-
22) una, n. 67.
23) Ibia, nn. 71-72.
24) Ibid, n. 73.
25) Cf.
ibid., n. 76.
26) Cf.
ibid, n. 77.
37) Ittici, n. 78.
220 Parte seconda
tizione,
fini
e mezzi. l
corpi agiscono
secondo le
leggi
delle
cause
effi-
cienti o dei movimenti. E i due
regni, quello
delle cause efficienti e
quel-
lo delle cause finali, sono
fra loro in armoniamt
Questo
sistema
pone
che i
corpi agiscono
come se

per
assurdo -
non
vi fossero anime e
che le
anime
agiscono
come se non vi fossero
corpi;
e
che ambedue
agiscono
come se
reciprocamente
si influenzassero>>f9
L'anima comunica con le altre monadi attraverso il
corpo:
Sebbene
ogni
monade creata
rappresenti
tutto l'universo, essa
rappresenta
in
maniera
pi
distinta il
corpo
che le
particolarmente
adibitoe del
quale
essa costituisce Pentelecheia:
e come
questo corpo esprime
tutto l'uni-
verso in
grazia
della connessione di tutta la materia nel
pieno,
cos l'ani-
ma
pure rappresenta
tutto l'universo
rappresentando quel corpo
che le
appartiene
in maniera
particolare.3
Ma l'anima razionaleo
spirito
oltre che col
corpo
e con
le altre anime
si trova in stretto
rapporto
con Dio. infatti
gli spiriti
sono
anche imma-
gini
della Divinit stessa o
dell'Autore della
natura; sono
capaci
di cono-
scere
il sistema dell'universo
e
di imitarlo in
qualche
cosa con dei
saggi
architettonici,
poich ogni spirito
come una
piccola
divinit nella sua
sfera dazione>>.31 Il fatto che
gli spiriti
siano
immagini
di Dio e
capaci
di
conoscerlo d
luogo
a una
speciale
relazione tra essi e Dio;
li mette in
societ con Dio oltre che tra di
loro, e cos costituiscono la citt di Dio.
Donde si conclude che l'unione di tutti
gli spiriti
deve costituire la
Citt di
Dio,
(ssia il
pi perfetto
Stato
possibile
sotto il
pi perfetto
monarca. Questa
Citt di
Dio,
questa
monarchia veramente universale,
e
un mondo morale nel mondo
naturale,
ed ci che di
pi
elevato e di
pi
divino esista
nell'opera
di Dio. In essa consiste Veramente la
gloria
di
Dio,
poich
tale
gloria
non ci sarebbe se la
grandezza
e la bont di
Dio
non
fossero conosciute e ammirate
dagli spiriti.
Anzi solo
rispetto
a
questa
Citt di
Dio,
Dio ha manifestato
propriamente
la
sua bont, men-
tre la
sua
sapienza
e la sua
potenza
si manifestano
dovunquew
L'esistenza di Dio
In
ogni
sistema metafisico Dio
occupa
un
posto privilegiato,
sia che
lo si coilochi al
punto
terminale della faticosa scalata
oppure
al
punto
di
partenza
da cui ha inizio la
processione
delle
cose:
Dio e
sempre
i
primo
o come causa
finale o come causa
efficiente. Per
questo
motivo
Aristotele diceva che la metafisica scienza
divina,
teologia.
28) Ibid,
n.79.
29) Ibid, n. 81.
30) Ibid, n. 62.
31) 117111., n.83.
32) lbid.,1in.8586.
Leibniz
e la
metafisica
della nzonade 221
Fondamentalmente
platonico
in
ontologia

e cos
platonico
da rico-
noscere come effettivamente reale soltanto la sostanza
spirituale,
la
monade - Leibniz
non
meno
platonico
nella elaborazione del
suo siste-
ma metafisico, tutto costruito dall'alto al basso. Cos
egli
pone
alla base
dell'intero edificio l'idea di Dio.
Per chi
come Leibniz
(e
prima
di lui
Cartesio,
Spinoza
e Malebranche)
in metafisica
assume
l'impostazione
assiomatico-deduttivaDio non
pu
costituire un
problema:
non una verit
oscura, dubbia, incerta,
da
ricercare
pazientemente
con
la lanterna di
Diogene,
ma una verit
chiara
e distinta, evidentissima, una verit
imponente, grandiosa,
onni-
comprensiva;
e
quanto pi
vasta e
generosa
la
contemplazione
che si
ha di
questa
verit, tanto
pi
vasto e
generoso
lo
sguardo
sull'universo
che
procede
da Dio.
Leibniz
appartiene
alla
prima
modernit che
l'epoca
della
ragione
forte. Allora il
pericolo
non era ancora
quello
della
negazione
di
Dio,
l'a-
teismo,
bens
quello
della
presunzione
di
sapere
tutto su Dio. Dio viene
trattato come un
fratello
maggiore,
del
quale
si
conoscono tutti i
pensie-
ri,
progetti
e decisioni.
Questa

l'epoca
in cui tutti i filosofi
pi presti-
giosi
credono di
poter provare
l'esistenza di Dio a
priori, partendo
da
una
qualche definizione
della
sua essenza. Si definisce Dio
come
perfet-
to, come massimo, come infinito, come sostanza
ecc,
e si conclude che
non
pu
essere tale se non esiste. Sia il clima culturale sia la
sua metafi-
sica assiomatico deduttiva
portano
Leibniz
a
privilegiarel'argomento
ontologico. Questo
argomento

come dir Blondel - costituisce la chia-


ve di volta" del
suo sistemafl?
La discussione sull'esistenza di Dio ritorna a
pi riprese negli
scritti
leibniziani,
quasi sempre
stimolata
dagli
incontri Culturali
e da circostan-
ze occasionali. Il
moltiplicarsi degli
scritti "occasionali" -
lettere, memo-
rie,
opuscoli
- sull'esistenza di Dio lascia intendere come il dibattito nel-
l'ambienteculturale
dell'epoca
fosse molto vivace e come l'autorit di
Leibniz costituisse
un
punto
di riferimento
per
i
pensatori
del suo
tempo.
Nelle
pagine
di Leibniz convivono insieme due
tipi
di
argomenti,
tan-
to diversi tra loro: da una
parte, gli argomenti
a
posteriori
della tradizione
aristotelico-tomista, dall'altra,
l'argomentoontologico, ripreso
e discusso
nella forma che
aveva assunto nella
quinta
delle Meditazioni
metafisiche
di
Cartesio. Il
caso
paradigmatico

quello
della
Monadologia,
in cui
l'argo-
mentazione tomista a
contingentia
mundi,
quella agostiniana
della
pre-
senza delle verit eterne nella nostra
mente, e
quella
anselmiano-carte-
siana dell'idea dell'Essere
perfettissimo,
si
susseguono
l'una
all'altra,
m) C- M.
BLONDFL,
La
clijf
de zioutr du
systnze cczrtsien,
in Rivista di filosofianeo-
scolastica, 29
(1937),
pp.
69-77.
34) Cf.
Monadologia,
nn. 36-45.
222 Parte seconda
non come
contrapposte,
bens come
prove
complementari 0,
addirittura,
come
parti
di un'unica,
complessa
dimostrazione.
Ma, come
si
detto,
l'argomentoprincipe
del sistema metafisico leib-
niziano rimane
quello ontologico,
ed e da
questo
che dobbiamocomin-
ciare.
LA PROVA ONTOLOGICA
La
prova
ontologica
viene
presentata
da Leibniz oltre che nella nota
versione cartesiana basata sulla definizionedi Dio come essere
perfetto,
anche in una nuova
originalissima
versione che si fonda sulla definizio-
ne d Dio come essere
possibile.
La formulazione
pi stringata
di
questa
prova

quella
che Leibniz
presenta
nella
Monadotogiu
ed la
seguente.
Dio solo ha
questo privilegio,
di dover
esistere, se
possibile.
E
poich
nulla
pu
essere
di ostacolo alla
possibilit
di ci che
non
ha
nessun
limite, nessuna
negazione
e
quindi
nessuna contraddizione,
basta
que-
sto solo
per
conoscere
l'esistenza di Dio a
pri0ri>>fi5
Infatti,se
Dio non esi-
stesse, nessun
altro
potrebbe
farlo esistere e allora Dio sarebbe
impossi-
bile,
il che contro
l'ipotesi.
Molto
pi
elaborata la formulazione che Leibniz
presenta
di
questo
argomento
in un breve scritto, a cui
qualche
editore ha dato il titolo Dio
e
i
possibilifi
In
questo opuscolo
il
ragionamento
e articolato in venti-
quattro proposizioni,
che hanno una struttura assiomatico-deduttiva
come
si addice a una
metafisica che
muove
dall'alto anzich dal basso.
La dimostrazioneha inizio con
un'affermazionedi
principio,
che forma
la
prima proposizione:
Vi e una
ragione,
nella
natura, perch
esista
qualcosa piuttosto
che niente. Ci
consegue
da
quel gran principio,
che
nulla avviene senza
ragione;
e
allo stesso modo deve esserci anche
una
ragione perch
esista
questo piuttosto
che
quell'altro?
Dopo questa
affermazione
programmaticasegue
una
considerazione:
"Qualcosa esiste",
dalla
quale
si ricava la necessit di rendere
ragione
di
ci che
l'esperienza
ci fa constatare. Punto di
partenza, quindi,
la cer-
tezza irrecusabileche
qualche
cosa esiste: occorre
spiegare perch
l'esse-
re esista, e sia,
di
conseguenza,
pi potente
del nulla.
La seconda
proposizione
cos formulata:
Quella ragione
deve tro-
varsi in
qualche
ente reale o
causa>>fi8

evidente,
spiega
Leibniz,
che la
causa
di un ente reale non
pu
essere
che reale,
giacch
la
pura
possibi-
lit non
avrebbe alcuna efficacia, se
la
possibilit
non
si fondasse su
qualcosa
di esistente in atto.
35) Ibid., n. 45.
36)
Ed. Gerhardt, vu,
pp.
289-291.
37) 112111.,
p.
289.
38) Ibid.
Leibniz
e la
nzetafisica
della nzonade
223
La terza
proposizione
costituisce il nodo centrale del
ragionamento:
Questa (la
ragione reale) occorre che sia un essere necessario altrimenti
si dovrebbedi
nuovo cercare una causa fuori di
esso,
per
cui esso esista,
anzich
non esistere, contro
l'ipotesi. Quellente ,
in altri
termini,
la
ragione
ultima delle
cose: con una sola
parola,
Di0.39
Dall'esistenza dell'Essere necessario si ricava che
esso "datore di esi-
stenza". L Essere necessario
esistentificante,
afferma
Leibniz, e
ogni
possibilepu
essere detto
existiturire,
in
quanto
si fonda sulYEssere
ne-
cessario esistente in
atto, senza
il
quale
non vi sarebbe alcuna via
per
cui
il
possibile
pervenga
all'atto.40
La
possibilit,
quindi,
secondo
Leibniz, non una
semplice
non-con-
traddizionea esistere. Accanto al concetto di
essenza come
quod quid est,
accanto al concetto di esistenza come actus
essendi, occorre considerare
anche la
"possibiIit",
come ilconato di un'essenza
verso l'esistenza.
Ogni
essenza, infatti,
implica
una
positiva
tendenza
a esistere. La
possibilit
come conato verso l'esistenza si
fonda,
in
definitiva, sull'Essere
necessa-
rio che esiste in
atto, giacch
solo l'esistenza reale dell'Essere
necessario,
ragione
ultima di
ogni
esistenza
finita, rende
comprensibile
che il
possi-
bile
pervenga
alla
realt,
che la
potenza passi all'atto,
che l'essenza si
realizzi nell'esistenza.
Questa
dottrina conferisce
una inflessione
nuova
all'argomentazione
classica sull'Essere necessario.
Infatti, insistendo sull'affermazione che
ogni possibile

un conato di
esistenza,
ed un conato tanto
pi
forte
quanto pi perfetta
l'essenza
a cui la
possibilit
si
rapporta,
di
conse-
guenza,
una
possibilit
infinita si deve intendere
come un conato infini-
to
all'esistenza, e
perci
si identifica
con l'esistenza reale. Il
conato di
esistenza, infatti,
pu
essere reso inefficace, secondo
Leibniz,
solo dalla
presenza
di
qualche essere o di
qualche
serie
"incompossibile",
e la cui
incompossibilit
sia
preminente rispetto
alla
essenza in
questione.
Nella
prospettiva
leibniziana, tra due
essenze
incompossibili,
o tra due serie
di
essenze
incompossibili,giunge
all'esistenza
quella
che
non trova
ostacolo
nell'altra,
perch
contiene
una
maggiore "possibilit",
cio un
maggior
conato all'esistenza. Ma
nessun
incompossibilepotrebbeimpe-
dire l'esistenza reale dell'essere infinitamente
possibile.
E se nessun
essere
pu
rendere
vano
questo conato,
l'essere che ha un'essenza infini-
ta,
appunto perch
ci
comporta
un conato infinito
all'esistenza, non
pu
non esistere realmente. In
caso
diverso,
la
sua
possibilit
sarebbeli-
mitata da
una
possibilitinferiore, e il
suo conato sarebbe
reso vano da
un conato
meno forte:
ma ci sarebbeevidentemente
contraddittorio. La
conclusione
non
pu
essere se non
quella
che
una
possibilit
infinitaesi-
ste realmente
e necessariamente.
39)
Ibid.
40) Ibid.
224 Parte seconda
Gi Avicennae
S. Tommaso avevano
costruito una
prova
della esi-
stenza di Dio sulla
possibilit,
ma si trattava di
una
prova
a
posteriori
e
non a
priori,
basata sulla
esperienza
che la realt che ci circonda una
realt
possibile,
che
pu
essere e non essere,
che nasce e
perisce
e che,
quindi,
rimanda come a sua
giustificazione
al necessario. Leibniz non
parte
dal fenomeno del
possibile,
bens dall'idea di
possibilit,
e
fa Vedere
che una
possibilit
che
non sia
apparente,
ma autentica, effettiva,
esige
l'esistenza. L'esistenza diviene
quindi
un attributo, una
qualit
della
pos-
sibilit (cos come
per
Anselmo era una
qualit
del Massimo,
per
Car-
tesio del
Perfetto,
per Spinoza
della
Sostanza),
nel
caso
in cui si tratti - ed
il
Caso
di Dio - di
una
possibilit
infinita, poich
se infinita,
tra
gli
altri
attributi, essa
includenecessariamenteanche
quello
dell'esistenza.
LE PROVE COSMOLOGICHE
Bench all'interno del sistema leibniziano l'unica
argomentazione
coerente sia
quella ontologica,
Leibniz,
nel suo intento di conciliarel'an-
tico col
nuovo,
Aristotele con Cartesio, non trascura le
prove
cosmologi-
che. Sono
prove
che
egli
desume dalla metafisica
classica, attraverso
la
mediazionedella Scolastica,
di S. Tommaso in modo
particolare,
ma
che
rilegge
alla luce delle dottrine
specifiche
del suo sistema. Delle
"cinque
vie" di S. Tommaso Leibniz ricorre
ampiamente
alle
prime
tre, raramen-
te utilizzala
quinta
(dell'ordine) e
mai la
quarta
(i
gradi
di
perfezione).
Nella
prima
fase della
sua
speculazione
la sua
preferenza
Va
alla
prima
via,
quella
del
moto;
invece nella fase della
maturit,
il suo
interesse si
sposta maggiormente
verso
la terza via,
quella
della
contingenza.
I
per-
corsi delle diverse vie nelle
pagine
leibnizianesi intrecciano continua-
mente fra
loro,
formando un solo
grandioso argomento
cosmologico,
in
cui Viene messo
in
rilievo,
di volta in volta, ora
l'uno ora
l'altro
aspetto
del
problema.
Nelle
pagine
di S. Tommaso,
le
cinque
vie
procedono
in
modo
autonomo,
per
incontrarsi alla fine del cammino;
nei testi leibni-
ziani, invece,
si intrecciano continuamente, non
solo
per
il carattere
"occasionale"
degli
scritti, ma
anche
per
una
sempre pi
netta tendenza
dell'autore a
riportare
tutte le
argomentazioni
di
tipo cosmologico
al
principio generale
di
ragion
sufficientem
Nella
Monadologia,
nel suo
trittico delle
prove
dell'esistenza di
Dio,
alla
prova
ontologica
e
alla
prova
agostiniana
delle Verit
eterne,
Leibniz
affianca una
prova
cosmologica
basata sul fenomeno della
contingenza.
Ma
questo
classico
argomento
viene rielaborato nel contesto
del
princi-
pio
di
ragion
sufficiente. Cos la
prova
assume
il
seguente svolgimento:
4) S. NICOLOSI,
0p.
cit,
p.
158.
Leibniz c la
nzetafisica
della monade 225
La
ragion
sufficiente deve esserci anche
per
le verit
contingenti
0
di
fatto,
cio nella serie delle cose
sparse per
l'universo creato,
nelle
quali
la risoluzione in
ragioni particolari potrebbe
andare all'infinito
per
Via della variet immensa delle cose
della natura e
della divisione
all'infinitodei
corpi
(...).
E
poich
tutti
questi particolari presuppongo-
no
altri
contingenti
anteriori 0
pi particolari, ognuno
dei
quali
ha
ancora bisogno
di un'analisi simile
per
essere
spiegato,
non
si e fatto
un
passo
avanti: ed necessario che la
ragion
sufficiente o
ultima sia
fuori della serie di
questi particolari
contingenti, per
quanto
infinita
possa
essere.
Perci la
ragione
ultima delle cose
deve essere
in una
sostanza necessaria,
nella
quale
la
particolarit
dei mutamenti si trovi
solo eminentemente, come
nella sua fonte, e
questa

quel
che noi
chiamiamoDio. Ora, poich
tale sostanza
ragion
sufficiente
di tutti i
particolari,
i
quali
sono
pure
tutti connessi tra loro,
esiste un
Dio solo
e
questo
Dio basta a tutto.42
Creazione, provvidenza,
male e
libert
Mentre Dio, possibilit
infinita,
esiste necessariamente,
tutti
gli
altri
possibili,
che sono
dotati di una
possibilit
limitata,
derivano la loro esi-
stenza
da
Dio,
per
creazione. Ma
poich
i
possibili
sono
numericamente
infiniti che
cosa
fa s che non tutti ricevano l'esistenza ma
soltanto alcu-
ni? Perch Dio crea
alcuni
possibili
e
altri no?
Nel breve
saggio
Dio e i
possibili
Leibniz
spiega
che Dio darebbe l'esi-
stenza a
tutti i
possibili
se
fossero tutti
compossibili"
tra loro; ma, giac-
ch alcuni sono incompossibili
con
gli
altri, ne
consegue
che solo alcuni
possibiligiungono
all'esistenza.
Dal conflittotra tutti i
possibili
che esi-
gono
l'esistenza,
consegue
che esiste,
di
fatto,
solo
quella
serie di cose
che realizza la
pi grande perfezione possibilcfl
Secondo Leibniz la
maggiore perfezione
possibile
della
maggiore quantit possibile
di
realt costituisce l'ordine
perfetto
dell'universo: esso
frutto dell'azione
dell'Essere
che la
ragione
di tutte le cose". Esiste
dunque
scrive
Leibniz nella
proposizione
undicesima
- ci che ha la
pi grande perfe-
zione
possibile,
con
la
quale espressione
non si intende dire altro che
esiste la
maggiore quantit possibile
di realt: Existit
ergo
perfectissi-
mum,
cum
nihil aliud sit
quanz
quantitas
realitatis>>.44
C'
pertanto
un numero
infinito di serie
possibili,composte
ciascuna
di essenze
compossibili,
serie che, tuttavia, non sono compossibili
tra lo-
ro,
in
quanto
una
serie esclude l'altra. Tra tutte le serie che racchiudono
dei
compossibili,
ma
che
non sono compossibili
tra loro, Dio
porta
all'e-
42) Monadologia,
nn. 36-38.
43)
Cf. Dio c i
possibili,
cit.,
p.
290.
4") bid.
226 Parte seconda
sistenza solo la serie che racchiudela
maggiore possibilit,cio, secondo
Leibniz,
la
maggior quantit
di
essenze realizzabilifiCos si
giunge
alla
conclusioneche
quello
che Dio ha
creato il
migliore
dei mondi
possibi-
li. Ecco
quanto
scrive Leibniz
a
questo riguardo
nella
Monadologia:
Siccome vi un'infinit di universi
possibili
nelle idee
divine, e non ne
pu
esistere che
uno solo, occorre che la scelta di Dio abbia
una
ragione
sufficiente che lo determini all'uno
piuttosto
che allaltro.4h La
ragione
sufficiente
l'ottimo; Dio
sceglie
l'universo che realizza
pi perfezione
di
qualsiasi
altro
e nella scelta
degli
esseri
particolari
Dio d la
preferenza
a
quegli
esseri che
meglio
concorrono alla
perfezione globale
dell'univer-
so. In altri
termini, Dio
sceglie
il
migliore
tra i mondi
possibili,
cio
quello
che
contiene la minima
parte
di male.
L'azione
con cui Dio
crea il mondo detta da Leibniz
folgorazione:
Dio solo l'unit
primitiva
o la natura
semplice originaria,
della
quale
tutte le
monadi, create o derivate, sono
produzioni
e
nascono,
per
cos
dire,
per
via di continue
folgorazioni
della
Divinit, momen-
to
per
momento limitate dalla ricettivit della
natura, cui essenziale
essere li1nitata>>fl7
Il termine
folgorazione
fa
pensare
a scintille luminose lanciate da
una
sorgente
di
luce, o a
particelle
incandescenti che
sprizzano
da
un
corpo
infuocato.
L'immagine
sensibiledestata dalla
parola folgorazione",
che
si trova nella
Mortadologia,
richiama
a sua volta il
concetto di emanazio-
ne,
che si trova nel Discours de
mtagihysiayue:
le sostanze create
dipendo-
no da
Dio,
che le
produce
mediante
una
specie
di
emanazione, come noi
produciamo
i nostri
pensieri.
Leibniz fu avversario dichiarato del monismo e del
panteismo
di
Spinoza; per
i termini:
folgorazione
ed
emanazione,
nonch il
parago-
ne con il nostro modo di
produrre
i
pensieri,
non erano certamente adat-
ti a
porre
in rilievola differenza tra la creazione
spinoziana
e la
sua,
tanto
pi
che il
paragone
della emanazionedei
pensieri
dalla mente era
stato
preparato proprio
da
Spinoza,
per
illustrare il
concetto di
causa
immanente,
da attribuirsi all'unica
sostanza-causa, Dio, nei
riguardi
degli
effetti-modi.
Eppure
Leibniz
non tralascia di ritornare sull'idea
della
emanazione, e
di
accennareallmmanenza
di Dio nelle creature e
delle creature in Dio: il
principio, egli
dice,
della
perfezione
delle
opera-
zioni
divine, e la nozione della sostanza che contiene in s tutti i suoi
avvenimenti,
giovano
alla
religione
e alla
piet, poich
fanno vedere
45) Cf. iliid.
45)
Monadologia,
n. 53.
47) Ibid., n. 47.
4*) Cf. Discours de
mtaphysiqize,
n. 14.
Leibniz e
la
metafisica
della monade 227
chiaramente che tutte le sostanze
particolari dipendono
da Dio come
i
pensieri
che emanano
dalla nostra sostanza, e
che Dio tutto in tutti,
che unito intimamente a tutte le
creature,
che il
legame
e
la comuni-
cazione di tutte le sostanze.
Mentre Dio sostanza
infinita e
pertanto
anche infinitamente
perfet-
ta,
tutte le creature sono sostanze limitate e
quindi
anche relativamente
imperfette.
La loro
perfezione
viene da
Dio, limperfezione
dalla loro
stessa essenza
in
quanto
limitata:
Segue
ancora
che le creature
- scrive
Leibniz nella
Manadologia
- hanno le loro
perfezioni
dallinflussodi
Dio,
ma le loro
imperfezioni
dalla loro
propria
natura, incapace
di essere
senza
limiti. In
questo appunto
sono
distinte da Dio. Tale
imperfezione
originale
nelle creature si nota
nella inerzia naturaledei
corpi>>.5"
Nel contesto dei limiti delle creature Leibniz affronta il
problema
della
provvidenza
e del male. Di
questo spinosissimo problema
scandalo tre-
mendo
per
la
ragione
Leibniz si
occupa
specialmente
nei
Saggi
di tendi-
cea. Qui
egli distingue
tre accezioni del termine male e
quindi
tre
forme di male: metafisico,
fisico e
morale: Il male
pu
essere inteso in
senso metafisico,
fisico e
morale. Il male metafisico consiste nella
sempli-
ce
imperfezione,
il male fisico nel
dolore,
il male morale nel
peccato.5l
In senso metafisico,
ossia nell'ordinedell'essere,
il male non
qualco-
sa
di
positivo,
non
una
propriet
reale
che
il Creatore abbia
impresso
nelle cose e
che
gli possa
essere
imputata.
E
semplicemente privazione
della
perfezione
assoluta. E il male metafisico
corrisponde
esattamente a
tale assenza
della
perfezione
assoluta. Il male fisico o
dolore e
il
peccato
sono
pernzessi
da
Dio, non
voluti. Il
peccato dipende
dalla libert dell'uo-
mo di sottrarsi alla volont di
Dio,
di ribellarsi a Lui;
Dio
permette
la
possibilit
del
peccato
(non
lo
vuole),
nell'atto in cui
produce
un essere
libero,
ossia un
bene. Il dolore e
il male fisico sono
conseguenza
del
pec-
cato, a cominciare dal
peccato originale. Dunque neppure
esso
pu
esse-
re
imputato
a
Dio. E
poi,
in
generale,
dai mali fisici la bont di Dio sa
trarre dei
beni, come
quando
attraverso di essi
egli purifica
i
peccatori.
E,
comunque,
nell'economia
generale
dell'universo,
che a noi non

nota,
certamente mali fisici e mali morali contribuiscono al trionfo finale
e
complessivo
del bene. Secondo Leibniz non
soltanto Dio riesce a
far
rientrare il male nell'ordine
generale
del
bene, ma,
come
abbiamo
visto,
nella sua
infinita
sapienza, egli
conosce
quale
di tutti i mondi il
miglio-
re
possibile,
e nella sua bont
provvidenziale
fa cadere la sua scelta su
tale mondo. Cos il mondo attuale il
migliore
di tutti i mondi
possibili.
49) Cf. C.
GIACN, La causalit nel razionalismonzodernv,
Milano-Roma
1954,
pp.
352-354.
5")
Monadologia,
n. 42.
5')
Saggi
di teodicea
I,
2.
228 Parte seconda
La soluzione leibniziana del
problema
del male coincide sostanzial-
mente con
quella
di
Agostino,
il
quale
facevarisalire al cattivo
uso della
libert
(da
parte degli angeli
e delluom0)
l'origine
di
ogni
male, tranne
quello
metafisico, e allo stesso
tempo
affermava che la divina
provvi-
denza
sa trarre
profitto
anche dal male.
Con
questa
tesi n
Agostino
n Leibniz
pretendono
di
dissipare
l'oscu-
ro mistero del male. Dire che Dio riesce a cavare il bene anche dal male
non
significa
infatti che Dio riesce ad addomesticareil male
e
piegarlo
al
bene. Il male
morale,
il
peccato,
l'odio,
Dio
pu
soltanto
permetterlo;
non
pu
mai
inquadrarlo
nel
suo ordine
provvidenziale, perch
i suoi
disegni
sono fatti esclusivamente
per
il
bene, non
per
il male. La
presenza
del
male nel mondo
non si deve al
padrone,
ma al
suo nemico,
che durante la
notte ha seminatola zizzania nel
suo terreno (Mt 13,
24
ss.).
Manca
per
in Leibniz il
senso della drammaticit
e della
tragicit
del
male,
che invece caratterizzatutto il
pensiero
di
Agostino;
manca il senso
di
quella
lotta
perenne
tra la civitas Dei e la civitas diaboli che costituisce i
leitnzotizr della visione
agostiniana
della storia. In effetti in Leibniz non c'
una civims
diaboli, ma soltanto una civitas Dei. A
questo proposito
osser-
va
giustamente I.
Guitton: La
cosa
pi
strana della Tecndicca la
sua
tranquillit
tra
gli
abissi che
egli apre,
l'assenza di
inquietudine
di fronte
al male eterno. Il suo Dio
pi
che
amare
governa,
il
suo Cristo
pi
che
amare illumina;
la
sua anima
pi
che
amare
scruta, calcola, somma,
si
trova d'accordo. La
Tcodicea,
l'opera
di tutta la vita di
Leibniz, in fondo
la traduzione in
linguaggio
razionaledella
predestinazione
luterana, co-
me lo sar
pi
tardi la Critica della
ragion pura>x52
Conclusione
La metafisica -
intesa come
compimento
della seconda
navigazione
e
sempre
una soluzione
positiva,
ottimistica del
problema
della esistenza.
Questa non la condizione
insensata, assurda,
di chi si trova
sprofonda-
to in uifoscura
caverna,
bens la condizione esaltante e
impegnativa
di
chi si autotrascende
continuamente,
sconfina oltre
questo
mondo verso
l'infinito
e si incammina
verso
la Patria beata.
Ogni
metafisica
un'impresa
razionale:
l'opera
di
una
ragione
forte.
Ma ci sono metafisiche
pi
o meno forti,
pi
o meno
pretenziose, pi
o
meno
ottimistiche. Ci
pu
essere in metafisica
una razionalit modesta
oppure
una razionalit eccessiva. Cos ci sono metafisiche
umili, osse-
quienti
nei confronti della
realt; e metafisiche
prepotenti
che
assogget-
tano la realt alla
logica
del
pensiero:
non del
pensiero
divino, ma del
pensiero
umano.
53) j. GUITrON,
Pascal et Leibniz, cit,
p.
121.
Leibniz e la
vizetafisica
della nzonade
229
La metafisica classica e cristiana sono
generalmente
metafisiche umi-
li,
figlie
di
una
ragione
moderatamente
forte,
metafisiche razionali
e non
razionalistiche. Per contro la metafisica
moderna,
che
prende
le distanze
dalla fede
e
anche
dallimilt, una
metafisica
superba, figlia
di
una
ragione troppo
forte,
che
non

consapevole
dei
propri
limiti;
di
una
ragione
che rivendica
per
se
poteri
e titoli
divini,
che
pur
non identifi-
candosi con Ylntelletto
divino,
crede di
poter
vedere tutte le
cose in Dio
e come Dio. Uonniscienza di Dio diviene un attributo anche della
ragio-
ne umana.
Espressioni
emblematichedi
queste
costruzioni razionalistiche
sono
le metafisiche di
Spinoza
e
Leibniz. Sia l'ebreo olandese sia il luterano
tedesco
pretendono
di Vedere tutto sub
specie
aeternifatis. Cos le diffe-
renze tra i due
sono
pi apparenti
che reali. Certo
Spinoza
monista
e
panteista,
mentre Leibniz
pluralista
e
"politeista (ogni
monade una
piccola
divinit).
Per entrambi il divino si trova diffuso
ovunque:
nei
modi
per Spinoza,
nelle monadi
per
Leibniz. Per entrambi il mondo il
migliore
dei mondi
possibili,

perfetto,
e il male e soltanto
unapparen-
za. Ma
proprio questa pretesa
della
ragione
di disfarsi del
problema
del
male
segna
la sconfitta di
ogni
metafisica razionalistica. Il
problema
del
male il
granitico scoglio,
su cui si
infrangeogni
forma di razionalismo.

un
problema
che mette a durissima
prova ogni
filosofare;
tale che
forse
nessun sistema filosoficoriesce a
risolvere del
tutto,
data
soprat-
tutto la sconfinatavastit del male
medesimo;
tale che forse
Veleggian-
do con altra
nave
da
quella
della
pura ragione,
luomo
potr
avere una
qualche migliore risp0sta.53
Il monismo
usiologico
di
Spinoza
e
il
pluralismo usiologico
di
Leibniz sono le due ultime
grandi
costruzioni a cui ha dato vita la meta-
fisica moderna. Gli eccessi di
questi
due sistemi filosofici razionalistici
susciteranno ben
presto
le dure reazioni
degli empiristi
e
di
Kant,
che
porteranno
al crollo della metafisica.
La solidit di
un sistema metafisico oltre che dalle forze della
ragio-
ne, dipende
da ci che si
pone
alla base dell'edificio. Come
sappiamo,
la
base dell'edificio leibniziano la
monade; tutto il resto dell'edificio
legato
alla definizioneche Leibniz d di
questa
realt: la monade una
sostanza
semplice
che entra a costituire i
composti.
Leibniz identifica il
semplice
con Yimmateriale, ossia con lo
spirituale.
Ma
questa
una con-
fusione
imperdonabile.
Infatti
semplice
ci che
privo
di
parti,
mentre
immateriale
o
spirituale
dice la
non
dipendenza
intrinseca dalla materia
nell'esistenza. La definizione della monade consente a
Leibniz la
nega-
zione dell'estensione e
quindi
della
materia, e la risoluzione di tutta la
realt in
un mondo di
spiriti.
La sua
diviene cos una costruzione
logica
53) C,
GIACN,
La causalit...
cit.,
p.
380.
230 Parte seconda
perfetta,
che
per
viene smentita a
ogni
istante dalla
esperienza
di un
mondo ovviamente e
incontestabilmente
materiale,
corporeo,
esteso.
Una metafisica che cambiale carte in tavola come
la metafisica leibnizia
na,
non risolve i
problemi,
ma li
spazza
via.
Anche la dottrina dell'armonia
prestabilita
e cos
poco plausibile
che
fin dall'inizioincontr
energici oppositori
ed ebbe solo
pochissimi
fervi-
di
sostenitori,
sicch
dopo
la morte di Leibniz
nessuno
l'ha
pi propu-
gnata.
L'autore della
Munadologia
fu indotto ad accettarla oltre che
per
esigenze
di
sistema,
per
una sua
incomprensione
della soluzione scola-
stica della causalit transitiva.
Questa, infatti, non consiste, come
crede-
va Leibniz,
in
passaggi
di
forme,
siano esse sostanziali o accidentali,
dal-
Yagente
al
paziente
(dalla causa all'effetto)
perch
la forma
non transita
da
un ente a un altro, ma viene edotta dalla
potenzialit
della materia.
L'attivit
non tanto una comunicazione di realt da
parte dell'agente
quanto
una
stimolazioneesercitata sul
paziente
onde indurlo
a
tradurre
in atto le sue
potenzialit.
Al
pensiero
leibniziano si devono
per
riconoscere alcuni meriti
importanti,
tra i
quali,
in
particolare:
la rivendicazionedella
dignit
del-
l'individuo,
naufragata
nel monismo
panteistico
di
Spinoza,
e
la rivendi-
cazione dell'attivit dello
spirito, compromessa
dal dualismo cartesiano.
Come scrive
Olgiati:
Le
sue stesse
esagerazioni
ebbero
questo significa-
to e
questa
utile funzione: di infondere il senso dinamico della
realt,
di
risvegliarlo,
di
propagarlo
nel
campo
della cultura. In un'atmosfera ric-
chissima di
quei
microbi
spirituali
che si chiamavano
gli
atomi morti e la
materia
inerte,
dopo
Pubriacatura
quasi
universale di meccanicismo car-
tesiano;
dopo
un Hobbes che elevava il movimentomeccanico a
suprema
spiegazione
dell'universo e
persino
del
pensiero; dopo
un Malebranche,
che, nonostante la
sua
delicata
finezza,
concepiva
anche il nostro Io come
passivo
e osava
negare
che noi ci sentiamo
agire, pensare
e volere;
dopo
l'Ethica di
Spinoza,
secondo la
quale
noi non siamo se non
modi della
Sostanza trascinati deterministicamente dal
suo
svolgimento,
che non
uno
sviluppo
storico, ma
che solo
paragonabile
allo
sviluppo
di una
formula
matematica, ecco Leibniz col suo attivismo. Era un
grande
bagno
nuovo
di cui la mentalit moderna necessitavaM-
Alla fine tra i meriti di Leibniz dobbiamo ricordare il
suo
impegno
"ecumenico",
che
egli
ha
profuso
non solo
per promuovere
la riunione
delle Chiese
Cristiane, ma
anche
per
conciliarel'antico e
il
moderno,
Ari-
stotele
e Cartesio. Leibniz il
genio
del
dialogo
e della
tolleranza,
che ha
cercato di
superare
tutti i dualismi lasciati in eredit da Cartesio.
54) F.
OLGIATI,
Il
significato
storico di
Leibniz,
Milano
1929,
pp.
130-131.
Leibniz e la
metafisica
della monade
231
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232
I SEGUACI DI LEIBNIZ: WOLFF E BAUMGARTEN
Sebbene con
l'imminente avvento di Kant e della sua
"rivoluzione co
pernicana"
il destino della metafisica risultasse ormai
segnato, per
quasi
un
secolo in Germania Leibniz
pot
contare su uno
stuolo di ferventi
ammiratori e
di zelanti
seguaci,
tra cui
spiccano
i nomi di Wolff e
Baumgarten.
Christian Wolff
Christian Wolff
nacque
a
Breslau nel 1679.
Dapprima
venne
avviato
agli
studi
teologici,
ma
il suo
interesse
maggiore
era
per
la filosofiae
per
la medicina. Divenuto
discepolo
e
amico di Leibniz,
grazie
alla sua rac-
comandazione ottenne la cattedra di matematica ad
Halle,
dove tenne
lezioni oltre che di matematica
anche nei vari rami della filosofia. Ma le
sue
posizioni giudicate
eccessivamente
razionalistichedai
pietisti
causa-
rono
nei suoi confronti
sospetti
di ateismo e
questo
indusse il sovrano
Federico
Guglielmo
I a
privarlo
della cattedra (1723) e ad allontanarlo
dalla Prussia. Fu accolto a Marburgo,
dove continu la
sua
attivit di
docente e
di scrittore,
mentre il suo caso
facevaassai
scalpore
in Germa-
nia e alimentava vivaci discussioni. Nel 1740 Federico Il lo chiam ad
I-Ialle e
gli
restitu i suoi titoli accademici. Nel
contempo
le sue
idee si
diffondevanoin tutta la Germania. Mor ad Halle nel 1754.
La sua vasta
produzione
letteraria abbracciatutti i trattati fondamen-
tali di filosofia:
Philosophia
rationalis seu
logica
(1728); Philosnphicz prima
sive
Ontologia
(1729); Cosmologia generalis
(1731); Philosophia pratica
1mi-
versalis,
2 voll. (1738-1739); Psychologia empirica
(1732); Psychologia
ratio-
nalis (1734); Theologia
rationalis,
2 voll. (1736-1737); Ius gentium
(1750);
Oeconomica (1750); Philosophia
moralis seu
E
thica,
5 voll. (1750-1753).
In
queste opere
Wolff ha cercato di realizzareuna
sintesi
poderosa
tra
il
pensiero
filosoficotradizionaledi
stampo
razionalisticoe
le
scoperte
scientifichedel suo
tempo,
e
qui
sta la
ragione
del suo enorme successo.
Pi ancora
del suo maestro Leibniz,
Wolff un
grande
ammiratore
di
Aristotele e
degli
Scolastici,
specialmente
di Suarez. Per
questo
motivo
egli
intende
conservare,
a
ggiornandolo,
il loro
prezioso
tesoro.
Egli
divi-
de la metafisica in
generale,
a cui d il nome
di
ontologia,
e
in
speciale,
che suddivide in
psicologia, cosmologia
e
teologia
razionale. Cos
grazie
a Wolff, Yontologia riprende
il
suo
posto
di
filosofiaprima.
Ma nella sua
I
seguaci
di Leibniz:
Woljfe Baumgarten
233
ontologia egli
non si rif n ad Aristotele n a S.
Tommaso,
bens a Scoto
e a Suarez,
dai
quali
mutua il concetto essenzialistico
dell'essere, come
ha mostrato E. Gilson.
Nei contenuti la
sua
filosofia sostanzialmente leibniziana. Come
Leibniz,
Wolff elabora
una
spiegazione
della realt
partendo
da tre
prin-
cipi: ragion sujficiente,
armonia
prestabilita
e ottimismo.
Pur evitando il termine
monade",
Wolff
postula
l'esistenza di
so-
stanze
semplici impercettibili,prive
di estensione e
figura
e
di cui nessu-
na
pu
essere
identica
a
un'altra. Le
cose
che noi
percepiamo
nel mondo
materiale sono
aggregati
di
queste
sostanze,
e l'estensione diviene
per
lui
come
per
Leibniz "un fenomenobenefondato. Ovviamenteanche il
corpo
umano un
aggregato
di sostanze. Ma nell'uomo c'
un'anima,
che una sostanza
semplice,
la cui esistenza
pu
essere
provata
attra-
verso il fenomeno della
coscienza,
dellautocoscienza e della coscienza
del mondo esterno. Per
quanto
attiene la relazione tra il
corpo
e
l'anima
Wolff
riprende
la teoria leibnizianadell'armonia
prestabilita.
Per la dimostrazione dellesistenza di Dio Wolff considera valide sia
le
prove
ontologiche
(a
priori)
sia le
prove
cosmologiche
(a
posteriori).
La
prova cosmologica
si basa sulla constatazioneche il
mondo,
essendo un
sistema di realt
finite,
esige
una
ragione
sufficiente della sua esistenza e
natura, e
questa
non
pu
essere
che
Dio, e
pi precisamente
la volont
divina,
la
quale
a sua volta trova ne1lottimo la
ragione
Sufficiente del
proprio agire.
Nella teodicea Wolff ricalca le linee della teodicea leibni-
ziana. Come Leibniz
egli distingue
tra male
metafisico,
fisico e morale. Il
primo
fa
parte
della natura stessa di
ogni
realt
finita,
che mai
pu
esse-
re assolutamente
perfetta.
Quanto
al male fisico
e morale,
necessario
che
ne sia
quanto
meno
prevista
la
possibilit.
La
questione
non se Dio
avrebbe
potuto
creare un mondo senza
il
male, ma se c una
ragion
suf-
ficiente
per
creare
un
mondo da cui il
male, o almeno la
sua
possibilit,
non
pu
essere assente. La
risposta
di Wolff e che Dio ha creato il
mon-
do in vista di
essere conosciuto, onorato e lodato dall'uomo. Gi dal
po-
co
che si detto si vede
quanto
fosse assurda l'accusa di ateismo che
Venne mossa a Wolff. L'unica
spiegazione
di
questa
accusa era
il timore
da
parte
dei
teologi
che Wolff
ponesse
la
ragione
davanti alla
fede,
minando in tal modo le radici del cristianesimo
(come stavano effettiva-
mente facendo
gli
illuministidel
suo
tempo).
Bench
privo
di
originalit,
Wolff divenne una delle
figure
dominanti
della filosofiatedesca del secolo XVIII.
Quando
Kant
parler
di metafisi-
ca ed esaminer le dimostrazioni metafisiche
sullanima,
sul mondo e
Dio,
lo far
quasi sempre
riferendosi
a
Wolff. In effetti nel
periodo pre-
critico i suoi autori
preferiti
furono Wolff
e
Baumgarten.
1) Cf. E.
GILSON,
Beirzg
and
some
philosophers,
Toronto 1952.
234 Parte seconda
Alexander Gottlieb
Baumgarten
Alexander Cottlieb
Baumgarten
(1714-1762)
fu
per
molti anni
profes-
sore di filosofia
a
Francoforte sullOder.
Egli
viene ricordato nella storia
della filosofia
soprattutto perch
autore di
un'opera,
la
Metaphysica,
di
cui Kant si serv
per
le
sue
lezioni accademiche,
postiliandola
a
margine.
Discepolo
di
Wolff,
nella sua
Metaphysica Baumgarten presenta
una
esposizione organica
del
pensiero
del maestro. In un'altra
opera,
le
Meditatioizes,
Baumgartcn
studia le
questioni
relative alla bellezza e
introduce,
per
la
prima
volta nella storia della
filosofia,
il termine
estetica,
per
denominate la dottrina dell'arte.
Questa
viene da lui conce-
pita
come una conoscenza sensibile
chiara",
ed
pertanto qualcosa
di
intermedio tra l'oscuro sentire della
semplice
sensazione, e
il distinto
intendere della
pura ragione. Baumgarten anticipa
un concetto dell'arte
che sar
ripreso
da Kant
e
godr
molta fortuna nella filosofiamoderna,
soprattutto
tra
gli
idealsti.
Suggerimenti bibliografici
M.
CAMPO,
Ch.
Wolffe
il razionalismo
precritico,
2
volL,
Milano 1939.
I. ECOLE,
La
mtaphysique
de Christian
Wolff,
Hildesheim199D.
H.
LEVY,
Die
Religionsphilosophie
Ch.
Wolffs, Wiirzburg
1928.
B. A.
POPPE,
A. G.
Baumgarten,
seine
Bedeutimg
und
Stellung
in der Leibniz-
wolfischen Philosophie, Berne-Leipzig
1907.
UEMPIRISMO: LA METAFISICAPRIGIONIERADEI SENSI
La reazione
degli empiristi
al razionalismo
Lavanzata trionfaledella metafisica moderna finisce con
Leibniz: al-
l'improvviso
i monumentali sistemi metafisici costruiti da Cartesio,
Ma-
lebranche,
Spinoza
e
Leibniz cominciano a vacillare
dopo
che si
scopre
che
non sono stati costruiti sulla solida roccia, ma
sulia mobilesabbia.
Uavanzata della metafisica moderna subisce un
subitaneoarresto
per
opera
degli empiristi inglesi,
che criticano
aspramente
le metafisiche dei
razionalisti; e i loro attacchi sono
talmente furiosi e
massicci che non col-
piscono
soltanto le metafisiche di
Cartesio,
Malebranche,
Spinoza
e
Leibniz, ma coinvolgono
e
sembrano trascinare nella rovina la metafisi-
ca
in
quanto
tale. Infatti essi ridimensionanoi
poteri
della
ragione
a
tal
punto
che
a
questa
viene tolto
ogni capacit
di
superare
il mondo della
esperienza
sensibile
per
inoltrarsi in
quello
immateriale e intelligibile
della trascendenza.
Nella storia della metafisica
gli empiristi
entrano nella schiera - che
negli
ultimi secoli si andata
ingrossando sempre pi
- dei suoi nemici,
vale a
dire di coloro che non
solo si rifiutano di costruire
qualsiasi
siste-
ma metafisico, ma cercano
di dimostrare che l'avventura stessa della
metafisica di
per
s destinata al fallimento. Non tutti
gli empiristi
sono
cos radicali. Ma chi, come Hume,
fedele alle
premesse
dellempirismo
e le
applica
con coerenza,
esclude
perentoriamente
che
l'indagine
meta-
fisica
possa
approdare
a esiti
positivi.
Gli
empiristi
rovesciano
completamente
le
pretese
dei razionalisti e
la
loro
polemica
antimetafisica va
letta in chiave antirazionalistica.Mentre
i razionalisti avevano
esaltato eccessivamente i
poteri
della
ragione,
e
avevano
sfornato una
bella
sequenza
di costruzioni metafisiche, in cui
sembra che la
ragione sappia
tutto su
Dio e sull'ordine delluniverso,
gli
empiristi, seguendo l'esempio
di
Occam,
negano pi
o meno
radical-
mente alla
ragione
la
capacit
di
penetrare
nel mondo trascendente,
cio
di costruire un
sapere
metafisico.
Lo scontro tra razionalsti ed
empiristi
avvieneanzitutto e
soprattutto
sul terreno
gnoseologico.
l razionalisti avevano sostenuto che la cono
scenza
sensibile fallace
e che,
quindi,
dev'essere totalmente disattesa e
accantonata; ma allo stesso
tempo
avevano
affermato che la
ragione
ha
un contatto diretto e
immediato con
la realt e
quindi
con
la
verit;
ci
236 Parte seconda
avvienemediante la intuizioneche le
procura quelle
idee chiare
e distin-
te,
che
sono il
suo materiale
per
le deduzioni
e
per
le costruzioni dei
suoi sistemi.
Gli
empiristi
ribaltano
completamente
il
quadro
del
processo
conosci-
tivo. Unica fonte della
conoscenza
l'esperienza sensibile,
la
quale
es-
senzialmente
legata
a
oggetti particolari
del mondo materiale. La
ragio-
ne non
possiede nessun
potere
intuitivo, ma soltanto
quello
di collezio-
nare idee,
di sintetizzarle
o
scomporle.
Le
sue
argomentazioni
restano
per
sempre fragilissime, perch fragili
sono le idee
con cui lavora.

evidente che il
preambolo
gnoseologico dellempirismo
mina le
basi della metafisica
e la rende
praticamente
impossibile.
Senonch il
processo
conoscitivo
non Viene inteso allo
stesso modo dai tre
grandi
padri dell'empirismo
inglese:
Locke,
Berkeley
e Hurne. In Locke c'
un
tentativo di conciliare
lempirismo con le
esigenze
della metafisica. In
Hume c'e un
aperto
rifiuto della metafisica
e un
completo
sradicamento
dei suoi
principi,
in
primo luogo
del
principio
di causalit. Nel
pio"
Berkely,
che
pure
accetta le
premesse gnoseologiche degli empiristi,
c"e
infine
una
fuga
verso la trascendenza
a cui si attribuisce anche
l'origine
di tutta la
nostra
conoscenza.
Nella storia della
metafisica il
capitolo dellempirismo
e molto im-
portante, perch
d il via a una corrente filosofica che torner di moda
dopo Kant,
prima
nelle vesti del
positivismo
di Comte
e
Spencer
e
pi
tardi in
quelle
del
neopositivismo
di
Carnap, Ayer,
Russell.
Iohn
Locke
VITA
E OPERE
John Locke
nacque
a
Wrington,
in
Inghilterra,
il 29
agosto
1632. Fece i
primi
studi in
famiglia,
fino
a 14 anni. Poi il
padre
riusc a
farlo entrare
nella scuola di Westminster
e nella universit di
Oxford, dove il
giovane
Locke si dedic
con
passione agli
studi della
filosofia,
della medicina
e
delle scienze
sperimentali.
La cultura che Locke assorb
a scuola,
soprat-
tutto a Oxford
era una cultura
ispirata
al classico
anglicanesimo
liberale.
Dopo
la
laurea,
per
molti anni fu
professore
a Oxford. Poi si trasfer
a
Londra,
dove incontr
Shaftesbury
e divenneil medico
personale
del
futuro cancelliere
d'Inghilterra.
A Londra i suoi
legami
con la cultura
tradizionalesi attenuarono
e si rafforzarono invece
quelli
con la cultura
scientifica militante e con la
politica
attiva. Fu
poi spinto
a
occuparsi
di
tecnica finanziaria
e di economia monetaria.
Shaftesbury
credeva nell'e-
spansione
coloniale
inglese,
e vedeva nelle
imprese
coloniali
uno
degli
aspetti
dell'attivit
principale
cui lo stato doveva mirare: l'incremento
della ricchezza
attraverso il commercio. La
casa di
Shaftesbury
era
Lfmpirismo:
la
metafisicaprigioniera
dei sensi 237
anche
un centro di ritrovo della Londra intellettuale: vi convenivano
uomini
politici,
scienziati,
ecclesiastici illuminati. Locke era
lanimatore
di
queste
riunioni: da una di
queste
riunioni doveva nascere
la sua
opera
pi importante,
il
Saggio sullrztelligenza
umana.
Era l'inverno 1670-167].
Si discutevano i vecchi
problemi
incontrati a
Oxford e
che allora erano
assai dibattuti dai filosofi e
dai
teologi:
la conoscibiltdella
legge
natura-
le e delle verit
religiose.
Durante la discussione
con
gli
amici,
Locke fece
loro
presente
che sarebbestato del tutto inutilecontinuare la discussione,
finch
non si fosse accertato
il valore della conoscenza
determinando
quali
cose
atta a conoscere e
quali
no.
Locke si
persuase
che
quella
era
la sua nuova vocazione
e,
da
quel
momento,
per
oltre
vent'anni,
si
occup soprattutto
del
problema
della
conoscenza,
sul
quale, prima
della
stesura definitiva del famoso
Saggio sullntelligenza umana,
scrisse due
importanti
abbozzi di
quella
che sarebbestata
l'opera
definitiva.
Quando, dopo
la salita al trono di Carlo
Il,
il
suo
protettore
Shaftesbury
cadde in
disgrazia
e
dovette andare in esilio in Olanda, Locke,
sospetta-
to e
spiato
dai
partigiani
del
re,
decise a sua volta di cercare
rifugio
in
quel paese,
allora terra di libert
per
gli
uomini di
pensiero,
dove
Shaftesbury
era morto da
pochi
mesi. Ma la
parentesi
olandese
per
Locke non
fu del tutto
tranquilla:
il
governo
inglese
aveva
chiesto la sua
estradizione, perch
accusato di aver
partecipato
alla
congiura per
detronizzare il
re.
Dovette
perci, per precauzione,
tenersi
nascosto,
mutando
spesso
residenza e nome. Qui, come
in
Francia,
poteva
contare
sull'aiuto di vari
amici, tra cui il
Bayle
e
il Le
Clerc, suo
futuro
biografo.
In
questo
anni lavor intensamente alla redazione definitiva del suo ca-
polavoro,
il
Saggio
sali
intelligenza
umana e alla stesura di altri scritti che
apparvero
pi
tardi. Tornato in
patria dopo
sei anni cli esilio (1683-1689),
diede alle
stampe
le sue
opere
principali:
Due trattati sul
governo,
Lettere
sulla tolleranza
religiosa, Saggio sullntellgenza
umana.
Partecip per
qual-
che
tempo
alla vita
pubblica,
all'iniziodel
regno
di
Guglielmo dOrange;
poi
si ritir a Oates,
dove mor il 28 ottobre 1704.
Di lui il suo
primo biografo,
Le Clerc,
traccia il
seguente profilo:
Era un uomo
dotato di
un
ingegno rapido
e acuto,
di un
giudizio
accurato e solido,
di una memoria
tenace,
di nobili e
generosi
senti-
menti,
di
un
temperamento gaio
e contento,
che
conservava
anche nei
momenti di
grande
difficolt. Aveva letto e
viaggiato
molto. In breve
tempo
accumulo una vasta conoscenza ed
esperienza,
e
divenne il
migliore
uomo
di Stato in
Inghilterra,
a unet in cui
gli
altri a stento
cominciano a
capire qualcosa
dei
pubblici
affari
(...).
Era talmente
veloce
nell'apprendere
che,
dopo
la lettura di
un libro,
anche se effet-
tuata in fretta,
poteva coglierne
i
pregi
e i difetti
meglio
di coloro che
lo avevano letto lentamente e con
grande
cura. Era un uomo
dal
por-
tamento franco e libero,
nemico dei
complimenti, per
nulla cerimo-
nioso,
di modo che tutti
potevano
conversare con lui con libert e
238 Parte seconda
senza
soggezione.
Si
comportava
familiarmente
con tutti ma non fece
mai nulla di disdicevole
e non all'altezza del
suo carattere. Non
pote-
va assolutamente
sopportare
alcunch che
avesse la minima
parven-
za di schiavit
o
in
se stesso o nei suoi nferioriml
LOCKE F. CARTESIO
Mentre Cartesio e universalmente riconosciuto come il
padre
della
filosofia moderna in tutte le sue forme ed
espressioni,
a Locke
spetta
il
titolo di
padre
di
quella importante
e influente
espressione
della filoso-
fia moderna che
porta
il
nome di
empirismo.
Il
punto
di
partenza
di Cartesio
e Locke e lo stesso: il
problema
della
conoscenza e
del
suo valore.
Ma, come si
vedr,
il loro
punto
d'arrivo
molto diverso. Locke si riallaccia immediatamenteal
problema
che De-
scartes aveva
proposto,
con
impareggiabile
chiarezza, alla filosofia
mo-
derna. Voler abbracciare
e misurare la totalit delle cose sarebbe unim-
presa
vana: dovr
per
essere
possibile
il determinare
con
precisione
e si-
curezza i limiti
dell'intelletto,
di cui noi
acquistiamo
unintimacoscienza...
Il
problema
del metodo afferra anche
Locke,
pur
essendo destinato ad
assumereben
presto
in lui caratteri nuovi e
particolari?
Cos,
per
entrambi il
punto
di
partenza

l'origine
della
conoscenza,
perch
dalla
sua
origine dipende
anche il
suo valore. Per Cartesio l'ori-
gine
e innata: l'anima
porta
con s sin dalla nascita i
principi primi
d'o-
gni conoscenza, e le idee chiare
e distinte di tutte le verit fondamentali:
quindi
il valore della
conoscenza risulta assoluto e infallibile.Locke re-
spinge
1innatismocartesiano e
assegna
a tutta la
conoscenza
un'origine
empirica: ogni
idea si forma
a
partire
dai sensi. Delle
cose di cui
non
si
ha
una conoscenza
empirica
si
pu
ottenere
qualche
idea mediante il
ragionamento,
la
quale per
diviene un'idea
pi
fittizia che
vera. Locke
senz'altro
un
empirista
ma un
empirista
moderato che lascia ancora la
porta aperta
alla
speculazione
metafisica. La sua
gnoseologia
non
spo-
desta la metafisica
ma la
precede
e ne
fissa i limiti che
sono molto
meno
angusti
di
quelli
che le
assegner
Kant.
Come abbiamo
gi
visto nei
precedenti capitoli
il
prolegomeno gno-
seologico
alla metafisica
era
gi
un fatto
acquisito
anche nel razionali-
smo,
ma in Locke
acquista
un ruolo
ancora
pi esplicito
e decisivo.
Infatti i razionalisti - costruttori di monumentali sistemi metafisici -
ave-
vano senza dubbio
analizzato, ma solo come introduzione al loro
pro-
prio
sistema,
la natura e
il
processo
del
pensiero.
1) M. LE CLERL, The
Lifc
miri Character
ofMr. 101m Locke,
in
J. LOCKE. An
Essay
concer-
nirtg
lzuman
Llnderstanding, Chicago-London1933,
pp.
XIV-XV.
7-) E.
CAsslRER, Storia della
filosofia
moderna, Einaudi,
Torino
1953,
vol.
Il,
p.
262.
Lfmpirismo:
la
metafisica prigioniera
dei sensi 239
Con
precipitazione dogmatica
essi si erano
affrettati dall'esame del
pensiero
verso
la ricerca della soluzione dell'esistenza.
L'importanza
della scuola classica
inglese
nella storia della filosofia sta in ci che
essa
fa
dell'indagine
sullo
sviluppo
della conoscenza umana,
sulle
forme e sulle
presupposizioni
di cui
quest'ultima dispone,
un
proble-
ma
indipendente. Iohn
Locke e i suoi
seguaci
assicurano al
problema
della conoscenza
la sua
indipendenza
di fronte al
problema
dell'esi-
stenza,
dal
quale
nei
grandi
sistemi era stato assolutamente
posto
nel-
l'ombra. Essi
posero
la teoria della Conoscenza
innanzi alla metafisica.
Se
(per
usare
il
linguaggio
di
Kant)
per
dogmatismo
si intende un
indirizzoche
senza un
sufficiente esame
delle Condizioni e dei limiti
della conoscenza
si serve
dei nostri concetti
per
stabilirel'essenza
delle
cose,
laddove la filosofia critica esamina la facolt della cono-
scenza
prima
di
accingersi
a
speculare
sull'esistenza,
la filosofiacritica
incominciadefinitivamentecon
Locke>>fi
In Locke si incontranoe si confondonodue
importanti
eredit:
quella
del razionalismocartesiano e
quella clell'empirismoinglese,
ma con il
netto
sopravvento
della seconda sulla
prima.
Locke si forma intellettualmente e scrive le
sue
opere
nell'ambiente
inglese
dove,
grazie
a
Hobbes e a Bacone,
la
experimental philosoplzy
aveva
gi posto
solide radici. Locke fece suo
il
punto
di
partenza
di
que-
sta filosofia, e mai labbandoner
neppure
dopo
l'incontro con
Cartesio:
l'uomo trae tutte le informazioni iniziali dalla sensibilit.
L'incontro con Cartesio ebbe
luogo
a
Oxford durante
gli
studi univer-
sitari. La lettura delle sue
opere,
secondo testimonianze attendibili,
impressione
vivamente il
giovane
Locke. La nuova
filosofia
gli
sembra-
va
molto
pi
attendibiledella filosofia
imparata
a scuola, non
foss'altro
per
il desiderio di chiarezza e
semplicit
che la
ispirava.
Non c' dub-
bio che la filosofia cartesiana era
apprezzata (negli
ambienti
inglesi)
come
il tentativo di
rompere
definitivamente con
la filosofiadelle scuo-
le, con
le entit fittizie che
popolavano
le
spiegazioni
da
essa fornite,
come il
maggiore
tentativo di costruire una
spiegazione
unitaria della
natura
ispirata
alla chiarezza,
semplicit
e attendibilitdelle nozioni
usate.4
Ma il
canone
empirstico imped
a Locke di sottoscrivere le ambizioni
di Cartesio di
costruire,
in base a mere intuizioni e deduzioni, un monu-
mentale edificio
metafisico,
dove con catene deduttive interminabili,
si
parte
dall'uomo come essere
pensante,
si sale fino alla
divinit,
per
fare
finalmente ritorno alle
cose come entit estese e materiali. Locke
capo-
volge questa impostazione:
l'uomo conosce
i
dettagli:
le idee
semplici,
3)
H.
HOEFFDING,
Storia
dellafilosofia
moderna,
Firenze
1970,
p.
1.
4)
C. A.
VIANO, Introduzione a
]. LOCKE,
Saggio sullntelligenza
umana. Secondo
abbozzo, Bari
1988,
p.
22.
240 Parte seconda
che costituiscono il
punto
di
partenza
del nostro
conoscere,
sono infor-
mazioni
periferiche
delle
cose;
l'essenza
per gli sfugge.
Le costruzioni
intellettuali nelle
quali
l'uomo
pu
fare sbizzarrirela
propria immagina-
zione non
valgono
nulla, se non
gli permettono
di tornare ai
dettagli,
di
prevederli,
di
coglierne
le associazioni. La conclusioneera
che sul conto
delle Cose esistenti l'uomo
pu
fornire soltanto
proposizioni particolari
e
raggiungere
solo verit
parziali.
In
breve,
possiamo
dire che Locke
parte
con Cartesio, ma finisce
per
rovesciare il suo razionalismoin
empirismo.
LORGINEDELLE IDEE E LA NUOVA MAPPA DEL MONDO CONOSCITVO
Ci sono tre
premesse
(o
pregiudizi"
nel senso
gadameriano
del ter-
mine) che fissano l'orizzonte
gnoseologico
lockiano
e
di cui occorre
te-
ner conto
per comprendere
esattamente il senso e la
portata
della nuova
gnoseologia disegnata
da Locke.
Uoggettivit
della conoscenza
Locke fa chiara
e
aperta professione
cli realismo. Nel secondo abboz-
zo del
Saggio leggiamo:
Oggetto
della conoscenza la verit
(m) e
questa
non altro che
l'apprendere
che le cose sono come realmente sono ed
esistono, e
nel-
l'esprimerla
con le
parole
adatte a
farla
comprendere agli
altri come
noi
(...).
Con l'attuale
accoglienza
cli
queste
idee noi abbiamo una conoscen-
za sicura che
qualche
cosa esiste realmente in
quel
momento fuori di
noi,
che causa
dell'idea dentro di noi.5
Pertanto le idee non si riferiscono a stati di
coscienza, a modificazioni
soggettive,
ma
alla realt. Le idee hanno carattere intenzionalee
pertan-
to
oggettivo,
come
ha
sempre insegnato
il realismo.
Dipendenza
essenziale di
ogni
conoscenza umana
dai sensi
Tutte le nostre conoscenze sono
legate all'esperienza
sensitiva. Su
questo punto
Locke non
ha mai avuto dubbi
o tentennamenti. Gi nel
primo
Abbozzo" del
Saggio
scriveva:
Ogni
nostro
ragionamento
si fonda e
riposa
interamente
sull'espe-
rienza e sulla sensazione
umana,
ossia sui
pochi
modi del
pensiero
che troviamo in noi stessi, e sulle idee che
accogliamo
mediante l'e-
sercizio dei nostri
sensi,
s che di nessuna verit o
probabilitpossia-
mo essere
assicurati
per
altra zia che
questa.
Questa
sola
per
l'intel-
5) ]. LOCKE, Saggio sull'intelligenza
umana.
Secondo abbozzo, cit., c. lll, l e 5.
Dlmpirismo:
la
metafisica prigioniera
dei sensi
241
ligenza l'origine
delle sue
prove
ultime non meno
che delle sue idee
primitive,
e
sempre
alla stessa
fonte
essa ricorre
ogni
volta che
voglia
razionalmente ed efficacementeesaminare la verit di
qualsiasi
atte-
stazione,
opinione
0
problemamb
Locke esclude
qualsiasi
altro
accesso, via,
fonte
a cui
l'intelligenza
umana
possa attingere
al di fuori dei sensi. Per lui sono vie e fonti del
tutto fantastiche
e arbitrarie
quelle escogitate
da
Platone,
Agostino,
Avicenna,Cartesio,
per
attribuire all'uomo la
conoscenza di "Verit eter-
ne",
che di fatto non
ha. Sul necessario
collegamento
di tutto
quanto
l'intelletto
conosce con le facoltsensitive Locke
riprende
la famosa dot-
trina aristotelica: nihil est in intellectu
iguin prius fuerit
in sensibus.
Senonch Aristotele col suo intelletto
agente
e con
l'operazione
dell'a-
strazione dava
all'intelligenza
umana
il
potere
di andare benoltre i sensi
e formarsi
nuove idee. Locke invece
ignora
la via
dell'astrazione;
per-
tanto nella
sua teoria l'intelletto
pu
soltanto o
comporre
o
scomporre
idee e classificarle.
La conoscenza delle idee
La Conoscenza delle idee - di tutte le idee -
un'operazione
dell'anima,
dello
spirito,
non dei sensi. I sensi sono lo
strumento, non la causa efficien-
te delle idee. Le idee sono
sempre
un atto dello
spirito.
Perci la
dipen-
denza dai sensi non
compromette
il carattere
spirituale
delle
idee, ma
soltanto delimita il mondo delle idee accessibili
all'intelligenza
umana.
Locke
non affatto
un sensista, ma
appartiene
decisamente alla corrente
degli spiritualisti
e
degli
intellettualisti. In effetti tutta la
sua
indagine
si
concentra sullintelletto e l'intelletto chiaramente
concepito
come fa-
colt
spirituale. Questo
detto
espressamente
nei
primi capoversi
della
Introduzioneal
Saggio:

l'intelligenza quella
che
pone
l'uomo
sopra
tutti
gli
altri esseri sen-
sibili,e
gli
d il
vantaggio
del dominio che ha
sopra
di essi. Perci
vale certamente la
pena
di farne
argomento
di
ricerca,
anche
per
la
sua nobilt.
L'intelligenza
come
l'occhio mentre ci fa vedere e
perce-
pire
tutte le
cose,
non ha
consapevolezza
di
se stessa, e ci
vogliono
arte e
fatiche
per porsi
a una certa distanza da
essa e farne
oggetto
della nostra considerazione. Ma
per quanto grandi
siano le difficolt
che si trovano sulla via della nostra ricerca,
per quanto pesanti
le
tenebre che ci
tengono
cos
profondamente
all'oscuro di noi
stessi,
sono certo che tutta la luce che riusciremo a far entrare nella nostra
mente,
tutte le informazioni che otterremo intorno alla nostra intelli-
genza,
non solo saranno assai
gradevoli,
ma ci daranno un
grande
vantaggio
nel
dirigere
i nostri
pensieri
nello studio delle altre cose?
6)
Citazione in C. A.
VIANO,
0p.
cit.,
p.
34.
7) J. LOCKE,
An
Essay corzcerning
Human
Understanding,
cit., I, 1,
1.
242 Parte seconda
Dopo queste importanti
chiarificazioni
preliminari, possiamo proce-
dere all'esame
dell'opera.
L'obiettivoche Locke si
propone
nel
Saggio

esclusivamente
gnoseologico:
accertare
l'origine
e il valore delle nostre
idee. La sua
indagine
verte anzitutto
sull'origine
delle
idee,
ossia sulle
vie e
i modi con
cui la mente si forma le
idee;
questa indagine
ha carat-
tere "storico", come
lo definisce lo stesso Locke;
noi
oggi
lo chiameremo
fenomenologico.
Non si basa su
postulati
ma su descrizioni
obiettive, su
osservazioni
meticolose,
per
vedere come stanno veramente le cose
per
quanto
concerne
l'origine
delle nostre conoscenze. Ecco come si
esprime
Locke,
nel
capitolo
introduttivo al
Saggio:
<<...
Credo che
non avr
completamente
buttato via i
pensieri impiega-
ti in
questo argomento,
se,
con
questo
nzetodo
semplice
e storico,
posso
dare in
qualche
modo conto delle vie attraverso le
quali
il nostro
intelletto arriva alle nozioni che abbiamodelle
cose,
e
posso
stabilire
una
qualche
misura della certezza della nostra
conoscenza,
o
i fonda-
menti delle
persuasioni
che si
possono
trovare tra
gli
uomini,
cos
varie,
differenti e
completamente
contraddittorie, e tuttavia asserite
da una
parte
e
dall'altra con tanta sicurezza e fiducia,
che chi
getta
uno
sguardo
sulle
opinioni
dell'umanit osserva
la loro
opposizione
e,
nelo stesso
tempo,
considera la
passione
e
la devozione con cui
esse sono accolte,
la risolutezza e
l'energia
con
cui sono mantenute,
pu
forse avere
ragione
di
sospettare
che
o non esiste affatto
una cosa
come
la verit o
l'umanit non
ha mezzi sufficienti
per
ottenere una
conoscenza
di
essa.
In
primo luogo
esaminer
l'origine
delle idee,
nozioni o
qualunque
altro nome
vi
piaccia
dare ad
esse,
che
un uomo osserva ed consa-
pevole
di
avere
nel
proprio spirito,
e
i modi in cui
l'intelligenza giunge
a essere fornita di esse.
In secondo
luogo,
tenter di mostrare
quale
conoscenza
l'intelligenza
ha
per
mezzo di
quelle
idee, e la
certezza,
l'evidenza e l'estensione di
quella
conoscenza.
In terzo
luogo,
condurr
qualche
ricerca sulla natura e sui fondamen-
ti della Credenza
(faitiz)
o
opinione;
con
credenza
o
opinione
intendo
l'assenso che diamo a una
proposizione,
considerandola come
vera,
anche
se della sua verit non
possediamo
conoscenza certa. Conducendo
questa
ricerca avremo occasione di esaminare le
ragioni
e
i
gradi
da?
l'assenso.
Se con
questa
ricerca sulla natura
dell'intelligenza potr scoprire
i
poteri (powers) dellinteiligenza,
la loro
estensione, a
quali
cose
essi
sono adatti in un
grado qualsiasi,
dove essi
vengono
meno,
suppongo
che ci
possa
essere di
qualche
utilit
per
convincere lindustrioso
spirito
dell'uomo a essere
pi
attento nellimmischiarsi in cose
che
vanno al di l della sua
comprensione,
a
fermarsi
quando
arrivato
all'ultimo confine dei suoi
poteri,
a starsene
tranquillo
in una
quieta
ignoranza
delle
cose che, ben
esaminate,
vengono
riconosciute come
cose
che stanno al di l del
raggio
delle nostre
capacit.
Forse non
dovremmo essere cosi
pronti, per
affettare una conoscenza universa-
Elmpirismo:
l'a
metafisica prigioniera
dei sensi
243
le, a sollevare
questioni
0 a tormentate noi stessi e
gli
altri
con
dispu-
te intorno a cose
per
le
quali
la nostra
intelligenza
non fatta,
delle
quali
non
possiamo
costruire nel nostro
spirito percezioni (perceptions)
chiare
e distinte, o delle
quali,
come
troppo spesso
forse
accaduto,
non abbiamo
nessuna nozione affatto. Se ci riesce di trovare fin dove
l'intelligenza pu spingere
il
proprio sguardo,
fin dove
l'intelligenza
ha facolt
per raggiungere
la
certezza,
in
quali
casi essa
pu
soltanto
esprimere giudizi
e
congetture, possiamo imparare
ad accontentarci
di ci che
raggiungibile
da noi nello stato in cui attualmente ci tro-
Viamo.3
Da
questo
testo
programmatico
risulta chiaramente
come il modo di
procedere
di Locke nella
ricognizione
dei
poteri (ivowers)
conoscitivi del-
l'uomo sia assai diverso da
quello
di Cartesio. L'autore del Discorso del
metodo
parte
dal
sospetto
che
qualsiasi
nostra conoscenza
possa
essere
falsa, e
poich
la fonte
principale
dei nostri errori
sono
i
sensi,
egli
scarta
tutte le
conoscenze sensitive e va alla ricerca di una Verit che resista a
tutte le insidie del
dubbio, e
che
una volta
scoperta
tale
verit, avanza
trionfalmente alla
conquista
di tutto l'universo
come se
il
potere
della
ragione
fosse infinito: di
qui
il razionalismocartesiano.
Per contro l'autoredel
Saggio
non
ha lassillodel
dubbio, ma avverte il
bisogno
di fare un'attenta
ricognizionedell'origine
delle nostre idee, una
precisa
verifica delle vie
per
cui le
raggiungiamo,
e di accertare
quindi
anche
quali
sono i nostri effettivi
poteri.
Questi,
alla fine
dell'indagine
lockiana risulteranno
piuttosto
modesti. Di
qui
il
semi-enpirsmo
o senti-
razionalismo di
Locke,
il
quale
non
disdegna
bens
accoglie
serenamente
una
quieta ignoranza
delle cose che,
ben
esaminate,
vengono
ricono-
sciute come cose che stanno al di l dell'orizzontedelle
sue
capacit.
Il
Saggio sullntellgerzza
zimana diviso in
quattro
libri che trattano
rispettivamente
delle idee
innate,
del
processo
della
conoscenza,
del lin-
guaggio
e del valore della conoscenza.
Nel Primo Libro Lockc conduce una critica decisa e meticolosa della
dottrina cartesiana delle idee innate e fa vedere che
questa
dottrina
insostenibile
per
i
seguenti
motivi.
1)
Essa contraddice
l'esperienza:
infatti
se ci fossero idee
innate, dovrebbero
essere
presenti gi
nella
mente del bambino e del
selvaggio
cresciuto lontano dalla civilt. Ma
l'esperienza
mostra decisamente il contrario.
2)

impossibile
accertare
la verit di
una conoscenza innata. Infatti
qualora
si riconosca l'esisten-
za
di idee innate
e, quindi,
non
provenienti dall'esperienza,
non sar
mai
possibile
verificare il loro valore
e non
potremo
mai
distinguere
il
vero dal
falso, non
potendo
confrontarle
con
l'esperienza,
che l'unico
modo di stabilire
se
qualche
cosa vera o
falsa.
3)
Nessuno
degli argo-
3) Ibid., I, 1,
2-4.
244 Parte seconda
menti addotti da Cartesio convincente e
probativo.
l suoi
argomenti
principali
sono
due:
a)
il consenso universale: tutti
gli
uomini accettano i
primi principi
fin dal
primo
uso
della
ragione;
b)
l'identit della natura
umana
in tutti
gli
uomini.
Ma,
secondo Locke,
l'identit della natura
umana non dimostrata; e
il
consenso
universale non dice nulla
riguar-
do
all'origine
delle idee.
Accantonata la
spiegazione
innatistica
dell'origine
delle
idee,
nel
Secondo
Libro,
Locke effettua la sua
esplorazione
del mondo della cono-
scenza,
per
accertare come effettivamente,
storicamente" si formano
nella nostra mente le idee.
Egli
constata che al momento della nascita la
mente non
possiede
nessuna idea,
un
tabula rasa
in
qua
nihil
Scriptnm
est. La conoscenza umana
inizia con
l'esperienza
sensibileed e da essa
sempre
condizionata. Nel
processo
conoscitivo Locke
distingue quattro
fasi:
l'intuizione,
la
sintesi,
l'analisi e
la
comparazione.
Dall'esperienza
immediata,
per
intuizione,
si
percepiscono
le idee senz-
plici.
Queste
sono
di due
tipi:
idee
semplici
che si riferiscono ai
corpi
esterni e sono
frutto della sensazione, e
che
riproducono
le
qualit prima-
rie e secondarie dei
corpi;
idee
semplici
che si riferiscono al nostro
essere,
come
le idee del
pensare,
volere, soffrire,
vedere ecc.
Le
prime
si chia-
mano idee di
percezione,
le seconde idee di
riflessione.
Ecco il celebre testo
in cui Locke descrive la fase inizialedi tutta la nostra conoscenza:
Supponiamo
che lo
spirito
sia, come si dice, un
foglio
di carta bianca,
privo
di
qualsiasi segno,
senza nessuna idea; come viene a essere for-
nita di idee?...
Dall'esperienza
nella
quale
fondata tutta la nostra
Conoscenza,
e
dalla
quale
essa
in ultima analisi deriva. In
primo luogo
i nostri sensi,
avendo
rapporti
con
oggetti
sensibili
particolari,
convo-
gliano
nello
spirito
diverse
percezioni
distinte dalle
cose,
secondo i
vari modi in cui
quegli oggetti agiscono
coi sensi... Chiamo sensazione
(sensation)
questa grande
fonte della
maggior parte
delle idee che
abbiamo,
poich
essa
dipende completamente
dai nostri sensi e
perch
attraverso i sensi
agisce
sull'intellett0. In secondo
luogo,
l'altra fonte
dalla
quale l'esperienza
fornisce l'intelletto con idee,
la
percezione
delle
operazioni
del nostro
spirito
dentro di
noi,
quando
esso

impie-
gato
intorno alle idee che ha ottenuto... Ma come
chiamo sensazione la
prima
fonte delle idee, cos chiamo
riflessione (reflectinn) questa
secon-
da
fonte,
perch
le idee che essa
fornisce
sono
soltanto
quelle
che lo
spirito
ottieneriflettendosulle
proprie operazioni
dentro se stesso>>fi
Dalleidee
semplici, per
sintesi cio
per
combinazione,
la mente si forma
le idee
complesse:
Quando
si fornito di
queste
idee
semplici,
l'intelletto
ha il
potere
di
ripeterle, paragonarle
e unjrle,
in
una variet di modi che si
pu
dire
infinita, e cos
pu produrre
nuove
idee
complesseMD
L'En2pirisnz0:
la
metafisica prigioniera
dei sensi 245
Dalle Varieidee
complesse, per
analisi,
si formano le idee astratte. Ana-
lizzandovarie idee
complesse
(cio
idee di
cose
particolari)
simili tra lo-
ro,
ritenendo
gli
elementi
comuni,
l'intelligenza
si forma
una nuova idea
molto
pi
schematica delle
singole
idee
complesse,
a nessuna
delle
quali
essa
corrisponde pienamente,
ma
capace
di
rappresentarle
tutte. In
questo
modo dalle idee
complesse
di
Pietro, Paolo,
Giovanni... si forma
l'idea astratta di
uomo.
L'idea astratta non
rappresenta
l'essenza,
perch
l'essenza incono
scibile. Gli elementi contenuti nell'idea astratta
non sono elementi
ne-
cessari, ma solo elementi
comuni,
quelli
che dalle
ripetute
idee
comples-
se hanno
segnato
una traccia
pi profonda
nella mente.
Sostanza: secondo Locke la
pi importante
idea astratta e
quella
di
sostanza in
generale. Egli distingue
tra sostanze
particolari
(cui
corri-
spondono
le idee
complesse)
e sostanza in
generale,
cui
corrisponde
la
idea astratta di sostanza.
Locke ammette che l'uomo ha idee chiare delle sostanze
particolari,
ma afferma che luomo
non
ha
nessuna idea chiara della sostanza in
generale.
Infatti,
dice
Locke,
se ciascuno di noi si esamina
riguardo
alla nozione di sostanza in
generale,
trover di non avere altra idea che la
supposizione
di un
non so che,
che fa
sostegno
alle
qualit
che
producono
in noi delle
idee
semplici. Queste
qualit
sono comunemente chiamate accidenti.
Se
qualcuno
chieder che
cosa il substrato al
quale
il colore o il
peso
ineriscono si
risponder
che tale substrato sono le stesse
parti
estese e
solide, e se si domanda
a che
cosa ineriscono la solidit e l'estensione
non si
potr rispondere
nel
migliore
dei
casi, se non come
quellndia-
no,
il
quale, dopo
aver affermato che il mondo sostenuto da
un
grande elefante,
fu richiesto
su
che
cosa
l'elefante
poggiasse;
al che
rispose:
Su una
grande tartaruga.
Ma
essendogli
ancora domandato
quale appoggio
avesse la
tartaruga, rispose:
Qualcosa
che io non
conosco affatto... L'idea alla
quale
noi diamo il
nome
generale
di
sostanza non altro che tale
supposto,
ma sconosciuto
sostegno
delle
qualit
esistenti di fattom
L'idea
generale
di sostanza non ci fa
conoscere
delle
cose niente di
pi
di
quanto
conosciamo mediante le idee
semplici.
E un'idea che
non
ci d
nessuna conoscenza delle cose. Essa sta a
postulare qualcosa
che
siamo certi che
esiste, ma che
non conosciamo. Infatti siamo certi che ci
sono sostanze
corporee
e sostanze
spirituali,
ma non abbiamo nessuna
idea chiara n della sostanza
spirituale,
n della sostanza materiale.
Dio non ci ha
concesso la
conoscenza della sostanza delle
cose,
per-
ch all'uomo non necessario conoscere le
cose con tanta
profondit.
H)
Saggio
Il, 23,
2.
246 Parte seconda
Noi siamo stati
provveduti
di facolt
capaci
di conoscere
nelle cose
tanto
quanto
occorre
per
arrivare alla conoscenza
di Dio e
al
compimen-
to del
proprio
dovere.13
Per
conseguire questi
fini non occorre conoscere
la sostanza delle cose.
Da
questa
critica della conoscibilitdella sostanza alla
negazione
della
sua esistenza,
cio alla
negazione
della esistenza di
ogni
realt
soggiacen-
te ai fenomeni dei
sensi,
il
passo
breve. Per Locke non
ha fatto
questo
passo,
e
si accontentato
di affermare che la sostanza non inconoscibile
in se stessa, ma
solo
per
linettitudinedella mente umana.
Ma lo faranno
dopo
di lui
Berkeley
e Hume:
Berkeley per
ci che
riguarda
la sostanza
materiale,
Hume
per
ci che
riguarda
anche la sostanza
spirituale.
In realt il concetto di sostanza estraneo
alrempirismo,
cos come

stato
impostato
da Locke.
Comparazione:
Accostando un'idea a
un'altra idea
(senza associarle,
senza
operare
una sintesi) e
paragonandole
tra loro si formano le rela-
zioni: le idee che
esprimono
una relazione. Cos
paragonando
l'idea di
causa con
quella
di effetto si forma l'idea di causalit: l'idea che
esprime
la relazione di causa
ed effetto. Come si vede,
per
Locke,
le relazioni non
sono
delle
propriet
delle
Cose,
ma
semplici
idee di
ragione.
Prima di affrontare il difficile
problema
del valore della
conoscenza,
nel Terzo Libro Locke studia il
linguaggio
che lo strumento con
cui noi
comunichiamo le nostre idee
agli
altri.
Riprendendo
la dottrina di Ari-
stotele,
Locke dice che le
parole
sono
segni
convenzionali che hanno co-
me
referente immediato le idee;
mentre le idee sono
segni
delle cose.
Secondo Locke i nomi
singolari
indicano idee
complesse,
invece i nomi
generali
indicano idee astratte. Locke esalta il
grande
valore
pratico
del
linguaggio,
in
quanto semplifica
il
processo
conoscitivo,
unendo sotto
il
medesimo
segno
- la
parola
- intere colonie di
oggetti particolari.
Pero
ammonisce anche contro
i
pericoli
del
linguaggio,
in
quanto
esso tende
a sostituirsi al
pensiero.
IL VALORE DELLA CONOSCENZA
Come
sappiamo,
l'obiettivo
principale
che Locke si
prefigge
con
l'e-
same
dellbrigine
della Conoscenza

quello
di determinare la sua esten-
sione e
il
suo
valore. Per
quali
realt lo
sguardo
della nostra
intelligenza

proporzionato
e con
quale grado
di certezza
pu
conoscerle?
Una volta riconosciutoche le idee
semplici
che la nostra mente
acqui-
sisce
riguardano
le
qualit primarie
e
secondarie dei
corpi
e
gli
atti che
si
svolgono
nel nostro
spirito,
e ammesso
che l'idea di sostanza non
riguarda
l'essenza ma
soltanto l'esistenza delle
cose,
Locke si chiede:
12) lbid., 23,
12.
Uimpirismo:
la
nzetafisica prigioniera
dei sensi 247
quali
sono le
cose
che noi
possiamo
realmente conoscere? Solo le
cose
materiali
o
anche
quelle spirituali;
solo i
corpi
o anche
gli spiriti;
solo
questo
mondo
e
il
nostro io o
anche Dio?
Sappiamo
che Locke non reclama
per
la
ragione poteri
eccessivi che
di fatto
non
ha.
Egli
fa
professione
di
una
quieta ignoranza rispetto
a
realt e a verit che
superano
i
poteri
della
ragione.
Su
questo punto egli
fa
un
passo
indietro
rispetto
ai razionalisti che reclamavano
per
la
ragio-
ne
poteri
assoluti e
ricupcra
la dacia
ignorantia
dei metafisici cristiani.
Senonch
quella
di Locke una
ignoranza quieta, rassegnata,
che ha ben
poco
in
comune con
l'ignoranza ansiosa,
irrequieta,
che
cerca
di colmare
con
l'affetto del
cuore il vuoto della
ragione.
Non c' nessun
"pathos?
mistico nella
quieta ignoranza
del filosofo
inglese,
bens
una fredda
con-
statazionedei limitati
poteri
conoscitivi dell'intelletto
umano.
Ma vediamo
precisamente qual

l'insegnamento
di Locke intorno al
valore della nostra conoscenza.
interrogarsi
sul valore della
conoscenza
equivale
a chiedersi
quale
sia
il suo
grado
di verit. Il concetto che Locke ha di verit il classico
con-
cetto di
adeguazione,
ossia di
corrispondenza
tra ci che la mente
pensa
o dice e le cose. Locke
pone
una netta distinzione tra verit mentale
(o
logica,
del
pensiero)
e verit verbale
(o semantica,
delle
parole):
La verit
appartiene propriamente
soltanto
a
proposizioni
e
di
esse
ci
sono due
specie,
cio
quella
mentale e
quella
zierbale, come ci
sono
due
specie
di
segni
comunemente usati, cio le idee e le
parole.
Quando
le idee
sono
poste
insieme o
separate
nello
spirito
secondo
che
esse o le
cose,
in
luogo
delle
quali stanno, sono in accordo
o
disaccordo, si ha
quella
che
potrei
chiamare la verit
mentale; ma la
verit delle
parole

qualcosa
di
pi,
e consiste nell'affermare
o
negare
le
parole
luna
dell'altra, secondo che le
idee, in
luogo
delle
quali
le
parole stanno, sono in accordo o disaccordo
(...).
La verit consiste nel
tradurre in
segni
mediante
parole
l'accordo
o disaccordo tra le
idee,
come esso ;
il falso consiste nel tradurre in
segni
con
parole
l'accordo
o disaccordo tra le idee in modo diverso da
quello
in cui
esso
.3
L'accordo
o
disaccordotra le idee viene a sua volta suddiviso in
quat-
tro
specie: 1)
identit o diversit; 2) relazione; 3)
coesistenza
o connessione
necessaria; 4)
esistenza reale.
La
prima specie
di accordo
(identit o diversit)
si ha nel momento
stesso in cui lo
spirito percepisce
un'idea e conosce di ciascuna ci che
essa , e allo stesso
tempo percepisce
ci che la differenzia dalle altre. La
seconda
specie
di accordo
(relazione)
che lo
spirito percepisce,
non altro
che la
percezione
della relazione tra due idee
qualsiasi, quale
che sia la
13) Ibid., IV, 5, 2 s.
248 Parte seconda
loro
specie,
siano esse sostanze,
modi 0
qualche
altra cosa. La terza
spe-
cie di accordo 0
disaccordo che
pu
essere trovata tra le nostre idee la
coesistenza 0 non-coesistenza nello stesso
soggetto;
e
questa specie appar-
tiene in
particolar
modo alle sostanze. La
quarta
e ultima
specie
di ac-
cordo
quella
dell'esistenza reale effettiva con
un'idea
qualsiasifl
La convenienza o sconvenienza,
l'accordo o
disaccordo tra le idee
pu
essere
colto in due modi: direttamente (intuitivamente)
oppure
indirettamente mediante la dimostrazione. Come si vede
qui
Locke
ritorna ai due classici
procedimenti
usati da Cartesio
per
la formazione
delle idee chiare e distinte,
che Locke trasferisce alla
questione
della
verit.
Ma fin
qui
non
si va oltre la Verit
soggettiva:
come
passare
a
quella
oggettiva?
A
questo scopo
Locke ricorre al classico criterio delleviden-
za: le idee hanno carattere intenzionale: esse non
rappresentano
se stes-
se ma
la realt.
Per le cose
materiali l'evidenza molto
forte, perch
di esse
si ha
un'esperienza
immediatae intuitiva:
Non c' nulla di
pi
certo che l'idea che riceviamo da un
oggetto
esterno nella nostra mente,
si tratta in effetti di una conoscenza
intuitiva. Ma se ci sia soltanto
quella
idea nella nostra mente 0
anche
l'esistenza di
qualche
cosa
al di fuori della nostra mente che corri-
sponda
a
tale
idea,
questo per
alcuni e
oggetto
di
discussione, poich
gli
uomini
possono
avere
siffatte idee nella loro mente mentre non c'
nessuna cosa,
nessun
oggetto
che
colpisce
i nostri sensi. Ma a mio
avviso,
noi siamo
provvisti
di un'evidenza che ci libera da
ogni
dub-
bio;
sufficiente chiedere a
qualcuno
se non sia invincibilmentecon-
vinto che altra la sua
percezione
del sole di notte e
di
giorno, quan-
do
assagga
Yassenzio
oppure
odora una rosa....15
Ancora
maggiore
l'evidenzadell'esistenza del
proprio
io:
Per
quel
che
riguarda
la nostra esistenza
propria,
la
percepiamo
cos
chiaramente e con tale
certezza,
che essa n ha
bisogno
n
capace
di
qualsiasi prova.
Perch nulla
pu
essere
pi
evidente a
noi della
nostra
propria
esistenza. Penso,
ragiono,
sento
piacere
e
dolore:
pu
una
di
queste
cose essere
pi
evidente della mia
propria
esistenza? Se
dubito di tutte le altre
cose, proprio questo
dubbiofa si che io
percepi-
scala mia
esistenza, e non mi lascer dubitaredi essa (...).
L'esperienza
perci
ci convince che abbiamo una conoscenza
intuitiva della nostra
esistenza
propria,
e una
percezione
interna infallibileche esistiamomfi
14)
Cf.
ibid., 1,
2-7.
15) Ibid., 2, 14.
16) Ibid., 9, 3.
IJEmpiriSmO:
la
nzetqfisica prigioniera
dei sensi
249
Per via
dimostrativa,
secondo
Locke, luomo
pu giungere
anche al-
l'esistenza di Dio. Certo di lui la nostra
intelligenza
non
possiede
idee
innate,
nelle
quali possiamo leggere
la sua esistenza, come
pretendono
gli ontologisti (Cartesio,
Spinoza,
Malebranche). Tuttavia,
avendoci for-
nito delle facolt di cui il nostro
spirito

dotato, non ci ha lasciato
senza
una testimonianza di
se stesso: dal momento che abbiamo
senso,
perce-
zione e
ragione,
non
possiamo
mancare di una Chiara
prova
della
sua
esistenza,
fino a
quando portiamo
noi stessi con noi.
Ecco come Locke
argomenta
l'esistenza di
Dio,
partendo
dalla
neces-
sit che
qualcosa
deve esistere ab aeterno:
Non c' verit
pi
evidente di
questa,
che
qualcosa
deve esistere dal-
lrternit
(there
i5 no frutti more evident than thai
sonzethinlg
must be
from
eternity).
Non ho mai sentito
parlare
di
nessuno cos
irragionevole
o
che
potesse supporre
una
contraddizione cos manifesta come un
tempo
nel
quale
non ci fosse assolutamente
nulla,
perch questa
la
pi grande
di tutte le
assurdit,
immaginare
che il
puro
nulla,
la
per-
fetta
negazione
e assenza di tutte le cose
producano
mai
qualche
esi-
stenza reale. E
pertanto
inevitabile
per qualsiasi
creatura razionale
concludereche
qualche
essere esistito dalleternit.17
Provata l'esistenza necessaria di
un essere eterno,
Locke
passa
a
illu-
strare i suoi
attributi,
che
sono
quelli
che tutte le metafisiche hanno
sem-
pre
riconosciuto a Dio. In
primo luogo egli
dotato di
intelligenza:
in-
fatti
pensare
che
una
semplice
materia non
pensante produca
un essere
pensante intelligente
altrettanto
impossibilequanto pensare
che il nul-
la
produca
da
se stesso materiamlfi Poi avvalendosi del classico criterio
delle
perfezioni
trascendentali Locke riconosce a Dio tutte le
perfezioni
assolutamente
semplici.
Queste a
lui
appartengono
in modo infinito
mentre alle creature in modo finito. Chi viene
prima
di
ogni
altra
cosa
deve necessariamente
contenere,
quanto meno,
tutte le
perfezioni
che
hanno la
possibilit
di
esistere;
n
possibile
che conceda ad altri
perfe-
zioni che
non ha, o in maniera attuale
oppure
in
grado superiore.1
Tra
gli
attributi
primari
di Dio Locke annovera la
sapienza
e
poi
l'on-
niscienza,
Yonnipotenza
e la
provvidenza
e tutti
gli
altri attributi che
seguono
necessariamentem"
Ma, osserva Locke, non c' assolutamente
da
meravigliarsi
se noi abbiamouna conoscenza molto limitata di Dio e
delle sue
operazioni:
Poich non
comprendi
le
operazioni
della tua
mente finita,
di
quella
realt
pensante
che dentro di
te, non ritenere
17) 11nd,, 10,8.
m) una, 10,
10.
w)
lbid.
20) 11nd,, 10,
12.
250 Parte seconda
strano di non riuscire a
capire
le
operazioni
della Mente eterna e
infinita
che fece e
governa
tutte le
cose,
e
che il cielo dei cieli non
pu
conteneremzl
Questo

quanto
la mente umana
pu
conoscere avvalendosi esclusi-
vamente dei suoi
poteri.
Per
sapere
di
pi
di Dio necessario dar credi-
to e
prestare
il
proprio
assenso a
qualche
divina rivelazione. Ma
questo
non rientra
pi
nell'ambitodella
ragione
ma
in
quello
della fede. La
fede l'assenso che si
presta
a una
verit rivelata. Uassenso
certo,
secondo
Locke, se si sicuri che ci si trova di fronte
a una rivelazione
divina;
invece se l'evidenza che si tratti di una rivelazionee
che
quello
il
suo vero
significato,
non
supera
la
probabilit,
noi non
possiamo
andare
pi
in l di essa col nostro assenso>>.22
Negli
ultimi
capitoli
del
Quarto
Libro del
Saggio,
dedicati al
problema
dei
rapporti
tra fede e
ragione, apparentemente
Locke
sposa
la tesi tra-
dizionaleche la fede
non
pu
andare contro alla
ragione,
di fatto
per
egli
subordina la fede alla
ragione.
Infatti della rivelazione
disposto
ad
accogliere
soltanto ci che dotato di una certa
"ragionevolezza"
(reciso-
nableness): Qualsiasi cosa Dio abbia rivelato indubbiamente
vero,
ma
se
qualcosa appartenga
alla divina rivelazione o
no, questo spetta
alla
ragione
decidere
e
giudicare;
alla mente non mai consentito di
respin-
gere
una
maggiore
evidenza, e
neppure
le consentito di aderire alla
probabilit
in
opposizione
alla conoscenza e alla certezza>>23 Pertanto
alla fede Locke
non
concede altri fatti che
quelli
che
pur
ponendosi
al di
fuori dal10rdinario sono tuttavia ancora
compatibili
con ci che la
ragione
ritiene
possibile.
Locke stesso scrive che la fede una rivelazio-
ne naturale
ampliata
da
un nuovo fondo di
scoperte
comunicate imme-
diatamente da Dio.24 Il
soprannaturale
, cos,
inteso naturalisticamente
secondo un'ottica di
positivista
in
anticipo
sui
tempi.
Il resto
supersti-
zione, fanatismo, come
qui
si
ragiona
a
lungo.
Come si
vede,
il
principio
della
modernit,
che
quello
di
sottoporre
tutto al
vaglio
della
ragione,

per
Locke la molla di
ogni
sua
considera-
zione sulla
religione,
sulla
fede,
sulla rivelazione e sul cristianesimo.
Della fede cristiana e della Sacra Scrittura
egli

disposto
ad
accogliere
soltanto
quanto
rientra nei limiti della
pura ragione.
A
questo proposito
va ricordato anche
quanto
Locke scrive in
Ragionevolezza
del cristianesimo
quale
risulta dalle Scritture
(Reasonablerzess
of Christianity
a5 delitiered in
Scriptures).
In
questa,
che la sua ultima
opera,
Locke si
propone
di tra-
sformare le evidenze esterne del cristianesimo in evidenze
interne,
cio
in evidenze non fondate sullautoritdi fatti
esteriori,
bens riconoscibili
21) Ibid.,10,
19.
22) lbid, 16.
23) lhid.
34) Ibid., 19, 4.
Ijlmpirismo:
la
metafisica prigioniera
dei sensi 251
quali
verit da
qualsiasi
uomo
dotato di
ragione.
Tutto
l'ampio
Volume
di Locke dedicato a dimostrare che
ogni pagina
della Bibbia
pu
esse-
re intesa in maniera non miracolosa, ma
ragionevole
e
Conforme al crite-
rio intellettuale di ciascuno di noi. Si
apre
a
questo punto
il
problema
cruciale destinato
a
diventare la vexata
quaestio
di tutto il deismo: se le
verit del cristianesimo sono
riconoscibilicome evidenti da Ciascun
uomo attraverso le sole forze della
ragione,
che
bisogno
c' allora di
una
rivelazionedivina?
Locke,
pur provando disgusto per
Festeriorit del
puro dogmatismo
cristiano,
tuttavia non vuole
negare
l'autorevolezzae
l'importanza
della
rivelazione
perch
non vuole uscire dall'ambitodel cristianesimo. Perci
egli escogita
le
seguenti
due soluzioni: in
primo luogo,
se
gli
uomini
intelligenti
possono giungere
facilmenteai
principi
della
religione; per
la
massa invece, senza
la rivelazionela cosa
sarebbeabbastanza difficile.
In secondo
luogo,
se
le Verit della
religione apparissero
alla sola
ragio-
ne come
pure
verit filosofiche, esse non avrebberola forza coercitiva di
una
legislazione.
Il
cristianesimo, invece,
proprio grazie
alla forza
per-
suasiva della
rivelazione,
pot operare
una
grande
"riforma
legislativa".
In tal modo
Locke,
pur
non
rinnegando l'impianto dogmatico
del cri-
stianesimo, ne
faceva
scomparire l'aspetto propriamente teologico,
tra-
sformando il dato non
puramente
razionale, cio la
rivelazione, in una
funzionesoltanto
divulgativa
e
legislativa.
LOCKE E LA METAFISICA
Nella sua
pur
vasta
produzione
filosofica
Locke,
diversamente dai
razionalisti, non elabora nessun sistema metafisico.
Neppure
fa della
ontologia,
tracciando
una
mappa
dell'essere.
Egli
si limita
a
quel prolo-
go gnoseologico
che nella metafisica moderna ha
preso,
come
sappiamo,
il
posto
della metafisica
generale
o
ontologia.
Nella
gnoseologia
lockiana i
poteri
dell'intelletto sono
rigorosamente
delimitati
dall'esperienza
sensitive, ma non al
punto
da
impedire
alla
mente di
oltrepassare
il mondo sensibilee
di
volgere
lo
sguardo
anche
alle realt
intelligibili
e a Dio.
Cos,
pur
non costruendo un sistema
metafisico,
Locke
accoglie
nella sua
filosofiadella conoscenza Verit im-
portanti
che
riguardano
l'anima e Dio,
cio le due realt che da
sempre
costituiscono
l'oggetto primario
della ricerca metafisica. Per fortemente
limitata dalla
sensibilit,
di
queste supreme
realt
l'intelligenza
non si
pu
formare delle idee vere e
proprie
ma soltanto delle
supposizioni
e
delle finzioni.
Cos da Locke la metafisica
appena
sfiorata
e viene ammessa
nel
territorio
dell'intelligenza
umana
quasi
clandestinamente,
pi
in osse-
quio
alla tradizioneche
per
titoli
legittimi.
252 Parte seconda
In Locke
convivono, non
sempre pacificamente,
due anime: l'anima
empirista
che e ccintraria alla
metafisica, e
l'anima razionalista che inten-
de far sue le verit fondamentali della metafisica. Il risuitato di
questa
difficilecoabitazione
l'ambiguit
e ambivalenzadel
pensiero
lockiano.
Per
questo
motivo all'autorit di Locke si
sono
potuti
richiamare sia i
cartesiani che i
baconiani,
sia i razionalisti che
gli empiristi,
sia i miscre-
denti che
gli spiriti religiosi,
sia i liberali sia i conservatori. Alla filosofia
di Locke si
rifece, ancora durante la sua vita,
la
prima generazione
del
deismo settecentesco e in lui i
polemisti
ortodossi videro
una
delle fonti
moderne della miscredenza. Ma ben
presto,
accanto all'utilizzazionedel
suo
pensiero
in chiave
deista,
si
profilo
una sua
possibile
utilizzazione
in chiave
apologetica
e
il
principale interprete
di tale tendenza sar
Ceorge Berkeley.
Come scrive
I.
W.
Yolton, uno dei
migliori
conoscitori del
pensiero
di
Locke,
Yepistemologia
che Locke eredito dai suoi
predecessori,
e alla
quale
si rivolse in un
primo tempo per
certe difficolt, non
specificate,
incontrate in discussioni
religiose,
ebbe una
parte
di
primo piano
nelle discussioni che turbarono i suoi
contemporanei, provocando
dapprima
reazione violenta e condanna e
poi
accettazione
graduale
a
applicazione
in
ugual
misura da
parte
dei radicali
e
dei conservatori.
Il dualismo di
questa
tradizione,
che
insegn
insieme il limite feno-
menalistico della conoscenza umana e
la necessita di
porre
essenze
reali in
natura,
condusse ad alcune
confusioni; ma,
come
quelle que-
stioni irrisolte sulla realt della conoscenza e della
rappresentazione,
questo aspetto
della
nuova via delle idee fu
messo da
parte.
Locke
non
appartenne
ai
deisti, anche se
prov simpatia per
molte delle loro
credenze;
ma,
chiaramente,
egli apparteneva
al
gruppo
di
teologi
e
laici che lavoravano dentro la tradizione
per apportare
modificazioni
nella teoria e nel
dogma,
che diventarono effettive
pi
tardi nel corso
del XVIII secolo.
Apparteneva
a
questo gruppo
non solo
per
le sue
convinzioni e dichiarazioni
specificamente religiose,
ma
soprattutto
perch Yepistemologia
che formul nel
Saggio sulliitclligeriza
innanzi
si
muoveva nella stessa direzione delle tendenze
teologiche
dei tradi-
zionalisti
meno
rigidi>>.5
25) l.
W.
YoLToN, 101m
Locke una the
Way ofldeas,
Oxford
1956,
p.
207.
ljlmpirismo:
la
metafisica prigioniera
dei sensi 253
George Berkeley
VITA E OPERE
George Berkeley nacque
nel 1685 in Irlanda. Studi al
TrinityCollege
di Dublino
e vi fu nominato
professore
subito
dopo
la laurea in filosofia.
Entr in controversia con i
materialisti,
seguaci
di
Hobbes, contro i
quali
compose
la
sua
prima opera
filosofica,
il Trattato sui
principi
della cono-
scenza umana (1710).
In
seguito ripresent gli argomenti
del Trattato in
forma
pi popolare
nei Tre
dialoghi
tra
Hylas
e Plzilonozis. Dal 1713 al 1720
viaggio
in
Inghilterra,
Francia e
Italia
per allargare
le
sue Conoscenze.
Nel 1721 ritorn
a
insegnare
al
Trinity College e, contemporaneamente,
cominci a interessarsi dell'istruzione
religiosa degli immigrati
in Ame-
rica. Nel 1721 si rec col con l'intento di
erigervi
un seminario;
per,
non avendo ricevuto il sovvenzionamento
promesso
il
progetto
falli e
Berkeley
fu costretto a rientrare in
Irlanda,
dove
port
a termine e
pub-
blic
l'Alcifr0ne,
la
sua
opera maggiore.
Un
paio
d'anni
dopo
il
suo ritor-
no
in
patria,
fu nominatovescovo di
Cloyne,
carica che
ricopr
con
gran-
de
zelo,
distinguendosi
nella
premura per
il benessere non soltanto
spi-
rituale
ma
anche materiale dei suoi fedeli. Le sue
riflessioni
non aveva-
no soltanto carattere
speculativo
ma
anche
pratico,
come risulta dalla
sua
ultima
opera,
Siris, caterta di
riflessioni
e ricerche
filosofiche
sulle virt
dell'acqua
di catrame
(1744).
Mor a
Oxford nel 1753.
IL ROVESCIAMENTODELUEMPIRISMOIN IDEALISMO
La
speculazione
filosoficadi
Berkeley
strettamente
legata
ai
presup-
posti empiristici
della filosofia
inglese,
ma
gli
esiti del
suo
pensiero
si
trovano
agli antipodi dellempirismo.
Infatti,mentre
lempirismo,
svolto
con
logica coerenza,
sfocia inevitabilmentenel sensismo e
quindi
nel
materialismo,
Berkeley
trasforma invece
Yempirismo
in una
professione
di assoluto immaterialismo.Cos le
sue
conclusioni finiscono
per
coinci-
dere
con
quelle
di Leibniz.
Il sistema di
Berkeley
una combinazionedi
empirismo
e
di raziona-
lismo ancora
pi paradossale
di
quella
di
Locke;
infatti allo stesso
tempo pi empiristica
e
pi
idealista del filosofo
inglese.

pi empirista
nella
negazione
delle idee astratte e nella riduzione di tutte le idee a
idee
particolari;
ma allo stesso
tempo
molto
pi
idealista
perch
non
riconosce altra realt che
quella
immateriale.
L'obiettivo
principale
di
Berkeley
scalzare il materialismodi Hobbes
e
dei suoi
seguaci
dalle
fondamenta,
dimostrando che la materia non esi-
ste affatto
e che la realt si risolve tutta nello
spirito. Seguiamo
il
suo
ragionamento
cos
comegli
l'ha
esposto
nel TrattatoSul
principi
della cono-
254 Parte seconda
SCEHZIZ umana,
che
un'opera esemplare per
nitidezza,
logicit
e
sempli-
cit.
Berkeley
ritiene di riuscire a
demolire il materialismo con due
argo-
menti, uno
basato sulla natura delle
cose,
la
quale
consiste tutta nell'es-
sere
pensata:
esse est
izercipi,
l'altro basato sulla
distinzione, ammessa
dagli
stessi
materialisti, tra
qualit primarie
e secondarie. Da Galileo in
poi
si era affermato che le
qualit primarie
(estensione,
figura
e
movi-
mento) sono
oggettive
e
che
quelle
secondarie
(odore, colore,
sapore,
ecc.) sono
soggettive,
e che, tuttavia,
le
prime
sono
percepite per
mezzo
delle seconde. Da
questa
dottrina
Berkeley
ricava la
seguente argomen-
tazione: dato che le
qualit primarie
sono
percepite per
mezzo
delle
secondarie,
essendo
queste soggettive
(ossia causate dal
soggetto)
devo-
no essere
soggettive
anche
quelle;
e
poich
la materia (come ammettono
anche i
materialisti) non altro che il risultato delle
qualit primarie
essa a sua volta
soggettiva,
ossia null'altro che un'idea.
Nei
Dialoghi
tra
Hylas
e Philonous
Berkeley sviluppa
un altro
argo-
mento,
derivato dal concetto cartesiano di
materia, concetto condiviso
anche dai suoi avversari materialisti. Secondo tale concetto la materia
qualcosa
di assolutamente inerte e
passiva.
Ora,
argomenta Berkeley,
com'
possibile
che
qualcosa
di inerte e
passivo possa
suscitare in noi
delle sensazioni? Poich
questipotes
assurda evidente
che, se
anche
la materia ci fosse, cos com'
concepita
dai suoi
sostenitori, essa non sa-
rebbe mai
capace
di
produrre quelleffetto
che
quelli
le ascrivono. Per-
tanto la materia
incapace
sia di
produrre
come di ricevere
pensieri.
In conclusione: l'essere della realt si esaurisce nell'essere
percepita.
Ci
per
non
significa
che esiste soltanto il
soggetto pensante.
Infatti al-
meno
rispetto
ad alcune delle nostre conoscenze noi ci
comportiamo
passivamente.
Di tali conoscenze non
siamo noi stessi la
causa; perci
la
causa non
pu
essere
che
un essere
spirituale e,
in
definitiva, non
pu
essere
che Dio.
Per
quanto potere
io abbia sui miei
pensieri,
devo constatare
che le
idee
percepite
col senso non
dipendono
dalla mia volont.
Quando
nella
piena
luce del
giorno
io
apro gli
occhi, non in mio
potere
di
scegliere
se vedr o
no,
o di determinare
quali particolari oggetti
si
presenteranno
alla mia
vista; e cos
per
l'udito e
per gli
altri
sensi,
le
idee
impresse
su di essi non sono creature della mia volont. Vi
per-
ci
qualche
altra volont
o
spirito
che le
produce...
Le idee
impresse
sui sensi dall'Autore della natura sono
chiamate cose
reali;
queile
eccitate
dallfimmaginazione,
essendo meno
regolari,
viva-
ci e costanti, sono
pi propriamente
chiamate idee o
immagini
di cose
da essa
copiate
o
rappresentate.
Ma
qualunque
sia la vivacit e
nitidezza delle nostre sensazioni, esse
sono
tuttavia idee,
esistono cio nella mente come
pure percezioni
al
pari
delle idee che
essa
forma da s. Si ammette che le idee del senso
L'Ernpiris1'rz0:
la
metafisicaprigioniera
dei sensi
255
siano
pi
reali, cio
pi
forti,
ordinate
e coerenti di
quelle
create dalla
mente, ma
questo
non un
argomento per
asserire che esistono senza
la mente. E
pur
vero
che
esse
dipendono
meno delle altre dallo
spirito
che le
percepisce,
essendo
provocate
dal volere di
uno
spirito pi
potente,
ma ci non
toglie
che siano
idee; e le
idee, deboli o forti che
siano, non
possono
esistere altro che in una mente che le
percepiscam
ESISTENZA
DELLO SPIRITO:
IO, ALTRI,
DIO
L'esistenza
dell'io,
degli
altri
e
di Dio indubitabile.
Diverso,
per,

il modo di conoscerli. La
propria
esistenza conosciuta immediatamen-
te,
nei
propri
atti di
conoscere e
di volere.
La
conoscenza dell'esistenza
degli
altri
spiriti
non
immediata, ma
mediata e indiretta,
cio attraverso le idee che
producono
in
noi,
combi-
nazioni di idee che
rappresentano qualcosa
di simile
a noi e di cui
argo-
mentiamo che
concepiscono
certi esseri
particolari
simili a noi.27
Anche la
conoscenza dell'esistenza di Dio soltanto
mediata, cio
attraverso le idee che
Egli produce
in noi
(e dell'ordine delle
cose).
Per
la esistenza di Dio
pi
evidente di
quella degli
uomini: Possiamo
per-
fino asserire che l'esistenza di Dio
percepita
in modo assai
pi
eviden-
te che
non la esistenza
degli uomini,
perch
le cose della natura sono
infinitamente
pi
numerose e
pi
notevoli che
non
quelle
che si attribui-
scono
all'opera
di
agenti
umani. Non vi
nessun
segno
che denoti la
presenza
di
un uomo o
di
un
effetto da lui
prodotto
il
quale
non
valga
maggiormente
a
provare
la
presenza
di
quello Spirito
che l'autore
della natura>>.28
Mentre l'esistenza
degli Spiriti
(io,
altri
e Dio)
appare
evidente,
la
loro natura risulta inconoscibile:Non vi
pu
essere alcuna idea definita
di un'anima
o
spirito, perch
tutte le idee
sono
passive
e inerti e non
possono quindi
servire a darci
un'immagine
di ci che
agisce>>29
Siccome la natura delle idee di
essere inerti,
labilie mutevoli, men-
tre la natura dello
spirito
di
essere attivo,
permanente
ed
eterno,
lo
spi-
rito non
pu
essere conosciuto
per
mezzo di idee.
C'
per
una conoscenza anche dello
spirito, quella
che
Berkeley
chiama nozione.
26) Trattatosui
principi
della
conoscenza
umana,
nn. 29-33.
27) Cf.
ibial, n. 145.
33) lbiLL,n. 147.
39) lbid, n. 27.
256 Parte seconda
NOMINALISMO
Contro Locke,
che aveva ammesso
la
percezione
di idee
generali
e
astratte e contro
i materialisti che credevano di
possedere
l'idea
generale
di
materia,
Berkeley, conseguente
con
le sue
premesse
empiristiche
che
vogliono
che la conoscenza
proceda
esclusivamente dalla sensazione e
dalla
fantasia,
sostiene che noi non
possediamo
nessuna
idea universale:
tutte le idee sono
rappresentazioni
di
qualcosa
di
particolare.
Non
pos-
sibile,
p.
es., rappresentare
un
triangolo
che
non sia n
equilatero,
n iso-
scele,
n scaleno. Duniversalit
gnoseologica

un'utopia.
Se si
parla
di
idee universali ci accade
perch,
trascurando alcune
particolarit,
assu-
miamo un'idea
singola
(ad es.,
un determinato
triangolo)
come
indicati-
va
di tutte le idee simili ad essa (di tutte le
figure
con
tre lati e tre
ango-
li).
La universalit non una
propriet
delle idee ma una
funzione delle
parole.
Per
ragioni
di convenienza
scegliamo
un'unica
parola per
desi-
gnare
molte idee
diverse,
p.
es.,
la
parola
"uomo",
per
designare
l'idea
di
Pietro, Paolo, Giovanni, ecc.
Come si vede, con
Berkeley
la tendenza nominalistica costantemente
presente
nella filosofia
inglese
sin dal Medioevo
(con Ockham)
viene
sviluppata
fino alle
conseguenze
estreme,
fino al nominalismoassoluto.
DavidHume
La filosofiadi David
Hume,
pur
non avendo fornito alcun contributo
positivo
alla storia della metafisica,
merita
speciale
attenzione
per
un
duplice
titolo. Anzitutto, essa
rappresenta
il
punto
di arrivo dei filosofi
empiristi. Dopo
Hume, 1'empirismo,
sotto i nomi di
positivisrno
o
di
neopositivismo,
si
perfezioner
su
punti
secondari
ma
quanto
all'essen-
ziale non
potr
che stare fermo o
regredire.
Il secondo titolo che ci indu-
ce a
occuparci per
esteso di Hume il considerevoleinflussoda lui eser-
citato sullo
sviluppo
dello
spirito
critico in Kant.
Hume un
empirsta conseguente
fino in fondo.
Questa
breve for-
mula riassume tutte le caratteristiche del suo
pensiero.
Mentre Locke e
Berkeley
erano
degli
ibridi,
in cui
empirismo
e
razionalismosi trovava-
no
presenti
nello stesso
tempo,
Hume cancella
ogni
traccia di razionali-
smo e
presenta
Vempirismo
nella sua
forma
pi pura
e
pi rigorosa.
VITA e OPERE
David Hume
nacque
a
Edimburgo,
in Scozia,
il 26
aprile
1711. La sua
famiglia
voleva fare di lui
un avvocato, ma senza successo.
Pi tardi
gli
fece tentare la carriera commerciale,
per
con
lo stesso risultato. Nel
Lfmpirismo:
la
metafisica prigioniera
dei sensi
257
1735 si rec in Francia
per
continuare
gli
studi. A
un certo
punto
della
sua vita decise di dedicarsi
completamente
alla
composizione
delle
sue
opere
e si mise al lavoro con molto
impegno.
Nel 1739 riusc a
portare
a
termine il
suo
capolavoro,
il Trattatosulla natura
umana,
che
porta
un sot-
totitolo molto
eloquente:
A Treatise
of
human
Nature,
being
an
Attempt
to
introduce the
Experimental
Method
of Reasoning
into Moral
Subjects
(Tentativo
di introdurre il metodo
sperimentale
di
ragionare
nelle scien-
ze morali). L'ambizionedi Hume in
quest'opera
era
quella
di
applicare
allo studio della natura umana
quel
metodo
sperimentale
che Newton
aveva
adoperato
con tanto successo nello studio della natura fisica. Ma
fu molto deluso dalla fredda
accoglienza
che la
sua
opera
ricevette sia in
Francia sia in
Inghilterra.
Per
qualche
anno fu
segretario
del
generale
St. Clair
e lo
segu
in
varie missioni all'estero. Nel 1748
pubblic
i
Saggi
sullrztelletto
umano.
Nel 1749 ritorn a Londra.
Seguirono
alcuni anni di intensa
produzione:
tra il 1751 e il 1757
pubblic
Ricerche sui
principi
della
morale,
Storia
dell'Inghilterra
e Storia naturale della
religione,
tutte
opere
che ebberobuon
successo.
Nel 1756 ritorn in Francia come
segretario
dell'ambasciatore
inglese
a
Parigi; qui
fece la conoscenza di Rousseau. Tornato in
Inghilterra
nel
1766
ospit
Rousseau nella
sua casa: ma il carattere scontroso del filo-
sofo francese
provoc
una rottura fra i due che
per, pi
tardi,
si riconci-
liarono. Per due anni fu anche
sottosegretario
di stato. Si ritir
a vita
pri-
Vata nel 1769
e mor nella
sua citt natale il 25
agosto
1776.
IL PRINCIPIO FONDAMENTALE DELLA FILOSOFIADl HUME
Il
principio
fondamentale della filosofia di Hume il
principio
di
immanenza
interpretato empiristicamente.
Secondo tale
principio
l'unica
fonte di
conoscenza
l'esperienza
e
l'oggetto dell'esperienza
non la
cosa
esterna, ma la
rappresentazione.
In base a
questo principio
Hume afferma
che le
rappresentazioni
o le
impressioni
costituiscono il dato ultimo della
conoscenza
umana,
il limite contro cui l'uomo deve urtare e fermarsi. Se e
che
cosa
possa
esserci al di l delle
impressioni
non
possibile
dire.
Anche Locke e
Berkeley
erano
partiti
da
questo principio,
ma non
avevano avuto il
coraggio
di
applicarlo
fino in
fondo,
frenati dalle
con-
seguenze
disastrose cui esso conduce.
Dopo
aver ammesso
che l'unico
oggetto
della
conoscenza umana
l'idea,
Locke
aveva riconosciuto al di l dell'idea la realt
dell'io, del
mondo
e
di Dio.
Berkeley,
pur negando
l'esistenza delle
cose naturali, aveva ammessa
la realt
degli spiriti
finiti
e dello
spirito
infinito di
Dio,
realt entrambe
irriducibilialle idee.
258 Parte seconda
Hume invece si tiene strettamente fedele ai
principio
che il dato ulti-
mo della nostra conoscenza

l'impressione
e, applicando questo princi-
pio
coerentemente fino in fondo, senza
paura
delle conclusioni cui esso
porta,
risolve tutta la realt nel mondo delle idee attuali
(cio
delle
impressioni
sensibilie nelle loro
copie)
e
nulla ammette al di l di esse.
Dichiarandoche
l'esperienza
non che una serie di
impressioni
e di
idee, un
fluiredi
apparenze
nel
quale
si risolve la realt del
soggetto
che
sente e
pensa,
e
dell'oggetto
sentito e
pensato,
Hume trasforma
l'empir-
smo
in fenomenalismo. Nessun'altra cosa
pu
conoscere
il
pensiero
se
non se stesso nelle sue
attuali e
fuggevoli
determinazioni costituite dalle
sue
percezioni presenti,
le
impressioni,
o
dalle
immagini
sbiadite di
quelle
ossia le idee.
I
predecessori
di Hume erano
sfuggiti
al fenomenismoattribuendo ai
Concetti di
esistenza,
sostanza e causa un
valore
oggettivo.
Hume
mostra che ci e inammissibilein una
dottrina della conoscenza come
quella degli empiristi,
la
quale
sostiene
che il
suo
oggetto
ultimo sono
le
impressioni
e
le idee. Ma allora come
si
spiega l'origine
di
questi
concet-
ti?
Questo
il
problema
da risolvere e a
risolverlo mira tutta la ricerca
filosoficadi Hume.
Abbiamo
gi
detto,
nei cenni
biografici,
che
l'opera principale
di Hu-
me
il Trattatosulla natura umana. I
Saggi
siilVintellettoumano e le Ricerche
sui
principi
della morale
riprendono, sviluppano
e
precisano
le
posizioni
gi
delineate e
sostanzialmente definite in
quell'opera.
Per introdursi
nel
pensiero
di Hume occorre
prendere
in esame
il
suo Trattato,
che di-
viso in tre libri: il
primo
tratta dell'intelletto (della conoscenza),
il
secon-
do delle
passioni
(della psicologia)
e
il terzo della morale.
ORIGINE DELLA CONOSCENZA
Hume inizia la trattazione con una
distinzione che d
per
scontata:
quella
tra
impressioni
e idee. Le
impressioni
sono
percezioni
forti e vivaci,
per
esempio
la sensazione di
calore;
le idee sono
percezioni
deboli e
sbia-
dite,
per
esempio
l'idea di calore. Io credo afferma Hume che non
ci
sia
bisogno
di molte
parole per
spiegare questa
distinzione. Ciascuno af-
ferrer facilmenteda s la differenza che esiste tra sentire e
pensare>>.30
Tanto le
impressioni
che le idee si dividono in
semplici, quelle
che
non
ammettono divisione, e
complesse, quelle
divisibiliin
semplici; per
esempio, l'impressione
della mela divisibilenelle
impressioni
di colo-
re,
odore,
sapore,
ecc.
3) D. HUME,
A Treatise
qfHuman
Nature, EverymaifsLibrary,
London-New-Yorks. d.,
vol. I,
p.
11.
Dlnz-zirismo: la meta isica ri ioniera dei sensi
259
I
L
Tra
impressioni
e idee esistono dei
rapporti,
di cui due
sono
i
princi-
pali: sonziglianza
e causalit. Anzitutto
somiglianza:
le idee
semplici
sono
rappresentazioni
esatte delle
impressioni semplici;
invece le idee
Com-
plesse,
pur
conservando una certa
somiglianza
con le
impressioni origi-
narie,
tuttavia
posseggono
di esse una
somiglianza
assai
imperfetta:
per
esempio,
l'idea di chimera
rispetto
alle
impressioni
di
capra,
leone
e ser-
pente.
In secondo
luogo,
causalit: le idee
dipendono
dalle
impressioni
e
non viceversa,
perch
le
impressioni
sono causa delle idee>>.31 Ci ve-
ro
anche
quando,
immediatamente,
un'idea e causata da un'altra idea.
Noi ci
possiamo
fare idee
secondarie,
immagini
di
quelle primarie.
(...)
Questo avviene
quando
le idee
producono immagini
di s in altre idee.
Per,
poich
le idee
primarie
sono derivate dalle
impressioni,
rimane
ancora vero che tutte le idee
semplici procedono,
mediatamente
o
immediatamente,
dalle
impressioni corrispondenti.32
Premessa la divisione
generale
della
conoscenza in
impressioni
e
idee, e accertata la
dipendenza
delle idee dalle
impressioni,
Hume
passa
a
spiegare l'origine
delle
impressioni.
Occorre tenere
presente,
avverte il
filosofo
scozzese,
che le
impressioni possono
essere divise in due
grup-
pi: impressioni
di sensazione e
impressioni
di riflessione. Le
impressioni
di sensazionenascono nell'anima
originariamente,
ma non
sappiamo
da
quale
causa.
Memoria e
immaginazione
Dopo
aver trattato
dell'origine
delle
impressioni,
Hume esamina due
operazioni:
la memoria e
l'immaginazione.
A differenza dei
sensi,
memoria e
immaginazione
non
percepiscono
impressioni,
ma idee;
per,
mentre le idee della memoria sono forti
e
vivaci,quelle dell'immaginazione
sono deboli
e
languide.
La facolt
per
cui le
impressioni ricompaiono
nella mente come idee
della
prima
maniera la
memoria;
l'altra
limmaginazione.33
Per, mentre le idee della memoria sono strettamente
dipendenti
dalle
impressioni corrispondenti,
le idee
dell'immaginazione
spesso
non ri-
tengono
le caratteristichedelle
impressioni originarie;
e
questo perch
l'im-
maginazione
non
legata
allo stesso ordine
e forma delle
impressioni?!
L'immaginazione,
nel mutare l'ordine
e
la forma delle
impressioni
originarie,
non
agisce
arbitrariamente, ma
segue
alcuni
principi
univer-
sali,
per
cui la sua attivit sostanzialmentela stessa in tutti i
luoghi
e
in
tutti i
tempi. Questi
principi
o
leggi
universali che
guidano l'immagina-
zione nellassociarele idee
sono tre:
31) Ibid,
p.
14.
32) ami,
p.
16.
s3) Ibid,
pp.
17-18.
34) ami,
p.
18.
260 Parte seconda
-
sonziglianza:
la fantasia associa un ritratto con
l'originaleper
la somi-
glianza
che esiste tra i
due;
-
contiguit:
nel
tempo
e nello
spazio:
la fantasia associa Cesare con
Cicerone
per
la loro
contiguit temporale;
associa la
campana
col cam-
panileper
la loro
contiguit spaziale;
causalit: la fantasia associa la ferita col dolore
per
il loro nesso cau-
sale: la ferita e causa
del dolore.
Operando
secondo le
leggi
dell'associazione
l'immaginazione
si for-
ma le idee di
sostanza,
accidenti e relazioni.
L'idea di
sostanza, come
quella
di modo
(accidente)
null'altro che
una
collezione di idee
semplici,
riunite
dall'immaginazione
e
chiamate
con nome
speciale
col
quale
siamo
capaci
di richiamarea noi stessi e
agli
altri tale co|lezione.35
Come
Berkeley,
Hume afferma che non ci sono idee universali: Le
idee universali
non sono
altro che idee
particolari
che
sono state Con-
giunte
con una
parola
che d loro
un
significato pi
esteso e alloccasio-
ne
fa loro richiamarealtri individui simili a lorowfi
Hume divide le relazioni in due
grandi gruppi:
le relazioni che
nasco-
no
dal
semplice
esame
delle idee e
le relazioni che si
possono
istituire
soltanto basandosi su fatti,
cio
sull'esperienza,
Ecco il
passo
in cui
Hume
espone questa
dottrina:
Le relazioni si
possono
dividere in due classi:
quelle
che
dipendono
esclusivamente dalle
idee,
mettendole a confronto tra di
loro,
e
quelle
che
possono
mutare senza alcun cambiamentonelle idee. E dall'idea
di
triangolo
che arriviamo a
scoprire
la relazione di
uguaglianza
tra
suoi tre
angoli
e
l'angolo piatto,
e
questa
relazione e immutabilefino
a
quando
l'idea di
triangolo
rimane
eguale.
Invece le relazioni di con-
tiguit
e
distanza tra due
oggetti possono
cambiarecol solo cambiare
di
posto
dei loro
oggetti pur
rimanendo
gli oggetti
e le loro idee inal-
terati
(...).
Lo stesso accade
per
le relazioni di identit e di causalit.
Due
oggetti
sebbene
perfettamente
simili tra loro e
pur apparendo
nello stesso
posto
in
tempi
diversi,
possono
essere numericamente
diversi, e
poich
la
ragione per
cui un
oggetto
ne
produce
un altro
non mai
scopribile
col solo esame
dell'idea di
quell'oggetto,
evi-
dente che
causa
ed effetto sono
relazioni di cui siamo informati solo
dall'esperienza
e non
dal
puro ragionamento
o
dalla riflessione?
Al
gruppo
delle relazioni che nascono
dal solo esame
delle idee
appartengono: somiglianza,
contrariet,
grado
di
qualit
e numero.
In-
vece
al
gruppo
delle relazioni che nascono
dall'esperienza appartengo-
no: identit,
relazioni di
spazio
e
tempo,
e
relazione di causalit. Hume
35)
Ibrd,
p.
24.
i) Ib1d.,
p.
25.
37) Ibid,
p.
73.
Ulmyiirisnzo:
la
nretafisica prigioniera
dei sensi
261
si
serve di
questa
divisione delle relazioni
per
classificare le
scienze, e
per distinguere
le scienze matematicheda
quelle sperimentali.
Le relazioni che si fondano esclusivamente sull'esame delle idee
pos-
seggono
la massima certezza e formano il dominio della
conoscenza
vera. Ad
esso
appartengono
la
geometria,
Faritmetica
e
l'algebra.
Di
queste
tre solo
Yalgebra
e l'aritmetica
sono scienze infallibili.
Ualgebra
e Yaritmetica
sono le sole scienze nelle
quali possiamo
muoverci attra-
verso una serie di
ragionamenti
con
perfetta
esattezza
e certezza. Noi
possediamo
un criterio
preciso,
coI
quale possiamo giudicare deIFegua-
glianza
e
della
proporzione
dei
numeri; e secondo ch'essi
corrispondono
o no a
quel criterio, ne determiniamo le relazioni
senza
possibilit
di
er-
rori
(m).

appunto perch non
disponiamo
di
un similecriterio di
ugua-
glianza
nel1'estensione che la
geometria
non
pu
affatto
essere ritenuta
una scienza
perfetta
e infallibile>>fi8
Tutte le relazioni che si basano
sull'esperienza (identit, relazione
spazio-temporale, causalit), a
parere
di
Hume,
fanno
capo
alla relazio-
ne di causalit:
La causalit
(causatimz)
produce
una tale connessione da darci la cer-
tezza che all'esistenza
o all'azione di un
oggetto segu
o
precedette
un'altra esistenza
o un'altra
azione; e anche le altre due relazioni non
possono
entrare in un
ragionamento
se non in
quanto
entrano in
quella
di causalit. Non c'e niente in un
oggetto
che ci
possa persua-
dere chesso debba
essere
sempre
lontano
o
contiguo
a un altro e
quan-
do
con
l'esperienza
e con l'osservazione
scopriamo
che in ci la loro
relazione
invariabile,
noi concludiamo
sempre
che c' una causa
segreta
che cos li
separa
o unisce. Dicasi lo stesso
per
l'identit: noi
supponiamo
senz'altro che
un
oggetto
continua a essere numerica-
mente il
medesimo, bench
pi
volte
presente
e assente ai
sensi, e
gli
attribuiamo un'identit nonostante l'interruzione delle
percezioni,
perch pensiamo che, se avessimo tenuto l'occhio
o la
mano costante-
mente su di
esso,
ci avrebbe
prodotto
una
percezione
invariabilee
ininterrotta. A
questa
conclusioneche
va al di l delle
impressioni
dei
sensi,
possiamo giungere
soltanto
perch
ci fondiamo sulla connessio-
ne
di
causa ed
efietto:
altrimenti non
potremmo
avere la certezza che
l'oggetto

sempre
lo
stesso, e non uno
nuovo,
per quanto questo
possa rassomigliare
a
quello
che
era
prima presente
ai sensi
(...).
Di
qui
si vede
che, delle tre relazioni che
non
dipendono
meramente
dalle
idee,
la causalit e la sola che
possa spingersi
al di l dei sensi e
informarci dell'esistenza di
oggetti
che
non vediamo n sentiamo.
Cercheremo
quindi
di
spiegare questa
relazione
esaurientemente,
prima
di abbandonareil nostro esame dell'intelletto.39
35) Ibioi,
p.
75.
39) ibid,
pp.
77-78.
262 Parte seconda
ORIGINE DELLA RELAZIONE DI CAUSA ED EFFETTO
Per tutte le metafisiche, sia
quelle
costruite dall'alto
(a priori)
sia
quel-
le costruite dal basso
(a posteriori),
il
principio
di causalitriveste somma
importanza.
Ma mentre nelle
prime questo principio

importante
sol-
tanto in sede
ontologica,
nelle seconde lo anche in sede
gnoseologica,
in
quanto
consente di realizzarela
grande
resoliztio di tutti
gli
effetti nel-
l'unica causa
suprema
d'ogni
cosa.
Pertanto mettere in dubbio o
negare
il valore
oggettivo
del
principio
di causalit
significa
sottrarre alla nave
della metafisica le vele di cui ha
bisognoper
effettuare la seconda
navigazione.
Tra i moderni Hume il
primo
a
sottoporre
al
vaglio
della critica il
principio
di causalit e a
dimostrare che
esso
pu
avere soltanto un va-
lore
soggettivo.
Per difenderlo
dagli
attacchi di
Hume,
Kant dimostrer
che il
principio
di causalit un
principio
a
priori,
ma ne limiter
l'appli-
cazione al mondo dei fenomeni. Ma anche nella versione kantiana,
le
conseguenze per
la metafisica saranno devastanti,
poich
rimosso il
principio
di causalit dalla sfera della realt sensibile
qualsiasi
costru-
zione metafisica diviene
impossibile.
In effetti la critica humiana e
kantiana del
principio
di causalit
segna
la fine della metafisica. Per
questo
motivo dobbiamo considerare
pi
attentamente il
pensiero
di Hume su
questo punto
fondamentale.
Come riferisce lo stesso Hume,
la definizioneche comunemente si d
del
principio
di causalit la
seguente:
Whatever
begins
i0 exist,
HTHS
have a caus
of
existence (Tutto
ci che inizia a esistere deve avere una
causa
della sua esistenza).4U
Da tutti i metafisici
questa proposizione
ritenuta evidentissima,
sia
che la considerino conosciuta
per
via intuitiva
oppure per
via dimostra-
tiva (riconducendola
al
principio
di non contraddizione).
Hume
nega
che il
principio
di causalit sia evidente e
nega
inoltre
che lo si
possa
giustificare
mediante una
rigorosa
dimostrazione.
Anzitutto Hume
prova
che la relazione tra Causa
ed
effetto
non
pu
mai
essere
conosciuta a
priori,
cio col
puro
esame
dei concetti
implicati
nella
relazione, ma
soltanto
per esperienza.
Nessuno,
di fronte a un
oggetto
nuovo,
in
grado
di
scoprire
le sue cause e
i suoi effetti
prima
di averli
sperimentati,
soltanto
ragionando
su
di essi.
Per
esempio,
Adamo,
anche ammettendo che le sue
facolt fossero
perfette,
non
avrebbe mai
potuto
dedurre dalla fluidit e
trasparenza
dell'acqua
che
essa
poteva
soffocarlo; o
dalla luce e
dal calore del fuoco
che esso
poteva
bruciarlosfl
4) lbid,
p.
81.
41)
Nei
Saggi
sulVintelletto 14111:1110,
Hume scrive: La
mente,
anche con l'esame e con
la ricerca
pi
accurata non
pu
trovare l'effetto nella causa
supposta:
poich
l'ef-
Ulnzpirismo:
la
metafisica prigioniera
dei sensi
263
Perci,
la relazione di causalit
nasce
dall'esperienza:
solo basandoci
sull'esperienza
che noi siamo in
grado
di dedurre l'esistenza di
una cosa
da un'altra.
H
Di che natura
l'esperienza
da cui
nasce
il
nesso causale? Secondo
Hume,
il
nesso causale
non nasce da
un'esperienza
conoscitiva
ma istin-
tiva.
Quando
passiamo
dall'idea di
una cosa all'idea di un'altra
cosa e
stabiliamotra loro
un nesso Causale,
vi siamo determinati da
un'espe-
rienza di
carattere
istintivo, ossia dallabitudine: l'abitudinedi Vedere
susseguirsi
sempre
allo stesso modo due
oggetti;
tale abitudine suscita
in noi la
propensione
a credere che
comparir
anche il secondo
appena

comparso
il
primo.
da
questa propensione
che
nasce l'idea del
nesso
causale.
Hume stato condotto
a
questa
soluzione dal
canone fondamentale
della
sua
epistemologia,
il
quale esige
che
ogni
idea
tragga origine
da
Lmmpressione.
In conclusione: La necessit ed efficaciadelle
cause non va
posta
n
nelle
cause
stesse,
n in
Dio,
ne nella collaborazionetra loro
due, ma va
posta
solo nella mente che considera l'unione tra due
o
pi oggetti
nei
casi
precedenti.

qui
che si deve
riporre l'efficacia,
la
connessione e la
necessit delle cause.4
Da tutto
quanto
stato sin
qui
detto
appare
evidente che la
connes-
sione causale
(la relazione tra causa ed
effetto)
ha
un valore solamente
soggettivo.
Non si
tratta, infatti,
di
una
propriet dell'oggetto
ma di
una
disposizione,
di
una abitudine del
soggetto:
l'abitudine di attribuire la
relazione di causalit
a
oggetti
che si
susseguono, dopo
avere constatato
vari casi del loro succedersi.
Per
Hume, la necessit del
rapporto
causale
non
riguarda pi gli
og-
getti posti
in
relazione, ma il
soggetto
che li
concepisce
come tali.
Questa
un'affermazione di
capitale importanza,
per
le
conseguenze
che
essa
implica;
per esempio,
la
negazione
della
dimostrabilitdell'esistenza
delle
cose,
dell'io
e
di Dio.
Esplorata l'origine
della relazione
causale, Hume
pu
dare della
causa la
seguente,
celebre
definizione: Causa
un
oggetto precedente e
contiguo
a un altro
e cos unito ad.
esso che l'idea di
uno determina la
fetto totalmente differente dalla
causa e
perci non
pu
mai
essere
scoperto
in
essa. (...) Per dirlo in
poche parole, dunque, ogni
effetto
un avvenimento
distinto dalla
sua causa. N
potrebbequindi essere
scoperto
nella
causa. E il
suo
ritrovamentoo
concepimento
a
priori
dovr
dunque
essere interamente arbitra-
rio
(Bari
1910,
pp.
35-36). La falsit della
posizione
humiana
giustamente
fatta risalire dal Masnovo al
travisamento
dell'operazione dell'astrazi0ne, che
non sta
affatto, come vuole il filosofo
scozzese,
in
una cieca analisi di
un tutto
nelle sue
parti senza
possibilit
d'uscirne
(cf. A.
MAsNovo, Il
significato
storico del
neatamismo, in Rivista di filosofia
neoscolastica, 1940,
pp.
25-30).
42) lbid.,
pp.
162-164.
264 Parte seconda
mente a
formare l'idea dell'altro, e
l'impressione
di uno a
formare un'i-
dea
pi
vivacedell'altro>>.43
Da
quanto
si e
detto,
si
traggono
le
seguenti
conclusioni:
- eliminazione
della distinzionedelle cause
in materiale, formale,
effi-
ciente,
finale: Tutte le cause sono
della stessa
specie.
L'unica causa

quella
efficiente,
le altre non sono
affatto Cause,44
eliminazione della distinzione tra occasione e causa:
Se
per
occa-
sione intendiamo una
congiunzione
costante,
allora si tratta veramente
di una causa;
diversamente, non
una relazione, e non
pu
servire
per
fare alcun
ragionamento
;45
-
quanto
all'origine
e all'uso del
principio
di causalit,
uomini e ani-
mali sono
sullo stesso
piano.
Un cane
evita il
fuoco,
i
precipizi,
le
perso-
ne estranee, come
fa l'uomo. Il cane non
pu
essersi formato il
principio
di causalit
per
mezzo
della
ragione,
ma
solo
per
mezzo
dell'abitudine.
Questo
conferma
pienamente
la dottrina
precedente.
LA CONOSCENZA
DELUESISTENZA DELLE
cosa,
osruro E DI DIO
Con la critica al Valore
oggettivo
del
principio
di causalit crolla l'ar-
gomento
sul
quale
Locke e
Berkeley
avevano
fondato l'esistenza delle
sostanze sia materiali che
spirituali
(la sostanza
esiste come causa
delle
mie conoscenze).
Rimane
per sempre
il fatto che noi crediamo nell'esi-
stenza continua del nostro io e
nell'esistenza
separata
delle cose.
Come
si
giustifica questa
credenza,
da cosa trae
origine questa
convinzione?
Esistenza delle cose
Le cause
possibili
della credenza nell'esistenza continuata e distinta
delle
cose,
sono tre: sensi, ragione
e
immaginazione.
Per via di esclusione Hume dimostra che di fatto n i sensi,
n la
ragione possono
dare
origine
a
tale credenza. Non rimane
perci
altra
causa
che
l'immaginazione,
la
quale,
secondo Hume,
arriva all'idea del-
l'esistenza continuata e
distinta nel modo
seguente:
Quando
ci siamo fatti l'abitudinedi osservare una certa sostanza in
certe
impressioni,
e
abbiamo constatato
che la
percezione
del sole e
dell'oceano,
per
esempio,
ci si
ripresenta,
dopo
un
periodo
di assenza
o annientamento, con
le stesse
parti
o
lo stesso ordine, come
prima,
non
siamo
capaci
di considerare
queste percezioni
interrotte come
distinte (come
di fatto sono), ma a causa
della loro
somiglianza
cre-
43) 112111.,
p.
167.
44) 1bid.,
p.
168.
45)
Ibid.
46)
Cf. ibd,
pp.
174-175.
L'Empirisnm:
la
nzetafisica prigioniera
dei sensi 265
diamo che sia
sempre
la stessa
percezione.
Per,
dato che l'interruzio-
ne della loro esistenza contraria alla loro
perfetta
identit, e
questo
ci fa ritenere che la
prima impressione
sia stata annientata e la secon-
da creata di
nuovo,
ci troviamo a
disagio,
coinvolti in una
specie
di
contraddizione.Per liberarci da
questa
difficolt cerchiamo di
passare
sopra
all'interruzione,
anzi facciamo di tutto
per
eliminarla,
suppo-
nendo che
queste percezioni
interrotte siano tenute assieme da un'esi-
stenza reale,
di cui non
siamo
consapevolim"
Da
quanto
si detto risulta che la credenza nell'esistenza delle cose
non
ha
nessun valore
oggettivo.
La sola realt di cui siamo certi costi-
tuita dalle
percezioni;
le sole inferenze
possibili
sono
quelle
fondate sul
rapporto
tra causa
ed effetto,
che si verifica, a sua volta,
solo tra
perce-
zioni. Una realt che sia diversa dalle
percezioni
ed estranea ad
esse non
si
pu
affermare n sulla base delle
impressioni
dei
sensi,
n sulla base
del
rapporto
causale.
La realt esterna
dunque ingiustificabile;
ma l'istinto a
credere in
essa e ineliminabile.
Esistenza dell'io
Per Hume il
problema
non di
sapere
se esista o no una
realt che
noi chiamiamo
io;
nella dottrina della conoscenza
qualsiasi questione
a
proposito
dell'esistenza dell'io non
ha
nessun senso. L'esistenza al di l
della cortina delle idee e
rimane assolutamenteinaccessibile;
la
questio-
ne non
quindi
se noi
possiamo
conoscere
l'esistenza del nostro io, ma
come si formi in noi la convinzione dell'esistenza continuata del nostro
io. Si badi bene che il
problema
verte sull'esistenza continuata, non
sul-
l'esistenza
puntualizzata,
momentanea. L'esistenza
puntualizzata, quel-
la del mio io in
questo
momento,
data immediatamentee non costitui-
sce nessun
problema.
Non cos l'esistenza
continuata;
del mio
io, infatti,
non
posso
avere
che
immagini
l'una staccata dall'altra. Ciascuna di tali
immagini,
di
queste
idee,
ha un'esistenza
propria,
distinta da
quella
delle altre.
Come si
spiega
la nostra convinzione che
questa
serie di
percezioni
costituisca
un'unit,
che formi un tutt'uno,
per
cui un solo,
identico
essere, quello rappresentato
dalle varie idee? La formazione di
questa
convinzionesi
spiega
in modo
analogo
a
quello
dell'esistenza delle cose:
essa nasce dall'attivit
della memoria e
della fantasia
che,
operando
secondo le
leggi
dell'associazione,
uniscono e
congiungono
ci che in
realt
separato
e distinto. Frutto della memoria e
della fantasia l'i-
dentit dell'io,
il
quale
non , quindi,
una sostanza di cui le varie idee sia-
47) Ibici,
p.
193; cf. anche
p.
198.
266 Parte seconda
no delle
manifestazioni, ma solo
una
sequela
di
percezioni:
Il mio io
Composto
dalle
percezioni:
esse lo
compongono,
dico, non
gli apparten-
gono.
Il mio io non una sostanza alla
quale
le
percezioni
sarebberoine-
renti.
(...)
Noi
non
percepiamo
che attraverso le
impressioni
ed esse non
ci
rappresentano
mai
una sostanza n materialen
spirituale>>fl8

evidente,
dunque,
che la credenza nell'esistenza continuata dell'io
non
ha Valore
oggettivo,
essendo essa il risultato dell'azione associativa
della fantasia: non esiste
nessun io
oggettivamente
identico a se stesso
di cui i0 abbia
una
consapevolezza continuata;
oggettivamente
esistono
solo delle esistenze
puntualizzate, atomiche,
le
quali
per opera
della fan-
tasia
vengono
unificate;
quindi
l'esistenza continuata dell'io ha valore
soggettivo.
Come
per
le
cose,
cos
per
l'io, l'unificazionedelle
percezioni
non e
dovuta
a un
oggetto,
del
quale
esse sarebbero
rappresentazioni diverse,
ma
al
soggetto,
il
quale,
in
definitiva, l'unica causa di tali
percezioni.
Esistenza di Dio
L'argomento
dell'esistenza di Dio non discusso nel
Trattato, ma
nelle
opere
successive
(Dialoghi
della
religione
naturale, Storia naturaledella
religione); per gi
nel Trattato ci
sono tutti
gli
elementi atti a fornire
una
risposta
esaurienteal
problema.
Da
quanto
detto
a
proposito
dell'esistenza delle cose e dell'io,
risulta
che l'esistenza un concetto
privo
di Valore
oggettivo,
avendo
esso ori-
gine soggettiva, dall'abitudine;
quindi,
in fatto di esistenza reale non
possiamo
far altro che "lavarci le mani"
perch
tutto ci che noi conce-
piamo
come esistente,
possiamo
anche
concepirlo
come non esistente.
A
questa
sorte non e
possibile
sottrarre
neppure
l'esistenza di Dio. La
non-esistenza di
un essere
qualsiasi
(incluso Dio)
un'idea tanto chiara
e distinta
quanto quella
della
sua esistenza;
quindi qualsiasi
discussione
sulla dimostrabilitdi
essa fuori
luogo.
Anche
perch
la
maggior parte
degli argomenti
basata sul
principio
di causalit
che, come
si
visto,
ha valore solamente
soggettivo.
La causalit
non dimostra nulla in alcun
settore;
soltanto un'abitudineche ci
porta
a stabilirecerti
rapporti.
Ma non
potremmo
fidarci dell'istinto anche nel
caso
dell'esistenza di
Dio
come ci fidiamo di
esso
riguardo
all'esistenza delle
cose e
degli
altri?
No,
perch
basandoci
sull'associazione,
l'istinto non
pu
mai
superare
quei
dati
empirici
che
poco
alla volta lo hanno
costituito; non
pu gui-
darci in
un
dominio che trascende la
comune
esperienza,
n
pu,
tanto
meno, parlarci
di Dio essere fuori del
tempo
e dell'umanit.
45) lbid.,
p.
245.
L'Emp'irisrrz0:
la
metafisica prigioniera
dei sensi
267
Nei
Dialoghi
della
religione
naturale,
Hume riserva
una critica
speciale
alla
prova
dell'esistenza di Dio basata sulla
causa finale
o, pi precisa-
mente, sull'ordine,
il
quale,
nella dottrina
comune, implica
un fine.
L'ordine della
natura,
afferma in sostanza Hume, non attesta un dise-
gno
e un
principio intelligente;

semplicemente
la fissit della natura
quale
si
presenta
alla nostra
esperienza. Ogni
avvenimento
pu
avere
un'infinit di
cause,
e a
priori
non
possiamo sapere
se
proprio
10
spirito
e non la materia sia la
causa
dell'ordine cosmico. Non
possibile
stabili-
re un
parallelo
tra l'uomo e Dio,
n dimostrare che ci sovrasti un essere
unico creatore e
onnipotente.
La
prova teleulogica,
secondo
Hume,
si fonda
sull'analogia
con
il
proce-
dimento che dalla constatazione di
un artefatto ci fa risalire al
suo artefi-
ce,
per
es.
dalla constatazionedi
un
ponte
risaliamo all'architetto che l'ha
costruito.
L'argomento,
anche
se
apparentemente plausibile,
a
parere
di
Hume, molto
fragilee,
tutto
sommato,
insostenibile.Oltre a
peccare
di
antropomorfismo (di
prosopopea
secondo il
linguaggio
di
Hume), tale
prova
sembra non
possa giungere
a un artefice
sommo e infinitamente
perfetto, perch
l'ordine del mondo da cui si
parte
finito
e
imperfetto.
L'analogia
non
ha inoltre nessun fondamento.
Infatti,secondo
Hurne,
noi
possiamo
indurre
una relazione di causa-effetto solo l dove abbiamo
pi
volte constatato un tale
collegamento,
come avviene
per
es. a
propo-
sito di tutte le volte che abbiamovisto il fumo
e
poi
la cosa
che bruciava.
il
caso dell'ordine del mondo invece un caso unico,
che
non
pu
farci
indurre in nessun modo l'esistenza di un sommo artefice non visto mai
da noi
all'opera.
E tuttavia nei
Dialoghi
si ammette che
l'analogia
su cui si
fonda la
prova
dell'ordine si
impone
all'uomo
con tanta immediatezza
che
impossibile
non esserne
presi
e convinti istintivamente.
Nella Storia naturale della
religione
Hume si
interroga sull'origine
della
religione.
La
sua
risposta
che la
religione
si radica
negli
interessi vitali
dell'uomo: l'ansia
per
la
felicit,
il timore della
miseria,
il terrore della
morte. Immerso
originariamente
in
un cosmo che
gli
riserva innumere-
voli
sorprese
e
ignorando
la natura delle
cause da cui
dipende
la
sua
vita
e
la
sua
morte,
l'uomo tende
a
immaginarsi
in
qualche
modo
queste
cause con caratteri
antropomorfici.
Si formano cos le idee delle
divinit,
da cui l'uomo
pensa dipenda
il
proprio
destino e a cui
quindi rivolge
onori
e
preghiere.
La
prima religione
fu
politeista.
Solo in
seguito, per
la
tendenza ad adulare la divinit al fine di
averne
maggiori
favori, si
sarebbero attribuiti sommi
poteri
a un'unica
divinit,
pervenendo
al
monoteismo. Ma anche nel monoteismo i titoli che si
assegnano
alla
divinit
sono del tutto
ingiustificati e,
in
definitiva, sono anch'essi frutto
della
immaginazione
e
dell'ignoranza.
In
questo
il filosofo
non
miglio-
re del
volgo,
essendo
anch'egli
vittima
degli
stessi sentimenti e
degli
stessi
processi psichici
e mentali
propri
della natura umana. Perci
non
268 Parte seconda
bisognameravigliarsi
che
gli
uomini,
trovandosi nella
pi completa igno-
ranza delle
cause,
ed essendo nello stesso
tempo
tanto
preoccupati per
il
loro destino
futuro,
riconoscano immediatamente una
loro
dipendenza
da
potenze
invisibili,
dotate di sentimento e di
intelligenza. L'ignoranza
madre della devozione: una massima
proverbiale,
che
l'esperienza
con-
ferma. Ma cercate un
popolo
interamente
privo
di
religione.
Se lo trove-
rete,
siate certi che vi
apparir
di
poco superiore
ai bruti.
Hume,
in conclusione,
per
un verso ammette
l'origine
naturale della
religione
in
quanto
e l'istinto stesso
che fa dell'uomo un essere
religioso;
per
un
altro verso
egli nega
valore razionalea tutte le
espressioni
simbo-
liche della
religione,
in
quanto
sarebbero esclusivamente dovute all'a-
zione della
immaginazione.
Hume non riesce a
compiere
una
scelta tra
istinto e
ragione perch
la
ragione
non
abolisce l'istinto
e
perch
l'istinto
non e confortato dalla
ragione.
Unico
rifugio
sembra essere
la
tranquilla
serenit del filosofo che ha visto tutto
questo
e lo accetta senza
pi
stu-
pirsene.

quanto
Hume stesso scrive nella celebre conclusione della
Storia naturale della
religione:
Tutto
ignoto:
un
enigma,
un
inesplicabile
mistero. Dubbio, incertezza,
sospensione
del
giudizio appaiono
l'unico
risultato della nostra
pi
accurata
indagine
in
proposito.
Ma tale la fra-
gilit
della
ragione umana,
e
tale il
contagio
irresistibiledelle
opinioni,
che
non facile tener fede
neppure
a
questa posizione
scettica, se non
guardando pi
lontano e
opponendo superstizione
a
superstizione,
in
singolar tenzone;
intanto mentre infuria il
duello,
ripariamoci
felicemen-
te nelle
regioni
della
filosofia,oscure ma
tranquille.
Tutto
quanto
scrive Hume
riguardo
all'esistenza di Dio e
all'origine
della
religione
sta o
cade insieme col resto del suo sistema, con cui anche
la sua filosofiadella
religione
strettamente
legata.
Cos,
per
es.,
la
sua
critica delle
prove
dell'esistenza di Dio
(in
particolare
delle
prove
co-
smologica
e
teleologica) regge
solo a
patto
che il
principio
di causalit
sia, come
pretende
Hume, una mera
connessione
soggettiva
tra eventi
che si succedono
regolarmente.
Ora,
pare
abbastanza evidente che
qui
Hume ha confuso
una
possibileorigine psicologica
del
principio
di
cau-
salit con
il
suo
valore
intenzionale,
che vuole essere
chiaramente obiet-
tivo, come
hanno osservato Brentano, Husserl,
Popper
e molti altri filo-
sofi.
Quanto poi
alla
spiegazione dell'origine
della
religione
fornita da
Hume,
e una
spiegazione
che
non
resiste n dal
punto
di vista storico n
dal
punto
di vista
fenomenologico.
Storicamente,
oggi pare
accertato
che il monoteismo
precede
il
politesmo
e non viceversa.
Fenomenologi-
camente,
la
religione,
come tutte le altre attivit
umane,
si
spiega
soltan-
to se
la realt stessa dotata di una
speciale qualit
(il numinoso,
il sa-
cro,
il
divino), e
quindi
non
si radica, come
pretende
Hume,
solo
negli
interessi e
nei sentimenti umani-i)
49) Cf. A. SABETTl, Hume, filosofo
della
religione, Napoli
1965.
Lfnzpirisnzo:
la
metafisica prigioniera
dei sensi 269
CONCLUSIONE
L0 sbocco
logico
dell'analisi
humiana della conoscenza
lo scettici-
smo.
Eppure,
nonostante
Pasprezza
di certe sue affermazioni,non
si
pu
parlare
di uno
scetticismo
radicalenella dottrina di
Hume; con
pi
esat-
tezza si
pu parlare
di uno
sperimentalismo
che ha favorito il dubbio in
tutti i settori
dell'indagine
scientificae
ha mostrato
1incompetenza
della
ragione
a
decidere sui
problemi
che esorbitano dalla sfera della nuda
esperienza.
Assurdo
per
I-Iume 10 scetticismo
assoluto dei
pirroniani.
Il loro
dubbiosarebbe
legittimo
se
l'uomo fosse dotato soltanto di facoltcono-
scitive; ma
in lui sono
presenti
anche le tendenze istintive,
le
quali
hanno il
potere
di
guidarlo
con
sicurezza
nelle sue
decisioni e
nelle sue
azioni. L'istinto libera l'uomo dalla morsa
dello scetticismo,
in cui la
ragione
sarebbe condannata a stringerlo.
Qui
troviamo
un'anticipazione
della
profonda
scissione
kantiana tra ci che in
potere
della
ragione
speculativa
e ci che in
potere
della
ragion pratica;
senonch nel siste-
ma
humiano il
posto
della
ragion pratica

preso
dall'istinto.
Per
quanto
attiene alla metafisica,
mediante la sua
analisi
dell'origine
della Conoscenza
I-lume
giunge per
primo
alla sua
negazione
e al suo
superamento.
I
neopositivisti seguiranno
il
suo
esempio,
ma
raggiunge-
ranno
Ia
negazione
e
il
superamento
della metafisica mediante l'analisi
logica
del
linguaggio.
Isaac Newton
Nel
capitolo sulrempirismo
e
nella storia della metafisica raramente
si include Newton,
il cui nome
indubbiamente
legato pi
alle
geniali
scoperte
scientifiche che alle ricerche filosofiche.
Eppure
il suo un
nome
che merita di essere
ricordato anche tra i filosofi, perch
ai suoi
tempi egli godette
di
grande
fama anche
negli
ambienti filosofici,e
l'in-
flusso che
egli
esercito sullo stesso Kant fu considerevole.
Va inoltre
completamente
rivisto il
giudizio
della
storiografia
ufficia-
le che
presenta
Newton come
antimetafisico. Certamente Newton critico
aspramente
le costruzioni
metafisiche dei razionalisti,ma mostr
gran-
de
apprezzamento per
la metafisica in
quanto
tale,
vale a
dire come
superamento
del mondo dei fenomeni e come
ricerca di Dio. Prova ne

che Voltaire, uno
dei
pi grandi
estimatori di
Newton,
considera il
pen-
satore
inglese
come un
grande
metafisico,
anzi come
"il metafisico dei
tempi
nuovi.

proprio
Voltaire che scrive
un'opera
filosofica,
intitolan-
dola La
metafisica
di
Neuaton;
lo stesso Voltaire,
del
resto,
scrive con
spiri-
to newtonianoun suo
Trattatodi
metafisica.
Nel
grande
scienziato
inglese
27D Parte seconda
Voltaire vedeva incarnato l'ideale dell'uomo moderno:
scienziato,
filo-
sofo, deista; vedeva in lui
un uomo che, dotato di
un
grandissimo inge-
gno,
aveva utilizzatoal
meglio,
per
il bene
dell'umanit
intera,
le
sue do-
ti eccezionali.
VITA E OPERE
Isaac Newton
nacque
in
un
piccolo
centro del Lincolnshire nel 1642.
Trascorse tutta la
sua vita
e la
sua carriera in
Inghilterra.
Compi gli
studi
al
TrinityCollege
di
Cambridge
sotto la
guida
di
J. Barrow,
insigne
mate-
matico,
che nel
1667,
in
seguito
alla
scoperta
da
parte
del
suo eccezionale
allievo della
legge
di
gravitazione universale,
gli
cedette
spontaneamente
la
propria
cattedra. Nel 1671 divenne membro della
Royal Society,
dove
l'anno successivo lesse
un'importante
comunicazione sulla teoria dei
colori. Nel
1703,
alla morte di R.
I-Iooke, Newton fu fatto residente della
"Royal Society"
e come tale esercit fino alla morte una vera e
propria
dittatura
culturale sul mondo scientifico
inglese.
Durante
gli
ultimi
anni della
sua vita Newton fu al
centro di varie
controversie,
fra le
quali
andr
per
lo
meno menzionata
quella
con Leibniz circa la
priorit
nel-
l'invenzionedel calcolo infinitesimale. Newton mor a Londra nel 1727
e
fu
seppellito
nella
cattedrale di Westminster.
Due
sono le
opere maggiori
di Newton:
Philosophiae
naturalis
principia
niathenzatzica del 1687
(a cui nella terza edizione
aggiunse
lo Sciioliunz
generale) e
Optiks (Ottica) del 1704.
I
Philosophiae
naturalis
principia
mathematicahanno
come
presupposto
metodologico
la riduzione dei fenomeni del
movimento ad atti
quantita-
tivi
e misurabili,e
prendono
le
mosse
dall'esposizione
delle nozioni fon-
damentali della meccanica razionale
(massa,
quantit
di
moto, inerzia,
forza
impressa,
forza
centripeta,
tempo
e
spazio
assoluti
e relativi)
e,
a
partire
da
questi,
elaborano
gli
assiomi
o
leggi
del moto"
gi
similmente
formulati da Galileoe Cartesio. Newton
passa poi
alla trattazione
gene-
rale delle
leggi
dinamiche
e infine, nell'ultimo
libro,
dopo
una
parte
di
carattere
metodologico
che
porta
il titolo
Regulae philosophandi,
alla
pre-
sentazione del sistema del mondo. Entro lo schema della
legge
di
gra-
vitazione,
che si
configura come la
legge
suprema
dell'universo, Newton
in
grado
di
inquadrare
e
spiegare unamplissima
serie di
fenomeni,
dando finalmenteunitariet
e coerenza al sistema
copernicano
e riuscen-
do anche
a risolvere una
gran quantit
di
questioni
fisiche
e astronomi-
che rimaste fino ad allora
senza una
risposta adeguata (citiamo
fra le
altre la
spiegazione
del fenomeno delle comete e la teoria delle
maree).
Ulmpirismo:
la
metafisica prigioniera
dei sensi 271
L'UNIVERSONEWTONIANO
Tre sono
gli
elementi costitutivi dell'universo newtoniano: la materia,
il movimento,
lo
spazio:
nello
spazio agisce
la forza di attrazioneuniver-
sale. Su
questi
tre elementi si
sviluppa
la
peculiarit
della concezione
newtoniana dell'universo, e si
opera
il distacco tra Newton e
i suoi
pre-
decessori,
in
particolare
da Cartesio. Newton ritiene
logico
affermare l'e-
sistenza di un
tempo
e
di uno
spazio
assoluti. Pur riconoscendo la diffi-
colt di definire
queste
entit
-
non
definisco il
tempo,
lo
spazio,
il
luogo
e
il
moto,
che sono
bennoti a tutti - se ne serve
continuamente.
Newton
distingue
tra
tempo
assoluto e
relativo. Il
tempo
assoluto,
quello
Vero e matematico, scorre uniformemente, senza
alcuna relazione
con
alcunch di
esterno,
ed detto anche durata. Il
tempo
relativo,
invece,
che
quello apparente
e comune",
una misura,
sensibileed
esterna,
della durata,
in funzione del movimento: misura che comune-
mente usata in
luogo
del
tempo
vero e
matematico. Tali sono
le misure
di
ora, giorno,
mese e anno.
Analoga
distinzione
pone
Newton tra
spazio
assoluto e
relativo. Lo
spazio
assoluto che,
per
sua natura,
non
ha rela-
zione con
alcunch di
esterno,
rimane
sempre
simile a se stesso e immo-
bile.Lo
spazio
relativo, invece,
una misura,
ossia una
qualsiasi
dimen-
sione mobiledello
spazio
assoluto,
che i nostri sensi determinano secon-
do la sua
posizionerispetto
ai
corpi,
ed comunemente
confuso
per
lo
spazio
immobile.
ll
luogo
, a sua Volta,
la
parte
dello
spazio
che un
corpo occupa
ed
,
secondo che si tratti dello
spazio
assoluto o
di
quello
relativo,
anch'esso
luogo
assoluto o
relativo. Il movimento assoluto, infine,
la traslazionedi
un
corpo
da un
luogo
assoluto a un
altro
luogo
assoluto. Il movimento
relativo , invece,
la traslazione di un
corpo
da
un
luogo
relativo a un
altro
luogo
relativo.
Poste
queste premesse
Newton si chiede
quale
sia il centro dell'uni-
verso fisico. A suo
parere,
l'universo deve avere un centro assoluto, cen-
tro che Newton ritiene il sole,
anzi il centro stesso del sole,
pur
dichia-
rando con
molta
prudenza,
che non
possibile
dare una
dimostrazione
convincentedi
questa
affermazione.
Due
sono,
nell'universo newtoniano,
le forze fondamentali della natu-
ra:
quella
dell'attrazione e
quella dell'espansione.
L'attenzione di
Newton, tuttavia,
rivolta in modo
precipuo
a
quella
dell'attrazione,
giacch
in funzione di
essa,
cio della
gravitazione,
si
spiega
il movimen-
to ordinato dei
corpi
nello
spazio.
Ci che
Colpisce
Newton
soprattutto
la
complessit, praticamente
infinita,
delle combinazioni
possibili
dei
rapporti spaziali
tra i
corpi
dell'universo. Dinanzi a un numero
di combi-
nazioni che
supera ogni
fantasia Newton resta in
stupita
ammirazione. A
questo punto
il
suo
studio scientificodell'universo si
allarga
in direzione
metafisica,
il cui coronamento la dimostrazionedell'esistenza di Dio.
272 Parte seconda
UESISTENZA DI D10 E LA CREAZIONE DEL MONDO
Il metodo della
nzetafisica
Sia nella ricerca scientifica sia in
quella
filosoficaNewton contrario
all'uso del metodo
assiomatico-deduttivo
(0 metodo
compositivo)
tanto
caro ai razionalisti.
Questo metodo funziona
egregiamente
nel
campo
delle matematiche
ma del tutto
improprio
nel
campo
della filosofia
naturale
(sia fisica sia
metafisica).
In
questo
campo
si deve ricorrere al
nzetodo analitico
o risolutivo,
che
parte dall'esperienza
dei
singoli
feno-
meni e va alla ricerca delle loro
causee
principi.
L'analisi -
spiega
Newton -
consiste nel fare
esperimenti
e osserva-
zioni
e nel trarre da essi conclusioni
generali
con l'induzione
e nel
non accettareobiezioni
a
queste conclusioni,
perch
sono tratte dall'e-
sperienza
o da altre verit certe. Perci nella
filosofiasperimentale
sono
da
considerarsi le
ipotesi. Quantunque Pargomentazione
da
esperi-
menti e osservazioni
per
mezzo deltinduzione
non
valga
a dimostra-
re conclusioni
generali,
tuttavia il metodo
migliore
di
argomentare
che la natura delle
cose
ammette, e
pu
essere considerato tanto
pi
solido,
quanto pi
l'induzione
generale. E, se non interviene
una
eccezione da
parte
dei
fenomeni,
la conclusione
pu
essere
general-
mente accettata. Ma
se in
seguito
dovesse
presentarsi qualche ecce-
zione
dagli esperimenti,
la conclusionesi
pu
cominciare ad accettar-
la
con le eccezioni cos
come si
presentano.
Con
un tal metodo di
ana-
lisi
possiamo procedere
dal
composto agli ingredienti,
e dai moti alle
forze che le
producono e,
in
generale, dagli
effetti alle loro
cause,
e
dalle
cause
particolari
alle cause
pi generali,
finch
largomentazio
ne non termini nella maniera
pi generale. Questo
il nzetodo armlitico.
E la sintesi consiste nell'assunzione delle
cause
scoperte
e stabilite
come
principi,
e nella
spiegazione
dei fenomeni che da
esse derivano
e nella dimostrazionedi
queste spiegazionimfl
Come si vede la
metodologia
newtoniana tiene conto del
legittimo
richiamo di Locke
all'esperienza,
ma senza cadere
nell'esasperazione
soggettiva dell'esperienza
di cui era rimastovittima Hume.
L'esperienza
l'inizio
e
la base della ricerca ma non la
sua conclusione. Su
questo
punto
Newton fa
sue le
posizioni
del
sano realismo di Aristotele
e di
S. Tommaso
d'Aquino.
L'argomento teleologico
dell'esistenza di Dio
Per
provare
l'esistenza di Dio Newton
non ricorre a una delle varie
versioni della
prova ontologica,
che inconciliabilecol
suo metodo ana-
litico, ma si avvale
dell'argomento cosmo-teleologico,
il
quale giunge
a
5D)
Optiks, Quaestione
XXXI.
Dlmpirsnzo:
la
nzetafisica prigioniera
dei sensi 273
Dio muovendo dalla
presenza
nella natura di
un
ordine finalistico. Ecco
il
passo
pi
interessante dell'Oman a
questo riguardo:
(<10;
Sembra che tutte le cose materiali siano state
composte
dalle
parti-
celle dure e solide
sopra
ricordate,
variamente associate,
nella
prima
creazione,
dal
saggio consiglio
di
un
Agente intelligente.
Perci con-
venne a chi le cre
disporle
in ordine.
E, se
Egli ag
cos, non
spetta
al
filosofocercare un'altra
origine
del mondo 0
pretendere
che sia scatu-
rito dal caos
per
mere
leggi
della
natura,
anche
se,
una
volta formato,
pu, per
quelle leggi,
durare
per
molte eta. Perci,
muovendosi le
Comete in tutte le
posizioni
in orbite del tutto eccentriche un cieco
Fato non avrebbe mai
potuto
far
muovere,
in un
solo e
medesimo
modo,
tutti i
pianeti
in orbite concentriche,
fatta eccezione
per
alcune
non
considerevoli
irregolarit,
che
possono
essere
derivate dalle azio-
ni che comete e
pianeti
esercitano
reciprocamente
l'uno sull'altro, e
che sono
suscettibili dauamento,
finch
questo
sistema ha
bisogno
di
una
riforma. Una tale uniformit tanto mirabilenel sistema
planeta-
rio dev'essere considerata l'effetto di una
scelta. E cos dev'essere
considerata l'uniformit dei
corpi degli
animali,
i
quali
hanno
gene-
ralmente un
fianco destro e un
fianco sinistro formato alla stessa
maniera,
hanno da
un
lato due
gambe
e
dall'altra due braccia o due
gambe
o due ali sulle
spalle
e tra le
spalle
un collo che si attacca alla
spina
dorsale e su di esso
la
testa, e
nella testa due orecchi,
due occhi,
un naso,
una bocca e una
lingua
collocata nello stesso modo. Cos il
primo disegno
di
quelle parti
artificiali
degli
animali, gli
occhi,
gli
orecchi,
il
cervello,
i
muscoli,
la
laringe,
le
mani,
le vesciche
natatorie,
gli
occhiali naturali e altri
organi
del senso e
del
moto, e
gli
istinti dei
bruti e
degli
insetti non
possono
essere se non
gli
effetti della
saggez-
za e della
capacit
di un
potente Agente sempre
Vivo. Il
quale,
essen-
do in
ogni posto,

capace
con
la sua
volont di muovere
i
corpi
con
il
suo sconfinato uniforme sensorio e
quindi
di formare e riformare le
parti
dell'universo
pi
di
quanto
noi siamo
capaci
di muovere con
la
nostra volont le
parti
dei nostri
corpi.51
Con la
prova
finalisticaNewton in
grado
non
solo di dimostrare l'e-
sistenza di
Dio, ma
anche di enucleare alcuni attributi della sua natura,
in
particolare l'intelligenza,
la
volont,
la
potenza,
la libert e
l'incorpo-
reit,
nonch la sua
assoluta trascendenza
rispetto
al mondo:
Egli
un
essere uniforme,
privo
di
organi,
di membra e
parti: questi
sono
le
sue
creature subordinate e sono
soggette
alla sua volont;
ed
Egli
non l'ani-
ma
di
esse
pi
di
quanto
l'anima dell'uomo sia l'anima di
ogni
cosa tra-
sportata
attraverso
gli organi
sensoriali nella sensazione
(...).
Dio non
ha
bisogno
di tali
organi perch

presente dappertutto
alle stesse cose?
51) Ibfd.
52)
lbid.
274 Parte seconda
Creazione del 111011110
Newton non si
pone
in modo
esplicito
il
problema dell'origine
dell'u-
niverso, cio della
sua creazione dal nulla. Ci
non
significa
che
egli
non
accetti la dottrina della
creazione, ma da scienziato
qual era, egli
si limi-
ta a considerare i fatti che cadono sotto il controllo
dell'esperienza,
per
risalire,
di
causa in
causa,
fino alla Causa
prima. Egli
ha ben chiara la
distinzione tra scienza e metafisica, e diversamente da Cartesio
egli
non
intende fondare sulla metafisica le sue
ipotesi
fisiche.
Egli
ritiene che le
sue concezioni metafisiche
pur
non contrastando, ma
quasi
naturalmen-
te
proseguendo,
il
corpus
della scienza
sperimentalmente stabilito, non
debbano
essere
poste
alla base di
esso.
Nelle
opere
di Newton l'evento della
creazione, come
fatto unico e
come
prova
irrefutabiledell'esistenza di
Dio,

sempre presupposto,
mai
per esplicitamente
dimostrato. Newton insiste sulla
"signoria
di
Dio",
sul dominio che Dio esercita sul mondo
intero, come suo ordinatore:
signoria
che
implica
una
sapienza infinita,
la
quale
rimanda
a una onni-
potenza
creatrice. Con
senso
di
profondo rispetto
per
la
grandezza
di
Dio, Newton dichiara che
non sta al "filosofo"
indagare sull'origine
del-
l'universo.
Spett
a Lui che le
creo,
disporle
secondo un ordine. Se
Egli
ag
in
questo
modo, non sta al filosofo
cercare altra
spiegazione
dell'ori-
gine
del
mondo, o
pretendere
che sia scaturiti) dal Caos
per
mere
leggi
della natura>>f3
Secondo Newton l'intervento di
un
agente
divino necessario oltre
che
per l'origine
dell'universo anche
per
il
suo
sviluppo. Egli
ritiene che
ci siano stati diversi
passaggi
successivi nella formazione del sistema
degli
astri:
sono
proprio questi passaggi
che
non si
possono
attribuire
all'azionedelle sole
leggi
naturali, ma
hanno richiesto l'intervento diret-
to di
una causa infinita,
intelligente
e libera.
Il
primo
di
questi passaggi,
secondo il
geniale
scienziato
inglese,

stato
quello
per
cui,
da
una materia
originaria,
formata da
un ammasso
caotico di
parti
luminose
e
di
parti opache,
si
operata
la divisionedelle
parti
luminose,
che hanno formato il
sole, e delle
parti opache
che
hanno formato i
pianeti.
Il secondo
passaggio
e stato
quello per
cui i
pianeti
cominciarono a
muoversi e continuano tuttora a muoversi,
nello stesso modo e sullo
stesso
piano
senza variazioni
apprezzabili. Questo
movimento non
pu
essere sorto solo
per
effetto di
qualche
causa naturale, ma
insiste
Newton - deve
essere stato
impresso
da un
Agente intelligente.
LT-rnpirismo:
la
nrzetafisica prigioniera
dei sensi 275
Il terzo e
ultimo
passaggio

quello
del movimento circolare. La for-
ma di
attrazione,
secondo Newton,
potrebbe
mettere
in movimento
gli
astri, ma senza l'intervento divino, non
potr
mai conferire ad essi il
movimentocircolare, con cui dovranno muoversi ordinatamenteintorno
al sole. La
conseguenza,
secondo Newton,
di assoluta evidenza. Biso-
gna
attribuire la costruzione del sistema dell'universo a un
Agente
intel-
ligente
e libero, oltrech, ovviamente,
onnipotente.
In tal modo Newton ritiene di avere saldato in unit le concezioni
scientifiche della sua
fisica e le verit fondamentali della metafisica e
della
religione.
CONCLUSIONE
Dopo
Aristotelee
prima
di Teilhardde
Chardin, nessun
altro
pensato-
re,
come Newton ha cercato di unire cos strettamente i
ponti
tra fisica
e
metafisica, tanto da fare di esse un unico
sapere.
Costruire una nuova
filosofianaturale
(cosmologia)
che
sapesse
recepire
l'eredit di
Keplero
e
di
Cartesio, senza
rinunciare alle
grandi
verit della metafisica e
della
religione: questo
fu l'obiettivocostantemente
perseguito
da Newton.
L'intento
apologetico
nel senso
pi ampio
del
termine,
fu in lui
esplici
to,
come lo era stato in Cartesio, ma
fu da lui ricercato con
maggiore
con-
vinzione e tenacia. Conoscendo la
potenza
della Causa
prima,
saremo
in
grado
- afferma Newton di
comprendere meglio,
alla luce della
ragione,
quale
sia il nostro dovere Verso
di Lui. Conoscere il mondo e le sue
leggi
significa
conoscere
la
potenza
del Creatore e
la
saggezza
del
Legislatore
e,
di
conseguenza,
capire qual
il nostro
posto
nell'universo
creato,
ponendoci
in
atteggiamento
di adorazione dinanzi all'Autore del nostro
essere,
e di fraternit nei confronti delle altre creature umane. Questa
profonda
convinzione
religiosa spiega
il tono "edificante" della
parte
conclusiva della
Questione
XXXI deIYOttiCa: Se la filosofia
naturale,
seguendo questo
metodo,
diventer alla fine scienza
perfetta
in tutte le
sue
parti,
si
allargheranno
anche i confini della filosofiamorale. Giacch
quanto pi potremo capire, per
mezzo
della filosofia
naturale,
quale
sia
la Causa delle
cose, quale potere
essa abbia su
di noi e
quali
benefici rice-
viamo da
essa,
tanto
pi
conosceremo
per
lume naturale
quale
sia il no-
stro dovere Verso
di Lui e
anche
Verso
il nostro
prossimo>>.54
54) Ibid.
276 Parte seconda
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278
VICO E LA METAFISICADELLA STORIA
Nello
scontro frontale
tra i due
grandi
movimenti filosofici
dell'epoca
moderna, il razionalismo
e
lempirismo,
il discorso metafisico
era
giunto
a uno stallo da cui si
poteva
uscire soltanto in due modi:
o con una revi-
sione
completa
della teoria della
conoscenza,
oppure
con un cambia-
mento radicale
dell'oggetto
stesso della
metafisica. La
prima
la via
seguita
da
Kant, con la
sua Tivoluzione
copernicana
dei
rapporti
sog-
getto-oggetto
e con la dottrina della sintesi
a
priori";
la seconda
quel-
la
seguita
da
Vico,
il
quale
trasferisce
l'oggetto
della metafisica dall'esse-
re al
fare,
alfieri, all'operare umano e alla
sua storia:
l'oggetto
della
me-
tafisica
non sono
pi
le
sostanze bens le nazioni: il loro
sorgere,
diveni-
re e tramonto. La
navigazione
del Vico
verso il mondo
intelligibile,
ver-
so la
Trascendenza, Dio, non avviene risalendo alla
sorgente
dell'essere,
ma a
quella
della storia
umana. Vico riesce cos
a
coniugare
le
esigenze
dell'empirismo con
quelle
del razionalismo.
Egli
esamina ci che fa da
ricettacolodi
ogni empiria,
cio la
storia, ma lo fa
con l'intento di
trova-
re una
spiegazione
ultima di
questo grandioso
fenomeno.
Pertanto Vico
occupa legittimamente un
posto importante
non sol-
tanto nella storia della filosofiain
generale, ma anche,
pi specificamen-
te,
nella storia della metafisica.
Vita
e
opere
Giovan Battista Vico
nacque
a
Napoli
il 23
giugno
1668. Suo
padre
era un umile libraio.
Dopo gli
studi elementari
e
qualche
sporadica
fre-
quentazione
di
una scuola dei
padri Gesuiti, studi in
casa furiosamente
e
disordinatamente, tanto
che,
piuttosto confuso, abbandon
gli
studi
per pi
di
un
anno,
fino
a
quando,
in occasione di
una
disputa
accade-
mica,
l'esempio
di tanti illustri
e nobiliuomini che si
erano dedicati allo
studio
e alle lettere lo riscosse
e lo stimolo
a
riprendere
il cammino. Si
dedic allora con slancio allo studio della
filosofia, sotto la
guida
del
gesuita
P.
Ricci, e vi
pose
tanto ardore
che, insofferente di
indugi,
abban-
don il
suo maestro e si chiuse
un anno in
casa a studiare il Suarez.
Conobbeallora la filosofiadella tradizione
scolastica, studi Aristotele e
Platone,
per
il
quale
ebbe fin dalla
prima
lettura
una chiara
propensione.
Vico e la
metafisica
della storia 279
Terminati
gli
studi servi
per
nove anni come
precettore presso
la fa-
miglia
Rocca. I
nove
anni che
pass presso quella famiglia
furono i
mo-
menti
pi
fecondi
e
decisivi della sua
formazioneintellettuale e
spiritua-
le. Un
po
alla volta venne
sempre pi
nettamente determinando
l'og-
getto
dei suoi studi e delle sue
indagini preferite: quello
del
diritto,
delle
leggi,
dei costumi
degli
uomini,
quello
che diventer
pi
tardi il
Campo
della Storia delle nazioni.
Nel 1699 vinse il
concorso
per
la cattedra di retorica
presso
l'univer-
sit di
Napoli.
Cominci allora la sua monotona vita di
professore
che
durer
per
tutto il resto della
sua
esistenza. Inizia
farsi
conoscere
dap-
prima
come
letterato con
componimenti
d'occasione, con sonetti c
poe-
metti, ecc. La
prima pubblicazioneimportante apparve
nel 1708. Il titolo
dell'opera
era: De nostri
terrzporis
studioruni ratione.
Maggior
fama si
guadagno l'opera
del 1710. De
antiquissima
QOTIUH
sapientia.
Nel l72()
pubblico
il De universi izrris una
principio
et
fine
urto.
Nel 1725 fu invitato da
una casa
editrice veneziana che
aveva
iniziatola
pubblicazione
delle vite ed
esperienze degli
uomini illustri del
tempo
a
scrivere la sua
autobiografia.Lflutobiografia
fu
pubblicata
nel 1728.
Nel 1725 fu
presentata
anche la
prima
edizione della sua
opera
fon-
damentale
Principi
di
una scienza nuova intorno a una comune
natura delle
nazioni.
Gli ultimi venti anni della vita del Vico furono
quasi
interamente
spesi
a riscrivere,
apportare
Variazioni e correzioni alla Scienza nuova.
Ancora
negli
ultimi
giorni
della sua vita era
occupato
nella
preparazio-
ne
della terza edizionedel
suo
capolavoro.
Il Vico amava trovarsi in
compagnia
dei dotti suoi
discepoli
o suoi
colleghi,
dei circoli colti della
citt,
nella
speranza
di trovare
appoggi,
consensi e aiuti nella
grande opera
che
rivolgeva
nella mente. Ma dai
contemporanei
il Vico ebbe
poche
soddisfazioni e
molte
amarezze,
abbandoni, misconoscimenti,
spesso per
invidia, qualche
volta
per
in-
comprensione.
Il
suo stesso carattere non
gli
favoriva il successo. Piutto-
sto scontroso e suscettibile,
portato
alla collera e
al
risentimento, cercava
invano
presso
i
contemporanei quel
riconoscimento che
egli sapeva
di
meritare e
che solo
posteri
sentirono il dovere di
tributargli.
N la fortuna ha mai sorriso alla sua
lunga
e onesta esistenza. Come
tarda ammenda
a tante
incomprensioni gli giunse
sul finire della carrie-
ra
la nomina a
regio storiografo
da
parte
di Carlo di
Borbone,
divenuto
re
di
Napoli
nel
1734,
il
quale
aveva
ammirato le
qualit
di
storiografo
del Vico in un libro
apparso
nel 1714: la
biografia
di Antonio Carafa,
generale napoletano
al servizio
dell'Impero.
Il
Vico,
padre
di otto
figli,
dai
quali
ebbe solo
magre
consolazioni,
visse umilmente.
Spesso
venne a trovarsi se non
in vere e
proprie
ristret-
tezze,
certo in non
liete situazioni economiche.
28D Parte seconda
Mor il 23
gennaio
dell'anno
1744,
dopo
Vari anni di acciacchi
e ma-
lattie nella sua casetta di
Napoli
con
la
pi perfetta
uniformit al divi-
no volere
come dice il
suo
biografo
e
chiesto
perdono
al cielo dei com-
messi falli,
riconfortati coi
potenti
soccorsi che la Chiesa Santa
presta
ai
suoi
figlioli
e
che
egli
stesso avidamente
richiese,
recitando
sempre
i sal-
mi di Davide.
Opere:
Orazioni
inaugurizli,
tenute tra il 1699 e il
1707;
De nostri
tempo-
ris studiorum
ratione,
del
1708;
De
antiquissiriia
italomzn
sapientia,
del
1710;
De universi iuris uno
principio affine
Uno,
del
1720;
Autobiografia,
del
1728,
Principi
di
una scienza nuova intorno
a una Comune naiura delle
nazioni,
prima
edizione
1725;
seconda
1730; terza 1744.
L'Autobi0grafia:
le fonti del
pensiero
di Vico
ljzflutobaggrzlfiu
il
miglior
documento sulle fonti del
pensiero
di G. B.
Vico. Da essa
sappiamo quali
autori
egli
ha studiato
e
quali
tra essi ha
preferito.
Tra i filosofi studi
specialmente
Cartesio, Malebranche, Aristotele,
S.
Agostino.
Ma i suoi autori
preferiti
furono
Platone, Bacone,
Tacito e
Grozio. Costoro costituiscono veramente le fonti del
suo
pensiero:
Plato-
ne e Bacone
per
la
filosofia,
Tacito
(S.
Agostino)
per
la
storia,
Grozio
per
il diritto.
Tra tutti i filosofi il Vico ha
amato e studiato
soprattutto
Platone. Lo
studio
degli
altri
gli
servito
per
conservarsi
sempre pi
nei
dogmi
di
Platone. Ci che rendeva Platone cos
importante agli
occhi del Vico era
la dottrina delle
idee,
perch
con essa
il filosofo
greco
era riuscito a ren-
dere razionaleci che
meno
sembrava ammettere una
spiegazione
razio-
nale,
cio il mondo materialetutto
soggetto
a uno sfrenato mutamento.
Per il Vico non tardo a osservare
che Platone non si era
preoccupato
di
applicare
la dottrina delle idee
agli
avvenimenti storici.
Egli
aveva
dato
una
spiegazione
solo della
natura, non della storia.
Questo
interessamento
per
la storia venne al Vico dalla lettura di
Tacito,
lo storico
pi
scientifico dell'antichit.
Questi
per
non aveva
saputo
innalzarsi a una visione universale della
storia,
che la
sapesse
rendere tutta
intelligibile.
A
questo
arriv il Vico
applicando
la dottrina
platonica
delle idee ai fatti storici. Se noi
ammettiamo, osserva il
Vico,
che c'
un'idea, un
piano per
i fatti storici cos come
per
le
cose materia-
li, se noi ammettiamo che i fatti storici non sono che la realizzazionedi
un
piano,
di una idea, ecco
che la razionalit della storia non
presenta
pi
nessuna difficolt. Si tratter
poi
di decifrare
quale
sia
quel piano
(e
alla
sua
scoperta
tender tutta
l'opera
del
Vico).
Ma in linea di massima
la razionalitdella storia
gi pienamente
assicurata.
Vico e
la
metafisica
della storia
281
NelYAutobiqgrz/ifia
il Vico ci informa che avendo osservato non esser-
vi ancora nel mondo delle lettere un sistema in cui accordasse la mi
glio-
re
filosofia qual
la
platonica,
subordinata alla
religione
cristiana, Con
una
filologia
(studio
dei fatti
storici)
che
portasse
necessit di scienza in
entrambe le
parti gli
venne
in mente un
abbozzo di
quel disegno
su
cui
poi
lavor, una storia ideale
eterna,
sulla
quale
corresse una storia uni-
versale di tutti i
tempi,
conducendovi
sopra
certe eterne
propriet
delle
cose civili,
i
surgimenti,
stati,
decadenza di tutte le nazioni.
Il
nuovo sistema che Vico intende creare non
pi
una sintesi tra fisi-
ca e metafisica come
in
Aristotele,
oppure
una sintesi di matematica e
metafisica come in
Cartesio,
bens una sintesi tra filosofia
(i
fatti
storici)
e
metafisica
platonica.
Attraverso la storia e con
la storia Vico vuole
rag-
giungere
1Intero:
una
spiegazioneglobale
e conclusiva di
ogni
cosa.
Una nuova
gnoseologia
Come
sappiamo, nell'epoca
moderna il ruolo della filosofia
prima
e
della metafisica
generale
non
pi
svolto
dall'ont0l0gia,
bens dalla
gnoseologia.
Il
punto
di
partenza per l'indagine
sui
grandi problemi
metafisici
dell'anima,
del mondo e
di Dio non
pi
lo studio del1essere
ma
del
conoscere.
A
questo
canone della filosofiamoderna si attiene anche il Vico. Cos
egli
iniziala sua ricerca
filosofica,
prendendo
in
esame
il criterio di veri-
t di
Cartesio, Uerum est
CEFLHH,
al
quale
Vico
contrappone
un nuovo
cri-
terio: verum est
factimr
(il vero il
fatto).
Secondo il filosofo
napoletano,
per
conoscere veramente una
cosa,
e necessario conoscere
i] modo di
farla, e
per
Conoscere
il modo di farla necessario essere in
grado
di
farla: Scire est tenere
genus
(modum) seu
formam
(ideam),
quo
res
fiat.
Scientia est
cognitio generis
seu
modi
quo
res
fiat
et
qua,
dum mens
cognoscit
modum,
quid
elenrenti
componit,
reni
facit;
Conoscere
significa possedere
il
genere
(modo) o
forma
(idea) con cui viene fatta una cosa.
La scienza
la conoscenza del
genere
o del modo in cui viene fatta una cosa e attra-
verso
la
quale
fa la
cosa,
mentre la mente conosce il modo
perch
com-
pone (gli
elementi?).1
Da tale criterio di verit derivano tre
conseguenze:
Distinzione tra certezza e verit. Secondo Vico l'uomo
raggiunge
cer-
tezza in molte
cose,
ma
in
poche
la
verit; poche
infatti
sono le cose
che
egli
ha la
capacit
di
produrre.
1) De mi
tiquissiizia
1, 3.
282 Parte seconda
- S010 Dio
pu
conoscere la verit di tutte le
cose; egli
infatti
produce
tutte
le cose.
In Dio si trova il
primo vero, poich
Dio il
primo
creatore, e
infinito
perch
il creatore di
ogni cosa;
In D80 est
primum UBYHHI, quia
Deus
primusfactor, infinimrti quia
onzrziur/n
factor?
- Nell 3401710 la conoscenza si
pu presentare
sotto tre
forme:
la
teologia
in
cui la verit ci rivelata ma non fatta da
noi;
le matematiche che
rea-
lizzano l'unit del vero e del
fatto,
perch
sono costruzioni della nostra
mente;
la fisica in cui il vero si scinde dal
fatto,
perch
l'uomo
non
creatore della
natura;
pertanto
nella fisica si danno
ipotesi
ma non cer-
tezze,
n verit.
chiaro che
questa
dottrina sul criterio di verit elaborata in diretta
antitesi
con Cartesio. In effetti Vico critica
ripetutamente
il filosofofran-
cese
in varie sue
opere.
La critica diretta tanto contro il
cogito quanto
contro la certezza come criterio di verit. Il
Cogito
ergo
sum non
pu
affatto
essere un
argomento
contro
gli
scettici: Nani
scepticus
non
dubimt
se
dubitarewIl
cogito

coscienza, non scienza del
proprio essere;
la
constatazione di
un dato, non una nostra
produzionefl Quanto
poi
alla
certezza
cartesiana, essa una certezza vuota: non la
vera certezza. La
vera certezza deve contenere la
spiegazione,
deve fornire la
ragione,
la
causa
;
solo
a
tale condizionesi ha la
garanzia
della Verit. L'idea chiara
e
distinta non d
Verit, e
neppure
certezza
perch
non
spiega
nulla.
L'unico
campo
di ricerca in
cui,
oltre alle
matematiche,
si
pu
dare
l'unit del
vero con
il fatto la
storia;
senonch la storia ha
a
che fare con
fatti
particolari
e non universali e
pertanto
diviene
problematica
la
dimostrazionedella
sua
scientificit. Stabilirela scientificit della
storia,
secondo il
principio
verum est
factum,

quanto
ha cercato di fare Vico
nella sua Scienza nuova.
Egli
credette di
conseguire questo importante
obiettivo
applicando
alla storia la teoria
platonica
di un mondo ideale.
Platone
se ne era servito
per
elaborare
una scienza della
fisica,
cio del
mondo
materiale,
Vico invece la
adopera
per
elaborare una scienza del
mondo
umano:
il mondo delle vicende
umane diviene
intelligibile
in
quanto
attuazionedi
un
piano
ideale eterno.
La Scienza Nuova
e
i fondamenti metafisici della storia
La Scienza Nuova
,
che il
grande capolavoro
di
Vico,
si
compone
di
5 libri. Il
primo, dopo
un
lungo
elenco di assiomi
(dignit)
espone gli
inizi
(principi)
della storia
umana,-
il secondo tratta dell'et
poetica;
il terzo si
occupa
della
questione
omerica;
il
quarto espone
il
corso
che fanno le
2) Ibid.
1,
6.
3) Ibid.
1,
2.
4) Ibid.
1, 3.
Vico e la
metafisica
della storia 283
nazioni
(attraverso
le tre
et,
dei
sensi,
della fantasia
e della
ragione);
il
quinto
tratta del ricorso delle Cose umane nel
risurgere
che fanno le
na-
ziom.
La "scienza nuova" del Vico una filosofiadello
spirito
umano nella
sua storia. Essa
esige
l'unione della
filologia,
che fornisce i
fatti, e
della
filosofia,
che ricerca la verit dei fatti. Tre
sono
gli
elementi fondamentali
nella
spiegazione
vichiana della storia:
gli
attori
(Dio con la sua
provvi-
denza
e
l'uomo
con la sua
intraprendenza),
l'unit storica che il
corso,
e
1a
legge
storica del ricorso.
Ogni
corso storico e costituito da tre et o
epoche: quella degli
di 0
giganti, quella degli
eroi e
quella degli
uomi-
ni.
Ogni epoca
va
interpretata
secondo la mentalit
(cultura)
che le
propria.
La
legge
universale che
regola
la storia la ritmica
ripetizione
(ricorso)
delle tre
epoche, ripetizione
voluta da
Dio, ma senza elidere la
libertumana.
In
un'epoca
dominata dal
cartesianesimo,
Vico ha avuto il
grande
merito di rivendicare
l'importanza
dello studio della storia nei confronti
dell'interesse
preminente per
le scienze naturali,
assumendo a
oggetto
della
sua
speculazione
i
principi
e
lo
sviluppo
della civilt.
Nel
quadro
della filosofiamoderna Vico
appare
come una
figura
soli-
taria. l razionalisti e
gli empiristi
sono una
falange,
Vico un isolato. Ci
non
significa
che
egli
vivesse fuori del
suo
tempo.
Anzi
egli
avverte acu-
tamente i
problemi
della cultura e della societ
moderna, ma
li affronta
in modo diverso
e su un terreni) diverso,
proponendo
soluzioni diffe-
renti da tutti i suoi
contemporanei.
Vico
sa
beneche il
problema
del
suo
tempo
il
problema gnOSEOlOg-
co,
ma a
questo problema
d
una
risposta
storica e
culturale anzich
soggettiva
e
personale. Egli
sa inoltre che la soluzionedei
grandi proble-
mi che
angustiano
la
ragione
umana va ricercata in una
metafisica
e in
un
sapere
trascendente, ma anzich una metafisica
fisicalistica,
che
parte
cio dalla
natura, egli
elabora
una
metafisica
storica, una
metafisica
della cultura e della civilt delle nazioni.
Come nel
platonismo
la Trascendenza
(Dio) non
ha
bisogno
di
essere
dimostrata, ma
gi presupposta
sin
dall'inizio,
cos anche in Vico Dio
(la Provvidenza)
costituisce il
postulato
inizialedi tutta la sua
interpreta-
zione e ricostruzione della storia. Dio visto come
la Provvidenza che
pone
il
piano
ideale
eterno, su cui
scorrono tutte le
epoche
della storia.
Vico vede
una
presenza
costante della divina Provvidenza nella
storia,
ma la sottolinea in modo
particolare
nei
passaggi
cruciali da
epoca
a
epoca,
da
corso a corso. Nella
prima
et,
quella
del
senso e delle
passioni,
sommamente da ammirare la Provvidenza divina la
quale,
inten-
dendo
gli
uomini tutfaltro
fare, ella
portogli prima
a temere la divi-
nit
(con
il
primo fulmine).
Appresso
con la
religione
medesima,
li
dispose
a unirsi con certe donne in
perpetua compagnia
di vita: che
284 Parte seconda
sono i
matrimoni,
riconosciuti fonte di tutte le
potest;
di
poi
con
que-
ste donne si ritrovavano aver fondato le
famiglie,
che
sono
il semina-
rio delle
repubbliche.
Finalmente, con
laprirsi degli
asili
(per
dar
rifugio
a
quei giganti
che
non si erano
piegati
alla
religione),
si tru0-
varono aver
fondato le clientele onde fussero
apparecchiate
le materie
tali che
poi, per
la
prima legge agraria,
nascessero le citt
sopra
due
comuni d'uomini che le
componessero:
una
di nobili che vi Coman-
dassero;
l'altra di
plebei
che ubbidisserom"
L'azione di Dio nella storia
per
il Vico talmente forte
e costante che
la vera storia dev'essere una dimostrazione,
per
cos dire,
del fatto sto-
rico della
Provvidenza,
perch
dev'essere una storia
degli
ordini che
quella,
senza veruno umano
scorgimento
o
consiglio,
ha dato a
questa
grande
citt del
genere
umano: che,
quantunque questo
mondo sia stato
criato in
tempo
e
particolare, per gli
ordini che ella vi ha
posto
sono
universali ed eterni.6 Per
questo
motivo la
vera storia si
pu
chiamare
teologia
divina
ragionata
ciella Provvidenzadivina?
Vico scandisce la storia delle nazioni in due
grandi
cicli
(corsi):
il ciclo
precristiano
e
quello
cristiano,
suddividendoli entrambi in tre
epoche:
giganti,
eroi,
uomini. La diversit dei due cicli e determinata da due
distinte forme di rivelazione: naturale nel
primo
ciclo,
soprannaturale
(cristiana)
nel secondo. Invece la diversit delle
epoche
all'interno del
corso e
del ricorso determinata dai
rapporti
assunti dall'uomo nei
riguardi
di Dio:
rapporti
basati sul senso e sulle
passioni (giganti);
sulla
fantasia
(eroi);
sulla
ragione
(uomini).
Dal
rapporto
nato sulla
ragione
nasce la
teologia,
che filosoficao naturalenel
primo corso, soprannatu-
rale 0 rivelata nel ricorso.
Molto si discusso intorno allbrtodossia del
pensiero
del
Vico,
soprattutto dopo
che Croce e
Gentile avevano fatto di lui
un
precursore
delldealismo
e
dello storicismo. Il nodo intorno a cui verte tutta la
que-
stione il concetto Vichiano di Provvidenza: la Provvidenza
opera
di
un Dio trascendente
oppure
una
legge
immanente della storia come
il
Logos degli
stoici o la
Ragione
di
Hegel?
Che Vico abbia
aperto
una strada che
Venne
poi
dirottata verso
l'i-
dealismo
e
lo
storicismo,
un
fatto
innegabile;
ma ci non autorizzaa
fare di lui n un
ideaista n uno storicista. La sua Visione della storia e
5) C. B.
VICO, Scienza
nuova,
Bari
1934,
p.
629.
5) lbid,
p.
342.
7) lbd.
Vico e la
metafisica
della storia 285
genuinarnente religiosa,
cristiana,
cattolica. La
giusta qualifica
del suo
pensiero

quella
che
egli
stesso le ha
assegnato:
una
teologia
divina
ragionata
della Provvidenza divina. Nella Scienza nuova
la storia con-
siderata dal
punto
di Vista di Dio come
in
Agostino; pi precisamente
dal
punto
di vista della sua rivelazione,
che
quella
dell'Antico Testa-
mento,
nel "corso";
del Nuovo Testamento,
nel "ricorso". Ma
poich

una
storia umana e una
storia delle civilt e delle nazioni,
lo schema di
lettura Vico lo assume
dalla
psicologia
umana,
che fatta di
senso,
fan-
tasia,
ragione.
Per i contenuti sono
essenzialmente
quelli
del cristiane-
simo.
Quindi, corne
stato
giustamente
scritto da E. Chiocchetti,
Vico
non

precursore
n di Kant ne di
Hegel,
se non
nel senso
che
ogni
filo-
sofia
pone
dei
problemi
o
enuncia
esigenze
che le filosofie
posteriori
sono
Chiamate a
risolvere e a soddisfare,
data la continuit del
pensiero
speculativo.
Per il
Vico,
ogni
filosofia
degna
di
questo
nome deve affer-
mare
la verit dell'esistenza di
Dio,
della Provvidenza
personale,
del-
l'immortalit dellani1na,
della umana
depravazione per
il
peccato
di
Adamo,
della redenzione e
della morale cristiana,
sola
capace
di
regola-
re
la vita dell'uomo. Il Vico un
pensatore
cristiano.
cattolico. Non
solo
egli
ha affermato
energicamente
l'armonia delle sue
dottrine con
la
fede cattolica, ma dalle dottrine cattolicheha attinto lo
spirito
e la lettera
di buona
parte
delle sue teorie, e
la sua
avversione al luteranesimo e al
calvinismo,
da lui accusati di sostituire il fatalismoe la societ alla Prov-
videnza e al liberoarbitrioe
di essere
quindi incapaci
di fondare una
fi-
losofia che soddisfi la
ragione
del
genere
umano (...).Vico
cattolico nel-
la vita e
nel
pensiero, congiunti
dalla
ragione
e
dalla fede.8
ljermeneuticavichiana della storia indubbiamenteinteressante e
geniale.
Essa
pu
aiutare a
decifrare lo
sviluppo
delle
singole
civilt e
anche a
scoprire
il senso
della civilt occidentale nel suo
insieme. Ma
per
unermeneuticacristiana della storia come
quella
del
Vico, e
per
qualsiasi
teologia
cristiana della storia e
per
qualsiasi
storia universale
(come
quel-
la di
Hegel),
il
grande
e
irrisolto
problema

quello
di dare un senso
alle
grandi
civilt dell'Oriente (induismo, buddismo).
Come farle rientrare in
un
piano
ideale eterno"? A
quale
"corso
appartengono:
a
quello
dell'Antico Testamento o a
quello
del
Nuovo,
oppure
a un
altro corso"
ancora? A
questi interrogativi
Vico con la sua
Scienza nuova non
ha dato
nessuna
risposta perch
la
sua
Teologia
divina
ragionata"
non
si interes-
sa
della storia dell'Oriente, ma soltanto della storia dell'Occidente.
E. CHIOCCIIETTT,Lnfilosofia
di G. B. Vico,
Milano1935,
pp.
195-196.
286 Parte seconda
Conclusione
Uambizionedel Vico
era
quella
di costruire non solo
una scienza
nuova,
ma un
grande
edificio metafisico
capace
di abbracciare sia le
verit di fatto sia le loro
ragioni
supreme.
Alla base del
suo edificio Vico
non
pone
la fisica -
n
quella
antica di
Aristotele, n
quella
moderna di
Galilei,Cartesio
e Newton
-.
In entrambi
i casi
l'esplorazione
del mondo dei fatti
(fisici o storici) e la loro sistema-
zione conduce soltanto a
ipotesi generali pi
o meno feconde
e
suggesti-
ve ma mai
a
dottrine assolutamente certe. Di
questo
Aristotele
era molto
pi consapevole
sia di Cartesio che di Vico. Cos n la scienza antica n la
scienza
nuova
pu fungere
da solida base dell'edificiometafisico.
La metafisica una scienza autonomache si avvale di
principi
e
pro-
cedimenti
propri.
Il
suo obiettivo
non fornire
una scienza delle
cose di
questo
mondo, n di
quelle
naturali n di
quelle umane,
ma soltanto
una
giustificazione
conclusiva del loro esistere: la metafisica tratta delle
cause dei
fenomeni, non della loro natura.
Cosi le verit a cui
approda
la seconda
navigazione, percorrendo
il
mare della natura
oppure quello pi
tumultuoso della
storia, sono di
un
altro
genere
e hanno
un valore
superiore rispetto
a
ogni ipotesi
scientifi-
ca. Ancora
una volta risulta che la metafisica il
sapere pi
nobile
e
pi
prezioso.
Di
questo
era convinto anche
Vico, e
per questo
motivo ha
po-
sto la metafisica al di
sopra
e a coronamento della
sua
filologia degli
umani eventi.
Vico e la
nzetafiica
della storia
287
Suggerimenti
bibliografici
EDIZIONI
Opereged.
F.
Nicolini,
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1914-1951; La Scienza Nuova
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A.
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Vico nella cultura
contemporanea,
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PARTE
TERZA
LA SECONDA MODERNIT
LA METAFISICA
DA KANT FINO AI NOSTRI GIORNI
KANT: DECOSTRUZIONEDELLA METAFISICATEORETICA
E COSTRUZIONEDELLA METAFISICAPRATICA
Immanuel Kant un
gigante
della storia della filosofia
e una
figura
di
primissimo piano
della storia della metafisica. Con Kant la metafisica
volta
pagina:
si chiude
un'epoca
e se ne iniziaun'altra. Con la sua "rivo-
luzione
copernicana egli
trasforma
profondamente
la elaborazione di
tutte le
discipline
filosofiche.
Certo,
il
grande
albero della filosofiarima-
ne ancora vivo ma
i frutti che
producono
i suoi rami non sono
pi gli
stessi,
ne
quelli
della
matematica,
n
quelli
della
fisica,
n
quelli
della
metafisica, n
quelli
della morale e dell'estetica.
Di tutto il vasto orizzonteche abbracciala filosofia
a noi
qui
interessa
soltanto il settore della
metafisica, e a
questo proposito
ci
poniamo
due
interrogativi:
1)
perch
per
Kant la metafisica teoretica
impossibile?;
2)
quale
altra metafisica
possibile
nel sistema kantiano?
Premettiamo che Kant non affatto
un nemico della metafisica
come
in molti ambienti si
crede, ma soltanto di
un determinato
tipo
di metafi-
sica: la metafisica
dogmatica
dei razionalisti. Kant
non un
empirista:
nulla e
pi
contrario allo
spirito
kantiano
dell'empirismo.
Kant ha
un
senso vivissimo dei valori
assoluti,
il
senso della
trascendenza, del
mondo dello
spirito,
di Dio. E c' in lui l'ansia di trovare una rotta sicura
per compiere
la difficiletraversata verso
queste supreme
realt. Ma
Kant
non
neppure
un razionalista
spregiudicato. Egli
contesta
quella
eccessiva fiducia nei
poteri
della
ragione
che
aveva
portato
Cartesio,
Spinoza,
Malebranche
e Leibniz
a "sedersi sul trono di
Dio, con la
pre-
tesa di vedere tutto sub
specie
aeternitatis.
Per Kant la metafisica
un'esigenza profondamente
radicata nell'es-
sere umano. Questi
l'essere metafisico
per
eccellenza. Ma fare della
metafisica una
cosa;
un'altra
cosa
approdare
a delle certezze assolute
nel territorio della metafisica. Diversamente da Cartesio e da Leibniz
egli
ben
consapevole
di
non
possedere
l'intuizione
degli spiriti angeli-
ci,
bens
un'intelligenza
strettamente
legata
alle intuizioni della sensibi-
lit. Ciononostante Kant si incammina fiducioso
verso l'altra
sponda,
la
sponda
dell'universo
intelligibile,
ma lo fa
portando
con s,
oltre alla
navicella della
ragione speculativa
anche
quella
della
ragion pratica,
pronto
a usarla nell'eventualitche la
prima
non basti allo
scopo.
292 Parte terza
Kant un
grandissimo appassionato
della metafisica. Per lui tutto
l'onore dell'uomo non sta nella matematica,
nella
fisica,
nella
politica,
nell'economia,
nell'arte bens nella metafisica. E cos
ogni
sforzo
specu-
lativo di Kant rivolto alla seconda
navigazione,
e
per
effettuarla si avvale
di
ogni
mezzo.
l
grandi
mezzi di cui l'uomo
dispone per
compiere que-
sta
grande impresa
secondo Kant sono tre: la
teoria,
la
prassi
(la morale)
e l'arte. Prima di Kant,
tutti i metafisici - tranne
pochissime
eccezioni
(p.
es. Pascal)
-
per
compiere
la seconda
navigazione
si
erano
avvalsi
della navicella del
pensiero speculativo.
Kant la trova
inadeguata
allo
scopo
e si vede costretto ad abbandonare
questo
metodo. Ma non
per
questo egli
si
rassegna
a
fare marcia indietro e a tornare alla
sponda
dei
fenomeni. Il noumeno la
sponda
che l'uomo deve
raggiungere
se
vuole dare un senso
alla
propria
esistenza e trovare la salvezza. Per
que-
sto motivo Kant utilizzai due metodi di cui
dispone:
la
prassi
(la mora-
le) e
l'estetica (l'arte): esse lo
trasportano
verso il
noumeno,
verso
Dio
con
grande rapidit
e con
singolare
successo.
Le vie della metafisica
sono
innumerevoli. Kant abbandona le vie tra-
dizionalidella
ragione speculativa
e
inaugura
nuove
vie che
rispondono
alle
esigenze
della volont e
del sentimento. In breve: Kant decostruisce
la metafisica tradizionaleche
era
la metafisica
speculativa
basata o su
astratte definizioni o sui fenomeni della
natura, per
non
uccide la
metafisica.
Egli
sostituisce il Vecchio edificio con uno nuovo,
costruito
con
gli
strumenti della
ragion pratica
e del sentimento.
Vita
e
opere
Immanuel Kant
nacque
a
Knigsberg,
nella Prussia orientale,
il
22
aprile
1724,
da
famiglia povera, appartenente
alla setta dei
pietisti,
dalla
quale
ricevette una
profonda
educazione
religiosa.
Durante tutta la
vita Kant conserver una
solida e
viva fede in Dio e un
moralismo
rigi-
do conforme ai
principi
del
pietismo.
Uscito dalla severa
disciplina
del
Collegium
Fridericanum,
nel
1740,
si iscrisse all'universit Albertina
della sua citt natale,
dove si intrecciavano orientamenti aristotelici,
pie-
tisti e
wolffiani. Il suo
primo
scritto un
intervento nella
disputa
tra lei-
bniziani e cartesiani attorno al concetto di forza: Pensieri sulla vera
zuilu-
tazione delle
forze
vive
(1746,
edito nel 1749).
Dopo
la morte del
padre
(1746),
Kant svolse I'attivit di
precettore per
parecchi
anni. Nel 1755
consegu
il dottorato con
la dissertazione De
igne,
e
la liberadocenza con
la dissertazione
Principiorumprimorum cogrzitionis
mctaphysicae
nova
dilucidatio. Nello stesso anno usc anonima la sua
Storia
zmiversale della natura e teoria del cielo in
cui,
per
mezzo
della teoria newto-
niana delle forze attrattiva e
repulsiva,

esposta l'ipotesi
della formazio-
ne
del sistema solare da
una
nebulosa
originaria, ipotesi
che allora
pass
Kant:
metafisica
teoretica e
metafisica pratica
293
inosservata ma che assai vicina a
quella
formulata nel 1796 dal fisico
francese
Laplace,
cos che
essa va comunementesotto il
nome
di
ipotesi
Kant-Laplace".
Col 1755 inizi
per
Kant un
periodo
di
quindici anni,
socialmente as-
sai vivace durante il
quale egli
tenne una
grande quantit
di lezioni in
discipline disparate,
dalla
logica
alla
geografia
fisica. Del 1756 la Mo-
nadologia physica,
tentativo di
conciliare, a
proposito
della divisibilit
dell'esteso,
il monadismo di Leibniz
con la dottrina dell'attrazione di
Newton. Del 1762 L'unico
argomentopossibile
per
una dimostrazionedell'e-
sistenza di
Dio, a cui
seguirono
tra l'altro: lo Studio sull evidenza dei
princi-
pi
della
teologia
naturale
e
della morale
(1764);
le Osservazioni sul sentimento
del bello e del sublime
(l 764);
i
Sogni
di un itisionariochiariti
con
isogni
della
metafisica
(1766), contro E.
Swedenborg,
dintonazione ironico-scetti-
cheggiante
nei confronti della
metafisica;
Del
primo fondamento
della
distinzionedelle
regioni
nello
spazio
(1768).
Finalmente nel
1770, con la dissertazione De mandi sensibilis
atque
intelligibilisforma
et
principiis,
Kant ottenne la nomina
a
professore
ordi-
nario di
logica
e metafisica nell'universit di
Knigsberg,
dove conti-
nuer a
insegnare
fino al
1796,
rifiutando
numerose chiamate da altre
universit.
Il
progetto lungamente
meditato di elaborare
una nuova dottrina
della
conoscenza
sottoponendo
la
ragione
a una critica sistematica tro-
v,
dopo
un
percorso
non lineare,
la
prima,
fondamentalerealizzazione
nella Kritik der reinen
Vernunft
(Critica della
ragion para)
(1781).
Tra la
prima
edizione di
questa,
che
l'opera maggiore
di
Kant, e
la seconda
edizione
(1787), notevolmente
modificata, uscirono i
Prolegomeni
ad
ogni
futura metafisica
che
voglia presentarsi
come scienza
(1783),
un'esposizione
pi divulgativa
(nella
quale,
tra l'altro,
c' il celebre riconoscimento
a
Hume di averlo destato dal sonno
dogmatico")
e i
Principi" metafisici
della scienza della natura
(1786), un'analisi del concetto
generale
di mate-
ria,
intesa a dare conto della
parte
della fisica che
non matematica
e
che tuttavia
pura.
La
nuova
impostazione venne
proseguita
in
campo
morale
con la Kritik der
praktischen Vernunft (Critica
della
ragione prati-
ca) (1788),
preceduta
dalla Fondazione della
nzetafisica
dei costumi
(1785), e
seguita
dalla
Metafisica
dei costumi
(1797), suddivisa in due
parti: Principi
metafisici
della dottrina del diritto
e
Principi nzetafiiaici
della dottrina della
virt. Nel 1790
usc, terza e ultima,
la Kritik der
Urtlzeilskraft
(Critica del
giudizio),
consacrata al
giudizio
estetico e al
giudizio
teleologico
(che
riguarda
la finalit intrinseca alla
natura).
Nel 1793 diede alle
stampe
La
religione
nei limiti della
para ragione.
L'opera provoc
una forte reazione
negli
ambienti
religiosi
e laici, e il
4 ottobre 1794
giunse
a Kant una lettera del re di Prussia
con la
quale gli
si
proibiva
di
insegnare
ulteriormente le idee
irreligiose esposte
nel
libro,
294 Parte terza
sotto
pena
di
gravi
sanzioni. Kant
promise
di attenersi al divieto e man-
tenne la
parola
non
tenendo
pi
corsi sulla filosofia della
religione.
Nel
1795
pubblico
Per la
pace perpetua,
un
progetto
di costituzione
repubblica-
na fondata,
in
primo luogo
sul
principio
della libert dei membri di una
societ, come uomini;
in secondo
luogo,
sul
principio
di
dipendenza
di
tutti,
come
sudditi; in terzo
luogo
sulla
legge
di
uguaglianza,
come
citta-
dini". E del 1798 la
pubblicazione
della
Antropologia
da
un
punto
di ZJSLI
pragmatico,
sintesi di trent'anni di corsi universitari,
subito
popolarissima.
Negli
ultimi
anni,
gravemente
debilitato,
Kant attese a
un'ampia
trat-
tazione del
passaggio
dalla metafisica della scienza della natura alla fisi-
ca,
in
pratica
a una
ridelineazionedel
suo sistema,
rimasta
per
incom-
piuta:
i frammenti sono
stati editi successivamente sotto il titolo
Opus
postumum
(1882-1884).
Kant mor nella sua citt natale,
che
non aveva
mai abbandonato
neppure per
una sola
volta,
il 12 febbraio 1804. Pochi
giorni prima,
in
uno
dei rari momenti di
lucidit, aveva confidato ad alcuni amici: Si-
gnori,
io non
temo la morte e
sapr
morire. Vi assicuro davanti a Dio
che
se
sentissi che
questa
notte morir,
alzerei le mani
giunte
e
direi:
"Dio sia lodato!"
.
Dalla
biografia
di Kant
emerge
un
dato
importante:
Kant un
filo-
sofo di vecchio
stampo: egli

competente
non solo nei vari
campi
della
filosofia, ma
anche in
quelli
della scienza. Dai
tempi
di
Pitagora,
Platone
e Aristotele,
il filosofo era
sempre
stato uno
studioso
enciclopedico,
esperto
in tutti i
campi
del
sapere:
dalla matematicaalla
medicina,
dalla
musica
all'astr0nomia,
dalla
logica
alla
retorica,
dalla
psicologia
alla
morale,
alla
politica,
alla metafisica. Come i
grandi
filosofi dell'antichit
(Platone, Aristotele),
del medioevo
(Avicenna, Averro) e
dell'epoca
moderna (Cartesio, Leibniz)
anche
Kant,
prima
di cimentarsi con
i
gran-
di
problemi
della metafisica, si dedic
con successo
allo studio della fisi-
ca e
dell'astronomia. Avere
personalmente
constatato i
grandi progressi
che
aveva
compiuto
la scienza ebbe il
suo
peso
nella decisione di Kant
di rivedere il metodo della metafisica e
di elaborare una nuova teoria di
tutto il
sapere
filosofico.
Gli
sviluppi
del
pensiero
di Kant nel
periodo precritico
Sullo
sviluppo
del
pensiero
kantiano nel
periodo precritico
si sono
prospettate
due
ipotesi divergenti,
la
prima
fa
capo
a Kuno Fischerl
e
la
seconda ad Alos Riehl?
.
FISCHER,
Ceschichte der neueren Philosophie,
Bd III 8: IV. I
K
)
A. RIEHL,
Der
philosophsche
Kritizismus,
Bd
I, Leipzig
1908. h.)
Kant:
metafisica
teoretica e
metafisica pratica
295
Fischer nell'evoluzionedella filosofiadi Kant
distingue
tre
periodi:
1)
il
periodo degli
inizi,
dominato dallinflussorazionalista di Leibniz-
Wolff
(1740-1760); 2)
il
periodo
della deviazione verso
Fempirismo,
detto anche
peri0do inglese"
(1760-1770),
ispirato soprattutto
dalla let-
tura di Locke
e Hume, e
che culminerebbein
un vero e
proprio
scettici-
smo" nei confronti della
metafisica; 3)
il
periodo
del ritorno verso un
moderato
razionalismo,sotto l'influssodei Nuovi
saggi
di
Leibniz, e
che
colloca Kant nella direzione definitiva della filosofiatrascendentale.
A
questa
teoria clellbscillazione,
Riehl
oppone
la sua teoria dell'evo-
luzione
continua,
sulla base del razionalismo
wolffiano, ma corretto
dagli
stimolanti influssi
dellempirismo
lockiano e
humiano.
Propria-
mente
parlando
non ci sarebbe mai stata in Kant
una sostituzione del
punto
di vista di Hume a
quello
di
Wolff, ma
soltanto
una critica
pro-
gressiva
del razionalismo
wolffiano,
mai
abbandonato, attraverso lo
scetticismo di
Hume,
mai totalmente condiviso.
Pur non accettandoin
pieno Pipotesi
del F
ischer,
Ioseph
Marchal nel
Kant
precritico distingue
tre fasi:
wolffiana, lockiana,
criticismo inci-
piente.
In
questa
breve ricostruzione
degli sviluppi
del
pensiero
kantia-
no nel
periodo precritico
noi ci baseremo sullo studio sintetico ma
ben
documentato del Marchalfi
PRIMA TAPPA: IL DOGMATISMOMETAFlSlCOLEBNIZIANO
-
WOLFFIANO
La formazione filosofica di Kant avviene in un contesto culturale in
cui
imperava
incontrastato il razionalismoleibnizianocodificato da
Christian Wolff. Il
primo
scritto filosoficodi Kant si intitola
Principiorum
primorum cognitionis metaphysicae
nova dilucidatio. Esso
comprende
la
trattazione dei
principi logici
di non-contraddizione(Sectio I),
di
ragion
determinante,
detta
ragion
sufficiente
(Sectio H) e
dei due
principi
meta-
fisici
conseguenti
a
questo, quello
di successione e
quello
di coesistenza
(Scctio III).
L'articolazionestessa della trattazionemanifesta la sostanzia-
le adesione di Kant al razionalismoallora di
moda,
che costruiva tutta la
metafisica
deduttivamente,
assumendo come
postulati
di base i
principi
primi
della
conoscenza. Ma
gi
in
questo
scritto Kant d
qualche
segno
di autonomia
rispetto
al1ortodossia wolffiana.
Secondo Wolff le nozioni di
Ragion
sufficiente
(Grund) e
di Causa
(Ursache) sono convertibili;
cos la
Ragione logica
(der
logische
Grand)

sempre
anche Causa
ontologica (tmtologisclzer Grand; Ursache). Ma
pro-
prio
su
questo punto
di
capitale importanza
Kant dissente da
Wolff;
egli
nega
la
reciprocit
della
Ragione logica
e della
Ragione
reale
e di-
3) I. MARCHAL, Le
point
de
dprart
de la
mtczphysique
III, Bruxelles-Paris
1944,
pp.
18-83.
296 Parte terza
stingue
tra la ratio
cognoscendi
e
la ratio essendi ve!
fiendi
di una cosa.
E
conclude: In base ai nostri concetti la
ragione ontologica
non mai una
ragione logica;
non il
principio
di identit che fa concludere dal ven-
to
all'acqua.
Nello stesso scritto
prendono
forma tre
categorie
che
saran-
no
fondamentali
per
il Criticismo: la determinazione
(Bestimnzang),
la
quale nell'applicazione
di
un
predicato
con
esclusione
dellopposto
e
quella
che conferisce
agli
atti del
pensiero
un valore realistico
implicito,
analogo
a
quello degli
atti
fisici, e la successione e
la
coesistenza,
che saran-
no
poi per
Kant
gli
attributi
tipici
intuitivi del
tempo
e dello
spazio.
LA SECONDA TAPPA:
IL PUNTO DI VISTA DELLA "PHILOSOPHIAEXPERIMENTALIS"
L'incontro con
Hume fu indubbiamentedecisivo
per
Kant: infatti fu
proprio questi
a
risvegliarlo
dal suo "sonno
dogmatico.
Nel 1756 era
apparsa
la traduzione tedesca delle Ricerche sullntelletto umano. Nel
1762 Herder
segnala
Hume tra i filosofi studiati da Kant in
quell'anno;
mentre lo stesso Kant nel 1765 annuncia nel
programma
dei suoi corsi
l'esame delle dottrine etiche di
Hurne,
Shaftesbury
e
Hutcheson. Nei So-
gni
di un
visionario del 1766 l'accostamento di Kant a Hume visibile
nella coincidenza stessa di alcune formule.
Negli
stessi anni Kant visi-
bilmente
preoccupato
di
scoprire
il vero metodo della metafisica. In una
lettura a
Lambert del dicembre 1765 Kant
gli
annuncia il suo
progetto
di
pubblicare
un
libro "sul metodo
proprio
della metafisica. La sua inten-
zione di dare
a
questa disciplina
un
metodo cos
preciso
come
quello
della
philosopiiaexperimentalis
che Newton aveva
applicato
alla fisica.
La satira
impietosa
della metafisica
dogmatica
dei suoi
tempi
conte-
nuta nei
Sogni
di un
visionario non va considerata, come
ha creduto
Fischer, una
capitolazione
dinanzi allo scetticismo di
Hurne, ma una
acuta crisi intellettuale di
un
metafisico disincantato che,
pero
non
Vuole
dubitare della "metafisica in
quanto
tale.
Egli
non se la
prende
con
la
metafisica in se stessa,
"trattata
oggettivamente"
confida all'amico
Mendelssohn
-, perch questa
metafisica
"appartiene
al bene vero e
duraturo dell'umanit". Uno
degli
obiettivi dei
Sogni
era
quello
di far
capire
ai metafisici la necessit di esaminare attentamente se
il
compito
che affrontano sufficientementedeterminato, tenuto conto delle nostre
capacit
conoscitive, e
quale rapporto
i
problemi posti
hanno con
i con-
cetti
d'esperienza,
sui
quali
devono ad
ogni
caso
appoggiarsi
tutti i nostri
giudizi.
In
questa
misura,
la metafisica una
scienza dei limiti della
ragione
umana. Ecco
qui
lanciato il
grande
motto: "i limiti della
ragione.
La
metafisica,
essendo analitica e non sintetica, come
pretendono
i razionali-
sti, non
pu
avere
altro contenuto
che
quello
che le viene fornito dall'e-
sperienza. Sempre
nella lettera
a Mendelssohn,
Kant
soggiunge
che la
Kam:
metafisica
teoretica e
metafisica pratica
297
ragi.one
non limitata in
quanto ragione;
ma occorre
chiedersi
se non ci
sono
qui
dei
limiti,
che
non sono
imposti
dai confini della nostra
ragione
ma
da
quelli dell'esperienza
che fornisce alla
ragione
i dati. Le verit
metafisiche
non crollano: ci che Kant mette in discussione la via
per
raggiungerle: egli
esclude la via sintetica dei razionalisti
e abbracciala via
analitica,
che
era
gi
di Aristotele
e
di S. Tommaso: fatto che Kant
pare
ignorare.
Nelle battute
finali, molto
eloquenti,
dei
Sogni
Kant esalta la
fede morale al di
sopra
delle
sottigliezze
e astruserie dei
ragionamenti
professorali. Questi
possono
suscitare
gli applausi degli
studenti; ma alla
fin fine
a
che
cosa
giovano,
avendo noi nella "fede morale
una
guida
sicura,
la sola adatta alla condizione
presente
dell'umanit"
e di cui si
pu
dire che ci
conduce, senza deviazioni,
al nostro vero
fine ultimo?
In
queste
ultime frasi troviamo una
chiara
anticipazione
di due moti-
vi dominanti del Kant critico. Il
primo
la
sua
profonda
avversione
per
i sofismi
e
le astruserie della metafisica delle
scuole,
che
a nulla
giovano,
ma solamente
complicano
la soluzione di
problemi
che la "metafisica
del buon senso
(l'espressione
nostra e non
di
Kant) riesce a risolvere
molto
pi agevolmente
e
chiaramente. Il secondo la convinzione che
esiste una via
pratica,
morale
per
la soluzionedei
problemi
della metafisi-
ca,
molto
pi
sicura della via
speculativa.
Un'altra
acquisizione
definitiva di Kant durante
questo periodo
pre-
critico,
di transizionedal razionalismo
dogmatico
alla filosofia trascen-
dentale,
di cui troviamo chiara conferma nel trattato L'unico
argomento
possibile
per
una dinzostrazione dell'esistenza di
Dio,
la chiara distinzione
tra essenza ed esistenza di
una
cosa;
cosicch il
semplice procedimento
analitico della definizionedi
una cosa non
pu
bastare a
provare
la
sua
esistenza. Per esistenza
(Dasein) Kant intende "la
posizione
assoluta di
una cosa"
(Das Dasein ist die absolute Position eines
Dinges). Negare
l'esi-
stcnza di
una cosa (di cui si definita
l'esistenza) non
comporta
nessuna
contraddizione.
Da Hume Kant mutua anche la tesi della
impossibilit
di
provare
analiticamenteil
principio
di causalit:
come
qualche
cosa
possa
essere
una
causa,
o
possedere
una forza,
questo

un concetto che la nostra
ragione
non
proprio
in
grado
di
comprendere;
relazioni
come
quelle
causali
non
possono
essere ricavate che dalla
esperienza.
TERZA
TAPPA: IL CRITICISMO INCIPIENTEDELLA DISSERTAZIONE
DE MUNDI SENSIBILIS
ATQUE
INTELLIGIBILISFORMA ET PRINCIPIIS
Il
passaggio
imminente alla filosofia trascendentale
segnato
dalla
famosa dissertazione del
1770, su "I
principi
e
la forma del mondo sensi-
bileed
intelligibile".
Kant stesso dichiara che nel 1769
aveva avuto una
"grande illuminazione";e
questa
era stata la
scoperta
della "idealit del-
298 Parte terza
10
spazio
e
del
tempo
con
il
suo
corollario: la distinzionetra sensibilite
intelletto.
Sin dall'iniziodella Dissertazione Kant
pone
una netta distinzionetra
ci che
rappresentabile
(mediante
l'intuizionesensitiva) e ci che intel-
ligibile
mediante l'intelletto e
la
ragione.
Indubbiamenteil mondo sensi-
bile(nrundus sensibilis)non
pu
usufruire delle stesse certezze del mon-
do
intelligibile
(nzundrcs intelligibilis),
ma ci non
significa,
come sostene-
va la scuola cartesiana,
che la scienza sia solo
dell'intelligibile
e
mai del
sensibile.Infatti anche il sensibile
soggetto
a
forme universali a
priori,
le forme di
spazio
e
tempo.
Kant
procede quindi
alla dimostrazioneche
spazio
e
tempo
sono
forme
ideali e non
propriet pi
o meno
accidentali delle cose
materiali. l
pas-
saggi
della dimostrazionedella idealit dello
spazio
sono
i
seguenti:
1)
il
Concetto
di
spazio
non astratto da
percezioni
esterne,
ma
presuppo-
sto come una
condizionedella loro
possibilit;
2)
il concetto di
spazio

unintuizi0ne
pirra:
intuizione
perch
non
un concetto discorsivo, astrat-
to;
pura,
perch
non

composta
di
sensazioni,
ma costituisce la
forma
previa
necessaria (a
priori)
delle sensazioni esterne;
l'intuizione
pura
dello
spazio
che Costituisce
l'oggetto
della
geometria;
3)
lo
spazio
non
qualche
cosa
di
oggettivo
e
di reale
(sostanza,
accidente o relazione) ma
qualche
cosa
di
soggettivo
e
di
ideale,
ossia una
specie
di schema coordi-
natore delle nostre sensazioni
esterne,
derivato dalla natura stessa del
nostro
spirito;
4)
benchlo
spazio
in se stesso,
confrontatocon
la "realt
in s" si debba dire soltanto
immaginario,
tuttavia,
rapportato
ai "feno-
meni sensibili" non soltanto assolutamente vero (verissimus), ma
il
fondamentodella verit dei sensi esterni.
Con lo stesso
procedimento
Kant
prova
l'idealit del
tempo,
con
la
sola variante che
esso
riguarda
i sensi
interni, e costituisce
l'oggetto
della matematica.
Il
"principio
della idealit dello
spazio
e
del
tempo
diviene ormai
ufiacquisizione
definitiva della filosofiacritica. Esso
significa
che
lungi
dal formare una
condizione
ontologica degli oggetti, spazio
e
tempo
non sono
altra
cosa,
nella nostra
conoscenza,
delle condizioni
generali
e
necessarie della sensibilit,
le
leggi
a
priori
del
fenomeno.
Successivamente,
trattando del mundus
intelligibilis
Kant
prende
in
esame
alcuni concetti fondamentali della "filosofia
prima", quali
1a
pos-
sibilit, l'esistenza,
la necessit,
la
sostanza,
la causa ecc.
Sono concetti
che in se stessi non
contengono
nessun
elemento sensibilee non
fanno
parte
di nessuna
rappresentazione
sensibile,e
perci
non
possono
essere
ricavati
dall'esperienza.
Il loro contenuto
puramente
intellettivo.
Questi
concetti
fondamentali della metafisica sono
spesso
classificati co-
me
concetti astratti". Kant
respinge questa
terminologia.
Infatti,
bench
il "concetto intellettivo" faccia astrazionedal sensibile, non viene assolu-
Kant:
metafisica
teoretica e
metafisica pratica
299
tamente astratto da
esso. Pi che di
un concetto astratto
(abstractus) si
tratta di
un concetto astraente
(abstraheris),
che
prescinde, cio,
dall'a-
strazione. Per evitare
ogni ambiguit
Kant
preferisce
chiamare i concetti
strettamente intellcttivi idee
pure;
egli
esclude che
queste
idee siano inna-
te
(conceptus centrati): esse sono
"acquisite"
in
quanto esprimono leggi
generali
dell'attivit che il nostro intelletto
svolge nellimpatto
con l'e-
sperienza.
Sono determinazioni
ontologiche
riferite ai fenomeni.
Marchal riassume in
quattro proposizioni
i
punti
salienti della "Pro-
pedeutica
filosoficache Kant cercava di abbozzare nella Dissertazione
del 1770:
1. Gli
oggetti
sono
rappresentati
dalla nostra coscienza in due manie-
re: a)
fenomenalmente,
come essi ci
"appaiono";
b)
intelligibilwnente,
come
sono in
se stessi".
2. Gli
oggetti fenomenici
sono colti nei "concetti
empirici.
3. Gli
oggetti intelligibili
sono colti nei concetti
puri". Questi
esprimo-
no,
sotto la
norma
logica dell'identit, un contenuto
proprio
dell'intel-
letto. Non
sono tuttavia "intuizioni
intellettuali, ma determinazioni
intelligibiligenerali,
che noi riferiamo
agli
individui attraverso i concetti
empirici
di
questi
ultimi.
4. La confusione
dell'oggettofenomenico
con
l'oggetto intelligibile
genera
le antinomie.
Questa
confusione deriva
sempre
da
un errore sul.la natura
dello
spazio
e del
tempo,
intuizioni
pure
della
sensibilit,
la cui
apriorit
e necessit d
l'apparenza
illusoriadi
intclligibilipuri
o di noumenifl
Come
osserva Marchalfi la Chiara
ripartizione degli oggetti
della
conoscenza in
fenomenici
e rzounzenici che Kant elabora nella Dissertazio-
ne
del 1770 non va ancora intesa nel
senso
che assumer nella Critica
della
ragion pura, perch
a
questo
stadio del
suo
pensiero
Kant ha
ancora
una concezione realistica della
conoscenza. Secondo Kant l'intelletto
,
di
natura
sua,
la facolt del "reale
ontologico",
del "reale in
se stesso. Nel
1770 Kant ammette ancora
che le determinazioni del nostro intelletto
rappresentano
un contenuto
oggettivo,
una
specie
di dato a
priori.
ll
problema
del
"rapporto
delle
rappresentazioni
della mente con
l'oggetto"
si
presenta
a Kant con estrema acutezza
poco dopo
la
pubbli-
cazione della Dissertazione del 1770. In una lettera
a Markus Herz del
1772,
Kant si chiede
se le determinazioni
intellettuali, che
egli
aveva
considerato
come contenuto
oggettivo
del
pensiero
puro,
non fossero
che
strutture funzionali di
una
intelligenza
costretta a esercitarsi su dati
esterni
e,
in tal
caso,
se
questi
"concetti
puri",
anzich
imporsi
come
dati
intelligbili",
immediati che si constatano senza
spiegarli
-
non
4) Cf.
lbiri,
p.
73.
5) Cf.
117111.,
pp.
74-75.
300 Parte terza
procedano piuttosto
dalla
intelligenza
come funzioni necessarie dell'u-
nit radicaledel
soggetto
conoscente. Se tale il
vero
valore dei concet-
ti
puri"
un
compito
del tutto nuovo si
impone
alla filosofia. Ecco il bra-
no centrale della lettera:
Cercando le fonti della conoscenza intellettiva, prescindendo
dalle
quali

impossibile
determinare la natura e
i limiti della
metafisica,
decisi di dividere
questa
scienza in
parti
essenzialmente distinte e mi
sforzai di ricondurrela
filosofia
trascendentale ossia l'insieme dei con-
cetti della
ragione
totalmente
pura
-
a un numero
fisso di
categorie.
Tuttavia,
invece di
procedere
come Aristotele,
che
prende
i concetti
cos come li trova e
poi
li
giustappone
in maniera
approssimativa
nei
suoi
predicamenti,
io mi sono
conformatoalla
ripartizione
dei concet-
ti in classi,
radunandoli sotto un
piccolo
numero
di
principi
fonda-
mentali dell'intelletto. Senza
dilungarmi qui
su
tutte le
tappe
di
que-
sta ricerca,
fino alla sua conclusione,
posso
ben dire
che,
per
l'essen-
ziale, sono riuscito nel mio
disegno,
e
che sono attualmente nella con-
dizione di
presentare
una
"Critica della
ragion pura" esponendo
la
natura della conoscenza
sia teorica sia
pratica,
nella misura in cui
sono
entrambe
puramente
intellettive. Di
quest'opera pubblicher
anzitutto la
prima parte,
che tratta delle
fonti,
del nzetodo e dei limiti
della
nzetafisica;
successivamente elaborer i
principi
a
priori
della
morale;
per quanto
concerne
la
prima parte,
la sua
pubblicazione
si
potr
effettuare entro tre mesi.
Nel momento in cui scriveva
questa
lettera,
Kant riteneva di essere
molto
pi
avanti nella stesura
della Critica della
ragion pura
di
quanto
di
fatto lo fosse. infatti
prima
della sua
pubblicazione
dovranno trascorrere
ben nove
anni. Ad
ogni
modo
gli
obiettivi
dell'opera
come
la
sua
riparti-
Zione
gli
risultavano ormai molto chiari: elaborare una critica della
ragio-
ne al fine di determinare "le
fonti,
il metodo
e
i limiti della metafisica.
Diversamente da
Locke,
il
quale
aveva
scritto il
suo
Saggio
sullntelli-
genza
Lumina con una
finalit esclusivamente
gnoseologica (esplorare
cio
l'origine
della
conoscenza,
ossia le vie e
i modi con
cui la mente si
forma le
idee),
la finalit che Kant
persegue
nella Critica della
ragion pura
metafisica: non la sua
negazione,
ma
la determinazionedei suoi confi-
ni. Indubbiamente,
oggetto
della ricerca sono
i
procedimenti
delia
ragio-
ne,
mail fine della ricerca la metafisica.
Pertanto,
bench ai
pi
la cosa
risulti abbastanza
paradossale,
non si
tradisce Kant ma si resta fedeli alle sue
intenzioni se non
si
prende
la
Critica della
ragion pura
come un trattato di
gnoseologia,
bens come un
trattato di metafisica. Del resto che
questo
sia il
punto
di vista di
Kant,
risulta
pienamente
confermato, come
vedremo immediatamente,
anche
dalle due
importantissime
Prefazioni
dell'opera.
Kant:
nzetafisica
teoretica e
metafisica pratica
301
I limiti della metafisicateoretica
nelle due Prefazionidella Critica della
ragion purm
Anche
per
Kant, come
per
tutti i filosofi moderni a
partire
da Carte-
sio,
la
filosofia prinm
non
pi lontologia
ma
la
gnoseologia.
Il
primo
problema
da risolvere non
quello
dell'essere ma
quello
del conoscere:
chiarire
l'origine
e
il valore della conoscenza.
Ma
questa
ricerca
gnoseti-
logica

sempre
intesa da lui come un
prolegomeno
della
metafisica,
anzi la
metafisica costituisce il coronamentodel discorso
gnoseologico,
in
quan-
to essa
rappresenta l'espressionepi
alta del conoscere umano.
Non c' nulla di
meglio per
conoscere
il
pensiero
di Kant intorno alle
possibilit
metafisiche della
ragion pura
delle due Prefazioni
(A e B)
della RV.
Questo
il motivo
per
cui analizzeremo attentamente
questi
due interessantissimi documenti del
pensiero
kantiano.
Che la metafisica sia il tema dominante della RV detto
espressa-
mente da Kant sin dallesordio della Prefazione alla
prima
edizione.
Leggiamolo
insieme:
In un
genere
delle sue
conoscenze,
la
ragione
umana
ha il
particolare
destino di venire assediata da
questioni,
che
essa non
pu respingere,
poich
le sono
assegnate
dalla natura
stessa,
ma alle
quali
essa non
pu neppure
dare
risposta, poich oltrepassano ogni potere
della
ragione
umana.
Essa incorre in
questo
imbarazzo senza sua
colpa.
Muove da
proposizioni
fondamentali,
il cui uso inevitabilenel corso
dell'esperienza
e insieme da
questa
sufficientemente convalidato.
Con tali
proposizioni
essa
sale
sempre pi
in alto
(come
in verit
chiede la sua natura), a condizioni
pi
remote. Ma
poich
si
accorge,
che
a
questo
modo la
sua
attivit deve rimanere
ognora
senza
compi-
mento, poich
le
questioni
non cessano
mai di
ripresentarsi,
essa si
vede allora costretta a
rifugiarsi
in
proposizioni
fondamentali,
che
oltrepassano ogni possibile
uso
di
esperienza
e
nondimenosembrano
tanto
superiori
a
ogni sospetto
che anche la comune
ragione
umana si
trova d'accordo su
di
esse. Cos facendotuttavia essa cade in oscurit
e contraddizioni,
dalle
quali
a dire il
vero
pu
inferire che alla base
devono sussistere da
qualche parte
errori
nascosti; essa tuttavia non
pu scoprirli, poich
le
proposizioni
fondamentali,
di cui si
serve,
non
riconoscono
pi
alcuna
pietra
di
paragone
nell'esperienza,
dal
momento che
oltrepassano
il confine di
ogni esperienza.
Ebbene,
il
campo
di
battaglia
di
questi
contrasti senza fine si chiama
ntetafisica.
F) Nel
prosieguo
di
questo capitolo per
le tre Critiche utilizzeremole
seguenti sigle,
tratte dai titoli tedeschi: RV
(C.
della
ragion pura),
PV
(C.
della
ragion pratica)
e
UK
(C.
del
giudizio).
La
migliore
traduzione italiana della Critica della
ragion pura

que.lla
di G. Colli: l.
KANT,
Critica della
ragion pura, Adelphi,
Milano 1995. Da essa
attingeremo
le nostre citazioni.
302 Parte terza
Vi fu
un
tempo,
in cui essa era
chiamata la
regina
di tutte le
Scienze, e
se si considerano le intenzioni come fatti, essa meritava certo
questo
nome onorifico a causa della
importanza preminente
del suo
oggetto.
Ora la moda
dell'epoca
inclinea dimostrarleun totale
disprezzo,
e la
matrona si
lamenta,
scacciata e abbandonata, come Ecuba: modo maxi-
ma
rerum,
tot
generis nutsque potens
-
nunc trahur
exul,
inops
(OVID.,
Meta1n.).7
Kant ricorda
quindi
velocemente i momenti salienti della storia della
metafisica: i suoi trionfi
con
i
dogmatici quando
il suo dominio era in-
contrastato
e, poi,
le
sue disavventure, con
gli
scettici e
gli agnostici.
In tale contesto risulta chiaro il
compito
attuale del metafisico: verifi-
care
quali
siano
gli
effettivi
poteri
della
ragione
nel suo
triplice
uso: teo-
retico
(speculativo), pratico
(morale)
ed estetico
(artistico).
La metafisica
costituisce il tema dominante della
RV, perch
la
ragion
pura
che
con
le sue
speculazioni
ha l'ambizionedi
oltrepassare
i confini
dell'esperien-
za,
per
inoltrarsi nella sfera del trascendente.
Del
resto,
lo scontro tra razionalisti ed
empiristi riguarda
esattamente
i
poteri
della
ragione
nel territorio della metafisica. Per i razionalisti l'o-
rigine
della
conoscenza tutta dall'alto, senza alcun ricorso
all'esperien-
za e
quindi
il suo valore assoluto e cos come la sua
competenza
nel
territorio della metafisica assoluta. Invece
per gli empiristi, l'origine

tutta dal basso


(dall'esperienzasensibile),e
quindi
il suo valore limita-
to al mondo sensibile
(nonostante
qualche
sconfinamento nel trascen-
dente di
Locke).
La metafisica
non
pu
essere
che
un'impresa
stolta
destinata
al
fallimento.
Per uscire "da
questo campo
di
battaglia
di contrasti senza fine Kant
decide di
sottoporre
a rinnovata analisi i
processi
conoscitivi di cui
dotata l'umana
ragione,
con l'obiettivo
preciso
di
scoprirne
i limiti.
Questo
un
compito
a cui
l'intelligenza
umana non si
pu
sottrarre;
infatti una materia di estrema
gravit
dinanzi alla
quale
nessuna
mente sensata
pu
restare indifferente:
difatti
vano,
il volere
fingere indifierenza
al
riguardo
di
quelle
inda-
gini,
il cui
oggetto
non
pu
essere
indifferente
alla natura umana.
Anche
quei pretesi
indifferenti,
per quanto sperino
di rendersi incono-
scibli mutando il
linguaggio
di scuola in un tono
popolare,
Cadono
irrimediabilmente,
ogni
volta che essi
pensano qualcosa,
in afferma-
zioni metafisiche, contro le
quali pure
avevano messo in mostra tanto
disprezzo.
Tuttavia
questa
indifferenza che si
presenta
in
mezzo
alla
fioritura di tutte le scienze e
colpisce proprio quella
alle cui conoscen-
ze,
se si
potessero possedere,
si rinunzierebbe
meno
che
a tutte le altre
7) RV,
pp.
7-8.
Kant:
metafisica
teoretica e
metafisica pratica
303
-
pure
e un fenomeno,
che merita attenzione e riflessione. Essa evi-
dentemente l'effetto non della
leggerezza
bens della maturata
capacit
di
giudizio dell'epoca,
la
quale
non si fa trattenere
pi
a
lungo
da un
sapere
apparente;
essa e inoltre un incitamento alla
ragione, perch
assuma
di nuovo
la
pi gravosa
di tutte le incombenze,
ossia
quella
della conoscenza
di
s, e
perch
istituisca un tribunale,
che la
garantisca
nelle sue
giuste pretese,
ma
possa per
contro
sbrigarsi
di tutte le
pre-
tensioni senza fondamento, non mediante sentenze d'autorit,
bens in
base alle sue eterne e
immutabili
leggi.
E
questo
tribunalenon altro
se non
proprio
la critica della
ragion pura
(Kritik
der reinen
Vernurift)>>.8
Kant ribadisce nuovamente la sua
intenzione di
sottoporre
la
ragione
a
un'accurata
indagine
critica,
per
verificare
quali
siano i suoi effettivi
poteri
nel terreno della metafisica:
Con ci non
intendo una
critica dei libri e
dei
sistemi,
bens la critica
della facoltdi
ragione
in
generale, riguardo
a tutte le
conoscenze,
cui
la ra ione u as irare,
indi endentenzente da 0 ni es erienza;
intendo
13..
.
quindi
la decisione della
possibzlita
0
imposszbilita
di una
metafisica
m
generale,
e la determinazione tanto delle
fonti, quanto dellfiznzpiezza
e
dei limiti di
essa,
il tutto er stabilitosulla base di rinci i.9
P P P
Che la
ragione
abbia dei limiti e non
dei
poteri
illimitati che le attri-
buiscono i razionalisti,
Kant non nutre nessun dubbio e
lo dichiara
a
chiare lettere
gi
nella
prima
Prefazionealla RV. E sono limiti tali da far
crollare l'illusionecoltivata dai
dogmatici
di fornire una
risposta
chiara
e sicura ai
grandi interrogativi
che
angustiano
la
ragione umana,
inter-
rogativi
a cui non
pu sfuggire,
ma che non e
neppure
in
grado
di risol-
vere. Infatti,
la
risposta
a
quelle
domandenon ha
preso
certo la
forma,
che
poteva
attendersi un
desiderio
dogmaticamente
esaltato di
sapere.
Tale desi-
derio non
potrebbe
infatti venir soddisfatto che mediante arti
magi-
che: ma io non mi intendo di ci. Tuttaviaanche la destinazionenatu-
rale della nostra
ragione
non aveva
davvero di mira taie
risposta,
e il
dovere della filosofiaconsisteva nelleliminarela costruzione
apparen-
te,
che
sorgeva
da
un
equivoco, quand'anche
dovesse andare distrutta
con ci una illusionetanto lodata e tanto cara.
In
questo
lavoro ho
mirato
soprattutto
a
un'ampiezza
circostanziata, e oso dire,
che non.
deve sussistere un solo
problema metafisico
che
qui
non sia stato risolto, o
alla cui soluzione
per
lo meno non sia stata fornita la chiavemw
3) RV,
pp.
9-10.
9) RV,
p.
10.
l) RV,
pp.
10-11.
304 Parte terza
La demarcazionedei limiti della
ragione
nelle
questioni
che
riguarda-
no la metafisica viene immediatamente fissata da Kant con il
postulato
dell'esperienza,
che il
nuovo "rasoio di Occam"
con cui Kant
taglia
le
gambe
a tutte le ambizionidella metafisica
dogmatica,
mentre tiene
aper-
ta la
porta
soltanto a una metafisica
aporetica.
Il
dogmatico,
osserva
Kant,
s'impegna
ad
ampliare
la conoscenza umana al di l di tutti i limi-
ti di
un'esperienza possibile:
al
riguardo
io confesso umilmente che ci
supera
del tutto il mio
potere.11
Nonostante
questa
ferma decisione di
non
oltrepassare
mai i confini
dell'esperienza
(vale a dire
quanto
l'intelletto
pu apprendere
con
il
con-
corso insostituibiledella
sensibilit),
Kant nella conclusione della
prima
Prefazione ribadisce il suo
impegno
metafisico: il
suo obiettivo
quello
di elaborare un sistema
completo
dell'umano
sapere
e
questo

pre-
cisamente un
compito
della metafisica. Ecco le
parole
testuali di Kant:
La
metafisica,
secondo i concetti che in uesta nostra
indagine
dare-
mo di
essa,
l'unica tra tutte le
scienze, c e si
possa ripromettere
una
tale
compiutezza,
e ci in breve
tempo
e
soltanto
con uno
sforzo
pic-
colo, ma
concentrato;
cosicch
non rimane alla
posterit
null'altro se
non accomodare tutto
quanto,
secondo le sue intenzioni in maniera
didattica, senza
per questo poterne
accrescere minimamente il conte-
nuto. Si tratta infatti di null'altro che
dell'inventario,
ordinato sistema-
ticamente,
di tutto ci che noi
possiamo possedere
mediante la
ragione
pura.
A
questo proposito
nulla
pu sfuggirci, poich
ci che la
ragio-
ne trae
completamente
da
se stessa non
pu
nascondersi,
ed
piutto-
sto messo alla luce
proprio
dalla
ragione,
non
appena
si
scoperto
il
principio
comune
di tutto ci. La
perfetta
unit di
questa specie
di
conoscenze,
e
precisamente
l'unit che
sorge
soltanto da concetti
puri

senza
che
su di
essi,
nell'ampliarli
e nell'accrescerli,
possa
avere un
Certo influsso
un
qualsiasi
elemento di
esperienza,
o
anche soltanto
una intuizione
particolare,
che dovesse condurre a
un'esperienza
determinata - rende
questa compiutezza
incondizionatanon soltanto
realizzabile,ma
anche necessaria. Tecum habita et noris,
quam
sit tibi
curia
supellex
(PERSIUS).
Spero
io stesso di fornire
un
tale sistema della
ragione pura
(specula-
tiva), sotto il titolo:
metafisica
della natura.12
Precisando che la
ragion pura
si
occupa
della
metafisica
della natura
Kant lascia
gi
intendere
quanto spiegher
altrove
che, cio, non esiste
una
sola metafisica. In effetti Kant stesso
compiler
un'altra
opera
intito-
lata:
Metafisica
dei
costumi,
la
quale corrisponde
alle
esigenze
della ra-
gion pratica.
n) RV,
p.
11.
l?) RV,
pp.
15-16.
Kant:
metafisica
teoretica e
metafisica pratica
305
Nella Prefazionealla Seconda edizione della RV Kant traccia un
qua-
dro
generale
delle scienze, distinguendole
in teoretiche,
che determinano
l'oggetto
mediante concetti, e
pratiche,
che rendono reali i loro
oggetti.
In
entrambec' una
parte pura,
che
quella
in cui la
ragione
determina il
suo
oggetto
completamente
a
pri0ri.I3
Le scienze teoretiche sono a
loro
volta suddivise in matematica e
fisica.
Secondo Kant,
il loro carattere
scientifico si instaura, storicamente,
nel momento in cui si comincia a
comprendere
che delle cose
noi conosciamo a
priori,
vale a
dire necessa-
riamente e universalmente,
soltanto ci che noi stessi
poniamo
in esse.
In entrambi i casi si tratta di una
grande
rivoluzionenel modo di
pensa-
re
- la
quale
fu molto
pi importante
che la
scoperta
del
passaggio
del
famoso
capo
di Buona
Speranzam
Per
quanto
attiene la matematica,
autore
della rivoluzione fu,
probabilmente,
Talete. A lui
improvvisamen-
te si
present
una luce che
gli
fece
capire
che
non
doveva attribuire
alla cosa alcunch,
all'infuori di
quanto seguiva
necessariamente da ci
che
egli
stesso,
conformemente al suo concetto, aveva
posto
in essa>>fl5
Invece,
per quanto riguarda
la
fisica,
autori della rivoluzione furono
Galilei e
Torricelli: anch'essi furono
colpiti
da una
luce. Essi
comprese-
ro
che la
ragione scorge
soltanto ci che
essa stessa
produce
secondo il
suo
disegno,
e
capirono
che
essa
deve
procedere
innanzi con
i
principi
dei suoi
giudizi
basati su
stabili
leggi
e deve
costringere
la natura a
rispondere
alle sue domande, senza
lasciarsi
guidare
da
essa sola,
per
cos dire, con
le dande.16 Solo
dopo
che
gli
studiosi
compresero
la vera
natura della matematicae
della
fisica,
queste
scienze si avviarono verso
un
inarrestabile
sviluppo.
Chiarita cos la
ragione
dei successi della matematica e
della fisica,
Kant si
interroga
sui motivi dellinsuccesso della metafisica.
La
metafisica
non
ha avuto sinora un
destino tanto favorevole,
da
permetterle
di
prendere
la via sicura di
una scienza;
eppure
essa
pi
antica di tutte le altre scienze e
sussistercbbe
ancora, quand'anche
le altre
tutte assieme dovessero venire
completamente inghiottite
nell'abisso
di una
barbarie che sterminasse
ogni
cosa.
In
essa,
infatti,
la
ragione
si
arena continuamente,
persino quando
vuole
scorgere
a
priori
(tale
la
sua
pretesa) quelle leggi,
che sono confermatedalla
pi
comune
espe-
rienza. Nella metafisica si deve
percorrere
indietro la strada infinite
volte, poich
si
scopre
che il cammino non
conduce nella direzione
voluta. E
per quanto riguarda
la concordia nelle affermazioni dei suoi
seguaci,
essa ancora
cos lontana dallaverla
raggiunta,
che risulta
piuttosto
un
campo
di
battaglia: quest'ultimo
sembra
propriamente
13) RV,
p.
19.
14) RV,
p.
20.
15)
Ibid.
le) RV,
p.
21.
306 Parte terza
destinato a esercitare le forze dei
partecipanti
in un combattimentofit-
tizio, in cui finora
nessun combattente mai riuscito a
conquistarsi
neppure
il
pi piccolo vantaggio
territorialee a fondare sulla sua vitto-
ria un
possesso
durevole. Non vi
dunque
alcun dubbio che il modo
di
procedere
della metafisica sia stato sinora un
semplice brancolare, e
quel
che
peggio,
un camminarea taston tra
semplici
concetti.17
Perch, si chiede
Kant,
le scienze
matematica e fisica - hanno
com-
piuto progressi sensazionali,mentre la metafisica
sempre
rimastaferma
alla linea di
partenza?
La
sua
risposta
che l'insuccesso della metafisica
non causato dallaltezza
e
dallasprezza
delle vette a cui
essa mira,
bens dalla scelta errata del cammino da
percorrere.
La
ragione speculati-
va (la
pura ragione)
presume
di
aprirsi
un varco verso
le radici ultime
dell'essere scavando nel terreno
dell'esperienza.
Ma l'errore sta
proprio
qui, perch l'esperienza pu
fornire informazioni sul mondo sensibile
ma
non sulle
sue cause. L'errore
capitale
della
metafisica,
che Kant denuncia
con insistenza nella Prefazionealla seconda edizionedella RV
quello
di
non aver
capito
come
funzioni la
conoscenza della realt: di
non aver
compreso
che nel
rapporto soggetto-oggetto
il
primato
non
spetta all'og-
getto
bens al
soggetto.
Ecco
come si
esprime
Kant a
questo proposito:
Si e ritenuto
sinora,
che
ogni
nostra conoscenza debba
regolarsi
secondo
gli oggetti:
tutti i tentativi di stabilire
su di
essi, attraverso
concetti,
qualcosa
a
priori,
mediante cui fosse
allargata
la nostra cono-
scenza,
caddero
tuttavia,
dato tale
presupposto,
nel nulla. Per una
volta si tenti
dunque,
se nei
problemi
della
nretafisica possiamo
proce-
dere
meglio,
ritenendo che
gli oggetti
debbano conformarsi alla
nostra conoscenza. Gi
cos, tutto si accorda
meglio
con la desiderata
possibilit
di
una conoscenza a
priori degli oggetti,
la
quale voglia
sta-
bilirc
qualcosa
su di
essi,
prima
che ci
vengano
dati. La situazione al
riguardo
la stessa che si
presentata
con i
primi pensieri
di
Copernico: costui,
poich
la
spiegazione
dei movimenti celesti
non
procedeva
in modo
soddisfacente,
sino a che
egli
sosteneva che tutto
quanto
l'ordinamento delle stelle ruotasse intorno allo
spettatore,
cerc se la
cosa non
potesse
riuscire
meglio, quando egli
facesse
ruo-
tare lo
spettatore
e facesse
per
contro star ferme le stelle. Nella
metafi-
sica, orbene,
si
pu
fare
un
analogo tentativo,
per quanto riguarda
l'intuizione
degli oggettms
Senonch, osserva Kant, mentre la fisica
dispone
di
una intuizione
sensibiledel
proprio oggetto
e
grazie
ad
essa riesce a dare
un contenuto
ai suoi concetti a
priori;
la metafisica
non
dispone
di
nessuna intuizione
intellettiva del
suo
oggetto,
il
noumeno,
e di
conseguenza
non
pu
dare
17) RV,
p.
22.
18) RV,
pp.
23-24.
Kant:
metafisica
teoretica e
metafisicapratica
307
un contenuto alle sue
idee. La strada della metafisica dovrebbe essere
l'intuizioneintellettiva, ma
poich
l'uomo non
la
possiede,
la metafisica
non
potr
mai
raggiungere
il
suo
traguardo.
Siamo di nuovo
al "rasoio
di Occam"; senza
esperienza
non
possibile
nessuna conoscenza ma
la
metafisica non
ha
nessuna
esperienza
del suo
oggetto:
perci questo
risulta inconoscibile:
Con tale facolt
(del conoscere) non
possiamo
mai
oltrepassare
il
limite di
un'esperienza possibile,
mentre
proprio questo
ci che
interessa nel modo
pi
essenziale tale scienza (la metafisica).
Proprio
qui, peraltro,
la verit del risultato di
quel primo apprezzamento
della nostra conoscenza a
priori
della
ragione
viene
sperimentata
mediante una
controprova,
consistente cio nel fatto che la conoscen-
za
della
ragione
si
rivolge
soltanto ad
apparenze,
lasciando
per
con-
tro che la
cosa
in se sussista come
per
s
reale, ma sia da noi scono-
sciuta. Ci che ci
spinge
necessariamente a
oltrepassare
il limite del-
l'esperienza
e
di tutte le
apparenze
infatti linc0ndizi0i1at0,
che
rispetto
a
ogni oggetto
condizionatola
ragione esige,
necessariamente
e a buon
diritto,
nelle cose
in se stesse, pretendendo
in tal modo la
compiutezza
della serie delle condizioni)?
Per, mentre Kant denuncia
l'impossibilit
di
qualsiasi progresso
d'una metafisica che batte il sentiero
impercorribile
della
ragione specu-
lativa,
gi
nella Prefazione alla seconda edizione della RV
egli anticipa
che esiste un'altra
via, quella
della
ragion pratica
che la metafisica
pu
percorrere
con successo.
Ecco il
passo
esemplare
in cui Kant
propone
questa importantissima
alternativa alla metafisica:
Dopo
che stato
precluso
alla
ragione speculativa ogni progresso
in
questo campo
del
soprasensibile,
ci rimane ancor
sempre
da
tentare,
se nella sua conoscenza
pratica
non si trovino dei
dati,
per
determina-
re
quel
concetto razionale trascendente dellincondizionat0,e
per
giungere
in tal modo,
conformementeal desiderio della metafisica,
al
di l del limite di
ogni esperienza possibile
con
la nostra conoscenza a
priori,
la
quale per

possibile
soltanto secondo unntenzione
prati-
ca. Con un tale modo di
procedere,
la
ragione speculativa, per
lo
meno
ci ha
sempre procurato
dello
spazio per questo ampliamento,
anche
se essa
ha dovuto lasciarlo
vuoto, e ci
quindi
ancora lecito
anzi a ci noi siamo addirittura esortati da
essa
- di
riempirlo
con
dei
dati
pratici
della
ragione,
se lo
possiamom"
Cos Kant
pu
concludere che i risultati della
ragione
nel suo uso
spe-
culativo che attiene la metafisica non
possono
essere
che
negativi,
in
quanto
non
procurano
nessuna conoscenza
del mondo
intelligibile.
Allo
19) RV,
pp.
25-26.
3) RV,
pp.
26-27.
308 Parte terza
stesso
tempo pero egli
afferma
con decisione che anche l'uso
speculativo
ha unutilit
positiva
assai rilevante
non
appena
ci si
accorge
che della
ragion
pura
esiste anche
un uso
pratico,
l'uso
morale,
nel
quale
la
ragio-
ne si estende inevitabilmenteal di l dei limiti della sensibilit. Indub-
biamente, la
ragion pratica
non
ha
bisogno
di alcun
appoggio
da
parte
della
ragione speculativa, ma nondimeno dev'essere
messa al sicuro di
fronte all'azionecontraria di
quest'ultima,
per
non incorrere izn contrad-
dizione
con se stessa. Il
contestare un'utiIit
positiva
a
questo
servizio
della critica sarebbe
equivalente
a dire che la
polizia
non
procura
alcun
Vantaggio positivo poich
la sua
principale
incombenzaconsiste soltan-
to nel
mettere il catenaccioalla
violenza,
che i cittadini hanno da temere
da
parte
dei
cittadini, affinch ciascuno
possa occuparsi tranquillo
e
sicuro dei suoi affari.21
Una
importante precisazione
che lascia intendere
pi
chiaramente
a
quale
livello Kant intende tracciare i limiti della metafisica Viene fatta
pi
avanti,
quando
afferma che sebbene la
conoscenza
speculativa
sia
ristretta ai
semplici oggetti dell'esperienza,
nondimenoviene
pur
sem-
pre
fatta al
riguardo
una riserva,
che
occorre tenere bene
a mente:
pro-
prio quei
medesimi
oggetti,
noi dobbiamoalmeno
avere la
possibilit
di
pensarli (erkerznen)
anche
come cose in
se stesse,
per quanto
non
possia-
mo conoscerli
(kenrzen) come tali. Altrimenti infatti deriverebbeda ci la
proposizione assurda,
che sussiste
unapparenza
senza un
qualcosa
che
in
essa
appaia.22
Ci che
preoccupa
Kant
non soddisfare le ambizionidella
ragione,
ma tutelare luomo dalle
sue
illegittime pretese.
Ecco
un testo molto
significativo
in merito:
Ho dovuto
dunque
eliminare il
sapere
(Wissen),
per
fare
posto
alla
fede
(Glauben). ll
dogmatismo
della
metafisica, cio il
pregiudizio
di
poter progredire
in
essa senza una critica della
ragione pura,
e la vera
fonte di
ogni
incredulit - in contrasto con la moralit - che
sempre
spiccatamente dogmatica.
Se
dunque
con una metafisica
sistematica,
composta seguendo
la critica della
ragione
pura, pu
essere
per l'ap-
punto
non difficileil lasciare
un
legato
alla
posterit;
certo
per
non si
tratta di
un dono
spregevoleml
Il valore di tale dono risulter tuttavia massimamente
quando
si
metta in conto linestimabile
vantaggio,
di
porre
un termine
per ogni
tempo
avvenire a tutte le obiezioni contro la moralit e la
religione
e
ci in modo
socratico, ossia mediante la
pi
chiara dimostrazionedel-
l'ignoranza degli
avversari. In
effetti, una
qualche metafisica

sempre
731
Kant:
metafisica
teoretica e
metafisica pratica
309
esistita nel mondo, e certo vi si ritrover anche in avvenire; con essa
tuttavia si ritrover
pure
una
dialetticadella
ragionepura,
poich
le
connaturata.
La
prima
e
pi importante
incombenzadella filosofia
consiste
dunque
nelleliminareuna
volta
per
tutte
ogni
influsso dan-
noso
della metafisica, con
Yestinguere
le fonti
degli
errori.24
Alla metafisica sofisticata e astrusa delle scuole,
che
non e di alcun
giovamento
all'interesse
generale
dell'umanit,
Kant
contrappone
la
metafisica del "senso comune",
che ha convinzioni solidissime intorno
alle due massimeverit relative al mondo
intelligibile:
l'immortalit del-
l'anima e
l'esistenza di Dio. N si tratta di convinzioni arbitrariema
"fondate su
basi razionali.Cos la
speranza
di una
vita futura fondata
sulla tendenza della natura umana
-
percepibile
in
ogni
uomo

a non
potersi
mai
appagare
di ci che
temporale.25
Mentre la certezza
dell'e-
sistenza di Dio fondata sull'ordine mirabile,
la bellezzae
la
previden-
za
che
trasparisconoovunque
nella naturam
Poich tali
acquisizioni
non soltanto non
risultano turbate, ma
guadagnano piuttosto
un
ulteriore
prestigio, per
il fatto che le scuole
vengano
ormai ammae-
strate a non
arrogarsi
in alcun modo, su
di un
argomento
che
riguar-
da il
generale
interesse
umano,
una conoscenza
pi
alta
e
pi
estesa
di
quella
cui
pu giungere
altres, con
altrettanta facilit,
la
grande
massa
degli
uomini
(per
noi
degnissima
di considerazione) e a
limi-
tarsi
quindi
soltanto al
perfezionamento
di
queste
ragioni
dimostrati-
ve,
universalmente
comprensibili
e
sufficienti dal
punto
di vista
morale.27
Nella
parte
conclusiva
della Prefazione alla seconda edizione della
RV Kant ribadisce ancora una
volta la sua
convinzioneche una
metafisi-
ca
che fissi i limiti della
ragione speculativa
-
per quanto neppure
essa
possa
avere
la
pretesa
di essere
popolare
e
accessibilea
tutti molto
pi
utile della metafisica
dogmatica
dei razionalisti. Infatti solo
mediante la critica
possibile
rescindere
proprio
alla radice il materiali-
smo,
il fatalisrno, Pateismo,
Pincredulit dei liberi
pensatori,
la strava-
ganza
e la
superstizione,
che
possono
essere
universalmente dannose, e
infine anche lfidealisnzo e
lo scetticismo,
che
sono
pi pericolosi per
le
scuole e
che difficilmente
possono
estendersi al
pubblicow
La critica
della metafisica
speculativa
inoltre
indispensabileper promuovere
l'u-
nica vera
metafisica che
quella
della
ragion pratica.
24) RV,
pp.
33-34.
25) RV,
p.
35.
26) Ibid.
27) Ibid.
28) RV,
p.
38.
29) RV,
p.
39.
310 Parte terza
A
questo punto,
di
per
se,
sappiamo gi
tutto
su ci che
pensa
Kant
riguardo
alla
metafisica
speculativa,
che la metafisica cos
come stata
pensata
ed elaborata dai
tempi
di Platone
e Aristotele fino
a Leibniz e
Wolff. Tutta la Critica della
ragion
pura
ha
come unico obiettivo la deco-
struzione di
questo genere
di metafisica. Potremmo
quindi
passare
immediatamente alla Critica della
ragion pratica
dove Kant elabora
un
nuovo
genere
di
metafisica,
la metafisica
pratica,
costruita su basi
prati-
che, morali. Ma un salto
inopportuno,
che ci lascerebbeall'oscuro della
parte pi
interessante
e
pi originale
di tutto il sistema kantiano: la dot-
trina della
conoscenza. In effetti la
sua
grande intuizione,
la sua "rivolu-
zione
scientifica",
riguarda proprio
la dottrina della
conoscenza. Con la
sua dottrina Kant cerca di conciliarele
opposte posizioni
dei
platonici
e
dei razionalisti da
una
parte,
e
degli
aristotelici
e
degli empiristi
dall'al-
tra.

con
questa
nuova dottrina della
conoscenza che Kant
cerca di usci-
re dal difficile
terreno in cui si
era lasciata
portare
la metafisica dei suoi
predecessori.
La rivoluzione
copernicana
nella dottrina della
conoscenza
Segno
distintivo della modernit la
soggettivit.
Da
questo punto
di
vista,
la rivoluzione
copernicana,
che
segna
il
primato
del
conoscere
rispetto
all'essere
e dell'uomo
rispetto
a Dio
(antropocentrismo),era
gi
in atto molto
prima
di Kant. Ma
prima
di
lui,
nella dottrina della
cono-
scenza la
rivoluzioneera soltanto
parziale:
il
soggetto, preposto all'og-
getto,
non veniva
ancora a condizionarela realt
dell'oggetto
stesso.
Cartesio, Locke, Hume
partivano
dal
soggetto
soltanto
per
verificare le
sue attitudini
e le
sue
possibilit
in ordine
all'oggetto.
La rivoluzione
copernicana
di Kant
non si limita
a ribaltare i
rapporti,
ma
assegna
al
soggetto
delle condizioni
o strutture trascendentali le
quali
oltre che ad
accoglierel'oggetto
contribuiscono anche
a modificarlo
profondamente:
operando
una sintesi
a
priori
tra le condizioni
(strutture) del
soggetto
e i
dati
dell'oggetto.
Su
questa
tesi basilareche
ogni
conoscenza una sintesi tra dati della
sensibilit
e condizioni a
priori,
Kant costruisce la sua straordinaria
e
ingegnosa
- talvolta anche forzatamente macchinosa - teoria della
cono-
scenza.
La RV si articola in tre
parti,
in
quanto
Kant fa
sua la tradizionaleri-
partizione
triadica delle facolt conoscitive dell'uomo:
sensi, intelletto,
ragione.
Esse
svolgono
tre distinte
operazioni: sensazione,
giudizio,
ragionamento.
Il
compito
che Kant
svolge
nel
suo
capolavoro

quello
di
dedurre
e analizzare le condizioni
a
priori
di
queste
tre
operazioni.
Ma
tutto strettamente subordinato al rasoio di
Occam,
il
quale prescrive
che
senza
esperienza
sensitiva
non si
possa
dare
nessuna conoscenza.
Kant:
metafisica
teoretica e
metafisica pratica
311
Ebbene,
tutta la ricerca di Kant si concentra
nella deduzione delle condi-
zioni a
propri
della sensibilit,
che
corrispondono
alle forme di
spazio
e
tempo;
dell'intelletto,
che
corrispondono
alle dodici
categorie;
e
della
ragione,
che
corrispondono
alle tre idee: anima,
mondo e Dio; e,
inoltre
nella verifica che si realizzi la sintesi tra i dati
dell'esperienza
e
le condi-
zioni a
priori.
La
prima
deduzione
forma
l'oggetto
dellEstetica trascen-
dentale;
la seconda
dellAnalitica trascendentale (la
quale
suddivisa in
Analitica dei concetti e
Analitica dei
principi)
e
la terza
della Dialettica tra-
scendentale.
Mentre Cartesio costruiva tutto il suo
edificiometafisico
sull'intuizio-
ne
intellettive e
la deduzione,
Kant esclude che l'uomo sia dotato di
intuizione
intellettiva e
gli
riconosce soltanto l'intuizionesensitiva;
cos
la sintesi a
priori
risulta
possibile
soltanto
nella sensazione e
nellintellet
_to;
mentre le idee
pure
della
ragione
restano
prive
di contenuti. Pertanto
la
ragione pu produrre
soltanto
degli
ideali, non
degli oggetti.
Gli intel-
ligibilirimangono sempre
delle forme vuote, poich
ad esse non
corri-
sponde
nessuna
realt.
Un
presupposto
fondamentale della
gnoseologia
kantiana
che
la
conoscenza
ha la funzione di informarel'uomo sul mondo che lo circon-
da. L'uomo non crea
il mondo ma cerca
di conoscerlo. L'uomo il
sog-
getto
conoscente;
il mondo,
la realt conosciuta. Il mondo fornisce i dati,
l'uomo con
le sue
facoltli
raccoglie
e
l ordina. Con le sue
facoltcono-
scitive l'uomo
opera
una
graduale
unificazione
dell'esperienza;
tale uni-
ficazione resa
possibileperch
esiste una
condizioneunificante
supre-
ma,
l'Io trascendentale. Si tratta
pertanto,
ovviamente
di una
unificazio-
ne
suprema
soggettiva
e non
oggettiva.
Il sistema metafisico kantiano
diviene
quindi
necessariamenteun
sistema
soggettivo
e non
oggettivo.
L ESTETICA TRASCENDENTALE
Per
comprendere
il
pensiero
di Kant benefamiliarizzarsisubito con
la distinzione
che
egli pone
fra trascendentale e
trascendente.
Per trascendentale Kant intende una
condizione
universale a
priori
sotto la
quale
soltanto le cose
possono
diventare
oggetti
della nostra co-
noscenza
in
generale.
Come
agevole
notare,
la nozione kantiana di
trascendentale si allontana
considerevolmente
da
quella
classica e me-
dievale,
secondo cui trascendentale ci che
compete
a
qualsiasi
ente in
quanto
ente,
cio le condizioni cui deve sottostare
qualsiasi
cosa
per
esi-
stere.
Per
Kant, invece,
trascendentale ci che
compete
a
qualsiasi
esse-
re in
quanto
conosciuto,
cio le condizioni cui deve sottostare
qualsiasi
oggetto per
essere conosciuto;
in altre
parole,
le formalit incluse in
qualsiasi
conoscenza.
i
Per trascendente Kant intende ci che
oltrepassa qualsiasi esperienza,
ci che esiste fuori di
ogni esperienza,
cio la cosa
in
s,
il noumeno.
312 Parte terza
Mentre il trascendentale incluso in
ogni esperienza come suo ele-
mento formale,
il trascendente escluso da
qualsiasi
esperienza.
Anche
per
la filosofiaclassica il trascendente ci che
supera,
che al di
sopra
di
ogni esperienza. Ma,
per
la filosofia
classica,
questa
realt
non la
cosa in
s, ma Dio.
La
prima parte
della Critica della
ragion
pura,
l'estetica
trascendentale,
ha lo
scopo
di studiare come la matematicae la
geometria
siano
possibili
(che siano
possibili
un fatto fuori
discussione).
Kant
muove dalla
constatazione che la
matematica e la
geometria
sono costituite da
conoscenze universali che hanno carattere
intuitivo;
per
accertarnela
possibilit
necessario
spiegare l'origine
di tali univer-
salit e intuitivit. Esse
nascono dal fatto che la mente dell'uomo dota-
ta di due forme a
priori
aventi
precisamente
le caratteristiche dell'uni-
versalit
e dell'intuitivit:
sono le forme di
spazio
e
tempo,
e
vengono
apposte
a tutte le
conoscenze della matematicae della
geometria.
Vediamo
come Kant
spiega questo processo
di
sovrapposizione
e co-
me
giustifica
la
priorit
delle due forme.
La sensazione
unintuizione, cio consiste nella
percezione
immedia-
ta
dell'oggetto
come
appare,
e avviene nel modo
seguente:
fuori c' la
cosa, l'oggetto
che
stimola
i sensi. I sensi esterni
raccolgono gli
stimoli
sotto la forma di
spazio
per
cui
ogni
sensazione esterna
appare
estesa.
I sensi interni
raccolgonogli
stimoli sotto la forma di
tempo, per
cui
ogni
sensazione
occupa
un
posto
nel
tempo:
la sintesi dei dati sensoriali
(mate-
ria), sotto le forme di
spazio
e di
tempo,
d
come risultato il
fenomeno.
Kant sostiene che l'intuizionesensitiva l'unica forma di intuizione
di cui dotato l'uomo. Dio ha
unintuizione
intellettuale, ma l'uomo no:
la mente umana non in
contatto con
l'oggetto
mediante
l'intelletto,
_
bens mediante i sensi.
Si
pu
notare una
conseguenza importantissima
della concezione kan-
tiana della
conoscenza: essa viene
posta
tra due termini entrambi in s sco-
nosciuti e inconoscibili:il
soggetto
in s e
l'oggetto
in s. Noi non
possia-
mo conoscere n
l'oggetto
n il
soggetto quali
sono in
se stessi;
li conosci a-
mo unicamente rivestiti dalle condizioni trascendentali della
conoscenza.
La sola realt conosciuta in
se stessa la funzione del
pensiero, indipen-
dentemente dal
soggetto
che lo
produce
e
dall'oggetto
cui si riferisce.
Percepiamo
il
fenomeno, cio la cosa in
rapporto
a noi, entrata in noi
e non
pi
in
s;
la
cosa in se non conoscibile
ma solo
pensabile,
cio
nonmeno.
Perch
spazio
e
tempo
non sono
prodotti dall'esperienza
ma sono condizioni
a
priori
di
qualsiasi esperienza?
-
Qualsiasi sensazione che si riferisca
a
qualche
cosa di esterno
pre-
suppone
la
percezione
dello
spazio;
il
tempo,
a sua Volta,

presente
in
tutte le intuizioni:
non si
pu
conoscere la coesistenza
e la successione di
due cose senza la
percezione
del
tempo.
Kant:
metafisica
teoretica e
metafisica pratica
313
- Non si
pu percepire
lo
spazio
attraverso un
processo
di
astrazione,
perch
lo
spazio
non
un'immagine
n
completa
n schematica di alcun
oggetto
esterno: non esiste alcun
oggetto
nel mondo esteriore che si
pos-
sa
chiamare
spazio.
La medesima osservazione vale
per
il
tempo.
Inoltre
spazio
e
tempo
sono
qualcosa
di
illimitato,
che
non
pu
essere
racchiuso
in
un concetto.
Spazio
e
tempo
non sono
prodotti dall'esperienza
e
nep-
pure
concetti.
Non esiste allora altra alternativa che considerare
spazio
e
tempo
forme a
priori,
forme della nostra
mente,
schemi in s
vuoti,
presenti
in
qualsiasi esperienza
e
che si rendono
percettibili
nell'attoin cui formano
un contenuto
empirico.
Lo
spazio
niente altro che la forma di tutto ci che
percepito
dal
senso esterno>>.3
Il
tempo
non altro che la forma del
senso interno,
cio dellintui-
zione di noi stessi e
dei nostri stati interni,31
Posti
questi principi
circa la natura dello
spazio
e
del
tempo,
Kant
trae la conclusioneche la matematicae la
geometria
sono scienze valide
in
quanto
sono costituite da
proposizioni
universali ed estensivo della
nostra conoscenza. Kant mostra che l'universalit
possibile, provando
che
spazio
e
tempo,
elementi che
accompagnano
tutte le
proposizioni
matematiche
e
geometriche,
sono
forme
a
priori
e
quindi
universali.
Quanto allestensivit,
Kant la
prova
indirettamente,
mostrando
come non sia
possibilescoprire
le
proposizioni
matematichee
geometri-
che
Con
la
semplice
analisi dei
concetti; esse
richiedono l'uso dei
sensi,
i
quali
soli, e non l'intelletto,
hanno la
propriet
di fornirci nuove infor-
mazioni. Tra i vari
esempi
addotti come
prova
ne
ricordiamo due: senza
l'uso dei
sensi,
cio con
la sola analisi dei
concetti, non sarebbe
possibile
scoprire
la
proposizione
che su una
superficie piana
non
pi
di due
linee rette
possono
incrociarsi ad
angolo
retto in un
medesimo
punto;
senza l'uso delle
cinque
dita
o senza
qualche
altro simile artificio non
possibileapprendere
la
proposizione
che sette
pi cinque

uguale
a
dodici.
UANALITICA TRASCENDENTALE
Kant inizia YLIYMCH trascendentale
precisando
la distinzione tra sensa-
zione e
giudizio.
Sensazionee
giudizio
sono due
operazioni
distinte: l'una
produce
intuizioni,
l'altro
produce
concetti. Tuttaviaessi non sono
sepa-
rabili.N i concetti senza
le
intuizioni,
n le intuizioni senza
i concetti
e39,
C33
W7C
.<.<
"53"?
3000>9!
314 Parte terza
fanno conoscenza. (...)
I concetti senza le intuizioni
sono vuoti e le intui-
zioni senza i concetti sono
ciechivfi?
Nonostante
questa esigenza reciproca
la distinzione tra concetto e
intuizione, tra
giudizio
e sensazione tale che essi non
possono
mettersi
in contatto senza un tramite.
Questo
compito spetta all'immaginazione
0 fantasia,
che inizia l'uni-
ficazione delle intuizioni associandole;
l'associazioneViene condotta se-
condo
quattro
schemi fondamentali:
quantit, qualit,
relazione,
modalitfi
NellznalitcaKant si
propone
di
provare
"come" le scienze
sperimen
tali, e
soprattutto
la
fisica, siano valide. Il
problema
,
dunque,
il
seguen-
te: Come
possibile
conoscere a
priori
che il
campo
dell'esperienza
con
tutti i suoi avvenimenti
presenti
e futuri
sottoposto
a una necessaria
conformit alla
legge?>>.34
Ossia, come sono
possibili
le
leggi
della natu-
ra,
della fisica?
Esse sono
possibili
solo
quando
sia il
soggetto
a
dettarle alla natura e
quando riguardino
non la natura in
se stessa,
ma la natura come
appare
(cio
la natura fenomenica).
Se le
leggi
non venissero dal
soggetto,
ma
dall'esperienza,
non
po-
trebbero mai rivestire carattere universale;
d'altra
parte, l'imposizione
delle
leggi
alla natura sarebbe
impossibile
se
per
natura s'intendesse il
mondo delle
cose in s.
Il
problema, quindi,
di come sia
possibile
una scienza fisica non co-
nosce
che
una soluzione:
essa
possibileperch
l'intelletto
impone
le
sue
leggi all'esperienza.
Si
tratta, ora,
di vedere
quali
siano le
leggi
dell'intelletto e come esse
si
applicano all'esperienza.
L'attivit dell'intelletto secondo Kant
non consiste
nell'intuire, ma nel
riflettere
e nel
giudicare;
non
spetta
all'intelletto
apprendere
nuovi
0g-
getti, ma,
riflettendosulle intuizioni
acquisite
dai sensi e associate dalla
fantasia,
l'intelletto deve
giudicare
il modo secondo cui una certa
pro-
priet appartiene
a un determinato
oggetto.
Come
possibile
conoscere tale
appartenenza?
Ci non avviene in
forza
dell'esperienza, perch
i
giudizi
formulati in base
all'esperienza
sono
sempre particolari,
cio sintetici a
posteriori.
Uintelletto
pu
for-
marsi
giudizi
universali
imponendo all'esperienza
condizioni universa-
lizzatrici: le
categorie.
Secondo
Kant,
il
giudizio
avviene con la
sovrap-
posizione
di
una o
pi categorie
all'associazionedi
un
predicato
con un
soggetto.
Cos,
per esempio,
il
giudizio gli
italiani sono bianchi
acqui-
sta valore universale
quando venga
investito della
categoria
della tota-
lit: allora si
potr
dire tutti
gli
italiani
sono
bianchi.
32)
RV,pp.108-109.
33) RV,
pp.
188-189.
34) l.
KANT,
Prolegorrzeni
ad
ogni metafisicafiztura, par.
17.
Kant:
metafisica
teoretica e
metafisica pratica
315
Stabilitoche l'attivit dell'intelletto risiede nel
giudizio,
e
che il
giudi-
zio consiste nel
sovrapporre all'esperienza
condizioni
(categorie)
uni-
versalizzatrici,
Kant si chiede
quali
e
quante
siano le
categorie. Egli
ritie-
ne di
poterne
stabilire il numero
in base ai diversi
tipi
di
giudizi.
Esistono, a suo avviso,
dodici
specie supreme
di
giudizi; quindi,
le cate-
gorie
(o
condizioni universalizzatrici dei
giudizi)
sono dodici,
cos
distribuite: tre nello schema della
quantit
(unit,
molteplicit,
totalit);
tre nello schema della
qualit
(essere, non
essere,
limitazione); tre nello
schema della relazione
(sostanzia-inerzia, causalit-dipendenza,
comu-
nanza-reciprocit)
e tre nello schema della modalit
(possibilit-impossi-
bilit,realt-irrealt, necessit-contingenza).
Collegando
le
categorie
ai loro
rispettivi giudizi
si ottiene il
quadro
seguente
SCHEMI GIUDIZI CATEGORIE
Nello schema della
singolari
unit
quantit (ampiezza particolari molteplicit
del
soggetto)
universali totalit
Nello schema della affermativi essere
qualit
(della
copula) negativi
non essere
indefiniti limitazione
Nello schema della
categorici
sostanza-inerenza
relazione
(tra
predicato ipotetici causalit-dipendenza
e
soggetto) disgiunfivi comunanza-reciprocit
Nello schema della
problematici possibilit-impossibilit
modalit
(della copula)
assertori realt-irrealt
apodittici necessit-contingenza
Ogni categoria opera
secondo
un suo
principio; per esempio,
la cate-
goria
della sostanza-inerenza
opera
secondo il
principio:
in
qualsiasi
cambiamentola sostanza rimane
immutata;
la
categoria
della causalit-
dipendenza opera
secondo il
principio:
tutti i cambiamenti
avvengono
secondo la
legge
del nesso di causalit.
Le
categorie
e i
principi
che
ne
regolano
l'uso,
soprattutto
il
principio
di
causalit, non sono
prodotti dall'esperienza,
ma sono condizioni a
priori
di
qualsiasi esperienza.
Contro
Hume,
Kant sostiene che le
categorie
e i
principi, soprattutto
il
principio
di
causalit, non sono
il risultato di un'abitudine
prodotta
dall'esperienza.
316 Parte terza
Sono ben
lungi
daliafferrnareche
questi
concetti
sono
prodotti
dal-
l'esperienza
e
che la necessit che li caratterizza solo
immaginaria,
una
pura
illusionefatta
sorgere
in noi dalPabitudine. Ho invece
dimostrato
ampiamente
che essi hanno
origine
a
priori.
Cio
prima
di
qualsiasi esperienza,
e
che hanno valore
oggettivo;
sebbenesolo entro
i limiti
dellesperienza>>.35
Sebbeneabbiano
origine
a
priori, categorie
e
principi
hanno nondime-
no valore
oggettivo;
anzi
sono essi a dare valore
oggettivo
alla cono-
scenza, accompagnandola
sempre
come condizioni universalizzatrici
della medesima.
La validit
oggettiva
delle
categorie dipende
dal fatto Che,
per quan-
to
riguarda
la forma del
pensiero,
solo
per
mezzo loro che
l'espe-
rienza diviene
possibile.
Esse si riferiscono necessariamente e a
priori agli oggetti dell'espe-
rienza, perch
solo
per
mezzo loro
pu qualsiasi oggetto dell'espe-
rienza
essere
pensato.36
Le
categorie
e i
principi
si
applicano
sono ai fenomeni
e non alle cose
in s.
Se non si riferiscono
agli oggetti dell'esperienza
ma alle
cose
in se
stesse (noumcno)
non hanno
nessun
significato.
Esse
servono,
per
cos
dire,
per
decifrare i
fenomeni,
perch
li
possiamo
considerare come
parte dell'esperienza.
l
principi
cui esse danno
origine applicandole
al mondo sensibilehanno valore
puramente empirico.
Se si va oltre
l'uso
empirico
diventano combinazioni
arbitrarie, senza realt
ogget-
tiva.37
Le
categorie,
considerate
a s
stanti, non costituiscono
conoscenza;
da
sole
sono forme vuote e
incapaci
di offrire il concetto di
qualsiasi oggetto.
Per dare
origine
a un concetto di
un
oggetto
necessitano di
qualche
intui-
zione sensibile. La loro funzione consiste nel determinare
giudizi
em-
pirici
che altrimenti resterebbero indeterminati
(...) e
dar loro validit
universale>>fi8
Da
questa
teoria sulle
categorie
e
sul loro
valore, Kant trae la conclu-
sione che la
fisica
valida
come scienza dei
fenomeni
e non come scienza delle
Cose in s: Tutti i
principi
sintetici a
priori
non sono altro che
principi
che
riguardano l'esperienza
e non
possono quindi
mai essere attribuiti
alle
cose in
se stesse, ma solo ai fenomeni come
oggetto dell'esperienza.
35) Ibid,
par.
27.
35) RV,
p.
149.
37)
l.
KANT,
Prolegomeni ...,
cit.,
par.
30.
35) 111111.,
par.
39.
Kant:
metafisica
teoretica e
metafisica pratica
317
Quindi
la scienza della natura non
pu
avere
altro
oggetto
che i fenome-
ni.39 La fisica una
scienza
perch
ha tutti e
due i Caratteri della cono-
scenza scientifica: l'universalit e
la novit. Uunivcrsalit dovuta alle
intuizioni sensibili.I
giudizi
che
esprimono
le
leggi
della fisica sono
giu-
dizi sintetici a
priori.
Fin
qui
Kant, con le forme di
spazio
e
di
tempo,
ha
spiegato
Punifica-
zione dei dati
empirici
nellntuizionesensitiva, e con
le dodici
categorie
ha
spiegato
l'unificazione
degli
stessi dati nel
giudizio.
Per
egli
stesso
rileva che la nostra conoscenza non
composta
di elementi
separati
l'uno
dall'altro, ma un tutto unitario. Che cosa rende
possibile
tale uni-
ficazione
superiore?
Quale
altra condizionetrascendentale
occorre
postulare,
oltre le forme
e
le
categorie?
La condizione
suprema
unifica-
trice di tutta la nostra
esperienza, presupposta
da
qualsiasi esperienza,

l'io trascendentale. Infatti,
che
cosa
lega
tutte le mie
rappresentazioni?
Il
fatto che tutte
possono
essere
riferite ad un io.
L'io-penso
deve
poter
accompagnare
tutte le mie
rappresentazioni
(...)
poich
le
molteplici rap-
presentazioni
che
sono
date in
una
determinata intuizionenon
sarebbe-
ro tutte le mie
rappresentazioni,
se non
appartenessero
tutte a un'auto-
coscienza.
(...)
Altrimenti avrei un i0 tanto vario e
multicolore
quante
sono
le
rappresentazioni
che ho.4
La coscienza della continuata dell"'iclentit" dell'io e definita da Kant
"appercezione
trascendentale".
Nellappercezone,
l'io
trascendentale,
come le forme
a
priori
e
le
categorie,
non si
manifesta
mai
solo, ma sem-
pre
come
elemento costitutivo di
qualche esperienza; perci
l'io trascen-
dentale
quale
che sia in se stesso rimane inconoscibile.
Nell'iopenso
l'uomo conosce se stesso non
quale
, ma
quale appare.
Conosce se stes-
so, cio, come conosce
tutti
gli
altri
oggetti,
come
semplice
fenomeno.
Con tale concezione
dell"io-penso",
Kant ha tentato una soluzione
intermedia tra Cartesio e Hume. Cartesio aveva
affermato che l'io
conoscibileimmediatamente
e in s: Hume aveva sostenuto che l'io
un'idea
fittizia, una
pura
illusione. Kant ammette con Cartesio la realt
dell'io, ma ne esclude, con Hume,
la conoscenza in s.
Al termine dellfiznalitica,
Kant affronta il
problema
della cosa
in se o
noumeno (o
oggetto
trascendentale).
Sulla natura del noumeno
egli
ha la-
sciato due dottrine sensibilmentediverse.
Nella
prima
edizione della Critica della
ragion
pura
Kant scrive che il
noumeno inconoscibile
quanto
alla
sua natura, perch
si manifesta a
noi solo con le sovrastrutture delle forme a
priori;
la
sua esistenza
per
e
indiscutibile,
perch
senza il noumeno non ci sarebbe
neppure
il feno-
meno.
Il
noumeno causa del
fenomeno,
perci
se esiste il fenomeno
esiste anche il noumeno.
39) lbid.,
par.
30.
40) RV,
pp.
135 ss.
318 Parte terza
Tutte le nostre
rappresentazioni
vengono
in realt dallntelletto rife-
rite a un
qualche oggetto
e
poich
i fenomeni non sono altro che
rap-
presentazioni,
Yintelletto li riferisce a
qualche
cosa come
oggetto
del-
lintuizione
sensibile, ma
questo qualche
cosa in
quanto
tale
non se
non
l'oggetto
trascendentale. Il
quale significa
un
semplice
X di cui
non
sappiamo
nulla e di cui
(per
la
presente
costituzione del nostro
intelletto)
nulla
possiamo
assolutamente
sapere,
ma che
pu
servire
soltanto
come un correlato dell'unit
dellappercezione
a
quell'unt
del
molteplice
dellntuizionesensibile
per
mezzo della
quale
l'intel-
letto unificail
molteplice
nel concetto d'un
oggetton.
Alloggetto
trascendentale si attribuisce la funzione di
essere
il sub-
strato dei
corpi
materiali
empiricamenteconcepiti.
Nella seconda edizione Kant scrive che il
noumeno non deve essere
considerato
qualche
cosa di esistente di cui
non si
conosce la
natura, ma
un concetto
negativo,
un concetto limite
(Grenzhcgrfi)
che circoscrive le
pretese
della sensibilit. Il
noumeno ci che
non costituisce
oggetto
della nostra intuizionesensibile.
LA DIALIFIICA TRASCENDENTALE
Nella dialettica trascendentale Kant studia il funzionamento della ra-
gione
al fine di determinare le
possibilit
della metafisica.
L'attivit della
ragione,
secondo
Kant,
consiste nellunificare col
raziocinio tutta
l'esperienza
sotto alcune idee fondamentali.
Quali?
Il raziocinio
pu
essere
categorico, ipotetico
e
disgiuntivo;
a ciascuna
forma di raziocinio
corrisponde
un'idea,
che costituisce la condizione
trascendentale della sua
possibilit.
Al
sillogismocategorico corrispon-
de l'idea del
soggetto completo
(sostanziale): l'anima;
al
sillogismoipo-
tetico
corrisponde
l'idea della serie
completa
delle condizioni:il
mondo;
al
sillogismo disgiuntivo corrisponde
l'idea di
un insieme
perfetto
di
tutti i concetti
possibili:
Dio.
Le idee fondamentali che unificano tutta
l'esperienza
da tre
punti
di
Vista diversi sono: anima, nzorzdo, Dio.
L'idea dell'anima
rappresenta
la totalit
dell'esperienza
in
rapporto
al
soggetto;
l'idea del mondo
rappresenta
la medesima totalit in
rap-
porto agli oggetti
fenomenici;
l'idea di Dio la
rappresenta
in
rapporto
a
ogni oggetto possibile
interno o esterno.
Kant ricava l'esistenza di
queste
tre idee dalle varie
specie
di razioci-
nio della mente umana.
41} RV,
pp.
176-177.
Kant:
metafisica
teoretica e
metafisica pratica
319
Le idee di
anima,
mondo
e Dio, non
sono,
come aveva
ritenuto
Hume,
delle abitudini. Esse non nascono
dall'esperienza,
la
precedono:
sono
le
condizioni a
priori
dell'unit
dell'esperienza.
Perci tali idee non sono
neppure
rappresentazioni
delle cose in
s, come avevano
creduto Carte-
sio e i
razionalisti; esse uniscono
semplicemente
i concetti e non le cose.
La mente umana
tende naturalmente a credere che
esse
si riferiscano a
cose in
s;
tale credenza fondata
sullesigenza
metafisica dell'uomo,
l'esigenza
di
superare
i limiti della conoscenza
fenomenica.
Per
provarne
il valore
oggettivo,
trascendente, noumenico,
la
ragione
ha elaborato numerosi
argomenti,
che
per
sono
tutti o
errati o
inconclu-
denti; sono errati
gli argomenti
che
riguardano
l'anima e
Dio
(si
tratta di
argomentazioni
non dimostrative); sono
inconcludenti
gli argomenti
che
riguardano
il mondo (si tratta di antinomie).
L'anima
Gli
argomenti
con cui la
ragione
cerca
di
provare
che l'anima una
sostanza,
che
semplice,
razionale, ecc.,
sono
sillogismi
che
peccano
contro la
regola
secondo la
quale
non
si
pu
mutare la
supposizione
del
termine medio: sono
paralogismi.
Si
veda,
per
esempio, l'argomento:
ci
che
pu
essere
pensato
solo come
soggetto

una sostanza; ma
l'io
pen-
sante
pu
essere
pensato
solo
come
soggetto.
Quindi
l'io
pensante
una
sostanza.
chiaro che in
questo sillogismo
il termine
s0ggetto"
ha nelle
due
premesse
un
significato
diverso: nella
maggiore
indica l'io noume-
nico, trascendente;
nella minore indica l'io
fenomenico, trascendentale;
quindi
il
sillogismo

errato,
fallace.
Il mondo
Gli
argomenti
con cui la
ragione
cerca di determinare
l'origine
del
mondo
e
la
sua
natura sono
inconcludenti. Infatti ci sono
argomenti
di
eguale peso
a
favore
e contro la tesi che il mondo abbia
origine
nel
tempo,
che le
parti
di cui esso
composto
siano
semplici, ecc.;
Kant defi-
nisce
questi argomenti
contrastanti antinomie. A suo
parere,
le antinomie
sono
quattro
e
corrispondono
ai
quattro
modi:
quantit, qualit,
relazione
c
modalit. In forma schematica
appaiono
cos:
TESI: il mondo ha inizionel
tempo
Arttinomia della
quantit
ed limitatonello
spazio.
(limitata o illimitata)
ANTITESI: il mondo
non
ha
principio
nel
tempo
e non
ha limiti nello
spazio.
TESI:
non
ogni
sostanza
Antinomia della
qualit

composta
di
parti.
(semplice
o
composta)
ANTITESI: non esiste niente di
sempli-
ce
nel mondo.
320 Parte terza
TESI: oltre la causalit necessaria
delle
leggi
naturali esiste
Antinomia della relazione
una causalit libera.
(causalitnecessaria 0 libera) ANTITESI:
non c' nessuna libert,
ma tutto accade secondo le
leggi
di
natura.
TESI: nel mondo c' un essere
Antirzomia della modalit assolutamente
necessario,
(essere
contingente
0 necessario) come
parte
o come causa.
ANTITESI: n nel mondo n fuori del
mondo esiste
un essere necessario.
Argomenti inconcludenti,
dunque,
ed
errati,
perch
muovono
dal
presupposto
falso che si
possa
affermare
0
negare
qualche
cosa
del
mondo in
se stesso; e tale
,
per l'appunto,
il
presupposto
da cui
partono
i razionalisti
che,
giudicando
le forme
a
priori
idee innate della cosa in
s,
ritengono
di
poter
chiarire
quale
sia
l'origine
e
la natura del mondo.
Gli
argomenti
delle antitesi
sono
quelli degli empiristi
i
quali,
in
nome
dell'esperienza,
non si accontentanodi affermare che
non
possi-
bile
conoscere nulla
sull'origine
e
sulla natura del
mondo, ma
pretendo-
no
di
precisare
come
il mondo abbiacerte
propriet
e non altre.
Secondo
Kant,
lempirismo

legittimo
solo
come critica alle
pretese
del
razionalismo; ma
quando
invece
(come accade
per
1o
pi) lempiri-
smo diviene
esso stesso
dogmatico
a
riguardo
delle
idee, e
nega
accani-
tamente ci che fuori della sfera della
sua conoscenza intuitiva,
anch'esso cade allora nel difetto
dellimmodestia,
che
qui
tanto
pi
biasimevole,
in
quanto
viene recato cos un danno
irreparabile
all'inte-
resse
pratico
della
ragioneml
Dio
Lo studio dei limiti della
ragione speculativa
si conclude
con
l'esame
delle
possibilit
della
ragione
teoretica in ordine alla
conoscenza
di
Dio,
argomentoprincipe
di
ogni
metafisica.
Nella
impostazionegnoseologica
kantiana la soluzionedi
questo pro-
blema
gi segnata
in
partenza:
una
rappresentazione
di
Dio,
realt
supremamente intelligibile,

impossibilee,
pertanto,
anche
ogni
dimo-
strazione della
sua esistenza diviene inconcludente
e
invalida.
Ma,
allo-
ra,
a
che
cosa servono tutte
quelle
innumerevoli
argomentazioni
sia
a
priori
sia a
posteriori
che i metafisici
d'ogni tempo
hanno elaborato
per
mostrare che Dio esiste?
43) RV,
p.
527.
Kant:
metafisica
teoretica e
metafisica pratica
321
Kant
opera
una classificazionedelle
prove
che divenuta
classica,
riducendole
a tre
prove
fondamentali,denominate
ontologica, cosmologica
e
fisico-teologica
(detta anche
teleologica).
Vediamo
come l'autore della
RV formula
queste
tre celebri
prove
e come le decostruisce sistematica-
mente.
- Prova
ontologica
Come
sappiamo,
la
prova ontologica
e
quella
che dimostra l'esistenza
di Dio
partendo
dalla definizionedella sua essenza. Cos si definisce che
Dio il massimo
(id
quo
nzaius
cogitari nequit), l'infinito,
il
perfetto,
l'ente
necessario,
la sostanza ecc. e si conclude che
esiste,
perch l'infinito,
il
perfetto,
il
massimo,
l'ente
necessario,
la
sostanza esistono.
Ai
tempi
di Kant la
prova ontologica pi
in
voga
era
quella
che
parte
dalla definizione di Dio come ente assolutamente necessario ed a tale
dimostrazioneche
egli
muove le
sue critiche.
Kant ammette che l'uomo
pu
formarsi il concetto di
un ente asso-
lutamente
necessario, ma osserva immediatamenteche
questo
un concetto
puro
della
ragione,
cio una
semplice idea,
la cui realt
oggettiva
ben
lungi
dall'essere dimostrata
per
il fatto che la
ragione
ne abbia
bisogno.
Tale
idea, d'altronde, non fa altro che
accennare a
una Certa
compiutezza,
tuttavia
irraggiungibile,
e serve
propriamente
a limitare
l'intelletto,
pi
che ad estenderlo
a nuovi
oggetti.
Si trova
qui peraltro
la
seguente
stranezza e assurdit: linferenzada una data
esistenza in
generale
a una
qualche
esistenza assolutamente necessa-
ria sembra
essere
perentoria
e
corretta, ma d'altra
parte
tutte le condi-
zioni
dell'intelletto,
per
formarsi
un concetto di siffatta
necessit,
sono
completamente
contro di noi.43
Gi S.
Tommaso,
criticando il famoso
argomento
di S. Anselmo aveva
dimostrato che
questa
prova,
dal
punto
di vista
logico,
debole
e incon-
cludente: da
puri concetti,
che
non
fanno alcun riferimento all'esistenza
reale, analiticamentenon si
potr
mai dedurre l'esistenza attuale di
una
cosa,
essendoci
una
palese sproporzione
tra lantecedente
e
la conclusio-
ne. Questa
anche la sostanza della critica kantiana alla
prova ontologica.
Kant osserva che
l'appartenenza
necessaria di
un
predicato
a un
sog-
getto pu
essere sia
logica
sia reale. Per ci che necessario nell'ordine
logico
non diviene automaticamentetale anche nell'ordine reale. Cos
nell'ordine
logico
evidente che il
triangolo possiede
necessariamente
tre
angoli,
ma ci non
prova
l'esistenza di alcun
triangolo. Eppure,
os-
serva Kant,
43) RV,
pp.
618-619.
322 Parte terza
questa
necessit
logica
ha dimostrato una cos
grande potenza
di
illusioneche, una
volta formato un concetto a
priori
di una cosa

con-
cetto costituito in modo da dare l'illusionedi contenere
nella sua
sfera l'esistenza
- si creduto di
poter
dedurre da ci con
sicurezza
che,
in
quanto l'oggetto
di
questo
concetto tocca necessariamente l'e-
sistenza
a condizione, cio,
che io
ponga questa
cosa come
data
(come esistente)
verr
posta
altres necessariamente (secondo
la
regola
dell'identit)
la sua esistenza,
e
perci questo
ente sar esso
stesso assolutamentenecessariowtil
Kant osserva:
voi siete
gi
caduti in contraddizione
quando
avete
introdotto nel concetto
di una cosa
- che volete
pensare
esclusivamente
nella sua
possibilit
il concetto della sua esistenza,
sia
pure
celato sotto
altro nome>>.45 Nell'uso
logico
"essere non un
predicato
reale,
ossia
non un concetto di un
qualcosa
che
possa
aggiungersi
al concetto di
una cosa.
Essere
semplicemente
la
posizione
di una cosa,
o
di certe
determinazioni in se stesse. Nell'uso
logico
unicamente
la
copula
di un
giudiziow
Pertanto
quando
dico "Dio " non
affermo un
predicato
nuovo
del concetto di
Dio, e
dunque
il reale non
viene a contenere niente
pi
del
semplice possibile.
Cento talleri reali non
contengono
nulla
pi
di cento talleri
possibili
(...).
Riguardo
alla realt
l'oggetto
non
semplicemente
contenuto
in
modo analitico nel mio concetto, ma si
aggiunge
sinteticamente al
mio concetto (che
una
determinazionedel mio stato), senza tuttavia
che i cento talleri
pensati vengano
essi stessi minimamenteaccresciuti
da
questo
essere,
il
quale
al di fuori del mio concettowfi
Senonch nel caso
di
Dio,
lEssere
perfettissimo,
l'esistenza non
pu
essere
aggiunta
sinteticamente,
perch
Dio non
un contenuto sensibile,
ed al di l
dell'esperienza.
Kant conclude la sua
decostruzione dell'ar-
gomento
ontologico
dicendo che voler ricavare l'esistenza di Dio da
un'idea tracciata in modo del tutto arbitrario,
e cosa
affatto innaturalee
una
semplice
invenzionedella
sottigliezza
scolastica.
- Prova
cosmologica
Mentre
nell'argomento ontologico
si ricava l'esistenza di Dio dalla
definizione della sua essenza,
in uello cosmolo ico si assume come
.
- n
g
n u
punto
di
partenza
l'ente esistente
di fatto
un ente
peraltro
finito e con-
44) RV,
p.
620.
45) 12v,
p.
622.
46) RV,
p.
623.
47) RV,
p.
624.
48) RV,
p.
627.
Kant:
metafisica
teoretica e
metafisica pratica
323
tingente (per
questo
la
prova cosmologica
detta
prova
a
contingentia
mundi)

e si conclude alla realt attuale di
un ente assolutamente
neces-
sario. Ecco
come Kant riassume
questo argomento:
Se
qualcosa esiste,
deve esistere altres
un ente assolutamente
neces-
sario. Ma i0
stesso, almeno, esisto:
dunque
esiste
un ente assoluta-
mente necessario. La
premessa
minore contiene
un'esperienza;
la
pre-
messa
maggiore
contiene Villazioneda
un'esperienza
in
generale
all'esistenza
del necessario.
Quindi
la dimostrazione comincia
pro-
priamente
dall'esperienza,
ossia non condotta del tutto a
priori,
ontologicamente.
E
poich l'oggetto
di
ogni esperienza possibile
si
chiama
mondo,
la dimostrazionesuddetta viene
per questo
chiamata
la
prova c0srrz0l0gica>>s49
Kant riconosce
l'importanza
di
questa prova,
a
sostegno
della
quale
la
ragione speculativa
ha
dispiegato
tutta la
sua arte dialettica. E ricono-
sce inoltre, che diversamente dalla
prova ontologica, quella cosmologica
dispone
di
un
aggancio
iniziale con
l'esperienza,
l'ente
contingente;
senonch, a suo
giudizio,
tale
aggancio
non sufficiente
a liberare la
prova cosmologica
da
una
pesante ipoteca
nei confronti di
quella
onto-
logica. Infatti,
la
prova cosmologica
si serve di tale
esperienza
solo
per compiere
un unico
passo,
il
passo
cio che la conduca all'esistenza di
un ente
necessario in
generale. Quali
propriet
abbia tale ente non
pu
essere
insegnato dall'argomento empirico:
da
quest'ultimo piuttosto
la
ragione
si stacca
completamente,
per indagare
sulle tracce di
semplici
concetti,
quali propriet
in
generale
debba
avere un ente assoluta-
mente
necessario, ossia
quale
cosa tra tutte
quelle possibili,
contenga
in s le condizioni richieste
(requisita)
per
una necessit assoluta. La
ragione poi
crede di
trovare tali
requisiti
unicamente nel concetto di
un ente realissimo
(ens realissimmn) e conclude senz'altro: tale ente
l'ente assolutamente
necessariomm
Qui Kant descrive obbiettivamenteil
procedimento
della metafisica
costruita dal
basso, con
argomenti
a
posteriori (come le
cinque
vie di
S.
Tommaso),
la
quale
una volta dimostrata la realt del
primo Principio,
passa
alla delucidazionedei suoi
attributi, e lo fa
procedendo
deduttiva-
mente
pi
che induttivamente.
Contro
questo procedimento
Kant solleva due obiezioni. La
prima

che
esso cade
nuovamente nell'errore della
prova ontologica, perch
i
concetti "essere necessario" e ente realissimo"
non si
equivalgono e,
pertanto,
la deduzione dell'ente realissimo dal concetto di
essere neces-
sario
illegittima.
w) RV,
p.
648.
w) RV,
pp.
649-650.
324 Parte terza
La seconda obiezione la mancanza
di un
concetto "costitutivo" del-
l'essere necessarioffl
Questo
e soltanto un concetto
regolativi)
della
ragio-
ne: il marchio della necessit
posto
sull'esistenza in
generale
e non
la
rappresentazione
di un'esistenza
privilegiata.
L'oggetto
trascendentaleche sta alla base delle
apparenze,
e al
tempo
stesso il fondamento
per
cui la nostra sensibilitha certe condizioni
supreme piuttosto
che altre, sono e rimarranno
per
noi insondabili.
Senza dubbio la cosa stessa data ma
risulta
incomprensibile.
Un
ideale della
ragione pura,
peraltro,
non
pu
dirsi insondabiic, poich
non
pu
far valere alcun altro titolo della sua realt, se non
il
bisogno
della
ragione
di
portare
a
compimento,
mediante tale ideale,
ogni
unit sintetica. Di
conseguenza,
poich
esso non

neppure
dato come
oggetto pensabile,
non
pu
d'altronde dirsi insondabilecome
oggetto
pensabile;
tale ideale
piuttosto,
in
quanto semplice
idea,
deve trovare
una
sede e la sua
risoluzionenella natura della
ragione,
e
deve
quindi
poter
essere
indagato.
in realt,
la
ragione
consiste
proprio
nel fatto,
che noi
possiamo
rendere conto di tutti i nostri concetti,
opinioni
e
asserzioni,
sia in base a
fondamenti
oggettivi,
sia anche
quando
si
tratti di
semplici
illusioni
- in base a
fondamenti
soggettivim
Siamo di nuovo
all'arma micidialeche Kant non cessa
mai di brandi-
re:
il rasoio di Occam. L'assenza di dati
empirici
relativi alla realt di
Dio
impediscono
alla
ragione
umana
di dare contenuti alla sua
idea.
La
prova
fisico-teologica
Questa
la
prova
basata sull'ordine e
il finalismodella natura. Nella
metafisica
prekantiana
essa
figurava
tra le
prove
cosmologiche.
Kant ne
fa una
prova
distinta, perch quella
cosmologica
tratta dell'essere in
generale,
mentre
quella
fisico-teologica
si
occupa
dell'essere sotto un
aspetto particolare, quello
dell'ordine.
Appellandosi
ancora una
volta al "rasoio di Occam" Kant mostra
subito che anche
questa
ultima
prova
destinata al fallimento,
in
quanto
risulta
impossibile
alla
ragione provare
l'esistenza di un ente corri-
spondente
alla nostra idea trascendentale(di Dio).
Ecco la
vigorosa
dichiarazionedi Kant:
Dopo quanto
stato detto
sopra,
si
comprender
senz'altro,
che
rispetto
a
questa questione
ci si
pu
attendere una
soluzione assai
facilee
rigorosa.
In effetti, come
potr
mai essere data
un'esperienza,
la
quale
sia destinata a
risultare
adeguata
a un'idea? La
peculiarit
dell'idea consiste
appunto
nel fatto che ad essa non
potr
mai ade-
guarsi
una
qualsiasi esperienza.
L'idea trascendentale di
un
origina-
51) Cf. RV,
pp.
637-640.
52) RV,
p.
635.
Kant:
metafisica
teoretica e
metafisica pratica
325
rio ente necessario,
sufficiente
per
tutte le
cose,
cosi smisuratamente
grande,
cos sublimamente al di
sopra
di tutto ci che
empirico
(sempre
condizionato),
che da
un lato non si
potr
mai trovare abba-
stanza rnateria
nell'esperienza, per riempire
un
tale
concetto, e
d'altro
lato si
proceder sempre
a tastoni fra ci che condizionato,e si cer-
cher
sempre
invano
Fincondizionato,
di cui nessuna
legge
di una
qualsiasi
sintesi
empirica potr
mai fornirci n un
esempio
ne la mini-
ma indicazionem?
Secondo Kant la
ragione
si trova
qui
dinanzi alfalternativa:
0
l'ente
supremo
fa
parte
della catena delle
condizioni, e allora c necessaria
un'ulteriore
indagine riguardo
al suo
fondamento
superiore;
o si trova
fuori della
catena, e allora diviene
semplicemente intelligibile
ossia
un'idea
limite, un
principio regolativo
in
quanto ogni
sintesi e
ogni
estensione della nostra conoscenza in
generale,
non si fondano
su altro
se non
sull'esperienza possibile,
cio soltanto su
oggetti
del mondo sen-
sibile,e
possono
avere
significato
solo
riguardo
a
tali
oggett.54
Ma Kant sa
beneche la metafisica ha cercato di uscire da
questa
stret-
toia elaborando
un concetto di Dio che riunisce come in un'unica
sostanza
ogni perfezione possibile.
Tale concetto
adeguato
alle cate-
gorie
della nostra
ragione,
che
parsimoniosa
di
principi,
non sotto-
messo in se stesso ad alcuna
contraddizione; favorevole altres all'e-
stensione dell'uso della
ragione
nel
campo
della
esperienza,
servendosi
della
guida
fornita da
una
tale idea
verso
l'ordine
e
la
finalit; e
infine
non mai decisamente contrario ad alcuna
esperienza.55
Kant manifesta la
sua ammirazione
per questa prova:
Questa
dimostrazionemerita
sempre
di
essere esaminata con
rispet-
to. Essa la
pi
antica,
la
pi
chiara,
quella
massimamente
conforme
alla
comune
ragione
unzana. Essa rianima lo studio della
natura, e d'altra
parte
essa riceve la
propria
esistenza da tale
studio,
acquistando
cos
forze
sempre
nuove.
Essa riesce a mostrare fini e intenzioni,
l dove
la nostra osservazione non
li avrebbe
scoperti
da
s,
ed estende le
nostre conoscenze della
natura, guidandoci
con un'unit
peculiare,
il
cui
principio
al di fuori della natura.
Queste conoscenze, peraltro,
reagiscono
sulla loro
causa,
cio sull'idea che le ha
prodotte,
ed accre-
scono
la fede in un
supremo
creatore,
sino a trasformarla in una con-
vinzioneirresistibile.Sarebbe
quindi
non
soltanto
desolante, ma altre-
s del tutto inutile,
il voler sottrarre
qualcosa
all'autorit di
questa
dimostrazione. La
ragione
che si rafforza incessantemente mediante
argomenti
dimostrativi cos
potenti
(i
quali,
sebbene soltanto
empiri-
ci,
in essa si
potenziano
ancor
sempre)
non
pu
venir
scoraggiata
dai
53) RV,
p.
641.
54)
Ibia.
55) RV,
pp.
642-643.
326 Parte terza
dubbi di una
speculazione
sottile e astratta,
sino al
punto
di non
sapersi strappare
da
ogni
indecisione
cavillosa, come
da un
sogno:
alla
ragione
basta
gettare
uno
sguardo
alle
meraviglie
della
natura, e
basta ammirare la maest dell'universo
per
sollevarsi da
grandezza
a
grandezza
sino alla
pi
alta di
tutte, e
dal condizionatoalla condizio-
ne sino al creatore
supremo
e incondizionato.56
Ma nonostante
questo
solenne encomio sui
pregi
e sulle virt della
prova
fisico-teologica,
con
la sua
dottrina
gnoseologica
che
non
in
grado
di fornire dati
empirici
alle idee
ma
soltanto ai
concetti,
Kant non
pu
riconoscerle alcun valore teoretico. E cos si vede costretto a deco-
struire anche
questo argomento.
Ammettiamo
pure,
dice
Kant,
che ci sia un ordine intenzionale
impres-
so nelle cose e un'unit finale nell'universo: che
cosa se ne
pu
conclu-
dere immediatamente?Tutt'al
pi
l'esistenza di
un sublime
ordinatore,
un
"architetto del
mondo", ma mai di
un "creatore del
mondo";
ossia
l'esistenza di
un essere cui converr <<una
perfezione
molto
grande,
stra-
biliante, incommensurabile,ma mai necessariamente
quella perfezione
assoluta che lflmmitudo
realitatis,
che
propria
della divinit."
Per eliminare l'abissoche
separa
ancora 1immensit relativa delle
per-
fezioni intraviste dal lato
empirico,
e l'assoluto della
perfezione, appan-
naggio
dell'Essere
divino, non ci sarebbe che
un mezzo:
completare
la
prova
fisico-teologica, impotente
a elevarsi cos in
alto,
mediante la
prova
della
contingenza.
Ma si visto che la
prova
della
contingenza
suppone
anch'essa la
prova
ontologica.
Pertanto,
quest'ultima
e la base
comune
di tutte le dimostrazioni
possibili
dell'esistenza di Dio. lo
sostengo quindi
- conclude Kant che la dimostrazione
fisico-teologica
non
potr
mai da sola
provare
l'esistenza di
un ente
supremo,
e
che
piut-
tosto essa
dovr
sempre
lasciare l'incaricodi
integrare questa
deficienza
alla
prova ontologica
(cui essa serve soltanto da
introduzione). Di conse-
guenza,
io asserisco che la
prova
ontologica
contiene
pur sempre
l'unico
argomento possibile(quando
si ammetta che una dimostrazione
speculati-
va
possa
aver
luogo),
che
nessuna
ragione
umana
potr
trascurare.58
A
questo punto
Kant ha esaurito l'esame dei tentativi che si
possono
fare
per
attribuire l'esistenza attuale all'ldeale della
ragione pura.
Dal
punto
di vista
speculativo
sembrano tutti destinati al fallimento. Si deve
concludere che lldeale della
ragione

sprovvisto
di
ogni
valore?
Tutt'altro. L'ente
supremo
- scrive Kant nella
pagina
conclusiva della
Dialettica trascendentale - rimane un
semplice
ideale, ma un ideale senza
difetti:
un concetto
questo,
che conclude e corona tutta
quanta
la cono-
) RV,
p.
643.
7) Cf. RV,
p.
646.
s) RV,
p.
644.
U1
un
Kant:
nzetafisica
teoretica
e
metafisica pratica
327
scenza
umana, e
la cui realt
oggettiva
non
pu
certo venir dimostrata
per questa
Via, ma
neppure pu
essere confutata. E
se dovr esservi
una
teologia
morale,
che
possa integrare questa mancanza,
in tal
caso la teolo-
gia trascendentale,
prima
soltanto
problematica,
si dimostrer
indispensa-
bilemediante la determinazione del
suo
concetto, e mediante la conti-
nua censura rivolta a una
ragione,
che cos
spesso

ingannata
dalla
sen-
sibilit
e
che
non
sempre
si trova d'accordo
con le
proprie
idee.59
Da
questo passo
luminoso
emergono
due
insegnamenti. Primo,
che
l dove la metafisica
speculativa
non
pu giungere,
interviene la metafi-
sica
pratica
(la
teologia
morale)
che riesce a dare concretezza all'idea tra-
scendentale di Dio.
Secondo,
che la
teologia
trascendentale,
pur
fallendo
l'obiettivodi dimostrare l'esistenza di
Dio,
assolve a una
importante
e
legittima funzione,
quella
di dimostrare
l'impossibilit
di
negarla.
Senza
porre
atei e deisti alla
pari,
la
teologia
trascendentale
toglie ogni
fonda-
mento alla
pretesa degli
atei di dimostrare l'inesistenza di Dio. Infatti
le stesse
ragioni,
mediante cui viene chiarita
l'impotenza
della
ragione
umana
rispetto
alla asserzione dell'esistenza di
un tale
ente, sono neces-
sariamentesufficienti altres
per
dimostrare l'invaliditdi
ogni
asserzio-
ne contraria. Mediante la
speculazione
pura
della
ragione,
onde si
potr
mai desumere la convinzioneche
non esiste alcun ente
supremo,
come
fondamento
originario
di tutte le
cose,
oppure
che ad
esso non tocca
nessuna delle
propriet
da noi
rappresentate,
in base alle loro
conse-
guenze,
come
analoghe
alle realt dinamichedi
un ente
pensante?>>.60
La metafisica della
ragion pratica
Abbiamovisto
pi
volte che Kant rinvia alla
ragion pratica quei
com-
piti
metafisici
per
i
quali egli
considera la
ragion pura
del tutto inade-
guata.
Che la
ragion pratica,
cio la
morale,
possa
assolvere molto
meglio
della
ragion
pura (speculativa) compiti
metafisici e uno dei convinci-
menti
pi profondi
e
pi
radicati di Kant. D'altronde la
sua fede in
Dio,
nella immortalit dell'anima
e nella libert e
sempre
stata salda
e incon-
cussa. Ma
con una dottrina della
conoscenza,
che fa della sintesi a
priori
(tra
le
categorie
dell'intelletto
e i dati
dell'esperienza)
l'unico
procedi-
mento atto a conoscere le
cose,
delle verit attinenti il mondo
intelligibi-
le
non si
pu
ottenere nessuna conoscenza
speculativa.
Ma, come
sappiamo,
Kant ha ristretto le ambizionidel
sapere
(Wissen)
per
tutelare i diritti della fede
(Glauben),
che
per
lui anzitutto
una fede
morale
e solo secondariamente
una
fede
religiosa.
59) RV,
p.
657.
60) RV,
pp.
656-657.
328 Parte terza
Che cosa
posso
conoscere? Che cosa
debbo fare? Che
cosa
posso
sperare?; questi,
secondo
Kant, sono
i tre
grandi interrogativi per
i
quali
la
ragione
deve trovare
un'adeguata risposta.
Per Kant
l'interroga-
tivo basilare il secondo. Risolvendo
positivamente
il secondo,
implici-
tamente si d una
risposta positiva
anche al
primo
e
al terzo.
Per il filosofo di
Knigsberg,
la morale tutto: lui stesso l'incarna-
zione dell'ideale morale. Nella
prospettiva
kantiana,
l'uomo anzitutto
un essere
morale: un essere
responsabile
delle
proprie
azioni e
soggetto
alla
legge.
Per Kant essere
morale
significa
obbedirealla
legge,
una
legge
che l'uomo non riceve dall'esterno ma
che d a se stesso:
l'imperativo
cate-
gorico:
"obbedisci alla
legge per
la
legge
stessa e non
per
altro motivo".
L'obbedienza
altimperativti categorico
costituisce l'essenza della morale.
L'essenziale di
ogni
determinazionedella volont mediante la
legge
morale : che
essa come
volont liberae
quindi
non solo senza
il con-
corso
degli impulsi
sensibili,ma
anche
con
l'esclusione di tutti
quegli
impulsi,
e con
danno di tutte le
inclinazioni,
in
quanto possano
essere
contrarie a
quella legge, venga
determinata solo mediante la
leggem
Uimperativo categorico
trova una
formulazioneassai meno astratta e
meno urtante
quando
Viene tradotta da Kant stesso nella formula se-
guente: Agisci
in modo tale da trattare l'umanit sia nella tua
persona
che
negli
altri come fine e
mai come mezzomfi?
ossia tratta il tuo
prossi-
mo, qualsiasi prossimo,
come un
valore assoluto e non come uno stru-
mento
per
il
conseguimento
di altri fini.
Qui
non il caso
di
esporre
dettagliatamente
l'etica
kantiana,
un'etica
elaborata secondo il metodo della
ragion pura pratica,
e
che
quindi
nella
determinazione di cio che l'uomo deve fare non ricorre alle
pratiche
morali o alla
legge positiva,
ma cerca
di stabilirea
priori
le condizioni
supreme
della moralit. A noi interessano le
implicazioni
metafisiche
della morale kantiana che l'autoredella PV ha
magistralmente
enucleato
nei tre
postulati
della libert,
della immortalit e
dell'esistenza di Dio.
Mentre nei filosofi
precedenti,
che
separano
nettamente
la metafisica
dalla
morale, quest'ultima
si limitava a fissare le norme
dell'agire
uma-
no e restava dentro i confini ristretti di ci che l'uomo deve fare e deve
evitare
per
autorealizzarsi;
in Kant la filosofiamorale
svolge
anche un
compito squisitamente
metafisico:
quello
di dimostrare che libert,
immortalit dell'anima e Dio non sono
soltanto idee
regolatrici
del co-
noscere ma
idee di vere e
autentiche realt. Cos la
ragione
dalla sua
funzione
pratica svolge quel compito
metafisico che la
ragione specula-
tiva aveva
fallito.
b") Critica della
ragion pratica,
tr, di F.
Capra,
Bari, 1924,
p.
87.
52) PV,
p.
104.
Kant:
metafisica
teoretica e
metafisica pratica
329
LIBERT
La libert un
requisito
e un
presupposto
essenziale della
morale, e
poich
l'uomo un essere morale,
la libert
gli appartiene
come sua
pre-
rogativa
essenziale.
Questa
una verit che la filosofia aveva
acquisito
sin da
quando
Aristotele aveva scritto l'Etica Nicomaclzea.
Dopo
Aristote-
le,
Origene, Agostino,
Tommaso, Scoto,
Cartesio avevano cercato di for-
nire
prove
dell'esistenza della libert e
di chiarire la natura di
questa
complessa operazione.
Il discorso di Kant
riguarda pi
l'esistenza della
libert che la natura dell'atto libero.
Per
provare
l'esistenza della libert Cartesio era ricorso al1'autoco-
scienza ed
era
giunto
alla conclusioneche il fatto che vi sia libert nella
nostra volont e
che ad arbitrio
possiamo
assentire o non assentire a
molte
cose,
manifesto al
punto
che da
annoverare
fra le nozioni
pri-
me e affatto comuni che ci sono innate.63
Per Kant
questo argomento

invalido,
perch
tutto il
mondo, com-
preso quello
dell'Io inteso come fenomeno, sottost
rigidamente
alla
legge
della necessit.
Perci,
la libert non
pu
essere ricavata
dall'espe-
rienza ma va
dedotta dal mondo morale dimostrandoche
gli appartiene
necessariamentecome condizioneessenziale.
Ecco i
passaggi pi importanti delrargomentazione
della PV:
La necessit naturale,
la
quale
non
pu
coesistere con
la libert del
soggetto,
inerente
semplicemente
alle determinazioni della
cosa,
che sotto le condizioni del
tempo,
e
quindi
soltanto alle determina-
zioni del
soggetto agente
come fenomeno
(m).
Ma lo stesso
soggetto,
che d'altronde anche conscio di
s, come
di
cosa
in
s,
considera
anche la
sua esistenza,
in
quanto
essa non sta sotto le condizioni del
tempo,
e considera se stesso soltanto
come determinabilesecondo
leggi,
che si d mediante la
ragione
stessa, e
in
questa
sua esistenza
niente
per
lui anteriore alla determinazionedella sua v0lont.64
Ora,
come essere
ragionevole
e
quindi appartenente
al mondo
intelligibi-
le,
l'uomo non
pu
mai
pensare
la causalit della sua
propria
volont
altrimenti che sotto l'idea della
libert;
poich l'indipendenza
dalle
cause determinanti del mondo sensibile
(che
la
ragione
deve
sempre
attribuirsi) libert. Con l'idea di libert indissolubilmente
congiun-
to il concetto di
autonomia; con
questo
a sua volta il
principio
univer-
sale della
moralit,
il
quale
idealmente sta a fondamento di tutte le
azioni
degli
esseri
ragionevoli,
come la
legge
naturale sta a fondamen-
to di tutti i fenomeni.65
53) CARTESIO,
Principi
della
filosofia,
n. 39.
54) PV,
p.
116.
65) Fondamenti della
metafisica
dei
costumi, tr. A.
Volpicelli,
Firenze
1925,
p.
116.
330 Parte terza
In altre
parole,
la libert
impossibile
da
concepire
se viene conside-
rata alla
stregua
delle causalit naturali
empiriche
che
operano
secondo
necessit; ma se l'anima viene considerata come noumeno non
pi
sot-
tomessa a tale necessit e
pu
essere considerata come libera ed ci
che la morale
esige
a suo
fondamento
ossia,
secondo il
linguaggio
kan-
tiano, come suo
presupposto (Voraussctzung).
Talvolta Kant si
spinge
ancora
pi
in l e
afferma che la libert non
soltanto richiesta
come
presupposto
della
morale, ma anche rivelata
dalla realt della
legge
morale,
anche
se
impossibile
farsene
un concet-
to:
poich
la condizionedella
legge
morale, e attraverso il condizionato
(la
legge
morale) noi
possiamo
risalire alla sua condizione
(la libert).
In
una nota
importante
della Critica della
ragion pratica
Kant si difende dal-
l'accusa di cadere in un circolo
vizioso,
affermando
prima
che la libert e
la condizionedella
legge
morale e successivamente che la
legge
morale
la condizionesotto la
quale possiamo
diventare consci della
libert;
poi-
ch,
mentre
prima
la libert senza
dubbio la ratio essendi della
legge
morale,
l'evidenzadella
legge
morale diventa
poi
la ratio
cognoscendr
della
libert. Infatti
se la
legge
morale non
fosse
prima pensata
chiaramente
nella nostra
ragione,
noi non ci riterremmo mai autorizzatiad ammettere
qualcosa
come la libert. Ma se non ci fosse nessuna libert,
allora
non
si
potrebbe
neppure cogliere
in noi la
legge
morale. Si
potrebbe
dire
pertan-
to che
come la
legge
morale il
primum objectivum
della
ragion pratica,
cos la libert il
primum subjectivzcm,
ossia una
esigenza
della
legge".
Nella "osservazione critica" con cui conclude lAnaIitica della Critica
della
ragion pratica,
Kant insiste nel chiarire
l'originalit
della libert
come causalit
propria
dell'essere
spirituale
in
quanto
sottratto al
tempo
e
allo
spazio:
altrimenti cadrebbeanch'esso sotto la
legge
della necessit.
E
ancora: l'esistenza indiscutibiledella
legge
morale che
postula
la
libert del
soggetto,
il
quale
inteso ormai non
pi
come
fenomeno
con-
dizionato da
spazio
e
tempo
ma come noumeno. Si tratta
perci
della
libert
pratica",
che Kant intende in senso
negativo,
ossia come
l'indi-
pendenza
della volont da
ogni
altra
legge
eccetto che dalla
legge
mora-
le. Essa detta
perci
libert
trascendentale",
indipendente
da
ogni
rapporto
di
spazio
e
tempo,
cio da
ogni tempo empirico:
essa noume-
nale e
perci
inconoscibile.Il
suo
fondamento
appunto
trascendenta-
le in
quanto
senza
libert
non
possibileconcepire
una
legge.
Della
libert allora noi non abbiamon
possiamo
avere Conoscenza
n diretta
n indiretta:
essa,
cio la
sua esistenza,

postulata
dalla
legge
morale
che costitutiva del
soggetto
razionale.
6) PV,
p.
3, nota.
67) PV,
p.
110.
53) Per un ulteriore
approfondimento
del
pensiero
di Kant su
questo punto
cf. C. FA-
BRO, Riflessioni
sulla
libert,
Rimini 1983,
pp.
286-314.
Kant:
metafisica
teoretica
e
nzetafisica pratica
331
MMORTALIT DELUANIMA
La
Virt,
che Consiste nella
perfetta
osservanza
dellimperativo
cate-
gorico,
e il bene morale
incondizionato,ma non il sommo bene dell'uo-
mo: occorre
che al bene morale si
aggiunga
la
felicit.
Per
questo

un
traguardo irraggiungibile
in
questo
mondo,
dove
troppo spesso
tra bene
morale
e felicit c'
un
abisso
spaventoso.
Dal
bisogno
di realizzare la
perfezione
e cli
conseguire
il
sommo benee dalla
impossibilit
di realiz-
zarlo in
questa
vita, nasce la
fede
nella immortalit dell'anima
(secondo
postulato
della
morale),
che ci fa credere di continuare oltre
questa
vita il
progresso
verso la
perfezione,
e
di
raggiungere
la felicit. Ecco il
passag-
gio pi importante
della PV al
riguardo:
La volont determinabilemediante la
legge
morale ha
come
oggetto
necessario la realizzazionedel
sommo benenel mondo. Ma la condi-
zione
suprema
di
questo

Vadeguazione completa
dell'intenzione
della
legge
(m).
Ma
YadeguazioneCompleta
della volont della
legge
morale la
santit, una
perfezione
di cui non
capace
nessun essere
razionalenel mondo
sensibile,
eppure
l'uomo non solo
pu
ma deve
protendersi
in
questo perfezionamento
senza limiti, in
questo
sforzo
incessante all'osservanza esatta e Continua di
una
legge
razionale
inflessibile
e tuttavia reale come abbiamo
Visto; se cos non facesse la
legge
morale Verrebbe
negata.
Ma
questo progresso
infinito
possibi-
le soltanto
qualora
si
postuli
una durata indefinita dell'esistenza
e
della
personalit
dell'essere
razionale,
il che si chiama immortalit del-
l'anima>>.59
ESISTENZA DI D10
Il terzo e ultimo
postulato
della
ragion pratica
l'esistenza di Dio.
Questo
postulato
deriva
logicamente dagli
altri due. Infatti siccome
nulla nella natura
garantisce
l'unione di Virt e di
felicit,
necessario
postulare
l'esistenza di una causa del
mondo,
distinta dal mondo
stesso,
come
principio
della connessione di felicit
e di virt.
Questa causa
Dio. Ecco i
passaggi
fondamentali di
questa
dimostrazione:
Nella
precedente
analisi la
legge
morale ha condotto alla necessit
che l'elemento
primo
del sommo bene - la moralit - sia
completo
e
perci
al
postulato
della immortalit.
Appunto questa legge
conduce
alla
possibilit
anche del secondo elemento del
sommo bene,
cioe al
presupposto
dell'esistenza di
una delle cause
adeguate
a
questo
effet-
to necessario del
sommo bene
(...).
Infatti la felicit la situazione di
un essere razionale in cui tutto Va secondo il
suo desiderio
e i suoi
Voleri, e si fonda
perci
sulla condizioneche il
complesso
dei suoi fini
e il motivo determinante della
sua volont coincidano con la natura.
69) PV,
pp.
146-148.
332 Parte terza
Ora,
la
legge
morale comanda in virt di motivi che devono essere
del tutto
indipendenti
dalla natura (...).
Dunque,
nella
legge
morale
non Vi nemmeno
il fondamentodi una connessione necessaria tra la
moralit e la felicit
proporzionata
a
questa. Eppure
nel
problema
pratico
della
ragione
una Connessione siffatta viene
postulata
come
necessaria (...).
Dunque
soltanto in
quanto
si ammette una natura
suprema capace
di
una
causalit
adeguata
alla sua intenzione morale,

possibile
il sommo benenel mondo. Ma un essere che sia
capace
di
agire
secondo la
rappresentazione
della
legge,

un'intelligenza,
e
la
causalit che
un essere
cosiffatto determina mediante la
rappresenta-
zione della
legge
la sua volont.
Dunque,
la
causa
suprema
della
natura un essere che,
in virt del suo intelletto e della sua volont,
e
la causa e
perci
l'autoredella
natura,
cio Dio.
Quindi
postulare
la
pos-
sibilitdel sommo bene derivato (cio
la massima bont dell'uomo)
significa postulare
insieme la realt di
un sommo bene
originario
e
cio DO>>.7
VALORE EPISTEMOLOGICODEI POSTULATI
Nella PV Kant ritiene di riuscire non solamente a dedurre tre ideali,
idee
supreme regolative
della
ragione,
come aveva
gi
fatto nella RV ma
anche di dimostrare la loro effettiva esistenza. Per a
queste
tre verit
egli
d il nome di
postulati
e non
di asserti evidenti,
oggettivamente
incontestabili.Perch Kant chiama la
libert,
la immortalit dell'anima e
Yesistenzadi Dio
postulati?
Il
postulato
essenzialmente
per
lui un elemento teorico
implicato
in
un'azione. Lelemento teorico
postulato
non
porta
con s la
garanzia
oggettiva
di unintuizione: altrimenti sarebbe
pi
che
un
postulato.
D'altra
parte,
esso
deve avere almeno il valore
speculativo
di
un noume-
no
negativo
(di un
oggetto "problematico)
e
rispondere dunque
a un
bisogno
della
ragione,
altrimenti il suo valore teorico sarebbe nullo. Il
postulato
nasce
dalla coincidenza d'una
esigenza (ipotetica)
della
ragio-
ne
speculativa
con
un'esigenza
(assoluta)
della
ragion pratica.
Un biso-
gno
della
ragion pura
nel suo uso
speculativo
conduce soltanto a
ipotesi,
ma
quello
della
ragion pura pratica
a
postulatiwl
I
postulati,
senza riuni-
re in s le condizioni essenziali di
un
"oggetto,
ricevono
tuttavia,
in
virt di una necessit
oggettiva
ineluttabile,
quella
del dovere da
compiersi,
una
oggettivit
indiretta e nzutzaatafi
propria
delle condizioni
oggettive
sotto cui la nostra
ragione pu giudicare possibile
il
compi-
mento del dovere.
70) PV,
pp.
149-150.
71) PV,
p.
169.
72)
Cf.
PV,
pp.
158 ss.
Kant:
metafisica
teoretica e
metafisica pratica
333
A
questo punto
Kant
pu
affermare che le idee trascendentali
diventano immanenti" e costitutive,
perch
sono
principi
della
possibi-
lit di realizzare
l'oggetto
necessario della
ragion pura pratica
(il
sommo bene),
giacch
senza di
ci, sono
principi
troscendenti e sem-
piicemente regolativi
della
ragione speculativa,
i
quali
le
impongono,
non di ammettere un nuovo
oggetto
oltre
l'esperienza,
ma soltanto di
avvicinarealla
perfezione
il
suo uso
nell'esperienza?
Le idee trascendentali,
postulate dallimperativ0categorico,
non sono
pi
soltanto
regolative delragire
morale, ma,
secondo
Kant, sono
real-
mente costitutive
dell'oggetto
necessario della
ragione pratica, perch
esse
prendono posto
tra "i
principi
della
possibilit
interna
dell'oggetto
del dovere.
Su
queste
tre verit:
libert, immortalit, Dio,
la
ragione pratica
non
usufruisce di
una
maggiore
evidenza della
ragion speculativa, poich
non
dispone
di alcuna intuizionedel mondo
intelligibile,
ma
gode
certa-
mente di una
assouta
certezza, a cui
corrisponde
la
fede
morale.
Dunque,
persuasione pratica
(sono
soggettivamente persuaso
che
sono libero,
che Dio esiste e
che l'anima immortale) e non dimostrazionerazionale
valida
oggettivamente".
La
"teologia
trascendentale autorizzasolo la
teologia
morale
e non
la
Teologia
naturale" o
"razionale.
La metafisica nella Critica del
giudizio
Ci che Kant si
propone
nella terza critica,
la Critica del
giudizio
(Kritik
der
Urteilskraft
= UK) la elaborazione di
una
dottrina trascendentale
del bello e del
gusto
estetico, e
pi precisamente
una teoria trascenden-
tale intorno ai
giudizi
estetici. Si tratta di
giudizi soggettivi,
come
pensa-
no
i
pi,
o reclamano, invece,
anch'essi una
validit
oggettiva,
e
quale?
A noi
qui
non interessano i
dettagli
della
complessa
elaborazione
kantiana della filosofia
dell'arte, ma intendiamo solo
cogliere gli ingre-
dienti metafisici che Kant dissemina
lungo
la sua trattazione.
Come
sappiamo,
diversamente dalla filosofiatradizionaleche attribui-
va all'uomo soltanto due facolt
spirituali,
la
ragione
(intelletto) e la
volont,
Kant
gliene
accredita
tre,
aggiungendo
il sentimento. In
ognuna
di
esse,
secondo
Kant,
l'uomo vive la sua
esigenza
metafisica, ma
lo fa
con
vario successo. L'esito della
ragione speculativa
essenzialmente
negati-
vo;
invece
quello
della
ragion pratica
sostanzialmente
positivo.
Bench
non sia in
grado
di formarsi dei concetti di
libert,
di anima immortale
e
di
Dio,
la
ragion pratica acquista
un'assoluta certezza della loro esistenza.
Come stanno le cose
nel sentimento" e nel
giudizio
estetico?
73) PV,
p.
162.
334 Parte terza
NellUK Kant
pone
una netta e
fondamentaledistinzione tra
giudizio
determinante
e
giudizio riflettente.
Il
giudizio
determinante consiste nella
sussunzione dei dati
particolari
in un universale
(le
categorie);
mentre il
giudizio
riflettente
comporta
la subordinazionedella
molteplicit empirica
a
principi sempre pi generali
nella ricerca di
una universalit onnicom-
prensiva.
Resta
qui implicita
la differenza
pi
rilevantedovuta al fatto
che nel
giudizio
determinante la sussunzione
un
processo logico
neces-
sario, automaticoe
quindi
estraneo alla volont
e al
sentimento, mentre il
giudizio
riflettente
risponde
a un
bisogno, esige
un
impegno
e
perci
si
colora di
quel
sentimento di
piacere
e
dispiacere
che resta estraneo al
processo
della
semplice
determinazione. Il
giudizio
determinante ha
carattere
apodittico perch
la
legge
di sussunzione del
particolare
nell'u-
niversale
gli

prescritta
a
priori
dall'intelletto, non
ha
bisogno
di
principi
particolari,
ma il
suo
schematizzaresi lascia dedurre a
priori
dall'attivit
categoriale
dell'intelletto. Il
giudizio
riflettente
invece,
proprio
a causa
dell'iniziale debolezza di
non
poter disporre
delluniversaie
corrispon-
dente al
particolare
che
gli
dato, e
obbligato
a risalire dal
particolare
e
dal
contingente
alla ricerca di
una
legalit"
che
non
pu
essere n in-
ventata arbitrariamenten ricavata a
posteriori dall'esperienza,
ma deve
manifestare
piuttosto,
caso
per
caso,
l'efficaciaeuristica di
un
principio
a
priori
che il
giudizio
riflettentetrova in s e
d
a se stesso come
legge
del
proprio
operare,
vale
a dire il
principio
della
finalit.
In modo diverso
que-
sto
principio

presente
sia nel
giudizio
estetico sia nel
giudizio teleologieo,
che
sono le due forme
principali
del
giudizio
riflettente.
Ogni giudizio
in
generale,
sia esso riflettente
o determinante,
si fonda
su una condizione
soggettiva
formale che consiste nell'accordotra l'im-
maginazione
e
l'intelletto.
Ma, come si e
detto,
l'accordo non avviene
allo stesso modo. Nel
giudizio
determinante, intelletto
e
immaginazione
concorrono a formare
una conoscenza e allora l'accordo tra le due
facolt
legale, proprio perch
fondato sulla costrizione dei concetti
determinanti. Invece nel
giudizio
riflettente, intelletto
e
immaginazione
non mirano alla
conoscenza, ma unicamente a suscitare un sentimento
di
piacere:
l'accordo non
ha nulla di costrittivo ma
un libero
gioco"
che
non
pu
essere comunicatonella sua
potenza
nativa come
pensiero,
ma solo come sentimento interiore di
uno stato armoniosamente finali-
stico delle facolt.
Questo
accade
specialmente nell'esperienza
estetica
della
bellezza,
quando
il
giudizio
riflettenteriferisce la
rappresentazione
di
un
oggetto
non
all'oggetto
stesso
per
ottenere una
conoscenza,
ma
unicamente al sentimento
complessivo
con cui il
soggetto
avverte la
propria
esistenza
(Lebensgefuizl)
e si
specifica
cos nel
giudizio
di
gusto.
74) Cf. Critica dei
giudizio,
tr. A.
Gargiulo,
Bari
1984,
pp.
19 ss.
Kant:
metafisica
teoretica e
itnetafisica pratica
335
L'esperienza
del bello sta
qui
in
un
rapporto
costitutivo con
le facolt
conoscitive dell'uomo, ma
questo
non
significa
affatto una
intellettualiz-
zazione del
giudizio
estetico,
perch
il modo di
operare
con cui le fa-
colt sono
presenti
in esso
prescinde proprio dall'aspetto per
cui esse
producono
conoscenza. Questa indipendenza
dalle determinazioni co-
noscitive conferisce al
giudizio
di
gusto
caratteristiche che sarebbero
impensabili
o contraddittorie
per
il
giudizio
determinante. Il
giudizio
estetico infatti
universale, ma senza concetto,

necessario, ma la sua
necessit non
fondata su
prove,
bens
semplicemente
sull'accordotra il
rapporto
finalisticodelle facolt
e
la forma
dell'oggetto.
Scrive Kant:
Il
piacere
del bello non e un
piacere
n un
godimento,
n di un'atti-
vit conforme a
leggi,
n della
contemplazione ragionante
secondo
idee, ma un
piacere
della
semplice
riflessione; e senza aver
per guida
ne uno
scopo
n un
principio, accompagna
la comune
apprensione
di
un
oggetto
mediante
l'immaginazione,
in
quanto
facoltdell'intuizio-
ne,
in relazione con l'intelletto,
in
quanto
facolt dei
concetti, con un
procedimento
del Giudizio,
che
esso
deve usare
anche nella
pi
comune
esperienza;
con la differenza
per
che in
quest'ultimo
caso
il
Giudizio mira a un concetto
oggettivo empirico,
mentre nel
primo
(il
giudizio
estetico)
ha soltanto lo
scopo
di
percepire
la finalit della
rappresentazione rispetto
all'azione armonica
(soggettivamente
fina-
le)
delle due facolt conoscitive nella loro
libert,
cio di sentir con
piacere
lo stato
rappresentativmb
'
Questo
piacere
della
semplice
riflessionee un
godimento
disinteres-
sato che fa
pensare
a un
accordo tra la natura e la nostra facolt del
conoscere,
come se
la natura fosse costituita
per
suscitare in noi
questo
godimento.
Il sentimento estetico (come
sentimento e
piacere)

soggetti-
vit non
soggettiva
ma
oggettiva,
in
quanto per
Kant il bello forma uni-
versale come
il vero e
il bene.
Questa
rispondenza
tra noi e
le cose ancora
pi
manifesta
negli
organismi
viventi dove l'accordo tra le varie
parti
di
un essere da noi
pensato
come
determinato dal concetto di fine
(giudizio teleologico).
L'esempio
fatto da Kant a
questo proposito
il
processo
di crescita di
un
albero,
che
non
si
pu spiegare
come un meccanico
accrescimento, ma
implica
una
appropriazione
della materia circostante che la
pianta sceglie
ed elabora in maniera da
produrre
uri
organismo
di
parti interdipendenti.

quel
processo
che Kant
paragona, pi
che
a
un'opera
d'arte,
alla
"impre-
sa di un
grande popolo,
che si trasforma in uno stato,
dove
ogni
mem-
bro deve essere non
soltanto mezzo ma
anche
scopo>>.77
i5)
UK,
pp.
64 55.
m) UK,
p.
149.
77) UK,
p.
243, nota l.
336 Parte terza
Kant avverte che
questa
riflessione non e a
vantaggio
della cono-
scenza della natura 0 della sua
origine,
ma
piuttosto
di
quella
stessa fa-
colta
pratica
della
ragione
con
la
quale analogicamente
consideriamo la
causa di
quella
fina1it.78 In realt la riflessione
non
riguarda
l'esistenza
di una
cosa,
bens solo il
rapporto
con noi
uomini, con
la nostra finalit e
in funzione di
essa. Dal
giudizio
riflettentenoi riceviamosolo
una
gui-
da
per
considerare le cose della natura relativamente a un fondamento
di determinazione
gi
dato,
secondo un nuovo ordine di
leggi,
e
per
estendere 1a scienza della natura secondo
un altro
principio,
cio
quello
delle
cause finali, senza
pregiudizio, per
altro,
di
quello
del meccanismo
della sua causalit.79
Pertanto i
giudizi
riflettenti hanno
sempre
un valore
"regolativo"
e
non conoscitivo e costitutivo.
Nellimportante Appendice"
dell'UK Kant ritorna sulla
questione
delle
prove
dell'esistenza di Dio e
del loro valore. In
primo luogo
esami-
na la
prova
basata sul finalismodella natura:
egli
osserva che il
princi-
pio
del finalismobench
soggettivamente
universale e necessario,
rima-
ne
pur sempre "regolativo
ed euristic0. Cos alla
prova teleologica,
in
sede
teoretica,
pu
esser attribuito soltanto
un Valore
"ipotetico".
Egli prende quindi
in
esame le
prove
dell'esistenza di Dio di cui si
era
occupato
nelle due
precedenti
Critiche.
Riguardo
alle
prove ontologica
e
cosmologica gi
accuratamenteesa-
minate
e decostruite nella
RV,
Kant ribadisce che
se tali
prove
si
posso-
no difendere
con
ogni
sorta di
sottigliezze
dialettiche, esse non
potreb-
bero mai
passare
dalla scuola al
pubblico,
e avere
il minimo influssosul
semplice
senso C0mune>>.50
Questo
un
argomento
ad hominem che
non
pu
non
sorprendere
il lettore di
Kant,
che in fatto di
sottigliezze
dia-
lettiche"
non certo l'ultimo arrivato.
Molto
spazio
il filosofodi
Knigsberg
dedica alla
"prova
morale del-
l'esistenza di Dio"
(che
nella PV
aveva
presentato
come terzo
postulato
della
ragion pratica). Egli
fa vedere nuovamente che l'esistenza di Dio
un
postulato
della morale. Infatti la
legge
morale va osservata
per
se
stessa
e, tuttavia, sotto la
legge
morale l'uomo si
propone,
come
scopo
finale,
la felicit. Senonch l'osservanza della
legge
morale
non
fornisce
nessuna
garanzia
di
conseguire
la felicit in
questo
mondo. Dobbiamo
dunque
ammettere una causa morale del mondo
(un autore del
mondo),
per proporci
uno
scopo
finale,
conformemente alla
legge
morale; e
per
quanto questo scopo

necessario,
altrettanto
(vale a dire allo stesso
73) UK,
p.
244.
79) UK,
p.
248.
3) UK,
p.
360.
Kant:
metafisica
teoretica e
metafisica pratica
337
grado
e
per
la stessa
ragione)
necessario ammettere
quella
causa: cio
che vi un Dio.81
Riguardo
al valore
epistemologico
di
questa prova
Kant mostra nuo-
vamente che il suo valore non
teoretico, ma
pratico,
in
quanto
Dio,
come
scopo
finale dell'uomo e del
mondo,

semplicemente
un concetto
della
ragione
morale. Infatti
lo
scopo
finale
non se non un concetto della nostra
ragion pratica,
e non
pu
essere desunto da alcun dato
dell'esperienza
che
serve al
giudizio
teoretico della
natura,
n essere
applicato
alla
conoscenza di
questa.
Non
possibile
alcun
uso di
questo
concetto,
oltre
quello
della
ragion pratica
secondo le
leggi
morali; e
scopo
finale della crea-
zione
quella
costituzione del mondo che si accorda con ci che noi
possiamo
determinare solo mediante
leggi,
cio con lo
scopo
finale
della nostra
ragion pratica,
e in
quanto
dev'essere
pratica
(...). Ma
possiamo
ben dire
che, secondo la natura della nostra
ragione,
ci
impossibileconcepire
la
possibilit
di
una tale finalit relativa alla
legge
morale e al
suo
oggetto, quale
si trova in
questo scopo
finale,
senza un autore c sovrano del mondo che sia al
tempo
stesso un
legislato-
re nz0rale>>fi2
In
questo quadro
della determinazionedel valore
epistemologico
del-
le varie
prove
dell'esistenza di
Dio,
in un'interessantissima
pagina
del-
l'Appendice,
Kant riassume e conclude tutto il
suo lavoro intorno ai
limiti metafisici della
ragione
umana.
Leggiamola
insieme:
La limitazione della
ragione,
circa tutte le idee del
sovrasensibile,
alle condizioni del suo uso
pratico,
ha,
per
ci che
riguarda
l'idea di
Dio,
questa
utilit indiscutibile:
impedisce
che la
teologia
si elevi alla
teosofia
(a concetti trascendenti in cui la
ragione
si
smarrisce),o cada
nella
demonologia (in una
rappresentazione antropomorfica
dell'es-
sere
supremo);
che la
religione
si converta in
teurgia (quella
illusione
fantastica
per
cui si crede di
poter
avere un sentimento di altri esseri
soprasensibili
e un influsso
su di
essi), o in idolatria
(qu_ell'illusione
superstiziosa per
cui si crede di
poter
riuscire
graditi
all'essere
supre-
mo
per
via di altri
mezzi,
anzich
con l'intenzione
morale).
Perch
difatti, se alla vanit o alla temerit del sofisticare
su ci che
supera
il mondo sensibilesi concede la facolt di determinare teoreti-
camente anche la minima cosa (e
in modo che estenda la
conoscenza);
se si
permette
che si vanti della
sua conoscenza dell'esistenza
e della
costituzione della natura divina dell'intelletto
e della Volont di
que-
sti, delle
leggi
di
questi
due attributi
e delle
propriet
che
ne derivano
nel mondo: io vorrei ben
saper
dove
e in
qual punto
si
vorranno arre-
stare le
pretese
della
ragione; giacch, quando
siano
ammesse tali
81) UK,
p.
330.
82) UK,
pp.
335-336.
338 Parte terza
conoscenze,
se ne
possono aspettare
ancora
parecchie
altre
(sol che,
come si crede,
vi si
costringa
la
riflessione).
La limitazione di tali
pre-
tese dovrebbe
per
esser data da un
principio
certo, non
dalla
sempli-
ce
ragione
che finora tutte le ricerche in
questo
senso sono fallite;
per-
ch ci non dimostra niente contro la
possibilit
di un
miglior
risulta-
to. Ma
qui
non v' altro
principio possibile
oltre
lammettere, o che
relativamente al
soprasensibile
non
possa
esser determinato assoluta-
mente niente dal
punto
di vista teoretico
(se non in modo
puramente
negativo),
oppure
che la nostra
ragione contenga
una miniera, non
ancora utilizzata,
di chi
sa
quali grandi
conoscenze estensive riservate
per
noi e la nostra
posterit.
Ma
per
ci che
riguarda
la
religione,
cio
a
dire la morale in
rapporto
con
Dio in
quanto legislatore,
se la cono-
scenza teoretica di Dio dovesse
precedere,
la morale dovrebbe
rego-
larsi sulla
teologia;
e non soltanto a una
legislazione
interna necessa-
ria della
ragione
verrebbea sostituirsi
quella
esterna e arbitrariadi un
essere
supremo:
ma tutto ci che vi di difettoso nella nostra cono-
scenza di
questo
essere,
si estenderebbeal
precetto
morale, rendendo
cos immorale e
pervertendo
la
religione>>fi3
I
Prolegomeni
a
ogni metafisicafutura
e
la
conoscenza
analogica
di Dio
Per
completare l'esposizione
del
pensiero
metafisico di Kant dobbia-
mo
dare
un
rapido sguardo
a un'altra
opera,
che
porta
un titolo assai elo-
quente: Prolcgorwieni
a
(igni metafisicafirtura.
Pubblicata nel
1783,
quest'o-
pera
fu scritta
per
respingere
le critiche di alcuni recensori della Critica
della
ragion pura,
che l'avevanoaccusatadi idealismo
berkeleyano.
In
questo
scritto Kant ribadisce ancora una volta l'altissimo concetto
che
aveva
della metafisica e
della
perenne
validit di
questa
ricerca che
nessun
progresso
delle scienze
potr
mai attenuare. Ecco un
passo
signi-
ficativoa
questo riguardo:
La scienza naturale non ci
scoprir
mai l'intimo essere
delle
cose,
ci
che
non fenomeno, e tuttavia serve
alla
esplicazione suprema
dei
fenomeni; ma essa non ne
ha alcun
bisogno per
le
sue
esplicazioni
fisiche: anzi se
qualcosa
di simile le venisse offerto
per
altra via
(per
es. l'influenza
degli
esseri immateriali) essa
dovrebbe
respingerlo
e
non
inserirlo nella catena delle sue
applicazioni,
le
quali
debbono
sempre
essere fondate soltanto su ci che
pu appartenere,
come
oggetto
dei
sensi,
all'esperienza
e
che
pu
venir connesso
secondo
leggi empiriche
con le nostre
percezioni
reali.
La metafisica invece nei tentativi dialettici della
ragione
(che non
sono
intrapresi
arbitrariamenteo
per capriccio,
ma
hanno la loro
ragion
d'essere nella natura stessa della
ragione)
ci conduce a dei veri
33) UK,
pp.
340-342.
Kant:
metafisica
teoretica e
metafisica pratica
339
limiti:
e le idee
trascendentali,
appunto perci
che
non si
pu
fare di
esse a
meno,
mentre
pure
noi non
possiamo
realizzarlemai in
concre-
to, servono a
indicarci
non solo i limiti dell'uso della
ragion pura,
ma
anche il modo di determinarli:
e
questo
il
vero fine
e l'utilitdi
que-
sta
disposizione
naturale della
ragione
che ha
generato
la
metafisica,
come il
suo
figlio prediletto: generazione
che, come in
ogni
altra cir-
costanza, non dovuta al
capriccio
del
caso,
ma a un
germe origina-
rio,
preformato saggiamente
in vista di altissimi fini. Poich la
metafi-
sica
forse pi
di
olsgm
altra scienza
gi predisposta,
nei suoi tratti
principa-
li,
nell'essere
nostra, e non
pu
assolutamentevenir considerata come il
prodotto
di uifelezione arbitraria
o come una estensione accidentale
nel
progresso
delle
esperienze>>fi4
Nessuno si mai
espresso meglio
di Kant sulla connaturalit della
metafisica
rispetto
all'uomo e alla
ragione
umana: essa fa
parte
del
suo
DNA,
del
suo codice
genetico,
per
usare
il
linguaggio
dei
biologi.
Dire
uomo e dire
esigenza
metafisica la stessa cosa. La metafisica
non nasce
casualmenten viene
dopo
le
scienze, ma
le
precorre
e le rende
possibili.
Nei
Prolegomeni
Kant riconosce alla
ragione speculativa
anche il
pote-
re di
raggiungere
una
certa, se
pur
minima, conoscenza di Dio. Si tratta
di
una conoscenza che Kant Stesso definisce simbolica
o
analogica.
Questa, a suo
giudizio,
e l'unica forma di
conoscenza
che
corrisponde
alle attitudini della
ragione
umana (che non
ha
nessun
potere
intuitivo,
nessuna Visione diretta di
Dio), e
che in
grado
di evitare entrambi
gli
scogli delllntropomorfisnzodogmatico
e dello scetticismoradicale
(di Hume).

una conoscenza
che
non
ha
nessuna
pretesa
di dire ci che Dio in
se
stesso, ma si limita al
rapporto
che
pu
avere il mondo
empirico
con
un essere il cui concetto
giace
al di l di tutte le
conoscenze delle
quali
possiamo
essere
capaci
nel mondo. Perch allora noi
non
applichiamo
allEssere
supremo
in se stesso nessuna delle
propriet per
mezzo
delle
quali pensiamo gli oggetti empirici
ed evitiamo cos
Yantropomorfismo
dogmatico:
ma le riferiamo tuttavia al
rapporto
di
questo
Essere col
mondo
e ci
permettiamo
cos un
antropomorfismo
simbolico che in realt
concerne solo il
linguaggio
e non
l'oggetto
stesso>>fi5
Kant
stesso dichiara che il criterio
dellanalogia
ci autorizzaad
applica-
re a Dio i nostri concetti
e
il
nostro
linguaggio.
Ma di che
analogia
si
tratta?
Leggiamo quanto
scrive Kant a
questo proposito:
Una tale conoscenza (dell'Essere
supremo)
la
conoscenza
per
analo-
gia:
la
quale parola
non
esprime,
come
generalmente
si
intende, una
somiglianza
di due
cose,
ma una
somiglianzaperfetta
di due
rapporti fra
34)
Prolegome-ni
a
ogni metafisica futura,
a cura di P. Martinetti e M.
Roncoroni,
Milano
1995,
pp.
221-223.
85) Ibia,
p.
231.
340 Parte terza
cose
del tutto dissimili. Per mezzo
di
questa analogia
ci rimane
pur
sem-
pre
un concetto
per
noi abbastanza determinato deltEssere
supremo,
anche se abbiamolasciato da
parte
tutto ci che
poteva
servire a deter-
minarlo assolutamente e in se stesso:
poich
noi lo determiniamu in ri-
spetto
al mondo e
quindi
a noi, e
pi
non ci occorre.
Le obbiezioni che
Hume muove a coloro che
vogliono
determinare
questo
concetto asso
lutamente e ne
traggono
i materiali da s e
dal
mondo, non
ci
colpisco-
no;
e nemmeno
pu egli opporci
che,
eliminato
Pantropomorfismo
oggettivo
del concetto di Essere
supremo,
non ci
rimangapi
nulla>>fi6
Dal testo di Kant risulta che
lfinzalogia
di
proporzionalit,
basata sulla
somiglianza perfetta
di due
rapporti
non e
Tanalogia
di
proporzionalit
propria
(che
si riferisce alla
somiglianza
nell'essere), ma
di
proporziona-
lit
metaforica,
che si riferisce alla
somiglianzanellagire.
Gli
esempi
stes-
si addotti da Kant
(Orologiaio,
architetto,
pilota
ecc.)
confermano
questa
interpretazione.
Dire che Dio
sapiente
e esattamente come
dire che
Ercole un
leone: vale
a
dire nel suo
agire
Dio si
comporta
come
il
sa-
piente
cos come
Ercole si
comporta
come
il leone.
Uagire
divino che si
rivela alla
ragione
mediante la
legge
morale,
l'ordine delle
cose,
la
con-
tingentia
mundi ci
impone
di riconoscere a Dio certi attributi ma non ci
permette
di conoscerli. Pi avanti Kant chiarisce ulteriormente la sua
posizionespiegando
il motivo
per
cui la
ragione
un
attributo di Dio:
La
ragione (Vernunft)
non riferita come
propriet
allEssere
primo
in se stesso, ma
solo al
rapporto
suo col mondo sensibilee cos viene
evitato
Yantropomorfisrno.
Poich noi
qui
consideriamo l'Essere
supremo
come
la causa
della razionalitche troviamo
dappertutto
nel
mondo,
lo facciamosolo in senso
analogico,
in
quanto questa espressio-
ne
indica il
rapporto
in cui deve stare col mondo la Causa
suprema,
a
noi
ignota, per
determinare in esso tutto secondo la
pi perfetta
razio-
nalit. Con
questo
noi evitiamo di servirci dell'attributo della
ragione
per pensare
(denken) Dio, ma riusciamo
per
mezzo di esso a
pensare
il
mondo come dobbiamo
pensarlo
se
vogliamo sottoporlo
alla
pi
alta
unificazionerazionale sotto un unico
principio.
Noi confessiamo
per
questa
via che lEssere
supremo

per
noi nell'intimo essere suo
imperscrutabile
e
impossibile
a essere
pensato
in
forma
determinata e
siamo cos trattenuti dal fare un uso
trascendente dei concetti che noi
abbiamo della
ragione
come
d'una causa
agente (per
mezzo
della
Volont) e dal determinare la natura divina
per
mezzo
di attributi che
sono
pur sempre
derivati dalla natura
umana, perdendoci
cosi in
superstizioni pi
o meno
grossolane>>f37
86) lbid.
87) una,
pp.
233-235.
Kant:
metafisica
teoretica e
metafisica pratica
341
L'analogia
di
proporzionalit
metaforica non
toglie qualsiasi
cono-
scenza
di
Dio, ma
produce
una conoscenza veramente
esigua,
evane-
scente e
quasi
esclusivamente
negativa,
e Kant non a caso
accoglie
sol-
tanto
questo tipo
di
analogia perch

quella
che
gli
consente di afferma-
re il suo
agnosticismoteologico
(la
Causa
suprema
a noi
ignota)
che
ignora quello
che Dio in
se stesso, e ammette soltanto
quello
che Dio
per
noi.
Ci che Kant
nega
non
l'applicazione
di certi concetti a Dio,
perch
una
volta che si ammette che Dio il creatore del mondo
occorre ricono-
scergli
determinati
attributi, come
l'intelligenza,
la
sapienza,
la
volont,
la
potenza,
la
bont, ecc. Ci che Kant
nega
che la
ragione
umana sia
in
grado
di
conoscere
il modo di
essere
intelligente, sapiente, potente,
buono ecc. di Dio. Infatti il
suo modo di
essere
intelligente, sapiente,
potente
ecc.
supera
infinitamente il nostro modo
e
qualsiasi
altro modo
a noi accessibile.Ecco come
Kant si
esprime
a
questo riguardo
nellflflppendice
alla Critica del
giudizio:
Se
voglio pensare
un essere
sovrasensibile
(Dio) come
intelligenza,
ci non soltanto mi
permesso,
da un certo
punto
di vista dell'uso
della mia
ragione,
ma anche
inevitabile;
quello
che
non
mi
per-
messo e
attribuirgli l'intelligenza
e
il
lusingarmi
di
poterlo perci
conoscere mediante
questa
sua
propriet; perch
allora devo abbando-
nare tutte
quelle
condizioni sotto le
quali
soltanto conosco un intellet-
to, e
quindi quel predicato
che serve
soltanto alla determinazionedel-
luomo, non
pu
essere
punto
riferito a un essere
soprasensibile,
e
non si
pu
conoscere mediante una causalit cos determinata,
che
cosa Dio>>fi8
Su
questo punto
la
posizione
di Kant assai vicina a
quella
di S.
Tommaso.
Questi
nell'attribuire a Dio certe
perfezioni positive
come
intelligenza, sapienza, potenza,
bont, ecc.
distingueva
la
res
dal
modus,
e
affermava che mentre
possiamo
e
dobbiamo
attribuirgli
la
res
della
per-
fectii) praedicata,
dobbiamo escludere il modus
praedicandi.
Per
questo
motivo il Dottore
Angelico
diceva che la
teologia negativa

preferibile
a
quella positiva.
Ma S. Tommaso non avrebbe mai sottoscritto la tesi kantiana secondo
cui
quando
diciamo che Dio
vita, bont,
sapienza, potenza
ecc.
Voglia-
mo
semplicemente
dire che Dio causa
della
vita,
della
bont,
della
sapienza
ecc. Questi
nomi non
indicherebberonulla di ci che la natura
divina in
se stessa.
Questa era
gi
la tesi di
Maimonide, e S. Tommaso la
rifiuta
categoricamente
nella Summa
Theologiae.
Tra i vari
argomenti
addotti
dallAngelico
il
pi
calzante il
seguente:
83) UK,
p.
370.
342 Parte terza
(Questa tesi) e in contrasto COl
pensiero
di chi
parla
di Dio. Difatti
chi dice che Dio vivente non intende affermare
semplicemente
che
sia causa della nostra vita 0
che differisca dai
corpi
inanimati. Perci
bisogna
dire
diversamente,
che cio tali nomi
significano
si la divina
sostanza e si attribuiscono altessenza di
Dio, ma
che lo
rappresenta-
no in modo insufficiente (...).
Sicch
quando
si dice: Dio
buono,
non si vuol
gi
dire che Dio e causa del bene
o
che Dio non
cattivo;
ma il senso
questo; qucllo
che noi chiamiamo bont nelle
creature,
preesste
in Dio e
in modo ben
pi
alto.
Quindi a Dio conviene la
bont non perch
causa del
bene; ma
piuttosto
tutto il contrario:
per
il fatto che buono effonde la bont nelle
cose;
secondo il detto di
S.
Agostino "poich
Dio buono noi esistiamo"n89
Il dissenso di S. Tommaso con Maimonide
(e,
implicitamente
con
Kant)
riguarda Yanalogia.
Mentre Maimonide e Kant ammettono soltan-
to
Fanalogia
di
proporzionalit
metaforica,
basata esclusivamentesull'a-
gire,
S. Tommaso riconosce e
afferma anche
Panalogia
di
proporzionalit
propria,
fondata direttamente sull'essere e sulla natura delle cose.
Anche
su
questo punto
S. Tommaso era
pi
chiaro
e
pi preciso
di
Kant: S. Tommaso
distingue
tra
perfezioni semplici
e
perfezioni
miste:
semplici
sono
quelle
che
possono
prescindere
dalla materia
(come esse-
re, Vita, conoscenza, volont,
potenza
ecc.),
miste sono
quelle legate
alla
materia (come
corporeit,
estensione, vista, udito,
pulsazione,
sensazio-
ne,
movimento
ecc.).
Cos
pu
affermare che mentre le
perfezioni
miste
si
possono
attribuire a Dio soltanto
metaforicamente;
quelle semplici gli
appartengono propriamente,
anche
se
vero, come
afferma Kant e come
S. Tommaso
riconosce,
che dal
punto
di Vista euristico
(inventivo),
tutti i
concetti che noi
proiettiamo
su
Dio sono ricavati dalla nostra conoscen-
za dell'uomo e del mondo.
Dellanalogia,
strumento
indispensabileper
chiarire il
significato
e
il
valore del
linguaggio
metafisico
e
teologico,
S. Tommaso ha
una
dottri-
na molto
pi
elaborata e
pi
ricca di
quella
di Kant. Tale dottrina in
grado
di smentire la tesi kantiana secondo cui la mente umana
pu
acquisire
soltanto
una conoscenza
metaforica
e non
propria
della natura
divina.

Vero
che
una conoscenza
basata sulla
analogia
metaforica del
"come se"
sempre meglio
di nulla ed
preferibile
a un
completo agno-
sticismo. Ma decisamente
troppo poco per
soddisfare le
esigenze
della
religione
e
per
dar conto di
quel
Vasto e ricco
patrimonio
di
cognizioni
di Dio che l'umanit si costruito nel corso dei secoli>>.9
89)
S. TOMMASO D'AoU1No, Summa
Thenlogiae
I, 13,
2.
9*)
B.
MONDIN, Ermeneutica,
metafisica
e
analogia
in S.
Tomnzaso, numero
speciale
in
Divus Thomas,
fiCttrdlC.
1995,
p.
117. Sulla dottrina kantiana
dellanalogia
si
veda leccellente studio di P. FAGGIOTTO,
Introduzione alla
metafisica
kantiana del-
lmalogia,
Milano 1989.
Kant:
nzetafisica
teoretica e
metafisica pratica
343
Conclusione:
l'ambiguit
della metafisica kantiana
La chiave di tutto il sistema
kantiano, un sistema
geniale, imponente
e
vigoroso,
che conclude
un'epoca
della storia della filosofia e della
metafisica e iniziauna nuova
epoca, per
cui Kant e diventato il
punto
di
passaggio obbligato
della ricerca filosofica
e
ha influenzatoil
pensiero
mondiale,
il concetto dell'11
priori
come trascendentale,
vale
a
dire come
condizionee
forma di
un contenuto sensibile.Da
qui Consegue:
a)
la
co-
noscenza
del
fenomenico; b)
l'esperienza
limite della
conoscenza;
c)
dunque
non
possibile
una
metafisica
come scienza, ma solo come
fede morale. Come si
vede,
Kant si
giova
del concetto di
esperienza per
criticare Yassolutezzadella
ragione dogmatica
del
razionalismo,ma
se ne serve
pure per porre
un limite
allempirismo
con
il concetto di tra-
scendentalit,
per
cui il fenomenico
non contenuto della coscienza
empirica,
ma
della coscienza trascendentale,
cio il
soggetto pensante.
Perci il concetto di trascendentalit esclude la
possibilit
di una "meta-
fisica come scienza e include la riduzione della filosofiaalle
proporzio-
ni di
una
dottrina della
conoscenza,
intesa come
metodologia
delle
scienze fisicomatematiche
e
di
una
morale che si fonda su
postulati
(libert,
immortalit
dell'anima, Dio)
razionalmenteindimostrabilifl
Il nocciolo del sistema kantiano sta tutto
qui.
Di fronte a
questo
sistema che rivoluzionava
profondamente
sia la
gnoseologia
sia la
metafisica,
ricostruendo la
prima
su nuove basi, e
ampiamente
decostruendo la
seconda,
si
possono prendere e,
di
fatto,
sono state
prese
tre
posizioni:
a)
posizione
di rifiuto e
di critica
radicale,
tesa a dimostrare Yintrinseca inconsistenza del sistema.
Questa
stata la
posizione
di
Galluppi,
Rosmini,
Romagnosi,
Cousin e
di molti autori
cattolici del secolo scorso. b) Posizione di adesione sostanziale e di svi-
luppo
del sistema o
secondo la linea
idealistica, e cos hanno fatto
Fichte,
Schelling
e
Hegel, oppure
secondo la linea
volontaristica, e cos
ha fatto
Schopenhauer.
c)
Posizione di rivisitazionedel
pensiero
di Kant
non soltanto
per ricuperarne
il
pathos
metafisico, ma
anche
elementi
positivi per
la elaborazione di un'autentica metafisica. E
quanto
hanno
fatto nel nostro secolo M.
Wundt,
G.
Kriger,
G.
Martin, l. Marchal, ].
B.
Lotz e
altri ancora. A noi sembra che
pure
essendo
ragionevolmente
motivate tantissime critiche che si muovono
al sistema
kantiano, come
pure gli sviluppi
che
esso
ha assunto sia nel volontarismoda
una
parte
e
91) Cf. C. FABRO
(ed),
Storia della
filosofia,
Roma 1954,
pp.
536 ss.
92)
Cf. M.
WUNDT,
Kant als
Metaphysiker, Stuttgart
1924;
G. KRUEGER,
Philosophie
und
Moral in der Kantischen
Kritik,
Tiibingen
1.931;
G.
MARTIN,
I. Kant.
Ontologie
und
Wissenschaftstheorie,
Kln
1951; I. MARCHAL,
Le
point
de
dpart
de la
mtalziizysique,
voll.
Ill-V,
Bruxelles-Paris
1941-1947; j.
B.
LOTZ,
Kant und die Scholastik heute,
Pullach1955.
344 Parte terza
nelldealsmo
dall'altra,
la terza
posizione
sia sostanzialmente
corretta,
e
che
se non
si
prende
Kant
troppo
alla lettera e se si tiene conto delle
sue intenzioni,
si
pu
affermare che
egli
stato un
grande
avvocato
della metafisica e lui stesso un
metafisico autentico.
Sul fatto che sia stato un
grande
e
appassionato
avvocato della meta-
fisica
non v' nessun dubbio;
nelle sue
opere
abbiamoincontrato molti
panegirici
su
questa
che stata e
di
per
s rimane di diritto la
regina
di
tutte le
scienze, una ricerca che sta iscritta nel codice
genetico
dell'uma-
nit
e
che
perci
non verr mai meno
neppure
nel caso
che tutte le scien-
ze si dissolvessero nel nulla.
Ma con
quale
diritto
possiamo
affermare che Kant stato un autenti-
co
metafisico?
Sappiamo
che autenticometafisico non chi si limita
a
trascendere il
mondo
empirico,
limitandosi ad affermare che
questo
non l'essere
autentico ma un
puro
fenomeno:
non basta uscire dal mondo
sensibile,
ma necessario
portare
a termine la seconda
navigazione
e
raggiungere
l'altro
mondo,
quello intelligbile.
Ma
questo
si
pu
fare in vari
modi, e
cos si danno vari
generi
di metafisica. Fondamentalmente si
possono
ridurre a tre, a cui diamo i nomi di
fortissime,
forti
e deboli.
Sono
metafisichefortissime quelle
costruite dall'alto al basso col metodo
assiomatico-deduttvo,
detto anche sintetico o
compositivo.
Sono le
metafisiche dei
neoplatoriici
e
dei razionalisti
(Cartesio,
Spinoza,
Lebniz).
Sono
metafisicheforti quelle
costruite dal
basso, sulla base di una con-
cezione
empirico-realistica
della conoscenza e
praticando
il metodo ana-
litico o
risolutivo.
Sono le metafisiche di Aristotele e S.
Tommaso, e
par-
zialmenteanche di S.
Agostino
e Duns Scoto.
Sono
metafisiche
deboli
quelle
che sono costruite dal
basso, ma con una
concezione
empirico-criticistica
della
conoscenza, per sempre
attraverso
il metodo analitico-risolutivo.Tale
precisamente
la metafisicakantiana.
Il
punto
da verificare
se
la metafisica kantiana davvero
risolutiva,
se cio riesce a
portare
a
compimento
la scalata allEssere
supremo,
Dio,
e
la traversata della seconda
navigazione,
che conduce al
porto
del mon-
do
intelligibile.
Abbiamovisto che
per
Kant l'uomo e un
animale metafisico" che
con tutto il suo essere trascende se stesso. Per realizzare
questa opera-
zione
l'uomo,
secondo
Kant,
dispone
di tre facolt: la
ragione speculati-
va,
la
ragione pratica
(volont) e il sentimento. Tutte le metafisiche
pre-
cedenti erano state costruite con
la
ragione speculativa:
Kant
apre
una
nuova via.
'
Da tutto l'insieme della riflessionekantiana intorno alla metafisica
risulta chiaro il
duplice
intento di Kant: da
una
parte
decostruire
quella
metafisica
troppo
forte,
apparentemente
fortissima
ma
di fatto
illusoria,
che
era la metafisica dei
razionalisti; e dall'altra difendere la
legittimit
Kant:
metafisica
teoretica e
metafisica pratica
345
di una
metafisica assai
pi
modesta sotto il
profilospeculativo,
ma
pur
sempre
costruita con
procedimenti
razionali che Kant ritiene
propri
della
ragione pratica
e
della
ragione
estetica
(attraverso
il
giudizio
riflet-
tente),
per
effettivamente razionali e non
semplicemente
fideistici. La
fede
morale di cui
parla
Kant una
fede razionale
e non una
fede
religiosa.
A nostro avviso 1a metafisica
pratica
che Kant elabora assai
meno
pratica
e molto
pi
teoretica di
quanto egli
stesso fosse
disposto
a conce-
dere. E
questo per
vari motivi.
Primo,
l'oggetto dell'indagine
kantiana indubbiamente
pratico:
l'a-
gire umano,
ma
il
procedimento
e teoretico: la riflessione
speculativa
sulle
implicazioni dell'agire
morale,
sul dovere
come
forma della mora-
lit.
Agire
moralmente
prassi,
ma
speculare
sulle
implicazioni
di tale
agire
teoria.
Pertanto, nonostante le convinzioni di
Kant,
la sua non
affatto una metafisica
pratica
ma teoretica.
una
speculazione
che
prende
in
esame determinati
fenomeni,
per
trovare la loro
giustificazio-
ne conclusiva. E
questa
non n scienza n fede, ma
metafisica. Non
una metafisica
teoretica,
nel senso
che
non n
ontologia,
n cosmolo-
gia,
n
teologia,
ma essenzialmente una
antropologia,
intesa non come
analisi
descrittiva, esistenziale,
del fenomeno
umano,
ma come ricerca
delle
sue
ragioni
ultime. Il fenomeno che Kant
prende
in esame
quello
dell'agire umano,
nella
sua
triplice
forma: del
conoscere,
del Volere
e
del
fare
(arte).
Egli
mostra che
l'agire speculativo
non
pu
risolvere i
proble-
mi della metafisica e allora si
rivolge allagire pratico
e
all'agire
estetico,
e
qui egli
ritiene di trovare una
risposta positiva
e sicura ai
problemi
della metafisica.
Secondo,
il metodo di ricerca che Kant
oppone
al metodo dei raziona-
listi, non un
metodo
pratico,
ma rimane ancora un
metodo
speculati-
vo.
Egli
rifiuta il metodo sintetico o
compositivo,
che il metodo assio-
matico-deduttivo,
di Cartesio e
compagni,
e
d la
preferenza
al metodo
analitico-risolutivo,
che
muove dalla
esperienza,
dai
fatti,
dagli
effetti,
per
risalire alle
cause e
ai
principi.
E
questo
il metodo
praticato
da Aristotele e
Tommaso
d'Aquino
nella elaborazionedelle loro metafisiche.
Terzo,
nella
sua
metafisica teoretica (e a
fortiori
in
quella pratica)
Kant
non si limita a indicare alla
ragione degli
ideali
irraggiungibili.
Infatti
Kant stesso ritiene che la
ragione
sia in
grado
di
raggiungere
l'esistenza
del
noumeno,
di Dio. Il
noumeno non soltanto
un limite, ma un
oggetto
reale,
altrimenti sarebbe
una
contraddizionechiamare
gli ogget-
ti sensibili fenomeni". Indubbiamentela
ragione
non
dispone
di
con-
cetti
propri
e
adeguati per
descrivere la natura del
noumeno,
Dio. Per
la stessa dottrina
deltanalogia
che Kant accetta non
avrebbealcun senso
e
sarebbe
una
dottrina contraddittoria se Dio non esistesse. Bench la
dottrina kantiana
dellanalogia
limiti i nostri concetti a un uso
metafori-
346 Parte terza
co,
tale uso risulta
legittimo
soltanto se Dio esiste. Kant
non dice che noi
ci
comportiamo
come se Dio
esistesse; ma che,
essendo certi della
sua
esistenza,
ci
raffiguriamo
Dio come un essere
intelligente, potente, sag-
gio, provvidente, giusto ecc.,
dato che
possiamo
definire Dio soltanto in
base ai suoi
rapporti
col mondo. Nella RV Kant
OSSBTVHZ
Le
categorie
del nostro
pensiero
non sono vincolate dalle condizioni
della nostra intuizione sensibilema
hanno
un
campo
illimitato
(ein
unbegrenzfes
Feld); e soltanto la conoscenza di Ci che
pensiamo,
la
determinazione
dell'oggetto,
ha
bisogno
di una intuizione;
laddove in
mancanza di
questa,
il
pensiero dell'oggetto pu
del resto aver sem-
pre
le sue
conseguenze
vere e utili nell'uso che il
soggetto
fa della
ragi0ne.93
Pertanto i concetti che la mente si fa di Dio non restano Vuoti, ma
indeterminati, indefiniti, illimitati,
incapaci quindi
di definire chiara-
mente la realt di Dio.
Questi
rimane sostanzialmente
ignoto quanto
alla
sua natura, ma certissimo
quanto
alla sua esistenza.
Cos la metafisica kantiana risulta necessariamente
povera
nei suoi
contenuti, ma la
navigazione
metafisica del filosofo di
Konigsberg rag-
giunge
il
porto
della
trascendenza,
passando
indenne tra i due
pericolo-
sissimi
scogli
di Scilla e Cariddi,
ossia tra il razionalismo
e
lempirism0.

quanto
Kant stesso ritiene di essere riuscito a fare:
La critica della
ragione segna qui
la vera via di
mezzo tra il
dogmati-
smo combattuto da Hume e lo scetticismo da lui
propugnato;
una via
di
mezzo
che
non come le altre vie di
mezzo,
le
quali
si determina-
no
quasi
meccanicamente, prendendo
un
poco
da
una
parte
e un
poco
dall'altra e finiscono
per
servire a ben
poco,
ma
pu
venire trac-
ciata esattamente
partendo
da
principi>>fi4
La
posizione
metafisica di Kant molto
pi
vicina a
quella
di Maimo-
nide,
Scoto
e Occam,
che a
quella
di Aristotele
e Tommaso, ma
sempre
una metafisica
valida,
teoreticamente
fondata, e non
soltanto
una 1neta-
fisica
pratica,
come Kant
supponeva.
Con il
suo
preambolo gnoseologi-
c0 e con la
sua rivoluzione
copernicana
della dottrina della conoscenza
Kant non
poteva
fare di
pi.
Riguardo
al
preambolo gnoseologico
ci limitiamo
a osservare
che
qualsiasi preambolo
di tal
tipo
condizionainevitabilmentela
metafisica,
la stessa sua
possibilit
e a
fortiori
i suoi risultati. Un
preambolo
scettico
o eccessivamente
empiristico pregiudica
totalmente il
superamento
di
questo
mondo e rende
impossibile
la seconda
navigazione.
Il
preambolo
93) RV (ed. Laterza
1972),
p.
115.
94)
Prolegomeni cit,
p.
235.
Kant:
metafisica
teoretica e
nzetafisica pratica
347
dogmatico", platonico,
cartesiano,
rende molto
agevole
l'uscita da
que-
sto mondo
e
d
luogo
a una metafisica estremamente forte: la metafisica
assiomatico-deduttiva.Il
preambolo realistico-inquisitivo,
di
stampo
ari-
stotelico-tomistico rende faticosa Yascesa 0 la
navigazione
ma consente
l'elaborazionedi
una
metafisica forte: la metafisica
ipotetico-deduttiva.
Kant
pone
un
preambolo gnoseologico
del tutto
singolare,
e
indub-
biamente
geniale,
che mentre
per
un Verso riduce alla
impotenza
metafi-
sica la
ragione speculativa,
per
un
altro
verso
abilitaalla seconda navi-
gazione
la
ragione pratica
e
produce,
come risultato
conclusivo, una
metafisica debole.
Nella sua revisione critica della storia della metafisica Kant ha
perfet-
tamente
ragione
di
opporsi energicamente
alle assurde
pretese
dei razio-
nalisti, e
di fissare dei limiti
all'indagine
metafisica evidenziandoi confi-
ni della
ragione
umana. Ma
per
ottenere
questo
risultato non necessa-
rio fabbricare
una
complicata
teoria della conoscenza come fa
Kant,
il
quale
riesce a bloccare la
ragione
dentro il mondo dei fenomeni
e a
impedirle
l'accesso al mondo
intelligibile
del
noumeno
escogitando
una
macchinosa
e artificiosa teoria intorno alle condizioni trascendentali a
priori
della intuizione
sensitiva,
dell'intelletto
e
della
ragione.
I limiti della metafisica sono
egualmente grandi
e
invalicabli anche
nel
preambolo gnoseologico
di Aristotele
e
di S.
Tommaso,
dove la
conoscenza intellettiva
legata
alla sensibilite ai dati sensitivi
(i
fanta-
smi),
dove non c'
nessuna intuizioneintellettiva delle realt immateria-
li
(anima,
angeli,
Dio).
Per
spiegare
i limiti della metafisica non neces-
sario creare il fantoccio del
fenomeno", ma basta riconoscere Vabisso
che
separa
il mondo sensibileda
quello intelligibile
e sostenere, come
hanno
sempre
fatto i metafisici classici
e cristiani,
che del mondo intelli-
gibile
la
ragione
umana
pu
formarsi concetti o idee
prevalentemente
negativi.
Anche
per
il metafisico cristiano
e non soltanto
per
Kant Dio
resta sostanzialmente
ignoto.
La divina trascendenza stata
proclamata
da tutti i metafisici sia classici sia cristiani. Vale
per
tutti ci che dice
Agostino
in un suo Sermone: Se si
comprende
ci che si vuol dire di
Dio, non
Dio; non lui
se si Vuol
comprendere
ma
qualche
altra
cosa
al
posto
di
lui; e se si crede di avere afferrato lui
stesso,
si zimbello
della fantasia.
Egli
ci che
non si
pu comprendere:
ci che
non si
comprende>>fl5
95) Sermo
52,
16. Altrove
Agostino
scrive: Ci che
Egli
in se stesso
impossibile
pensare,
anzi lo
ignoriamo; perci qualsiasi
concetto noi ci formiamo di
Lui,
dobbiamo
respingerlo
e allontanarlo
(Epist. 130,
Ad
Probam; PL
33, 505).
348 Parte terza
Suggerimenti bibliografici
EDIZIONI
I.
KANT,
Snzmtliche
Werke,
edite da F.
Cross,
in 6
volumi,
Leipzig
1912-21; ID., Werke,
edite da E.
Cassirer,
in 10
volumi, Berlin
1912-22;
Kanfs scnzmtliche
Werkc,
edite a cura della Preuss. Akademie der
Wissenschaften, in 23
volumi,
Berlin 1902-1955.

la
migliore
e
pi
completa
edizionedelle
opere
kantiane,
che vi sono
disposte
nell'ordine
seguente:
V01. I: Vorkritische
Schnften
(1747-1756);
V01. II: Vorkritische
Schriften
(1757-1777);
V01. III: Kritikder reinen
Vemzmft,
II
edizione;
V01. IV: Kritik der reinen
Vernunft,
I
ediz,
Pralegomena, Crundlegzzng
dei
Metaphysik
der Sitten.
Metaphysisclze Anfangsgrizendc
dar
Naturzuissenschaft;
V01. V: Kritikder
praktischen Vernzuift.
Kritikder
Urteilskraft;
V01. VI: Die
Religion
innerhalb der Grenzen dar blossen
Vermmft,
Die
Metaphysik
der
Sitterl;
V01. VII: Der Streit der
Facultcten,
Antlzropologie
in
pragmatischer
Hnsicht;
V01. VIII:
Abhandhmgen
nach
1781;
V01. IX:
Logik, Physische Gcograpltie
und
Pddagogik;
V011.
X, XI, XII,
XIII:
Briefzuechsel;
V01. XIV:
Handschrfitlicher
Nachlass:
Mathemcatik,
Physik
una
Chemie,
Physische Geograplzie;
V01. XV:
Handschrzftlicher
Nachlass:
Anthropologie;
V01. XVI:
Handschriftliciler
Nachlass:
Logik;
V011.
XVII, XVIII:
Handschrfitliclzer
Nachiass:
Metaphysik;
V01. XIX:
Handschrzftliczer
Nachlass:
Mnralphilosophic,Rechtsphilosophie,
und
Relzgionsplzilosophie;
V01. XX:
Handschriftlicher
Nachlass;
V011.
XXI,
XXII:
Opus postumum;
V01. XXIII: Vararbeiter: Imd
Nachtrfige.
PRINCIPALI
TRADUZIONIITALIANE
Critica della
ragion
pura,
di G. Gentile e G. Lombardo
Radice,
Bari
1910;
riveduta da V.
Mathieu, ivi
1958;
G.
Colli, Torino
1957;
Milano 1995.
Critica della
ragion pratica,
di F.
Capra,
Bari
1909;
riveduta da E.
Garin,
Bari 1955.
Critica del
giudizio,
di A.
Gargiulo,
Bari
1906;
riveduta da V.
Verra,
Bari
1960.
Kant:
metafisica
teoretica e
metafisicapratica
349
Scritti
precritici,
di P. Carabellese,
Bari
1923;
rifatta da R. Assunto e
R. Hohenemser,
ivi 1953.
Prolegonteni,
di P.
Martinetti,
Milano 1913 (con
ottima introduzione);
rist.
1940.
Le
quattro
dissertazioni latine,
di M.
Campo,
Como 1944.
Fondazionedella
metafisica
dei
costumi,
di P.
Carabellese,
Firenze 1936.
La
metafisica
dei
costumi,
di G. Vidari,
Torino 1923.
Antropologia,
di G.
Vidari,
ivi 1921.
La
religione
entro i limiti della sola
ragione,
di A.
Poggi,
Modena 1941.
Il
conflitto
delle
facolt,
di A.
Poggi,
Genova
1943; rst,
1954.
Prolegorneni
a
ogni metafisicafutura,
a cura
di P. Martinetti e
M. Roncoroni,
Milano1995.
Scritti
politici
e
difilosofia
della storia e
del
diritto, a cura
di G.
Solari,
L. Fir-
po
e Vittorio Mathieu,
Torino 1956.
Opus postamum
(scelta), a cura
di V. Mathieu,
Bologna
1963.
Una scelta di
Opere, comprendente
le tre Critiche,
la Fondazionee
La re-
ligione,
uscita nei Classici della filosofiadella
UTET, a cura
di P. Chio-
di, Torino 1967.
STUDI SUL PENSIERO LOGICO-EPSTEMOLOGICO-METAFISICODI KANT
E.
ADICKES,
Kant and das
Ding
an sich,
Berlin 1924.
F.
BARONE,
Logicaformale
e
logica
trascendentale,
Torino 1957.
I. BENNET,
Kants
Analytic,Cambridge
Mass. 1966.
L.
BRUNSCHVIG,
Ilide
critiqae
et le
systme
de
Kant,
in Revue de
metaphy-
sique
et de morale 1924.
P.
CARABELLESE,
Il
problema
della
filosofia
in
Kant,
Verona 1938.
R.
DAVAL,
La
nzetaphysiqae
de
Kant,
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LE CARATTERISTICHEDELLA SECONDAMODERNIT
DOPO KANT
La linea di demarcazione che
separa
la
prima
dalla seconda moder-
nit la rivoluzione
francese,
che inizia
come tutti
sappiamo
nel 1789. In
effetti i cambiamenti
politici,
sociali, economici,
religiosi,
culturali che
coincidono con
questo
evento sono veramente
epocali.
Nel
campo politico
il motto della rivoluzionefrancese:
<<libert,
egua-
glianza,
fraternit risuona
ovunque,
e diventa il motto comune
prima
dei cittadini
europei
e
poi
di tutti i
popoli
della terra. I sistemi monarchi-
ci sono abbattuti e sostituiti con
quelli repubblicani,
anche
se in molti
casi
questi
non saranno
per
nulla
pi
democratici dei
primi.
Con la rivo-
luzione francese inizia anche la lotta contro il
colonialismo,
che lenta-
mente
porter all'indipendenza
tutte le nazioni del secondo e del terzo
mondo. Ma la fine del colonialismo
segner
la nascita dei due
grandi
blocchi, facenti
capo
alle
grandi potenze
economiche,
U.S.A. e U.R.S.S.
Dopo
il crollo dellU.R.S.S. si acutizzerannoulteriormente la
sperequa-
zione e i contrasti tra i
paesi dell'Europa
e dell'America del Nord con
i
paesi sottosviluppatidegli
altri continenti.
Nella sfera
sociale,
la seconda modernit fa
registrare
la fine dell'indi-
vidualismo,
che nella
prima
era cos marcato che Leibniz
poteva
definire
l'anima
come una
monade
senza
porte
e senza finestre. Ora non

pi
possibile
vivere nell'isolamenton
per
l'individuon
per
le citt n
per
gli
stati. Un evento
politico,
economico, artistico,
religioso
che ha
luogo
in
qualsiasi parte
della
terra,
oggi pu
avere riflessi
profondi
su tutta
l'umanit. In
effetti, a motivo dell'eccezionale
sviluppo
dei mezzi di tra-
sporto
(treni, auto, aerei,
navicelle
spaziali)
e di
quelli
di
comunicazione,
i cosiddetti mass-media
(giornali,
telefono, cinema, radio, televisione,
internet),
l'umanit
intera,
la
quale
viveva isolata e statica in
piccoli
nuclei
(paesi
e citt)
ha
raggiunto
nel
giro
di
pochi
decenni un
livello di
socialit
eccezionale, tanto che si
pu
affermare che il
pianeta
diventa-
to un
villaggioglobale. Questa
enorme
socializzazionecrea tra le nazio-
ni e tra
gli
stessi continenti una osmosi culturale senza
precedenti.
L'oriz-
zonte di
ogni
essere umano
ha
raggiunto
ormai un valore
planetario.
352 Parte terza
Nel
campo tecnologico
la seconda modernit diventata l'et della
macchina.
Oggi
l'umanit vive sotto
l'impero
della macchina. Invenzio-
ni
prodigiose
di
ogni genere
e
specie
hanno consentito all'uomo di sfrut-
tare le
energie pi
recondite non solo della natura ma
anche della mate-
ria
(energia
nucleare).
Esse hanno
reso
possibile
un elevato livello di
benessere a molti abitanti del
pianeta;
hanno modificato
profondamente
le abitudini e
i
comportamenti
delle
persone,
ma allo stesso
tempo
hanno creato
problemi ecologici
di difficilesoluzionenonch il
gravissi-
mo
problema
della
disoccupazione.
In
passato
era homo homini
lupus;
attualmente madrina est IOHIH
lupus. L'ingegneria genetica
ora
pu
fab-
bricare uomini in
provetta
e
clonare individui della
specie umana,
creando
gravi problemi
a molte coscienze.
Nell'ambito
religioso
la seconda modernit
conosce un nuovo
feno-
meno, quello
dell'ateismo. La
secolarizzazione,
gi presente
nella
prima
modernit,
diventa il tratto dominante della seconda. E mentre
prima
della rivoluzionefrancese secolarizzazioneera soltanto la
proclamazio-
ne dell'autonomiae della maturit
dell'uomo,
nell'epoca
successiva essa
si trasforma in
negazione
di Dio. Mentre fino alla rivoluzione
francese,
nelltncien
regime,
Chiesa
e Stato erano
profondamente
solidali tra di
loro e la
religione
era
sempre
una
componente
essenziale dello
Stato, ora
assistiamo non soltanto alla laicizzazionedello
Stato, ma
sorgono
Stati
che fanno
aperta professione
di ateismo. Un altro fenomeno
religioso
della seconda modernit
l'esplosione
delle stte e
la nascita di
nuove
religioni,
nelle
quali
tolleranza e intolleranza si contendono la
palma
del
primato.
Sotto il
profilo
culturale la seconda modernit fa
esplodere
la crisi
della cultura moderna.
Questo
fenomeno inizia
gi
alla fine dell'Otto-
cento, e
Nietzsche
ne e il
pi lungimirante profeta;
ma si
aggrava rapi-
damente nei
primi
decenni del Novecento. Ci che entra in crisi l'idea
di
un illimitato
progresso
dell'umanit, un
progresso
che oltre che scien-
tifico
e
tecnologico
dovrebbeessere
anche morale. Invece le
guerre
mon-
diali,
che hanno fatto del secolo ventesimo il secolo
pi sanguinario
della
storia,
costituiscono una
chiara smentita di
questa utopia.
La se-
conda modernit vive
una crisi
sempre pi
vasta e
profonda
di ci che
era stato
per
secoli il
patrimonio
fecondo
dell'Europa
cristiana; essa
stata determinata da fermenti intellettuali
e morali tra di essi contraddit-
tori. lnfatti da
un lato c' la ricerca di
un dominio
sempre pi
sofisticato
dell'universo
(fisica nucleare,
sperimentazioni spaziali, indagini
e
appli-
cazioni
genetiche) e, dall'altro,
l'orrore della
guerra
atomica,
i
genocidi,
la
sperequazione
tra Nord e Sud del
pianeta,
la
perdita
del
senso
del
valore della vita
(aborto,
stermini di
massa, eutanasia).
E
ancora,
da
una
parte, l'esigenza
di ricercare uno stile
pi
autentico di
esistenza,
di for-
mazione autonoma e
responsabile
della
persona umana,
di comunica-
Le caratteristiche della seconda modernit
353
zione
interpersonale,
di
consapevolezza piena
del
proprio
i0
(fatto
di
spirito
ma
anche di
corporeit),
dall'altra la
perdita
di
ogni
sicuro
punto
di riferimento
(probabilismo
e
contingentismo
conoscitivo,
soggettivi-
smo e relativismo
morale,
concezione
spesso
esclusivamente materiali-
stica e
pulsionale
dell'uomo
e
della
sua affettivit),
gravissima
crisi di
tutti i valori assoluti
e
talvolta
degli
stessi valori strumentali
(scienza e
tecnica).1
Infine,
in sede
filosofica,
la seconda modernit
segna
il
passaggio
dalla
ragioneforte
alla
ragione
debole. Il crocevia di
questo passaggio

rappre-
sentato da Kant. Con lui, nonostante il marcato
antropocentrismo
del
suo
pensiero,
la
ragione
forte che da Cartesio fino
a
Voltaire
aveva Van-
tato i titoli divini dellbnniscienza
e
che si era ritenuta in
grado
di risol-
vere tutti i
problemi
e
di
dissipare
tutti i
misteri,
comincia a battere in
ritirata. Certo la
ragione
strumentale continua la
sua marcia trionfale:
copiose
e
strepitose
sono
le
sue
conquiste;
le
sue
scoperte
scientifiche
e
tecnologiche
nel
giro
di un secolo cambieranno
completamente
la faccia
del
pianeta.
Ma la
ragione speculativa, proprio
a
partire
da
Kant,
comin-
cia a riconoscere la
sua
debolezza
e a
proclamare
la
sua
impotenza.
Questo
passaggio
dalla
ragione
forte alla
ragione
debole
non
repentina
n
coinvolge
subito tutti i
pensatori.
Ma le critiche kantiane alle illusorie
pretese
della razionalit illuministica
penetrano progressivamente
nello
sfondo filosofico
e avranno
molti
seguaci.
Nel
precedente capitolo
abbiamovisto che Kant non
fu
un nemico ma
un convinto e zelante avvocato della metafisica. Tuttavia le
sue
critiche
alla metafisica
speculativa
ebbero effetti disastrosi sulla metafisica
e
di
fatto
segnarono
la
sua
fine. Nonostante le
sue
buone
intenzioni,
la
sua
strenua difesa della necessit della metafisica
e
la
sua costruzione di
una
"metafisica
pratica
(la metafisica dei
costumi), Kant chiude la
pagina
non
soltanto della metafisica
moderna, ma della metafisica
qua
talis.
Dopo
di
lui
non si costruiscono
pi
metafisiche n dall'alton dal basso. Si costrui-
scono
imponenti
cosmovisioni e
arnbiziose
ideologie,
ma non metafisiche.
LIntero vienerinchiuso dentro il
mondo,
dentro
l'uomo,
dentro la
natura,
dentro la storia. LIntero non
pi
costituito di due
mondi,
sensibile
e
intelligibile,
ma
di
un
mondo solo che il mondo dell'uomo.
La
soggettivit, l'antropocentrismo
e l'immanenza,
tratti
tipici
della
prima
modernit,
nella seconda
assumono accenti nuovi e
pi spregiu-
dicati:
se
nella
prima
modernit
potevano
ancora
dialogare
con
il
mondo della
trascendenza,
nella seconda modernit si chiudono total-
mente su se stessi, e
sfociano lentamente in un
oggettivismo
totale,
in
un
completo
relativismo
e
alla fine nel
pi
tenebroso nichilismo. Non ci
l)
Cf. B.
MONDIN,
Lina nuova cultura
per
una nuova societ. Analisi della crisi
epocale
della cultura moderna e dei
progetti per superaria,
2
ed., Massimo, Milano 1982.
354 Parte terza
poteva
essere
parabola peggiore per
la metafisica: dallascesa all'essere
si
precipita
nella
voragine
del nulla.
Con Kant inizia il
grande crepuscolo
della metafisica, un
crepuscolo
che
presenta
svariati
aspetti.
Dalla elaborazione del kantismo scaturisco-
no
molteplici
direzioni
speculative
in senso
fideistico e scettico;
in senso
idealistico nella
triplice
forma delldealismoetico di
Fichte,
estetico di
Schelling
e
logico
di
Hegel;
in
senso
volontaristico
(Schopenhauer)
con
tendenze che
preannunziano
il
positivismo
(Herbart).
In
breve,
le fila
del
complesso
tessuto del
pensiero contemporaneo
si riallaccianoal cri-
ticismo kantiano, o
perch
ne derivano,
attraverso un suo
ripensamento
critico, o
perch
se ne discostano, attraverso una
ripresa
critica di
quel
filonedel
pensiero
moderno che da Malebranche a Vico ha
approfondito
il Concetto di trascendenza e i terni della metafisica
patristica-scolastica.
Cos anche
dopo
Kant,
la metafisica non
muore, perch
non
pu
morire. Ma
quando riprende
il suo cammino non
lo fa ritornando alla
metafisica moderna,
bens
ricuperando
i
grandi progetti
della metafisica
classica e
della metafisica cristiana.
Poich
oggetto
del nostro studio la storia della metafisica,
parlando
dei filosofi della seconda modernit cercheremo di attenerci al nostro
tema
e,
di
conseguenza
e
concederemo
poco spazio
a certe
figure mag-
giori,
il cui
apporto
alla metafisica stato
per esiguo
e trascurabile,
mentre riserveremo una
pi larga
considerazione a
figure
relativamente
piccole,
ma
importanti per
lo
sviluppo
della metafisica
nell'epoca
con-
temporanea.
LA DISSOLUZIONEDELLA
METAFISICANEGLI IDEALISTI
La dissoluzione della metafisica
pu
avvenire in mille modi.
Quella
pi semplice
e
pi frequente,
che ritorna
spesso
nella storia della metafi-
sica,
lo
scetticismo,
il
quale proclama categoricamente l'impotenza
della
ragione
umana in ordine alla
verit,
in
particolare
della verit
suprema
ed eterna.
Ma si
pu
eliminare la metafisica anche
proponendo
soluzioni alter-
native ad
essa,
soluzioni in cui lIntero viene ridotto
a un
mondo
solo,
per
cui viene tolta in radice
ogni
necessit di
superare "questo"
mondo
per attingere
1altro. L'intero
pu
essere identificato
0 col
pensiero
oppure
con la
materia, con l'Io
oppure
con Dio, con la natura
oppure
con la storia. In effetti eliminano la metafisica sia i mistici sia i
positivi-
sti,
sia
gli
idealisti sia i
materialisti,
sia i naturalisti sia
gli
storicisti.
Come
sappiamo,
nella seconda
modernit,
la dissoluzionedella
me-
tafisica
legata
a Kant, e
fu
opera,
anzitutto,
di alcuni suoi valenti disce-
poli,
i
quali
dei due
mondi, sensibile
e
intelligibile,
che l'autore della
Critica della
ragion
pura
aveva
sempre
difeso,
sopprimono
il mondo
sen-
sibile
per
conservare esclusivamente
quello intelligibile.
Cos il
figlio
primogenito
del criticismokantiano Videalismo.
Nella storia della filosofia si incontrano
numerose forme di ideali-
smo. La
prima

quella
"metafisica" di Platone: la celeberrima dottrina
delle Idee. Poi abbiamo Fidealismo
emanatistico dei
Neoplatonici.
Pi
tardi sotto l'influssodi costoro si
sviluppano
visioni
pi
o meno marca-
tamente idealistiche anche in
seno
al Cristianesimo:
memorabili
soprat-
tutto
quelle
di S.
Agostino
e S. Bonaventura. Si tratta
per
sempre
di
idealismo metafisico: alle Idee viene attribuita
una solidit che
sorpassa
quella
tenue del
pensiero
ed identica
a
quella
forte dell'essere. In effet-
ti la radice ultima delle
cose resta
sempre
l'essere
e non il
pensiero
per
tutti i filosofi dell'antichit
e del Medio Evo.
Nella filosofiamoderna si
Sviluppagi
a
partire
da Cartesio
un nuo-
vo
tipo
di idealismoche
per distinguerlo
da
quello precedente possiamo
chiamare "noetico".
un idealismo nato dallorientamentodella filoso-
fia
post-rinascimentale, un orientamento critico
epistemologico
o noeti-
co (e non
pi
metafisico). Questo
indirizzoha
avuto
inizio, come
sappia-
mo,
con Cartesio: il
padre
della filosofia moderna
perviene gi
a una
concezione idealistica dell'uomo
quando
lo definisce
una res
Cogitans.
La
356 Parte terza
prima
forma di idealismo
integrale

per quella
elaborata da
Berkeley,
grazie
al
principio
esse est
percipi
(l'essere
di una cosa
consiste nell'essere
percepita);
il suo stato chiamato idealismo
soggettivo" perch
affon-
da le radici nelle
premesse
empiristiche soggettivistiche
della filosofia
inglese.
Alldealismo
soggettivo
di
Berkeley
Kant
oppone
il suo
idealismo
trascendentale". In
questa
forma di idealismo il
soggetto
creatore"
non
del mondo
dell'esperienza,
come
insegnava
Berkeley,
ma
solo delle
Condizioni
supreme
del conoscere (le
forme e
le
categorie
trascendentali).
Per
questa
restrizionedell'idealismo ai soli
aspetti
trascendentali rite-
nuta
illegittima
dai
grandi discepoli
di
Kant, Fichte,
Schelling
e
Hegel,
i
quali pertanto,
criticandoil loro
maestro,
arrivano al1idealismoassoluto.
In realt
l'esigenza
del
passaggio
all'idealismoassoluto era
gi
insita
nel sistema kantiano stesso.
Infatti Kant si era
salvato dallidealismo
totale solo
postulando
come causa
degli
stimoli delle sensazioni esterne
la cosa
in s (una
realt
indipendente
dal
soggetto
pensante).
Ma
questo
postulato
era stato
possibile
solo a
prezzo
di una
grave
contraddizione,
l'attribuzione del concetto di
causa,
che secondo i
princpi
della Critica
della
ragion pura

applicabile
solo ai fenomeni,
anche alla cosa
in s. Per
gli
idealisti fu
quindi semplice
arrivare all'idealismo assoluto. Basti) li-
berareil criticismodalla contraddizione
in cui l'aveva lasciato Kant,
cio
bast abbandonare l'uso indebito del
principio
di causalit
e,
di consc-
guenza,
la cosa
in s e
spingere
il concetto
kantiano dell'Io come
attivit
ordinatrice della natura costitutiva
del mondo
dell'esperienza
esterna e
interna fino in fondo. Con
questa
operazione
il
soggetto
da
semplice
legislatore
del mondo
dell'esperienza
(com'era
in Kant)
divienecreatore
di tutta
la
realt; esso non
incontra
pi
nessun
limite n nel contenuto
sensibileda una
parte
n nel mondo nournenico del
soprasensibile
dal-
l'altra: l'Io il creatore non
solo della forma ma
anche del contenuto
del-
l'esperienza
e non
c' nessuna
realt nournenica
fuori di
esso;
l'autoce-
scienza il
principio
assoluto del reale
e
di tuttoci che
;
ogni
limite
del
pensiero
non
pu
essere
posto
che dal
pensiero
stesso e
dal
pensiero
pu
anche essere
superato.
In
breve,
l'Io
penso
esso stesso il mondo e
Dio,
il fenomenoe
il
noumeno,
il
soggetto
e
l'oggetto.
Questi princpi
sono
comuni a
tutti e tre i
grandi
idealisti: Fichte,
Schelling
e
Hegel,
i
quali per
li
sviluppano
in modo diverso: in direzio-
ne etica il
primo,
estetica il secondo,
logica
il terzo.
Anche in
questo,
tut-
tavia,
essi
dipendono
da
Kant,
il
quale
nelle sue
celebri tre Critiche af-
fronta
rispettivamente
il
problema
del
sapere
(nella
Critica ciella
ragion
pura),
il
problema dell'agire
(nella
Critica della
ragion pratica)
e
il
problema
del
piacere
(nella
Critica del
giudizio). Hegel sviluppa
Fidealismo
logico
partendo
dalla
prima
Critica;
Fichte
sviluppa quello
etico
partendo
dalla
seconda, e
Schelling sviluppa
Yidealismoestetico
partendo
dalla terza.
La dissoluzionedella
nretafisiaa negli
idealista"
357
Iohann
Gottlieb Fichte
e
l'idealismoetico
Johann
Gottlieb Fichte e il
primo
dei tre
grandi
idealisti tedeschi
e si
pu
anzi dire che
egli
il
padre
dell'idealismoin
quanto
fu lui il
primo
ad avvertire le
gravi
contraddizioni che minavano il criticismokantiano
e a risolverlein direzione delldealismo.
L'idealismo di Fichte si
distingue
da
quello
di
Schelling
e
di
Hegel
per
il
suo carattere
pratico
e
morale. Il
punto
di
partenza
della
specula-
zione fichtiana
non una domanda
speculativa ma una
domanda
prati-
ca. Essa chiede: Cosa deve fare
l'uomo,
il
dotto,
lio?. Solo
pi
tardi
incontriamo
l'interrogativo
<<Cosa deve
esistere,
affinch
l'uomo,
il
dotto,
l'io
possa
esistere? Ne risulta che in Fichte la metafisica
e
la teo-
resi in
generale
sono
subordinate alla morale
e
alla
prassi,
diversamente
da
quanto
abbiamo
osservato in Aristotele
e in Kant: in Aristotele la
mo-
rale
e
la
prassi
sono subordinate alla
metafisica;
in Kant fra i due ordini
speculativo
e
pratico
non intercorre
nessun
rapporto.
Il carattere
pratico
della filosofia fichtiana evidenziato anche da
altri due motivi:
1)
l'essenza dell'Io
non consiste nel
conoscere ma nel
volere: la
ragion pratica
la radice di
qualsiasi
altra
ragione;
2)
il
mondo
non
concepito
come
oggetto
da
conoscere ma come ostacoloda
superare:
noi non incontriamomai l'essere
per
il
piacere
di
contemplar-
lo. Il mondo mi si
presenta sempre
come
sfera dei miei doveri. Un
mondo diverso da
questo per
me non esiste.
VITA
Fichte
nacque
a Rammenau in
Sassonia,
nel 1762.
Compi gli
studi
superiori
all'universit di
Iena. Conseguita
la laurea lavor in
qualit
di
tutore
presso
varie
famiglie
dedicandosi nel
frattempo
allo studio della
filosofia
moderna,
soprattutto
di Kant che cerc anche di
conoscere
per-
sonalmente
rendendogli
visita nella
sua
Knigsberg.
Ma Kant lo accolse
molto freddamente.
Allora,
per
destare l'interesse dell'autore della
Critica della
ragion pura
decise di
comporre
un
saggio
intitolato Critica di
ogni
rivelazione. Lo
port
a termine
a
tempo
di
record,
in
cinque
settima-
ne e lo fece uscire anonimo. Tutti lo attribuirono
a Kant il
quale
si
affrett
a
correggere
l'errore
non
risparmiando
lodi
all'autore,
il
quale,
in tal
modo,
guadagn improvvisamente
una enorme celebrit. L'uni-
versit di
Iena
gli
offr, su raccomandazionedi
Goethe,
la cattedra di fi-
losofia che Fichte accett
prontamente.
Per nel
1799,
dopo
appena
cin-
que
anni di
insegnamento,
dovette lasciare la cattedra
per
motivi
politici
e
religiosi,
accusato di
giacobinismo
e
di
panteismo.
Torn
per
nuova-
mente alla ribalta nel
1807,
al
tempo
della invasione
napoleonica
della
Prussia, con
i famosi Discorsi alla nazione tedesca. Nel
1810, anno in cui fu
358 Parte terza
eretta l'Universit di Berlino vi nominato
professore
di filosofia. Mor
nel 1814 di
colera, contratto dalla
moglie
la
quale,
durante la
campagna
napoleonica
contro la
Prussia,
si era
prodigata
ad assistere come
infer-
miera i soldati
prussiani.
OPERE
Nell'arco
piuttosto
breve della
sua vita Fichte ha
prodotto
un numero
cospicuo
di
opere
di cui le
principali
sono tutte
legate
alla elaborazione
di
una nuova
dottrina della scienza, una
dottrina che abbraccia tutto
il
sistema fichtiano,
perch per
Fichte il
sapere
sta
all'origine
di tutto. Ecco
i titoli: Sul concetto di dottrina della scienza o della cosiddetta
filosofia
(1794);
Fondamenti dell'intera dottrina della scienza (1794);
Compendio
di ci che
proprio
della dottrina della scienza (1798);
La seconda dottrina della scienza
(1801);
La dottrina della scienza nei suoi lineamenti
generali
(1810);
Il
rappor-
to della scienza con
lafilosofia,
ovvero
la
logica
trascendentale
(1812).
Altre
opere
importanti
di Fichte
sono:
Sul
fondanzento
della nostra
fede
in un
governo
divino del mondo (1798),
dove Dio sembra venire a
coincide-
re con
l'ordinamentomorale del mondo: da
qui
scaturirono le
gravi
ac-
cuse
di ateismo che costrinsero Fichte
a
dimettersi e a
lasciareVienna;
La
missione dei dotto (1794), una
delle
esposizioni pi limpide
e
accessibili
della
sua
concezione della filosofia e
dei suoi
rapporti
con
la
vita;
I tratti
fondamentali dellepoca presente
(1806),
che contiene la
sua
filosofia
dela
storia;
Introduzione alla vita beata (1806),
un'opera
di filosofia della
religione;
Discorsi alla nazionetedesca
(1808).
IL SAPERE ASSOLUTO
Fichte un
filosofo
politico",
ma non
politicizzato,
e
per questo
motivo mai fu
disposto
a
piegare
le
proprie
idee alle
imposizioni
dei
poteri
costituiti.
Egli
Vive intensamente i
problemi
della
sua
epoca
stori-
ca,
facendo suo
il motto della rivoluzione francese: libert,
eguaglian-
za,
fraternit".
Questo
divieneil
motto,
oltre che del
suo
agire,
anche del
suo
filosofare. La sua
riflessionefilosofica si muove tra due fuochi: la
filosofiadi
Kant,
il
suo
ammirato
maestro,
da
una
parte,
e
l'istanza fon-
damentale della libert,
dall'altra.
Correggendo
il criticismo kantiano
Fichte elabora la
sua
filosofiadella libert.
Quello
che Fichte costruisce
un
sistema ambiziosoche intende abbracciare
lIntero, ma un
Intero
senza
trascendenza e
quindi
senza
metafisica.
Nel sistema filosoficodi Fichte confluiscono
importanti
motivi
plato-
nici,
cartesiani e
kantiani. Come Plotino,
Fichte deriva l'essere e
la
libertda1lAssoluto; come Cartesio,
egli
si avvale del metodo assiomati-
co-deduttivo e costruisce tutto il sistema sulla base di
pochissimi princ-
La dissoluzionedella
metafisica negli
idealisti
359
pi;
come Kant
assegna
il
primato
alla filosofia
pratica togliendolo
a
quel-
la
speculativa.
L'obiettivo
principale
e costante di Fichte fu la elaborazione di
una
dottrina
rigorosa
del
sapere,
non di
questo
o
quel sapere particolare,
bens del
sapere
assoluto. Di
per
s
questo
stato da
sempre
anche l'obietti-
vo della
metafisica; ma
l'esito della ricerca fichtiana
non
metafisico,
ossia
trascendente,
bens
immanente, e
questo per
il
semplicissimo
moti-
vo
che del
conoscere Fichte
non
ha
un Concetto realistico,
bens idealisti-
co: il
conoscere non un
rappresentare,
ma un creare e un
porre Poggetto.
Fichte inizia la sua trattazione della dottrina della scienza
con la
seguente
affermazioneche tutti
possiamo
condividere:
ll
principio
assolutamente
primo
di tutto il
sapere
umano non
pu
essere dimostrato
o determinato. Esso deve
esprimere quellflxtto
che
non si
presenta
n
pu presentarsi,
fra le determinazioni
empiriche
della nostra
coscienza, ma
che
piuttosto
a fondamento di
ogni
coscienza
e, solo,
la rende
possibilew
Ma come
giungere
alla determinazionedi siffatto
principio?
Le vie
possibili,
ben note a tutti i
metafisici, erano due: la Via dell'a-
nalisi dei fatti
e della
resolutio,
che
era la via dal
basso, e
la via della sin-
tesi
e della
riflessione, cio la via dall'alto. Fichte
sposa logicamente
la
seconda via: Sulla via della riflessionenoi dobbiamo
partire
da
qualche
proposizione
che ci sia
concessa da
ognuno
senza contraddizione!
Una
proposizione
di
questo
genere
il
principio
di identit A=Az
questa
una
proposizione
ammessa da tutti: invero senza menoma-
mente
pensarci
su: la si riconosce
per pienamente
certa e
indubitabilew
Senonch, osserva Fichte,
qui
non ci troviamo
ancora di fronte a un
principio assoluto,
perch
l'A
preso
in
se stesso non
ancora,
un nulla,
c rimanda
quindi
a un
principio
ulteriore che lo
ponga.
Cos Fichte
giunge
allIo,
principio primo
del
pensiero;
ma non l'Io
particolare
bens
l'Io
universale,
la
Egoit
(Ichheit). Eccoci,
quindi, giunti
al
principio
primo,
fondamentoassoluto del
Sapere.
Riflettendo sulla
proposizione
A=A Fichte arriva alla
posizione
dell'Io
per opera
di
se stesso,
questa purissima attivit,
da cui
ogni
cosa
sprigiona
come dalYUno
plotiniano:
L'ID
pone
se stesso;
ed
esso
in forza di
questo
mero
porre
ad
opera
di
se stesso; e viceversa: l'Io ed
esso
pone
il
suo essere in forza del suo
mero essere. Esso
e,
al
tempo
stesso,
l'agente
e il
prodotto dell'azione;
l'attivo
e ci che
prodotto dall'attivit;
azione e fatto sono una sola e
1) Fondazionedi tutta la dottrina della
scienza, tr. L.
Pareyson,
in Grande
antologiajlo-
sofica,
Milano 1972, vol. XVII,
p.
912.
2) lbid.
3) 11nd,,
p.
913.
360 Parte terza
medesima
cosa;
e
pertanto
l'Io sono
espressione
di un atto; ma
anche
del solo atto
possibile,
come
dovr risultare da tutta
la dottrina della
scienza.4
Il
plotinismo
di Fichte
emerge
in modo ancora
pi
chiaro e
trasparen-
te nella Seconda dottrina della scienza.
Qui egli
introduce nel
principio
primo,
che il
Sapere
assoluto,
due coefficienti essenziali: Vessere e
la
libert (che corrispondono
allEssere e
alla
Intelligenza
di Porfirio e
svol-
gono
lo stesso ruolo che
questi
due
principi svolgono
nel suo sistema).
Leggiamo
un
passo
in cui
questi principi vengono esposti
da Fichte
con
estrema chiarezza:
Il
Sapere
assoluto dev'essere
quindi compreso
mediante una
[ntui-
zione
(Ansclzammg)
di se
medesimo
ugualmente
assoluta. Inoltre
chiaro che tale intuizione assoluta del
Sapere
assoluto dev'esserci, e
per conseguenza
[annunciata
spiegazione
reale del
Sapere
assoluto
dev'essere
possibile,
se
in
generale
devesserci una Teoria
della
Scienza. Poich nelldntuizione in cui
questa
consiste,
la
Ragione
(Vernunft)
o
il
Sapere
(Wisscrx)
dev'essere
compreso
assolutamentecon
uno
sguardo
solo. Ma il
Sapere particolare
non
si
pu
comprendere
con uno
sguardo
solo, ma
soltanto con
sguardi particolari
e
diversi fra
loro. Per
conseguenza
il
Sapere
dovrebbeessere
concepito
cos com',
assolutamenteuno e
identico a se stesso,
cio l'assoluto
Sapere.
Nella descrizionestessa serviamoei del
seguente procedimento.
ll let-
tore
pensi
innanzi tutto lZ/lssoluto,
assolutamente come tale, come
di
sopra
fu determinato il suo concetto.
Noi affermiamo che trover che
lo
potr pensare
soltanto sotto le due note
seguenti,
l'una: che
esso

assolutamente ci che ,
riposa
su e
in se
medesimo assolutamente
senza
mutazione o oscillazione, saldo, chiuso,
completo
in se stesso;
l'altra: che
esso ci che
,
assolutamente
perch
da se stesso,
in
forza di se stesso, senza
niun influsso straniero, poich
accanto al-
lAss0luto niente di estraneo rimane, ma tutto ci che non e lAssolu-
to medesimo svanisce (...).
Noi
possiamo
chiamare il
primo
esistenza
assoluta, essere
quiescente
(ruhendes Sein) e
cos via;
il secondo dive-
nire assoluto (IZSOLIES Werden) o
libert (Freiheit).
Entrambele
espres-
sioni, come
si intende di una
schietta e solida
esposizione,
non
dovrebbe indicare nulla di
pi
di
quanto
realmente nella Intuzione
(che
si
suppone
nel lettore)
dei due caratteri de1lAssoluto.
Ora il
Sapere
dev'essere assoluto, come Uno,
precisamente
Sapere
identico a se stesso e
che rimane eternamente identico, come
unit di
una e
proprio
della
suprema
intuizione, come
pura,
assoluta
qualit.
Nel
Sapere dunque
i due
supremi
caratteri dellAssoluto dovrebbero
assolutamente coincidere e fondersi,
s da non essere
pi distinguibi-
li; e
proprio
in
quesfassoluta
fusione consisterebbe l'essenza del Sa-
pere
come tale, o
l'assoluto
SIlpETBL-
4) lbid,
p.
915.
5)
La seconda dottrina della scienza, tr. A.
Tilgher,
Padova 1939,
p.
21.
La dissoluzionedella
metafisica negli
idealisti
361
IL SISTEMA DELLA LIBERT
Il sistema di Fichte
un
"sistema della
libert", come
l'ha definito
L.
Pareysonfi
In
effetti, come risulta dal
passo
test
citato,
per
Fichte la
libert
non soltanto
uno
dei tanti attributi di
Dio, ma il
suo costituti-
vo metafisico. Di
per
s non si tratta di
una tesi nuova. L'abbiamo
gi
incontrata in Scoto
e Cartesio, ma in un contesto molto
diverso,
essendo
quello
il
contesto di
una concezione
ancora realistica del
conoscere e
di
una visione metafisica dell'universo. Fichte fa
sua
la tesi di Scoto
e Car-
tesio e
la
applica
all'10
puro per
caratterizzareil
suo "assolutodivenire.
L'Assoluto,
l'Io di Fichte essenzialmente
dinamico, atto che
sempre
in
atto,
in
perpetuo
divenire,
ed atto libero
perch
totalmente
sponta-
neo,
senza niun influsso
straniero,
perch
accanto allAssolutonulla di
estraneo rimane.
Senonche
per
l'esercizio della
propria
libert l'lo
puro
deve
avere un
campo
d'azione. Tale
campo
vienedetto da Fichte Non-lo: lo
oppongo
nell'loall'10 divisibile
un non-lo divisibiloflIl Non-Io l'ostacolo
(Anstoss)
da sormontate e
da
soggiogare
che l'Io trova
sempre
davanti
a se stesso.
Per il Non-Io
non va inteso come un mondo esterno all'10 n come una
"cosa in s" distinta dallIo. Scrive Fichte
a
questo riguardo:
L'essenza della filosofiacritica sta in
questo,
che
posto
un lo
asso-
luto
come assolutamenteincondizionato
e non determinabileda nulla
di
superiore, e,
se
questa
filosofia conclude
conseguentemente
da
questo principio,
allora diventa dottrina della scienza. Al
contrario,

invece
dogtnaticzz quella
filosofia che
ponc qualcosa
di
uguale
e
di
opposto
all'10 in
s; e ci avvienenel concetto - inteso
come
superiore
- di
cosa (Ens),
che in
pari tempo,

posto
come il concetto assoluta-
mente
supremo.
Nel sistema critico la
cosa ci che
posto
nelllo,
in
quello dogmatico,
ci in cui l'lo stesso
posto;
il criticismo
perci
immanente,
perch
pone
tutto nelllo,"
il
dogmatismo

trascendente,
perch procede
ancora oltre lIo.8
LIo il
principio
esclusivo
e dominante di tutta la filosofiafichtiana.
Ogni
determinazione che tocca la coscienza
dipende
dall'lo,
nella
sua
origine
e
nel
suo
perseverare:
tutto, senza eccezione,
deve
essere
posto
nellIo
(lm
Ich soll alles
gcsetzt werden).
questo
ci che Fichte stesso
chiama "un
principio regolatoregenerale"
della
sua filosofia.
Elimnando la
cosa
in s Fichte
non
elimina soltanto il
dogmatismo
ma
qualsiasi
metafisica,
in
quanto
elimina
proprio "quel procedere
oltre in cui consiste essenzialmente
l'indagine
metafisica.
6)
L.
PAREYSON, Fichte. Il sistema della
libert,
Milano 1976.
7) Fondazione di tutta la dottrina della scienza
cit.,
p.
995.
s) raid,
p.
925.
362 Parte terza
Cos l'universo fichtiano diviene un
universo chiuso dentro la
grande
monade dell'Io, veramente una
monade senza
porte
e senza finestre;

un universo monolitico,
ancorch
non
statico ma estremamente dinami-
co,
dove l'unico motto :
Agire, Agire, Agire}?
In tale universo tutto frut-
to della
irrzmaneiite
operazione
dell'Io;
perci
tutto
espressione
di
un
unico
soggetto.
E un
universo in cui non
c' nessuna ascesa e nessuna
discesa. Non C' discesa nel senso
di una creazione di un nuovo
mondo.
Non c' ascesa
dal finito verso lInfinito,
dal
contingente
verso
l'Assolu-
to; non
c' nessuna
navigazione
dal mondo sensibileal mondo
intelligi-
bile.C' soltanto (l)
l'intuizionedel
Sapere
assoluto. C' una
visione mi-
stica e
panteistica
dell'universo, ma non c' nessuna
metafisica.
Nonostante la sua
profonda
antimetafisicit,
il sistema fichtiano non
elimina l'essere. Come risulta dal bel testo della Seconda dottrina della
stienza,
che abbiamocitato
pi sopra,
Fichte riconosce l'essere come uno
dei due
princpi
costitutivi dell'Assoluto e
del
Sapere
assoluto. L'essere
la condizione
originaria,
il substrato
quiescente
su cui si innestano la
coscienza e
la
libert;
Fichte non
rinuncia a nessuno
dei due termini
essere-pensiero,
ma
rifiuta di
concepire
i loro
rapporti
in termini di
sog-
getto-oggetto.
Entrambi sono
soggetto
e
oggetto
ma
in modo diverso. Si
potrebbe
dire che l'essere e
l'oggetto
(mediante
la riflessione).
Un'idea
importante
su cui Fchte torna
pi
volte
quella
di
una
fenomenologia
che vera
perch
"riflesso"
dellbntologia
e
di
un'ontologia
che
va
costruita
geneticamente
onde
fungere
da modello della
fenomenologia.
S
potrebbe
dire che,
essendo tutto ci che si
pu
"dire" derivante dal
pensiero
come coscienza,
la
fenomenologia
debba avere
la
precedenza,
ma
Fichte
non
segue questa
strada,
perch
la coscienza non
un
origi-
nario; essa
ricava dall'essere la
legge
di
ragione
che la
guida;
e
anche
perch
la coscienza
ha il
compito
di
completare,
a
livello fenomenico,
l'esistere dell'essere,
introducendo accanto alla necessit
ontologica
della "estrinsecazione",
la libert non
"di fare, ma
nel fare". La libert
compare
qui
in una
prospettiva
non morale,
bens
"ontologica":
l'essere
necessario nella sua essenza,
e
possibilequanto
alla sua esistenza; ogni
atto esistenziale un
riconoscimento"libero",
anzi "voluto", dell'opera-
re
dell'Assoluto. La
possibilit, ontologicamente pi povera
dell'essere,
se
collocata
prima
di
lui,
lo arricchisce invece se
collocata
dopo,
in
quan-
to ne contiene una
ripetizione,
un
raddoppio.
L'ontologico
diviene fenomenico (ma non "fenomeno)
mediante la
libert. La zona
del fenomeno la zona
tipicamente
umana
dell'Io come
forma
pura,
che
attinge
una certezza,
che
intuisce,
che si fa inizio di
un
mondo fenomenico
progettato
sul modello della
"legge originaria
della
ragione",
di
un
mondo che e un
arzalagum
"della
ragione
e
della
spiritua-
9)
il famoso motto della conclusionedell'ultima lezione de La missione del dotto.
La dissoluzionedella
metafisica negli
idealisti
363
lit". Con
queste
formulazioni -
qualcuno
che le ascolt durante le lezio-
ni trov in
esse curiose
assonanze
platoniche
Fichte riteneva di
avere
illustratola
comune natura di
intelligibile
(uno) e sensibile
(molteplice).
La fenditura tra i due andava
mantenuta, ma senza la conflittualit
che l'aveva caratterizzatanella metafisica
classica,
perch
nel
moltepli-
ce,
che e
contingente,
c' la
possibilit
della libera scelta
e Dio
pu
apparire
soltanto in
un
che di
libero;
la natura di
Dio,
la
vita",
si
pu
esplicare dunque nellopera
delluomo che si vuole libero: la
creazione,
si
potrebbe
dire, continua.
LA
FILOSOFIA DELLA RELIGIONE
Nel sistema di Fichte risulta
gravemente
compromessa
la trascenden-
za dellAssolut0, dell'uno, del
Principio primo,
dell'Io
puro,
di Dio. L'Io
puro,
infatti non
gode
di unesistenza autonoma
rispetto
ai due termini
(Io
empirico
e Non-lo)
in cui si attua storicamente.
Rispetto
all'10
empiri-
co,
per esempio,
l'Io
puro
non altro che il dover
essere,
un ideale da
per-
seguire.
Di
qui
le accuse di ateismo sollevatecontro Fichte da
Schelling
e
dai
pensatori
romantici,
gi
suoi amici.
Queste accuse indussero Fichte
a
riprendere
i
problemi
e a
formularli secondo
una diversa
prospettiva.
Tale riflessionediede
origine
alla seconda
filosofia,
nella
quale
lAssolut0
viene considerato in modo nuovo: non
pi semplicemente
ordine morale
del
mondo, non
puro
ideale o dover
essere, ma
fondamento reale dell'Io
empirico;
lAssoluto
guadagna
una sussistenza
propria
e
acquista
le
pro-
priet
di Dio. Ma
non si tratta del
Dio-persona
del
cristianesimo,
bens di
un Dio sussistente
e,
a suo modo, trascendente,
paragonabile
per
certi
aspetti
all'uno
plotiniano
e alla Scistnnza
spinozista.
Il
pensiero religioso
di Fichte
va, cos,
da
una
posizione
inizialmente
ateistica a una
posizione
conclusiva di
stampo panteistico.
Molte le dot-
trine cristiane che Fichte riesce a
incorporare
nel suo sistema:
Trinit,
Incarnazionedel
Verbo,
peccato,
redenzione
ecc.,
ma l'accostamentoal
cristianesimo non
ha
per
nulla il carattere di una conversione, non una
professione
di
fede; ma
semplicemente
unabile
manovra
per
dare
maggior
credito alle
proprie posizioni
filosofiche. Infatti il
cristianesimo,
secondo
Fichte, non
rivela nulla che lo
spirito
umano non abbia
gi
in
se
stesso e
che la
ragione
non sia
gi
in
grado
di dimostrare. Perci il siste-
ma
fichtiano
non e vero
perch
conforme al
cristianesimo, ma vicever-
sa il cristianesimo
vero
perch
conforme alla dottrina fchtiana. Nella
Sesta Lezione delldntroduzionealla vita beata
leggiamo:
Va da s che mostrando l'accordo della nostra dottrina col cristiane-
simo non
intendiamo in nessun
modo dimostrare la verit di
questa
dottrina o fornirle un
appoggio
esteriore. Essa dev'essere
gi
dimo-
strata e
palesata
come assolutamente evidente in ci che
precede,
e
364 Parte terza
non
ha
bisogno
di
nessun
appoggio
ulteriore. E allo stesso modo il
cristianesimo, se
pretende
di avere una
qualsiasi
validit,
deve dimo-
strare se stesso come
concordante con
la
ragione,
fuori della
quale
non v' verit. Non
aspettatevi
dal filosofoche riconduca i suoi inter-
locutori nei vincoli della cieca aut0rit>>.
Commentandoil
Prologo
al
Vangelo
di
Giovanni, con cui Fichte sente
di accordarsi
profondamente, egli
dichiara di essere
disposto
ad acco-
gliere
di
questo
scritto ci che vero
in
s,
assoluto e
valido
per
tutti i
tempi,
lasciando in
disparte
ci che riflette il
punto
di vista di Ges e
il modo di vedere della sua
epoca.
Cadono
pertanto,
sotto il rasoio
della
ragione,
tutti i miracoli che si incontrano nei
Vangeli.
E
cos,
prati-
camente come
personaggio
storico,
Cristo svanisce
per
assumere
il ruolo
di modello ideale valido
per
tutti
gli
uomini. Per Fichte Cristo non l'u-
nica incarnazionedel
Verbo, ma soltanto l'attuazione
pi perfetta
e
quindi
emblematicadell'unione dell'umanit con
la divinit. Infatti,
in
Chiunque
senza
eccezione riconosca in modo vivente la
propria
unit
con Dio, e
realmente e veramente sacrifichi tutta la
propria
vita indivi-
duale alla vita divina di
lui,
il Verbo eterno si fa
carne,
senza riserva n
restrizione,
in tutto e
per
tutto come
in Ges
Cristo, e diventa un'esi-
stenza
personale,
sensibilee umanamll
Tuttavia Fichte riconosce a
Ges
e
al cristianesimo il merito di avere
affermato
per
la
prima
volta nella storia il vincolo
profondo
che unisce
Dio all'uomoe
l'uomo a Dio.
Certamente la visione dell'assoluta unit dell'esistenza umana con
la divina la
pi profonda
conoscenza
che l'uomo
possa
conseguire.
Prima di Ges non si verificata in nessun
luogo,
e
dal
suo
tempo
fino ad
oggi
si
potrebbe
dire
che,
almeno nella conoscenza
profana,
essa
e di nuovo
andata
perduta,
come se
fosse stata
estirpata.
Ges
pero
l'ha manifestamente
avuta, come ci
parr
indiscutibile
appena
lavremonoi stessi,
fossanche soltanto nel
Vangelo
di Giovanniw
Per
questo
motivo Fichte si dichiara convinto del valore
perenne
del
cristianesimo: Fino alla fine dei
giorni
tutti
gli
uomini sensati si inchi-
neranno
profondamente
di fronte a
questo
Ges di Nazareth
e tutti,
quanto pi
saranno
solo
se stessi,
tanto
pi
umilmente riconosceranno
lo straordinario
splendore
di
questa grande apparizionew
L'unionedell'uomo con Dio non letta da Fichte in chiave
ontologica
(sulla
base della dottrina della
grazia
santificante)
bens in chiave etica.
l")
Tr. it. di L.
PAREYSON,
in Grande
antologiafilosofica,XVII,
p.
1065.
l)
Ibit.
p.
1070.
12) Ibm,
p.
1071.
H)
Ibid.
La dissoluzionedella
metafisica negli
idealisti 365
Essa si realizza facendola volont di Dio.
Chi, come Ges,
fa la volont
di Dio
raggiunge
il
regno
dei cieli e la vita
beata, non in un altro mondo
0 nella vita futura ma
gi
nella vita
presente
e in
questo
mondo. Fare la
volont di Dio diviene la
propria
e autentica
partecipazione
all'essere.
E cos la vita scorre in una totale
semplicit
e
purezza,
senza
conoscere,
volere o desiderare
null'altro, senza uscire mai da
questo punto
centrale,
non
turbata n
agitata
da nulla che le sia estraneom
Cos,
in
generale,
le verit
dogmatiche
del cristianesimo sono
risolte
in
princpi
filosofici conformi alle
esigenze
dellidealismoetico di
Fichte,
con il risultato ben
poco incoraggiante per
il cristianesimo e
per
la teolo-
gia
che, alla
fine,
pi
che
ufiapologetica
del cristianesimo Fichte
opera
un'apologetica
del
proprio
sistema servendosi del cristianesimo.
Seppure
in modo diverso anche in Fichte
come
negli
illuministi sem-
pre
la dea
ragione
a tenere in
mano
le
briglie
della verit.
Secondo H. Berkhof il merito
teologico permanente
di Fichte sta nel
suo rifiutodella necessit di una concezionedeistica di Dio
qual
era
quel-
la
kantiana,
rifiuto basato
sullantropologia
(la stessa di
Kant).
Egli
si
reso conto che
questa antropologia poteva dopo
tutto fare a meno di
qual-
siasi concezione di
Dio, ma ben
presto rfuggto
da
questa
veduta radi-
cale
per sviluppare
il
proprio
idealismoassoluto in direzione di
una con-
cezione
panenteistica
di Dio. Cos facendoha rinviatodi alcuni decenni il
confronto
con Vateismonella cultura
(tedesca)
moderna.15
FriedrichWilhelm
Ioseph Schelling
VITA E OPERE
Friedrich Wilhelm
Joseph Schelling
nacque
a
Leonberg
nel 1775.
Studi nel seminario
teologico
di
Tubinga,
dove ebbe come
condisccpoli
Hlderlin
e
Hegel.
Genio
eclettico, non attese esclusivamente
agli
studi
teologici,
ma
coltiv con
passione
anche
quelli
filosofici e scientifici. Nel
1799 fu chiamato
a sostituire Fichte a
Jena.
A
quel tempo
si era
gi
reso
famoso
con
alcuni scritti filosofici,
particolarmente
con le Lettere
filosofi-
che sul
dogmatismo
e il criticismo
(1796),
in cui tracciava le linee essenziali
del
proprio
sistema filosofico,
proponendo
un
idealismo che tentava di
conciliareil determinismo assoluto di
Spinoza
con Pidealismo assertore
della libert di Fichte.
Nel 1803
pass
a
insegnare
a
Wrzburg
e successivamente a Monaco.
In
questo tempo,
offeso dalle accuse
di ateismo che
erano state mosse
al
suo
pensiero
e dalle critiche di
l-legel, Schelling
sospese quasi completa-
) Ibid,
p.
1101.
15)
H.
BERKHOF,
200 anni di
teologia efilosqfia,
Torino 1992,
p.
52.
366 Parte terza
mente
ogni produzione
letteraria
e concentr il suo interesse sulla misti-
ca,
la
mitologia
e
la teosofia. Torno clamorosamente alla Celebrit nel
1841
quando
fu chiamato
a succedere a
Hegel
sulla cattedra di
Berlino;
ma deluso dal disinteresse
degli
studenti
per
le
sue lezioni,
dopo poco
tempo
lascio definitivamente
l'insegnamento.
Si ritir a Monaco dove
complet
la
sua ultima
opera,
Introduzione alla
filosofia
della
mitologia.
Mor a
Ragaz,
in
Svizzera,
nel 1854.
Oltre alle due
opere gi
menzionatedi
Schelling
ricordiamo: Ideen zu
einer
Philosophie
der Natur
(Idee
per
una filosofia della
natura), 1797;
Brutto odor ziber das
gttlicfie
und mztiirliche
Prinzii:
der
Dirige
(Bruno ossia
il
principio
naturale e divino delle
cose), 1802;
Darstellting
IFHCS
Systems
dei
IDIUSOp/IC (Esposizione
del mio sistema di
filosofia), 1802;
Sijstenz
der
gesamten Pltilosotihie
(Sistema
dell'intera
filosofia), 1803;
Philosophie
und
Religion
(Filosofiae
religione),
1804;
Freihcitsscirfit
(Ricerche
filosofiche sulla libert
umana), 1809;
Philosophie
der
Ojjfetibarizng
(Filosofia
della
rivelazione), 1821;
Zur Geschichte der metterei:
Philosophie
(Per
la storia della
nuova filosofia), 1822;
Grundlegunig
dei
positiven Philosophie
(Fondamenti
della filosofia
positiva),
1832-1833.
Il, PRIMO SCl-IELLINGZ LA FILOSOFIADELUIDENTIT
Vasto e
complesso
l'orizzonte
speculativo
dentro cui si muove
Schelling;
in
esso si ritrovano i
molteplici
fermenti di
pensiero
che
pullu-
lano in
Europa
alla fine del secolo XVIII
e
nella
prima
met del secolo
XIX: Yinteriorit della ricerca filosofica,
la
passione
per
la
libert,
l'ansia
per
lfissoluto,
la fiducia nel
progresso
delle
scienze,
il fascino della
natura,
della
religione,
dellarte,
della
poesia
e
della storia.
Schelling
rac-
coglie
nei suoi scritti tutti
questi impulsi
e si studia di sistemarli nel
qua-
dro di
una
filosofia
dellAssoluto,
concepito
come
sintesi di tutti
gli
opposti,
Vale
a
dire sintesi dell'Io
e
della
natura,
del
soggetto
e
dell'og-
getto,
dello
spirito
e della materia.
Nello
sviluppo
del
pensiero
di
Schelling
si
distinguono
varie fasi e
periodi.
La suddivisione in
periodi
non
deve
essere
sopravvalutata,
per
necessaria. Le mutazioni della sua filosofianon sono
comparabili
a
quelle
della Dottrina della scienza di Fichte. Mentre
questi
elabor
pi
e
pi
volte
sempre
un unico e identico
complesso
di
problemi, Schelling
fa entrare
sempre
nuove
problematiche
nel
suo
pensiero,
e ciascuna di
queste
variazioni
significa
un mutamento nel contenuto della sua dire-
zione di ricerca. N. Hartmann
distingue
in
Schelling cinque periodi
a cui
corrispondonocinque
sistemi:
1)
la filosofiadella natura fino al
1799;
2) Yidealsmotrascendentalenel
1800;
3)
la filosofiadell'identit
(1801-1804);
La dissoluzionedella
nzetafisica negli
idealisti 367
4)
la filosofiadella libertnel
1809;
5)
il sistema della filosofiadella
religione
nell'ultimo
Schelling
a
par-
tire, all'incirca,
dal 1815.16
Generalmente
per
ci si accontenta
di
distinguere
in
Schelling
due
soli
periodi: quello
della filosofia della
identit,
detta anche filosofia
negativa,
e
che
corrisponde
al
"primo"
Schelling;
e
quello
della filoso-
fia della
religione,
detta anche filosofia
positiva",
e
che
Corrisponde
al
secondo
Schelling."
I
punti pi originali
della fil0sofia
negativa
del
primo
Schelling
sono:
il concetto di
Assoluto,
concepito
come
unit indifferenziata di
tutti
gli opposti,
e
anzitutto come
unit di natura e
di
spirito:
la natura
non delimitata dallesteriorit,
n lo
spirito
dallinteriorit; ma anche
unit di luce e tenebre,
di intelletto e
desiderio (volont),
di benee
male.
Il Fondamento
originario
(Ur-Grund)
detto da
Schelling
anche Un-
Gruizd,
in
quanto privo
di
qualsiasi
fondamento e
precedente
tutte le
antitesi;
queste
non
possono
essere in esso
distinguibili
e nemmeno
essere
presenti
in
qualche
modo. Esso non
pu dunque
essere
indicato
come
identit
degli opposti
ma come assoluta
indifferenza:
L'indifferenza non un
prodotto
deIPantitesi,
n
gli opposti
sono
contenuti in
essa
implicitamente,
ma essa un essere
proprio separa-
to da tutte le
antitesi,
nel
quale
tutte le antitesi si
infrangono,
che non
altro
appunto
che il non essere
delle
medesime, e
che
perci
non
ha
altro
predicato
che l'essere
privo
di
predicati,
senza
per questo
essere
un nulla o un inconsistente (...).
Il reale e l'ideale,
le tenebre e
la luce o
come
altrimenti
vogliamo
chiamare i due
princpi
non
possono
essere
predicati
del non-fondamento (Un-Grand) come
opposti.
Ma
questo
non
impedisce
che essi
vengano
predicati
di esso come
non-opposti,
cio nella
disgiunzione
e ciascuno
per
s, con
il che viene
posta
la
dualit (la
reale
duplicit
dei
princpi).
Nel non-fondamento stesso
non
Vi nulla che lo
impedisca.'8
Altro
punto importante
della "filosofia
negativa"
la
spiegazione
che
Schelling
d del
passaggio
dallindifferenza
originaria
alle
molteplici
differenziazioni:tale
passaggio
il risultato della coscienza. Con l'auto-
coscienza
compaiono
sia la libert sia il male
(la caduta,
il
peccato).
Solo
Pautocoscienza divina,
che coscienza di infinito
amore,
esente dal
male. [l male
potenzialmente
e
radicalmente
presente
anche se
in mo-
l) Cf. N. HARTMANN,
Die
Philosophie
des deutschen ldealismus, l,
Berlin
1960,
2
ed.,
pp.
111 ss.
17)
Ci. A.
BAUSOLA, Metafisica
e
rivelazione nella
filosofia positiva
di
Scheliing,
Milano
1963.
18) F. SCHELLING,
Scritti sulla
filosofia,
la
religione,
la libert, a cura di L.
Pareyson,
Milano1974,
pp.
129-130.
368 Parte terza
do indifferenziato
nellAssoluto, ma non in Dio. Secondo
l'insegnamen-
to di
Schelling,
il male non si incontra in
nessun modo in
Dio,
nel cui
essere non si
registra
alcun dissidio tra intelletto e Volont, mentre la
luce dell'intelletto attraversa e
soggioga
tutto il mondo oscuro del desi-
derio. Dio
pienamente, perfettamente
luce, e
pertanto
sommo bene.
Dio solo - che e l'esistente medesimo abita nella
pura
luce,
poich egli
solo
per
se stesso.
Invece la
caduta,
il
male,
il
peccato
sono
inseparabili
dallautoco-
scienza umana. Questa
affermando
se stessa
proclama
la
propria
libert,
che necessariamente
una libert finita.
Questo causa il
suo
allontana-
mento dal
bene,
la sua caduta,
il
peccato.
Per
all'inizio,
nel
primo
uomo,
la libert
pura
e innocente: c in essa come nella libert
divina,
accordo tra luce e tenebre, tra desiderio
e intelletto. Ma successivamente
essa subisce
un
guasto profondo.
Ci accade nel momento in cui
prende
coscienza di
se stessa e rivendica la
propria
autonomia,
la
propria
indi-
vidualit. Allora in lei il desiderio
prende
il
sopravvento
sulla
ragione,
e
cosi la
piaga
del male entra nell'uomo
e,
con l'uomo,
nel mondo.
Che
quellnsorgere
del
particolare
sia il
male,
si chiarisce da
quanto
segue.
Il
volere,
che
esce dalla
sua
soprannaturalit,
per
farsi
particola-
re e creaturale rimanendovolere
universale,
tende a sovvertire il
rap-
porto
dei
princpi,
a innalzareil fondamento
sopra
la
causa,
a usare lo
spirito,
che
aveva soltanto
per
rimanere dentro,
fuori di
esso e contro
la
creatura,
dal che
segue
disordine in lui stesso e fuori di lui.19
L'anima che,
cogliendosi
nella sua
indipendenza,
subordina l'infini-
to alla
finitezza, cade cos dal modello
originario e, fatalmente, va
subito incontro alla
pena;
lelemento
positivo
dell'essere in
se stesso
diventa
per
lei
negazione
e l'anima
non
pu pi produrre
lAss0luto
e l'eterno, ma soltanto il non-Assolutoe il
temporalemfl
La libert
umana
causa della
propria perdizione, ma
impotente
a
procurare
la
propria
salvezza. Su
questo punto Schelling prende
le
distanze da Plotino e da
Spinoza
che
sono i due filosofi a cui si
ispira
maggiormente
nel modo di
concepire
l'Assoluto
e
nella
spiegazione
del-
l'origine
del
male, e
riprende
le tesi dei
pensatori
cristiani. La redenzio-
ne
della libert iuomo
non
pu guadagnarsela
n con
pratiche
ascetiche
(Plotino) n
con
operazioni intellettualistiche, considerando le cose sub
specie
aeternitatis, come raccomandava
Spinoza.
Per tornare
pura
e inno-
cente,
la libert umana ha
bisogno
della
grazia
divina. Perch l'uomo sia
riscattato dal male necessario che Dio si manifesti nella storia ed
quanto
ha fatto
prendendo
forma
umana in Ges di Nazareth.
19)
Ibid,
p.
101.
20) lbzd.,
p.
53.
La dissoluzionedella
metafisica negli
idealisti
369
Per
contrapporsi
al male
personale
e
spirituale,
appare
anch'esso
(lo
Spirito)
in forma
personale
e
umana,
e come mediatore,
per
ristabilire
il
rapporto
della creazione con Dio sul
piano pi
elevato, e
Dio deve
divenire
uomo,
affinch l'uomo vada di
nuovo a Dio. Ristabilitoil
rapporto
del fondamento con Dio,
solo allora data di
nuovo
la
pos-
sibilitdella
guarigione
(redenzionebfil
Il volere di
Dio,
che si fa
uomo,
di innalzaretutto all'unit
con
la lu-
ce e
di conservarlo in essa. Cos il
traguardo
della storia il
superamen-
to della finitudinenella
perfetta
unit divinafi
IL SECONDO SCHELLINGZ LA FILOSOFIA POSITIVA E LA CRISTOLOGIA
Nella seconda
fase,
quella
della "filosofia
positiva", Schelling
tenta di
uscire dallfidealismo
a cui veniva
giustamente rimproverato
di
non
tenere in debito conto n l'individuone l'esistenza concreta delle cose e
cerca
di
integrare
le,
esigenze
della
ragione
con
quelle
del mito" e
della
rivelazione.
Riprendendo
una
distinzione cara
alla filosofia
scolastica,
Schelling
osserva
che il
pensiero coglie
l'essenza
(il Was) ma non
l'esi-
stenza (il Dass);
pertanto ogni
filosofiadelle
essenze filosofiasoltanto
negativa,
nel senso
che si limita a
indicare le condizioni
senza
di cui il
reale non
pu
essere
pensato:
le condizioni
negative
della realt. Ma
per
avere
il
reale, occorrono
condizioni
positive
che
pongano
le cose
nell'esi-
stenza: esse non
possono
essere
identificatecon una
pura
necessit
logi-
ca,
ma
devono consistere in
qualche
atto non necessario ma volontaria-
mente
posto.
Il
pensiero
filosofico da solo non sufficiente a
spiegare
l'esistenza delle
cose:
deve
essere
integrato
da
conoscenze
di altra indo-
le,
possibili
soltanto nel mito e
nella rivelazione;
da
qui l'argomento
dei
corsi
schellinghiani
di flosofia
positiva": filosofia
della
mitologia
e
filoso-
fia
della rivelazione.
Per
mitologia Schelling
non
intende il fantasticare dei
primitivi
al
riguardo
delle
cose
divine
e
delle
cause ultime, ma
Pattuars
progressivo
di Dio nella natura e
nella
religione
naturale.
Quando
questo
movimen-
to abbia
raggiunto
nell'uomo una
consapevolezza
riflessa,
alla
mitologia
pu
subentrarela
rivelazione,
culminante nella incarnazionedel
Figlio,
in
cui Dio manifesta
pienamente
la
propria
libera
personalit.
Come stato rilevatoda alcuni studiosi
(da
Ertel
e
da Bausolain
par-
ticolare),
il "secondo
Schelling riprende
alcune tesi fondamentali della
metafisica classica e cristiana, come
la tesi
per
la
quale
l'essere
per
se
, e
il
non essere non
pu
limitare
originariamente
l'essere, e
la tesi della
21) Ibid,
p.
111.
12) Cf. W.
KASPER,
[Jassolatonella storia aellultima
filosofia
di
Sclzelling,
Milano1986.
370 Parte terza
distinzione reale tra essere ed
esistenza; ma
poi,
di
fatto,
per
risolvere il
problema
dei
rapporti
tra essenza
ed esistenza e dell'Essere
stesso,
Schelling
non
percorre
la via della
metafisica, ma
sposta
la ricerca nel
terreno della
religione, accogliendo
soluzioni fideistiche anzich razio-
nali. Scrive Ertel a
questo riguardo:
Schelling pretende
che il realmente esistente non sia il
razionale,
che
essere" non sia sinonimo di essere razionale" nel senso
hegeliano;
di
conseguenza,
non
gli
rimane
possibile
che dichiarare irrazionale
ci che e reale. Esso
qualcosa
che si sottrae
completamente
alla
ragione: Schelling parla
della "natura
extralogica
della esistenza".
Ora l'esistenza deve venire
compresa
filosoficamente,
deve essere
posta
come contenuto della
ragione; ma,
d'altro
canto,
l'esistenza
fondamentalmenteirrazionale. Dove trovare un
ponte?
Nella
singola
cosa esistente,
cos come
la si trova
nell'esperienza,
il
ponte
non
pu
trovarsi,
secondo
Schelling.
Poich l'esistenza fondamentalmente
irrazionale, non
neppure
possibilegiungere
ad
essa
partendo
dalla
ragione.
L'esistenza e
l'oggetto
di una
esigenza:
l'uomo,
alla fine dello
svilupponegativo
della
filosofia,
sperimentando
in se la
sua
dispera-
zione,
esige
con la sua volont l'esistenza di
un
supremo principio,
la
sua
effettiva esistenza.
Schelling,
in
verit,
afferma che
questa pura
esistenza ci che fa
cessare
ogni pensiero
razionale. Con ci
questa
esistenza non viene in alcun modo
riconosciuta,
Compresa,
dalla
ragione:
essa rimane solo
un'esigenza.3
Questi sono
i motivi
per
cui
Schelling,
abbandonato Yidealismo tra-
scendentale non
imbocca la via
speculativa
della
metafisica, ma
abbrac-
cia la via
positiva
della
religione.
Georg
WilhelmFriedrich
Hegel
VITA E OPERE
Georg
WilhelmFriedrich
Hegel
nacque
a
Stoccarda il 27
agosto
1770.
Compiuti gli
studi
ginnasiali
nella citt
natale,
entr nel seminario teolo-
gico
di
Tubinga
dove coltivi) assai
pi
lo studio della
teologia
che
quello
della filosofia
(fatto
questo
decisivo
per
la
sua
formazione
e
il
suo orien-
tamento intellettuale) e
dove
godette
del
particolare privilegio
di
poter
vivere del tutto liberoda
preoccupazioni
finanziarie
come borsista duca-
le
e
di usufruire
come seminarista di
una
guida esemplare
e accurata
per
i suoi studi.
Ma, come
riferisce il suo massimo
biografo,
il
Rosenkranz, a
TubingaHegel
non ascoltava solo lezioni di filosofia
e
teologia,
ma
leg-
33) C.
ERTEL,
Schellings posifizre Philosophie.
Ihr Weralrn und
Wesen,
Limburg
1933,
p.
160; cf. A.
BAUSOLA,
0p.
cif,
pp.
185-186.
La dissoluzionedella
metafisica negli
idealisti
371
geva giornali politici,
si iscrisse a un
club
politico
studentesco in cui si
ammirava ed esaltava la rivoluzionefrancese e strinse fervide amicizie
con
il
poeta
Holderlin e con
Schelling.
I
compagni
lo chiamavano "il
vecchio"
per
una certa seriosit non
priva
di
professorale pedanteria.
Negli
studi
appariva pi diligente
che
intelligente, e,
riferisce
sempre
il
Rosenkranz, nessuno
dei suoi
compagni
vedeva in lui alcunch di
ge-
niale
(...) tanto che i suoi coetanei svevi rimasero sbalorditi
quando egli
pi
tardi li
colp
con
la
sua
fama. A
differenza,
ad
esempio,
di
Schelling, genio precocissimo,
che,
cinque
anni
pi giovane
di
lui,
entr
all'universit a
quindici
anni e scrisse i suoi
capolavori
filosofici a
vent'anni.
Hegel
maturo lentamente
ma con
Yinesorabilitdi un sistema
logico
vivente.
Nel 1793
consegu
la laurea in
teologia e, dopo
un
periodo
trascorso
come
precettore
a Berna e a Francoforte, venne nominato
professore
presso
l'universit di
Iena
nel 1801.
Qui
nel 1807
port
a termine
quello
che
pu
essere
considerato il
suo
capolavoro: Phenomeizologie
des Geistes
(Fenomenologia
dello
spirito). Dopo
la
battaglia
di
Iena (1806),
in cui
perdette
tutti i suoi
averi,
Hegel
fu costretto a
lasciare la citt
per
recarsi
a
Norimberga
dove
ricopr
la carica di direttore del liceo col
compito
di
insegnarvi
filosofia
e
religione.
Nel 1808 elabor la
Wissenschaft
der
Logik
(Scienza
della
logica).
Dal 1816 al 1818 fu
professore
di
enciclopedia
delle scienze filosofiche
a
Heidelberg.
Risultato di
questo insegnamento
fu un'altra
sua
opera
famosa,
Enzyklopdie
der
philosophischen
Wissensclzaften (Enciclopedia
delle scienze
filosofiche),
edita
per
la
prima
volta nel
1817, ma
pubblicata
nuovamente nel 1830 in
una seconda edi-
zione riveduta
e
migliorata.
Nel 1818 accadde il
grande
evento della vita e della carriera di
Hegel:
fu chiamato
a Berlino a
ricoprire
la cattedra universitaria che fu di Fichte.
Qui tenne corsi
seguiti
e
applauditi
da molti studenti e da uditori anche
illustri e
soprattutto potenti;
divenne una celebrit e un'attrazionecutu-
rale
germanica
ed
europea.
Sulle cattedre universitarie salivano solo
suoi
discepoli
e
protetti.
Si considerava il filosofo ufficiale dello stato
prussiano
e non tollerava che ci si ribellassea
questo,
in cui
Hegel
vede-
va
il
migliore degli
stati
possibili,
l'autorit
migliore possibileper
l'ordi-
ne
migliore possibile.
Durante
questo periodo
di
strepitoso
successo
pubblic
o
prepar
molte
opere importanti
e famose, tra cui
primeggiano:
Grundlinien dei
Plzilosophie
des Rerlzts
(Lineamenti
della filosofia del
diritto);
Vorlesungen
iiber dei
Weltgeschichte
(Lezioni
di filosofia della
storia);
Vorlesungen
iiber
dei
Philosophie
der
Religion
(Lezioni
di filosofiadella
religione); Vorlesungen
iiber dei Geschichte dar
{Jhilosoplzie
(Lezioni
di storia della
filosofia).
Colpito
dal colera mor a
Berlino il 14 novembre 1831 al culmine del-
la
sua fama, a soli 61 anni di et.
372 Parte terza
lL SISTEMA
DELL'
IDEALISMOASSOLUTO
Le idee direttrici del romanticismosi
possono
ricondurre a tre: 1)
la
rivalutazione
dell'arte,
della
religione
e della rivelazionecome momenti
decisivi dello
sviluppo
della cultura e nella civilizzazione
dell'uomo;
2) il sentimento del divino immediatamente
presente
nella realt come
anima del mondo, scorto,
colto e
goduto
dalle
grandi personalit religio-
se e dalla Comunit
degli spiriti religiosamente
eletti; 3)
l'intuizioneeste-
tica dell'armonia della totalit del
reale, nonostante la
molteplicit
dei
conflitti e delle
contrapposizioni.
l
principi
basilari del romanticismo divennero anche i
presupposti
dellidealismoetico di
Fichte,
dellidealismoestetico di
Schelling
e
dell'i-
dealismo
religioso
di Schleiermacher. Anche
Hegel
si inserisce nel tenta-
tivo di
questo ricupero
di concretezza e
di realt
espresso
dal romantici-
smo, ma,
per
attuarlo fino in
fondo,
prende
distanza critica dalle
posi-
zioni romantiche
pur
rimanendo all'interno del loro contesto. Di
qui
la
posizione
di
I-Iegel
come coscienza critica del
romanticismo,
analoga
a
quella
svolta da Kant nei confronti dell'illuminismo.
Hegel,
infatti,
pole-
rnizza a
fondo
con
le tendenze romantiche accusandole in
generale
di
dogmatismo postulatorio;
in
particolare rimprovera
a Kant di
aver scelto,
per
l'edificazionedel
suo sistema filosofico, una
forma
logica
insuffi-
ciente,
in
quanto tipica
dell'intelletto
e non
della
ragione,
cio il
giudi-
zio;
quindi
accusa la filosofia di Fichte di volontarismo
astratto,
la filo-
sofia di
Schelling
di estetismo
astratto, e la filosofiadi Schleiermacherdi
sentimentalismoastrattofl!
Hegel
valorizzail momento idealistico
riscoperto
e rivalutatoda
que-
ste
posizioni,
ossia la funzione
e
il valore di
principio
da
esso
attribuito
alla creativit del
pensiero umano,
alla libert
dell'uomo,
alla
sua
capa-
cit di
concepire
(=
dare alla
luce)
la
realt,
cercando di ricondurre la
creativit umana al
suo
fondamento
logico
obiettivo. Ma ci che nelle
precedenti posizioni
era
frutto di
un
puro
atto di
volont,
di
intuizione,
di
sentimenti,
doveva divenire
un atto di
ragione,
un atto assolutamente
fondato in
quanto
razionale e
ragionevole, pensabile
e vivibilesenza
contraddizione.
Occorreva,
pertanto,
ricondurre Yidealismo alla sua ba-
se storico-concreta:
volont, intuizione, sentimento, fede,
andavano
innestati
nell'esperienza
intera dell'uomo,
fatta di vita e di coscienza
della
vita,
sintesi dialetticadi vita
pensata
e di
pensiero
vissuto.
34) Documento
importante
della
polemica
di
Hegel
contro Pilluminismoe contro il
romanticismo,
in
particolare
contro Kant,
Fichte e
Schelling,
il
saggio
Glaubcn
und Wissen
(Fede e
sapere) pubblicato
dal Kritisches
Iournal
dar
Philosophie
del
i802.
La dissoluzionedella
metafisica Negli
idealisti
373
La
posizionehegeliana,
presa globalmente, pu
essere definita come
idealismo
logico
e storico: la realt
concepita
infatti
come costruzione
logica
del mondo da
parte
delluomo,
il
quale
di
epoca
in
epoca,
viven-
do, assume e
sviluppa
la
propria
storia,
la
propria esperienza
concreta
in tutte le sue dimensioni. Il
pensiero hegeliano
si
presenta,
cos, come
esito finale di tutto il
processo
storico-culturale
moderno;
lungo
il
quale,
attraverso il
Rinascimento,
la Riforma
protestante,
Yllluminismo
e
la Ri-
voluzione
francese, si
passa
da un umanesimo teocentrico a un umane-
simo
antropocentrico:
si
passa
da Dio come
fondamento trascendente
della totalit del reale all'uomo come fondamentoimmanentedella tota-
lit del reale. Non
pi
Dio, ma l'uomo
contemplato
come creatore
della realt.
Hegel
cos il
punto
culminante
e
insuperabile
della cultura
e della storia moderna:
epoca
che si
consuma
nellateismo
assoluto,
come esito dellumanesimo
assoluto; o Dio si identificacon l'uomo e con
il
mondo,
oppure,
come realt in s e
per
s
negato.
Delhmponente
e
complesso
sistema
hegeliano qui possiamo
offrire
soltanto una traccia breve ed essenziale:
per un'esposizione pi
detta-
glata
e
completa
rinviamoai testi di storia della filosofia.
Premettiamo che ci che
Hegel
ha inteso offrire
con
il
suo sistema
non una
specie
di finzione
poetica,
bens lo
specchio
della
realt,
la
verit delle
cose. Non la verit come colta dal
sentimento,
dallintui-
zione o dal
giudizio,
bens
come conosciuta dalla
ragione,
la
quale
rie-
sce a
cogliere
i nessi
logici
e
quindi
necessari
(che sono
sempre
anche i
nessi
reali)
delle
cose. Secondo K. Barth
tre sono i
segni
distintivi del
sistema
hegeliano: verit, conoscenza della verit come movimento,
carattere dialetticodi
questo
movimentom!
L'unit del sistema
hegeliano
assicurato dal metodo
e non
dai conte-
nuti: la dialettica
(tesi-antitesi-sintesi),
che
presente ovunque
e
si attua
sempre
allo stesso modo. Non
questa
o
quella disciplina,
non un ambito
particolare
della vita o un
ambito di materia
scientifica, e
neppure
l'am-
bito dello
Stato,
n della
storia,
n della
religione
sono
qui
il centro che
organizza
in
s,
bens soltanto il metodo che
va
applicato
a tutte le disci-
pline,
a tutti
gli
ambiti della vita e delle
discipline
scientifiche, e
l deve
provarsi
validom Il metodo di
I-legel

un contenitore comodo che
pu
ospitare
tutti indistintamente:
sassi,
piante,
animali, uomini,
popoli,
nazioni,
ricchi
e
poveri, giovani
e vecchi,
imperatori
e straccioni,
sani
e
ammalati,
artisti
e letterati,
preti
e
poeti,
scienziati e filosofi. Il metodo
dialetticoconsente a
Hegel
di non trascurare nulla,
proprio
nulla,
neppu-
re il
male,
il
negativo, perch
anche
questo

uno
degli
elementi essenziali
che costituiscono l'essere e
il divenire dell'universo.
25) K.
BARTH,
La
teologia protestante
nel XX
secolo,
vol.
l,
Milano
1979,
p.
461.
26) Ibid,
p.
450.
374 Parte terza
Ilegel
l'autore del sistema filosofico
pi
ambiziosoche mente
umana
abbia mai
concepito
e costruito. Diversamente
dagli
altri
grandi
impianti
metafisici
(di Platone, Aristotele, Zenone, Plotino,
Agostino,
Tommaso, Cartesio,
Spinoza,
Leibniz
ecc.),
i
quali
non
pretendevano
di
spiegare
i fenomeni
singoli,
i casi individuali, ma si accontentavano di
delineare la struttura essenziale
dell'universo,
il sistema
hegeliano
vuole
dar conto di
ogni singolo
fenomeno,
di
ogni
frammentodi
realt,
anche il
pi piccolo
(sia
positivo
che
negativo,
sia buono sia
cattivo)
che si
pre-
senti sulla scena della storia. Di
qui
le scelte teoretiche di
Hegel,
che sono
essenzialmente
quattro:
1)
il
principio primo
e unico di
ogni
cosa la
Ragione,
lo
Spirito;
2)
la
Ragione
(lo
Spirito)
nella sua azione non
ha altra
finalit che
quella
di
porre
in atto e
di manifestare
se stessa; 3) tutto
il
reale si identifica necessariamente con l'ideale,
perci
nella realt non
vi
nulla di irrazionale: tutto razionale; 4)
la via
seguita
dalla
Ragione per
automanifestarsi la dialetticache
comprende
tre momenti:
tesi, antitesi,
sintesi
(mediante
la
sublimazione,
Auflieluizg,
dellantitesi).
La dialettica
consente alla
Ragione
di uscire da se stessa,
per
ritrovarsi
pi
tardi a un
livello
superiore:
Idea in
s;
Idea "extra
se",
Idea in s e
per
s.
NelH-nciclopedia
delle scienze
filosofiche Hegel presenta
la realt come
un'immensa
piramide
che
esplode
dalV/Xssoluto
(la
Ragione,
l'Idea) e si
sviluppa
in
un numero
infinito di
piani
triadici. La triade fondamentale
costituita
dallEssere,
la
Natura,
lo
Spirito.
LEssere
oggetto
di studio
della
Logica,
la Natura della
Filosofia
della natia/a e
lo
Spirito
della
Filosofia
della
spirito.
La
Logica
studia l'idea in
se,
cos come si invera
nell'essere,
nel non-
essere e nel divenire. L'essere il
primo
momento dellIdea in se, il
con-
cetto
pi povero
di
determinazioni,
anzi talmente
povero
che
qualsiasi
determinazione,
in
quanto particolare,
costituisce
gi
una
negazione
del-
l'essere nella sua
pura
e astratta
generalit. Appunto perch privo
di
determinazioni,
l'essere richiama il suo
opposto,
il
non-essere,
il
nulla,
confondendosi
con esso.
Da1lunionedell'essere e
del non essere
sorge
il
divenire; nel divenire infatti ci che
non incominciaa essere e viceversa.
L'oggetto
della Filosofia della natura l'alienazionedella Idea da
se
stessa,
ossia l'idea extra se
che
per
l'appunto
la Natura. Per
I-Iegel,
la
natura e l'idea nella forma dell'essere altro. In essa non
soltanto lIdea
presente
come
negazione
di
s,
ossia e esterna a s, ma lesteriorit
costituisce il modo di essere
proprio
della
natura,
in cui
ogni
cosa

esterna all'altra,
in
un
apparente
isolamento.
sull'esempio
di Leibniz e
di
Schelling, Hegel
critica e
condanna
perentoriamente
il
meccanicismo,
latomismoe
l'impostazione
stessa della scienza moderna che,
tendendo
a considerare la natura secondo modelli
fisico-matematici,
regredisce
a
un
livello inferiore della concezione aristotelica,
neoplatonica
e rinasci-
mentale che avevano
considerato la natura un tutto vivente.
La dissoluzionedella
nzetafisica negli
idcaiisti 375
La forma in cui l'Idea si attua
pienamente,
ritornando in s dalla
alienazionedella
natura,
lo
Spirito.
Lo
Spirito rappresenta
l'Idea rea-
le divenuta
consapevole
di s: idealit realizzata non
pi fuori
di
s,
bens in
se
stessa. Esso
supera quindi
le
opposte
limitazioni inerenti ai
momenti
precedenti
dellirz s e
dellextra
se,
e si ritrova a un
livello
pi
alto,
in una
realt
pi piena.
Si incontra anche
qui
una
triade di
base,
corrispondente
ai tre momenti dello
sviluppo
dello
Spirito: Spirito sog-
gettivo, oggettivo,
assoluto. Lo
Spirito soggettivo
si attua nei
singoli
indivi-
dui;
lo
Spirito oggettivo
si attua nei vari
popoli;
lo
Spirito
assoluto si
attua nelle
opere
artistiche,
religiose,
filosofiche.
L'arte
esprime
lAssoluto in forma sensibile.
Un'opera
artistica solo
quando
una
manifestazioneconcreta dellAssoluto. Il valore artistico di
un'opera
e
proporzionato
alla
sua
capacit
di rendere visibilelAssoluto.
Nella
religione
lAssoluto
acquisisce
coscienza di se stesso come
spiri-
to. La dialetticadella
religione
si
dispiega
in tre
gradi.
Nel
primo
lo
spi-
rito si conosce come
oggetto
in
figura
naturale
e
immediata. Tale forma
delrimmediatezza non
per
adatta allo
spirito:

pi
adatta a un Dio
sostanza che a un Dio
soggetto.
Ecco
perch
il
primo grado

superato
nel
secondo,
dove lo
spirito
si conosce
nella
figura
della naturalit
superata,
ossia dell'uomo. Dio inizia ad
essere
concepito
come
sogget-
to, ma come un
soggetto
finito;
per
anche una tale forma di
rappre-
sentazione finita viene
superata
nella fede nell'unico
spirito
e
nella de-
vozione del culto. Di
qui
la necessit di un terzo
grado,
che
superi
i
due
precedenti
e
corrisponda
alla forma della
ragione:
il momento cri-
stiano che
Hegel
definisce
religione
riVelata>>. Essa la
religione
assolu-
ta
grazie
alla dottrina
dellincarnazione,
del Dio fatto
uomo,
dell'uma-
nizzarsi di Dio e
dell'identificarsi dell'uomo con Dio.
Nel momento filosofico del
sapere,
ossia nella
filosofia,
lAssoluto
prende
coscienza di s in forma concettuale riflessa. La filosofia l'idea
che
pensa
se stessa,
la verit che
sa,
l'idea
eterna,
in se e
per
s,
che si
attua,
si
produce
e si fruisce
eternamente, come
spirito
assoluto. Non si
tratta di nessun
particolare
sistema
filosofico, ma
di tutto l'iter filosofico
dell'umanit. In tal
modo,
in
Hegel,
la filosofiasi identifica
con la storia
della
filosofia,
la
quale
definita la storia del
pensiero
che trova se stes-
so.
Le manifestazioni di
questo processo
sono
le filosofie
e
la serie
delle
scoperte
alle
quali
si
accinge
il
pensiero per scoprire
se stesso;
il
lavoro di due millenni e mezzo?
Hegel
Considera la
propria
filosofia
come
il momento in cui Yflissolum
prende pienamente
e
perfettamente
coscienza di
se stesso,
di tutta la
propria
storia e di tutto il
proprio
dive-
nire. Il filosofo
presenta
il
proprio
sistema come
punto
d'arrivo e come
27)
G. W. F.
HEGEL,
introduzione alla storia della
filosofia,
Bari
1925,
p.
21.
376 Parte terza
meta conclusiva di tutta la
speculazione precedente
e
di tutti i filosofi
che
sono venuti
prima
di
lui,
da Talete
a
Schelling, preparatori
e
precur-
sori del suo sistema. Con le loro dottrine essi hanno contribuito allo svi-
luppo
della filosofia fino alla maturazione
completa
che si
compie,
appunto,
nel suo sistema.
LA DISSOLUZIONE DELLA METAFISICA NELLA STORIA DELLA FILOSOFIA
Hegel,
autore del
pi
ambiziosoe colossale
progetto
filosoficoche sia
mai stato
escogitato
e realizzato,
costruisce il
suo
imponente
edificio,
detronizzandoed estromettendo la
regina
di tutte le
scienze,
la metafisi-
ca. E lo fa in due modi: sia
quando
chiama la
sua ricostruzionedella sto-
ria della filosofia
"fenomenologia
dello
Spirito",
sia
quando
fa coincide-
re Tesistenza dello
Spirito
con
il
suo
divenire storico.
Come in Fichte
e
Schelling,
anche in
Hegel sparisce
la distinzione tra
i due
mondi,
sensibilee
intelligbile.
Cos nel suo
pensiero
viene meno
il
movimento verso una trascendenza assoluta
(anche se rimane una tra-
scendenza
storica);
anzi lAssoluto
come realt trascendente
non esiste
pi. Hegel supera ogni
distinzione tra essere e
pensiero;
per
lui tutto il
razionale reale e Viceversa.
I-Iegel
cancella i due
piani
della
realt,
i due
mondi, ma non
per
salva-
re il mondo
ideale,
bens
per
storicizzarlo: il mondo
platonico
delle Idee
calato nella storia.
Questo era
quello
che
aveva fatto anche
Vico; ma la
sua storia era l'attuazione di
un
piano
ideale
eterno;
questo piano
in
Hegel
non c'
pi.
Inoltre nel filosofo tedesco il divenire dellldea non si
attua come nei
neoplatonici
mediante una
gerarchia pi
o meno ricca e
complessa
delle
intelligenze,
bens attraverso lo
sviluppo
dellldea nella
coscienza
storica,
la
quale
d
luogo
alla
fenomenologia
dello
Spirito.
Il sistema
hegeliano
non una metafisica
o un sistema
metafisico,
perch
manca la seconda
navigazione:
tutta la
navigazione"
di
Hegel
si
realizza allinterno di
questo
mondo,
di cui cerca di
comprendere
e
spie-
gare
la storia attraverso Yautocoscienzadello
Spirito.
Quella
hegeliana

una colossale
cosmovisione,

ufiantropologia
universale,
una filoso-
fia della cultura e della storia e
anche della
religione:
una fenomenolo-
gia
dello
Spirito,
attraverso le varie forme della coscienza. Ci che
a
Hegel
interessa non il divenire della natura e del
cosmo,
ma il divenire
dell'uomo: un
divenire
per
che racchiudetutte le sue
ragioni
d'essere
in se stesso: la sua
teleologia

puramente
immanente: non c' nessun
movimentoverso
il motore immobile,verso Dio.
La storia dell'umanit
pu
essere
anche intesa come
epifanizzazione
di Dio. E
questa pu
essere
anche
una
chiave di lettura della filosofia
hegeliana
della
storia, perch
certamente
I-Iegel
non un ateo. Ma il suo
obiettivo non mai la ricerca di
Dio, non mai la fondazione ulteriore
La dissoluzionedella
metafisica negli
idealisti 377
della storia in un
principio
trascendente:
Hegel
cerca
le
leggi
immanenti
della storia e non le sue
ragioni
trascendenti.
La metafisica
hegeliana
si dissolve nella storia e
pi precisamente
nella storia della filosofia,
poich
lo
Spirito
non
ha mai cessato di filoso-
farc, e
il
progresso
della filosofia coincide con
il
progresso
dell'autoco-
scienza dello
Spirito.
In
Hegel
rimane assai viva e acuta la
preoccupazione
dei
neoplatonici
di razionalizzarela realt. Per il
"logos"
di
Hegel
non
percorre
le vie
della metafisica, ma
quelle
della storia. La triade
hegeliana
non
pi
la
triade dell'Uno,
del Nous e della
Psych,
ma la
triplice ipostasi
deIYIdea:
in
s,
extra se" e in se e
per
se. Ma,
di
nuovo,
questa triplice ipostasi
non
ha
luogo
a livello metafisico,
bens storico
e, pi precisamente,
coincide
con
i
grandi
momenti dello
sviluppo
storico dello
Spirito,
che non lo
Spirito
di
Dio, ma
lo
spirito
dell'uomo,
dei
popoli
e
delle nazioni.
TEOLOClClZZAZIONEDELLA FILOSOFIA
O FILOSOFICIZZAZIONE DELLA
TEOLOGIA?
Di fronte al
pensiero
di
Hegel
e al suo sistema
sorge
la domanda:
un
pensiero
(sistema)
filosoficoo
teologico?
La
perplessit

legittima
e nasce
dal fatto che tutte le verit fonda-
mentali del cristianesimo (Trinit, Incarnazione, caduta, redenzione,
divinizzazionedell'uomo,
comunione con Dio ecc.)
vi sono
incluse e
vi
occupano
un
posto
di rilievo.Lo stesso
Hegel
nella
Filosofia
della
religione
scrive: Le dottrine fondamentali del cristianesimo sono
scomparse
nella
dogmatica.
Non solamente la
filosofia, ma
soprattutto
la filosofia
che
ora essenzialmente ortodossa.
Quelle proposizioni
che sono state
sempre
valide,
le verit fondamentali del cristianesimo sono
completate
e sostenute da essa.
Nella filosofia contenuto molto di
pi
che nella
dogmatica.
Cos, infatti,stanno le
cose,
che il contenuto della filosofia,
la sua
esigenza
e i suoi interessi sono
del tutto comuni con
la
religione;
il
suo
oggetto
l'eterna verit,
niente altro che Dio e
la sua
esplicitazione.
La filosofiasi rende
esplicita
solo in
quanto
si rende
esplicita
la
religione
e,
rendendosi
esplicita,
fa
esplicita
la
religione
(...).
Cos
vengono
a coin-
cidere
religione
e
filosofia.La filosofiastessa servizio di Dio.
Di
fatto, come mostra K. Barth in
un suo
celebre studio su
Hegel,
il
pensiero hegeliano pu
essere
interpretato
sia come
la
teologizzazione
della filosofia sia come
Tilosoficizzazionedella
teologia".28
Personal
mente sono
pi propenso
a
considerare il sistema
hegeliano
come un
abileinnesto delle verit del cristianesimo in una
spettacolare
cosmovi-
sione filosofica che ritiene di
poter
trarre dal cristianesimo stesso un
3*)
Cf. K. BARTH, La
teologia protestante
nel XIX secolo, l, cit.,
pp.
429-465.
378 Parte terza
argomento
a favore della
propria
verit, anzich
come un
ingegnoso
si-
stema
teologico
che,
seguendo
l'economia della
salvezza, ordina e
spie-
ga
le verit fondamentali della rivelazionecristiana.
Per
questo
motivo
non sono
disposto
a sottoscrivere il
seguente giu-
dizio,
decisamente
troppo generoso,
di Barth:
Egli (Hegel)
ha
saputo
condurre
a una conclusione
sommamente soddisfacente il
grande
con-
flitto tra
ragione
e rivelazione, tra coscienza culturale
puramente
mon-
dana
e cristianesimo,
fra il Dio in noi e
il Dio in Cristo? Certo il conflit-
to stato
composto,
ma a
quale prezzo?
Facendo
sparire
la distinzione
dei contendenti:
con
la
immanentizzazionedi Dio nella
storia,
della
rivelazionenella
ragione,
con l'identificazionedella coscienza mondana
con
quella
cristiana.
L'unica soluzionesoddisfacentedel difficilissimo
e
perenne problema
della
conciliazionedel finito
con l'infinito, del naturale col
soprannatu-
rale,
della
ragione
con la fede
non
quella
della sublimazione
degli
opposti
in una unit
superiore
e nella loro conclusiva
identificazione,
bens
quella
della loro
armonizzazione
ottenuta,
da
una
parte,
mediante
il riconoscimentodell'infinitadifferenza
qualitativa
tra elemento natura-
le e
soprannaturale,
tra finito
e infinito, tra fede
e
ragione,
tra Dio
e
l'uo-
mo, e, dall'altra, mediante l'affermazione della loro
analogia,
intesa
anzitutto
come
analogia
entis e successivamente
(in
teologia)
come analo-
giafidei.
Uincorporazione,
anzi l'assorbimento della
teologia
nella filosofia
per Hegel
era
un'operazione
estremamente
agevole, grazie
alla
sua riso-
luzione della realt nella
storia, l'identificazionedella filosofia
con la
storia della
filosofia, e
il riconoscimento della rilevanza storica del cri-
stianesimo,
sicch l'elemento storico del cristianesimo
non solo viene
posto
in
un
rapporto
tollerabile,
in
qualche
modo
corrispondente
alla
sua
dignit,
con il
razionale, ma elevato addirittura
a valore
decisivo,
supremo.
Anche
per
la
ragione
e
per
la
filosofia,
la verit
Cristo,
il
Figlio
di Dio fatto
uomo.
Ma l'eccessiva
teologizzazione
della filosofia
non
ha trovato - lo
ammette con rincrescimento anche Barth -
buona
accoglienza
n nei cir-
coli filosofici n in
quelli teologici.
La coscienza culturale moderna di
fatto ha
respinto Hegel.
Non ha voluto n
comprendere
se stessa in
quella profondit,
n in
quella profondit
lasciarsi riconciliare
con la
coscienza
cristiana, come era
opinione
di
Hegel.
Perch no? Perch la
pretesa
era
troppo grave, troppo
condizionatadalla
teologia?
Cos si
sent, e cos si soliti di fatto
rappresentarla.
Ma
potrebbe
anche
essere
diversamente, cio che la
pretesa
non fosse abbastanza
radicale,
che alla
29) Ibid.,
p.
453.
La dissoluzionedella
nzetafisica negli
idealisti 379
teologia
fosse dato non
troppo,
ma
piuttosto troppo poco,
perch
si
po-
tesse
presentare
come
degna
di fede.30
Ed esattamente
questa
la
ragione per
cui la
teologia
non
poteva
accettare la filosofiadi
Hegel, pi
di
quanto potesse
accettare la coscien-
za
culturale moderna.31
Cos la
fulgidissima
stella di
Hegel,
che
per
un
decennio
aveva
domi-
nato tutto il firmamento culturale tedesco e sembrava destinata a
irra-
diare la sua luce su tutto il continente
europeo,
si ecliss
rapidamente...
Pochi anni
dopo
la
repentina scomparsa
del filosofola scuola
hegeliana
si
disgreg
dando
origine
a una Destra e a una Sinistra
hegeliana.
Entrambe reclamavano di
essere
interpreti
fedeli del
pensiero
del mae-
stro,
quando
invece lo tradivano
gravemente, sopprmendo
uno
degli
opposti
che
l-Iegel
con tanta
pazienza
e
abilit
aveva
cercato di riconci-
liare e tenere saldamente uniti. La "santa alleanza" creata da
Hegel
tra
fede
e
ragione,
tra cultura e
religione,
tra filosofia
e
teologia,
tra Dio e
l'uomo si
spezz
definitivamente, con il trionfo finale di
quella1a
cultu-
rale che
era
la
figlia pi legittima
della modernit: dellumanesimo
antropocentrico,
della secolarizzazitme,dell'illuminismo,
dell'ateismo.
VALUTAZIONECONCLUSIVA
Hegel
stato uno
dei
grandi interpreti
della modernit. Genio enci-
clopedico, egli
cerc di soddisfare
l'aspirazione
dell'uomo moderno a
estendere il dominio della
ragione
su tutta la realt e su
ogni singola
realt: naturale
e storica,
fisica e metafisica, umana e divina, terrestre e
celeste,
dando al
sapere
una
forma unitaria,
Pregio
indiscutibiledi
I-Iegel
l'aver rivendicatoalla filosofiala totalit del suo
oggetto,
la con-
cretezza dell'essere nella
complessit
delle sue
manifestazioni e
della
sua storia,
reagendo
contro Yastrattismo. Tutta la
realt, tutta la
storia,
sono
manifestazioni
dellAssoluto,
hanno carattere razionale: il che
implica
una
condanna
dell'interpretazione
manichea
0 fatalistica,
da
una
parte,
e di
quella
illuministicadall'altra. Anche il
teologo
Barthrico-
nosce
la
grandezza
filosofica di
Hegel.
La filosofia
hegeliana
risulta
grande
sotto un
duplice rapporto:
innanzituttoconsideratain se stessa,
perch
ha colto e
sviluppato
un
pensiero
a un
tempo semplice
e
comprensivo,
la cui relativa verit
parla
da s in maniera cosi
energi-
ca che,
qualunque atteggiamento
si
prenda
nei suoi
confronti, non si
pu
in
ogni
caso evitare di ascoltarla e
di confrontarsi con essa. Si
possono
trascurare Fichte e
Schelling,
ma
Hegel,
come Kant, non
si
pu
trascurare. E la
capacit
di
esemplare,
il carattere di
promessa
3)
Ibid, p.
459.
31) Ibta,
pp.
464-465.
380 Parte terza
della verit
espressa
da
Hegel,
sar,
forse
proprio per
colui che alla
fine
come
teologo
dovr dire no a
Hegel,
ancor
pi grande
che
non
in
Kant. ll secondo
aspetto
della
grandezza
della filosofia
hegeliana
con-
siste nel fatto che
essa non stata affatto la
scoperta
casuale di
un sin-
golo
individuo
genialmente
dotato -
proprio questo,
a differenza di
Schelling Hegel
non voleva
essere
- bens la
voce
possente
e
impres-
sionante di un'intera
epoca,
la
voce dell'uomo
moderno, o di
quello
che, dal 1700 al
1914, si chiam l'uomo moderno.32
Hegel
costru un sistema colossale e non una
semplice summa, un
sistema onniconclusivoche
pretendeva
di
porre
l'ultimo
sigillo
sul lavo-
ro
compiuto precedentemente dagli
altri filosofi e
teologi.
Ma, come
si
gi
rilevato
pi sopra,
la
pretesa
di
Hegel
si rivel ben
presto
illusoria: il
sontuoso castello
hegeliano
fu attaccato da
ogni parte
e ben
presto
de-
molito.
Perch
Hegel
non divenne
per
il mondo
protestante qualcosa
di
simile a ci che Tommaso
d'Aquino
era diventato
per quello
cattoli-
co?,33
si chiede Barth. A mio avviso le
ragioni
sono due:
l)
Tommaso
elabor la
sua cosmovisione
assoggettando
la
ragione
alla fede
e non
la
fede alla
ragione
come
ha fatto
I-Iegel;
2) Tommaso elabor
una metafisi-
ca della natura e della
storia, una metafisica
dell'essere, e non
semplice-
mente una storia della metafisica e una metafisica della coscienza come
ha fatto
Hegel.
Tommaso diventato il
teologo
della Chiesa cattolica
perch
elabor una
interpretazione
della rivelazioneavvalendosi di
una
buona
filosofia;
Hegel
non
pot
diventare il
teologo
del
protestantesimo
perch
asserv la rivelazionealla filosofia
e
di
una filosofiamolto discu-
tibile,anzi
profondamente
errata
proprio
sulla
questione
fondamentale,
dei
rapporti
tra finito
e infinito, tra uomo e Dio.
Il fallimentodi
Hegel
il fallimentodi
un'epoca, l'epoca
della imma-
nenza;
il fallimento
de|l'antropocentrismoprometeico,
del tentativo di
dare la scalata al Cielo. Il tentativo di assolutizzarel'uomo e la
sua storia
non
poteva
essere
portato
a
compimento.
La via era
sbagliata,
anche
se
Hegel,
persuaso
che fosse
giusta,
riusc a fare
qualche
passo
in
pi
Verso
la vetta. Ma
proprio perch
la via
era
profondamente errata,
anche
Hegel
fin
per
fermarsi
e
questa
volta definitivamente.
La
teologia
trasformata da
Hegel
in storia dellautocoscienzadell'As-
soluto decade inevitabilmentein
una
prometeica speculazione
filosofica.
Di fatto in
Hegel
si dissolvono i
principi
fondamentali del
teologare
che
sono l'assoluta trascendenza di
Dio,
la
piena
libert di
ogni
sua iniziati-
va,
la
gratuit
della
grazia,
di
ogni
sua
grazia
(a
partire
dalla
grazia
della
rivelazione),
il
primato
dell'autorit
(di Dio,
di
Cristo,
della
Chiesa) e
33)
lbid,
p.
441.
33) lbzd,
p.
43D.
La dissoluzionedella
nzetafisica negli
idealisti 381
quindi
della fede sulla
ragione,
la seriet e
la
gravit
del
peccato
ecc.
Nel
suo
sforzo di razionalizzaretutto
(religione,
Dio, Trinit, Cristo, Chiesa)
Hegel
finisce inevitabilmente
per
uccidere la
teologia.
Ma
l'impresa
che non era
riuscita a
I-Iegel
tanto meno
pot
riuscire ai
suoi
epigoni
o ai suoi avversari.
Dopo
che si ritenne di avere
lasciato
l'epoca
di
Hegel
alle
proprie
spalle,
non
si
giunse pi
a una
sintesi
e,
con
questa,
a una
coscienza
dell'epoca
cos forse come
l'aveva avuta
l'epoca
di
Hegel.
Nell'atto in
cui si allontanava da
Hegel, l'epoca
confessava che,
giunta
al culmine
del suo
Volere e
del suo
operare,
essa era
insoddisfatta di
s, e
che
non era
questo
ci che
essa aveva
inteso. Mettendo da
parte Hegel
essa tenta di
raggiungere,
ancora una volta, una
simile
vetta,
ma non
la
raggiunge pi,
e
chiaramente
pu
essere ancor meno
soddisfatta di
s che non
prima,
sebbeneessa si
comporti
come se
lo fosse.34
34) Ibid,
p.
433.
382 Parte terza
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1974;
H. OGIERMANN, HegeFs
Gottesbeureise,
Roma
1949;
F.
PERTINI,
L'idea di Dio in
Hegel,
Roma 1976;
D. M.
SCHLITT, Hcgelb
trinita-
rian Claim. A critical
Reflection,
Leiden 1984; J. SPLETT,
Die TrinititslelzreG.
W. F.
Hegels, Freiburg-Miinchen
1963;
R. VANCOURT,
La
pcnsc religieuse
de
Hegel,
Paris
1965;
V.
VERRA,
Introduzione a
Hegel,
Roma-Bari 1988; ID.,
Letture
liegeliane.
Idea,
natura e storia, Bologna
1992; J. WAHL,
La coscienza
nella
filosofia
di
Hegel,
Roma-Bari
1994;]. WALKER,
Tlzought
and Paith in the
Pliilosophyof Hegel,
Dordrecht 1991.
386
SCHLEIERMACHERE LA FUGA VERSOUERMENEUTICA
Vita
e
opere
Friedrich Daniel Ernst Schlcicrmacher
nacque
a
Breslavia il 21 no-
vembre 1768. Ebbe
una formazione di
stampo pietistico,
sia in
famiglia
che nei
collegi
da lui
frequentati
(il
Paedagogium
di
Niesky
e
il semina-
rio dell'Unione Fraterna di
Barby).
Studi
teologia
all'universit di Ber-
lino. Fu
quindi precettore presso
il conte Dobna,
che lo avvicino a
Schlegel,
al
quale
si
leg
in stretta amicizia
e si
apr per
il
suo tramite
allinflussodel romanticismo. In
questo periodo
tenne i suoi celebri Di-
scorsi sulla
religione
(1799) e scrisse i
Monologhi
(1800).
Allontanatosi da
Berlino nel
1806,
vi fece ritorno durante
l'occupazione napoleonica e,
insieme a Fichte, divenne
uno
dei
pi
ardenti difensori del nazionalismo
tedesco.
Dopo
la caduta di
Napoleone riprese l'insegnamento
nell'uni-
versit di
Berlino, dove fu anche direttore della facolt di
teologia per
oltre vent'anni. Mor nel 1834.
Della
sua vastissima
produzione
filosofico-
teologica
ricordiamo le
seguenti opere:
Discorsi sulla
religione
(1799); La
fede
cristiana secondo le
proposizionifondamentali"
della Chiesa
evangelica (1821-1822);
Prediche
(10 voli). E, inoltre,
pubblicate postume,
la Storia della
filosofia,
1Estefica,
la Dialettica
e la
Pedagogia.
Dellermeneutica Schleiermacher si
occupato
durante tutto l'ultimo
trentennio della
sua Vita, senza mai
giungere
a
risultati conclusivi
e
senza
dare alle
stampe
i vari scritti che
aveva
dedicato
a
questo
tema. I
principali
sono: i Mano5critti" del
1805,
che
contengono
il
primo
abbozzo di
un trattato
sull'ermeneutica; YEI/nzencutica
generale
del 1809-
1810;
i Discorsi accademici del 1829 e
le Lezioni del 1832-1833. Tutti
questi
testi sono stati
raccolti, ordinati,
datati ed editi
per
la
prima
Volta da
Heinz Kimmerlenel 1959: Hermeneitiik naclz dea
Handschrfiten
neu
heraa-
sgeggeben;
nelle successive edizioni dello stesso Kimmerle la raccolta
stata
ampliata
e
migliorata.
La traduzione italiana di tutti
gli
scritti di
Schleiermacher sullermencutica stata curata da Massimo Marassi
e
pubblicata
da Rusconi nel 1996.
Schleiernacher
e la
fuga
verso Fermcrieutica
387
L'importanza
di Schleiermacher
La
grandezza
e
l'importanza
di Schleiermacher
non
sfuggirono
ai
suoi
contemporanei.
Un
suo
collega
di
insegnamento,
A.
Neander,
il
giorno dopo
la
sua morte disse ai suoi studenti: Da lui
un
giorno
avr
inizio un nuovo
periodo
nella storia della chiesa.
Queste
predizioni
si
sono in
larga
misura
avverare,
quanto
meno
per
la Chiesa
evangelica.
Il
nome di
Schleiermacher, e nessun altro accanto a lui, sta e star in
ogni tempo
al culmine di una storia della
teologia dell'epoca contempo-
ranea (K. Barth).
Schleiermacher indubbiamentela
figura pi presti-
giosa
e
pi
influente del secolo
scorso,
e il
suo
pensiero
attraverso
Bultmann, Tillich, Bonhoeffer,
Pannenberg
e
lo stesso Barthha continua-
to e continua tuttora a movimentare la
teologia protestante
e ultima-
mente la stessa
teologia
cattolica. Non tutto riuscito a Schleiermacher:
ma
la
sua
opera
in
complesso
cos
grande
da
poter
essere minacciata
nella
sua sostanza solo da
un'opera opposta
di
eguale portata,
non da
critiche
singole (H. Scholz).
I titoli
principali
per
cui Schleiermachcr
occupa
un
posto
cos elevato
sono vari
(padre
della filosofia della reli-
gione,
fondatore della ermeneutica
ecc.) ma essi si riducono
praticamen-
te a uno solo: la realizzazionedella svolta
antropologica
della
teologia,
applicando
in maniera
originale
la rivoluzione
copernicana
voluta da
Kant tra il
soggetto
umano e
il mondo delle
cose. Cos nella
rivelazione,
nella
parola
di Dio
(che

l'oggetto proprio
della
teologia)
il
primato
non
spetta pi
a Dio che
parla
o
che si
rivela,
bens all'uomo che si
apre
alla
sua rivelazione,
alla
sua
parola.
Schleiermacher
pi teologo
che
filosofo,
anche
se ha scritto
cose
ap-
prezzabili
in
campo
filosofico,
specialmente riguardo
all'estetica. I suoi
argomenti preferiti
sono infatti la
Scrittura,
la
fede,
il
cristianesimo,
la
rivelazione,
la
religione,
ai
quali
si accosta da
una
prospettiva
che fonde
insieme istanze
razionalistiche, romantiche, criticistiche
e idealistiche.
Cos il
suo
apporto maggiore riguarda
la
teologia,
e
il
suo
insegnamento
in
questo campo
eserciter, come si
detto, un influsso
rimarchevole,
dando
origine
a
quel
movimento
teologico
che
va sotto il
nome
di
prote-
stantesimo liberale.
Ma in
tempi
recenti, con
lo
sviluppo
di
quella importante
corrente
filosoficache ha
preso
il
nome di "nuova
ermeneutica",
si
scoperto
in
Schleiermacher
un
aspetto
del suo
pensiero
che in
precedenza
era stato
trascurato e sottovalutato:
quello
che
riguarda
il rinnovamento dell'er-
meneutica.
Questa
operazione
interessa anche la storia della
metafisica,
e
questa
la
ragione per
cui
ce ne
occupiamo
nel
presente
volume.
388 Parte terza
Ilrinnovamentodellermeneutica
Ermeneutica
proviene
dal termine
greco
hermertezicin che
significa
interpretare.
Una delle
opere
logiche
di Aristotele ha
per
titolo Peri her-
meneias
(De interpretatione):
il
primo
elaborato di
una
teoria del lin-
guaggio
e
la
prima
formulazione dei canoni fondamentali
dell'interpre-
tazione. Successivamente Yermeneuticaentr a
far
parte
delle scienze
ecclesiastiche: era
la
disciplina teologica
che fissava le
regole
e i metodi
per
la corretta
interpretazione
della Sacra Scrittura. Attualmente,
grazie
allo
sviluppo
della nuova ermenczctica il termine "ermeneutica ha
acqui-
sito un
significato pi
esteso e
pi profondo
e sta a indicare una
pro-
spettiva
di
pensiero
che
assegna
sia alla filosofiasia alla
teologia
il com-
pito
di
interpretare, poich
l'uomo stesso un essere
che vive nella
pre-
comprensione
e nella
interpretazione
delle cose e
della storia. La nuova
ermeneutica fa
quindi
un
passo
indietro
(verso
le radici)
rispetto
alla
ermeneutica tradizionale, e
diviene una
specie
di
epistemologia
della
esegesi
e
delle scienze storiche in
generale;

per
l'appunto
la teoria
ge-
nerale della conoscenza storica, 0
metodica
generale
delle scienze dello
spirito,
come
l'ha definita EmilioBetti.
Lo
scopritore
del ruolo
capitale
che ha svolto Schleiermachernel rin-
novamento de1lermeneutica fu Wilhelrn
Dilthey. questi,
nel suo monu-
mentale Leben Schleierrviachers (1867-1870) e
nel
saggio Entstelzung
der
Hermenezitik (1900)
riscontro in Schleiermacher la
prima
arte dell'inter-
pretazione
veramente
originale e, pi
a fondo,
la costituzione definiti-
va di unermeneutica scientifica e
design
Schleiermacher come
il
pi
grande rappresentante
del
pensiero
ermeneutico della modernit. La
storiografia
successiva ha confermato
pienamente
i riconoscimenti di
Dilthey
relativi al ruolo svolto da Schleiermachernella creazione di una
nuova scienza della
interpretazione.
Nessuna
cosa, per,
nasce dal
nulla,
neppure
le idee e
le teorie. La re-
visione radicale dellermeneutica
parte
di Schleiermacher,
in effetti,

stata
propiziata
dal momento culturale che
regnava
in Germania ai suoi
tempi.
La cultura tedesca
all'epoca
di Schleiermacher,
vale a
dire nel
primo
Ottocento, era attratta dal
problema
delle
espressioni
libere e
creative dello
spirito
umano.
Accanto alle scienze della
natura,
dove il
legame
con Yobiettivit
prevalente,
si stavano costituendo le scienze
dello
spirito,
creatore di
storia,
di
Cultura,
di simboli
interpretativi,
di
sistemi,
di
idee,
di istituzioni
politiche,
di codici morali,
di miti
religiosi.
Alla relativamente stabileschematizzazionedella natura si
sovrappone
la continua mobilitdella storia
propriamente
umana e
Schleiermacher
colloca le
proprie
ricerche filosofichee
teologiche
nell'ambitodella
nuova scienza storica.
Schleiermacher
e
lafuga
verso
l ermeneutica
389
Gli individui
e
le comunit nella
lingua,
nella
poesia, nell'arte,
nella
filosofia
e nella
religione,
nel diritto e nella
politica,
creano una serie
di
interpretazioni
del mondo che
non sono affatto il
rispecchiamento
di
un dato obiettivo. Il dinamismo dell'essere
spirituale originario
si
riflettenella creazione di
linguaggi, parziali
ma ricchi di contenuti e
irriducibili
a dati
impersonali
e
prefissati.
L'universo
contemplato
nella
sua struttura
spirituale
diventa
prodotto culturale,
interpreta-
zione
soggettiva,
costruzione di
prospettive peculiari.
Il
rapporto
tra
finito
e infinito si mostra nella sua mediazione,
che
nasce nella
psico-
logia
umana e che si fa
espressione peculiare
dello
spirito
che inter-
preta
se
stesso,
che si d
forma,
che si
esprime.
Uastrazione dei
con-
cetti dialettici si traduce nella variet e
molteplicit
delle forme
espressive
dellautocoscienza. Tutti i
prodotti
della cultura
umana
creano cos il mondo
proprio
dello
spirito
finito
e connesso con la
ma-
teria.
L'esperienza
continua di
ogni
essere
umano,
nella
sua condizio-
ne intermedia tra il
puro spirito
e
la
pura
materia, crea il mondo
pro-
priamente
storico dei
linguaggi
umani.
Ogni
essere
spirituale
vive
e
afferma la
propria peculiare prospettiva,
d forma
a se stesso nella
struttura culturale dei simboliml

della mobilerealt della cultura


e non
semplicemente
della fissa
realt dei documenti scritti che Schleiermacher
Cerca
di
individuare,
de-
terminare,
classificarele condizioni
a
priori
che danno vita alla scienza del-
l'interpretazione,
o ermeneutica.
Egli
cerca
di
raggiungere
il rinnovamen-
to
dellermeneutica, elaborando
dapprima
una critica serrata della filolo-
gia
e
della
metodologia
fini
a se stesse come scienze
per l'interpretazione
di
qualsiasi testo; e,
in secondo
luogo,
formulando
per
la
prima
volta
una
teoria
generale
della ermeneutica (Die
Allgemeine Hermcizeutik),
volta
a
far
comprendere
il
significatogenerale dellinterpretare" e
del
compren
dere"
e a delineare
precisi
princpi
e canoni di ermeneutica di carattere
linguistico
e filosofico. E
proprio
in
questa
estensione massimadel
compi-
to ermeneutico che
va
letta la
proposta
di Schleiermacher:
l'interpretazio-
ne non si
occupa
soltanto di
testi,
bens elabora
ipotesi
non solo
plausibili,
ma
corrette,
intersoggettive
e controllabili,
il cui
campo
di
applicazione

l'estensione
stessa della filosofia. Ed da
queste ipotesi
filosofiche che
Vermeneuticariceve forza
e
dignit, altrimenti,
in
quanto
tecnica,
sarebbe
certo una
forma di
sapere,
ma senza alcuna
specificit
e
dignit.
Ci contro cui Schleiermacher ha
sempre
combattuto
non senza
tentennamenti, come avviene di solito in colui che
per primo
avverte
la novit di
un
compito -,
la concezione dellermeneutica
come
disciplina deputata
a
spiegare,
come subtilitas
explicandi
(...).
In realt
x
essa non e soltanto
una tecnica, ma
deve
ritagliarsi
il
compito spe-
1)
R.
OSCULATI, Ermeneutica,
filosofia
e
teologia
in
Schleiermacher, in B. MONDlN
(ed.),
Ermeneutira e
metafisica,
Roma
1996,
pp.
86-87.
390 Parte terza
cifico della subtilitas
intelligendi,
e
il
comprendere, quando
ha di mira
la formulazione della filosofiacome
problema,
non
possibile
senza
modelli,
applicazioni, regole,
canoni, argomentazioni
e
dispositivi;
non
possibile

come
Schleermacher afferma alia fine del
primo
discorso accademico

senza
"esperienze
ermeneutiche". In tal modo
lermeneuticanon
riducibilea ci che
gi
tutti fanno di fronte a un
testo e
neppure
alla
storiografia,
ch anzi
questa
ha inizio come
lavo-
ro
scientifico soltanto
allorquando
la
comprensione

gi
in atto. Solo
apparentemente, dunque,
lermeneutica
compie
le stesse
operazioni
della
filologia;
in realt essa
punta
all'intelligere
filosofico
e,
di conse-
guenza,
a
diventare una vera e
propria
metodo]ogia"
della filoso-
fia?
DEFINIZIONE E DIVISIONE
DELUERMENEUTICA
Uermeneutica l'arte
dell'interpretazione
(Auslegitngskzrmst).
Di
que-
sta
Schleiermacherd la
seguente
definizione: L'arte
dell'interpretazio-
ne l'arte di entrare in
possesso
di tutte le condizioni
proprie
della
com-
prensione
(di un testo,
di
un discorso).3 Pertanto,
il fine dell'ermeneuti-
ca
"la
comprensione
del senso
supremo".
Di
capitale importanza,
nella teoria della
interpretazione
di Schleier-
macher,
e a distinzione tra
interpretazione grammaticale
e
interpretazione
tecnica o
psicologrica.
Questa
una
distinzioneche ritorna in tutti
gli
scrit-
ti di Schleiermachersultermeneutica, con una costante sottolineatura
di
tre
punti:
l)
il
legame
stretto
che unisce
queste
due forme di
interpreta-
zione; 2)
la
superiorit
della
interpretazione
tecnica
(psicologica)
su
quella grammaticale;
3)
la inesauribilitdel
processo
interpretativo
sia
sotto
l'aspetto grammaticale
sia sotto
l'aspetto
tecnico o
psicologico.
Nella
interpretazione grammaticale,
ci che conta
l'aspetto lingui-
stico: essa
ricerca la
comprensione
del testo mediante lo studio delle
strutture
linguistiche
usate dall'autore. Essa
comprende
il discorso a
partire
dalla
lingua.4
Nella
interpretazione
tecnica o
psicologica
ci che conta
maggiormente
sono
i
pensieri,
la
psicologia,
la visione della realt
propri
dell'autore:
essa
<<si riferisce
pi
alla
genesi
dei
pensieri
a
partire
dalla totalit dei
momenti vitali dellndividuo.5
Come afferma lo stesso Schleiermacher,
la
prima
una
interpretazio-
ne
"oggettiva",
in
quanto
prende
in esame
il
testo,
il discorso in se stes-
3) M. MARASSI,
Introduzione a
F. D. E. SCHLEIERMACHER, Ermeneuticu,
Milano 1996,
p.
10.
3)
F. D. E. SCHLEIERMACIIER, Ernzencatica, cit.,
p.
195.
4) IbicL,
p.
133.
5) lbic,
p.
497.
Schleiermachere
Zafuga
verso Fermeneutica
391
so,
mentre la seconda
"soggettiva",
in
quanto
fa attenzione alle condi-
zioni
soggettive, psicologiche,
sia intellettuali sia morali dellautore.6
C'e
una
pagina
del
primo
abbozzo del trattato di ermeneutica
(del
1805) sui
rapporti e distinzioni dei due
tipi
di ermeneutica di
una
chia-
rezza
esemplare
e
che merita
pertanto
di
essere trascritta
integralmente.
Interpretazione grammaticale: comprendere
il discorso ci che
composto
a
partire
dalla
lingua. Interpretazione
tecnica:
comprendere
come
esposizione
dei
pensieri; comprendere
ci che
composto
attra-
verso l'uomo. E
dunque
anche
a
partire
dall'uomo.
Interpretazione grammaticale:
l'uomo
con la
sua attivit
scompare
e
appare
soltanto
come
organo
della
lingua. Interpretazione
tecnica: la
lingua
con la
sua
forza determinante
scompare
e
appare
unicamente
quale organo
dell'uomo al servizio della
sua individualit, cos
come,
nell'interpretazione grammaticale,
la
personalit
al servizio della
lingua.
Interpretazione grammaticale: non
possibile
senza
l'interpretazione
tecnica.
Interpretazione
tecnica: non
possibile
senza
l'interpretazio-
ne
grammaticale.
Infatti
come
posso
conoscere l'uomo se non soltanto
dal
suo discorso, e
pi precisamente
in
rapporto
a
questo
discorso?
interpretazione grammaticale:
l'ideale del
compito
nella
sua unilate-
ralit tuttavia il
comprendere
che fa del tutto astrazione dall'inter-
pretazione
tecnica. Lo stesso succede anche
nell'interpretazione
tecni-
ca. L'ideale:
comprendere
facendodel tutto astrazione
dall'interpreta-
zione
grammaticale.
(...)
Interpretazione grammaticale:
la
comprensione

raggiunta
solo
a
partire
dalla connessione di tutti i contesti.
Interpretazione
tecnica: la
ricostruzionedella combinazionesi
compie
solamente con la
progres-
sione nel
dettaglio,
in modo simultaneo
e immediato.
L'interpretazione grammaticale
si divide in due
compiti opposti;
lo
stesso succede nella
interpretazione
tecnica. Si deve trovare l'unit
dell'uomo
e si devono
conoscere determinatamente le
espressioni
di
questa
unit.
Interpretazione grammaticale:
il
primo compito
che mira all'unit
un'intuizi0ne
generale;
l'altro che mira alla
pluralit

una limitazio-
ne
parziale.
L0 stesso succede
nell'interpretazione
tecnica: l'unit
l'intuizione
generale
della totalit letteraria
dell'uomo;
la
pluralit

costituita dalle
applicazioni
limitate di
questa
unit a casi limitati.7
6)
Cf.
ibid.,p.
49.
7) Ibici,
pp.
133-135. Ho modificato
leggermente
la
punteggiatura per
rendere
pi
scorrevole il testo.
392 Parte terza
I PRINCIPI GENERALI
DELUERMENEUTCADI SCHLEIERMACI lER
l
principi generali
su cui
poggia
lermeneutica di Schleiermacherso-
no
quattro.
a) Il
primato dell'interpretazione
nella
gerarchia
del
sapere
La
grande
novit dellermeneutica schleiermacheriana
l'importanza
enorme
che la scienza
dell'interpretazione
viene ad assumere
nella
ge-
rarchia delle scienze: essa non

pi
unancella,
importante
s ma
pur
sempre
unancella,
della filosofiae
della
teologia,
ma un
metodo fonda-
mentale e un
preambolo indispensabile
di
ogni
forma di
sapere.
Nella
prospettiva
di Schleiermacher Yermeneuticaviene a
occupare
il
posto
di
"filosofia
prima. Sappiamo
che il
posto
della filosofia
prima,
nella
metafisica classica era
occupato
dalla
ontologia
e nella filosofiamoderna
dalla
gnoseologia; ora,
in Schleiermacheril
posto
viene
preso
dalla erme-
neutica. L'orizzonte filosofico di Schleiermacher rimane
sempre
quello
moderno,
che l'orizzonte del
Cogito,
della
soggettivit.
Ma ora
la
sog-
gettivit
del conoscere e
del
comprendere
assume uno
spessore
ermeneu-
tico. Il
conoscere
diviene
sempre
pi
un
interpretare
e
l'interpretare
viene
sempre
determinato dalle condizioni
soggettive,
che
per
ora non sono
pi
le condizioni universali stabiliteda Kant con le sue forme,
categorie,
idee,
bens le condizioni storico-culturali che determinano "la totalit let-
teraria de|l'uomo". Nella
prospettiva
filosoficadi Schleiermacherl'uomo
non viene
pi
visto come
homo
sapiens,
volerzs e! vivens come
nella antro-
pologia
classica, e
neppure
come
homo
cogitans
e homo liber come
nella
antropologia
moderna; ma come
homo
loquens
e
homo
interpretans.
La sua
figura mitologica
non

pi
n
Apollo
n Prometeo, ma Ermete. L'uomo
di Schleiermacher un recettore e un
trasmettitoredi
messaggi.
Ma i suoi
messaggi
non sono
n
quelli
della natura
e,
fondamentalmente,
neppure
quelli
della divinit,
bens i
messaggi
della cultura e della storia. Cos
Fermeneutica diviene una
filosofiadella cultura, e
nella sua
universalit
e
fondamentalitsi sostituisce alla metafisica.
b) L0
spessore
s0ggettivo
della
interpretazione
Come abbiamo visto, nell'interpretazione
Schleiermacher
distingue
due momenti: il momento
grammaticale
e
il momento
psicologico;
il
primo

oggettivo
e
il secondo
soggettivo";
e
dei due
quello
che ha
maggior peso
nella totalit
dell'operazione
ermeneutica il momento
soggettivo.
Su
questo punto
Schleiermacher si
appropria
della
grande
"rivoluzione
copernicana operata
da
Kant,
il
quale
come
sappiamo
ha
rovesciato i
rapporti
tra
oggetto
conosciuto e
soggetto
conoscente,
consi-
derando non
pi passivo
ma attivo il
soggetto rispetto all'oggetto;
non

il
soggetto
che riceve e
subisce le forme
dell'oggetto;
ma viceversa il
soggetto
che
imprime
le sue
forme e
le sue
categorie sull'oggetto.
Schleiernzachere
lafuga
ZJETSO l ermeneutica 393

esattamente
questo
ribaltamento dei
rapporti
che Schleiermacher
applica
alla sua teoria
dell'interpretazione:
per comprendere
un discor-
so,
un testo
o
qualsiasi
altro monumento storico 0 letterario
non
basta
prendere
in Considerazione i dati
oggettivi presenti
nel
testo;
contano
molto di
pi
i dati
"soggettivi",
vale a dire i
pensieri,
la
psicologia,
il
complesso
di
idee, la cosmovisionedell'autoredel testo.
c) La
reciprocit
tra
le parti
e il tutto: il circolo ermeneutica
NelYErmeneutica
generale
Schleiermacherfissa tre canoni che
valgono
sia
per l'interpretazione grammaticale
sia
per l'interpretazione
tecnica
(psicologica):
1) Nessun discorso dato
pu
essere
compreso
solamente
mediante
se stesso; 2)
Ogni
discorso
o scritto
pu
essere
compreso
unicamente in
un Contesto
pi ampio;
3)
Non solo la
comprensione
del tutto condizionatada
quella
del
singolo
elemento, ma anche, vice-
versa,
la
comprensione
del
singolo
elemento condizionata da
quella
del tutto!
Il terzo
canone,
che stabilisce che si
pu comprendere
la
parte
solo
mediante il tutto e viceversa che si
pu comprendere
il tutto solo
mediante la
parte,
descrive il famoso "circolo
ermeneutica,
che costitui-
sce l'asse
portante
di tutta lermeneuticadi
Schleiermacher,
ed inoltre
la dottrina
pi importante
che
egli
ha lasciato in eredit alla riflessione
ermeneutica
contemporanea.
Come
spiega
G.
Mura, un eccellente studioso della storia della
erme-
neutica,
il circolo ermeneutico vuol dire il movimento circolare che nella
interpretazione
di
qualsiasi testo, letterario, filosofico,
religioso, lega
la
comprensione
della totalit del testo alla
comprensione
delle sue sin-
gole parti,
e a sua volta condiziona
l'intelligenza
delle
singole parti
alla
comprensione
di tutto il testo. Si tratta certamente di
un antico
principio dellesegesi
scritturistica, secondo cui il
significato
di
un sin-
golo passo
della Scrittura
pu
essere autenticamente
compreso
solo
alla luce di tutta la Scrittura
e,
a sua volta,
la
comprensione
della
Scrittura nella
sua interezza viene nutrita intimamente dalla corretta
intelligenza
di
ogni
sua
singola parte,
in
un movimento circolare che
non cessa di rimandarele
parti
al tutto e il tutto alle
parti
in una dina-
mica di
interpretazione sempre pi profonda
(...).
Con Schleierrnacher
questo
antico canone
dellesegesi
diviene il
principio
errnenetitico
fonda-
mentale che
regola l'interpretazione
di
qualsiasi
testo scritto?
8) IbicL,
pp.
203205.
9) C.
MURA, Ernzcneutica e zaerit. Storia e
problemi
della
filosofia
della
interpretazione,
Roma
1990,
pp.
173-174.
394 Parte terza
Siccome, come
vuole il
primo principio
dell'ermeneuticaschleierma-
cheriana,
Pinterpretare
costituisce l'essenza stessa del conoscere umano,
in tale
prospettiva epistemologica
il circolo ermeneutico viene ad assu-
mere una
portata
universale: esso
Vale
per
qualsiasi genere
di
ricerca,
di
Conoscenza e
di
disciplina: per
la scienza come
per
la filosofia,
per
l'ese-
gesi
biblica come
per
la
teologia, per
il diritto come
per
la
morale,
per
l'arte come
per
la
musica,
per
la storia come
per
la
religione. Ogni
ricer-
ca
ha di mira la
comprensione piena
(das
Verstelzen in hchsten Sinne)
di
avvenimenti, dati, azioni,
pensieri, leggi,
costumi,
riti ecc.
particolari.
Ma la
comprensione
del
dettaglio
e condizionatadalla
comprensione
del
tutto;10 mentre,
allo stesso
tempo,
la
comprensione
del tutto
miglio-
ra
nella misura in cui aumentala
comprensione
delle
singole parti.
d)
Uinesauribilit
dell'impresa
ermeneutica
Il circolo ermeneutico un
circolo
sempre
aperto, poich
la struttu-
ra stessa del circolo che si
configura sempre
come un
continuo movi-
mento che
percorre
all'infinito i
poli opposti
e l'un l'altro relativi:
per
quanto riguarda
il testo i
poli
di
partetutto,
lingua-pensiero;
e
per quan-
to
riguarda
l'autore i
poli
individuale-universale,
differenza-identit.
Anche
per questo
motivo il
compito
della
comprensione
risulta infinito,
poich
il senso
che si vuole
conseguire
abita in un
luogo
determinato,
mentre
l'interpretazione
a cui viene
assoggettato
lo rimuove dalla deter-
minazione e lo colloca
piuttosto
nella sua
inconseguibile
destinazione
alluniversalit. Lo
scopo
che si
prefigge
l'ermeneutica, come
sappiamo,
consiste nel riuscire a
tematizzarela
comprensione
cercando di venire in
possesso
di tutte le sue
condizioni. E
proprio perch
la
comprensione
vuole essere
"perfetta",
"vera",
"fondamentale", "esatta", "completa"

secondo la
sequenza
abilmentericostruita da Schnur -
essa non
uno
stato
acquisito
una
volta
per
tutte, ma un
compito
dinamico e
in defini-
tiva unicamenteun
"voler
comprendere".
Questo
dovuto al fatto che il
rapporto
tra
parte
e tutto non
un
rap-
porto
fisso,
definito una
Volta
per sempre,
ma un
rapporto
dialettico,
che subisce continui cambiamenti.

una
specie
di
partita
a
baseball in
cui il battitore non riesce mai ad avere la
meglio
sul lanciatore,
cos da
porre
fine all'incontro. l contesti in cui viene inserita la
parte
aumentano
e
cos si
allarga
anche l'orizzontedel tutto. Ma
qual
il tutto a cui deve
fare riferimento
l'interprete per
coglierepienamente
il senso
del testo?
1)
F. D. E. ScHLEwRMAci-IER,
op.
ciifl,
p.
217.
11)
H. SCHNUR,
Schleiermachers Hermeneictik und ihre
Vorgeschichte, Stuttgart
1994,
p.
172.
Schleiernzachere la
fizga
verso l crnzencutica
395
Il tutto -
risponde
Schleiermacher - l'uomo. E
per
"uomo
egli
in-
tende non l'umanit in
astratto,
bens l'autore del
testo, con tutta la
sua
ricchezza
spirituale,
la
sua
personalit,
i suoi
progetti,
la sua cultura,
i suoi
ideali. Per
cogliere
il
senso del testo si deve trovare l'unit delluomo12
e
per
trovare l'unit dell'uomo si devono
conoscere determinatamente le
espressioni
di
questa
unit>>.13 Senonch il
singolo
autore
sempre
un
individuo, una monade, una
parte
di
un mondo
intelligibile,spirituale
e
culturale molto
pi grande
di
lui, un mondo
sconfinato,
infinito. La
monade umana riflette a suo modo l'infinita di
un mondo ristretto e
secondario
e
pertanto
irriducibileallAssoluto. Tra la
parte
e
il Tutto c'
sempre
uno
jatus
incolmabile,e, tuttavia, senza una
qualche
"intuizione"
o
precomprensione"
del Tutto
l'impresa
ermeneutica destinata al falli-
mento. Senza una
"prec0mprensione" generale
della
realt,
in altre
parole,
senza una "cosmovisione",nessuna
porzione
di
essa risulta
intelligibile.
Questo
anche
un
postulato
di tutte le metafisiche. Senonch il meta-
fisico
gioca
a carte
scoperte
e va
quindi
alla ricerca
(nel caso delle meta-
fisiche
induttive)
oppure pone
(nel caso delle metafisiche
deduttive)
quel principio
che rende
possibile
la subtilitas
intelligendi
e
la Clara
explzl
catio delle
parti.
Invece,
Permeneutica di Schleiermacher
non definisce
mai l'orizzonte ultimo che fa da contesto al testo e al
suo autore e lo
lascia
sempre aperto,
anzi lo ritiene indeterminabilein
quanto
la
sua
linea si
sposta sempre pi
indietro
e
sempre pi
lontano.
Lmintelligibi-
le" che
funge
da retroterra al sensibile" esiste
certamente, e merita di
essere ricercato,
proprio
al fine di
conseguire
la
comprensione
del sensi-
bile. Ma come nel criticismo
kantiano,
cos nella ermeneutica schleier-
macherianala seconda
navigazione
resta
sempre
in alto
mare e non rie-
sce mai a
raggiungere
l'altra
sponda.
Gadamer ha accusato Schleiermacherdi
soggettivismo
in
quanto
nella
sua ermeneutica
privilegia
il
"soggetto
(l'autore)
rispetto allmoggetto"
(il testo)
e, cos,
si
preoccupa pi
dei
pensieri
e
dei sentimenti dell'auto-
re che della verit del testo.
A nostro avviso l'errore
pi grave
di
Schleiermacher,
che anche la
causa del suo
soggettivismo
e relativismo, sta nella
sua
pretesa
di eleva-
re Permeneuticadal
grado
di
preziosa
ancella di
ogni
sapere
al
rango
di
regina, assegnandole
il trono che
prima
era stato della metafisica. L'er-
meneutica
non
pi
la
grande
cornice in cui si inscrivono le varie scien-
ze,
metafisica
compresa,
bens la sostanza stessa del
sapere:
Permeneuti-
ca
generale coincide, come si
visto, con la "filosofia
prima". Questa

12) F. D. E.
SCHLEIERMACHER,
0p.
ciL,
p.
135.
13) Ibid,
14) Ct. H. G.
GADAMER, Wahrheit Imd
Methodc,
Tiibingen 1960,
pp.
167
ss.;
M.
SIMON,
Ijhritage hermneutique
de
Schleiermacher, in "Archivio di filosofia" 53
(1984),
pp.
195-224.
396 Parte terza
la
ragione per
cui
gli
alfieri della nuova ermeneutica riconoscono in
Schleiermacheril loro lontano
progenitore.
La
decapitazione
della metafisica
compiuta
da Kant comincia ad ave-
re
i suoi nefasti effetti. Ma la
negazione
della metafisica non conduce,
certo,
Schleiermacher alla
negazione
di
Dio,
nel
quale egli
continua a
credere
sempre
fermamente; con
grande
zelo e con
(igni
mezzo Cerca
di
ravvivare la
fede,
in Dio e
in Ges Cristo,
nei suoi
contemporanei.
Per,
diversamente da
Kant,
il
quale
aveva cercato di ricostruire i
ponti
tra
l'uomo e Dio attraverso la
morale,
Schleiermacher ritiene che l'unico
ponte
solido sia
quello
della
religione, proprio quel ponte
contro cui
gli
illuministi concentravano i loro assalti. Cos Schleiermacherelabora una
nuova filosofia della
religione spostando
le sue
basi al di fuori sia della
metafisica sia della morale.
JESSENZA DELLA RELIGIONE
Uno dei massimi meriti di Schleiermacher senza
dubbio
quello
di
aver
definito l'essenza della
religione, distinguendola
nettamente sia dalla
filosofiasia dalla
morale,
assegnandole
una
facolt
specifica,
che non n
la
ragione
(metafisica)
n la Volont (morale),
bens il sentimento.
Schleiermacher, in
contrapposizione
al razionalismodella filosofia
della
religione
che accettava della
religione
solo
quanto pu
essere
ricondottoalle verit metafisiche stabiliteautonomamentedalla
ragione,
rivendica
l'originalit
e la
peculiarit dell'esperienza religiosa,
la
quale,
come mostra Schleiermacher,
e essenzialmente diversa da
quella
metafi-
sica. Anche
se
l'oggetto
e
identico, l'Assoluto,
la metafisica si
propone
un
compito
esclusivamente
speculativo,
teorico: essa classifica l'univer
so e
lo
distingue
nelle tali e
tali
essenze,
ricerca le
ragioni
di ci che esi-
ste e deduce la necessit del
reale,
svolge
da s la realt del mondo e
delle sue
leggi
(Discorsi
sulla
religione).
In tal modo
per,
1Infinito va
perso,
ridotto entro
gli
schemi finiti della
spiegazione;
il
rapporto irrigi-
dito che la metafisica stabiliscecon
lInfinitonon e
adeguato perch
non
immediato. Di tutt'altro
genere
il
rapporto
che si assume con
l'infinitonella
religione:
un
rapporto
immediato,
diretto. La
religione

il modo
soggettivo
di toccare l'infinito,-
l'organo
della
religione
il senti-
mento
(Gefiihl)
(non
la
speculazione,
il
ragionamento,
la volonta).
Il sen-
timento
FClgOSCJ,
dichiara Schleiermacher,
l'unico modo autentico di
mettersi in
rapporto
con 1Infinito, perch
sa lasciarlo sussistente e
in-
contaminato nella sua
infinita. La
religione
tende a vedere nell'uomo e
in tutte le cose
particolari
1Infinito:
l'immagine, l'impronta, l'espressio-
ne
deltlnfinito (lbid)
Fondamentali
per
il concetto che Schleiermacher
ha della
religione
sono
due
proposizioni
diventate
giustamente
celebri:
Schleiermacher
e
la
fuga
zierso lern1eneutica
397
1) La
religiosit
non n scienza n azione
ma
piuttosto
una
determi-
nazione del sentimento e della immediata autocoscienza.
2)
Ci che c'
nel
comune,
anche nelle
pi
differenti manifestazioni
religiose,
e ci
per
cui
queste
al
tempo
stesso si
distinguono
da tutti
gli
altri
sentimenti, in
altre
parole,
l'essenza invariabiledella
religiosit
consiste nel fatto che
noi siamo
semplicemente
coscienti della nostra
dipendenza
da
Dio;
cio
della nostra relazione
con Lui
(Ibid.).
Questa
pertanto
la
peculiarit specifica
della
religione:
il sentimento
di radicale
dipendenza
nei confronti de1l'Assoluto.
Questo sentimento,
spiega
Schleiermacher, nasce nel momento in cui l'uomo diviene
Consa-
pevole
di
se stesso e dell'universo che lo circonda. Allora
egli
si
accorge
di
dipendere
radicalmenteda
un

Altro",
cio da
Dio,
il
quale
viene
per-
tanto
raggiunto
non mediante la
conoscenza concettuale
come afferma-
vano i
razionalisti, ma
per
mezzo della intuizione
e
del sentimento: Se
luomo
non si unisce all'Eterno nell'unit della intuizione
e
del senti-
mento
egli
ne rester eternamente
separato
(Haiti). Qui va ricordato
che,
come
gi
in Pascal e in
Kant,
anche in Schleiermacheril termine senti
mento" assume una valenza semantica assai
pi
ricca e
profonda
di
quanto
non abbia normalmente in
italiano; non
designa semplicemente
uno stato d'animo
gradevole
o
sgradevole, gioioso
o
penoso,
bens una
facolt di vaste
proporzioni
che si colloca tra la
ragione
e la
volont, e
coglie
dati distinti da
quelli
della
ragione
e della volont. Il sentimento
(Gefiihl)

un Erlebnis,
un'esperienza
vissuta che
prende
le radici del
nostro
essere
e,
pur
non essendo
concettualizzabile, fortemente
perce-
pita
e
capita.
Il sentimento
religioso
ha
appunto
il carattere di Erlebnis
e
consiste ne1l'avvertire la
propria
finitezza di fronte
all'infinito,
la
pro-
pria precariet
e
contingenza
di fronte
allAssoluto, e
di sentirsi
dipen-
denti da Lui. Ed in
questo
sentimento di
dipendenza (Abhrzgzlqkeitsgefiihl)
che consiste
precisamente
la
religione.
E
immediatamente,
secondo
Schleiermacher, l'essenza della
religione
si esaurisce in tale sentimento
(anche se
poi aggiunger
che di fatto
non rimane mai
un sentimento
indeterminato
e
inogettivato,
ma diviene
sempre
determinato
e
oggetti-
vato mediante
qualche intuizione).
Come si detto tale sentimento
sorge
nel momento in cui l'uomo avverte la
propria dipendenza
nei
con-
fronti de1lAssoluto: allora
egli

pio,
allora
egli
cosciente della sua rela-
zione con Dio.
L'altro,
il
principio
della nostra
esistenza,
di fronte al
quale
ci sentiamo assolutamente
dipendenti
Dio. Ma "di fronte
a
chi"
propriamente
non
pu
dirsi,
perch
il
sentimento, a differenza del cono-
scere e del
fare, non
ha
propriamente
nessun
dirimpettaio,
nessun
ogget-
to. Dio dato
come causa solo nel sentimento della sua
efiicacia
in
noi,
non altrimenti. Se si fosse dato
altrimenti,
in
qualche
modo
oggettivato,
allora si darebbeanche
una contro-efficaciada
parte
nostra nei suoi
con-
fronti, e
dunque
libert
e
dunque
non
dipendenza
assoluta. Avremmo
allora
a
che fare
non con Dio, ma con il mondo.
Dunque
Dio non dato
398 Parte terza
in forma
oggettivata:
Dio
piuttosto significa
l'elemento condetermnante
nel sentimento,
al
quale
noi rinviamola sua determinazionedi sentimento
pio".
La coscienza di Dio resta
perci
inclusa nel
sentimento, e
perci
l'espressione
della
rappresentazione
Dio" altro non
pu significare
che
l'espressione
del sentimentosu se stesso,
la
pi
immediata autoriflessione.
E
questo
darsi in forma non
oggettivabile
di Dio come
principio
della no-
stra esistenza e, secondo una
espressa
spiegazione
di Schleiermacher,
identico con
la
briginaria
rivelazione" di Dio. Con la sua
assoluta
dipen-
denza della
sua esistenza,
insita nell'uomo come in
ogni essere,
data a
lui come uomo l'autoscienza immediata;
nell'atto del suo
divenire co-
scienza di
Dio,
dato
dunque
Dio, e
la sua
piet
solo il
progredire
di
questo
caratteristicodivenire della sua esistenza umana come
tale.
Radicalmente la
religione
consiste
quindi
nel sentimento di
dipen-
denza. Di fatto
per
essa non si
presenta
mai nella forma del sentimento
di
dipendenza
allo stato
puro,
ma
sempre
nella forma di sentimenti
accompagnati
da intuizioni
particolari,
che
sono
quelle
che
spiegano
la
variet del fenomeno
religioso
e la
molteplicit
delle
religioni.
Infatti
intuizionesenza sentimento nulla
(...)
sentimento senza
intuizione
pure
nulla: ambedue sono
qualcosa
solo se e
perch originariamente
sono una cosa unitaria e
indvsa
(Discorsi
sulla
religione).
Ma in
un'epoca
in cui la critica della
religione
e del cristianesimo sta
gi
iniziando la loro rimozione dalla cultura e dalla
societ,
trattandoli
come
prodotti
di un'umanit irnmatura e infantile,
Schleiermachernon
si accontenta di dare una
precisa
definizione della
religione,
ma si
preoccupa
anche
e
soprattutto
di mettere in luce il Valore
primario,
fon-
damentale, insostituibile,
il valore vitale
(Lebertszivert) sommo
della reli-
gione
e
quindi
del
cristianesimo,
che della
religione

l'espressione pi
alta e
perfetta.
La
religione
e un
Valore
sommo,
vicino, ma non certa-
mente inferiore,
alla
scienza, all'arte,
alla
patria
ecc. Pertanto,
conclude
Schleiermacher, la cultura senza
religione,
in
particolare
senza
la
religio-
ne cristiana, non
pu
mai essere una
cultura
completa.
ll
pensiero
filosofico,
religioso
e
teologico
di Schleiermachertrova le
proprie
motivazioni, ma
anche i suoi
limiti,
in
quel
clima culturale ro-
mantico in cui si
sviluppato,
che
era un clima di reazione e
rifiutocon-
tro i
presuntuosi dogmatismi
del razionalismoe dell'illuminismo.Vali-
do nella misura in cui riesce a riscattare un'attivit
tipicamente
umana
come
quella religiosa
(tra
le
pi
duramente
colpite dagli
attacchi del
razionalismoe
dellempirismo),
il
pensiero
di Schleiermacher risulta
peraltro inadeguato,
in
quanto
riconduce
questa
attivit alla sola attivit
del sentimento.
Qui
il
suo errore ancora
pi grave
di
quello
di Kant.
Infatti,
oltre che il
sentimento,
all'attivit
religiosa
interessata anche la
ragione.
E solo
questa
in
grado
di determinare Yobiettivitdei Conte-
nuti del sentimento
religioso,
e
per
fare
questo
non basta lermeneutica
ma necessaria la metafisica.
Schleiernzachere
la
fuga
verso [ermeneutica 399
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LA DISSOLUZIONEDELLA METAFISICA
NEI VOLONTARISTI E NEI MATERIALISTI:
SCHOPENHAUER, FEUERBACH,
MARX E COMTE
Le vie della dissoluzionedella metafisica
sono innumerevoli,e
posso-
no
riguardare
sia i
preamboli gnoseologici
sia le strutture
ontologiche.
Infatti,
la metafisica vien meno sia
quando
si
nega
alla
ragione
la
capa-
cit di uscire dalla caverna e
di effettuare la "seconda
navigazione,
sia
quando
si
nega
l'esistenza dei due
mondi,
sensibilee
intelligibile.Dopo
Kant,
pi
che
per ragioni gnoseologiche,
la metafisica viene rimossa
per
ragioni ontologiche.
La
prima
rimozione della metafisica
quella degli
idealisti,
i
quali,
come
abbiamo
visto,
riducevano tutta la realt al mondo
intelligibilc.
Ma 1idealismo scaten immediatamente tutta una
serie di reazioni di
segno opposto,
che,
in Vario
modo,
spazzano
via il mondo
intelligibile
e
riconosconocome
reale soltanto il mondo sensibile.
I
principali
artefici di
questo
movimento, che,
intorno alla met del-
l'Ott0cent0,
elimina in modo ancora
pi
drastico la
metafisica,
furono
Schopenhauer,
Feuerbach,
Marx e Comte.
Questi
quattro
affossatori
della metafisica esercitarono un
grande
influssosui loro
Contemporanei
e, specialmente
Marx,
anche sui
posteri.
Qui
noi li ricordiamo non tanto
per
la costruzione dei loro sistemi
antimetafisici,
quanto per
le
ragioni
che li hanno indotti a detronizzarc e
a
sopprimere
la
regina
di
ognj sapere.
Arthur
Schopenhauer
VITA E OPERE
Arthur
Schopenhauer
nacque
il 22 febbraio 1788 a Danzica da fami-
glia agiata:
il
padre
era banchiere,
la madre scrittrice. Nonostante l'incli-
nazione
agli
studi,
Schopenhauer
fu costretto dai
genitori
a
seguire
la
carriera commerciale. Solo
dopo
la morte dei
padre pot riprendere gli
studi
presso
l'universit di
Gottinga
e
poi presso quella
di
lena
dove,
nel
1831,
si laure in filosofiacon
la tesi Sulla
quadruplice
radice del
principio
di
ragion sufficiente.
Nel 1819
pubblic l'opera principale
Il mondo
come
volont e
rappresentazione.
Nel 1820 ottenne la liberadocenza
presso
lu-
402 Parte terza
niversit di
Berlino,
dove
insegn
senza alcun successo sino al
1832,
quando
decise di abbandonare
l'insegnamento
e
di ritirarsi a Francoforte
sul
Meno,
dove rimase fino alla morte (1860).
L'ultima sua
opera, Parerga
e
paralipomena,
venne
pubblicata
nel 1851 ed ebbe
un
grande
successo.
IL VOLONTARISMO
Schopenhauer
fu tra i
primi
critici dellidealismo e in
particolare
di
Hegel.
Contro la tesi esaltante il dominio assoluto
e incontrastato della
ragione
sulla natura e sulla
storia,
egli
evidenzia l'irrazionalit dell'esi-
stenza umana e della storia: il
male,
il
doiore,
le
guerre,
le
disgrazie,
l'o-
dio,
la
vendetta,
la
crudelt, ecc.,
e ne attribuisce la causa al
governo
di
una volont
cicca,
spietata,
crudele.
Schopenhauer
d forma sistematica
alla
sua visione
pessimistica
della realt
nell'opera
Il mondo come volont
e
rappresentazione,
il cui titolo stesso
esprime
la sua intuizione di base.
Muovendo dalla distinzione kantiana tra fenomeno
e
noumeno,
ma
rovesciandone i
significati, egli
identifica il mondo dei fenomeni
(della
rappresentazione)
col mondo della
ragione,
e il mondo noumenico
(il
mondo
Vero,
reale) con
quello
della volont.
Se
Hegel
aveva
affermato che la realt
suprema
il
pensiero
e
che
tutto le
cose,
manifestazioni di
quello,
costituiscono un universo razio-
nale
e,
in
definitiva, buono,
Schopenhauer
rileva che
l'esperienza
inse-
gna
esattamente
l'opposto: l'esperienza
evidenzia
disgrazie, malvagit,
fatalit,
orrori.
Dunque
la realt
suprema, origine
di tutte le
cose,
non

l'idea,
la
ragione,
il
pensiero,
ma una volont cieca. da
essa
che
trag-
gono origine
tutte le cose e tutti
gli
avvenimenti;
questo spiega
il loro
ca-
rattere
completamente
irrazionale.
L'argomento
con cui
Schopenhauer
prova
la
priorit
della volont su
qualsiasi
altra realt il
seguente:
Questa volont,
ben
lungi
dall'essere, come ainmettevano tutti i filo-
sofi
anteriori,
inseparabile
dalla conoscenza e anzi
puro
risultato di
essa,
radicalmente distinta
e
del tutto
indipendente
da
questa,
la
quale
e affatto secondaria e di
origine posteriore e,
per conseguenza,
pu
stare ed
esprimersi
anche
senza
di
essa,
come realmente il
caso
in tutta la
natura,
da
quella
animalein
gi;
anzi,
questa
volont, come
l'unica cosa
in
s,
la sola vera realt,
il solo
principio originario
e
metafisico in un mondo ove tutto il resto
puramente apparenza,
ossia mera
rappresentazione,
conferisce
a
ogni cosa, quel
che
essa sia,
la forza in virt della
quale
essa esiste,
la forza in virt della
quale
es-
sa e
opera;
ch
quindi
non solo le azioni arbitrarie
degli
esseri ani-
mali, ma
anche le funzioni
organiche
del loro
corpo
animato,
persino
la sua forma e natura,
di
pi
anche la
vegetazione,
da ultimo nello
stesso mondo
inorganico
la cristallizzazione sono
precisamente
identiche
con ci che troviamo in noi medesimi come volont,
della
Schoperzhauer,
Fezzerbach,
Marx e Comte 403
quale
noi abbiamola
conoscenza
pi
diretta e intima che sia
possibile
(...).
All'incontrola conoscenza e il
suo substrato, l'intelletto,
e un feno-
meno interamente diverso dalla
volont,
affatto
secondario,
concomi-
tante solo ai
pi
alti
gradi
di
oggettivazione
della volont
stessa, non
importante per questa, indipendente
dalla manifestazionedi essa nel-
l'organismo
animale,
quindi
non
metafisicocome
questa,
ma fisicoml
Uoriginalit
della concezione
schopenhaueriana
non sta nell'afferma-
zione della
priorit
della volont sul resto della realt. Gi lo
avevano
insegnato
Scoto,
Occam e Cartesio;
la sua
originalit
consiste nella carat-
terizzazionedella volont come
forza
cieca, arbitraria,
tirannica e bruta-
le, e
nella derivazionedi
qualsiasi
altra realt da essa.
Gli individui non sono
altro che
Yoggettivazione
della volont. L'indi-
vidualit
pura
illusione,
mediante la
quale
la volont universale tende
a
perpetuarsi
nelle
sue
estrnsecazion. Per
Schopenhauer,
per raggiunge-
re i suoi
fini,
negli
esseri inferiori la volont si serve dellistinto,
nell'uo-
mo della
ragione;
la
ragione
dell'uomo
al
servizio dellrrazionalit
della volont
universale,
perci
la razionalit che l'uomo
coglie
nelle cose

puramente
illusoria. La
ragione
stessa e un
inganno
della volont uni-
versale;
infatti ci illude di
possedere
un
valore
personale,
ci fa credere di
essere liberi,
di tendere a
fini
personali,
di ricercare la nostra felicit, e
invece la volont universale che si serve
di tutto
questo per perseguire
i
suoi fini di conservazionee
di
progresso
della
specie
umana.
Anche l'amore un
inganno;
l'amore di s
l'inganno
di cui la
volont si serve
per
la conservazione dell'individuo;
l'amore sessuale
l'inganno
di cui essa si serve
per
conservare la
specie
umana.
Tutto
quello
che all'uomo
appare
buono, bello,
piacevole,
amabile
illusione
e
inganno:
lo conferma il fatto che
non riusciamo mai a
rag-
giungere
la felicit. Radice di tale
inganno
l'illusionedell'individua-
lit. Risultato della
scoperta dell'inganno
il
dolore,
l'angoscia dispera-
ta cui non si
pu sfuggire
nel momento in cui si avverte che
questo
mondo il
peggioroche
possa
esistere.
La vita morale
dell'uomo,
secondo
Schopenhauer,
consiste nella ri-
nuncia della
propria
individualit,
nel riconoscersi come
pura espressio-
ne
della volont
universale,
nell'abbandonarela
pretesa
di
avere una
propria personalit
e
di
aspirare
a una
felicit
personale.
La Vita morale
consiste nella liberazionedello
spirito
dalla individualit
egocentrica
mediante
l'arte,
la
simpatia
e
Yascesi.
La dottrina
pessimistica schopenhaueriana
si motiva come reazione
all'idealismo
hegeliano
(il cui canone
fondamentale "tutto il reale ra-
zionale"
appariva
in stridente conflitto
con
l'esperienza)
in nome
degli
aspetti
irrazionali e fatalistici della realt.
1)
A.
SCHOPENHAUER,
La volont della
natura,
Milano
1927,
pp.
10-12.
404 Parte terza
Tuttavia,
la formula
opposta
"tutto il reale irrazionale" altrettanto
costrittiva e unilaterale. Infatti nelle cose si incontrano alcuni
aspetti
razionali e altri irrazionali: si d il benee si d il
male;
nella realt la ric-
chezza tale che le formule
semplicistiche,
come
quelle
dellbttimismoe
del
pessimismo,
sono assolutamente
incapaci
di esaurirla. L'ottimismo
di
Hegel
(e
di
Leibniz) e il
pessimismo
di
Schopenhauer
sono
punti
di
vista
estremi,
che manifestano ciascuno solo
un
aspetto
della realt. Solo
la
spiegazione
dialettica della metafisica in
grado
di fornire
un
quadro
completo
della
complessit
clelllntero.
Ludwig
Feuerbach
VITA E OPERE
Feuerbach
nacque
a Landshut, in
Baviera,
il 29
luglio
1804. Nel 1823
inizi a
Heidelberg
10 studio della
teologia,
che
poi
lasci
per
dedicarsi
alla filosofia. Nel 1824 inizia
frequentare
i corsi di
Hegel
a Berlino;
nel
1828
consegu presso
l'universit cli
Erlangen
la libera docenza
con
1a
dissertazione De ratione
una, universolis,
infinita,
in cui
gi sviluppa
il suo
pensiero
in
polemica
con
I-Iegel.
Il carattere
indipendente
e Yestremismo
delle sue concezioni
religiose gli preclusero
la Carriera
accademica;
que-
sto, peraltro, gli
consent di dedicarsi
con
maggiore impegno
alla rifles-
sione e alla redazione dei suoi scritti. Mor a
Rechemberg,
nei
pressi
di
Norimberga,
il 13 settembre 1872.
Le sue
opere principali
sono: Critica della
filosofia liegeliana
(1839);
L'essenza della
religione
(1845);
Il nristero del
sacrificio
o l Uomo ci che man-
gia
(1862);
Spiritualismo
e
materialismo
(1866).
IJANTROPOCENTRISMORADICALE DI FEUERBACH
Feuerbach
compie
un altro
passo
decisivo
verso la dissoluzionedella
metafisica
colpendo
a morte la
religione,
un'attivit che
con
la metafisi-
ca
ha moltissimi elementi in
comune,
tanto che
gi
Plotino,
Bruno e
Spinoza
avevano
potuto
affermare che
per
il filosofo la
vera
religione

la metafisica.
Feuerbach
soprattutto
un
filosofo della
religione; ma,
decostruendo
la
religione
e
facendo di
questa
attivit non Pautomanifestazionedel
Sacro
(Dio),
bens una
proiezione
dei
bisogni
e
degli
ideali
dell'uomo,
egli
dissolve inevitabilmenteanche la metafisica. Il
postulato
basilare
del sistema di Feuerbach che
riguarda
la risoluzione della
teologia
in
antropologia
vale anche
per
la metafisica: la
quale
viene a sua volta ri-
solta in
antropologia.
In effetti,
Feuerbach
non
elimina solo
Dio,
quale
oggetto
di culto e di
adorazione, ma
qualsiasi
altro
principio
trascenden-
Schopenlzauer,
Feuerbach,
Marx e Comte 405
te: l'Esse
ipsum,
la
Verit,
il
Bene,
il Perfetto, l'Infinito, l'Assoluto,
il
Necessario ecc.
Il loro
posto
viene
preso
da11'U0mo.
Secondo Feuerbach la seconda
navigazione
non
conduce da nessuna
parte,
ma approda
a un
porto
illusorioe
chimerico. La metafisica non
contiene altro che "i
sogni
di
un visionario", come aveva
detto Kant.
Nella sua
opera
principale,
L'essenza del cristianesimo,
Feuerbach affer-
ma contro
Hegel
che il fondamento
della vera
filosofianon
porre
il
finito nell'infinitoma
l'infinitonel finito,
ossia che il
compito
della filo-
sofia non
provare
che l'uomo e
prodotto
da
Dio, ma,
viceversa,
Dio
dall'uomo: non
l'idea
(Dio)
ha creato l'uomo, ma l'uomo ha creato
l'idea
(Dio).
Nella risoluzione della
teologia
in
antropologia
sta la rivoluzione co-
pernicana operata
da Feuerbach.
La filosofia
religiosa
di Feuerbach essenzialmenteuno
studio dell'o-
rigine
dell'idea di Dio e
dei suoi attributi.
L'origine
della idea di Dio ha
il carattere
di
unfipostutizzazione:
l'uomo
proietta
tutte le
qualit positive
che ha in s in una
persona
divina e ne
fa una
realt sussistente,
di fronte
alla
quale
si sente schiacciatocome un
nulla
o,
almeno, come un
misera-
bile
peccatore.
Cos,
per
es.,
l'idea di Dio come
padre
nasce
dal
bisogno
di sicurezza
degli
uomini;
l'idea di Dio fatto carne
esprime
l'eccellenza
dell'amore
per
gli
altri;
l'idea di un essere
perfettissimo
nasce
per rap-
presentare
all'uomo ci che
egli
dovrebbe
essere;
la Trinit adombra le
tre facolt
supreme
dell'uomo (volont, ragione,
amore)
prese
nella loro
unit e
proiettate
al di
sopra
dell'uomo, e
cos via.
C'
per
da
osservare,
per
intendere rettamente
il
pensiero
di
Feuerbach,
che
con
questo
smantellamentodei concetti
religiosi
tradi-
zionali
egli
non
intende
sopprimere
la
religione,
che, anzi,
egli
considera
necessaria in
quanto
fa
presenti
all'uomo i suoi ideali. Feuerbach si
pro-
pone
invece di mettere in
guardia
contro le illusioni create
dalla
religio-
ne,
in
particolare
contro l'illusionedi
concepire
l'Essere in cui si
iposta-
tizzano
gli
ideali dell'uomo come se
fosse altro dall'uomo, come
fosse
qualcosa
di esistente in se stesso. Questa
in effetti,
per
Feuerbach, la
grande
debolezza della
religione,
la causa
di
ogni
errore e
fanatismo.
In L'essenza del cristianesimo
egli
afferma che il sentimento di radicale
dipendenza,
in cui
egli,
sulla scia di Schleiermachcr,
ripone
l'essenza
della
religione,
va
inteso come dipendenza
di fronte alla
natura,
le cui
forze
sconvolgenti
terrorizzano l'uomo. Per sottrarsi al dominio della
natura,
l'uomo ha inventato Dio,
ossia un
Essere cui nulla
impossibile.
Dio
,
quindi,
la
raffigurazione
fantastica di un
assoluto dominio della
volont umana
sulla natura e
di una
completa
soddisfazione
dei deside-
ri umani. A Dio si attribuiscono la creazione del mondo e
la
provviden-
za
proprio per
affdargli
il
pi
assoluto dominio sulla natura e
quindi
la
capacit
di
volgere questo
dominio a
servizio
degli
uomini.
406 Parte terza
L'opera
si conclude
con la
perentoria
affermazione che la divinit
degli
uomini lo
scopo
finaledella
religione.
Nei
Principi
della
filosofia
dellkzvzwenire Feuerbach teorizza il
suo umane-
simo assoluto
quale
ateismo assoluto. L'uomo
completo,
infatti, colui
che ha cessato di
proiettare
nel divino ci che
proprio
di uninfinita
possibilit
di realizzazionedella
sua natura e non esclude da s nulla di
ci che
umano: arte, religione, etica,
filosofia
e scienza. L'uomo che ha
acquistato pienamente
coscienza di
se stesso e delle
sue
possibilit
non
ha
pi bisogno
n di
religione
n di cristianesimo. Scrive Feuerbach:
Il cristianesimo
non
pi adeguato
ne all'uomo teoretico n a
quello
pratico:
non soddisfa
pi
lo
spirito,
ma nemmeno il
cuore, perch
il
nostro cuore si interessa
a cose diverse dalleterna beatitudineceleste
(...). I] cristianesimo
negato:

negato
nello
spirito
e nel
cuore,
nella
scienza
e nella
vita,
nell'arte e nell'industria, ed
negato
radicalmen-
te, senza
scampo,
rrevocabilmente,
perch gli
uomini hanno fatto
loro il
vero, l'umano, Fantisacro, l'hanno
posto
in loro stessi cosicch
al cristianesimo stata tolta
qualsiasi capacit
di resistenza. Finora la
negazione
era incosciente. Solo adesso o sta diventando
un
atteggia-
mento
cosciente, volontario, a cui direttamente si
aspira,
e ci tanto
pi
in
quanto
il cristianesimo si confuso
con le forze che
vogliono
ostacolare
quella
che
l'aspirazione
essenziale della umanit del
nostro
tempo, l'aspirazione
alla libert
politica.
La
negazione
coscien-
te
getta
le fondamenta di
una nuova et,
pone
la necessit di
una filo-
sofia
schietta, non
pi
cristiana, decisamente anticristiana?
Feuerbach
opera
unermeneutiea della
religione
e del cristianesimo
tesa a dischiuderne
Vintenzionalit
profondamente e intensamente
antropologica.
Cos li svuota e li
priva
del loro
significato
autentico. Ma
la
religione
e il cristianesimo
rappresentano
un
sogno meraviglioso
(la
divinizzazione
dell'uomo)
che
non deve
essere distrutto. Feuerbach
non
reclama n
predica
"la morte di Dio".
Semplicemente
si sforza di
spiega-
re il
senso che si deve dare alla
categoria
del
divino,
quando
si
prende
sul serio la svolta
antropologica.

stato scritto che Feuerbach il


padre
dellateismo moderno. Da lui
discendono
pi
o meno direttamente tutti
gli
ateismi successivi: diretta-
mente lateismovitalisticodi
Nietzsche, lateismo
utopico
di
Bloch, latei-
smo
teologico
di Altizer
e Hamilton; indirettamentelateismo
socio-politi-
co
di Marx e
Engels,
e lateismo scientifico di Comte
e
degli
altri
positi-
visti
e
neopositivisti,
nonch lateismo
psicanalitico
di Freud.
1) L.
FEUERBACH,
Principi
della
filosofia dellzzrzrenire, tr. it. di C.
CESA, in La sinistra
hegeliana, Laterza, Bari
1966,
pp.
308-309.
Schopenhaaer, Feuerbach,
Marx e Comte 407
Karl Marx
VITA r: OPERE
Marx
nacque
a Treviri,
in
Germania,
il 5
maggio
1818,
da
una
fami-
glia
ebrea.
Compi gli
studi
superiori presso
l'universit di Berlino
dove,
in un
primo tempo, segu
con entusiasmo la filosofiadi
Hegel. Dopo
la
laurea
(1841)
si dedic al
giornalismo, rivolgendo aspre
critiche ai
governi
assolutisti del
tempo.
Ne fu
ripagato
con
frequenti perquisizioni
e continue minacce di arresto. Per
sfuggire
alla caccia della
polizia
tede-
sca,
nel 1843 si
rifugio
a
Parigi,
dove incontr
Engels
e strinse con
lui
legami
di
profonda,
duratura
amicizia.
Nel
1848, insieme a
Engels, pub-
blic il
Mamfesto
dei
comunisti, una vibrante sintesi del suo
programma
politico.
Nel 1849 fu costretto a
riparare
in
Inghilterra.
Qui
fece diretta
esperienza
della
disperata
miseria in cui la
grande
industria aveva
get-
tato
gli operai.
Tale
esperienza
lo scosse
profondamente
e divenne l'ele-
mento animatore della sua attivit di scrittore e
di
agitatore politico.
Nel
1864 convoc a
Londra la Prima
Internazionale,
per
coordinare l'attivit
rivoluzionariadel
proletariato
di tutto il mondo. Nel 1867 diede alle
stampe
il
primo
volume del
Capitale (gli
ultimi due furono
pubblicati
postumi
da
Engels).
Mor il 14
marzo
1883.
Le
opere principali
di
Marx,
oltre al
Capitale,
sono: Critica della
filosofia
Iiegeliana
del diritto
(1843);
Manoscritti
economico-filosofici
(1844);
Tesi su
Feaerbach
(1845);
Miseria della
filosofia
(1847).
Tra
gli
scritti
composti
in
collaborazione con
Engels
meritano di
essere menzionati,
oltre al
Manifesto
dei
conzunisti,
La sacra
famiglia
(1845);
L'ideologia
tedesca
(1846).
IJALIENAZIONERELIGIOSA E IL MATERIALISMOSTRlCO-DIALETTICO
Per la metafisica
Marx, come
il
suo maestro Feuerbach,
direttamente
non mostra alcun interesse. Indubbiamente,
la metafisica fa
parte
delle
molteplici
sovrastrutture di
una
societ
(insieme
al
diritto,
alla
morale,
alla
religione,
alla
politica,
all'arte,
alla educazione
ecc), ma non affat-
to una struttura vitale e fondamentale,
qual
invece la
religione,
che
svolge
sempre
un
ruolo decisivo nel cammino della storia e nelle tra-
sformazioni della societ. Per radendo al suolo la
religione,
Marx sot-
terra inevitabilmentela
metafisica, e in effetti al
posto
di
una
cosmovi-
sione metafisica
egli pone
una cosmovisione materialistica storicodia-
lettica,
che non
pu
essere
che
una
visione immanentistica.
Marx fu il
primo
ad
appropriarsi
della teoria di Feuerbach
sull'origi-
ne
della
religione
e a utilizzarlain senso
apertamente
ateistico.
Egli
infatti non si limita
a
negare
Dio come aveva
fatto
Feuerbach, ma vuole
porre
fine anche alla
religione.
Questa a suo
giudizio
non
pu
contribui-
408 Parte terza
re
in
nessun modo alla elevazionee alla realizzazione
dell'uomo,
perch
essenzialmente uno strumento di
oppressione
di cui si servono le clas-
si dominanti a danno delle classi inferiori. La
religione

0ppio
del
popolo.
Perci la
sua critica della
religione,
della Chiesa
e del cristiane-
simo molto
pi
ferma
e radicale della critica di Feuerbach. In Marx la
critica della
religione perviene all'imperativo categorico
di rovesciare
tutti i
rapporti
nei
quali
l'uomo un essere
degradato, asservito,
abban-
donato,
spregevole?
Nella
Questione
ebraica
leggiamo:
La
religione per
noi non costituisce
il
fondamento,
bens il
fenomeno
della limitazione mondana. Per
questo,
noi
spieghiamo
la
soggezione religiosa
dei liberi cittadini
non la loro
soggezione
terrena (...).
Affermiamoche essi
sopprimeranno
la loro limi-
tatezza
religiosa
non
appena
avranno
soppresso
i loro limiti terreni. Noi
non trasformiamo le
questioni
terrene in
questioni teologiche.
Trasfor-
miamo le
questioni teologiche
in
questioni
terrenew
Ancora
pi perentorie
e
pi esplicite
le dichiarazioni che Marx
pre-
senta nella Introduzione alla Critica della
filosofia hegeliana
del
diritto,
dove si dice tra l'altro:
La
religione
la
consapevolezza
e la coscienza delluomo che
non
ha
ancora
acquisito
o
ha di nuovo
perduto
se stesso. Ma l'uomo non un
essere astratto,
isolato dal mondo. Luomo il mondo
dell'uomo,
lo
Stato,
la societ.
Questo Stato,
questa
societ
producono
la
religione,
una coscienza
capovolta
del
mondo,
proprio perch
essi sono un
mondo
capovolto.
La
religione
e la teoria
generale
di
questo
mondo,
il
suo
compendio enciclopedico,
la
sua
logica
in forma
popolare,
il
suo
point
dfihonnettr
spiritualistico,
il suo entusiasmo,
la sua sanzione
morale,
il suo
completamento
solenne,
la sua fondamentale
ragione
di consolazione
e di
giustificazione.
Essa la realizzazionefantastica
dell'essenza
umana, poich
lessenza
umana non
possiede
una vera
realt. La lotta contro la
religione

quindi
indirettamente la lotta con-
tro
quel
mondo del
quale
la
religione
l'amore
spirituale
(...).
La
miseria
religiosa
a un
tempo espressione
della miseria reale
e
prote-
sta contro di
essa. La
religione
il
gemito delloppresso,
il sentimento
di un mondo
senza
cuore,
e insieme lo
spirito
di
una condizione
priva
di
spiritualit.
Essa
loppio
del
popolo.
La
soppressione
della
religione
in
quanto
felicit illusoria del
popolo
il
presupposto
della
sua vera felicit.5
3)
K.
MARX,
La
questione ebraica,
Roma
1966,
p.
82.
4) lhiii,
pp.
81-82.
K.
MARX,
Per la critica della
filosofia
del diritto di
Hegel,
Editori
Riuniti, Roma
1966,
pp.
57-58.
Schopenhauer,
Feuerbaclz, Marx e Comte 409
Nelle
opere
di Marx abbondano anche i
passi
in cui
egli
denuncia le
Chiese
e loro
rappresentanti
come
alleati dei
governi,
delle classi
privile-
giate,
dei
padroni,
in cui mette a nudo le loro
colpe
e le loro
miserie, e ne
invoca la
soppressione.
Ma dalfinsieme dei suoi scritti risulta che
per
Marx i nemici dell'uomo non sono i
preti
e le Chiese, bens la
religione
in
quanto
tale.
proprio
la
religione
nella sua essenza
pi pura,
e non
nelle deviazioni dei suoi
rappresentanti,
che costituisce l'ostacolo
princi-
pale
della
promozione umana,
alla liberazione
dell'uomo,
alla
conquista
della sua maturit.
Marx ha anche buone
ragioni
metafisiche
(il
materialismo storico e
dialettico)
per negare
la
religione,
ma le
ragioni
decisive sono
di natura
sociale e
politica.
Marx vede la
religione
con
gli
occhi del
sociologo
e
del
politico:
una struttura della societ a servizio della
politica;
una strut-
tura alienante e uno strumento di
oppressione.
Non ci
pu
essere
egua-
glianza
sociale, non ci
pu
essere
parit
di
diritti, non ci
pu
essere comu-
nismo finch resiste la
religione.
Questa, infatti,
secondo
Marx,
difendelo
status
quo,
si
oppone
alla lotta di
classe,
predica
l'amore e
il
perdono,
anzich la
giustizia
e
la
rivoluzione,
procrastina
la soluzione dei
proble-
mi di
questo
mondo a un
altro mondo. Perci
per
risolvere i
problemi
sociali e
politici
e realizzareil
disegno
di una societ senza
classi occor-
re
sopprimere
la
religione;
occorre
imporre
e
praticare
l'ateismo.
Cos Marx diviene il
padre
dellateismo
socio-politico,
cio di
quella
forma di ateismo che
con Lenin diventer lo strumento
ideologico prin-
cipale per
attuare la dittatura del
proletariato"
e
per preparare
l'avven-
to delle "societ senza classi".
Si
spesso parlato
di
ingredienti
cristiani e
persino
di unanima cri-
stiana del
pensiero
marxista: alcune
categorie
fondamentali del marxi-
smo sarebbero
categorie
cristiane,
per
es. i concetti di alienazione
(pec-
cato),
di
salvezza,
di
liberazione,
il
senso
escatologico
della storia ecc. Si
detto che Marx avrebbeconservato l'idea centrale della
storia,
secondo
la concezioneebraico-cristiana, come storia della salvezza
(Heilsgesclzich
te),
e
della
interpretazione
della
storia, come dottrina della salvezza
(Heilslehre)
nel
suo senso
escatologico
di rivoluzione della storia nella
societ socialista
come
societ senza
classi.6
Ma noi siamo
perfettamente
d'accordo con C. Fabro
quando
afferma
che
il marxismo "strutturalmente ateismo e nel senso
pi
forte e
secondo tutte le dimensioni o direzioni intenzionali che si
possono
in
esso
delineare: come immanentismo, radicalmente, e
quindi
come
sensualismo e
antropologismo,
come
materialismo dialettico e stori-
co,
come
umanesimo scientifico, tecnico ed economico... o
che altro si
f) Cf. K.
LOEWITH,
Weltgesclzichte
zmd
Heilsgescheia, Stuttgart
1953,
pp.
42 s.
41D Parte terza
voglia.
Si
pu
affermare
anzi,
almeno
questa
la convinzione a cui
siamo
giunti
risalendo al fondamento o ai fondamenti
(poich
sono
pi
d'uno)
del
marxismo,
che
esso
potrebbe
modificareanche
profon-
damente le
proprie
dottrine economiche
ma non
potr
mai rinunciare
allateismo nel senso
che stato indicato,
poich
esso coincide e si
identifica (come
"formula
negativa")
con
la
nuova
concezione del-
l'uomo che Fumanesimo
positivo
e costruttivo. ll
principio
fonda-
mentale del
pensiero
moderno che fa scaturire dall'uomo e non
dal-
l'essere stesso il fondamento della verit e del valore ha avuto nell'ul-
timo secolo svariate "risoluzioni" atee:
questo
fatto se attesta da una
parte l'ambiguit
del
principio
di immanenza e
quindi
la
polivalenza
antitetica dei suoi
sviluppi
e delle sue conclusioni - di
razionalismo,
empirismo,
idealismo, materialismo,
positivismo
e
neopositivismo,
pessimismo,
titanismo,
pragmatismo,
esistenzialismo
...-
afferma
anzitutto lfiateismo come
presa
di
possesso
che l'uomo ha fatto di s
mediante il
principio
di immanenza. Lateismo
perci
non
pi
un
problema
n
per
Marx e
i
giovani hegeliani,
n
per
il
pensiero
con-
temporaneo:
un
fatto
acquisito
e sta come un
punto
di
partenza?
La tesi fondamentaledell'ateismo
sociopolitico
di Marx che la reli-
gione
una sovrastruttura della societ classista.
Ora,
questa
tesi falsa
ed stata solennemente smentita dalla
fenomenologia
della
religione
e
dalla
sociologia. Queste
hanno mostrato che la
religione
non una s0-
vrastruttura,
bens una struttura, una
dimensione fondamentale non
solo dell'essere
personale
ma
anche dell'essere sociale. I
fenomenologi
e
i
sociologi
hanno
ampiamente
dimostrato che nelle societ tradizionali
la
religione
la struttura
portante
che
permea,
feconda e sostiene tutte
le altre
strutture, e
che nelle societ
pi progredite,
allorch la
religione
diviene una struttura
specializzata,
il suo
compito
rimane
sempre
essen-
ziale,
in
quanto spetta
alla
religione garantire
un
solido fondamento ai
principi
della morale e ai valori assoluti.
Un altro
errore
dellateismo
marxista,
derivato da Feuerbach di con-
siderare il concetto di Dio come un'illusione
psicologica
e
di ricondurreil
monoteismoa un
"precipitato"
del
politeismo,
mentre in realt si tratta di
stabilireil
primo Principio
dell'essere e l'ultimo Fondamento della verit
o
della
giustizia
senza il
quale
l'uomo non
pu
essere uomo?
7) C.
FARRO,
Introduzioneallntesnzo moderno, Studium,
Roma
1969,
pp.
772-773.
F) Questa
verit stata
apertamente
riconosciuta anche dal Presidente dell'URSS,
Michail
Corbaciov,
nel discorso tenuto in
Campidoglio
il 30 novembre 1989. Ci
Vuole una rivoluzione della coscienza ha affermato il leader sovietico -
una
svolta in cui i Valori morali che la
religione
ha elaborato e
portato
in
s,
posso-
no servire e
gi
servono
alla
causa del rinnovamento,
anche nel nostro Paese.
9)
C.
FABRO,
0p.
cit.,
p.
775.
Schopcnhaaer,
Feuerbach, Marx e Comte 411
Ma a monte di tutti
gli
errori dellateismomarxista (come
del resto di
tutti
gli
ateismi)
c' un concetto errato dell'uomo, e
nel caso
specifico
di
Marx l'errore
triplice:
1)
la subordinazione dell'essere
personale
(del-
l'individuo)
all'essere sociale (la societ, con
le terribili
conseguenze
di
tale
subordinazione,
attestate dai
campi
di
concentramento,
i
gulag,
i
lager
ecc.); 2)
la subordinazione della dimensione dello
spirito
a
quella
della
materia,
dell'ironia
sapiens
all'arma)
faber,
dell'anima al
corpo
(col
tentativo di soffocare i
bisogni spirituali
dell'uomo,
bisogni insopprimi-
bili);3)
negazione
della creaturalit dell'uomo con
la
conseguente
elimi-
nazione del
Creatore, dellflssoluto,
del Totalmente
Altro,
di
Dio, e
l'af-
fermazione
prometeica
dellassolutezza dell'uomo (affermazionesmen-
tita
quotidianamente
dal fenomeno della morte).
Auguste
Comte
VITA E OPERE
Comte
nacque
a
Montpellier
il 19
gennaio
1798 da
genitori
cattolici,
ma
perdette
la fede
quand'era
ancora
molto
giovane,
Studi all'Eeole
Polytechnique
di
Parigi,
dove
pi
tardi torn come docente, e
dalla
qua-
le in
seguito
fu
espulso per
le sue
idee. Per
qualche tempo
fu condisce
polo
e
collaboratore di
Saint-Simon,
dal
quale apprese
l'interesse
per
la
sociologia
e la
storia, ma
poi, per
divergenze
di
opinioni,
si stacc da lui.
Nel 1830 incominci la
pubblicazione
del Corso di
filosofiapositiva,
un'o-
pera
in sei volumi (che
termin nel
1842),
in cui
sviluppava
una nuova
scienza della umanit.
Nel 1826-1827 era stato afflitto da una
grave
crisi nervosa
tanto che
cerc di
togliersi
la vita. Pi
tardi,
nel 1845,
ebbe una
seconda crisi ner-
vosa e nel
frattempo
si
leg
a
Clotilde De
Vaux,
che
per
la morte
gli
porto
via
dopo poco tempo,
nel 1846. Da
questo legame
trasse
l'ispira-
zione
per
una
religione
mistica umanitaria che
present
in Sistema di
p0-
litica
positiva
o trattato di
sociologia
che istituisce la
religione
dellinzanit,
pubblicato
in
quattro
volumi dal 1851 al 1854. Era la sua
seconda
grande
opera
dopo
il Corso di
filosofiapositiva.
Nel
1852,
per
meglio
far conoscere
la sua
"religione
della umanit",
pubblic
il Catechismo
positivista.
Nel
Calendario
positioista
(1856)
stabilivale
regole
e le festivit del culto della
nuova
religione,
che
ricopiava
esattamente
il
cattolicesimo,
mettendo
l'umanit al
posto
di Dio.
Questa
sua linea
misticheggiante
fu
per
rifiu-
tata dalla
maggioranza
dei suoi
discepoli,
che
erano
numerosi sia in
Francia che in altri
paesi europei.
Mor a
Parigi
nel
1857,
mentre era
intento a
comporre
la Sintesi
sog-
gettiva, un'opera
in cui si
proponeva
di offrire una sintesi
completa
di
tutto il
sapere
scientifico.
412 Parte terza
Nell'elenco delle
opere
di
Comte,
oltre a
quelle gi
menzionate
figura
anche il Piano dei lavori
scientifici
necessari
per riorganizzare
la societ
(1822).
IL SUPERAMENTO DELLA METAFISICAMEDIANTE. LA SCIENZA
Il
superamento
e
l'eliminazione della metafisica
pu
avvenire in tre
modi
principali:
dichiarandoche la metafisica
impossibile
0
che falsa
0
che
superata.
Che
impossibile
l'hanno sostenuto Hume e Kant,
dichiarandoche la
ragione
non in
grado
di
compiere
la seconda navi-
gazione;
che falsa l'hanno affermato Feuerbach
e Marx,
asserendo che
la metafisica si
aggrappa
a realt inesistenti e illusorie;
che
superata
ha
cercato di dimostrarlo
Auguste
Comte.
Comte e un discendente deltilluminismofrancese. Come tutti
gli
illu-
ministi
egli ripone
la massima fiducia nella
ragione.
Inoltre nutre una
grande
ammirazione
per
i successi della
scienza,
alla
quale
si devono tutte
le
grandi conquiste
che hanno consentito all'umanit di
progredire rapida-
mente ed enormementee
di diventare
sempre pi padrona
della natura.
I successi della
scienza,
secondo
Comte, sono dovuti al
suo metodo: il
metodo
positivo,
che ha
nell'esperienza
un criterio infallibile.
Questo
metodo non si basa
su
principi
astratti,
bens su fenomeni
concreti, reali,
controllabili,e
soltanto di tali fenomeni accerta le
leggi
universali. Ma
alla
spiegazione
scientifica della realt Fumanit
giunta
soltanto al ter-
mine di un
lungo processo
di evoluzione e maturazione. A
questo
ri-
guardo
Comte introduce la sua famosa
legge
dei tre stadi,
per
la
quale
il
progresso
della societ
umana e del
sapere
si svolto e si
svolge ogno-
ra,
anche
per
le
singole
istituzioni e scienze,
in tre fasi: stadio
teologico,
stadio metafisico
e
stadio scientifico. Soltanto il terzo stadio,
proprio
dell'epoca
della
scienza,

"positivo",
cio
rappresenta
un
progresso
realmente
acquisito
e
innegabile.
I tre stadi
sono caratterizzati dal
predominio
di
una
forma
mentis,
che
corrisponde alloggettivazione
di momenti
soggettivi
del
sapere:
il
mito,
la
ragione, l'esperienza. Ogni
progresso
umano
quindi
dovuto
passare
e
deve
sempre passare per questi
tre stadi, e condurre con l'ultimo,
nella
forma della scienza.
Comte trasse la
prima
idea di
questa triplice ripartizione
del
sapere
dalla teoria delle
epoche
storiche
progressive
elaborata nel secolo XVIII. Il
Vico
per primo
le aveva definite
come
il
corso e ricorso delle nazioni
attraverso una "et
degli
dei che ha
per legge
l'istinto
e
il
senso;
una et
degli
eroi",
la
quale
ha
per categorie
la fantasia
mitologica
e
la forza
pas-
sionale, e un'et
degli
uomini" che attua la
ragione
e il diritto. I
Principes
dme
philosophie
de l'histoire secondo il testo della Scienza Nuova Vennero
Schopenhauer,
Feuerbaclz, Marx e Comte
413
fatti
conoscere ai Francesi da
Iules
Michelet soltanto nel 1827. Tutta la sto-
riografia
francese del Settecento
per
altro,
da Voltaire a Condorcet,
impegnata
a delineare nella vita dell'umanit fasi di barbarie
e
di
civilt,
fasi di decadenza
e
di
progresso.
E il Romanticismo
inglese
e tedesco,
da
Herder
e Schiller
a
Schelling e
Hegel,

pervaso
dal
problema
della distin-
zione del
primitivo
e del
colto,
dell'uomo intuitivo e dell'uomo razionale.
Il
Saint-Simon, maestro di
Comte,
distingueva
nella storia
una successio-
ne continua di
epoche
storiche ed
epoche
critiche", cio di
epoche
di
formazione
e di
ricostruzione, e di
epoche
di revisione e di rivoluzione.
Con tutti
questi precedenti
(ultimo e
pure
vicino
quello
della triade
hege-
liana,
teorica e storica
insieme,
di
arte-religione-filosofia)
la
legge
comtia-
na
dei tre stadi ha
questo
di
nuovo: che
essa
li definisce
oggettivamente,
come momenti
progressivi
del
sapere,
in confronto dello stadio definiti-
vo, scientifico, e attribuisce loro
l'organizzazione
e la determinazione
non
solo della societ
umana,
ma delle forme storiche della scienza.
Nello stadio
teologico
il
sapere
umano
ingenuo
e
spontaneamente
credulo:
esso forma dei
miti, e determina idoli
e feticci, ricavati da
espe-
rienze
soggettive,
e
spiega quindi
i fenomeni della natura con
linguag-
gio antropomorfico.
La
superiorit
dei fenomeni naturali sulle manife-
stazioni dell'uomo d
luogo
alla
superstizione,
che
progredisce
nella
credenza in esseri
divini,
autori e arbitri di
quei
fenomeni. Il culto delle
divinit la
conseguenza
di
questa
visione del
mondo, e il sacerdozio
che lo esercita
esige
che la societ
assuma ordinamenti teocratici. Lo sta-
dio
teologico
fittivo"
(finzionistico),
perch
la forma di
conoscenza da
esso
preferita

l'immaginazione:
il
sapere

rivolto,
in
esso,
alla ricerca
di
cause ultime dei fenomeni nella natura
stessa, ma tutte le
Cause,
anche
quelle,
sono
poste nell'opera
di
agenti soprannaturali
e volontari.
La forma
teologica raggiunge
la
sua
perfezione quando questi agenti
divini
sono ridotti dalla
religione
a un unico dio.
Nello stadio metafisico
prevale
la
ragione
come
potere
di astrazione:
le
cause dei fenomeni si
cercano anche, e nei
principi
e nei
fini,
fuori
della natura sensibile,e sono
rappresentate
da enti
astratti,
da forze
con-
cepite per
astrazione ma entificate,
quasi personificate;
alle
quali
viene
attribuita, e distributivamente,
la
produzione
dei fenomeni. Il controllo
della cultura e
i
poteri
sociali direttivi
vengono
ora a
spettare
a
gerarchie
rappresentanti
tali
astrazioni, come la societ feudale
e
gli
ordini caval-
lereschi. La concezione della Natura come un sistema unico di
principi
metafisici
e l'ordinamentodella societ sotto un
potere
assoluto
rappre-
sentano la forma
pi progredita
dello stadio metafisico.
Infine, nello stadio
positivo,
lo
spirito umano,
riconoscendo
l'impos-
sibilitdi ottenere delle nozioni
assolute,
rinuncia a cercare
l'origine
e
il
destino
dell'universo, e a conoscere le cause intime dei
fenomeni,
per
dedicarsi unicamente a
scoprire,
con l'uso ben Combinatodel
ragiona-
414 Parte terza
mento e dell'osservazione,
le loro
leggi
effettive, cio le loro relazioni
invariabilidi successione e
di similtudine>>gmNon
posto pi
niente,
in
ci,
di
superiore
ai fenomeni, se non
la ricerca dei loro
rapporti
con
alcu-
ni fatti
generali,
che
potrebbero
anche ridursi a uno solo;
l'unica forma
di astrazione concessa
la misura
matematica;
la forma sociale conse-
guente
al libero
sviluppo
della scienza e al suo
impiego
come criterio di
vita
pratica
la democrazia.
Questa
visione trifasica della storia e della coscienza nelle loro
proie-
zioni
oggettive
ed
epistemologiche
fu
presentata
da Comte sotto vari
aspetti,
che determinarono anche diversi
atteggiamenti
culturali del
posi-
tivismo. Il suo
primo significato
era
puramente progressivo
e critico: la
scienza sostituisce la
metafisica, come
questa
aveva sostituito la
teologia,
nel dominio della
civilt,
ed elimina i residui del
passato
che
esse
rappre-
sentano. L'orizzontedella scienza
pura,
libera da miti e astrazioni entifi-
cati,
l'ideale del
sapere
e della vita. La stessa
esigenza
di
una
trattazio-
ne della filosofia in
generale,
oltre la sintesi del
sapere
scientifico, o
di
una filosofia dello
spirito,
oltre la
psicologia fisiologicamenteinterpreta-
ta,
un
residuo di metafisica
e
di
teologia.
La societ democratica,
gover-
nata dalla
scienza,
si afferma
analogamente
vincendo Faristocrazia e
la
teocrazia e
sostituendole definitivamente nella storia. Un
atteggiamento
acristiano,
anzi
areligioso,
e
in
processo
di
tempo
una tendenza
polemica
anticlericaleerano le
conseguenze pi
vicine di
quella prospettiva.
Il sistema dei tre stadi non era
pero
soltanto di indole
metodologica
e
culturale: era
anche
un sistema storico. Sotto
questo punto
di vista esso
riconosceva forme intermedie e
persistenti
dei tre stadi
principali:
momenti
teologico-metafisici,
come
il monoteismo classico, e
momenti
metafisico-positivi,
come
la filosofia
cartesiana; e riconosceva
gi
nel-
l'ambito della
teologia
e della metafisica dei
progressi acquisiti,
come
l'abitudine di unificare
l'esperienza
e
la
capacit
di analisi e
di critica.
Comte non riteneva, inoltre,
che il
positivismo
dovesse
passare
allatei-
smo n allanarchia
(come
fecero alcuni dei suoi
seguaci),
ma solo sosti-
tuire la fede in un creatore e
reggitore personale
del
mondo, e
la teoria
della
dipendenza
della Natura da una causa
volontaria e
intelligente,
con
l'ipotesi
di
un
disegno
costitutivo dell'universo secondo
leggi
fisse e
ordine
costante,
che
pur sempre
era da ritenere
pi probabile
di
quella
di un meccanismocieco e
fatale.
Dopo
la rivoluzionedel
1848,
il Comte venne a
considerare invece le
tre forme definite
dagli
stadi storici come forme trascendentali,
condi-
zionanti il
processo
evolutivo della societ: esse
quindi, pur
mantenen-
do
sempre
il differente valore che hanno dimostrato nella
storia,
si
ripre-
sentano anche l'una accanto all'altra
per
integrarsi.
Ci
spiega
come
il
1") Cours de
Philosophiepositiva,
t. I, lecon le; t. VI, lecons
55'357?
Schopenhauer,
Feuerbach,
Marx e Comte 415
desiderio della scienza muovesse
gi
il
sapere teologico
e metafisico ad
assumere
aspetti positivi,
ma
soprattutto
come
compaiano
ancora nello
stadio
positivo, pur
affermandosi
senza restrizionel'ideale della scienza
pura,
la
religione
come tradizione
promotrice
di buoni costumi e
la
metafisica
come filosofiastoricista ed evoluzionistica
precorritrice
della
sociologia.
Il
positivismo, per
coerenza alle sue finalit
scientifiche,
chie-
deva
per, per
ammettere la convivenza nella
pratica,
che la
teologia
e la
metafisica si accordassero
con
la scienza: anche
per reagire
alla tendenza
spontanea
(e
positiva)
del loro ritorno nelle forme
pi primitive soprav-
viventi
(feticismo) e
pi
contraddittorie
(dialettica).
Comte
quindi
fon-
d,
per accompagnare
religione
e scienza, una
"religione positivista,
consistente nella venerazionee nellimitazionedei
grandi
eroi dell'uma-
nit,
compresi
i fondatori delle
grandi religioni
e delle
grandi
dottrine, e
avente la
propria
unit metafisica nellidea del Grand
Etre",
che il
genere
umano
concepito
come un tutto continuo di esistenza
infinita, e
il
suo feticcio nella
Terra, e i suoi sacerdoti nei filosofi
positivisti:
con un
"catechismo"
per
l'istruzione del
popolo
secondo
gli
stessi concetti teo-
rici e sociali del
positivismo.
La sua formula era: l'amore
per principio,
l'ordine
per
base, e il
progresso per
fine.
Questa
religione
senza teolo-
gia"
doveva dare
origine
a una
fede in verit dimostrate,
anzich soltan-
to dimostrabili.
Finalmente,
nella formula conclusiva della sintesi
soggettiva",
ma
da molti ritenuta frutto di
decadenza, Comte
pens
a un sistema di
equilibrio
delle tre funzioni,
teologica,
metafisica
e scientifica,
del
sapere
umano,
ridotte alle loro
espressioni pi perfette
e
pi reciprocamente
conciliabili
(coscienza
della
personalit umana, ontologia, metodologia
sperimentale). Questo
equilibrio
avrebbe dovuto
integrare
il
progresso
delia storia in
una
forma di
perfezione
finale, non
pi progressiva,
ma
anche
non
pi regressiva.
Senonch, come si vede da
queste conseguen-
ze, l'esigenza
trascendentale dei tre stadi rimane identificata essa stessa
con uno stato di fatto.
La concezione della scienza rimane costante in tutto il
pensiero
del
Comte. Essa
svolge
in atto il tema fondamentaledella filosofia
positiva,
lo studio dei fenomeni nella loro
dipendenza
da
leggi
naturali invariabi-
li,
da determinarsi
con
precisione
e
da ridurre al minimo numero
(princi-
pio
delle
leggi)
a esclusione di
ogni
ricerca metafisica e
teologica
di cause
prime
o
finali. La vera scienza consiste nelle relazioni esatte stabilitetra
i fatti
osservati,
affine di
dedurre,
dal minor numero
possibile
di feno-
meni
fondamentali,
la
pi
estesa derivazione di fenomeni secondari.11
La scienza
adempie
in
questa
funzione a un
doppio compito: quello sog-
gettivo,
di trovare nelle
leggi
della natura le stesse
leggi
dello
spirito
11) Ibid, t.
III, lec.
359 (1935).
416 Parte terza
umano,
eliminando
ogni
differenza di metodo tra le conoscenze
psicolo-
giche
e
la filosofia
naturale, e
di riordinare tutti i
programmi
e
i metodi
della cultura e dell'educazione in
rapporto
alla natura dell'uomo e al-
l'ordinamento del
sapere
scientifico;
quello oggettivo,
di
promuovere
il
progresso
delle scienze
particolari,
in
senso
sperimentale,
e di
esigere
il
riordinamento e
la riforma della societ in relazione allo
sviluppo
dello
stesso
sapere
scientifico, in
quanto
esso
ha
un
potere
di
organizzazione
e
riorganizzazione
della vita
umana.
La direttiva
principale
della scienza
sempre
quella
dello
"spirito
positivo",
che ha
ispirato
la formazione e
l'affermazione della scienza
moderna. Esso si riconosce nell'avere
superato
la
critica,
che
propria
dello
spirito
metafisico
e
alla
quale spetta
l'avere disciolto l'ordine delle
idee
teologiche;
e nell'avere subordinato
l'immaginazione
all'osserva-
zione dei fatti e
all'induzionedi
leggi
invariabili,
accettandol'ordine dei
fenomeni
come
oggetto
del
sapere
e
dell'azione. Lo
sviluppo
dello
spiri-
to
positivo
relativo
all'organismo
umano e alla sua
organizzazione
pratica,
che
ne
devono sostenere lo sforzo
fisico, mentale, economico; e
quindi
e relativo anche all'evoluzionesociale
e
alla forma di civilt in
cui fiorisce la scienza. Non deve
superare questa
relativit col cercare
dei risultati assoluti, ma
regolarla
con
la formazione di
una "armonia
mentale",
che costituisce la vera
soggettivit
e
la vera sintesi della scien-
za dal
punto
di vista teoretico e
dal
punto
di vista
pratico.
Nella
teoria,
l'armonia mentale
produce l'equilibrio
delle nozioni scientifiche consi-
derandole,
in termini
simmetrici,
nel loro
aspetto
statico e dinamico, e
nella loro evoluzione storica e nella sistematica dottrinaria
(dogmatica).
E
genera
un ordine intrinseco delle
leggi
naturali da noi conosciute,
determinandone la continuit e riducendole a
leggi
e concezioni
pi
generali
e
"omogenee",
cio riferite
a
dati
e
principi
costanti.
Questor-
dine dell'armonia mentale destinato a
superare
l'unit intellettuale co-
struita in
passato
dalla
teologia
e
dalla
metafisica,
anche nel loro
mag-
giore
sforzo
sistematico,
sulla base del
positivismo,
con
l'organismo
lo-
gico
della solidariet che
sorge
fra le
singole
scienze e
in favore delle
ricerche
speculative.
L'armonia mentale ha la
sua unit nelfidentit fra
la
logica
in atto e la scienza
consapevole
dei suoi interessi universali,
identit che
produce
in Comte una
idealizzazionecontinua del
sapere
fattualenella
sua
forma scientifica.
L'esigenza
della "realt" della conoscenza
scientifica
(che
nella
pro-
spettiva
relativistica del
positivismo prende
il
posto
del
problema
della
verit")
limita tuttavia il
potere soggettivo
dell'armonia mentale. L'in-
telligenza
umana
tende
a concatenare i fenomeni in
rapporto
a forme
invarianti,e a classificarli secondo
tipi
di esistenza ritenuti
indipendenti
dal
soggetto.
L'analisi delle conoscenze scientifiche, e
del mondo feno-
menico da
esse conosciuto,
dimostra
per
che la validit di
quelle
nella
Schnpenhaucr,
Feuerbach,
Marx e Comte 417
loro coerenza
all'ordine e
al sistema della
scienza, e
che
l'oggettivit
di
questo

plurilaterale
e
irriducibilealla unit assoluta di una sola
legge
positiva.
Noi
applichiamo
una
ben debole
intelligenza
a un
universo
assai
complicatomu
Tuttavia
questa
necessaria limitazione della scienza
non
le
impedisce
n di
costituire,
mirando a
convergenze
e
omogeneit
determinate, una certa unit filosoficadelle "scienze"
analoga
e sostitu-
tiva di
quella
a cui tendevano la
teologia
e
la
metafisica;
n di stabilire
una
Corrispondenza
armonica tra le
leggi
formali
(matematiche)
del
pensiero
e le
leggi
fisiche dei
fenomeni, e tra le
leggi soggettivamente
considerate
(secondo
la distinzione
kantiana) e
i fenomeni come
oggetti
di
esperienza.
La verit scientifica in
questa
armonia sub-obbiettiva
del
sapere,
e il suo massimo
grado
nella
"previsione"
dei fenomeni,
neltesattezza
dell'anticipazione
della scienza sui
propri
dati.
Dal
punto
di vista
pratico,
l'armonia mentale
regola
lo
sviluppo
della
vita attiva in conformit al
suo
ordine naturale.
Questo
deve essere
conosciuto a
fondo
per potervi appoggiare
o
adattare la nostra condotta,
o
anche modificarloa suo
vantaggio.
Ci richiede armonia fra la scienza
e l'arte,
fra conoscenze
teoriche
e Conoscenze pratiche,
tra le
previsioni
che noi
possiamo
fare
e
le azioni che noi
possiamo svolgere
verso
la
natura. L'arte
questo grande principio
umano
di
applicazione
e
modi-
ficazionedel risultato della scienza secondo le
esigenze
dell'umanit: le
sue
pi
alte
manifestazioni,
per
Comte e
poi per
tutti i
positivisti,
non
sono tuttavia soltanto di ordine
tecnico, ma
di ordine morale e
politico
(per esempio
nell'educazione
e nell'economia).
Si
potr raggiungere
cos
una
piena
armonia tra la vita
speculativa
e la vita
attiva,
armonia che
il
pi
felice
privilegio
dello
spirito positivo.
Considerata invece nella sua armonia
interiore,
la scienza
presenta
sei
grandi categorie
del
sapere,
alle
quali corrispondono
altrettante cate-
gorie
di conoscibilitscientifica dei fenomeni. Esse sono: la
matematica,
conoscenza
delle relazioni
quantitative;
l'astronomia, conoscenza dei
fenomeni
celesti;
la
meccanica, conoscenza dei movimenti dei
corpi;
la
fisica, conoscenza
dei fenomeni
terrestri,
inorganici
e
organici;
la
psico-
logia,
conoscenza
dei fenomeni
coscienti;
la
sociologia
o "fisica
sociale",
conoscenza
dei fenomeni della vita associata. Le
prime cinque, dopo
la
lunga stagnazione
d.ello stadio
teologico
e metafisico,
secondo
Comte,
sono
gi pervenute
allo stadio
positivo.
Soltanto la
sociologia
non
ancora stata elaborata: ecco
la
grande
lacuna che si tratta di colmare
per
costituire la vera
filosofia
positiva.
Essa deve costituirsi nella forma
di scienza
rigorosa;
nelle attese di
Comte,
la
sociologia
unifica
e
rigenera
l'umanit a
patto
che diventi un
corpo
dottrinale
imponente
come
il
W) Discours sur
[Esprit positif,
19 Partie, g
IV.
418 [Jarte terza
dogma
cattolico
nell'epoca teologica.
Tale l'obiettivoche
egli
cerca di
conseguire
mediante uno "studio sistematico
dell'umanit", uno studio
che lo
porta
alle
seguenti
conclusioni:
1)
l'umanit "il
grande
essere"
in
quanto
insieme
degli
esseri
passati,
futuri e
presenti
che
concorrono
liberamente
a formare l'ordine
universale"; 2)
l'umanit
e,
pertanto,
anche il valore
supremo:
al di
sopra
dell'umanit non esistono altri Valo-
ri,
n
metafisici,
n
religiosi;
3)
l'umanit
, quindi,
l'unico dio che sia
meritevoledel nostro culto e della nostra adorazione; 4) ci non
significa
che la
religione
deve
scomparire,
ma
soltanto che deve cambiare
ogget-
to: nello stadio
positivo,
scomparso
il Dio
trascendente,
la
religione
indi-
rizzai suoi riti al dio
immanente,
lUmanit.
Nella
prima parte
della
sua carriera,
Comte aveva lavorato
soprattut-
to come filosofo. Poi il
nuovo Aristotele si era mutato in
un nuovo
S.
Paolo,
per
condurre a termine l'edificio. Ecco come
egli
stesso si
esprime
nel Sistema di
politica positiva:
Ho sistematicamentevotata la rnia vita a
trarre dalla scienza reale le basi necessarie della sana filosofia,
secondo
la
quale
io dovevo in
seguito
costruire la
vera
religione. Egli
fu,
dice
ancora,
colui che il Grande Essere incaricodi istituire la
Vera
religione.
Dopo
di
essere nata come una
semplice
filosofia,
destinata solo a
stabi-
lire un'armonia reale
e
durevole tra tutte le nostre sane concezioni
logi-
che
e scientifiche,
la
religione
dell'Umanit" si
svelata, e una volta
che
essa ebbe
pienamente
assicurato allo
spirito
le normali soddisfazio-
ni richieste dalla insurrezione moderna
essa
l'ha liberamente ricon-
dotto sotto il
giusto
dominio del
cuore. Cos, finalmente,
l'immenso
sforzo di tutte le
generazioni
trova in Comte il
suo coronamento.
Egli
riesce ad
assorbire,
per
realizzarli
epurandoli,
tutti i
programmi
che
l'Umanit si
proposti.
Pertanto la
religione
non viene eliminata da
Comte ma con
lui
raggiunge
il suo
effettivo
inveramento,
mediante la
scoperta
di
quello
che l'unico
oggetto
meritevole di culto e di adora-
zione,
l'Umanit. Contrariamente a
quello
che hanno
potuto pensare
osservatori
superficiali,
l'uomo,
nel corso della
storia,
divenuto "sem-
pre pi religioso": questo
il riassunto
generale
della evoluzione
umana,
questa
anzi "l'unica
legge. Dopo
il
periodo
delle lontane
pre-
parazioni,
l'Occidente,
da venti
secoli, cercava a tentoni la
religione
universale,
impotente
a rinunciare a
questa religione,
come a stabilirla:
ecco
che l'ha finalmentetrovata.
Comte
a
questo proposito
-
come
abbiamo
gi
notato -
non si accon-
tenta di
qualche
vaga
indicazione, ma delinea con doviziedi
particolari
il culto
positivistico
dell'umanit. Stabilisce
un calendario
positivista
in
cui i
mesi,
le settimane e i
giorni
sono
dedicati alle
maggiori figure
della
religione,
della
filosofia, dell'arte,
della
politica,
della scienza
e della let-
teratura.
Propone persino
un nuovo
"segno"
in sostituzione del
segno
della Croce dei cristiani:
Dogmi
e
pratiche;
cerimonie e sentimenti inti-
Schopenhauer,
Feucrbach, Marx
e Comte
419
mi: il fondatore tutto ha minuziosamente
previsto
e
regolato. Questo
nuovo S. Paolo fu anche
un nuovo Mos.13
Costruito sullo
scientismo,
l'imponente
sistema
filosofico-religioso
di
Auguste
Comte riscosse vasti consensi
e trionfo durante la seconda met
dell'Ottocento. Non solo in
Francia, ma
anche in vari Paesi
dell'Europa
e
dell'America
Latina,
oltre che scuole
positiviste,
sorsero anche Chiese che
praticavano
il culto dell'Umanit secondo il credo comtiano.
Soprattutto
la Massoneria riconobbein Comte il
Suo novello Mos.
Ma
gi
nei
primi
decenni del
Novecento,
l'ambiziosoedificiocostruito
da Comte
palesi)
tutta la sua
fragilit
e inconsistenza
quando Boutroux,
Iames,
Bergson,
Husserl ecc. mostrarono i limiti
e la fallibilitdella scien-
za. Essi
provarono
con
argomenti
irrecusabili che tutte le
premesse epi-
stemologiche
del
positivismo
erano false. Infatti
non si d un'unica
forma di
sapere, quello
scientifico,
n
un unico
tipo
di
scienza,
quella
sperimentale,
n un'unica
specie
di
metodo,
quello positivo,
come affer-
mava Comte, ma i
saperi
sono
molteplici,
come
pure
le scienze e
i meto-
di.
Sapere,
scienza e
metodo
non sono termini univoci ma
analoghi,
e
variano
proporzionalmente
in conformit
con la natura
degli oggetti
a
cui si
applicano.
L'errore
gravissimo
in cui sono Caduti Comte
e
i suoi
seguaci
di
avere
esagerato
la
portata
del metodo scientifico
e
di
avere
preteso
di
applicarlo
non solo al mondo della
quantit
e
della
materia,
ma
anche
a
quello
della
qualit
e dello
spirito.
Pi tardi
gli epistemologi
(Bachelard, Kuhm,
Popper
ecc.) mostreranno che
non solo la scienza
(in
tutte le
sue forme ed
espressioni)
non onnisciente e
onnipotente,
e non
pu pertanto pretendere
di risolvere tutti i
problemi
che assillano la
mente
umana, ma
la scienza
incapace
di
garantirsi
le sue stesse basi
e
conserva
sempre
un carattere
ipotetico:
la scienza
sempre
falsificabile.
Per
quanto
attiene la metafisica vero
che
per
molti secoli essa
ha
svolto un ruolo di
supplenza rispetto
alla
scienza, quando questa
non
disponeva
ancora
di
un
proprio
metodo
e
di strumenti di ricerca e di
controllo
adeguati.
Ma, con l'avvento della scienza
questa
funzione di
supplenza
della metafisica cessata. Su
questo punto
Comte aveva
per-
fettamente
ragione.
I1
suo errore di
avere
fatto
assumere alla scienza
funzioni che
non le
competono
e
che
sono
proprie
esclusivamente della
metafisica, come la
giustificazione
e
la fondazione dei
principi primi
su
cui si
regge
la scienza
e, inoltre,
la conoscenza dellIntero e non soltanto
di settori
particolari
della realt. Solo la metafisica fondativa di tutto il
sapere
e soltanto la metafisica
pu aspirare
a fornire
una conoscenza
globale
ed esaustiva della realt: soltanto
essa scienza del
Principio
Primo ed scienza de1l'Intero. Nessuna scienza
possiede
i remi e le vele
per
effettuare la seconda
navigazione.
Di
questi
mezzi in
possesso
soltanto la metafisica.
13)
H. DI?
LUBAC, ljumanesiflro
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1949,
p.
225.
420 Parte terza
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ANTONIOROSMINI:
UNA NUOVAMETAFISICA
DELUESSERE
Nel secolo
XIX,
che
un
secolo decisamente
antimetafisico,
la
"regina
di
ogni sapere"
trova ancora
qualche
valido
difensore,
specialmente
nel
mondo
cattolico, ma si tratta
quasi sempre
di avvocati della vecchia
metafisica
scolastica,
cos
come era stata riciclata da Suarez. Da
questo
quadro piuttosto opaco emerge
la
figura prestigiosa
di Antonio Rosmi-
ni, un
pensatore
cattolico che
possedeva
le
qualit
dellautenticometafi-
sico. L'obiettivo
principale
di tutto il
suo lavoro filosoficofu
quello
di
costruire
una nuova metafisica,
che fosse in
grado
di affrontare
e di ri-
spondere
a tutte le sfide del
pensiero
moderno,
sia a
quelle
di Cartesio e
di
Spinoza,
sia a
quelle
di
Hume,
di Kant
e
di
Hegel.
Rosmini l'unico
grande
metafisico dell'Ottocento
e merita
pertanto
un'adeguata
trattazione.
quanto
cercheremo di fare nel
presente capi-
tolo.
Vita
Antonio Rosmini
nacque
a Rovereto il 24
marzo 1797 da
una
famiglia
patrizia. Compie gli
studi
elementari,
medi
e
ginnasiali
nella citt
natale,
manifestando fin da
giovanissimo un'intelligenza
di
tipo enciclopedico,
che
progressivamente
si affina e matura,
nel
corso
degli
anni,
passando
dal
taglio
ancora
prevalentemente
classificatorio
(risale a
questo periodo
limpegnativoprogetto
di
pubblicare
un'edizioneriveduta
e corretta del
Vocabolario della
Crusca)
dei
progetti giovanili,
a una concezione
organi-
co-sistematica del
sapere,
teorizzata
compiutamente
nel
periodo
della
maturit.
Nel
1816,
terminati
gli
studi
liceali,
lascia Rovereto
per
entrare nell'u-
niversit di
Padova, dove,
nel
1822,
si laurea in
teologia
e diritto canoni-
co. A Padova
l'insegnamento
della
teologia dogmatica
era tenuto dal
domenicano Tommasoni "uomo dottissimo e di
piet singolare",
orien-
tato
tomisticamente, che,
pero,
nel suo
insegnamento
si era
adeguato
al
nuovo sistema di studi
imposto
dall'Austria, in cui si dava
larga
preva-
lenza alla storia
ecclesiastica, con
particolare riguardo
alla
patrologia
e
alla storia letteraria
teologica,
alla
lingua
ebraica
e
all'archeologia
ebrai-
ca,
alla
esegesi
biblica
e al diritto canonico
pubblico
e
privato.
La teolo-
424 Parte terza
gia dogmatica
risultava cos istituzionalmente declassata, ma veniva
anche offerta la
possibilit
di una
maggiore giustificazione
documenta-
ria
per
quella
corrente di
teologia apologetica
e
polemica,
di difesa e
illu-
strazionc del
dogma,
che il
Tommasoni,
perfettamente
in linea con
l'in-
dirizzo della scolastica
post-tridentina
e controriformatoria,
andava ela-
borando.
Conseguita
la laurea in
teologia,
il Rosmini continu a
vedere
nella cultura il
bisogno
e l'orizzontedella fede in un'atmosfera di decisa
e
profonda
ascesi (G.
Di
Napoli).
Il
giovane
Rosmini era
gi persona
assai
pia
e
profondamente
creden-
te. Nel suo Diario
personale,
nel 1813 annotava:
Quesfanno
fu
per
me
un anno
di
grazia:
Iddio
maperse gli
occhi su
molte cose e conobbi che
non eravi altra Vera
sapienza
Che in Dio. E credente
profondo
e
ascetico
Rosmini rest durante tutta la
sua vita. Dedito alla costante
purificazio-
ne
di
s,
desideroso di vivere nella
santit, era tutto
proteso
alla "salvez-
za
dell'anima. Le sue Massime di
perfezione
cristiana
rappresentavano
il
paradigma
sintetico e denso di
una
vita assorbita da
un teocentrismo
radicale,
fondata su
eminenti
principi
di umilt
(principio
di
passivit),
nellabbandono incondizionatoa Dio,
nel
quale
soltanto la
sapienza
vera
da amare e
da ricercare. La vita di Rosmini fu una
esperienza teologi-
ca: il "Rosmini asceta e mistico" di cui
parla
C. Rebora (Rosmini
asceta e
ntistico,
Vicenza 1980).
Nel 1827 venne
ordinato sacerdote. Trasferitosi a Milano
(dove
strin-
se
profonda
e
duratura amicizia col Manzoni) e successivamente a
Do-
modossola,
vi fond una
congregazionereligiosa
(l'Istituto
della Carit),
i cui
adepti, dopo
la
sua morte,
avrebberoassunto
il
nome
di rosmiiziani.
Nel 1848 Carlo Alberto lo mand in missione
diplomatica
a Roma
per
indurre Pio IX a
partecipare
alla
guerra
contro l'Austria. Per varie com-
plicazioni
la missione falli e
quel
che
peggio,
due
opere
in cui Rosmini
propugnava
il rinnovamento della
Chiesa,
la Costituzione e Le
cinque pia-
ghe,
furono messe all'Indice, perch
ritenute
inopportune.
In
conseguen-
za di
ci, Rosmini,
caduto in
disgrazia
sia
presso
il
Papa
sia
presso
il
Re,
si ritir a Stresa, dove,
abbandonatala
politica,
si dedic esclusivamente
alla filosofiae alla
teologia.
Ivi mor il 1
luglio
1855.
Uostilit nei confronti del Rosmini non
si
plac neppure dopo
la sua
morte. Mentre un esame delle sue
opere
si era
concluso nel 1854 senza
nessuna
condannaecclesiastica,
nel 1880 il decreto Post obitum condann
40
proposizioni
estratte da
opere,
specialmente postume,
del Rosmini.
Propriamcnte
il decreto condanna
quaranta proposizioni
tratte non solo
dalle
opere
pubblicate postume,
ma
anche da
quelle gi
esaminate e
dimesse,
ponendo
il
problema
storicamente rilevante,
della eventuale
contraddizioneo della
auspicabile
conciliazionecon
il Dimittantitr di 30
anni
prima.
Le condanna
semplicemente,
senza
apporre
alcuna nota teo-
logica,
stimolandola necessit di
capire
il
senso e
la
portata
dottrinaledi
Antonio Rosmini: una nuova
nzetafisica
dell'essere 425
questo
fatto.
Infine,
le condanna in
proprio
auctoris
sensu,
immunizzan-
dosi da un suo
eventuale svuotamento
per
l'obiezionedi chi non vor-
rebbe rilevaree
vedere nelle
proposizioni
condannate il senso
autentico
di Rosmini, ma
solo
un senso
travisato.
La
ragione
ultima della condanna non va ricercata tanto nella
presen-
za
nel
pensiero
di Rosmini di
qualche
eresia
particolare
e
specifica,
quanto
in
quella
di una
linea innovatricedi
pensiero
che,
in
un'epoca
di
profonda
unit e
uniformit del
pensiero
cattolico, era
ritenuta inam-
missibile. L'idea che nell'ambitodel cattolicesimo fosse
possibile
un
pluralismo
filosofico
(e
teologico)
non era accettata dai neotomisti (allo-
ra assai influenti):
di
qui
la loro
aggressivit
verso
il
pensiero
rosminia-
no,
che
non era
solo discusso razionalmente, ma accusato di eterodos-
sia
(S.
Vanni
Rovighi).
Opere
Rosmini fu scrittore fecondissimo. Le sue
opere
si
possono
ripartire
in tre sezioni: filosofiche,
teologiche
e
ascetiche. Molti scritti uscirono
postumi.
Ecco l'elenco delle
opere
principali.
A)
SCRITTI FILOSOFICI
Nuovo
saggio sull'origine
delle idee (1830);
Principi
della scienza morale
(1831);
Storia
comparata
e
critica dei sistemi intorno al
principio
della morale
(1838);
Trattato della coscienza morale
(1839); Filosofia
del diritto
(1845);
Psicologia
(1850);
Teosofia (post.): quest'ultima

l'espressione pi
com-
piuta
del sistema metafisico di Rosmini
(comprende
ben otto volumi):
iniziatanel 1846 rimasta
incompiuta.
B)
SCRITTI TEOLOGICI
Il
linguaggio teologico; Antropologia soprannaturale;
Introduzione al Van-
gelo
secondo Giovanni (tutti e tre
pubblicati postumi);
Della divina
prowi-
denza nel
governo
dei beni
temporali
(1826);
Teodicea
(1845).
C)
SCRITTI ASCETIC1
Ascetica (1840);
Massime di
perfezione
cristiana adattate ad
ogni
condizione
di
persone
(1830);
Delle
cinque piaghe
della Santa Chiesa
(1848).
Per
completare
il
quadro degli
scritti di Rosmini va
infine ricordato il
suo
vastissimo
epistolario
che
occupa
ben 13 volumi:
Epistolario completo
(1887-1894).
426 Parte terza
Gli obiettividi Rosmini
L'obiettivo
primario
di tutto il lavoro intellettuale del Rosmini teso
al rinnovamento
profondo
della
filosofia,
della
teologia e,
in
generale,
della cultura cattolica che,
dopo
la rivoluzione
francese, stava attraver-
sando
una crisi
seria,
profonda
e allarmante,
sopraffatta
e talvolta ade-
scata dal razionalismoe dallfilluminismo.Per
conseguire questo
obietti-
vo Rosmini
riprende
e fa
sua l'idea che
era
gi
stata di
Agostino
e di
Tommaso,
di
presentare
una
enciclopedia
cristiana di tutto il
sapere,
e
di
conti-apporta
alla
enciclopedia
laica
degli
illuministi
francesi, tentan-
do allo stesso
tempo
un difficilissimo
dialogo
con il
pensiero post-carte-
siano,
intrinsecamente immanentistico.
Limmanentismomoderno desumeva il
principio
unificatoredi tutto il
sapere
dalla
soggettivit,
che
poteva
essere lIo trascendentale di
Fichte,
lo
Spirito
di
I-legel,
la Volont di
Schopenhauer,
la Classe di Marx... Ma la
soggettivit

(di
per
s)
incapace
di sostenere l'onere di
una unificazione
del
sapere, perch
la
soggettivit
rimanda di
per
s
all'oggetto
che la
regola
e la rende
possibile.
A
questo oggetto
- inteso naturalmente nella
sua accezione
pi ampia
e universale,
cio
come dimensione metafisica -
fa ricorso
dunque
Rosmini
per
ricreare le condizioni filosofichedi un'en-
ciclopedia
che
garantisca
e non
comprometta
la
coerenza del
pensare;
e
ci
spiega
il ruolo fondamentale che viene ad
assumere nel sistema
rosminiano la nozione di "essere
ideale",
che si
ricollega esplicitamente
alla nozione tommasianadi "esse
conmiune rerum?
Nel secolo XIX
nessun altro studioso avvert l'istanza di
un rinnova-
mento sostanziale della cultura cattolica come Rosmini.
Egli prende
sul
serio il movimento ideale
europeo
noto sotto il
nome
di secolo dei
Lumi. Tale cultura illuminatasi vantava di
avere
posto
fine al mito cri-
stiano e
di
avere accantonatouna tradizioneconsiderata morta
per
sem-
pre.
Rosmini si sforza di
interrogare
codesta
filosofia, di
penetrarne
le
profonde esigenze,
di studiarne la
problematica
per proporre
una nuova
formulazione filosofica
capace
di
presentare
la verit del
passato
come
risposta contemporanea.
Rosmini
cap l'urgenza
di
un
profondo
rinno-
vamento del
pensiero
cattolico nell'ambitofilosoficoe
teologico,
e
pro-
getto
una
specie
di
enciclopedia
di
ispirazione
cristiana
per rispondere
quella
di Diderot e dAlembert
e
degli
altri illuministifrancesi.
Sostanzialmente sono
questi gli
obiettivi
prefissati
da Rosmini stesso
nella
sua Introduzione alla
filosofia,
dove enuncia
quattro scopi
dei
propri
studi: 1. combattere
gli
errori;
2. ridurre la verit a sistema;
3. elaborare
una
filosofiache
possa
essere solida base della
scienza;
4. e di cui
possa
1) Si veda in merito il
saggio
di R. BESSERI
BELTI,
Rosmini e lo studio di S. Tommaso
nel! Ottocento, in Culturae Libri"
1984,
pp.
101-108.
Antonio Rosmini: una nuova
metafisica
dell'essere
427
valersi la
teologia. Egli
bramava, come scrive nel
Linguaggio teologico,
rispondere
alla
pressante
e ininterrotta domanda della Chiesa di una
sana filosofia che servisse sia allo
scopo
di ribattere le obiezioni dei
miscredenti, sia altres
per
l'altro
non meno
importante
di
ordinare, e di
penetrare nellintelligenza
della verit rivelata!
Cos,
l'impegno
costante di Rosmini in
filosofia,
teologia, pastorale,
liturgia,
fu
quello
di
"ammodernare", nei limiti del
possibile,
la
grande
tradizione
cattolica,
tenendo conto delle
nuove istanze
culturali, sociali e
politiche
che
erano emerse nel mondo
contemporaneodopo l'esperienza
del
razionalismo, dell'illuminismo,
del criticismo e
della rivoluzione
francese. Alcune soluzioni
prospettate
dal Rosmini sul terreno
liturgico
e
pastorale
non
furono
comprese
in
quanto premature;
altre di ordine
speculativo
furono avversate in
quanto
intrinsecamente
discutibili; tut-
tavia la
sua
opera,
nell'insieme,
costituisce uno dei tentativi
pi
lucidi
e
coraggiosi
di
realizzare, con il rinnovamentodella filosofiae della teolo-
gia,
un incontro tra cristianesimoe mondo moderno.
In
campo
filosoficol'obiettivo
principale
di Rosmini rilanciarela
metafisica, le cui basi
erano state scosse
dall'empirismo
humiano
e
dal
criticismo
kantiano,
proponendo
una nuova dottrina della
conoscenza,
la
quale
ha
come
oggetto primario,
anzi
unico,
l'essere. Contro Hume
e
Kant che
avevano affermato che l'essere inconoscibile
e che,
di
conse-
guenza, ogni
tentativo di ricerca intorno all'essere in
quanto
tale
vano,
Rosmini riafferma la classica tesi di
Aristotele, Avicenna, Tommaso,
Scoto secondo cui il
primo oggetto
della mente l'essere.
Pertanto la metafisica di Rosmini essenzialmente una metafisica
dell'essere,
la
quale
tuttavia si
distingue
dalle
grandi
metafisiche dell'es-
sere di Aristotele
e Tommaso
non tanto nei contenuti
quanto
nel meto-
do: diversamente da Aristotele
e Tommaso i
quali
utilizzavanoil meto-
do
induttivo-risolutivo, Rosmini ricorre al metodo sintetico
(sintesismo
il
nome
che Rosmini d al
suo sistema). L'incontro con la realt
opera
dell'intelletto
come in Aristotele
e Tommaso;
senonch dal Rosmini tale
incontro non
concepito
come
un'indagine
e una
resolutio del reale
l'ente
finito,
contingente, partecipato
da
parte
dell'intelletto;
bens
come una sintesi tra l'essere ideale e l'essere reale. Di
qui l'importanza
capitale
che ha il
capitolo
della
gnoseologia (ideologia)
nel sistema rosmi-
l)
Nel Sistema
filosofico
il
programma
rosminjanodi rinnovamentodella filosofiasi
precisa
ulteriormente suddividendo le scienze filosofiche in tre
grandi
classi:
1)
le scienze di intuizione -
ideologia
e
logica
- che trattano del mezzo del
cono-
scere,
cio l'essere
ideale; 2) le scienze della
percezione
-
psicologia
e
cosmologia
-
che trattano della realt
esterna,
ossia dell'essere
reale; 3) le scienze del
ragiona-
mento,
che si suddividono in
ontologichc (trattano
degli
enti
come sono) e deon-
tologiche
(che si
occupano degli
enti come devono
essere).
428 Parte terza
niano. In effetti tutto
questo
sistema sta o
cade nella misura in cui sta 0
cade la sua teoria intorno all'essere ideale.
Al rinnovamento della
ideologia
fa
seguito
il rinnovamento delle
altre
parti
della metafisica:
l'antropologia
e la
teologia
naturale.
Il
prologo gnoseologico:
l'essere ideale
Noi
sappiamo
che
gi
la metafisica classica
prestava grande
attenzio-
ne
al
problema gnoseologico
e
lo affrontava come
prologo
della ricerca
metafisica,
per
metterla al
riparo
da
ogni
cattiva
sorpresa.
Di
fatto, un
saggio
marinaio
prima
di cimentarsi in una
difficilee
impegnativa
tra-
versata ha
cura
di verificare le condizioni della
propria
barca;
egli
si
accerta
che tutto sia in ordine: i
remi,
la
chiglia,
le vele ecc.
ll metafisico,
prima
di iniziare la seconda
navigazione
deve fare altrettanto: deve con-
trollare la bont della sua nave
che la
ragione
-
e
sottoporre
a severo
controllo le attrezzature di cui essa
dispone.

quanto
fecero Platone e
Aristotele nell'antichit,
Agostino
e
Tommaso nel
Medioevo,
Cartesio e
Kant
nell'epoca
moderna.
Rosmini
prima
di
prendere
il
largo
con la sua nave e
lanciarsi nell'im-
presa
della seconda
navigazione
fa lo stesso. Rosmini costruisce tutto il
suo
imponente
edificio filosoficosull'essere,
nel
quale distingue
tre
forme
o
manifestazioni
principali:
la forma
ideale,
la forma reale e
la
forma morale} Della forma ideale si
occupa
nella
ideologia (gnoseolo-
gia),
della forma reale nella metafisica e della forma morale nelletica.
Pertanto nel sistema rosminiano la
gnoseologia
molto
pi
di un
semplice prologo
alla metafisica
come
poteva
essere
in Aristotele o in
Cartesio,
perch
ci di cui si
occupa
Rosmini in
questa parte
della filoso-
fia non
tanto la bont dei
processi
conoscitivi
(la
ragione
e
i
sensi),
quanto
la
qualit
e
la natura del loro
oggetto,
che in definitiva
sempre
l'essere.
Questo
d una valenza
tmtologica
oltre che
logica
a tutta la dot-
trina rosminianadella conoscenza.
L'ideologia
del Rosmini
poggia
su tre tesi fondamentali: l)
l'intuizio-
ne dell'essere ideale; 2)
la sintesi dell'essere reale; 3)
i concetti di sostan-
za e di causa.
Vediamole
una
per
una.
[INTUIZIONEDELUESSER IDEALE
Per il
Rosmini,
quella
dell'essere la "madre di tutte le
idee"; essa
quindi
la
primogenita
di tutte le
idee,
la
prima
idea che si affaccia alla
nostra
intelligenza.
3)
Cf. Il
sistmmfllnsqfico,
nn. 178-182.
Antonio Rosmiiii: una nuova
metafisica
dell'essere 429
Che l'idea dell'essere (ente)
goda
di
un
primato rispetto
a tutte le
altre idee era tesi comunementeammessa
dalla metafisica classica e me-
dievale. Avicennaall'iniziodella
sua
Metafisica
aveva scritto che l'ente
il
primo
universale che
comprende ogni
cosa
nella sua
intellezione
universale (ens est
primum
universale
aggregaris
omnia in sua
interztione
universali). Queste
celebri affermazioni del filosofo arabo furono
riprese
e
condivise da tutti i medievali.
Rosmini ritorna a
questa
tesi
classica, ma la
ripropone
in un nuovo
contesto che
quello
di
Kant,
il
quale,
come
sappiamo, per
dare valore
assoluto alla conoscenza
intellettiva la forniva di un certo numero
di
concetti fondamentali, a
priori,
le
categorie,
alle
quali
tuttavia
assegnava
un
valore
soggettivo
e non
oggettivo.
Rosmini d'accordosulla necessit che nella conoscenza ci sia un
ele-
mento a
priori,
che
per egli
riduce alla sola idea
dell'essere; ma contro
Kant
egli
afferma l'assoluta
oggettivit
di
questo
elemento a
priori.
Nella Introduzione alla
Antropologia
in servizio della rrzorale Rosmini
riassume felicemente i suoi
"postulati"
intorno al suo concetto di
essere,
che assume dei connotati molto diversi da
quelli
delle
categorie
kantia-
ne.
Ecco le sue tesi fondamentali:
L'essere il
primo
noto; perocch
tutte le altre notizie
suppongono
sempre
dinanzi a s
quella
dell'essere
(...) perciocch qualsiasi ogget-
to del nostro
pensiero
una entit, un essere o
reale o
possibile
(m).
Se
dunque
l'essere noto
per
se stesso, non si
pu esigere
che
venga
definito, ma necessario che si conceda la notizia di esso
per
data
antecedentemente a
qualsivoglia ragionamento:

dunque equo
il
postulato
da noi
premesso.4
L'essere viene
supposto
noto da tutto il sistema dello scibileumano:
dunque egli
ha in s la
propriet
e
la natura di lame della
mente,
ossia
l'idea?
L'essere in
quanto
e lume della mente chiamasi
propriamente
essere
ideale o
semplicemente
idea. Noi lo chiamiamo oltracciidea dell'essere
o essere
possibilem
Se l'essere
per
se stesso lume,
idea:
dunque
esso costituisce l'essen-
za,
la forma del
conoscere;
e
perci egli
stesso ancora
la sede dell'e-
videnza, a cui si devono condurre come a ultimo termine tutte le
dimostrazioni delle
scienze,
acciocch siano
perfette?
Tutta l'attivit dell'uomo in
quanto
un essere
dotato di
intelligen-
za,
ha la
sua
sorgente
in
quell'atto primo,
onde lo
spirito
umano
intuisce lessere.8
t) Antropologia
in servizio della scienza
morale, n. 10.
5) lbid, n. i2.
) lbid., nota al n. 12.
7) lbid, n. 13.
) lbid, n. 508.
430 Parte terza
In
precedenza,
nei
Principi
della scienza
morale,
Rosmini
aveva
spiega-
to con tutta chiarezza che cos' l'essere ideale nel modo
seguente:
Vha nell'uomo un'idea
prima,
anteriore a tutte le
altre, con la
quale
come con
regola suprema
tutti
gli
altri
giudizi
si formano
(...).
Quesfidea con
la
quale
la mente umana forma tutti i
giudizi
l'idea
dell'ente in
generale,
idea
congenita
dello
spirito
umano e
forma
del-
l'intelligenza.
Dico
forma dell'intelligenza: perocch
dall'analisi di
tutti i
pensieri
umani risulta che tutti i
pensieri
si informano
con la
presenza
di
quella
idea;
sicch
senza
quell'idea
non
pi concepibile
alcun
pensiero,
e
per
lo
spirito privo
di essa rimane sfornito di intel-
iigenza
(...) e Veramente occorre osservare
che tutte le
cose,
tutte le
parti
delle
cose,
tutte le loro
perfezioni,
tutti i loro
pregi
non sono
finalmente altro se non altrettanti atti di
essere:
sempre
l'essere
diversamente attuato e
limitato che
piglia
diversi nomi nelle diverse
cose
perocch questa parola
essere non
significa
altro che la
prima
atti-
vit di
ogni
attivit.9
L'essere ideale va considerato in se stesso e in relazione alla
mente,
perch
la natura dell'essere ideale e tale che unendo in
se stessa,
senzalcuna
contraddizione,
due modi di
esistenza, uno in se e l'altro
relativo alla
mente, 0
per
dire
meglio,
avendo
un modo di esistenza che
abbraccia
questi
due,
rende
possibile
la Comunicazione di s a una
mente. L'essere in
rapporto
alla mente l'essere intuito e in
esso
giac-
ciono nascosti tutti i suoi
termini,
unito ai
quali presenta
al
pensiero
i
concetti
degli
enti.10 Dire che l'essere e intuito dire che
presente
al
nostro
spirito
e
lo
comprendiamo
con un "senso intellettuale sui
gene-
ris"; esso non
ha soltanto il Valore funzionaledi forma della
Conoscenza.
La
sua natura
forma oggettiva,
e
quindi
accade che abbia le due rela-
zioni,
di cui abbiamo
parlato
(forma
della
cognizione
e a un
tempo
della
potenza
del
conoscere), cio che
essa sia a un
tempo manifestante
e rrzani-
festata.
Sotto la relazione di
manifestante, dicesi
forma
della
mente,
peroc-
ch senlessa la mente non sarebbe
mente,
la facolt di
conoscere non
sarebbe conoscitiva. Sotto la relazione di
manifestata,
dicesi
forma
della
cognizione, perocch
costituisce
l'oggetto cognito,
ci che si ha di
oggetti-
vo e
per
di formalein
ogni cognizione.11
Ma come viene colta l'idea dell'essere dalla nostra mente?
Nei
passi
citati finora abbiamotrovato
pi
volte le
espressioni
intui
zione",
"intuito"; E
questa

precisamente
la tesi che Rosmini sostiene
vigorosamente
contro coloro che affermano che l'idea di
essere e frutto
deltastrazione
oppure
che l'essere colto soltanto nel
giudizio.
9)
Principi
della scienza morale
l, 2.
1)
Teosofia
I, n. 213.
u) lbid.
IV,
p.
461.
Antonio Rosmini: una nuova
metafisica
dell'essere 431
Nel Nuovo
Saggio sull'origine
delle idee Rosmini dedica un
ampio capi-
tolo alla
questione
della
"origine
dell'idea
dell'essere",
dove fa vedere
che essa non
pu
essere il risultato di
un
giudizio,
in
quanto ogni giudi-
zio la
presuppone,
e
neppure
dellastrazione. Indubbiamentelastrazio-
ne
un'operazione
con cui noi ci formiamo molte
idee, ma non
l'idea
dell'essere. Infatti se
dopo
aver
tolte via da
un ente tutte le altre
qua-
lit,
s le
proprie
che le
comuni,
togliete
via ancora
la
pi
universale di
tutte, l'essere;
allora
non
vi rimane
pi
nulla nella vostra
mente, ogni
vostro
pensiero

spento,

impossibile
che voi
pi
abbiate idea alcuna
di
quellente.12
Con Fastrazionesi
scopre
che in
ogni
idea
quella
dell'essere conte-
nuta, ma
l'idea dell'essere non un
prodotto
Clell'astrazi0ne,
bens ad
essa anteriore. Infatti l'idea dell'essere cos
necessaria,
chentra
essen-
zialmente nella formazionedi tutte le nostre idee,
sicch noi non abbia-
mo
la facolt di
pensare
se non
mediante il suo uso>>J3 Pertanto l'idea
dell'essere non un
parto
della nostra mente. Di
qui
la conclusione del
Rosmini: rimane che l'idea dell'essere sia innata nell'anima
nostra;
sic-
ch noi conosciamo colla
presenza
e colla visione dell'essere
possibile
(z
idea
dell'essere),
sebbene
non Ci badiamo che assai tardi>>fl4
L'idea dell'essere che si trova da
sempre presente
nel nostro
spirito
Viene colta intuitivamente: Lo
spirito
umano intuisce
per
natura l essere
idealesxl
Qualsiasi
ulteriore
conoscenza, qualsiasi pensiero,
secondo
Rosmini,
non altro che
una
determinazionee una
"esplicitazioie"
dell'idea,
del-
l'essere.
Lo
spirito
umano
intuisce
per
natura l'essere ideale indeterminato.
Questa non
potenza,
ma atto: e un atto essenziale allo
spirito,

l'intelletto in
quanto
entra a costituire un elemento della umana natu-
ra. Ma se l'essere ideale,
presente
naturalmente allo
spirito umano,
acquista qualche rapporto
col mondo reale mediante le
sensazioni;
allora l'intelletto intuisce l'essere ideale fornito di
qualche
determina-
zione, e a
questo
nuovo atto intellettivo
egli
in
potenza.
Questa

quella
che si chiama la
potenza
dell'intelletto>>.6
12)
Nuovo
saggio,
II, n. 412.
H) Ibid, n. 468.
i4) Ibid.
15)
Antropologia
in servizio della scienza iriorale, n. 51D.
15) Ibid.
432 Parte terza
LA SINTESI PRIMTIVA (DELIKESSERE CON LA REALTDEL GIUDIZIO)
Secondo
Rosmini,
dall'intuizionenativa dell'essere
procedono
tutte le
altre conoscenze mediante un
processo
di sintesi. La "sintesi
primitiva"

quella
che l'intelletto realizza mediante
l'applicazione
della idea del-
l'essere ai dati della sensazione. Tale
applicazione
ha
luogo
nel
giudizio.
Su
questo punto
Rosmini si riavvicinaa Kant,
il
quale,
come
sappia-
mo, concepiva
tutti i
giudizi
come sintesi, e i
giudizi
sintetici a
posteriori,
come sintesi tra le
categorie
dell'intelletto
e i dati dei sensi. Da
parte
sua
Rosmini afferma che l'idea dell'ente in
generale
l'idea
con
la
quale
la
mente forma tutti i
giudizi;
mentre la sintesi
primitiva
ha
luogo quan-
do Pessere
ideale,
presente
naturalmente allo
spirito umano, acquista
qualche rapporto
col mondo mediante le sensazioni.l7
Sulla scia di
Kant,
Rosmini caratterizza l'elemento fornito dell'intel-
letto come
forma
e
quello
fornito dalla sensazione come materia. La sinte-
si dell'una e dell'altra la
percezione
inteilettiva
o
giudizio primitivo,
medianteil
quale
lo
spirito
afferma esistente
qualche
cosa
percepita
dai
sensi. La sintesi di materia e
forma la
conoscenza
effettiva
e
oggettiva
delle
cose;
infatti la
percezione
intellettiva, come
"percezione" coglie
sensibilmentel'ente che fuori
e,
come "intellettiva",
quale
determina-
zione dell'essere
ideale, come idea dell'ente
particolare. Percepire
un
ente intellettualmente
significa pronunciare
un
giudizio
esistenziale,
que
sta cosa ".
Secondo Rosmini la
conoscenza delle cose avvienenel modo
seguen-
te. Noi abbiamo anzitutto un "sentimento fondamentale"
Con cui noi
percepiamo
immediatamenteil nostro
corpo
Come una cosa con noi"; e
poi,
attraverso il
corpo,
riceviamo
l'impressione
delle
cose
distinte da
noi.
Quando
applichiamo
l'idea dell'essere al sentimento fondamentale
otteniamo l'idea di noi
stessi, Tautocoscienza;
quando applichiamo
l'idea
dell'essere
allmpressione
delle cose distinte da
noi,
acquistiamo
l'etero-
coscienza.
LA RAGIONE
Il
giudizio
non
genera
nuove idee, ma d un
corpo,
una materia all'i-
dea
dell'essere, e
forma cos concetti delle cose
singole,
che
possono
essere sia concetti
generali
che
particolari:
Colla
percezione
intellettiva
l'uomo
apprende gli
esseri realims
17) Ibid.
m) ibia, n. 512.
Antonio Rosmini: una nziozia
nzetaflsica
dell'essere
433
Invece la
ragione
ha la funzione di
procurare
nuove idee: La
ragione
applica quesvessere
ideale e indeterminato
a illustraree a rendere cono-
scibilile
cose
che
non sono note all'uomo
per
se stesse.19 A
questa
cate-
goria
di cose non immediatamenteconoscibili
appartengono
ovviamen-
te tutte le realt
immateriali,e
spirituali,
e in modo
speciale,
Dio.
Scrive Rosmini in un
passo significativodellArztr0p0l0gia:
Acquistate
in tal modo le
percezioni degli
Enti reali la
ragione pu
fare a
questi
delle
nuove
applicazioni
dell'essere ideale. Con una di
queste applicazioni egli pu passare
dalla loro
contingenza
e dalla
loro limitazione a riconoscere l'esistenza di
un
primo
essere necessa-
rio e illimitato.
Questa
una seconda funzione della
ragione, l'integra-
zione,
la
quale
si fa mediante il
principio
di assolutit.
Con un s nobileuso della
ragione
l'uomo
venne in
possesso
di nuova
ricchezza
intellettiva,
della
Cognizione
della esistenza di
Dio;
questa
egli
ha
completato
in
qualche
modo le sue
cognizioni
intorno
agli
esseri reali.20
Come
per
Kant,
anche
per
Rosmini,
la metafisica un territorio riser-
vato alla
ragione;
ma diversamente da
Kant,
il Roveretano ritiene che in
questo
territorio la
ragione possa
lavorare con
successo,
e non in modo
fallimentare
come sosteneva l'autoredella Critica della
ragion pura.
Ma della
ragione
Rosmini non
ha
quel
concetto trionfalisticoche
ave-
vano
i razionalisti. La
sua
ragione
strettamente
legata
a11inte1letto il
quale,
a sua volta,
essenzialmente
legato
al
senso (sentimento).
Alla
sopravvalutazione
della
ragione
dei razionalisti che la rendevano del
tutto autonomae
indipendente rispetto
ai sensi
e
all'esperienza
sensibi-
le,
Rosmini
contrappone
una concezione eteronorna" della
ragione,
che
la vincolastrettamente alla
esperienza
sensoriale.
Appartiene
alla
ragione
oltre che lo studio della metafisica anche
quello
della
logica
e
della
ideologia. Duplice
infatti la riflessioneche si
pu
fare intorno all'essere:
una
lo vede
come inizio di tutte le
idee,
in
quanto
i1
primo
noto", e
questo appartiene
alla
ideologia;
l'altra rifles-
sione lo considera invece come iniziodi tutte le
cose,
in
quanto
l'essere
"il
primo ontologico,
e ci
appartiene allmtoltgia.
Ecco
come Rosmini
giustifica questa
divisione della filosofia in
ideologia
e in
ontologia
in un
bel
passo
della
Teosofia:
Ijessere iniziale
dunque
inizio tanto dello scibile
quanto
del sussi-
stente; ma con
questa
differenza
per,
che l'essere iniziale
rispetto
allo
scibilesi
pu
dire anche
principio, quando
si considera nella sua vir-
tualit, cio
perch
contiene
implicitamente
tutte le
intelligibili
cose.
19) Ibid., n. 511.
20) una, n. 513.
434 Parte terza
Gi abbiamodetto che
questfissere
si vede
nell'idea,
bench lo si con-
sideri astraendodall'idea, onde
quandegli poi
si
prende
come
inizio
dell'ordine ideale,
si trova che tutto
questbrdne
in lui stesso
inge-
nerato, e
di lui si
trae, come
il filodal
bozzolo,
purch
ci siano le con-
dizioni;
laddove
quando
si considera come inizio dell'essere reale,
questinizio

puro
inizio antecedente a
questa
forma dell'essere, e il
reale non
si
pu
trarre da
lui, se non
gli saggiunge
un atto,
che esce
dalla sfera dell'idea,
in cui l'essere ideale si
contempla.
L'essere ini-
ziale
dunque
si conosce come
inizio dell'ordine ideale,
considerando-
lo solo in relazione colla forrna
ideale,
perch

quella
che abbiamo
insieme con lui, e
nella
quale
lo
vediamo; ma
per
conoscerlo altres
come
inizio della
realt, non basta che lo consideriamo in relazione
c0llidea che ci e data insieme con lui, ma dobbiamo
paragonarlo
al
reale
sentimento,
il
quale esige
un
principio
a causa reale,
da aversi al
di fuori da
quella prima
idea (...).2'
JONTOLOGIA
Dalla
ideologia,
dove si studiata
l'origine
e
la natura delle
idee,
in
parti-
colare dell'idea
dell'essere,
Rosmini
passa
alla
ontologia,
nella
quale
si
pro-
pone
un
duplice
obiettivo:
1)
procurarsi
la Teoria universale dell'ente
(cssere);22 2)
dimostrarei limiti necessari di
questa
risoluzioneu1nana.23
Seguendo l'esempio
di Suarez e Wolff,
Rosmini divide la metafisica in
due
parti:
una
parte generale,
che studia l'essere in
generale,
ed
quella
che
spetta allontologia;
e una
parte speciale,
che studia le tre
principali
realizzazioni dell'essere, Dio,
l'uomo e il
mondo,
che
sono
rispettiva-
mente
l'oggetto
della
Teologia, dellflkntropologia
e della
Cosmologia.
Inoltre,
seguendo l'esempio
di
Kant, ma
proprio per
prendere posi-
zione contro di
lui,
Rosmini intende dimostrare i limiti della metafisica,
limiti reali ma
che
non
rendono
vana
la sua ricerca.
Secondo Rosmini i
problemi
fondamentali
dell'Ontologia
sono
cin-
que:
1) trovare la conciliazionedelle manifestazioni dell'ente
(essere)
con
il concetto dell'ente
(essere); 2) trovare una
ragione
sufficiente delle
diverse manifestazioni dell'ente
(essere); 3)
trovare
l'equazione
tra la co-
gnizione
intuitiva e
quella
di
predicazione;
4)
conciliarele antinomie
presenti
nel
pensiero umano;
5)
che
cosa sia ente (essere) e
che cosa
sia
non ente (non essere)
Rosmini
adopera
i termini "ente" ed "essere" come sinonimi e
inter-
scambiabili.Su
questo punto
il suo
linguaggio ontologico corrisponde
pi
a
quello
di Aristotele che a
quello
di S. Tommaso,
il
quale general-
21)
Tcosofia,
ed. nazionale, I, n. 287.
23) Ibid, n. 72.
33) Ibid, n. 76.
24)
Cf. bd, n. 74.
Antonio Rosmini: una nuova
ntetafisfca
dell'essere 435
mente
distingue
l'ente dall'essere: l'essere (Vactus essendi) l'attuazione
piena
e
assoluta della
perfezione
dell'essere,
mentre l'ente "ci che
possiede
l'essere"
(id quod
habet esse)
ed e
quindi
una
partecipazione
del-
l'essere.
L'esplorazione
del mistero dell'essere,
insiste il
Rosmini,
dev'essere
raduale,
ereh l'intelli enza umana,
non
arriva alla
com
iuta teoria
p g
n s n a
up
q n
dell'essere con un
solo atto Cll
riflessione, ma con molti, e
quindi
ha biso-
gno
di
rompere
il
pensiero
in una
serie di moltissime
proposizioni parti-
colari
e
universali connesse tra loro,
prima
di arrivare a
quello
che noi
chiamiamo
pensare
assoluto,
dove sta
l'apice dell'Ontologia.25
I sei
passi
dellfizscesa
ontologica
L'ascesa Verso
l'essere
lunga,
difficilee
pericolosa:
non
ci si tuffa
nell'essere ma
lo si
conquista gradualmente.
Su
questo punto
Rosmini
pare
schierarsi con
coloro che costruiscono la metafisica dal
basso; ma
non

cos, perch
ci che Rosmini mette a
punto
nella
sua
Ontologia
non ancora
un'indagine
metafisica intorno al fondamento reale
degli
enti che noi incontriamonella nostra
esperienza,
bens
un'indaginegno-
seologica.
Rosmini intende
spiegare
come
la nostra mente
partendo
dal
concetto minimo dell'essere,
l'essere indeterminatoche
essa
possiede
da
sempre,
riesce a
salire fino al concetto dell'essere ideale,
l essenza dell'essere.
Che tale sia il suo
obiettivo detto chiaramentein un testo molto
signifi-
cativo della
Teosofia,
che vale la
pena
di
leggere
insieme. Scrive
dunque
il Roveretano:
Abbiamoun
punto fermo,
da cui cominciare
l'Ontologia
(l'idea
del-
l'essere e
il sentimento): e
abbiamo un mezzo, pel quale
da
questo
punto
fermo
possiamo
muovere
spingendoci
a
sempre
nove
cognizio-
ni (l'essere ideale,
l'essenza dell'essere); e
finalmente
sappiamo,
che ci
lecito
procedere
da una
di
queste cognizioni
ad altre
per
via di
pro-
posizioni
connesse
tra loro, con
sicurezza che ciascuna,
quando
ri-
sponde
alle
leggi
dell'antica ed eterna
logica,

vera,
e tutte insieme
mediante le accennate connessioni
possono
darci
quel
sistema della
verit che cerchiamo.
Questo
solo
vogliamoaggiungere
a
encomio della scienza
ontologica,
che
appunto perch
tutti i
giudizi
e
le
proposizioni particolari
hanno
qualche
cosa
di
negativo,
niuna di
esse
facendoconoscere
intieramen-
te l'essere,
l'Ontologia,
che si
propone
di
congiungere
insieme una
serie di
proposizioni
da farne riuscire la teoria dell'essere,

quella
che
perfeziona
lo stesso
sapere
umano,
e
pero
el.la si
pu
chiamare
a
un
tempo
"la teoria del
sapere".36
25) 1bid., n. 78.
26) lbid,n. 79.
436 Parte terza
Dunque
il
punto
di
partenza
l'essere
indeterminato, carico di infini-
te
possibilit:
La mente intuisce l'essere indeterminato: l'essere indeter-
minato il
primo oggetto,
che sfiaffaccia
allOntologia,
e
il
suo
punto
di
partenza?
Nellascesa
ontologica
Rosmini
distingue
sei
passi:
sono
i
passi
che
dall'essere massimamente indeterminato
portano
verso
l'essere massi-
mamente determinato.
1)
Il
primo
passo
verso la determinazionedell'essere indeterminato
l'impatto
della
mente con enti finiti reali. Grazie
a tale incontro la mente
comincia a
scoprire
alcune determinazioni
dell'essere,
cos
conosce
pi
di
prima
l'essere
indeterminato,
perch
conosce
in
qualche parte
la natura delle
sue determinazioni. Dalla
percezione
dunque degli
enti finiti riceve una
prima
illustrazionel'essere inde-
terminato,
che sta
presente
naturalmente alla mente
umana,
e allora
solo
pu
incominciare il discorso della
mente,
che
esige pluralit
di
notizie; poich
non si
conosce
pi
il solo
essere colla
possibilit
delle
sue determinazioni
e dei suoi termini in
universale, ma oltre
a ci si
conosce
qualcuno
di
questi
termini, e
perci
si conosce in
parte
la
natura di
quello,
a cui la
possibilit
si
riferisce, ossia la natura di
qual-
che determinazionedell'essere.3*
2)
Nel secondo
passo
la
mente
opera
un confronto tra le
possibilit
limitate dell'essere
quali
si incontrano nelle realt finite
e
la
possibilit
universale,
che
presenta
l'essere stesso. Da
questo
confronto
Pontologo
rileva:
a)
che le realt finite considerate
come determinazioni
possibili
dell'essere
non esaurisconola
possibilit
universale
dell'essere,
la
quale
non ammette limite
alcuno; b) e
di
pi
rilevache l'essere
con tutta la
sua
possibilitinfinita
sarebbe,
ancorch
non esistessero
quelle
realt:
perci
queste
realt
non costituiscono l'essenza
dell'essere, non sono necessarie
all'essere,
onde le chiama
Contrzgentzflg
3)
ll terzo
passo
consente alla mente di ottenere
qualche
conoscenza
dell'essere infinito
e necessario mediante
lflznalogin, poich
tutti
gli
enti
("i termini
dell'essere")
hanno
egualmente
per principio
l'essere
e
dalla
natura dell'essere
dipendono,
e
quanto
meno
alcuni elementi di
questi
ter-
mini finiti devono necessariamentetrovarsi nell'essere stesso. Con
queste
e simili riflessioni
giunge
la riflessione
ontologica
a formarsi
una dottrina
intorno alle determinazioni
e
ai termini in universale dellessere.t
37) 117111., n. 81.
23) lllti,n. 86.
29) Cf. iflld, n. 87.
3) Il7id., n. 88.

Arttonio Rosmini; una nuova
metafisica
dell'essere 437
4)
L'analogia
consente di fare
un
passo
ulteriore,
ed il
seguente:
l'essere
non
pu
essere
in se stesso se non
pienamente
determinato, e
quindi egli
deve avere delle determinazioni e dei termini
propri
e neces-
sari,
ai
quali applica
la dottrina universale intorno alla natura dei termi-
ni cavata dai termini finiti
per
analogia;
e inoltre,
i termini
propri
e
necessari dell'essere
non
possono
avere limitazione
alcuna,
perch
l'es-
sere non ne ha, e
devono entrare anch'essi
a costituire l'essenza dell'es-
sere,
altrimenti si cadrebbein
contraddizione,
cio l'essere sarebbe
nega-
to,
quando
la sua natura
importa
che
non
possa
non esserewl
5)
Il
quinto passo

quello
che stabiliscela tiecessit dei termini
pro-
pri
dell'essere.32
6)
Il sesto e ultimo
passo
rimuove da
questi
termini tutto ci che
non
pu
loro
convenire, come sarebbe
appunto
la limitazione?
Questa ascesa Verso la
pienezza
dell'essere,
conclude
Rosmini, consente
alla mente anche di
giungere
alla definizionedel concetto di Dio: In
que-
sto modo la mente
perviene
alla teoria dell'essere
assoli/ilo,
che ha i caratteri
della
divinit,
i
quali
mancavanoancora all'essere indeterminato.34
Chi ha
una certa familiaritcon la metafisica di S. Tommaso
pu age-
volmente constatare che i
passi dellbntologia
rosminiana coincidono
sostanzialmente
con
quelli dell'-ontologia
tommasiana: si
parte
dallo stu-
dio
degli
enti
finiti, si risale all'essere assoluto
e
poi
col metodo dell'ana-
logia,
con
i suoi due momenti dell'affermazione
(via
positiva)
e
della
rimozione
(via
negativa)
si cerca
di determinare
gli
attributi dell'essere
assoluto, e
quindi
di Dio. Ma mentre la resolutio di S. Tommaso ha
un
Carattere chiaramente reale
e metafisico,
la resolutio di Rosmini di
stampo logico-gnoseologco. L'esplorazione
del Rosmini non si
svolge
nell'ambitodella realt
(degli
enti e dell'essere), ma nell'ambitodelle
possibilit
dell'essere indeterminato
(che sono tutte da
determinare) e le
possibilit
dell'essere assoluto
(che sono tutte
determinatissime).
Il Circolo
ontologico
e
la
circumnaviggazimzc
dell'essere
Tracciandol'itinerarioche deve
percorrere Vontologo per compiere
la
sua
difficile
ascesa verso
l'essere Rosmini fornisce due
importanti preci-
sazioni che caratterizzano ulteriormente la
sua
ontologia
in
senso neo-
platonizzante.
3') Ibirl, n. 89.
33) Ibid.
33) Ibid.
34) Ibid.
438 Parte terza
La
prima precisazione riguarda
il circolo
ontologico.
Uontologia
chiaramente un'ermeneutica
dell'essere,
ossia una inter-
pretazione
dei documenti che ci
presenta
la realt in vista di una com-
prensione
dell'essere. Trattando di Schleiermacher,
padre
della erme-
neutica,
abbiamovisto che
uno dei canoni fondamentali della sua dottri-
na
dell'interpretazione
il circolo
ermeneutico",
il
quale prescrive
di
studiare le
parti
alla luce del tutto
e,
viceversa,
di studiare il tutto alla
luce delle
parti.
Rosmin si avvaledi
questo
canone nella sua ermeneuti-
ca dell'essere e lo descrive
egregiamente
nel testo
seguente
della
Teosofia:
Il
ragionamento ontologico
si
volge
necessariamente in circolo.
Poich
l'oggetto dell'Ontologia
tutto l'ente, e
il
ragionamento
non
pu
ascendere alla
cognizione
del tutto senza ricorrere alla dottrina
delle
parti
che lo
compongono
se non ricorrendo alla
cognizione
del
tutto. Il tutto e le
parti
sono correlative; e
i correlativi si intendono
dalla mente con un solo atto. Ma il
ragionamentoabbisogna
d'esami-
nare i termini della
correlazione, e non
li
pu
esaminare ambedue in
uno stesso
tempo.
Chi volesse
parlare
del tutto senza analizzarlo,
avrebbe finito il discorso in una sola
parola; poich dopo
aver
pro-
nunciato la
parola tutto, non
potrebbepi
dir altro
(...).
Vi e
dunque
in
quest'ordine
di
ragionare
un circolo inevitabile,essendovi
bisogno
della teoria dell'ente finito
per
ristabilirela teoria dell'essere in uni-
versale e dell'essere assoluto,
ed essendovi
bisogno
di
queste
due teo-
rie
per
clare
quella
dell'ente finito.35
Il circolo di cui
parla
Rosrnini il circolo ClGlYLISCEHSLISe del desrensus
praticato
dai
neoplatonici
e
dallo stesso S. Tommaso nella
componente
neoplatonica
del suo
pensiero.
La seconda
precisazione
chiarisce ulteriormente la natura dell'itinera-
rio
ontologico
rosminiano. Non si tratta di un'ascensione come
l'abbia-
mo descritta fin
qui
e
neppure
di una seconda
navigazione
come
la defini-
va Platone,
bens di
una
Circumnavigazione. Uontologia
rosminiana non
lascia la
pianura degli
enti
per
salire sulla vetta dell'essere, e
neppure
abbandona il
porto degli
enti
per raggiungere
il
pi
lontano
porto
del-
l'essere, ma tutto un
viaggio
interno
all'essere, e
dentro il
mare
dell'es-
sere. Ecco il bel testo di Rosmini a
questo riguardo:
Il nostro
ragionare dunque nell'esposizione
della Teosofia sar simi-
le al
procedere
di
quelli
che
navigano
in
uno
stagno,
i
quali quantun-
que
solchino lo
stagno
colla loro navicellain una sola
linea, tuttavia, o
vadano o
vengano
o si muovano
per
una retta o
per
linee curve ser-
peggiando,
non escono mai dallo
stagno,
e se non ci fosse tutto lo sta-
gno
non
potrebberopunto
solcarlo
per
lungo
e
per
largo
nelle diverse
direzioni,
bench traccino
sempre
delle linee
angustissime
in
quell'ac-
qua.
Cos noi
qualunque
cosa veniam
ragionandoper
le diverse
parti
35) Ihi, nn. 91-92.
Antonio Rosmini: una nuova
metafisica
dell'essere 439
di
questa opera,
non
potremo
uscire
giammai
dal mare
dell'essere che
esploriamo,
e
quantunque
ristretto sia il sentiero che ci
apriamo
in
esso colla nostra
carena,
ci converr aver
sempre
tutto l'essere
presen-
te non alla
lingua
ma alla mente,
che
ogni
nostra
parola, ogni parziale
trattazione lo domanda necessariamente come un
presupposto,
acciocch o
possa
essere
da noi detta, o da altri intesa.5fi
Per fare muovere
la navicella del
pensiero
dentro il mare dell'essere e
condurla dall'essere indeterminato all'essere assoluto attraverso
gli
enti,
Yontologo
ha
bisogno
di buoni
remi, e tali sono i
principi primi,
che Ro-
smini riduce a tre: il
principio
di
cognizione,
il
principio
di tien-contraddi-
zione e
il
principio
di causalit. Il
primo
dice:
l'oggetto
del
pensiero

l'essere.
Questo
principio,
secondo
Rosmini,
il
principio
di tutti i
principi,
la
legge
della natura
intelligente,
l'essenza della
intelligenza?
Del secondo
principio
il Roveretano d la
seguente
definizione: Non si
pu pensare
l'essere e a un
tempo
il non essere.38 Infine,
per
il
principio
di causalit
adopera
la
seguente
formulazione: Non si
pu pensare
una
nuova entit senza una causa.39
Mentre i
primi
due
principi
sono
sempre
stati condivisi da
quasi
tutti
i filosofi
(tranne
gli
scettici),
il
terzo, quello
di
causalit,
nell'epoca
moderna
aveva
subito
pesanti
attacchi da
parte
di Hume e
di Kant:
per
il
primo
si trattava di una
finzione della memoria e della
fantasia,
per
il
secondo,
di
un
principio
a
priori
dell'intelletto.
Poich sul valore
oggettivo
del
principio
di causalit
poggia
tutta la
metafisica,
prima
di
procedere
alla sua costruzione, era
necessario dimo-
strare che il suo valore
oggettivo
assolutamente
innegabile.

quanto
Rosmini cerc di fare in diversi
scritti,
dimostrando che il
principio
di
causalit si fonda direttamente sul
principio
di
non
contraddizione.
Infatti dire che
un
avvenimentonon causato
equivale
a dire che
non
un avvenimento,
perch per
avvenimento si intende "tutto ci che
comincia". Ecco in breve
ufiargomentazone
del Rosmini:
Per dimostrare che "un avvenimento senza una causa non si
pu
pensare",
convien dimostrare che "il concetto di
un avvenimento
sfornito di una causa
involge
contraddizione".
Quando
ci sia dimo-
strato, allora,
si avr il
principio
di causa dedotto dal
principio
di
contraddizione. Ecco come si dimostra. Dire che ci che
non esiste
opera,
contraddizione. Ma un
avvenimento senza causa
equivale
a
un dire: ci che
non esiste,
opera. Dunque
un
avvenimento senza
causa
contraddizione
(...). Quindi
il
principio
di causa
discende dal
36) lbicL, n. 96.
37) Nuovo
saggio,
IV, n. 568.
3*)
Ibid.
39) Ibid.
440 Parte terza
principio
di
contraddizione, come tutte e due
questi principi
discen-
dono dal
principio
di
cognizione:
e
questo
non che l'idea dell'essere
applicata,
la
quale prende
forma di
principio,
e
s'esprime
in
una
pro-
posizione, quando
ella si considera in relazione col
ragionamento
del-
l'uomo,
del
quae
essa la causa universaleMU
Le tre
forme prinrzitizze
dell'essere e il sintesismo
Molteplici
sono le manifestazioni dell'essere.
Compito dellbntologo
ridurle ad alcune manifestazioni fondamentali. Aristotele con
la
sua
celebre dottrina delle
categorie
le aveva
ridotte
a dieci. La classificazione
aristotelica
riguarda
sia la
logica,
sia la
metafisica;
infatti le dieci
catego-
rie sono sia i dieci modi di
concepire
l'essere,
sia i dieci modi di realizza-
re
l'essere. Rosmini ritiene di riuscire
a
operare
una
classificazioneanco-
ra
pi
breve,
riducendo tutte le manifestazioni dell'essere a tre
forme pri-
mitive, a cui d i nomi di forma reale o subiettiva,
forma ideale od
obiettiva,
e forma morale.
Credo che sulla classificazionein s non esistano
problemi:
essa corri-
sponde
alla classificazionedella
verit,
la
quale
assume tre forme
princi-
pali: Iogica, ontologica
e morale. Ci che invece fa
problema
la
pretesa
del Rosmini di stabilirenon
solo che le forme dell'essere
sono tre, ma
che devono essere necessariamente tre e soltanto
tre,
n una di
pi
n
una di meno. In altre
parole
ci che fa
problema
e la deduzione delle tre
forme. Su
questo punto
il Roveretano non
segue
Aristotele,
il
quale
aveva ottenuto la
sua
classificazione
non
col
procedimento
deduttivo,
ma con
quello
induttivo:
egli
si era servito dello stesso
procedimento
con cui aveva ottenuto la classificazione
degli
animali
e
delle
piante,
cio basandosi esclusivamente sulla osservazione
empirica.
Anzich
Aristotele, Rosmini
segue
Kant,
il
quale
aveva
dedotto le
sue
categorie,
dai dodici
tipi
di
giudizi
dell'intelletto, ma battendo una via totalmente
nuova e inusitata.
Egli
deduce le tre forme dell'essere dal modello del
mistero trinitario: nella Trinit il Padre
genera
il
Verbo; e
il Verbo e il
Padre si
legano
tra loro mediante il vincolo dell'eterno e sussistente
Amore,
che lo
Spirito
Santo. Ecco il
passo
in cui Rosmini deduce le tre
forme
primitive
dell'essere:
Chiamiamo forme dell'essere "l'essere stesso che, sebbene tutt'inte-
ro,
in modi
diversi, a lui essenziali. Ci sono
dunque queste
forme?
L'essere,
per
la
propria
natura di essere
egli
in un modo
solo, o in
pi?
e se in
pi
modi,
egli
in ciascun modo tutto l'essere? -
Questa
la
questione
e non
si
pu
risolvere, se non
per
via della
contempla-
zione della mente.
4) Ibid., n. 570.
Antonio Rosmini: una nuova
metafisica
dell'essere 441
Ora noi diciamo che
queste
forme ci sono e sono tre,
cio che l'essere
come tale identico in tre modi diversi a lui essenziali. Noi denomi-
niamo
queste
tre forme subieftiva,
obiettivae morale. Che
poi
ci siano le
due
prime,
risulta dalla
Ideologia
e dalle
osservazioni,
che
pur
ora
facevamo
sugli
elementi:
giacch
evidente che si
possono
concepire
alcuni di tali
elementi,
ugualmente
come esistenti in s realmente,
quanto
nella loro
essenza,
senza
che realmente
esistano; e
questa
essenza e la forma obiettiva, come la sussistenza la forma subiettiva, a
cui si riduce
pure,
come Vedremo,
quella
che si dice da noi extrasubict-
tizia. Ma se l'essere identico nella forma obiettivae nella
subiettiva,
queste
due forme sono
congiunte
nell'idenfit dell'essere. Se
dunque
sono
congiunte,
c' tra di esse un
vincolo. Ma
questo
vincolo non
risulta dalla considerazione di ciascuna delle due forme
presa
l'una
in
separato
dall'altra.
Dunque questo
vincolo costituisce una terza
forma,
nella
quale
l'essere . Poich
questo
vincolo non nulla: dun-
que
esso stesso l'essere. E
poich
in ciascuna delle due forme c'
l'essere intero,
l'unione di esse deve abbracciare tutto l'essere sotto
una
forma unitamente a tutto l'essere sotto l'altra forma:
dunque
c'
tutto l'essere sotto la forma di
unione, poich
non
c' nessuna
parti-
cella dell'essere che
ne
vada
immune, e
per
non si d distinzione tra
il subietto che ammette l'unione, e ci che rimane
unito, ma tutt'e
unito e tutt'e unione...
Le due
forme,
dunque,
l'una delle
quali
non
l'altra, ma ciascuna
tutto l'essere,
devono avere una comunicazionetra loro senza
confon-
dersi.
Questa
comunicazione
suppone
che l'essere sia
per
se
amato,
cio a dire che
quell'essere
che assolutamente
essente, e
che anche
per
s
noto,
sia anche
per
s amato. Ma in
quanto

per
s
amato, non
e
per
s assolutamente
essente,
n
per
s
noto; dunque
l'essere
per
se
amato una terza forma in cui lo stesso essere. E,
appunto perch
l'essere
per
s amato lo stesso essere
che nelle due
prime
forme,
n
pure questa
terza forma
toglie
l'unit
perfettissima
dell'essere.
V'ha
dunque
nell'essere necessariamente un'unit
perfettissima
d'es-
senza e una
trinit di forme.41
Davanti a
questa argomentazione
si
pu
restare molto
perplessi.
Non
c'
dubbio, infatti,
che esiste anche una forma morale
dell'essere,
che
quella
che
corrisponde
al
bene; ma si tratta ancora di una
forma ideale.
E lo stesso essere
visto come
fine da
raggiungere.
Non
quindi,
come
pensa
Rosmini, un frutto dell'incontro tra l'essere ideale
e
l'essere
reale,
ma l'essere in attesa di diventare
reale,
oppure
l'essere che nel
compi-
mento di un'azione
perfeziona
la volont e mediante la volont l'uomo
stesso, e allora si tratta dell'essere reale.
41)
Teosofa
1, nn. 148-154.
442 Parte terza

quindi pi
convincente la teoria di S. Tommasoil
quale distingue
le
categorie
dai trascendentali dell'essere: le
categorie
sono
sempre
modi
limitati di
esprimere
0
di attuare l'essere, mentre i trascendentali
sono
espressioni globali
dell'essere
e
per questo
sono convertibilitra di
loro;
mentre la convertibilite esclusa dalle
categorie.
S. Tommaso deduce i
due
principali
trascendentali
dell'essere,
il
verum e il
bonum,
dalle due
facolt
spirituali
dell'uomo: il verum
esprime lntelligibilit
dell'essere,
mentre il bomim
esprime
la
sua
appetibilit.
Nella sostanza la dottrina rosminana delle tre forme
primitive
del-
l'essere
corrisponde
alla dottrina tomistica dei trascendentali
ens, Uerum,
bonum. In effetti anche Rosmini
collega
la forma ideale
allntelletto, come
fa S. Tommaso col
verum,
e
la forma morale con la Volont
e con l'amore,
come fa
lAngelico
col bomm-z. Mentre la forma reale
corrisponde
all'ens
reale, ossia all'essere assoluto.
Ma Rosmini non
chiama le forme
primitive
dell'essere
trascendentali,
bens
categorie, preferendo
il
linguaggio
kantiano
a
quello
aristotelico
tomistico: le forme immutabili e incomunicabilidell'essere costituisco-
no le nostre
Categoriew
L'ontol0gia
tratta dell'essere in
generale
e non delle sue concrete
attuazioni.
Pertanto, una volta dimostrata la necessit che l'essere assu-
ma
le tre forme dell'essere
ideale,
reale e morale
Pontologia
ha esaurito
il
suo
compito.
L0 studio delle Concrete realizzazionidell'essere
spetta
ai
tre
grandi
rami della metafisica
speciale,
la
Teologia
naturale,
l'Antropo-
logia
e
la
Cosmologia.
Concludendo la sua introduzione
generale
alla
metafisica,
Rosmini
trova un nome
per
il
suo sistema e lo chiama sintesisrno. La
ragione
di
questo
nome tratto dalla verit che l'ente non
pu
esistere sotto una
sola delle tre
forme, se non esiste anche sotto le altre
due,
quantunque
al
pensiero
umano l'ente,
anche sotto la sola
forma,
si
rappresenti
come
stante da
e
percettibile
in
un modo distint0.43
Che
cosa
dire dell'ermeneutica rosminana
dell'essere,
di cui abbia-
mo riassuntole linee essenziali?
A
questo quesito
daremo una
risposta pi
accurata e
articolata alla
fine del
capitolo, dopo
avere
esposto
il
pensiero
metafisico del
Roveretano intorno all'uomo
e intorno a Dio. Per il
momento,
dobbiamo
riconoscere al Rosmini il merito di
avere scritto
pagine
memorabilisul
problema
fondamentale
dell'essere, su cui era da
tempo
sceso l'oblio dei
filosofi, come stato notato da
Heidegger
(il
quale peraltro ignora
sia
S. Tommaso sia
Rosmini,
che
sono i due massimi
esponenti
della filoso-
42) una, n. 167.
43) Raid, n. 173.
Antonio Rosmini: una nuova
nzetafisica
dell'essere 443
fia
dell'essere,
da
quando
l'interesse
per
la metafisica
passata
dai
greci
ai
cristiani).
Nella metafisica moderna
{di Cartesio,
Spinoza,
Pascal, Leibniz,
Kant)
l'ontologia
era
praticamente scomparsa
e il suo
posto
era stato
preso
dalla
gnoseologia
e
dalla critica. Cos tutta l'attenzionedei filosofi
era
rivolta al
soggetto
conoscente anzich
all'oggetto
conosciuto, e
quin-
di alle sue certezze
piuttosto
che alla verit.
Rosmini restituisce
allbntologiaquella dignit
che le
compete
in
ogni
metafisica che si accosti allIntero
passando
attraverso la finestra dell'es-
sere. Questo giustifica
il titolo di "massimo metafisico del secolo
XIX",
che
qualche
storicoha voluto dare al Rosmini.
UANTROPOLOGIAFILOSOFICA
L'uomo e Dio sono le due
grandi
realt intorno a cui
gira
tutta la
riflessione filosofica del Rosmini: l'uomo colui sul
quale
si irradia la
luce
dell'essere;
Dio colui dal
quale quella stupenda
luce
promana.
Cos,
gran parte
della sua
produzione
filosofica si concentra su
questi
due terni. Delluomo
egli
si
occupa HEIYAHFOpOlOgH
in servizio della m0-
rale,
nellbntropologia teologica,
nella
Psicologia,
nei
Principi
della morale.
Di Dio tratta nella Teodicea e
nella
Teosofia.
Nella sua vastissima trattazione Rosmini si
propone
di
rispondere
a
tre
interrogativi
fondamentali: Chi l'uomo? Chi Dio?
Quali sono i
rapporti
tra l'uomo e Dio? Vediamo anzitutto la sua
risposta
al
primo
interrogativo.
Come osserva
lo stesso Rosmini ci sono due
tipi
fondamentali di
antropologia:

l'antropologia platonica
che considera l'uomo dall'alto
e, perci,
lo
identificacon l'anima e
quindi
con lo
spirito;
-
l'antropologia
aristotelica,
che considera l'uomo dal basso
e
lo defini-
sce come una
specie
del
regno
animale,
vale a dire come un
animale
ragionevole.
Kant aveva
utilizzatoentrambi
questi paradigmi.
Nella Critica della
ragion
pura
egli
si avvale del
paradigma
aristotelico, ma cos non riesce a
trovare una sicura
risposta per
l'arduo
problema
della immortalit del-
l'anima. Invece nella Critica della
ragion pratica
si serve
del
paradigma
platonico
e
questo gli
consente di salvare la
legge
morale,
la libertuma-
na e la
spiritualit
dell'anima. Scnonch
gli
esiti dualistici del
pensiero
kantiano non risolvevano,
anzi
aggravavano
ulteriormente Yantinomia
tra la
posizioneplatonica
e
quella aristotelica.
44) Cf.
Antropologia
in servizio della scienza morale,
Ediz. nazionale, Milano 1954,
nn. 24
s5.
444 Parte terza
Rosmini,
che ha
uno
spiccato
senso dell'armonia, della "unit e tota-
lit",
della sintesi e della
completezza,
considera l'uomo sia
come
ani-
male sia
come
spirito
e studia l'uomo
come
soggetto
in cui
convengono
Panimalit
e
l'intelligenza.45 Egli
critica
quindi
le tradizionali definizio-
ni di Platone e Aristotele.
Secondo la definizione
platonica,
l'uomo
un'intelligenza
servita di
organi.
Questa definizione, osserva
il
Rosmini, non
distingue adegua-
tamente l'uomo
dall'ange|o;
anzi si addice
pi all'angelo
che
all'uomo,
perch
e
angelo
un essere
fornito di un
corpo
come
di
una
macchina
senza informarlodi s>>.46
Secondo la definizione
aristotelica,
l'uomo
un animale
ragionevo-
le. A
questa
definizioneRosmini
rimprovera
i
seguenti
difetti:
1)
dicen-
do che un animale
ragionevole
si
esprime
la
parte intelligente
di
que-
sto animale, ma si trascura la
parte
volitiva che nell'uomo non meno
importante
della
prima;
2)
dire
semplicemente
che l'uomo un anima-
le
ragionevolepu
indurre
a credere che nell'uomo il
soggetto
fosse
un
animalee nulla
pi,
e che la
ragionevolezza
non fosse altro che
una
pro-
priet
o facolt, o attributo di
questo
animale>>.47
Contro
queste
due definizioni che Rosmini considera
unilaterali,
essendo la
prima troppo
sbilanciata
verso lo
spirito
e
la seconda verso
Panimalit,
egli
propone
la
seguente
definizionedell'uomo:
<<un
sogget-
to
animale,
intellettivo e volitivo.43 Come
precisa
lo stesso Rosmini
que-
sta definizione
pi completa
sia di
quella platonica
sia di
quella
aristo-
telica: anzitutto
perch
include oltre all'elemento intellettivo anche il
volitivo. E in secondo
luogo perch
pone
il
soggetto
a fondamento di
tutte le
qualit
dell'uomo:
l'animalit,
l'intelligenza
e la volont. In tal
modo
queste qualit
hanno
una
medesima relazione col
"soggetto",
e
l'una
non
privilegiata
sopra
dell'altra;
cio
quel principio
che forma l'u-
nit
umana,
viene
a essere distinto
dall'animalit,
dalla
intelligenza
e
dalla
volont; viene ad
essere a tutte e tre
egualmente comune;
sicch
quel
che sente come animale,

quello
stesso che intende e
che vuole
come
intelligente
e volente>>.49
Pi avanti Rosmini
propone
una seconda definizione
pi ampia,
che
esplicita
alcuni elementi caratteristici della
sua
antropologia.
Ecco la
seconda formulazione: L'uomo un
soggetto,
animale,
dotato dell'in-
tuizione dell'essere
ideale-indeterminato, e della
percezione
del senti-
mento
fondamentale-corporeo,
e
agente
in modo conforme alla anima-
lit
e
all'intelligenza
che
possiedeMD
45)
Epistolario
IV,
p.
614.
4t)
Antropologia
...,
cit., n. 26.
47) lbid, nn. 27
e 31.
i) lbiti,n. 34.
49) lbid.
5") lirici, n.37.
Antonio Rosa-tini: una nuova
metafisica
dell'essere 445
Come si
vede,
in tutte
queste
definizioni Rosmini evita
scrupolosa-
mente di
parlare
di anima e
di
corpo,
i due termini con cui aveva sem-
pre
lavorato
l'antropologia
classica; e si avvale di un
linguaggio
che
pienamente
Conforme alla
sua ideologia,
la
quale,
come
sappiamo, pone
l'intuizionedell'essere ideale alla base di tutto. Allora,
l'uomo anzitut-
to
Pintelligenza
che
coglie
l'essere ideale. Ma
poich questa
un'intui
zione
astratta,
pura
forma del
conoscere,
l'uomo
raggiunge
il reale
mediante il sentimento
fondamentale-corporeo.
Ecco
quindi
i due
ingre-
dienti
principali dell'antropologia
rosminiana: l'intuizione dell'essere
ideale che e
propriet
dello
spirito,
e
il sentimento
fondamentale-corpo-
reo
che
propriet
deltanimalit.
Dopo
aver
definito l'uomo Rosmini affronta l'analisi della
sua
parte
animale.
Qui
la
sua
attenzione si concentra
sugli
istinti che
sono
i dina-
mismi nei
quali prende corpo
e
si
esprime
il sentimento fondamentale
corporeo.
L'attivit dell'animale,
secondo il
Roveretano,
si
pu
ridurre a
due forme: l'azione con cui l'animaleaumenta se stesso e
quella
con cui
logora
la sua
energia,
ossia
quella
colla
quale
esso concorre alla
produ-
zione del
sentimento, e
quella
colla
quale opera
dietro il sentimento
gi
prodotto>>.51
La
prima
chiamata istinto
vitale,
la seconda istinto sensuale.
L'istinto vitale
,
si
potrebbe
dire,
quell'atteggiamento
dell'anima sensi-
tiva che continuamente tesa nel
produrre
la
Vita,
nel
riparare
i danni
e
le
perdite
che l'animalesubisce. L'istinto vitale in tutte le
sue
operazioni
non
ha altro
scopo
che di
produrre
il sentimento eccitato e unico, e cos
di dar vita al
corpo
,52 Perci l'istinto vitale essenzialmente vivificatore.
Invece l'istinto sensuale va in
cerca
di sensazioni e
procura
le sensazio-
ni della
vista, dell'udito,
del
gusto,
dellodorato
e
del tatto.
Come si detto
questi
istinti sono
i canali del sentimento fondamen-
tale
corporeo.
Come tutte le idee
presuppongono
l'idea
dell'essere,
cos
tutte le sensazioni
presuppongono
il sentimento fondamentale
corporeo:
l'idea dell'essere il
primo pensato
o
prima logico,
oltre che
ontologico;
il
sentimento fondamentale
corporeo
il
primo psicologico
o sentito,
di cui
le sensazioni sono modificazioni, e che rende
possibile
la
percezione
degli oggetti
esterni mentre ci d la coscienza di noi come uniti a un
corpo;
ci mette a contatto con
le cose e ci
pone
come sensibilit
pura
di
noi a noi stessi.
Nel Terzo Libro
dellfintropologia
in servizio della scienza morale
Rosmini studia la
parte spirituale
(la
spiritualit)
dell'uomo la
quale
si
avvale di due attivit: intellettiva e volitiva.
51) lbid, n.369.
51) lbid, n. 403.
446 Parte terza
L'attivit intellettiva oltre che
con l'intelletto si esercita anche
con la
ragione.
Mentre l'intelletto e
pura
intuizione dell'essere
ideale;
la
ragio-
ne
applica
l'essere ideale alle
sensazioni, e in
questo
modo
raggiunge
il
mondo reale. La
ragione
ha
pi
funzioni: la
percezione,
1'astrazione,
la
deduzione di scienze
pure
(ossia
quelle
che
riguardano gli
esseri
ideali),
e
la deduzione delle scienze
complete
(ossia
riguardanti gli
esseri reali).
Ci che caratterizza la volont umana di
essere libera. La libert
una facolt
con cui l'essere
intelligente sceglie
un bene vero o
apparente
con
pieno
dominio del
proprio
atto. La libert
pu essere,
come di fatto
nell'uomo
viatore,
libert bilaterale.
Questa
si d,
quando
l'uomo
posto
nell'alternativadi
scegliere
tra un bene
oggettivo
conosciuto intellettiva-
mente e un bene
soggettivo
che stimola e alletta
piacevolmente
la sua
sensitivit. Secondo che l'atto di scelta conforme al bene
oggettivo, op-
pure

difforme,
la libert diventa meritoria
o demeritoria. La libert la fa-
colt
pi
sublime
dell'uomo,
quella
che
gli
conferisce la
pi
alta
dignit.
ljanimalit e
l'intelligenza,
con le loro
rispettive
funzioni, non sono
due binariche
corrono
paralleli
senza incontrarsi
mai, ma sono due atti-
vit che
appartengono
al medesimo
soggetto,
allo stesso individuo.
nella definizione del
soggetto
umano come
persona
di cui Rosmini
tratta nel
Quarto
Libro
dellflntropologia
che si rivela lo
spirito
cristiano
del
suo filosofare.
Come tutti
sappiamo
il concetto di
persona

una delle
grandi acqui-
sizioni del cristianesimo. Esso dice essenzialmente che l'essere umano
appartiene
all'ordine dello
spirito,
che l'ordine della
intelligenza
e
del-
la volont. Il fulcro
dell'antropologia
rosminiana si trova nel
capitolo
dedicato alla definizionedella
persona.

qui
che Rosmini elabora la sua
dottrina metafisica della
persona
in
genere
e della
persona
umana
in
specie.
Si chiama
persona
un
individuo sostanziale
intelligente,
in
quanto
contiene un
principio
attivo,
supremo
e incomunicabilemfl
Il concetto di
persona
dice di
pi
del concetto di
soggetto. Soggetto
dice
semplicemente
un
principio supremo
di attivit in
un
individuo
senziente
qualsiasi,
sia
esso
intelligente
o no. Invece
persona
dice un
principio supremo
in
un individuo
intelligente.
Sicch la differenza tra
soggetto
e
persona

quella
che
corre tra il
genere
e
la
specie.
Le
propriet principali
della
persona
sono
quelle
indicate dalla
sua
stessa definizione: 1.
principio
attivo,
2.
supremo,
3. incomunicabile.
In
primo luogo
si tratta di
un
principio
attivo.
Qui
attivo viene inteso
dal Rosmini nel suo
significato pi esteso,
nel
quale
abbraccia in
qual-
che
modo,
anche la
passivit,
sicch la
persona

quel principio
a cui si
53) Cf. G.
BOZZETTI,
La
persona
rmiana,
Domodossola 1946.
54) ROSMINI,
Antropologia,
n. 832.
Antonio Rosmini:
una nuova
rrzetafisica
dell'essere 447
riferisce e da cui
parte
ultimamente tutta la
passivit
e tutta l'attivit
del1inclividuo>>.55
In secondo
luogo
un
principiosupremo,
cio tale che nellindividuo
non se ne trovi altro che
gli
stia
sopra
onde
egli
mutui l'esistenza; anzi
tale che
se vi sono nellindividuo
degli
altri
principi, questi dipendono
da lui
e non
possono
sussistere in
quelfindividuo
se non
per
il
nesso
che hanno
con lui.56
Infine dev'essere incomurzicabile:
questa propriet
deriva dalla nozio-
ne di
individuo,
dato che l'individuo
non
pu
comunicarsi senza cessa-
re di
essere
quellindividuo ch'egli
era
prima,
e allo stesso modo deve
intendersi lincomunicabilitdel
soggetto
e
della
persona.57
La
persona,
incomunicabile,
essenzialmente
una,
cio
ogni perso-
na
un'unit, una
singolarit
irriducibile:vi
molteplicit
nelle
Cose,
non nelle
persone. Ogni persona
se stessa e
irripetibile,pi persone
so-
no
pi
unit che
non formano una massa. L'esistenza di
ogni persona
come
persona
comincia e finisce in
s;
ciascuna di
esse un uno
subiettivo;
di
quest'uno,
che la
persona singola,
non esistono due
esemplari,
ma uno solo.
In
quanto principio
attivo
supremo intelligente
la
persona
causa
delle
proprie
azioni ed
quindi
autonoma. Di
qui
anche la
completez-
za della
persona:
l'ente che dotato di
intelligenza
un ente
completo,
e
per questa
sola maniera di
enti,
cio
gli intelligenti,
meritano la deno-
minazione aristotelica di
entelechie,
che
significa perfezione,
denomina-
zione
ontologica perch
tratta dellintima costituzione
degli
enti stessi.
Dunque
tutto ci che e non
ha
intelligenza
relativo alla
persona,
che
ente
intelligente.
Da
qui
la forte affermazione della
Logica:
Ci che
ma non
persona,
non
pu
stare senza
che ci sia una
persona: principio
di
persona.
In
questo
senso,
solo alla
persona
conviene
l'esistenza,
ad
essa relativo tutto il
reale,
che e
appartenenza
della
persona.
L'unit dell'essere
umano
proviene
dal suo
principio spirituale,
il
qua-
le in
grado
di
aggregare
a se e
di informareil
principio
materiale.
Qui
si affaccia l'eterno
problema
dei
rapporti
tra anima e
corpo,
o tra
spiritualit
e animalit
come talvolta ama
esprimersi
Rosmini. A
questo
difficile
problema
il Roveretano dedica molte attenzione sia nel|'Antr0
pologia
a servizio della scienza morale sia nella
Psicologia.
Il
problema
dei
rapporti
tra anima e
corpo
il
pi
classico e dibattuto
di tutti i
problemi antropologici.
Rosmini ne conosce
perfettamente
tutta
la storia e tutte le
principali
soluzioni: di
Platone, Aristotele,
Agostino,
Tommaso, Cartesio, Malebranche, Leibniz, ecc.
55) una, n. 834.
se)
Ibid.
57) una, n. 836.
448 Parte terza
Il
pericolo
in cui incorrono
quasi
tutti i filosofi 0
di accentuare ec-
cessivamente la discontinuit tra anima e
corpo
(
i!
caso
dei
platonici)
oppure
di mettere
troppo
l'accentosulla loro unione
(
il
caso
degli
ari-
stotelici):
i
platonici propendono per
una unione accidentale;
mentre
gli
aristotelici affermano l'unione sostanziale. A
questi pericoli
sono
espo-
ste tutte le
antropologie
dicotomiche.
Questo
rischio si
pu scongiurare
se il
problema
si
gioca
con tre carte anzich
con
solo due: se al
corpo
e
all'anima si
aggiunge
lo
spirito,
e si
concepisce
lo
spirito
non come una
qualit
dell'anima, ma,
viceversa si considera l'anima come una funzio-
ne
dello
spirito.
Questa , sostanzialmente,
la soluzione che
sposa
il
Rosmini,
anche
se
il
suo
linguaggio
su
questo punto
risulta
alquanto
incerto e oscillante.
Ecco alcuni
passi
in cui Rosmini
parla
dello
spirito
come
principio
ontologico
fondamentale,
che unifica
e sostiene tutto l'essere umano:
Questo principio
unico e
semplicissimo,
il
quale
da una
parte sog-
giace
alla
passivit prodottagli
dall'azione del
corpo,
dall'altra
sog-
giace
alla
passivit
o
meglio
ricettivit dell'essere universale,

appunto
ci che si chiama lo
spirito
umano.
Nello
spirito
umano
adunque, principio
senziente intellettivo,
giaccio-
no virtualmente tutte le
potenze,
che
poscia,
date le occasioni
oppor-
tune,
si
distinguono
manifcstandosi con
determinate
operazioni.
Perocch l'atto stesso col
quale
esso
spirito
esiste,
e la virt universale di
operare
in tanti modi diversi,
in
quanti
l'attivit sua
poscia
si
svolge
e
appalesa.58
Le
parti
in cui noi abbiamo diviso la definizionedell'essere umano
furono tre: Yanimalit,
l'intelligenza
e
il
principio
comune dell'anima-
lit e
dell'intelligenza,
il
soggetto
(lo
spirito
umano).59
D'altra
parte,
tutto ci che
appartiene
all'intelletto immune da
qualsiasi
concrezione e contatto di
corpo,
e
perci
costituisce da solo
una sostanza
spirituale>>fi0
Una sostanza che
non abbianiuna
propriet
del
corpo
e
della
materia,
si dice
spirituale,
ossia
spirito: dunque
l'anima umana uno
spiritomm
Come
sappiamo, l'antropologia
rosminiana costruita dall'alto. Ma
diversamente dalle costruzioni
platoniche
che si
avvalgono
soltanto di
due elementi e cosi si trovano in
grandi
difficolt
quando
si tratta di
spiegare
i
rapporti
tra anima e
corpo,
Rosmini,
introducendo lo
spirito
come terzo elemento distinto sia dall'anima sia dal
corpo,
in
grado
di
offrire
una concezione
profondamente
unitaria dell'essere umano.
58) IbicL, nn. 529-53.
59) Ibid, n. 770.
6) 111111., n. 502.
61)
Psicologia,
n. 133.
Antonio Rosmini: una nuova
metafisica
dell'essere 449
Rosmini critica
esplicitamente
le due versioni
pi
moderne del
plato-
nismo: l'armonia
prestabilita
(Leibniz) e
lbccasionalismo
(Malebranche).
Secondo il Roveretano con
queste ipotesi
noi non
potremmo
avere nes-
suna
cognizione
del
corpo;
perocche ogni cognizione
nostra del
corpo
si
riduce
a
farci
conoscere
che il
corpo
termine del sentimento dell'ani-
ma;
e
per
nella nozione stessa di
corpo
si
involge
come
essenziale
una
relazione di unione con
l'anima.6Z
Dei
rapporti
tra anima e
corpo
Rosmini si limita
a
dare una
spiega-
zione
psicologica.
La sua tesi che l'anima
e
il
corpo
sono
congiunti
per
via di sentimento>>fi3 Nella
prima
e
fondamentale
percezione
del
termine
corporeo
consiste
appunto
il nesso dell'anima col
corpo,
che
costituisce l'uomo come ente razionale>>fi4A
questa percezione
fonda-
mentale Rosmini d il
nome
di sentimento
fondamentale.
Il sentimento fondamentalecon cui l'anima conosce il
proprio corpo
ha
un
duplice
risvolto,
intellettivo
e sensitivo. Scrive ilRosmini:
L'unit dell'uomo consiste in un sentimento
unico,
proprio
del
princi-
pio
razionale,
nel
qual
sentimento unico non soltanto il sentimento
animale, ma anche il sentimento razionale,
per
modo che in
questo
si
contiene
quello
come nel
pi
si contiene il
meno;
sicch l'uomo nel
primo
suo stato non
ha
gi pi
sentimenti,
cio il sentimento animale e
il
razionale, ma un unico e
semplicissimo
sentimento, avente un
prin-
cipio
e un termine.
Egli
ha
un
principio,
ed lo stesso
principio
razio-
nale, e
ha
un termine,
che l'idea
dell'essere, e
in
quell'essere
vede il
sentimento animale,
che
esperimenta; giacch
nella
percezione
accade,
per
dirlo di
nuovo,
che del sussistente sentito e dell'essere si formi un
solo
ente,
oggetto
dell'unico
principio
razionale.
Questa percezione pri-
mitiva e
fondamentale
di tutto il sentito
(principio
e termine) il talamo
per
cos dire,
dove il reale
(sentimento
animale-spirituale)
e l'essenza,
che si intuisce nell'idea,
formanouna
cosa;
e
questa
cosa
luomo.65
Ma l'anima
umana non soltanto
sensitiva, ma
anche intellettiva.
Ella un
principio
intellettivo e sensitivo a un
tempo.
In
quanto

principio
sensitivo ha
per
termine il
proprio corpo;
ma
poich
il
prin-
cipio
intellettivo unificato col
sensitivo,
di maniera che un
princi-
pio
solo
con
due
attivit,
perci
l'anima intellettiva
e sensitiva, o in
una sola
parola
l'anima
razionale,
ha
per
suo termine il
corpo.
In
quan-
to sensitiva,
l'ha
come
termine
sentito,
in
quanto
intellettiva,
l'ha
come termine
inteso;
il
corpo dunque
un termine dell'anima umana
sentito-inteso. Vha
dunque
una
percezione
intellettiva del
proprio
corpo, primigenia
e immanente, e
in
questa percezione
consiste il
nesso
fra l'anima umana e
il
corpo>>fi6
62) lbili,n. 252.
63) lbid, n. 250.
54)
Teosofia, cit., III,
p.
11.
65)
Psicologia,
n. 264.
55) Sistema
filosofico,
n. 140.
450 Parte terza
Al
problema
del
rapporto
tra anima e
corpo
strettamente connesso
quello
della
spiritualit
e immortalit
dell'anima,
che il
problema pi
spinoso dellbntologia antropologica.
L'anima muore col
corpo,
come
sembrano
suggerire
le immediate
apparenze, oppure
se ne
vola via e
fa
ritorno alla
patria
beata?
Esiste un
ampio
accordo tra i filosofi che l'anima 0
in toto (Platone) 0
in
parte
(Aristotele)
di natura
spirituale.
Rosmini, assegnando
all'anima
lo statuto di
persona
e
quindi
di un essere
il cui
supposito (soggetto, prin-
cipio
ultimo)
di ordine
spirituale,
si colloca con coloro che affermano la
natura
spirituale
dell'anima umanae
difendonol'immortalit
personale.
L'argomentoprincipale
su cui il Rosmini fonda l'immortalit dell'ani-
ma strutturato sulla
falsariga dell'argomento platonico
dell'affinit
(parentela)
dell'anima Col mondo delle Idee e
dell'argomento agostinia-
no dell'affinit
(parentela)
dell'anima con la Verit. Rosmini deriva l'im-
mortalit dell'anima dalla sua
affinit
(parentela)
con
l'idea dell'essere e
ultimamente con l'essere stesso. Ecco un
paio
di testi in cui viene
propo-
sta
questa argomentazione:
Non essendo l'anima umana
che un
principio
senziente che ha
per
termine del
suo sentire l'ente in
universale",
egli
manifestoche atte-
nendosi
questa
immobilmenteunita all'ente e
questo
essendo
eterno,
semplicissimo,
fuor di
luogo
e
di
tempo,
anch'essa, l'anima,
si fa
par-
tecipe
di tutte
queste
nobilissime
prerogative>>fi7
Abbiamoveduto che i termini
(gli
elementi costitutivi dell'uomo)
sono due,
il
corpo
e l'essere in universale. Ora,
qual
ente straniero
potrebbe distruggere questi
termini dell'ente dell'uomo? Gli enti stra-
nieri sono Iddio e le cose
contingenti.
ln
quanto
a Dio abbiamo
gi
supposto
che
egli
non
annienti alcuna delle
cose
da lui create:
dunque
la distruzione dell'uomo non
pu
venire da Dio. Ma che
cosa
possono
a distruzione dell'uomo le
attivit,
di cui sono
fornite le cose
contin-
genti?
Che cosa
possono
a distruzione dei due termini dell'atto
primo, per
il
quale
l'uomo ? Il
corpo
dell'uomo, uno dei
termini,
e
un
complesso
di elementi
organici
nel
pi perfetto
modo
specifico,
e
cosi individuati. Ora le forze della natura
possono
discioglierequesta
organizzazione,
e
quindi distruggere
con essa
il sentimento animale
proprio
dell'uomo. Ma sull'essere universale tutte le forze della natu-
ra nulla
possono;
perocch
l'essere universale e
impassibile,
immuta-
bile, eterno,
n
soggiace
all'attivit di alcun ente.
Dunque quella
virt,
colla
quale
l'uomo intuisce l'essere
universale, non
pu perire.
Ma
questa
virt,
questo primo
atto l'anima
intellettiva;
dunque
l'a-
nma intellettiva non
pu
cessare di esistere nella sua
propria
indivi-
dualit,
giacch
ha la realt sua
propria
che la
individua;
il che vol-
garmente
si
esprime
dicendoche in1mortale>>f=5
67)
Antropologia,
n. 820.
63)
Psicologia,
n. 679.
Antonio Rosmini:
una nuova
nzetafisica
dell'essere
451
Fin
qui
abbiamo esaminato la
risposta
del Rosmini al
primo
interro-
gativo:
Chi l'uomo? Passiamo
ora
al secondo: Chi Dio?
LA TEOLOGIA NATURALE
Della
questione
di Dio si
occupa
la
teologia
naturale. Essa si
distingue
dallmtologia. Questa tratta dell'ente considerato in tutta la
sua estensione
cos come conosciuto dall'uomo: tratta dell'ente nella sua essenza e
nelle tre forme in cui l'essenza
dell'ente,
la
forma ideale,
la
forma
reale e la
forma
nmrale. Invece la
teologia
naturale <<tratta dell'ente
come in
s,
in
quanto
la mente nostra si
accorge
che
l'ente, oltre
a
quella parte
che
a noi si
manifesta, via
pi
si
estende; tratta insommadell'essere
assoluto,
di Dio.69
Nella
teologia
naturale Rosmini studia
l'esistenza, la
natura, gli
attri-
buti
e le
operazioni
di Dio. Grande l'attenzione che il Roveretano
pre-
sta al
problema
dell'esistenza di Dio. In
effetti,
dopo
che Hume e Kant
avevano sostenuto che alla
ragione

preclusa ogni possibilit
di dimo-
strare l'esistenza di
Dio,
questo problema
che nella filosofiamedievale
e
moderna
era stato
agevolmente
risolto
o con
prove
a
priori
(Anselmo,
Cartesio,
Spinoza, Leibniz) o a
posteriori (Tommaso, Scoto, Locke), era
diventato
particolarmente
arduo e
spinoso.
Rosmini
consapevole
del-
l'importanza dell'argomento
e della
sua difficolt
non cess di cimentar-
si in mille modi in molti suoi
scritti, tanto che
qualcuno
ha
potuto
scri-
vere
che in Rosmini si avverte Yassillo dell'esistenza di Dio. In effetti il
Roveretano
non si stanca
mai,
qualunque
sia
l'argomento
che sta trat-
tando,
di mettere in rilievo
nuove formulazioni raziocinative
riguardan-
ti l'esistenza
dell'Assoluto, onde
spesso
ricorre,
col tono entusiasta del
ricercatore
appassionato,
Yesclamazionesoddisfatta:
ecco una nuova
prova!
Lo stesso assillo
quand'era
ancora
giovane
l'aveva indotto
a
pro-
porsi
di ricercare
e di accumularetutte le
prove
dell'esistenza di Dio che
erano state formulate dai filosofi
e
che
comunque
si
potessero
formula-
re,
convinto com'era che
ogni
processo argomentativo
portasse
nuovi
elementi al discorso sullEssere assoluto?
Rosmini esclude
categoricamente
che l'uomo abbia
una intuizione
diretta di Dio. L'ente che noi naturalmenteintuiamo
illimitato,
perch
l'essenza stessa dell'ente
ma non e tuttavia l'ente
assoluto,
perch
l'in-
tuizione non
coglie
l'essenza dell'ente
se non sotto una delle
sue tre
forme,
la forma ideale
(...).
L'ente
dunque
nella
sua totalit
e
pienezza
non dato naturalmente
all'esperienza dell'uomo,
l'uomo
non
pu
sa-
59) Sistema
filosofico,
n. 176.
7) Cf. F.
PERCIVALf-, L'ascesa naturalea Dio
nellafilosofla
di
Rosmini, Roma 1977.
71) Cf.
Teologiagiovanile.
452 Parte terza
pere
come
egli
sia,
bench
egli possa sapere
che in una
guisa
travalican-
te l'umana
intelligenza.72
Rosmini non
nega
il valore delle
cinque
vie di S. Tommaso ma
pensa
che in fondo,
gli argomenti
a
posteriori
si tondino su un
principio
a
priori,
poich quegli argomenti
hanno valore se sono
validi i
principi,
i
quali
non
possono
derivare
dall'esperienza,
altrimenti essi,
che sono la condi-
zione della conoscibilit,
deriverebberodal condizionato,e non
avrebbe-
ro
che un
Valore
soggettivo.
Le dimostrazioni a
posteriori
hanno
dunque
la loro base in
un
principio
cli
ragione
evidente in se stesso. Di fatto su
questo punto
non esiste nessun
disaccordo con S. Tommaso,
il
quale
riconosce ovviamente
il valore assoluto e
quindi
a
priori
dei
principi
su
cui fonda le
cinque
vie. Ma non
per questo
le sue
vie diventano a
priori:
perch
il
punto
di
partenza
non
e un
principio,
ma un fatto, un
fenome-
no
suscettibiledi
esperienza
sensibile.
Tra le tante vie elaborate dal Rosmini le
pi
note sono
quelle
che
egli
propone
nel Sistema
filosofico,
che sono
quattro.
La
prima parte
dall'es-
senza dellente intuito,
che eterna e necessaria;
la seconda dalla
forma
ideale,
che a sua
volta un
oggetto
eterno;
la terza dalla
forma
reale,
in
quanto
contingente;
la
quarta
dalla
forma
morale che
legge
eterna,
necessaria,
assoluta.
Leggiamo
insieme
queste quattro
argomentazioni:
La
prima
dall'essenza dell'ente che si intuisce: dimostrando che ella
non nulla, ma cosa eterna e
necessaria. Ora non
potrebbe
essere
tale sella non sussistesse identica
anche sotto la forma di realt e
di
moralit. Ma l'essenza dell'ente infinita;
ed essa
esistente sotto le tre
forme l'essere da
ogni parte
infinito,
assoluto Dio.
La seconda dimostrazione dell'esistenza di Dio si trae dalla
forma
ideale.
Questa
forma ideale e la luce che crea le
intelligenze,
ed luce
eterna e
oggetto
eterno; dunque
dev'esserci una mente, un
soggetto
eter-
no (...). Quesfessere

dunque
assoluto,
Dio.
La terza
dimostrazione si trae dall'essere reale
percepito
dall'uomo ed

quella
che abbiamoaccennata, con
cui la mente sale dal
contingente
al necessario,
alla
prima
causa e
ragione
di tutto.
La
quarta
dimostrazione si trae dalla
forma
morale conosciuta all'uo-
mo.
Infinita e
insuperabile
l'autorit della
legge
morale,
infinito il
pregio
della virt e
Pignobilit
del vizio.
Questa
forza
obbligante,
questa dignit
della
legge
morale, non nulla,
dunque
ella eterna,
necessaria,
assoluta. Ma nulla sarebbe se
ella non
esistesse in un esse-
re assoluto. L'essenza della santit
appartiene
all'essenza dell'essere,
di cui l'ultimo
compimento;
come
all'essenza dell'essere
apparten-
gono
l'altre due forme. Vi ha
dunque
un essere assoluto,
Dio.73
72) Teodieea, n. 73.
73) Sistemafilosofico,
nn. 178-181.
Antonio Rosmini:
una nuova
netafisica
dell'essere
453
Le
quattro
vie rosminiane
sono tutte basate sulla
dignit,
il
Valore,
Yeminenza
dell'essere in tutte le sue manifestazioni
o forme, ideale,
reale, morale, una
dignit
che lo
pone
al di
sopra
del
pensare
e
dell'agire
umano,
del
quale
l'essere in s il
criterio,
la
misura,
la forma. Perci
l'essere da noi intuito non
un essere
puramente
relativo
alla
mente
intuente, ma
prima
di tutto e necessariamente
un essere in
s, un esse-
re sussistente,
Dio.
Ecco
un altro
testo, uno
dei
pi
belli,
in cui Rosmini
argomenta
la
sussistenza dell'essere
a
partire
dalla intuizione dell'essere ideale da
parte
della nostra mente:
L'essere in
universale,
pensato per
natura dallumana
mente,
di cos
fatta
natura,
abbiamo
detto,
che da
una
parte
non mostra alcuna sus-
sistenza fuori della
mente, e
quindi
si
pu
denominare
essere
logico;
e
dall'altra
ripugna
che sia
una modificazione del nostro
spirito,
anzi
spiega
tale
autorit, a cui il nostro
spirito
interamente suddito: noi
siamo consci a noi medesimi di nulla
potere
contro l'essere,
di
non
poterlo
immutare
menomamente;
di
pi egli
assolutamente immu-
tabile,
egli
l'atto conoscibiledi tutte le
cose, il
fonte di tutte le
cogni-
zioni; non ha nulla che sia
contingente,
come noi siamo: un lume
che noi
percepiamo naturalmente, ma che ci
signoreggia,
ci
vince,
ci
nobilitacol sottometterci interamente a s. Oltracci noi
possiamo
pensare
che noi
non fossimo; sarebbe
impossibile
che l'essere in uni-
versale, cio la
possibilit,
la verit
non fosse. Avanti a me
il
vero fu
vero,
n
pot
mai
essere un
tempo
che fosse altro che cos. E
questo
nulla? No
certamente: che il nulla
non mi
costringe,
non mi necessita
a
pronunziar
nulla: ma la natura della verit che
risplende
in
me,
mi
obbliga
a dire: "Ci
", e ove io non lo volessi
dire,
saprei
tuttavia che
la
cosa sarebbe
egualmente,
anche
a mio
dispetto.
La verit
dunque,
l'essere, la
possibilit
mi si
presenta
come una natura
eterna, necessa-
ria,
tale contro a cui non
pu
alcuna
potenza
che
valga
a disfare la
verit (...). Questo
fatto
dunque
della
verit,
che mi sta
presente
ed
il mio lume intellettuale mi dice:
l)
che vha
un effetto in me che
non
pu
essere
prodotto
n da
me
stesso,
n da
nessuna causa finita;
2)
che
questo
effetto l'intuizione di un
oggetto
a me
presente,
che
intrinsecamente
necessario, immutabile,
indipendente
dalla mia
mente
e da
ogni
mente finita.
Questi
due elementi mi conducono
per
due Vie a conoscere l'esistenza di Dio>>.74
In
breve,
la trascendenza dell'essere
(e
della
verit)
rispetto
all'uomo
attesta chiaramente che il
suo fondamento si trova altrove: nell'essere
sussistente, necessario, assoluto,
eterno,
Dio.
L'argomento
rosminiaruo
,
palesemente, una
parafrasi
del celebre
argomento agostiniano
basato sulla
verit,
che essendo
superiore
a noi,
non
pu
trarre
origine
che da Dio
stesso,
col
quale
si identifica.
74) Nuovo
Saggio, III,
Roma
1934,
pp.
268-269.
454 Parte terza
L'argomento
del Rosmini, come lo stesso
argomento
di
Agostino,
non
pu
essere
classificato tra
gli argomenti ontologici
(di
Anselmo,
Carte-
sio,
Spinoza,
Leibniz).
Infatti non
costruito sulla definizionedi Dio
(il
massimo,
ci di cui non si
pu pensare
nulla di
pi grande,
il
perfetto
ecc.),
bens su un
fenomeno: la manifestazionedell'essere (della
verit)
alla nostra mente, una
manifestazione
che
esige
una
ragione,
una causa
adeguata.
Per
questo
motivo Rosmini si richiama
apertamente
al
princi-
pio
di causalit. Esiste una causa
che manifesta una
virt infinita, e
che
perci
deve essere
infinita.75Ciononostante,
Rosmini
pretende
che l'esi-
stenza
di Dio si
argomenti
a
priori
anche se non
per
se nota:
"Dio esiste si deve dire dimostrabilea
priori,
ma non
per
s
nota,
per-
ch ha
bisogno
di un'altra
proposizione
precedente
nella mente nostra,
dalla
quale
e colla
quale
si
argomenti;
bench non
abbia
bisogno
di
essere
dedotta a
posteriori
dalle notiziericevute dai sensi esterni.7?
La
ragione per
cui il Roveretano ritiene di
poter
considerare la sua
di-
mostrazione a
priori
e non a
posteriori
che l'idea dell'essere da cui
pren-
de il via
Pargomentazione
non ricavata
dall'esperienza
sensitiva, ma
il frutto di unntuizione
immediatae
originaria
della nostra mente.
Oltre
all'argomento
fondato sull'idea dell'essere che in Rosmini
l'argomento principe,
il Roveretano talvolta
presenta
anche
un
altro
argomento
originale,
che e
perfettamente
in linea con
la sua
psicologia,
dove, come
si
visto,
oltre all'idea dell'essere c' anche un
altro concetto
importante,
il "sentimento
fondamentale" del
proprio
esistere. Su
que-
sto concetto Rosmini basa
quella
che
egli
stesso
chiama
prova
di senti-
mento. In che consiste la
prova?
Nella concatenazione
necessaria del sen-
timento del nostro esistere,
che
non
possiamo
non
avvertire che come
limitato e
contingente,
con
lesistere di colui che,
possedendo
l'essere
pienamente
e
identificandosi con l'essere stesso,
d conto del nostro esi-
stere. Grazie a
tale sentimento l'esistenza di Dio diviene
per ogni
uomo
la
pi
facilee
luminosa verit.
Mentre la
prima
via di
tipo
"ontologico
e a
priori,
la seconda
-
quella
fondata sul sentimento
-
chiaramente di
tipo antropologico
e a
posteriori.
Ad
ogni
modo sia attraverso
l'idea dell'essere sia attraverso
il
sentimento
del
proprio
esistere non
v' dubbio che
per
Rosmini l'uomo
pu
rendersi facilmenteconto
- razionalmente
dell'esistenza di Dio.
Di tutt'altro
genere
la conoscenza
che l'uomo ha della natura
di
Dio. Su
questo punto
Rosmini condivide la
posizione
della
teologia
ne-
gativa
di
Agostino
e
dello Pseudo
Dionigi.
Nel Sistema
filosofico
il Rove-
retano scrive: Di
questo
Essere assoluto che non intuiamo,
che non
per-
75) lbid.
76) Teosofia
I,
Roma 1938,
p.
217.
Antonio Rosmini: una nuova
metafisica
dell'essere
455
cepiamo,
nulla
possiamo sapere
cli
pi
di
quanto
ci mostra la stessa esi-
genza
della
cognizione
che
possiamo
avere
di Dio nell'ordine naturale:
e
perci
la
cognizione
nostra della divina natura si
potrebbe
chiamare
ne-
gatiVa-ideale.
La stessa tesi viene ribadita nella
Teosofia
dove
leggiamo:
Riguardo
alla mente
umana,
questa
nella
presente
vita non intuisce
Flssere
assoluto, ma se ne
forma
un concetto
per
via di determinazio-
ni
logiche,
concetto vero ma
negativo.
Con
questo
concetto
dunque
si
pu
definire lEssere assoluto in modo che
non si confonda con nes-
sun altro. E
poich
ci che si
esprime
nella definizione della cosa
l'essenza
(...)
perci
l'uomo conosce in
qualche grado
l'essenza di
Dio. Ma
questa
essenza
puramente logica
e
negativa;
tuttavia non
falsa,
perch
ci che ha di limitato e difettoso non
pu ingannare, per-
ch l'uomo ne riconosce il difetto?
Un'accusa da cui Rosmini si
sempre
difeso
quella
di
ontologisrno.
Secondo i suoi
avversari, se si attribuisce
all'uomo, come
fa il Rovereta-
no,
un'intuizione dell'essere
ideale,
bisogna
ammettere che l'uomo co-
nosce direttamente Dio. Fin dal
1830,
nel Nuovo
saggio sull'origine
delle
idee Rosmini
precisa
come si debba
negare
che l'essere dato immediata-
mente alla mente
possa
identificarsi con Dio: Se codesto si
dispiegasse
in modo
pi
manifesto dinanzi alla nostra
mente,
facendoscaturire dal
proprio
fondo la
propria
attivit, e con ci si terminasse e si
compsse,
noi vedremmo Dio.
Ma,
ben
lungi
da
ci,
noi non vediamo naturalmen-
te l'essere
se non
in modo
imperfetto,
e
la
sua attivit inizialeci nascon-
de il
suo terminewfi
Tra l'essere ideale indeterminato all'essere reale infinito non esiste
nessun
passaggio
immediato: c'
bisogno
del
ponte
dell'essere reale fini-
to,
e
questo
solo un simbolo e non uno
specchio
dell'essere reale infini-
to. Scrive il Rosmini nella
sua
Teosofia:
(L'essere ideale) contiene il reale virtualmente nei
propri
visceri, e
questo
basta a fare
ch'egli
si
possa
comunicare, e a dare indiziodella
necessit del reale
corrispondente;
ma non
basta
a
fare che si
percepi-
sca attualmenteil reale stesso.
Contenere nei
propri
visceri virtualmente il
reale, e averne in s la
ragione,
viene al medesimo.
Quindi
che sabbia nel solo reale un
punto
nel
quale
la mente
appoggiandosi
si
pu
slanciare a indovina-
re,
per
cos
dire,
che
un reale
corrispondente
all'ideale debba
esistere,
bench non lo
percepisca,
n
sappia
determinarne le
positive qualit.
Ma la mente
per
non
pu
elevarsi a tale
induzione, se
prima
non
messa in movimento e se non
ha conosciuto
per esperienza qualche
reale finito. Vi
dunque
nellideale
una cotal scienza di
semplice
indi-
cazione
(...)
del reale: scienza che noi diciamo
negativa, perch
non sa
77) lbld.
V, 1939,
p.
88.
75) Nuovo
saggio,
n. 1179.
456 Iarte terza
indicarele
positive qualit
del
reale,
di cui
per quasi
divina la neces-
saria
esistenza
(...).
E
dunque
da conchiudersi che l'essere reale infinito non
pu
essere
percepito
da
nessun essere
finito
per
sua
propria natura; ma solo l'in-
finito reale
pu percepire
se stesso
per
sua natura. Se
dunque
l'essere
finito
percepisce
il reale
infinito, non
pu percepirlo
che
come cosa
strana alla sua natura e
perci
come cosa
sopraggiunta
e
datagli
altronde. E
questo

quello
che
insegnano
anco i
teologi
cristiani
quando
dicono che niun essere finito
pu
vedere Iddio
per
natura,
ma
solo
per grazia>x79
Escluso
dunque
che
l'oggetto
clellintuito naturale sia
Dio,
Rosmini
passa
a vedere
quali possano
essere le
cognizioni
che noi ci
procacciamo
naturalmentedi
questo
Essere
superiore
alla natura. Per risolvere
questo
problema
la
maggior
parte degli
Scolastici aveva fatto
appello
al
princi-
pio
del!
analogia.
E
quello
che fa anche Rosmini.
Per ci che
riguarda
la conoscenza
di Dio il Roveretano
distingue
tre
fonti: la
rivelazione,
la creazione e
il
ragionamentoontologico".
In tutti
e tre i casi si tratta di
"cognizioni analogiche.
Secondo Rosmini la "via
tortuosa"
dell'analogia comprende
due
momenti, uno
positivo
e uno
negativo.
Nel
primo
si
ragiona
di Dio colle idee
imperfette
e analogiche
cavate dalle
contingenti
nature,
le sole che abbiamo. Nel secondo si
riconosce che
questo
nostro discorso
imperfetto,
limitato,
inadeguato,
senza
poterlo
tuttavia mutare in un
altro
perfetto,
illimitato,
adeguato
al
grande argomento>>fi0
A
sostegno
di
questa
sua
interpretazione
della
dottrina
dellanalogia
- che
un'interpretazione
riduttiva
rispetto
alla
dottrina dionisianae tomista,
che al momento
positivo
e
negativo
affian-
ca un terzo
momento,
quello
eminenziale- Rosmini analizza idee
quali
sapienza,
bont,
potenza ecc.,
e
giunge
ai
seguenti
risultati:
Non avendo noi
quaggi
altro mezzo di conoscere che l'uso di
quel-
le
idee, siamo costretti di tentare di
conoscere con esse
anche
Dio, e in
parte
lo veniamo a conoscere veramente, perch sopraggiunge
il
ragionamentoontologico,
il
quale
ci dice che ciascuna di
quelle perfe-
zioni che
sono
separate
fuori di
Dio,
in Dio sono lo stesso Dio
(...).
Ma
il
ragionamento
ci dice che cos dev'essere
rispetto
al1Essere
supre-
mo,
non ci
spiega per
come ci sia, vale a dire non ci mostra nessuna
perfezione sussistente;
onde ci dice
quello
che Iddio
non , ma non ci
dice
gi quello
che : "una
sussistenza,
che nella sua
semplicit
rac-
chiude ci che ha la
specie
e
il
genere";
non ci
mostra, non ci fa
perce-
pire, pensare
una tale
sussistenza,
pi
che la definizionedel colore lo
faccia
pensare
al
cieco;
ci mostra i
termini, ma non
il loro
nesso,
nel
quale
consiste l'essere divino>>fi
79)
Ttosrfia
V,
Roma
1939,
p.
379.
5)
Psicologia
III, Milano
1949,
pp.
23 ss.
m) lbid,
pp.
25-26.
Antonio Rosmini: una HHOUH
metafisica
dell'essere
457
Bench la
conoscenza
che l'uomo ha di Dio sia estremamente
povera,
limitata e
sostanzialmente
negativa, egli
sa
comunque
che Dio non
pu
essere
privo
di
quelle potenze spirituali
di cui
egli
stesso dotato,
l'in-
telletto e
la volont e di una
lunga
serie di
perfezioni
come la
sapienza,
la
bont,
la
bellezza,
l'essere
stesso,
la
semplicit,
l'eternit,
l'infinita
ecc.
Di tutte le
operazioni
divine,
in
qualsiasi
sistema metafisico,
quella
che conta
maggiormente
la creazione.
Questa operazione
il risultato
dell'amore di Dio ad
extra, verso
le
creature, un amore
che
presuppone
un atto della divina
sapienza,
che
predispone
un
esenzplare
del mondo
che intende creare. Ecco come Rosmini descrive i due momenti,
della
concezionee
della realizzazionedella creazione:
Abbiamodetto che
(la creazione)
l'opera
della libert creatrice di
Dio. La libert creatrice una virt, un
potere
dell'Essere assoluto
nella sua
forma subiettiva. ljlssere assoluto nella
sua
forma subietti-
va ama
infinitamente se stesso inteso nella sua
forma obiettiva:
l'Essere ama
infinitamente l'Essere.
Quesfamore
lo
porta
ad amar
l'essere in tutti i modi nei
quali
amabile,
nei
quali pu
essere amato.
Per amarlo in tutti i modi
egli
fama non
solo come Essere assoluto e
infinito, ma
anche come essere
relativo e finito:
questirnore
l'atto
creativo. Crea
dunque
a se stesso un
oggetto
finito
amabile,
per
le-
spansione
dell'amore e
questo
il Mondo. Per crearlo deve:
1, conce-
pirlo,
s
perch questo principio
creativo
intelligenza,
s
perch
non
si
pu
amare
quello
che
non s'intende; 2, realizzarlo, perch
se non
fosse realmente in s
l'oggetto
dell'amore non esisterebbe, ma solo
sarebbe
possibile,
e ci che si ama visto nella sua
possibilit,
si Vuole
che esista.
Quindi
i due elementi dell'essenza e
del
reale,
nati a un
parto
e formanti
gli
enti mondialbzfi?
Nel
primo
momento Dio vede in
se stesso ab aeterno l'essere
finito,
tutto virtualmente in
esso
compreso.
Questa
visione dell'essere finito nel-
l'infinitonon ancora l'atto liberodella
creazione, ma
appartiene
all'atto
necessario della divina
intelligenza
con cui conosce
l'essere finito
possi-
bile: l'atto
con cui la Mente divina
concepisce l'esemplare
del
mondo,
ossia il
complesso
delle
essenze
delle
cose
finite. Successivamente la
libert
divina,
"guidata
dall'amabilitdell'essere limitato
procede
alla
creazione del mondo.
RAPPORTI TRA L'UOMO E DIO
I
rapporti
che intercorrono tra l'uomo
e Dio sono di tre
generi:
onto-
logici,
etici,
religiosi.
32)
Teosofia
II,
ed.
cit., n. 460.
458 Parte terza
Al
gruppo
dei
rapporti ontologici appartengono quelle grandissime
espressioni
dell'amore divino che si chiamano creazione, conservazione,
provvidenza
e redenzione. Per
ogni uomo,
che un
sussistente nell'or-
dine dello
spirito,
Dio nutre un amore
personale.
Come si visto Rosmi-
ni sottolinea
l'aspetto agapico gi
nell'atto
creativo, ma
lo evidenzia an-
che in tutti
gli
altri
rapporti
che Dio ha
con
l'uomo.
L'uomo ha
rapporti
etici
gi
con se stesso e con
il
prossimo,
ma
il
rap-
porto
etico
pi importante

quello
che ha
con
Dio. Norma fondamenta-
le della morale rosminiana il riconoscimentodell'essere.
Ora,
tale rico-
noscimento massimamente
esigente
nel
caso
di
Dio,
che l'Essere
sus-
sistente stesso. A lui l'uomo oltre che riconoscimento deve obbedienza.
Facendola volont di Dio l'uomo
progredisce
verso
la
piena
realizzazio-
ne del
proprio
essere.
Ancora
pi
intimamentel'uomo si unisce a Do mediante i
rapporti
re-
ligiosi.
Questi
si
esprimono
nel
culto,
nella
preghiera,
nelladorazione,
nel sacrificio.
La
religione
un
dovere di
giustizia
che la creatura ha
verso
il
suo
creatore, ma
acquista
un carattere ancora
pi
nobile
quando
viene corro-
borata dalle virt cristiane della
fede,
speranza
e carit. Grazie a
queste
virt l'uomo viene interiormente
ontologicamente
trasformato, e viene
introdotto in
un
mondo
nuovo,
il mondo
soprannaturale.
La
religione
stessa
passa
dall'ordine naturale all'ordine
soprannaturale.
Come
spiega
il Rosmini
nellflirztropoiogia soprannaturale,
l'elemento che
specifica
una
religione soprannaturale rispetto
a tutte le
religioni
naturali,
consiste in
una
azione reale che Dio stesso
opera
nello
spirito
dell'uomo, con-
giungendo
lo
spirito
umano a intima e reale unione con
la divinit.
Quest'azione
divina
reale,
che l'uomo riceve nellessenza dell'anima,
dove
essa
produce
un
principio
attivo nuovo
"supremo,
nobilissimo,
potentissimo",
la
grazia.
Il
primo
atto della
grazia
la
fede,
la
quale,
secondo
Rosmini,
risulta
composta
dalla
percezione
divina
incipiente
e
dall'assenso della volont
umana.
La
grazia
ha
un
modo di
operare
deiforne:
essa cio, non
solo ha
per principio
Dio, ma essa stessa e
il suo
termine Dio.
Dio,
poi, opera
nell'anima umana come causa
formale
oggettiva; egli,
cio,
forma
oggettiva
dello
spirito
elevato allo stato di
grazia,
non
gi
COl
suo
modo ideale ma
si bene con se stesso imme-
diatamente,
colla sua
propria
sostanza.83
Qui non
ci
possibileseguire
il Rosmini nella
sua
dotta e interessan-
tissima analisi della vita dell'anima elevata all'ordine
soprannaturale.
Ci
basti
leggere
insieme la
pagina
in cui
egli
stesso riassume
questa parte
dell'Antr0p0l0gia soprannaturale:
83)
Antropologia soprannaturale,
Roma 1983,
p.
131.
Antonio Rosmini: una nuova
metafisica
dell'essere
459
L'essere nell'uomo naturalmente si trova in
uno stato molto
imper-
fetto,
cio a dire l'uomo fino che
non
oltrepassa
l'ordine della natura
non vede l'essere che
imperfettamente,
inizialmente,
in un modo uni-
versale, indeterminato, senza una sussistenza in s e
perci
come
pos-
sibile.
Quesfessere
possibile
e indeterminatoche l'uomo vede
per
na-
tura e
che
applica poi
ai sentimenti l'abbiamochiamato "issere idea-
le" ovvero "modo ideale dell'essere".
L'essere nell'uomo
prende
un nuovo stato allorch l'uomo vien solle-
vato dall'ordine naturale all'ordine
soprannaturale: quesfessere
opera
nell'uomo non
pi
in un
modo
puramente
ideale, ma in un
modo sostanziale e reale,
l'uomo
prova
allora un vero sentimento non
pi
una tenue idea,
prova
l'azione dell'essere reale che si manifesta in
tal modo
a lui
presente;
non
pi
solo la
possibilit
indeterminata
dell'essere che ha in
s, ma la sussistenza medesima: insomma allora
l'idea si
cangia
in
percezione.
L'essere reale che
percepisce
l'uomo in
un
tale stato non
per
limitato, ma bens determinato dalla
pro-
pria
sussistenza, non
possibile
ma tuttavia universale in
quanto
il
tutto in lui si
trova, non e inizialema anzi
completo.
Quesfessere
completo
e
reale Dio
stesso,
il
quale
a
questo
mondo non si mostra
se non in un
cotal modo
velato; e
solo nell'altro si Vede svelatamente
e con
pienezzam
Con la
pratica
delle virt
soprannaturali
della
fede,
speranza
e Carit
l'uomo si unisce
sempre pi
intimamentea Dio e si avvicina al
traguar-
do della felicit
eterna, un
traguardo
dove tutto Amore. Ecco come
il
Rosmini
descrive,
in una
pagina
lirica,
il
traguardo
della beatitudine
eterna:
Di che si Vede
quale
ruota di
perpetuo
movimento luminoso
e
gau-
dioso si
giri
nell'anime beate di
quei
santi che hanno in se stessi la
Trinit.
Imperocch
l'Amore
sempre
in attivit dentro essi a contem-
plare
la
Sapienza,
nella
quale
si vede il
principio
di lei come
infinito
e
necessario: alla vista del
quale
l'anima si
congiunge pi
ed tratta
alla
sapienza
sussistente che
emana
di s un Amore
infinito,
il
quale
ritorna a
riflettersi in
quella sapienza
che lume che mostra l'eterno
primordiale principio
altissimo il
quale operando perpetua questa
dilettosa vicenda e
quasi
ondulazione di recondito
e secretissimo
godimento.
Conciosiachla fede
negativa
della Trinitche s'ha
per
la
rivelazione esterna non ancora
l'immensa azione interiore e
il
posi-
tivo sentimento delle
persone
divine. Ma allora
quando
lo
Spirito
da
principio operando
d l'efficaciaa
quelle
idee
negative
che
gi
in essa
erano, "per
la rivelazione
esterna", un tutto veramente
positivo
si
percepisce,
tosto
gi
comincia
quella perpetua
azione e
circolare
rivolgimento
dei "trini" forme che una
cotal
partecipazione
ineffa-
biledella vita di Di0.35
84)
Ibid,
p.
278.
65) 11nd,,
p.
226.
460 Parte terza
Cos il circolo dell'umana avventura che si snoda attraverso lvzitus e
il rcditus si consuma alla
fine,
grazie
all'azione redentrice del
Cristo,
nel
circolo
agapico,
e
infinitamente
gratificante,
della Santissima Trinit.
Conclusione
Verit e amore: su
questo
binomio
specificamente
cristiano,
Antonio
Rosmini ha
operato
un
profondo
rinnovamento della filosofia
cristiana,
in
dialogo
con
la cultura moderna.
Senonch ai suoi
tempi
la
sua
fatica
non
fu
apprezzata
n dentro n
fuori la Chiesa. La
sua
fu la
voce
"di chi
grida
nel deserto". Di
fatto,
pro-
prio
nel momento in cui Rosmini
compiva
il
suo
coraggioso
tentativo,
la
cultura
moderna, sotto le durissime critiche di Marx e
di Nietzsche,
si
stava
rapidamente sgretolando
e
dissolvendo.
Non
pu perci
costituire una
sorpresa
se
la
nuova
filosofia cristiana
del Rosmini non
ebbe
un'accoglienza
favorevole da
parte
di
un
mondo
laico
sempre pi
secolarizzato
e avviatoa una scristianizzazionemassiccia.
Ci che
sorprende
e
talvolta scandalizza
gli
storici e l'ostilit
con
cui
Rosmini fu accolto
negli
ambienti cattolici. Nei suoi confronti si deline
ben
presto
unaccentuata
opposizione,
e si
svilupp
cos la cosiddetta
questione
rosminiana". Le
prime
sue
opere
erano state accolte
con sim-
patia negli
ambienti ecclesiastici:
Gregorio
XVl,
approvando
l'istituto
della Carit
(1839),
presentava
Rosmini, tra l'altro, come uomo "rerum
divinarum
atque
humanarumscientia
summopere
illustrem. Ma la
sua
critica al
probabilismo
morale
(nel
Trattatodella
coscienza),
l'aria di novit
e
certi
atteggiamenti politici troppo
liberali",
parvero
un'offesa alla tra-
dizione. La
prima
fase
polemica
tra
seguaci
e avversari del
Rosmini,
nel
campo
ecclesiastico,
si ebbe
negli
anni
1840-43, e termin con un
decreto
di
Gregorio
XVI che
imponeva
silenzio a tutti i contendenti. Ma venne
ripresa
nel
1849,
prendendo
lo
spunto
dalle vicende
politiche
e
dalla
condanna all'Indice di due
opere
rosminiane: Delle
Cinque piagghe
della
Santa Chiesa
e Costituzioni? secondo la
giustizia
sociale. Nel 1851 Pio lX
avoc a s l'intera
questione,
e
dopo
un accurato esame
di tutte le
sue
opere,
nel 1854 le ammise alla lettura dei fedeli con
la formula Dimit-
tantzir,
vietando di
ripetere
le vecchie
accuse
al Rosmini e
di
accamparne
delle
nuove. La
polemica per riesplose
sotto il
pontificato
di Leone
XIII,
dopo
la
pubblicazione
di alcune
opere postume,
e cos nel 1888
usciva
un nuovo decreto della
Congregazione
del S.
Ufficio,
Post
obitum,
in cui 40
proposizioni,
29 tratte dalle
sue
opere postume
e
11 dalle ante-
cedenti,
segnalate
ad
essa, perch
catholicaeveritati haud consonae
Videbantur",
venivano
proibitefi
3h) Cf. il DTC lll, col. 2929
ss.,
che fornisce il testo
completo
delle
proposizioni proibite.
Antonio Rosmini. una nuova
metafisica
dell'essere 461
Sul valore
e
sul
significato
di
quel
decreto molto si
discusso, con
interpretazioni rigide
e restrittive da
parte degli
avversari del
Rosmini, e
con
interpretazioni pi aperte
e
inclulgenti
da
parte
dei suoi difensori.
Le
indagini pi
recenti sembrano
giustificare
la tesi di coloro che affer-
mano
che anche
quelle proposizioni
che
potevano
sembrare
persino
ete-
rodosse,
si
possono interpretare
secondo un
significatopienamente
orto-
dossofi?
Per noi
qui
la
questione
rosminiana" conta molto
poco.
In una storia
della
metafisica, come
quella
che andiamo ricostruendo,
le cose
che inte-
ressano,
in
definitiva, sono soltanto due:
1)
il
posto
che
occupa
Rosmini
in
questa
affascinante
storia,- 2)
il
rapporto
della metafisica del Rosmini
con
quella
di Tommaso
d'Aquino.
Riguardo
al
primo punto,
non c' dubbio che il
posto
che
occupa
Rosmini molto
importante.
Anzitutto
perch
Rosmini l'unico
grande
metafisico del secolo
XIX,
l'unico che abbia avuto il
coraggio dopo
Kant
di affrontare nuovamente il
problema
dell'essere. In secondo
luogo per-
ch riuscito a farlo in modo
originale,
elaborando una
ontologia
triadica,
che
presenta
l'essere sotto una
triplice
forma
(ideale, reale, morale) e
assegnando
la stessa
dignit
a ciascuna forma.
Ci che caratterizza una
metafisica
sempre
il
principio primo
che
funge
da base all'intero edificio. ll filosofo Roveretano non costruisce il
suo
edificio sull'Uno o
sul Bene, o
sul
Vero, o su1l'Infinito, o sulla So-
stanza, ma
direttamente sull'essere,
cos come avevano
fatto
Parmenide,
Aristotele e Tommaso
d'Aquino.
Ma mentre i suoi illustri
predecessori
avevano
costruito tutto l'edificio sulla
forma
reale
dell'essere,
Rosmini rin-
nova
l'edificiometafisico
ponendo
a
fondamento l'essere
trino,
ossia le tre
forme
primarie
dell'essere. In
questo
modo il Roveretano d alla
sua
"enciclopedia
filosofica"una
profonda
unit, incorporando praticamente
l'ideologia
nella metafisica e
facendodella morale una
necessaria
appen-
dice della metafisica: infatti l'essere non
pu
non essere
conosciuto (ideo-
logia)
e non
pu
non essere amato (morale).
Pi che
per
la sua
ideologia
e
per
la
sua morale,
Rosmini
grande
e
originale per
la sua
metafisica.
Questo
e il
punto pi
forte e
pi
robusto
di tutto il
suo
pensiero,
e non
l'ideologia,
come
spesso
si crede.
Direi,
anzi,
che
l'ideologia
il
suo
punto pi
debole e meno
originale.
-
L'ideologia
rosminiana chiaramente di
stampo agostiniano
e bona-
Venturiano,
i due
grandi
sostenitori della dottrina della illuminazione
che
pertanto poteva
vantare una
prestigiosa
e nobile
paternit
che la
rendeva
degna
di
rispetto
anche
agli
occhi della filosofiatomista.
37)
Cf. C.
FABKO,
L'enigma
Rosmini,
Napoli
1988.
462 Parte terza
Ora, mentre indubbiamentevalida la tesi che afferma che lidea del-
l'essere l'idea
primi genia, primordiale,
la
prima
che si affaccia all'intel-
ligenza umana,
tanto che in un certo senso si
pu
dire che
essa accende
la luce della nostra
intelligenza,
rimane,
per
contro,
dubbia la
spiegazio-
ne (di
Agostino,
Bonaventura, e Rosmini)
che Vuole che
questa
sia un'i-
dea
innata,
frutto cli
una
illuminazioneesterna della nostra
mente,
la
quale
di fronte a tale idea si
comporterebbe
in modo totalmente
passivo.
Questa
spiegazione,
che
nega
lattivit dell'intelletto
proprio
nel
momento in cui
prende
il via la
conoscenza intellettiva, mentre
procura
allintelletto un
pi
sicuro accesso alla
conoscenza della
verit,
opera
una
grave
detrazione nei confronti della sua
grandezza
e della sua auto-
nomia. Rosmini
spos questa
soluzione
perch
voleva assecondare Kant
nella tesi
dellapriorit
di alcune idee
(categorie)
fondamentali, ma
allo
stesso
tempo
Voleva liberare
questa
tesi
dallpoteca
del
soggettivismo
kantiano.
E, cos,
la teoria della illuminazione
gli
parve
un'ottima solu-
zione.
Ma,
ripeto,
non sta
qui
n la
grandezza
n
l'originalit
del Rosmini.
Riguardo
il secondo
punto,
cio i
rapporti
tra Rosmini e S.
Tommaso,
c' un forte contrasto tra
gli
studiosi. Rosmini
conosceva abbastanza be-
ne S. Tommaso e lo cita abbastanza
spesso.
Per una delle
ragioni
della
condanna del Roveretano sta in un contrasto, a
prima
vista abbastanza
netto,
tra le sue
posizioni
e
quelle
del Dottore
Angelico.
Una
strada,
che stata abitualmente
percorsa,
dai
seguaci
e
dai difen-
sori del
Rosmini,
per provare
lortodossia del suo
pensiero,
stata
quel-
la di metterlo
a confronto
con il
pensiero
di S.
Tommaso, e
di mostrare
un sostanzialeaccordo di S. Tommaso con Rosmini
(G. Muzio).
Questo
cammino
pu
sembrare
intelligente
e fruttuoso, ma a mio
avviso e un cammino errato e tutto sommato anche
controproducente.
ll tentativo di salvare Rosmini cercando i suoi
punti
di contatto con
S. Tommaso abbastanza
comprensibile, perch
S. Tommaso il doctor
commzmis,
riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa
come tale e additato
sempre
ad
esempio
a tutti i
pensatori
cattolici, in
quanto
riuscito a
dare di
ogni
verit
una
spiegazione
razionale convincente e
plausibile.
Cos e
parso logico
ai
seguaci
di
Agostino,
Bonaventura, Scoto e Rosmi-
ni, cercare
di mostrare che il
pensiero
di
questi
eccellenti
pensatori
cri-
stiani coincide sostanzialmente
con
quello
di S. Tommaso.
Ora
questo
verissimo
per quanto
attiene la
teologia:
sono tutti teolo-
gi
ortodossi e maestri
insigni
della ortodossia cattolica. Ma
non si
pu
dire altrettanto della
filosofia,
la
quale,
come
sappiamo,
una libera
spe-
culazione della
ragione
umana intorno alla realt
e alla verit e una ricer-
ca
di
una soluzionerazionale dei
maggiori problemi
che assillanol'intel-
ligenza
umana. Mentre la
teologia
lavora su verit
gi
date dalla riVel.a-
zione
(i
suoi
principi
sono i misteri
rivelati),
la filosofia
va
alla ricerca
della
verit, come
qualche
cosa
di
ignoto
e
difficilmente
attingibile.
Antonio Rosmini: una nuova
metafisica
dell'essere 463
Tuttavia,
anche
per quanto
attiene le conclusioni della ricerca metafi-
sica (intorno all'anima, a Dio e al
mondo),
c' un
sostanziale accordo tra
Agostino,
Tommaso, Bonaventura,
Scoto e Rosmini. Ma
rivendicare, co-
me hanno fatto e continuano a fare molti
rosminiani,un sostanziale accor-
do tra Tommasoe Rosmini
sbagliato.

sbagliato, perch
non
possibile
far coincidere ne
l'ideologia
n
Fontologia
di Rosmini con
l'ideologia
e
l'ontologia delYAquinate.
Non
possibile
fare coincidere le loro
gnoseologie.
Indubbiamentesono
entrambe
gnoseologie
realistiche
e non
soggettivistiche,
che affermano
che la Verit la misura della nostra conoscenza e non
la
conoscenza
metro della verit. Ma
quello
di S. Tommaso un realismo moderato di
stampo
aristotelico;
mentre
quello
di Rosmini
un
ultrarealismo di
stampo platonico.
Tanto meno e
possibile
fare coincidere la metafisica
rosminiana
con
quella
tomista. C' anzitutto una
profonda
diversit di
metodo.
Quello
del Rosmini va dall'alto al basso ed
circolare, e
perci
si conclude
con una
circumnavigazione
del
grande
mare
dell'essere.
Quello
dell'Angelico
Va dal basso
all'alto,
dagli
enti all'asse
ipsimz
Subsi-
stens e ci che realizza la seconda
navigazione.
Ma tra le due metafisiche c' anche
una
differenza di
fondo,
che
una differenza sostanzialee non affatto secondaria. Infatti nella metafisi-
ca rosminianasono assenti due dottrine
capitali
della metafisica tomisti-
ca:
la dottrina della distinzione reale tra l'essenza e Yactus essendz
(una
distinzioneche Rosmini non
ignora,
ma alla
quale
di fatto non d alcuna
importanza),
e
la dottrina dell'atto e della
potenza.
Queste
due dottrine
sorreggono
tutto l'edificio metafisici) tommasiano e consentono al
Dottore
Angelico
di elaborare una
metafisica
"esistenzialistica", come
stato detto da Gilson
e
da
Maritain, e una
metafisica fortemente ontolo-
gica
in
senso realistico. Rosmini lavora
piuttosto
con
la
coppia possibi-
lit-necessit e ricava la necessit dalla
possibilit,
cos come aveva
fatto
Leibniz. Di
conseguenza
Yargomentare
rosminiano assume un
anda-
mento
ontologistico
e
la metafisica del Roveretano diventa necessaria-
mente una
metafisica
degli
esistenti.
L'essere,
anzich
come actus
essendi,

concepito
dal Rosmini come una essenza imiversale che contiene tutte le
essenze
possibiliparticolari;
e come scrive lo stesso Rosmini, tutto l'or-
dine dell'essere viene tratto dall'essere come
il filodel bozzolo.
Ci che certo che anche la metafisica del Rosmini
, come
quella
di
S.
Tommaso, una metafisica cristiana e una
metafisica dell'essere. Ma ri-
durre la metafisica del Rosmini a
quella dellAngelico

un'operazione
controproducente,
che
non reca nessun
Vantaggio
al nome del Rovcretano.
Come ha mostrato E. Gilson nella sua
magistrale
Storia della
filosofia
medievale,
nel cristianesimo c'
posto per
molte metafisiche, e
anche
per
molte metafisiche
dell'essere,
perch,
a livello
riflesso,
dell'essere
pos-
sibileelaborare vari
concetti, e assumere
ogni
concetto come
fondamen-
464 Parte terza
to dell'edificio metafisico. Tutte le metafisiche dell'essere costruite sulla
base del canone
della sostanziale armonia tra fede e
ragione,
come
han-
no
fatto
Tommaso, Bonaventura,
Scoto e Rosrnini, sono
perfettamente
legittime,
anche
se, all'indagine
critica,
il loro valore
pu
risultare dise-
guale.
Per
ogni
edificiometafisico merita di
essere
studiato e
apprezza-
to
per
se stesso,
evitando di fare
degli
edifici
pi
recenti delle ricostru-
zioni di
quelli pi
antichi. l_a clonazionemetafisica altrettanto illecita
quanto
la clonazioneumana.
Rosmini ha
un concetto molto elevato dell'essere. Alcune sue
espres-
sioni lo avvicinano al concetto intensivo di S. Tommaso. Anche
per
il
Roveretano l'essere la
perfezione
massima,
la
perfezione
di tutte le
per-
fezioni,
l'attivit di tutte le attivit.
E, tuttavia, egli
non costruisce la sua
metafisica sullflczcms essendi bens sulla idea dell'essere. E
questo
rende so-
stanzialmente diversa la sua
metafisica da
quella
di S. Tommaso.
Antonio Rosmini: una nuova
rrzetafisica
dell'essere 465
Suggerimenti bibliografici
EDIZIONI
Edizione nazionale delle
opere
edite
e inedite, a cura
di E.
Castelli,
49
voll.,
Bocca,
Milano
(V011. I-XI);
Anonima Romana Editrice,
Roma (V011.
XII-
XXVIII); Cedam,
Padova
(V011.
XXIVss.), 1934-77.
Opere
edite e inedite,
80 voll.,
edizione critica
promossa
da M. F.
Sciacca,
a cura
del Centro Internazionaledi Studi Rosminiani e
da Citt Nuova
Editrice,
Stresa-Roma 1975 ss. (sono
stati
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sinora circa 60 voll.).
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KIERKEGAARDE LA METAFISICADELUESISTENZA
Sren
Kierkegaard
un
contemporaneo
di
Rosmini, ma a
prima
vista
un
abisso li
separa.
Uno cattolico,
l'altro
protestante;
uno ama
appas-
sionatamente la filosofia
e
progetta
un rinnovamentodella filosofiacri-
stiana,
l'altro
disprezza
la filosofia e
la combatte
accanitamente; uno
intende elaborare una
grande enciclopedia
del
sapere,
l'altro si accon-
tenta di
raccogliere
le "briciole della filosofia.
Eppure
Rosmini e
Kierkegaard
hanno alcuni
importanti
elementi in
comune.
Entrambi
furono
geni incompresi
dai loro
contemporanei.
Come Rosmini fu
incompreso
e
combattuto dal mondo
cattolico,
altrettanto
e ancor
pi
Kierkegaard
fu
incompreso
e
combattuto nel mondo
protestante.
Lostilit nei loro confronti
nasceva
dal fatto che sia
Kierkegaard
sia
Rosmini erano
difensori sinceri e
decisi del cristianesimo: di un cristia-
nesimo autenticoe
genuino
e non "un
p0 annacquato,
ed
erano
profeti
di
una
Chiesa fedele a se stessa e
alla
sua missione salvifica, senza inte-
ressi
politici
e senza
ambizioni mondane. Rosmini e
Kierkegaard
erano
inoltre
legati
da
una
spiccata passione per
la
metafisica,
benchavessero
un'idea molto diversa
riguardo
al cammino che
essa
deve
percorrere.
Alla
pari
del
Rosmini,
nel mondo filosofico
e
teologico
dell'Ottocen-
to, Kierkegaard
fu
un solitario, non meno
lontano dalla filosofiacristia-
na"
degli
idealisti che dallateismo dei maestri del
sospetto.
Contro i
negatori
di Dio e
di Cristo
Kierkegaard,
come Rosmini,
pronuncia
una
professione
di fede
sincera, Viva,
profonda,
inattaccabile;contro le mani-
polazioni
filosofichedel cristianesimo
operate dagli
idealsti,
egli procla-
ma
la trascendenza di Dio e
dei misteri del cristianesimo. Filosofia e
cristianesimo non
si lasciano unificare il motto che
Kierkegaard
fece
suo sin dalla
prima giovinezza.
Sottraendo il cristianesimo alla
ragione
e
alla filosofia e affidandolo
esclusivamente alla
fede,
Kierkegaard
si libera
contemporaneamente
sia
dalla
morsa
hegeliana
della risoluzionedel cristianesimo in
filosofia,
sia
di
quella
della
negazione
del cristianesimo in nome
della filosofiautiliz-
zata dai "maestri del
sospetto"
(Feuerbach, Marx).
Con
gli
scrittori
romantici
Kierkegaard
afferma che il cristianesimo non
appartiene
al
campo
della
filosofia, ma a
quello
della storia e
che la
sua accettazione
non
dipende
da
argomentazioni speculative
o scientifiche, ma
dalla libe-
ra
adesione della fede. Occorre
prendere
il cristianesimo
per
quello
che
:
un
dono di Dio.
468 Parte terza
Nella
disperata battaglia
contro la
ragione
e
la filosofiain nome
della
fede,
nel mondo
protestante
ottocentesco, Kierkegaard
fu
una
specie
di
Don Chisciotte:
egli
non
fu
preso
sul serio n dalla Chiesa n dai suoi
nemici. Nel suo secolo
Kierkegaard
divent la
voce
profetica.
Il
profeta
parla
sempre
dalla dimensione verticale
e non si
cura
di ci che accade
nella dimensione orizzontale.
Ma,
poi, Kierkegaard
divent
una
parte
della filosofia
esistenzialista,
della
teologia
neo-ortodossa
e
di
gran parte
della
psicologia
del
profondow
Solo nel secolo XX il
messaggio
di
Kierkegaard
fu
compreso
e
apprezzato.
A
partire dagli
Anni Venti le
sue
opere
furono lette avidamente
e vennero tradotte in moltissime
lingue,
e
cos,
in breve
tempo, Kierkegaard
divenne la
figura
dominante sia nel
mondo dei filosofi che in
quello
dei
teologi,
e
si
guadagn
il titolo di
padre
sia deltesistenzialismo filosofico
(I-Ieidegger, Iaspers,
Sartre,
Marcel
ecc.)
che deltesistenzialismo
teologico
(Barth, Brunner, Tillich,
Gogarten
ecc.).2
Vita
Soren
Kierkegaard
nacque
a
Copenhagen
nel
1813,
ultimo di sette
figli,
da
un
padre
vecchio
e malinconico,
angosciato
dal
pensiero
della
colpa,
sentita
come
qualche
cosa
di incombente e
di inevitabile.Ebbe
quindi
un'infanzia
priva
di
spensieratezza
e
di
sana
vitalit. Dice
P. Mesnard: Non ebbe
quella religione puerile
nella
quale
il bambinosi
familiarizza
prima
di tutto con Ges Bambinonel
presepio
e
scopre
solo
a
poco
a
poco
l'identit dell'Incarnazionee della Redenzione. Il cristia-
nesimo Cristo
e
Cristo morente in
croce.
Il
sangue,
il
dolore,
il
peccato,
la
massa
dannata: tali
sono i lari di
questa
strana
famiglia
nella
quale
la
formazionemorale e
religiosa
di
Kierkegaard
si attua nel
segno
dell'an-
goscia. Kierkegaard
ricevette,
comunque,
un'educazione
profon-
damente
religiosa,
incentrata
sugli aspetti pi rigidi
del cristianesimo
riformato. Da
ragazzo
aveva avuto
per
il
padre grande
venerazione e
affetto, ma verso
i
Vent'anni,
allorch
venne a
scoprire
la
sua
condotta
peccaminosa,
cominci
a nutrire avversione e
disprezzo
nei suoi con-
fronti. La morte aveva cominciato a
colpire
i suoi fratelli
e sorelle;
da
Vari indizi
Kierkegaard
aveva concluso che sulla
famiglia
pesasse
la
vendetta di Dio
per
i delitti commessi dal
padre,
e
sospettava
che la
sua
religiosit
non
fosse dovuta
a santit
autentica,
bens alla necessit di
espiare
i
propri peccati.
Ma
quando
il
padre gli
confess umilmente le
proprie colpe
si riconcili
con
lui e10 am teneramente
per
tutta la vita.
1)
I.
TILLICH,
Perspectiixes
on XIX and XX
Ceniury
Protestant
Theology,
New York-
Evanston
1967,
p.
178.
3) Cf. H.
BERKHOF, 200 anni di
teologia efilosofiir,
Torino
1992,
pp.
102
ss.
Kierkegaard
e
la
metafisica
dellcsistenza 469
Nel 183D si iscrisse all'universit di
Copenhagen,
nella facolt di Teo-
logia;
si interess vivamente anche di filosofia e
di letteratura. Solo nel
1840 sostiene
gli
esami di
teologia per
diventare
pastore.
Nello stesso
anno si fidanza con
Regina
Olsen, ma
dopo
un anno
interrompe
il fidan-
zamento,
forse
per
essere
pi
liberodi
adempiere
la missione
religiosa
a
cui si sentiva chiamato. Nel 1841 a Berlino,
dove ascolta le lezioni di
Schelling,
che da
principio
lo entusiasmano,ma
poi
lo deludono.
Durante
gli
ultimi anni della sua
breve esistenza
Kierkegaard
lotta a
fondo contro
la Chiesa ufficiale,
colpevole,
a suo dire,
di
aver
tradito il
cristianesimo riducendolo a mero
convonzionalismoe a
formalismo
ritualistico. Ovviamente
religiosamente Kierkegaard
era
dentro la chie-
sa,
ma come
critico della chiesa
egli
fu forse ancora
pi
radicale di Marx
e
Nietzsche messi insieme (P. Tillich).
Mor l'11 novembre1855. Prima di
morire
gli
era
stato chiesto se
le sue
speranze
fossero
riposte
nella
grazia
di
Dio,
in Ges
Cristo,
ed
egli rispose:
Naturalmente,
in chi altro?
Opere
Dopo
la
pubblicazione,
nel 1841,
della tesi
per
il dottorato in filosofia,
Sul concetto di
ironia,
seguirono
a
breve distanza di
tempo
tutte le altre
opere, apparse
quasi
tutte con
vari
pseudonimi:
nel 1843
Aut-Aut, negli
anni 1844-1845 Timore e tremore,
La
ripetizione,
Il concetto
di
angoscia,
Bricio-
le
filosofiche,
Stadi sul cammino della
vita,
l discorsi
edificanti.
Nel 1846 usc
con
lo
pseudonimo
di
Ioannes
Climacus,
la Postillaconclusiva
non
scientifi-
ca
alle Briciole
filosofiche,
che la
sua
opera
filosoficamente
pi
im-
pegnata
e
pi profonda.
Nel 1849 uscirono La malattia mortale ed Esercizio
del cristianesimo. Postumo uscito il
suo
vastissimo Diario
(in
12 volumi).
Il
primato
dell'esistenza
nella riflessionemetafisica di
Kierkegaard
Kierkegaard occupa
un
posto importante
sia nella storia della filoso-
fia sia nella storia della
teologia.
Sua, infatti,
la
paternit
dell'esisten-
zialismo filosofico
e
di
quello teologico.
Ma esiste un suo
apporto signi-
ficativo anche alla metafisica, un
apporto
tale che
giustifichi
la
sua
inclu-
sione nella storia della metafisica? Direi
proprio
di s. Perch, la metafi-
sica anzitutto
una
passione:
la
passione per
la Trascendenza;
la
pas-
sione di chi,
avendo
scoperto
che il mondo non
tutto,
che l'uomo
non
tutto,
che la
cultura,
il
progresso,
la storia non sono tutto e che, invece,
tutto
proviene
da
Dio, con
timore e tremore" si affida a
Lui e
cammina
verso
di Lui. Ora,
Kierkegaard
ha sentito e
vissuto
questa passione per
la Trascendenzacome
pochissimi
altri
pensatori
cristiani e non
cristiani
47D Parte terza
di tutti i
tempi. Questa
passione
lo ha condotto
a
compiere
una
singolare
e interessantissima avventura metafisica.
Sappiamo
che i modi di fare metafisica
sono innumerevoli
e
che esi-
stono anche molte metafisiche dell'essere.
Rosmini,
contemporaneo
di
Kierkegaard,
aveva elaborato
una
imponente
metafisica
dell'essere,
prendendo
in
esame la triade
ontologica
dell'essere
ideale, reale e mora-
le. Per
una siffatta
speculazione
metafisica
Kierkegaard
non
ha
nessu-
nissimo interesse. Nel
suo
pensiero
non
c'
posto per
una "circumnavi-
gazione
dentro il
mare dell'essere. Il
suo mare non e
quello
calmo
e
pacificodell'essere, bens il
mare
tempestoso
e
tragico
della esistenza. E
da
questo
mare che
egli
avverte la necessit di
uscire,
compiendo
una
seconda
navigazione.
Cos,
la metafisica
per Kierkegaard
non
una
piace-
vole crociera bens
una rischiosa
e burrascosa attraversata.
La metafisica di
Kierkegaard

una
metafisica cristiana,
che
presenta
molte
consonanze con
le metafisiche cristiane di S.
Agostino
e
Pascal. La
sua una metafisica cristiana
dell'esistenza;
perci
non n
una
ontolo-
gia
n una
cosmologia,
bens
un'antropologia cristiana,
fortemente
e
intimamente
legata
al dramma
personale
del
"singolo
davanti
a Dio".
Come
ogni
metafisica anche
quella
di
Kierkegaard
ha i suoi limiti. ll
suo
limite
principale,
come nota C.
Fabro, non l'affermazionedella
sogget-
tivit essenziale
per ogni
metafisica
personalistica

quanto
nell'aVerla
chiusa nel
singolo",
staccandola dalla
famiglia
umana e
dalla Chiesa
che il
Corpo
mistico di Cristo)
I cardini
su cui si
regge
l'edificio della metafisica esistenziale cristia-
na
di
Kierkegaard
sono
cinque:
il
Singolo, l'esistenza, la
libert,
l'ango-
scia
(peccato),
la fede.
Anzitutto Viene il
Singolo,
e
per "Singolo" Kierkegaard
non intende
l'uomo in
quanto
animale
ragionevole,
come individuo dotato di anima
e
corpo,
come membro della
famigliaumana,
ma il credente che ha
ope-
rato,
nella
fede,
la
sua scelta
per
Dio, ottenendo cosi la salvezza del
suo
essere
- della
sua libert
con l'inserzione
nell'Onnipotente
che salva. Il
Singolo
la
specificazione "positiva"
di
quello
che
Kierkegaard
chiama
anche "l'uomo essenziale" in
quanto ogni
uomo ha, nel fondo
ontologi-
co della
sua natura
ragionevole,
la
capacit
di scelta del|'Assoluto
e
di
rivolgersi
a Dio
per
divenire
spirito". Quella
del
Singolo
non una
categoria
elitaria, ma la condizione
comune di tutti
gli
uomini.

una
dottrina
imparziale
che
non offende
nessuno,
neppure
uno,
che
non
fa
distinzione
neppure per
uno.
La moltitudine e formata di
singoli:
deve
quindi
essere in
potere
di
ognuno
di divenire ci che
egli
:
un
Singolo.
Dal-
Yessere
un
singolo, nessuno,
nessunissimo
escluso, se non
colui che si
esclude da s - col divenire molti.4
3) C.
FARRO, Introduzione a S.
KIERKEGAARD, Diario, Brescia
1962, l,
p.
103.
4) Diario
VII,
A 176.
Kierkegaard
c
la
nzetafisiua
dell'esistenza 471
Nel
Singolo,
ci che conta
per
Kierkegaard
non l'essenza,
che
egli
ritieneuna
categoria
astratta, vuota, ma
l'esistenza:
proprio grazie
all'e-
sistenza
che
egli
diviene
singolo.
L'esistenza intesa sia in senso
ontolo-
gico,
come
collocazione nel mondo della storia,
sia in senso
teologico
come
inserimento nel mondo della fede. L'essenza costituisce la sfera del
necessario nella
quale
nulla diviene, ma tutto e in esso
la scienza cerca
le
sue
leggi.
L'esistenza invece la sfera del divenire e
del
contingente
e
quindi
della storia. L'esistenza
riguarda
la realt di
fatto, ovvero
la sfera
delle cose
che
possono
non essere e
tuttavia esistono,
dove la
possibilit
ha
preceduto
la realt. Per
Kierkegaard
fra
possibilit
e
realt non
c'
rapporto
di
causa,
ma esse
indicano due "stati" dell'essere stesso
che
sono
separati
come non-essere
ed essere e
quindi
da11'infinito. In
questa
incommensurabilitdi
possibilit
e
realt che il divenire "trascende"
nell'attuazionedella storia,
consiste
l'originalit
della "fede".
Decisiva
per
la realizzazione
del
Singolo
come
Singolo
la libert.
Questa,
la libert,

prerogativa
dello
spirito,
e
perci
anche dell'uomo
in
quanto spirito.
Ma contrariamente a Kant e a
l-legel
che conferivano
allo
spirito
dell'uomo un
potere
infinito e
che
gli
accreditavanoun'asso-
luta autonomiain
ogni
sua decisione, Kierkegaard
sottolinea il carattere
fallibiledella libert del
Singolo,
in
quanto egli
uno
spirito
finito. Tutto
il destino dell'uomo,
il
Singolo,
viene deciso dall'uso della sua
libert: se
si decide
per
la
propria
finitudine e
sceglie
se stesso,

perduto;
se si
decide
per
l'infinito, Dio,
salvo.
Kierkegaard
non
ha
concepito
la
libert dello
spirito
finito che sul fondamentodi
una
trascendenza teolo-
gica
che Dio stesso. La struttura
del suo
spiritualismc) teologico
deci-
samente teoretica, e sta
agli antipodi
delle teorie del Glaubedi derivazio-
ne kantiana,
che
egli
critica
espressamente,
come
delle teorie vitalistiche
e
irrazionalistiche
proliferate dopo
di lui dalle varie filosofiedella vita,
dell'intuizionee
consimili.5La libert che
Kierkegaard
intende difende-
re non una
"funzione assoluta" n dell'intelletto n della Vita univer-
sale, ma
scaturisce dalla decisione del
Singolo
che si fonda in Dio.
Egli
critica risolutamente la "morale autonoma" d Kant come
illusione e
cosa
poco
seria,
alla
stregua
delle frustate che Sancio Panza si dava da
se stesso sulla schiena>>fi Infatti il fondamento della libert finita -
argo-
menta lucidamente
Kierkegaard
nel suo
Diario
pu
essere
soltanto la
"divina
onnipotenza", perch
soltanto un essere
onnipotente pu
riprendere completamente
se stesso mentre si dona e
questo rapporto
costituisce
appunto
l'indipendenza
di colui che riceve?
5) C. FABRO, Antologia kierkcgaardiana,
Torino 1952,
p.
XIX.
5) Diario X2,
A 396.
7)
lbid.
VII,
A 171.
472 Parte terza
Uangoscia
e
la fede
Dalla
presa
di coscienza della
propria
fallibilelibert
nasce nel
Singo-
lo
l'angoscia
circa le sorti del
proprio
essere e del
proprio
destino. In tale
angoscia
- che
pu
essere tolta soltanto dalla fede
Kierkegaard
fa consi-
stere lessenza del
peccato,
la nzalattia mortale.
Kierkegaard distingue l'angoscia
dalla
paura:
diversamente da
que-
sta, quella
non
ha
un
oggetto
determinato
esterno a se stessa.
Nellango-
scia l'uomo teme
per
se stesso.
Uangoscia
strettamente
legata
alla li-
bert. Essa
esplode proprio
nel momento in cui l'uomo
scopre
di
essere
arbitro di
se stesso e si rende conto del rischio tremendo che tale
privile-
gio comporta.
L'uomo viene descritto da
Kierkegaard
come sintesi di
finitudine
(corpo)
e infinitudine
(spirito),
di
tempo
e
di
eternit,
che vive
nellangoscia
dal momento in cui si avvede
dellimpotenza rispetto
a tale
compito.
La sintesi tra finitudine
e infinitudinenell'I0 si
pone
come com-
pito
di diventare
se stessi,
qualcosa
che si
pu
realizzaresoltanto nel
rap-
porto
con Dio.8 Dato
per
che
luomo, con la
sua libert,
deve realizzare
qualcosa
mediante le
proprie
forze, si
profilaquella
situazioneesistenzia-
le contraddittoria che sfocia necessariamente
nel1angoscia
dell'uomo
peccatore,
il
quale
o vuole
disperatamente
essere se
stesso,
cio rimanere
legato
ai limiti
dell'umano, o vuole
disperatamente
non essere se stesso,
misconoscendo la dimensioneeterna che si
porta
dentro.
Peccato
e
angoscia
sono la stessa cosa: il tentativo di basarsi
su se
stessi anzich
su Dio. Si tratta infatti di
un tentativo insubordinato
e
di-
sperato, perch
in tal modo
luomo, invece di
conseguirla
smarrisce la
sua identit,
quel
S che
egli disperatamente
vuole
essere,
e un
S che
egli
non
(...),
egli
vuole cio
strappare
il
proprio
S da
quel potere
che
lo ha
posto.9
Per
Kierkegaard l'angoscia (la
disperazione)
non tanto un
peccato,
quanto
il
peccato:
il
peccato
coincide
con
la stessa
disperazione.
Preci-
samente esso consiste nel
disperatamente
voler
essere se stesso
(di-
sperazione
nella
debolezza)o nel
disperatamente
non voler
essere se
stesso
(disperazione
nella
"ostinazione"),in
quanto per
si
disperati
(=
deboli
oppure
ostinati)
davanti
a Dio. La
precisazione
davanti
a Dio
della massima
importanza, perch designa
l'elemento formale del
pec-
cato: essa
esprime
ci
per
cui il
peccato
tale. infatti
semplicemente
contraddittorio
parlare
di
peccato
astraendoda Dio:
se Dio
non c', non
c'
peccato, e,
se c'
peccato,
c' Dio.
3) S.
KIFRKECAARD,ll concetto di
angoscia
La ntalattia
mortale, Firenze
1953,
p.
25.
9) Ibia.
1) Cf. M.
GIGANTE,
Religiosit
in
Kierkegaard, Napoli
1982,
cap.
IX.
Kierkegaard
c
la
metafisica
dell'esistenza 473
Per
quanto
concerne
l'idea di
peccato,
Kierkegaard
d
ragione
alla
dogmatica
antica,11
che ne aveva
colto la vera essenza: se
tale,
il
pec-
cato non
pu
non essere
davanti a
Dio. Ed
esprimendo
la clausoladavanti
a
Dio Come
costitutivo formale del
peccato, ogni peccato
la
implica
necessariamentee
universalmente. Inoltre, poich
il terminus ad
quem
del
peccato
Dio che infinito,
il
peccato
in
quanto
commesso
contro Dio
ovvero
davanti a Dio,12 assume
il valore di un'offesa infinita.
La
perfetta
coincidenza tra
peccato
e
disperazione
Kierkegaard
la
conferma
esplorando
la radice ultima del
peccato
che
egli
colloca nella
disubbidienza,
cio nella difformit dalla volont di Dio. Ora,
tutto ci
precisamente
la
disperazione, questa
consistendo
proprio
nel voler esse-
re se stessi non come
vuole
Dio, o
nel non
voler essere come
Dio Vorreb-
be che lo si fossefl La
disperazione, perci,
in
quanto peccato,
si riduce
alla disubbidienza: la
disperazione
(= peccato)
il
non
conformarsi alla
volont di Dio. Secondo
Kierkegaard, l'interpretazione
del
peccato
come
disubbidienza l'unica che
corrisponde
alla Scrittura,
perch
la Scrittura
definisce
sempre
il
peccato
come
disubbidienza.
Dal
peccato
(l'angoscia,
la
disperazione)
il
Singolo
esce
soltanto
mediante la
fede, riponendo
cio tutta la
propria
fiducia in Dio. In
Kierkegaard
la fede
gioca
lo stesso ruolo centrale che
questa categoria
svolge
nella
teologia
di Lutero.
Iastus exfide
vivit il cardine che
sorregge
tutto l'edificio
teologico
sia di
Kierkegaard
sia di Lutero. Ne Il concetto
di
angoscia leggiamo:
Il contrario del
peccato
la
fede,
come
si dice nella lette-
ra ai Romani: "Tuttoci che non dalla fede
peccato"
(Rm 14, 23).15
La fede di cui
parla Kierkegaard
si riferisce ovviamente alla fede
soprannaturale.
Il suo
oggetto
l'inver0simile.16La fede non una
possi-
bilitche si schiude all'uomo in forza della sua libert, ma
sempre
attesa come
dono di Dio. Per l'uomo
disperato
l'unica salvezza credere
che tutto
possibile.
Credere vuol dire
perdere
l'intelletto,
onde con-
quistare
Dio>>.17 Per alcune situazioni si
pu
delineare una soluzione; ma
quando
ci si dibatte in
un
labirinto senza
via di
scampo,
o
quando
si
ritorna
sempre
sui
propri passi
come in un
vicolo
cieco,
allora che si
presenta
la fede come
unica
possibilit.
Occorrer decidere
se
credere e
guarire
o non
credere e
inabissarsi nei
gorghi
della
disperazione.
Questa
e la lotta
per
la fede. Cos la seriet della
fede,
la cui vera
lotta lotta-
11) S. KIERKEGAARD,
Il concetto di
angoscia,
cit.,
p.
298.
12)
Ibid.
m) Cf. ibid,
p.
299.
l)
Cf. ibzd,
p.
300.
15) lbid,
p.
302.
l) Cf. Diario VIl,
A 203.
17)
ll concetto di
angoscia,
cit.,
p.
246.
474 Parte terza
re con Dio;
la lotta col
mondo,
i suoi dolori
e le
sue
gioie,
sono come uno
scherzo. Per
questo
la fede la vittoria che vince il
mondo; anzi fa
pi
che
vincere,
perch
riduce
questa
lotta
a
qualcosa
di trascurabilemlSe
colui che
impegnato
in
questa
lotta debba
soccombere, ci
dipende
esclusivamente dalla
questione
se riuscir
a trovare la
possibilit,
cio
se
egli
vuole credere.
Eppure egli comprende
che, umanamente
parlando,
la
sua rovina sicurissima.
Questo
il
momento dialetticodella
fede,19
cio se si
voglia
credere
o no.
Credere nella
propria
rovina
impossibile;
ma
comprendere
di tro-
varsi, umanamente,
di fronte alla
propria
rovina
e credere tuttavia
nella
possibilit,
credere. E allora Dio aiuta
l'uomo, forse
facendogli
scampare
l'orrore,
forse
per
mezzo dell'orrore
stesso,
il
quale
in modo
miracoloso... si
presenta per
aiuto. Se un uomo sia stato aiutato con
un miracolo,
ci
dipende
essenzialmente dalla
passione
della
ragione
con la
quale
ha
compreso
che l'aiuto
era
impossibile,
e
poi
dal conte-
gno
onesto che
egli
dimostra
verso la
potenza
che l'ha aiutato. Ma di
solito
gli
uomini
non fanno n l'uno n
l'altro; si mettono a
gridare
che l'aiuto
impossibile,
senza avere una sola volta
impiegato
la loro
intelligenza
per
trovare l'aiuto
e
poi,
eccoli
questi ingrati
che si metto-
no a
dir
bugie.
Il credente
possiede
il contravveleno eternamente
sicuro contro la
disperazione:
la
possibilit,perch
a Dio tutto
pos-
sibilein
qualunque
momento.
Questa
la sanit della fede che risolve
le contraddizionimo
La fede
concepita
da
Kierkegaard
come un salto dal mondo delle
certezze razionali
a un mondo senza
prove
e senza
garanzie.
La man-
canza di
garanzie oggettive
fa s che la fede sia vissuta
come un rischio,
ma,
secondo
Kierkegaard,
la
sua accettazione
non
irrazionale,
bens
semplicementeparadossale.
La fede un rischio
perch
il
suo
oggetto
il
paradosso,
una verit
priva
di evidenza
oggettiva.
ll credente - scrive
Kierkegaard
nella Postilia conclusiva
non solo
possiede
ma usa
la
ragio-
ne... Per
quello
che
riguarda
la
religione
cristiana
egli
crede contro la
ragione
e in
questo
caso usa
la
ragione
per
accertarsi che crede contro la
ragione...
Il cristiano non
pu
accettare Yassurdo contro la
ragione per-
ch
questa
si
accorgerebbe
che assurdo
e
lo
respingerebbe. Egli adope-
ra
quindi
la
ragione,
per
diventare
consapevole dellincomprensibile
e
poi
si attaccaad
esso e
crede anche contro
ragionem
l) Diario
VII,
A 207.
l) Il concetto di
angoscia,
cit.,
p.
247.
3) 1bid.,
p.
248.
' _
21) S. KIERKEGAARD,
Concluding Unscientzfic POSSCFIP,
tr.
ingl.
Cll S. Swenson e W.
Lowrie,
Princeton
1944,
p.
604.
Kierkegazzrd
e la
ruetafisica
dell'esistenza 475
Uinfinita differenza
qualitativa
tra l'uomo
e
Dio
La
fede, nonostante il
grande
rischio che
essa
comporta,
fa fare al Sin-
golo
il salto decisivo: dal mondo Con tutte le Sue sicurezze,
i suoi trionfi,
le sue
conquiste,
verso Dio,
Yinverosimile. Ma chi Dio che chiama l'uo-
mo a
rischiare tutto il
temporale
in vista
dell'eterno,
del finito in vista
dell'infinito?
Decisamente
importante
la trattazione che
Kierkegaard
riserva al
tema di Dio dove
emerge
ancor
meglio
la consistente
portata
metafisica
del
suo
pensiero.
Il
principio primo,
la verit fondamentale su cui
poggia
tutto l'edifi-
cio
teologico kierkegaardiano
che Dio
separato
dall'uomo e
da
ogni
altra creatura da uninfinitadifferenza
qualitativa.
Scrive
Kierkegaard
in
una
pagina giustamente
celebre:
Fra Dio e l'uomo c' una differenza
eterna, essenziale,
qualitativa,
tale che nessuno senza
presunzione pu permettersi
di annullare
mediante Yasserzioneblasfemache Dio e l'uomo sarebberocertamen-
te differenti nel momento transitorio dell'esistenza
temporale,
cosic-
ch in
questa
vita l'uomo dovrebbeobbediree adorare
Dio, ma nell'e-
ternit la differenza si annullerebbe
nelteguaglianza
essenziale, cos
che Dio e l'uomo diventerebbero
eguali,
come avvienetra il re e il suo
servo. Ci non

possibileperch
tra Dio e
l'uomo c' e rimane una
differenza eterna essenziale e
qualitativam
Con l'affermazione
categorica
dell'infinita differenza
qualitativa
Kierkegaard prende
decisamente
posizione
contro
Hegel
e contro
Schleiermacher,
i
quali
avevano
entrambi eliminata la distanza infinita
che
separa
Dio
dall'uomo,
il
primo
con la teoria che l'uomo l'automa-
nifestazione
dellAssoluto,
il secondo con
la tesi che il sentimento reli-
gioso
suscitato immediatamentee necessariamente dal manifestarsi di
Dio nella natura.
32) ID.,
On
Atrthority
and
Retvelation, tr.
ingL,
Princeton 1955,
p.
112.
Uguali
afferma-
zioni si trovano anche nella Pasfillae nel Diario. Nel Diario
(tr.
C.
Fabro,
Brescia
1951,
vol.
l,
p.
381),
Kierkegaard
dice che la confusione tielfidealismoconsiste
nel
porre
solo una differenza
quantitativa
tra il finito e l'infinito
e,
di
conseguen-
za,
nel
sopprimere
l'immenso abisso che la differenza
qualitativa
scava
tra Dio e
l'uomo. Alcuni studiosi del
pensatore
danese hanno
preteso
che l'infinita diffe-
renza
qualitativa
sia dovuta al
peccato originale
e
perci sostengono
che essa
non esisteva
prima
della caduta. Cf. MILCHIORRI,
Il
principio
di
analogia
come cate-
goria metafisica
della
filosofia
di
Kicrkegaard,
"Giornale critico della filosofiaitalia-
na", 1955,
p.
57; COLLINS,
The Mina
ofKierkegaard, Chicago 1954,
p.
150. Noi
per
non riusciamo a Vedere
come
questa interpretazione possa
armonizzarsi con la
Chiara
e
categorica
affermazione della infinita differenza
qualitativa, indipen-
dentemente dal
peccato,
di On
Authority
anni
Revelation,
test citata.
476 Parte terza
Tuttavia,
l'affermazione dell'infinita differenza
qualitativa
non
impe-
disce a
Kierkegaard
di mantenere una relazione
positiva
fra Dio e l'uo-
mo. In effetti
egli
ammette che
l'uomo,
prima
del
peccato originale,
essendo stato creato a
immagine
di
Dio, aveva una
somiglianza
con lui.3
Ma
pi
che la
somiglianza egli

preoccupato
di sottolinearela differenza
e contro chi
pone
fra Dio e luomo una
somiglianza
diretta
proclama:
Fra Dio e un uomo c' una differenza assoluta. Il
rapporto
assoluto
dell'uomo a Dio deve
perci esprimere
la differenza
assoluta, e la
somiglianza
diretta diventa
impertinenza,
villania,
arroganza,
ecc.
Proprio perch
fra Dio e l'uomo c' la differenza
assoluta,
l'uomo si
esprime perfettamente quando esprime
assolutamente la differenza.
Lfizdorazione il maximum
per esprimere
il
rapporto
dell'uomo a Dio e
insieme la sua
somiglianza
con Dio,
poich
le
qualit
sono assoluta-
mente dfferentim
Certo, con una sottolineatura cos marcata dell'assoluta differenza
divieneassai difficile
per Kierkegaard
indicarein che
cosa consiste la so-
miglianza
fra
uomo e Dio che
egli
pure
afferma esserci. In effetti
questo
un
problema
che
egli
non mai riuscito a risolvere
adeguatamentefli
Nonostante il
margine
minimo di
somiglianza
che
egli pone
tra l'uo-
mo e Dio,
Kierkegaard
ascrive all'uomo la
possibilit
di
attingere
Dio
mediante l'interiorizzazitme.Afferma
Kierkegaard:
Dio nella
creazione,
dappertutto
nella
creazione, ma non Vi diret-
tamente, e soltanto
quando
Pindividuo si
ripiega
su se stesso
(quindi
soltanto nell'interiorit
dellautoattivit)
egli
diventa attento e
in
grado
di vedere Dio... Certamente la natura
un'opera
di
Dio, ma l'o-
pera
soltanto
presente
direttamente, non Dio.
Rispetto
a
ogni
uomo
singolo
non
questo
un
comportarsi
come di
uno scrittore
pieno
di
astuzia che in
nessuna
parte espone
i suoi risultati in
grossi
caratteri,
n li
anticipa
nella
prefazione?
E
perch
Dio e astuto?
precisamente
perch Egli
la verit
e, collesserlo,
Vuolestornare
gli
uomini daller-
rore. Se Dio
potesse permettere
un
rapporto
diretto,
l'uomo se ne
sarebbe certamente accorto. Se
per esempio
Dio avesse
preso
la
figura
di uno strano smisurato uccello Verde con il becco
rosso,
che si fosse
appollaiato
su di un albero dei bastioni della citt e
magari
si fosse
messo a
zufolare in un
modo finora inadito: allora il nostro brav'uo-
mo
di societ avrebbe
probabilmente
alzato
gli
occhi
per guardarlo:
si
sarebbe trovato
per
la
prima
volta nella vita a essere
il
primo.
Ma il
23) Cf. S. KIERKECAARD, Briciole di
filosofia
e
postilla
non
scientifica,
tr. C. Fabro,
Bologna
1962,
Vol.
ll,
p.
70, nota.
24) lbid,
vol.
ll,
p.
219.
25) Cf. C. FABRO, Ijexistencede Dieu dans l'oratore de
Kierkegaizrd,
in Lxistence de Dieu,
Tournai 196],
pp.
45 ss.
Kierkegaard
e la
metafisica
dell'esistenza 477
rapporto spirituale
a Dio nella verit,
cio lfinteriorit,

precisamente
condizionatoanzitutto dallirruzione
della interiorizzazione,
che cor-
risponde
allastuzia divina che Dio non
nulla,
assolutamente nulla
di esotico.
Egli
cos
lungi
dall'essere
qualcosa
di
sorprendente
ch'
invisibile,
al
punto
che non
ci
accorge neppure
chEgli
esiste,
mentre
a sua
volta la Sua invisibilit la Sua
onniprensenzam
Cos Dio un'ldea altissima che non
si
pu spiegare
con
qualche
cosa
di
altro, ma
si
pu spiegare
soltanto con
Papprofondirsi
in
s;
i
supremi principi d'ogni pensiero
si
possono
dimostrare soltanto indi-
rettamente (in
modo
negativo?
Qui
ci sarebbe da dire in che
modo,
secondo
Kierkegaard,
l'uomo
perviene all'acquisto
della "conoscenza" di Dio mediante Yinteriorizza-
zione. Ma il discorso ci
porterebbe troppo
lontano, perch
occorrerebbe
partire
dalla sua
teoria
degli
stadi della vita (estetico,
etico e religioso)
e
dalla
sua
concezione della verit
soggettiva,
e
questo
comporterebbe
sviluppare
un
po
tutto
il sistema
kierkegaardiano.
Perci,
per
attenerci
rigorosamente
al nostro tema,
diremo soltanto in che modo
qualsiasi
conoscenza
di
Dio,
secondo
Kierkegaard,
viene
impedita
dal
peccato
e,
in un
secondo
tempo,
in che modo la Parola di Dio restituisce all'uomo
la
possibilit
di comunicarecon
Lui.
La distanza fra l'uomo e Dio, l'oscurit,
Yinconoscibilite
l'ineffabi-
lit di Dio si accentuata ulteriormente col
peccato
originale. Seguendo
Lutero e Calvino, Kierkegaard
ritiene che con
la
cadu_ta,
l'immagine
di
Dio si
corrompa:
cos il debole
vestigio
della divinit che l'uomo
porta-
va con
s
originariamentescompare.
Perdendo
l'image
Dei,
la
quale
ren-
deva
possibile
il riconoscimento
deIYinfinita differenza
qualitativa
che
lo
separava
da
Dio,
l'uomo
pretende
di innalzarsi fino a Lui,
di essere
come
Lui (eritis
sicut Dezts).
Invece di restare in relazione con
Dio come
adoratore l'uomo ora
diviene un
idolatra che crede in una
relazione
immediata con
Diofis Il
peccato

proprio questo orgoglio
di immedia-
tezza,
il cui frutto
pi
amaro il fatto di scavare un nuovo
abisso tra Dio
e l'uomo,
pi profondo
di
quello
della infinitadifferenza
qualitativa.
Se
la distanza infinita tra Dio,
che in cielo, e te,
che sei sulla
terra,
infini-
tamente
pi grande
la distanza tra il Solo Santo e te
peccatore?
Tutto, nell'uomo,
stato contaminato
dal
peccato.
Per
questo
non
solo il
peccato,
ma tutto ci che
appartiene
all'uomonon
pu
essere
pre-
26) KIERKEGAARD,
Briciole... cit., vol. II,
pp.
53-54.
27)
Ibd? pp.
30-3].
3) Cf. 18nd,
pp.
53 ss.
39) Cit. in H. R. MACKINTOSH, Types uf
modem
theology,
New York 1937,
p.
237.
478 Parte terza
dicato di Diofi"
Dell'uomo,
per
es., possiamo
dire che
pensa,
che esiste.
Questo, invece,
di Dio
non si
pu
dire: Dio
non
pensa, Egli
crea. Dio
non esiste,
Egli
eterno.31
A
causa del
peccato
si stabiliscefra Dio e l'uomo un'assoluta
eteroge-
neit
non solo a livello
ontologico
ma anche
epistemologico:
ljinteriori-
t del
peccato...
la distanza
pi grande possibile
e
pi
dolorosa della
verit,
quando
la verit e interiorit>>fi2
Dopo
la
caduta,
la
ragione
non
pi
in
grado
di
raggiungere
la
vera conoscenza di
Dio;
al
pi
essa
pu
dare
una definizione
astratta di
Lui, come
quando
lo chiama il
primo
motore immobile>>fi3In
breve,
dopo
la
caduta,
l'uomo si trova in una rela-
zione
puramente negativa
con Dio sia sul
piano ontologico,
sia su
quello
epistemologico,
e di
conseguenza
anche
su
quello
semantico e
linguisti-
co: non esistono
pi
nel
linguaggio umano
espressioni
atte a
significare
Dio
degnamente, perch
sono state tutte insozzate dal
peccato.
Ma
con la Redenzione Dio stabiliscenuovamente con l'uomo
una rela-
zione
positiva.
Per
opera
di Ges Cristo l'uomo ricreato da
Dio,
il
quale
annulla la
dissomiglianza
che esiste fra di loro>>34 offrendosi all'uomo
come
oggetto
di
conoscenza e di
amore.
Specialmente
nell'amore si
rea-
lizza
una nuova
analogia
fra Dio
e l'uomo,
perch
la natura di Dio
amore?

per
amore che Dio si deciso fin dalleternit
a
rivelarsi; ma
come il
suo amore la
causa, parimenti
l'amore deve
essere il
fine;
perch
sarebbe Veramente una contraddizioneche Dio
avesse una causa di mo-
vimento
e un
fine che
non fosse ad
essa
corrispondente.
Bisogna
allora
che l'amore si indirizzi al
discepolo
e il fine sia
quello
di
guadagnarselo;
perch
solo nell'amore il diverso diventa
eguale,
solo
nelluguaglianza
ovvero nell'unit c'e
comprensione;
ma senza la
perfetta comprensione
Dio non il
Maestro, a meno che la
causa sia da
cercare da
parte
del
discepolo
che
non vuole ci che stato reso
possibile
per
Iui.36
Il
paradosso:
Ges Cristo
La fede
per
la
quale Kierkegaard
ha
combattuto la
sua strenua batta-
glia
la fede in Cristo:
non la fede nel Dio della
teologia
naturale ma nel
Dio della rivelazione. Il
paradosso
dinanzi al
quale
la
ragione
deve chi-
nare il
capo

quello dell'UomoDio, dell'eternit che si cala nel
tempo
e
3) Talvolta
Kierkegaardgiunge
fino al
punto
di identificare l'esistenza col
peccato.
Cf. S.
KIERKEGAARD, The
concep ofdread,
tr.
ingl.
di W.
Lowrie, Princeton 1957.
3) S.
KIFRKEGAARD, Briciole...
cit.,
vol.
I1,
p.
14D.
32) IbicL,
p.
78.
33) Diario, cit., vol.
l,
p.
184.
34) Briciole...
cit.,
vol.
I,
p.
115.
35) Ibid,
p.
331.
36) lbid,
p.
115.
Kierkegaard
e la
nzetafisicn
cielfesistenza 479
si fa storia. L'Uomo-Dio il
paradosso,
il
paradosso
assoluto;
perci

assolutamentecerto che la
ragione
finir
per
arenarsi
(L'esercizio
del cri-
stianesimo).
La venuta di Cristo e rester
sempre
un
paradosso.
Per i suoi con-
temporanei,
il
paradosso
consisteva nel fatto che
quesfUomo,
cotesta
figura
determinata,
dall'apparenza
esterna identica
agli
altri
uomini,
per
la loro
lingua
e i loro usi e costumi,
fosse il
Figlio
di Dio. Per le
epoche posteriori
il
paradosso
e un altro,
perch
non Vedendo
pi
Cristo
con
gli
occhi della
carne,
esse
possono pi
facilmente
rappre-
sentarselo come
il
Figlio
di Dio.37
Trattandodel mistero di Cristo
Kierkegaard
deve
prendere posizione
sia contro i
negatori
della sua divinit
(gli illuministi,
i
positivisti,
i
materialisti
ecc.)
sia contro coloro che
pretendono
di risucchiare anche la
sua divinit dentro
gli
schemi della filosofia
(gli
idealisti).
Sia
gli
uni che
gli
altri assumono la
ragione
come metro assoluto di Verit. Ma esatta-
mente in
questo
che consiste non
semplicemente
l'errore
ma
anche il
peccato.
La
figura
di Cristo
appartiene
a un ordine di
cose
l'ordine
soprannaturale,
Yinverosimile- che
sfugge
a tutti i criteri della
ragione:
un
paradosso
che soltanto la fede
pu
accettare.
Kierkegaard distingue
due
tipi
di
religiosit:
A
e B. Alla
prima
si acce-
de con la
ragione,
alla seconda con la fede. La
religiosit
A,
quella
della
religione
naturale non in
grado
di vincere il
dubbio,
l'angoscia,
il
pec-
cato. Il massimo a cui
pu
arrivare il
"pentimento"
del
peccato
e
lmaspirazione"
all'ideale. Solo nella
religiosit
B l'uomo ottiene la sal-
vezza
per
la fede
nell'Uomo-Dio,
Ges Cristo.
L'oggetto
della fede il
"paradosso
assoluto", come si
visto,
la
persona
dellUomo-Dio in
quanto
essa
presenta
Dio che entrato nel
tempo
e
si fatto storia.
Kierkegaard
nota che Cristo e
apparso
nella forma dellmuomo comu-
ne"
per
salvare
ogni
uomo e
poter
essere il "modello" di ciascuno.
L'accettazionedell'Incarnazionenella sfera esistenziale costituisce il
cosiddetto
"problema
di
Lessing,
che
proposto per
la
prima
volta
con
chiarezza nella Pastiliae ricorre di
frequente
nei "Diari"
degli
ultimi
anni: La felicit eterna di
un uomo mai commensurabile
con una
de-
cisione
presa
nel
tempo, per
via di
un
fatto storico accaduto nel tem-
po?.38 Eppure

questa
la situazione che Costituisce
precisamente
l'es-
senza del
cristianesimo,
mentre la filosofia
pura
la deve
negare
(illumi-
nismo, deismo,
spinozismo, positivismo
ecc.),
perch
non riconosce la
religione
fuori di s.
37) Diario
IV,
A 47.
38) iid.
Xll,
A 296.
480 Parte terza
La
posizione
cristiana
implica
un
duplice paradosso
e
quindi
un
duplice
scandalo:
L'uno nel senso della elevatezza e ci si scandalizzache
un uomo sin-
golo
dica di
essere Dio,
agisca
o
parli
in maniera che riveli
Dio;
oppu-
re lo scandalo in direzione dellabbassamento che Colui che Dio
quell'uomo
umileche soffre
come uno umile. Nel
primo
caso lo scan-
dalo tale che io non sono
per
nulla scandalizzato da
cruesfumile,
ma
dalla
sua
pretesa
che io lo creda Dio. E se io l'ho
creduto,
lo
scan-
dalo si mostra dall'altra
parte,
nella
pretesa
di essere Dio,
accampata
da
questuomo insignificante, impotente,
il
quale
nel momento di
passare
ai
fatti,
si mostra assolutamente
incapace
di tutto. Nella
prima
forma,
si
parte
dal termine
uomo;
nell'altra si
parte
dalla deter-
minazionein Dio e lo scandalo
poggia
sullUomoDio.39
Questa
verit
paradossale
che Cristo allo stesso
tempo
Uomo e
Dio
va
presa
alla lettera senza
sotterfugi
e senza
furberie.
Kierkegaard
non
ama n
apprezza
le acrobaziecon cui i
padri
e
gli
scolastici hanno
cerca-
to di
spiegare
il mistero di Cristo e
ha
parole
molto severe nei confronti
delle
speculazioni teologiche
dei
propri contemporanei. Egli
scrive:
La
speculazione
ha,
naturalmente creduto di
poter "concepire"
l'Uomo-Dio
e, s'intende,
perch
la
speculazione
lo
spoglia
delle deter-
minazioni di
temporalit,
di
contemporaneit,
di realt.
Insomma,
non si
esagera
a dire che ci
significa semplicemente
abbandonarsi a
delle buffonate e farsi beffe della
gente:
triste e
terribilevedere che
questetteggiamento
stato celebrato come
profondit appartenente
allUomoDio.
No,
e la
situazione,
quella
situazione in cui l'individuo
che ti sta a
lato l'Uomo-Dio. L'Uomo-Dio non l'unit di Dio e
del-
l'uomo, una simile
terminologia
una
profonda
illusioneottica.
L'Uomo-Dio l'unit di Dio e di un individuo
particolare.
Che il
genere
umano sia o
debba
essere
imparentato
con Dio concezione
del
paganesimo
antico; ma
che
un uomo
particolare
sia Dio dottrina
del
cristianesimo, e
quest'uomo particolare
l'Uomo-Dio. N in cielo,
ne in
terra,
n all'inferno, n nei traviamenti del
pensiero pi
fantasti-
co si incontra la
possibilit
di
una associazione cos
pazzesca per
la
nostra
ragione.
Lo si riconosce
quando
si nella situazione della con-
temporaneit,
e non c'
possibilit
di
rapporto
con l'Uomo-Dio senza
mettersi
prima
in
questa
situazionewfl
L'uomo-Dio e un uomo
singolo
e non una unione fantastica che non

giammai
esistita se non sub
specie
aeterni>>.41
3")
Lzserczin del
cristianesimo,
in
Antologiaw
cit.,
p.
192.
4)
Ibid,
p.
103.
41) Ibzd.,
p.
204.
Kierkegaard
e la
metafisica
dell'esistenza 481
Il Cristo di
Kierkegaard
non
ha nulla
a
che vedere con
i Cristi roman-
tici,
edulcorati dei
quali

prodigo l'immaginario
del XIX sec.
Egli possie-
de Fausterit e
l'integrit
del
profondo
Medio Evo. ll Diario non
rispar-
mia la
disputa
con
lAmico celeste che condivide la
riprovazioneper
un
cristianesimo
troppo
zuccheroso
e sdolcinato, con
1a sua
aria mefitica,
le sue
rappresentazioni
asmatiche: in breve un
cristianesimo da
parro-
ci. Il Cristo di
Kierkegaard
risente dei rudi assalti condotti contro la
Chiesa stabilita. Ma
Kierkegaard
non unilaterale,
anche
capace
di
tenerezza; sa,
lui il camminatore solitario,
camminare con
il Cristo che si
commuove
per
i
gigli
dei
campi
e
gli
uccelli del cielo.42
La
grandezza
di
Kierkegaard
La
grandezza
di
Kierkegaard, quel
senso di ricchezza
e
di
profon-
dit che d la sua
opera
sono
in
gran parte
dovute alla strettissima
relazione che intercorre tra
questa
e
la sua vita. Sono le sue
esperien-
ze
quelle
da
cui
ha cercato di trarre il contenuto concettuale,
appena
concettuale. E
l'angoscia
della sua
giovinezza
che
gli
ha fatto com-
prendere
il ruolo
dell'angoscia,
il suo fidanzamentoe la rottura del
suo
fidanzamento che
gli
ha fatto
trovare
la sua teoria
dell'espressio-
ne indiretta e
dellncognito
divino. E la
sua
lotta con
il C0rsaire" che
gli
ha rivelato
meglio
che mai la sofferenza del cristiano e
1a sofferen-
za
di Cristo.43
Nel
pensiero religioso
di
Kierkegaard
si incontra un
duplice
radicali-
smo: un
radicalismo
teologco,
che
riguarda
il carattere della sua fede
totale, assoluta, sconfinata,
assorbentein
Dio; un
radicalismocristiano"
che
riguarda
il suo amore
ardente e
incondizionatoa Cristo,
il Cristo
crocifisso. In
questo duplice
radicalismo
sta, forse,
la
specificit
della
teologia
di S.
Kierkegaard.
Kierkegaard
Yantinzoderno
per
antonomasia,
ed sicuramente
per
questo
motivo che
egli
non fu n
compreso
n accettatodai suoi contem-
poranei. Egli
antimoderno in modo non meno
radicale di
Nietzsche,
ma mentre
questi
combatter la modernit in nome
di Dioniso e
dellAnticristo,
Kierkegaard
la combatte in nome
di Cristo.
La
passione per
l'uomo
collega
il
geniale pensatore
danese alla mo-
dernit, ma allo stesso
tempo
fa di lui il critico
pi severo,
il nemico
pi
irriducibiledella modernit. Mentre infatti il vessillo della modernit
limmanenza,
il vessillo di
Kierkegaard
la trascendenza;
la bandiera
della modernit la
secolarizzazione,
la bandiera di
Kierkegaard
il cri-
stianesimo. La modernit l'esaltazione
esasperata
dell'uomo senza
42)
X. TILLIETTE,
Filosofi
davanti a Cristo,
Brescia 1991,
p.
213.
43) ]. WAHL,
Etudes
kierkcgaardiennes,
Paris 1949,
pp.
449-450.
482 Parte terza
Dio"
(che
viene sistematicamente
ignorato
anche
quando
non viene
negato); Kierkegaard
la meditazione incessante e
profonda
sull'uomo
davanti a Dio.
Si considerato
Kierkegaard
il
padre
dell'esistenzialisrn0 sia filosofico
sia
teologico,
ma
questo
titolo non rende
pienamente giustizia
al
suo
pensiero, perch
il
suo esistenzialismo estraneo sia alla sistematicit
dellesistenzialismo
teologico
di Barth
e Tillich sia alla laicit dell'esi-
stenzialismofilosoficodi
Heidegger
e Sartre.
Uesistente,
il
Singolo
di cui
si
occupa Kierkegaard
con tanta
passione
in tutti i suoi scritti
l'uomo,
il
Singolo
davanti
a Dio. Per
questo
il
suo uomo non
ha nulla
a che
vedere
con
l'uomo della modernit. L'uomo di cui
egli
si
occupa
non
quello
della
soggettivit
e dell'immanenza,
l'uomo
sovrano
di
se stesso
e del mondo
(il microcosmo)
degli umanisti,
l'uomo miscredente
degli
illuministi,
l'uomo maturo e autonomodi Kant.
Questo
per
Kierkegaard
non il
vero
uomo,
ma l'uomo
decaduto,
l'uomo
peccatore.
Difendere il cristianesimo e
la
teologia
dalle insidie della
filosofia,
specialmente
dalle insidie della filosofia
hegeliana,
fu l'obiettivo
princi-
pale
di
Kierkegaard.
Su
questo punto
la
sua dissociazione da Sch1eier
macher
e
dalla
teologia
liberaledel suo
tempo
totale. La loro
preoccu-
pazione
era identica: rendere
comprensibile
il rinnovamentodell'uomo
per opera
di Dio ai
propri contemporanei.
Ma mentre Schleiermacher
cercava di
conseguire questo
risultato
percorrendo
la strada dell'armo-
nia,
Kierkegaard
lo fa
percorrendo
la strada del conflitto.
L'intenzione di Schleiermacher
e,
sulle sue tracce,
del liberalismoe
della
teologia
della
mediazione, stata
quella
di utilizzareFidealismo
in funzione
apologetica, per
condurlo, con
atteggiamento
sacerdotale,
alla
sua
segreta
meta;
l'intenzione di
Kierkegaard,
invece,
stata
quella
di
smascherarlo, con
atteggiamento profetico, scoprendovi
una
forma dello scandalo interminabiledestato dal
paradosso
dell'evan-
gelo
(...).
Schleiermacher
venne accettato dalla chiesa
e utilizzato
dalla
teologia
della mediazionein forma addomesticata.
Kierkegaard
aveva attaccato
proprio questa teologia
in
quanto ideologia
mediatri-
ce dellkstablslimerzt
ecclesiastico, e venne
quindi respinto
anche dalla
Chiesaw
La dialettica di
Kierkegaard
non una dialetticatruccata e
pasticciata
come la dialetticadi
Hegel,
dove
presto
o tardi tutti finiscono
per
trovar-
si d'accordo
grazie
a una sintesi
superiore. Quello
di
Kierkegaard
e un
autentico All-ALIZ o fede o
ragione,
o filosofia o Cristianesimo. Per
Kierkegaard

impossibile
servire due
padroni:
Dio e il
mondo,
la verit
44) H.
BskKHor,
0p.
cih,
p.
109.
Kierkegaard
e
la
metafisica
dell esistenza 483
e
la
menzogna,
Cristo e
Hegel.
E la
sua
scelta rischiosa
e
coraggiosa,
in
un
mondo che
aveva
gi
abbandonato Cristo e
che si avviava alla "mor-
te di
Dio",
fu
per
la
via,
che
Cristo,
questa
via
stretta, essa stretta fin
dal
suo inizio
(Per
Pesante di
se stessi).
La
protesta
di
Kierkegaard
contro
Hegel
(Yilluminismo,
il razionali-
smo, lidealismo)
in nome della sola
fides presenta
molte affinit con la
protesta
di Lutero contro Aristotele e la Scolastica. Ma la sua
protesta
non fatta in
nome
della Sola
Scriptura
e non
pertanto
una
protesta
specificamente teologica,
bens in
nome della esistenza credente e della
fede
vissuta,
la
quale
conosce una
sola verit: che l'uomo trova la sua
vera misura e la sua sicura dimensionesolo vivendo nella cosciente
pre-
senza di Dio e nella
sequela
di Cristo.
Profetico e inattuale al suo
tempo, Kierkegaard
divenne
improvvisa-
mente molto attuale e solennemente celebrato nei
primi
decenni del
secolo
XX,
nel momento in
cui, con la
prima tragica guerra
mondiale,
croll
l'utopia
illuministica, razionalistica, kantiana,
idealistica di un'u-
manit felice incamminata verso un continuo e inarrestabile
progresso,
in
grado
di esercitare il
suo
dominio sulla natura e
di
gestire
il
corso
della sua storia.
Questa
menzogna
era
gi
stata denunciata da
Kierkegaard
da
quasi
un secolo. Ma
questa
era soltanto
una
parte
e sicuramente la
parte
meno rilevantedel
suo
messaggio,
che
riguardava
la via maestra
da
seguire
per
conseguire
la
pace
e
la riconciliazione
con Dio,
la difficile
sequela
di Cristo. Sotto
questo aspetto,
il
suo annuncio che la salvezza
dell'uomo
dipende
esclusivamente dal
paradosso
cristiano continua a
essere inattuale e
profetico pi
che
mai, perch
l'uomo informatico
e
ciberneticodel secolo XX rifiuta
con altrettanta tracotanza dell'uomo
illuminatoe razionalista del secolo
XIX,
quella
fede in Cristo che sola-
mente lo
pu
condurre fuori dalla
prigione dell'angoscia
e della
dispe-
razionee
dalla
caverna
delle fatue illusioni.
484 Parte terza
Suggerimenti bibliografici
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FRIEDRICH NIETZSCHE
E LA DISTRUZIONEDELLA METAFISICA
Vita
e
opere
FriedrichWilhelmNietzsche
nacque
a Rcken,
presso
Ltzen,
il 15 ot-
tobre del
1844,
dal
pastore protestante
Karl
Ludwig
e
da Franziska
Oehler,
figlia
del
pastore
di
un
villaggio
vicino.
Dopo
la morte del
padre,
nel 1850 la
famiglia
si trasfer a
Naumburg.
L'infanzia
e
l'adole-
scenza furono caratterizzate dalla
passione
per
la musica e
da
precoci
interessi
per
la
poesia,
la storia e la
mitologia greca
e
germanica.
Dal
1859 al 1864 Nietzsche
frequent
la scuola di Pforta e nel 1864 si iscrisse
all'Universit di
Bonn,
frequentando dapprima
i corsi di
teologia,
per
dedicarsi
poi
allo studio della
filologia
sotto la
guida
di Friedrich
Ritschl,
che
segu
a
Lipsia
nel 1865. Probabilmenterisale al
periodo
uni-
versitario di
Lipsia
l'infezione luetica che lo
porter
alla follia e alla
pa-
ralisi. Nel novembre del 1868 conobbeRichard
Wagner
e rimase affasci-
nato dalla
sua
personalit;
l'anno
seguente,
a
soli 24
anni,
fu chiamato a
insegnare lingua
e letteratura
greca
all'universit di
Basilea,
dove strinse
amicizia
con Jacob
Burckhardt
e con il
teologo
liberaleFranz Overbeck.
Nel
1870,
in occasione del conflitto
franco-prussiano,
si arruol volonta-
rio come infermiere, ma una forte dissenteria
e la difterite lo
costrinsero,
dopo poche settimane, a lasciare l'esercito.
Ripresa
l'attivit
didattica,
dopo
la
pubblicazione
de La nascita della
tragedia,
nel
gennaio
1872,
i
rap-
porti
Con i
colleghi filologi
andarono
deteriorandosi, mentre si rafforza-
vano
quelli
con
Wagner.
Al 1873 risale l'amiciziacol filosofoPaul Re e
il
giovane
musicista Heinrich Koselitz
(noto con lo
pseudonimo
di Peter
Cast),
che diventer
uno
dei suoi
pi
fedeli
discepoli.
Durante il
sog-
giorno
a Sorrento
progett
con alcuni amici una sorta di moderno
con-
vento
per spiriti
liberi. Nel 1876 i
rapporti
con
Wagner
furono seria-
mente
compromessi:
il musicista si
presentava sempre pi
come il
por-
tatore di
quegli
ideali metafisici che il filosofo andava ormai abbando-
nando; con la
pubblicazione
di
Umano,
troppo
umano la rottura con
Wagner
divent definitiva. A causa del
peggioramento
delle
sue
condi-
zioni di
salute,
nel 1879 Nietzsche abbandon definitivamente
l'insegna-
mento; a
partire
da
questo
momento condusse una vita
errabonda,
alla
ricerca di
un
luogo
il cui clima
e il cui ambiente fossero adatti alle
sue
486 Parte terza
condizioni. Grande
giovamento,
non soltanto
fisico, trasse dai
soggiorni
estivi a Sils-Maria,
in
Engadina,
e
dai molti
viaggi
e
soggiorni
in Italia
(Riva
del
Garda, Genova, Messina, Venezia, Recoaro,
Rapallo);
durante
uno di
questi,
nel 1882 a Roma,
fece la conoscenza di
Lou von Salom,
dalla
quale
rimase
profondamentecolpito.
Nel 1882
pubblic
La
(gaia
scienza,
da cui
sperava
di ottenere un
gran-
de
Successo,
ma
che invece
pass quasi
inosservata.
Questa
delusione e
quella
ancor
pi grave derivatagli
dal fatto che Lou von Salom,
che
sperava
di
sposare,
non ricambioil
suo affetto,
aggravaronorapidamen-
te la
sua
malattia mentale.
Per,
prima
di
piombare completamente
nella notte della
pazzia,
Nietzsche
era riuscito a
portare
a termine i suoi
capolavori:
AI di l del bene
e
del male
(1885);
La
genealogia
della morale
(1887);
Cos
parl
Zaratustra
(1891).
Solo La volont di
potenza
rimase
incompiuta.
Nel 1897 mor la
madre;
la sorella
Elisabeth,
che nel 1894 aveva
fon-
dato l'Archivio Nietzsche
e
che avrebbe
pubblicato
-
non senza
gravi
manipolazioni
- i suoi ultimi
scritti,
port
con s il malato a Weimar.
Nietzsche si
spense
in
questa
citt nel 1900.
La rivoluzioneculturale di Nietzsche
Indubbiamentela
pagina pi
nera
della storia della metafisica
quel-
la che ha scritto Nietzsche nella sua esuberante
produzione
letteraria.
Nel mondo del
pensiero
Nietzsche l'autoredi una rivoluzioneben
pi
profonda
e
radicale della
piccola
rivo1uzi0ne
copernicana" operata
da
Kant.
Questi, come
sappiamo,
non aveva
distrutto la
metafisica, ma
semplicemente
cambiato le
sue fondamenta, n aveva distrutto i valori
assoluti,
perch
anzi li aveva
posti
alla base della sua
esigente
morale.
Invece, uno
degli
obiettivi
primari
di Nietzsche demolire la metafisica
e
capovolgere
la tradizionaletavola dei
valori,
che dava
importanza
solamente ai valori assoluti.
Nietzsche indubbiamenteun
pensatore geniale,
che riuscito a C0-
gliere meglio
dei suoi
contemporanei
la situazione culturale del
proprio
tempo. Egli percepisce
chiaramente che la cultura occidentale costruita
sulle basi della metafisica classica e
del cristianesimo
volgeva
ormai al
tramonto, e con
la
sua
analisi
penetrante
e con
le sue
proposte
ardite
egli
contribu ad affrettarnela fine.
Insieme a
Marx
e a Freud,
Nietzsche uno
dei
grandi
maestri del
sospetto",
uno
dei
padri
dellateismo moderno, uno dei
maggiori
demi-
stificatori del
pensiero
tradizionale;
egli
uno
dei massimi fautori della
travolgente
rivoluzione culturale che ha avuto
luogo
nel secolo XX in
tutto l'Occidente: dico rivoluzione cu1turale",
che
comprende
molto
pi
di
una
rivoluzione
politica,
sociale,
economica o
religiosa.
Friedrich Nietzsche
e la distruzione della
metafisica
487
Mentre la rivoluzione culturale di Marx era diretta alla societ
e
al-
l'uomo come essere sociale
(il
singolo
totalmente
disatteso),
la rivolu-
zione culturale di Nietzsche
riguarda
eminentemente il
singolo:
l'uomo
come individuo,
fuori dal
"gregge",
fuori dalla societ. In entrambi i
casi la rivoluzione
e
la transvalutazione
radicale,
completa,
totale: il
trascendente annientato e l'uomo diviene l'essere
supremo:
fonte uni-
ca e arbitrariadi tutti i
doveri, senza alcun
diritto,
nella concezionemarxi-
sta;
fonte unica e
arbitraria di tutti i diritti senza nessun dovere,
nella
concezione nietzschiana.
L'epoca
in cui
viviamo,
anche
grazie
al crollo del
marxismo,
un'e-
poca apertamente
dionsiaca:
l'epoca
dell'homo ludens
e non
pi
dell'ho-
mo
sapiens. Questa
esattamente
l'epoca
di cui Nietzsche stato un lun-
gimirante profeta:

l'epoca post-metafisica
e
post-cristiana
che
egli
aveva
sognato.
Del ricco e turbolento
pensiero
di Nietzsche
a noi
qui
interessano due
aspetti:
1)
la distruzione della
metafisica; 2)
la celebrazione del nichili-
smo e della visione dionisiacadella realt.
La distruzione della metafisica
Per Nietzsche i
grandi
nemici dell'uomo
sono tre: la
religione,
la mo-
rale
e la metafisica: la
religione
che
sottomette l'uomo
a
quell'onnipoten-
te
padrone
che si chiama
Dio,
la morale che sottomette l'uomo alla
legge,
la metafisica che sottomette l'uomo
a un mondo
superiore.
Col
pesante
martello della sua critica Nietzsche
cerca
di
spezzare queste
tre
pesantissime catene,
onde restituire all'uomo la
piena
libert. Il suo Za-
ratustra
predica
la "morte di
Dio",
la fine della morale
e
la falsit della
metafisica. l suoi attacchi
a Dio e alla morale
sono ben
noti; meno cono-
sciuti i suoi attacchi alla
metafisica,
che
sono
quelli
che
a noi
qui
interes-
sano
pi
direttamentefl
Secondo Nietzsche la metafisica tre volte
falsa:
falsa
con se stessa,
falsa
con le
cose,
falsa
con l'uomo. Anzitutto falsa
con se
stessa,
perch
ignora
o misconosce le motivazioni delle
proprie
teorie. I metafisici si
comportano
tutti come se avessero
scoperto
e
raggiunto
le
proprie opi-
nioni attraverso Pautoevoluzionedi
una dialettica
fredda,
pura
e
divina-
mente serena (...), mentre in fondo essi difendono
con
argomenti
cercati
a
posteriori
una tesi
preconcetta,
una
trovata, una
ispirazione,
molto
spesso
un desiderio del
cuore astrattizzatoe filtrato; sono tutti avvocati
1) Per
un'esposizione completa
delle critiche
mosse da Nietzsche alla
religione,
alla morale e alla metafisica cf. B.
MONDIN,
Il valore
ziomo,
Roma
1987,
2
ed.,
pp.
70-91.
488 Parte terza
che non
vogliono
che lo si dica, e
in realt sono
per
lo
pi
scaltri sosteni-
tori dei loro
pregiudizi,
che essi chiamano verit.2
In secondo
luogo,
falsa con
le
cose, perch
introducendo un secon-
do
piano
della realt (le Idee, Dio,
le sostanze
separate,
lo
Spirito
Asso-
luto ecc.), essa svalorizza, mortifica,
annienta il loro effettivo valore.
Il
principio
di contraddizioneforn lo schema: il mondo
vero,
verso
il
quale
si cerca
la via, non
pu
essere
in contraddizionecon se
stesso,
non
pu
mutare, non
pu
divenire, non
ha n
principio
n fine. E
que-
sto il
pi grande
errore
che si sia
commesso,
la vera e
propria sciagura
dell'errore sulla terra: si cred di avere nelle forme della
ragione
un
criterio della
realt,
mentre le si aveva
per
dominare la realt,
per
fiaintenziere
la realt in modo avveduto (...).
E
guarda
un
po:
ecco
che
il mondo divenne falso, e
proprio
a causa
delle
qualit
che
ne
costitui-
scono la realt:
mutamento, divenire,
pluralit,
contraddizione,
guerra.
E allora avvenne tutto il disastro: 1) come
ci si liberadal mondo falso,
del mondo meramente
apparente?
(era
quello
reale, l'unico); 2) come
possiamo
diventare noi stessi al massimo il contrario
rispetto
al carat-
tere del mondo
apparente?
(concetto
dell'essere
perfetto
come
opposto
a
ogni
essere reale, o
meglio
come
contraddizionealla vita"); 3) tutto
l'o-
rientamentodei valori and verso
la
denigrazione
della vita.3
Infine,
la metafisica falsa verso l'uomo,
perch
vuole
gettare
un
velo o addirittura
sopprimere
la
parte pi importante
e
pi
autentica del
suo
essere,
che
quella
che
riguarda gli
affetti,
gli
istinti,
i sentimenti,
le
passioni,
la volont di
potenza,
riducendo tutto alla
testa,
alla
ragione,
al
pensiero.
Tutto
quanto
e
pertinente
alla
non-ragione,
allarbitrario,
al
casuale,
allistintiv0 stato odiato dai metafisici.
Conseguentemente
essi hanno
negato questo
elemento all'essere in
s,
hanno
concepito
quest'ultimo
come
razionalit" e
finalism0" assoluti.4
Secondo Nietzsche il
padre
di tutte
queste menzogne
metafisiche
stato Platone,
sul
quale egli
non si stanca di
pronunciare
sentenze
di
condanna e
di
disprezzo; egli
infatti l'autore dell'errore
pi grave,
pi
tenace e
pi pericoloso
fino a
oggi, quello
di inventare uno
Spirito
e
un
Bene in s.5
3)
Aldildel benee del male,
Milano 1968,
p.
23.
3)
Frammenti
pnstunti
1888-1889,
Milano 1974,
p.
126.
4) Ibid,
p.
12s.
5) 12nd,
p.
238.
Friedrich Nietzsche e
la distruzione della
metafisica
489
La concezione estetica della filosofia
Con
questi argomenti
Nietzsche
distrugge
la metafisica ma non
la fi-
losofia,
perch
l'uomo un essere
pensante
ed
quindi
naturalmente fi-
losofo. Ma della filosofiaNietzsche ha
un concetto bendiverso da
quello
che
avevano avuto i suoi
predecessori.
A
una
concezione teoretica della
filosofia,
che
quella
che trova nella metafisica la
sua
massima
espres-
sione,
Nietzsche
contrappone
una
concezione
estetica,
la
quale concepi-
sce
la filosofia
come arte: i suoi intenti non sono
speculativi
e astratti,
ma
pratici
e
concreti. I veri filosofi - scrive Nietzsche -
sono
coloro che
comandano
e
legiferano:
essi affermano cos deve essere! Essi determina-
no in
primo luogo
il "dove" e
l'"a che
scopo" degli
uomini, e cos facen-
do
dispongono
del lavoro
preparatorio
di tutti
gli operai
della filosofia-
essi
protendono
verso
l'avvenire la loro mano creatrice e tutto
quanto

ed stato diventa
per
essi
mezzo, strumento,
martello. Il loro "conosce-
re"
creare,
il loro creare
una
legislazione,
la loro volont di verit
volont di
potenzaw
Le
funzioni
delfautenticfl
filosofia
per
Nietzsche sono
quelle
dell'arte:
essa
opera
una
profonda
trasformazionedelle
cose,
ma non
per
farle
belle,
bens
per
far loro
rispecchiare
la
potenza
dell'uomo,
la
potenza
della vita. Essa
possiede
il
potere magico
di
trasfigurare ogni cosa,
di
trasvalutare tutti i
valori,
di affrancare l'uomo da tutte le catene della
metafisica,
della
morale,
del cristianesimo,
cos da
consentirgli
di dire
"s a tutte le
cose,
anche
a tutto
quanto
in
passato
stato
proibito,
disprezzato,
maledetto. In
uno
dei frammenti
postumi
Nietzsche
asse-
gna
all'arte filosoficatre
compiti
fondamentali:
1)
la redenzione dell'uomo della conoscenza:
di colui che
scorge
il caratte-
re
spaventoso
e
problematico
dell'esistenza,
anzi lo vuole
scorgere,
di
colui che ha la
conoscenza
tragica;
2)
la redenzione dell'uomo d'azione: di
colui che
non
solo
scorge
e
vuole
scorgere
il carattere
spaventoso
e
problematico
della
esistenza, ma anche lo
vive,
vuol
viverlo,
dell'uo-
m0
tragico
bellicoso, dell'eroe; 3)
lo redenzione del
sofierente:
come
la via
verso condizioni nelle
quali
la sofferenza
voluta,
trasfigurata,
divi-
nizzata,
in cui la sofferenza una
forma della
grande
delizia?
Tipo
ideale dell'artista filosofo di
nuovo Dioniso: lui l'unico, vero,
autenticofilosofo,
che sa
partecipare
creativamente alla danza eterna del
divenire
e sa
farsi
"creatore, amante,
benefattoredi tutte le cose". Cos
non a caso nell'ultimo,
conclusivo frammento dei manoscritti Nietzsche
6) Al di l del bene
e
del
nzale, cit.,
pp.
147-148.
7) Frammenti
postumi 1888-1889,cit.,
p.
31].
490 Parte terza
sceglie
per
s il titolo di
"Dionysos philosophos".
Sotto
questo
titolo
egli
cos riassumeil
senso
della
sua
attivit letteraria: I miei libri,
riga per riga,
sono
libri vissuti
per
una
volont di vita e con ci
stesso,
in
quanto
creazio-
ne,
rappresentano
una
aggiunta
reale, un
di
pi
di
quella
vita stessaw
Il nichilismo
Tra i titoli che si sono dati a Nietzsche
figura
anche
quello
di
"padre
del nichilismo. Si tratta di
un
titolo
ch'egli
avrebbe ricusato
sdegnosa-
mente, perch quella
che
egli
considerava nichilistica la concezione
platonico-cristiana
del
mondo,
la
quale,
a suo
giudizio,
ha
un
atteggia-
mento e una
valutazione fortemente
negativi
nei confronti di
questo
mondo
e
della vita dell'uomo su
questa
terra.
Di fatto
per
nell'uso
corrente,
il nichilismo
una visione della realt
che
nega
l'esistenza di
principi primi
trascendenti
e
di valori assoluti. E di
tale visioneNietzsche indubbiamenteuno
degli
assertori
pi categorici.
La concezione estetica che Nietzsche ha della filosofiaabbraccia due
momenti: uno
nichilistico
e
l'altro vitalistico.
Il
primo
momento
quello
in cui
egli
fa tabula
rasa
della vecchia
con-
cezione dell'uomo,
visto come
umile "cammello" sottomesso a
Dio e ai
suoi
comandamenti;
fa tabitla rasa
delle sovrastrutture
religiose,
etiche e
metafisiche che fanno da
supporto
a tale
concezione; e,
infine,
demolisce
la tavola
platonico-cristiana
dei valori che riconosce
dignit
soltanto ai
valori assoluti
e
disprezza
e
condannai valori relativi.
Poco
prima
di morire Nietzsche ha dichiarato che nella sua
vita ave-
va avuto un unico
scopo
e una
sola
grande passione: distruggere
i valori
trascendenti, i valori
spirituali
che stanno alla base della cultura occi-
dentale,
operare
una
"transvalutazionedei valori"
e iniziare,
in
questo
modo,
la costruzione di
un nuovo
umanesimo
(quello
del
supepuomo);
risalire dallottica del malato a
pi
sani concetti e valori e
poi
discende-
re, Viceversa,
dalla ricchezza e certezza di s della vita
piena,
a scrutare
il lavoro di
filigrana
deIl'istinto di decadenza: stato
questo
il mio
pi
grande
esercizio,
la mia
pi
lunga esperienza:
e se sono maestroin
qual-
che
cosa,
lo sono in ci. E
cosa
che
tengo
in
pugno,
ho la mano
per
rove
sciare le
prospettive; ragion per
cui solo a me era
possibile
una transva-
Iutazione dei zval0ri.9
Come risulta dal volume che
raccoglie
i frammenti
degli
ultimi due
anni
(1888-1889)
della
sua
attivit letteraria, Nietzsche,
prima
che la sua
mente soccombesse
per sempre
alle tenebre della
pazzia,
era tutto
preso
dall'idea di
comporre
un'opera
sistematica sul nichilismodei valori e
8) Ibid,,
p.
379.
9) Ibiat,
p.
399.
Friedrich Nietzsche e la distruzionedella
metafisica
491
sulla loro transvalutazione. Di tale
opera
egli
ci ha lasciato una
dozzina
di schemi,
i
quali comprendono
tutti due
parti:
una
pars
destruens,
intesa
alla distruzione dei valori assoluti e di tutte
quelle
forme di
sapere
(soprattutto
la
morale,
la
religione
e
la
filosofia)
che fanno loro da
sup-
porto,
e una
pars
construens che
riguarda l'esposizione
di una nuova teo-
ria dei valori
e, conseguentemente,
anche di una nuova Concezione della
realt
(la
concezione vitalistica-dionisiaca)e
dell'uomo.
Quasi
tutti
gli
schemi
prevedono quattro
libri,
tre destinati alla distruzione dei valori
assoluti e uno
alla fondazione dei nuovi valori.
L'opera
doveva avere
per
titolo o
"Volont di
potenza"
(che

quello
che ricorre
pi spesso
ne-
gli
schemi)
oppure
"Trasvalutazionedi tutti i valori". Un
progetto
che
porta
il secondo titolo divide la materia come
segue:
Libro
primo:
L'anti-
cristo. Tentativo di
una
critica del
cristianesimo;
Libro secondo: L0
spirito
libero. Critica della filosofia come movimento nichilistico; Libro terzo:
Uimmoralista. Critica della forma di
ignoranza pi
funesta,
la
morale;
Li-
bru
quarto:
Dioniso. Filosofiadell'eterno ritorno.
Come abbiamovisto, momento saliente del nichilismo la distruzione
della
metafisica.
Questa
distruzione
per
non intesa da Nietzsche come
distruzione dell'essere
per
rimpiazzarlo
col nulla. Gli
opposti
che interes-
sano
all'autoredi Cos
parl
Zaratustra non sono essere-nulla,
bens esse-
re-dvenire. Ci che Nietzsche intende uccidere il
Cuore
della metafisi-
ca,
vale a dire la divisionedella realt in due
piani:
il
piano superiore
abi-
tato dall'essere immobile,immateriale, eterno, divino, e
il
piano
inferiore
abitato dal
divenire,
dal
corporeo,
dal
contingente. Togliendo
il
piano
dell'essere,
Nietzsche
cancella
il
piano
della trascendenza e
della eternit
e conserva
soltanto il
piano
della vita e
della storia.
Visione vitalistica
e
ludicadel mondo
Del mondo Nietzsche ha
una visione che allo stesso
tempo
vitalisti-
ca e ludica: vitalistica in
quanto principio supremo
d'ogni
cosa la
vita; e
ludica in
quanto
la vita un
gioco:
la vita
gioca, e, quindi
va
presa
come
un
gioco.
Nella visione di Nietzsche la realt si
presenta
come
un'esplosione
potente
di
vita,
"un mostro di forze senza
principio
e senza fine", uno
sprigionarsi
esuberante di
bellezza,
potenza,
odio
e
amore, gioia
e dolo-
re,
vilt e
coraggio,
libert e
rassegnazione,
senza nessuna
legge,
senza
nessun controllo. La realt la vita in tutte le sue
spettacolari,
affasci-
nanti o
agghiaccianti espressioni,
e
la vita una smsurata "volont di
potenza".
Ecco
pertanto
il valore
supremo per
Nietzsche: la volont di
10) Ibid,
p.
339. Altri schemi si trovano alle
pagine
4-5, 47, 110-111, 129, 207, 254,
304-305,
311 (due schemi), 329, 339,
359.
492 Parte terza
potenza, pi
esattamente il massimo
quantum
di
potenza
che luomo
riesce a
incorporare>>fl
La filosofia di Nietzsche
quindi
un
frenetico
e incondizionato"s
alla
vita, un s universale che fa
piazza pulita
di tutti i
no",
di tutti i
divieti,
proibizioni,
condanne. Per Nietzsche la distinzione tra s e
no",
tra
positivo
e
negativo,
tra benee male" un delitto mortale
con-
tro la Vita. Dire di s alla Vita
potenza,
dire di
no alla vita
(ecndeizza,
nichilismo. Chi dice di s alla vita liberoanche
se immorale,
chi dice di
no alla vita schiavo anche
se morale.
Per
gli
uomini divenuti
liberi,
pi
niente vietato (...) tutto
quanto
in
passato
ci era vietato, come
empio, proibito, spregevole,
nefasto, tutti
questi
fiori
crescono
oggi lungo
il ridente sentiero della veritml
Per
ogni tipo
d'uomo forte
e rimasto
natura,
fanno tutt'uno amore e
odio,
gratitudine
e vendetta,
bont e collera, affermazione
e
negazio-
ne nella
prassi.
Si buoni
a
patto
di
saper
essere
anche
cattivi;
si cat-
tivi,
perch
altrimenti non si
saprebbe
essere buoni>>.13
La
legge
suprema
della
vita,
formulata da Zaratustra
per primo,
vuole che si sia
senza
conzpassionc
per ogni
scarto e rifiuto della
vita,
che si
distrugga
ci che
per
la vita ascendente
non sarebbe che ostaco-
lo,
veleno, cospirazione,
sotterranea ostilit in
una
parola:
cristiartesi-
m0 E
immorale, contro natura nel
senso
pi profondo
dire non
uCcidere. Il divieto bibliconon uccidere e
uningenuit
a
paragone
del mio divieto ai decadenti non
generate
-
qualcosa
ancora
peg-
giore
Contro lo scarto e il rifiuto della vita c'e
un solo
dovere,
distruggere;
essere
qui pietosi,
volere
qui
conservare a tutti i
costi,
sarebbela forma
suprema
dellmmoralit,
la
vera e
propria
c0ntrona-
tura,
Yinimicizia mortale contro la vita stessam
Nella concezione nietzschiana della realt il
buono,
colui che
pratica
la
giustizia
e
rispetta
le
leggi
della
morale,
un
parassita:
vive a
spese
della vita:
come uno che
liquida
la realt
con la
menzogna
come avver-
sario dei
grandi
istinti
propulsori
della
vita, come
epicureo
di
una
picco-
la
felicit,
che rifiuta
come inznzorale la
grande
forma di felicit.15 Il
buono necessariamente
una vittima dellistinto nichilisticoil
quale
dice di
no: la sua affermazione
pi
attenuata che
non essere
meglio
di
essere,
che la volont del nulla ha
pi
valore della volont di
vivere;
quella pi rigorosa
che il nulla la cosa
pi
desiderabile,
che
questa
vita, come
opposto
del
nulla, assolutamente
priva
di valorewb
n) una,
p.
12.
11) Ibid,
p.
242.
13) lbl,
p.
259.
H) lbizi,
pp.
376-377.
15) Ibid,
p.
373.
m) Ibid,
p.
318.
Friedrich Nietzsche e
la distruzione della
metafisica
493
La vita di cui
parla
Nietzsche ha dei confini ben
precisi:
e la vita in
questo
mondo, su
questa
terra,
la Vita fisica,
la Vita del
corpo
e
nel
corpo,
perch
a suo
giudizio,
non c' altro mondo al di fuori del mondo
materiale,
n altra vita umana
al di fuori di
quella
che
opera
nel nostro
corpo.
L'uomo nato
per
esistere sulla terra e non
c' nessun
altro
mondo
per
lui al di fuori di
questo.
L'anima che dovrebbe essere
il
sog-
getto
dell'esistenza ultramondana
inesistente;
l'uomo soltanto
corpo:
Io sono
corpo
tutt'intero e
nient'altro. Il mondo di Nietzsche si esauri-
sce
nell'immanenzaterrestre.
Separarvi
un
mondo vero
da
uno
apparen-
te,
come se
questo
mondo non
fosse
gi
il mondo vero la
grossolana
menzogna
di Platone e del cristianesimo. Il mondo uno
solo:
quello
che si
spalanca
davanti ai nostri occhi.
Questo
un
mondo nel
quale,
ovviamente, non
c'
posto per
Dio. Dio
morto,
annuncia Zaratustra
all'umanit;
in verit Dio non
mai
esistito, perch
non
pu
esistere.
Dio una
proiezione
dei
bisogni
dei
deboli,
del
"gregge";
stato inven-
tato da un'anima malata e meschina,
avvelenatadi risentimento contro i
sani,
i forti,
i
potenti.
Dio la folle
opera
di un uomo come
tutti
gli
dei
(...).
La svofferenza e
l'impotenza
crearono tutte le cose
di l del mondo (...).
La stanchezza,
che d'un sol balzo -
con un salto mortale vorrebbe
raggiungere
il
culmine,
la
povera
stanchezza
ignorante,
che
non sa nemmenovolere,
essa
sola cre tutti
gli
dei e il
soprannaturale.
Credetelo fratelli miei!
Fu il
corpo
che
disperava
di se e
che con le dita di uno
spirito
anneb-
biatotastava annebbiandole ultime
pareti.
Credetelo miei fratelli! Fu
il
corpo
che
disperava
della
terra, e
credeva di udir
parlare
l'utero
dell'Essere. E allora volle cacciar la testa oltre le ultime
pareti
-
e non
solo la testa -
per
arrivare a
quellmaltro
mondo". Ma
quel
mondo"
troppo
ben celato
agli
uomini. Quel
mondo umano e disumano un
celeste nulla; e
l'utero dell'Essere non
parla
affatto
agli
uomini (...).
Ammalati e morituri furono coloro che
spregiarono
il
corpo
e
la terra
e
inventarono il cielo e le
gocce
di
sangue
redentrici; ma
anche
questi
veleni dolci e tristi essi li tolsero dal
corpo
e
dalla terram
La vita nella sua marcia trionfale
insegue
un unico
traguardo:
il
pas-
saggio
dall'uomo al
super-uomo.
Il
supemomo
il senso
della terra. La
nostra volont
proclami:
il
superuomo
sia il senso della
terra>>,18
l'an-
nuncio di Zaratustra all'umanit. Io
voglio insegnare agli
uomini il
sen-
so
del loro essere:
che il
superuomom precisa pi
avanti lo stesso Za-
ratustra. La
vita,
volont di
potenza, raggiunge
nel
super-uomo
la massi-
ma realizzazionedi
questo
valore: essa diviene volont di
potenza
esi-
17)
FgNIETZSCIIE,
Cos
parl
Zaratusfra, Bocca,
Milano
1906,
pp.
24-25.
13)
bial,
p.
6.
1) 112151.,
p.
13.
494 Parte terza
stenzializzata, nelle tensioni
aggressive
e
plasmanti
che si scatenano nel
cuore dell'uomo. ll
superuomo
l'uomo che si sa
adeguare
al
passo
di
danza della
vita,
che accetta
tutto,
apprezza
tutto,
esalta tutto e non
oppone
mai nessun rifiuto a
quello
che la vita
gli
offre: il bene
come il
male,
il bello
come il
brutto,
il dolore come la
gioia.
Il
superuomo
,
per
Nietzsche, la formula
dell'affermazione suprema,
nata dalla
pienezza,
dalla
sovrabbondanza, un dire s
senza riserve al dolore
stesso,
alla
colpa stessa, a tutto ci che l'esistenza ha di
problematico
e
ignotomf
Per
raggiungere
il
traguardo
del
superuomo,
l'uomo deve
passare
attra-
verso una
duplice
metamorfosi: la
prima
lo trasforma da
rassegnato
cammello
(l'uomo buono, obbediente, umile,
religioso, moralista) in
aggressivo
leone (lo
spirito
libero, autonomo,
legislatore
di
se stesso,
padrone
assoluto dei
propri
atti);
la seconda
metanzorfosi
lo tramuta da
furioso leone in innocente
fanciullo,
il
quale
ammira e ama la realt in
tutte le
sue manifestazioni, e
pronuncia
un
gioiosissimo, straripante
s
alla vita.21
La
vita,
che ha nel
superuomo
il suo
supremo traguardo,
ha
anche,
allo stesso
tempo, leggi
ferree, inesorabili,
che Nietzsche
esprime
con la
formula dell'eterno ritorno:
Tutte le cose eternamente ritornano
e noi con
esse, e noi
gi
fummo
mille
volte, e tutte le
cose con noi. Esiste un
grande
anno del
divenire,
il
quale,
simile a una clessidra,
deve
capovolgersi sempre, per poter
scorrere ed esaurirsi. Sicch tutti
questi
anni
sono
eguali
tra loro, nelle
cose
pi grandi
e nelle
pi piccole
(...). Tutto
dilegua,
tutto ritorna;
eternamente
gira
la ruota dell'esistenza. Tutto
muore,
tutto
risorge;
eternamente scorre l'anno dell'esistenza. Tutto si
spezza,
tutto si
ricongiunge;
eternamente s'edifica la stessa casa dell'esistenza. Tutto
si
separa
e tutto si
rinsalda;
sempre
fedele a se stesso l'anello dell'e-
sistenza. A
ogni
attimo l'esistenza ricominca.23
L'oceano della Vita non
pu partorire
che
una certa serie di
esistenze,
ma
queste
si rinnovano
eternamente,
secondo
un circolo chiuso ben
pre-
ciso. Alla
legge
dell'eterno ritorno
, ovviamente,
legato
anche
l'uomo,
sia l'uomo
piccolo,
l'uomo
buono,
l'uomo
vile, come l'uomo
grande,
for-
te, coraggioso,
il
superuomo.
L'uomo eternamente ritorna! L'uomo
pi
vile ritorna eternamente>>.23 Ma anche il
superuomo:
entrambi fanno
parte
del
gioco
della volont di
potenza
della vita.
Quelle
mani d'ac-
ciaio della
necessit,
che scuotono il bossolo dei
casi,
giuocano per
un
20) 10., Ecce
homo, Adelphi,
Milano
1969,
p.
73.
3") Cf. Cos
parl
Zaratuslm,
Le tre metamorfosi".
22) Ibid,
pp.
205-208.
23) Ibat,
p.
207.
Friedrirh Nietzsche e la distruzione della
metafisica
495
tempo
infinito il loro
giuoco
e
l'uomo rientra fra le
pi inaspettate
e
stimolanti mosse
che
giuoca
il
grande
fanciulloeraclite0>>24
Raffigurazione
ideale e
modello
supremo
del s alla vita cos come
essa
si snoda
prepotentemente
lungo
l'anello dell'eterno ritorno Dioni-
so: Qui
io colloco il Dioniso dei
greci:
la
religiosa
affermazione della
vita,
della vita
intera, non
negata
n dimezzate. Dioniso a un
tempo
simbolo della esuberanza della Vita e
della sua
gioiosa
accettazione. Dio-
niso
simboleggia
il divenire delle cose che,
nella sua necessit, lega
insieme dolore e
gioia,
vilt e
coraggio,
amore e vendetta, ma
simboleg-
gia pure
la condizionedel
superuomo
che accetta con
esultanza tutte le
espressioni
contraddittoriedell'esistenza.
Negli
schemi
dell'opera
TTLIHSULIHGZOTEdei valori Nietzsche
contrappo-
ne
sistematicamentela
figura
di Dioniso a
quella
di
Cristo;
questa
viene
intesa come
massima
espressione
del nichilismo,
del no
alla
vita,
dello
spirito
di
rassegnazione
e
di
abnegazione.
Si
pu
bendire che Dioniso e il
Dio di Nietzsche. In uno
degli
ultimissimi frammenti
postumi, dopo
avere
colpito
col suo
pesantissimo
"martello" il Dio di
Ges,25
Nietzsche
annota che,
anche
dopo
la morte
del Dio dei Cristiani,
nuovi dei sono
ancora
possibili
e
che lui stesso ha avvertito a
volte ravvivarsi nel suo
cuore
l'istinto
religioso,
cio l'istinto
plasmatore
di dei.
Qualora
dovesse
tentare di
plasmare
un
Dio lo farebbenella forma di Dioniso,
dotandolo
di
"piedi leggeri", capaci
di
eseguire
le vorticose danze del divenirefifi
Un'altra
figura
che Nietzsche ama
contrapporre
a Cristo Zaratustra,
il
predicatore
del "nuovo
vangelo".
Uantitesi tra Ges e
Zaratustra
costituisce
pertanto
il centro del
messaggio
lirico e
polemico
di
Nietzsche)? Zaratustra
Yantagonista
di
Ges,
del
quale
viene a contra-
stare
o, meglio,
a
liquidarel'opera
moribonda, come mostrano
gli episodi
dellnvestitura: A
riposo,
ll
saluto,
Del! zomo
superiore.
Zaratustra e colui che
capovolge
radicalmente tutti
gli insegnamenti
di
Cristo,
che rovescia la sua
scala dei
valori,
che dice di no
al cristianesi-
mo
in misura inaudita,
che mette in
opera
il no
di fronte a tutto ci a cui
finora e stato detto
s,
che
impugna
il martello
per
demolire la
prigione
in cui l'uomo stato
rinchiuso dal cristianesimo? In una nota
pagina
di
Ecce Homo,
Nietzsche canta cos le Virt del
suo
eroe,
Zaratustra:
Enorme la scala su cui
egli
sale e scende;
pi
di
qualunque
uomo
egli
ha
guardato
oltre,
ha voluto
oltre,
ha
potuto
oltre. Contraddice
con
ogni
sua
parola,
lui,
lo
spirito pi
affermatore di
tutti;
in lui tutti
gli opposti
sono
legati
in una nuova unit. Le forze
supreme
e
infime
mJ
F. NIETZSCHE,
Genealogia
della morale
ll,
16.
Cf. Frammenti
postumi
1888-1889, cit,
pp.
314-315.
Cf. fbid.,
pp.
315-316.
X. TILLIETTE,
0p.
cit,
p.
246.
Cf. F.
NIETZSCHE,
Ecce Homo,
Milano
1969,
pp.
116-117. h)
lx)
h)
Id
m
\l
G\
U1
xgxz/grx-r
496 Parte terza
della natura
umana,
quanto
c' di
pi
dolce,
di
pi leggero
e tremen-
do
sgorga
da
una sola
sorgente
con immortale sicurezza. Fino ad allo-
ra non si
sapeva
che cos'
l'altezza,
che cos' la
profondit;
ancor
meno,
che cos' la verit (m). Prima di Zaratustra
non c
saggezza,
non c' ricerca
sull'anima, non c' arte del discorso
(...). Tutto ci che
finora fu chiamato
grande
infinitamente
lontano, al di sotto di lui.29
Zaratustra
possiede
la virt di Dioniso. La sua anima si
immerge
nel
divenire: l'anima
pi saggia,
cui la follia
parla pi
suadente di
tutto,
la
pi capace
di
amare se stessa,
in cui tutte le cose hanno il loro
Corso e
ricorso,
flusso e riflusso.30
Zaratustra,
come Dioniso,
ha
come
propriet
caratteristiche la danza
e il riso. E
leggero,
atletico, elastico. L'elemento
alcionico,
i
piedi leggeri, Yonnipresenza
della cattiveria e della tracotan
za
tipico
di Zaratustra>>fi1
Egli
nomade che
percorre
i
deserti, con la
lunga
falcata silenziosadel
cacciatore,
abituato
a una vita rude e
frugale.
Sembra avvolto nella
sua natura
lustrale,
bagnato
di fuoco
come
la
salamandra. Ride di
un riso che mostra tutta la
gamma
del riso:
leggero,
beffardo, sottile, irridente,
incoraggiante, parlato, sonoro,
ma che
pu
trasformarsi in
un
sogghigno>>fi2
Danzatore, ridente, musico,
Zaratustra
inaccessibile,
distante.
Nietzsche l'ha incastonato in
unbrgogliosa
solitudine,
nella solitudine
azzurrina in cui vive
l'opera
(secondo
il
panegirico
di Ecce
Homo) e
che
traduce la stessa solitudine del
poeta.
Zaratustra costituisce il
presti-
giogo doppio
di Nietzsche
e il
poema
un ritratto allo
specchio
(in
enig-
ma).33
Infatti il
nuovo
vangelo
di Zaratustra
non altro che il
vangelo
di Nietzsche: Zaratustra il
suo
portavoce.
Il nuovo dio
danzante,
che
Zaratustra annuncia e
rappresenta,
il
nuovo dio di Nietzsche. D'al-
tronde,
nella
sua
delirante
pazzia,
Nietzsche
era convinto di
essere
la
nuova incarnazionedel
divino,
il
vero redentore
dell'uomo,
l'Anticristo.
Nel 1888 in una lettera allamico Carl
Fuchs,
Nietzsche dichiarava:
...
dopo
Fabdicazionedel vecchio
Dio, sono i0 ormai a
governare
il
mondo. Allamico
Overbeck,
che si reca a Basilea
per riportarlo
a
casa,
Nietzsche calmo
e
apparentemente
lucido,
parla
a bassa
voce del
compi-
to molto
pesante
che incombe
su
di
lui,
quale
sostituto di Dio.
29) lbid,
pp.
110-111.
3D) una,
p.
111.
31)
lbid.
32)
X.
TlLLlETTE,
0p.
cit,
p.
270.
33) 11nd,
p.
271.
Friedrich Nietzsche e
la distruzione della
metafisica
497
Conclusione
La dottrina di Nietzsche,
specie
nella
figurazione
del
superuomo,

stata
oggetto
di
una
grave
mistificazione,
favorita dalla
manipolazione
compiuta
su
alcuni scritti fondamentali dalla sorella Elisabetta,
durante
la fase acuta della malattia del filosofo. Tale
manipolazione, operata
a
scopo
di
lucro,
determin il successo
del
pensiero
nietzschiano tra le
due
guerre,
anche a motivo della utilizzazionearbitraria che
ne
fecero
Hitler
e
Mussolini a
giustificazione
dei loro sistemi
politici.
Questo
fatto
ne
comporto
il successivo ostracismoe
solo recentemente il
pensiero
di
Nietzsche ha
risvegliato
l'interesse
degli
studiosi,
sino a
indurli a una
rivalutazionee a una
revisione
filologica
dei testi
originari.
Oggi,
nelle sue
dottrine etiche e
religiose,
non si vede
pi
un attacco
globale
alla
religione
e
alla morale in se stesse, ma
alle loro deviazioni.
Quella
di Nietzsche sarebbe una
demitizzazione
piuttosto
che
una
de-
molizione.
Egli,
infatti, non
parla
di eliminazione di
ogni
morale, ma
professa
una
transvalutazionedella morale tradizionalein vista di una
morale eroica e liberatoria,
il cui limite resta
quello
di essere
totalmente
affidata alle risorse della natura umana e
di essere
aristocraticamente
limitata a
pochi
uomini eletti. In fondo in Nietzsche,
che
malgrado suo,
resta
sempre per
tradizioneculturale un
"criptoteologo,
il
senso
morale
pi profondo
e
quello
di
un suo
aforisma: ci che si fa
per
amore
al di
l del benee del male.
Per,
anche
interpretando
Nietzsche secondo i canoni della nuova
esegesi
non
si
pu
nascondere il
proprio stupore
davanti alle sue
dottri-
ne.
Come infatti
giustificare
la "transvalutazione" di
qualsiasi
codice
morale al fine di rendere autentica la
propria
decisione? Cos facendo,
non si annienta la moralit stessa?
Ma
pi
che
come
critico della
religione,
della morale
e
della metafisi-
ca,
e come teorico del
superuomo,
Nietzsche fu
grande
e
geniale
come
interprete
della situazione culturale del
proprio tempo: per
aver
saputo
intravvedere e
anticipare Yuragano
che stava
per
abbattersi sulla moder-
nit e la sua cultura;
per
aver
compreso
che le
energie
morali e
spirituali
dell'Occidente si stavano esaurendo, e
che i
pilastri assiologici
e
metafi-
sici su cui si
reggeva
la
sua
cultura si stavano
sgretolando,
e
che
era
ormai
prossimo
il
passaggio
dallh0rrz0
sapiens
all'home ludens. Mentre
Kierkegaard
aveva
lavorato
per
linattuale,
la fede in
Cristo,
Nietzsche
ha lavorato
per
l'attuale,
la fede in
Dioniso, una
fede molto
pi
confor-
me
alle
esigenze
del
neopaganesimo
che si stava
approssimando.
La renaissance dell'autore di Cos
parl
Zaratustra verificatasi nella
seconda met del
Novecento,
stata accolta con favore anche da
qual-
che studioso cattolico. Sono ora condivise le sue
critiche
a un cristianesi-
mo
anchilosato
e mummificato, a una
religione troppo
manichea nei
498 Parte terza
Confronti della
corporeit
e della
sessualit, a un Dio
oppressore
e
tap
pabuchi,
a una morale alienanteche fa violenza alle coscienze.
Indubbiamenteanche lo studioso cattolico
pu
fare
qualche
passo
in
compagnia
di Nietzsche nella critica di certe
immagini
troppo antropo-
morfiche di
Dio,
di certe deviazioni
superstiziose
della
religione,
di certe
concezioni
troppo
autoritariedella
morale,
per
non
pu spingersi trop-
po
avanti senza rischiare il suicidio. Infatti del Dio della rivelazione
biblica e del
cristianesimo, in Nietzsche
non rimane assolutamente
nulla;
nulla delle verit annunciate da Cristo. Il cristianesimo il morta-
le nemico di Nietzsche.
Egli
si
oppone
con lo stesso accanimento
e
durezza sia al Dio della
giustizia
di
Mos, sia al Dio dell'amore di Ges
Cristo. Trovo
quindi perfettamente legittima
la
preoccupazione
di
X. Tilliette dinanzi
a certe riabilitazionidi Nietzsche
e a certi facili
con-
cordismi. Scrive Tilliette:
Un
pericolo
minaccia
oggi l'opera
di Nietzsche
soprattutto
sul ver-
sante cattolico,
per
l'orribiletentativo dintimidazionenei confronti del
sereno
possesso
della
fede;
il
pericolo,
cio,
che sia surrettiziamente
arruolato e annesso. Nietzsche diventa
cos, suo
malgrado,
lo strumen-
to di
una vera
sovversione,
che consiste nel fare di lui
l'alleato,
il
puri-
ficatore, il
rigeneratore segreto
di
un cristianesimo
ultrapudico,
che
non ardir
pi
dichiarareil
proprio
nome e si accontenter del minimo
istituzionale.
Questo
ipercristianesimo
nietzschiano costituisce uno dei
maggiori allettamenti,
tesi alla
pusillanimit
clericale.
Questo non
fare
onore a Nietzsche
ma cadere nella sua
trappola.
Vi
sono momenti
nei
quali bisogna
sapere pronunciare
il
no che
salva,
deporre
le illusio-
ni anche
a costo di
passare per grossolani
e
complessati>>fi4
34) una,
p.
245.
Priedrich Nietzsche e la distruzione della
metafisica
499
Suggerimenti bibliografici
EDIZIONI
Werke,
Grofioktav-Ausgabe,
19 voll.
pi
un volume di
indici,
Naumann
(poi
Krner),
Leipzig
1894-1913.
Gesamnreltc Werke,
23 vo1l.,
Musarion
Verlag,
Minchen 1920-29.
Historisch-kritische
Gesamtaitsgabe,
Beck,
Miinchen 1933 se. (ed.
critica
delle
opere
e
degli appunti postumi
di Nietzsche interrotta dallo
scoppio
della seconda
guerra
mondiale;
i
cinque
volumi
pubblicati
comprendono
i testi del
periodo
1854-69);
rist. a cura
di R. Schmidt,
Beck,
Miinchen 1994.
Werke,
Kritische
Gesanztausgabe,
a cura
di G. Colli e M.
Montinari,
de
Gruyter,
Berlin 1967 ss.
Szmtliclze Werke,
Kritische
Studienausgabe,
15
v0ll., a cura
di G. Colli e
M. Montinari,
Deutscher
Taschenbuch-Verlag,
Mnchen
1980;
de
Gruyter,
Berlin 1988.
Briefurechsel,
Kritische
Gesamtausgabe,
a cura
di C. Colli e
M.
Montinari,
de
Gruyter,
Berlin 1975 ss.
Dopo
la
scomparsa
di G. Colli e
M. Montinari l'edizionecritica
prose-
gue, presso
l'editore de
Gruyter,
a cura di W. Muller-Lauter e K. Pesta-
lozzi. Per l'edizionecritica dei
carteggi,
continua il lavoro
sugli apparati
a Cura
di N.
Millcr,
A.
Pieper, I. Salaquarda.
Smtliche
Bricfe.
Kritisclte
Studienausgabe,
a cura
di G. Colli e
M. Montina-
ri,
de
Gruyter,
Berlin 1986.
C. P.
JANZ,
F. Nietzsche. Der nzusikaliscize Nachlass. Schweizerische
Musikforschende Gesellschaft, Brenreiter,
Basel-Kassel 1976.
TRADUZIONI
Tutte le
opere
di Nietzsche
sono
state tradotte in
italiano;
le traduzio-
ni
pi
recenti e
attendibilisono
quelle apparse
contemporaneamente
ai
Werkc curati da G. Colli e
M.
Montinari,
Opere, Adelphi,
Milano 1964
ss.,
ed
Epistolario,
ivi 1976 ss.
(contemporanea
anche la trad. francese
presso
Gallimard).
L'edizione
prosegue
a cura di F.
Gerratana,
M.
Carptella
e
G.
Campioni.
STUDI
AA.
VV.,
Nietzsche.
Contemporaneo
0
inattuale
?,
Brescia 1980.
E.
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Gott is tot". Nietzsches Dcstruktan dcs christliches
Bewusstsein,
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LA POLVERIZZAZIONEDELLA FILOSOFIA
DOPO NIETZSCHE
Dopo
Kant fare metafisica era
gi
diventata
impresa
difficile.
Dopo
Nietzsche
questa impresa
diviene
praticamenteimpossibile,quanto
meno
fino a
quando
l'hanno ludens mantieneil
sopravvento
sullh0m0
sapiens.
Kant aveva conservato ancora
in vita la realt trascendente del nou-
meno,
ma
la considerava
raggiungibile
soltanto mediante la
ragion pra-
tica, come
postulato
della morale. Nietzsche cancella la morale e
demoli-
sce allo stesso
tempo
anche la metafisica. Con Nietzsche la
parabola
della metafisica moderna
raggiunge
la sua
fatale conclusione. C' una
pagina
del
Crepuscolo degli
idoli in cui Nietzsche scandisce lucidamente
le
tappe
di
questa lunga parabola,
che ha fatto s che il mondo Vero
alla
fine diventasse favola:
1. Il mondo
vero, raggiungibile
dai
saggi,
dai
pii,
dai virtuosi
- che
vive in essi, loro stessi. - 2. Il mondo
vero, irraggiungibileper
ora,
ma
promesso
ai
saggi,
ai
pii,
ai virtuosi (l'idea
progredisce,
si fa
pi
fine,
pi sfuggente
e
insidiosa si
femminizza,
diventa
cristiana).
- 3 ll
mondo vero non
raggiungibile
n dimostrabile, non
pi oggetto
di
promessa,
ma
gi,
in
quanto pensato, presente
come consolazione,
obbligazione, imperativo
(In
fondo
sempre
il vecchio
sole, ma attra-
verso
la nebbiadella
scepsi;
l'idea divenuta sublime,
pallida,
nordica,
knigsberghese).
- 4. Il mondo vero:
irraggiungibile?Comunque
non
raggiunto.
E in
quanto
non
raggiunto
ancora sconosciuto. E di
conse-
guenza
neanche
capace
di
consolare, redimere,
obbligare:
a
che
potrebbe obbligarci qualche
cosa di sconosciuto? E di
conseguenza
neanche
capace
di
consolare, redimere,
obbligare:
a che
potrebbe
obbligarci qualche
cosa di sconosciuto?
(Albeggiare.
Primo
sbadiglio
della
ragione.
Canto del
gallo
del
postivismo).
5. Il mondo vero:
un'idea che
non serve
pi
a nulla,
neanche
pi capace
di
obbligare
a
qualcosa;
un'idea divenuta inutilee
superflua, quindi
un'idea confuta-
ta: aboliamola! (Giorno fatto; ora di
colazione;
ritorno del buon senso e
della
serenit;
Platone rosso di
vergogna; grande strepitare
di tutti
gli
spiriti
liberi).
- 6. Abbiamoabolito il mondo vero.
Che mondo resta?
Forse il mondo
apparente?
No: con
il mondo vero
abbiamo abolito
anche il mondo
apparente! (Mezzogiorno;
ora delle ombre
corte;
fine
del
lungo errore; punto
culminante
dell'umanit;
incipit
Zaratustra).
502 Parte terza
L'assalto decisivo alla metafisica viene sferrato da Nietzsche
con la
sua dura critica al mondo dell'essere
e al mondo della verit: il mondo
vero non
quello
dell'essere bens
quello
del
divenire; e il mondo del di-
venire non
pu pi
essere il mondo trascendente ma coincide col mondo
immanente,
il mondo dell'uomo
e
della
sua storia.
La fine della metafisica
segna
la fine anche del
grande
sogno
di co-
struire
un
sapere
assoluto, unitario, onniconclusivo
e
onniesplicativo.
La
fine della metafisica
d,
quindi,
il via alla
polverizzazione
del
sapere:
nascono nuove scienze e
ogni
scienza diviene
perfettamente
autonoma.
Intorno alla metafisica
spuntano
ora vari
cespugli
che
cercano di
pren-
dere il
suo
posto.
I
cespugli pi importanti
e
pi
ambiziosi
sono l'assio-
logia
(filosofiadei
valori),
la
fenomenologia,
l'analisi
esistenziale,
l'ana-
lisi
linguistica,
lo
strutturalismo,
la
psicanalisi,
la
nuova ermeneutica.
Non
mancano
per cespugli
che richiamano in vita il
pensiero
metafisi-
co,
sia nelle forme classiche di Aristotele
e di S. Tommaso sia nelle
nuo-
ve forme del
personalismo.
Si tratta
comunque sempre
di
cespugli
e non
di alberi
possenti
e
rigogliosi,
ma sufficienti
per
mantenere in vita
quella
ricerca di un
sapere
assoluto
Che, come scriveva
Kant,
fa
parte
dell'es-
senza stessa dello
spirito
umano.
Delle filosofie della seconda modernit noi
parleremo
soltanto nella
misura in cui
conservano
qualche
interesse
per
la
metafisica, e
per quan-
to
possono
diventare
sue alleate.
Le filosofiedei valori
Cacciata dalla scena filosofica la
primadonna
la metafisica il
suo
ruolo stato assunto da varieattrici di secondo
piano,
che hanno cercato
di colmare
come hanno
potuto
il
grande
vuoto che
essa aveva
lasciato.
La
prima
a entrare in
scena stata
Passiologia,
Vale
a dire la filosofia dei
valori.
Il
problema
dei valori
aveva
accompagnato
tutta la storia della filoso-
fia,
da Platone
a Plotino,
da
Agostino
a Tommaso,
da Hume a Kant, ma
fino
a Nietzsche
non era mai stato studiato
come
problema
distinto dal
bene, con il
quale
veniva
generalmente
confuso. All'iniziodel Novecen-
to la filosofiadei valori si afferma come una corrente filosoficadi
primo
piano,
anzitutto in
Germania,
per
diffondersi
poi
anche in
Francia,
in In-
ghilterra, negli
Stati Uniti e altrove.
Tre sono le
ragioni principali
che hanno favorito la nascita di
questa
nuova filosofia:
1) Anzitutto la necessit di dare
una
risposta
a Nietzsche,
il
quale
con
la
sua transvalutazione dei valori
aveva cercato di radere al
suolo tutti i valori trascendenti
e
di
imporre
una nuova tavola dei
valori,
che
comprendeva
soltanto
quelli
immanenti.
2)
In secondo
luogo,
l'ur-
genza
di costruire intorno ai valori assoluti
una
diga
che li mettesse al
La
polverizzazione
della
filosofiadopo
Nietzsche
503
riparo dall'uragano
che stava ormai
per
investire e
travolgere
la cultura
moderna.
3) In terzo
luogo,
la
prospettiva
di elaborare intorno ai valori
una nuova metafisica che
prendesse
il
posto
della metafisica dell'essere
che,
dopo
Kant e Nietzsche, sembrava ormai
impraticabile.
Rudolf Hermann Lotze
Per consenso
quasi
universale a Lotze
(1817-1881)
appartiene
la
pa-
ternit della filosofia dei valori. Chiamato
a succedere a Herbart nel
1844 alla universit di
Tubinga,
Lotze,
che
era un
appassionato
cultore
delle
scienze,
specialmente
della
fisiologia
e della
medicina,
per
contra-
stare lo scientismo
positivista
ormai
imperante
avvertiva la necessit di
porre
dei limiti alla scienza.
Questo
l'obiettivodella sua
opera princi-
pale, Microcosnro,
dove
egli distingue
tre
regni
di ricerca:
regno
dei
fatti,
regno
delle
leggi
universali,
regno
dei valori. I
primi
due
riguardano
sol-
tanto i
mezzi,
il terzo i fini. I
primi
due sono studiati dalla
ragione
col
metodo analitico
e
possono
essere considerati in
prospettiva
meccanici-
stica;
il terzo
appreso
dal sentimento
e
implica
necessariamente una
prospettiva spiritualistica.
Lotze ritiene che
l'assegnazione
di
un ruolo
importante
al sentimento tra le facolt
umane non sia affatto arbitraria
ma
pienamente giustificata:
Se una
propriet
originaria
dello
spirito
quella
di
non solamente sottostare a
delle
modificazioni, ma ancora di
percepirle
per
via di
rappresentazione,
cos del
pari
un carattere
primi-
tivo del medesimo di
non solamente
rappresentarle,
ma anche
speri-
mentare
per
via del
piacere
e del
dispiacere
il valore che
quelle
hanno
per
lui! Si deve infatti abbandonareil
pregiudizio
che fa dei sentimenti
puri
fatti accessori: essi
sono
presenti
in
ogni
nostra attivit
psichica?
E il sentimento alla base di
quella ragione
che vuole vedere la totalit
del reale
regolata
su tali forme che sole
per
suo avviso assicurano al
reale stesso un valore.3
Lotze
concepisce
i valori alla
stregua
delle monadi
leibniziane, come
centri
spirituali
di
energia, analoghi
a
quella
che la sola realt imme-
diatamente intuibile
per
noi,
il nostro
io,
che rimane
appunto
uno
pur
nel variare dei suoi atti e stati.
Per Lotze i valori assoluti hanno carattere trascendente
e
hanno
come
ultimo fondamento Dio stesso. La
sua vasta e meticolosa ricerca si con-
clude con
l'esplicita
affermazione dellesistenza di Dio. La
sua realt
argomenta
Lotze -
non
pu
essere messa in dubbio
perch
una certez-
1) R. H.
LOTZE, Microcosmo, tr. t., i, Torino 191 l,
p.
252.
2) Cf.
ibid,
p.
255.
s) Ibid,
p.
256.
504 Parte terza
za immediatache ci che il
pi grande,
il
pi
bello,
il
pi
ricco di valo-
re non
pu
essere
puro pensiero,
ma deve essere realt,
perch
sarebbe
in s
insopportabile
credere che lIdeale sia una
rappresentazione
che il
pensiero
si
foggia
nel
suo lavoro, ma
che
non
ha
esistenza,
forza e
vali-
dit nella realt.4
A
questo argomento
di chiara
marca
anselmiana Lotze rifiuta di dare
il
nome
di
argomento
ontologico.
Questo, a suo avviso,
un
raziocinio
sbagliato, per
il
quale, dopo
Kant,
ogni
difesa inutile. Non si tratta
infatti di dedurre dalla
perfezione
dell'essere divino la sua esistenza
come una
necessit
logica,
cosa
impossibile,
bens si sente che Dio non
pu
non esistere e
ogni apparenza
di deduzione in forma
sillogistica
serve
soltanto a
rendere
pi
evidente l'immediatezza di
questa
certez-
za.5 Si direbbe che
questa
certezza sentita"
surroghi
e
quasi superi
la
conoscenza
teoretica: ma non Cos. Molti scritti lotzani
esprimono
vivacementeil dramma che nell'intimo: la natura non
pu
considerar-
si che
come una
condizione
preliminare per
la manifestazionedel valore
eterno del
bene, ma
questa "persuasione"
indica soltanto uno
scopo,
che
pu dirigere
il nostro
pensiero,
non
gi
una
"cognizione",
una
dottrina
dimostrabile,
che "meriti il nome
di scienza. Un abisso
insuperabile
per
la nostra
ragione
divide "l'ordine dei valori dall'ordine delle forme"
per
cui sebbenenoi siamo "coni/inti che tra i
primi
e le seconde esiste
una
indivisa
unit,
crediamo con
piena
coscienza che tale unit non
possa
essere conosciuta. Cos i massimi
problemi
restano
per
noi inso-
lubili:la
presenza
del male nella realt uno
di
questi, per
cui dobbia-
mo
dire che la nostra umana
sapienza
tocca i suoi confini e si arresta.
Secondo Hessen Lotze il
primo
che ha visto chiaramente ed elabo-
rato la
conoscenza
dei valori
come un conoscere
sui
generis,
intuitivo ed
emozionale,
diverso dalla
rappresentazione
e
dal
pensiero,
ed essenzial-
mente
Iegatti
al sentimento del
piacere
e
del dolore? Ma il merito
mag-
giore
di Lotze
quello
di avere
assicurato alla
Categoria
del valore una
struttura
globale (analoga
a
quella
del
vero e
del
bene), con una
precisa
gerarchia
che si conclude al vertice con un Massimo, un
Valore assoluto,
che al di fuori e
al di
sopra
della
gerarchia
stessa. In tal modo Lotze
riuscito a
fare col valore ci che
prima
di lui avevano
fatto Platone e
Plotino col Bello e
col
Bene,
S.
Agostino
con
la verit. Lotze ha elevato il
valore a una dimensione
primaria
della realt e ne
ha fatto
uno
dei
gran-
di
poli
di attrazionedello
spirito
umano.
Ibial,
III
(Lipsia
1858),
p.
557.
lbial,
pp.
560-561.
Cf. ibid.,
p.
601.
Cf.
]. HESSEN, Wcrtplzilnsnphic,
Paderborn 1937,
p.
116.
a
G\
\l
U1
xjgux/xj
La
polimerizzazione
della
filosofiadopo
Nietzsche 505
Intorno ai valori Lotze avrebbe
potuto
Costruire un solido edificio
metafisico, ma non
l'ha fatto.
Egli
si limitato a elaborare una
episte-
mologia"
dei
valori,
assegnando
la
percezione
dei Valori non alla
ragio-
ne
bens al
sentimento,
cos come
Kant aveva fatto
per
il
piacere
del bel-
lo. Secondo Lotze il sentimento
superiore
alla
ragione, perch
noi sia-
mo
qualcosa
di
pi
di un essere
che
produce rappresentazioni.
Il sen-
timento,
immanente alla realt
umana,
tende a
penetrare
i suoi meandri
pi riposti,
e a
svilupparla
verso il
meglio, poich
la scienza non
garan-
tisce un
effettivo
progresso
dell'umanit. Lotze era
infatti un critico
della societ tecnico-industriale,
di cui riconosceva i
pregi,
ma di cui
poneva
in luce anche i lati
negativi,
in
particolare
il
pericolo
di trasfor-
mare il lavoro in una
forma di schiavit
dell'uomo,
divenuto
parte
delle
macchineche utilizza.
WilhelmWindelband
Tra i
primi
ad avvertire
gli
effetti deila scossa
inferta da Nietzsche
alla visuale
assiologica
della cultura occidentale fu WilhelmWindelband
(1848-1915),
professore
a
Zurigo, poi
a
Strasburgo
e infine a
Heidelberg,
universalmente noto come
storico della
filosofia, ma
che ha dato anche
un
apporto significativo
alla filosofiadei valori. In
un'opera
che stata
tradotta anche in
italiano, Preludi,
apparsa
nel
1884,
Windelband scrive:
<<Un
possente
anelito vibra nel nostro
popolo,
in lui
quasi
la sensazio-
ne
di crescere oltre se stesso (...).
Siamo coscienti di attraversare un
pe-
riodo di
transizione;
dovunque
si sente
parlare
della trasmutazionedei valo-
ri.9
Questo rivolgimento implica
il
sorgere
di
una nuova cultura,
per
cui,
secondo il Windelband si addice beneal suo
tempo
sia il nome sia la
dignit
di
un nuovo
Rinascimento. La novit essenziale del secolo
XIX,
sempre
secondo il nostro
autore, non costituita tanto dal
progresso
delle matematiche
e della
fisica,
quanto
da
quello
della natura della sto-
ria come scienza autonoma. La filosofia deve
dunque
tener conto del
fatto che la storia venuta a
porsi
sullo stesso
piano
delle scienze natu-
rali,
per
nulla inferiore ad
esse
in
rigore
e
dignit.
La scienza
storica,
che
deve
perpetuare
il ricordare
complessivo
di tutto il
genere
umano,
uni-
versalmente
valido,
necessita d'un sistema di
principi
di scelta critica-
mente solido.
Questi principi
di scelta sono
i valori.
Sempre
nei Preludi,
Windelband esamina
pi
a
fondo la conoscenza
storica e
per
definire il
suo
ambito introduce la distinzione tra
sapere
nomotetico e
sapere
idiografico.
Il
primo riguarda
le scienze naturali,
il
se-
3)
Cf. C. ROSSO,
Figure
e
dottrine
dellafilosofia
dei
valori, Napoli
1973,
pp.
11-27.
9)
W.
WINDELBAND, Prelud, tr. it.,
Milano
1947,
p.
19. Il Corsivo nostro.
506 Parte terza
condo le scienze storiche. Le une sono scienze della
legge,
le altre del-
l'avvenimento;
quelle insegnano
ci che
sempre, queste
ci che fu una
volta. Il
pensiero
scientifico e
se
posso comporre
una
espressione
nuova
- nel
primo
caso nmnotetico,
nel secondo
idiograficomlv
La storia
caratterizzatae resa
tale dal
suo
metodo
idiografico. Ignorare
il suo vero
metodo,
introdurvi il metodo
opposto,
ricercare
leggi
al
posto
di fi-
gure,
tutto ci condurrebbe alla
esposizione
di
poche,
banali
genera-
lit che si salverebberosolo con la accurata distinzione delle loro nume-
rose eccezioni.11
A
questa
stessa conclusione
giunge
il Windelband
partendo
dai valori
che, a suo
giudizio,
sono
i
principi guida
a cui deve fare attenzione lo
storico. Le valutazioni si
riferiscono, infatti,
sempre
a cose
singole
e uni-
che:
Il nostro sentimento
rapidamente
si ottunde
quando
il
suo
oggetto
si
ripete pi
volte
o non altro che
un caso tra mille(...). Quanto
l'uomo
nel valutare un
oggetto tenga presente
e ami la sua unicit si rivela
soprattutto
nelle nostre relazioni con le
persone.
Non
pensiero
insopportabile
che
un essere
caro,
adorato esista anche
una
sola volta
ancora assolutamenteidentico?.12
Contro la teoria
greca
dellmeterno
ritorno,
Windelband afferma con
vigore
il
principio
cristiano,
secondo cui ha valore solo ci che uni-
co>>13 e
irripetibile,
vale a dire la
persona.
Ma chi in
grado
di stabilire
quali
sono i valori
per giudicare
le cose?
A
questo punto
Windelband introduce il concetto di coscienza norma-
le.
Questa
in
grado
di
pronunciare giudizi
aventi validit universale.
La coscienza normale universalmente valida non
perch
sia effettiva-
mente riconosciuta nel suo
diritto da
ogni uomo,
ma
perch
dovrebbe
esserlo,
ideale misura del valore di
ogni
realt
empiricamM Questa
coscienza normale
dunque
un sistema di
norme che, come
valgono
oggettivamente,
cos devono valere anche
soggettivamente,
pur
realiz-
zandosi soltanto
parzialmente
nella realt
empirica
della vita
spirituale
dell'uomo. E
poich
l'attivit della filosofia
non
pu
consistere in altro
che nel far
emergere questa
coscienza normale dalla coscienza
empirica,
la filosofia risulta la scienza della coscienza normalefl-r
Successivamente,
passando
a trattare del
principio
morale in
particolare,
Windelband
10) 1bid.,
p.
163.
11) Ibia,
p.
170.
12) Ibid.
13) Ibid.
p.
l7l.
l) Ibid,
p.
65.
15) Cf.
ibici,
p.
66.
La
polverizzazione
della
filosofiadopo
Nietzsche 507
enuncia chiaramente un'etica della cultura che avr vasta risonanza nel
pensiero
successivo. Il valore morale di
una
societ sta tutto nella sua
cultura: la societ
singola
deve elevarsi a ci che in essa
vale universal-
mente,
alla cultura. Di
conseguenza
il dovere dell'individuo di
operare
al servizio della
societ,
affinch
questa produca,
nel comune lavoro,
la
sua cultura. Il
principio
concreto dell'etica suona
dunque
cos: <<fa il tuo
dovere affinch nella societ cui
appartieni
il contenuto
spirituale
comu-
ne
venga
consapevolmenteespresso.16
Come nota
giustamente
Corrado Rosso,
questa
teoria dei valori il cui
organo
la storia
o,
se si vuole,
questa
filosofiadella cultura,
poggia
su
di un
fondamentale
postulato
OHIITISCO,
che cio la storia sia da consi-
derarsi come
la realizzazione
progrediente
di valori della
ragione,
come lo
sviluppo
della cultura,
in cui dal caos
degli
interessi e delle
pas-
sioni umane
Puniversalevalore della vita
spirituale
si eleva alla coscien-
za e
alla realizzazionemLe
ragioni
del
pessimismo
e
dellirrazi0nali-
smo
Vengono
respinte
dalla
soglia
della filosofia
pi
con un
impeto
di
nobile
sdegno
morale che con una
ponderata
analisi critica.
Il
guadagno pi
rilevanteche si
pu
trarre dallo studio di Windelband
riguarda
il ruolo fondamentaledei valori nellambitodella cultura: essi
sono
sia la sua
anima sia il
suo
giudice.
La coscienza normale che si
deve far Carico dello
sviluppo
della cultura trova la sua
guida
sicura e
il
suo
giudice
infallibilenei valori. Ci che Windelband dice a
proposito
della coscienza normale
corrisponde
sostanzialmente a ci che
va sotto
il
nome
di
legge
naturale".
Questa
rende "normale" la coscienza: le
porge quei
valori assoluti che le consentono di
distinguere
tra il benee
il
male, tra il vero e il
falso, tra il
giusto
e
Yingiusto.
Windelband ha
una
concezione eccessivamente ottimistica della cul-
tura: il
suo
discorso
riguarda pi
la cultura ideale e ci che
essa
dovreb-
be fare
per promuovere
e
Coltivare i valori
assoluti,
anzich la cultura
reale. Windelband
non
considera la cultura storicamente,come si svi-
luppa
di
fatto, con
i suoi
progressi
e
regressi,
con i suoi successi e le sue
malattie. Mentre Nietzsche
prende
in considerazionele malattiemortali
che hanno
colpito
la cultura moderna e la stanno trascinando verso
la
completa
rovina,
Windelband si limita a
studiare la cultura in astratto e
a
presentare
un
progetto
di cultura
ideale, fondandolo, tra l'altro, sem-
plicemente
su
motivazioni etiche
piuttosto
che
su
solidi
argomenti
an-
tropologici
e
metafisici.
T5) 15111.,
p.
197.
17) lbid,
p.
31.
_
'15) CE. C. Rosso,
0p.
citi,
p.
66.
508 Parte terza
Heinrich Rickert
Allievo di
Windelband,
Heinrich Rickert
(1863-1936) succedette al
suo maestro sulla cattedra di
Heidelberg
e
alla direzione della Scuola di
Baden,
dove diede
grande impulso
alla "filosofiadei
Valori, tanto da
farne la nota distintiva di
questa
Scuola.
Secondo Rickert la realt si
tripartisce
in
"regno
dei
valori,
i
quali
valgono (gelten)
ma non esistono,
mondo della realt che e
oggetto
della
scienza, e
"regno
del senso
(Sinn).
ll
soggetto appartiene
al
regno
del senso" o
"significato",
e
pertanto
costituisce il
ponte
tra i due
regni,
cio
quello
dei valori
e
quello
delle realt. Nell'atto concreto della valu-
tazione
(Sinndebtturzg)
si
compie
il
congiungimento
dei due
regni.
La
Sinmeutung (valutazione) al di l dell'essere
perch
e rivolta al
valore,
ma tuttavia
non
appartiene
al
regno
dei
valori,
poich
non
un
valore. Il
campo
in cui si
svolge questa
attivit chiamato da Rickert
profisica,
poich
pur
non
appartenendo
al
regno
dei
valori,
supera quello
della
mera realt.
Quanto
alla natura dei
valori,
Rickert
spiega
che essi non sono realt,
n fisica n
psichica.
La loro
essenza consiste nella loro validit
(Geltung)
e non nella loro effettualit
(Tatszclzliclzkeit).Tuttavia i valori sono
legati
alla realt: inerendo in
un
soggetto
essi lo rendono
un
bene
(Gut)
e,
rife-
rendosi
al|atteggiamento
del
soggetto,
rendono tale
atteggiamento
una
valutazione.
Perci,
quando
ci si
pone
di fronte ai beni e alle
valutazioni,
ci si chiede
se
quelli
sono veramente tali, se Cio si
legano
effettivamente
a un Valore, e se
queste avvengono
secondo verit
e
giustizia.
Ma la sto-
ria non abbraccia nella
sua
competenza
il
problema
della validit dei
beni e delle Valutazioni.
Questo
compito spetta
alla filosofia.
E, tuttavia,
a
giudizio
di
Rickert,
la filosofia
pu
elaborare il sistema dei UflfDff soltan-
to estraendolodalla concreta vita storica in
un
lento
processo.
E
questi
valori
posseggono
una
validit che
nessuno si sentirebbe di mettere in
discussione. A
esprimere questo
concetto Rickert fa
appello
alle
parole
di Riehl: Senza
avere un Ideale
sopra
di
se, l'uomo,
nel senso
spirituale
della
parola,
non
pu
camminare eretto. I valori di cui
questo
Ideale con
siste,
vengono scoperti e,
a
poco
a
poco,
come le stelle nel
cielo,
col
pro-
gresso
della
cultura, entrano nel
campo
visivo dell'uomo. Non
sono vec-
chi
valori, non sono nuovi
Valori, sono
i val0ri.19
TuttaviaRickert esclude
come fanno tutti i kantiani e i neokantiani -
che dei valori assoluti si
possa
fornire
una
giustificazione
teoretica. Se-
condo Rickert la
pretesa
di
giustificare
o dimostrare razionalmentei valo-
ri assoluti
(afeoretici) intellettualismo
o razionalismoin
senso deteriore.
19)
A.
RIEHL, Friedrich
Nietzsche,
in Frommmis Klassikcr der
Philosophie,
Bd, 6
(1897),
p.
170.
La
polverizzazione
della
filosofiadopo
Nietzsche
509
Si veramente
superato
il razionalismo
quando
si
capaci
di com-
prendere
teoreticamente i valori
ateoretici,
nonostante
l'impossibilit
di fondarli teoreticamente (...).
Bisogna distinguere comprensione
teo-
retica dei valori ateoretic da valutazioneateoretica
(una);
bisognapro-
prio capire
il valore ateoretico nella sua irriducibilita essere fondato
teoreticamentem"
Il
maggiore apporto
di Rickert
allassiologia riguarda
il
problema
gnoseologico,
che tuttavia
egli
risolve soltanto a met,
spiegando
come
ha
luogo
la valutazione. Infatti ancor
prima
della valutazione,
che in-
dubbiamente
quelYattivit
con
cui il
soggetto applica
i valori alla realt
(ai fatti),
c'
l'apprendimento
dei valori. Rickert dice che i valori non
possono
essere
fondati o
giustificati
razionalmente.
E,
per
un kantiano,
sta benecos. Ma come
vengono
riconosciuti 0
percepiti:
col sentimento,
come
insegna
Lotze,
oppure
con
la reminiscenza
(Platone), o con l'illu-
minazione
(Agostino),
o con
l'intuizione? Per
questo aspetto
del
proble-
ma Rickert non
offre nessuna
soluzione. Altro limite evidente della filo-
sofia del Rickert
(ma
un
limite comune a tutta
Vassiologia
neokantia-
na)

quello
di
non assicurare un
adeguato
statuto
ontologico
ai valori
(indipendentemente
dal
problema
della
fondazione).
Di che realt sono
dotati i valori: sono
aspirazioni,
idee o realt sussistenti? Rickert
pare
propenso
ad
accogliere
la
posizione
ultrarealistica
(di Platone), ma non
lo confessa mai
apertamente.
Max Scheler
Max Scheler
(1874-1928)
senza dubbio il massimo
assiologo
del
secolo XX. Ma mentre
gli assiologi
che l'avevano
preceduto
muovevano
tutti dalle
prospettive
del criticismo kantiano e
della
conseguente
dico-
tomia tra
ragione speculativa
e
ragione pratica,
e cos avevano
ridotto i
valori assoluti a
postulati
della
ragione pratica
e a creature del senti-
mento,
Scheler si liberarisolutamentedalla morsa
del criticismoe
punta
diritto alla realt
(zu
der Sache selbst)
secondo il motto della fenomenolo-
gia.
Scheler
apprese
da Husserl il metodo
fenomenologico
e ne
fece lar-
go
uso
nella elaborazionedelia filosofiadei valori.
La sua
opera
principale
si intitola Der Formalisnius in der Ethikzmd dei
materiale Wcrtetlzik
(Il
formalismo in etica e
l'etica materiale dei
Valori),
l'opera
di
gran
lunga pi significativa apparsa
da molto
tempo
(Hildebrand).
In effetti l'analisi
fenomenologica
della
esperienza
morale
effettuata da Scheler,
assumendo la
prospettiva assiologica
stata tra le
pi
fertili del
pensiero contemporaneo.
Mediante l'elaborazionedi un'e-
30)
H.
RKJKEKJ, AllgemeineGrimdlegung
dar
Philosophie, Tubinga
1921,
p.
152.
510 Parte terza
fica dei
valori, in cui si rivendica
a
questo
entit
una dimensione ontolo-
gica
che
sfugge
a tutte le minacce dello
psicologismo,
Scheler sottrae la
morale a
quelle
visuali
soggettivistiche
o
positivistiche
che
erano diven-
tate di moda alla fine dell'Ottocento:
nominalismo,
psicologismo,
prag-
matismo,
formalismo
kantiano,
idealismo
neokantiano,
positivismo
ecc.
Scheler definisce i valori come
oggetti
autenticamente
oggettivi,
di-
sposti
in ordine eterno e
gerarchico.
La sua
assiologa
si caratterizzame-
diante
quattro
note: e
realistica,
gerarchica, personalistica
e teocentrica.
Anzitutto realistica in
quanto
afferma l'assoluta
oggettivit
dei valo-
ri:
questi godono
di
una
piena
autonomia
rispetto
all'uomo,
al
quale
spetta
soltanto il dovere di riconoscerli.
In secondo
luogo

gerarchica
in
quanto, per
definizione, i valori
sono
disposti
in ordine eterno e
gerarchico.
Per fissare la
gerarchia
dei
zialori Scheler
suggerisce
i criteri
seguenti:
durata, indivisibilit,
fonda-
mentalit,
soddisfazione
e
grado
di relativit. l valori sono tanto
pi
alti
quanto pi
durano e
quanto pi
sono indivisibili,cio mentre la
parteci-
pazione
di
pi
individui a beni di carattere materiale
(p.
es. una torta)

possibile
soltanto mediante la suddivisione di tali
beni, vi sono
opere
di
cultura
e
di arte
per
le
quali
la fruizione di
pi
individui non
richiede
tale divisione.
Ancora,
i valori
sono tanto
pi
alti
quanto pi profonda
e
la soddisfazione da essi
prodotta.
Inoltre il valore che fonda ovvia-
mente
pi
alto
rispetto
al valore fondato.
Infine,
ci sono valori relativi a
determinate
sfere, come,
per
es.
i valori
vitali; e ci sono valori
assoluti,
cio
indipendenti
da
una determinata
sfera, come
per
es.
i valori morali.
Grazie a
questi
criteri Scheler fissa
una
gerarchia
di valori che
com-
prende quattro
livelli: valori sensibili
(gradevole-sgradevole);
valori vitali
(salute-malattia);
Valori
spirituali
(vero-falso, buono-Cattivo,
giusto-
ingiusto
ecc);
valori
religiosi (sacro-profano,
beatitudine-infelicit
ecc).
La terza caratteristica
delfassiologia
scheleriana di
essere
personali-
stica. Nella
prefazione
della seconda edizionedi Der Formalisnuts
leggia-
mo:
il
principio
fondamentalesecondo cui tutti i valori debbono
essere
subordinati ai valori di
persona
(...) cos
importante
per
l'autore che
egli,
nel titolo del
libro,
ha anche
qualificato
il
suo
saggio
come un
nuovo tentativo di
personalismo".
Il carattere
personalistico
dell'as-
siologia
scheleriana
emerge
anche dalla teoria dei modelli
personali.
Secondo Scheler ai valori danno
sostanza, concretezza,
si
potrebbe
dire
corporeit,
i modelli
personali.
Cos
per apprezzare
e
praticare
il Valore
della
giustizia
occorre
guardare
al
Giusto,
per
il valore della fortezza
all'Er0e,
per
il valore della santit al Santo.
La
quarta
caratteristica di
essere teocerztrica. Per Scheler, nella scala
dei
valori,
Dio
occupa
il
primo posto
sia
come
persona
sia come valore e
fa da fondamento
e da
sostegno
di
ogni
altra
persona
come
pure
di
ogni
altro valore. Tutti i valori
possibili
- scrive Scheler -
sono fondati sul valo-
La
polverizzazione
della
filosofiadopo
Nietzsche 511
re di uno
Spirito infinito
e sul mondo dei valori" che
gli
sta di fronte. Gli
atti che
comprendono
i
valori,
in tanto
comprendono
i Valori assoluta-
mente
oggettivi
in
quanto vengono compiuti
"in"
Lui, e i valori sono va-
lori assoluti soltanto in
quanto compaiono
in
questo regno.
Dal
punto
di vista
fenomenologico
Dio fonda tutti i valori in
quanto
lui solo
pu
garantire
loro
quella
assoluta
oggettivit
che
non
pu
essere assicurata
mediante una misura valutativa
semplicemente
umana: soltanto il valo-
re
del Sacro fa s che
Yassiologia
trascenda la sfera
antropomorfica
e
afortiori quella
vitalistica.
Il rischio
pi grosso
a cui si
espone
Scheler assumendo una
imposta-
zione esclusivamente
fenomenologica
nella elaborazione di un'etica dei
valori l'immanentismo. Nel Der Formalisntus
egli
riesce ancora a sot-
trarsi a
questo pericolo
mantenendo
una netta distinzionetra fenomeno-
logia
dei valori
e
filosofiadella
religione,
ma
quando negli
scritti succes-
sivi
questa
distinzione viene
abbandonata,
il
pericolo
diviene mortale
e
la
sua
filosofiasi risolve in
una
metafisica chiaramenteimmanentisticafl
Altro limite che si riscontra
nell'assiologia
scheleriana la scarsa
attenzione che vi viene riservata al
capitale problema
dei
rapporti
tra
cultura
e
valori.
Nicolaj
Hartmann
Molto simile
a
quella
di Scheler sia nella
metodologia
sia nei Conte-
nuti

Passiologia
di
Nicolaj
Hartmann
(1882-1950),
professore
in
diverse universit
tedesche, tra le
quali quelle
di
Marburgo,
Colonia,
Berlino e
Gottinga.
Il metodo da lui
praticato per
determinare l'essenza
dei valori
quello fenomenologico;
con
questo
metodo
egli
stabilisceil
carattere (contenuto)
assolutamente
oggettivo
dei Valori.
Anche
Hartmann, come Scheler,
lega
strettamente il
problema
di
valori al
problema
morale; e la sua monumentale Ethik
(746
pagine)

tutta incentrata sui valori. Nella sfera
morale,
alla domanda che
Cosa
siano i
valori,
per
Hartmann la
risposta pi
seria
questa:
i valori
sono
essenze, (Wesenheiten), ossia
qualcosa
di nettamente distinto sia dalle
esistenze sia dai concetti
(coscienza):
che vi sia un altro
regno
dell'esse-
re,
oltre
quello
dell'esistenza, cio delle
cose reali, e della non meno
reale
coscienza,
una
vecchia
certezza. Platone lo chiamavail
regno
del-
l'idea, Aristotele
quello
delteidos;
gli
Scolastici
quello
dell'essentia.22
Questo
regno
delle
essenze, dopo
il
dispregio
che
su
di
esso si era abbat-
tuto
per opera
dell'idealismo
e del
soggettivismo, riacquista
ora la
sua
21) Cf. G.
FERRETTI, Max Scheler.
Filosofia
della
religione,
Vita e Pensiero,
Milano 1972.
22) N.
HARTMANN, Ethik,
Berlino
1926,
p.
108.
512 Parte terza
validit in Virt della
fenomenologia.
L'essere dei valori
un "essere in
s (Ansichsein),
indipendentemente
dalla coscienza.23
A
sostegno
della tesi dell'autonomia
ontologica
dei valori Hartmann
adduce due
argomenti:
1)
il valore sussiste
indipendentemente
dall'es-
sere riconosciuto,
cosi come 2 + 2 continua a
fare 4 anche
se nessun uo-
mo ne
ha
coscienza; 2) ci si
pu sbagliare
e
anche riconoscere d'avere
sbagliato
nella valutazionedei valori: non il valore bens la
percezione
del valore variabile.
Hartmann colloca i valori assoluti in una
specie
di
"iperuranio" pla-
tonico dove
regna
assoluta
parit.
Contro Scheler
egli nega
sia il
princi-
pio
della
gerarchia
sia la loro
dipendenza
da Dio.
Egli
rifiuta di dar con-
sistenza
ontologica
ai valori fondandoli in
Dio, perch
Dio non esiste n
pu
esistere se l'uomo libero. Secondo Hartmann l'esistenza di Dio
renderebbe
impossibile
la libert e la
responsabilit
dell'uomo,
quindi
il
Valore morale. La moralit
postula
che Dio non ci sia: l'essere morale
non n Dio n lo
Stato,
n
qualcos'altro
al
mondo, ma unicamente il
primo portatore
dei valori morali e dei
disvalori,
lUomo.24
llapprensione
dei
valori,
anche
per
Hartmann
(come
gi
per
Lotze,
Windelband e Scheler)
di carattere emozionale e intuitivo: il motivo
platonico
del
contemplare
(schauen)
ben sadatta a ci che l'etica mate-
riale denomina come sentimento dei valori>>25l valori debbono sentirsi
e
contemplarsi
concretamente in base al sentimento
(ffihlel);
non v'
altro modo dassicurarsi del loro essere ideale.26 Si tratta insomma di
un conoscere non nel senso usuale del
termine, non cio d'un conoscere
neutrale,
bens d'un
particolare
conoscere (simile
alle
"ragioni
del
cuore" di
Pascal) in cui non solo si
presi,
ma
afferrati e trascinati dal
valore. Tuttavia Hartmann ammette che i valori non fanno
presa
sulla
gente
mediante una visione diretta, ma attraverso modelli che li incar-
nano. I modelli - i
grandi apostoli
della moralit
(ethisclze
F
ihrer)

porta-
no
in s i Valori
e,
concretandoli nella
espressione
e nelle
opere,
li fanno
presenti
e
li suscitano anche nella massa
(Menge). L'apostolo

dunque
il
"maieutico della massa":
quando egli
vuole introdurre valori ancora
immaturi nel seno
della
massa,
condannatoal fallimento.
Un
problema
su
cui Hartmann si sofferma
puntlgllOSamente

quello
che
riguarda
il
conflitto
dei "valori.
Poich, come
si
visto,
Hartmann
contrario al
principio
della
gerarchia
dei
valori,
egli
esclude che
questo
problema possa
essere
risolto in base alla tavola dei valori.
23) Cf. ibid,
p.
134.
14) Ihid,
p.
226.
25) Ibid,
p.
109.
1) Ibid,
p.
528.
La
polverizzazione
della
filosofiadopo
Nietzsche
513
Ci
significa
che non
pu
venire "risolto"
(...) ma esso
pu
tuttavia
venir
"deciso", attraverso un atto di
forza, attraverso l'iniziativa,
attraverso l'intervento autonomo di
un essere che
prende
su
di se
responsabilit
e
colpa.
E il conflittoviene effettivamente "deciso
pro-
prio
in
questo
modo,
senzessere risolto
(...).
Se l'uomo
potesse
risol-
vere
il
conflitto,
cio intuire la
sua soluzione
assiologicamente
suffi-
ciente,
egli
non avrebbe affatto da decidere: avrebbe soltanto da
seguire
la soluzione intuita. Ma le situazioni della vita non sono cos.
L'uomo le
deve,
di volta in
volta, decidere
(...).
Capita dunque
che,
ovunque agiscono
persone vengono
effettivamente
prese
decisioni.
La
potenza
che
esprime
tali decisioni deve evidentemente
essere una
potenza
reale,
poich
determina realmente la reale volont e il
com-
portamento
della
persona
reale
(...). Questa
volont
dunque,
almeno
relativamenteai valori in
conflitto, dev'essere libera?
L'etica
dellHartmann, accanto a
quella
dello
Scheler,
segna
il
pi
importante
contributo della
fenomenologia
alla filosofia dei Valori.
Essa ha suscitato
ovunque largo
interesse e vivaci
discussioni,
cos
per l'intransigenza
del suo realismo
ontologico
come
per
il
suo atei-
smo morale; inoltre
lapplicazione
del metodo
aporetico
all'analisi
dell'esperienza
morale ha
posto
in luce
aspetti
nuovi e interessanti
della
problematica
etica. Ma
soprattutto
l'estremo
ontologismo
dellHartmann che ha
provocato
le critiche
pi energiche e, anche, i
consensi
pi
vivaci,33
Per
quanto
ci
concerne,
le riserve
pi gravi riguardano
la
"manipola-
zione" del metodo
fenomenologico. Infatti, se
praticata rigorosamente,
1a
fenomenologia
nulla dice
e nulla
pu
dire a
proposito
dello statuto
ontologico
delle
essenze
prese
in
esame: se siano
puri
concetti,
idee
a
priori,
essenze
possibilioppure
enti reali. Il
suo
compito

semplicemen-
te
fotografare
le
essenze,
ma non
pu
stabilire
se si tratta
dell'originale
oppure
di
una
copia,
se si tratta di
un fantasma
oppure
di
una
persona.
Per trasferire
gli oggetti
della
fenomenologia
dal mondo della coscienza
a
quello
della realt necessaria la
speculazione filosofica, in
particolare
la risoluzionemetafisica
(almeno
per quanto
concerne i valori
assoluti).
In secondo
luogo
il
giudizio
sulla esistenza o inesistenza di Dio
spet-
ta alla metafisica
e non alla
fenomenologia
dei valori e non
possono
essere
"pregiudizi"
etici o
antropologici
a condizionarlo
o
impedirlo.
Infine,
l'obbligatoriet
dei valori
e
l'esempio
stesso dei modelli decado-
no se non sono
garantiti
a monte da
quella
autorit
e
quella esemplarit
Veramente
supreme
e vincolanti che
sono
proprie
di Dio. Nella
prospet-
tiva atea di Hartmann noi siamo
come
dei
viaggiatori
che
percorrono
37) Ibid,
p.
695.
35) C.
Rosso,
0p.
cit.,
p.
274.
514 Parte terza
una
landa sconosciuta e
tenebrosa con un
lume che rischiara debolmen-
te
pochi passi
intorno. Essi vedono il terreno sul
quale
camminano: ma
la via
percorsa
e
quella
che si
apre
loro dinanzi sono
egualmente
avvolte
nelle tenebre
pi impenetrabili?
Diffusionedella filosofiadei valori in
Europa
e
in America
La filosofiadei valori
per
molto
tempo
era stata
seguita
solo dai filo-
sofi di
lingua
tedesca; a
partire dagli
anni venti
per spalanca
i suoi can-
celli a tutti e
di
questa apertura
hanno
potuto
approfittare specialmente:
-
gli
italiani: A.
Guzzo,
M. F.
Sciacca,
N.
Abbagnano,
N. Petruzzellisfio
-
gli spagnoli:
l. Ortega y
Gassetfil

gli
statunitensi: R. B.
Perry,
]. Dewey,
E. S.
Brightmanfi
-
gli anglosassoni:
I. Laird,
H. Osborne,
G. E.
Moore;33
-
gli argentini:
N. Derisi;34
- i francesi: R. Le
Senne,
L. Lavelle, ].
De Financeecc.35
Qui,
per
completare
il tracciato delle
tappe percorse
dalla
assiologia
nel secolo XXci limiteremo a
esporre
il
pensiero
di L. Lavelle e
R. Le Sen-
ne,
che sono senza
dubbio
quelli
che hanno avuto
maggior
risonanza e
dato
gli apporti pi significativi.
Louis Lavelle
Louis Lavelle (1883-1951),
filosofo francese, insegn
alla Sorbona dal
1932 al 1934 e
al
College
de France dal 1941 fino alla morte.
Egli
conce-
pisce
la filosofiaessenzialmente come metafisica, ossia come
riflessione
sull'essere.
Questo
per
non
viene da lui inteso in modo statico,
bens
29)
P. MARTINETH, Ragione
e
fede,
Torino 1942,
p.
271.
3)
A. Gozzo, Sic 00s non vabis,
2 voll.
Napoli
1939-1940;
N. ABBAGNANO, Filosofia,
Religione,
Scienza,
Torino 1947;
M. F. SCIACCA,
Atto e essere,
Milano 1956;
F. BATTAGLIA,
I tralori tra la
nzctafisica
e la storia,
Nuova ed.,
Bologna
1967;
N. PETRUZZELLIS,
Valori e libert, Napoli-Roma
1988.
31) J.
ORTEGA Y GASSET,
El tema de nuestro
tienzpn,
Madrid 1923.
32) ]. DEWEY, Tlieory ofzzalualinn,
in lnterimtional
Encyclupediaof Unified
Science,
V01. H,
Chicago
1939,-
R. B. PERKY,
Realms
of
zmlize, Cambridge
Mass. 1954;
E. S.
BRICHTMAN,
Moral
Laws,
New York 1938.
33) f. LAIRD,
The Idea
of
Value, Cambridge
1929,-
H. OsHDRNh,
Foundations
of
the
philo-
sophy of
Vahm. An cxainiizntivn
af
Value llfld Vrlfllfi and Value Thearies, Cambridge
1933;
G. E.
MUORE, Philosvphictzl
Stiuiites,
Londra 1960 (interessante
soprattutto
il
capitolo
VIII: The
conception
of intrinsic Value).
34) N. DERlSI,
Filosofia
della cilltura
yh
de los t-alores,
Buenos Aires 1963.
35)
L. LAVELLE,
Trait des
aalcurs,
2
voll., Parigi
1950-1955;
R. L1: SENNE,
Obstacle et
Imicztr, Parigi
1934; ].
DE
FINANCE,
Essai sur
l'ago
humain,
Parigi
1966.
La
polverizzaziorze
della
filosofiadopo
Nietzsche
515
accentuatamente dinamico: inteso
come Atto
e come Valore. Il fatto
che
per
Lavelle l'Atto sia l'essenza dell'essere
e non
semplicemente
una
sua
operazione comporta molteplici
conseguenze.
Innanzitutto l'essere
non
abbisogna
di
giustificazioniesterne,
n
pu
averne in
quanto
l'Atto,
ponendosi,
si
autogiustifica,
ossia
segna
la continua
soppressione
del
nulla. E tale
essere coincide col valore
e
col
bene,
perch
dice immedia-
tamente la
propria eccellenza;
e sufficiente
a se stesso, perfetta
intimit
e
soprattutto
persona,
cio ci
per
cui
possiamo
tutto attribuirci
e
che
non
pu
essere attributo di nulla.
Approfondendo
il concetto di Valore Lavelle
osserva
che
questo
non
si identifica col Bene
(come affermano la
maggior parte degli scolastici),
tuttavia ha col Bene un
rapporto
molto stretto e
profondo, analogo
a
quello
che ha l'esistenza
con l'essere. Come l'esistenza l'essere stesso
in
quanto questo
si incarna
e
diventa
concreto,
cos il valore il bene in
quanto
riferito
a un
oggetto
di Cui facciamo
uso,
a una volont che si
sforza di
coglierlo;
e come l'esistenza l'essere in
quanto
riceve
una
forma
particolare,
cos il valore il
bene,
in
quanto implica
un'attivit
che tende
a realizzarlo.
Pertanto il valore
non urfidealit
astratta,
da ammirare e
contemplare
(come
insegnava Hartmann) ma
qualcosa
che
provoca
il
soggetto
e lo tra-
scina all'azione. L'errore
pi grave
- dichiara Lavelle -
pensare
che il
valore sia
un
oggetto
che si
contempla,
mentre al contrario e
sempre
un'a-
zione da farsi
e una
pratica
da
seguire.
In tal modo risulta chiaro anche il
rapporto
che il Valore ha col
tempo.
A
una
prima,
iinmatura
riflessione,
parrebbe
che il valore sia al di l del
tempo; poich
il valore si
lega
al
bene,
il
quale sfugge
a
ogni
tentativo di fissarlo in un momento
preciso
del
tempo.
Ma,
al
contrario,
il valore non
ha
senso che relativamente alla
sua
incarnazionenel
tempo.
Il
tempo
misura le
tappe
successive della realiz
zazione del
valore; se cio il valore deve realizzarsi in
un'esperienza
spa-
zio-temporale,
il
tempo
scandisce il ritmo della realizzazionedel Valore.
Nella
conoscenza del valore anche Lavelle sottolinea -
come in
gene-
rale tutti
gli assiologi
la
componente
affettiva. Secondo Lavelle soltanto
dal
punto
di vista dell'affettivit
gnoseologicamente possibile
il
con-
cetto del valore. Per
l'intelligenza, infatti, tutte le cose si trovano sullo
stesso
piano.
Essa considera
con lo stesso
sguardo
tutti
gli aspetti
della
realt. Ma da
quando
Yaffettivit interviene si vede
apparire
nel mondo
questa
differenza di livello che ci
obbliga
a collocare
gli
uni
pi
in alto
e
gli
altri
pi
in basso. Cos si introduce
un
ordine
nuovo
che
potremmo
denominare "verticale
o ascensionale" in
opposizione
all'ordine oriz
zontale
o
spettacolare" (spectaciilaire).
E
questa
stessa
espressione
verti
cale" mostra bene che
quest'ordine
non
pu
essere realizzato
se non da
un'attivit che noi
esercitiamo, e attraverso uno sforzo,
in modo che
sco-
prirlo gi significa instaurarlo,
farlo
regnare.
516 Parte terza
Due i
punti
di
maggior pregio
che si incontrano nella
assiologia
del
Lavelle. Il
primo riguarda
i
rapporti
tra essere e
valore
(questione
che
Tassiologia
dei neokantiani non aveva
mai
potuto
n affrontare n risol-
vere).
Il valore non
disgiunto
e tanto meno
contrapposto
all'essere, ma
gli
intrinseco: leccellenza stessa
dell'essere. Il
secondo,
la distinzio-
ne del valore dal
bene;
la distinzione
per
non
vuol dire
separazione
bens incarnazione. Infatti Lavelle
concepisce
il
rapporto
tra valore e
benesecondo lo schema della
partecipazione:
i valori sono
partecipazio-
ni,
ossia attuazioni concrete ma
limitate del bene. A nostro
giudizio
la
categoria
della
partecipazione
molto utile
per
stabilirela
gerarchia
dei
valori (come
si
pu
vedere in Platone dove la
partecipazione spiega
i
rapporti
tra le cose
belle e
la bellezza,
le cose buone e la
bont; e
in
S. Tommaso dove la
partecipazione spiega
i
rapporti
tra
gli
enti e
l'esse-
re) ma non
per spiegare
i
rapporti
tra valore e bene. Perch, come
si
vedr,
il valore intrattiene un
rapporto
diretto con
l'essere e non
ha biso-
gno
di
essere
mediato dal bene. Caso mai,
nella nostra
assiologia,
l'ordi-
ne
viene ribaltato:
prima
il valore e
poi
il bene e
pertanto
se si deve am-
mettere una
mediazione
questa
avviene attraverso il valore e non vice-
versa.
Dal momento
in cui una realt, un'attivit, un atto,
una
persona
Viene
apprezzata
- ossia classificata come un
valore
,
allora si
presenta
anche come un
bene.
Ren Le Senne
Rene Le Senne (1883-1954),
filosofo e
psicologo
francese,
insegn
filo-
sofia morale alla Sorbona. La sua filosofia,
detta
philosoplzie
de l
Esprit,
di
ispirazionesquisitamente
etica e
presenta
un
forte indirizzo
assiologico.
Nel suo
Breviario di
metafisica assiologicafi
che un
breve trattato sui
valori,
Le Senne
respinge
sia il naturalismosia il nichilismo,e si
oppone
sia al
sociologismo
che allo
psicologismo per
affermare a un
tempo
tanto la trascendenza
quanto
Pimmanenza,
sia il carattere
oggettivo
che
soggettivo
dei valori: il valore
deve,
per
la sua
origine,
esserci trascen-
dente, ma
tale estrinsicit resterebbe sterile se
il valore non
fosse fatto
per
discendere nella nostra
esperienza:
tale discesa
pu
essere
spirituale
solo
grazie
al concorso
degli spiriti
umani
per
i
quali
il valore deve ren-
dersi umano.
La
prima
verit che Le Senne si
preoccupa
di difendere
riguardo
ai
valori la loro
oggettivit,
e
lo fa con non
minor fermezza di Lotze,
Scheler e
Hartmann. Scrive Le Senne:
Dipende
da noi dimostrare o no
che la somma
dei tre
angoli
di
un triangolo
euclideo
uguale
a due retti;
3b)
R. LE SENNE,
Brviaire de
mtaphysique axiologique,
in "Giornale di metafisica
1947, nn. 4-5.
La
polverizzazione
della
filosofiadopo
Nietzsche 517
ma non
dipende
da noi che vi sia
questo
valore. Per cui Le Senne
pu
affermare che <<la tesi di
maggior importanza, perch
sostiene tutta la
metafisica,
che noi
non siamo il
valore, che
non 10
creiamo,
che
esso
per
la
sua
origine indipendente
da
noi,
che
non abbiamoche da
scoprir-
lo
e da riceverlo.37
Altra tesi che
gli
preme
di ribadire la distinzione tra
fine
e valore
e
la
superiorit
di
questo rispetto
a
quello.
Secondo Le Senne c' nel valore
un'assolutezza che
non
compete
al fine. ll valore si
presenta
sempre
come
qualcosa
di assoluto: voluto
per
se stesso e non come uno stru-
mento
per
ottenere
qualche
cosa d'altro.
Inoltre, mentre il fine
sempre
caratterizzato da
una determinazione,
che
ne fa
un
oggetto,
il
valore,
secondo
un'espressione
di Le
Senne,

atrrzosferico:
Il valore si deve dire
atmosferico,
perch
non e fatto di
parti,
non si chiude entro
Contorni,
impregna,
si diffonde
(...).

quel
che verifica
l'esperienza
di tutti. Dove
localizzare la
bont,
la
generosit,
la
piet, l'ispirazione,
il
genio,
la
nobilt,
la sincerit? La scienza che va di determinazione in determina-
zione non li trova mai sul suo carn1nino>>fi8
L'inserimento di
una
persona
nel mondo dei valori avviene
per
mez-
zo di
quel
valore determinato che le
pi congeniale:
Come
potremmo
assimilarci
a un valore
se esso non si adattasse alla nostra natura e alla
nostra elezione? Uno nato
per amare;
un
altro
per pensare;
il
carattere
fa di
uno un uomo di azione che
non
potr
essere
soddisfatto che dal
comando;
d'un altro
un
fisico.
L'epoca,
la formazione
giovanile,
la scel-
ta, specificando
le
disposizioni congenite, predestinano
un uomo
ad
accogliere
la
grazia
di
un valore
e,
se si rinchiude in
se stesso, a rifiutar-
ne
altri.
Ora,
il
pericolo

proprio questo:
di fare di
un valore
particola-
re l'Ass0lut0, mentre i valori
non sono lUno, ma uno
dei modi dcl-
l'Uno; non
possono
essere infiniti in
ogni
genere,
ma
lo
sono ciascuno in
un
genere>>fi9
Nella misura in cui
non lo si
evita,
si cede al
fanatismo,
che
trova la
sua essenza
proprio
nel fatto di innalzare
un valore
particolare
a
unico modello di vita
c nel servirsi
dell'energia
che
esso
sprigiona per
combattere altri valori. Dal fanatismo
non ci si salva
se non usando del
valore che ci
pi congeniale
come
prospettiva
per aprirci
su altri valo-
ri,
cos che tutti i valori ci
appaiono "segretamente
o visibilmente,come
interiori
gli
uni
agli
altri, e
di
conseguenza,
come
espressione
del Va-
lore
primo,
eterno e universale.
Poich
l'esplorazione
del Valore avviene nell'ambitodi un'esistenza
data, essa deve fare i conti anzitutto
con una situazione di
partenza,
ossia con un insieme di
condizionamenti,
quali
il
luogo
di
nascita,
la
37)
Ilaid.
s8)
ibid.
39) Ibid.
518 Parte terza
salute,
il
carattere,
il
senso,
la condizionesociale,
che ci
vengono
impo-
sti. Si ha cos il
primo apparire
di
quella
dialettica di ostacolo e JHOTE che
costituisce la
legge
di
sviluppo
della vita e
che Le Senne analizzamolto
acutamente:
se,
da una
parte,
la situazione di
partenza
ci
coinvolge,
dal-
l'altra siamo noi a
coinvolgerla
in un nostro
piano
di
azione; e
questo
conferisce un
duplice significato
al nostro essere nel mondo.
vero
che
noi siamo
impegnati
nel mondo -
scrive Le Senne

ma
e
meglio
dire che
noi siamo
impegnati
a
met
per
rispettare
i due
aspetti
di
questa
nozio-
ne
di
impegno; quello
che indica la nostra attivit, come
nel caso
in cui
prendiamo
un
impegno,
e
l'altro secondo cui essere
impegnati
come
essere
presi
in un
ingranaggio. Dovunque,
siamo
sempre
al di
sopra
e
al di
sotto delle
cose,
e abbiamo il
potere
di lasciarci andare in un senso o
di
elevarci nell'altro>>.40 E
quello
che si dice della situazione di
partenza
vale
per
tutte le altre situazioni nelle
quali
la
persona
viene di volta in
volta a trovarsi. La conclusione di tutto ci
che,
per
Le Senne,
abbia-
mo
dei metodi
per
servire la
vita, ve ne
possono
essere
molti: non
v'
metodo di vita
(...).
Nessuno
pu
vivere al
posto
di un
altro.
E,
pertanto,
se
i metodi sono
per
essenza
generali, poich
non sono
definiti e
utiliz-
zabiliche a
questa
condizione,
la vita a cui si offrono li
sopravanza
defi-
nitivamentem" E
quello
che si dice dei metodi di
vita,
vale
pure per
le
dottrine
metafisiche che da essi derivano: Come
ogni
valore determina-
to
pu
essere
l'energia
di
quella
trasmutazionesacramentale
grazie
a cui
uno
spirito pu
essere
guidato
da un
valore
a Dio;
cos vi devono essere
non
soltanto delle metafisiche intellettualistiche, estetiche, pragmatiche,
religiose,
secondo che cercano
l'unionecon
Dio mediante il
pensiero,
l'e-
mozione artistica,
l'azione e l'amore; ma
anche altrettante metafisiche
che
possono
essere
di valori
derivati, come
lo sarebbero le metafisiche
dei fiori
o, allegiziana, degli
animali>>.42
Le lezioni
pi suggestive
che si
possono
raccoglieredallassiologia
di
Le Senne sono tre: l)
la
persona
si realizza mediante l'assimilazionedei
Valori; 2)
il
grande peso
che la cultura esercita nella determinazione
del
quadro
dei valori che stanno alla base delle scelte
personali;
3)
la
possi-
bilitdi
aprire
una
pista
metafisica
seguendo
la traccia dei valori.
4)
lbid.
4l) Ibid.
43) Ibid.
La
polverizzazione
della
filosofiadopo
Nietzsche
519
Conclusione
La filosofiadei valori una filosofiache
pu
intrecciare il
suo
discor-
so con
quello
della metafisica. Di
fatto, come abbiamo
visto, mentre
alcuni
esponenti
della filosofia dei Valori
(Lotze, Windelband, Rickert)
hanno elaborato le loro dottrine in
polemica
con
la
metafisica;
altri
(Hartmann, Le
Senne, Lavelle)
hanno
concepito Yassiologia
come una
vera e
propria
metafisica: hanno assunto il dato
concreto della finitezza
dei
valori,
quali
sono
esperiti
dall'uomo in
questo
mondo,
per
intra-
prendere
la "seconda
navigazione
verso un valore assoluto sussistente
(Dio)
oppure
Verso una costellazione di valori assoluti.
Come ha scritto Le Senne,
qualsiasi
realt
e
qualsiasi aspetto
della
realt
(anche
i
fiori,
le
piante
e
gli
animali)
pu
accenderenella mente lo
stupore
e incalzarla alla
scoperta
della
ragione
ultima del
suo essere. A
siffatta
indagine
la mente viene sollecitata
soprattutto
nel momento in
cui
scopre
la
dignit,
la
nobilt,
la
preziosit,
ossia il valore di
una Cosa
oppure
di
una
persona
o di un'azione. Il valore una
grande
facciata
dell'essere, un trascendentale che ha le stesse
proporzioni
della
verit,
della bont
e della bellezza. E
come sui trascendentali della
Verit,
della
bont
e della bellezza
sono state scritte delle ottime
metafisiche, altret-
tanto si
pu
fare
con il trascendentale del valore. Ci che
occorre una
buona
nave,
e tale
non
pu
essere il
puro
sentimento,
bench indubbia-
mente,
il sentimento sia un coefficiente essenziale
per
la
captazione
dei
valori.
Organo principe
della metafisica rimane
sempre
la
ragioneflv
'13) Cf. B.
MONDIN,
Filosofia
della cultura e dei
valori, Milano
1994,
pp.
201 ss.
52D Parte terza
Suggerimenti bibliografici
Le
opere
principali
dei filosofi dei valori sono
gi
state
segnalate
nel
COTSO
del
presente capitolo.
Qui
il nostro elenco si limiter ai
pi impor-
tanti studi storici sulla filosofiadei valori
e sui suoi
principali esponenti.
A. BABOLIN,
W. Wildelband, Perugia
1984.
F.
BARONE,
N. Harlmann nella
filosofia
del
novecento,
Torino 1957.
S.
BESOLI,
Il valore della verit. Stadio sulla
logica
della validit nel
pensiero
di
Lotze,
Firenze 1992.
B.
CENTl,
Alle
origini
del concetto di valore.
Metafisica, logica
e scienze della
natura in R. H.
Lotze,
Milano 1993.
E. CENTINEO,
R. Le
Senna,
Palermo 1952.
F.
FEDERICI,
La
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dei valori di H.
Rickert,
Firenze 1933.
G.
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M. Scheler,
Milano1972.
G.
GURVITCH,
Les tendances actuelles de la
philosophie
allemande,
Paris 1930.
]. HESSEN, Wertphilosophie,
Paderborn 1937.
O. KRAUS,
Die Werttlieorien,
Gesclziclite und Kritik,
Briinn 1937.
A. LAMBERTINO,
M. Scheler. Fondazione
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dell'etica dei valori,
Firenze 1977.
L.
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Tmite des
zaalears,
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Paris 1950.
G.
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Itinerarioal valore in R. Le
Senne,
Roma 1971.
A.
MESSER, Wertphilosopliie
der
Gegenuvart,
Berlin 1930.
A.
METRAUX,
M. Sclieler on
la
phnomnologie
des valears,
Paris 1973.
B.
MONDIN, Filosofia
della cultura
e
dei
valori,
Milano 1994.
H.
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Foandations
of
the
Pliilosophyof
Value, ari
Examination
of
Valae
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Cambridge
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D. H.
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The
Philosophyof
Valae,
Ann Harbor 1957.
N. PETRUZZLUS,
Valore e libert, Napoli-Roma
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W.
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La oalenr dans la
pliilosopliie
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Paris 1959.
F.
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Der
Wertgedanke
in der
europdisclien
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l-Ialle 1932.
P.
ROMANO, Ontologia
del valore,
studio storico-critico sulla
filosofia
dei
valori,
Padova 1949.
C. Rosso,
Figure
e dottrine della
filosofia
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valori,
Napoli
1973.
A.
STFRN,
La
philosopliie
des valeurs,
regard
sar ses
tendances aciuelles en
Allemagne,
2
voll.,
Paris 1936.
M. WITTMANN,
Die moderne Werteilzik,
Mnster 1940.
LE FILOSOFIEDELLA VITAE DELUAZIONE
Un'altra corrente
importante
della filosofia del Novecento il vitali-
smo. Questa corrente assume
la vita
come
categoria
fondamentale e
come
chiave di lettura e
di
interpretazione
di tutta la
realt,
cos come
avevano fatto altri filosofi con le
categorie
dell'essere,
del
divenire,
della
verit,
del
bene, dell'uno,
della
monade,
dello
spirito,
della sostanza ecc.
Prendendo la vita come
punto
di
partenza
della
ricerca,
questa
corrente
di
pensiero
fa della vita sia
l'oggetto
sia il metodo della filosofia.
La vita
l'oggetto
della
filosofia perch
solo la
vita,
intesa da
questi
pensatori
come
divenire
perenne,
come
attivit
senza termine, come
creativit
infinita, come
storia
sempre
in
cammino,

capace
di
esprime-
re in modo
adeguato
l'insie1ne del mondo
possibile.
La filosofia deve
perci
essere fedele alla vita: non deve avere altro
oggetto
che
questa,
n
altro
presupposto.
Ma la vita anche il metodo della
filosofia,
nel senso
che l'unico modo di intendere la vita di
guardarla
non con
l'atteggia-
mento
oggettivo
e distaccato della
ragione,
ma con
Yempatia,
con la
comprensione
e l'intuizioneche
muovono dall'interno della vita stessa.
Comprendere
la vita
significa
assai
pi
che il
semplice capire, perch
vuol dire
partecipare
del flusso della vita. Gli schemi intellettualistici
rivelano allora la oro
inadeguatezza perch incapaci
di
seguire
la vita
nel suo variare
perenne.
La vita non
pu
essere intesa
fissandola, ma
seguendone
lo
sviluppo
incessante. La filosofianon
pu
fermarsi al fatto
della
vita, ma deve sforzarsi di trascendere
questo
fatto,
di andare al di
l di
esso
per cogliere
la vita vera
che incessante mutamento.
Come la filosofiadei
valori,
anche la filosofiadella vita sorta come
logica
reazione contro il
postivisrno
il
quale pretendeva
di ridurre tutto
alla
quantit
e al calcolo
scientifico; essa
fa vedere che la realt non
riducibilealla
espansione
ed evoluzionedella
materia,
n la
conoscenza
alla scienza. Per i filosofi della vita
non l'evoluzioneche determina
meccanicisticamentela
vita,
dandole senso e direzione, ma
al contrario
la vita che
disegna
e descrive nel suo corso 1'cvoluzione.
Conseguente-
mente non la scienza a costituire il modello cui la filosofia deve adat-
tarsi, ma viceversa la filosofia
che, unica tra le varie forme del
sapere,
si mostra
capace
di assumere la vita
come
oggetto
e come metodo, a
522 Parte terza
dover attribuire alle scienze limiti e
condizioni di validit. La filosofia
della vita
rappresenta
in
questo
senso un tentativo di rivendicareil valo-
re
di ci che
pi propriamente
umano contro
ogni pretesa
di riduzione
intellettualisticao scientistica.
Gli inizi della filosofiadella vita
Il
primo grande esponente
della filosofiadella vita stato Nietzsche,
del
quale
abbiamo
gi
trattato
ampiamente
in un
precedente capitolo.
Nietzsche aveva
energicamente
contestato le tesi del
positivismo
e
del
meccanicsmo, e aveva esaltato il
primato
della vita e la sua
travolgente
vulcanica
potenza.
In tutti i suoi scritti Nietzsche sostiene che la vita in
generale,
e la vita
umana
in
particolare,
uno
sforzo costante
di
supera-
mento di se stessa. La
vita,
spingendosi
fino in fondo alle
proprie possi-
bilit,
si
supera
affermando la
propria potenza
nel movimento del
pro-
prio compimento.
La stessa vita - annuncia Zaratustra - mi ha confida-
to
questo segreto:
vedi, disse,
io sono
il
continuo,
necessario
superamen-
to di
me stessam E insiste: Salire vuole la
vita, e
salendo
superare
se
stessa? Anche l'uomo
preso
dentro il vortice di
questo
movimento
ascensionale, e cos anche l'uomo deve
superare
se stesso: lo vi
insegno
il
super-uomo,
l'uomo deve essere
superato.3
Di fatto
per
la corrente della filosofia della vita non si
collega
n si
ispira
a Nietzsche, ma si
sviluppa
nell'ambientefilosoficofrancese,
che
grazie
alle forti ascendenze cristiane e spiritualistiche
avvertiva
mag-
giormente
il
bisogno
di uscire dalla
miopia
e
dagli
errori del
positivismo
di
Cornte,
che era
diventata la filosofia
imperante
nella seconda met
dell'Ottocento. Gi Ravaisson-Mollien(1813-1900)aveva
preso
le distan-
ze
dal
positivismo
e
in
Metafisica
e
morale aveva
presentato
lo
spirituali-
smo cristiano come
filosofiaaristocraticaed
eroica", contrapponendola
al
positivismo
filosofia
plebea".
Ma fu
soprattutto
Emile Boutroux
(1845-1921), con
le sue
pungenti
critiche del
postivismo,
a
gettare
le basi
della filosofiadella vita.
La
principale ragione
del trionfo del
positivismo
era
legata
alla
sup-
posizione
che le
leggi
delle scienze
sperimentali
fossero necessarie e
immutabilie che,
quindi,
la conoscenza
di tali
leggi
fosse certa e sicura.

esattamente
questo
mito che Boutroux cerc di demolire sin dal suo
primo
scritto,
che
portava
il titolo assai
eloquente
Sulla
contingenza
delle
leggi
della natura (1874).
Tutta la
sua
critica volta a scalzare
questa sup-
1)
F. NIETZSCHE,
Cos
parl
Zaratustra, cit.,
p.
92.
2) lbid,
p.
ma.
3) una,
p.
3.
Le
filosofie
della vita e dell'azione
523
posizione
(della
necessit e immutabilitdelle
leggi
naturali),
sia dimo-
strando che nelle
cose non c' nulla di
necessario,
sia
provando
la con-
tingenza
delle
leggi
della natura. In
effetti,
secondo
Boutroux,
il Valore
delle
leggi
naturali
puramente approssimativo,
in
quanto
esse si verifi-
cano
solo
imperfettamente
e a
condizionedi
prescindere
dal cambia-
mento
qualitativo
che costituisce la vita reale.
Boutroux
poteva quindi
concludere che
quanto pi
la scienza vicina
alla
realt, tanto
pi
le
leggi
scientifiche
sono
prive
del carattere di ne-
cessit; mentre
quanto pi
le
leggi
della scienza hanno il carattere della
necessit, tanto
pi astraggono
dalla realt e la
rappresentano imperfet-
tamente. In
nessun caso
la scienza
pu sperare
di darci
una conoscenza
completa
della
realt,
poich gli aspetti pi
interessanti della
realt,
quali
la
morale,
la metafisica e
la
religione, sfuggono
alla
sua
ricerca. Ma
anche
questi aspetti
sono accessibili
all'uomo,
perch
oltre che di
spirito
scientifico
egli
dotato anche di
ragione.
Qui
Boutroux si
appropria
della celebre distinzione
pascaliana
tra
esprit
de
finesse
e
esprit
de
gonz-
tric, e
assegna
allo
spirito
scientifico lo studio dei fenomeni
naturali, e
alla
ragione
le azioni umane e
divine.
Della vittoriosa
campagna
di Boutroux contro lo scientismochi
seppe
trarre il massimo
profitto
fu Henri
Bergson,
che col suo
principio
dell'-
lan vital divenne il massimo teorico della filosofiadella vita.
Henri
Bergson
VITA E OPERE
Henri
Bergson nacque
a
Parigi
il 18 ottobre 1859 da
famiglia
israeliti-
ca
d'origine
irlandese. Conclusi
gli
studi al liceo Condorcet nel
1878,
fu
ammesso
all'Ecole
Normale,
dove si
guadagn
la fama di
ingegno origi-
nale e brillante. Si laure con
la tesi
Saggio
sui dati immediati della coscien-
za,
una ricerca
impostata
sulla intuizione fondamentale del
suo
pensie-
ro,
secondo cui il
tempo
di cui si
occupa
la filosofia
positivista
non
ha
durata e
pertanto
non
ha nulla a
che vedere con il
tempo
reale,
quello
che ci viene testimoniatodalla nostra coscienza, e
che ha
per
caratteristi-
ca essenziale
appunto
la durata. Nel
1886,
Bergson pubblic
Materia
e meritoria,
in cui
applicava
la
sua nozione di
tempo
alle facolt
umane,
specialmente
alla
memoria,
per provarne
la
spiritualit.
Nel 1900 ottenne la cattedra di filosofiaal
Collegio
di Francia dove le
sue
lezioni ebbero
un successo senza
confronti. Nel 1907
port
a termine
il
suo
capolavoro,
Plvoluzione
creatrice,
in
cui,
applicando
il
principio
della
durata,
spiega
la vita
come una corrente di coscienza (lan vital)
che si insinua nella materia asservendola
a s, ma rimanendoneanche
limitata
e
condizionata.
524 Parte terza
Nel 1927
Bergson
ricevette il
premio
Nobel
per
la letteratura. Nel 1932
pubblic
Le alue
sorgenti
tiella nzorale e della
religione,
in cui
distingue
tra
morale conformista e morale autentica e tra
religione organizzata
e reli-
gione
mistica. Nel 1934 diede alle
stampe
La
pense
et le
mouvaavzt, una rac-
colta di
saggi
sul
metodo, tra cui
l'importante
articolo Introduction la
mtaphysiqiie, gi pubblicato
nel 1903 su Revue de
nttaphysique
et morale.
Negli
ultimi anni le sue meditazioni
religiose
lo avvicinarono
sempre
pi
alla Chiesa cattolica. ln
un
passo
del
suo testamento (8
febbraio
1937)
dichiara che si sarebbe
convertito, se non avesse sentito avvicinar-
si da
ogni parte
una terribileondata di antisemitismo che lo induceva a
non
abbandonarei
perseguitati.
Mori il 4
gennaio
1941.
lL PROLEGOMENO EPISTEMOLOGICO
Il
campo
di
battaglia
su cui i filosofi non
hanno mai cessato di cimen-
tarsi sin dai
tempi
di Parmenideed Eraclito
quello
della
conoscenza.
Si
tratta di stabilire
quali
siano le
principali
forme di conoscenza
di cui
l'uomo
dotato,
quale
sia la loro
origine
e
quale
il loro valore.
abbastanza ovvio che luomo dotato sia di conoscenze sensitive
(esterne e interne)
sia intellettive. Ma in lui ci sono
anche varie forme di
conoscenze
intellettive:
l'intuizione,
il
giudizio,
il
ragionamento;
ci sono
idee chiare
e distinte, e ci sono
idee
oscure e
confuse. Gi Platone
e
Ari-
stotele avevano
proposto
le loro classificazioni della conoscenza intellet-
tiva,
distinguendo
in
questa
tre livelli:
l'opinione,
la
scienza,
la
sapienza,
una distinzione che incontr il
consenso
di
quasi
tutti i filosofi. Ma com'
noto diverso era il loro modo di
spiegare l'origine
delle idee che formano
sia la scienza sia la
sapienza.
Secondo Aristotele anche
queste
idee sono
ricavate
dall'esperienza,
invece secondo Platone
esse sono
frutto dell'a-
namnesi,
di ci che l'anima
aveva
gi
conosciuto
nell'lperuranio.
Seguendo
la storia della metafisica abbiamo visto che tutti i filosofi
moderni al discorso metafisico
premettono
un
preambolo gnoseologico:
preambolo
che si rivela decisivo
per
le stesse sorti della metafisica.
Infatti,
col suo
preambolo gnoseologico
Hume aveva decretato la fine
della metafisica e Kant con un
preambolo analogo
a
quello
di
Hume,
anche
se
di
segno
contrario, aveva
posto
fine alla metafisica
speculativa.
A
questo punto
chi, come Kant voleva mettere al sicuro le basi della
morale,
allargava
i confini della
ragione potenziando
la sua funzione
pratica,
e chi, come
Schleiermachervoleva salvare le basi della
religione,
affiancava la
ragione
con un'altra facolt
conoscitiva,
quella
del senti
mento. Successivamente i materialisti e i
positivisti
hanno fatto
piazza
pulita
sia della
religione
sia della metafisica e
hanno
consegnato
tutto
alla scienza. A
questo punto,
di
per
s,
scompariva
anche il
bisogno
di
un
prolegomenognoseologico.
Le
filosofie
della vita e
dell'azione
525
Ma
quando
risult evidente che il
positivismo
ben
lungi
dal far
quadrare
i conti con la
realt,
la
questione
del
prolegomeno gnoseologi-
co ed
epistemologico
si
riapre.
Questa riapertura
Venne avviata in Ger-
mania
per opera
di
Lotze,
Dilthey
e Windelband, ma trov il
suo
pi
Valente esecutore in Francia
per
mano di
Boutroux,
il
quale
fece crollare
il
positivismo
demolendola
presunta
infallibilit,
oggettivit
e universa-
lit delle
leggi
scientifiche, e dimostrando la loro
"contingenza".
Sulla strada
aperta
da Boutroux si incammina anche
Bergson.
Il suo
obiettivo elaborare
una nuova
"cosmologia",
ossia una nuova
spiega-
zione del
mondo,
che non sia
pi
n la
spiegazione
di
Aristotele,
che si
basava
su concetti metafisici
(materia-forma, sostanza-accidenti, atto-
potenza
ecc.)
n la
spiegazione
di
Galilei,
Cartesio e Newton,
che ricor-
reva esclusivamente alle
leggi
della meccanica. La sua
spiegazione
vole-
va essere scientifica, ma non
meccanicistica. Per
conseguire questo
intento era necessario affrontare anzitutto la
questione gnoseologica:
occuparsi prima
ancora
che della natura delle
cose,
del
rapporto
cono-
scitivo che l'uomo ha
con esse. L'uomo dotato soltanto di intelletto e di
ragione,
di idee
pure
e astratte,
di concetti chiari
e
precisi,
o
il
suo incon-
tro con
la realt avviene anche
per
altre
vie,
quelle
che Pascal chiamava
vie del
cuore,
e Kant,
Schleiermacher e Lotze vie del sentimento? Che
tale sia il
primo problema
da risolvere
Bergson
lo dice a
chiare lettere
nella "Introduzione" allfvoluzione
creatrice,
dove afferma che la teoria
della Conoscenza e
la teoria della vita
sono
inseparabili:
La teoria della conoscenza e
la teoria della vita risultano
inseparabili
l'una dall'altra. Una teoria della vita che
non si
accompagna
con una
Critica della conoscenza e
obbligata
ad accettare tali e
quali
i concetti
che l'intelletto mette a sua
disposizione;
non
pu
che rinchiudere i
fatti,
spontaneamente
o forzatamente,
nei
quadri preesistenti
che
essa
considera definitivi. Ottiene cos
un
simbolismo
comodo,
persino
necessario a una scienza
positiva,
ma
che
non una
visione diretta
del suo
oggetto.
D'altra
parte,
una teoria della
conoscenza,
che
non
sostituisce l'intelletto nell'evoluzione
generale
della
vita, non ci
per-
metter di
capire
n come
i
quadri
della
conoscenza
si sono formati,
n come
noi
possiamo ampliarli
o
superarli.
E
pertanto
necessario che
queste
due ricerche,
teoria della conoscenza e teoria della vita si riu-
niscano, e,
mediante un
processo
circolare,
si
spingano
avanti
recipro-
camente all'infinito. Insieme esse
potranno
risolvere,
grazie
a un
metodo
pi
sicuro,
pi
vicino
all'esperienza,
i
grandi problemi
che
sono
posti
dalla filosofia.4
4)
Eonlutimz creatrice,
Paris
1948,
pp.
ix-x.
526 Parte terza
IL CONCETTOFONDAMENTALE DI BERGSONZ LA DURATA
Il concetto fondamentaledi
Bergson, quello
che ha alimentato tutta la
sua
speculazione
filosofica il concetto di ritirata.
Questo
concetto ha
per-
messo a
Bergson
di individuare lo strumento
gnoseologico capace
di
superare
lo scientismo deterministico e di invertire il
processo spazio-
quantitativo
del
pensare tipico
della scienza. Tale strumento l'infrazione.
Il concetto di durata si e
imposto
alla
sua attenzione studiando la
natura del
tempo.
Questa
indagine
lo
porto
alla conclusione che "il
tempo
non atomico ma durevole.
Che sia stata
questa proposizione
ad
aprirgli
una nuova Visione delle
cose lo ha attestato
Bergson
stesso in
una
lettera
a
Hffding:
Il cuore di tutta la mia filosofia l'intuizionedella durata: la
rappre-
sentazione di una
molteplicit
di
penetrazione reciproca
assoluta-
mente diversa dalla
molteplicit
numerica - la
rappresentazione
di
una durata
eterogenea, qualitativa,
creatrice il
punto
da cui sono
partito
e a cui sono costantemente ritornato.
(...)
Le
maggiori
diffi-
colt al
progresso
del
pensiero
sono state causate dal fatto che i filoso-
fi hanno
messo
tempo
e
spazio
sullo stesso
piano
(...) (Nella mia con-
cezione)
la
maggior parte
di tali difficolt svanisce.
Ai
tempi
di
Bergson
non si
concepiva
il
tempo
come durata:
seguen-
do la concezione
positivistica
e scientifica si considerava il
tempo
alla
stregua
dello
spazio.
Si vedeva in
esso una realt
omogenea,
divisibile
in
parti,
distinte fra loro solo
perch occupanti
una
posizione
diversa: il
passato
era considerato diverso dal
presente
e dal futuro solo
perch
precede
entrambi.
Bergson
inizia la sua critica del
positivismo
mostrando che tale con-
cezione del
tempo
insostenibile.Per
provarlo egli
ricorre ai dati imme-
diati della
coscienza,
i
quali
rivelano che la coscienza
non
qualcosa
di
puntualizzato
come una luce
intermittente,
bens
qualcosa
di continuo
ed esteso. Le sue
dimensioni
sono il
passato,
il
presente
e il futuro.
Riesaminando i dati della
coscienza,
constatiamo che essi non sono
omogenei.
Nessuno stato di coscienza si
ripete
in modo
identico;
gli
stati di coscienza
non sono una successione di atomi tutti
eguali,
ma
di
momenti essenzialmente
eterogenei compenetrantisi
a vicenda, i
quali
non costituiscono un
allineamento di elementi
semplici
reversibili,ma
una successione
sempre pi
ricca e varia.
In altre
parole,
i dati immediati della coscienza costituiscono una
durata che
compenetrazione
ed
eterogeneit.
Il
tempo
la successione
degli
stati di coscienza e
quindi
essenzialmente dllfflh e non
pu
esse-
re ridotto a
spazialit.
Non un insieme di stadi che si
succedono, ma
un
processo
in continuo arricchimento
e non
perci
divisibile.
Il
passato
nel
presente
e il
presente
carico di futuro.
Le
filosofie
della trita e
dell'azione 527
ILNIETODO DELLA FILOSOFIA: L'l.'\."ll,llZIOI\E
La durata caratterizza non solo i dati della coscienza ma tutta la
realt.
Questa, infatti,
per Bergson,
non
ha come
principio
costitutivo
supremo
l'essere 0
la sostanza o
la materia 0
l'idea come avevano
detto
Platone, Aristotele, Tommaso, Spinoza,
Cartesio, Hegel,
Cornte e Marx,
bens la
vita,
lo slancio
vitale,
l'evoluzione creatrice.
Ora, non
ci
pu
essere vita,
slancio
vitale,
evoluzionecreatrice, senza
durata.
Ma,
stando cos le
cose,
se la realt
vita,
slancio vitale,
evoluzione
creatrice, se
la sua caratteristica essenziale la
durata,
quale
sar il
metodo
appropriato per
studiarla?
Il
metodo, risponde Bergson,
non
pu
essere
quello positivistico.
Questo va bene
per
la
scienza,
che
per
studiare le cose
le
spezzetta,
le
schematizza,
le riduce ai soli
aspetti quantitativi.
Ma non si
presta
ai
compiti
della filosofia,
perch questa
intende
cogliere
la realt cos
com'essa effettivamente,
in tutto il
suo dinamismo,
in tutta la sua
Vita-
lit. E
questo

impossibile
se la realt viene sezionata e
schematizzata.
Ci vuole
quindi
un
altro metodo, un
metodo in
grado
di avvicinarela
realt senza
sottoporla
a nessuna forzatura, a nessuna distorsione, a nes-
suna
astrazione. Il metodo che,
secondo
Bergson,
ha
queste qualit

l'intuizione.
Nella Evoluzione creatrice
egli
descrive a
lungo
la natura e
la necessit
dellintuizione
quale
metodo della filosofia. Un
passo
particolarmente
indicativo il
seguente:
Tiriamo una
linea di demarcazione tra la natura inerte e
quella
vivente. Troveremo che
quella
inerte si conf naturalmente
agli
sche-
mi della
ragione,
ma
quella
vivente non
pu
essere
forzata dentro di
essi se non artificialmente,
sicch noi dobbiamo adottare verso
la
natura vivente un
atteggiamento
diverso ed esaminarla con
occhi
diversi da
quelli
con cui la esamina la scienza
positiva
(...).
La scienza
pu
vantarsi del valore uniforme attribuito alle sue
affermazioni su
tutto il dominio della
esperienza.
Ma
proprio perch
esse sono
poste
tutte sullo stesso
piano,
hanno
preso
tutte la tinta di una certa relati-
vit.
Questo non
accade se si comincia a fare
quella
distinzione,
che a
nostro
parere
inevitabile.La
ragione
si trova a casa sua nel dominio
della materia
inorganica
(...).
Invece solo accidentalmente-
per
caso
o convenzione, come a
voi
piace meglio
- che la scienza si
applica
al
vivente in maniera
analoga
alla materia bruta.
Qui
l'uso
degli
schemi
della
ragione
non

pi
naturale.
Non
voglio
dire che l'uso sia
illegittimo
secondo il
significato
scienti-
fico della
parola.
Se la scienza mira a estendere la nostra attivit sulle
cose e se
possiamo agire
soltanto usando della materia inerte come
strumento,
la scienza deve continuare a trattare la natura vivente
come natura inerte.
528 Parte terza
Ma facendo
questo, bisogna
che sia chiaro che
quanto pi
essa
pene-
tra nella
profondit
della
vita, tanto
pi
simbolica, tanto
pi
relativa
alle
contingenze
dell'azione diventa la
conoscenza
che
essa ci forni-
sce. La filosofia
seguir dunque
la scienza su
questo
nuovo terreno
per sovrapporre
alla verit scientifica un altro
genere
di conoscenza
che si
potr
chiamare metafisico.
Questo
genere
di
conoscenza ottenuto
per
intuizione.5
LE DIFFERENTI DREZIONI osufi-voiiizioixisCREATRICE
L'evoluzionecreatrice
(lo
slancio
vitale,
il
divenire)
ha
come
punto
di
partenza
una realt ricolma di
possenti energie.
Partendo da
questa
realt,
il cammino
prende
direzioni differenti: la direzione della materia
inorganica,
la direzione della vita
vegetativa,
la direzione della vita intel-
lettiva.
Contro
l'opinione
di tutti i
pensatori
che l'avevano
preceduto,
i
quali
avevano visto nella vita
vegetativa,
sensitiva, intellettiva, tre
tappe
suc-
cessive d'un unico
sforzo,
Bergson
vede in esse tre
espressioni
diverse,
tre vie differenti d'un unico slancio.
Secondo
Bergson,
a un certo
punto
dello
spazio
e del
tempo
lo slancio
Vitale nel suo divenire si suddivide in linee
divergenti.
In ciascuna linea
lo stesso slancio che si
attua, ma
in forma diversa. Per
esempio,
il
regno
delle
piante,
col
torpore vegetativo,
e
il
regno degli
animali, con
la mobi-
lit e la
coscienza, sono due tendenze caratteristiche
e
divergenti,
ma coe-
sistono
entrambe,
in diverse
proporzioni,
nella
pianta
e
nellanimale. La
medesima cosa si verifica nellanimalee nell'uomo,
ne|l'intelligenza
cio
e nellistinto. Per
quanto
siano
qualit
di diversa
natura, non c' intelli-
genza
ove non si
scoprano
tracce di
istinto, non c' istinto che
non sia cir-
condato da
una
frangia d'intelligenza.
Ora,
questo
non si
pu spiegare
se
non ammettendo l'unit di
un
impulso
iniziale,
nel
quale intelligenza
e
istinto si
implicavano
e si
compenetravano.
Pertanto,

legittimo
ritenere
che,
data
l'origine
comune
di tutte le forme di
vita, non ci sia
organismo
che
non
contenga
allo stato rudimentale, o latente
o virtuale,
i caratteri
essenziali della
maggior parte degli
altri. La differenza solo nelle
pro-
porzioni,
e basta a definire
un
gruppo rispetto agli
altri.
Mettendoci da
questo punto
di vista ci convinciamosubito che
vege-
tali e animali
corrispondono
a due
sviluppi divergenti
della vita. I
primi,
infatti,
ricavano direttamente le sostanze
organiche
dalle sostanze
minerali;
gli
altri
invece, non
potendo
fissare direttamente il carbonio
e
l'azoto,
che
sono
presenti dappertutto,
sono
obbligati
a
cercare,
per
nutrirsi,
i
vegetali
che hanno
gi
fissato
questi
elementi,
oppure gli
ani-
5) Ibd,
pp.
199-200.
Le
filosofie
della vita e
dell'azione 529
mali che li hanno ottenuti
a
loro volta dal
regno
vegetale.
Lattitudine
dei
Vegetali
li
dispensa
in
generale
dal movimento: essi sono
condannati
allimmobilit
e
quindi
all'incoscienza;
invece
gli
animali, costretti ad
andare alla ricerca del loro
nutrimento,
si sono
evoluti nel
senso
dell'at-
tivit
motrice, e
di
una coscienza
sempre pi ampia, sempre pi
distin-
ta,
fino
a
raggiungere l'intelligenza
umana.
In
conclusione,
torpore vegetativo,
istinto e
intelligenza
sono tre ele-
menti che coincidevano
nell'impulso
vitale iniziale
e che,
nel
corso
dello
sviluppo,
si dissociarono
per
il solo fatto della loro crescita. L'errore
capitale
che,
trasmettendosi da Aristotele in
poi,
ha viziato la
maggior
parte
delle filosofie della
natura,

quello
di vedere nella vita
istintiva,
vegetativa
e
ragionevole
tre
gradi
successivi di
una stessa tendenza che
si
evolve, mentre sono tre direzioni
divergenti
d'una attivit che si
scissa
sviluppandosi.
Dalla realt
iniziale,
lungo
la marcia
evolutiva, non nascono
delle
linee
divergenti
solo in direzione ascensionale
ma
anche in direzione
discendente;
in direzione ascensionale
nasce
la
vita;
in direzione discen-
dente
nasce
la materia. La materia e la realt che si
disfa,
la vita la
realt che si fa. Per tra vita
e
materia non c' frattura.

piuttosto
la vita
che, con
la
sua interruzione, crea
la
materia,
la
quale,
similealla conden-
sazione e
alla caduta delle
gocce
di
vapore, rappresenta sempre
la
perdi-
ta di
qualche
cosa.
LO SLANCIO VITALE COME OGGETTO DELLA FILOSOFIA
Per
Bergson l'oggetto
della filosofia
, come si detto,
lo slancio vita-
le,
il
quale
si manifesta nel continuo divenire
degli
esseri, un
divenire
che
non
procede
a
salti
irregolari,
ma caratterizzatoda
uno
sviluppo
in
cui il
passato permane
nel divenire.
Pertanto,
l'oggetto
della filosofia
lo slancio vitale che ha
come sua caratteristica la durata. La
filosofia,
dice
Bergson,
cerca
al di l del
tempo spazializzato
(...)
la durata
con-
creta dove si
opera
incessantemente un
rifacimentoradicale di tutto.
La filosofia lo studio
approfondito
del divenire in
generale,
del vero
evoluzionismo.
Il divenire la
categoria suprema
delle
cose,
il divenire l'essere stes-
so
della realt. Il divenire
non un
aspetto
caduco delle
cose,
ma
la loro
stessa natura. Al di l del divenire
non esiste aicunaltra
realt,
n l'esse-
re n la sostanza. Occorre convincersi
una
volta
per sempre
che la
realt
divenire,
che il divenire indivisibilee
che in un
divenire indivi-
sibileil
passato
fa
Corpo
col
presente.
Questo
divenire da cui
traggono origine
tutte le
cose chiamato da
Bergson
evoluzionecreatrice.
530 Parte terza
Per fondare la sua tesi dell'assoluta
primariet
del
divenire,
egli
si
rif
all'esperienza
e invoca,
per
esempio, l'esperienza
dell'ascolto di
un
brano di musica.
Ascoltiamo una
melodia lasciandoci cullare da
essa: non abbiamo
allora la
percezione
netta di
un movimento che
non attaccato a nes-
sun mobile,
dun movimento senza
alcunch che cambi?
Questo
dive-
nire
autosufficiente,
la cosa stessa. Facciamo astrazione da
questo
immagini spaziali:
rimane il
puro
divenire, autosufficiente,
per
nulla
attaccato a
qualche
cosa
che diviene. Ma la sostanzialit del divenire
in nessun altro caso cos manifesta,
cos
palpabile
come nella vita
interiore (...).
Quindi,
tanto se si esamina la realt interiore come se si esamina
quella
esteriore, tanto se si tratta di
me stesso come
delle cose esterne,
la realt il movimentostesso.
Davanti a
tale
spettacolo
del divenire universale
(...)
qualcuno potr
pensare
che
se tutto
passa
nulla esiste (...). Stiano
pur
tranquilli!
Se
hanno la bont di
guardare
in faccia il
divenire, senza
coprirlo
di
veli,
il divenire
apparir
loro come
ci che
pu
esserci al mondo di
pi
sostanzialee duraturow
In che direzione si muove
il divenire? Esso ha
una
duplice
direzione:
dal basso all'alto
e
dall'alto al
basso,
dalla materia allo
spirito
e
dallo
spirito
alla materia.
La realt come un
grande
calderone da cui si
sviluppa Vapore
acqueo,
il
quale
fino a
quando
rimane
vapore acqueo
sinnalza,
quando
poi
si condensa cade e ritorna allo status
quo.
Dalla tesi della
primordialit
del divenire
segue,
ovviamente,
la
negazione
della sostanza come
qualcosa
di distinto dal divenire stesso.
Ci
sono
dei
cambiamenti,ma sotto ai cambiamenti non ci sono
delle
cose
che cambiano: il cambiamentonon
ha
bisogno
di
un
sostegno.
Ci
sono
dei
cambiamenti,ma non
c'
un
soggetto
inerte, invariabile,
che si
muove:
il movimentonon
implica
nessun
mobile.7Solo
se
si
concepisce
come
qualcosa
di
contingente
e caduco
bisogna postulare qualcosa
che
faccia da
sostegno.
Ma
quando
si
concepisce
il divenire
come
la
supre-
ma
realt
non
c'
pi bisogno
di ricorrere alla sostanza
per
dargli
consi-
stenza.
Bergson collega
il concetto di divenire
con
quello
di durata: il
divenire durata
e
la durata divenire. E la durata
, come si
visto,
la
matrice stessa della realt. Di
qui
anche la critica del
Bergson
al concetto
tradizionaledi
creazione,
che
presenta Forigine
delle cose come un
salto
dal nulla
all'essere, mentre
per Bergson
si tratta di
una
esplosione,
di
una
evoluzione
creatrice,
da
un
vulcanico
punto
di
partenza
in cui si tro-
vava concentrata tutta
l'energia
vitale dell'universo.
6) H. BERGSON, La
pense
et le mnuvant,
Paris
1960,
pp.
185-189.
7) Ibid,
p.
185.
Lefilosqfie
della vita e dell'azione 531
L'UOMO COME HNE DELL'EVOLUZIONE
Bergson
si
oppone
a
quelle
concezioni
antropiche
che finalizzano lo
sviluppo
dell'universo all'uomo:
senza
l'uomo l'universo sarebbe
privo
di
senso. Ma non e cos
perch,
secondo
Bergson,
la vita ha
un senso in se
stessa, e
perci
ha
sempre
avuto un senso
anche
quando
l'uomo
non esi-
steva ancora. La vita trascende la finalit
come
pure
tutte le altre
catego-
rie.
essenzialmente
una corrente lanciata attraverso la
materia,
da cui
cava ci che
pu.
Non c' stato
dunque
n un
progetto
n un
piano.
D'altronde evidente che il resto della natura non stato
rapportato
all'uomo: noi combattiamo
come
le altre
specie,
e
abbiamo combattuto
contro le altre
specie.
Infine, se
l'evoluzionedella vita
avesse urtato con-
tro ostacoli differenti
lungo
il
suo
corso,
in tal modo che la corrente della
vita si fosse divisa
diversamente,
noi saremmo stati,
per quanto
concerne
sia il fisico che il
morale,
molto differenti da ci che siamo. Conclude
Bergson:
Per
queste ragioni
si
sbaglierebbe
a considerare l'umanit,
quale
l'abbiamoSotto
gli
occhi, come
preformata
nel momento evolutivo.
Non si
pu
neppure
dire che
essa sia il coronamento dell'intera
evo-
luzione,
poich
l'evoluzionesi realizzata
lungo
molte linee diver-
genti,
e se la
specie
umana all'estremit
rispetto
a una
di
esse,
altre
linee hanno trovato
compimento per
mezzo di altre
specie.
E in
un
senso del tutto diverso che noi consideriamo l'umanit
come
ragion
d'essere dell'evoluzione.Dal nostro
punto
di
Vista,
la Vita
appare
glo-
balmente
come una sola onda immensa che si
propaga
a
partire
da un
centro che, in
quasi
la totalit della circonferenza si arresta e si con-
verte in oscillazioni che
segnano
il
passo:
in
un
solo punto
l'ostacolo
stato forzato
e
l'impulso

passato
liberamente. E
questa
libert che
registra
lforma
umana.
Dappertutto,
eccetto che
nell'uomo,
la
coscienza si vista ridotta
a un
vicolo
chiuso;
solo con l'uomo ha
potuto proseguire
il
suo cammino. L'uomo
dunque
continua il movi-
mento vitale,
sebbene
non trascini con s tutto ci che la vita
portava
in s. In altre linee dell'evoluzione si sono
affermate altre tendenze
che la vita
implicava,
di cui l'uomo ha
senza
dubbioconservato
qual-
che
cosa
(giacch
tutto si
compenetra),
ma
di cui
non
ha conservato
che
una minima
parte.
Tutto si
sviluppa
come se un essere indeciso
e
plastico
che si
potr
chiamare
come si
vuole, uomo o
superuonzo,
aves-
se cercato di realizzarsi
e non ci fosse riuscito che abbandonando
durante il cammino
una
parte
di
se stesso.
Questi
detriti
sono
rappre-
sentati dal resto dellanimalit
e
anche dal mondo
Vegetale,
almeno in
ci che essi hanno di
positivo
e
di
superiore rispetto agli
accidenti
del1'evoluzione>>.8
S) Ijvolution
creatrice, ciL,
pp.
266-267.
532 Parte terza
Tratti distintivi dell'uomo
sono
la libert - di cui si
gi
detto
e
la
spiritualit.
Ma non si tratta di
una
spiritualit separata
dalla materia e
dal
Corpo,
bens ad essi strettamente
congiunta, poich
la materia fa
sempre
da
contrappeso
allo
spirito.
Secondo
Bergson
il
grande
errore
delle dottrine
spiritualistiche
stato
quello
di credere
che,
isolando la
vita
spirituale
da tutto il resto e
sospendendola
nello
spazio
a
quanto
pi
in alto
possibile
al di
sopra
della
terra,
l'avrebberomessa
al
riparo
da
ogni
ostacolo; mentre di fatto
non
facevanoaltro che
semplicemente
scambiarla
per
un'illusione.
Bergson parla
anche dell'immortalit ma
sembra
concepirla
alla
ma-
niera
averroistica, come una
prerogativa
della
specie
e non
della
persona
singola:
e l'avanzata dell'umanit che
forse, a un certo
punto,
in
grado
di rovesciare e
di
superare
moltissimi ostacoli,
forse anche la morte.
L'avanzata dell'umanit un'ascesa della
vita,
la vita nel
corpo
si tro-
va sulla via che conduce alla vita dello
spirito.
Ma in tal
caso,
non
avr
pi
da fare con
questo
o
quel particolare
essere vivente.
SCIENZA F METAFISICA
Mentre
gli
antichi avevano
incorporato
la scienza nella metafisica e
i
moderni avevano scavato un
fossato
sempre pi profondo
tra scienza e
metafisica,
Bergson
si
propone
di
unificarle,
considerando la scienza e
la
metafisica
semplicemente
come
due modi diversi di
osservare
la stessa
realt: la scienza studia la realt
guardandola
con uno
sguardo
atomiz-
Zante e "costruttivo";
la metafisica ha invece uno
sguardo
unitario che
vede la realt
come un tutto.
Tra scienza e
metafisica
Bergson
sembra tracciareuna
linea di demar-
cazione molto netta che
riguarda
sia il metodo sia
l'oggetto.
Il metodo
della scienza
quello
dell'atomizzazionee
della
costruzione,
il
suo
oggetto
la
materia;
invece il metodo della metafisica e l'intuizionee
il
suo
oggetto
e lo
spirito.
Ecco un
bel testo in cui
Bergson spiega
le diffe-
renze tra scienza e
metafisica:
Noi
assegniamo
alla metafisica
un
oggetto
limitato,
lo
spirito,
e un
metodo
speciale,
l'intuizione. Con ci noi
distinguiamo
nettamente la
metafisica dalla scienza. Tuttavianoi
assegniamo
loro
un
eguale
valo-
re. Noi crediamo che
esse
possono
entrambe toccare il fondo della
realt. Noi
rigettiamo
la tesi sostenuta dai filosofi e accettata
dagli
scienziati sulla relativit della conoscenza e
l'impossibilit
di
cogliere
l'assoluto. La scienza
positiva
si
rivolge
all'osservazione sensibile.
Essa ottiene cos dei materiali la cui elaborazione essa
affida alla
facolt di astrarre e
di
generalizzare,
al
giudizio,
al
ragionamento,
all'intelligenza.
Partita
gi
dalle matematiche
pure,
essa continua con
la
meccanica,
poi
con
la fisica
e la chimica e arriva infinealla
biologia.
Lefilosqfe
della vita e
dell'azione 533
Il suo
primitivo
dominio,
che anche rimastoil suo dominio
preferito

quello
della materia inerte. Ma
grande
il
suo
imbarazzo
quando
essa
giunge
allo
spirito
(...).
E
impossibile
considerare il meccanismo della nostra
intelligenza
e
il
progresso
della scienza senza arrivare alla conclusioneche tra la intel-
ligenza
e
la materia c' effettivamente una simmetria, una
concordan-
za,
una
corrispondenza.
Da
una
parte
la materia si risolve
sempre
pi
agli
occhi dello scienziato in relazioni matematiche, e
dall'altra le
facolt essenziali della nostra
intelligenza
non
funzionano con tanta
precisione
come
quando
si
applicano
alla materia (...). Ma
quando
noi
riconduciamo
l'intelligenza
ai suoi contorni
precisi
e
approfondiamo
abbastanza le nostre
impressioni
sensibiliaffinch la materia cominci
a
darci linteriorit della sua struttura,
troviamo che le articolazioni
dellntelligenza vengono
ad
applicarsi
esattamente a
quelle
della
materia. Noi
perci
non
vediamo
perche
la scienza della materia non
colga
lassoluto.*
Anche da
quanto
Viene detto in
questo
testo,
risulta che nella
prospet-
tiva
bergsoniana
le differenze tra scienza e
metafisica sono meno
profon-
de di
quelle
che
aveva
posto, per
es.,
Aristotele tra scienze
efilosofia
printa.
Infatti,
secondo
Bergson,
entrambe
possono
toccare il fondo della
realt; una tesi
questa
che Aristotele
(e nessun
altro metafisico)
avrebbe
mai sottoscritto. Per
Bergson,
in definitiva si tratta soltanto di due diversi
punti
di
vista,
di due
sguardi
differenti che
cercano
di
cogliere
la stessa
realt,
la vita. La scienza la considera dal
punto
di vista della
materia, e
quindi
dei
traguardi gi raggiunti
dalla
vita;
invece la metafisica conside-
ra
la vita dal
punto
di vista della sua continua ascesa verso
lo
spirito.
Assumendo
questo punto
di
vista,
il metafisico
vedr il mondo materialerisolversi in un
semplice
flusso, una
conti-
nuit di
scorrimento, un
divenire... anche la materia resta solidale con
ci che ascende (monte).
Ma la vita e
la coscienza sono
questa
stessa
ascesa. Quando
finalmentesaranno
colte nella loro essenza
seguendo
il loro
movimento,
si
capisce
come
il resto della realt derivi da esse.
Nel seno
di
questa
evoluzione,
l'evoluzionestessa
appare
la determi-
nazione
progressiva
della materialit e
della intellettualit,
mediante
la consolidazione
graduale
dell'una e dell'altra. Ma allora in
questo
movimento evolutivo che ci si
inserisce,
per
seguirlo
fino ai suoi
risultati
attuali,
anzich
ricomporre
artificiosamente
questi
risultati
con
qualche
loro frammento. Tale ci
pare
essere
la
funzione propria
della
filosofirz.
Cos intesa,
la filosofia
non
semplicemente
il ritorno dello
spirito
a se stesso,
la coincidenza della coscienza umana
col
principio
-vivente da cui essa
emana,
una
presa
di contatto con
lo sforzo creato-
re. Essa e
lapprofondimento
del divenire in
generale,
lev0luzi0nismo
9) La
pense
et le
mouvant, cit.,
pp.
33-36.
534 Parte terza
vero,
e di
conseguenza
il
vero
prolungamento
della scienza
purch
si
intenda
con
questa
ultima
parola
un insieme di verit constatate o
dimostrate, e non una certa nuova scolastica che si costituita nella
seconda met del secolo XIX intorno alla fisica di
Galileo, come aveva
fatto l'antica intorno a
quella
di Aristotelew"
ljinterrogativo
che
qui
si affaccia alla mente se ci che
Bergson
chiama filosofia"
oppure
metafisica", non sia nienta1tro che
una
di-
versa concezione della
scienza, un nuovo
positivismo,
una concezione
organcistica,
che
privilegia
la visione d'insieme
rispetto
a
quella
delle
parti,
e
che
Cerca
di
applicare
anche alla scienza
quel
circolo ermeneuti-
co
di cui
avevano
parlato
Schleiermacher
e Rosmini.
A noi risulta difficileCondividere il concetto che
Bergson
ha della
metafisica.
Questa
e essenzialmente
una seconda
navigazione.
E
vero
che
Bergson parla continuamente, come facevanoi
neoplatonici,
di
ascesa e
di
discesa, e vuole
aggregare
continuamente la
conoscenza dellascesa
e
della
discesa, ma
questa partecipazione
e
un inserimento "mistico nella
realt, e non una ricerca
speculativa,
una
partecipazione empatica,
e non
uno
studio.
Metafisica
e scienza
non sono
semplicemente,
come afferma
Bergson,
due
sguardi
diversi della stessa realt. Pur iniziando
con lo stesso
ogget-
to,
il mondo
materiale,
la scienza concentra la
sua attenzione
su
questo
mondo,
per coglierne
tutti
gli
elementi, strutture e
leggi;
invece la meta-
fisica indirizza la
sua ricerca verso un'altra realt che
oltrepassa
il
mondo della
scienza,
il mondo
empirico,
il mondo materiale. La metafi-
sica la ricerca di
un secondo
mondo, un mondo
trascendente,
il mondo
dello
spirito.
Certo,
Bergson
ha
perfettamente ragione
contro i
positivi-
sti,
quando
sostiene che la Coscienza e lo
spirito
si trovano
gi
in
questo
mondo; ma si tratta
sempre
di coscienze e
di
spiriti
finiti.
Ci che
Bergson
fa
non metafisica
ma e
sempre
scienza, un nuovo e
pi
autentico
positivismo,
una scienza
"spiritualistica" pi
conforme ai
dati
dell'esperienza
della scienza
positivistica.
Ci che
Bergson
elabora
una nuova
epistemologia
scientifica
e con essa una nuova
cosmologia
vitalistica,
in
contrapposizione
con
la
cosmologia
metafisica di Aristotele
e
alla
cosmologia
meccanicistica di
Galileo,
Cartesio
e Newton. Ma n in
L15001ution
creatrice,
n in altre
opere Bergson
ha elaborato
e, probabil-
mente,
neppure
intendevaelaborare
una nuova metafisica.
1)
Cf. ljvolutmz
cratrice, cit.,
pp.
368-369. l corsivi sono nostri.
Lefilosofie
della trita e
dell'azione 535
RILIEVI CRlTlCl
La sostanza delle nostre critiche al
bergsonismo
l'abbiamo
gi espres-
sa: esso non un sistema metafisico ma scientifico;
costruito su
due
postulati
fondamentali: 1)
la
legge
della evoluzioneche
sottopone
tutta
la realt
a un
continuo cambiamento; 2)
la vita e
la
coscienza,
insieme
alla
materia, sono
gli
elementi
primordiali
della realt cosmica e non
fanno la loro entrata in scena a una
determinata fase dell'evoluzione. Il
primo postulato Bergson
lo
prende
da Darwin (ma
poteva
ricavarlo
anche dai
neoplatonici).
Il secondo il
suo
grande, personale
contributo
all'evoluzionismo.
Bergson
ricorre a
questo postulato per
eliminare il
problema
dei
passaggi
da
un
regno
all'altro
(dal
regno
minerale, a
quel-
lo
vegetale,
a
quello
animale, all'uomo).
L'evoluzionismo una
questione
scientifica e non
filosofica
o
metafi-
sica. Perci non
spetta
al metafisico
pronunciarsi
su
tale
questione.
Le
principali
critiche che
sono state mosse
al
bergsonismo
sono
due:
stato accusato di irrazionalismoe
inoltre di
panteismo
e monismo.
A nostro avviso sono
tutt'e due
ingiustificate.
infondata la
prima
critica:
Bergson
non
distrugge
la
ragione
ma
proprio
con
la
ragione
avverte che l'uomo non e dotato soltanto di
pote-
ri astrattivi e raziocinativi,ma
anche di
poteri
intuitivi e
che molti
segre-
ti delle cose
li
raggiunge
con
i secondi e non con
i
primi.
A
questo
riguardo
ha scritto molto bene
Peguy:
Anche il
bergsorusmo
ha
una
ragione.
Anche il
bergsonismo
un
par-
tito della
ragione.
Non si vede che cosa
potrebbe
essere una
filosofia
che
non
fosse un
partito
della
ragione.
Il
bergsonismo
si
propone
anzi
di servire ancora
meglio
la
ragione, perch
intende,
per
dir
cos,
servirla
ancora
pi
da vicino.
Ogni
filosofia, evidentemente, un
razionalismo.
Anche
una
filosofiache fosse, o
volesse essere
contro la
ragione,
sareb-
be, cionondimeno,
razionalista. Una filosofianon
pu
mai
portare
che
ragioni.
Il cartesianesimo
stato,
nel suo
principio,
uno
sforzo
per gui-
dare la
ragione
nella ricerca della verit nelle scienze (...).
Il
bergsoni-
smo
stato,
nel suo
principio,
uno
sforzo
per
guidare
la
ragione
a strin-
gere
la realt
(nelle scienze,
nelle metafisiche delle
scienze,
nella metafi-
sica).
Gi il
platonismo
era stato,
nel suo
principio,
uno
sforzo
per
con-
durre la
ragione
attraverso la dialettica ideale
o,
se si
preferisce,
ideica,
alla fonte stessa dell'essere. Il
bergsonismo
stato uno
sforzo altrettanto
grande,
uno
sforzo dello stesso ordine, e vorrei dire uno
sforzo nello
stesso senso. Non c' filosofiacontro la
ragione, pi
di
quanto
ci sia una
battaglia
contro la
guerra,
un'arte contro la
bellezza, una
fede contro
Dio. Il
bergsonismo
non e mai stato n un
irrazionalismon un
antira-
zionalismo. E stato un nuovo
razionalismowl
H)
C. PEGUY, Notes sur
H.
Bergson
et la
pliilosophfebergsonienne
(1914),
dalla edizione
La Pliade", Paris
1958,
pp.
1286 s.
536 Parte terza
Tanto
meno credo che si
possa
accusare
Bergson
di
panteismo.
Que-
sta accusa cade nel momento stesso in cui si Vede nel
suo evoluzionismo
non un sistema metafisico
ma una teoria
scientifica,
la
quale
non si
interroga
sui
principi primi
dell'universo
ma, come
precisa
lo stesso
Bergson, sull'origine
del sistema solare
e
in definitiva
sull'origine
del
nostro
pianetafl
La
preoccupazione
di
Bergson
non
riguarda
la
causa ul-
tima del
cosmo,
ma
il
suo intrinseco
dinamismo,
la
ragione
irnrnanente e
non
quella
trascendente del
suo
sviluppo.
Pertanto tutta la ricerca che
Bergson sviluppa
nella Evoluzione creatrice rimane dentro l'ambitodella
scienza ed esclude
qualsiasi
incursione nel terreno della metafisica. Del
problema
di Dio
Bergson
si
occupa espressamente
in un'altra
opera,
Le
due
fOI
della morale
e
della
religione;
ma anche l il
problema
non viene
affrontato sul terreno della metafisica
ma su
quello
della
fenomenologia.
A nostro avviso tutto il dibattito intorno al monismo e al
panteismo
di
Bergson
assolutamente
ingiustificato
e senza fondamenti. La
sua
fede
profonda
in un Dio
personale
risulta assolutamente
indiscutibile, ma
sarebbe errato cercarne
la
prova
ne L'evoluzione
creatrice,
dove
Bergson
persegue
obiettivi scientifici
e non
metafisici o
teologici.
Il
pensiero
di
Bergson
ha
rappresentato
la
voce
pi
autorevoledella
filosofia
francese; ma
pi
che
una Vera e
propria
scuola
Bergson
ha
lasciato dietro di s
un'ispirazione
che si
sviluppata
in modi
e
campi
diversi. Assai
importanti
sono state le
sue influenzenel
campo
della
psi-
cologia,
e
il famoso
psicologo Piaget (per
tanti
aspetti
cos lontano dal
pensiero
di
Bergson)
riconobbedi
averne
in
un
primo tempo
subito l'in-
fluenza. Nel
campo
filosofico
grande
stato l'influsso che
Bergson
ha
esercitato
su Blondel
e Whitehead; mentre nel
campo teologico
la visio-
ne evoluzionisticadi
Bergson
ha avuto
una
grandissima
incidenza sulla
riflessionedi Teilhardde Chardin
e
sulla
sua elaborazione del Fenomeno
unzano.
Wilhelm
Dilthey
VITA E OPERE
Wilhelm
Dilthey
nacque
a Bielbrich, nella
Renania,
nel 1833. Si form
in
un
ambientefortemente influenzatodalle
dispute religiose
fra la Re-
nania cattolica
e
la Prussia luterana:
egli
stesso era
figlio
di
un
pastore
della Chiesa
protestante.
Studi
presso
le universit di
Heidelberg
e di
12) Cf. Dvolutioiz
creatrice, cit.,
p.
242.
13) Cf.
]. CHEVALIER,
Bergson,
Paris
1926;
A.
SEKriLLANoEs, Aver H.
Bergson,
Paris
1941.
Le
filosofie
della zaita e
dell'azione 537
Berlino,
dove
segu
Corsi di
teologia,
di filosofia e di storia. Fu Adolf
Trendelenburg
ad avviarlo allo studio della storia della filosofia
e in
par-
ticolare di Schleiermacher, su cui scrisse uno dei libri tuttora
pi
validi,
apparso
in due
volumi,
nel 1867 e
nel 1870: la Vita di Schleiermacher. Esso
rimase anche
uno
degli
unici tre libri
pubblicati
da
Dilthey
durante la
vita, perch
le altre sue
opere,
di cui alcune
fondamentali,
apparvero
sol-
tanto
postume,
in un'edizione
completa
delle sue
opere
a cura
di alcuni
suoi allievi
(questa
edizionevenne
pubblicata
a
partire
dal
1914;
le altre
opere
edite in vita furono l'introduzione alle scienze dello
spirito
del
1883, e
una raccolta di
saggi
dal titolo
Esperienza
vissuta e
poesia
del
1895).
Da
Schleiermacher
Diltheyapprese soprattutto l'importanza
dell'ermeneuti-
ca,
cio la scienza del
comprendere
l'attivit
spirituale
dell'uomo.
Dopo
avere ottenuto l'abilitazionea Berlino,
Dilthey
inizinel 1867 la
carriera accademica a Basilea,
da dove
pass
l'anno
dopo
a
Kiel
e
nel
1871 a Breslau. Nel 1882 fu chiamato
a
Berlino
quale
successore
di Lotze.
Vi
insegn
fino al 1906
svolgendo
un
ruolo di
primo piano
nellAccade-
mia
prussiana
delle Scienze,
nella
quale
ebbe modo di riunire intorno a
s una
schiera di allievi che, come si detto, ne
raccolsero
l'opera
e ne
continuarono
l'insegnamento.
Mor nel 1911 a
Siusi
(Bolzano),
dove si
trovava in vacanza.
LA DISTINZIONE TRA LE SCIENZE DELLA NATURA
E LE SCIENZE DELLO SPIRITO: IERMENEUTICA
Nella storia della filosofia
Dilthey
una
figura importante, soprattut-
to
per
i suoi
insegnamenti
che
riguardano
la distinzionetra scienze della
natura e scienze dello
spirito,
Permeneuticacome
studio della storia e la
vita come
principio
motore della storia. Le sue
dottrine sul metodo delle
scienze dello
spirito
e
sull'ermeneutica hanno rilevanzaanche
per
la
metafisica,
ancorch
per questa
disciplina Dilthey
non abbia mai mo-
strato
speciale
interesse.
Dilthey
fu il
primo
a tracciare una
netta linea di demarcazione tra
scienze della natura
(Natttrwissensclzaften)
e
scienze dello
spirito
(Geistesteissenschaften).
Contro la
pretesa
dei
positivisti
di
applicare
un
unico metodo,
quello oggettivo
dell'analisi
e
della classificazionedei
dati e della formulazione delle
leggi,
a tutti
gli
ambiti del
sapere,
Dilthey
osserva
che
questo
metodo soddisfa
appena
alle
esigenze
dello
studio dei fenomeni naturali e materiali, mentre assolutamenteinade-
guato per
lo studio e
la
comprensione
dei fenomeni culturali,
storici e
spirituali.
Ci sono
pertanto
due
gruppi
di scienze: il
gruppo
delle scien-
ze della cultura e
il
gruppo
delle scienze dello
spirito,
ciascuno dotato di
un
proprio oggetto
e
di un
proprio
metodo:
538 Parte terza
Accanto alle scienze della natura si
sviluppato spontaneamente,
dai
compiti
stessi della
vita, un
gruppo
di
discipline
che
sono
legate
tra loro dalla comunanza
dell'oggetto:
tali
discipline
sono la
storia,
l'economia
politica,
le scienze del diritto
e dello stato (...) e
infine la
psicologia.
Tutte
queste
scienze si riferiscono al medesimo
grande
fatto: il
genere
umano. Esse descrivono e
narrano, giudicano,
forma-
no concetti e teorie in relazionea
questi
fattim
Non c' dubbioche il
punto
di
partenza
della distinzione sia
rappre-
sentato,
per
Dilthey,
da
una
differenza di
oggetti.
La delimitazione delle
scienze dello
spirito rispetto
alle scienze della natura radicata nella
profondit
e nellautocoscienzaumana>>fl5E ci in
quanto
l'uomo trova in
questa
autocoscienza una sovranit del
volere, una
responsabilit
delle sue azioni, una
Capacit
di
sottoporre
tutto al
pensiero
e di
opporsi
a tutto nella libert della
sua
persona,
mediante
cui si
distingue
da tutta la natura.
Egli
si ritrova infatti, in
questa
natura
per impiegare un'espressione spinoziana
-
come un
impcrium
in
inzperio
(...). Cos
egli distingue
dal
regno
della natura un
regno
della
storia,
nel
quale
- in
mezzo alla connessione di
una necessit
oggettiva,
che costituisce la natura - la libert
emerge
in innumerevoli
punti.
In antitesi al
corso meccanico dei mutamenti
naturali,
il
quale
gi
contiene fin dall'inizio tutto ci che in esso
ha
luogo,
i fatti della
volont
producono
realmente
qualcosa
in virt del loro
impiego
di
forza
e dei loro
sacrifici,
del cui
significato
l'individuo
consapevole
nella
propria esperienzam
La natura il mondo della necessit
meccanica,
esprimibile
in forma
di
leggi;
la storia invece secondo
una
prospettiva
che
riprende,
cer-
cando di tradurla in termini
epistemologia, l'impostazione
del Kant
della Critica della
ragion pratica
- il dominio della libert intesa come
pos-
sibilitdi dare inizio a una serie causale.
vero
che
questa
si
presenta
anch'essa, a differenza che in
Kant, come una
possibilit
condizionata
dalla
contemporanea appartenenza
dell'uomo al mondo della
natura;
tuttavia
processi
materiali
e
processi spirituali
sono tra loro incom-
parabili,
e i secondi non
possono
venir derivati dai
primi.
A
questa
distinzione
su
base
oggettiva
ne
corrisponde
un'altra di
carattere
gnoseologco.
Essa rimanda infatti alla differenziazione di
chiara
origine
lockiana, ma
ripresa poi
da Kant - tra due forme di
espe-
rienza, tra
esperienza
interna ed
esperienza
esterna. I
processi
naturali
) W.
DILTHEY,
Critica della
ragione
storica, tr. it.,
Torino
1954,
p.
145.
l") 11).,
Introduzionealle scienze della
spirito,
tr.
it.,
Firenze
1974,
p.
18.
16) Ibict,
pp.
18-19.
17) Ibid.,
p.
25.
Lefilixsofie
della trita e
dell'azione 539
possono
essere conosciuti soltanto attraverso la
percezione,
in
quanto
la
natura
per
noi soltanto
qualcosa
di
esterno, non
di
interno;
invece i
processi
storico-sociali
sono
comprensibili
dallnterno,
in
quanto
la
societ il nostro mondom L'uomo ha
un'esperienza
immediata della
vita
spirituale
nella
propria
interiorit.
un'esperienza
che
non
comporta
alcuna mediazione concettuale: in tale
esperienza,
che
Diltheydesigna
col termine Erlebns, immediatamente data in se stessa l'unit del
mondo
umano,
che costituisce
Poggetto
della scienza dello
spirito.
Ma
qual
esattamente il metodo che si addice allo studio delle atti-
vit e
dei
prodotti
dello
spirito,
visto che il metodo
positivo
non ido-
neo?
Dilthey
ritiene che
per
le scienze dello
spirito
il metodo
pi
ade-
guato
sia
quello
ermeneutico,
il
quale
in
grado
di
cogliere
il
senso an-
che di ci che ha carattere individuale,
personale,
unico. Scrive
Dilthey:
La certezza di
queste
scienze, come
quelle
della storia,
dipende
dalla
possibilit
che la
comprensione
del
singolare possa
elevarsi alla validit
universale>>jl
Proponendosi
di
compiere per
le scienze dello
spirito
(in
particolare
per
le scienze storiche)
quello
che Kant aveva
fatto
per
le
scienze della
natura, Dilthey
va
alla ricerca di
un
principio categoriale
che
gli
consenta di
assumere
nelluniversale
quanto
ci dato come
indi-
viduo.
Questa
categoria
dev'essere tratta direttamente dalla
vita,
dev'es-
sere
udesperienza
vitale,
ed ci che
Dilthey
chiama Erlebns. Il
com-
prendere
(verstehen)
possibile
in
quanto
esso stesso un Erlelvnis,
che si
appropria
di
quanto
viene a
lui
presentato;
lfrlebns rende
partecipe
l'interprete
dell'evento
storico,
del fenomeno umano
di cui si
Cerca
di
ottenere una
comprensione.
La
comprensione
ermeneutica come
comprensione
storica si realizza
per
Dilthey
non
mediante
Yintrospezione,
ma
fondamentalmente me-
diante la ricostruzione di tutti
quegli
elementi che
sono
le testimonianze
effettive della
soggettivit.
Ci
comporta
che
per
conoscere
la natura
storica dell'uomo non
si deve
compiere
tanto un
processo
di
introspe-
zione,
quanto piuttosto
un
processo
di ricostruzione ermeneutica,
ossia
di ricostruzione storica. I
prodotti
creativi
dell'uomo,
quali
l'arte,
la filo-
sofia,
la
scienza,
la
religione,
il
diritto,
costituiscono il materiale
princi-
pale
che
permette
allu0mo di
conoscere
che cosa
egli
come essere sto-
rico, e
tale
processo
di
ricognizione
costituisce lautentico
processo
di
comprensione
ermeneuticacome conoscenza storicafi
13) Ibid,
p.
56.
T9) Ermeneuticae
religione,
tr. it.,
Bologna
1970,
p.
5D.
2) Cf. G.
MURA,
Ermeneutica e verit, cit.,
pp.
213-214.
540 Parte terza
LA VITA COME PRINCIPIO MOTORE DELLA STORIA
E LA DIMENSIONE STORICA DELL/UOMO
Come
Bergson
anche
Dilthey
vede nella vita un
principio primario
da cui necessario
partire
per capire
la
realt, ma mentre la realt di cui
si interessa il filosofofrancese il
cosmo,
la realt di cui si
occupa
il filo-
sofo tedesco l'universo
umano
e, quindi,
la storia del
genere
umano.
Cosi mentre ci che ci d
Bergson
e essenzialmente
una
cosmologia,
ci
che elabora
Dilthey

unantropologia
storica,
in cui la vita umana
fa
corpo
con la
storia, e a sua volta la storia fa
corpo
con
la vita. Mentre
Bergson
crea un sistema
evoluzonistico,
Dilthey
crea un sistema vitali-
stico e storicistico.
Dilthey
studia la vita
umana non dal
punto
di vista
biologico,
ossia
come
principio soggettivo
dell'esistenza
dell'individuo, ma
dal
punto
di
vista
storico,
ossia
come
principio oggettivo
di tutte le
impronte
lasciate
dallumanit nel mondo nel
corso
dei secoli: tutto
quanto
sorto dall'at-
tivit
spirituale
dell'uomo
e reca
quindi
il carattere di storicit: dalla
distribuzione
degli
alberi in
un
parco,
dalla
disposizione
delle
case in
una strada,
dallo strumento
appropriato
di
un
artigiano
fino alla senten-
za
di
un tribunale. Ci che io
spirito
immette del
proprio
carattere
oggi
nella
sua manifestazionedi vita
, domani,
quanto
ci sta dinanzi,
storia.
Tra vita e storia c' un nesso essenziale:
non c' vita senza storia, e
Viceversa
non c storia
senza vita. E
poich
la vita si
pu comprendere
soltanto attraverso la
storia,
l'unica
vera filosofia, secondo
Dilthey,
la
storia.
Ogni
altra
spiegazione
destinata al fallimento.
Infatti,
per
arri-
vare
alla vita occorre
seguire
lo stesso cammino che
essa
ha
tracciato;
come
chi si trova
sperduto
nella
foresta,
il filosofo deve
cercare i
segnali
che la vita ha lasciato nel
suo corso millenario.All'inizioc' stata la vita.
E chi sente il desiderio
pungente
di
una soddisfacente
giustificazione,
non
la cerchi al di fuori della vita
perch
non
la trover. Il decorso stori-
co
della vita contiene la
sua
giustificazione.
Chi
non vuole smarrirsi
deve andare incontro a
quella giustificazione
che la vita venuta
lasciandodi
se stessa nei
prodotto
storici.
quindi
necessario esaminare
attentamente il
corso totale della vita
e, quindi,
il
corso totale della sto-
ria, senza
permettersi
di trascurare o
disprezzare
alcun elemento.
L'interpretazione
della storia come
oggettivazione
della vita dello
spirito salvaguarda Dilthey
dal
pericolo
di considerare il
processo
stori-
co come un tutto
organico sempre
in evoluzione
verso il
meglio;
lfrlebitis
non si
oggettiva
sempre
in manifestazioni
positive,
e
questo
esclude
un
ottimismo assoluto. D'altra
parte
Fabbandono di
una visione
totalizzante della storia non intende frantumate i fatti storici in tanti
avvenimenti
privi
fra loro di connessione. Per
Dilthey
tra i fatti esiste
una relazione
che, senza essere
quella
deterministica di
causa
ed
effetto,
Lefilosofie
della vita e
dell'azione 541
li connette tra loro in modo unitario. Questo

quanto egli
intende con
l'espressione
connessione dinamica. Grazie ad essi i fatti costituiscono
un'epoca,
la
quale
una sorta di totalit conclusa che ha il centro in se
stessa e trae da s il
proprio significato.
Ma anche nei confronti delle
epoche
si deve
ripetere
il
ragionamento
ora
svolto.
L'epoca
non
n un
tutto isolato dal
pi ampio
fluire della
storia,
n un
semplice
anello di
passaggio
di
un
processo
infinito. Essa in relazione con
il
proprio pas-
sato e
il
proprio
futuro;
le
epoche
cio, come i fatti, sono tra loro in
con-
nessione dinamica: sono
infatti in una
relazione che, senza trascurare le
dipendenze,
non ne
fa delle
conseguenze
necessarie.
Tutte
queste
considerazioni di
Dilthey
hanno
grande
rilevanza oltre
che
per
la
storiografia
anche
per
l'antropologia:
infatti una nuova con-
cezione dell'uomo
quella
che
egli
ci
presenta:
non
pi
l'uomo considera-
to nella sua natura immutabile,
nella sua essenza ma
nel suo
inarrestabi-
le
sviluppo
storico.
Dilthey
uno
dei
primi
filosofi
a
fare della storicit
uno
dei connotati essenziali dell'uomo. L'uomo non mai "fatto", ma e
sempre
in cammino: il
tipo
"uomo" si dissolve e
cambia nel
processo
della storia. L'uomo,
per
Dilthey,
attraversato dalla
temporalit
da
parte
a
parte,
nel
senso
che la sua
essenziale storicit
riguarda
non
sol-
tanto la
sua natura non determinata,
che viene
poi plasmata
dalla cultu-
ra,
ma concerne
direttamente l'essenza delle sue
modalit di
compren-
sione,
nel senso
che il
suo conoscere e
il
suo
comprendere
sono essen-
zialmente
storici, e
quindi profondamente
segnati
dai vari orizzonti cul-
turali. Di
qui
la necessit dellermeneutica,
quale autocomprensione
sto-
rica dell'uomo.
Anche
qui,
dando rilievoalla storicit, Dilthey
si accontenta di arric-
chire il
quadro fenomenologico
dell'essere
umano; egli
non
si azzarda a
intraprendere
una
"seconda
navigazione", per
cimentarsi con
i
problemi
metafisici che scaturiscono dalla dimensionestorica dell'uomo, come
da
tutte le altre sue
dimensioni fondamentali.
Tra
gli esponenti
della filosofia della vita va
qui
ricordato anche
George
Simmel (1858-1918),
che
a
Berlino fu
per
molti anni
collega
di
insegnamento
di
Dilthey.
Le sue
opere
principali
sono:
Problemi
principa-
li della
filosofia
(1910); Filosofia
della cultura
(1911);
Il
conflitto
della cultura
moderna (1918); Intuizionedella tiita (1918).
Dei due termini tenuti in connessione da
Dilthey,
vita e storia,
Simmel
accentua la
vita,
affermandone la radicale intrascendibilit,e conse-
guentemente
sostenendo
Ympossibilit
di
Comprenderla
in modo
oggettivo.
In
Dilthey
la vita storia: ma essa si
esprime pur sempre
in
modo
intelligibile
all'uomo, suo
protagonista
e
interprete
al
tempo
stes-
so.
In Simmel invece la vita si
separa
dalla storia: la vita continuit
atemporale,
flusso
ininterrotto,
da cui
emergono
le varie forme della ci-
vilt
che, nate dal suo divenire
perenne,
le si
oppongono.
Ma tale
oppo-
542 Parte terza
sizione destinata al
fallimento,
perch
la vita tende a eliminare
e
supe-
rare costantemente le forme che vorrebbero
indipendenza
e autonomia.
Da
questa impossibilit
di liberarsi della vita nasce la
sua
tragicit,
e
l'impossibilit
di
cogliere gli
avvenimenti
storici, se non
per
mezzo
di
semplici
connessioni
casuali,
concepite
in modo isolato: La vita affet-
ta dalla contraddizionedi
potersi
realizzaresolamente in forme
e
di
non
potersi
esaurire in
essere,
dovendo
superare
e
rompere ogni
cosa
che ha
creato.
MauriceBlondel
VITA
E OPERE
Maurice Blondel nato il 22 novembre 1861 a
Digione,
dove
comp
tutti i suoi studi. Entrato nellEcole normale
suprieure,
fu
discepolo
di
Boutroux
e
soprattutto
di
Oll-Laprune,
del
quale
divenne anche intimo
amico.
Dopo
vari anni di
insegnamento
ai
collegi
di Montauban
e
di
Chaumont
e
all'universit di
Lilla,
nel 1897 fu invitato alla facoltdi lette-
re di Aix dove si stabil
definitivamente,
fino all'anno del
suo ritiro (1927).
Nel
1893,
Blondel si
impone all'improvviso
all'attenzionedi tutti con
la
sua tesi divenuta
poi
celebre,
L'Amore. Essai d'une
criticyzie
de la vie
et d'une science de la
pratiqrte,
tesi decisamente
originale
nel metodo oltre
che nel
soggetto
e
nelle conclusioni.
L'opera
ebbe
un'accoglienza
molto
contrastata. A
causa della sua affermazionedi
un'apertura
inevitabileal
Trascendente
e
al
Soprannaturale,
essa
inquietava
allo stesso
tempo
i
filosofi,
che difendevanoi diritti della
ragione,
e i
teologi,
che difende
vano
la
gratuit
del
soprannaturale.
Cos
l'opera
di Blondel fu condan-
nata dalla Chiesa
e messa
all'Indice
perch
sospetta
di modernismo. In
molti ambienti
l'opera
fu
per
accolta
favorevolmente,
per
la
Capacit
dell'autoredi
proporre
una nuova
apologetica
del Cristianesimo.
Le riserve della Chiesa costrinsero Blondel
a un
prolungato periodo
di silenzio
e
di
meditazione,
che
gli
serv
per
mettere a
punto un'esposi-
zione sistematica e
completa
di tutto il
suo
pensiero,
in
piena
armonia
con la filosofia cristiana
insegnata
dalla Chiesa. Ai suoi critici Blondel
aveva
replicato:
IJ/lction non una Summa. Per
completarla
e mettere
fine ai malintesi
provocati
dall'uso del termine
equivoco
di "filosofia
dell'azione",
avrei
bisogno
di
un'opera analoga
sul
pensiero
e di un'al-
tra sull'essere. Alla fine vorrei coronare
questa trilogia
con uno
studio
sullo
spirito
cristiano. Il
progetto
fu realizzato interamente tra
gli
anni
1934 e 1949, con
la
pubblicazione
delle
seguenti opere:
Il
pensiero
(1934);
L'essere e
gli
esseri
(1935);
L'azione
(nuova
redazione in due volumi editi
nel 1936 e
nel
1937);
La
filosofia
c
lo
spirito
cristiano
(2 voll., 1944-1946).
Blondel mor il 4
giugno
1949.
Le
filosofie
della vita e
dell'azione 543
L'IMPEGNOMETAFISICOE ANTROPOLOGICODI BLONDEL
In un
periodo
di vuoto metafisico
qual
stato il secolo XX Blondel
costituisce una rara eccezione. In
effetti,
egli
fu
un
valente avvocato
della
metafisica,
di cui cerc di rinnovare sia il metodo sia i contenuti
cos da rendere le verit metafisiche
pi
accessibiliall'uomo della
secon-
da modernit.
vero
che il
suo
obiettivo
principale
e
primario
non
fu la
metafisica,
bens
Yapologetica;
ma la sua
apologetica,
alla
stregua
dell'a-
pologetica
di
Pascal,
di
stampo squisitamente
filosoficoe
metafisico.
Con i suoi
contemporanei
(Boutroux, Dilthey)
Blondel condividel'in-
teresse
per
il
metodo; ma
il
suo interesse non dettato dalle
esigenze
di
una nuova scienza della natura
(Bergson)
o
della storia
(Dilthey),
bens
delle
esigenze
della metafisica
(della Trascendenza) e
dellapologetica
(della
rivelazione cristiana).
Cos il
problema metodologico
in Blondel
viene a
occupare
il
posto
di
quel prolegomeno epistemologico
che nella
metafisica moderna
aveva
preso
il
posto dellbntologia.
L'altro tratto che la ricerca del Blondel ha in
comune con tutta la
metafisica moderna
Vantropocentrismo.
La sua ricerca assume come
punto
di
partenza
non
la natura o
il
cosmo,
bens l'uomo. Scrive Blondel
nell'lntroduzionea L'Azione:
Questa
materia
preziosa
che debbo
espor-
re,
sono io,
ch
non
posso
fare la scienza
dell'uomo, senza
l'uomo.
IL METODO DELUIMMANENZA
Metodo delrmmanenza il
nome
che lo stesso Blondel ha scelto
per
designare
il
proprio
metodofil
Questo
un
metodo
introspettivo,
che scruta nelle
profondit
del mistero dell'uomo,
prendendo
in esame
non i suoi
prodotti
culturali, come
faceva
Dilthey,
bens il
suo
agire,
vale
a dire la
sua azione morale,
che un'azione libera
e
volontaria.
Qui
Blondel
scopre
uno
jatits
incolmabiletra ci che l'uomo
cerca
di
raggiun-
gere
e ci che di fatto di volta in volta ottiene.
Esiste, infatti, una
spro-
porzione
tra
l'opera
e
la
volont, tra il reale
e l'ideale, tra volont voluta
e
volont volente. Ma tale
sproporzione
non esclude una certa
adegua-
zione,
anche
se
questa
non
tarder
a
svelare il
proprio
carattere
provvi-
sorio e
parziale.
I
successi, infatti,
sembrano
non mancare:
prima
affer-
riamo
l'oggetto
nella
sensazione,
poi,
di fronte allnsufficienzadi
que-
sta,
ci
apriamo
alla
scienza,
poi
tentiamo la via della creativit
nell'arte,
nella
morale,
nella metafisica. Sembra cos che
l'oggetto pi
alto sia
stato
raggiunto, ma,
ancora una volta,
la
presenza
in noi del
bisogno
di
infinito ci mostra la caducit di tutti
questi
risultati. Di
qui
l'alternativa
2')
C- M.
BLONDEL,
Lettera sulla
esigenze
del
pensiero contemporaneo
in materia di
apolo-
gctica
(1896).
544 Parte terza
fondamentaledell'uomo:
o
egli
infinitizzaci che
relativo,
trasforman-
do le
sue realizzazioni caduche in
idoli, o si mantiene
aperto
alrinsazia-
bile
spinta
verso l'infinito.
Mantenere
aperto questo jatus, questa sproporzione
e analizzarla
proprio
ci che si
propone
il metodo dellmmanenza: In che
dunque
consister il metodo
dellimmanenza, se non nel mettere in
equazione
nella coscienza
stessa, quello
che sembriamo
pensare
e
volere
fare, con
ci che
facciamo,
vogliamo
e
pensiamo
realmente: in tal modo che nelle
negazioni
fittizie
o nei fatti artificialmentevoluti si ritroveranno
ancora
le affermazioni
profonde
e
i
bisogni
incoercibiliche essi
mplicanwnl
In tal
modo, muovendo dalla fedelt al
principio
dell'immanenza,
che Blondel ritiene caratteristico del
pensiero moderno,
si
scopre pro-
prio
all'interno della
vita,
il
suo
bisogno
d'essere trascesa. L'infinito
verso cui tendiamo
con insaziabiledesiderio altro
non se non
il
sopran-
naturale,
che si
presenta
come simultaneamente inaccessibile
(perch
nulla
quaggi
mai lo
pu adeguare)
e necessario
(perch
costituisce la
radice stessa di
ogni
forma di
agire).
L "AZIONE"
Il nucleo essenziale del
pensiero
di Blondel si trova tutto racchiuso
nel
suo
capolavoro,
L'Azione
(LActi0n).
Argomento
della ricerca e l'azio-
ne, pi precisamente
il
senso del nostro
agire:
Ha
o no un senso la vita
umana,
e l'uomo ha
una
destinazione?.23
Si tratta di
una ricerca ineludibile:Il
problema
inevitabile:l'uomo
lo risolve
inevitabilmente;e
questa
soluzione, esatta 0 errata,
volontaria
e necessaria a un
tempo, ognuno
la
cerca nelle
sue azioni. Ecco
perch
bisogna
studiare l'azione: il
significato
medesimo della
parola
e
la rC-
chezza del
suo contenuto si
dispiegheranno
a
poco
a
poco.
bene met-
tere dinanzi all'uomo tutte le
esigenze
della
vita, tutta la
pienezza
occul-
ta delle
sue
opere, per
rinfrancarein
lui,
insieme con la forza di afferma-
re
di
credere,
il
coraggio d'agire.24
L'opera
si
compone
di
cinque parti.
La
prima corrisponde
alla
quinta,
la seconda alla
quarta.
La
prima
si
occupa
del "dilettantismo"del
tipo
di
Renan
e Barrs,
il
quale
esecra e
dichiara insensata
ogni
azione rsoluta
e,
in
particolare,
la
pratica religiosa,
mentre la
quinta parte,
con movi-
mento
inverso,
dimostra la seriet della
pratica religiosa
e mette in luce
Findispensabilit
dell'azione decisiva
per
l'ottenimento della
vera cono-
scenza
dell'essere. Nell'ambito di
un
secondo
piano problematico,
la
22)
Ibia.
33) L'Acti0n,
Paris
1893,
p.
7 (dell'edizionefotostatica).
24) 11nd,
pp.
7-8.
Le
filosofie
della vita
e dell'azione
545
seconda
parte
discute del nichilismodi ascendenza
schopenhaueriana,
che fa del Nulla il fine di
ogni
azione
(un
fine che da
raggiungere
con
Yautodistruzioneascetica della
volont), e, inversamente,
la
quarta
parte
si basa sulla
impossibilit
di tale soluzione
nichilistica,
per
mostra-
re
che nell'azione si trova lunico
necessario",
al
cospetto
del
quale
anche il
sacrificiodi s diviene l'unica via al
possesso
di s. La
terza,
che
e la
parte
Centrale
dell'opera,
dedicata allo studio del fenomeno del-
l'azione.
Le
parti pi
interessanti di L'Azione
sono
la terza e
la
quarta,
delle
quali
diamo
qui
un breve resoconto.
Nella terza
parte,
che di
gran lunga
la
pi
estesa
(pp. 43-323),
mediante un'accurataanalisi di tutte le forme
dell'agire umano,
sia indi-
viduale che
sociale, Blondel fa vedere che
nessuna di
esse in
grado
di
esaurire il volere
profondo
dell'uomo. La conclusione si
impone:

impossibile
non riconoscere
l'inadeguatezza
di tutto l'ordine naturale
e
non
percepire
alcun
bisognoulteriore;

impossibile
trovare in se stessi il
modo di soddisfare
a
questo bisogno religioso.
E necessario e non
possi-
bile:
ecco,
nuda
e cruda,
la conclusione del determinismo dell'azione.25
Qui
viene chiaramente alla luce lo
jatus
incolmabiletra
l'esigenza
di infi-
nito
dell'impulso
della volont
(la volonta
voulante) e
la
sua determina-
zione tramite
Qualcosa (la volont
voulue):
C' solo
una conclusione che ci
importuna
immancabilmentesul
nome del necessario
sviluppo
dell'azione. Ed
essa in tutta la
sua
brutalit, senza nulla
aggiungere
e nulla
togliere
-: nel
suo
agire
volontario l'uomo al di l del mondo dei
fenomeni; non riesce a far
pari
con le
proprie esigenze; porta
in s
pi
di
quanto egli
stesso
possa
utilizzare; non riesce,
partendo
dalle
sue forze, a realizzare
Lmazione liberache abbracci tutto
quello
che
contenuto nel
princi-
pio
della sua azionevolontaria>>26
Nella
quarta parte
Blondel
Cerca la
risposta agli interrogativi
sollevati
nella terza.
Poich il
Qualcosa
in
tutte le forme in cui entra in
gioco
sfruttato
come
oggetto possibile
ma insufficiente della
volont,
quest'ultima
ap-
pare
nuovamente
gettata
nella decisione fondamentale
tra il Nulla
e il
Qualcosa della seconda
parte
de L'Acti0n. La
parte
che
segue,
la
quarta,
si riallaccia
effettivamente
a
questa
decisione
fondamentale; tuttavia,
gi
il
suo titolo, L'essere necessario
dell'azione, indica che la ricerca si
svolge
ora su un nuovo
piano.
Entrambe le
possibilit
di decisione
sono
ora chiuse: sia che la volont si
getti
nel
Nulla, sia che
essa trovi in
un
25) lbicL,
p.
319.
3t) lbiii,
p.
321.
546 Parte terza
Qualcosa
la sua
realizzazione. Con ci, non
soltanto i
singoli
contenuti
della Volont
appaiono
contraddittori, ma
la volont stessa, e
noi non
siamo
pi posti semplicemente
dinanzi ad antinomie teoriche,
gi
risol-
te nella
pratica,
ma
dinanzi a una "antibola, a un
conflittonon
risolvi-
bilenella dinamica della volont stessa.
Gli
antipoli
della alternativa,
che
possono
essere
considerati insieme nella
conoscenza,
si escludono
reciprocamente
nella realt; poich
ora non si tratta
pi
di ci che
appa-
re,
ma
di ci che e>>.27 Cos,
questa
antibolia
appare
innanzi tutto come
conflitto
tra due enunciati
fondamentali
riguardo
alla volont,
entrambi
necessari ma inconciliabili,
per
poi
risolversi in una
alternativa tra due
atteggiamenti
fondamentali
della volont che si escludono in modo
assoluto. Tra il
conflitto
e
l'alternativa c', a
fare da mediatrice,
la cono-
scenza
dell'Unico Necessario",
la
cooperazione
di Dio a
fondamento
dellazione.
Un
conflitto
sussiste tra i due enunciati
ugualmente
ineludibili
per
cui
la volont tanto
irrealizzabile
quartto
indistruttibileflfiPer
quanto
con-
cerne
Pirrealizzabilitdella volont,
Blondel rinvia non
soltanto alle
analisi condotte fin
qui,
ma
raggruppa
le contraddizioni
interne in cui si
imbatte la volont in tre enunciati fondamentali: lo
voglio,
ma non
ho
voluto Volere?
io non
posso
mai realizzare ci che veramente
voglio:
un'incapacit
che trova la sua
espressione
nel
dolore; e non
posso nep-
pure
rendere non avvenuto o
anche cambiare ci che ho fatto
per
mia
libera volont. Il mio volere sembra
perci
venire smentito su tutta la
linea.
Questa
considerazione si
oppone
per
all'altra
per
cui la Volont
continua a
imporsi
su
tutta la linea. Anche
per
questo
ultimo
punto
Blondel rimanda non
solo alla
innegabilit
della volont,
gi
dimostrata

nella
prima
e
seconda
parte,
ma
introduce tre nuove
considerazioni:
lo
stesso stabilire
che la mia volont viene
apparentemente
smentita
risulta
soltanto sullo sfondo di una
volont che rifiuta di fallire;
il
Qualcosa
che
la volont non
riesce ad
appagare
non
ricade tuttavia nel nulla,
indica
piuttosto
qualcosa
oltre da
s, perch
anche il desiderio insoddisfatto
resta desiderio, esso
vuole se stesso.
L dove
ogni
volont voluta
cozza
contro i suoi limiti,
la "Volont fondamentale" viene tanto
pi
chiaramente
alla luce nella sua
ineliminabilit.Ci che abbiamodell'es-
sere
ci
imposto;
al
tempo
stesso non
possiamo
fare a meno
di
appro-
priarcene
come
per
libero
impulso.30
27) lbid,
p.
323,
nota.
33)
I sottotitoli dei due "momenti del conflitto
parlano
di
palese
fallimento dell'a-
gire
voluto e
di indistruttibilit
dell'agire
volontario (LAction,
pp.
323 e 333).
29) L'Acti0n,
p.
326.
3) lbiat,
p.
333.
Le
filosofie
della vita
e dell'azione
547
Questo conflitto
non risolvibile
teoricamente; esso conduce tuttavia
alla
scoperta
che al fondo della mia volont si trova una realt che
pi
di
me stesso. Blondel la definisce
con
un'espressione
cristiana alla
quale
attribuisce
un
significato filosofico, lUnic0 Necessario
(Ftmiquc
amica.-
saire).
la
presenza
attiva di Dio nel mio
agire
che Blondel mette in luce
in
una nuova
interpretazione
delle
prove
classiche dell'esistenza di Dio
(nella loro
versione
kantiana). Le
prove
dell'esistenza di Dio
non sono
per
Bionde]
ragionamenti
teorici in s conclusi
e
indipendenti
l'uno dal-
l'altro, esse
rappresentano piuttosto Yintrecciato,
progressivo
rendersi
visibiledi ci che in modo recondito
sempre all'opera
nel mio
agire
e
viene cos
sperimentato.
Esse articolano cos
lindicare-qualcosa-oltrewda-
s dell'azione
umana. Le
prove
dell'esistenza di Dio di Blondel
sono col-
legate
a un'analisi del Nulla che Blondel stesso definisce
come rinnovato
argomento ontologico?
il Nulla
pu
essere
pensato
solo
come
negazione
di
qualcosa;
il
non-qualcosa
ci che
non
pu
essere
pensato
al di
sopra
di
ogni qualcosa. Questa
teologia negativa
mantiene
un contenuto
positi-
vo
nell'argomento cosmologico,
che, dall'essere relativo
e
dalla relativa
necessit del
Qualcosa,
dei
fenomeni,
che
non sono nulla
e che
non si
lasciano
annientare,
conclude l'assoluta necessit dell'Unico
Necessario.
La
sua natura viene infine determinata
pi
da vicino attraverso
l'argo-
mento
teleologico,
che dalla
puntuale
e mai determinabileidentit di
idealit
e realt nel
nostro
agire
conclude la loro assoluta identit in Dio.
Nella nostra
conoscenza e azione
permane
una costante
discrepanza
tra
oggetto
e
pensiero,
opera
e Volont. La reale attuazione
supera
con-
tinuamente l'ideale
prefissato,
mentre un ideale che
sorge sempre
di
nuovo
supera
la realt
raggiunta.
A turno il
pensiero
sorpassa
l'azione
e
l'azioneil
pensiero,
di
conseguenza
ideale
e realt devono
essere una
sola
cosa; poich questa
unit ci data
veramente, ma soltanto
per
sfuggirci
continuamente... Non da noi stessi traiamo
dunque
la luce
per
il
nostro
pensiero
e la forza
per
le nostre azioni. Una
capacit
che
si cela al fondo della nostra
anima, una verit che
pi
interiore in noi
della nostra stessa
conoscenza,
una
energia
che in
ogni
momento della
nostra evoluzioneci dona la necessaria
forza, libert
e chiarezza:
tutto
ci in noi
senza
provenire
da noi.
Questo mistero ci si
impone
nella
sua realt soltanto
perch scopriamo
in
esso una
forza
e una
saggezza
infinitamente
pi grandi
di noi stessi?
Con ci stato
approntato
un concetto
positivo
della
perfezione
per
una
seconda,
positiva
forma della
prova
dell'esistenza di Dio: lUnic0
Necessario
non
pu
essere
pensato
in altro modo che
come
perfetta
31) Cf.
ibid,
p
341. Un commento alle
prove
dell'esistenza di Dio di Blondel offer-
to da
I.
C.
DHOTEL, Actiun et
dialcctique.
Les
preuves
de Dieu dans IJ/lction de
1893, in ArPh 26
(1963),
pp.
5-26.
33) L'Action,
pp.
344 s.
548 Parte terza
identit di
essere,
conoscere e
agire,
un
soggetto
in cui tutto
sogget-
to>>,33
cio il Dio
personalefi-r
Con
questa scoperta
della realt di Dio al fondo di
ogni
azione,
la
Volont si vede
posta
di fronte a una
alternativa. O
perseverare
nella sua
autonomiae
autarchia e
chiudersi cos la
possibilit
di arrivare alla
per-
fezione,
oppure
essa,
rinunciandoall'autonomiae
allautarchia,
si man-
terr
aperta
a
ricevere in dono da Dio la
perfezione
che da
parte
sua

irraggiungibile.
Blondel riveste
questa
alternativa
della formula
agosti-
niana amore
di se fino al
disprezzo
di Dio, amore
di Dio fino al
disprezzo
di se e
aggiunge
subito
dopo:
Ci non significa
che
questo
tragico
conflittosi manifesti a
tutti
gli
uomini con
tanta
violenza ed evi-
denza. Ma se
il
pensiero
che
possibile
fare
qualcosa
della vita
sorge
in
ogni
uomo, questo

gi
abbastanza
per
esortare
anche i
pi
esitanti ad
assolvere il
compito pi grande,
dell'Unico Necessario.35
Ma
per
ricevere il dono di Dio occorrono
certe
disposizioni
interiori. A
queste
disposizioni
Blondel, come Pascal,
annette una
importanza
estre-
ma: 1)
che l'uomo faccia tutto ci che ritiene buono,
tutto ci che ritiene
conforme alla sua
coscienza. 2)
Se il distacco sta alla base dell'azione
buona, non sorprende
che la Vita morale sia
accompagnata
dal sacrificioe
dalla rinuncia. La misura del cuore
dell'uomo data dalla
capacit
di
accogliere
1a sofferenza. 3) Agire
con
abnegazione,
accettare
la sofferenza
non
basta.
Dopo
avere
fatto tutto senza
nulla
aspettarsi
da Dio,
neces-
sario
aspettarsi
tutto
da
Dio, come se
noi non
avessimo fatto njente>>fi6
La conclusione
di
questa
profonda
riflessionedi Blondel sul carattere
dell'agire
umano
si
pu
formulare cos: ci che
emerge
dallo studio del-
l'azione umana
l'idea
generica
di un Assoluto,
che
ogni uomo,
anche
senza conoscere
il cristianesimo,
oscuramente vuole, ma
che non
si
acquista
come una cosa.
In altri termini si tratta dell'idea dell'uniconeces-
sario che non
si ottiene se non
abbandonandosi
ad
esso;
si tratta
dell'i-
dea dell'azionedivina cui ci si deve
aprire, qualunque
sia la forma sotto
la
quale
essa
si
presenta.
A conclusione
dell'opera
Blondel scrive. L'in-
tera
questione
sta tutta in
questo
conflittonecessario
che
sorge
nel cuore
della volont umana e
le
impone
di
optare
praticamente
tra i termini di
una
alternativa inevitabile,
di una
alternativa
per
cui l'uomo o cerca
di
restare
padrone
di
se stesso e
di conservarsi
integro,
o
si abbandona alla
volont divina
pi
o meno
oscuramente
rivelata alla sua
coscienza?
33) Ibid,
p.
359.
34) Cf.
ibizi.,p.350.
35) 15:11.,
p.
355.
se) 11nd,,
p.
385.
37) 122111.,
p.
487.
Lefilosqfie
della vita e
dell'azione
549
APOLOGETICA o METAFISICA?
Scienza della
prassi
il sottotitolo che lo stesso Blondel ha dato
a
L'Acti0n. Pertanto Ci che
egli presenta
in
questa opera
non
soltanto
una
fenomenologiadell'agire umano,
ma una vera e
propria
scienza,
che
intende chiarire le
ragioni profonde,
ultime di tale
agire.
Ci che costitui-
sce
la forza della dialettica di Blondel che
essa non costruisce un
ideale
che
possa fungere
da termine dell'azione
umana. La tensione all'infinito
del volere
non il
punto
di
partenza
della
sua ricerca, ma
il
suo
punto
di
arrivo. Blondel
non
confronta le diverse
tappe
dell'azione
con
l'ampiez-
za,
data
per supposta,
del
volere;
al
contrario,
e l'evolversi inesorabile
dell'azione
umana
che rivela in modo
progressivo l'ampiezza
del dina-
mismo
spirituale
da cui il volere
segretamente
animato
dall'origine.
Ogni
volta si rivela
una
inadeguatezza,
una
discordanza tra la volont
volente
e
la volont voluta. Ma tale discordanza
suppone
a monte un
Sommo
Bene,
che mentre
per
un
verso,
con la
sua ineffabile
segreta pre-
senza
d
luogo
al conflitto tra volont volente
e
volont
voluta,
per
un
altro
verso,
sostiene la
spinta
della Volont volente
verso
il
traguardo
del
Sommo Bene stesso.
La filosofia di Blondel
non una
semplice apologetica
del cristianesi-
mo,
n una
semplice
filosofiadella
religione:
essa in Verit una
"apolo-
getica
filosofica",
che
svolge
esattamente le stesse funzioni
e
segue gli
stessi
procedimenti
della metafisica.
Quella
di Blondel essenzialmente
una ricerca intorno alla seconda
navigazione,
della
quale egli
mette in luce
l'assoluta necessit. Contro l'h0m0 ludens dei "libertini"
e
dei
"dilettanti",
che
amano stare rinchiusi nella
caverna,
Blondel mostra la necessit di
abbandonare
questa
tenebrosa
prigione
e
di
sospingere
la
propria
navi-
cella
verso
l'Unico
Necessario,
anche
se
il
raggiungimento
del
porto
dell'Unico Necessario risulta
impossibile
senza i venti favorevoli della
divinabont.
La scienza della
prassi
di Blondel una
metafisica della
prassi
che
presenta
molte
analogie
con la metafisica della
prassi
di Kant. In
en-
trambe, l'analisi
dell'agire
umano conduce al
postulato
della esistenza
di Dio. Ma, alla base delle loro metafisiche c' un concetto diametral-
mente
opposto
dell'uomo
e
quindi
del ruolo svolto da Dio in relazione
all'uomo. Kant vede l'uomo
come
autosufficiente
e autonomoe
fa inter-
venire il buon Dio come
sapiente reggitore
dell'ordine dell'universo.
Blondel, invece,
fa
emergere
l'assoluta
indigenza dell'uomo,
indigenza
che
riguarda
non solo il
suo essere ma anche il
suo
agire,
in
particolare
il
suo
agire morale, e cos Dio viene incontro all'uomo
per
aiutarlo nel
compimento
del bene
e nel
raggiungimento
della felicit.
550 Parte terza
Non credo che si
possa
mettere in dubbio la sostanziale bont dei
risultati della metafisicablondelliana
per quanto
attienela necessit del-
lUnico Necessario
e,
allo stesso
tempo, l'incapacit
dell'uomo a
rag-
giungerlo.
Questa
una tesi classica non
solo
dewagostinsmo
ma
di
tutti i filosofi cristiani. Ed inoltre in
perfetta
sintonia con
la tesi
paralle-
la che
riguarda
la conoscibilitdi Dio. Di lui
l'intelligenza
umana non
pu
elaborare concetti
positivi
ma
semplicemente negativi.
Anche
que-
sta non una tesi
specifica dellagostinismo,
ma condivisa da tutti i
metafisici cristiani .3?!
33) Dell'impotenza
della
ragione
nei confronti della conoscenza
di Dio e della
necessit della rivelazioneBlondel si
occupato ampiamente
in La
pense
(1934).
Sul carattere essenzialmentecristiano della metafisica di Blondel si veda l'ottimo
studio di C. TRESMONTANT,
Introduction la
mtaphysique
de
Blondel,
Paris 1963. In
una delle
pagine
conclusive del suo
saggio,
l'autore scrive: Par ses
thses con-
stitutives la
mtaphysique
de Bionde] est foncirement chrtienne;
elle est chr-
tienne
par
structure,
dest--dire
que
les thses
mtaphysiques qui
la dfinissent
et la Caractrisent sont
congnitalement
ouvertes au
christianisme et
compati-
bles avec
lui
(Quanto
alle sue
tesi costitutive la metafisica di Blondel e
profonda
mente cristiana; essa cristiana
quanto
alla
struttura,
cio le tesi metafisiche che
la definiscono e la caratterizzano sono
di loro natura
aperte
al cristianesimo e
compatibili
con esso) (p.
315).
Le
filosofie
della vita
e dell'azione
551
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554
ILRITORNOA HEGEL
Un momento
importante
della filosofiadel
primo
Novecento
quello
segnato
dal ritorno di
l-Iegel.
Questo
ritorno stato favorito da varie
ragioni,
in
particolare
dal crollo del
positivismo,
dallo
sviluppo
delle
scienze dello
spirito
e
dal
grande
interesse
per
la storia. Ora,
quale
altro
filosofoera
riuscito a
far
meglio
di
Hegel nellbperare
una
profonda
uni-
ficazionetra scienze dello
spirito
e storia,
facendodi
questa
il
grande pal-
coscenico su cui lo
Spirito
continua a
dare
spettacolo?
Il ritorno a
Hegel
oltre che dalla crisi del
positivismo
e dello scienti-
smo era
dettato dal
proposito
di
opporsi
alla frammentazionedella filo-
sofia nei
molteplici
rivoli delle filosofiedella
vita, dell'azione,
dei valori
ecc. e
di ridare unit al
sapere
filosofico, ricuperando
il
primato
della
ragione
teoretica sulla
ragion pratica.
Ora, a
quesflansia
di
ricuperare
il
molteplice,
frantumato nei vari
primati"
dell'immediato, a un'unit da
concepirsi
come assoluta,
Hegel
era
in
grado
di dare
una
risposta pi
adeguata
di Kant.
Hegel,
infatti,
offriva una
via
gi
tutta
precostituita
da
ricalcarsi con
relativa facilit,
pi
di
quanto
Yoffrisse il
kantismo,
proble-
maticamentee
tematicamentediviso tra fenomenoe noumeno;
risalire a
Hegel significava
tuttavia
anche il modo
pi
saldo
per
ancorarsi all'u-
nit trascendentale del
soggetto
kantiano considerato
quale principio
e
forma del
sapere
e
quale giustificazione
assoluta della restituzione o
della rinascita della filosofiaa se stessa.
In tal
modo,
il neoidealismo
svolge
una
funzione storica, che,
da un lato,
pu
essere
detta di reazione allo
spirito positivistico
nato
dalle sedimenta-
zioni e
dalle elaborazioni dello scientismo illuministico,
che Kant
stesso aveva favorito; e,
insieme,
di
opposizione
alla concezione
pes-
simistica che,
dallo
Schopenhauer
in
poi,
traduceva la distinzione tra
fenomeno e noumeno
in
esplicita
e
irresolubilitteoretica di
ogni pro-
blematica
possibile.
N
spirito
scientistico,
n
pessimismo
sembra
essere
il motto del neoidealismo;
bens fiducia nella
possibilit
del
pensiero
di
superare
tutti
gli aspetti problematici
della realt e
dell'e-
sperienza.
Questa
fiducia
riposa
sulla considerazione del carattere
intimamente
contingente
di
ogni opposizione;
la stessa attivit
capace
di riconoscere
il
contingente
come
tale anche in
grado
di
superare
tutte le
opposizioni
problematiche
che la
contingenza
offre;
cos che si
rivela il
presupposto
di una
siffatta dialettica nellhffermazione,
pret-
tamente
idealisticadel carattere
universale del
giudizioml
l)
M. A. RASCHINI,
Uidealisrna
anglo-americano,francese
e italiano,
in Lmnde
enciclope-
dia
filosqfica, p.
558.
Il ritomo
a
Hegel
555
La
suggestione hegeliana

suggestione speculativa

oper
sul neoi-
dealismo
con massiccia
influenza, anche
grazie
al fatto che
essa
suggeri-
va un metodo
e una soluzione
insieme,
per
affrontare tematiche che la
crisi della filosofia
non riconosceva
pi
come attuali,
quando
addirittu-
ra come non valide; o
opponeva
una situazione di rifiuto alla funzione
stessa della filosofia di fronte al
premere
delle condizioni storiche
e dei
bisogni
che
queste
suscitavano.
Alla storia della metafisica il ritorno
a
Hegel
ha ben
poco
da
aggiun-
gere,
anche
e
soprattutto perch
la storicizzazionedell'Assoluto
operata
da
Hegel
non concede
nessuno
spazio
alla
metafisica,
anzi Yantitesi
della metafisica stessa. Da
Hegel
tutto viene
imprigionato
dentro la
clausura del
tempo,
e
il
tempo
conosce una sola
direzione,
quella
della
sua inesorabile
progressione.
La
progressione
del
tempo
viene fatta
poi
coincidere
con
la
progressione
dello
Spirito,
della
Coscienza,
della Ra-
gione, delYIdea; ma si tratta dello
Spirito
della
Coscienza, della
Ragione,
dellIdea che
albergano
nell'uomo. Nella filosofia
hegeliana
tutto viene
assorbito dalla
e nella
soggettivit,
e
la filosofiastessa non altro che la
storia della
soggettivit. Ovviamente, in siffatta concezione della realt
non c
posto
per
la seconda
navigazione.
La storia tutto
e, quindi,
la
navigazione
ha
luogo
unicamentenel
mare
della storia.
Perci, bench il ritorno
a
Hegel rappresenti
una
pagina importante
della filosofiadel
Novecento, noi
qui
ne
parleremo succintamente,
pro-
prio
per
la
sua scarsa rilevanza
per
la storia della metafisica.
Il ritorno
a
I-legel
stato un fenomeno di
vaste
proporzioni
che ha
coinvolto molte
nazioni,
specialmente
la Francia
(con
j. Lachelier,
F.
Ravaisson, O.
Hamelin,
L.
Brunschvicg),
i
paesi anglosassoni (con
E.
Caird, F. H.
Bradley,
F. E.
McTaggart,
R. C.
Collingwood,
R. W.
Emerson, I.
Royce,
W. E.
Hocking)
e Yltalia
(con
B.
Spaventa,
R.
Varisco,
P.
Martinetti,
P.
Carabellese, Benedetto Croce
e G.
Gentile).
Noi
qui
ci limiteremo
a una breve
esposizione
del
pensiero
di Croce
e
Gentile che del neoidealismo furono
gli esponenti pi rappresentativi
non solo in
Italia, ma a livello mondiale.
Benedetto Croce
VITA
E OPERE
Benedetto Croce
nacque
a Pescasseroli il 25 febbraio 1866. Fu educato
a
Napoli
presso
i
Barnabiti;
perduti
i
genitori
e la sorella nel terremoto
di
Casamicciola, Visse
quasi
sempre
a Roma
presso
lo zio Silvio
Spaventa.
Per
un
paio
d'anni
segu
corsi di
giurisprudenza e
di filosofia
morale all'universit di
Napoli.
Ma
poi
abbandon
gli
studi
accademici,
non avendo necessit di dedicarsi
all'insegnamento,
anche
per lingente
556 Parte terza
patrimonio
che
gli
consentiva di consacrarsi esclusivamente allo studio di
quelle discipline per
le
quali
si sentiva
pi portato,
come
la filosofia,
l'e-
stetica,
la storia e
la letteratura. L'interesse
per
la filosofia
gli nacque
sia
dalla lettura di
Vico,
sia dalla
conoscenza,
maturatasi
poi
in amicizia, con
Giovanni Gentile,
che ebbe come
collaboratore
per
un
ventennio alla Cri-
tica,
da lui fondata. In
seguito, per,
i
rapporti
tra i due
maggiori espo-
nenti della nostra filosofiasi fecero tesi,
sia
per
motivi teoretici
special-
mente i
discepoli
di Gentilefacevano
oggetto
di critica le
posizioni
filoso-
fiche di Croce
,
sia
per
motivi
politici;
il
Croce,
che dal 1910 era
Senatore
e
che
partecip
al
governo
del 1920-2],
appoggi
la Riforma Gentile, ma
si
pu
dire che
questo
fu l'ultimo atto manifesto della
reciproca
stima e
amicizia.
Dopo
il 1924 si ebbe la rottura tra i due,
seguita
da
polemiche
durate
per
anni;
il consolidarsi del
regime
fascista trov Croce,
prima
consenziente,
in
aperta opposizione;
il
regime,
del
resto, gli
consent vita
tranquilla
e una
certa libert di
critica,
che indubbiamente
giov
al
regi-
me stesso, e
allo stesso
tempo
serv ad alimentarela fama di Croce.
Intanto nel 1917 Croce aveva
portato
a termine la
sua
opera
principa-
le,
La
Filosofia
dello
spirito,
che si articola in
quattro parti:
Estetica come
scienza dell
espressione
e
linguistica generale; Logica
come
scienza del concetto
puro;
Filosofia
della
pratica:
economia ed etica;
Teoria e
storia della
storiografia.
Durante il
fascismo,
ritiratosi dalla vita
politica, pot
dedicarsi esclu-
sivamente alla ricerca storica e
filosofica. Fu il
periodo pi
fecondo della
sua
vita:
pubblic
numerose
opere, per
lo
pi
dedicate a una
pi profon-
da elaborazione della dottrina della storia: La storia come
pensiero
e come
azione (1938); Filosofia
e
storiografia
(1949); Storiografia
e
irlealita morale
(1950).
Continu a
interessarsi anche di estetica: del resto
gi
nel 1913
aveva
pubblicato
il famosissimo Breviario di estetica. Nel 1920
pubblic
i
Nuovi
saggi
di estetica e
nel 1935
gli
Ultimi
saggi.
Nel 1948 fu eletto senatore a
vita. Mor a
Napoli
il 20 novembre1952.
LA FILOSOFIADELLO SPIRITO
ln uno
dei
primi
numeri de La critica Croce dichiarava essere sua
ferma convinzioneche la filosofianon
potesse progredire
se non
riattac-
candosi in
qualche
modo allo
Hegel, perch Hegel
era stato l'ultimo e
insieme il
principale rappresentante
del movimento idealistico
seguito
alla critica kantiana la
quale
aveva
bens
acquistato
l'idea della sintesi a
priori,
ma aveva
lasciato il
capiti
morluum
della
ragion pratica,
fonda-
mento
di affermazioni teoretiche.
7-)
Cf. La critica, n. 2,
p.
262.
Il ritorno a
Hegel
557
Risalire
perci
a
Hegel,
inteso come correttore del
pensiero
di
Kant,
ma
risalirvi tenendo
presente
Yincessante
progresso
e
sviluppo
dello
spirito
umano:
ecco,
in
poche parole,
il
programma
che Croce si
propose
di
svolgere
con la sua attivit.
Hegel,
come
sappiamo,
aveva
insegnato
che l'idea
(il
pensiero,
la
ragione,
lo
spirito)
costituisce l'essenza della realt e
che
questa
non
altro che il
complesso
dei momenti del divenire dell'idea.
Questa, infatti,
per
prendere piena
coscienza di se ha
bisogno prima
di
alienarsi,
di
costituirsi come
oggetto
e, poi,
di
recuperarsi
nella sua
originaria
iden-
tit. Le fasi conclusive in cui l'idea
prende piena
coscienza di se stessa
sono l'arte,
la
religione
e
la
filosofia;
nell'arte
prende
coscienza sotto
forma di
rappresentazione
sensibile,
nella
religione
sotto forma di
un
oggetto separato
dalla sua
essenziale relazione col
soggetto,
nella filoso-
fia sotto forma di
sapere
assoluto.
Della filosofia
hegeliana
Croce
accoglie
la tesi che la realt essenzial-
mente
spirito
e
che
questo
in
perpetuo
divenire, ma
respinge
la metafi-
sica
hegeliana
dell'idea: sia le tre fasi del suo divenire (idea
in
se,
idea
extra
se,
e idea in se e
per
se) sia i tre momenti finali del ritorno all'idea
(arte,
religione
e filosofia).
Secondo
Croce,
questa
visione
cuspidale
dello
spirito
rimane
troppo
contaminata e
viziata dal vecchiume
teologico
accademico della metafisica tradizionale. Al
posto
della visione
cuspi-
dale
egli
ne
propone
una circolare,
in cui arte e
religione
non sono
momenti
preparatori
della
filosofia,ma attivit dello
spirito
coesistenti in
qualsiasi
momento del suo
sviluppo
e
in
rapporto
di
reciproco
influsso.
Pertanto i
punti
essenziali della dottrina crociana dello
spirito
sono
i
seguenti.
Lo
spirito,
nella ricerca della sua
piena
autocoscienza,
esercita
quattro
attivit: estetica,
logica,
economica ed etica. Le
prime
due
sono
attivit
teoretiche
(conoscitive),
le altre due sono
attivit
pratiche
(cio
riguarda-
no
la
volont).
Le attivit estetica ed economica hanno
per oggetto
l'individuale;
le
attivit
logica
ed etica hanno
per oggetto
Funiversale.
La
legge
che
regola
le
singole
attivit dello
spirito
e la dialettica
degli
opposti,
la
quale
si
sviluppa
come
segue:
nellestetica i termini della dia-
lettica sono
il bello e il
brutto;
nella
logica,
il vero e il falso;
nell'econo-
mia,
Yutilee il
dannoso; nell'etica,
il benee
il male.
Il
rapporto
fra le varie attivit
regolato
dal
principio
del nesso dei
distinti, Con
questo principio
Croce vuol
significare
anzitutto che cia-
scuna delle
quattro
attivit irriducibile
e
originaria. Ogni
attivit ha
un
suo
proprio
valore in
quanto

espressione primaria
e inconfondibile
dello
spirito.
Ma con la
legge
del nesso
egli
vuole
soprattutto
dare
espressione
al fatto che le
attivit,
pur
essendo
distinte, non sono
sepa-
rate n
opposte:
fra di loro esiste un nesso
di
implicazionereciproca, per
558 Parte terza
cui l'estetica richiama la
logica,
l'etica e l'economia;
l'etica richiama l'e-
conomia,
la
logica
e l'estetica e cos via.
Nesso e distinzione non si
contrappongono
ma formano insieme l'u-
nit dello
spirito.
Il
rapporto
fra i diversi
gradi
chiamato circolarit
dello
spirito per significare
come i
gradi
si
implicano
e
presuppongono
a vicenda, senza annullarsi, come circoli
concentrici,
nei
quali ogni
punto suppone
tutti
gli
altri.
UESTETICA
Delle
quattro
attivit dello
spirito quella
che Croce ha analizzato
pi
acutamente ed
efficacemente,
studiandone tutti
gli aspetti
e a
pi ripre-
se,
e
quella
estetica.
Della
complessa
e ricca dottrina crociana intorno a
questo
tema noi ci
limiteremo a offrire una breve sintesi sui
punti seguenti:
definizione,
Valore
e autonomiadell'arte.
Croce definisce l'arte intuizione lirica del
particolare.
Da
questa
defini-
zione risulta che due
sono
gli
elementi essenziali dell'arte: intuizione
(conoscenza,
rappresentazione, immagine)
e liricit
(sentimento, stato
d'animo).
L'arte
, anzitutto, intuizione,
ossia contatto immediato con la realt.
L'arte
non
classifica
gli oggetti,
non
li
pronunzia
reali o
immaginari,
non
li definisce: li sente e
rappresenta.
Niente di
pi.
E,
perci,
in
quan-
to essa e
contiscenza non astratta ma
concreta,
e tale che
coglie
il reale
senza alterazioni
e falsificazioni,
l'arte
intuizione; e in
quanto
lo
porge
nella sua immediatezza, non
ancora, cio,
mediato e rischiarato dal
con-
cetto,
si deve dire intuizione
pura:
ecco larte.3
L'arte
poi
anche
sentimento,
liricit. Per essere artistica una intui-
zione deve avere carattere lirico.
L'immagine
estetica dev'essere
pertan-
to una sintesi di intuizionee sentimento.
In
questa
sintesi il sentimento costituisce l'elemento materialementre
l'immagine
costituisce
quello
formale. Sentimento e
immagine
sono
per-
ci un tutto inscindibile.L'arte
non materia
pi
forma, O
forma
pi
materia, come se
si trattasse di due elementi
precostituiti
che si
congiun-
gono
l'uno all'altro con
l'applicazione
meccanica della forma
o dell'in-
tuizione al sentimento: l'arte sintesi di materia e
forma.
Dell'arte si
pu
ripetere quanto
Kant diceva dei
giudizi
sintetici a
priori:
il sentimento
senza
l'immagine

cieco, e
l'immagine
senza
il sentimento vuota.
Senza
qualcosa
da intuire e da
esprimere
sarebbe mai il
poeta?
e
sareb-
be
poeta,
se
ripetesse
materialmente
quel qualche cosa,
senza
trasfor-
3)
B.
CROLE,
Nuovi
saggi
di
estetica, Laterza,
Bari 192D,
p.
28.
Il ritorno a
Hegel
559
marlo in intuizione
pura?
Nella
quale
intuizione
pura
C' e non C' la
materia; non
c' come materia
bruta,
c'e come materia formata,
ossia
come forma;
cosicch a
ragione
si dice che
(...)
materia e forma, contenu-
to e forma, in arte fanno tuttuno.4
Con la teoria dellintuizionelirica,
Croce risolve finalmenteil famoso
contrasto tra romanticismo,
che chiede all'arte
soprattutto
Peffusione
spontanea
e violenta
degli
affetti,
degli
amori e
degli
odi,
delle
angosce
e
delle
gioie,
che tende insomma a
far
prevalere
il sentimento e si accon-
tenta di
immagini Vaporose
e indeterminate, e classicismo,
che
ama l'ani-
mo
pacato,
il
disegno sapiente,
le
figure
studiate nel loro carattere e
pre-
cise nei loro contorni e tende verso
la
rappresentazione.
Nella dottrina
crociana del1intuizione lirica l'arte sintesi di tutti e
due
gli
elementi:
sentimento che si fatto tutto
rappresentazione.
Qui,
per, bisogna
stare attenti a non
interpretare questa
definizione
erroneamente. Infatti,
sebbene Croce
parlando
dell'arte
spesso
la chiami
rappresentazione,
non dobbiamo credere che
egli concepisce l'opera
d'arte come una
pura
e
semplice rappresentazione degli
stati d'animo
dell'artista.
Egli
afferma anzi
categoricamente
che
espressione
e
parola
(poetica)
non sono
gi
manifestazioni o
rispecchiamento
del sentire
(espressione
naturalistica) e nemmeno
rimodellamento del sentire
sopra
un concetto (falsa idealizzazione),ma
posizione
e
risoluzione di
un
pro
blema:
un
problema
che il
mero sentimento,
la Vita
immediata, non
risol-
ve e non
pone.
Quel
che vita e sentimento,
merce
l'espressione
artistica,
deve farsi
verit; e verit vuol dire
superamento
dellimmediatezzadella
vita nella mediazionedella
fantasia,
creazione di
un
fantasma che
quel
sentimento collocato nelle
sue relazioni,
quella
vita
particolare
collocata
nella vita
universale, e cosi innalzataa nuova vita non
pi passionale,
ma
teoretica, non
pi
finita, ma infinita. Il
sentimento,
la
volizione, l'azione,
per
nobiliche ne
siano le
scaturigini
e
la
foce, assumono
sempre
la forma
della
particolarit, o,
come si dice,
della
passione, e,
in
quanto
tali, sono
senza verit: e verit
acquistano
solo col farsi
problemi
di visione artisti-
ca,
i
quali problemi
si risolvono con mentali
costruzioni,
che
sono
per
l'appunto
i fantasmi estetici. La conclusione
patente:
Come
posizione
e risoluzionedei
problemi
(fantastici o estetici),
l'arte mm
riproduce
alcun-
ch di
esistente, ma
produce
sempre
alcunch di
nuovo,
forma
una nuova
situazione
spirituale
e
perci
non mutazionema creazione.5
Oltre
questa
definizione
originale
dell'arte,
nella dottrina estetica cro-
ciana troviamo interessanti affermazioni sul valore
e
sull'autonomia di
questa
attivit.
4) lbid,
Lafilosvfirt
della
spirito.
La
logica,
Laterza,
Bari
1928,
pp,
154-155.
5) 1D,, L'estetica,
p.
8.
560 Parte terza
Quanto
al suo valore,
Croce afferma
categoricamente
che
non
pu
essere
pratico
(n
pedagogico
n edonistico), e
neppure
intellettualistico
(l'arte non va intesa come un insieme di verit facili e
popolari,
una
semiscienza), ma teoretico,
conoscitivo.
L'arte,
secondo
Croce,
la manifestazione
pi semplice, pi primitiva
dello
spirito
teoretico.
C0ll'arte l'uomo si schiude alla vita teoretica in
una
ingenua
e mera-
vigliata contemplazione
della
realt, e in
quella contemplazione
si
sprofonda
e si
perde
tutto. E,
contemplando,
crea le
rappresentazioni
che
contempla,
e creando
esprime,
ed
esprimendo
crea: visione,
creazio-
ne
di Visione ed
espressione
di visione tutt'uno: l'attivit estetica>>fi
Quanto
all'autonomia
dell'arte,
Croce ne uno dei
pi
convinti as-
sertori; tesi,
questa,
che nel suo sistema
pienamente giustificata,
dato
che l'attivit estetica una delle
quattro
fondamentali attivit dello
spi-
rito, nessuna delle
quali
riducibilealle altre.
L'arte
autonoma; non
quindi soggetta
n alla
filosofia,
n alla
morale,
n alla
pratica.
L'arte come arte e
amorale,
cio al di
qua
del
benee del male.
L'arte,
per
avere carattere d'arte,
per
essere vera arte,
deve
essere vera
espressione. Espressione
di che? Che volete che
espri-
ma l'artista se non le sue
impressioni,
i sentimenti che
prova?.7
Per fare
vera arte
bisognaesprimere
ci che si ha in s: chi lo
esprime
bene un artista. Ma l'uomo
e
l'artista sono
due
cose
distinte. Per essere
artista basta
esprimere
bene i
propri
sentimenti, mentre l'uomo deve
essere
anche
economico,
morale e
logico.
Quindi,
pur
non essendo
sog-
getto
alla morale come artista,
l'artista
soggetto
alla morale come
uomo. Se l'arte al di l della
morale, non n di
qua,
n di
l, ma sotto
l'impero
di lei l'artista in
quanto
uomo,
che ai doveri dell'uomo non
pu
sottrarsi, e
l'arte stessa - l'arte che
non e non sar mai la morale - deve
considerare
come una missione,
esercitare come un
sacerdoziow
Lo STORICISMO
L'elementounificatoredelle
quattro
attivit dello
spirito,
secondo Cro-
ce,
la
filosofia,
per
non la filosofia trascendentale
(che
oltrepassa
i
fatti)
bens la
filosofia-storia,
che
egli
chiama anche
semplicemente
sto-
ria":
Quella
che ha
preso
il
posto
della filosofiatrascendentalenon

pi
filosofia, ma storia, o,
che viene a dire il
medesimo,
filosofia in
quanto
storia e storia in
quanto
filosofia:la filosofia-storia,
che ha
per
suo
princi-
pio
Yidentit universale
e
individualed'intelletto
e dntuizione, e
dichia-
6) Ibid.
7)
B.
CROCE,
Breviario di
estetica, Laterza,
Bari
1933,
p.
49.
3) lbfd,
p.
33.
Il ritorno a
Hcgcl
561
ra arbitrarioe
illegittimo ogni
distacco dei due
elementi,
i
quali
real-
mente sono uno solo)?
Questa
identificazionedella filosofia con
la storia una
peculiarit
introdotta nel
pensiero contemporaneo
dall'idealismo.
Prima,
in tutta la
filosofia
antica,
medievalee moderna,
sapere
storico e
sapere
filosofico
erano stati
sempre
mantenuti distinti: al
primo
era
affidato lo studio
della realt
contingente, temporale;
al secondo
quello
della realt asso-
luta,
intemporale.
I due
saperi vengono
invece fatti coincidere da
I-legel
in
seguito
alla
sua
identificazionedella realt storica con
la realt assoluta.
La tesi
hegeliana

ripresa
e
perfezionata
da Croce in molte sue
opere,
in
particolare
in La storia come
pensiero
e come azione. In
quest'opera egli
giustifica
l'identificazionedi tutto il
sapere
con il
sapere
storico median-
te il
seguente argomento:
Il
giudizio
storico non
gi
un ordine di
conoscenze,
ma la
cono-
scenza senz'altro,
la forma che tutto
riempie
ed esaurisce il
campo
conoscitivo, non lasciando
posto per
altro. In effetti
ogni
concreto
conoscere non
pu
non
essere,
al
pari
del
giudizio
storico,
legato
alla
vita,
ossia all'azione, momento della
sospensione
o
aspettazione
di
questa,
rivolto a rimuovere, come
si
detto,
l'ostacolo che incontra
quando
non
scorge
chiara la situazione da cui essa
dovr
prorompere
nella sua determinatezza e
particolarit.
Un conoscere
per
il conosce-
re non solo,
diversamente da
quello
che taluni
immaginano,
non
ha
punto
delfaristocratico,
n del
sublime,
esemplato
come e in effetti
sul
passatempo
idiota
degli
idioti, e
dei momenti di idiozia che
sono
in ciascuno di
noi, ma realmente non accade mai in
quanto
intrinse-
camente
impossibile,venendogli
meno con lo stimolo della
pratica
la
materia stessa ed il fine del conoscerem"
L'identificazionedella filosofia con
la storia
porta
il nome
di storici-
smo.
Di
esso Croce d la
seguente
definizione: storicismo nell'uso
scientifico della
parola
l'affermazioneche la vita
e
la realt storia e
nienta|tro.11
Ma,
posta questa
identificazionedella filosofia con
la
storia,
quali
vengono
a essere i
compiti
del filosofo?
Ovviamente
non
potranno pi
essere
quelli
tradizionali di
indagare
le
cause
ultime della realt
temporale,
dato che la storia essa stessa
I'Assoluto. Il
suo
ufficio non consister
neppure
nel ricercare una
spie-
gazione per
i
singoli
eventi, perch
anche
per questi
non
c' nessuna
giustificazione
al di l della loro realt:
presi
in
concreto,
dichiara
Croce,
9) B.
CROCE,
La storia conte
pensiero
e coi-ne azione, Laterza,
Bari 1954.
1)
lbid,
pp.
19-20.
11) Ibzd,
p.
53.
562 Parte terza
tutti i fatti sono assoluti, e non
possono
venire n
giudicati
n condan-
nati. Dio stesso (ossia
le
leggi
della
storia), se
li ha voluti
cos,
li ha
approvati
come razionali e conformi all'andamento del mondo. Perci
il
compito
che
spetta
al filosofo soltanto
quello
di
capire
i fatti
storici,
di
comprenderli
mediante
un
giudizio logico
( cos 0 non
cos) e non
mediante un
giudizio
di valore
(
bene
o
male).
Come si Vede
qui
Croce
riprende
e
fa
sua
la tesi
hegeliana
dell'asso-
luta razionalit della storia. Come il filosofo
tedesco,
egli
sostiene che
sia come azione
vissuta,
sia come
conoscenza,
la storia
sempre
razio-
nalit
piena, progresso
incessante.
Quanto
alla
decadenza, essa si riferisce soltanto a determinate
opere
o ideali; ma in
senso
assoluto in storia non c' mai decadenza che
non
sia insieme formazione
e
preparazione
di
nuova Vita
e, pertanto, pro-
gressoml
N
potrebbe
essere
diversamente
perch
il Vero
soggetto
della
storia
sempre,
in ultima
analisi,
lo
spirito
infinito. La storia non l'o-
pera impotente
e
ad
ogni
istante interrotta
dellempirico
ed ideale indi-
viduo, ma
l'opera
di
quellndividuo
veramente reale che lo
spirito
eternamente individuantesi. Perci essa non
ha avversario
alcuno, ma
ogni
avversario insieme suo suddito,
vale a dire uno
degli aspetti
di
quel
dialettismoche costituisce il
suo intimo esseremw
Questa
assolutizzazionedella
storia,
Vassolutizzazionedi
questo
flui-
re Costante
degli
eventi,
impastati
da
una
recondita
razionalit,
il
punto pi
debole di tutta la
speculazione
crociana. In tale concezione
viene meno non solo la
metafisica, ma
la Vita stessa della
filosofia,
della
quale
non
basta dire che
vige
unidea
antiquata" per
codificarne la
morte e la risurrezionecome
storiografia.
Con il
Croce, l'idealismo,
facendosi storicismo
assoluto,
si
spegne
come filosofia;
ci ha
implicanzemetodologiche
rilevanti
perch
cro-
cianesimo
signific
VVO senso delle
questioni
culturali all'atto stesso
in cui
segn
la fine del
problema
filosofico. l
problemi
della filosofia
non
hanno diritto di sussistenza come
problemi
autonomi e
fonda-
mentali; tanto meno
legittimo pertanto
l'accesso della filosofia alle
questioni teologiche;
sia
pure speculativamente
affrontate
e risolte
come
in
Hegel.
Ci,
anche
perch
al Croce fu totalmente estranea la
dimensione
religiosa
e
dunque
la necessit di
giustificarla,
come
momento della viva
esperienza
dell'uomo: la
religione
non
ha
posto
nelle forme della Vita dello
spirito
e
quindi
non offre
spazio
sufficien-
te al
giudiziom
12) una,
p.
40.
13) Ibid,
p.
148.
14) M. A.
RASCHINI,
0p.
cit,
pp.
627-628.
Il ritorno a
Hegel
563
Giovanni Gentile
VITA E OPERE
Giovanni Gentile
nacque
a Castelvetrano
(Trapani)
nel 1875.
Compiu
ti
gli
studi alla Scuola Normale di
Pisa,
dove ebbe
per
maestro
Phegelia-
no D.
laja, insegn poi
nelle universit di
Palermo,
Pisa e Roma,
diven-
tando, con Croce,
il
principale rappresentante
della filosofiaitaliana. Di
Croce
fu,
per
un Ventennio,
anche collaboratore nella redazione de
La critica. Ma all'avvento del
fascismo,
le loro strade si divisero: Croce
prese
la via
dell'opposizione,
mentre Gentile ader al
regime. Egli
vede-
va nel fascismo
un movimento atto a
esprimere,
sul
piano
dell'azione,
il
dinamismodella
sua filosofia; accett
quindi
di diventare
un
esponente
culturale del
regime
e contribu a elaborarne la dottrina. Nel 1922 fu
nominato ministro della Pubblica Istruzione
e,
nello stesso
tempo,
sena-
tore del
Regno.
Nel 1923 var la riforma della scuola che
porta
il
suo
nome, ispirata
ai
principi
della formativit della
educazione,
della
libert
d'insegnamento
e della funzioneessenziale della scuola nella vita
dello Stato. Dotato di eccellenti
capacit organizzative
promosse
molte
iniziative
culturali,
fu direttore della
Enciclopedia
Italiana,
un'opera
vastissima e inforrnatissima, e
fu anche
presidente
dell'Accademia
d'italia. Si mantenne fedele al fascismo fino alla fine
e, dopo
la caduta
del
regime,
ader alla
Repubblica
Sociale di Sal. Fu ucciso dai
partigiani
a Firenze il 15
aprile
1944.
Le
sue
opere pi importanti
sono: L'atto del
pensare
come atto
puro
(1912);
La
riforma
della dialettica
hegeliana
(1913); Teoria
generale
della
spirito
come atto
puro
(1916);
Sistema di
logica
(1917-1921); Genesi e struttura della
societ
(1943); La mia
religione
(1943).
UATTUALISMO
Gi
ne L'atto del
pensare
come atto
puro
(1912) Gentile
esponeva
il
nu-
cleo della dottrina che and elaborando in tutte le
opere
teoretiche
suc-
cessive
e
che si
configurer, appunto,
come attualismo.
Esso si
ispira
alla visione idealista di
Hegel
e
di
Croce,
pur
avanzan-
do delle riserve sulle loro teorie. Secondo
Gentile, infatti,
Fidealismo
hegeliano
e crociano sono difettosi,
l'uno
perch
ammette una fase in cui
l'idea estranea a se
stessa;
l'altro
perch privo
di
unit,
in
quanto
scompone
lo
spirito
in
quattro
attivit radicalmentedistinte. Per ovviare
a
questi
due
difetti, Gentile
propone
di
concepire
l'assoluto
come alto
puro.
Di
qui
il
nome di attualismo.
Nell'atto
puro,
afferma
Gentile,
l'idea si manifesta tutta
spirito
ed
essenzialmente
spirito
(...).
L'idea
non e avanti all'atto
spirituale,
ma
564 Parte terza
quesfatto.
Nell'atto
puro
non v' distinzionealcuna: n tra attivit teo-
retica e attivit
pratica,
n tra
pensante
e
pensato.
Lo
spirito puro
non
pu
essere considerato come un
pensante,
ma
deve essere
considerato
come atto
puro.
Le cose non sono altro che momenti di tale atto. Viste in relazione ad
esso,
sono l'atto
puro
stesso in un momento del
suo
generarsi;
conside-
rate in
se stesse, sono
delle astrazioni,
dei
pensati, degli oggetti.
Di fatto c' solo il
pensiero
attuale che
pone
se stesso (autoctisi).
Credere che esista un dato,
il
quale
diventi termine di
conoscenza,
pur
restando in s e
per
s, nellbggettivit
che
gli

propria,
come
suppor-
re
che sia
possibile
un conoscere
davvero rimanendo, come si
dice,
alla
superficie dell'oggetto
che si vuol conoscere e
considerandone soltanto
le
apparenze
esteriori.15
Gi con
il
saggio
su
L'atto del
pensare
come atto
puro
(1912),
Gentile
rilevavache la
natura,
ossia
l'oggetto,
non
altro che 10 stesso atto del
pensare,
il
pensiero
che il
pensiero
comincia a
pensare
come
altro da
s, In altri
termini,
anche ci che noi comunemente crediamo
indipen-
dente dalla nostra facolt del conoscere il nostro conoscere
stesso che,
nell'atto del suo
essere, riguarda
s come
altro da
s,
lo fa
suo,
lo identi-
fica
con se stesso in una unit che alterit.
La tesi dell'assoluta
soggettivit
del reale ribadita da Gentile nella
sua
opera
maggiore,
la Teoria
generale
della
spirito
come atto
puro.
Qui leg-
giamo
sin dalla
prima pagina:
La realt non
pensabile
se non in rela-
zione con
l'attivit
per
cui e
pensabile;
e
in relazione con
il
quale
non

solamente
oggetto possibile,
ma
oggetto
reale, attuale,
di conoscenza.
E
pi
avanti:
Qualunque
sforzo noi si faccia
per pensare
o
immaginare
altre cose o coscienze al di l della nostra coscienza,
queste
cose o
coscienze
rimangono
dentro di essa
perci appunto
che
sono
poste
da
noi,
sia
pure
come esterne a noi.
Questo
"fuori"
sempre
dentro. Niente
c'
per
noi senza
che noi ci se
ifaccorga,
e cio che si ammetta comun-
que
definito
(esterno o interno)
dentro la sfera del nostro
soggettow
Neppure
lo
spazio
e
il
tempo sfuggono
a
questa legge:
Noi non siamo
nello
spazio
e nel
tempo;
anzi lo
spazio
e
il
tempo,
tutto ci che si
spiega
spazialmente
e
succede a
grado
a
grado
nel
tempo,
in noi: nellio,
che
non , beninteso,
Yempirico,
bens il trascendentale. Lo
spazio

attivit;
ed essere tutto ci che
spaziale,
nellio, non
significa
altro se non
che
tutto ci che
spaziale,

spaziale
in virt dell'attivit
dell'io, come
di-
spiegamento
attuale di
questo
io>>.17
15)
G. GENTILE,
Sommario di
pedagogia,
l,
Bari 1926,
pp.
3-4.
16) ID.,
Tetiriu
generale
della
spirito
come atto
puro,
Pisa 1918,
2
ed.,
p.
29.
17) Ibid,
p.
165.
Il ritorno a
Hegel
565
Perci il
conoscere,
in cui coincidonorealt e
spirito,

puro,
cio non
misto di nulla che
importi
nel
soggetto
del
conoscere
l'intuizione di
qualche
cosa di estrinseco alla sua
essenza;
non
ha fuori di s il cono-
sciuto: Il conosciuto l'atto stesso del conoscere:
soggetto
che
sogget-
to in
quanto oggetto
a se
medesimo>>.18 Non esiste che
l'atto, atto
pre-
sente,
fuori del
tempo,
condizione anzi del
tempo,
che
non altro che
l'attivit
temporalizzatrice
dell'io (...).
Il
presente
non ,
n nell'indivi-
duo
particolare
n nella storia universale dello
spirito,
diviso dal
passa-
to
per
quellabisso
che ordinariamente si
immagina;
(...)
anzi tutt'uno
con
esso,
il
passato
essendo lo stesso
presente
nella sua
intima
sostanza,
ed il
presente
lo stesso
passato
venuto,
per
cos
dire, a maturitm
Per la
completa
e
perfetta soggettivit
della realt nell'atto del
pensa-
re non risolve il mondo in
un
puro
e
semplice
blocco di
pensiero,
chiuso
in se stesso,
statico e
immobile.L'io
puro
di Gentile
non l'Essere
puro
di Parmenide. L'io
puro
essenzialmente atto e
in
quanto
atto in conti-
nua attivit,
in
perpetuo
divenire. L'io
puro gentiliano rassomiglia piut-
tosto allUno dei
neoplatonici,
con la
differenza,
per,
che
questo
nel suo
divenire esce
da se stesso,
mentre
quello
rimane
sempre
dentro di s.
L'atto
puro
di
Gentile, come
l'idea di
Hegel, svolge
la sua attivit
secondo un
processo
triadico,
che ha
per
momenti
principali
l'arte,
la
religione
e
la filosofia.
ARTE, RELIGIONE E FILOSOFIA
L'arte il momento
soggettivo,
la forma immediata dello
spirito
assoluto: L'arte coscienza di
s,
pura,
astratta autocoscienzache si dia-
lettizza bens
(altrimenti non
potrebbe
realizzarsi), ma
in
se stessa, e
astraendo dallantitesi in cui si
realizzata; e
quindi
chiudendosi in un
ideale che
sogno
ma
dentro di cui essa vive cibandosi di
se medesima,
o
meglio
creando un suo
proprio
mondomfl Stabilitoche l'arte
pensiero
nel momento
soggettivo,
il
pensiero preso
nellmmediatezzadi s a s,
Gentile rilevache
questa soggettivit
immediata,
questa pura
forma
soggettiva
di
ogni pensiero,
in cui l'arte consiste se
si vuole chiamare
con
un nome
del
comune vocabolario, non
pu
dirsi
se non sentimento?
La
religione
lantitesi
dell'arte,
il momento
oggettivo:
l'esaltazio-
ne
dell'oggetto
come Dio,
al
quale
il
soggetto
si
sottomette,
nel
quale
anzi misticamente tende ad annullarsi. L'antitesi tra arte e
filosofia cos
espressa
da Gentile: La
religione pu
essere definita come Fantitesi del-
l'arte.
Questa,
esaltazione del
soggetto,
sottratto ai vincoli del
reale,
in
l)
G.
GENTILE,
Sistema di
logica,
1,
Bari
1926,
p.
152.
19) 1D,,
La
riforma
dell'educazione,
Bari
1930,
p.
131.
1) 1D,, Teoria,cit., XIV,
5.
l) 1D,,
Lafilosnfia
dell'arte,
Firenze
1950,
2
ed.,
p.
166.
566 Parte terza
cui il
soggetto positivamente
si
pone; quella,
esaltazione
dell'oggetto,
sottratto ai vincoli dello
spirito,
in cui consiste
Yidealt,
la conoscibilit
e
la razionalit
dell'oggetto
stesso.22 Diversamente da
Croce,
il
quale
aveva
ignorato completamente
la
religione parlando
delle attivit dello
spirito,
Gentile le
assegna
un ruolo fondamentale
e mette in luce la
ne-
cessit di
non lasciarla da
parte
nel concreto
sviluppo
dello
spirito,
ossia
durante il
processo
educativo. Coerente con
questi principi,
divenuto
ministro della Pubblica
Istruzione,
Gentile condusse unattiva
campa-
gna
contro la scuola cosiddetta laica ed esalt
l'importanza de1linsegna
mento
religioso,
insieme con
quello
artistico
e filosofico,
per
la
completa
formazionedello
spirito
individuale.
La filosofia costituisce l'assoluto nella coincidenza del momento
sog-
gettivo
con
lkiggettivo,
riconoscendol'assolutonell'atto che
pone
se stes-
so attraverso una dialetticaeterna. Questa
sintesi tra arte e
religione
nella
filosofiasi realizzanella storia: La storia si ricostruisce infatti
riportando
cos la
religione
come l'arte nella storia universale dello
svolgimento
dia-
lettico dello
spirito,
in cui arte e
religione
sono
posizioni spirituali,
con-
cetti della
realt, e
quindi
essenzialmentestoria della filosofia23
Questa
concezione della filosofia
come sintesi
degli opposti
(arte e
religione)
uno dei
punti
in cui Gentile si allontana
maggiormente
da
Croce. Anche
per quest'ultimo,
come
sappiamo,
lo
spirito
era in movi-
mento continuo attraverso le
sue forme, ma tra
queste
forme non vi era
una
dialettica
degli opposti,
bens
una
dialettica circolare dei
distinti,
ciascuna forma avendo la
capacit
di concentrarein s l'intero
spirito.
In
tal
modo,
per,
Croce non era riuscito a dare
espressione adeguata
all'u-
nit dello
spirito
assoluto.
Questo
obiettivo invece
raggiunto
da Gen-
tilemediante
lapplicazione
della dialettica
degli opposti
alle tre attivit
supreme
dello
spirito.
Arte e
religione,
antitetiche,
pongono,
a livello
delle loro
antitesi, un aut-aut:
o
il
soggetto
infinito
o
l'oggetto
infinito,
con esclusione
reciproca.
La conciliazione
degli opposti
data dalla filo-
sofia intesa non storicamente ma come
pienezza
concreta dello
spirito,
il
quale proprio
nella filosofiatrova la
sua forma
propria
e
conclusiva. La
filosofiain vero non
quella postuma contemplazione
della
realt,
che
da Aristotele a
Hegel
si ritenne. Non c'
prima
il mondo
e
poi
il
pensiero
(...).
L'uomo uomo in
quanto
filosofo; e
il mondo di cui luomo
parla,
in cui
vive,
di cui si d
pensiero,
il
suo mondo,
il mondo del
pensiero,
che
non ci sarebbe
senza il suo
pensiero.24
Vale
per
la filosofiail concet-
to di
perennit (philosophiaperenrzis),
ma nel senso che
perenne

sempre
questa
filosofiache si attua col valore di
filosofia, non accanto o
dopo
la
precedente,
ma che
non si d fuori dell'attualit dello
spirito,
cio fuori
22) lD., Teoria, cit., XIV,
7.
23) ma, XIV, 9.
g
24) Sistema di
logica,
cit., Il,
p.
252.
Il ritorno a
Hegel
567
dellAutoconcetto, e
dunque
fuori della coscienza storica che
essa
ha del
proprio sviluppo.
Nulla vi che trascenda la filosofiacos intesa: nem-
meno
il
suo concetto o definizione, poich
il concetto di filosofiacoinci-
de con la filosofia stessa: definibilein
astratto,
"in concreto
bisogna
farla". Filosofare
perci
il contrario di
definire,
perch
risolvere il
concetto
nellautoconcetto,
ossia ricondurrela realt al
processo
dialetti-
co
del
pensiero: pensarla
senza residuo,
che arresti il
pensiero
stesso
nel suo dialettismo. Perci: soltanto nella filosofia
l'intelligenza
di
tutto,
compresa l'intelligenza
della
filosofia,
la
quale

soggetto
e
og-
getto
di
se stessa, e
perci
stesso
porta
in se la coincidenza di s come
filosofare
e come metodo di filosofare: il metodo del filosofare
non altro
essendo che 1o stesso
pensare,
intrascendibilea se stesso.25
Gentile sent
quasi religiosamente
il carattere
originario
e
il Valore
assoluto del
pensiero
attraverso la teorizzazionedella infinit del
pen-
siero in atto: tanto che in alcuni scritti (Di una nuova dimostrazionedell'esi-
stenza di
Dio, 1932;
La mia
religione,
1943)
giunse
a sostenere la
religiosit
della sua filosofia, e
addirittura l'accordo di
essa
col cristianesimo e
col
cattolicesimo; ma il
principio
di identit tra finito
e
infinito
gli
ribadisce
l'impossibilit
di
quel superamento
dellimmanenzache
indispensabi-
le
per ogni pensiero religioso. N,
del
resto, egli
volle rinunciareal
prin-
cipio
di
immanenza, riservandosi, se mai,
di
interpretare
secondo
que-
st'ultimo la stessa
religione
cristiana.
Molte
e
gravi
le accuse
che
sono state mosse al
pensiero
di Gentile. Fu
accusato di misticismo e
di
ateismo,
di ostilit alla scienza e
allo stesso
tempo
di
positivismo,
di
teologismo
e di
panteismo.
Ma
pi
che le accuse
valgono
le critiche alle
quali
internamentesi
presta
Vattualismo. ln effetti
il
punto
debole di tutto il sistema sta nella concezione attualistica del
pensiero.
In siffatta concezione il
pensiero
non solo
un'operazione
immanente, ma una
operazione priva
di
qualsiasi
intenzionalit.
Ora,
come
gi insegnavano gli
Scolastici
e come stato ribadito da Brentano e
da
Husserl,
il
pensiero

sempre
un'attivit
intenzionale, e
quindi
volta a
un
oggetto;
e ci che arricchisce il
pensiero
non la
sua autoctisi, ma
l'oggetto
che
esso
ospita.
Come ha osservato Del
Noce,
l'errore fonda-
mentale di Gentile consiste nella
ipostatizzazione
del
pensiero.
Ora, non
esiste un
pensiero
che
pensa
se stesso, ma una
persona
che
pensa,
e
quando pensa pu pensare
sia se stesso sia delle realt distinte
das.
Inoltre l'uomo che
pensa
un essere
fatto di anima e
di
corpo,
di
spirito
e
di
carne,
e
pertanto
il
suo
pensiero
conserva una connessione necessaria
con il mondo della
sensibilit,
quel
mondo che Gentilemostra di
ignora-
re
totalmente26
25)
Cf.
ibiaL, c. V,
7-9.
36)
Cf. A. DEL
NOCE,
Giovanni
Gentile,
Bologna
1990.
568 Parte terza
Suggerimenti bibliografici
CROCE
Edizioni: Gli scritti di Croce sono stati
pubblicati
da
Laterza,
Bari.
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ABBATE,
La
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di Benedetto Croce e la crisi della societ ita-
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C.
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Commento a Croce,
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Etica e
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F. CARACCIOLO, L'estetica e la
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Il
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SAINATI,
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Le
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V.
STELLA,
Il
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Pe-
scara
1971
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VETIORI,
Benedetto Croce e il rinnovamento della cultura cri-
stiana, Armando,
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VITIELLO,
Storiografia
e storia nel
pensiero
di Benedetto
Croce, Morano,
Napoli
1968; ID., Croce trent'anni
dopo,
Later-
za,
Bari 1983.
GENTILE
Edizioni:
Opere complete,
a cura
della fondazione Giovanni
Gentile,
Sansoni, Firenze,
in 55 volumi.
Studi: AA.
VV.,
La vita e
il
pensiero
di Giovanni
Gentile,
12
voll., Sansoni,
Firenze
1948-1967;
V.
AGOSTI, Filosofia
e
religione
nellattaalisnzo
gentiliano,
Paideia,
Brescia
1977;
L.
AMBROSOLI,
Libert e
religione
nella
riforma
Gentile, Vallecchi, Firenze
1980;
V. A.
BELLEZZA,
Lesistenzialismo
positivo
di Giovanni
Gentile, Sansoni,
Firenze
1954;
M.
CICALESE,
La
fornzazione
nel
pensiero politico
di Giovanni
Gentile, Marzorati,
Milano
1973;
A. DEL
NOCE,
ll ritorno a
Hegel
569
Giovanni Gentile,
Bologna
1990,-
A. Lo
SCHIAVO,
Introduzione a Gentile,
Laterza,
Bari
1974; ID.,
La
filosofia politica
di Giovanni Gentile, Armando,
Roma
1971;
A.
NEGRI,
Giovanni Gentile,
Genova
1992; ID.,
Lnquietudine
del divenire. Giovanni Gentile,
Firenze
1992;
N.
NICOLINI, Croce,
Gentile
e
altri
studi, Sanson,
Firenze
1973;
U.
SPIRITO,
Note sul
pensiero
di Giovanni
Gentile, Sansoni,
Firenze 1954.
570
FENOMENOLOGIAE METAFISICA
L'ultima
modernit, come
sappiamo,
ha fatto terra bruciata intorno
alla metafisica. Il
suo
posto
e stato
preso
dalle filosofiedella
vita,
dell'a-
zione,
della
storia,
dei
valori, dall'idealismo,
dal
pragmatismo,
dal
marxismo
ecc.,
che
sono
quasi
tutte filosofie
incompatibili
con
il discor-
so metafisico.
Accanto a
questi
sistemi filosofici nel Novecento hanno fatto il loro
ingresso
due nuovi metodi di fare filosofia: il metodo
fenomenologico
e
il metodo dell'analisi del
linguaggio.
Il
primo
si
propone
una
lettura
ac-
curata dei fenomeni
per cogliere
il loro
senso
profondo;
l'altro
cerca
di
fornire validi criteri
per
l'uso del
linguaggio.
Trattandosi di metodi
e
non
di sistemi
legittimo
chiedersi
se e in
quale
misura essi
potranno
venire utilizzati anche dalla metafisica.
Questa
questione
stata forte-
mente
dibattuta, e
gli
esiti sono stati e sono tuttora
piuttosto
contrastan-
ti: c' chi li
contrappone
alla
metafisica, mentre altri
sostengono
che sia
la
fenomenologia
sia l'analisi
linguistica
possono
essere delle buone
alleate della metafisica.
Nel
presente capitolo
esamineremo i
rapporti
tra
fenomenologia
e me-
tafisica cos
come sono stati intesi da
Husserl,
Edith Stein
e
Heidegger;
mentre nell'ultimo
capitolo
ci
occuperemo
dei
rapporti
tra analisi
lingui-
stica e metafisica cos come sono stati
interpretati
da alcuni
esponenti
del
neopositivismo
e
dagli
analisti del
linguaggio.
Edmund Husserl
VITA E OPERE
Edmund Husserl
nacque
a Prossnitz,
nella Moravia
(Cecoslovacchia),
l'8
aprile i859,
da
una
famiglia
israelita, e si form in ambienteculturale
luterano.
Dopo
essersi laureato in scienze matematiche
a
Berlino nel
T884,
si trasfer
per
alcuni anni
a Vienna,
dove
segu
i corsi di filosofia
del filosofo tedesco Franz Brentano
(1838-1917)
che
aveva da
tempo
abbandonato l'Ordine dei Domenicani. Per
consiglio
dello stesso filo-
sofo,
di cui
era
divenuto fedele
discepolo, pubblic
nel 1891
l'opera
Filosofia
dellzritmetica.
Brentano, infatti, a
seguito
della
sua formazione
nellOrdine dei
Domenicani, aveva
acquisito
il solidissimo
patrimonio
filosofico-teologico
della tradizione
scolastica, con
particolare
riferimen-
Fenomenologia
e
metafisica
571
to alla nozione di
intenzionalit, come caratteristica
propria
della co-
scienza umana (la Coscienza
sempre
coscienza di
qualche
Cosa).
Tut-
tavia Husserl eredita tale nozione come contenuto teoretico
proprio
del
suo maestro,
dimostrando di
ignorare
la matrice
originaria
e contribuen-
do,
in tal
modo,
seppure
involontariamente, a
emarginare
le elaborazio-
ni fondamentali del
pensiero
medievale dai successivi
sviluppi
della
filosofiamoderna e
contemporanea.
I-Iusserl
insegn
filosofia
prima
al-
l'universit di
Gottinga
e
poi,
dal
1916, a
quella
di
Friburgo,
in
Brisgovia,
sino all'avventodel nazismo.
La
prima opera
che lo fece conoscere fu Ricerche
logiche,
in due
volumi,
pubblicata
nel 1900 e
1901. Un'altra
opera importante,
in cui ebbe
com-
pleta espressione
la
sua
posizione
filosofica fu Idee
per
una
fenomenologia
para
e una
filosofiafenomenologico,
di cui la
prima parte apparve
nel
1913,
mentre le altre due
parti
furono
pubblicate postume
nel 1952. Con l'av-
vento del
nazismo,
essendo
ebreo,
dovette rinunciare
all'insegnamento
in
Germania e
pote proseguire
il
suo lavoro
fenomenologico
con una serie
di conferenze a Vienna e a
Praga.
Da
queste
elabor la
sua
ultima
grande
opera:
La Crisi delle scienze
europee
e
la
fenomenologia
trascendentaleche rima-
se
incompiutaper
la sua morte,
avvenuta nel
1938, e
fu
pubblicata postu-
ma nel 1950. I numerosi manoscritti non
pubblicati prima
della sua morte
e
salvati dalla distruzione dei nazisti furono
pubblicati
a cura
degli
Archivi Husserl: Idea della
fenomenologia
(1950);
Filosofia prima
(1956);
Psicologiafenomenologico
(1962);
Sulla
fenomenologia
della coscienza interna
del
tempo
(1966) e Analisi delle sintesi
passive, apparsa
nello stesso anno.
L'opera
di
Husserl,
che
ne decret
l'ingresso
incontestato nel vivo
della cultura
contemporanea,
fu La crisi delle scienze
europee.
Essa
rappre-
senta
l'espressione
matura e
articolata del
pensiero
del
filosofo, e
la sin-
tesi
completa
sia della sua
interpretazione
del
pensiero
occidentale sia
della
sua
fondazione
fenomenologica
come
rinnovato
atteggiamento
filosofico
e nuova
possibilit
di dare
significato
teoretico e
morale al
sa-
pere
scientifico. La traduzione italiana
dell'opera,
curata da Enzo
Paci,
ha
rappresentato
una
svolta decisiva della ricerca filosofica italiana sia
in
campo agnostico
che in
campo
cattolico.
LA FENOMENOLOGIA COME NUOVO "PREAMBOLO" DELLA METAFISICA
Diversamente dalla metafisica classica
e medievale,
che davano
per
certa la conoscibilitdell'essere e
quindi
subordinavano la
questione gno-
seologica
alla
esplorazione
metafisica, la filosofiamoderna rovescia i
rap-
porti
tra metafisica
e
gnoseologia e, praticamente,
subordina la metafisica
alla
gnoseologia,
la
quale
diviene
un
preambolo
essenziale della metafisica.
Questo
rovesciamento dei
rapporti
tra metafisica
e
gnoseologia
Con-
duce al
primato
del
soggetto sull'oggetto,
del
Cogito
sull'essere,
della
572 Parte terza
soggettivit
sulla realt. Sotto il
segno
di
questa
rivoluzione
copernica-
na" hanno
operato praticamente
tutti i filosofi moderni: da Cartesio a
I-Iume,
da Kant a
Hegel,
da Rosmini a Comte,
da
Dilthey
a
Bergson,
da
Croce a Gentile,
i
quali,
tuttavia, come
sappiamo,
hanno dato
interpreta-
zioni molto diverse, talvolta
opposte,
del fenomeno della
conoscenza,
con
conseguenze quasi sempre
molto
negative per
la metafisica.
E sul
problema
centrale della
modernit,
il
problema gnoseologico,
ossia il
problema
della conoscenza e della coscienza che si inserisce la
speculazione
di
Husserl,
il
quale
scende in
campo
con
propositi
decisa-
mente
innovatori,
mirati a
far uscire la filosofiada
quellfinzpasse
in cui si
era trovata
nell'epoca
moderna. Tale e l'intento della
sua
ferzonzenologia.
In
un
modo
o nell'altro tutta la filosofia moderna
privilegiando
il
soggetto
nei confronti
delloggetto
era
incappata
nella
trappola
dello
psi-
cologisnxo,
il
quale
affermava che le
leggi logiche
non sono altro che
espressioni
della struttura mentale
dell'uomo,
della
sua struttura
psichi-
ca. Il
principio
di
non-contraddizione,
per
es.,
le
leggi
del
sillogismo,
non sarebbero altro che
espressioni
del nostro modo di vedere le cose.
Nei
Prolegonzeni
a una
logica
pura,
Husserl si
propone
di eliminare
questa
nefasta
dottrina, contro la
quale rivolge
due
argomenti.
Il
primo
che le
leggi logiche
sono
rigorosamente
necessarie e uni-
versali; ora,
se esse fossero
espressione
della nostra struttura
psichica,
se
cio
dipendessero
da
leggi psicologiche,
esse sarebbero
proposizioni
ottenute
per
induzione,
generalizzazioni
di
esperienze,
come sono le
leggi psicologiche. L'argomento
si fonda
dunque
sulla differenza
specifi-
ca
fra
proposizioni
tali che il
negarle implichi
contraddizionee
genera-
lizzazionidi
esperienze.
Il secondo
argomento
che lo
psicologismo
si
contraddice,
perch
pretende
di dire
qualcosa
di
oggettivamente
valido,
pretende
cioe di di-
re come stanno le
cose (sia
pure quellunica
cosa
che sarebbe la
psiche
umana)
adoperando
una teoria secondo la
quale
noi non
esprimeremmo
mai
come stanno le
cose, ma solo il modo di
reagire
della nostra
psiche.
Le
leggi logiche
non
esprimono dunque
modi di
comportamento, per
dir
cos,
della
specie umana,
ma
esprimono
relazioni tra
oggetti
ideali.
l fatti di coscienza sono
singolarit reali,
temporalmente
determinati
che
sorgono
e
scompaiono.
Ma la verit eterna
o
piuttosto:
e una
idea, e come tale
sovratemporale
(...).
Non
apprendiamo
la verit
come un contenuto
empirico
che
emerge
nel flusso
degli
stati
psichici
e
poi
scompare;
essa non un fenomeno tra
fenomeni; vissuta in
quel
senso totalmente diverso in cui vissuto
un universale,
un'idea.
Ne abbiamo coscienza
come abbiamo coscienza in universale di una
specie, per
es.,
del rossom
)
E.
HLSSERL, Logischc Llnfersitc/izzngciz. Pirolcganieua,
n. 39.
Fenomenologia
e
metafisica
573
La critica dello
psicoiogismo
costituisce solamente la
pars
destruens.
Occorreva
completarla
con una
pars eostruerzs,
elaborando una nuova
spiegazione
del fenomenoconoscitivo. E
quanto
Husserl fa in Idee
per
una
fenomenologia pura
e
per
una
filosofiafenomenologico
e
in La
filosofia
come
scienza
rigorosa.
La
fenomenologia
ha
per
motto 2M dei? Sachen selbst: ottenere cio una
conoscenza
effettiva delle cose. Ci
possibile
soltanto se
la conoscenza
non viene viziata n dalla mutevolezza
degli oggetti
n dalla debolezza
del
soggetto.
Ora,
questo comporta
anzitutto un
determinato stato della
Coscienza: essa
deve trovarsi allo stato
puro;
quindi
non
la Coscienza di
questo
o
quel soggetto,
di
questo
o
quellindividuo.
Inoltre si richiede
una
particolare
condizione
nell'oggetto:
non si
pu
trattare di
oggetti
mondani
sempre
mutevoli,
Vale a
dire
gli oggetti
della
fisica, ma
di
ogget-
ti anch'essi allo stato
puro,
vale a dire le essenze. Un terzo elemento fon-
damentale
per
una
fenomenologiapu
m che la coscienza sia
perfettamente
a
disposizionedell'oggetto:
tale
disponibilit
si chiama inteizzionizlitii.
Eccoci
quindi
di fronte a una scienza (la cui
grande
estensione non
oggi
nemmeno avvertita) che,
per
essere scienza della coscienza non e
gi psicologia;
essa e
"fenomenologia
della
coscienza",
cui sta di con-
tro la scienza naturale della coscienza. Non c'
qui
solo un casuale
equivoco; bisogna
fin da ora
aspettarsi
che
fenomenologia
e
psicologia
stiano fra loro in intima
relazione, poich
ambedue hanno a
che fare
con
la
coscienza,
seppure
in modo diverso e sotto
atteggiamenti
diver-
si. Possiamo dire
qui
che la
psicologia
tratta della "coscienza
empiri-
ca",
della coscienza sotto
l'atteggiamentoempirico,
come
qualcosa
che
esiste nella connessionenaturale;
la
fenomenologia,
invece, tratta della
coscienza
pura,
quale
risulta
dall'atteggiamentofenomenologico?
Per "fenomeno" Husserl intende tutto ci che in
qualsiasi
modo si
rende manifesto alla coscienza:
ogni
intuizioneche
presenta originaria-
mente
qualche
cosa
che di diritto fonte di
conoscenza;
tutto ci che si
offre a noi
originariamente
nellntuizione
(che
ci si
offre,
i.n carne
ed
ossa)
dev'essere assunto cos come
si
offre, ma
anche soltanto nei limiti
in cui si offre)
Pertanto la
fenomenologia, per
Husserl, non n lo studio del feno-
meno
inteso come
sintesi a
priori,
di kantiana
memoria, e
neppure
l'iti-
nerario della coscienza naturale al
sapere
assoluto cli cui
parlava Hegel,
bens lo studio di ci che effettivamente si manifesta. La
fenomenologia
si
preoccupa
di studiare
l'oggetto quale
si manifesta nella sua
effettiva
realt,
assolutamente
pura,
libera da
qualsiasi
scoria. Nella fenomenolo-
2) ID.,
La
filosofia
come scienza
rigorosa,
a cura di F.
Costa,
Torino 1958,
p.
25.
3) ID., Ideen, l, 5
244
574 Parte terza
gia,
la
quale
a fondamento della
indagine
filosofica non
pone
nulla di
gratuito,
nulla di
arbitrario, ma solamente
l'esperienza
nella sua assolu-
ta
oggettivit,
Husserl ritiene di aver trovato un metodo che
oltrepassa
i
presupposti
naturalistici dei metodi di Aristotele e di
Cartesio, un meto-
do
capace, perci,
di (iffrire
un solido fondamentoalla scienza.
[fintenzionalitz
Il
pilastro
su cui s
regge
tutta la
fenomenologia
husserliana la "teo-
ria" della intenzionalit. Uintenzionalit - scrive l-lusserl - e ci che
caratterizzala coscienza in
senso
pregnantew
Che la conoscenza abbia carattere intenzionale,
Vale a dire che
essa si
riferisca
sempre
a un
oggetto,
era
dottrina
comune
degli
Scolastici, ma
poi
fu totalmente disattesa dai moderni. La
sua
riscoperta spetta
a Brenta-
no,
il maestro di
Husserl,
il
quale
non si stanca mai di
riconoscergli que-
sto
grande
merito. Ecco un testo molto
significativo
su
questo argomento:
Nella
percezione
viene
percepito qualcosa,
nella
rappresentazione
immaginativaqualcosa
Viene
rappresentato
in
immagine,
nella
enun-
ciazione
qualcosa
viene
enunciato,
nell'amore
qualcosa
viene
amato,
nel desiderio
qualcosa
viene
desiderato, ecc. Brentano
pensa
a ci che
si
pu cogliere
di
comune
in
questi esempi, quando
dice:
"Ogni
feno-
meno
psichico
caratterizzato da ci che
gli
Scolastici nel medioevo
hanno chiamato iii-esistenza intenzionale
(o
anche
mentale)
di
un
oggetto,
e
che noi chiameremmo, non senza
qualche ambiguit,
riferi-
mento a un contenuto,
direzione Verso un
oggetto
(e
ci
non vuol dire
che si tratti di una realt)
oppure oggettualit
immanente.
Ogni
feno-
meno
psichico
contiene in s
qualcosa
come
oggetto,
bench
non
sempre
in
egual
modo"
Il riferimento
intenzionale, inteso in sede
puramente
descrittiva come
peculiarit
interna di certi
vissuti,
rappresenta per
noi la determina-
zione essenziale dei Tenomeni
psichici"
o
degli
atti,
cosicch consi-
deriamo la definizionedi
Brentano,
secondo cui essi
sono "fenomeni-
ci che
contengono
in s intenzionalmente
un
oggetto
come una defi-
nizione
essenziale,
la cui realt" naturalmente assicurata
dagli
esempi.
In altri
termini, e al
tempo
stesso in
una formulazione
pura-
mente
fenomenologica:
l'ideazioneeffettuata sui casi
particolari
esem-
plificativi
di tali vissuti - ed effettuata in modo tale da escludere
qual-
siasi
posizione
esistenziale
e
qualsiasi interpretazione empirico-psico-
logica,
tenendo conto solo dello statuto
fenomenologico
reale di
que-
sti vissuti - ci
presenta
l'idea
generica, puramente fenomenologica,
di
vissuto intenzionale
o atto,
nonch le sue
specificazioni pure.5
i) Ihid.
i) E.
HussEKL,
Ricerche
logiche,
a cura di G.
Piana,
vol.
il,
Milano
1968,
pp.
158-160.
Fenomenologia
e
metafisica
575
Il riferimento
a un
oggetto
che
proprio
di tutti
gli
stati di coscienza
(Erlebnis) non determina
per
in alcun modo la natura
dell'oggetto
stes-
so: se esso sia cio un
oggetto
extramentale
(reale) o un
oggetto pura-
mente mentale
(immaginario).
lfintenzionalit dice
semplicemente
che
c' un intenzionante e un intenzionato e che Yintenzionante la coscien-
za e Yintenzionatoil
suo
oggetto.
L'oggetto
della
rappresentazione,
dell'intenzione
non altro e non
significa
altro che
l'oggetto rappresentato,
intenzionale. Se mi
rappre-
sento dio o un
angelo,
un essere
intelligibile
in
s, una cosa fisica 0 un
quadrato
rotondo
ecc.
questo oggetto
trascendente,
cos
denominato,
viene
appunto
inteso, e
quindi
esso
(usando solo
un altro
termine)
un
oggetto intenzionale;
ed e allora indifferenteche
esso esista o non
esista,
che sia fittizio
o assurdomfi"
Pertanto -
come risulta anche dall'ultimo testo citato il rilievodel
carattere intenzionale della
conoscenza non un'affermazione di reali-
smo nel cos detto
problema
della
conoscenza;
non cio l'affermazione
che esiste fuori di
me una
cosa;
la
questione
del realismoo dell'idealism0
resta affatto
impregiudicata
dal rilievodel carattere intenzionale della
conoscenza: anche
se
l'oggetto
conosciuto
immaginario,
esso non un
mio modo di
essere,
ma rimane
pur sempre
un
oggetto.
Rilievo
questo
che elimina alcuni
pseudo-problemi,
come
quelio
di
come si fa
a
passare
dalla coscienza alla realt,
poich
la coscienza
sempre presenza
inten-
zionale di
qualche
cosa. Si tratter di vedere di
quale cosa,
ma
questo
riguarda
la concezionedella
realt, non la teoria della
conoscenza.
L'intuizionedelle
essenze
Nel
capitolo
fondamentale
con cui si
apre l'opera
Idee
per
una
fenomeno-
logia
pura,
intitolato Fatti
e essenze Husserl
spiega
come si forma nella
coscienza la
percezione
dei vari
oggetti. Egli distingue
anzitutto due
gene-
ri di
oggetti: particolari
o fatti, universali
o essenze: sia i
primi
sia i
secon-
di sono colti
intuitivamente,
mediante
una
Anschauung.
C'
pertanto
una
intuizione
empirica,
che l'intuizione
dell'individuo, e c' un'intaizi0nedel-
l'essenza
(
Wesens-Schau
un
g),
che l'intuizionedellkidos
o ideazione?
Ma
come avvieneil
passaggio
dalla intuizione
empirica
del
particola-
re,
del
fatto, allintuizione
universale,
delle essenze?
Qui
gli
Scolastici, e
prima
di loro Aristotele facevano intervenire l'azione dell'intelletto
agente
che mediante
l'operazione
dell'astrazionericava
Yuniversale,
l'i-
dea,
dal
particolare.
Husserl
ignora questa
celebre teoria
e
dice
sempli-
cemente e
categoricamente:
lbid,
p.
209.
7) Cf.
ldeen, l, 2-3.
576 Parte terza
Una intuizione
fiflplrlCfl
0
individuale
pu
essere trasformatain intuizio-
ne dell'essenza (ideazione),
dove
questa
stessa
possibilit
da intendere
come essenziale, e non
empirica.
L'elemento intuito consister
quindi
nella
corrispondente
essenza
pura
o edos,
che
pu
essere
tanto una
categoria superiore quanto
una sua
particolarizzazione,
discetndendo
fino al
grado
della
piena
concrezione.
Questa
visione che ci offre,
talo-
ra
originariamente,
l'essenza,
pu
essere
adeguata,
come
ad
esempio
possiamo
facilmente
procurarcela
della essenza del
suono;
ma
pu
anche essere
pi
o meno
imperfetta, inadeguata,
e ci non soltanto
riguardo
alla sua
maggiore
o minore chiarezza e
distinzione
(... ).
Ma,
adeguata
o
no,
l'intuizioneindividuale
pu
essere
trasformata in
visione dell'essenza, e
quest'ultima,
che sar
corrispondentemente
adeguata
o non
adeguata,
ha il carattere di un atto
offerente.
Da ci
risulta: l'essenza (eidos)
e un
oggetto
di nuova
specie.
Come il dato della
intuizione individuale o
empirica
un
oggetto
individuale, cos il
dato della intuizioneessenziale una essenza
pura.
Non si tratta di
un'analogia posteriore,
ma di radicale affinit. Anche
l'intuizionedell'essenza
appunto
intuizione, come
l'oggetto
eidetico

appunto oggetto.
La
generalizzazione
dei concetti correlativi intui-
zione e
"oggetto"
non arbitraria, ma
richiesta necessariamente
dalla natura delle cosem
Sulla divisione
degli oggetti
della Coscienza in individuali e universa-
li
(essenze)
I-Iusserl fonda la distinzione tra scienze naturali e scienze
pure
(logica
pura,
matematica
pura,
teoria
pura
dello
spazio
e
del
tempo
ecc.)
Tra le scienze naturali
egli
include la
psicologia,
tra le scienze
pure
delle essenze
egli
colloca la
fenomenologia:
La
fenomenologiapura
o trascen-
dentale non una scienza che si riferisce a
dei fatti ma a
delle essenze
( una scienza eidetica); essa si
propone
soltanto di stabiliredelle "cono-
scenze di essenza" e
assolzitanzentemai dei
"fatti
.9
I-lusserl
distingue
essenze
materiali o
regionali
ed essenze
formali.
Essenze formali sono
quelle
che si realizzanoin
un
oggetto sperimenta-
le, come
il colore o l'estensione (ma
anche il
sentimento,
che
oggetto
di
esperienza
interna); essenze
formali sono
quelle
riferentisi
all'oggetto
in
generale.
Husserl fa
questi esempi: cosa, propriet,
relazione,
insieme.
La
regione
il
genere supremo
di
un
certo
tipo
di
oggetti,
di un certo
tipo
di
essenze
materiali. Husserl dice:
Ogni oggetto empirico
concreto si
inserisce con
la sua essenza
materiale in
un
supremo genere,
in una
regione
di
oggetti empiriciwtl
In
corrispondenza
con
questi
due
tipi
di
essenze ci sono
due
tipi
di
ontologia: Pontologa
formale che lHusserl
identifica con
la
logica
e
le
ontologie regionali.
F) lbirl, g
3.
9) lbid,
lntroduz.
l) lliiel, g
9.
Fenomenologia
e
nzetafisica
577
ljepoch
Fin
qui
la
fenomenologia
husserliana della
conoscenza dice
cose molto
generiche
che
potrebbero
essere condivise
praticamente
da tutti: sia dai
realisti
come
dagli empiristi,
sia dai criticisti come
dagli
idealisti. Ma anche
I-Iusserl
come tutti i
grandi
filosofi,
ha
una intuizione
geniale,
che
gli
con-
sente di
tiperare
la sua rivoluzione
copernicana:
il concetto di
epoche;
questo gli
consente di elaborare
non soltanto
una nuova dottrina della
conoscenza ma un nuovo sistema
filosofico,una
filosofiafenomenologrica.
Per
gli
Scolastici
Yoggetto
della intenzionalit conoscitiva era la real-
t, non
qualche
modificazionedel
soggetto
conoscente (la
species
intellec-
tualis): sensazioni e
idee
sono
semplicemente
i mezzi
trasparenti
con cui
la mente
coglie
la realt
(fosse
pure
una realt
immaginaria).
Husserl
riconosce che
questa
teoria
corrisponde allkitteggianzentonaturalistico, ma
a suo
giudizio questo
un
atteggiamento ingenuo
e non vincolante, e
che
va messo "tra
parentesi (epoche
vuol dire
proprio questo),
come
tanti altri
pregiudizi.
Scrive Husserl:
Le cose non sono senz'altro le cose della natura: la realt nel senso
usuale non senz'altro la realt in
generale,
e
quell'atto originaria-
mente offerente che
abitualmente,
nella scienza
moderna,
diciamo
esperienza"
si riferisce soltanto alla realt della natura.
Compiere
tali
identificazioni
e trattarle
come nozioni
ovvie, significa
chiudere
gli
occhi dinanzi
a distinzioni che si
presentano
nella visione
pi
chiara
(...). La scienza
genuina
e l'assenza di
pregiudizi
che le
propria
esi-
gono,
come fondamento di tutte le
prove
dei
giudizi
immediatamente
validi,
che
traggono
direttamente la loro validit da intuizioni
origi-
nalmente offerentiml
Qui
Husserl si affretta
a
chiarire che la
sua
epoche
non
ha nulla
a
che
vedere con il dubbio metodico di
Cartesio,
perch
anche
questo
fa
parte
di
una
posizionenaturalistica,
poich
il dubbioverte sulla verit della
pro-
pria
conoscenza delle
cose. Ora,
precisa
Husserl,
noi
prescindiamo
da
questo;
non ci interessa
ogni
analitica
compo-
nente di
quel
tentativo di
dubbio, e nemmenola sua analisi esatta ed
esauriente. Noi ne ricaviamo soltanto il fenomeno della messa in
parentesi,
che evidentemente non
legato
al fenomeno del tentativo
di
dubbio,
sebbene ne
possa
essere facilmente
ricavato, ma che
piut-
tosto si
pu presentare
anche in altre connessioni non meno
che da
solo.
Riguardo
a
ogni
tesi noi
possiamo
esercitare in
piena
libert
questa
caratteristica
epoche,
una Certa
sospensione
di
giudizio,
che
com-
patibile
con i indiscussa
e
magari
indiscutibileed
evidente, convinzionedella
verit. La tesi viene
posta
"fuori
azione", messa in
parentesi.l2
u) 121111530.
12) Haiti,
5
31.
578 Parte terza
La messa in
parentesi", l'epatite
non
n una
negazione
n una
affermazione, ma
semplicemente
la
sospensione
di
qualsiasi giudizio.
Ora,
ci su cui Husserl intende
sospendere programmaticamente
qualsiasi giudizio
l'esistenza del mondo della vita
quotidiana",
di
quel
mondo in cui credo di
vivere, un
mondo fatto di Cose con un
deter-
minato valore
per
me,
di cose con un
significato pratico,
cose
da usare e
da
manipolare.
l] filosofo
qua
ialis deve mettere fra
parentesi" queste
certezze,
deve metterle fuori
uso, quindi
non
servirsene come
punto
di
partenza
del
suo
filosofare. Dal mondo delle cose
Husserl intende riti-
rarsi al mondo della Coscienza e
delle
sue
idee. La sua
epoche
consiste
precisamente
in
questa
riduzione__fermmen0l0gica.
Ecco un
passo
in cui
I-Iusserl
spiega
lucidamente in che cosa consiste
Tepofl
Cos attuo
Yepochr fenomenologica,
la
quale, dunque,
!0
ipso,
mi
vieta
qualsiasi presa
di
posizione predicativa, qualsiasi giudizio,
nei
confronti dell'essere e
dell'essere-cos e
di tutte le modalit d'essere
dell'esistenza
spazio-temporale
del reale".
Cos io neutralizzotutte le scienze riferentisi al mondo naturale, e
per
quanto
mi sembrino solide,
per quanto
le
ammiri,
per quanto poco
io
pensi
di accusarledi alcun che, non ne
faccio assolutamenteuso.
Non
mi
approprio
di nemmeno una
delle loro
proposizioni,
anche se sono
di
perfetta
evidenza, non ne assumo nessuna e
da nessuna
di esse
ricavo alcun fondamento -
beninteso,
fintanto che
esse
vengono
con-
cepite,
come
avviene
appunto
in
queste
scienze,
quali
verit concer-
nenti le realt di
questo
mondo. Le
posso
assumere soltanto
dopo
aver loro
applicate
le
parentesi,
in
conseguenza
dei fatto che io ho
gi
sottoposto
alla modificazionedella messa in
parentesi qualunque
esperienza
naturale,
alla
quale
in definitiva rimanda
ogni
fondazione
scientifica, come a
un'esperienza
che manifesta l'esistenza. Vale a
dire,
soltanto nella modificazionedi coscienza della messa
in
parente-
si del
giudizio, dunque
non come
quelle proposizioni
che sono
Italia scien-
za,
dove reclamano una validit che del resto i0 stesso riconosco e utilizzanti
Sofia Vanni
Rovighi
osserva
giustamente
che
questa
messa in
pa-
rentesi" non
solo del mondo della vita
quotidiana
ma
anche del mondo
delle scienze non
implica
nessuna
svalutazione del
sapere
scientifico.
Husserl stesso lo esclude
espressamente
nel testo che abbiamotest rife-
rito.
Applicando Yepoch
anche a tutte le teorie scientifiche
egli
non
esprime
nessun
giudizio
sul loro effettivo valore ma
intende
semplice-
mente escludere
ogni
loro utilizzazioneteoretica in sede filosofica,
poi-
ch anche le scienze della natura fanno
proprio l'atteggiamento
naturale
nei confronti della realt. Esse accettano
ingenuamente questo
fatto,
mi n. 32.
13) ll
.,
14) Ci. S. VANNI
ROVIGHI,
Storia
dellafllusqfincontenrporaizea,
Brescia
1985,
pp.
424-425.
Fenomenologia
c
metafisica 579
senza
chiedersi
se
questo
dato sia la realt
ultima, indubitabile.La filo-
sofia, invece,
si
pone questo problema,
e
per questo sospende
inizial-
mente Yassenso
a tutto ci di cui si
pu
dubitare.
Poich
con
lflgvoclzr
tutta la realt che viene
metodologicamente
sospesa,
ne
segue
che
non sono soltanto le scienze che si riferiscono al
mondo naturale che
vengono
neutralizzare, ma anche
quella
scienza che
studia l'essere in
quanto
tale,
ossia la metafisica. La
nuova scienza che
Husserl intende elaborare fa
un
passo
indietro
rispetto
allessere:
essa non
si
occupa
dei fenomeni dell'essere bens dei fenomeni della coscienza.
Si
comprende
ora come effettivamente,
di fronte
altatteggiamento
sperimentale
e teoretico
naturale,
il cui correlato il
mondo,
debba
essere
possibile
un nuovo
atteggiamento
che, nonostante l'esclusione
dell'intera sfera della natura
psicofisica,
ci
conserva
qualcosa
di rima-
nente l'intero
campo
della coscienza assoluto. lnvece
dunque
di vivere
ingenuamente nell'esperienza
o di
indagare
teoreticamente
Fesperito,
la natura
trascendente,
compiamo
la ridn2i0ne
fenomenologico.
In
altre
parole:
invece di
compiere
in modo
ingenuo gli
atti costitutivi
della natura con le loro tesi trascendenti
(gli
atti reali
o,
secondo
una
prefigurata potenzialit, possibili
e da
realizzare), e di
passare,
attra-
verso le motivazioni in essi
immanenti, a
sempre
nuove tesi trascen-
denti, mettiamo fuori azione tutte
queste
tesi,
quelle
attuali
e, prima,
quelle potenziali,
non assecondiamole
e
dirigiamo piuttosto
il
nostro
sguardo
afferrante e teoreticamente
indagativo
sulla coscienza
pura
nel
suo essere assoluto.
Questo
ci che ci rimane
come residuo fenome-
nologico",
e rimane, sebbene abbiamo neutralizzato il mondo
intero,
con tutte le
cose, gli
esseri viventi e
gli
uomini,
compresi
noi stessbxfi
A
questo punto
il dado e tratto: Ormai Husserl e riuscito a
ritagliarsi
lo
spazio
per
una nuova scienza: la
fenomenologia
come
esplorazione
della coscienza
pura
e di tutti
gli oggetti
(essenze, idee)
che cadono den-
tro la
sua sfera.
15) Nelle Meditazioni cartesiana Husserl
precisa
che la
sua
fenomenologia
trascen-
dentale esclude
ogni
metafisica
ingenua
che abbia a che fare con le
cose in s
che sono un controsenso, ma non esclude in
generale
la
metafisica; essa non fa vio-
lenza alle istanze
problematiche
che animano interamente l'antica tradizione
moventesi tra
problemi
e metodi
errati,-
la
fenomenologia
non dice affatto che
essa si arresta di fronte ai
problemi
"ultimi e sommi". L'essere in se
primo
che
precede ogni oggettivit
mondana
e la
comprende
in
s,

Yitersoggellivit
tra-
scendentale,
la totalit delle monadi che si articola in diverse forme di
comu-
nit
(Meditazioni
cartesiana, a cura di F.
Costa, Milano
1970,
pp.
174-175).
l) E.
HussERI, ldeen, I, 5
33.
580 Parte terza
RIDUZIONE EIDETICA F RIDUZIONE TRASCENDENTALE
La coscienza
pura
nel suo essere
assoluto che Husserl circoscrive median-
te la riduzione
fenomenologica
non
d
origine
a un nuovo ramo della
filosofiada collocare tra la
logica
e
la
psicologia,
ma
diviene la nuova
fi-
losofia prima
che
prende
il
posto
dell'antica filosofia
prima
di Aristotele.
Alla
sua
filosofia
prima
Husserl d il nome
di
filosofa:fenomenologico.
Essa anzitutto un'accurata
esplorazione
della coscienza
quale
sor-
gente prima
e unica del conoscere.
Alla visione
complessiva
della essen-
za Ilusserl arriva attraverso la
pura "esperienza
interna",
la
pura
visio-
ne interna,
della coscienza in
generate.
La
coscienza,
per
Husserl, non soltanto la realt
pi
certa ma
anche
la
pi
evidente,
l'unica immediatamente evidente,
ed inoltre la realt
assoluta,
il fondamento di
ogni
realt,
perch per
esistere non
ha biso-
gno
di nessun'altra cosa:
nulla re
intiiget
ad exiSterzdJtrizJS
Con
questa
assolutizzazionedella coscienza la filosofia
fenomenologi-
ca non
pi
filosofia
prima
soltanto dal
punto
di vista
logico,
ma
anche
ontologico.
Cosi ci che Husserl ci
presenta
non
pi
una nuova
analogia
ma una
noontologia:
una
ontologia
della coscienza. Infatti,
avendo trovato
nella coscienza il
principio prnno,
dalla coscienza
egli
fa derivare
ogni
altra realt.
Egli
afferma
esplicitamente
che il mondo e "costituito" dalla
coscienza. Cosa
voglia
dire il termine costituzione" e discusso fra
gli
studiosi di Husserl. R. Sokolowski,
che ha dedicato uno
studio molto
serio a
questo argomento,
conclude che "costituire"
per
l-lusseil vuol
dire dar
significato.
Resterebbe da vedere se
"dar
significato
vuol dire
creare
il
significato, oppure
rizielarlo. Ad
ogni
modo,
la tesi che il mondo
costituito dalla coscienza
spiega
l'identit tra
ontologia
e
logica
affermata
in
Logicaformale
e
logica
trascendentale:
Yontologia
formale la scienza del-
l'ente in
generale,
di
quell'etwas
iiberhaapt
che il
soggetto logico implici-
to nel
giudizio.
Ma l'ente in
generale,
di
qualunque specie
esso sia, non
viene dal di fuori del mio
io,
ossia l'ente costituito dalla
coscienza, e
perci
le
leggi
dell'essere
(ontologia)
sono
leggi
del
pensiero (logica).
Ma
seguiamo
I-lusserl nel suo esame
della coscienza. In
questo
studio
egli distingue
due
momenti,
chiamati
rispettivamente
riduzione eidetica e
riduzione trascendentale. La distinzione si fonda sulla diversa funzione
che vi
svolge Tepoch.
Nella riduzione eidetica,
Yepoch riguarda
la
sospen-
sione del
giudizio
circa l'esistenza
dell'oggetto
reale,
onde esaminare
esclusivamente le
rappresentazioni.
Nella riduzione trascendentale,
l'epo-
ch concerne
la
sospensione
del
giudizio
su
qualsiasi
contenuto
della
conoscenza
per
concentrare tutta l'attenzionesulla conoscenza
pura.
l'7) Cf. ibid.
18)
Cf.
ibid, I, 549.
1)
Cf. R. SOKOLOWSKI,
The Formatiorz
of
IInsserFs
Cuncept of
Constititlion,
The
Hague
1964,
p.
196.
Fenomenologia
e
metafisica
581
Nel momento della riduzione
eidetica,
la
fenomenologia

applicata
all'analisi delle
rappresentazioni
viste come
pure rappresentazioni, pre-
scindendo dall'esistenza sia del
soggetto
conoscente sia
dell'oggetto
conosciuto. Per
esempio,
si studiano le
rappresentazioni
del tavolo
prese
in se stesse, senza interessarsi n alla
presenza
reale di un tavolo, n ai
processi psicologici
che hanno
generato
tali
rappresentazioni.
In altre
parole,
la riduzione eidetica consiste nel mettere fra
parentesi (epoch)
tanto
gli aspetti psicologici quanto
la materia della
conoscenza,
per
ana-
lizzaresolo le
rappresentazioni
in
quanto rappresentazioni.
Nel momento della riduzione
trascendentale,
la
fenomenologia
viene
applicata
allo studio della
conoscenza,
isolandola da
qualsiasi
contenu-
to,
da
qualsiasi oggetto
conosciuto o
voluto. Non
pi
l'esame di
quello
che
sento, conosco,
vedo
o
voglio,
ma dell'io
conoscente, senziente,
volente, ecc.
Da
questa
analisi risulta che
l'io,
in
quanto
coscienza
pura,
trascen-
dentale, si manifesta in tutti i suoi atti
(conoscitivi,
appetitivi,
volitivi,
ecc.), come intenzionalit, come
tendenza
a un
oggetto.
Uintenzionalit

precisamente questa propriet


della
conoscenza e
di tutte le
sue mani-
festazioni,
di tendere
verso un
oggetto.
Nelle ultime
opere
di Husserl Yintenzionalit diventa
l'assoluto,
la
realt
suprema,
di cui la coscienza e
le
cose
rappresentano rispettiva-
mente il
polo soggettivo
e
il
polo oggettivo.
Da ci vari studiosi di
Husserl hanno
preso argomento per
accusarlo di idealismo.
Ma, come
abbiamo
gi osservato,
per
Husserl l'io si la fonte
e
l'origine
costitutiva
dell'essere che ha
senso,
in
quanto
datore di
senso
al mondo, ma
la
sua
azione
(Leistung)
non
ha
un senso creativo
come nelldealismoclassico
di
Hegel.
Altra conferma di
questa interpretazione
viene dalla concezione hus-
serliana del
soggetto,
che
non
qualcosa
di
preesistente
che si
collega
all'oggetto
in un secondo
tempo.
Il
rapporto
del
soggetto all'oggetto
costituisce il fenomeno veramente
primo,
ed in
esso
che si ritrovano
soggetto
e
oggetto)
La svolta idealistica che flusserl
impresse
al
suo
pensiero
in Idee
per
una
fel-zomenologia
pura
raccolse
pochissimi
consensi e
imped
ai suoi
discepoli
di
creare una scuola fondata
su concetti filosoficidel loro
gran-
dissimo maestro. Cos ci che della
fenomenologia
husserliana rimase fu
lo
spirito piuttosto
che la lettera: andare direttamente alle
cose e racco-
gliere
tutte le loro manifestazioni
(fenomeni).
In
questa
versione
pi
libera la
fenomenologia
trov innumerevoli cultori
e
praticanti.
In
parti-
Z) Cf. S. VANNI
ROVIGHE, La
filosofia
di Edmmzd
Hilsscrl, Milano
1939,
pp.
164
55.,
cf. P.
VALORI,
Il nzetoaio
fenomenologico
u la
findazirvnc?
della
filosofia,
Roma
1959,
pp.
193-196.
582 Parte terza
colare
gli
esistenzialisti
(Heidegger, Jaspers,
Sartre, Marcel,
Merleau-
Ponty)
ricorsero alla
fenomenologia per
elaborare uno studio
pi
com-
pleto
della realt
umana;
ma anche molti altri indirizzi filosofici
(il
per-
sonalismo,
il
tomismo,
la filosofia dei
valori,
la
nuova ermeneutica
ecc.)
e, praticamente,
tutte le scienze umane
fecero
un uso
pi
0 meno
largo
del metodo
fenomenologico?
Invece i
discepoli pi
fedeli a I-Iusserl intesero la
fenomenologia
essenzialmente
come un
complesso
di
ontologie regionali
e
si sforza-
rono
di definire
per ogni singola regione
le essenze. Cos H. Conrad
Martius cerc di
cogliere
le
essenze
materiali del mondo
corporeo;
men-
tre E. Stein fece altrettanto
per
le
essenze
delle realt metafisiche
(Angeli
e Dio).
Per
quanto
attiene la
metafisica,
qualora venga
liberata dalla
pregiu-
dizialeidealistica,
la
fenomenologiapu
diventare
una sua
importante
e
preziosa
alleata. In
effetti,
un'accurata lettura dei fenomeni condizione
essenziale
per
procedere poi
al loro
approfondimento
metafisico.
EdithStein
VITA E OPERE
Edith Stein
nacque
a
Breslavia nel 1891. Undicesima
figlia
di
genitori
ebrei rimase orfana del
padre
a
poco
meno
di due anni. Fu educata dalla
madre all'osservanza delle tradizioni della
religione
ebraica,
alla fede in
un unico Dio e
al
rispetto
di tutte le
religioni.
Laureatasi in filosofia,
fece
parte
del
gruppo
di
fenomenologi
che si
raccoglievano
intorno a
lI-Iusserl
e ne divenne assistente assai devota e
apprezzata per
molti anni.
Convertitasi al cattolicesimo nel
1922,
entr nellOrdine carmelitano
senza tuttavia rinunciare alla
sua vocazione filosofica,
dedicandosi
spe-
cialmente allo studio di S. Tommaso.
Diede, inoltre, un
grande impulso
all'integrazione
della donna nella societ moderna. Nel 1919 aveva
inol-
trato una
petizione
al ministero
Competente
di Berlino affinch anche le
donne
potessero conseguire
la libera docenza. Nel 1933 Chiese al
papa
Pio XI di scrivere unenciclica sulla
questione
ebraica,
in
previsione
di
una
persecuzione degli
ebrei da
parte
del nazionalsticialismo.Nel 1938
si trasfer nel Carmelo di Echt, in Olanda. L nel 1942 venne
arrestata
dalla
Gestapo
e
trasferita nel
lager
di Auschwitz,
in
Polonia,
dove
pochi
giorni dopo
verr uccisa in
una camera a
gas.
L1l ottobre 1998 Edith
Stein stata
proclamata
santa da Giovanni Paolo II.
21)
Sugli sviluppi
e sulla diffusione della
fenomenologia
si veda S. ZECCHI, La
feno-
menologia,
Torino 1983,
specialmente
i
capitoli
III e VI.
Fenomenologia
e
metafisica
583
I suoi scritti
principali
sono:
Sul
problema dellempatia
(1917);
La
feno-
menologia
di Husserl
e
la
filosofia
di S. Tommaso
d'Aquino
(1929); Essere
fini-
to ed eterno (1950,
postuma);
La scienza della
croce (1950,
postuma).
HUSSERL E S. TOMMASO
Edith
Stein,
discepola
e assistente di
Husserl,
apprese
dal
suo
grande
maestro il metodo
fenomenologico
e
lo
pratico
essa stessa con successo
in tutte le
sue
ricerche filosofiche
e
teologiche. Ma,
ben
presto,
essa
fu
affascinata anche dal
pensiero dellAquinate,
che fin
per
diventare il
suo
filosofo
preferito. Raggiunse
una conoscenza cos avanzata del
suo
stile
e
del
suo
pensiero
da realizzare
una
eccellente traduzionein
lingua
tedesca di
una
delle
opere speculative pi importanti
e
pi
difficili
dellAngelico,
le
Qaaestiones dispntatae
de oeritate. Ammirava
e stimava il
pensiero
di Tommaso a tal
punto
che
ancora due anni
prima
di farsi
car-
melitana lasci
l'insegnamento, perch
era convinta
(come scrisse in
una
lettera)
che san Tommaso
non si accontenta dei
ritagli
di
tempo rispar-
miati tra i doveri
dell'insegnamento:
mi vuole tutta.
Ottima conoscitrice sia di Husserl sia di S.
Tommaso,
la Stein era
nelle condizioni ideali di fare
un raffronto tra le loro dottrine.
quanto
ha cercato di fare nel
saggio
La
fenomenologia
di Husserl e la
filosofia
di
S. Tommaso
d'Aquino.
Tentativodi
confrontofi
Secondo EdithStein c' anzitutto un
accordo sostanzialetra Husserl
e
S.
Tommaso,
nell'intento di
praticare
la
filosofia
come scienza
rigorosa:
Husserl
e Tommaso sono
profondamente
convinti che
un
logos agisce
in tutto ci che
esiste, e
che la nostra conoscenza in
grado
di
scoprire
progressivamente
una
parte e, poi,
ancora
un'altra
parte
di
questo Iogos
secondo 1a
regola
di
una
rigorosa
onest intellettuale.13 In secondo luo-
go,
entrambi
non
hanno mai dubitato del
potere
della
ragione,
e
hanno
combattuto con decisione
ogni
forma di scetticismo. In terzo
luogo,
tutti e due
sono
persuas
che il
compito
della filosofia sia
inesauribile,
sia che la filosofia
percorra
la strada della
metafisica, come S.
Tommaso,
oppure quella
della
fenomenologia,
come Husserl.
23) E.
STEIN, flusserls
Phdnotizcnologie
nnd die
Philosophie
des
heiligeir
Thomas von
Aquino.
Versuch einer
Gcgeniiberstellzltzg,
in
Festschrtft
Edmund Hasserl zum 70.
Gclmrstag, Tiibingen 1929,
pp.
315-338. Traduzioneitaliana di A. Ales
Bello,
in E.
STFIN, La ricerca della verit, dalla
fenomenologia
alla
filosofia cristiana,
Roma
1993,
pp.
61-90. Le nostre citazioni si riferiscono
a
questa
traduzione.
23) Ibid,
p.
63.
34) Ibid,
pp.
63-64.
584 Parte terza
La
fenomenologiaprocede
come se
in linea di
principio
non
ci fosse-
ro
confini
per
la nostra
ragione.
Certamente si concede che il
compito
della ricerca
fenomenologica
sia senza fine,
che la conoscenza.
sia un
processo
ininterrotto, ma essa si mette direttamente in cammino
verso
la
meta,
cio la
piena
verit,
che
come
idea
regolativa p1'escrve
\
la direzione da
seguire.
Dal
punto
di vista di
questa
filosofia non e
presa
in considerazione nessun'altra strada
per raggiunge-re
tale
scopo.
Anche Tommaso dell'avviso che
questa
sia la via della
ragio-
ne naturale;
il suo
cammino senza
fine
e ci vuol dire che
essa non
potr raggiungere
la
meta, ma
soltanto avvicinarsi ad essa
progressi-
vamente;
da ci deriva anche il carattere
necessariamente frammenta-
rio della
speculazione
umanam-
Ma le
divergenze
tra Husserl e Tommaso non sono meno
importanti
e meno
profonde
delle
convergenze.
La
prima divergenza riguarda
l'orizzonteconoscitivo e
il
potere
della
ragione.
Per Husserl l'orizzonte conoscitivo della
ragione
Lmiversale,
nulla cade fuori del suo orizzonte, e
il suo
potere
assoluto e
abbraccia
tutta la verit. La
ragione
di cui
parla
Husserl la
ragione
naturale: La
ragione
non
ha mai avuto
per
lui altro
significato
che
quello
di
ragione
naturale. Invece S. Tommaso
distingue
tra
ragione
naturale e
sopranna-
turale, e
assegna
sia alla
ragione
naturalesia alla
ragione soprannaturale
(fede)
poteri
e
orizzonti limitati. La conoscenza
naturale solo Hllfl
via.
Sono
posti
ad
essa
confini stabiliti-
o
pi
esattamente indicabilicon
pre-
cisionemh Certo la verit nella sua
totalit esiste e
c' anche
una cono-
scenza
che la
comprende
interamente:
questa
la conoscenza
divina)?
Una seconda
divergenza
ancora
pi profonda
la concezione che
Husserl
e
Tommaso hanno dell'uomo: Husserl ha
una
concezione forte-
mente
antropocentrica,
anzi
egocentrica,
mentre S. Tommaso ha
una
concezione marcatamente teocentrica. Ecco
quanto
scrive la Stein a
que-
sto
riguardo:
La via della
fenomenologia
trascendentaleha condotto al risultato di
porre
il
soggetto
come
punto
di
partenza
e mezzo
della ricerca filoso-
fica. Tutto il resto riferito al
soggetto.
Il mondo che esso
ccistruisce
nei suoi atti,
rimane
sempre
unimondo
per
il
soggetto.
Per
questa
strada non
pu
Liscire dalla sfera delfimmanenza -
come
ripetuta-
mente stato obiettato al fondatore della
fenomenologia proprio
cla
parte
della cerchia dei suoi
discepoli

per
riconquistare quelloggetti-
vit,
dalla
quale egli
aveva
pur preso
le mosse e
che
era
necessario
salvaguardare:
una
verit e una
realt libera da
ogni
relativismo
sog-
gettivo.
A causa
della diversa
interpretazione
risultante dalla ricerca
35) lhid.,
pp.
64-65.
In) una,
p.
65.
37) llid.
Fcnonzenologia
e
metafisica
585
trascendentale,
che confondeva l'esistenza
con
il mostrarsi a una
conoscenza,
l'intelletto
indagante
la verit non trover mai un
punto
fermo. E tale ricerca
prima
di tutto
perch
relativizza Dio stesso
in contrasto con
il credere.
Questo
iI
pi
aczito contrasto
fra
la
fenome-
nologia
trascendentale e la
filosofia
cattolica: Forientarnenla (eccentrico di
quest'ultima
e
quello egocentrico
zielliitrzbxl
Un terzo
punto
di contrasto
riguarda
la verit. Sia Husserl sia S. Tom-
maso
hanno
un concetto
oggettivo
della verit. Ma mentre
per
Husserl
l'unico fondamentodella verit la
coscienza, perch
la costruzione del
mondo"
dipende
da
essa,
per
S. Tommaso la
Verit,
il
principio
e crite-
rio di tutta la Verit Dio stesso.
Questo

per
Tommasoil
primo
assioma
filosofico, se si vuole cosi denominarlo.
Ogni
verit della
quale possiamo
impadronirci
deriva da Dio.29
Dopo
avere mostrato che il metodo
fenomenologico,
il
quale
non
altro che
un
processo
della
pi
acuta e
penetrante
analisi di
un materia-
le dato>>30
pu
essere
pienamente
accolto e COTIdVSO anche dai
seguaci
di S.
Tommaso,
il
quale,
di
fatto,
nella
sua
metafisica lo ha
spesso
utiliz-
zato,
E. Stein nel
capoverso
COHClUSVO riassume felicemente i risultati
della
sua ricerca in
questi
termini:
Husserl cerca lassoluto
punto
di
partenza
nella immanenza della
coscienza,
per
S. Tommaso
rappresentato
dalla fede. La fenomeno-
logia
vuol
presentarsi
come scienza di
essenze e mostrare come si
possa
costruire un mondo ed eventualmente diversi mondi
possibili
per
una coscienza
grazie
alle
sue
funzioni
spirituali;
in
questo
ambito
il nostro mondo sarebbe
comprensibile
come una
di
queste possibi-
lit; e la ricerca della sua caratteristica fattuale ceduta dalla fenome-
nologia
alle scienze
positive,
i cui
presupposti
di contenuto e
di meto-
do sono
indagati
in
quelle
ricerche delle
possibilitcompiute
dalla
filosofia. Per Tommaso non
si trattava di mondi
possibili,
ma di
un'immagine
la
pi completa possibile
di
questo
mondo;
le ricerche
di
essenza
dovevano
essere incluse come
fondamento della
compren-
sione, ma dovevano essere
aggiunti
i fatti che
sono resi accessibili
dall'esperienza
naturale
e
dalla fede. Il
punto
di
partenza
unitario,
dal
quale
deriva l'intera
problematica
filosofica
e al
quale sempre
d
nuovo essa rimanda,

per
Husserl la coscienza trasccndentalmente
purificata,
per
TommasoDio e
il
suo
rapporto
con le creature>>.31
2?) lbid.,
p.
75. Il corsivo nostro.
29) tinti,
p.
73.
3) ibid,
p.
80.
3') Haiti,
pp.
89-90.
586 Parte terza
LA RILETTURADELLA METAFISICADI S. TOMMASO
IN CHIAVEFENOMENOLOGICA
Il contributo
pi originale
della Stein alla metafisica stato il
suo
ten-
tativo di
operare
una
riletturadella metafisica di S. Tommaso servendo-
si della
fenomenologia
husserliana
concepita
come scienza di essenze.
Essa riteneva sostanzialmente valide le soluzioni dei
grandi problemi
metafisici che erano state
proposte dall'Aquinate; per,
allo stesso
tempo,
era
anche
consapevole
che
negli
ambienti accademici che fre-
quentava,
il tomismo
godeva
di
scarso
credito e
addebitava
questa
disi-
stima al
linguaggio
scolastico e
al metodo
ingenuo"
di cui si avvaleva.
Per conferire attualit al tomismo era
perci
necessario
compiere
un
lavoro di
profondo aggiornamento
sotto il
profilo
del
linguaggio
e
del
metodo, occorreva
riesprimere
nel
linguaggio
delle essenze e
dei
signifi-
cati
quanto
S. Tommaso aveva
espresso
nel
linguaggio
dell'essere, e
pre-
sentare col metodo
fenomenologicoquelle
verit che S. Tommaso aveva
scoperto
servendosi dei metodi della resolutiu e
della
compositio:
risolu-
zione
degli
effetti nelle cause e derivazione
degli
effetti dalle
cause.
Nel
suo
capolavoro speculativo,
Endliclzes und
eziviges
Sein,
la Stein dice di
volere fondere il
pensiero
medievalecon il
pensiero contemporaneo>>fi2
Logicamente,
il
quadro
metafisico che la Stein ottiene non
e
quello
del
Dottor
Angelico,
bens un
quadro analogo,
che
ne
rispecchia punto per
punto
le linee essenziali
(anche se non tutte).
Al
quadro
metafisico del-
l'essere la Stein affianca
(e
contrappone)
un
quadro
altrettanto
imponen-
te e
dettagliato, quello
della evidenziazione
fenomenologica
delle essen-
ze.
Tutto
quanto
si trova in S. Tommaso: la
materia,
la forma, l'atto,
la
potenza,
la
sostanza, l'azione, l'anima,
il
corpo,
Dio,
gli angeli,
la Trinit
ecc.
lo si ritrova anche nella
Stein, ma sotto un
profilo
diverso: della eide-
ticit essenziale
(intuizione
delle
essenze) e non,
come
in S. Tommaso,
sotto il
profilo
dell'attualit
reale,
che e l'attualit dell'essere,
lkzctus essen-
di. L'universo della Stein non e
pi quello
reale
bens, come
lo chiama
essa stessa, un universo
pre-reale,
in
quanto
costituito da
essenze,
forme,
che attendono di essere
informate. Anche la Stein studia tutte le
catego-
rie,
tutti
gli
elementi fondamentali della metafisica, ma non come
compo-
nenti della
realt,
bens come trame di
significati.
In tal modo esisa non
pu cogliere
il valore dell'essere intensivo di S.
Tommaso,
che l'elemen-
to
pi proprio, specifico
e
irrinunciabiledel suo
pensiero.
Lo sforzo della Stein
per
costruire un universo delle intenzioni (es-
senze, significati)
la induce a
prospettare
a
fianco del mondo reale un
secondo mondo,
che
pur
non
godendo
di
quella
assoluta realt che
gli
33)
F,.
STFIN,
Lltre
fini
et lltre temd, tr. fr.,
Louvain 1972,
p.
2. Successivamente
stata
pubblicata
anche la traduzione italiana,
Fssirngfinitn
e essere eterno,
Roma
1988; ma le nostre citazioni si riferiscono a
c1uella
francese.
Fenomenologia
e
nzetafisica
587
assegna
Platone,
molto simile all'universo
platonica.
Certo il mondo
ideale di Platone
ultra-reale, mentre
quello
della Stein soltanto
pre-
reale, ma si tratta
pur sempre
di
un secondo universo: l'universo delle
essenze
semplicemente
affiancato
a
quello degli
enti reali. La mancata
subordinazionedelle
essenze all'essere,
delle entit ideali
a
quelle
reali le
impedisce
di
giungere
a una
spiegazione
unitaria della realt. Nel con-
tempo spostando
dal terreno metafisico
a
quello fenomenologico
concetti
come
sostanza, esistenza,
persona,
ecc. la Stein li
sottopone
a un
grave
ridimensionamento
ontologico;
cos la sostanza finisce
per significare
semplicemente indipendenza
e
originalit;
l'esistenza
un modo di
essere
prioritario;
la
persona
il
supporto
di
una natura dotata di razionalit.
Comunque bisogna
riconoscere che nella
ricognizione
e rielaborazio-
ne
fenomenologica
del sistema metafisico aristotelico-tomistco tutto
fatto
con estrema
coerenza, e
questo
mostra una
capacit speculativa
davvero straordinaria. Per fare
un solo
esempio,
vediamo
come viene
trattato il
problema
di Dio. Fedele al
suo indirizzo
fenomenologico
che
considera la realt sotto il
profilo
essenziale e semantico
(del
significa-
to),
E. Stein risale all'essere
primo
in
quanto sorgente
delle
essenze e dei
significati;
in tal modo Dio viene colto
come
pienezza
di
senso e come
archetipo,
causa
esemplare
di tutte le essenze.
La riformulazione "eidetica"
proposta
dalla Stein
non si limita ai te-
mi
principali
della metafisica aristotelico-tomistica
ma si estende anche
ad alcuni
dogmi
fondamentali della
teologia cristiana,
in
particolare
alla
Trinit
e
agli Angeli.
Emblematica la trattazione che ella riserva
agli
angeli:
una delle
pi estese, profonde
e interessanti che siano mai state
fatte.
Come
spiega
la Stein introducendo
l'argomento dellhngelologia,
il
suo studio
non Vuole affatto
essere
teologico
o metafisico, ma
semplice-
mente
fenomenologico.
Pertanto le affermazioni bibliche
non sono
assunte, come
fanno i
teologi, quali principi primi,
architettonici della
loro
riflessione,
bens
come narrazioni emblematiche che forniscono
informazioniinteressanti
su certe
possibili
essenze.
L'essenza
angelica,
secondo lacuta analisi della
Stein,
risulta dotata
delle
seguenti propriet: indipendenza
totale dalla
materia, conoscenza
intuitiva e non astrattiva, autodominio, libert,
perfetta
unit di vita e
unit di forzafl Fin
qui
il
pensiero
della Stein coincide
perfettamente
con
quello
di S. Tommaso. C'
invece,
in
seguito,
un
punto
fondamenta-
le in cui la Stein si allontana drasticamente dal
pensiero dell'Angelico.
n)
Cf.
17nd,,
pp.
336 ss.
l) Cf. ibd,
pp.
382,
39D.
3?) CF.
ibid,
pp.
392-401.
588 Parte terza
Per
quest'ultimo gli angeli
sono
puri spiriti,
ossia forme
pure,
senza
l'in-
gerenza
di alcuna materia,
n sottile ne
pesante,
n visibilen invisibile.
Per
spiegare
la finitezza
degli angeli
Tommaso non
ha
nessun
bisogno,
come Bonaventura e Scoto,
di ricorrere alla materia:
gli
basta
concepire
l'essenza come
potenza
e l'essere come atto. Gli
angeli
sono essenze
che
non si identificanocome
Dio col loro atto di
essere,
ma ne sono realmen-
te distinte, e
rispetto
allatto si trovano nello stato di
potenza.
La Stein
che
per
principio,
con una
radicale
eiroch,
ha estromesso dal suo
oriz-
zonte
speculativo
l'essere attuale,
l'essere intensivo di S. Tommaso,
per
spiegare
la finitezza
degli angeli
ritorna alla
posizione
della scuola fran-
cescana e
afferma che tutti
gli angeli
hanno
una
componente
materiale
che
rispetto
alla forma
svolge
un ruolo
potenziale.
Che dire di
questo geniale
tentativo di
riesprimere
nel
linguaggio
della
fenomenologia
le
grandi
verit della metafisica
e
della
teologia?
Preso in se stesso,
lo si
pu
considerare un
tentativo interessante e
avvincente. La Stein
prende opportunamente
in considerazione una
importante
dimensione della realt: la dimensione del
significato,
che
uno
"strato che
avvolge
tutto l'universo,
sia
quello
noetico sia
quello
ontico. Tutto
quanto
, indipendentemente
dal suo
modo di
essere,
ha
una sua eideticit, una sua
significativit,
una sua
densit di senso.
Quale
sia
propriamente
la eideticit che consente a
ogni
cosa
di avere un
proprio
senso
la Stein ha cercato di
spiegarlo
nel suo magistrale
Endliclics und
crviges
Sein. Ma ho
l'impressione
che in tale lavoro essa
esageri
la
portata ontologica
della eideticit,
sostanzializzandoeccessi-
vamente le essenze.
La Stein ne
fa
un
mondo di sussistenze ideali, men-
tre,
trattandosi di concetti, non
possono
vantare nessuna
sussistenza: il
loro essere
consiste esclusivamente nell'essere
pensate.
Qui
il celebre
esse est
percipz"
di
Berkeley
vale indubbiamente. Perci le
essenze,
i
signi-
ficati, non
possono
affatto costituire un
mondo
autonomo,
parallelo
al
mondo dei sussistenti reali. Solo
questi
sono dotati di effettiva sussisten-
za;
mentre
quella
dei
significati
e
delle essenze solo una
sussistenza
ipotetica.
L'universo dei sussistenti reali
gode
di assoluta
priorit
su
quello degli
enti ideali. In effetti
questi
sono
possibili
soltanto
grazie
ai
sussistenti
intelligenti
(Dio,
angeli,
uomini)
che li
pensano
e
pensandoli
conferisconoloro un'esistenza ideale.
Quanto
poi
al tentativo
pur
brillante della Stein di costruire un to-
mismo
parallelo", ripresentando
le tesi fondamentali
dell'Aquinate
in
chiave eidetica, a me
sembra votato al fallimento. Infatti ci che di-
stingue
il tomismo
dalfagostinismo,
dalfavicennismo,
dallo scotismt) e
il
superamento
del
piano
delle
essenze,
per
stabilirsi direttamente nel
piano
dell'essere. Pertanto,
voler
reinterpretare
in chiave eidetica
quanto
3h) Cf. iliizi,
pp.
413-414.
Fenomenologia
e
Inetafisica
589
S. Tommaso riuscito a
scoprire
e a dire in chiave strettamente
ontologi-
ca (alla
luce del concetto intensivo di
essere) non
un'operazione
fattibi-
le. Ne abbiamo avuto una
prova
evidente esaminando la dottrina stei-
niana
degli angeli.
Tommaso ne aveva determinato
egregiamente
la
natura con la sua dottrina dellzctus esserzdi: ci che fa
degli angeli
delle
creature non un
principio
materiale
(perch
allora non sarebbero
pi
puri spiriti),
ma il
semplice
fatto che
pur
essendo
essenze
pure, prive
di
materia, restano
pur sempre
dei meri
possibili
(e
pertanto
realt creatu-
rali)
finch
non ricevono Pactus essendi. Tutta la forza
e
l'originalit
del
tomismo sta nell'essere
concepito
come atto e come atto
primario,
attua-
lit
d'ogni
altro atto. Della realt lo "strato" veramente
fondamentale,
che sostiene e sostenta
qualsiasi
altro strato"
compreso quello
eidetico
lo strato dell'essere. Rinunciare a
questo
strato
per
fare
un discorso
analogo
a
quello
di S. Tommaso dal
punto
di vista di altri strati uscire
dal tomismo: un tomismo
parallelo

impraticabile.
Oltre che
nellangelologia
la
scarsa
aderenza della Stein al tomismo si
riscontra anche nella
teologia
naturalee
nellantropologia
filosofica.
Nella
teologia
naturale nutre serie
perplessit
sulla efficacia
probati-
va delle
"cinque
vie". A
suo
giudizio queste
non sono
pi
solide e con-
vincenti della
prova
ontologica
anselmiana:
Quanti sono
gli
atei che
hanno trovato la fede
con le
prove
tomiste? Anche
queste
sono un
salto
oltre l'abisso: il credente lo
supera
facilmente;
lateo si blocca
giudican-
dolo
insuperabile?
Qui
ci sarebbero varie osservazioni da fare. La
prima
che c' una
palese incongruenza
tra
gli
obiettivi
perseguiti
dalla Stein che
sono
squi-
sitamente
fenomenologici,
e i
giudizi qui espressi,
che
appartengono
all'area della metafisica. La metafisica non
opera
sui concetti come la
fenomenologia,
ma
sugli
enti,
cio su realt concrete. Il
passaggio, per-
ci, non da concetti finiti
a un concetto infinito,
bens da enti
finiti,
contingenti, precari,
esistenti ma non
giustificativi
della
propria
esisten-
za,
allEsse
ipsum,
a colui che totalmente
essere,
che la
pienezza
del-
l'essere e
pertanto
la fonte e la causa di
ogni
esistente. Che
un concetto
infinito
(pi esattamente, un concetto
dell'infinito) non sia in
grado
di
dire tutta la realt di Dio
verissimo, e su
questo punto
la Stein ha
per-
fettamente
ragione;
ma
che
un
finito
e
contingente
non
esiga
a monte un
essere
infinito
e sussistente,
che si faccia
garante
della
sua
precaria
esi-
stenza,
questo

semplicemente
assurdo. Le
cinque
vie di S. Tommaso
sono
cogenti proprio perch
non
operano
sul
piano
eidetico ma su
quel-
lo metafisico
e,
di volta in
volta,
esibiscono tratti della
contingenza
del
creato che
sono
chiari
segni
dell'esistenza del creatore.
37) lbia,
p.
115.
590 Parte terza
La seconda osservazione che il riconoscimento di Dio
coinvolge
tutto l'uomo, e
la
semplice
evidenza
teoretica, prodotta
dalle varie
prove
dell'esistenza di Dio
(evidenza
tra l'altro non
immediata ma mediata),
certamente,
da
sola, non
basta a creare un solido e
profondo
convinci-
mento
religioso.
Le
ragioni
dell'ateismo sono
molteplici
e
possono
tra-
volgere agevolmente quella
scarsa
luce di evidenza
prodotta dagli argo-
menti elaborati dalla
ragione speculativa.
Nellentropologia
filosofica,
sempre
a motivo della sua
epoche
nei con-
fronti dellfiictus
essendi,
la Stein svuota il concetto tomisticr) di
persona,
ritornando alla definizione sostanzialistica
boeziana,
che la considera
come
supporto
di
una natura dotata di razionalit. Per S. Tommaso la
persona
ben altra Cosa: il sussistente in una natura
intelligente
o ra-
zionalefi
il
possesso
di un
proprio
atto di
essere,
che e
sempre
ci che
conferisce a Lmessenza reale
concretezza,
che fornisce a un'essenza
umana
oppure angelica
la condizione della
personalit.
Senza l'atto di
essere (artus esseizdi) nessuna sostanza, nessuna creatura, nessuna essen-
za
(neppure quella
di
Dio)

persona.

per questo
motivo che
S. Tommaso
pu
affermare che
persona
significa
ci che massimamen-
te
perfetto
nell'universo
(DEFSOIIH significa!
id
quod
est
pcijfectissitnztm
in tota
natztra).3*
I
precedenti
rilievi mettono in chiaro che
l'impresa speculativa
della
Stein indubbiamenteinteressante e
originale,
ma va
presa per
quello
che
e: una trascrizione
fenomenologica
di alcune dottrine fondamentali della
metafisica
e
del cristianesimo. Ma non e tomismo. L'universo della Stein
molto
pi
Vicino a
quello
di Platoneche
a
quello
di S. Tommaso.
Martin
Heidegger
VITA E OPERE
Martin
I-Ieidegger nacque
a Messkirch,
nel
Baden,
da
genitori
di fede
cattolica,
il 26 settembre 1889.
Compi
i
primi
studi a Costanza e a
Friburgo
dove
consegu
la maturit. A
Friburgo,
nel 1909,
si iscrisse
all'universit,
dove
insegnava
allora Rickert.
Frequentava
intanto oltre
che le lezioni di
filosofia,
anche
quelle
di
teologia,
di
matematica,
di
scienze naturali, e
di storia. Nel 1913
consegu
la laurea con
la disserta-
zione: Die Lchrr "anni Llrfcil m:
Psychologismus
in cui
prende posizione
contro lo
pscologismo,
insistendo sul fattore
atemporale, per
cui il
mon-
do della
logica
si
distingue
da
quello
della
esperienza
vissuta. Due anni
35) Ct. S. Toiwxiasr), C. G. lv,
35.
3) 1).,
S. Tli.
l, 23,
3.
Fenomenologia
e
metafisica
591
pi
tardi
(1915)
consegue
l'abilitazione
allailiberadocenza con la disser-
tazione Die
Kategorien
zmd
Bedeutungslehre
des Dims
Scotas,
nella
quale,
pur
nella
impostazione logico-gnoseologica
dei
problemi riguardanti
le
categorie
nel
pensatore
medievale,
rivela un interesse metafisico che
tende al
recupero
di
posizioni extralogiche,
e un concreto avvicinamento
ai
problemi
dell'esistenza.
Nel marzo del 1916
Heidegger
diventa assistente di
Husserl,
allora
professore
alla facolt di filosofiadi
Friburgo.
Inizia cosi un
periodo
di
intensa
collaborazione,
durante il
quale Heidegger
tiene numerosi corsi
e seminari: su Kant,
sulla
logica
di
Aristotele, su Ficbte,
sulla mistica
medievale, su
Agostino
e
il
Neoplatonismo;
nonch
numerose
esercita-
zioni sulle Ideen. e sulle
Logisctie Untei/sartiaiigen
di Husserl.
Nel 1923 diviene
professore
a
Marburgo.
Fra il 1923 e il 1927 tiene
corsi e seminari sul
Sqfista
di
Platone, su Aristotele, Cartesio,
Hegel,
sulla storia del concetto di
tempo, sullbntologa
medievale.
Dopo
una
lunga gestazione
durata oltre
un decennio,
nel 1927
pubblica
la sua
opera pi importante:
Seiiz una Zeit
(Essere e
tempo).
Secondo i
piani
originari quest'opera
doveva constare di tre
parti,
ma
la seconda e
la ter-
za non vedranno mai la
luce, a causa
di una
profonda
svolta
(Kehre)
del
pensiero heideggeriano.
Nel 1928 fu chiamato
a sostituire Husserl alla cattedra di filosofiadel-
l'universit di
Friburgo.
Di
questa
stessa universit nel 1933 fu nomina-
to rettore
magnifico.
Nellassumere l'incarico
Heidegger pronunci
un
discorso che
venne
interpretato
come
uifaperta
adesione al nazismo.
Caduto
per
in
disgrazia per
motivi non chiari,
rassegne
le dimissioni
da rettore. Nel 1944 dovette
interrompere
anche
l'insegnamento per
essere arruolato nell'esercito. Non
potr riprendcrlo
che nel 1952 a causa
del divieto
posto
dalle forze
d'occupazione
alleate. Mor nel 1976.
Negli
ultimi anni una
pi
sicura documentazioneintorno all'adesio-
ne di
Heidegger
al
nazismo,
da lui mai
ritrattata,
ha dato
luogo
a
giudizi
assai severi nei confronti del
suo rigore
morale. Ci che
inquieta mag-
giormente
a
questo proposito
la riluttanzae
l'incapacit
del
filosofo,
dopo
la fine del
regime
nazional-socialista,
ad ammettere anche
con ima
sola
frase
il
suo errore
gravido
di
conseguenze
(I. l-Iabermas).
Le sue
opere principali,
oltre Essere e
tempo,
sono: Che cos' la
metafisi-
ca (1929);
L'essenza del
fondamento
(1929);
Kant e il
problema
della
nzetafisica
(1929);
introduzimie alla
metafisica
(1935);
La dottrina
platonica
della zierit
(1942);
L'essenza della verit
(1943);
Lettera saliumanesinizo
(1947);
Sentieri
interrotti
(1950); In cammino verso
il
linguaggio
(1959);
Nietzsche
(1961).
592 Parte terza
IL RITORNO DELLA METAFISICA
La metafisica stata costantemente al centro
degli
interessi
speculati-
vi di
Heidegger.
Come
gi emerge
dai titoli delle
sue
opere, quasi
tutta
la sua vasta
produzione
letteraria
riguarda
la
problematica
dell'essere.
Due
opere
studiano la natura e i
compiti
della
metafisica, mentre altre
opere esplorano
l'essenza del
fondamento,
i
rapporti
dell'essere con
l'ente, e in modo
particolare
con l'uomo,
nonch i
rapporti
dell'essere
col
tempo,
con la verit e con
il
linguaggio.
Dopo
Kant nessun altro filosofo moderno si
prodigato
con tanta
passione
a
favore della metafisica come
Heidegger;
ma mentre Kant non
aveva mostrato nessun interesse
per Yontologia
e aveva
prestato
atten-
zione soltanto alle metafisiche
speciali
(anima, mondo, Dio),
Heidegger
riconduce la metafisica al
suo
compito primario:
lo studio dell'essere.
Il
problema
dell'essere
problema
di
capitale importanza,
su cui non
hanno mai cessato di dibattere i metafisici di tutti i
tempi:
da
Parmenide,
Platone, Aristotele, Tommaso, Scoto,
Suarez fino
a
Hegel
e Rosmini. Gi
Platone
parlava
di una
gigantesca battaglia
sull'essere>>.4
questa
gigantesca battaglia
che
Heidegger
intende riaccendere
dopo
secoli di
oblio dell'essere. Scrive
Heidegger
nel
paragrafo
di
apertura
di Essere
e
tempo:
Bench la rinascita della "metafisica" sia considerata una
conquista
del nostro
tempo,
tuttavia il
problema
dell'essere
purtroppo
dimen-
ticato. In tal modo si continua nellllusonedi
potersi
sottrarre a una
nuova e necessaria
gigantomachia
intorno all'essere.
Eppure
la
questio-
ne
in
oggetto
non ha nulla di arbitrario. Essa ha
agitato
il
pensiero
filosofico da Platone ad Aristotele come il
problema
tematico di
un'effettiva ricerca. Anche
se l'istanza successivamente
tacque, quan-
to essi
raggiunsero perdur
nei secoli fino alla
logica
di
Hegel,
attra-
verso
rifacimentie "rammodernamenti". E ci che
quell'antico supre-
mo sforzo del
pensiero
riusc allora a
strappare
ai
fenomeni,
sia
pure
in forma frammentariae
primitiva,
ora
del tutto trivializzatom
Per ridare
prestigio
alla metafisica e
ricondurla al suo
nobilelavoro
occorre
anzitutto riscattare il concetto di
essere,
un concetto che
presso
i
greci
(Parmenide, Platone, Aristotele) aveva una enorme
pregnanza
semantica, e
che
poi,
da Scoto a
Hegel, passando
attraverso Suarez e
Kant, aveva
subito
un continuo,
gravissimo depotenziamento
fino a
diventare il
pi povero
e vuoto di tutti i
concetti,
privo
di
ogni
contenu-
to e
quindi equipollente
al nulla. Si dice:
quello
di essere il
pi
uni-
40) Platone usa le
espressioni: Qqlzigantoirzachiaperi
tcs ousias"
(Soph.
246 e);
"ghigan-
tomachia
peri
tou ontos (Test. 179 d).
41) M. HEIDEGGER,
Essere e
tenzpo,
tr. P. Chiodi, Bocca,
Milano
1953,
p.
13.
Fenomenologia
e
nzetafisica
593
versale e vuoto dei concetti
e,
come tale,
contrario a un
qualsiasi
tentati-
vo
di definizione;
in
quanto
universalissimo, e
quindi
indefinibile,non
abbisognaneppure
di definizionealcuna. Tutti lo usano e
comprendono
ci che
significa.
In tal modo ci che
agito
con
la sua oscurit la filosofia
antica si muta nella
pi
solare delle evidenze,
sicch colui che
tutt'og-
gi
lo fa
oggetto
di ricerca Viene accusato di
ingenuit metodologicawl
Di fatto
per
a
proposito
del
problema
dell'essere non
solo non
possew
diamo la soluzione, ma
il
problema
stesso oscuro e
aggrovigliatom

quindi
necessario
riprendere
il
problema
da
capo
e
impostare
final-
mente unautentica
posizione
del
problema>>xl4
ILMETODO FENOMFNOLOGICO
La scelta del metodo,
di un
buon metodo di
capitale importanza
per
tutte le scienze. Infatti, una
ricerca
per
sortire un
buon esito dev'es-
sere
condotta con
metodo. La
questione
del metodo era stata una
delle
pi
dibattute dai
moderni:
scienziati e
filosofi avevano
fatto a
gara per
proporre
nuovi metodi.
In metafisica,
sin dai
tempi
di Platone e Aristotele,
esistevano due
metodi:
quello
dallalto o
compositivo,
che scende dalle Idee,
dai
prin-
cipi,
dalle
cause,
dallUno, verso il basso: il
mondo,
la materia; e
il meto-
do "dal basso o risolutivo,
il
quale
dal mondo sensibile,materiale, con-
tingente,
finito sale verso
il
Principio primo
(il
Motore immobile, Dio).
Alluno o all'altro di
questi
due metodi si erano
affidati tutti i metafisici
sino a Kant: al metodo dall'alto i
seguaci
di
Platone; a
quello
dal basso i
seguaci
di Aristotele.
Un nuovo metodo,
che non
procedeva pi
n dall'alto,
n dal basso,
era stato introdotto da Husserl.
Questi, come
sappiamo,
aveva messo
tra
parentesi"
e
neutralizzatoil mondo naturaledella coscienza ordina-
ria, e di
conseguenza
aveva
anche
sospeso
la metafisica, e
per
lo studio
delle essenze aveva
introdotto il metodo
fenomenologico.
Di
questo
metodo Husserl aveva
fatto
un uso
trascendentale: se ne era
servito
per
elaborare una
scienza della coscienza.
Heidegger
fa suo
il metodo del
maestro ma ne
fa
un uso
completamente
diverso: ci su
cui intende far
luce la sua fenomenologia
non e la
coscienza,
bens l'essere. Cos
egli
trasforma la
fenomenologia
trascendentale di I-Iusserl in
fenomenologia
ontologica. Permangono comunque, pur
nel rovesciamento
(per
certo
verso: una vera
rivoluzione
copernicana)
della
fenomenologia
husserlia-
na
da
parte
di
Heidegger, importanti punti
di contatto e
di sutura tra
42) lbid,
p.
14.
43) IbicL,
p.16.
44)
lbid.
594 Parte terza
Husserl e
Heidegger:
entrambi si
pongono
al di
qua"
dellidealismo
e
del
realismo,
malgrado
la
componente
certo
prevalentemente
soggettivi-
stica
(e
quindi implicitamente idealistica) del
primo,
e
oggettivistica
(implicitamenterealistica)
del secondo.
Contro tutto l'indirizzo
soggettivistico
della filosofia
moderna,
la fe-
nomenologia
intende dare nuovamente la
voce
all'oggetto,
al fenomeno:
essa vuol far
parlare
i fenomeni. La
parola
ai fatti stessil. Scienza dei
"fenomeni"
significa: un movimento conoscitivo verso i
propri oggetti
tale che tutto ci che intorno ad essi viene in
discussione,
debba
essere
trattato in
un
diretto far vedere e in
un diretto d-TT'I()SI'BI'G>>_45
Il fenomeno in
questione
nel caso della
fenomenologia ontologica
e
l'essere.
questa
misteriosa
realt,
sempre presente
ovunque
e tuttavia
sempre
occulta, a cui
Ileidegger
intende cedere la
parola
per
consentirle
di manifestarsi. Ecco
un
passo
di Essere
e
tempo
in cui
egli
espone
lucida-
mente i suoi obiettivi:
Che cos' che la
fenomenologia
deve "lasciar vedere"? Che cos' che
in
un senso
specifico
deve
essere detto fenomeno"? Che cos' ci che
si rivela
come tema necessario di
un
esplicito
mostrare? Evidentemente
ci che
anzitutto e
per
lo
pi
non si
manifesta; ci che, in
contrappo-
sto a ci che anzitutto e
per
lo
pi
si
manifesta,
nascosto, ma tuttavia
tale da
appartenere
a ci che innanzitutto
e
per
lo
pi
si manifesta
in
quanto
ne
esprime
il
senso e il fondamento.
Ma ci che nel
senso vero e
proprio
della
parola
rimane
nascosto,
oppure
ricade di bel
nuovo nel
coprimento
e si manifesta
come "con-
traffatte", non
questo
o
quellente.
Esso
pu
essere cos
profonda-
mente
coperto
da venir dimenticato
e da far cadere il
problema
circa
il
suo senso. La
fenomenologia comfprende" tematicamente, come
suo
oggetto,
ci che in
un senso
preciso esige
di divenire fenomeno
proprio
in base alla
sua consistenza contenutiva.
La
fenomenologia
il modo di
raggiungere
e di determinare di-
mostrando ci che deve
esser costituito a tema
dellbntologia.
Lonto-
logia

possibile
solo
come
fenomenologia.
Il concetto
fenomenologi-
co di fenomeno intende
come automanifestantesi l'essere
dell'ente,
il
suo
senso,
le sue modificazioni
e i suoi derivati. E Yautomanifestarsi
non niente di arbitrario
e tanto meno
qualcosa come un
semplice-
apparire.
L'essere dell'ente
non
pu
minimamente
essere
qualcosa
dietr0" il
quale
stia
ancora
qualcos'altro
"che
non
appare.
"Dietro" i fenomeni della
fenomenologia
non ci
pu
assolutamente
essere null'altro. Tuttal
pi
ci
pu
essere nascosto
qualcosa
che deve
divenire fenomeno. E
proprio perch
i
fenomeni, innanzitutto
e
per
lo
pi,
non sono dati, si rende necessaria la
fenomenologia.
Il concetto
opposto
di fenomeno"
"esser-copertoWfih
45) Haiti,
p.
45.
l) finii,
p.
46.
Fenomenologia
e
tizetqfisica
595
La
questione
dell'essere,
secondo
Heidegger,
ha
un
duplice primato:
ontologico
e ontico. ll
primato ontologico,
come
primato dell'intelligenza
dell'essere
(ente-logico),
risulta evidente dalla
sua radicalit di fronte a
ogni
altro
sapere.
Tutte le
discipline
scientifiche, nello stesso loro
prodi-
gioso
crescere in estensione e
in
profondit,
e
anzi
proprio per questa
crescita, stanno attraversandouna crisi del loro fondamento
(Grundiagertkrsfs).
La
questione
sull'essere la condizionea
priori
della
possibilit
di tutte
le scienze.
Il cercare
ontologico
certamente
pi originario
del cercare ontico
proprio
delle scienze
positive.
Esso rimane tuttavia
ingenuo
e intra-
sparente
se le sue
indagini
intorno all'essere dell'ente lasciano indi-
scusso
il
senso dell'essere in
generale.
E
proprio
il
compito ontologico
di una
genealogia
delle diverse
possibili
maniere di
essere, genealo-
gia
da costruirsi non deduttivamente,
abbisogna
di una
precompren-
sione di ci che noi intendiamo
propriamente
con
l'espressione
"esse
re". ll
problema
dell'essere tende
quindi
non solo alla determinazione
delle condizioni a
priori
della
possibilit
delle scienze che studiano
l'ente in
quanto
ente cos e cos e
che
perci
si muovono
gi sempre
in
una
comprensione
dell'essere, ma bens anche alla determinazione
delle condizioni della
possibilit
delle
ontologie
che
precedono
e
"fondano" le scienze ontiche.47
Il
prinmto
cantico della
questione
dell'essere risulta dal fatto che la
comprensione
dell'essere una
determinazione dell'essere dell'Esserci
(Dasein).
La caratteristica ontica dell'Esserci consiste nel suo esser-onto-
logico>>.48
Esserci
(Dasein)

l'espressione
che
Heidegger
ha introdotto
per designare
l'uomo,
il
quale
non
l'essere, ma u_n essere-l, un essere
delimitato, definito, circoscritto nello
spazio
e nel
tempo.
L'esistenza
(Existenz) il
rapporto
caratteristico dell'uomo all'essere: L'essere a cui
l'Esserci
pu rapportarsi
in un
modo o nell'altro e cui
sempre
in
qualche
modo si
rapporta
lo chiamiamo esistenza.4? L'esistenza
pu
essere
guar-
data nella
mera
individualit
ontica,
la
quale
detta esistentiva (existen-
tiell), ma
pu pure
essere
guardata
nella sua
intelligenza
come
compren-
sione della struttura dell'esistenza e nel
complesso
delle strutture e allo-
ra si ha Yesistenziale
(Existenzial).
Uanaliticadella esistenzialit
non
pu
venire caratterizzatada
un'intelligenza
esistentiva ma esistenziale:
per-
ci
l'antologia fondamentale,
dalla
quale possono sorgere
tutte le
altre,
dev'essere cercata nellflznzilitictlesistenziale cielflssercim
47) lbiz,
p.
22.
4*) lbid.,
p.
23.
49)
lbid.
5) lbicL,
p.
24.
596 Parte terza
Di fatto della
fenomenologia Heidegger
fa
un
duplice
uso. Il
primo
uso
quello
di Essere e
tempo,
dove
egli
si serve del metodo fenomenolo-
gico per esplorare
accuratamentel'Esserci
(l'uomo)
in tutto le sue mani-
festazioni sia razionali sia
irrazionali,
sia emotive sia
cognitive,
e
per
far
luce sui
rapporti
del Dasein con
il
Sein,
rapporti
di
cura, preoccupazione,
angoscia.
Questo
e l'uso esistenziale. Il secondo uso
che ha
luogo dopo
la
grande
svolta
(Kehre), e che
gi
in atto in Introduzione alla
nretafisira,
ha di mira direttamente l'essere. La
fenomenologia
diviene
esplicitazio-
ne dell'essere: il
mostrarsi, rivelarsi,
epifanizzarsi
dell'essere
negli
enti.
Questo
e l'uso
propriamenteontologico.
DANAUHCA ESISTENZIALE ostuEsssnci (UOMO)
Far
parlare
l'essere attraverso l'uomo, l'Esserci,
l'obiettivodi Essere
e
tenzpo.
L'uomo, infatti, come si
visto,
ha
una
Straordinaria intimit
con l'essere: attraverso il
suo essere l'essere stesso
gli

aperto. Egli
si
interroga
sull'essere,
interroga
l'essere e vive la
questione
dell'essere co-
me un suo
personale problema.
Heidegger
ritiene che
questa posizione
di
privilegio spetti
all'uomo,
perch
l'uomo non un ente
qualsiasi
ma un ente che ha
con l'essere un
rapporto singolare.
Questo ente caratterizzato dal fatto che attraverso il
suo
essere,
l'essere stesso
gli
e
aperto.
La
comprensione
dell'essere
e,
nel
contempo,
una
determinazionedell'essere dell'uomo.51
L'uomo
e,
pertanto,
la
porta
di accesso dell'essere.
Per,
per
arrivare
a vedere l'essere attraverso l'uomo,
necessario far s che la nostra
conoscenza
dell'uomo sia scevra
da
ogni
errore.
Per essere sicuri di
questo
occorre mettere tra
parentesi
tutto
quello
che la
filosofia,
la
psicologia,
la
storia,
Yetnologia,
la
religione,
ecc. ci
dicono dell'uomo. Dobbiamo
applicare l'epatite?
a tutte
queste
informa-
zioni e Cominciare da
capo
lo studio dell'uomo.
I-Ieidegger applica
allo studio dell'uomo il metodo
fenomenologico:
parte
dall'uomo di fatto, lascia che l'uomo si manifesti,
tale
quale,
e cer-
ca
di
comprenderne
il manifestarsi.
Nella sua
indagine antropologica, egli
scopre
nell'uomo alcuni tratti
fondamentali caratteristici del
suo
essere,
che chiama esistenziali.
Il
primo
e
quello
di essere-riel-moizdo. Per "mondo"
Heidegger
non
intende la
natura,
nell'insieme
degli
esseri
materiali,
bens la cerchia di
interessi,
di
preoccupazioni,
di
desideri,
di
affetti,
di
conoscenze,
in cui
l'uomo si trova
sempre
immerso. Per
questo
suo
trovarsi
sempre
collo-
cato in una situazione
lleidegger
chiama l'uomo
Dasein,
esserci.
51) lbia,
p.23.
Fenomenologia
e
metafisica
597
Uessere-nel-mondo,
il trovarsi in
una situazione,
in
una
cerchia di
affetti
e
di interessi una caratteristica fondamentale
dell'uomo, ma non
la
pi importante.
L'uomo, infatti, non
legato
alla situazione in cui si
trova, ma
aper-
to a
diventare
sempre
qualcosa
di
nuovo. Anzi,
la stessa situazione
pre
sente determinata da
quello
che l'uomo intende fare nel futuro:
molto,
se non tutto
quello
che fa
oggi,
lo fa in vista di
quello
che vuole essere
domani.
Heidegger
chiama
questa
caratteristica dell'uomo di
essere
fuori di
s,
davanti a s,
nei
propri
ideali,
nei
propri piani,
nelle
proprie possibi-
lit,
esistenza.
Ora,
poich
l'uomo si
comprende
dalla sua esistenza,
dalla sua
pos-
sibilitche
gli

propria
di
essere o no se stesso>>,52 Heidegger
afferma
che
l'essenza,
cio la
natura,
dell'uomo consiste nella sua esistenza.
ll terzo esistenziale e la
temporalit.
L'uomo un esistente
perch

legato
essenzialmente al
tempo.
Questo
fa s che
egli
non
riposi
nell'es-
sere,
ma
che nel suo vero essere
egli
si trovi
sempre
oltre se stesso,
nelle
sue
possibilit
future. E in
questo
senso l'uomo e
futuro.
Per,
nell'attua-
re
queste possibilit, egli parte sempre
da una situazione di fatto in cui
si trova
gi,
e in
questo
senso stato. ln
quanto,
infine,
deve far
uso
delle
cose che lo
circondano,

presente.
Alla
temporalit spetta
la funzione di unificare l'essenza con l'esi-
stenza: La
temporalit
rende
possibile
l'unit di
esistenza, essere di
fatto ed
essere decaduto, e
perci
costituisce
originariamente
la totalit
delle strutture delluomo.53
Alle tre "stasi"
temporali (passato,
futuro
e presente) corrispondono
nell'uomo tre modi di conoscere: il
sentire,
l'infermiere e
il discorrere.
Mediante il sentire in comunicazionecol
passato;
mediante l'infermiere
in comunicazionecol
futuro, con le sue
possibilit;
mediante il discorrere
in comunicazionecol
presente.
Tra i due
primi
esistenziali,
essere-nel-mrmdi) ed
esistenza,
c'
aperto
contrasto: l'uno incatena l'altro al
passato,
l'altro lo
proietta
Verso il
futuro. A seconda che l'uomo si lasci
guidare
dal
primo
o dal secondo la
sua Vita sar inautenticao autentica.
Conduce
una ruta inautentica
o barmlechi si lascia dominare dalla
situazione, dallessere-nel-rnondo,
dalla "cura"
per
le
cose. Nell'esisten-
za inautentica l'uomo si serve
delle
cose,
il cui carattere essenziale e
lmutilizzabilit",ne
progetta
l'uso attraverso la
scienza,
stabilisce
rap-
52) lbid,
p.
55.
s3) non,
p.
32s.
598 Parte terza
porti
sociali con
gli
altri
uomini, ecc.,
ma i
rapporti
con
gli
altri si fanno
anonimi nella
chiacchiera;
l'aspirazione
a
sapere
si vanifica nella
Cirriosit;
Pindividualitdelle situazioni sfuma
nellfleqitizioco.
Nella vita nautentica
chi detta
legge
la
massa (das Man):
sappiamo quello
che
sa la
massa,
ci
divertiamo
come si diverte la
massa, giudichiamo
di
letteratura,
di
arte,
di
sport,
ecc. come
giudica
la massa. E noi ci sottomettiamo volentieri
alla
legge
della
massa,
osserva
Heidegger, perch
essa ci libera dalla
responsabilit
di
essere noi stessi
responsabili
di
assumere noi stessi l'i-
niziativa,
di
prendere
una decisione: nella vita
quotidiana

gi
tutto
deciso.
Conduce invece una zitta autentica chi
se Tassume come
propria,
se
la
forgia,
se la costruisce secondo
un
proprio piano.
Autentica la vita di
chi sente
l'appello
del
futuro,
delle
proprie possibilit.
E,
poich
fra le
possibilit
umane
quella
estrema la
morte,
vive autenticamentesolo
colui che conduce la sua esistenza in vista della
morte,
in vista della
possibilit
di
non esserci
pi.
Secondo
Heidegger
la morte
appartiene
alla struttura fondamentale
dell'uomo,
un esistenziale; non una
possibilit
lontana ma costante-
mente
presente.
Lessere
sempre consegnato
a
questa possibilit,
al di
l della
quale
non ne
ha
pi
altre. La
possibilitpi propria,
non
relati-
va e non
oltrepassabile
dell'uomo,
la morte:
egli
non se
la
procura p0-
steriormente nel corso della
vita, ma
appena
comincia a esistere
gi
gettato
in
questa possibilit>x54
Nella morte l'uomo
conquista
la totalit della sua
Vita. Finch
essa
non arriva,
all'uomo
manca ancora
qualche
cosa che
egli pu
essere e
sar. Ci che
ancora non c' la fine: anch'essa
appartiene
alle
possibi-
lit delYEsserci. l'estrema
possibilit
che limita
e
determina la totalit
del suo essere.
L'uomo diventa
consapevole
della
sua
soggezione
alla morte nella
angoscia,
che e un'altra
disposizione
fondamentale del
suo essere.
L'uomo non
pu
sottrarsi
alfangoscia.
Se lo
volesse,
significherebbe
che
egli
Vuole nascondere
e
negare
il carattere finito del
suo
essere,
recla-
mando uifinfinituciineche
non
gli compete.
Heidegger,
con Simmel
e altri,
chiama la morte
principimii
individuatio-
ZS,
il
principio
formale della vita umana: come il frutto tenuto insieme
dalla buccia che lo
limita, cos anche la vita umana diventa un tutto solo
mediante la morte che la
limita,
la
informa,
la
preserva
dallo
snaturarsi,
dallo
sfigurarsi.
Solo la morte
permette
all'uomo di
essere
compiuto.
54) 112121.,
p.
275.
Fenomenologz
e
nzetafisica
599
ILRICONOSCIMENTO DELLA FILOSOFIA
L'essere nell'uomo e essenzialmente
legato
alla
temporalit e, perci,
sfocia inevitabilmentenel nulla. Cos lo studio dell'essere condotto in
Essere e
tempo
attraverso l'Esserci finisce in un
vicolo cieco. Ci che viene
alla luce non affatto
l'essere, ma
la totale
precariet
del suo
specchio,
l'Esserci; e
l'analisi esistenziale anzich svelare l'essere finisce
per
occul-
tarlo
completamente.
Attraverso l'Esserci l'essere non
Viene svelato ma
celato. A
questo punto
Heidegger
si
accorge
di
aver
sbagliato
strada.
Occorre
operare
una
inversione totale, una Kelzre, una
svolta
completa.
Occorre abbandonare la
fenomenologia
esistenziale
per
dare il Via a una
autentica
fenomenologia ontologica.

quanto
Heidegger
ha cercato di
fare
negli
scritti
posteriori
a Essere e
tempo,
a
partire
da Introduzione alla
nzetafisica,
del 1935.
Questo saggio,
a
parere
di
Vattimo,
occupa
una
po-
sizione centrale e
peculiare
nello
svolgimento
del
pensiero
di
Heidegger,
posizione
che risulta confermata se si
passa
dalla collocazione
cronologi-
ca
all'esame del contenuto. Gran
parte
dei temi che costituiscono la suc-
cessiva
speculazione heideggeriana
fino
agli
anni
pi
recenti sono
infatti
chiaramente annunciati e
affrontati nella
Eirzfiihrung,
tanto
che
essa
si
pu
a buon diritto collocare accanto a Sein una Zeit come
seconda
opera
chiave
per
la
comprensione
dell'intero suo
pensiero>>.55
In Introduzione alla
metafisica I-Ieidegger
inverte la direzione,
che
non
era stata soltanto
sua,
bens
quella
di tutta la metafisica occidentale; non
pi
dall'ente (Fessente) all'essere, ma
dall'essere all'ente. L'essere il
punto
di
partenza,
il fondamento,
la
sorgente
da cui tutto discende.
Gli enti o
essenti sono
le
parole,
che allo stesso
tempo
dicono e
legano
l'essere, e
perci
allo stesso
tempo
lo svelano e lo occultano. In
questo
modo
Heidegger
ritiene di
sfuggire
alla
trappola
in cui -
a suo
avviso
-

caduta tutta la metafisica


(greca,
cristiana e moderna),
che assumendo
come
punto
di
partenza questo
e
quell'ente, questa
o
quella
modalit
dell'essere, non era mai riuscita a
oltrepassare
l'orizzonte
degli
essenti
ossia l'orizzonte della fisica
e
finiva
regolarmente
nella identificazione
dell'essere con
l'Ente
supremo.
Pertanto il cammino che
Ileidegger percorre
in Introduzione alla meta-
fisica
non

pi quello
della metafisica (che
ha
portato
all'oblio dell'esse-
re),
bens
quello
della
fenomenologia
e
della
storia, o
meglio
della feno-
menologia
attraverso la storia della
comprensione
dell'essere nella cul-
tura occidentale. Solo la
storia,
secondo
I-Ieidegger,
riconducendoci alle
origini dell'apparizione
dell'essere
pu
dischiuderne l'essenza. Scrive
Heidegger
a
questo proposito:
i-i) G. VATTIMD,
"Presentazione" di M.
HEIDEGGER,
HIFGCLIZIDHL alla
metafisica,
tr. di
G. Masi,
Milano 1979,
p.
6.
600 Parte terza
Ci
accingiamo
al
lungo
e
gravoso compito
di
riportare
alla luce
un
mondo nel
frattempo
invecchiato; onde
veramente,
vale
a
dire storica-
mente, rinnovarlo, ci necessita di
conoscere la tradizione. Dobbiamo
cercare di
sapere
di
pi,
e in maniera
pi rigorosa
e
impegnativa: pi
di
quanto
si
sapesse
in
qualsiasi
altra
epoca
0
precedente
rivoluzione
di
pensiero.
Solo il
sapere pi
radicalmentestorico
pu permetterci
di
intendere il carattere insolito dei nostri
compiti
e
garantirci
contro il
nuovo avvento di
una restaurazione
pura
e
semplice
e di
una sterile
imitazione.56
Per
riportare
alla luce l'essere nella
sua nativa
sorgente,
secondo
Heidegger
occorre districare
e srotolare
(eri twinden) tutta Vintricata
ma-
tassa che la metafisica occidentale ha
avviluppato
intorno
a
lui.
Questa
operazione
viene condotta esaminando le
quattro principali
delimitazio-
ni che l'essere ha
assunto nel
pensiero
occidentale
a
partire
dalla filoso-
fia
greca: apparire,
divenire,
pensare,
dovere.
Queste
quattro
delimita-
zioni, a
giudizio
di
Hcidegger,
non sono
affatto casuali:
Quanto
attra-
verso di
esse viene mantenuto in
uno stato di
separazione
ha
una ten-
denza
originaria
a
raccogliersi
in unit.
Queste
distinzioni hanno dun-
que
una loro necessit>>fi7
Introduzione alla
nzetafisica
consta di
quattro capitoli
che trattano
rispettivamente
di:
1)
la domanda metafisica
fondamentale; 2)
gramma-
tica ed
etimologia
della
parola "essere"; 3) la domanda sulla
essenza
dell'essere; 4)
la limitazione dell'essere.
Qui
noi daremo
un breve
reso-
conto dei
capitoli primo
e
terzo,
che
sono indubbiamentei
pi
interes-
santi
e
pi importanti
per cogliere
i nuovi
sviluppi
della
fenomenologia
ontologica heideggeriana.
La
domanda metafisicafondamentale
Questo
il titolo che lo stesso
l-Ieidegger
d al
primo capitolo.
E la
domanda metafisica fondamentale il famosissimo
interrogativo
che
gi
Leibniz si era
posto:
Perch vi
,
in
generale,
Passante
e non
iI 1mila?
Questa
la domanda metafisica
per
eccellenza
e
gode
su
qualsiasi
altra domanda di
una
triplice priorit:
in ordine
all'ampiezza:
" la
pi
vasta";
in ordine alla
profondit:
" la
pi profonda";
in ordine
all'origine:
" la
pi originaria". Uinterrogativo riguarda
tutti
gli
enti senza nessu-
na distinzione: In
ragione
della
sua
portata
illimitata tutti
gli
enti
per
essa si
equivalgono.
Perci
bisogna
evitare di
porre
in
primo piano
un
ente
particolare,
anche l'uomo
(...).
Non sussiste
nessun motivo
perch,
per
entro l'essente nella
sua totalit,
si debba
porre
in
primo piano quel-
56) M.
HEIDEGGER, Introduzione alla
THCflfiSCH, cit.,
pp.
134-135.
57) Ilzid,
p.
204.
Fenomenologia
e
metafisica
601
Yessente chiamato
uomo,
alla cui
specie
noi stessi
per
caso
appartenia-
mo
(pp.
15-16).
La domanda metafisica fondamentale,
gi singolare
in se stessa, assu-
me
Capitale
e Vitale
importanza per
colui che la solleva: un evento nella
sua
esistenza. L'evento consiste in un salto,
che
comporta
l'abbandonodi
tutte le
precedenti certezze;
ma si tratta di
un
salto
singolarissimo,
che si
esplica pi
in maniera
passiva
che
attiva,
un
salto
originario
(Ur-
sprimg).
La domanda metafisica non szitsccttbiedi
verifica; perci
non si
pu
stabilirecon certezza se essa e autentica
oppure
inautentca.
Tuttavia,
almeno una cosa certa: non autentica
quando
si
presta
a ricevere una
risposta
sicura,
precisa,
definitiva;
per
esempio,
la
risposta
biblica: c'e
Yessente
perch
Dio l'ha creato. D'altronde
questa
e una di
quelle
doman-
de che si colloca fuori dalforizzontedella fede:
Yinterrogarsi
sullessente
in
rapporto
al suo
fondamento
per
il credente una follia
(p.
19).
Caratteristiche della
filosofia
La filosofia un
sapere:
inattualc,
cio si colloca al di fuori
e
al di
sopra
del
tempo;
inutile,
cio disinteressato: Non un
sapere
da
potersi
immediatamente
applicare
come
quello
economico 0
quello,
in
genere,
professionale,
Che,
di volta in
volta,
si
pu apprezzare
in base alla sua
Litilit
(p.
2D);

ambiguo
cio offre tutto e nulla;
per questo
motivo
spes-
so si
pretende
dalla filosofia di
pi
di
quanto pu
dare;
peraltro
un
sapere
fecondo,
in
quanto
fornisce un
orientamentonella Vita e una
valu-
tazione delle
cose,
ma non nel modo in cui
generalmente
si
pensa.
Ri-
mane
sempre
un
sapere
dzflcile, perch

proprio
dell'essenza della
filosofia di rendere le cose non
pi
facili
ma
pi
difficili.E
questo
non a
caso:
infatti il
suo
modo di comunicare
appare
inconcepibile
e
addirittu-
ra
pazzesco per
il
senso comune.
Il
compito
vero
della filosofiaConsiste
in realt
piuttosto nelfappesantimento
dell'esserci (Daseiiz)
storico
e,
in
ultima analisi,
dell'essere stesso
(p.
22).
Per
questo
motivo rimane sem-
pre
un
sapere
staraordinario: Filosofare
significa interrogarsi
su ci che
fuori dell'ordinario. (...)
Ed lo stesso domandare che al di fuori del-
l'ordine. Esso interamente liberoe volontario,
pienamente
ed
espressa-
mente fondato su
di una
segreta
base di
libert, su
ci che abbiamo
denominato il salto
(p.
24).
Oggetto
inizialedella
filosofia
e
della
nzetafisica
La definizionedi Aristotele dice che la filosofiastudia l'ente in
quan-
to ente. A
questa
disciplina
stato successivamente
dato il nome
di
tritata-fisica.
Ma se si risale al
significato originale
del termine
physis,
il
quale
voleva dire ci che si dischiude da se stesso (come,
ad
esempio,
602 Parte terza
lo sbocciare di
una rosa),
Paprentesi dispiegantesi
e in tale
dispiegamen-
to l'entrare
nellapparire
e
il mantenersi in
esso,
in breve: 10 schiudente-
si-permanenteimporsi,
allora si
pu
bendire che
oggetto
della filosofia
nient'altro che la
physis,
in
quanto
la
physis
10 stesso
essere,
in forza
del
quale
soltanto Pessente diventa osservabilee tale rimane
(p.
26);
Pessente come tale nella sua totalit
physis,
cio ha
come essenza
Caratteristica lo
schiudentesi-permanente imporsi (p.
28). Pertanto stu-
diare la
physis
e studiare l'essere la stessa Cosa.
Senonch
non a
questo
studio dell'essere
come tale che ha atteso la
metafisica tradizionale:volendo scavalcare la
physis
essa
ha fallito il
suo
obiettivo, l'essere,
fin dall'inizio. Per
chiunque
si
ponga
dal nostro
punto
di
vista,
diviene chiaro che l'essere
come tale risulta in realt
nascosto alla
metafisica,
resta
obliato, e ci in maniera cos radicale che
la dimenticanza
dell'essere,
col cadere
essa stessa in
oblio, viene a costi-
tuire
l'impulso, ignoto
ma costante,
che sollecita il domandare metafisi-
co
(p.
30).
Il ricominciamenti)della
filosofia
Per fare autentica filosofia
occorre ricominciare da
capo,
sollevando
di
nuovo
la domanda fondamentale: Perch Vi
,
in
generale,
Yessente
e non il nulla?>>.
Questa
domanda ha carattere fortemente
personale.
Per
affrontarla non ci
sono n
maestri, n
guide,
n
compagni,
n sostituti:
un andare avanti domandando
(...)
che
non
conporta
nessuna com-
pagnia (p.
31). Essa ha, inoltre, carattere di
ri-soluzione,
di
impegno:
interrogare significa voler-sapere.
Chi
vuole,
chi
pone
tutto il suo esse-
re in un volere,
risoluto
(p.
32). Infine,
ha anche carattere di esercizio:
l'atteggiamento interrogativo
dev'essere
sviluppato,
fortificato con l'e-
sercizio
(p.
33).
Svolgimento
della domanda
fondanrentale
Al fine di chiarirne il
senso, Heidegger
vi
distingue
tra
Pinterrogato
(l'essente) e ci su cui verte
l'interrogazione:
il fondamenti)
(Grand)
del-
Tessente. A
prima
vista,
si ha
l'impressione
che la domanda sia tutta rin-
chiusa in
"perch
Yessente?"
e
che
l'aggiunta
"e non il nulla" abbia
una
funzione
meramente
pleonastica. Tuttavia, se si fa
maggior
attenzione si
vede che c'e almeno una
ragione
storica
per integrare
la domanda
con
l'espressione
e non
il nulla": il fatto che la filosofiasi
posta
sin dall'i-
nizio insieme alla domanda sullessente anche la domanda sul non-
assente,
sul nulla. Ma c' di
pi:
il divieto di
interpellare
il
nulla,
perch
il nulla
nulla,
s
legato
alla
logica
del
pensare,
ma si tratta di una
logica
che
opera
all'interno di
una determinata
precomprensione
del-
Yessente, e
potrebbe
essere
che
ogni pensiero
che obbedisce solamente
Fenomenologia
e
nzefafisica
603
alle
regole
della
logica
tradizionalesi trovi fin da
principio nell'impossi-
bilitanche solo di
comprendere,
in
generale,
la domanda circa l'essen-
te, e tanto
pi
nella
impossibilit
di
svilupparla
realmente e di
pervenire
a una
risposta (p.
36).
Solo la
logica
del
pensiero
scientifico vieta il
discorso del nulla. Ma (e
questa
tesi assai cara a
Heidegger)
il
sapere
filosofico
c
il
poetare godono
di un'assoluta
priorit
sul
sapere
scientifi-
co
(pp.
36-37).
Ci sono
pertanto
delle buone
ragioni
(storiche e teoreti-
che)
per
includere nella domanda fondamentalela frase "e non
il nulla".
Questa
aggiunta
conferisce alla domanda
un
pi ampio respiro
e le
apre
un orizzonte diverso. Nella forma abbreviata l'orizzonte e il
respiro
restano
sempre quelli
deltessente, cos,
si e tentati di rinvenire il fonda-
mento nello stesso ordine
(un
essente
superiore).
Invece,
includendo il
riferimento al
nulla,
ci che si vuol
scoprire
la
ragione
della Vittoria
dell'essente sul nulla
(cf.
pp.
38-39).
La
differenza ontologica
tra assente ed
essere
Di che natura
questa
differenza basilare,
primaria?
Non soltanto
una
differenza
logica,
concettuale,
bens
una
differenza reale. Anche
se
inafferrabile,
l'essere rimane
sempre
distinto
dall'essente,
altra cosa
rispetto
all'essente. E ci
implica
una
qualche comprensione
dell'essere:
solo
grazie
a tale
comprensione
noi
possiamo interrogare
l'essente a
pro-
posito
del suo essere (cf.
p.
43).
L'essere non incluso nella definizionedell'essente
(del cavallo,
del-
l'uomo,
del
gesso,
ecc.)
eppure
senza
l'essere nessun essente .
E,
tutta-
via,
Yessente non

percepibile
immediatamente, non
qualcosa
Che si
vede
(et.
pp.
44-46).
Ma tutto
questo
non
giustifica
la tesi nietzschiana
secondo cui l'essere "fumo, esalazione,
errore".
Quella
sull'essere
una
domanda estremamente seria,
che tocca direttamente il destino
dell'Occidente. Dal
rapporto
che l'umanit assume nei confronti dell'es-
sere ne va del suo destino,
della
sua storia. In
effetti,
l'oblio dell'essere e
la frenesia
per
Yessente sono la causa vera e
profonda
della crisi e della
rovina dell'Occidente e del mondo intero (cf.
pp.
48 35.).
Del tutto
singo-
lare la
responsabilit
del
popolo
tedesco che il
popolo
metafisico
per
eccellenza
(p.
49),
nei confronti dell'essere.
La
ripetizione
del cominciamento,
superando gli
errori della
ontologia
Dopo
la "morte dell'essere" sentenziata da Nietzsche,
solo
un comin-
ciamento
nuovo, originario, pu
restituire
allnterrogativo
che
cosa
l'essere?,
quella
forza,
quella
rilevanza,
quel peso
che
gli

proprio
come
interrogativo
fondamentale. La
ripetizione
del fondamento
riguar-
da anzitutto e
soprattutto
il concetto di
"essere",
sottraendolo a
quel-
Vappiattimento
che l'ha ridotto a "concetto
pi generale
di
tutti", come
604 Parte terza
stato normalmente inteso dalla
ontologia
(cf.
pp.
49-51).
Per realizzare
la
ripetizione
del cominciamento occorre ricollocare l'esistenza storica
dell'uomo
(...)
nella
potenza
dell'essere da rivelarsi in modo
originario:
tutto ci, beninteso,
solo nei limiti del
potere
concesso
alla filosofia
(p.
52).
Porre
questo
nuovo cominciamento una decisione storica"
per
l'Europa
e
per
tutto il
globo
terrestre. Esso
indispensabile
per
vincere
quel depoterzziainento
della
spirito
che si
registra
ovunque oggi
nel mondo.
La donzanda sul! essenza: aiellzssere
Questo
il titolo del terzo
capitolo
di Introduzione alla
mtetafiflsica
che
stiamo analizzando. Per trovare una
risposta
a
questo interrogativo,
diventato
sempre pi
oscuro e
complesso dopo
Voscuramento
patito
dall'essere
lungo
le
peripezie
della metafisica
occidentale,
Heidegger
cerca anzitutto di chiarire i vari
significati
della
parola
"essere",
di
determinare
poi
l'orizzonte del
senso
dell'essere
e di illustrare
l'impor-
tanza della
conoscenza dell'essere.
"Essere",
questa parola apparentemente
tanto
vaga
e indeterminata
tuttavia cos densa di
significato
da fornire
una sicura e decisiva linea
di demarcazionesia nell'ordine del
pensiero
sia in
quella
del
linguaggio:
Riflettendo
pi
attentamente su
questa parola
risulta alla fine
que-
sto:
malgrado ogni
obliterazione, mescolanza,
genericit
del
suo
significato,
noi
pensiamo
in
essa
qualche
cosa di determinato.
Questo
qualcosa
di determinato cos determinato e unico nel suo
genere
che
occorre
fare la
seguente aggiunta: quell'essere
che tocca a
qualsiasi
ente e che si
sperde
in ci che vi di
comune, ,
per
eccellenza,
quan-
to vi di
pi
unico
(p.
88).
Pertanto
proporsi
di abbandonare lessere"
come
parola
vuota di
senso,
per rivolgersi
all'essente in
particolare,
cosa non solo avventata
ma
oltretutto eminentemente incerta
(p.
89).
E
dopo gli
esiti fallimenta-
ri dell'analitica esistenziale
dell'Esserci,
quella
una
strada che
Heideg-
ger
non
giudica pi percorribile.
La
conoscenza dell'essere si ottiene sol-
tanto mirando all'essere
e non
agli
essenti. D'altronde che ci sia una
certa
cognizione
dell'essere lo si
pu provare quanto
meno indiretta-
mente. Infatti, senza una
cognizione
dell'essere risulterebbe
impossibile
qualsiasi
dischiudersi dellessente in
quanto
tale, e risulterebbe
impossi-
bileanche il
linguaggio, perch parlare

sempre
dire l'essere. D contro
al fatto che la
parola
"essere" rimane
per
noi,
quanto
al
senso,
un'ombra
vaga,
sta il fatto che
noi,
d'altra
parte, comprendiamo
l'essere
e
lo distin-
guiamo
con sicurezza dal
non essere
(p.
91).
Supposto
che noi non
comprendiamo
per
nulla
l'essere,
supposto
che la
parola
"essere"
non
avesse nemmeno
quel significato evanescente, ebbene,
in tal
caso non ci
sarebbe
pi, assolutamente, nessuna
parola.
Noi stessi non
potremmo
Fenomenologia
e
metafisica
605
essere in alcun modo dei dicenti. Non
potremmo
in alcun modo
essere
quello
che siamo. Poich
essere uomo
significa
essere uno
capace
di dire
(ein
Saggender).
L'uomo
uno
che dice di s o di
no solo
perch ,
nel
fondo della
sua
essenza,
un dicente, il dicente
(p.
92).
Inzportanza
e valore della
comprensione
dell'essere
Il fatto che noi
comprendiamo l'essere, anche
se in modo indetermi-
nato e
opaco,
ha
per
il nostro esserci il
pi
alto
valore,
in
quanto
vi si
manifesta
una forza nella
quale
si fonda tutta la
possibilit
essenziale
del nostro esserci. Non si tratta di
un
fatto
qualunque,
ma di
qualcosa
che
per
il
suo
peso esige
la
pi
alta
Valutazione, a
patto
che il nostro
esserci,
che
sempre qualcosa
di
storico, non
rimanga
per
noi
qualcosa
di indifferente. D'altronde anche
perch
il nostro esserci
possa
rimanere
per
noi un'entit
indifferente, occorre
comprendere
l'essere. Senza
que-
sta
comprensione
non saremmo neanche in
grado
di dire di
no al nostro
esserci
(p.
92).
interrogare
l'essere
(non
il
rispecchiarlo
o
rappresentarlo
0
Yapprenderlo)
l'unica via da
seguire per
sottrarlo al
suo
nascondi-
mento. E il nostro
interrogare
risulta tanto
pi
autentico
quanto pi
ci
atteniamo
con aderenza
e costanza a ci che
pi
merita di
essere investi-
gato,
e
precisamente
al fatto che l'essere e ci che
per
noi risulta
compre-
so in modo
completamente
indeterminato
e tuttavia eminentemente de-
terminato
(p. 93).
ljinterrogare
Verte sul
senso dell'essere cio sulla sua
"aperti1ra.
La
filosofia
come accesso all'essere
Il dischiudersi dell'essere un evento
e un evento anche la filosofia
in
quanto
cerca di ri-effettuare tale dischiudimento. La via
per
che la
filosofiaha da
percorrere
non
quella
ascendente della metafisica tradi-
zionale
(dallessente
verso l'essere),
bens
quella
discendente: dall'esse-
re a ci che si deve
problematizzare
della
sua
apertura (p.
95).
La "di-
scesa" da
seguire

quella
tracciata dalla
lingua, perch
il dischiudersi
dell'essere ha
luogo
nel
linguaggio:
l'essere stesso e
legato
alla
parola
in un senso del tutto diverso
e
pi
essenziale di
qualunque
altro ente
(p.
97).
L'orizzontenel
senso dell'essere
Mediante
una vasta
esemplificazione
ed
esplorazione
dei vari sensi
dell'essere,
Heidegger perviene
alla conclusione che essi si inscrivono
tutti dentro
un certo
orizzonte,
che
corrisponde
a
quello
del
pensiero
greco:
C'
una certa linea unitaria che li
percorre
tutti. Essa orienta la
comprensione
dell'essere
verso un determinato orizzonte dal
quale
trae
606 Parte terza
il suo
significato.
La determinazione del senso
dell'essere si circoscrive
nell'ambitodella
presenza
(Gcgentcvrtigkeif)
e della
presenzialit
(Antvescnheit),
della consistenza (Bcstchcn) e
della sussistenza (Bestand),
della
permanenza
(Azifenthalt)
e
dell'avvenire (Vor-koznmen)(p.
101).
LA VERIT DELUFSSERE
Nellfllrztroduzioize
alla
metafisica Heidegger
ha evidenziato non
soltan-
to il
primato ontologico
ma
anche
logico
dell'essere: la conoscenza
del-
l'essere si d soltanto a
partire
dall'essere, non
dagli
enti. Ma
quando
e
come
l'essere si lascia veramente conoscere?
Questo
e
l'interrogativo
che
Heidegger
affronta
nellopuscolo
Vom Wesen dar Wnhrheit
(L'essenza
della verit).58
Che la verit abbia un
rapporto
con
l'essere
sempre
stato ammesso
da tutti i filosofi,ma,
come
ricorda
l-Ieidegger,
la definizionetradiziona-
le della verit la
collega
immediatamente
alla
conoscenza,
secondo la
celebre definizione: zieritas est
ndaequatio
rei et intcllectus. Ma,
secondo
Heidegger,
l'essenza della verit non
pu
consistere in
questo:
la verit
non
risiede
originariamente
ne|lenunciazione.5*Infatti,
prima
che
pro-
nunciarsi o enunciare,
esiste un
aprirsi
all'essente che
a sua
volta si
apre:
Dire che Passerzione
(Aussnge)
vera
vuol dire che essa
scopre
l'es-
sente in se stesso. Essa
asserisce,
manifesta,
ossia "lascia vedere" l'es-
sente nel suo essere
scoperto.
Esser-tien) (verit)
dellhsserzione,
pu
intendersi solo come essere
scoprente
(ezitdcckenti-sein).
La verit non

quindi
affatto strutturata a
guisa
di una
concordanza fra conoscere
essente
(soggetto)
e un
altro ente
(oggetto)
(...),
La verit (lo
scopri-
mento)
deve
sempre
venir
strappata
all'essente. Uessente risulta sem-
pre strappato
allbccultamento. La messa allo
scoperto
effettiva
sempre
una
specie difurto
(...).
L'espressione
lasciar-essere,
necessariamente
adoperata
a
proposito
dellessente, non
ha nulla a
che fare col tralasciare o con
l'indifferen-
za,
al contrario. Il lasciar-essere e,
nella
fattispecie,
un
lasciarsi anda-
re,
un
affidarsi all'essente. ll che di rimando non
si deve intendere
come un
semplice occuparsi,
custodire,
prendersi cura, disporre
del-
Fessente che via via si incontra o
che si cerca.
Lasciar-essere Yessente
-
per
quell'essente
che
significa
affidarsi a ci che
aperto,
manife-
sto, e
alla sua
apertura,
manifestazione,
in che
ogni
essente consiste e
che
porta
con s.
Questo essere-aperto, questo
manifestarsi,
il
pensie-
ro
occidentale l'ha
concepito
fin dall'inizio, come
t aletheia: il non
nasc0sto>>fi
55)
Ediz.
Klosterman,
Frankfurt 1949,
da cui cito.
5)
Vom Wescn dei Wahrlzeit, cit.,
p.
12.
b) lbizi,
pp.
12 ss.
Fenomenologia
e
metqfisica
607
La verit essenzialmente
"scoprimento" (Entdeckung),
il
quale
im-
plica
allo stesso
tempo apertura,
da
parte
dell'uomo, e manifestazione,
rivelazioneda
parte
dell'essere. Con ci
Heidegger
intende
ricuperare
il
valore dellintuizione
presocratica
del
logos
come
scoprimento
della
verit dal
suo essere nascosta
(aleths
=
non nascosto),
col bandirne l'a-
spetto semplcemente
formaie dato alla
adaequatio
rei et
intellectus,
onde
farcela
apparire
come
l'espressione
di ci che,
appunto,
nel
logos
si
manifesta: ossia dell"'essere" in
quanto
sottratto al
nascondimento, in
quanto scoperto.
Ci
su cui insiste
Heidegger
che il fatto di
aprirsi
alla
verit, come un "lasciar
essere l'essere"
non
un
atteggiamento
che
l'uomo,
in
assoluto,
possa scegliere:
in
quanto egli
si trova
gi
costitu-
zionalmente fondato
nell'apertura
dell'essere, ovvero nella verit che lo
possiede pi
di
quanto
sia da lui
posseduta.
Ma lo stesso vale anche
per
la non-verit. La
possibilit
di smarri-
mento dell'uomo di fronte alla
verit,
ossia l'errore
(das Irrtztm)

giusti-
ficato anzitutto dal fatto che l'essere
non mai del tutto
aperto
e svelato,
onde si
presta
a un falso riconoscimentoda
parte
dell'uomo che crede di
ravvisarlo nelle
sue
manifestazioni
semplicemente parziali agli
enti,
anzich
perseguirlo
nella sua totalit. Cos l'errore
e
la falsit
dipendono
fondamentalmente da
un
atteggiarsi
deiettivo
e inautenticodell'uomo
di fronte al mistero
dell'essere,
di fronte alla
sua essenza
sempre coperta
e
sempre
svelata. Ci
significa
non
prenderlo
in considerazione
come
tale
ma lasciarlo cadere
nell'oblio, fraintendendocos la stessa
significa-
zione
degli
enti
e
disperdendosi
nelle
mere occasioni di
una vita banale.
La non-verit
come errare-errore la clis-trazionedell'uomo dal miste-
ro e
il
suo
rivolgersi
a ci che
corrente,
sempre
da
una cosa
all'altra
e
allontanandosi dal mlSter0>xl Nella nativa tendenza a offrirsi al disvela-
mento del mistero dell'essere l'uomo
cerca di realizzare il disvelamento
dell'ente,
ponendo
in
esso
la verit anzich nell'essere stesso.
La
filosofia,
secondo
Heidegger,
si e trovata
sempre nellequivoco
di
scambiare il
problema
dell'essere dell'ente col
problema
dell'essere
come tale: il trascendimento
verso l'ente nella
sua totalit ha fatto s che
si dimenticasse l'essere che l'assoluto trascendens
ponendo
l'uomo in
un
permanente
sballottamento.
Quando
la
filosofia, come metafisica, ve-
nisse tolta
allequivoco, apparirebbe
chiaro che il
problema
della
essenza
della verit
anche, come dev'essere,
problema
della verit dell'essenza
come
trascendenza
vera
di fronte
all'ente;
per
tale essenza"
non va
intesa
come
puro significato
(come
avviene nella
fenomenologia
husser-
liana);
l'essenza
l'essere,
per
cui,
nel concetto dell'essenza la filosofia
pensa
l'essere.62
Quello che_
noi siamo abituati
a
pensare
come ente
m) 112121.,
p.
22.
a2) 11.214.,
p.
25.
608 Parte terza
nella
sua
totalit deve cedere il
posto
all'essere; e
allora si avverte che
l'essenza della verit il scelante Unico nella ricorrente storia del
disvelamento di ci che chiamiamo l'essere e
che da
lungo tempo
siamo
abituati a
pensare
soltanto come ente nella totalitnfl
ll discorso
heideggeriano
intorno alla verit dell'essere,
che a un
tempo
manifestazione e occultamento, non
fa altro che
parafrasare
il
discorso
teologico
sulla divina rivelazione. Secondo i
teologi
l'iniziativa
della divina rivelazione
dipende
tutta da
Dio, ma
la
sua
accoglienza
dipende
anche dalla libert
umana;
ed e
comunque
una
rivelazione che
dischiude il mistero divino in maniera
parziale, poich
la verit di Dio
rimane
sempre
celata dietro lo schermo dello
spetti/uni
e
l'enigma.
La
parafrasi heideggeriana
risulta
peraltro legittima perch
le
propriet
della verit
soprannaturale,
fatte le debite
proporzioni,
si ritrovano an-
che nella verit naturale.
LA DIFFERENZA ONTOLOGICA E lL NULLA
Dopo
la famosa Kehre (svolta)
la
speculazione heideggeriana
si
sposta
sempre
pi
Verso
l'essere stesso:
l'intelligenza
dell'essere Viene fatta
dipendere sempre pi
dall'essere anzich dalla ricerca dell'uomo. Cos
Heidegger opera
un
progressivo
arretramento
dal Dnseiiz al Seindes
per
raggiungere
finalmente il Sein.

un arretramento,
"un
passo
indietro"
come
lo chiama
I-leidegger,
che allo stesso
tempo
storico (verso
le remo-
te
origini
della metafisica) e
ontologico
(verso
le
sorgenti
dell'ente).
Grazie
a
questo
arretramento,
alla
fine,
si
supera
l'ambiguit
di ridurre la meta-
fisica allo studio dell'ente nella sua totalit, e si
giunge
alla
capitale
sco-
perta
della
dtfierertza ontologica
tra essere
ed ente. Solo allora la verit del-
l'essere e le
ragioni
del
suo
svelarsi-occultarsi
vengono
alla luce.
Della differenza
ontologica,
ultimo
traguardo
della sua
fenomenolo-
gia ontologica, Heidegger
tratta
specialmente
in Che cos' la
metafisica,
Essenza del
fondamento,
Lettera sullmaanesizno,
Identit
e
differenza.
A
prima
vista non
pare
che si tratti di
una
grande conquista, perch
tutti i filosofi riconoscono che
gli
enti e
l'essere non sono
la stessa cosa.
Ma
per
molti la differenza non

ontologica
ma
semplicemente logica,
in
quanto
l'essere e il
pi generico
di tutti i
concetti,
il
pi povero
e vuoto
di
tutti, tanto
povero
e vuoto da confinarecol nulla.
Heidegger respinge
questa
teoria e
vede in
essa
la causa
principale
dell'oblio dell'essere.
Egli
critica inoltre la
posizione
di
quei
filosofi
(neoplatonici)
che hanno visto
nell'essere la
prima
creazione dell'Essente infinito. E
quando
finalmente
h) lbid.
Fenomenologia
e
metafisica
609
ha colto l'assoluta trascendenza dell'essere
rispetto agli
enti,
tutti
gli
enti,
incluso il Dasein (l'Esserci),
pu
affermare
categoricamente
che tra
essere
ed essenti esiste una
differenza
ontologica profonda
e
insuperabile:
L'essere non e della stessa natura dell'essente. L'essere non si lascia
come
l'essente
rappresentare
e
presentare oggettivamente.
Questo
assolutamente altro dell'essente il non-essente. Ma
questo
nulla si
comporta
come
l'essere
(...).
Senza
l'essere,
la cui abissale e ancora
indistinta essenza ci offerta dal nulla
nellangoscia
essenziale,
ogni
essente rimarrebbe
privo
di realt. E
tuttavia,
questo
non ,
di
nuovo,
un
nulla nullificante se
alla verit dell'essere
compete
che l'essere
abbias realt senza Yessente, ma non mai un essente senza
l'essere.65
In
conseguenza
di
quanto
si
detto,
penseremo
realmente l'essere
solo
se
lo
penseremo
nella differenza
con
lessente e
questo
nella dif-
ferenza con l'essere. Solo cos
emerge
la differenza (...). Il nostro
pen-
sare cos libero di lasciare tale differenza
impensata
ovvero
di
pen-
sarla realmente come tale (...).
L'essere si mostra come
il
pervenire
svelante. L'essente in
quanto
tale
appare
a
guisa
dell'arrivo
(Artkunft)
occultantesi nel non-nascondimento.
Essere,
nel senso
del
pervenire
svelante,
ed essente come tale,
nel senso
dell'arrivo
occultantesi, sus-
sistono come
differenziati dalldentcoa
opera
della differenza. Essa
istituisce e mantiene fra loro il tramite dividente (das Zuvischen)
in cui
il
pervenire
e
l'arrivo sono
rapportati
l'uno all'altro e
mantenuti divi-
si e relazionati nello stesso
tempo.
La differenza di
essere
ed
essente,
come
differenza di
pervenire
e
di arrivo il disvelante-Velante
pro-
dursi di entrambimfifi
Pertanto l'uomo non e arbitro dell'essere n il
suo
padrone,
bens il
suo
umile
servo,
il
suo custode,
il
suo
fedele
pastore:
Ma l'uomo non il
padrone
dell'essere.
Egli
il
pastore
dell'essere
(Hirt
des
Seins).
In
questo
"meno" l'uomo non ci
perde,
bens ci
gua-
dagna,
mentre
perviene
alla verit dell'essere.
Egli guadagna
l'essen-
ziale
povert
del
pastore,
la cui
dignit
consiste in
questo:
nell'essere
chiamato dall'essere stesso alla custodia della
sua verit
(...).
L'uomo
nella
sua essenza
storica
quell'essente
il cui essere consiste come ex-
sistere,
in
questo:
nell'abitare in
prossimit
dell'essere. L'uomo e il
Vicino di
casa (Nachbar)
dell'essere.67
64)
Das Sein selbst irn Wesen endlich ist und sich
nur in der Transzendenzdes in
das Nichts
hinausgehtenen
Daseins offenbart (L'essere stesso
per
essenza fini-
to e si manifesta solo nella trascendenza dellEsserci che se ne esce fuori nel
Nulla) (Was
ist
Mctaphysik,
Frankfurt
1949,
p.
40).
65) finii,
p.
46.
66)
M.
HEIDEGGER,
Identitfit mzd
Difiercnz, Pfulliigei
1957,
pp.
59 s.
67) lD.,
Ueber der:
Humansmus,
Frankfurt
i947,
p.
29.
610 Parte terza
Ma
qual
la
ragione profonda
della differenza
ontologica?
Che cos'
che
separa
e
distingue
l'essere
dagli
essenti?
Nella storia della filosofia
Heidegger poteva
incontrare svariate solu-
zioni
per questo
difficile
problema.
Per alcuni
(manichei e
gnostici)
la
causa
della differenza
ontologica
il
male;
per
altri
(i
neoplatonici)
la
materia;
per
altri
ancora (i
padri
della
Chiesa)
la creatio ex nihilo;
per
S. Tommaso la
ragione profonda
della differenza
mitologica
consiste
nella distinzione reale tra l'essenza
e
l'atto di
essere
negli
enti.
Heidegger ignora
la
genialissima
soluzione
dellAquinate,
ed esclude
le altre soluzioni in
quanto
decadono dal
piano ontologico
al
piano
onti-
co. A
suo
avviso l'unica
ragione ontologica
che risolve
adeguatamente
questo problema
il nulla: il nulla il vero discrimcn che
separa
l'essente
dall'essere;
il nulla che
toglie
allessente la
possibilit
di coincidere
con
l'essere: ll nulla il
non
dellessente
e,
pertanto, partendo
dallessente,
lo
sperimentato
essere. La differenza
ontologica
il
non
fra Yessente
e
l'essere.6* La differenza
ontologica

proprio
il
non
interposto
tra les
sente e l'essere;
in
quanto
l'uno
non
l'altro;
l'uno ha il nihil
priintivunz
di fronte all'altro.
Per,
precisa Heidegger,
la differenza
ontologica
non
un non come
pura posizione logica
o creatura del
pensare
(ens rationis),
bens
un
effettivo stato di
rapporto
fra ente ed
essere;
il che viene a
dire
che il
non del nulla
e
il
non
della differenza
ontologica,
bench concet-
tualmente
appaiano
e siano distinti,
effettualmente
coincidono, sono
la
stessa cosa in
quanto
rientranti in ci che essenzializza(Weseizdes) l'esse-
re
dell'ente.
Il nulla caratterizzaa un
tempo
sia l'ente sia l'essere: dell'ente
conno-
ta l'assoluta
precariet ontologica,
il
suo
non-essere;
dell'essere connota
la
sua
assoluta
trascendenza,
quella
trascendenza ben nota ai
neoplato-
nici che
ponevano
l'Uno nella
zona
del nulla: al di l di
ogni qualit,
ogni
sostanza,
ogni
concettualizzazione.Perci
Heidegger pu
sottoscri-
vere
Yidentit tra essere e
nulla affermata da
Hegel,
dandole tuttavia un
significato
totalmente diverso:
per Hegel
essere e
nulla
sono
due
poli
astratti di
una
dialettica che,
configurandosi
come divenire,
fonda l'es-
serci
come ente determinato;
per
Heidegger
l'ente l'altro
dall'essere,
il
quale, ponendosi
come non
di fronte
e
di contro all'ente,
si rivela come
nulla. Si cos ottenuta la
risposta
alla domanda sul nulla. [I nulla
non
un
oggetto,
n,
in
generale
un essente. Il nulla
non si
presenta
di
per
s
neppure
accanto all'essente,
al
quale pure
inerisce. Il nulla ci che
rende
possibile
la manifestazione dell'essente
come tale,
per
l'esserci
umano. Il nulla non costituisce
semplicemente
un concetto
contrapposto
all'essente, ma
appartiene originariamente
all'essere stessomfi"
h) lD., Vani Wesvu des
Grundes, cit.,
p.
5.
r") ID., Was ist
Metaplii/sik, cit.,
p.
35.
Fenomenologia
e
metafisica
611
La
potenza
del nulla nella
sua
duplice
funzione - trascendenza del-
l'essere
e
precariet
dellessente si rivela
nelfangoscia.
Non
per
co-
me essente. Ancor
meno ci viene dato
come un
oggetto. Uangoscia
non
costituisce affatto
una
comprensione
del nulla. Il nulla tuttavia si fa
per
essa e in
essa manifesta,
bench
non come se
il nulla si mostrasse
sepa-
ratamente "accanto" alfessente in
totale, nellnsicurezzache
l'accompa-
gna.
Piuttosto si deve dire che il nulla si
presenta nellangoscia
insieme
con
la totalit dellessente>>.7
Nonostante la
sua totale inanit
ontologica, quello
del nulla un con-
cetto fondamentaledella
metafisica,
la
quale, pertanto,
si deve
occupare
oltre che dell'essere anche del nulla. E
compito
dell'uomo - animale
metafisico
per
eccellenza -
non solo
quello
di
fungere
da
"pastore
del-
l'essere", ma anche da "sentinella del nulla"
(Platzhalter des
Nichts).71
IL
LlNGUAGGlODELL ESSERE
Oltre che filosofia dell'uomo
e dell'essere
quella
di
Heidegger
,
in
maniera altrettanto fondamentale ed
essenziale,
anche
filosofia
del lin-
guaggio.
Diciamo in manierafondamentaleed essenziale
perch,
come
nella concezione
heideggeriana
non si d
unbntologia
a se stante senza
antropologia,
dato che l'essere viene alla luce della
consapevolezza
nel-
l'uomo, n
unantropologia
senza
ontologia, perch
l'uomo essenzial-
mente Dasein
(esserci, essere-l), cos
pure,
sia
l'antropologia
che lonto-
logia
sono
impossibili
senza
semantica, poich l'epifania
dell'essere si
realizza attraverso il
linguaggio.
Allo studio del
linguaggio Heidegger
ha dedicato
una delle
sue ulti-
me
opere, Unterzvegs
Z117
Sprache
(In cammino
verso
il
linguaggio).
In
essa
egli,
coerente con
l'impostazionegenerale
della
sua filosofiache
essen-
zialmente
ontologica
(ossia tesa alla
riscoperta dell'essere),
considera il
linguaggio
in
rapporto
all'essere
(ossia nella
sua funzione
ontologica).
Ma
proprio
in
rapporto
all'essere,
Heidegger
ritiene di dover distin-
guere
due
specie
di
linguaggio,
uno
originario
e uno derivato.
Il
linguaggio originario
dice immediatamente
l'essere, lo
mostra,
lo
rivela,
lo
porta
alla luce
e,
con tale
azione, esso dice inoltre
e
porta
alla
luce le
cose. Questo
linguaggio, precisa Heidegger,
non si basa
su
qual-
che
segno particolare e,
tanto
meno,

un
semplice
insieme di
segni,
ma
tutti i
segni traggono origine
da
esso.
ll
linguaggio originario
la fonte
primordiale dell'apparire
delle
cose,
del loro mostrarsi.
Quando
si
guardi
alla struttura del Dire
originario
non
possibile
attribuire il
mostrare n esclusivamente n
primieramente alloperare
umano. Persi-
7) lbill,
p.
31.
71) Cf.
ibid,
p.
38;
cf.
p.
41.
612 Parte terza
no
l dove il mostrare si realizza
grazie
a un nostro dire,
c'
sempre
un
lasciarsi mostrare
che
precede questo
nostro mostrare come
additare e
rilevare. Il
parlare originario
sta alla base di tutto il movimento dell'u-
niverso: il
rapporto
di tutti i
rapporti.
Esso
contiene, sostiene,
porge
come
in dono e
fa ricche le
quattro regioni
del mondo (terra e cielo,
Dio
e uomo)
nel loro essere
l'una di fronte all'altra,
le
regge
e
le custodisce,
mentre esso
- il Dire
originario
- resta in se stesso.
Dunque,
restando in
se stesso,
il
Linguaggio, quale
Dio
originario
del
quadrato
del
mondo,
raggiunge
e
include nella sua
sfera noi,
noi che,
in
quanto
mortali,
siamo
parte
del
quadrato,
noi che
possiamo parlare
solo in
quanto
corri-
spondiamo
al
Linguaggio.
Come si vede,
Heidegger assegna
al
linguaggio originario
una
den-
sit
ontologica
fondamentale: la
parola
non
soltanto
segno
di una cosa
(come
insegnava
Aristotele) ma
il
sostegno
dell'essere stesso di
ogni
cosa.
Oltre al
linguaggio originale
c'
poi
un
linguaggio
derivato.
Tale
appunto
il
linguaggio
umano,
il
quale comprende
due momenti, uno
di
risposta
e
l'altro di
proclamazione.
Il
parlare
mortale
presuppone
l'a-
scolto della Chiamata... I mortali
parlano
in
quanto
ascoltano...
Questo
parlare
ascoltando e
recependo
il
corrispondere...
I mortali
parlano
in
quanto
corrispondono
al
linguaggio
in
duplice
maniera:
recependo
e
rispondendo.
La
parola
mortale
parla
in
quanto
in
molteplice
senso cor-
risponde.
Questi
due tratti ovvi del
parlare
umano quotidiano
(l'ascol-
to e
la
risposta)
si radicano
pertanto,
a
parere
di
Heidegger,
sul
piano
pi profondo
del
rapporto
tra
linguaggio originario
e
linguaggio
uma-
no:
Il dire dei mortali
rispondere. Ogni parola
che si
pronuncia

sempre
risposta":
un
dire di rimando, un
dire ascoltando.
Uappropria-
zione dei mortali al Dire
originario
fa si che l'essere entri in una
servit
liberante,
per
la
quale
l'uomo addetto a
trasferire il Dire
originario,
che
non
ha
suono,
nel suono
della
parola?!
Queste,
in breve,
le
grandi
linee della filosofia del
linguaggio
svolte
da
Heidegger
in
Llnterztiegs
zur
Sivrache.

una
filosofia
per
molti
aspetti
singolare,
che si
distingue
nettamente dalle altre due concezioni
lingui-
stiche
pi
influenti del nostro
tempo, quella
strutturalistica e
quella
ana-
litica. Mentre
queste
due si
ispirano
al modello scientifico
e,
di conse-
guenza, comportano
la
negazione
diretta della
ontologia,
la concezione
heideggeriana
nasce
dalla contestazione,
quanto
mai
opportuna,
del
modello scientifico e
dalla difesa della
ontologia,
e
dalla ricerca di
un
nuovo
fondamento di
quest'ultima
nel
linguaggio
stesso. Anche se
73)
Le
precedenti
citazioni sono tratte da M.
HEIDEQGI-jl,
In catimziizo verso
il
linguag-
gio,
Mursia,
Milano1973,
pp.
199, 169, 42-43,
205.
Fenomenologia
e
metafisica
613
Heidegger
esclude
qualsiasi rapporto
tra filosofia
e
religione
e conte-
stando la
possibilit
di
una
teologia
naturale, ci
appare
evidente l'in-
fluenzaesercitata sul
suo
pensiero
dalla formazione
teologica giovanile.
Sottolineiamo, a
riguardo,
alcuni
punti significativi,
relativi all'acco-
stamento che il filosofo
compie
tra ricerca dell'essere
e
la funzione del
linguaggio,
tra
linguaggio originario
e
linguaggio
derivato:
1) come ab-
biamo
gi
ricordato
per
gli
idealisti, l'atto della
creazione,

"parola
di
Dio";
cosicch il dire
originario
di
Heidegger
riconducibilealla
parola
creatrice di Dio del Libro della Genesi: la
parola
di Dio
parola
che si fa
cosa;
2)
il
liizguaggio
derivato
proprio
dell'uomo
riecheggia perfettamente
la relazione biblica tra l'uomo
e Dio. L'uomo colui che fatto
per
ascoltare la
parola
di
Dio,
riceverne la chiamata ed
esprimere,
nei con-
fronti di
questa
chiamata, una
risposta.
In tal
caso l'uomo diviene
un
proclamatore
della Parola.
NellAppendice
(scritta
nel 1964 ed edita nel
1970) a un suo
saggio
dedicato al
rapporto
fra
Fenomenologia
e
teologia
risalente al
1927,
l-Ieideg-
ger precisa
ulteriormente la natura di
quel Linguaggio
non
oggettivante
che ha
per
base
l'esperienza
del Dire
originario
come
Linguaggio
della
Differenza,
che
non
ha
bisogno
di farsi udire
per
parlare
e
parla
in
ogni
linguaggio
come sua condizione, come
il "mostrare
originario, quindi
creativo e incondizionato.
Egli
addita tale
linguaggio
come
l'unica Via
che devono
seguire
sia la
sua
meditazioneche la stessa
teologia
cristia-
na". Anche
questa
basata sull'ascolto della Parola
e
sulla
"partecipa-
zione",
nella
fede, al mistero di Cristo
crocifisso,
che
pure
un "farsi
nulla di
Dio,
perch
in Lui l'uomo si faccianulla
per
Dio e ne
accolga
la
salvezza.
Heidegger
non
ha
esplicitato
le
conseguenze
di
questo
accostamento
di
linguaggio
filosofico
e
linguaggio teologico,
non
ha risolto
esplicita-
mente il
problema
di
Dio,
ultima
e
prima
verit. Ma ha
configurato
la
sua situazione
finale, e
quella
dell'umanit nel nostro
tempo,
come
di
attesa,
nel silenzio
e nellascolto,
di
una non certa ma
possibile
salvezza
non
umana,
nellavvento di
un "altro Pensiero".73 nel
linguaggio,
cio
in
quello
che nell'uomo
pi umano,
che
Heidegger
ravvisa il cammino
da
seguire per questo,
certamente ultimo,
fine: in cui l'avventodi
una
quiete
capace
di
giungere
a
placare
il
vento dello
spazio
interminato
e
un
commiato che sia il
raccogliersi
di ci che
permane,
cio l'eter-
nit,74
che
compete
all'Essere in
quanto
Sacro
e forse via al
"divino",
come
lo fu in altri
tempi
per
Aristotele,
Agostino,
Tommaso,
Bonaventu-
ra,
Scoto
e Rosmini.
73) Cf. M.
Hl-JDI-LGGPR,
Ormai solo Dio ci
pu
salvare,
Parma 1987.
74) ID.,
In cammino
verso il
linguaggio, cit.,
pp.
123-124.
614 Parte terza
RILIEVI CRITICI
Dopo
un
lungo
decennio di studio
e
di
meditazione,
nel 1927
Heideg-
ger
si decise finalmentedi
pubblicare
Essere e
tenzpo,
il
primo
volume di
quella
che doveva essere
la
sua
"summa filosofica. Ma, come
abbiamo
visto,
poco
dopo
la
pubblicazione
del suo
grande capolavoro, Heideg-
ger
si accorse
che la via imboccata finora
per
elaborare un nuovo
grande
sistema
ontologico
era
sbagliata.
Cos il
progetto
iniziale venne
abban-
donato e la "summa non venne
mai
completata. Dopo
la Kehre
(svolta)
Heidegger
cerc di
riimpostare
tutto
il
discorso, ma non
fu
pi
in
grado
di
comporre
un'esposizione
sistematica e
completa
del
suo
pensiero
ontologico.
Era stato
folgorato
da
una nuova
luce dell'essere, ma
della
quale, per,
riusc a
cogliere
soltanto alcuni
sprazzi.
Cos ci ha lasciato
numerosi
saggi,
che
potevano
diventare
capitoli
di
una nuova summa,
ma
questa
non mai stata
portata
a termine.
Nonostante
questa grave
lacuna,
Heidegger
rimaneil
pi grande
me-
tafisico del XX secolo, e uno
dei
pi grandi
di tutti i
tempi.
Il
pensiero
di
Heidegger
senza
dubbio
improntato
a una
formidabileseriet,
che
confina con
l'esercizio di
una vera e
propria
ascesi. Partito da una
feno-
menologia,
che
aveva
piuttosto
carattere
gnoseologico, egli
ha
compiuto
uno
sforzo
potente per
riportare
l'interesse filosoficoverso
le
profondit
abissali dell'Essere; e
di fronte allnvadenzae
al
sussiego
di
un conosce-
re razionale,
che
presumeva
di addomesticare la
realt,
egli
ha scelto
quasi
eroicamente la via dellirrazionale,
del constatare il dramma del-
l'umano nel
suo
strutturale essere-nel-mondo.75
Mentre nel
progetto
inizialela metafisica di
Heidegger
era
sostanzial-
mente
antropocentrica,
nel nuovo
progetto,
elaborato
dopo
la
Kehre, essa
diviene assolutamenteontocentrica. Inoltre, mentre in Essere e
tempo egli
aveva tentato di costruire una
metafisica dal basso
(partendo
dalYEsserc),
negli
scritti successivi, a
partire
dall'introduzionealla
nzctafi-
sica,
egli
costruisce tutta la
sua
metafisica dall'alto
(partendo
dallEsse-
re).
Cos mentre nella
prima
versione, nonostante le molte critiche
mosse
ad
Aristotele, Heidegger
aveva
seguito l'impostazione
aristoteli-
ca, poi,
nella seconda versione,
egli sposa
l'impostazione platonica.
Ma
diversamente da Platone
e
dai
neoplatonici,
i
quali
avevano
inteso l'alto
in senso
verticale e
atemporale, Hedegger concepisce
l'alto in senso
orizzontalee
storico. Sostanzialmente tutta la costruzione
ontologica
di
Heidegger riproduce
il
paradigma neoplatonico. Egli
condivide il
con-
cetto
neoplatonico
dell'assoluta trascendenza
(ontologica, logica
e se-
mantica)
del
principio primo
e
quello
del
progressivo impoverimento
75) C. DI
NAPOLI,
La concezione ziellkssere nella
filosofia conlenzporartea,
Roma 1953,
p.
106.
Fenomenologia
e
metafisica 615
degli enti, man mano
che
questi
si allontanano dalla loro fonte
origina-
ria
(sia essa lUno
oppure
l'Essere).
Ma
come
ho
gi
rilevato,
Heidegger
trasferisce
questi giudizi
dal
piano
metafisico al
piano
storico: la decadenza dell'essere
non dovuta
alla
prolungata
serie delle
emanazioni,
che alla fine
sono destinate
a
esaurirsi nel nulla
(la materia),
bens alla
progressiva
dimenticanza del-
l'essere che ha
segnato
la storia dell'Occidente. Mentre
agli
inizi,
durante
l'et dei
poeti,
la cultura occidentale
aveva vissuto nella luce radiosa del-
l'essere, successivamente,
prima per colpa
dei filosofi
e
pi
tardi
degli
scienziati, tutta l'attenzione si
spostata
dall'essere
verso
gli
enti, e alla
fine,
dalla stessa Verit
degli
enti si
passati
al dominio della tecnica.
La
fenomenologia ontologica
di
Heidegger
il rovesciamento della
fenomenologia
dello
Spirito
di
Hegel.
Hegel,
che
era
figlio dell'illuminismo,
concepisce
la storia come un
ininterrotto
progresso
della
Ragione,
dellIdea,
dello
Spirito,
fino alla
sua
completa
manifestazione
oggettiva
nello Stato
germanico.
Nel siste-
ma
hegeliano
la storia
procede dallmperfettc)
verso
il
perfetto,
dalla
dispersione
verso
l'unit: la condizione
ideale, l'et
dell'oro, non si trova
all'inizio
ma
alla fine.
Per contro
Heidegger
ha
una concezione romantica
e
nostalgica
della
storia. Nella
sua
fenomenologiaontologica
la condizioneideale dell'es-
sere e dell'umanit,
l'et
del.l'oro,
si trova
agli
inizi: l il contatto con
l'essere
era diretto, immediato, estatico, mistico,
contemplativo.
Poi ini-
zia la
scissione,
la
separazione, l'allontanamento,
la
decadenza,
l'occul-
tamento
dell'essere; subentra il
nulla,
la
divisione,
la
manipolazione.
Il
peccato originale
della umanit consiste nell'oblio dell'essere. La storia
dell'occidente,
che coincide
con
la storia della
metafisica,
Ia storia di
questa progressiva
alienazione
ontologica.
La
speculazione
di
Heidegger
indubbiamente
geniale
e talvolta
affascinante, ma
d
luogo
a
molti
interrogativi,
che
riguardano
sia il
piano
storico che il
piano
teoretico.
Per
quanto
attiene il
piano
storico,
estremamente difficile
imbriglia-
re
quel
vasto e
complesso
fenomeno che la storia della umanit dentro
uno
schema concettuale unitario. La storia dell'umanit
non
pu
essere
ridotta alla sola storia
dell'Occidente; e nella storia dell'Occidente
non
c' stata una
sola
ma
molte
civilt,
che hanno conosciuto
sviluppi
auto-
nomi,
ispirandosi
a valori fondamentali molto differenti. Ne il concetto
hegeliano
di
spirito
ne il concetto
heideggeriano
di
essere hanno il
pote-
re
di fornire
una
spiegazione
unitaria delle
grandi
civilt che hanno ani-
mato la storia dell'Occidente
e tanto meno
quelle
che hanno illustratola
storia dell'Oriente.
Inoltre la storia della metafisica fatta da
Heidegger
risulta
troppo
schematica
e
sommaria, e viene ridotta
praticamente
a due sole
tappe:
616 Parte terza
quella
di Platone e
Aristotele
(dove
dall'essere si
passa
agli
essenti) e
quella
di Suarez e
Wolff
(dove
l'essere viene ridotto al
pi generico
di
tutti i concetti). Cos tutta la
grande
metafisica araba e cristiana del Me-
dioevo Viene
completamenteignorata.
Il metro scelto
poi
da
Heidegger per
giudicare
dell'oblio dell'essere,
che e il metro
irrazionale della mistica e dell'estetica,
decisamente
discutibile. Se
vero,
come
afferma
Heidegger
che l'uomo essenzial-
mente un
animale metafisico,
egli gode
di
questa qualit grazie
alla
ragione,
non
grazie
a
qualche
sentimento, come
l'angoscia.
La sollecita-
zione metafisica
pu
trovare le sue
radici anche in un sentimento,
lo stu-
pore,
come
dice Aristotele, ma
la
speculazione
metafisica e
la fenomeno-
logia ontologica
non sono
opera
del sentimento bens della
ragione,
e
questo
evidentissimo nella stessa analisi sia esistenziale sia
ontologica
di
Heidegger.
Sul
piano
strettamente teoretico ci che fa
problema
la storicizza-
zione
dell'ontologia
e
allo stesso
tempo
la
ontologizzazione
della storia.
Per
Heidegger
non esiste altra
ontologia
al di fuori della
epifanizzazione
storica dell'essere;
viceversa nel suo
fondamento (Grilnd)
la storia altro
non che
epifania
dell'essere.
Questa
storicizzazionedell'essere condu-
ce ovviamente e
necessariamente alla sua
radicale immanenza e a una
specie
di
panteismo ontologico.
Heidegger

completamente
estraneo alla tradizione cristiana di un
Dio-creatore e
gli

perci preclusa ogni
chiara affermazionecirca una
creazione da
parte
di Dio come
circa
ogni questione
sulla
prima origi-
ne
dell'essere e
dello
spirito. Heidegger
che ha
impostato
tutta la sua
opera
nella denuncia dell'oblio dell'essere a causa
della
soggettivit
dell'essenza in cui la Filosofiaoccidentale l'ha
confinato, non
ha trova-
to
per
conto suo
altra soluzioneche di affidare la verit a una (nuova)
forma di
soggettivit.
ancora
pi comprensiva
e
radicalecio
insupera-
bileche non
quella
dellimmanentismoe
realismo metafisicow"
Karl
Iaspers
VITA s OPERE
Nato a
Oldenburg
nel 1883 da
agiata famiglia borghese,
Karl
jaspers
fu, come
scrive nella
sua
Autobiografiafilosofica,
educato dal
padre
all'a-
more
della
verit,
della fedelt e
del lavoro, ma
al di fuori di
ogni
in-
flusso della
religione
ufficiale, se
si eccettuano le
poche
formalit della
Chiesa
evangelica. Compi gli
studi liceali nella citt natale,
iscrivendosi
75) C. FARRO,
Iiztrodltzioizeallhteisnio moderno, cit., II,
p.
964.
Fenomenologia
e
nzetafisica
617
nel 1901 alla facoltdi
Legge,
che abbandon
dopo
tre trimestri
per
iscri-
versi a Medicina. Si laure nel
1909,
divenendo
poi
assistente volontario
nella clinica
psichiatrica
dell'universit di
Heidelberg.
Nel 1913
pubblica
un monumentale lavoro col titolo
Allgcntcinc Psychopatilologie,
dove fa
sua,
nel metodo e nella
sostanza, non
per
fino alle estreme
conseguenze
dell'indagine ontologica,
la
fenomenologia
di llusserl. Pi che le analisi
descrittive,
l'opera
ha di mira la totalit dell'uomo denotandone l'inaffer-
rabilit
oggettiva
e
la irriducibilitesistenziale.
Cos, mentre in un
primo
tempo Iaspers
era stato
piuttosto
contrario a una
filosofia che
giudicava
un
sapere
astratto, privo
di
qualsiasi
contatto col
reale,
successivamente
la stessa ricerca
psicopatologica
lo
sospinse
verso
la ricerca di
quelle
regioni profonde
dell'essere umano e della realt in
generale
che costitui-
scono
il terreno
specifico
della filosofia. Nel 1913 si
compie
ufficialmente
il
passaggio
di
Jaspers
dal "mondo della medicina al mondo filosofico
dell'UniVersit", con
il
conseguimento
della libera docenza in
psicologia
(con Wndelband).
Nel 1922 assume
la cattedra di ordinario di filosofia
a
Heidelberg.
A
questo punto
la filosofia diviene la
professione
della sua
vita. Ma la coscienza di "essere in cammino" lo
spinge
a una vasta e
profonda
assimilazionenon
passiva
ma critica,
della
grande
tradizione
filosoficaoccidentale. il
suo
studio si concentra su Platone, Plotino,
Ago-
stino, Cusano, Bruno, Kant, Schelling, Hegel.
Da
questo
studio nasceran-
no
i suoi eccellenti
profili
dei Grandi
filosofi
(1957).
Dopo
un decennio di intensi studi filosofici ormai
Iaspers
non
ha sol-
tanto assimlato la tradizionema
ha anche chiaramente intravisto i linea-
menti di
una nuova filosofia,
capace
di inserirsi nel clima culturale del
suo
tempo.
In Die
geistige
Situation cicr Zeif (La situazione
spirituale
del
nostro
tempo)
(1931)
enuncia i
compiti
della nuova
filosofia nel modo
seguente:
Il
pensiero
che
pur
utilizzandola
sorpassa ogni cognizione
oggettiva,
il
pensiero
in cui l'uomo vuol diventare se stesso. Siffatto
pen-
siero che
non
vuol riconoscere
oggetti,
illumina
Contemporaneamente
e
realizza l'essere di colui che
pensa
in tal modo.
Sospesa
in
questo
suo
oltrepassamento, ogni
concezione del mondo che fissi l'essere
(quale
orientamento filosofici)nel mondo), esso si
appella
alla
sua
libert
(come
illuminazionedell'esistenza),
creando cos lo
spazio
del
suo
assoluto
agire, appellandosi
alla Trascendenza
(come metafisica).
Tale schema
risulta alla base della sua
prima grande
opera
di filosofia esistenziale
intitolata
Philosophie, pubblicata
in tre volumi nel 1932. Costretto dal
regi-
me nazionalsocialista a
lasciare
l'insegnamento
universitario, non lo
riprese
che nel
1945,
per
trasferirsi due anni
dopo
a Basilea,
dove
insegn
all'universit e abitsino aila
morte,
avvenuta nel 1969.
Diversamente da
Heidegger
che
non
pronunci
mai una
parola
di
rimorso
per
le tante atrocit
commesse
dal
popolo
tedesco
prima
e
durante il secondo conflitto
mondiale,
nel 1946
Iaspers pubblic
uno
618 Parte terza
scritto intitolato Die
Schizldfrage: quest'opera
costituisce non solo un'as-
sunzione
coraggiosa
di
corresponsabilit,
da
parte
di
una delle vittime
del
nazismo,
nella
colpa
del
proprio popolo,
ma
offre insieme uno
sche-
ma valido
per
l'analisi di
qualsiasi
coscienza collettiva esaminata sulla
base del concetto di solidarietnella
colpa.
Dopo
la
pubblicazione
dei tre volumi di
Philosophie, Jaspers
attese a
due
grandi opere:
anzitutto una
logica
filosofica,
di cui resta il
primo
Volume,
Van der Wahrheit
(Della verit) del 1947, e di cui sono dati ac-
cenni nelle
opere
minori:
Vemunft
und Existenz
(Ragione
ed
esistenza)
del
1935,
Existenzphilosophie
(Filosofia
della esistenza) del
1938,
Der
plzilo-
soplzische
Glaube
(La
fede
filosofica)
del
1948,
Einfiihrizrzg
in dei
Philosophic
(Introduzione alla
filosofia)
del 1950; in secondo
luogo,
una
grande
sto-
ria universale del
pensiero
filosofico,
di cui
possediamo
il
primo
volu-
me,
I
grandifilosofi,
del
1957, e una serie di
monografie
che si inseriscono
in
questo progetto
(Niccol Cusano, Cartesio,
Schelling, Kierkegaard,
Nietzsche) e
che
ora sono
pubblicateseparatamente.
Un accenno merita-
no
anche
gli
scritti con cui
jaspers
entra nella
polemica
intorno alla
demitizzazione
e all'attualit del
cristianesimo,
fra cui
specialmente
Der
philostiphisclze
Glaube
angesichts
dei
Offenbaritng
(La
fede filosofica
rispetto
alla
rivelazione) del 1962.
IL PREAMBOLO "CNOSEOLOCICO" E IL METODO FENOMENOLOGICO
Le sorti della metafisica sono
sempre
strettamente
legate
a
quelle
della
gnoseologia.
Fare o non fare
metafisica,
fare
una metafisica
piutto-
sto che un'altra
dipende
dal
genere
di
apertura
e
di contatto che l'intelli-
genza
umana ritiene di
poter
avere con la realt. Chi fa
metafisica,
gene-
ralmente,
riconosce
un
potere
illimitatoalla
ragione, e,
in
effetti, tutti i
metafisici
appartengono
alla
categoria
dei razionalisti.
La metafisica stata la
grande passione
di Karl
Iaspers,
il
quale per
non vede in
essa una forma di
sapere
riservata a
pochi privilegiati,
ma
la
forma esistenziale in cui si trova l'uomo in
quanto
uomo:
egli
l'anima-
le metafisico
per
eccellenza. La metafisica la condizione di autotra-
scendimentoe
di sconfinamentoverso l'infinitoche l'uomo
esperisce
ed
esprime
in tantissimi modi
e non soltanto in
quelli
della
ragione.
Nel
suo
"preambolo gnoseologico" Iaspers respinge
la
pretesa
di chi
vuole fare della metafisica
una
forma di
sapere
riservato a una ristrettis-
sima lite. La metafisica affare di
tutti,
perch
l'uomo
supera
costante-
mente se
stesso. La metafisica l'orizzonte
onnicomprensvo
di
ogni
sforzo
compiuto
dall'uomo
per raggiungere
la Trascendenzamediante il
mito,
la
religione,
l'arte,
la riflessionefilosofica, la vita ascetica e mistica.
Per
questo
motivo
Iaspers
rifiuta i
vaniloqui
di
un certo idealismo im-
manentistico,
Yorgogliosa presunzione
delle filosofieche
pretendono
di
Fenomenologia
e
metafisica
619
aver
detto
tutto,
di
essere
conclusive
(Hegel);
confuta i
positivisti
che
negano qualsiasi
Trascendenza, e
che riducono la storia umana a una
sorta di storia
biologica.
Cos
pure
ripudia
il fanatismo
filosofico, ma
in
genere
di
qualsiasi tipo
come
il
maggiore
ostacoloalla
comprensione
tra
gli
uomini,
alla
solidariet,
al
dialogo
Veramentecostruttivo ed efficace.
Ma mentre da
un
lato
Iaspers spalanca
molte
porte
nuove
alla metafi-
sica,
dall'altro fissa limiti invalicabilialla ricerca
umana,
rendendone
praticamente
inaccessibile
l'oggetto.
Il suo
oggetto,
infatti, lEssere,
ha il
carattere di
essere
onnicomprensivo (Umgrezjfende) e,
allo stesso
tempo,
di sottrarsi a
qualsiasi comprensione.
{Jirriducibilitdell'Essere alla
comprensione
concettuale
(Begrfif)
conduce
Jaspers
a rivalutare tutte
quelle
forme di
pensiero
svalutate dalla
logica
ontica
(onta-logia)
che,
nel
suo
progressivo
affermarsi nel1Occidente, si curata solo dell'ente e
delle
sue cause.
Tali sono
il
mito,
la
tautologia,
la comunicazioneindiret-
ta,
il
paradosso,
l'ironia,
la
fede,
la
gioia tragica,
il
naufragio
che la filo-
sofia delle universit rifiuta
come errori
logici,
mentre la filosofia di
jaspers ricupera
e
interpreta
come
cifre
a
cui
occorre
ispirarsi per
com-
prendere
lessenza della filosofiae
le
possibilit
del
suo avvenire che
un
tempo
erano
state
compromesse
dalla
religione,
e
oggi
lo sono dalla
scienza e
dalla tecnica.
Il clima culturale in cui
Jaspers
matura la
sua
metafisica
quello
del-
la
fenomenologia
husserliana
e
dell'analisi esistenziale di
Heidegger.
Jaspers
si
appropria
del metodo
fenomenologico
ma non
lo
usa
per
defi-
nire le
essenze eidetiche, bens, come aveva
fatto
Heidegger,
per
analiz-
zare accuratamentela realt
umana
nelle
sue
molteplici
manifestazioni.
La sua analisi,
per,
non rivolta
come
in
Heidegger
all'esistenza indi-
viduale del
Dasein, ma
alla
storia,
allo
scopo
di rintracciarvi le
molteplici
espressioni
che ha assunto l'incontro dell'uomo
con
la Trascendenzanel
corso
dei secoli. Cos la metafisica di
Iaspers
una
metafisica
"storica",
perch
a suo
parere
non esiste altra uscita verso
la Trascendenza che
quella
che l'umanit ha
compiuto
nel corso dei secoli. La manifestazione
pi
diretta
e
immediata della Trascendenza
quella
che ebbe
luogo agli
inizi
dell'umanit, e i simboli
(cifre)
pi eloquenti
sono i simboli
primiti-
vi. Su
questo punto
c'
una
sostanziale identit di vedute tra
jaspers
e
Heidegger: per
entrambi l'et dell'oro della metafisica
quella
dei
poeti:
solo
a loro la Verit si manifest in tutto il
suo
splendore.
Ma
mentre l'attenzione di
Heidegger
tutta concentrata sullEssere,
quella
di
Iaspers
tutta rivolta alla Trascendenza.
Della Trascendenza
Iaspers
ha
un concetto
neoplatonico:
una Tra-
scendenza che
opera
a tutti i livelli:
ontologico, gnoseologco
e semanti-
co. Essa
supera
tutte le
sostanze,
tutti i concetti e tutti i nomi.
Cos, sinteticamente,
la metafisica
jaspersiana pu
essere definita
come una metafisica
fenomenologica,
storica e
neoplatonica.
62D Parte terza
L'esposizionepi organica
e
pi completa
della metafisica di
Iaspers
si
trova nei tre volumi di
Filosofia.
Di
quest'opera
sono state tradotte in ita-
liano Ylntrodzzzione
generale
e la
Metafisica.
La nostra
esposizione
del
pen-
siero metafisico di
Jaspers
si basa
principalmente
su
questi
due scritti.
ORIGINE E LIMITI DELLA RICERCA METAFISICA
Ci di cui si
OCCupa
la metafisica e la Trascendenza. La metafisica
mette
espressamente
a tema i
rapporti
esistenziali con la trascendenzam
La trascendenza un tema comune a tutte le
metafisiche,
perch
andare oltre il mondo dei fenomeni
verso un
mondo
superiore,
trascen-
dente,
fa
parte
della
essenza stessa della metafisica. Ci che
distingue
le
metafisiche tra di loro la Via
per compiere Voltrepassamento,
per
effet-
tuare la "seconda
navigazione,
nonch i risultati che
l'operazione
del-
Yoltrepassamento
riesce a
conseguire.
Nelle metafisiche costruite dall'alto la Trascendenzae il
punto
di
par-
tenza: da
essa con
procedimento
deduttivo viene ricavata
ogni
altra
realt. Invece nelle metafisiche costruite dal basso la Trascendenza il
punto
d'arrivo.
Jaspers
costruisce una metafisica "storica"
(e non
ontolo-
gica),
dove l'alto viene fatto coincidere
con
la manifestazione
originaria
della Trascendenzaall'umanit. Nella
sua
metafisica la Trascendenzasi
trova
"giustapposta"
sin dall'inizio all'esistenza
possibile
dell'uomo.
Questi
infatti
non
pu
sottrarsi
altinterrogativo:
Che cos' l'essere?
-
perch
esiste
qualcosa, perch
non esiste il nulla?
(...).
Destandomi alla
coscienza di
me stesso,
mi
colgo
in un
mondo in cui mi
oriento; avevo
afferrato le
cose e le
avevo
lasciate cadere di
nuovo;
tutto era evidente,
era senza
problemi,
era
pura presenza.
Ora, con mia
grande
sorpresa
mi
domando che
cosa
propriamente
esiste,
perch
tutto
transitorio;
io
non
ero
all'inizio
e non sono
alla fine.
Eppure,
compreso
tra l'inizio
e
la
fine,
domando di
questo
inizio
e
di
questa
fine>>.78
Iaspers
ricorda anche che la metafisica viene
generalmente
definita
con
riferimento all'essere: 10 studio dell'essere in
quanto
tale.
Ma,
riprendendo
il
giudizio
di
Heidegger, Jaspers
sostiene che la metafisica
ben
presto
si convertita dall'essere all'ente
e si trasformatain
antologia,
la
quale,
come
dottrina
dell'essere, non
pu giungere
ad altro risultato
che
quello
di tradurre l'essere nella
conoscenza dei modi dell'essere che si
presentano
e
si fanno incontro al
pensiero.
Nella realizzazionedi
questo
compito
non sar mai
possibile
incontrare l'essere
unico, ma
solo rendere
libero il cammino
per giungere
all'accertamento di s.
Oggi lontologia
non
vale
pi
come metafisica, ma come teoria delle
categoriewei
77) K.
JASPERS, Nletafisica,
tr. di U. Galimberti,
Milano
1972,
p.
127.
79) lbd,
p.
15.
7") lliid,
pp.
41-42.
Fenomenologia
e
metafisica
621
Se l'essere viene assunto come nome
della
Trascendenza,
allora oc-
corre
riconoscere che mentre noi conosciamo un'infinit di
enti,
l'essere
in
quanto
tale risulta del tutto inaccessibile.Scrive
Jaspers
a
questo pro
posito:
Occorre
distinguere
tra ci che e direttamente
presente
nella
sua
immediatezza, tra ci che esiste ed da
scoprire,
sicch se ne
pu
parlare
direttamente in
categorie,
e ci che cosi non esiste,
sicch
se
ne
parla
solo
indirettamente, fraintendendolo, e
quindi,
in
ogni caso,
necessariamente in
categorie.
La
contrapposizionepu
essere
formu-
lata schematicamente in
questi
termini: Lo svelanzento dell'essere
conoscenza
scientifica nellorientamentodel
mondo, e
coglie
di volta
in volta un essere determinato,
in maniera
pi
o meno
adeguata.
L'ac-
Certanzento dell'essere invece il filosofarecome
trascendere oltre
l'og-
gettivit: per
il tramite delle
categorie,
esso
coglie inadeguatamente
in
oggettivit
che lo
rappresentano
ci che in s non
pu
mai diventa-
re
oggettomfl
DALL/ESISTENZAALLA TRASCENDENZA
Nessun ente l'essere e
neppure
tutti
gli
enti di
questo
mondo messi
insieme coincidono con
l'essere.
Questo
mondo
non
e tutto. La
percezio-
ne
della insufficienza di
questo
mondo e la
ragione
che ha indotto i
metafisici di tutti i
tempi
a
compiere
il
grande
balzo
(Sprung)
verso un
altro
mondo, un
mondo
superiore,
immateriale, eterno. La metafisica
consiste essenzialmente in
questo
"balzo". L'uscita
dagli
enti anche dal
proprio
esistere una
necessit
inderogabile:
la seconda
navigazione

un
obbligo.
La necessit
per
l'uomo di
aprirsi
alla Trascendenza
Iaspers
la
coglie
nella
libert,
questa
singolarissima qualit
che trasforma l'esistenza
umana
in una esistenza
possibile
anzich necessaria. Ora,
l'uomo
dapper-
tutto incontra limiti
quando
mosso
da ci che
gli
e concesso
mediante
la libert.
L'esistenza
consapevole
che,
in
uno stato di assoluta autosufficien-
za,
dovrebbe
precipitare
nel vuoto.
Quindi, se
deve realizzarsi da s
non
ha altra
possibilit
se non
quella
di rendersi conto che ci che la
conduce al
compimento
le
proviene
dal di fuori. L'esistenza non se
stessa
quando
le accade di venir meno a se stessa,
di fronte
a
s sta
come se
fosse stata a s donata. Custodisce la
sua
possibilit
solo se
si
sa fondata nella Trascendenza. Perde la
sua
apertura per
il
suo
pro-
prio
divenire, se ritiene se stessa
per
l'essere autentico. Per
questo
la
libert,
nell'aprirsi
un varco attraverso l'esserci del
mondo,
e
presa
ancora
dalla
passione
di decidere dentro di s
l'essere, ma
la libert
m) Ibiafl,
p.
40.
622 Parte terza
non
pu
considerare se stessa come la realt ultima
e
suprema.
Essa
infatti esiste solo nel
tempo,
sulla via
lungo
la
quale, ancora,
l'esisten-
za
possibile
si realizza:
pertanto
non l'essere in s. Nella Trascenden-
Za
poi
la libert
cessa
perch
non c'
pi
nulla da
decidere;
l
non esi-
ste n la libert ne la
mancanza di libert. L'essere come libert che,
nella nostra
interiorit,

l'appello pi profondo,
finch
dipende
anco-
ra da noi ci che noi
siamo, non l'essere della Trascendenza. Anche
la
libert, se ridotta
a se stessa,
si
rattrappisce.
Nella Trascendenza
che
come
tale solo ad
essa si manifesta, la libert
cerca
la
sua
pienezza,
il cui essere diventa
per
essa
la
possibilit
del
compimento,
della
rea-
lizzazione,
della
salvezza,
oppure,
la
possibilit
del dolore nell'essere
della Trascendenza. In
ogni
caso
la
soppressione
della
possibile
au-
tosufficienza in s la
suprema soddisfazionenellesserci-temporaleR
Il
passaggio
dall'esistenza
possibile
alla Trascendenza attraverso la
libert
precisa Jaspers

non una
prova
apodittica,
una
dimostrazione
logica,
ma
un'esperienza, per un'esperienza
siti
generis,
diversa dalle
percezioni
sensibilidi
oggetti spazio-temporali.
Si tratta di
un'esperienza
vissuta del tutto
speciale
a cui
Jaspers
d il
nome di
esperienza nretafisica.
In
essa io sto dinanzi
allabisso; ne
esperimento
la
mancanza sconsolata
quando l'esperienza
rimane
mera
esperienza
dellesserci; vi trovo
l'espe-
rienza che
riempie se,
rendendosi
trasparente,
diventa cifra
(...).
L'espe-
rienza metafisica
non
un accertamento razionale, ma
al di l di
questo,
una
trasparenza
dell'essere
nell'esserci;
questa trasparenza
incomincia
nellimmediatezza
pi primitiva
dell'esistenza
e,
nella mediazione
pi
alta del
pensiero
non mai
pensiero ma,
per
suo tramite, nuova imme-
diatezza>>fi2
Pertanto,
conclude
Jaspers, l'esperienza metafisica
si sottrae a
ogni possibilit
di
UEYIfCII
capace
di convertirla in
qualcosa
di valido
per
tutti. Se
pensassi
di
poter disporre
di lei si da
poterla
condurre
a
piacere
nella coscienza in
generale,
se
la considerassi alla
stregua
di
un
sapere,
o
anche solo
se
la trattassi
con
leggerezza
come se fosse
un sentimento
puramente soggettivo,
mi
ingannerei.
In essa si
coglie
un modo dell'es-
sere,
diverso da
quello
che solo
positivo
esserci. In
essa l'essere,
da
mero esserci,
si traduce in eternit dove
nessun
sapere pu penetrare>>fi3
Nella
navigazione
metafisica di
Iaspers
non c'
grande originalit:

una
navigazione
come tante altre. Solo che invece di
percorrere
le famo-
se rotte dell'ordine,
della
verit,
della
bont,
del
divenire,
della contin-
genza, Iaspers preferisce seguire
la rotta della libert. Non una via
cosmologica
n
ontologica,
ma una via
antropologica
di
stampo agosti-
niano
e cartesiano.
51) lirici,
pp.
92-93.
33) lbid,
p.
244.
33) lbid,
Fenomenologia
e
metafisica
623
Neppure per quanto
concerne
gli
esiti della seconda
navigazione
Jaspers propone
tesi
originali.
Gli esiti della sua
navigazione
sono
quelli
marcatamente
negativi
dei
neoplatonici.
L'unica Certezza
che si
raggiun-
ge
l'esistenza della Trascendenza, ma
della
sua natura nulla si
pu
conoscere,
e
di
essa
si
pu parlare
solo in modo
cifrato,
mediante il lin-
guaggio
dei simboli.
Ma anche
se
l'impianto generale
della metafisica
jaspersiana
non
pu
essere
diverso da
quello
di
ogni
altra
metafisica,
ci sono in essa
alcuni
tratti
specifici
che le danno una
configurazioneparticolare,
e
che la
distinguono
da
qualsiasi
altra metafisica antica o
moderna. Vediamoli.
l
Tl{A'l"l'lORIGINALI DELLA METAFSICADI
IASPERS
I
punti originali
della metafisica
jaspersiana
si
possono
ridurre
a
quattro:
1)
la
storicit; 2)
l'ampiezza degli
itinerari metafisici; 3)
la svalu-
tazione dell'itinerario
speculativo,
che tenta di
ingabbiare
la Trascenden-
za
in
concetti; 4)
il
linguaggio
cifrato.
La storicit della
metafisica
Iaspers
caratterizza la
sua
metafisica come storica. Che
cosa
intende
dire? Se con
questa espressione
si vuol dire che
ogni
metafisica
figlia
del
proprio tempo,
allora la metafisica
porta
necessariamenteil marchio
della storicit. Senonch l'ambizionedel metafisico
quella
di elaborare
una visione della realt che ha valore assoluto: l'obiettivodella seconda
navigazione

attingere
un
Principio primo
che sta al di fuori del
tempo
e
domina tutti i
tempi.
Anche
Iaspers
colloca la Trascendenzanell'eter-
nit, ma non
la metafisica.
Questo
un
cammino che l'umanit
compie
nel
tempo
e
che
procede
con
fasi alterne
lungo
l'arco della storia. Non
un cammino isolato di
qualche geniale pensatore,
ma una
faticosa tra-
versata del Mar Rosso che l'umanit
compie
tutta insieme.
L'incontro con
la Trascendenza non
pu
avvenire che nella storia, e
pertanto soggiace
ai limiti di
una
manifestazione
storica; non
pu
riven-
dicare titoli di assolutezza ed
esclusivit, ma
esige l'apertura
e
l'acco-
glienza degli
altri incontri con
la Trascendenza. Ecco un
passo
interes-
sante in cui
Iaspers
illustra la storicit della metafisica:
Poich la verit della Trascendenzanon
per
l'esistenza che si rea-
lizza nell'esserci una verit
intemporale
che si lascia
cogliere
nella
forma dellevidenza
razionale,
la verit della Trascendenza deve
avere
questa
forma storica. Ma fino a
quando,
per
sua virt,
si anima
una comunione di libere
esistenze, l'esistenza, se non
fraintende il
senso delluniversale, si tiene
aperta
alla verit
altrui, e
nella incondi-
zionatezza con cui si affida alla
propria
verit,
ha la
possibilit
di evi-
tare, con la coscienza della sua storicit,
Pescludenza delle altre
e
la
624 Parte terza
pretesa
della
universalit;
questo,
ovviamente,
alla sola condizione che
le
verit,
nella loro forma
storica, non rivendichino il carattere di
Verit di
ragione
valide fuori del
tempo.
Quanto
poi
alla domanda se
l'essere del
se stesso nel
suo
rapporto
trascendente
pu
essere
fonda-
to su una circostanza
storica,
si deve
rispondere
affermativamente. La
storicit, infatti,
il fondamento del sentimento del nostro non essere
tutto che conduce
a non considerare
se stessi come il
tipo
di
essere
che, solo,
ha il diritto di esistere-w-
La
mancanza
della
percezione
del carattere storico della metafisica
con-
duce al fanatismocoloro che
pretendono
di
impone
a tutti
gli
altri le
pro-
prie
idee intorno alla Trascendenza. Ma l'autentica Verit della Tra-
scendenza in
grado
di
prender
coscienza del
suo carattere storico e
quindi
non-universale, incondizionato
e
quindi
non-universalmentevalidonfi
L'incontro
con
la Trascendenza
concepito
da
Iaspers
non come una
conquista
bens
come un
dono. Si incontra la Trascendenza
quando
e
dove
essa si rivela. Al
singolo
individuo
non
possibile,
incomincian-
do
Con
le
sue forze,
giungere
a
scoprire
che cos' la Trascendenza. Ma
una insondabile
tradizione,
nel
linguaggio delloggettivit
metafisica,
gli permette
di ascoltare ci che,
legato
ad
essa, pu Sperimentare
nel
proprio presente
come
realtmfit?
La rivelazione della
Trascendenza,
secondo
Jaspers,
che
qui, seguen-
do
Heidegger,
secolarizza
gli insegnamenti
della
Bibbia,
fu
particolar-
mente luminosa
agli
inizi del
genere
umano.
Allora la Trascendenza si
rendeva
trasparente ovunque.
Perci non esiste altra metafisica
migliore
di
quella
che
percorre
il cammino a ritroso fino al
ricupero
della rivela-
zione
originaria.
La
metafisica, come
pensiero
filosoficoriferito alla
Trascendenza,
ha tutto il
suo contenuto nelle
origini,
e
la
sua
seriet
nella
possibilit
che la
sua
esperienza
dischiude. La
metafisica, come
possibilittramandata, non
qualcosa
di similea una assurda traduzione
della realt della Trascendenzain
possibilitlogica
e
psicologica,
ma
possibilit
per
l'esistenza
che,
grazie
ad
essa, pu
chiarificarsi
a contatto
con
la realt assolutam
Ampiezza
e
molteplicit degli
itinerari della
metafisica
La storia della metafisica ci ha fatto
conoscere una
grande
variet di
itinerari metafisici,
che
riguardano
sia l'ascesa del mondo dei fenomeni
dal
Principio primo,
sia la discesa dal
Principio primo
al mondo dei
fenomeni.
m) Ibid.,
p.
115.
85)
Ibia.
se) lbid,
p.
98.
s7) lbid,
p.
99.
Fenmizenologiti
e
metafisica
625
La metafisica
jaspersiana,
essendo
una
metafisica
storica,
in
grado
di
accogliere
tutti
gli
itinerari che
sono
stati
percorsi
nel
corso
dei secoli.
Ma non si tratta tanto di itinerari che l'uomo si
aperto
con
la sua
indu-
stria,
quanto
delle modalit con cui la Trascendenza venuta incontro
all'uomo. Infatti
la
Trascendenza,
che
presente
solo
quando
l'esistenza,
nelle situa-
zioni-limte,
si
dirige
verso
di essa
partendo
dalla
propria origine,
pu
essere
il fuoco che tutto consuma o
il silenzio che dice ancora
tutto e
poi
di nuovo tace come se
la Trascendenza
proprio
non ci
fosse.
Legate
alla
propria
coscienza dell'essere,
la Trascendenzasi manife-
sta nella stessa forma che io adotto
per
rivolgermi
ad
essa;
da
parte
mia sono in
grado
di
cogliere
il
suo essere
nella misura in
cui, agendo
interiormente
divengo
me stesso; essa mi tende la mano
finch l'affer-
ro;
ma non
deve essere
forzata. Il
problema
e di
sapere
quando
e
come
la Trascendenzasi
palesa. L'atteggiamento
che si mantienenella
disposizione,
che
non

passivit, pu
essere
decisivo tanto
quanto
l'abbracciarefreneticamentel'esserci del destinomg
Per
parlare
della
Trascendenza,
molto
prima
del
linguaggio specula-
tivo della metafisica l'umanit si servita del
linguaggio immaginifico
del
mito,
dell'arte e
della
poesia.
La metafisica
comprende
i
miti, l'arte,
la
poesia
come
manifestazioni della Tra-
scendenza
e
tramite
concetti si
appropria
di ci che la
oltrepassa.
La
metafisica filosoficadiventa a sua
volta creatrice
quando,
da
parte
sua, legge
la scrittura cifrata dell'esserci del mondo e la traduce in
costruzioni concettuali. Il
suo concetto diventa elemento di un mito.
Tali
pensieri
si collocano come
qualcosa
di differente e
nello stesso
tempo
di
analogo,
accanto alle visioni dei
poeti
e
degli
artisti e accan-
to ai miti autentici.
Essi,
pur
avendo una
forza di
penetrazione
incomparabilmentepi piccola, possiedono
in cambiouna
chiarezza
unica e
insostituibile. Non sono
apodittici
come
le
argomentazioni,
sono
lontani da tutte le
ipotesi
formulate a
proposito
di
un essere sus-
sistente,
considerati
logicamente
sono
circoli
e
paradossi
e
alla fine
naufragano
nel dissolversi di tutto il
pensato>>fi9
Innumerevoli
sono
i metodi che
sono stati utilizzatidai metafisici,
in
particolare
durante
l'epoca
moderna.
Iaspers
li riduce a tre: il metodo
profetico,
il metodo scientifico e
il metodo della
riappropriazione,
ossia
dell'anamnesi storica.
Nella
nzetafisica profetica,
ci che nell'istante esistenziale esiste storica-
mente e
per
un
singolo
come
assoluta certezza della
Trascendenza,
quando
viene
espresso
nel
linguaggio oggettivo pretende
di
imporsi
in
35)
Ibiri,
p.
171.
3") lbid,
p.
83.
626 Parte terza
termini vincolanti come se
fosse
una verit universalmente
valida, e
cos, mentre sta formando i suoi
prodotti
intellettuali, la metafisica
pro-
fetica
perde
il
suo
fondamentoautentictwfl"
Nella
metafisica scientifica,
le tesi metafisiche rivendicano
un carattere
oggettivo
e verificabile,come se
si trattasse di tesi scientifiche. Le tesi
metafisiche che si
presentano
nella storia
vengono
assimilate esterior-
mente,
esaminate nella loro esattezza e
nella loro falsit in relazione alla
propria
norma razionale,
vengono
corrette,
modificate
e assunte nella
propria
costruzione.
Questi
criteri
rispondono
a una
supposta
scientifi-
cit, ma in realt offendono la metafisica nella sua
compiutezza, perch
quest'ultima,
senza la condizionedella
propria
libert
e
del
proprio pe-
ricolo, non
pu
essere
posseduta
dalla
pura
teoria.'
L'unico metodo che si addice alla
nzetaflsica
storica
quello
della
riap-
propriazione degli
incontri con
la Trascendenza che
sono stati realizzati
nel
corso
dei secoli. La metafisica
sempre
la storia della metafisica di
cui ci si
appropriati
a
partire
dal
proprio presente,
ed a un
tempo
il
presente
che si manifesta
a
partire
dalla storia della metafisica. Essa rea-
lizzail
suo
compimento partendo
dalla tradizione
e
sviluppandosi
attra-
verso
l'esistenza del
singolo
che diventa se stesso
quando
ascolta il lin-
guaggio
del
mondo, enormemente ricco e
profondo,
in cui entra tutto
l'essere
a
lui essenzialewl Mentre la metafisica
profetica
e la metafisica
scientifica riducono il mondo a una mera schematica del mondo
e
abbandonanol'esistenza al
proprio sviluppo
violento
e
privo
di comuni-
cazione,
quella appropriatrice

prodotta
sempre
di
nuovo
dal
sapere
del mondo
e
dalla comunicazioneesistenziale.
Il ridimensionamentodella
metafisica speculativa
Assumendo carattere storico ed esistenziale la metafisica
jaspersiana
non si lascia
pi inquadrare
dentro
gli spazi
ristretti della metafisica
speculativa,
ma si
appropria
di tutte le forme che l'incontro
con
la
Trascendenzaha
assunto nel
corso
dei secoli. Cos
Iaspers
riconosce va-
lenza metafisica al
mito,
alla
metafora, al
simbolo, all'arte,
alla
poesia
ecC.,
mentre ridimensiona la valenza della metafisica
speculativa.
Que-
sta
pretende
di
impadronirsi
della Trascendenzain modo
oggettivo,
uni-
versale, definitivo, assoluto. Ma
questa
cattura risulta assolutamente
impossibile, poich
nellesserci non c' in
generale
l'unico cammino
sicuro e
oggettivamente
certo dell'esistenza, ma una incertezza della
90) una,
p.
122.
91) Ibid,
p.
124.
92) 12nd,
Fenomenologia
e
metafisica
627
possibilit
in cui la
Trascendenza, se la Vuol conoscere rimane
equivoca
e
problematicam
Col
pensiero
noi
possiamo
chiarire solo a tratti ci
che, come totalit,
rimaneinconoscibileal
pensiero.94
Jaspers
fa coincidere la metafisica
speculativa con la
legge
del
(giorno,
che la
legge
della
scienza,
la
quale
vuol vedere
e
spiegare
tutto con
rigo-
re e
chiarezza. Mentre la
vera metafisica fa sua la
legge
della notte:
questa
consente di
raggiungere
la verit soltanto nelle tenebre. Ecco un testo
molto
significativo
sulla distinzionetra
legge
del
giorno
e
legge
della notte:
La
legge
del
giorno
mette ordine nel nostro
esserci,
esige
chiarezza,
consequenzialit
e fedelt,
lega
alla
ragione
e all'idea,
allUno
e a noi
stessi. Essa
esige
la realizzazionedel
mondo,
la costruzione del
tempo,
il
compimento
dell'esserci
lungo
una via che
va all'infinito.
Ma ai confini del
giorno
ci
parla qualcos'altro.
[faverlo
respinto
non
ci lascia
quieti.
La
passione per
la tratte
sconvolge ogni
ordine. Si
preci-
pita
nell'abisso
senza
tempo
del
nulla,
che tutto trascina nel suo vorti-
ce.
Ogni
costruzione che si manifesta storicamente nel
tempo
le
appa-
re nella forma della illusione. Al suo
cospetto
la chiarezza
non
pu
penetrare
nulla di
essenziale, ma,
dimentica di
s,
abbraccia ci che
non ha
chiarezza, in
quanto
l'oscurit
intemporale
dellautentico.
Per
una necessit che
non si lascia
comprendere,
che non cerca
nep-
pure
la
possibilit
di una
giustificazione,
diventa incredula e infedele
di fronte al
giorno.
Per essa non esistono n
compiti
n
fini; essa e la
forza che
con
impeto
rovina nel
mondo,
per raggiungere
il
suo com-
pimento
nell'abissodellannichilarnentodel mondo>>f>5
La svalutazione della metafisica
speculativa colpisce soprattutto
la
teodicea,
la
quale rappresenta
il coronamentodella
indagine
metafisica. Il
suo obbiettivo dimostrare l'esistenza di Dio e
far luce sulla sua natura
e sui suoi attributi.
Secondo
Jaspers
l'esistenza di Dio
pu
essere soltanto
esperita,
mai
dimostrata: Nessuna
giustificazioneempirica
e nessuna deduzione
apodittica
in
grado
di
garantire
in
generale
l'esistenza della Trascendenza. L'essere
della Trascendenza colto nel
trascendere, ma non n
osservato,
n
pensato.96
Ma allora che valore hanno le innumerevoli
prove
dell'esi-
stenza di Dio che tutti i
grandi
metafisici hanno ideato nel corso dei
se-
coli? Per
Iaspers praticamente
nessuno: Queste dimostrazioni,
che nelle
loro forme
tipiche
hanno
percorso
i
millenni,
naufragano.
Infatti la
Trascendenzanon esiste in
generale,
ma
soltanto nella cifra storica
per
l'esistenza.
93) Haiti,
p.
172.
94) una,
p.
173.
95) Ibid,
p.
210.
96) Hard,
p.
325.
97) Ibid.
628 Parte terza
Mentre le
prove
dell'esistenza di Dio non hanno valore come
dimo-
strazioni
apodittiche,
esse sono
utili come
chiarificazioni intellettuali
dello slancio dell'esistenza nella relativizzazionedi tutto lesserci,
che
come esserci nulla.
Il
linguaggio cifrato
della Trascendenza
Secondo
Iaspers per parlare
della Trascendenzanon si
pu
mai usare
un
linguaggio
immediato, diretto, descrittivo, ma esclusivamente un
lin-
guaggio
cifrato. La
Trascendenza,
nella
figurazione
mitica e
nella
speculazione,
resa
in
un certo senso
pi
vicina, ma
questo
avvicina-
mento e falso se con ci invece di una cifra,
si crede di
cogliere
diretta-
mente la Trascendenzastessamg?
Lasso1uta trascendenza
ontologica esige
i1na1trettanto radicale tra-
scendenza
gnoseologica
e
linguistica.
Questa
una
tesi classica cara non
soltanto ai
neoplatonici,
ma
anche
a Maimonide, a Eckhart, a Cusano e allo stesso Kant. In
parte
essa
corri-
sponde
alla dottrina
dellanalogia,
la
quale,
come
noto,
oltre al
mo-
mento
positivo
include anche
un momento
negativo
ed eminenziale.
a
questa
dottrina che
Iaspers
si riferisce
quando
scrive: Uindeterminata
profondit
dell'essere della Trascendenza si lascia formulare solo nella
negazioni;
lAltissinzt) come
ideale
assoluto, come
il massimo che si
pos-
sa
pensare,
il massimo in
ogni senso,
che, a dire il
vero,
non
posso
n
immaginare
n
rappresentare,
ma
solo rendere
presente
nella
rappresen-
tazione che
procede lungo
la via della esaltazione di tutto ci che mi riem-
pie
e mi soddisfwxm
Doriginalit
della
posizione
di
Jaspers
nella
questione
del Valore dei
"nomi
divini",
pi
che nella sostanza si trova nel
linguaggio:
anzich di
simboli e di
analogie egli parla
di
cifre.
La cifra un
simbolo. Ma col termine cifra"
Iaspers
intende sottoli-
neare
il carattere non
noetico del simbolismometafisici) e di tutti i sim-
boli che si riferiscono alla Trascendenza. La cifra non
ha
nessun valore
conoscitivo, ma vale soltanto come
richiamo di un'altra realt. La cifra
non conosce nulla della realt a cui si riferisce. In essa
presente
una
manifestazione che
conosce certamente una
pienezza pi profonda,
ma
nient'altro attraverso cui
poterla concepire.
Questo
simbolismo fin dal-
l'inizio
non centrato sull'essere
gi
conosciuto,
di cui sarebbe fenome-
no,
ma resta nela
propria
manifestazione
insondabile,
da
cui,
per
sua
virt,
l'essere determinato rilucemlm Per
questo
non
possibile
alcuna
indagine
del
simbolo, ma solo una sua
captazione
e una sua creazione.
"lfilbid.
"lbiti,
p.
283.
"llfiltfid,
p.
326.
llfllritfl,
p.
263.
Fenomenologia
e
metafisica
629
Siamo
sempre
saldamente ancorati al
principio
che la Trascendenzanon
traducibilein alcun concetto ma
pu
essere soltanto incontrata in una
speciale esperienza
la
quale
ha
luogo
nelle situazioni-limite.
La
cifra
e l'essere che
porta
la Trascendenzaalla
presenzamm
La
cifra
l'essere del limite come
linguaggio
della
Trascendenza,
in
essa la Trascendenza si avvicina
all'uomo, ma non
in
se stessa. Que-
sto
perch
il nostro mondo non
pu
essere letto totalmente come
cifra,
perch parlando
miticamente la cifra del diavolo evidente
come
quella
della
divinit,
perch
il mondo non assolutamenteuna
rivelazione
diretta, ma
solo
un
linguaggio
che, senza diventare uni-
versalmente
valido,
si lascia
percepire
di volta in volta storicamente
dall'esistenza e si lascia decifrare in una maniera che
non
definitiva,
per
cui la Trascerldenzzzsi rivela conte nascosta. Essa
lontana,
essendo
inaccessibile anche
estranea, e non
potendo
essere
paragonata
a
nulla
Yincomprensibilmente
altro. Viene in
questo
mondo come da
un suo lontano essere a
guisa
di
potenza
estranea, parla
all'esistenza,
le si
avvicina, ma le si rivela solo COME
ciframW-
Per la corretta
interpretazione
della cifra
Iaspers
fissa
quattro principi:
Primo,
nella cifra
non si deve
anticipare
nulla di ci che
potr
essere
successivamente
conosciuto,
piuttosto
il
sapere
nella
sua totalit che
concorre a rendere la cifra
pi
decisiva,
nel senso che
questa
si accen-
de e vive a contatto col
sapere,
senza tradursi
per questo
in un
sapere.
Secondo,
la cifra
non
espressione
di
una realt
psichica umana,
piuttosto

proprio questa
realt che
con la
sua
espressione
si conver-
te totalmente in cifra.
Terzo,
la cifra
non il carattere delle forme
della natura e non lo
spirito
della creazione
umana, queste piuttosto
possono
convertirsi in cifre.
Quarto,
la cifra
non la vita
psichica
inte-
riormente
compresa,
ma
per
l'esistenza
unbggettivit
che non
si
lascia
esprimere
tramite
altro,
perch pu
essere
confrontata solo con
se stessa,
in essa
parla
la Trascendenza e non
semplicemente
un'ani-
ma umana
per quanto
elevata ed estesa essa sia.
Quindi
ci che si
coglie nell'espressione
non la cifra. Rendere
comprensibile
la scrit-
tura cifrata
significa
annullarla. Se mediante la
comprensione
del
comprensibile
dato di vedere nella
sua
presenza
e nella sua
forma
Pincomprensibile
come tale,
quando questo incomprensibile
diventa
trasparente,

possibiletoccare,
tramite la
cifra,
la Trascendenzaw
La cifra
non
pu
essere colta attraverso nessuna
indagine speculati-
Va,
ma solo storicamente
perseguita
dallesistente in
concreto,
attraverso
l'esperienza
dello scacco" e del
"naufragio
del
pensiero speculativo.
Inzmaza,
p.
251.
"l3)llaid.,
p.
284.
4)Ilwid.,
p.
290.
630 Parte terza
Solo nel
naufragio
si
scorge
il fondamento della
verit, come
enigma
(cifrato)
dell'essere. Siccome noi non viviamo nella
Trascendenza, ma
nellesserci
temporale,
il
senso della verit non risiede mai
per
noi in
un
compiuto possesso,
ma
per
cos dire,
sulla via
dell'acquisizione.
La
ve-
rit non
pu
infatti
configurarsi
come una totalit in s
conclusa, ma
sempre collegata
con la
non-verit, non soltanto
distinguendosi
da
essa,
ma altres
comprendendola
in un continuo movimento di ricerca e
di
superamento,
in cui soltanto dato di
scoprire
l'effettiva relazione tra
"vero e
falso. La verit non esiste di
per
s come
qualcosa
di fisso che
aspetti
soltanto di venire comunicato. La verit si
genera
dal1'intreccio
del
pensare
col vivere: il
suo
offuscamento
non
pu
derivare che dall'al-
lentamento del vincolo che
stringe
insieme
questi
due
termini,
nell'iso-
larsi incerto e malsicuro del vuoto intelletto da un lato e della mia vita
vissuta dall'altro. Come da tutto ci si
pu comprendere,
il
significato
della verit ci
presentato
attraverso una mediazione: attuare
questa
mediazione
compito
della
logica filosofica.
Tale
compito

quello
di
mostrare che
nessuno dei modi della
comprensivit
infinita
pu
consi-
derarsi
come un tutto in s
concluso,
n
posto
sullo stesso
piano
di
un
altro; n d'altra
parte
il tutto
pu
essere mai
saputo
come tale senza
rife-
rimento a un altro,
al
mondo,
alla
Trascendenza, a Dio. L'unica via
per
giungere
a
concepire
l'esistenza di Dio infatti
quella
stessa offertaci
dall'immagine
del
Comprensivo,
in cui la Vivente attualizzazionedel-
1Ass0luto si
compie
in
ogni
istante e direttamente in ciascuna situazio-
ne storica
particolare, pur
senza
giungere
a
formularsi in
particolari
arti-
coli di
fede;
infatti la fede
piuttosto
manifestazionedi
una certezza che
si instaura
per
l'azione,
nelfimprovviso
ammutolimento dell'Essere di
fronte al
sapere
obiettivo.
Storiche
sono le manifestazioni della
Trascendenza,
storica la meta-
fisica;
di
conseguenza,
nella
prospettiva jaspersiana
non
pu
non essere
storica anche la verit. La verit un
processo
che
non
raggiunge
mai il
suo
compimento.
Di
qui
la
conclusione,
pi
volta ribadita da
Jaspers,
della
impossibilitper
la mente umana
di
acquisire
certezze assolute in
qualsiasi
ordine di
cose,
ma
soprattutto
nell'ordine metafisico. La verit
assoluta il
traguardo sempre perseguito
ma mai
raggiunto
del filosofa-
re:
questa
situazione,
secondo il nostro
filosofo, non
costringe
ad abban-
donare la
comunicazione; anzi,
la fiducia nella verit
degli
altri fa
nasce-
re la virt della umanit.
Viceversa,
qualsiasi pretesa
di certezza asso-
luta da
parte
di
una filosofia o di una
religione
diviene
ipso-facto
una
"non-verit", e
la credenza in un'unica verit rende
impossibile
la
Co-
municazione
genuina
e
conduce al fanatismo.
Fenomenologia
e
metafisica
631
Monna e IMMORTALYP
Nei
Soliloqui" Agostino
dichiara che le
questioni
metafisichefondamen-
tali sono
due: l'anima e
Dio.
Questo
vero
anche
per
Iaspers.
Tutta la sua
speculazione
metafisica centrata sull'uomo e sulla
Trascendenza; ora
passeremo
a
esporre
brevementeil suo
pensiero
intorno allmanima".
In
Iaspers,
come del resto anche in
Agostino,
la soluzionedel
proble-
ma dell'anima strettamente
legata
alla soluzione del
problema
di Dio.
Infatti, come
abbiamo
Visto,
l'esodo dell'uomo verso
la Trascendenza
non avvieneattraverso la dimensionedellesserci in
generale,
bens attra-
verso l'esistenza: luomo stesso che si
apre
e Vive nella Trascendenza:
La
Trascendenza,
in cui solamente
posso raggiungere
un
punto d'ap-
poggio,
include anche la totalit di me stesso. Nellesserci io sono
il voler-
diventar-totale, ma solo nella Trascendenza
potrei
essere totalcw
A
questo punto
luomo non
pu
sottrarsi
allnterrogativo
circa il
futuro della
propria
esistenza: la morte l'ultima
possibilit
del
Dasein,
come sostiene
Heidegger, oppure
la morte
gli spalanca
la
porta
Verso
Yeternit?
Ovviamente,
la
morte, come fatto,
un
annullamento
puro
e
semplice
del mio esserci totale.
Tuttavia,
dalla morte come situazione-
limite
sono rinviatoa me stesso
per
chiedermi se sono un tutto e non sem-
plicemente
alla
fine.
La morte non e solo fine del
processo,
ma come
mia
morte,
suscita inevitabilmente
questa
domanda relativa al mio essere-
totale: che
cosa
sono,
visto che da
questo
momento la mia vita
fu, e non
c'
pi
futuro come
processo?.16
Nel
linguaggio
di
Jaspers
le situazionilimite" sono situazioni che
pongono
alla nostra esistenza limiti invalicabili.
Rispetto
al nostro essere
sono
situazioni che hanno il carattere di definitivit. Non sono
traspa-
renti; sono immutabili,definitive,
incomprensibili,
irriducibili,
intrasfor-
mabili,
solamente chiarificabili.Nel nostro esserci non ci dato nulla da
scorgere
al di l di loro. Sono come un muro contro il
quale
cozziamo e
naufraghiamo.
Dinanzi alle situazioni-limite la libert
pu
assumere
due
atteggiamenti:
o
chiudersi in
se stessa, e
allora
sprofonda
nella
disperazione;
oppure
si
apre
alla
Trascendenza, e allora
acquista
fiducia
e
speranza per
il
suo
futuro.
Fra tutte le situazioni-limitefondamentale indubbiamentela morte.
A
questo riguardo, Iaspers distingue
fra situazione-limite
generale
del
mondo
e
situazione-limiteindividuale. La morte , anzitutto, una
situa-
zione-limite
generale
del mondo: tutto ci che
reale, senza eccezione
alcuna,
mortale.
Qualsiasi esperienza, qualsiasi
stato, qualsiasi evento,
immediatamente si vanifica
e la serie si estende cos sino allesistenza
1U5)1bid.,
p.
195.
wmnd.
632 Parte terza
del nostro
pianeta
e si
prolunga
all'infinito.17La morte ,
poi,
Lina si-
tuazione limite
specificamente
umana: essa il
"limite-sempre-ritornan-
te" che tormenta l'uomo,
che lo rode nel
suo intimo, non
appena
si co-
stituisce unautocoscienza
personale.
Vi
sempre
un
rapporto
di
genere
unico tra l'uomo e la
sua
propria morte, un
rapporto
non
comparabile
con alcuna
esperienza generale
o
particolare
della morte dell'altro,
del
prossimowfi
La morte
degli
altri la
posso
anche
pensare,
credere,
imma-
ginare.
Posso
persino
avere
la
pi completa
conoscenza scientifica,
stori-
ca,
filosoficadella morte in
genere.
Invece,
per quanto riguarda
me stes-
so,
nel mio intimo c'
qualcosa
che
non la ritiene
necessaria,
che
non
la
ritiene
possibile.
E,
d'altra
parte,
la
ragione
non
fornisce
nessuna
prova
che l'uomo
potr sfuggire
a
questa
situazione limite: Per luomo che
abbia coscienza della situazione limite della
morte,
l'intelletto diventa
una cosa senza senso ai fini della considerazionedell'immortalit:
poich
l'intelletto resta
attaccato,
per
sua natura,
al limitabilee
perci
al fintO>>.1"9
L'unica facolt
umana
in
grado
di svelare il mistero della
morte,
per
Jaspers,
l'amore. Esso scavalca anche la situazione-limitedella
morte, e
si mette in comunicazionecon
chi morto. Tale comunicazionemi d la
certezza che la morte non un baratro, una
voragine
che mi
inghiotte
o
un abisso in cui
sprofonda.
Al
contrario,
come se
per
mezzo suo io mi
riunissi alle esistenze con le
quali
comunicavo nel modo
pi
intimo. Il
salto
(della morte) come
la nascita d'una
nuova vita. La morte stata
assunta nella trita. La vita si fa
garante
della verit della
comunicazione,
che scavalca la morte
perch
la vita fu realizzata
come
la comunicazione
richiedeva, e ora
richiede. La morte ha allora cessato di
essere un vuoto
baratro.

come
se,
non
pi
abbandonato,
mi
aggrappassi
all'esistenza
che si trovava con me nella
pi
intima comunicazione>>. In tal modo
Jaspers
conclude che l'immortalit non e una
parte
del nostro
sapere,
ma
la ricchezza del nostro amoremm
Concludendo, l'immortalit,
che
non e assolutamente l'esito neces-
sario della
vitatemporale,
dal
punto
di vista della certezza metafisica
non
riposta
nel
futuro,
nella forma di
un
altro
essere,
ma
gi
nell'e-
ternit
come essere
presente.
Non
sussiste,
finch io non entro in
essa
come esistente. L'esser se stesso che
guadagna
l'ascesa si accerta dell'im-
mortalit
per
sua virt, e non con un
procedimento
razionale. L'immor-
talit
non
pu
essere
in alcun modo
dimostrata,
per
cui tutte le riflessio-
ni
generali
non
possono
far altro che rifiutarlaml
"'7)K. JASPERS, Psicologia
della USOHE del
mondo,
Roma
1950,
p.
302.
Wflhirt,
p.
303.
109mm,
p.
305.
VK. IASPEKS, PhilosophicII,
p.
221.
1)ID., Eimmortalit de
l'amo,
Neuchtel
1958,
p.
51.
ll3)ID.,
Metafisica,
cit.,
p.
198.
Fenomenologia
e
metafisica
633
OSSERVAZIONI CRITICHE
Jaspers
un
energico
difensore della
metafisica, ma non di
una meta-
fisica
forte,
bens di
una metafisica debole, che si
preoccupa maggior-
mente di fissare i limiti di uno studio delle cause
ultime,
che esaltare i
poteri
della
ragione
in
questo campo.
Cos
quella
di
Jaspers
molto
pi
Vicina alla metafisica di Kant che alla metafisica di Cartesio o a
quella
stessa di
Heidegger.
Per
ritagliare
uno
spazio
alla metafisica
Jaspers
demolisce le
pretese
dello scientismo. La reazione di
Iaspers
contro lo scientismo radicale;
lo
scientismo, come
degenerazione
della scienza nel suo
pretendere
di
essere una
panacea
universale,
viene battuto in breccia: le formule chia-
re, esatte,
onnirisolventi
vengono
da lui ricondotte nei loro
limiti,
che
sono
quelli
di
una
pura precisazione
dei dati
empirici
da sfruttare ai fini
della
parte
non
migliore
dell'uomo. Insieme alla critica alla scienza c'
nel
pensiero
di
Iaspers
la reazione a
quellbttimismo razionalistico,
che
in
Hegel
aveva
raggiunto
la forma
pi grandiosa nell'adeguazione
piena
fra razionalited
effettualit;
sulla scia di
Kierkegaard,
nella
hege-
liana
ragione Jaspers
ha notato l'eccesso delle ambizioni e l'assenza di
quella
drammaticit che caratterizza
l'individuo,
nella sua
irripetibile
e
illivellabiletensione
spirituale.
Nella metafisica di
Jaspers
ci sono tutti
gli ingredienti
di una buona
metafisica: la seconda
navigazione;
lesistenza di
una realt
superiore,
trascendente;
Yappartenenza
dell'uomo al mondo della Trascendenza.
Ci che
distingue
la metafisica
jaspersiana
dalla metafisica classica di
essere una metafisica
storica,
esistenziale e ateoretica. Dando alla metafisi-
ca
il carattere della storicit e della
esistenzialit,
Iaspers allarga
le vie
per giungere
alla Trascendenzai Alle vie
speculative egli aggiunge
le Vie
della
fantasia,
della intuizione
e
del
sentimento, e cos
ricupera
le Vie
dell'arte,
della
religione,
della
poesia,
del mito.
Ma la
moltiplicazione
delle vie non
migliora
affatto i risultati della
metafisica;
negando
valore alla
teoresi,
Jaspers avvolge l'atterraggio
nel
mondo della Trascendenzanelle dense foschie della
legge
della
notte,
la
quale
vieta
qualsiasi
concettualizzazionedella
suprema
Realt.
Lapofati
smo
che
Iaspers
mutua dai
neoplatonici
viene da lui ulteriormente esa-
cerbato trasformando tutti i concetti e tutte le
argomentazioni
in cifre.
Queste
hanno soltanto il
potere
di alludere
e
richiamarela
Trascendenza,
ma nulla
possono suggerire riguardo
alla
sua natura. Cos l'uomo viene
ad
aggrapparsi
ciecamente a una Trascendenzadi cui nulla conosce.
Questo
totale svuotamento del concetto di Trascendenza
dipende
dal
completo
svuotamento della cifra
principale
della
Trascendenza,
l'Es-
sere.
Secondo
Iaspers
l'Essere assolutamenteinafferrabile
e
inesprimi-
634 Parte terza
bile. Non c' alcuna concezione dell'essere in
grado
di
concepire
tutto
l'essere in cui noi ci troviamomm Uessere-in-s
non mi accessibile,
perch
non
appena
lo
apprendo
lo traduco in
un
oggetto
L'essere,
come essere-in-s,
inaccessibilealla
conoscenza, e,
come concetto-limi-
te,
necessario al
pensiero, perch
costituisce la
problematizzazione,
di
tutto ci che io conosco come
oggett0."4
Qui
abbiamoil
capovolgimento
radicale della tesi su cui tutti i
pensa-
tori della classicit e del medioevo avevano costruito la loro metafisica: la
tesi che nulla c' di
pi
evidente
dell'essere, e
che il
primo
concetto che si
forma la nostra mente
quello
di ente: L'ente il
primo
universale che
comprende ogni
cosa nella sua intenzione universale
(Avicenna)
Naturalmente un concetto debolissimo dell'essere ha condotto
Jaspers
alla elaborazione di
una
metafisica molto debole.
Erich
Przywara
Erich
Przy/wara
una
figura piuttosto
solitaria ma decisamente im-
portante
e
vigorosa,
isolata ma
imponente. Egli
stato un
pensatore
di
straordinario
vigore speculativo, acuto, geniale,
brillante,
profondo.
Appassionato
cultore a un
tempo
di
Agostino
e
di
Tommaso,
di
Ignazio
di
Loyola
e di
Newman,
di Kant e di
Kierkegaard,
ha scritto cose
egregie
in
campi
assai diversi
e
impegnativi
come la filosofiae la
teologia,
la let-
teratura e la
spiritualit.
Sul cardine della dottrina tornistica
dellhnalogia
entis
egli
ha costruito
un solido edificio
filosofico-teologico-mistico
in cui
raccoglie sapiente-
mente l'eredit di
Agostino,
Tommaso e
Ignazio
arricchendola
con
gli
apporti
del
pensiero
moderno di Kant e
di
Kerkegaard.
Molto conosciu-
to nei
paesi
di
lingua
tedesca
e
apprezzato
sia dai cattolici che dai
prote-
stanti,
altrove
Przywvara

poco
studiato e
poco
conosciuto a causa della
complessit
e difficoltdel suo stilee del suo
pensiero.
Vrm1: OPERE
Erich
Przywara
nacque
a Katowice
(Polonia),
allora territorio tede-
sco,
nel 1889.
Ventenne,
nel
1908,
entr nella
Compagnia
di Ges. Dal
1913 al 1917 studi filosofia a
Valkenburg
(Olanda),
approfondendo
Sant'Agostino,
la Scolastica e
i filosofi
contemporanei.
Dal 1913 al 1917
fu
prefetto
di musica al
collegio
Ste1la Matutina di Feldkireh
(Austria),
lbid,
p.
39.
"l4)lbid.,
pp.
19-20.
'15)Cf. G. DI
NAPOLI,
La concezione dell'essere
nellafilosqfincontcinpnrnnea,
cit.,
pp.
33-35.
Fenomenologia
e
metafisica
635
studiando
contemporaneamente
i romantici e
Nietzsche. Dal 1917 al
1921 ritorn a
Valkenburgper
gli
studi
teologici,
interessandosi molto ai
Padri della Chiesa e a
Newman. Senza diventare titolare di nessuna cat-
tedra n docente stabiledi alcuna materia,
attraverso
la rivista Stintmen
der
Zeit,
di cui era
il
principale
redattore,
insieme a
Romano Guardini,
tra le due
guerre
divenne il
pensatore
cattolico
pi
influentenei
paesi
di
lingua
tedesca. Fu collaboratoredi molte altre riviste,
ricercatissimo con-
ferenzieree
animatore di vari circoli
Culturali; cappellano degli
universi-
tari e
dei laureati cattolici. Rese un
grande
servizio anche alla Chiesa nei
momenti difficili della
persecuzione
nazista,
assolvendo delicati incari-
chi che
gli
vennero
affidati dai cardinali
Preysing
di Berlino e
Faulhaber
di Monaco. Dal 1951 fino alla morte (1972),
la cattiva salute lo costrinse a
vivere in
campagna,
a
Murnau (Baviera);
interruppe quindi
i
viaggi
e
le
tante attivit, ma non
gli
studi e
la
produzione
scientifica. Tra le sue
numerose
amicizie
spiccano quelle
con
la scrittrice Gertrude von Le Fort
e con
il
teologo
H. U. von Balthasar,
che lo considerava come suo mae-
stro e uno
dei
pi grandi teologi
del nostro secolo.
Przywara
ha scritto
migliaia
di articoli e varie decine di
libri,
che
documentano la vastit dei suoi interessi. Essi
riguardano
la filosofia,
la
teologia,
la
liturgia, l'antropologia,
la
storia,
Vascetica e
la mistica.
La sua
opera
fondamentale
Analogia
entis,
in tre
volumi: I.
Prinzip
(Principio);
II.
All-Rhytnvzas
(Ritmo
del
tutto);
III.
SClIYfEH
(Scritti).
Tra
gli
studi di carattere storico ricordiamo: H. Kard. Nezonzan (1922),
in 8 voll.;
Il
segreto
di
Kierkegaard
(1929);
Kant
oggi
(1930);
Agostino
(1934);
Holderlin
(1949).
Tra
gli
scritti
teologici
i
pi significativi
sono:
Deus
senzper
inaior:
Teologia degli
Esercizi
(1938),
in 3 voll.;
Crucis
mysteriunz
(1939);
Antica
e nuova
Alleanza
(1956).
Nell'ambito della
fenomenologia
va
segnalato:
L'uomo.
Antropologia tipologica
(1959).
LA METAFISICA
DELUANALOGIA
La
pubblicazione
di
Analogia
cntis (1932)
fu
un
autenticoavvenimen-
to che caus unondata di accesi dibattiti sia tra i cattolici
(Shngen,
Bouillard, Balthasar)
sia tra i
protestanti
(Barth, Brunner, Tillich).
Ricor-
dando
quegli
anni
Przywara
ha scritto:
Quando
nel 1923 introdussi
nella mia
Religionsbegriindung",
nell'ambitodel confrontocon
Scheler
e
dal 1925 con
Karl Barth
l'espressione analogia
entis nella letteratura
metafisica
e contrastatamente
teologica,
e
poi
ne
feci il fulcro della mia
"filosofiadella
religione"...
e
della metafisica
filosofico-teologica...
pur-
troppo
ci non
divenne il
punto
di
partenza
di
una
controversia fecon-
da, ma
soltanto di
una
grottesca
distorsione.
Ma che
cosa
insegnava Przywara
in
quel saggio
da suscitare tanto
scalpore
ed
orrore,
tanto da indurre Barth ad affermare che
Yanalogia
636 Parte terza
entis un'invenzione del Diavolo? Non
era forse
Panalogia una
delle
dottrine
pi
antiche
e costanti della metafisica?
Uoriginalit
di
Przywara
sta nel
non limitarsi
a
fare
dell'analogia
uno
strumento
per
definire la
natura dei concetti metafisici
e
teologici
e
per
chiarire il
significato
dei nomi divini. Per lui
lanalogia
ha
una
portata
molto
pi grande;
essa attraversa tutta la
metafisica; anzi
egli
si
spinge
ancora
pi
avanti
e
fa della
analogia
il tratto distintivo del Cattolicesimo.
L'analogia
entis di
Przywara
non nata
per
risolvere
qualche problema
spinoso
della metafisica
o
della
teologia
e
neppure
come elaborazione di
un sistema filosoficoche
riposa
su se
stesso,
bens
come strumento della
cattolicit del
pensiero
e come Chiave di lettura di tutta la realt.
Ogni grande
metafisico
folgorato
da unintuizione
potente
e
gran-
diosa,
che
gli spalanca gli
occhi
e
gli
fa Vedere le
cose sotto una luce
nuova. Questo
anche il
caso di
Przywara:
la
sua
potentissima
intuizio-
ne il
principio dell'analogia.
Per lui
lanalogianon soltanto
una
legge
del
pensiero
e del
linguaggio, ma anzitutto la struttura fondamentale
dell'essere:
analogia
enfis.
L'analogia
opera
a tutti i livelli: il vincoloche
unisce tra loro
gli
enti a livello
orizzontale,
ed e inoltre
un vincolo che
unisce
gli
enti allEssere
a livello verticale.
L'analogia
la forma di
ogni
metafisica
e
di
ogni religione. L'analogia
il ritmo che scandisce la
mu-
sica
dell'universo, una musica che risuona
ovunque
anche
se con accenti
diversi. In
una
pagina importante
di
Analoggia
rantis
Przywara
scrive:
Quell'l3ssereche tutte le filosofieammettono come
problema pri-
mitivo
e come dato
primitivo
di tutto il
rimanente, non
possiede"
(per conseguenza) Yanalogia
come una sua
qualit
o come
qualcosa
che si
sviluppa
da
essa,
bens
Fanalogia
l'essere
e
il
pensare
, con
ci
(noeticamente),
analogia. L'analogia
cos ritmo
primitivo-dina-
mico. Cos - secondo
Pitagora
l'universo vibra nel ritmo
risonante",
e
secondo Platone - Dio Metr0n di tutte le
cose e
di tutto
l'opera-
re
(Leggi IV,
716
c-d). Solo nel
senso di tale ritmo e di tale Inetron l'a-
nalogia

principio.
Essa - onticamente
come essere e noeticamen-
te come
pensare
- in linea di
principio
il mistero della
primitiva
musica di
questo
ritmo: cos
come le
fughe
dellArte della
fuga
di
Bach si intrecciano
perdendosi
ognuna
al di l del
"grande
silenzio.
Risonante
analogia
che culmina in
questa
silenziosa
analogia
.116
Il nodo cruciale di
ogni
metafisica
(e
anche di
ogni religione)

quello
dei
rapporti
tra creatura e creatore. Il
pericolo
costante
quello
di
conce-
dere
troppo
a uno
dei due
poli.
Occorre trovare una soluzione
equilibra-
ta che eviti sia il
panteismo,
che divinizzale
creature e
mortifica
Dio, e
il
teopanismo,
che cancella
completamente
le creature
assegnando
tutto a
*)l:.PRzYvvAK/x,
Analogia cirtis,
in
Schrifteu,
vol.
III, Einsiedeln
1962,
p.
210.
Fenomenologia
e
metafisica
637
Dio. C' una
via mediana: essa costituita
dallanalogia.
A
questo pro-
posito Przywara
richiama un testo
importante
di Tommaso
d'Aquino
nel De
veritate,
q.
11, a. 1,
dove
YAquinate,
in riferimento
all'essere,
al
tendere e al
conoscere,
espone
di volta in volta due
punti
di vista estre-
mi,
cio
quello
della emanazionesoltanto dallalto e
quello
di una asso-
luta evoluzionesoltanto dal basso. Tommaso
prosegue:
Ma
questi
due
punti
di vista non
colgono
la Verit. [l
primo
di essi infatti esclude le
cause
prossime,
attribuendo tutti
gli
effetti che si verificano nelle cose
terrene solo alle Cause
prime...
Anche il secondo infine termina nella
stessa nsensatezza... E
bisogna perci
in tutti i
punti
menzionati tenere
una via mediana.
Da
queste
osservazioni
Przywara
trae due
conseguenze
che caratte-
rizzano il suo
pensiero.
La
prima
tesi suona:
l'opposizione
dei
punti
di
vista estremi mostra dove si deve cercare
la soluzione:
questa
non si
pu
trovare che
a met strada. La seconda tesi dice: se non
si vuole che
una
direzione rettilinea
precipiti
nel suo
opposto,
essa deve ricondurre sin
da
principio
l'intera
ampiezza
ed estensione della tensione
degli opposti
in una unit di
opposti
carica di tensionefl
Przywara
ricava la
sua
dottrina
dellanalogia
in
parte
da Aristotele e
in
parte
dal ConcilioLateranense IV. Aristotele
nellanalogia
aveva sot-
tolineatoil
rapporto
tra
gli analogati,
invece il Concilioaveva
posto
l'ac-
cento sulla assoluta
dissomiglianza
che
vige
tra
gli analogati.
Partendo da
Aristotele,
il
padre
della
analogia, Przywara prende
in
esame le due
parti
che
compongono
la
parola analogia. Egli
intende
con
logia
il
raccogliersi
a formare un senso nella
parola.
Questo
lo si
capisce
dal
nesso
fra
logos
e
leghein. "Leghein" significa originaria-
mente
raccogliere, enumerare,
selezionare, e
quindi

raccogliere
in una
comprensione".
Quanto
ad
ana,
in
ama-logia, pu
avere un
duplice
significato.
Da un lato esso
pu
avere
il
significato
del
greco
una,
che
significa
secondo,
Conforme a;
dall'altro lato
pu corrispondere
al
greco
am che
significa sopra"
e su (a
cui si
contrappone
il kat =
sotto,
in
basso).
Facendo valere entrambi i
prefissi,
arz e am si ottiene
un
duplice
ritmo. Una volta nel senso
dellan -
un
movimento (SCll-
lante avanti e indietro sul
piano
orizzontale. Ma
poi
nel senso deIYanc -
una ritmica fra
sopra"
e "sotto". C'
dunque
una
duplice analogia:
una
orizzontalee una
verticale. Esse rinviano l'una
all'altra, ma
quella
verti-
cale ha
maggiore importanza.
Infatti l'unit di tensione
degli opposti,
raggiunta gi
sul
piano
orizzontale, non
ha il
proprio
senso in se stessa:
ciascuno
degli opposti
rinviato alla
propria origine
e al
proprio
fine
attraverso il
comparativo
dinamico. Perci
Yanalogia
nella "verticale"
7)Cf.
E. PRZYWARA,
Schrfilen,
ciL, Il,
pp.
265
638 Parte terza
(...)
la forma ultima che si fa
garante dellanalogia
del
piano
"orizzon
tale", senza la
quale perci quest'ultimo
sarebbe
privo
di
senso. Vale a
dire che i riferimenti
analogici
stanno a loro volta in
reciproca
relazione
di
analogiamm
La dottrina aristotelica
dell'analoga
viene riletta da
Przywara
alla
luce della celebre definizione del Concilio Lateranense
IV,
la
quale
dice
che fra creatore e creatura non si
pu scorgere
una
somiglianza
tanto
grande
(tanta similitado), senza
che si debba vedere tra di essi una disso-
miglianza
ancor
maggiore
(maior dissinzilitzico).A
somiglianza
dell'ana-
logia
aristotelica,
Panalogia
lateranense fa
scaturire,
in altri
termini,
da
ogni possibilesomiglianza
fra Dio e il creato una
sempre maggiore
dis-
somiglianza:
a conferma del fatto che
ogni possibilecomparazione
dei
termini a Confronto
non
pu
essere intesa come identit
(come avveniva
nel.la dottrina di Gioachino da Fiore
presa
in esame dal
Concilio), ma
deve concludere alla loro assoluta
incomparabilit
e
dissomiglianza.
In
definitiva,
quell'essere
che in
quanto
essere insieme creatore e creato
non
pu esprimersi
altrimenti che mediante
Tanalogia (analogici
entis),
ossia
con una
somiglianza rapportata
all'assoluta differenza. Il movi-
mento ascensionale intrinseco
all'analoga verticale,
che costituisce
insieme l'ordine
(noetico)
del
pensiero
e l'ordine
(meta-noetico)
della
realt, si
esprime
come
impulso
irresistibile
verso una
perfezione-limite
di cui il creato non che
l'immagine: immagine
rinviante a un
di l inaf-
ferrabile
(Deus
tamqaam ignofas). Analogia significa dunque
essenzial-
mente
rapporto
con Dio e
apparizione
della
inconcepibilit
divina nella
tensione metodica
degli opposti.
Tensioneche
espressione dell'oggetto
vero e
proprio
della metafisica
(analogia
erztis).
Storicamente
Przywara distingue
tra due
grandi
metafisiche:
una
"metafisica
realisti.ca",
ispirata
al mondo delle scienze
naturali, come
quella
di
Aristotele; e una "metafisica idealistica
ispirata all'esplorazio-
ne del mondo interno della
coscienza, come
quella
di S.
Agostino.
Metafisica realistica e idealistica stanno fra loro in un
rapporto
di
oppo-
sizione solo
apparente.
ln
realt,
la loro relazione dialettica: il che
significa
che la
Vera essenza della metafisica si rivela solo in
quel
ritmo
propulsore
di
pensiero,
sovrastante e insieme sottostante le
opposizioni,
che le
spinge
a essere l'una di stimolo
all'altra, collocandosi cos in un
"piano
intermedio" fra trascendenza-immanente
e immanenza-trascen-
dente. in
questo
ritmo nascosto entro l'evidente dialettica tra metafisi-
ca realistica e idealistica che si
propone
il
significato
di
un assoluto,
di
un "ultimo universale" dal
quale
si
originano
e nel
quale
sono radicate
tute le
cose,
e
che in esse "vive,
si muove ed
e",
cos
come esse vivono,
ll3)Ibid., III,
pp.
103 ss.
Fenomenologia
e
metafisica
639
si muovono e sono in
Lui,
secondo il
significato
attribuito da S. Paolo
al
rapporto
fra le creature e il creatore nel Discorso
dellAreopago.
Del
principio dell'analogia Przywara
si
serve oltre che in metafisica
anche in
teologia per
dare
espressione
a
quella
che la verit
principale
del cattolicesimo: una trascendenza immanente che
non
pregiudica
n
sminuisce il Valore delle
creature, ma le
salvaguarda
e
potenzia; questo
per
avviene secondo l'ordine
analogico,
il
quale assegna
la
priorit
assoluta
all'analogato principale
e
pertanto
a Dio. Da
una
parte
(il
polo
divino)
abbiamol'amore discendente di
Dio,
attraverso Cristo e la Chie-
sa;
dall'altra
(il
polo
umano)
abbiamola
nostalgia
(il desiderium)
dell'uo-
mo,
che,
aderendo
a Dio,
supera
e vince i contrasti umani. Con le
sue
sole forze l'uomo
incapace
di
superare
le antinomiee
di ristabilirsinel-
l'unit e
quindi
nella
pace
e nella
felicit;
questo gli
viene concesso
dalla
grazia
di Dio. La
perenne
mobilitdel finito
pu
essere
concepita
solo
come una
conformit orientata (an) a
qualcosa
di essenzialmente
irrag-
giungibile
che sta in alto
(ami).
L'ordinamento
analogico
della realt da
intendersi
dunque
non nel senso di un
puro essere-manipolati-daltalto
(potenzialit negativa),
ma
anche
come essere se stessi,
nel senso
di
un
guardare-verso-Palto
(una
potenzialitpositiva
e attiva)
Con
lmalogia
entis
Przywara
si schiera
a favore di
quel
Dio
sempre
pi grande (senzper
nzainr),
che
splende
tanto
pi incomprensibilepro-
prio
attraverso tutti i tentativi inefficaci del
pensiero
finito di
compren-
dere lAssoluto.
Secondo il
pi
illustre
discepolo
di E.
Przywara,
Hans U. von Balthasar,
non c' veramente al mondo nessuno
che abbia ricevuto un carisma
che
assomigli per
intensit e
profondit
a
quello
che
Przywara
ha rice-
vuto
per
proclamare
Yassolutezzadi Dio.

impensabileperci porsi
alla
sua scuola,
per apprendere
sulla scorta delle sue intuizioni
inesauribili,
delle
sue
formulazioni nate da un'intensa
passione religiosa,
un conve-
niente modo di
parlare
di Dio.
Gabriel Marcel
VITA E OPERE
Gabriel Marcel
nacque
a
Parigi
nel
1889;
figlio
unico,
all'et di
quat-
tro
anni,
perse
la madre. Aveva
appena
sette
anni,
quando compose
la
sua
prima prova
letteraria. A scuola si rivel sin dall'inizio un allievo
assai
dotato, ma al
ginnasio
non si trov
bene,
anche
per
il basso livello
sia dei docenti che dei
condiscepoli.
Dal 1906 al 1909 Marcel studi filo-
sofia,
prevalentemente
alla Sorbona. Pero i suoi interessi si estendevano
ben oltre i confini di
questa disciplina.
I docenti che ebbero
maggiore
importanza per
la
sua formazione furono V.
Delbos,
che lo inizi alla
640 Parte terza
storia della filosofia
pi recente, e
L.
Lvy-Bruhl,
col
quale prepar
la
tesi che ebbe
per
tema Le idee
metafisiche
di
Coleridgc
in
rapporto
con
[afflu-
sofia
di
Schelling
(1909). Dal 1908 al 1910 Marcel
frequent
le lezioni di H.
Bergson
al
College
de France. La
nuova
impostazione
filosofica di
Bergson
ebbe su di lui una
significativa
influenza;
da lui
recep
le idee di
intuizionecreatrice e di durata.
Dopo gli
studi universitari terminati nel
1910,
col titolo di
Agrg
di
filosofia, Marcel nel 1913-14 si dedic allo studio intensivo dei filosofi
statunitensi W. E.
Hocking
(1873-1966) e I. Royce
(1855-1916). Da
questi
trasse
categorie per
lui molto
importanti
che elabor in
una metafisica
esistenziale
e
spirituale
al
tempo
stesso,
metafisica della
partecipazione
e della fedelt, e con
le
quali port
alla luce
sempre pi
chiaramente la
dimensione della
religione
e del sacro. Gli studi su
Royce pubblicati
da
Marcel
negli
anni 1915-19
apparvero
in volume nel 1945 col titolo:
La
mtaphysique
de
Rei/ce.
Con
Yaflgrg
Marcel
aveva
acquistato
la facolt
dinsegnare
filosofianelle classi
ginnasiali superiori,
ed esercit
questo
incarico con
alcune brevi interruzioni in svariati Licei di
Parigi,
Sens e
Montpellier.
Accanto all'attivit
didattica,
intraprese quella
di
critico,
divenendo
soprattutto
un celebre recensore
di
spettacoli
teatrali.
Nel 1919 Marcel
spos Iacqueline Boegner, evangelica.
Grazie all'in-
contro con Charles du
B03,
dal 1923 Marcel ebbe modo di venire a cono-
scenza del contenuto
spirituale
fondamentaledel
cattolicesimo, ma
fu la
frequentazione
con Mauriacl'elemento decisivo che nel 1929 lo
port
alla conversione al cattolicesimo. Uavvicinamentofilosoficoal cristiane-
simo e lassiduo
dialogo
con la metafisica teista si riflettono nel libro
Eire et avoir,
nel
quale
Marcel
port
a ulteriore evoluzionela sua
filosofia
in
senso metafisico e
fenomenologico,
come mostra
l'approfondimento
della
fenomenologia
dellavere,
contrapposta
a
quella
dell"'essere".
I tratti fondamentali della
sua
filosofia sono ormai tracciati: il
rapporto
tra intuizionecreatrice e riflessionefilosofica
era ormai messo
in chiaro.
Nel
saggio
Position et
approches
concrtes da
nzystre ontologiqaie
(1933),
Marcel
pone
al centro del
suo
pensiero
le riflessioni sul metodo del suo
filosofare, mentre le linee fondamentali del
suo
pensiero antropologico
e
metafisico ricevono la loro definitiva elaborazione in Erre et avoir
(1935),
Homo viator
(1944),
Le
Mystrc
de Ptrc
(1950-51), journal
de
nztaphysiqzle
(1935).
Nel 1951 lo stesso Marcel trov una
definizione
per
la sua
filoso-
fia
e
la chiam filosofianeosocratica". Con innumerevoli
conferenze,
in
Europa
e
in altri
continenti,
esplicito personalmente
i tratti del suo
pen-
siero e
acquis
fama
a livello internazionale. Nel 1961 fu invitato all'uni-
versit di
Harvard,
per
tenervi le William
James Lectures,
che
appar-
vero nel 1963 col titolo The Existenticzl
Background of
Hzmzan
Dignity.
Attivo fino alla
fine,
nonostante la cecit che
Faffliggeva,
Marcel si
spen-
se nel
1973,
all'et di 84 anni.
Fenomenologia
e
metafisica
641
LA RICERCA METAFlSlCA
Una densa
pagina
di
Iournal Mtaphysique
chiarisce bene il
punto
di
vista di Marce] sulla natura della ricerca metafisica.
Ecco
quali saranno,
penso,
le linee
generali
del mio
libro, o almeno
della introduzione:
a) Non vi
indagine possibile
sulla natura di ci
che metafisicamente
primo. Impossibilitlegata
insieme all'essenza
stessa di
un'indagine
e allo
spirito
con cui fondamentalmentecon-
dotta.
Uindagatore
fa astrazioneda
s;
egli scompare
davanti al risul-
tato ottenuto. Cos' il risultato? Una
risposta
valevole
per chiunque.
b)
Distruggere l'interpretazione
secondo cui il
bisogno
metafisico
sarebbe
una curiosit
trascendente; esso
piuttosto
un
appetito
del-
l'essere. Esso tende al
possesso
attraverso il
pensieromll)
Marcel mette in
guardia
contro due errori assai diffusi:
quello
di con-
siderare la ricerca metafisica
come vacua
speculazione,
curiosit strava-
gante;
la metafisica
per
Marce] "ricerca di ci che
",
dell'essere. Una
ricerca che
non
pu
essere
facilmentetrascurata o messa da
parte, per-
ch l'uomo ha fame dell'essere. Il secondo
non meno
grave
errore in
cui
spesso
si cade la
pretesa
di
poter procedere
in
essa con
la stessa
obiettivit
e distacco
con cui si
compie l'indagine
scientifica. Si tratta di
una
pretesa
assurda, perch,
mentre
nell'indagine
scientifica
Yindagato-
re
pu
fare astrazioneda
s,
tenersi fuori dalla zona
dell'esperimento,
in
posizione
di noncurante indifferenza,
il filosofo coinvolto
personal-
mente nella
ricerca,
il
suo
essere,
il
suo
conoscere,
il
suo
volere
vengono
messi direttamente in
questione.
Una delle differenze
pi
evidenti tra
indagine
scientifica
e ricerca
filosofica che la
prima pu
essere fatta da
uno a nome
di
tutti,
la
se-
conda invece deve
essere
compiuta
da ciascuno
per proprio
conto.
Nessuno
pu scoprire
il mistero dell'essere
per
un altro. Tutt'al
pi
chi l'ha
gi scoperto pu
sollecitare, stimolare,
indirizzarela ricerca
degli
altri, ma non
pu
sostituirli. Coerente con
questi principi,
in Le
mystre
de l
'e"tre, Marce] dice che nei suoi scritti
non intende
rivolgersi
a
una
intelligenza
astratta e
anonima, ma a esseri
individuali,
nei
quali
risvegliare
una zona
profonda
della riflessione attraverso unanamnesi
ispirata
allo sforzo
socratico-platonico;
in tal
senso, egli
rifiuta di defini-
re esistenzialista il
proprio pensiero,
e
preferisce,
se
proprio
necessario
adottare
un "ismo",
la
qualifica
di neosocratismo
o socratismo cristiano.
Mentre,
quindi,
la scienza
pu parlare
del reale in terza
persona,
la
riflessione filosofica il
regno
della domanda
e della
risposta,
dell'io
e
del
tu,
il
regno
in cui domina la seconda
persona.
Una tale metafisica
119)G. MARCEL, lozirnal
mtaphysiquc,
Paris
1927,
p.
279; tr.
it., Giornale
metafisico,
Abete,Roma.
642 [Jarte terza
fuori di
quell'ordine
di
esposizioni
dottrinali
compiute
o
aspiranti
alla
compiutezza
del
piano logico; questa
filosofia
prima
di tutto de I 0rdre
de l.
appel,
un
appello
di
uno
spirito
ad altri
spiriti
affinch
operino
la
"conVersione" al mistero. In
questa prospettiva
la verit cessa
di essere
una formale
adaeqziatio
rei et intellectris e
assurge
a valore vitale;
pi
che
qualcosa
di
enunciato,
la verit diventa
qualcosa
di
vissuto,
un'espe-
rienza
personale.
In Eire et HJOI,
Marcel illustra la differenza tra
indagine
scientifica e
ricerca filosoficain termini di
problema
e nzistero. Sembra infatti che tra
un
problema
e un
mistero ci sia una
differenza essenziale: un
problema

qualcosa
che io
incontro,
che trovo tutto intero davanti a
me,
e
che
posso
analizzaree ridurre;
invece un
mistero
qualcosa
in cui io stesso
sono
impegnato
e
che
per conseguenza
non e
pensabile
che
come una
sfera in cui la distinzionedell'in me e
del davanti a me
perde
il
suo
signi-
ficato
e
il suo
valore iniziale. Mentre un
problema
autenticoe
giustifica-
bilesecondo una certa tecnica
appropriata
in funzione di cui si defini-
sce,
un mistero trascende
per
definizione
ogni
tecnica
concepibilemil
Pu, s,
verificarsi il caso
che
un mistero
venga degradato
a
problema;
ma allora si ha
un
procedimento
fondamentalmentevizioso,
che si rive-
la
come
corruzione
dell'intelligenza.
Altre volte Marcel
spiega
la differenza tra scienza e metafisica rifa-
cendosi alla diversit esistente tra
riflessionedisgrcgatrice
e
riflessione
imi-
ficatrice (riflessioneprima
e seconda).
La
prima
viene usata dalla
scienza,
la
seconda dalla metafisica. Mentre la riflessionescientifica ha
bisogno
di
porre
delle distinzioni e di selezionare
l'oggetto,
la riflessionemetafisica
ha
come
compito
l'unificazione,
il
"raccoglimento"
della realt. La rifles-
sione metafisica si sforza di restaurare il concreto al di l delle determi-
nazioni
disgiunte
e disarticolate del
pensiero
scientifico. Il
procedimen-
to metafisico essenziale consisterebbe
quindi
in una
riflessione
su
questa
riflessione(scientifica),
in una
riflessionealla seconda
potenza,
attraver-
so
cui il
pensiero
si
protende
verso
il
recupero
di unintuizione che si
perde
invece in
qualche
modo nella misura in cui si
esercita;121
tale
riflessione ricostruttrice",
"recuperatrice",
un
"raccoglimento.
PRIMATODELUESSERE
Fra tutte le realt suscettibili di ricerca metafisica,
la
priorit spetta
all'essere.
Questo perch,
secondo Marcel,
l'essere
gode
di
un
duplice
primato:
nei confronti del
pensiero
e nei confronti dellavere.
|30)Io.,
Eire et aooir,
Paris 1935,
p.
169.
Dillo, Le
mystre
de Ptre, l,
Rqflexions
et
mystri,
Paris 1955,
pp.
97-98.
Fenomenologia
e
metafisica
643
Primatodel! essere sul
pensiero
Questo
primato
viene affermato da Marcel in formule
inequivocabili,
dopo
la
sua conversione al realismo. Porre Yimmanenza del
pensiero
all'essere riconoscere coi realisti che il
pensiero, posto
che
sia,
si rifer-
sce a
qualche
cosa che lo trascende
e
che
esso non
pu pretendere
a rias-
sorbire
senza tradire la
vera natura. Pensare il
primato
dell'essere in
rapporto
al
pensiero
e riconoscere che il
pensiero
abbracciatodall'esse-
re,
che
esso
gli
in
qualche
maniera internow
Non c' e non ci
pu
essere
passaggio
dal
pensiero all'essere;
tale
passaggio
radicalmente
impensabile;
il
pensiero

gi nell'essere, e non
ne
pu uscire, non ne
pu
fare astrazione che in
una certa misura:
Bisogna dunque
dire che il
pensiero
interno
all'essere,
che
una certa
modalit dell'essere.123 In fondo io ammetto che il
pensiero
ordinato
all'essere
come l'occhio alla
luce, secondo la formula tomista>>fl24
Primatodell'essere sul! lizzere
Lavere e ci che e
oggettivamente,
che
esponibile
ad
altri,
Festerio-
rizzarsi
dell'essere, il
suo
farsi
spettacolo.
Uavere il cosizzarsi dell'esse-
re,
ii
suo venire
fuori,
il
suo
epifanizzarsi,
il
suo frantumarsi,
il suo mum-
mificarsi.
L'avere, accentuando se stesso,
nullifica
l'essere; invece,
diven-
tando
strumento,
assurger
al
piano dell'essere;
soltanto cos noi
possia-
mo affrontare l'essere
senza trasformarloin
avere,
in
oggetto,
in
spettaco-
lo; insomma il
rapporto
essere-avere e un
rapporto
di essenziale tensione
dialettica, in cui l'essere
sempre legato allavere, ma ne deve realizzare
la
purificazione, non facendosi assorbireda
esso e finalizzandtilo
a SJZS
L'UOMO
COME ESSERE INCARNATOe ITINERANTE
Una delle dottrine
pi
note di Marce]
quella
che afferma che l'uomo
un essere incarnato. A tale dottrina Marcel arrivatomediante un'ana-
lisi del
significato
della
proposizione:
io
esisto;
secondo lui la riflessio-
ne metafisica rivela che
essa
significa
io sono il mio
corpo.
Per
corpo
non si deve intendere tanto la materia
estesa e visibile,
quanto
l'intimit-concrezione
dell'io, ossia l'incarnazione
o l'individua-
lizzazionedell'esistere.
Quindi
la
proposizione
"io esisto" riferita all'uo-
mo
significa:
"io
sono incarnato". L'essere incarnato
apparire
come
corpo,
come
questo corpo,
senza
potersi
identificare ad
esso,
senza
potersene distinguere; intimit-concrezione, insomma,
fra anima
e cor-
12)ID., Etra et avoir, cit.,
p.
49.
133)lbid.,
p.
35.
l4)llvid.,
p.
51.
125)cr. ibirt,
pp.
232-244.
644 Parte terza
p0;
mistero della fusione fra intimit e Concrezione;
l'incarnazione
espri-
me
appunto
tale mistero. Ma l'incarnazionenon
esprime
solamente
individualit bens anche
partecipazione.
Questa
si manifesta anzitutto
nel sentire;
il sentire infatti
partecipazione
immediata di ci che noi
chiamiamo abitualmente il
soggetto
a un
ambientein cui nessuna vera
frontieralo
separa.126
L'asse si rivela come cri-esse,
lio esisto" diventa l'universo esiste",
non come somma
di
oggetti,
ma come teatro di
esperienze,
di
esistenti,
in
dialogo
fra l'io e
il tu.
Altra dottrina molto nota di Marce]
quella
dell'uomo itinerante,
homo viator. L'uomo,
si
gi
detto,
un essere incarnato;
e
questa
la sua
natura;
ma
la ricerca su
di esso
deve mirare a
scoprire
un senso
della
vita,
che
sempre
il senso
della mia vita;
rifiutarsi di chiarire il
senso
della vita rinunciare al
profondo
se stesso,
dissolversi nell'avere.
Ebbene,
riflettendosul senso
della vita,
l'essere incarnatosi rivela essere
itinerante,
homo viator.

qui
nella concezione della vita come
pellegrinaggio,
che la riflessio-
ne
scopre
una
fenomenologia
e una
metafisica della
speranza;
la
speran-
za struttura la vita
umana,

l'apertura
vissuta dell'essere incarnato;
tutto
ci che Yessere-nel-mondo
presenta,
pu
costituire un ostacolo, una
prova,
uno scandalo,
in una
parola
la tentazione
soggiogatrice
dellavere;
ebbene,
la
speranza
la
grande
leva che, senza
rinnegare
l'essere-nel-
mondo,
anzi assumendolo,
lo sublima
a
strumento delfelevazione; e ci
che
poteva
costituire un invito alla
disperazione
viene esorcizzato.
Proprio
nella
speranza
si ha la
prova
del trascendente; con essa
si
afferma che vi e un essere,
al di l di tutto ci che dato,
di tutto ci
che
pu
fornire la materia di un
inventario o servire di base a un com-
puto qualunque,
un
principio
misterioso che in connivenza con me,
che non
pu
non
volere
pure
ci che io
voglio,
almeno se
ci che io
voglio
merita effettivamente d'esser voluto e
di fatto voluto da tutto
me SCSSO>>J37
In tal modo l'universo
ha
un senso
per
me e
la metafisica
si rivela,
qual
e deve
essere,
esorcizzazionedella
disperazione".
Alla trascendenza
per
non si arriva mediante
argomentazioni
o
altri
processi logici,
ma
per
intuizione. L'uomo fatto
per
Dio e non
pu
non
riconoscerlo
appena
gli passa
vicino.
L'atteggiamento
che si addice
all'uomo di fronte a
Dio non
quello
di
speculazione
o di
interrogazio-
ne ma
di adorazione,
d'umile
preghiera.
Il filosofo deve
parlare
a Dio,
non
di Dio.
116G. MARCEL, Ioumal nztaphysique,
cit.,
p.
322.
117) ID., Propositimz
et
approchcs
Concrtes da
mystrc
antologique,
Paris 1937,
p.
278.
Fenomenologia
c
rrzetafisica
645

tempo, per
il
metafisico, se vuole uscire definitivamente dalla
ro-
taia
epistemologica,
di
comprendere
che l'adorazione
pu
e deve essere
per
la riflessioneuna terra
ferma
sulla
quale egli
deve
poggiare,
anche
se,
come
individuo
empirico,
non
gli
sia concesso
di
parteciparvi
che nella
debole misura che
comporta
la
sua
indigenza
naturalemm
VALORE DELLE ANALISI ESISTENZIALI DI MARCEL
A causa
della
prospettiva
esistenzialistica in cui si
sviluppa
manca
all'opera
di Marce] una
riflessionesufficientemente
approfondita
e
rigo-
rosa sull'essenza e
la natura stessa
dell'essere. Tuttavia le sue
analisi esi-
stenziali sono estremamente interessanti
per
due
ragioni.
Anzitutto,
perch
toccano sentimenti e
affetti
umani, come
la
speranza,
la fede,
la
gioia,
l'adorazione,
che
gli
altri esistenzialisti hanno
per
lo
pi ignorato.
In secondo
luogo, perch,
attraverso l'esame delle
implicazioni
di
questi
sentimenti,
Marce] mostra come
l'uomo non sia affatto chiuso nella mor-
sa della
disperazione,
votato alla morte e
al
nulla, come
hanno invece
preteso
di dimostrare
Heidegger
e Sartre, ma come sia invece
aperto
alla
Trascendenzae
possa
riporre
in essa
la
propria
fede e la
propria speranza.
8)ID., Du
refus
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p.
190.
646 Parte terza
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650
LA RISCOPERTADELLA METAFISICADI SAN TOMMASO
Nel XX secolo una
pagina importante
della storia della metafisica
stata scritta dai tomisti. Il loro merito
duplice.
In
primo luogo,
in sede
storiografica,
hanno il merito di avere
scoperto
la sostanziale
originalit
della metafisica di S.
Tommaso,
la
quale
non si
pu
ridurre ne alla meta-
fisica di Aristotele n a
quella
dei
neoplatonici,
e
che
non
ha nulla a
che
vedere
con
l'aridit della
ontologia
della Terza Scolastica
e
della
prima
Neoscolastica.
Quella
dell'Angelico
una
metafisica che,
pur
assumen-
do molti elementi sia da Platone che da
Aristotele, si caratterizza come
una nuova
metafisica dell'essere. In secondo
luogo,
in sede
teoretica,
hanno il merito di avere ricostruito sistematicamente l'intero edificio
metafisico
delYAquinate,
di averlo
ingrandito
e
aggiornato,
di averlo
confrontato
con altre metafisiche dell'essere sia antiche sia moderne,
dimostrando che essa
regge
bene il confronto
con
qualsiasi
altra me-
tafisica.
Alla
riscoperta
della metafisica di S. Tommaso hanno contribuitomol-
ti
studiosi, ma
i
principali
artefici di
questa
straordinaria
impresa
sono
stati i francesi
Gilson, Maritain,
Sertillanges, Garrigou-Lagrange
e De Fi-
nance,
e
gli
italiani
Masnovo, Fabro,
Vanni
Rovighi.
Prima di
parlare
di
loro,
dobbiamo
spendere qualche parola
sul
neotomismo,
che stato
quel grande
movimento del
pensiero
cattolico che alla fine ha
reso
pos-
sibileanche la
riscoperta
della metafisica tomistica.
Il neotomismo
Fin dai
primi giorni
del suo
lungo pontificato
(1878-1903),
Leone XIII
aveva
concepito
l'idea di rinnovare
gli
studi ecclesiastici
privilegiando
S.
Tommaso, ma allora
pensava
di farlo usando una forma
piuttosto
modesta, una
specie
di
"circolare";
in
seguito,
invece,
incoraggiato
da
alcuni
collaboratori,
si decise
per
la forma solenne dellenciclica
e,
Cos,
pubblic
la Aeterni Patris
(1879).
Nei
paragrafi
introduttivi della Aeterm Patris Leone XIII
giustifica
l'intervento del
Magistero
ecclesiasticonel
campo
della filosofiafacendo
osservare
che dalla filosofiae
dalle vane
sottigliezze
della mente che i
fedeli si lasciano
ingannare
il
pi
delle
volte;
per questo
motivo ha rite-
nuto
opportuno
nelle
presenti
circostanze consacrare un'intera enciclica
La
riscoperta
della
metafisica
di San Tommaso
651
alla natura di
un
insegnamento
filosoficoche
rispetti
allo stesso
tempo
le norme dela fede
e la
dignit
delle scienze
umane. Difatti,
egli
prose-
gue,
se si
presta
attenzione alla maliziadel
tempo
in cui
viviamo, se
si
abbraccia col
pensiero
lo stato delle
cose sia
pubbliche
che
private,
si
scoprir
senza difficoltche la causa dei mali che ci
affliggono
e
di
quel-
li che ci
sovrastano,

riposta
nelle dottrine
erronee
che intorno alle cose
umane e
divine uscirono
dapprima
dalle scuole dei filosofi
e si insinua-
rono
poi
in tutti
gli
ordini della
societ, accettate con entusiasmo da
moltissima
gente.
A rendere ancora
pi grave
la situazione hanno
con-
tribuito -
soggiunge
il
papa

gli
stessi filosofi e
teologi
cattolici,
i
quali,
anzich restare fedeli alle dottrine dei
padri
e dei dottori della
Chiesa, si
sono messi alla scuola dei filosofi moderni
e cos, messo
in
disparte
il
patrimonio
dell'antica
sapienza,
vollero
piuttosto
tentare cose nuove
che
aumentaree
perfezionare
con
le
nuove le antiche.
Il
papa passa quindi
a illustrare il ruolo
positivo
che la
ragione
e
quindi
la filosofia
possono svolgere
nei
riguardi
della fede
e della teolo-
gia.

compito
della filosofia
provare
i
praeambulafidei
(l'esistenza
di Dio
e
la credibilitdella
rivelazione);
conferire carattere scientificoalla teolo-
gia
sistematizzandole diverse verit da credere e cercando di dar loro
una
pi ampia intelligibilit;proteggere
infinele verit della fede confu-
tando le obiezioni ad
esse
opposte
dai razionalisti.
Questo
lavoro stato
compiuto
in modo
egregio
sia dai Padri
(Agostino
in
particolare)
sia
dagli
Scolastici
e tra tutti i dottori ecclesiastici brilladi
uno
splendore
senza
pari
il
principe
e maestro di tutti
loro, Tommaso
d'Aquino,
il
quale,
come rilevail
Caietano,
per
avere
profondamente
venerato i santi
dottori che lo
avevano
preceduto,
ha ereditato in
qualche
modo l'intelli-
genza
di tutti. Leone XIII illustra
quindi
le
qualit
insite nella filosofia
del Dottore
Angelico. Questi,
tra tutti i filosofi
cristiani,
colui che riu-
scito
meglio
ad armonizzarela fede
con la
ragione
e
ad assicurare alla
fede solidi fondamenti razionali. Pur
distinguendo perfettamente,
co-
me si
conviene,
la
ragione
e
la
fede,
egli
nello stesso
tempo
unisce le due
dimensioni
con
legami
di mutua amicizia. In tal modo
conserva a cia-
scuna i suoi
diritti,
salvaguarda
la
dignit
di
ciascuna, a tal
punto
che la
ragione, portata
sulle ali di S. Tommaso fino
all'apice dell'intelligenza
umana,
non
pu
salire
pi
in
alto, e la fede
pu
a mala
pena sperare
dalla
ragione
aiuti
pi
numerosi e
pi poderosi
di
quelli
che le ha forni-
to S. Tommaso.
Il solenne documento si conclude
con un invito
pressante
a tutti i
re-
sponsabili
del
sacro
Magistero
a dare
largamente
e
copiosamente
a bere
alla
giovent
di
quei
rivi
purissimi
di
sapienza
che
con
perenne
e ab-
bondantissima
vena
sgorga dalYAngelico
Dottore.
Come abbiamo
gi
notato
pi
sopra,
nella mente di Leone XIII la ria-
bilitazionedel tomismo
non era finalizzata
a se stessa
e non aveva come
652 Parte terza
finalit
principale
la filosofiabens la cultura. Il
programma
di
papa
Pec-
ci era la costruzione di una nuova
civilt cristiana:
egli
vedeva nella filo-
sofia un muro
importante
e
insostituibilenella costruzione del nuovo
edificio.
A differenza di un autentico filosofo Leone XIII non si interessava
anzitutto della ricerca filosofica
per
se stessa,
quanto
invece
per
l'aiuto

a suo avviso
indispensabile
- che essa
poteva
dare al suo
grande
disegno,
che non
si differenziava da
quello
del suo
predecessore
Pio
IX: la restaurazionedella societ secondo i
principi
cristiani. Ma Leone
XIII,
che
era un intellettuale, aveva
compreso
meglio
di Pio IX che la
restaurazionecristiana della societ
passava per
la restaurazionedel-
l'intelligenza
cristiana e
che era vano
intraprendere
la ricostruzione di
un
ordine sociale
integrale
che sar
l'oggetto
delle sue
grandi
encicli-
che
successive,
dalla Inzmortale Dei e Libertas
praestantissinzzun
alla
Rerum rzozmrunz
-
se
prima
non ci fosse stata alla base una
rigorosa
disciplina
di
pensiero
da
imporre
a tutte le scuole cattolicheml
In altri termini,
il rilanciodel tomismo di Leone XIII era certamente
ispirato
da unintenzione filosofica, ma
superava
abbondantemente
quello
che R. Aubert chiama iltomismo dei
professori, giacch egli
era convinto che,
per
riprendere un'espressione
di
I. Maritain,
il
pro-
blema della filosofia cristiana e
quello
della
politica
cristiana non sono
che
l'aspetto speculativo
e
la fase
pratica
di uno stesso
problema!
Quanto poi
alla natura della "nuova cristianit
sognata
da Leone
XIII,
essa era
indubbiamente
diversa da
quella
del medioevo, ma
ispirata agli
stessi
principi.
E
importante
tuttavia tenere nel debito
conto, come nota
Aubert,
che tale
progetto
non era dettato da una
sete di dominazione
clericalema da
preoccupazioni
di natura essenzialmente
pastorali
intese
a
riconquistare
al cattolicesimo il terreno
perduto
dal XVIII secolo in
poi>>fi
l frutti della Acterni Patris furono
copiosi
e
duraturi sia
per
la filosofia
che
per
la
teologia
cattolica. Essa ha
prodotto quel
vasto e
potente
movi-
mento filosoficoa cui e stato dato il nome di
neotomismo,
il
quale
con
la
scoperta
dellautentico
pensiero dellAquinate,
ha
giovato
non
poco
al
rinnovamento e
alla rinascita della
teologia
cattolica durante la
prima
met del secolo XX. Altri frutti
significativi
sono stati: la fondazione
delPAccademia
pontificia
di S. Tommaso e
di tante altre Accademie in
Italia e all'estero dedicate allo studio del
pensiero dellAquinate:
l'uni-
versit di
Lovanio,
Yuniversit cattolica di
Milano,
l'universit cattolica
T)
R. AUBERT,
in E. CORETH-V. M. NEIDL-G. PFLICERSDORFFER (edd),
La
filosofia
cri-
stiana nei secoli XIX e XX, II,
Roma 1994,
p.
380.
3) I. MARITAIN,
De
Bergson
THUHILS d
Gilquin,
Paris 1947,
p.
147.
3) R. AUBERT,
up.
alt,
p.
382.
La
riscoperta
della
metafisica
di San Tommaso 653
di
Nimega, gli
Istituti cattolici di
Lione,
Parigi
e Tolosa,
le universit cat-
toliche di
Quebec, Ottawa, Montreal,
Washington,
Manila, Buenos Aires,
Rio de
Janeiro,
l'Istituto di studi medievali di Toronto.
In tali studi si
apprestarono
ad
approfondire
il
pensiero
- sia filosofi-
co sia
teologico
- di S. Tommaso moltissimi
studiosi,
alcuni dei
quali,
come si detto, si
impegnarono
a
farlo
soprattutto
in sede
storica, cer-
cando di stabilirecon esattezza la
sua dottrina e sottolineando
l'origina-
lit della sua metafisica
rispetto
a tutte le altre metafisiche
precedenti;
mentre altri si sono
impegnati nell'approfondimento
della dottrina
tomistica alla luce delle istanze del
pensiero
moderno,
particolarmente
di
quelle poste
dalla filosofiatedesca con Kant,
Hegel
e
Heidegger.
I tomisti francesi
Nel secolo
XX, specialmente
tra la Prima Guerra Mondiale
(1914-1918)
e
il Vaticano II
(1962-1965),
il tomismo si
imposto
come una
importan-
tissima corrente di
pensiero
a livello
mondiale, con
cui
a un certo
punto
sentirono il
bisogno
di confrontarsi tutte le altre
filosofie,
dalfidealsmo
al
marxismo,
dallesistenzialismoall'analisi
linguistica,
dalla
psicanalisi
allo strutturalismo. A dare tanto credito al
pensiero
di S. Tommaso furo-
no
soprattutto
i tomisti francesi,
Gilson e Maritain in
particolare.
Il
primo
con
i suoi studi storici e
il secondo con
le
sue
opere
teoretiche hanno
Con-
tribuito in modo decisivo a
far conoscere e a
far riconoscere il tomismo
come corrente di
pensiero
autenticamentefilosoficoe non come una serie
di dottrine
imposte
ai cattolici dall'autoritecclesiastica.
TIENNE GILSON
Vita e
opere
Etienne Gilson
nacque
a
Parigi
il 13
giugno
1884. Fu allievo del semi-
nario minore di Notre Dame des
Champs
e
poi
studente alla
Sorbona,
dove si laure nel 1913 con la tesi La libert chez Descartes et la
thologie,
accompagnata
dalllndex SChOHSCO-CGTSBJ. Fu nominato
professore
di
storia della filosofia alla universit di Lilla.
Prigioniero
di
guerra
nel
1916,
approfitto
di
questa
Circostanza
per imparare l'inglese,
l'italiano e
il
russo. Nel 1919
professore
all'universit di
Strasburgo,
e due anni
pi
tardi alla
Sorbona,
dove tiene la cattedra di storia della filosofiame-
dievale.
lntanto, a un ritmo
impressionante,
inizia la
sua fantastica
pro-
duzione
filosofica,
che fa di lui il maestroincontestato dello studio della
filosofia medievale. Ecco i titoli delle
opere pi importanti
di carattere
storico: Le thontisme
(la
ed.
1919);
La
philosophie
de BOTZHUTILIFE
(1924);
654 Parte terza
lntroductitm Vtude de S.
Augustin
(1929); La
thologie mystique
de
S. Bernard
(1934); [ean
Duns
Scot,
intmdzictinn ses
positforzs fondamentales
(1952). Accanto a
questi
studi
particolari,
Gilson ha elaborato due vaste
e
profonde
sintesi della filosofia medievale:
ljesprit
de la
philosophie
medievale
(1932),e
La
philosoplzie
da
Moyen Age
(1944).
In altri
importanti
lavori Gilson
parla pi
da filosofo che da
storico,
mettendo in chiaro i
punti pi significativi
del sistema filosoficodi S. Tommaso. A
questo ge-
nere
appartengono:
Le ralisme thomisfe
(1939);
The
Uizity of Philosophical
Experience
(1938);
Lfitre et Fessence
(1948);
Being
mzd
sante
philosophers
(1952);
Le
philosophe
et la
tholirgie
(1960).
Con
questi preziosissimi
studi (Jilson si
guadagn
fama mondiale: nel
1946 divenne membro delYACadHiiE
frangaise,
e
subito
dopo
della Brilislz
Acldefl
,
e
di molte societ filosofiche
specialmente
nel mondo
anglosas-
sone. Promosse lo studio della filosofia medievale
con la creazione del-
Plnstitzi te
ofMediaeval
Studies di Toronto
(1929).
Mor a Cravant nel 1978.
La
riscoperta
del Medioevo e della
metafisica
di S. Tonmzaso
Etienne Gilson stato il massimo artefice della
riscoperta
della meta-
fisica di S. Tommaso. Non stata
un'impresa agevole
e
neppure pro-
grarnmata,
come
ha rivelato lo stesso Gilson
nell'opera biografica
Le
phi-
lasoplte
et la
thologie
(1960),
scritta
quando
aveva 76 anni. Le sue
prime
letture filosofiche
erano state Descartes e
Brunschvicg; poi
alla Sorbona
aveva trovato un ambientedominato dal
positivismo. Eppure,
la
sua
in-
clinazionealla
speculazione
metafisica non venne
meno; egli capiva
che
la
polemica
del
positivismo
si basava sulla Critica della metafisica come
scienza elaborata da
Kant, e
che Kant
portava
a
compimento
un modo
di
concepire
la filosofiainiziato
proprio
da Cartesio. Sotto la
guida
del
positivista
Lucien
Lvy-Bruhl,
la tesi
per
il dottorato fu
per
Gilson l'oc-
casione
per
analizzare la metafisica
cartesiana,
studiandone anche le
fonti. La sua ricerca su La libert Chez Descartes et la
tholtigie
lo mise
per
la
prima
volta
a contatto con
il
pensiero
di
Bonaventura, Tommaso,
Duns
Scoto: tutti autori che la cultura ufficiale francese ed
europea ignorava.
Il
luogo
comune
della
storiografia,
dalllluminismoin
poi,
era
che la
filosofiafaceva
un
salto" dai
neoplatonici
a Descartes: in
mezzo c'erano
i dodici secoli dellbscurantismo
teologico.
Questo contatto
personale
fece
scoprire
a Cilson che le
pretese
fonti" dellniziatoredella filosofia
moderna
erano in realt delle filosofie
con una
propria
e
indipendente
validit; anzi,
gli
elementi metafisici rintracciabiliin Cartesio
(primo
di
tutti,
l'idea di Dio
creatore) avevano
maggiore
coerenza
metafisica nel-
l'ambitodei sistemi da cui
provenivano.
Pertanto
quello
che si
designa-
va storicamente come filosofiacristiana non era un
pensiero spurio
o
di seconda
classe, ma una
filosofia
validissima,
pur
facendo
parte
della
teologia.
Ci
poneva
allo storico della filosofia due
problemi:
anzitutto,
La
riscoperta
della
metafisica
di San Tommaso 655
se
quel
che c'era di filosoficamentevalido nei sistemi dottrinali medie-
vali fosse un mero
residuo della filosofia
precristiana
(Platone,
Aristote-
le, Plotino)
oppure
fosse una elaborazione
originale;
secondo, come
avesse
potuto
la filosofia cristiana conservare
nel
proprio
seno elementi
razionali della filosofia
greca
senza
soffocarli nel
dogma,
o
addirittura
come avesse
potuto generare
elementi filosofici
originali.
Cos la
riscoperta
della metafisica di S. Tommaso fu
per
Gilson il tra-
guardo
finale di un
lungo
e
laborioso cammino,
nel
quale
si
possono
di-
stinguere quattro tappe:
- l'incontro con
la Scolastica
(attraverso
Cartesio);
- la
scoperta
dell'autenticitdello
spessore
teoretico della filosofiacri-
stiana;
- la ricostruzione
precisa
e
dettagliata
dell'intero
sviluppo
della filo-
sofia
cristiana,
dalle sue
origini patristiche
fino alla sua
dissoluzione
per
opera
dei nominalisti;
-
l'approfondimentoperseverante
del
pensiero
di S. Tommaso fino
alla
scoperta
dell'assoluta
originalit
della
sua
metafisica.
Di
queste quattro tappe,
le
pi importanti
sono la seconda e
la
quarta.
La seconda
riguarda
la definizione del concetto
di filosofia cristiana;
la
quarta riguarda
la ricostruzionedella metafisica dell'essere di S. Tommaso.
Il concetto di
filosofia
cristiana"
La discussione storico-dottrinalesul
problema
della filosofiacristiana
fu assai animata
soprattutto
in Francia
negli
anni 1924-1938,
estenden-
dosi nel
contempo
in
Germania, Italia,
Spagna
e
poi negli
Stati Uniti e
nell'AmericaLatina. Anche in
seguito
si sono
sviluppati ovunque
studi,
convegni,
dibattiti su riviste,
sul
rapporto
tra filosofiae cristianesimo, e
Etienne Gilsonne stato uno
dei
principali protagonisti: egli
riusc a
fis-
sare con
chiarezza ci che si deve intendere
per
"filosofiacristiana".
Contro Brhier,
Heidegger,
Brunschvicg,
Russel e
molti altri
pensatori
laici i
quali
sostenevano
che
l'espressione
"filosofiacristiana" se
preten-
de di avere carattere teoretico e non
semplicemente
storico intrinseca-
mente contraddittoria,
perch
se filosofia di
competenza
della
pura
ragione
e
perci
non
pu
abbracciarele verit cristiane che
sono
verit
di
fede, mentre se cristiana non
pu
essere filosofica,
Gilson sostiene
che tale contraddizione di fatto non esiste, perch
la filosofia cristiana
non
comprende
verit che
appartengono
essenzialmente all'ambito
della fede e
della
rivelazione, ma
solo di
fatto,
storicamente.
L'oggetto
specifico
della filosofia cristiana non il
"rivelato,
cio verit intrinse-
camente
soprannaturali
(come
la
Trinit, lIncarnazione,
la
Risurrezione,
ecc.),
bens il
rivelabile,
cio verit di
per
s accessibilialla
ragione
(come
unit di
Dio,
immortalit
dell'anima, senso
della
storia,
persona,
libert
ecc.), ma
che
sono state
proposte
all'umanit anche dalla rivela-
656 Parte terza
zione
divina, e soltanto successivamente hanno cominciato a brillare
anche allo
sguardo
della
ragione.
Perci,
finch il credente fonda le sue
asserzioni sulla
persuasione
intima che la
sua
fede
gli
conferisce,
egli
ri-
mane un
semplice
credente
e non
ha
ancora varcato la
soglia
della filo-
sofia; ma dal momento in cui
egli
trova nel
numero delle
sue credenze
alcune verit che
possono
divenire
oggetto
di
scienza,
egli
diventa filo-
sofo, e se deve
questi
nuovi lumi filosofici alla fede
cristiana,
egli
diven-
ta un
filosofocristiano. Perch una filosofiameriti il titolo di cristiana -
insiste Gilson -
bisogna
che il
soprannaturale
discenda, come elemento
costitutivo, non nella
sua ordinatura,
ci che sarebbe
contraddittorio, ma
nellopera
della
sua costruzione. Chiamo
dunque
filosofiacristiana
ogni
filosofia, che,
pur distinguendo
formalmente i due
ordini,
consideri la
rivelazionecristiana
come un ausiliario
indispensabile
della
ragionew
Il
contenuto della filosofia cristiana
dunque
anzitutto e
soprattutto,
se-
condo
Gilson,
quel corpo
di verit razionali che
sono state
scoperte, ap-
profondite
o
semplicemente salvaguardate grazie
all'aiuto che la rivela-
zione ha
apportato
alla
ragione.
A
questo punto
Gilson introduce
l'importante
distinzione tra revela-
tum e revelabilc. Al retzelatum
appartengono
i misteri che
sono assoluta-
mente inaccessibilialla
ragione,
per
es. Trinit e Incarnazione, mentre al
revelabile
appartengono
concetti che di
per
s sono accessibilianche alla
ragione,
ma che di fatto la filosofia
greca
non mai riuscita a ottenere.
Tra
queste
nozioni la
prima

quella
di Dio
come l'essere da cui tutti
gli
enti finiti derivano
e
dipendono
per partecipazione,
c'
poi
la nozione di
libert,
che caratterizza sia l'azione divina
(nella creazione)
sia
l'agire
morale,
che un
agire
libero, e la cui
responsabilit
cade
pertanto
total-
mente 5ulluomo
(e non sul Fato o
sugli
astri).
La nozione di libert
rende
possibile
anche la nozione di
storia, come effettiva
produzione
di
novit;
poi
ancora la nozione metafisica di
persona,
che caratterizzal'an-
tropologia
e muta tutto il
quadro
delle relazioni dell'uomo col cosmo e
con lo
Stato;
poi
la nuova concezione della natura non
pi
divinizzata
(perch
Dio
trascendente) ma vista nella
sua intrinseca
positivit
e
nella sua inesauribile
potenzialit
(donde
il carattere
positivo
della
scienza e della
tecnica).
Anche
se la filosofia cristiana nel medioevo stata
sempre
svolta
all'interno della
teologia, questa
situazione non
l'ha
danneggiata
ma
piuttosto
favorita,
in
quanto
le ha consentito di
esplorare quelle
realt
metafisiche,
che
per
la fede
sono certezze mentre
per
la
ragione
sono
problemi.
Cos mentre vero
che la filosofiadel cristiano
spesso
al ser-
vizio della
teologia questo
non torna a
scapito
della filosofiastessa ma a
suo
vantaggio,
e
questo per
due
ragioni.
Primo,
perch
la
teologia pu
4)
E.
GILSON,
L0
spirito
della
fllosofia
medievale,
Brescia
1983,
p.
44.
La
riscoperta
della
nretaflsica
di San Tommaso 657
avvalersi dello strumento filosofico,
nell'approfondimento
del dato rive-
lato,
solo
quando questo
strumento
valido, e
quindi rispondente
in
pieno
alle sue
intrinseche
esigenze
di
razionalit; secondo, perch
il dato
rivelato
spinge
la ricerca filosofica ad
affrontare, con
le
proprie specifi-
che
risorse,
temi
inediti,
ricchi di nuove
possibilitspeculative.
Di
que-
ste tesi Gilson ha fornito
prove
inoppugnabili
sia in
Lesprit
de la
philo-
sophie
medioevale,
sia in La
philosophie
au
Moyen Age.
Dalla
metafisica
di Aristotele alla nuova
metafisica
di S. Torrzmaso
Superato
il
duplice pregiudizio
secondo cui non
esiste autentica filo-
sofia nel cristianesimo e che la filosofia cristiana non
pu
vantare il
carattere di autentica filosofia,
Gilson concentra ormai la
sua
attenzione
su S.
Tommaso,
che della filosofia cristiana era stato il
rappresentante
pi
autorevolee
qualificato.
Gi nel 1919
egli pubblica
Le
Thomisrrze, un
volume di modeste
proporzioni
sul
pensiero
filosoficodi S. Tommaso.
Successivamente di
quest'opera
Gilson ha rielaborato
cinque
edizioni,
che crescono di volta in volta sia in
quantit
sia in
qualit,
fino all'edi-
zione conclusiva del 1947. Mettendo a confronto
queste
edizioni ci si ac-
corge
che soltanto nella
quarta
edizionedel 1941 Gilson
giunge
alla sco-
perta
della
nzetafisica
dell'essere di S. Tommaso. Perch
questa scoperta
fu
cos lenta e laboriosa? Lo stesso Cilson ci rivela le
ragioni,
che si
posso-
no ridurre a
due. La
prima,
l'assenza in S. Tommaso di
qualsiasi esposi-
zione sistematica della sua
metafisica: Non abbiamo alcuna
esposizio-
ne sistematica di ci che sarebbe stata una
"filosofiatomista" redatta da
S. Tommaso
stesso, ma
le tesi
principali
sono riscontrabilinei suoi scritti
teologici, ovunque
10 storico le veda
all'opera.
L'interesse eccezionale
suscitato dalla riflessionesu
di essi dato
proprio
dal fatto che vi si
pu
sempre
cogliere,
senza esitazione,
il
vantaggio teologico provocato
da
questo
deciso
progresso
filosofico. Di
contro, poich
S. Tommaso non ci
rivela a volte il
suo
pensiero
filosoficoultimo se non a
proposito
dei
pro-
blemi
teologici
di cui
tratta,
noi non ci diamo
ragione
del fatto di non
incontrare
sempre questo pensiero sviluppato pienamente per
se stesso
e
di
poter
vedere solo
raramente,
soprattutto
all'inizio di
una ricerca,
dove
egli
ne
parler.5
La
seconda,
la
grande
confusioneche
regnava
tra
gli
stessi
seguaci
di S. Tommaso intorno alla natura e
al valore della sua
metafisica:
Non avendo colto
l'originalit
e la
profondit
della metafisica di
S.
Tommaso,
degli
storici eccellenti credettero di
poter
affermare che
S. Tommaso non
faceva che
ripetere
Aristotele,
altri che
egli
non
aveva
neppure saputo ripeterlo
correttamente,
altri ancora che
egli
5) 1D,,
L'essere e l
essenza, tr. di L. Frattini
e
M.
Roncoroni, Milano
1988,
p.
74.
658 Pezrte terza
era riuscito solamente a
comporre
un mosaico di elementi
eterogenei,
ripresi
da dottrine
inconciliabili,senza
che uifintuizione dominante
venisse a unificarli. D'altronde si
poteva
ammettere che
gli
stessi inter-
preti pi
fedeli molte volte involontariamenteavevano deformato la
nozione tomistica di
esistenza,
essendo difficilea
coglierla
e la sua natu-
ra e tale che anche
una volta
colta, tende continuamentea
sfuggirem
Cos in un
primo tempo
lo stesso Gilson
ripose l'originalit
filosofica
di S. Tommasoin
quegli
elementi
rispetto
ai
quali lAquinate
aveva
preso
le distanze dai suoi
Contemporanei:
in
particolare
nella dottrina dell'a-
strazione,
contro
Pagostiniana
dottrina della
illuminazione, e nella dot-
trina dellndividualit
personale
dell'anima razionale
e
della
sua unione
sostanziale col
corpo,
contro il
monopsichismo
universale di Averro.
Ma
poi percorrendo
la storia della
metafisica,
Gilson fece la sensazio-
nale e decisiva
scoperta
che tutte le metafisiche elaborate
prima
di
S.
"Tommaso, e
anche
dopo
di
lui, sono tutte di
stampo
essenzialistico: il
principio primo
di
ogni
cosa
sempre
una essenza (l'idea, la forma,
la
sostanza,
la
possibilit
ecc.).
Solo S. Tommaso si
spinge
oltre l'essenza e
situa il
principio primo
della realt nell'essere
(esistenza),
gettando
cos
le basi di
una metafisica esistenzialstica. A
questo punto
il
gioco
era
fatto: S. Tommaso
possedeva
una sua metafisica,
la metafisica dell'esse-
re. Ci che
ora
bisognava
fare
erano tre cose: 1) mostrare come S. Tom-
maso era uscito dall'essenzialismoed era
approdato
allesistenzialismo;
2) individuarei
pilastri portanti
della metafisica
dell'essere; 3)
illustrare
la
superiorit
della metafisica di S. Tommaso nei confronti sia delle
metafisiche che esaltano l'essenza a danno
dell'esistenza,
sia delle meta-
fisiche che isolano talmente l'esistenza da
sopprimere completamente
l'essenza.
Nelle ultime edizioni di Le
Thonzisnze, con straordinaria acribia,
Gilson
fa vedere come avviene il
passaggio
dallessenzialismodi
Agostino,
che
identificaval'essere di Dio con
la
immutabilitas,
alla considerazionetoma-
siana di
Dio,
che identificail suo essere con Yactusessend. Scrive Gilson:
Per
capire
la
posizione
di S. Tommaso su
questo punto
decisivo
necessario ricordarsi del ruolo
privilegiato
che attribuisce all'asse
nella struttura del reale. Per lui
ogni
cosa
possiede
il
proprio
atto d'e-
sistere;
diciamo
piuttosto:
di reale non ci sono
che
gli
atti distinti d'e-
sistere,
in virt di ciascuno dei
quali
una cosa
distinta esiste. Occorre
dunque porre,
come
principio
fondamentale,
che
ogni
cosa e in virt
dell'esistere che le
proprio: zmumquodqite
est
per
sturm esse.
Poich si
tratta di un
principio,
si
pu
essere certi che la sua
portata
si estende
sino a Dio. Anzi sarebbe
meglio
dire che l'esistenza stessa di Dio
che fonda
questo principio.
Poich Dio l'essere necessario come
ha
lD., Le Thomismc,
Paris 1947, 5" ed.,
pp.
43-44.
La
riscoperta
della
metafisica
di San Tommaso 659
mostrato la terza
prova
della sua esistenza. Dio
dunque
un atto di
esistere tale che la sua esistenza diviene necessaria. E ci che si chia-
ma essere necessario
per
se. Porre Dio in
questa
maniera,
affermare
un atto d'esistere che
non
richiede alcuna Causa della
propria
esisten-
za.
Questo non sarebbe il
caso se
la
sua essenza si
distinguesse
in
qualche
modo dalla
sua esistenza; allora, infatti,
l'essenza di Dio
determinando in
qualche grado questo
atto
d'esistere,
questo
non
sarebbe
pi
necessario. Dio
dunque
Yesistere che e nient'altro.
Tale il
senso
puro
della formula: Deus est suum esse: come tutto ci
che
,
Dio e
grazie
al
suo
proprio
esistere;
ma,
in
questo
caso unico,
occorre dire che ci che l'essere
, non lo che
grazie
al
suo esistere,
ossia l'atto
puro
di esistere?
Messo al sicuro il tetto della metafisica di S.
Tommaso,
l'esse
ipsum
subsistens,
Gilson
procede
alla elaborazione delle
singole parti
dell'im-
ponente
e
robusto
sistema,
che
non vuole
essere una
mappa
delle
essen-
ze,
ma una
dettagliataricognizionedegli
esistenti,
che
non sono
pi
l'es-
sere
per
essenza,
ma limitate
partecipazioni
dellfirctus essendi. Alla elabo-
razione sistematica della metafisica dell'essere Gilson ha atteso
special-
mente in Utre et lzssence
e
in Elements
of
Christian
Plzilosophy.
Ci che
emerge
da
questi
scritti la solidit
e
l'ampiezza
della metafisica tomi-
stica dell'essere. Con la metafisica dellzctus essendi S. Tommaso riusci-
to a costruire una
ontologia
che
pu
conservare l'esistenza
senza rinun-
ciare alla fi|os0fia>>fi Il carattere esistenziale
(ma non ESSEHZBiSCO)
della metafisica tomista
permette
a
questo
metodo di
pensiero
la fonda-
zione
rigorosa
e
sempre
valida del
realismo,
dell'unico realismo merite-
vole di
questo nome, perch
capace
di accettare veramente
l'esperienza
nella
sua
integrit.
Di
qui l'importanza
perenne
del tomismo.
vero

scrive Gilson che
esso stato formulato nel XIII
secolo, ma
le conclu-
sioni filosofiche alle
quali
si
perviene dipendono
esclusivamente dai
principi
da cui si
parte,
non dal
periodo
storico in c-ui tali
principi
ven-
gono
assunti. I
principi
in s non
hanno
una data:
una volta che
sono
stati
concepiti,
si trovano collocati fuori del
tempofi
La
grandezza
filosoficadel tomismo sta
precisamente
in
questo:
nella
elaborazione di
una metafisica dell'essere che sia mai stata elaborata nel
corso dei
secoli,
perch
ci che Parmenide
e
Heidegger
ci hanno dato
non sono due metafisiche bens due
possenti ontologie.
Infatti
per
avere
un'autenticametafisica dell'essere necessario
salvaguardare
la reale
dif-
ferenza ontologica
tra
gli
enti e l'essere, e la trascendenza dell'essere ri-
spetto agli
enti. Ma esattamente ci che
manca sia in Parmenide sia in
Heidegger.
Nel
primo, perch
nella sua
ontologia gli
enti svaniscono nel-
7) Ibiui,
pp.
133-134.
3)
E.
GILSON,
L'essere e l'essenza, Cit.,
p.
325.
9) Cf. Ibid.
66D Parte terza
l'essere;
nel secondo
perch
nella sua
ontologia
l'essere si dissolve
negli
enti.
Invece,
S. Tommaso
pone
l'essere
a
fondamento di tutto l'ente e
di
tutti
gli
enti, ma 10
pone
come esse
ipsunz
subsistens. La sussistenza dell'es-
sere
argomentata dall'Angelico
in modo
probante
a
partire dagli
enti
stessi,
i
quali posseggono
s l'essere ma non si identificano
con l'essere: la
loro essenza non l'essere. Essi sono finiti,
partecipati
e
composti
(di es-
senza e atto d'essere).
Pertanto non
possono
essere la causa del
proprio
atto d'essere, ma lo ricevono
ClalYpSLHTl
esse
szibsstens.
Questa
la sola
spiegazione plausibile
del fatto che enti
per partecipazione, quali
sono
tutti
gli
enti
finiti,
i
quali
in
se stessi non
possono accampare
nessun
dirit-
to all'essere,
di fatto lo
posseggono
come atto
proprio,
come attuazionee
realizzazionedella
propria
essenza.
Gli enti sono
pertanto
radicalmente
distanti
dall'essere,
dai
quali
sono
separati
da un'infinitadifferenza
quali-
tativa; ma allo stesso
tempo
derivano tutta la loro realt dall'essere: nel-
l'ente - dichiara S. Tommaso- l'elemento
pi
intimo l'essere.
La filosofiadell'essere di S. Tommaso non
semplicementeontologia
come nelle filosofiedi Parmenide e
Heidegger;
ma un'autentica meta-
fisica. La
speculazione ontologica
di S. Tommaso si
spinge
oltre (met)
gli
enti e assicura loro una solidissima base radicandoli nell'asse
ipsum
subsistcns. Nella filosofia tomistica dell'essere, tra enti ed essere c' un
abisso,
uninfinita differenza
qualitativa
e non
semplicemente quantita-
tiva. Per
questo
motivo si
pu legittimamente
affermare che
quella
di
S. Tommaso l'unica autentica metafisica dell'essere che sia mai stata
concepita,
anche
se non mai stata sistematicamente teorizzata n ela-
borata in tutti i suoi
dettagli.
Questa
importantissima
innovazione filosoficadi S. Tommaso
sfug-
gita
ai suoi
discepoli,
inclusi i
grandi
commentatori del XV
e
XVI
secolo,
il Ferrarese e
il
Gaetano,
che hanno letto S. Tommaso in chiave aristoteli-
ca, lasciandosi, cos,
sfuggire
la
grande originalit
metafisica
dellAquina-
te.
Spetta
a Gilsonil merito d'aver fatto
questa
sensazionale
scoperta,
che
d l'intera misura del
genio
filosofico
deIYAquinate.
Anche Paolo VI rico-
nobbe
pubblicamente questo
merito al
sommo storico della filosofia
me-
dievale. In una lettera indirizzataa Gilsonnel
1975,
Paolo VI dichiarava:
Entre les divers
rprsentants
de cette
philosophie
(medievale),vos
prferences
se sont orientes d'emble vers Saint Thomas. Vous avez
su mettre en vidence
Foriginalit
du thomisme
en montrant comme
le Docteur
Anglique
- clair
par
la rvlation
chrtienne, en
particu-
lier
par
le
dogme
de la cration et
par
ce
que
vous
appelez
la
"mtaphysique
de Ylxode" - tait arriv la notion
geniale
et vrai-
ment novatrice de l"acte
d'tre",
"ipsum
esse". Ds lors sa
philo-
sophie
se situait sur un
plan
tout autre
que
celle d'Aristote>>.
1) PAOLO
IV,
"Lettera del S. Padre al Prof. Etienne
Cilson",
in L'Osservatore Romano
l-9-l975,
p.
l: Fra i diversi
rappresentanti
di
Liuesta
filosofia
(medievale),
le
La
riscoperta
della
metafisica
di San "lmzmaso 661
Per
quanto
attiene la storia della metafisica il merito
maggiore
di
Gilson indubbiamente
quello
di avere
riportato
alla luce
quel preziosis-
simo
gioiello
che la metafisica dell'essere di S. Tommaso. Dobbiamo
per segnalare
anche il
suo
apporto personale
su alcune
questioni gi
dibattute in
passato
e
riprese
nella
prima
met del XX
secolo,
due in
par-
ticolare: i
rapporti
tra
gnoseologia
e metafisica,
la
conoscenza dell'essere.
Una delle controversie in cui Gilson fu
implicato negli
anni Trenta
riguardava
la validit del realismo
Critico,
che veniva sostenuto da molti
neoscolastici,
specialmente
a Lovanio
(D. Mercier,
L.
Nol).
Egli pub-
blic due libri contro
questa posizione:
Le ralisme
rrzthodique
(1936) e
Ralisme thomistcet
critique
da la cmmaissance
(1939).
Per rinnovare la Scolastica
e
condurla al livello della discussione
moderna alcuni neoscolastici
pensarcm)
che la dottrina tomistica doves-
se essere
interpretata
alla luce del dubbio universale cartesiano e della
critica
gnoseologica
kantiana.
Questi
scolastici adottavano
quello
che
Gilson defin
un accesso
idealistico alla
epistemologia.
A suo
parere
costoro iniziavanocon i loro
propri pensieri
nelle loro teste e
poi
cerca-
vano
di fondare Fesistenza del mondo esterno. Il
sapere
del mondo
reale, esterno
cos
pensavano
dovrebbe essere fondato su una rifles-
sione critica dei dati
interni,
che
sono immediatamente
presenti
allo
spi-
rito. E come
conseguenza Yepistemologia
dovrebbe
precedere
la metafi-
sica. Gilson
respinge questa
tesi e sostiene,
al
contrario,
che la
gnoseolo
gia
fa
parte
della metafisica e va
quindi
elaborata all'interno della meta-
fisica stessa. A suo
parere
la critica
gnoserwlogica

incompatibile
COl rea-
lismo. Come mostra la storia della filosofia
post-cartesiana
il realismo
mediatosfocia nellidcalismo. Il realismo non
pu
essere dimostrato
ma
soltanto mostrato. Il realismo dice infatti che noi
comprendiamo
la real-
t
esterna,
che diversa dal
pensiero,
immediatamente. Possiamo riflet-
tere filosoficamentesullovviet di
questo
fatto, ma non
possiamo
criti-
carlo
come se
la
prova
di
quesfesistenza
si basasse
su un'altra
prova
co-
me
quella
ad
esempio
della esistenza del
pensiero.
Procedere in
questo
modo
significa seguire
un
metodo idealisticoe sfociare nellidealismo.
Gilson
respinge
l'accusa di
ingenuit
di cui veniva tacciato il reali-
smo
clella filosofia
greca
e
medievale. Il realismo scolastico tutt'altro
che
ingenuo.
Esso
perfettamente consapevole
della
posizione
idealisti-
ca e
la
coinvolge
nella
sua
analisi della
conoscenza. La scolastica - scri-
vostre
preferenze
si sono orientate di
primo
acchito verso S. Tommaso. Voi
avete
saputo
mettere in evidenza
l'originalit
del tomismo mostrando come
il
Dottore
Angelico
illuminatodalla rivelazione cristiana e
in
particolare
dal
dogma
della creazione e da
quella
che voi chiamate "la metafisica deIYI-sodo" -
fosse arrivato alla nozione
geniale
e veramente innovativa dell"'atto
d'essere",
"ipsum
esse". Perci la
sua filosofia si
poneva
su di un
piano completamente
diverso da
quella
di Aristotele.
662 Parte terza
ve
Gilson -
un
realismo
consapevole,
meditato
e voluto,
che tuttavia
non muove
dal
problema posto
daltidealismo,
poich
i
presupposti
di
questo problema implicano
necessariamente Yidealismo stesso come
soluzione. In altre
parole,
anche
se
questa
tesi di
primo
acchito
pu
sor-
prendere,
il realismo scolastico non a servizio del
problema gnoseolo-
gico

piuttosto
sar vero il contrario - bens la realt viene vista in esso
come
indipendente
dal
pensiero,
lmesse" viene
posto
come distinto dal
percipi",
e
questo
sulla base di
una certa
rappresentazione
di che
cosa
sia la filosofia
e come
condizionedella
sua stessa
possibilit. Questo

un realismo metodicoml
Non meno
accesa,
tra
gli
scolastici, era la
questione
della conoscenza
dell'essere. Secondo la tesi
pi comune,
l'essere conosciuto immediata-
mente; poich
e il
primo
concetto della nostra mente esso non
pu
esse-
re astratto da altri concetti, ma intuito direttamente. Gilsonrifiuta cate-
goricamente questa posizione.
A
suo
parere
la
conoscenza delYcsse si d
soltanto nel
giudizio; perci
dell'asse non si d nessun concetto;
i concet-
ti
riguardano sempre
e soltanto le essenze:
questa
la tesi
ch'egli
avanza
chiaramente
per
la
prima
volta in L'Etna et Pessence e subito
dopo
in
Being
ami
some
Philosopher's
e
che
non si stancher mai di
riprendere
anche
nelle
opere
successive
respingendo
le critiche che
gli
venivano mosse
da
altre
parti.
Ecco un
passo significativo
di Ltre et Passante in cui Gilson
espone
con
grande
lucidit la
sua
posizione.
Perch il
giudizio
di
esistenza,
preso
nella
sua
forma
pi
comune:
x ,
divenga intelligibile,
dobbiamo ammettere che il reale
contenga
un elemento che trascende la stessa
essenza,
e che la nostra conoscen-
za intellettuale sia
per
natura
capace
di
captare
tale elemento. Vi sar
dunque per
noi, come
per
Platone e
per
Plotino, un "al di l dell'es
senza",
che
per
anzich
essere
il Bene o lUno, sar latto di esistere.
Se esso al di l
dell'essenza,
al di l del concetto La
possibilit
del
giudizio
di
esistenza,
che
un
dato di
fatto,
si
spiega dunque,
se
si ammette che l'intelletto dell'essere
intelligente coglie
al
primo
colpo
nel suo
oggetto, quale
che
sia,
ci che vi in lui di
pi
intimo e
di
pi profondo,
Factus essendi. Ma si
comprende
allora altres come
esso
lo
colga.
Poich l'atto di esistere e la
posizione
di una essenza
nell'essere,
il
giudizio
di esistenza non
pu
essere
che
l'opera
corri-
spondente,
con la
quale
l'essere
intelligente
afferma
questo
atto.
Essendo
situato
al di l
dell'essenza,
tale atto non
pu
essere
oggetto
di concetto. E
perci
che,
mimando in
qualche
modo l'attualit
prima
del
reale,
l'intelletto la
significa
con un verbo, come
il verbo
,
che la
pone puramente
e
semplicemente
come reale?-
11) E. GILSON, Le ralfsme
mthtidique,
Paris 1936,
p.
11.
l?) 11).,
L'essere e l
essenza, cit.,
pp.
273-276.
La
riscoperta
della
nzetafisica
di San Tommaso
663
Gli interessi
speculativi
di Gilson si sono concentrati
specialmente
sulla metafisica
e sulla metafisica tomista in
particolare,
ma non si sono
lasciati
completamente
assorbire da essa. La sua attenzione si rivolse
anche
all'arte,
al
linguaggio,
alla
morale,
alla
educazione,
alla
politica,
alla letteratura e
anche in
questi campi
si distinto
per
una
straordinaria
ers icuit e rofondit. Ci dimostra che Gilstm oltre che
un
randissi-
P P
_
P
_ _
8
m0 storico fu un valente
speculativo,
un
pensatore
raffinato e acuto allo
stesso
tempo.
Con lui la filosofiacristiana ha
riacquistato prestigio,
e
ha fatto Vedere che
non un
genere superato,
ma un
filosofareche
pos-
siede
perenne
validit.
IACQUES
MAKITAIN
Mentre Gilson stato il
grande scopritore
della metafisica dell'essere
di S. Tommaso e i suoi meriti
riguardano soprattutto
la storia della filo-
sofia cristiana
e della metafisica
tomistica,
Maritain e colui che riuscito
a far dar credito alla filosofia tomista anche nel mondo
laico,
facendole
parlare
un
linguaggio
moderno e
arricchendoladi nuovi
rami,
quali
la
filosofiadella
storia, dell'arte,
della educazione
e, specialmente,
la filo-
sofia
politica.
Vita e
opere
Iacques
Maritain
nacque
nel 1882 a
Parigi
da
agiata famiglia prote-
stante. Il
primo periodo
della
sua vita
quello degli
studi
e va
dal 1895
al 1905. Studente alla
Sorbona,
incontr la
sua futura
moglie,
lebrea
Rassa
Oumancoff e con
lei
frequento
le lezioni di
Henry Bergson.
Du-
rante
questa
fase
giovanile
Maritain ader
pienamente
alla cultura del
suo
tempo, positivista,
anticlericalee socialista. Fu un
periodo
di ricerca
e
di
preparazione
che si concluse nel
1905,
quando Iacques
e Raissa (Che
si
erano
sposati
l'anno
prima)
incontrarono Lon
Bloy,
che influir in
modo determinante sulla loro conversione al cattolicesimo.
Nel 1906
Iacques
e Rassa ricevettero il
battesimo;
ebbe inizio cos
una
profonda
vita di fede che si alimenti) anche della
scoperta
del
pen-
siero di S. Tommaso
d'Aquino.
Dal 1912
insegn
filosofia al
College
Stanislas e allhdnstitut
Catholique
di
Parigi.
Risale a
questi
anni il
suo
primo
libro: La
filosofiabergsoniarta:
studi
critici,
pubblicato
nel 1914 e
che
diede avvio al tomismo francese.
Collaboro
a una rivista
legata
aIlAction
Francaise
del monarchico
e nazionalista Charles Maurras. Nel
1926,
quando
lAction
Francaise
venne condannatada Pio
XI,
Maritain si
pose
contro il
movimento,
rico-
noscendo le
ingenuit
in cui
egli
era
caduto.
Appartengono agli
anni Venti varie e
importanti opere,
che ci aiutano a
capire
la
posizione
di Maritain
e
lo
sviluppo
del
suo
pensiero:
Arte e scola-
664 Parte terza
stico
(1920),
Elen-zenti di
filosofia
I
e
Il
(1921-1923), Tlieonas (1921),
S. Tom-
maso
d'Aquino
(1923),
Antimoderno
(1922),
Tre
riformatori:
Lutero, Cartesio,
Rousseau (1925),
Primatodello
spirituale
(1926).
Dal 1926 al 1939 la
casa
di Maritain a
Meudon
(presso Parigi)
divent
il
luogo
d'incontro di
letterati,
filosofi
e
intellettuali.
Le
opere
fondamentali di
questo periodo,
che
segnano
la maturazio-
ne dei suoi orientamenti di
pensiero
sono:
Religione
e Cultura (1930),
Distinguere per
unire. I
gradi
del
sapere
(1932),
Sulla
fiiOSOfiIZ
cristiana
(1933),
Strutture
politiche
e libert
(1933),
Frontiere della
poesia
(1935),
La
filosofia
della natura (1935),
Scienza e
saggezza
(1935) e Umanesimo
integrale
(1936)
il suo libro
pi
noto che suscit anche vaste
polemiche.
Si tratta di un'o-
pera
che
raccoglie
sei lezioni tenute nel 1934 all'universit di Santander
(in
Spagna)
e la relazione al
congresso
tomista di Poznan (in Polonia).
Dal 1940 al
1960,
eccettuati
gli
anni 1944-1948 durante i
quali
fu a Ro-
ma come
ambasciatore di Francia
presso
la Santa
Sede,
egli
visse
negli
Stati Uniti dove
insegn
in
numerose
universit.
Appartengono
a
questa epoca importanti opere,
che
sviluppano
il di-
scorso
precedentemente
avviato sia su temi di
metafisica,
che di filosofia
della
politica,
dell'educazione,
della
storia,
dell'arte
e di
etica,
tra cui:
Questioni
di coscienza (1938),
l diritti dell'uomo e la
legge
naturale
(1942),
Cristianesimo e democrazia
(1945),
L'educazione al bivio
(1943),
La
persona
e il bene comune (1947),
Ragione
e
ragioni
(1947), L'uomo e
lo Stato (1951),
Lafilosofia
morale
(1960).
Questo
periodo
di intenso
impegno
filosofico
e
sociale si chiude
con
la morte di Rassa a
Parigi
nel 1960.
Dal 1961 al 1973 Maritain si ritir
presso
i Piccoli Fratelli di Ges di
Tolosa alla cui comunit
egli
stesso ader nel '70. Alcune
importanti ope-
re
di
questi
ultimi anni della sua
vita sono: Dio e la
permissiorie
del male
(1963),
ll contadino della Garorzna
(1966),
che riaccesele
polemiche
intorno
alle
posizioni
maritainianee
Approclies
sans entraves,
di cui stava
correg-
gendo
le bozze
quando
mor,
nel 1973.
Maritain fu il
pi
autorevole
rappresentante
del neotomismo:
concep
la
propria opera
come una continuazione fil0sofica della
teologia
di
S. Tommaso. lo non sono un neotomista
spiegava
-
e alla
peggio preferi-
rei essere un
paleo-tomista.
In realt io
sono,
io
spero
di
essere un tomista.
ll
suo
impegno speculativo
si costantemente mosso tra due
poli:
S. Tommaso e
il
pensiero
moderno. Del
primo
ha
sviluppato
la
proble-
matica filosoficain
quei punti
che non erano stati toccati
(filosofia
della
scienza,
filosofia della
storia)
oppure
non erano stati sufficientemente
approfonditi
(filosofiadell'arte,
filosofia
politica).
Del secondo si
costantemente
impegnato
nello studiare
e
analizzarele dottrine filosofi-
che,
religiose,
sociali, politiche
alla luce del
tomismo,
denunciandonele
profonde
lacunee
aberrazioni.
La
riscoperta
della
metafisica
di San Tommaso 665
Del vasto
e ricco
pensiero
del Maritain
qui
ci limiteremo
a
esporre
i
punti pi qualificanti
della
metafisica,
la
quale per
lui si identificacome
la metafisica dell'essere di S. Tommaso.
Questa
secondo Maritain merita
la
qualifica
di "metafisica
esistenziale, perch
dell'essere non
ha
un
concetto astratto (il
pi povero
di tutti i
concetti), ma
concreto,
esisten-
ziale,
in
quanto
si riferisce all'atto
primo
che sostenta
qualsiasi
realt.
Il tomismo scrive Maritain merita d'essere Chiamato
una
filosofia
esistenziale
(...).
Ma se la metafisica tomista e una
metafisica esistenzia-
le,
lo essendo
e
restando
una metafisica,
vale a dire
una
saggezza
che
procede per
via
intellettuale,
secondo le
esigenze pure dell'intelligenza
e
dell'intuitivit che le
propria.13
L'oggetto
della
metafisica
Maritain assume come
valida la notissima definizioneche della meta-
fisica
aveva dato Aristotele: la filosofia
prima
(metafisica) e lo studio
dell'essere in
quanto
tale. Ma di che
essere si tratta? Nelle
Sette
lezioni
sull'essere Maritain mette in
guardia
contro
quattro
modi di intendere
l'essere in cui esso viene derealizzato: l'essere
particolarizzato
che cade
sotto la considerazionedelle
singole
scienze;
l'essere
traggo
considerato dal
senso
comune;
Fans rationis che
oggetto
della
logica;
lo
pseudo-essere,
che l'essere inteso come
genere,
anzich
come trascendentale. Un
par-
ticolare interesse ha
per
Maritain l'essere derealizzatodei
logici
in
quan-
to esso si risolve nellntenzionalitdell'uomo
logico.
Nell'ambitodella
logica
l'intenzionalit
puramente
mentale, essa ha
di mira l'essere cos come
posseduto
dalla
ragione.
Non
l'essere,
dunque, propriamente quello
cui si riferisce il
logico,
ma l'essere di
ragione,
l'essere
possibile,
la nozione di
essere,
insomma l'essenza. Ma
altro l'essere della
logica
e altro l'essere come realt:
quello

propria-
mente del
logico, questo
del
metafisico,
ljintenzionalit dell'uomo
logi-
co non
raggiunge quella
del
metafisico,
il solo che abbial'intuizionedel-
l'essere
reale,
ossia de11'esistere.
Ma, allora,
qual
l'essere di cui si
occupa
la metafisica
una volta
escluse le
quattro
forme di
essere
di cui si detto in
precedenza?
L'essere
oggetto
del
metafisico, l'essere in
quanto
essere,
non n
l'essere
particolarizzato
delle scienze della
natura,
n l'essere
vago
del senso
comune,
n l'essere derealizzato della
vera
logica,
n lo
pseudo-essere
della
pseudo-logica,
ma l'essere reale in tutta la
purez-
za e
ampiezza
della sua
intelligibilitpropria
o del suo mistero
pro-
prio.
Questo essere mormorato nelle
cose,
in tutte le cose: le cose lo
dicono
all'intelligenza,
ma non lo dicono a tutte le
intelligenze,
ma
'13) ]. MARITAIN,
Sept legons Stil Mitre,
Paris
1934,
p.
70.
l)
Cf.
ibd,
pp.
36 ss.
666 Parte terza
solo a
quelle
che
sanno intendere;
perch
anche
qui
e vero il detto:
qui
Iiabet aures audiendi"audiai. L'essere si manifesta allora secondo i carat-
teri che
gli
sono
propri,
come
transoggettivit
consistente, autonoma
ed essenzialmente
Varia,
perch
l'intuizione dell'essere allo stesso
tempo
intuizione del suo carattere trascendentale e del suo
valore
analogicoml
L'esse che
l'oggetto
della metafisica non l'ente
(ens), ma Yesistere
(esse),
l'atto d'essere.
Per
parlare
dell'esse Maritain
non ricorre alle
espressioni
ardite di S. Tom-
maso, espressioni
Come actualitasomnium:
acfuunz, perfeciio
omnium
perfet-
tionum,
Iiobilitasomnium
nobilitatunz,ma non c' dubbioche al concetto
intensivo dell'essere che si riferisce il filosofo francese
quando
definisce
l'oggetto
della metafisica. L'esse della metafisica
non un concetto
vuoto, ma un concetto
pienissimo,
in
quanto raccoglie
in se stesso tutte
le
perfezioni
sia reali che
possibili,
un Concetto allo stesso
tempo
tra
scendentale
e
analogico.
L'intuizionedell'essere
Ma come si
giunge
alla
conoscenza
dell'asse? Su
questo punto
S. Tom-
maso non
ha lasciato
nessun
insegnamento
chiaro ed
espliciti),
e
questo
spiega
la notevole
divergenza
dei tomisti a
questo riguardo.
Per alcuni
anche il concetto dell'essere
, come
qualsiasi
altro
concetto,
frutto del-
Yastrazione.
Gilson, come abbiamo
Visto,
respinge questa
tesi e sostiene
che dell'essere non abbiamonessun concetto: l'essere colto ed
espresso
soltanto nel
giudizio.
Maritain
propone
una terza soluzione: l'essere colto dalla intelli-
genza
intuitivamente. Non mediante il
ragionamento
che
l'intelligenza
raggiunge
l'essere
poich
la
percezione
dell'essere il fondamento d'o-
gni ragionamento;
non
lo si
raggiunge
con i
sensi,
i
quali percepiscono
soltanto
singoli
"enti" ma non l'essere. Pertanto l'unica facolt in
grado
di
cogliere
l'essere
l'intelligenza: questa
Va
direttamente al cuore
delle
cose, a
questo
esse
che
ne
fa
degli
esistenti,
delle realt. Per conoscere
l'esse non basta incontrare la
parola
"essere" e dire
"essere"; occorre
avere l'intuizione,
la
percezione
intellettuale della inesauribilee incom-
prensibile
realt cos manifestata come
oggetto.

questa
intuizione che
fa
il
mefafisico>>fi
Ma l'intuizione dell'essere
esige
docilit da
parte
della
intelligenza.
L'essere
parla
a tutti, ma non tutti Yascoltano. Solo chi
possiede
l'abito
metafisico
coglie
l'essere nella sua fortissima risonanza e nella sua ric-
chissima
polifonia.
Maritain
spiega
che l'intuizione dell'essere non
15) Ibid.,
p.
52.
N)
lbid.
La
riscoperta
della
metafisica
di San Tommaso
667
una
specie
di
grazia
mistica, ma e
sempre
come un dono fatto all'intel-
letto, e ci che certo e che
essa necessaria sotto una forma o sotto
un'altra a tutti i metafisici.
Inoltre,
necessario rendersi conto che
se
necessaria a tutti i metafisici, tuttavia essa non viene concessa a
chiun-
que,
n a tutti coloro che
filosofeggiano,
e
neppure
a tutti i filosofi che
vorrebbero
essere o
che credono di
essere dei metafisici: Kant non
l'ha
mai avuta. Ma
perch questo?
Ci accade
perch

difficile, non difficile
in
quanto
sarebbe
un'operazione
difficile
a
svolgersi,
l'esito fortunato di
un virtuoso, perch
non c' nulla di
pi semplice
(ed
proprio perch
l'ha
cercata con la tecnica e con la massima raffinatezza della tecnica
intellettuale che Kant l'ha
mancata) (...); essa difficilenel
senso
che
difficile
giungere
a
quel punto
di
purificazione
intellettuale in cui si
compie
in noi
questo
atto;
dove noi siamo divenuti abbastanza
disponi-
bili,
abbastanza
vacanti,
per
in tendere ci che tutte le cose mormorano e
per
ascoltare,
anzich confezionaredelle
risposte>>fl7
Pi avanti Maritain
spiega
che l'intuizione metafisica dell'essere
un'infrazioneasfrattiva
e
ideativa allo stesso
tempo:
l'intuizionemetafisi-
ca dell'essere un'intuizioneideativa
e altamente ideativa.
Questa
intui-
zione si trova alla sommit della intellettualit eidetica. Essa
pu
essere
detta visualizzazione
eidetica,
in
quanto l'intelligenza,
per
il solo fatto
che e
spirituale,
si
adegua
ai suoi
oggetti,
li eleva nel suo interno a
gradi
diversi,
sempre pi puri,
di
spiritualit
e
di immaterialit.

in
essa,
al
suo interno,
che
attinge
il
reale,
disesistenziato della sua esistenza
pro-
pria
ed
extramentale, e
aprendo, proferendo
nello
spirito
un contenuto,
una intimit, un
suono,
una voce
intelligibile
che
non
pu
avere
che
nello
spirito
le sue condizioni di esistenza una e universale come intelli-
gibilit
in atto.'*
Anche altrove Maritainl?
parla
sempre
di intuizione dell'essere esi-
stenziale. L'intuizione Yaffrontamentodell'atto di esistenza da
parte
di
un'intelligenza
decisa a non
mai
rinnegarsim
Cos l'autore Vedr
nella concezionedi Dio di Cartesio e
di Duns
Scoto,
da cui Cartesio deri-
va,
una deviazione rovinosa del concetto di Dio in
quanto
l'essenza o
natura di Dio si resa
impenetrabile
alla
intelligenza,
e
vi si
supplisce
facendo
appello
a
Dio come volont
dell'intelligenza
e
della
intelligibi-
lita.
Qui
si ha
sempre
il
primato
dell'esistenza, ma
pagato
con la
sop-
pressione
o inutilizzazionedella natura
intelligibile
o essenza, Una esi-
stenza senza
essenza,
la sola che
per
se sarebbe
intelligibile,
diviene
17) Ilid,
p.
56.
m) Ibid,
p.
66.
19) I. MARITAIN,
Court trait de Fexistcnce m de
litristcizt,
Paris
1947,
p.
10.
1) Ihid,
p.
11.
2T) Cf.
ibid,
p.
14.
668 Parte terza
impensabile
e ci
getta
nel caosfi L'esistenza senza l'essenza e esistenza di
nulla. Altrettanto si dovrebbedire dell'uomo come esistente
quando egli
non avesse una natura 0 essenza. Come avviene nell'esistenzialismosar-
triano dove l'uomo e le cose sono
pure
azioni in vista di
un
progettol
Insomma Fanalitica dell'essere
esige
la distinzione di essenza ed esi-
stenza. Non si
pu
avere una nozione dell'essere che faccia astrazione
completa
dell'uno 0 dell'altro di
questi
due
aspetti.
Ora
questo
merita di
trattenere la nostra attenzione. Ecco
dunque
che
non soltanto il concetto
d'essere abbraccia
implicitamente
nella sua unit
analogica
o
polivalente
la divisione dell'essere in creato e ncreato, sostanza e accidente
(m); ma
ancora,
in virt della sua struttura essenziale
stessa,
il concetto dell'essere
include in maniera
indissociabile,
in tutti i
gradi
della
sua
polivalenza
e
per
tutti i
tipi
d'essere a cui si
pu applicare,
nel
campo
infinito che
pu
ricoprire,
i due termini
legati
e associati della dualit
essenza-esistenza,
che lo
spirito
non
pu
isolare l'uno dall'altro in concetti
separati: qualsivo-
glia
essere io
pensi, questo duplice aspetto

implicato
nel suo concettom
Ma come
insegnava
S. Tommaso, la distinzione tra essenza ed esi-
stenza in Dio una
distinzione di
ragione, perch
l'esistenza costituisce
l'essenza stessa di
Dio;
invece in tutte le altre
cose, compresi gli angeli,
la distinzione realefif
La sesta
prova
dell'esistenza di Dio
Le
prove
della esistenza di Dio sono innumerevoli;
ogni grande
me-
tafisico
possiede
una sua via
per
giungere
a Dio. L0 stesso S.
Tommaso,
oltre le famosissime
"cinque
vie", ne
propone
altre che
sono
perfetta-
mente coerenti con
la
sua metafisica dell'essere.
Iacques
Maritain, come aristotelicotomista,
apprezza
e valorizza le
"Cinque
Vie"
dellAq_uinate, ma,
per
altro
verso,
sagace interprete
delle
istanze dell'uomo moderno
segnatamente dell'esigenza
di
attingere
l'oggetto
conoscibile, con
agilit
e immediatezza - formula
un
modo
nuovo (una
"sesta
Via")
pi
conveniente ad
esse. Per
giungere
a Dio
asserisce Maritain -
possiamo
valerci,
oltre che di
un
argomento
di
tipo
tecnico
(secondo
il modello delle vie
tomistiche)
anche di
un
"ragiona-
mento naturale",
di
tipo
intuitivo,
irresistibilmentemantenuto e vivifi-
cato,
da
un
capo
all'altro,
nel
lampo
intellettuale dellintuizionedell'esi-
stenza. In
questo lampo
intuitivo, infatti,
il mio
pensiero,
con
rapidit
estrema,
Compie, per
cos dire, tre balzi, intimamente
legati
fra loro: mi
pongo
dinanzi all'esistenza attuale delle
cose,
totalmente da
me
indipen-
22)
Cf.ibid.,pp.16-17.
23) Cf.
ibid,
p.
19.
24) ]. MARITAIN,
Sept Iegons Sur 115m, cit.,
p.
74.
25) Cf. ibid.
La
riscoperta
della
rrzetafisica
di San Tommaso
669
denti;
scorgo
la mia esistenza
come un evento in cui
non
ho
parte
alcuna,
perch insidiato, abitato
quasi,
dal nulla
e dalla
morte;
infinemi
porto
da
quesfesistenza
minacciata
a un'esistenza
assoluta,
irrefragabile,comple-
tamente libera dal nulla
e dalla
morte, ancora
indeterminata,
per:
un'e-
sistenza, forse, nelle
cose, 0, forse, trascendente. Scrive Maritain:
Allora
un
ragionamento
pronto, spontaneo,
naturale
come unintui
zione (e, di
fatto,
pi
0 meno
implicito
in
essa),
sorge
immediatamen-
te,
quasi
frutto necessario di tale
appercezione primordiale,
imposto
dalla
sua luce
e sotto di
essa.
Ragionamentosenza
parole:
si rischia di
tradimela
concentrazione,
la
rapidit, esprimendolo
in modo articola-
to.
Vedo,
pertanto,
che il mio
essere, dapprima,
e
soggetto
alla
morte
e,
in secondo
luogo, dipende
dall'intera natura del tutto universale di
cui
sono
parte;
e
che
Flssere-con-il-nulla,com' il mio
proprio essere,
implica,
per
esistere, YESsere-senza-il-nulla,
quella
esistenza assoluta
che ho confusamente
percepito
come avvolta nella mia
primordiale
intuizione
dell'esistenza; e vede che il tutto universale di cui
sono
parte
, a sua volta, Essere-con-il-nulla
per
il fatto stesso che
ne sono
parte;
cos
che, infine, non esistendo da
se stesso il
tutto
universale, vi
un altro Tutto -
separato -,
un altro Essere
trascendente, autosuffi-
ciente, inconoscibilenella sua
natura, e attivante tutti
gli
esseri:
lssere-senza-il-nulla, cio l'Essere da s. Cos il dinamismo
interno
della intuizione
dell'esistenza, o del valore
intelligibiledell'Essere, mi
fa vedere che lEsistenza assoluta
o YESsere-senza-il-nulla
trascende
lintera natura e mi
mette di fronte all'esistenza di Diom
Come
precisa
lo stesso
Maritain,
qui
non si
tratta di
un nuovo modo
di accostarsi
a Dio: l'eterna via della
ragione
umana
per
avvicinarsi
a
Dio.
Quel
che vi di
nuovo il modo
con cui lo
spirito
moderno dive-
nuto cosciente della
semplicit e del
potere
liberatore, del
carattere natu-
rale, e in
qualche
modo intuitivo di
questo approccio
eterno.27
Ma
pi per quanto
riuscito a fare sul terreno
specifico
della metafi-
sica, che, tutto
sommato,

poca
cosa,
Maritain ha dato
grande prestigio
al
tomismo,
sviluppando
le
sue enormi
potenzialit
nei
campi
della
morale, dell'arte, della
storia,
della
pedagogia
e della
politica.
Fu
soprat-
tutto
grazie
alle
sue dottrine
politiche

esposte
in numerosi scritti - che
Maritain riusc
a
far
guadagnare
notevole
prestigio
al
pensiero
di
S. Tommaso anche in ambienti che
gli
erano stati
sempre
ostili
(partico-
larmente in
Inghilterra,
Francia
e Stati
Uniti). In effetti Maritain
seppe
creare una sintesi felice tra le istanze
dell'epoca
moderna
e le tesi fonda-
mentali del
pensiero
tomista.
26) Une nouvelle
approche
de
Dieu,
in Raison et raisons. Essais
dtachs, Paris
1947,
pp.
171-173.
27) lbid.
670 Parte terza
ANTONIN-DALMACESERTILLANGES
Vita e
opere
Antonin-Dalmace(il
cui nome
di battesimo era Gilbert) Sertillanges
nacque
a
Clermont-Ferrand
nel 1863. A Vent'anni,
nel
1883,
entr
nellOrdine Domenicano. Ma
poich
i Domenicani a
quel tempo
non
disponevano
di un
proprio
noviziatoin Francia, Sertillanges
trascorse
il
suo
primo periodo
nell'Ordinc a Belmonte,
in
Spagna. Compi
invece
gli
studi di filosofiae
teologia
a Corbara,
in Corsica.
Qui insegn
anche teo-
logia
dal 1890 al 1892. Nel 1893 fu chiamato a
Parigi
a
ricoprire prima
l'ufficio di
segretario
della Revue tlromiste e successivamente
di ammini-
stratore della Revue
lfiblique.
La sua carriera filosofica inizi nel 1900
allorch
gli
venne
offerta la cattedra di filosofia morale allInstitut
Catholique
di
Parigi,
che
ricopr per
22 anni. Nel 1928 fu nominatomem-
bro delllnstitut de France. A causa
di alcuni contrasti con
il suo
superio
re
religioso,
nel 1923 dovette lasciare la cattedra di filosofia;
in un
primo
tempo
fu inviato allEcole
biblique
di Gerusalemme,
dove
insegno
di
nuovo
teologia;
successivamente
pass
al
grande
centro di studi domeni-
cano
di Le Saulchoir
(Belgio),
dove dal 1928 al
1939,
accanto alla
teologia,
insegn
anche
sociologia
e
retorica. Nella misura in cui lo
permettevano
gli
eventi bellici,Sertillanges
collabor alledizionedella Rerum des
leimes.
Mor a
Sallanches il 26
luglio
1948,
all'et di 85 anni.
Le
opere
principali
di
Sertillanges
sono:
Saint Thonzas
dflquin,
2 voll.
(1910);
La
philosophic
morale de St. Thomas
dAquin
(1914);
Le vie intellcc-
tzrelle (1921);
Les
grandcs
thses de la
philasophic
tlzomiste
(1928);
Le christia-
misure et les
philosophies,
2 voll. (1939-1941);
L'idea de cratiorz et ses
rctcmtis-
scments en
philosophe
(1945);
Le
problme
du
mal,
2 voll. Paris 1939-51.
Il
pensiero
Sertillanges
fu
un
autentico tomista, un verus
etfdelis discipulzts
sancti
Thomae, e
nella
prima
met del XXsecolo fu tra coloro che
pi
contribui-
rono
alla conoscenza
del
pensiero
di S. Tommaso e
del tomsmo. Come
risulta dall'elenco delle sue
opere,
a S. Tommaso e al suo
pensiero egli
ha dedicato alcuni
degli
scritti
pi importanti
e
pi
conosciuti,
che furo-
no
anche tradotti in diverse
lingue.
Profondo conoscitore di S. Tommaso
e
del tomismo autentico,
egli seppe
presentare
il suo
pensiero
in modo
vivo e avvincente,
liberandolodalle scorie sotto cui l'avevano
seppellito
i manuali della terza scolastica c
della neoscolastica.
Sertillangcs
un
grandissimo
ammiratore di S. Tommaso del
quale,
tra l'altro,
ha scritto un
ammirevole
profilo biografico
e
intellettuale.
DellAngelico
Dottore
egli apprezza
tutto: la vita interiore, l'umanit,
la
spiritualit,
la
santit,
la
genialit
e
soprattutto
la totale e
incondizionata
passione per
la
verit,
per
la conoscenza e
l'insegnamento
della
quale
La
riscoperta
della
metafisica
di San Tommaso 671
egli possedeva
un
singolare
carisma. Il nostro autore ha l'istinto della
verit, come l'animaledei boschi
quello
della
pianta
utile
e, seguendolo,
non v' timore d'essere
ingannato.
S.
Tommaso,
per attingere
le vette
dell'intelligenza non
ha
bisogno
di salire. Siamo noi che dobbiamosalire
verso di
lui, ma
la
sua
accoglienza
tale che
ne abbiamosubitola ricom-
pensa.
La
sua
fronte veramente una
sorgente
di luce
per
gli
uominiml)
La
singolarit
di S. Tommaso di
possedere
una visione della verit che

globale
e
dettagliata
allo stesso
tempo.
Giova
ripeterlo,
benchla
cosa
sia nota come lo stesso nome di S.
Tommaso,
la
pi
notevole delle carat-
teristiche
generali
di
questo genio
la
sua
potenza
di sintesi. Possedeva
la
splendida
facolt di situarsi immediatamentenel
cuore
delle
cose e
scorgerne
tutte le irradiazioni. La
sua attitudine fondamentale
era
quella
di
unificare, associare,
distinguere.
Faceva
zampillare
da tutto la chia-
rezza>>.3"
Egli
va diritto alla verit che tutto
concilia,
alla
realt,
al-
l'Essere,
dove tutto il divino
e l'umano
e nellumano
ogni
verit
partico-
lare,
ogni
tendenza
legittima, ogni luogo
e
ogni tempo,
trovano la loro
giustificazione>>fi
In sede storica S. Tommaso Viene
apprezzato soprattutto perch
ha
saputo
rinnovare il sistema aristotelico del
quale
aveva
compreso
il
va-
lore,
per
adattarlo in
seguito,
in sede
teologica.
a una concezione razio-
nale del
dogma.32 Sertillanges
esamina
accuratamente i
rapporti
tra
Tommaso e Aristotele,
per
sfatare il
pregiudizio
diffusissimo nella cultu-
ra
francese del
suo
tempo,
secondo cui S. Tommaso
non sarebbe stato
che
un servile
ripetitore
di Aristotele. Pur essendo stato un
grandissimo
difensore di Aristotele
e
avendo contribuito
pi
di
qualsiasi
altro alla
sua accettazionenelle universit di
Parigi, Napoli, Bologna,
Padova
e
Oxford, Tommaso
non esita ad allontanarsi dall'autorit di Aristotele
ogni qualvolta gli
sembra di
averne
giusto
motivo. Se
non
lo fa
pi spes-
so
pu
darsi che
dipenda
dalla straordinaria sicurezza di
un
genio
la cui
potenza
deduttiva
non
permette,
a
chi
ne accetta i
principi,
di
sfuggirne
le necessarie
conseguenze
(...).
Osiamo dire che in
un certo senso
S. Tommaso
pi
aristotelico di Aristotele
e
che
questo "pi"
nella
co-
munanza di
pensiero gli
crea un
valore
personale
e
unndipendenza
quasi eguali
(...).
S. Tommaso risolleva la dottrina
(di
Aristotele) e
l'ar-
ricchisce smisuratamente
(...).
Tratta
con mano ferma, anch'essa creatrice
2*)
A. D.
SERTILLANGES,
S. Tommaso
d'Aquino,
tr. di G.
Bronzini,
Brescia
1946,
p.
118.
29) lbirt,
p.
117.
m) 11nd,,
p.
123.
31) lbirt,
p.
126.
32)
A. D. SaKrIL1_ANGEs, La
filosofia
di S. Tommaso
d'Aquino,
tr. di C.
Miggiano
di
Scipio,
Roma
1957,
p.
19.
672 Parte terza
di
slancio,
gli ingranaggi
di un sistema
complesso
a tal
punto
da
piegare
le
intelligenze pi rigorose. Appiana
le
oscurit,
risolve le incertezze che
gravano
sul
pensiero
aristotelico intorno ai
pi gravi problemi.33
Per
quanto
attiene la metafisica di S. Tommaso,
molto
tempo prima
che Gilson ne
fornisse la
rigorosa
ricostruzione sistematica, Sertillanges
ha intravisto chiaramentela
sua
grandezza
e
originalit. Egli comprende
che la metafisica tomistica e essenzialmente una
metafisica
dell'essere:
l'essere il
principio
che tutta la
sorregge
e unifica,
l'essere inteso nel
senso
forte e
pieno,
"forza di
espansione
e
di attrazione di tutto il siste-
ma.
Ecco
un
brano in cui
Sertillanges
focalizza molto bene
queste
idee:
L'essere (di
S. Tommaso)

uno, ma
include una
molteplicit
virtuale
che Parmenide
nega.
La sua ricchezza,
che vita in
Dio,
pu
e non
pu
essere manifestata, e,
se si manifesta,

perch
Dio l'ha libera-
mente voluta a
differenza di
quel
che dicono
gli
Alessandrini e senza
dubbioanche Aristotele insieme allo stesso Platone. L'essere creato fa
ritorno a Dio come aveva
detto Plotino; ma a un ritorno di forma
indecisa e mistica Tommaso sostituisce
trapassi graduali
e
precisi
in
armonia con
la vita
positiva
delle
cose,
in cui
vengono
distinti le
spe-
cie e
gli
esseri e
inclusi i dati della fede.
La sua
dottrina , se si vuole, un monismo, e anzi certamente lo , ma
un monismo che non
ha alcuno
degli
inconvenienti che
gli
sono
soliti.
,
in secondo
luogo,
un dinamismo, poich
l'essere vi
concepito
come una
forza di
espansione
e d'attrazione, ma
che evita l'errore del
dinamismo,
che
nega
la
sostanza, e,
invece di vedere
nella
forma una
dinamogenia,
identifica la forza con
lo stesso essere.
E
un
intellettua-
lismo, ma
anche
un volontarismo,
perch
il
pensiero genera
l'amore,
allo stesso modo che l'essere
produce
la forza. Il
pensiero
nato
dall'Essere
primo, dirige
verso
di
questo
l'amore e
l'amore vi
porta
a
sua
volta il
pensiero.
Nello stesso Dio,
l'a1nore la causa
dell'espan-
sione creatrice e
l'amore in Lui consuma
l'unione che
Egli
ha
prepara-
ta. Tutto a causa
dell'amore e tutto
per
l'amore. L'amore la consu-
mazionedi tutte le cose.
Finalmente,
questa
teoria nella unit di
una sintesi
comprensiva,
un
creazionismo al
tempo
stesso che un
evoluzionismo. E
un
creazioni-
smo
perch
tutto discende dall'Uno
per
una
liberainiziativacreatrice
e
l'origine
di
tutto, quindi
al
sommo
dell'Essere, non
in un
indefini-
bile
caos,
senza
ragion
sufficiente. E, tuttavia, un evoluzionismo,
poi-
ch dai confini del frazionamento
ontologico,
tutto risale allEssere
primow
Pur
cogliendo
la ricchezza,
la
potenza,
la
fecondit,
la centralit del-
l'asse
tomistico,
quando poi passa
alla ricostruzione sistematica della
metafisica di S.
Tommaso,
Sertillanges
non la
imposta
secondo l'oma
Ibid.,
pp.
23-24.
A. D.
SERTILLANoEs,
S. Tonzmaso
d'Aquino, cit.,
pp.
158-160.
33
)
34)
La
riscoperta
della
metafisica
di San Tommaso
673
resolutionis,
che
procede dagli
enti verso l'essere sussistente come avreb-
be dovuto
fare, ma si
adegua
alla
impostazione
suareziana,
dove
sepa-
rando
Vontologia
dalla metafisica vera e
propria,
si
specula
astrattamen-
te sul concetto di
essere,
sui trascendentali e sulle
categorie
dell'essere.
Inoltre il concetto di
essere
che
Sertillanges
vi
prende
in
esame non
affatto il concetto intensivo,
bens il concetto
comune,
il
pi vago
e
pi
debole di tutti i
concetti, cosicch, a causa della sua
genericit,
la nozio-
ne di
essere,
lasciata a se,
condannata a un vuoto assoluto, non
espri-
me nulla di
distinto,
nulla di afferrabile
(...).
Occorre
dunque
dire che l'i-
dea dell'essere in s solo
una convenzione, giacch
l'essere non
ha
un
concetto definito, se non
nelle
sue
specie,
cio nelle
categorie>>fi5
Gli altri tomisti francesi
Gilson,
Maritain e
Sertillanges
sono stati indubbiamentei
principali
artefici della
riscoperta
della metafisica dell'essere di S. Tommaso. Essi
hanno
scoperto
che S. Tommaso ha
un concetto assolutamente nuovo
dell'asse: il suo non
pi
il concetto debole dell'asse
Comune,
bens il
Con-
cetto forte dell'esse inteso come summa actualitas.
Gilson,
Maritain e
Sertillanges
in
parte
hanno anche
esplorato
e
conquistato
il vastissimo e
meraviglioso
territorio della metafisica dell'essere ma nessuno
di loro
l'ha fatto sistematicamente. E cos la ricostruzione sistematica della nuo-
va metafisica rimasta
pi unaspirazione
che un'esecuzione effettiva.
Chi si avvicinato di
pi
a
questo traguardo
stato
Gilson; ma la sua
ricostruzione fatta in un'ottica eccessivamente
teologica,
dove
una
pre-
matura identificazionedell'asse
ipsum
con Dio
toglie
alla resolutio
degli
enti nell'estate
ipsum
la vis
speculativa
necessaria alla
sapienza
filosofica.
Nel secolo XX la
Francia,
oltre che di
Gilson,
Maritain e
Sertillanges

stata la
patria
di molti altri valenti
tomisti,
i
quali per
non
hanno
ope-
rato nella direzione di
una ricostruzionesistematica della metafisica del-
l'essere, ma
piuttosto
hanno sfruttato le sue enormi risorse su due ver-
santi che
a
prima
vista sembrano
lontani, e anzi alieni
dall'essere,
il
conoscere da una
parte
e
l'agire
dall'altra. Invece si
poteva
dimostrare
agevolmente
che l'essere
concepito
intensivamente
funge
da valido
sostegno
sia al realismo critico nella dottrina della conoscenza sia al rea-
lismodinamiconella dottrina morale.
Allapprofondimento
dell'essere sul versante del conoscere
hanno
operato Garrigou-Lagrange, Jolivet,
Forest e Rousselot, mentre
all'ap-
profondimento
sul versante
dell'agire
ha lavorato De Finance.
35) lD.,
Lafilasofia
di S. Tommaso
d'Aquino,
cit.,
p.
29.
674 Parte terza
REGINALDOCARRICOU-LACRANGE
Reginaldo Garrigou-Lagrange
(1877-1964)
lascia l'universit di
Bordeaux dove stava studiando medicina
per
farsi Domenicano. Ordi-
nato sacerdote nel
1902,
compie gli
studi di
perfezionamento
in
teologia
a Le Saulchoir. Si
perfeziona
anche in filosofia
frequentando
alcuni corsi
alla Sorbona dove
pu seguire
tra l'altro le lezioni di
Bergson.
Inizia l'in-
segnamento
a Le Saulchoir nel
1905;
quattro
anni
pi
tardi,
nel 1909
viene chiamato a Roma
per l'insegnamento
della
teologia dogmatica
all'Angelicum,
attivit che lo vedr
impegnato
ininterrottamente
per
quasi quarant'anni.
Nel 1955 nominato consultore del Sant'Uffizio.
Muore a Roma nel 1964.
Gran
parte
della sua vasta
produzione riguarda
la
teologia,
ma
due
dei suol
primi
lavori hanno
una
considerevole
importanza
filosofica. Si
tratta di Le sens
COHIHILHZ,
la
philosophie
de ltre et
lesforrmtles doggmatiqzics
(1909) e
Dica. Son existence et sa nature (1915).
Nella
prima prendendo
posizione
contro Fimmanentismodella filosofia
moderna,
Garrigou-
Lagrange
mostra il carattere intenzionale e
l'oggettivit
della
conoscen-
za umana.
Il
primo sguardo
della
intelligenza,
scrive
Garrigou-
Lagrange porta precisamente
sull'essere
intelligibile
delle cose sensibi-
li.
L'intelligenza capta
il suo
oggetto
sin dal
suo
primo
incontro con
esso, superando
cos
ogni empirismo,
fenomenismo,
sensismo. Niente

intelligibile
se non
per
mezzo
dell'essere e in
ragione
della sua
relazio-
ne
allessere. Lo confermano anche le tre
operazioni
intellettive,
ap-
prendimento, giudizio
e
ragionamento,
le
quali
non
si
spiegano
attra-
verso una
immagine
media", ma soltanto mediante un
riferimento
all'essere. Pertanto
lapprensione
dell'essere non
un
postulato
arbitra-
rio, ma l'affermazione naturale e necessaria della nostra
intelligenza.
Nessuno libero di
apprendere
o di non
apprendere
l'essere, nessuno
pu captare qualcosa prima
dell'essere. C'e una forza
robusta,
parago-
nabilea un
istinto che
spinge
l'uomo verso l'essere.
Assodata Yobiettivit del
conoscere,
e
quindi
assicurato il Valore dei
primi principi
dell'essere,
Garrigou-Lagrange pu
inoltrarsi
tranquilla-
mente nel terreno della metafisica
e,
dal mondo dei
fenomeni,
risalire
fino all'Assoluto.
quanto egli
fa nella seconda
opera,
Dieu. Son existen-
ce et sa nature. Qui
l'obiettivodell'autore
quello
di combattere
l'agne-
sticismo humiano
e kantiano i
quali negando
Yobiettivitdel conoscere
e
contestando il valore del
principio
di
causalit,
precludono
alla
ragio-
ne la
possibilit
di salire fino a Dio. Per
arginare Fagnosticismo
Gar-
rigou-Lagrange
mostra nuovamente il valore
ontologico
della
ragione
sia
quanto
alle idee sia
quanto
ai
principi primi.
Poi
ripropone
e com-
menta le
"cinque
vie" di S.
Tommaso,
ch'egli
considera,
giustamente,
come riconducibilia un'unica
via,
fondata sul
principio
di causalit. In
La
riscoperta
della
metafisica
di San Tommaso 675
effetti S. Tommaso mediante il
principio
di causalit intende fornire
una
spiegazione
conclusiva ai fenomeni del divenire
(prima
via),
delle cause
seconde
(secondavia),
della
contingenza
(terza via),
dei
gradi
di
perfezione
(quarta
via) e dell'ordinenaturale
(quinta
via).
RGIS
IOLIVET
Rgis Jolivet (1891-1966)
ha
sempre
vissuto a Lione.
stato ordinato
sacerdote nel
1914;
dopo
la
guerra insegna
nella facolt di
teologia, poi
altlnstitut
Catholique,
dove
presenta
una
prima
tesi (non
pubblicata)
sul Ralisnze cartsien (1921);
la sua tesi
pubblicata
Verte su La notion de
substance. Essai
historiquc
et
critiqzie
sur le
developivement
des
doctrines,
dflristote n05
jours;
la tesi annessa tratta il Problme du mal chez
Augu-
stin
(1929). Membro di
numerose societ scientifiche, assunto alla
pre-
latura
pontificia
nel
1963, tre anni
prima
della morte
(1966).
Iolivet
stato un
grande
studioso sia di
Agostino
sia di Tommaso.
Del
primo
ha
approfondito
i
rapporti
con Plotino,
particolarmente
nei
saggi
Le
noplatonisrze
chrtien
(1932),e Essai
sur lcs
rapports
entra la
pense
grecque
et la
pcrzse
chrtienne
(1931).
Del secondo ha esaminato in
parti-
colare la dottrina della
conoscenza in
un'opera
intitolata Le thomismeet
la
critique
de la COHIGSSGICE. In
questo
scritto
Iolivet
sostiene che il
cogito
inteso in
senso totale riflessionesul
pensiero
che
pensa
l'essere
reale;
perci
non si deve uscire dallflesse dellatto di
pensiero,
ma
questo
esse
a
farsi dono
per
essere
pensato.
In
questo
senso
il realismocritico tomi-
sta non
dimostra l'esistenza di cose
indipendenti
dallo
spirito,
ma "af-
ferma il valore d'essere della conoscenza intellettuale".
In una delle
sue ultime
opere,
Lliomnze
mtaphysiqite
(1958), Iolivet
approfondisce
il
legame
della riflessionee dell'esistenza: la
metafisica,
nel
suo
significato pi profondo
e
generale,
ci
appare
come uno sforzo
permanente
dell'umanit, attraverso le
molteplici espressioni
dell'esse-
re,
del
pensiero
e
dei
valori,
vinte storicamente
e individualmente,
dal
livello estremamente vario,
per raggiungere
lAssoluto che ci muove
dall'interno con la
sua
potenza
creatrice.36 Il
problema
metafisico,
che
in ultima analisi
religioso,
si radica
nell'esperienza,
nel
fatto
che C' un'e-
sperienza.
Cos diciamo che il
punto
di
partenza
della metafisica
l'espe-
rienza
orginaria
e universale che c' un
qualche cosa,
o
che
qualche
cosa
{m}? La sostanza un "in s
capace
di esistere nel senso forte,
secondo
una
legge
interna di costituzione e di
intelligibilit,
che allo stesso
tempo
il
senso
di
un
agire
dove lessere si realizza nel farsi
e nel diveni-
35) R.
IOLIVET,
Llionzme
mtaphysiquc,
Paris
1958,
p.
115.
37) Ibid,
p.
25.
676 Parte terza
re ci che . La sostanza dono di
s,
azione che si comunica. Si
potreb-
be dire che l'esistenza
per
il
soggetto
ci che il
rapporto

per
la rela-
zione. Uinteriorit svanisce nel beneficiodell'estasi. La
soggettivit
ac-
cede a s solo
riprendendosi, quando
va al di fuori di
s, e nello stesso
movimento;
Fontologia parte
dalla riflessionedel
cogito
dando
accesso,
a
un livello
pi
alto de]
rapporto
delle
cose,
alla metafisica. L'essere del-
l'io non riconducibileallesistente
separato,
ma si
congiunge
sin dall'i-
nizio a un tu,
che
non neanche lui una
semplice
forma
a
priori
della
sua autointuizione,ma una
fonte a
p0steriori>>.38
AIM FOREST
Aim Forest
(1898-1983)

corrispondente
dell'Institut de
France;
poi
insegna
a
Montpellier
nella facoltdi
lettere;
membro della Societ filo-
sofica di
Lovanio,
fu anche
presidente
della Societ filosoficadella Lin-
guadoca.
Tra i suoi scritti
principali
due
riguardano
S. Tommaso: Saint
Thomas d
'Aquin
(1923) e il tomismo: La structure
ziztaphysique
da concrer
selon saint Thorrzas
d'Aquin
(1931).
Un altro
saggio importante riguarda
i
rapporti
tra la realt concreta e
la dialettica: La ralit concrte et la dialec-
tique
(1931).
Fu attratto al tomismo da Gilson del
quale segu
in
parte
le orme. La
sua ricerca filosofica si
propone
di conciliareil tomismo e la filosofia ri-
flessiva. Fu affascinatoa
lungo
dallidealismo
francese,
fino a
comprende-
re
il tomismo alla luce
o
secondo le
esigenze
della filosofiadello
spirito.
Non ha scritto alcun "trattato
tornista";
la sua riflessioneera
infatti rivolta
alla elaborazione di
un corretto
significato
del realismo tornista del
pen-
siero,
che
sa mantenere una
profonda
alleanza tra l'essere e lo
spirito.
In La structure
mtapiysique
da concret selon saint Thomas
d'Aquz'n
-
una
specie
di classico nella storia
degli
studi tomistici in Francia
(E. Gilson)
Forest
presenta
una
propria
sintesi del tomismo centrata
sull'idea di "esistenza concreta",
concepita
sia come
"posizione pura
d'un essere sia come
essere d'una
natura",
comportante
quegli
ele-
menti costitutivi che l'analisi dottrinalesi
propone
di chiarire. E l che si
ritrova il cuore
del reale: ecco
che cosa
significa per
S. Tommaso la
parola
concreto: ci che
radunato,
unito sotto un unico
principio
o
sotto lo stesso atto.39
Secondo Forest la filosofiadi S. Tommaso
rigorosamente
aristotelica
sia nella sua fedelt al concreto e sia,
conseguentemente,
nella
sua
oppo-
sizione al
platonismo,
che
lAngelico
cerca
di snidare da tutta una serie
38)
R.
]OLIVET,
Essai snr
le
problme
et les conditions de la
sincerit,
Paris
195D,
p.
37.
39) A. FOREST,
La strucfztre
mtaphysique
du cancret selon saint Thomas
dflqzzin,
Paris
1956, 2 ed.,
p.
39.
La
riscoperta
della
metafisica
di San Tommaso 677
di dottrine di matrice
platonica
che
erano
largamente
condivise
dagli
scolastici. Ma allo stesso
tempo
un
aristotelismo
profondamente
rinno-
vato,
grazie
all'inserimento di tre dottrine
completamente
estranee ad
Aristotele: le dottrine della
creazione,
della
partecipazione
e
della distin-
zione di
essenza ed esistenza. Per
lAngelico questa espansione
dell'ari-
stotelismo
perfettamente legittima.
Non necessario introdurre delle
correzioni,
le
quali
sarebbero
peraltro
assolutamente
insufficienti,
per
spalancare
siffatti
orizzonti,ma sufficiente
cogliere
da
un nuovo
punto
di vista i
problemi
filosofici che si trovano
posti;
occorre
comprendere
ci che
comporta
l'affermazione
aristotelica,
secondo cui la metafisica
la scienza che Considera l'essere in
quanto essere,
e
rifiutare di
porre
i
problemi
diversamente che nel terzo
grado
dellastrazione. S. Tommaso
sconvolge,
se si
vuole, tutto il sistema
aristotelico, ma non rimane forse
fedele alle
sue
aspirazioni
essenziali?
(...)
In
una
parola,
l'Arist0televisto
da S. Tommaso ci che nel
linguaggio
scolastico viene detto
un
futuri-
bile.4J
Secondo Forest S. Tommaso un "vero innovatore
(est
vrainzent
un
arzovateuar). La
sua
grande originalit
consiste nel riuscire a
salvaguardare
nel
suo aristotelismo l'essenziale dellidealismo stesso di Platone. In
breve,
S. Tommaso
parte
con Aristotele
e resta fermamente aristotelico
in tutta l'analisi del
concreto, ma
poi
conclude con Platone,
quando
esce
dal concreto"
per
trovarne la
causa
ultima trascendente in Dio.
L'Ange-
lico inizia con l'affermazionedi
un mondo di sostanze dotate in
se stesse
di
una
profonda
unit. Ma
egli
non si ferma
qui.
Egli
ci fa
cogliere,
in
ogni
essere creato, l'esigenza
di Dio stesso. La
molteplicit , infatti,
nella
sua filosofia, un
punto
di
partenza
suffi-
ciente
per
elevarsi sino a Dio; essa si
capisce
soltanto se l'essenza
degli
esseri distinta dalla loro
esistenza,
perch diversamente,
in
qualsiasi
altra
ipotesi,
si ricadrebbenell'uno
degli
Eleati; ma
l'esisten-
za ricevuta da fuori nella
essenza
pone
irresistibilmenteil
problema
della
sua
origine,
che Dio. Il tomismo
dunque
finalmente
questa
analisi metafisica
che, sotto la
pi piccola
realt
concreta,
afferma la
realt
dell'assoluta
che la fonda nell'esistenza. E una
filosofia dei
rapporti
dellinsufficienza delle cose e delle condizioni ultime della
loro insufficienza. Cos l'essere concreto sussiste in se stesso, possiede
una
rigorosa
unit,
poich
un solo atto viene a
completare potenze
diverse, e
questa
stessa analisi della
potenza
ci fa vedere
che,
lungi
dall'essere limitato in
se stesso, ogni
ente
esige
in un certo senso tutti
gli
altri nell'insieme
dell'universo,
relazionato
a DOm
w)
IbicL,
p.
323.
41) una,
pp.
327-328.
678 Parte terza
Cos,
secondo
Forest,
il realismoche ci offre S. Tommasonon il fred-
do realismo scientifico" di
Aristotele, ma
piuttosto quel
realismo
mistico tanto caro
ai
platonici
cristiani del
Medioevo;
il tomismo un
realismo
mistico, perch
il reale ha
una
profondit
e ci consente di
sco-
prire
senza
posa
la divina
presenzaw
P[ERRE ROUSSELOT
Pierre Rousselot
(1878-1915)
crebbe nella fede
rigida
della sua
fami-
glia.
Educato
a Le Mans dai
gesuiti,
entr a 16 anni nel loro noviziatoin
esilio
a
Canterbury (Inghilterra).
Nel 1908 fu ordinato
sacerdote;
si lau-
re in filosofia alla Sorbona.
Assegnato
alllnstitut
Catholique
di
Parigi
nel 1909,
Rousselot inizi il
suo
profondo ripensamento
del tomismo.
Uincalzare
degli
eventi, tra i
quali
la malaria e
la
guerra,
impedirono
lo
sviluppo
del
suo
pensiero.
Chiamato
a
svolgere
il servizio
militare,
mor
a
Eparges
nel 1915.
La
produzione
letteraria di Rousselot si limita
a
due libri: Ijintellectzia-
lisme de sairzt Thomas
(1908),
che la
sua
opera
principale,
e Pour l histoire
du
problme
de l'amour
au
Moyen-Age
(1908), e a una
dozzina di
articoli,
alcuni dei
quali
sono
dedicati
pure
al tomismo.
Nella sua
fugace
esistenza Roussclot ha
posto
le basi
per
un
radicale
ripensamento
della sintesi
tomistica,
pi pero
sul
piano gnoseologico
che
su
quello
metafisico. Mentre la
maggior parte degli interpreti
di
S. Tommaso continuavano a sottolineare nella
sua sintesi filosofica la
componente
aristotelica, e
difendevano
perci
la
possibilit
di
una cono-
scenza
puramente
concettuale
dell'essere,
in Ijirztellectualisnte de saint
Thonzas,
Rousselot
interrompe questa lunga
tradizione,
per
dare risalto
agli
elementi
platonicovplotiniani
in S. Tommaso.
Come allievo di S.
Tommaso,
Rousselot rifiuta decisamente il volon-
tarismo. ljeccellenza delle facolt
spirituali
misurata dalla loro abilit
a
soddisfare lanelito infinito
dell'uomo,
il
possesso
beatificantedi Dio.
Da
questo punto
di vista la
volont,
la facoltdi tendere verso
qualcosa,
e subordinata allintelletto,
la facolt di
intendere,
dato che l'intelletto
possiede
direttamente
Dio,
mentre la volont
gode
solo successivamente
del bene
posseduto.
Rousselot definisce audacementel'intelletto finito
in vista del
suo
scopo
finale,
la visione intuitiva di
Dio,
cio IEsse infini-
to,
della cui
pienezza partecipano
tutti
gli
esseri viventi. In tutte le
crea-
ture dotate di intelletto esiste
quindi,
secondo
lui, un
desiderio naturale
di
conoscere
la Causa Prima in
questo
essere.
Ne una causa seconda n
una
rappresentazione
finita dellAssoluto
possono
soddisfare
questo
desiderio della mente. Finch lo
spirito raccoglie
l'essere e
quindi
inclu-
42) una,
p.
32s.
La
riscoperta
della
metafisica
di San lmzmaso
679
de in se la
potenzialit,
esso anela, in
quanto
finito, alla
pienezza
infinita
di
questo
atto elevatissimo,
l'unione
con l'essere.
Rousselot sosteneva un
doppio
ordine naturale. Il
primo
era sostan-
zialmente aristotelico: l'universo materiale
composto
di
parti
costituti-
ve,
che formano la base
per
astrazioni valide
e
razionali. Il secondo era
un
platonismo
dinamicamente
trasformato,
in modo da
permettere
ai
singoli
enti di
prendere parte
allEs5e infinito. Non
c'era,
secondo
lui,
una
separazione
netta tra Platone e Aristotele. In
realt, Rousselot
non si
proponeva
alcuna
semplice giustapposizione.
Il sistema aristotelico
aveva subito alcune "deformazioni
prima
di
essere
riportato
al
suo
giu-
sto
posto
nella
nuova sintesi. Rousselot
presupponeva
un
mondo deli-
mitato, un tutto armonioso e umano. Cos
come
gli
accidenti sensibili
sono relativi
a un
organo
che li
percepisce,
allo stesso modo tutta la
realt materiale relativa all'uomo. D'altro canto
gli
esseri viventi esi-
stono solo
per quanto
sono conosciuti da Dio. Poich
per
Dio, come
puro Spirito,
non
possiede
la
conoscenza sensibile,
la realt
materiale,
per poter
esistere,
dev'essere mediata
dall'uomo;
Dio la
comprende
nella
e attraverso
l'intelligenza
umana.
IOSEPH
DE FINANCE
Joseph
De Finance nato a La
Canourgue
il 30
gennaio
1904. Entra
nella
Compagnia
di Ges nel 1921. Effettua
gli
studi letterari
superiori
in
Belgio
e
quelli
delle lettere classiche
a
Nancy.
Gli studi filosofici
e
teologi-
ci (1925-1935) si
svolgono
tra lo Scolasticato della
Compagnia
di Ges
a
Vals-prs-Le-Puy
(Haute-Loire) e
quello
di
Enghien (Belgio). Consegue
il
dottorato in filosofiaa
Montpellier
nel 1943. Nel 1955 chiamato
a inse-
gnare
alla
Gregoriana,
dove tiene corsi di etica
generale
fino al 1974
e
sulla filosofiadi S. Tommaso fino al 1980. Il
suo
insegnamento
toccher
anche terre lontane
come l'India,
il Canada
e
il Vietnam. Come ha ricono-
sciuto lo stesso De
Finance,
sulla sua formazionefilosoficahanno influito
i due
grandi
innovatori del
neotornismo, Rousselot
e
Marchal.
Tra le
sue numerose
opere
ricordiamo: Etra et
agir
dans la
philosophie
de saint Thomas
(tesi dottorale, scritta nel 1938
e
pubblicata
nel
1943;
seconda edizione
1960);
Existence et libert
(1956);
Ethica
generalis
(1959);
Essai
sur
l
'agir
Immain
(1966);
Le sensible et Dieu
(1988).
L'opera
di De Finance consacrata alla realizzazioneetica della meta-
fisica. In effetti la sua
indagine
filosofica
sempre
rivolta
a obiettivi
con-
creti ed esistenziali
e si concentra
preferibilmente
su temi
antropologici
(Existence et
libert; Essai
SIH
lzgir Iiumain) e morali
(Ethica
generalis).
Anche il
suo
magistrale
studio
(Etra et
agir)
non finalizzato
a se
stesso,
bens
all'agire
e
questo

preso
in tutte le
sue dimensioni:
umana e
divi-
na,
naturale
e
soprannaturale,
storica
e metastorica.
680 Parte terza
Il suo
grande
contributo al tomismo l'ha fornito con
la
sua
tesi dotto-
rale,
Etre et
agir
dans la
philosophie
de. saint Thomas che fu
una
delle
pietre
miliari nell'itinerario verso
la
riscoperta
della metafisica dell'essere di
S. Tommaso. L'obiettivo
dell'opera

duplice:
sul terreno storico mostra-
re
l'assoluta
originalit
del concetto tomistico dell'essere
rispetto
a tutti
quelli precedenti
da Aristotele ad Avicenna;
sul terreno teoretico, mette-
re in luce la
grande
fecondit di tale concetto
facendovedere che
l'agire
lungi
dal
rappresentare qualcosa
di contrario all'essere,

sempre
un
frutto che
cresce
sull'alberodell'essere.
De Finance osserva
che
generalmente gli
studiosi si sono
limitati ad
analizzare "il dinamismo
dell'intelligenza
e
della
volont",
prestando
quasi
nessuna
attenzione al dinamismo dell'essere. Ora noi crediamo
che la dottrina di S. Tommaso contiene di che
giustificare
(la
tesi che
ogni
essere
agisce),
e
lo
scopo
di
questo
lavoro mostrare come
la meta-
fisica
dell'agire
risulta,
nel
tomismo,
dalla metafisica dell'essere, o,
se
si
vuole, come
l'affermazione dell'esistenza richiama l'affermazione del-
l'attivit.43
Certo,
tornare a S. Tommaso
per
fornire un
adeguato
fondamentoalla
metafisica
dell'agire,
ai
tempi
in cui De Finance scriveva la sua tesi dot-
torale, era
un'impresa
ardimentosa, perch
ad alcuni la filosofia dell'es-
sere
sembrava sottovalutare la ricchezza
superiore
della vita e
dell'azio-
ne,
mentre ad altri sembrava misconoscere
l'originalit
e
il Valore
pro-
prio
del
pensiero.
Per far cadere
questi pregiudizi
era
necessario dimo-
strare
che il concetto
che S. Tommaso ha dell'essere non

quel
concetto
poverissimo
in
se,
privo
di
qualsiasi
contenuto,
che si trova in Aristote-
le, e
neppure
quello
della scolastica suareziana
per
la
quale
l'esistenza
(essere)
soltanto uno stato, una
posizione
dell'essenza. Come si
detto,
questo
il
primo
obiettivo della dotta ricerca di De Finance. At-
traverso un accurato esame
di tutta la letteratura
pretomistica
e
tomisti-
ca, egli
fa vedere che il concetto di
essere come actus costituisce la
gran-
de
originalit
di S. Tommaso.
Che l'asse
potesse occupare
una
posizione preminente
in una
metafi-
sica cristiana lo si
poteva
ricavare direttamente dalla
Scrittura,
la
quale
definisce Dio non come bont, unit,
giustizia
ecc.
bens
come essere.
Io
sono
colui che . Ma occorreva
trasformare
questo
asserto
religioso
in
asserto filosofico,
ed
quanto
riuscito a
fare S.
Tommaso,
ricorrendo
alla distinzione reale tra essenza
ed esistenza
negli
enti e
facendo
per-
tanto dell'essere l'esistenza stessa di Dio.
A1l'approfondimento
filosofi-
co
di
questa
tesi S. Tommaso arrivato
applicando
alla
coppia
essenza-
esistenza la dottrina aristotelica dell'atto e
della
potenza,
nonch la dot-
43) ].
DE FINANCE,
Etre et
agir
dans la
philosoplzie
de saint Tliomas,
Roma 1960,
p.
l.
La
riscoperta
della
metafisica
di San Tommaso 681
trina
platonica
della
partecipazione. l'originalit
di S. Tommaso - scri-
ve De Finance - di
avere
interpretato
la distinzione di
essenza ed esse
mediante la teoria della
partecipazione
e
quella
dell'atto e
della
potenza,
facendoleassumere
proporzioni insospettate
da Arstotele.44 Cos l'atto
supremo
non
pi,
come
per
Aristotele,
la
forma,
bens
l'essere,
che
diviene l'atto della forma stessa.
Il
primato
assoluto dell'essere,
rispetto
a
qualsiasi
altro
principio
metafisico, e
la distinzione reale tra essenza
ed esistenza sono
i due
nuovi
pilastri
su cui
l'Angelico
costruisce la sua
metafisica. Ma
come
gi
rilevava
Gilson,
anche De Finance deve constatare che in S. Tommaso
non esiste nessuna elaborazione sistematica di
questa
nuova
metafisica:
bench le suddette dottrine dominino tutta la sua metafisica,
egli
non
ne
ha mai ricavato un
sistema dalle ossature chiare ed
evidenti; mai ha
organizzato
intorno a
queste
verit fondamentali le
grandi
tesi della
sua
fi1osofia>>.45
Quello
che S. Tommaso non
ha fatto resta in
larga
misura
ancora da fare. Da
parte
sua De Finance non
ha mai tentato una elabora-
zione sistematica della metafisica dell'essere n in Etre et
agir,
n nelle
opere
successive.
Nella seconda
parte
della sua tesi dottorale (cc. IV-IX), messa
al sicu-
ro
la
scoperta
del nuovo concetto tomistico
dell'essere,
De Finance
passa
al secondo obiettivo della sua
ricerca: l'esame dei luminosi riflessi che
tale concetto ha sui due versanti del
conoscere e
dell'agire. Riguardo
al
conoscere
l'essere non affatto una
specie
di materia
grezza
che attende
dal conoscere di essere sollevata a un
piano superiore,
ma la luce
radiosa che rende
possibileogni
conoscenza: la conoscenza
sempre
conoscenza
dell'essere. L'affermazione
ontologica,
ossia l'affermazione
di
un
ordine che
non
dipende
dal
pensiero,
ma
che al contrario del
pen-
siero la misura e la
regola,
nel tomismo una
specie
di condizione a
priori:
Ens esse est
per
se r10tuin>>fl6
Quanto poi allagire
risulta facile
a De Finance mostrare che Yesse
tomistico,
essendo essenzialmente actus e
radice di
ogni
atto anche la
sorgente d'ogni
forma di
agire,
a
partire
da
quell'agire prodigioso
che e
la creazione. Ecco un bel
passo
in cui De Finance descrive il carattere
dinamicoe attualisticodella creazione:
L'azione
creatrice,
essendo
presupposta
da tutte le
altre,
necessa-
riamente un'azione
per
se. Ora,
agire per
se,
ex se,

possedere
il
pieno
dominio del
proprio atto, e soltanto l'azione
intelligente
e volontaria
soddisfa a
questa
condizione;
soltanto essa
gode
di
una
spontaneit
assoluta, non
sorgendo
che da se stessa,
mentre l'azione "naturale"
4g) ma,
p.
110.
4) lbni,
p.
109.
46)
De veritute
X,
12 ad 3.
682 Parte terza
nasce da una
forma che la determina. Il
primato
del
per
se
esige per-
tanto ali'iniziodelle cose un intervento dello
spirito.
Occorre un'azio-
ne
libera
per
spiegare
l'attivit
degli
esseri, come occorre un esse sus-
sistente
per
dar conto della loro esistenza. Poich la libert
dell'opera-
zione
segue
necessariamente Yillimitazionedell'essere. Se Dio Atto
puro,
Esistenza che
nessuna essenza
restringe,
1a
sua
azione non
pu
cadere sotto nessun determinismo?
Concludendo,
De Finance riuscito certamente a dimostrare che il
tomismo
appartiene
alle "filosofiedinamiciste". Infatti l'esistenza
per
S. Tommaso non
un dato
inerte, ma un atto,
la cui nozione
comporta
da
se stessa un
dinamismodalle
possibilit
i1limitate.48 il tomismo tutt'al-
tro che
una
filosofiachiusa (...), esso si
apre
ad
accogliere
tutto l'universo
dei
valori,
precisamente perch ripone
il valore
supremo
e la Vetta dell'in-
telligibilit
non
in un'essenza
astratta,
ma
nell'atto d'esistere.49
Il
maggior
merito del tomismo secondo De Finance di evitare allo
stesso
tempo
sia l'errore dell'essenzialismo che
ignora
l'esistenza,
sia
l'errore
opposto
dell'esistenzialismo che trascura l'essenza. Nel tomi-
smo essenza
ed esistenza sono
due
coprincpi egualmente indispensabili
per
la costituzione dell'ente: l'essenza ci che d all'ente una determi-
nata misura
(
la
potenza
che riceve
l'essere); mentre l'esistenza ci
che d all'ente l'attuazione effettiva: l'atto della essenza.
L'essenza e
l'esistenza non sono dei
contrari, ma
dei
principi
sintonizzati. L'esisten-
za la
perfezione
del1'essenza.50 L'errore
degli
essenzialisti di ricono-
scere
intelligibilit
soltanto alla
essenza;
mentre l'errore
degli
esistenzia-
listi
negare qualsiasi intelligibilt
all'esistente
(Dasein).
Invece secon-
do S. Tommaso -
come
chiarisce beneDe Finance
Yintelligibilitappar-
tiene anzitutto all'essere;
Yessenza non
fa altro che circoscrivere l'intelli-
gibilit
dell'essere
quando
assume
le dimensioni finite di
un ente. Di
Dio si detto tutto allorch si detto che . Ma
per
far
conoscere
l'essere
finito, occorre
dire ancora
fino
a
che
punto
esso ,
quale
valore dell'esse-
re
totale realizza. Sta
qui
il valore noetico dell'essenza. L'essenza
quin-
di a sua
volta
principio
di
intelligibilit,
ma
lo delimitando ci che del-
l'essere viene affermato in
questo
ente e
fino a
che
punto questo
dev'es-
sere
affermato.51
47) ].
DE FINANCE,
Eire et
agir ...,
cit.,
p.
134.
48) una,
p.
357.
49) 11nd,,
pp.
362-363.
59) lbid,
p.
366.
51) lbL,
p.
Xl.
La
riscoperta
della
metafisica
di San Tommaso
683
I tomisti
belgi
L'universit di
Lovanio,
che alla fine dell'Ottocento
era
l'unica uni-
versit cattolica che
comprendeva
oltre alla facolt di
teologia,
la facolt
di
diritto,
di lettere e filosofia,
di medicina
e di
scienze,
fu uno dei
mag-
giori
Centri del neotomismo. I suoi
grandi
studiosi hanno rilanciatoil
tomismo
collegandolo
con
la filosofia
moderna,
specialmente
con
quella
kantiana,
rileggendo
S. Tommaso in chiave trascendentale. In
questo
lavoro si sono
distinti
soprattutto
Desir Mercier e
Ioseph
Marchal. Il
loro
apporto
alla
riscoperta
della metafisica dell'essere di S. Tommasofu
piuttosto
modesto: il loro obiettivo
era
piuttosto quello
di dimostrare la
possibilit
della metafisica aristotelico-tomista
partendo
da Kant.
DESIR MERCIER
Dsir Mercier
(1851-1926) nato a Braine dAllend
(Belgio)
il 21 no-
vembre 1851. Nel 1868 entra nel seminario di Malines dove
compie gli
studi del bienniofilosofico
e del triennio
teologico.
Nel 1873 viene invia-
to all'universit di Lovanio dove
consegue
la licenza in
teologia.
Nel
1877 diviene
professore
di filosofia al seminario di Malines. Il 31
luglio
1882 i vescovi
belgi designano
Mercier a tenere a Lovanio,
secondo i voti
di Leone
XIII,
che nel 1879 aveva
pubblicato
YenciclicaAeterni
Patris, un
corso di a1ta filosofiasecondo S. Tommaso. Mercier si reca a Roma;
il
papa gli
conferma la nomina e conferisce al
giovane professore
il titolo
di dottore in
teologia. L'inaugurazione
del
nuovo corso
di filosofiatomi-
sta ebbe
luogo,
con
grande
solennit,
il 27 ottobre
1882,
alla
presenza
del
rettore,
dei
professori
e
di
numerose
personalit.
Nominato arcivescovo
di Malines nel
1906,
Mercier Viene Creato cardinale l'anno successivo.
Muore il 23
gennaio
1926.
Alla conoscenza e alla diffusione del tomismo Mercier diede
un
sostanziale
contributo,
oltre che
con
Vinsegnamento
e con
i suoi scritti
anche
con
la creazione di tre
importanti organismi:
La socit de
philo-
sophie
de LouVain"
(1888);
Linstitut
suprieur
de
philosophie
(1889);
la Revue
noscolastique
de
philosophie
(1894).
Considerevole la
produzione
filosoficadel Mercier. Oltre a numero-
si studi
apparsi
in diversi
periodici
ha
pubblicato
Les
origines
de la
psy-
citologia Contemporaine
(1897) e,
del Cours de
Philosophie
delllnstitut
supe-
rieur de
Philosophie,
il cui insieme doveva fornire
un
esposto completo
di
filosofia,
fu l'autoredei
primi quattro
volumi intitolati
Logique,
Mta-
phi/siquegnrale
ou
Ontologie, Psyclzologie, Critriologie gizrale
ou Thorie
generale
de la Certitizde.
Il
progetto
di Mercier rinnovare la filosofiaaristotelicotomista
gra-
zie alle scienze
moderne,
in modo da confrontarla
con successo con
il
684 Parte terza
pensiero contemporaneo.
Nella
Psicologia
(1892) Mercier,
in stretto con-
tatto con la
psicologia sperimentale dell'epoca,
rivaluta la concezione
tomistica dell'unit dell'uomo contro le concezioni dualistiche
ispirate
a
Cartesio, e ne
Le
origini
della
psicologia contenzporaizea
(1897)
fa vedere
come
le concezioni materialistichedell'uomo siano sorte come una rea-
zione allo
spiritualismo
di
tipo
cartesiano. Nella
Criteriologia generale,
abbandonando le considerazioni sul Valore delle facolt
conoscitive,
Mercier
imposta
la ricerca sull'analisi
degli
atti
conoscitivi,
in
particolare
del
giudizio,
e
pi particolarmente
dei
giudizi
necessari e
universali.
Confuta la teoria kantiana dei
giudizi
sintetici a
priori
e afferma che le
proposizioni
matematiche
sono
espressione
di
giudizi
analitici,
che
non
possono
essere
negati
senza
contraddizione. Tale anche la
proposizio-
ne: l'esistenza di ci che
contingente esige
una causa.
E
poich
le
nostre sensazioni sono
contingenti,
deve esistere una causa
di
esse
di-
stinta da noi.
Quanto
al loro elemento
formale,
questi principi
non devo-
no nulla
all'esperienza; questa
non
pu
neanche dare loro il
sostegno
di
una
conferma.
Nella
Metafisica generale
o
ontologia
del Mercier non si trova alcuna
traccia della metafisica dellkzctus esserzdi di S. Tommaso. La metafisica
esposta
dal Mercier
quella
di
Aristotele, ma
ha il
pregio
di
superare
il
nozionismo e
Yastrattismo della manualistica del suo
tempo. Oggetto
della
metafisica,
per
Mercier,
la sostanza delle cose
sperimentate.
Questa
scaturisce dal
primo risveglio
della
mente, ma
questo
stadio
una nozione
confusa, indeterminata,
superficiale,
sterile;
tutto ci che
appreso
una "cosa in
s",
un sussistente. Attraverso un'analisi o una
scomposizione
di
questa
nozione,
il
pensiero
elimina i caratteri
partico-
lari,
i tratti
distintivi, e si trova finalmente dinanzi al
soggetto primo
di
ogni
attribuzione,
la sostanza
prima.
Questa nozione, a
differenza di
quella
da cui era
partita,
la
pi penetrante,
la
pi
distinta,
la
pi
fecon-
da.
questa
che traduce il
significato primo
dell'essere. La metafisica
dunque
non studia l'essere in
generale, giacch questo
include anche
l'essere di
ragione, oggetto
della
logica;
essa considera la sostanza con-
creta, individuale,
esistente. La metafisica studia
perci
le cose
d'espe-
rienza,
in
quanto
sono
delle sostanze: la sostanza costituisce il suo
oggetto
formale. Poich la metafisica non
ha altro
oggetto
che l'essere
sostanziale delle cose sensibili,
bisogna
dire che non esiste una scienza
speciale degli
esseri immateriali. Non abbiamon definizioni n
princ-
pi
che si
potrebbero applicare
a simili esseri. Ci che i moderni chiama-
no metafisica
"speciale"
non che
una
metafisica
applicata,
una esten-
sione della filosofia
prima.
Se si
pu
dimostrare l'esistenza di una
sostanza infinita, non se ne
pu
determinare la natura se non con una
sintesi di nozioni
negative
e
analogiche
il cui contenuto
positivo
e
pro-
prio

preso
in
prestito
dalle cose sensibili. Non
bisogna quindi stupirsi
La
riscoperta
della
metafisica
di San Tommaso 685
se certe
questioni
di teodicea restano insolubili.La stessa cosa succede,
tra le
altre,
al tentativo di conciliarerazionalmentela scienza infinita di
Dio,
che dovrebbeabbracciare
tutto,
inclusi
l'avvenire, e
la libert
degli
atti umani.
Occorre,
in
questa questione
delicata, riconoscere lealmente
l'impotenza
della
ragione umana;
nessuna delle
spiegazioni
che si
cercato di dare sembra soddisfare la mente e non si intravede
nemme-
no la
speranza
di una soluzione
pi
soddisfacente.
IOSEPH
MARCHAL
Ioseph
Marchal,
nato nel 1878 a
Charleroi
(Belgio),
diventa
gesuita
nel 1895.
Dopo gli
studi di filosofia si dedica allo studio delle scienze
naturali. Si rivolse alla
psicologia e,
come
presupposto
di
questa
alla
biologia;
si laurea nel 1905. Tre anni
dopo
ordinato sacerdote. Gi
prima
della laurea si sente attratto da S. Tommaso, e
questo impulso
lo
spinge
a
voler liberare
gli
studi
originali deIYAquinate
dalle
semplifica-
zioni scolastiche. Nello stesso
tempo appare
al
suo
orizzonte Kant. Do-
po
aver trascorso in Austria l'ultimo anno
di formazione
sacerdotale, a
partire
dall'ottobre del 1910 visita nel
corso
di
un semestre numerose
citt universitarie tedesche.
Dopo
il 1910 si
occupa
di
psicologia, soprat-
tutto di
psicologia religiosa,
di cui tratta nelle
sue
lezioni a
partire
dal
1919. Particolarmente
importanti
sono
i suoi lavori sulla
psicologia
della
mistica,
riuniti in due volumi
(1924 e 1937).
ln essi lo
spirito umano,
orientato alla visione immediata di
Dio,
svolge
un
ruolo decisivo anche
per
la sua filosofia. Marchal esercita la
sua
attivit di
professore,
che
comprendeva psicologia
e storia della
filosofia, a
Eegenhoven
e a
Lovanio,
finch nel 1935 non
abbandona
l'insegnamento.
Accomiatan-
dosi,
consigli agli
studenti di mantenere un
rapporto
costante con
S.
Tommaso,
il solo che,
secondo
lui,
pu
mettere in condizionedi otte-
nere una
comprensione pi profonda
della filosofiamoderna. Nel 1938
la Reale Accademia del
Belgio gli
conferisce il
premio per
la filosofia.
Muore Verso la fine del 1944.
Il
grande capolavoro
filosoficodi Marchal
porta
il titolo Le
point
de
dpart
de la
mtaphysiquc. Legons
sur le
dveloppement historique
et
thorique
du
problme
de la connaissance (Il
punto
di
partenza
della metafisica.
Lezioni sullo
sviluppo
storico e
teoretico del
problema
della
conoscen-
za),
che nel
progetto (iriginario prevedeva
sei
Cahiers, ma
il sesto non
mai stato
pubblicato.
L'obiettivoimmediatoche Marchal si
prefigge
nella sua monumenta-
le ricerca e
quello
di
provare
il valore
oggettivo
della conoscenza attra-
Verso un accurato esame
storico-critico di
questo problema;
mentre l'o-
biettivo ultimo dimostrare, contro Kant,
che la metafisica
possibile.
686 Parte terza
Pertanto, come
precisa
lo stesso Marchal nell'introduzione al
primo
cahier,
il
suo studio intende
rispondere
a
due
quesiti:
l. Una volta con-
cesso
che l'affermazione assoluta
dell'oggetto,
ossia l'affermazione
metafisica traduce un
atteggiamento
naturale dello
spirito umano,
come
arrivano i filosofi
a reclamare
una
giustificazione
critica di
questa
affer-
mazione
primitiva?
In altri
termini, come
pu insorgere
il
problema
cri-
tico della conoscenza? 2. In che misura
una tale
giustificazione

possibi-
le? ln altre
parole,
il
problema
critico della
conoscenza suscettibiledi
una soluzione?.52
Il
primo quaderno
(Cahier)
riguarda
la critica della
conoscenza nel-
l'antichit
e nel
medioevo,
De
liiztiquit
la
fin.
du
ntoyen (ge
(1922).
In
un
ampio capitolo
Marchal
espone
il realismo moderato di S. Tomma-
so: soluzione
completa
dellhntinomia dell'uno
e del
molteplice.
Il se-
condo
rappresenta
la discussione
con
il razionalismoe
lempirismopri-
ma di
Kant,
Le
Conflit
du rationalismeet de
Fempirisme
dane: la
philosophie
rrtoderne airant Kant (1923). ll terzo
sviluppa
La
Critique
de Kant
(1923) ed
una
magistrale
ricostruzione della
genesi
e dello
sviluppo
del
pensiero
kantiano
e un eccellente
excursus attraverso le tre
grandi
Critiche. Il
quar-
to
quaderno,
un volume di
grande
mole, contiene
importanti
contributi
sui sistemi
idealistici,
Le
systme
idaliste Chez Kant et les
postkanticns
(1947). Infine,
il
quinto quaderno
un libro
imponente,
che costituisce il
fulcro dell'intera
opera;
vi si
espone
il tomismoin versione trascenden-
tale";
il titolo
dell'opera
Le thomisnzedevant la
philcisophiccritique
(1926).
Marchal uno dei massimi
esponenti
di
quel
neotomismo
tipico
dei
primi
decenni del
Novecento,
che
pi
che in sede storica
(per
il
ricupero
del
pensiero
autentico di S.
Tommaso,
che la linea
seguita
da
Gilstm,
Fabro, De
Finance, Van
Steenberghen)
si cimentava nell'ambitoteoretico
mettendo a confronto il tomismo col kantismo
e cercava di
provare
che
il tomismo costituisce la
risposta migliore
alle stesse istanze che nel kan-
tismo restano irrisolte.
Scopo
dichiarato di Marchal il
superamento
dellagnosticismo
kantiano attraverso il realismo metafisico
tomista,
percorrendo
due strade
convergenti:
la
prima
indiretta
e costruttiva,
contesta storicamente e teoreticamente le
legittimit
delle
esigenze
me-
todologiche
del
criticismo;
la
seconda, diretta, accetta le
premesse
kan-
tiane
(oggetto
fenomenico
e metodo trascendentale
dell'analisi) e
dimo-
stra che,
spinte
a fondo,
portano
all'affermazione,
anche
teoretica,
del-
Fassolutonoumenico.
In sede storica Marchal fa vedere che
l'impostazione
kantiana del
problema
della
conoscenza non
ha valore assoluto
perch
non
esprime
le
esigenze
della
ragione
in
se stessa, ma anzitutto il risultato
logico
di
un determinato contesto
storico-teoretico,
quello segnato
dal razionali-
52) ]. MARCHAL, Le
point
de
dpart
de la
mtaplzysique, Bruxelles-Parigi
1944,
3
ed.,
p.
14.
La
riscoperta
della
metafisica
di San. Tommaso 687
srno e
dall'empirismo
e
dalla necessit di uscire dalle antinomie scaturi-
te da tali sistemi. In sede teoretica, Marchal,
partendo
dai
presupposti
del criticismo kantiano, cerca
di dimostrare attraverso una serie di
pro-
posizioni
concatenate e senza
inserire dei
presupposti dogmatici,
che
una
realt noumenale si
impone
non
solo come
postulato pratico
ma
anche come necessit
speculativa, perch l'oggetto ontologico
condizio-
ne intrinseca di
possibilit
dello stesso
pensiero oggettivo, perch
condi-
zione dell'affermazione dinamica che lo costituisce. L'attivit intelletti-
va, spiega
Marchal,
un movimento:
dunque
tendenza
a un fine,
orientata da una
forma specificatrice,
che in tanto la muove
negli
atti
secondi come
forma
intelligibile,
in
quanto
in
precedenza
l'ha
mossa
nell'atto
primo,
ad
exercitimn,
per
influsso della Causa
prima,
come
for-
ma naturale
primitiva dell'intelligenza
considerata ut res
auaedanz
(come
una cosa).
Tale forma dell'atto
primo

quella
dell'era:
qua
tale, a cui l'in-
telletto tende come
al
proprio
bonam: non
perci
un fenomeno,
bens la
realt
oggettiva
in se stessa.
Precisamente a
questo
livello di
consapevolezza
affiora l'abisso che
separa
Tommaso
d'Aquino
e Kant:
per
il
primo
la ZJS
cogitativa
si alimen-
ta
sempre
del
pensiero
dell'essere in
quanto
atto;
per
il secondo la
ragion
pura
(Vemarfit)
ha
a
che fare
con
le idee
regolative
(mondo,
anima e Dio).
Di
conseguenza
I'Aquinate, intelligendo,
estrae le strutture del dato
per-
cettivo,
mentre Kant le costruisce a
priori
nellarticoiazioneconoscitiva
dei fenomeni.
Conseguentemente
S. Tommaso riesce a
organizzare
una
forma di
sapere
teoretico che
legittima,
in forma
predicamentale,
la meta-
fisica dell'essere
(e115); Kant, invece,
demanda il
compito
della fondazione
della metafisica alla
ragion pratica
che
muove
dei
postulati dell'agire
etico
(libert,
immortalit
dell'anima,
esistenza di
Dio).

possibile
accorciare le distanze tra
questi
due orizzonti
speculativi,
riscattando il tomismo dall'accusadi sorvolare a cuor
leggero
la fenome-
nologia
dei dati sensibili e
riscattando altres il kantismo dall'accusa di
soggettivismo
trascendentale?Marchal
risponde
affermativamentecon
la
postulazione
dell'essere
analogo
(che
include causa
efficiens
e caizsa
fina-
lis).
In tal modo
rigorizzal'esperienza
intenzionaledell'uomo,
che
opera
a tutti i
livelli, e che,
di
conseguenza,
elimina l'insanabile
spaccatura
che
Kant aveva
posto
tra il fenomeno e
il noumeno.
Merito di Marchal di
avere
ribadito la validit
dell'antropologia
di
S. Tommaso e
di
aver
analizzato l'uomo come
"spirito
incarnato" o
come
"spirito
nel mondo": come
tale
coglie
l'essere
per
via di interioriz-
zazione astrattiva
applicata
all'ente, e non in forma di intuizione intel-
lettuale
(come aveva
proposto
Rosmini).
Stando cos le cose si vede l'ur-
genza
di mettere al centro del dinamismo
esperienziale
l'atto conosciti-
vo come
dinamica che
coglie
l'essere sia nella
guisa
del suo
originario
darsi a noi,
sia come forma sussistente e
compiuta
nella
sua stessa rea-
688 Parte terza
lizzazionefinale
e
finalizzante. Entro
questa
dialettica
speculativa
si
inserisce il discorso sulla
partecipazione ontologica
che d conto del
rapporto
costitutivo dell'ente con l'essere e della trascendenza di
que-
sfultimo nel
cuore stesso della
germinazione
entitativa.
Durante tutta la
prima
met del secolo XXLovanio fu il centro
principa-
le del tomismo su scala mondiale. Dalla Scuola di
Lovanio,
oltre alle
figure
eminenti di Mercier e di
Marchal, usc una
lunga
e
gloriosa
schiera di stcy
rici e di filosofi che richiamaronol'attenzione sulle
grandi
risorse
specula-
tive del tomismo e sulla sua
capacit
di entrare in
dialogo
con le correnti
filosofichedel nostro
tempo.
Nel
campo
storico si distinsero
soprattutto
MauriceDe
Wulf, e
Fernand Van
Steenberghen,
mentre nel
campo
metafi-
sico si mise in luce
specialmente
Louis de
Raeymaeker.
MAURlCF. DE WULF
MauriceDe Wulf
(1867-1947)
fu
uno dei
pionieri negli
studi sulla sto-
ria della filosofia medievale.
Egli
ebbe
un ruolo decisivo nellimmenso
lavoro di ricerca che
era iniziatoallincirca all'iniziodel secolo
e
che mira-
va a riesumare l'intera filosofiamedievale da
quel
totale oblio a cui l'il-
Iuminismo l'aveva condannata. A lui dobbiamola monumentale Histuire
de la
philosophie
mdvale
(3 vol1., 1900)
che evidenzia
per
la
prima
volta i
tratti di
una storia
generale
della filosofiadel Medioevo ed elabora
princi-
pi interpretativi
della stessa che
sono
di
portata
decisiva. Le sue tesi di
fondo sono
che durante tutto il Medioevo esistette
una
dottrina universa-
le i cui contenuti
principali
sono una metafisica "obiettivisticaoltre che
"individualistica e
"pluralistica.
Inoltre De Wulf
con
la Collana Les
philosophesbelges
ha fondato una
importante
raccolta di testi filosofici
del
Medioevo,
che alla sua morte contava
gi
15 volumi e che
egli
stesso
arricch
con
i suoi lavori su Gillesde Lessines e Godefrod de Fontaines.
FERNAND VAN STEENBERGHEN
Fernand Van
Steenberghen
(1904-1993)

stato,
insieme a De Wulf,
uno dei massimi
interpreti
della filosofiamedievale. Nato a Saint-Joose-
ten-Noode,
nei
pressi
di
Bruxelles,
si laure in filosofia
a Lovanio nel
1923. Ordinato sacerdote nel
1926,
continu
gli
studi
a
Lovanio
e
dopo
approfondite
ricerche nella Biblioteca
Vaticana, a Monaco e a Oxford
port
a termine
quel
lavoro fondamentale
sull'opera,
la
personalit
e il
pensiero
di
Sigieri
di Brabante che
Siger
de Brabant
diprs
ses oeuvres
indites
(2
voll.
1931-1942).
Dal 1932 fu il
principale
collaboratore di De
Wulf nel
dirigere
la collezione dei
Philosophes belges,
di cui nel
1948,
prendendone
da solo la
completa
direzione,
mut il titolo in
Philosophes
mdivaitx. Intanto nel 1931 aveva
iniziatoil suo
insegnamento
a Lova-
La
riscoperta
della
metafisica
di San Tommaso 689
nio;
dopo quattro
anni (nel 1935) venne nominato
professore
ordinario
di
metafisica;
nel 1939 successe a
De Wulf sulla cattedra di storia della
filosofia medievale. Cos
per
oltre
quarant'anni
(dal
1931 al
1974)
Van
Steenberghen
ha
potuto sviluppare
il
suo insegnamento
e le sue
ricerche
nei due settori da lui
prediletti:
la storia della filosofiamedievale e
la
metafisica. Nel 1948 ha iniziato
l'importante pubblicazione
trimestrale
del
Rpertoire bibliographique
de
philtnsophie;
nel 1966 con
R. Bultot fonda
Ylnstitut dtudes mdivales.
Della vasta
produzione
letteraria del Van
Steenberghen segnaliamo,
in sede
storica,
oltre al
gi
citato
Siger
de Brabant
dzprs
ses oeuvres
irzdi-
tes,
La
philosophie
au XIIIe sicle (1966);
Introduction Fticde de la
philo-
sophie
rndivale (1974);
Le
problnze
de Fexistence de Dieu dans les crits de
St. Thomas
dAquin
(1980);
in sede teoretica i due manuali di
Epistmolo-
gie
(1945) e di
Orttologie
(1946),
pi
volte riediti e
tradotti in varie
lingue.
Ancora
pochi
anni
prima
di morire
(nel 1987)
Van
Steenberghen
con-
fessava la sua
profonda
devozione a
S.
Tommaso:
beneche dica anzi-
tutto che
sono,
sin daila-mia
giovent,
un
discepolo
convinto di S. Tom-
maso. Quando
iniziai i miei studi alllnstitut
suprieure
de
plzilosophie
nel
1920 lo
spirito
di Mons. Mercier vi era ancora
assai vivo,
mentre il
pre-
stigio
mondiale del
grande
Cardinale all'indomani della
guerra
si irra-
diava sulla sede che aveva
fondato a
Lovanio.
Quasi
tutti i nostri mae-
stri erano stati suoi collaboratori o suoi allievi. Noi fummo
conquistati
dallidea1e della rinascita
tomista,
in cui ci si
proponeva
di vedere il fer-
mento di un rinnovamento
intellettualenella Chiesa e
nel mondo.53
Profondo conoscitore del "ritorno di Aristotele
(che
e il titolo di
un
suo
prezioso
volumetto)
Van
Steenberghen
si fatto un'idea diversa dal
Gilson sul concetto che S. Tommaso aveva
dei
rapporti
tra filosofia e
teologia.
Secondo Gilson non solo
lAngelico
elabor la
sua
metafisica
all'interno della
teologia,
ma
la elabor in
completa
subordinazione a
quest'ultima,
e cos
svilupp
una
filosofiacristiana". Van
Steenberghen
contrario all'idea stessa di
una
filosofia cristiana",
che
per
lui un
ibrido inammissibile:certamente sono esistiti ed esistono dei filosofi cri-
stiani, ma non una
filosofiacristiana. Ma c' di
pi:
in sede storica
egli
fa vedere che S. Tommasoha tenuto bendistinti i due
campi
della filoso-
fia e della
teologia,
e mentre con i
colleghi
della facoltdi
teologia
tratta-
va
da
teologo,
con
i
colleghi
della facolt delle arti trattava da filosofo.
E cos
per
dialogare
con loro S. Tommaso si collocava sul loro terreno e
sposava
tutte le loro tesi che non sono
incompatibili
con
il
dogma
cri-
stiano
(per
es. l'eternit del
mondo), sviluppando
in tal modo una
filo-
sofia
completamente
autonomadalla
teologia.
Questo
ci che costitui-
sce
la
originalit
e la forza di S. Tommaso
rispetto agli
altri
teologi
che si
53)
F. VAN STEENBERGIIEN,
Comment tre thomiste
aujourd'hui
.7,
Revue
philosophique
de Louvain 85 (1987),
p.
183.
690 Parte terza
accontentavanodi mescolanze eclettiche e
dell'argomento
d'au.1torit.
L'ap-
proccio
storico al
problema
dell'introduzione di Aristotele in Occidente
condusse Van
Steenberghen
a
rileggere,
sotto
ufiangolatura
affatto
nuova,
la storia del
pensiero
nel medioevo. Le sue ricerche sfociarono
nella
magistrale
opera
di
sintesi,
La
filosofia
nel secolo XIII che il
suo ca-
polavoro
e
che diventato
un classico nella materia.
Per
quanto
attiene il tomismo Van
Steenberghen distingue
tra un
pa-
leo-tomismo
e un neo-tomismo. Il
paleotomismo
un feticismoche
non
osa mettere mai in
questione
il
maestro, e cos finisce
per
mummificarlo
irrimediabilmente;al contrario il neotomismo
sa rendere
giustizia
a
S. Tommaso anche criticandolo
quand'
necessario. Per
questo
motivo
Van
Steenberghen
non esitava a mettere in discussione il valore delle
Cinque
Vie di S. Tommaso.
LOUIS DE RAEYMAEKER
Louis de
Raeymaeker
nacque
a Rhode-Saiit-Pierre
(Belgio)
nel
1895. Studi all'universit di Lovanio e si laure nel 1920 in filosofia
e
nel 1927 in
teologia.
Dal 1927 al 1934
insegn
nel seminario di
Malines,
per passare poi
all'Institut
Suprieur
de
Philosophie,
dove
gli
fu affidata
la cattedra di metafisica. Nel 1949 assunse la direzione dell'Institut. Il
suo sforzo costante fu
quello
di mantenere vivo lo
spirito
del fondatore
dell'Istituto,
di favorire in
ogni
modo la
ricerca,
di
rinvigorire
il
poten-
ziale scientifico
dell'Istituto,
di incrementarei contatti con le altre istitu-
zioni
e
di
garantire
all'Istituto
un
posto
sicuro all'interno del mondo
filosofico. Nel 1951
egli organizz
un
giubileo
in occasione del centena-
rio della nascita del card. Mercier. In occasione del
giubileo
fu istituita
anche
una cattedra
propria:
la "Chaire Cardinal Mercier".
Dopo
la sua
nomina
a
protettore
della sezione olandese della
universit,
de
Raeymae-
ker si vide costretto a lasciare, nell'estate del
1965,
la sua cattedra
e la
direzione dell'Istituto. Mor nel 1970.
Tra le sue
opere
ricordiamo: Introductio
generalis
ad
philoscphiam
thomi-
sticarn
(1934); Introduction la
philcusophie(1938); Le Cardinal Mercier
et Plnstitut
Suprieur
de
philosophie
de Louvain
(1952) e
soprattutto
Philoso-
phie
de l 'tre. Essai da
syrthse mtaphysique (1947),
che il
ripensamento
pi profondo
e sistematico della metafisica dell'essere di S. Tommaso
d'Aquino,
che sia mai stato scritto.
Secondo
Raeymaeker
la metafisica di S. Tommaso indubbiamente
una
metafisica
dell'essere, ma
egli
ritiene
opportuno
introdursi nella
sua me-
tafisica
non
partendo
direttamente
dall'ente, bens dal
soggetto,
dell'io,
dando in tal modo alla metafisica
una
impostazione pi
moderna. L'in-
gresso
nella metafisica avviene
quindi
per
"uia
riflessiva,
studiando la co-
scienza.
Questa
per
risulta
essere
sempre
coscienza dell'essere
e non
La
riscoperta
della
metafisica
di San Tommaso
691
soltanto coscienza del
proprio
io: La coscienza
comporta sempre
e
necessariamente una
presa
d'essere e una
presa
del mio io
(mai);

coscienza dell'essere e coscienza dellio_54
Questo contatto con un esse-
re
distinto dal mio io mi d la chiara
percezione
che io non esaurisco l'o-
rizzonte dell'essere e
che
neppure gli
enti che mi circondano abbraccia-
no tutto l'orizzonte dell'essere. L'essere molto di
pi:
l'essere una
perfezione
assoluta e trascendente,
di cui il mio io e tutti
gli
altri enti
finiti sono soltanto delle
partecipazioni.
L'essere abbraccia
tutto, poich
esso non si
oppone
che al nulla assoluto. Non fa
questo
alla maniera di
un ricettacolo,
distinto dalle
cose
che
contiene; ma al contrario neces-
sario che
esso sia il tutto di ciascuna
cosa;
si identifica
quindi
con ci che
c' di
pi
intimo in
ogni
realt e
col valore fondamentale di
qualsiasi
perfezione.55
D'altra
parte
l'essere assoluto e non
pu
essere
rappor-
tato ad altra
cosa
che
gli
sarebbe anteriore e
pi
fondamentale. Il
punto
di vista assolutamenteuniversale dell'essere
dunque
un
punto
di
par-
tenza assolutamente
primo,
cos come esso fornisce
un
punto d'appog-
gio
assolutamente
irrefragabile>n56
Cos
Raeymaekerpu
concludere che
il valore della
metafisica,
in fin dei conti, non
poggia
sulla struttura for-
male e
soggettiva
dello
spirito umano,
ma
legata
al Valore assoluto
dell'essere che si rivela inevitabilmentea
qualsiasi
uomo
che
prenda
coscienza della
propria
attivit. Secondo
Raeymaeker
il
problema
cen-
trale della metafisica dell'essere il
problema
della
partecipazione:
la
partecipazione
sul
piano
dell'essere costituisce il
problema
metafisico
per
eccellenza,
perch riguarda precisamente l'oggetto
formale della
metafisica? Si tratta di risolvere
questo
mistero della
partecipazione
dell'essere
scoprendo
il
principio
assoluto
degli
enti e la natura del
lega-
me
che li unisce a
luimt
Il
problema
della
partecipazione, negato
da Aristotele e
malposto
da
Platone,
trova finalmente
l'adeguata
soluzionenella metafisica dell'esse-
re
di S.
Tommaso,
mediante la celebre distinzione reale tra essenza ed
esistenza
negli
enti.
certo che la teoria della
partecipazione
estesa al
dominio
dell'essere,
perfectio perfcctionum,
a cui S. Tommaso annette la
massima
importanza esigeva
tra l'essenza
e
l'essere
una
distinzione che
non fosse solamente dell'ordine della conoscenza (ma
anche di
quello
della
realt).59
Ripercorrendo,
come aveva
fatto De Finance in Etre et
agir,
la
lunga
vicenda concettuale e
linguistica
intorno all'essenza ed esi-
stenza, Raeymaeker
fa vedere che la
prima
formulazione chiara della
54) L. DE RAYENIAEKER,
Philosophie
de l
erre,
Louvain
1947,
2
ed.,
p.
21.
55) lbid,
p.
35.
56) Ibfa,
p.
37.
57) lbid.,
p.
39.
58) lbiat,
p.
41.
5) lbial,
pp.
148-149.
692 Parte terza
distinzione reale si trova in S.
Tommaso,
il
quale
effettua una felice
ap-
plicazione
ai
rapporti
tra essenza ed esistenza della dottrina di Aristote-
le sui
rapporti
tra atto e
potenzafi
Le
essenze, spiega Raeymaeker,
sono reali, individuali,concrete: sono
i modi di
essere,
le realt
incomplete, aperte,
relative a un
al di l da
esse,
all'essere,
di cui sono
i modi concreti e limitati,
di cui sono
partecipazio-
ne e
in cui trovano la
pienezza
del loro
valore, e
fuori di cui non
hanno
valore. I modi
sono incomunicabili,autonomi,
dotati cio di
una
propria
individuale
sussistenza;
ciascuno non
una
parte,
ma un tutto,
che
per
non tutto l'essere. L'ordine
ontologico
ordine di
partecipazione.
E l'i-
dea
dell'essere,
appunto per
tale
partecipazione ontologica,
necessaria-
mente
analogica,
di
analogia
di
proporzionalit.
Raeymaekerriporta
cos al concetto di
partecipazione,
insieme alla
soluzione del
problema
dell'uno e del
molteplice, quello
della
intelligibi-
lit dell'essere finito. L'essere finito
non
semplice
ma strutturato,
ossia
composto
intrinsecamente da due
principi
reali: il modo dessere (essenza)
radice della
individualit, e l'essere,
radice della
sussistenza; se tali
princi-
pi
si fondessero in un'unica realt
semplice,
non si avrebbe
pi partecipa-
zione. Tale
partecipazione

pure
la radice del divenire nell'essere
finito,
tuttavia sostanzialmente identico nel suo evolversi. L'essere finito relati-
vo: non si
spiega
da s. Il
fondarrzento
assoluto
degli
enti non identico ad
essi, ma
da essi del tutto
distinto; a Lui
gli
enti necessariamenteriman-
dano,
analogati
secondari
rispetto
a Lui,
che
Yanalogato
supremo,
l'Essere
assoluto,
la Prima
causa,
il creatore di
ogni
essere finito,
che da
Lui in tutto
dipende.
La causalitsi riallacciaintimamentealla
partecipa-
zione e ne fornisce la
spiegazione
ultima. La creazione la soluzionedel
problema
della
partecipazione
nel
piano
dell'essere.
I tomisti italiani
Il
maggior
centro
propulsore
del neotomismoin Italia e
stata,
di fatto
e di
diritto,
l'universit Cattolica del S. Cuore di Milano.
Qui con i loro
studi storici Amato Masnovo e Sofia Vanni
Rovighi
hanno contribuito
alla
riscoperta
della metafisica dell'essere di S.
Tommaso; mentre con
studi
importanti
di carattere tcoretico Francesco
Olgiati
e Gustavo Bon-
tadini hanno mostrato il
vigore speculativo
del tomismo mettendolo
a
confronto con il
pensiero
moderno. Ma il
principale
artefice della risco-
perta
della metafisica dell'essere in Italia stato indubbiamenteCorne-
lio
Fabro,
il
quale
con studi storici
rigorosi
e con
profonde
analisi
specu-
lative ha
messo in luce l'assoluta
originalit
e la straordinaria
grandezza
della metafisica dell'essere
delYAqunate.
69) Cf.
z'bid.,
pp.
118-182.
La
riscoperta
della
rrzetafisica
di San Tommaso 693
AMATO MASNOVO
Amato Masnovo nato a
Fontanellato
(Parma) nel 1880. Studi dal
1898 al 1902 filosofia
e
teologia
all'universit
Gregoriana
dove ebbe
come maestro L. Billot. Ordinato sacerdote nel 1903
insegn
nel semina-
rio di Parma e
poi,
dal 1921
(anno
della
fondazione)
nell'universit Cat-
tolica del S.
Cuore,
storia della filosofia medievale
e
filosofia teoretica.
Questi
due
campi
di ricerca furono
per
il Masnovo strettamente con-
giunti poich egli,
tomista
convinto,
riteneva che lo studio dei testi tomi-
stici e dell'ambienteculturale nel
quale
sfociarono,
giovasse
anche alla
ricerca delle verit
simpliciter.
Ma
con
questo
Masnovo non intendeva
identificare la verit con
la dottrina racchiusa entro i testi tomistici: vi
ravvisava invece alcuni
aspetti
fondamentali della verit dai
quali
era
utile
prendere
avvio anche
per
la filosofiaattuale.
Rigoroso interprete
di
S.
Tommaso,
esperto
conoscitore della filosofia
medievale, inserito total-
mente nella
vena
pi pura
del
neotomismo,
Masnovo rivelava
acume
singolare
per
le
questioni speculative
di fondo
per
le
quali
si
professava
rigoroso
realista. Nel 1927 Masnovo divenne membro dell'Accademia di
S. Tommaso
d'Aquino.
Abbandono
l'insegnamento
solo sei mesi
prima
della
morte,
avvenuta nel 1955.
Masnovo non
fu molto
prolifico,
ma tutto ci che
egli
scrisse
prezio-
so. Nell'ambito
storico,
fondamentale e il
suo Da
Guglielmo dzfluvergne
a
Ibmmaso
d'Aquino
(3
voll. 1930-1945). In
questo
vasto
saggio,
facendocen-
tro su
Guglielmo dAuvergne,
Masnovo
disegna
lo
svolgimento
del
pen-
siero medievalenella
prima
met del secolo
XIII;
egli
studia in modo
par-
ticolare l'entrata di Aristotele nell'universit di
Parigi,
mettendo in luce
l'influssodi Avicennanel modo di
porre
il
problema
di Dio e
nella elabo-
razione della distinzione reale tra essenza ed
esistenza,
fino alla sistema-
zione definitiva che tale dottrina assume
in S. Tommaso. Per la storia del
tomismo di
capitale importanza
il volume Il neotomismo in Italia.
Origini
e
sviluppi
(1923),
in cui l'autoremette in rilievo
per primo
il ruolo
capitale
che ha
avuto Vincenzo
Buzzetti, come
caposcuola
del neotomismo in
Italia. Allambitodella filosofiateoretica
appartengono:
Problemi di
metafi-
sica e
di
criteriolqgia
(1930) e
Lafilosoficz
trerso la
religione
(1941).
Non solo in Problemi di
metafisica
e
di
criteriologia
Masnovo interve-
nuto autorevolmentenella dibattuta
questione
dei
rapporti
tra
gnoseo-
logia
e
metafisica. A suo avviso l'elaborazionedella
gnoseologia
va fatta
all'interno della metafisica
e non
all'esterno. Infatti la filosofia
prima
non
pu
rimandaread
altri,
per
la
garanzia
del
suo materiale di costru-
zione e dei suoi
procedimenti (...).
Cos
Vontologia implica
la soluzione
del
problema
della conoscenzamfil
Bisogner dunque,
per giustificare
il
61)
A.
MASNOVO, La
filosofia
verso la
religione,
Milano
1941,
p.
36.
694 Parte terza
valore della
conoscenza,
cominciare dalle verit di fatto
o verit di ordi-
ne reale. Masnovo chiama
questa
sua teoria della
conoscenza: subordina-
tismo
realista, e
precisa
che il
suo subordinatismorealista dev'essere con-
creto e
genetico.
Deve cio
giustificare
non l'affermazione di una realt
astratta bens l'affermazionedi una realt determinata
e concreta, e
de-
durre
(questo
intendeva dire col termine
genetico)
l'affermazionedi
ogni
realt dalla
prima
affermazione
giustificata.
Da
questa
teoria si ricava che la
gnoseologia, quanto
al suo divenire,
dipende
dalla metafisica e che,
per,
tra le due esiste una distinzione in
quanto
la
prima apre
la via alle
indagini
di
procedura
della
conoscenza, e
ha il
compito
di
guidare
sul sentiero della verit e ha il controllo
sugli
elementi forniti dalla
metafisica; mentre la seconda
apre
la via alle inda-
gini
di merito e di
contenuto,
fornendo alla
gnoseologia
il
principio
di non
contraddizione
(il
principio
del
contenuto), e
ha il
compito
di
giustifica-
re tutte le affermazioni sullente e di dimostrare
quelle
realt non imme-
diatamente
presenti
al
pensiero.
Fra
queste
sta in
primo luogo
Dio. Dio
infatti
non intuito del
pensiero umano,
e
perci
il
problema
filosofico
di Dio non si
pu porre
nei termini: Dio esiste?
Ossia,
esiste una
realt
alla
quale
si
possano
attribuire i
predicati
che la coscienza
religiosa
attri-
buisce
a Dio? Cos
posto,
il
problema
si
pu
risolvere solo inferendo
dalla realt
sperimentata
l'esistenza di un'altra realt
come causa della
prima.
Masnovo
quindi
si
preoccupo
di vedere
quale
fosse la formula-
zione esatta del
principio
di causalit
e si
preoccupo
di dimostrarne il
carattere analitico,
per
formulare
una
prova
dell'esistenza di Dio non
incrinata dalle critiche humiane
e kantiane. Una tal
prova
,
secondo
Masnovo,
la
prima
via tomistica
quando
sia
interpretata esattamente,
nel
suo
schietto
significato
metafisicofil
Questa ascesa a Dio dal mondo
dell'esperienza
il culmine della filo-
sofia. Ma anche il
punto
in cui la
filosofia, in
quanto
soluzionedel
pro-
blema della
vita, mostra il
suo limite
e
consapevolmente
si
apre
all'accet-
tazione della rivelazione.
Qui
la filosofiadiviene cristiana
non
nel
senso
che
essa,
in
quanto
filosofia, ammetta nel
suo ambitoelementi rivelati
essa,
in
quanto
filosofia,
puramente
razionale
-;
ma nel senso
che
essa a
questo punto
riconosce i suoi limiti e insieme riconosce che la totalit del
problema
della vita
pu
ricevere la
sua
risposta
solo nella rivelazione.
Questo
trascendimento
ispirato
al Masnovo da S.
Agostino,
di cui mo-
str, attraverso un esame
delle
interpretazioni dellagostinismo
medieva-
le,
i
punti
di concordanza
con
S. Tommasofi?
63)
Cf.
ibid,
pp.
55-67.
63)
Cf. A.
MASNOVO,
S.
Agostino
e S.
Tommaso,
Milano1942.
La
riscoperta
della
nzetaflsica
di San Tommaso 695
SOFIA VANN1 ROVIGHI
Sofia Vanni
Rovighi
nacque
a S. Lazzaro nei
pressi
di
Bologna
nel
1908. Gi assistente di
Masnovo, gli
succedette sulla cattedra di storia
della filosofiamedievalenell'universit Cattolicadel S.
Cuore;
successiva-
mente stata titolare anche delle cattedre di filosofia
morale,
storia della
filosofia
e, negli
ultimi
cinque
anni della sua docenza,
di filosofiateoreti-
ca. Si era laureata alla Cattolica nel
1930,
discutendo con
Masnovo una
tesi su
Limmortalit dell'anima nel
pensiero
di G. Duns Scafo. Ha concluso il
suo
insegnamento
come
docente di ruolo nel
1978;
morta nel 1990.
La Vanni
Rovighi
fu la
pi
illustre e
la
pi
devota
discepola
del
Masnovo. Come il suo maestro fu eccellente studiosa della filosofia
medievale, ma
altrettanto
appassionata
studiosa della filosofia
moderna,
in
particolare
di
Kant, Hegel,
Husserl e
Heidegger.
La sua
produzione
letteraria,
sempre
molto
precisa
e
di
unesemplare
chiarezza,
spazia
attraverso tutto l'arco della filosofiamedievalee
della filosofiamoderna
e
contemporanea,
e
abbracciainoltre tutti i rami della filosofia
teoretica,
con
particolare
attenzione
per
la
gnoseologia
e
la morale.
Ecco l'elenco delle sue
opere principali:
S. Anselmo e
la
filosofia
del sec.
Xl
(1949);
La
filosofia
di Husserl
(1939);
Introduzione allo studio di Kant
(1945);
Heidegger
(1945);
Introduzione alla
Fenomenologia
dello
Spirito
di
Hegel
(1973);
Introduzione a Tommaso
d'Aquino
(1973);
Elementi di
filosofia,
3 voll. (1941-1950);
Gnoseologia
(1963); Uantropologiafilosofica
di S. Tom-
maso
dAquino
(1951);
Studi
difilosofia
medievale,
2 voll.
(1978);
La
filosofia
e
il
problema
di Dio
(1986);
Storia della
filosofiacontemporanea
(1980).
Nell'ambito della storia della filosofia,
l'intento costante della Vanni
Rovghi
il raffronto tra la filosofiaclassica e
quella
moderna secondo i
canoni della scuola
milanese,
mettendo a buon frutto
specialmente
le
lezioni della
fenomenologia
husserliana. Sul
piano
teoretico ha dato un'e-
sposizione
sistematicadella
sua
posizione
filosofica
negli
Elementi
difiloso-
fia
dove
sviluppa
in maniera
limpida
e acuta i
principi
della filosofiaclas-
sica secondo
l'insegnamento
di A. Masnovo. Il
pregio
di
quest'opera
con-
siste nel fatto che la
ripresentazione
delle
grandi
tesi della filosofiaclassi-
ca
viene
vagliata,
convalidatae sotto molti
aspetti
arricchita attraverso l'e-
same
delle
corrispettive
tesi della filosofiamoderna e
contemporanea.
Tomista convinta la Vanni
Rovighi possedeva
una
diretta e
profonda
conoscenza
dei testi di S. Tommaso e
della recente letteratura tomista.
Giovandosi
degli
studi di Masnovo e
Gilson si addentrata nella meta-
fisica dell'essere di S. Tommaso e ne
ha colto la
grande originalit
e ric-
chezza. Esaminando i contenuti delle
principali opere
dell'Angelico
ha
fatto vedere la sostanziale continuit del suo
pensiero
e
ha mostrato che
tutte le tesi
pi importanti
della metafisica dell'essere sono
gi presenti
nello
Sciriptum super quatuor
libros Sententiarum,
la
prima
monumentale
opera
dell'Aquinate.
696 Parte terza
Nello
Scriptum
sulle Sentenze Tommaso rivela
gi
la sua concezione
personale.
Non mi sembra infatti che ci siano mutamenti
profondi
nella evoluzionedel
pensiero
tomistico,
almeno
per
ci che
riguarda
la
filosofia,
anche se ci sono accentuazioni diverse
e
progresso
nella
conoscenza delle fonti. Alcuni
punti
caratteristici della dottrina di
Tommaso sono
gi presenti:
l'esistenza di Dio non immediatamente
evidente
(n
vale
l'argomento
del
Proslogion)
ma dev'essere dimostra-
ta
partendo
dalla
esperienza,
e
pi precisamente dall'esperienza
delle
cose sensibili. Sono
punti questi,
sui
quali
Bonaventura era di
oppo-
sta
opinione
(m). Tommaso dice che in Dio si identificano essenza
ed
essere,
tesi che rimarr nelle
opere posteriori,
e
alla
quale corrisponde
l'altra,
che in
ogni
creatura si
distinguono
l'essenza e l'essere.64
Nella dottrina della creazione S. Tommaso e
doppiamente originale.
Anzitutto
perch insegna
che la creazione una verit di
ragione
e non
soltanto di
fede, e in secondo
luogo perch
dimostra che un'azione
libera e non necessaria, come avevano affermato Avicenna
e Averro.
Diversamente da Gilson che
aveva sottolineato,
nel concetto tomistico di
creazione, l'aspetto
per
cui Dio considerato come fonte
dell'essere,
di
tutto l'essere,
la Vanni
Rovighi
ritienenecessario
sottolineare, ancor
pi
di
quellaspetto,
l'affermazioneche Dio crea
consapevolmente
e libera-
nzentc.
Questo
infatti mi sembra il
presupposto
di
una concezione reli-
giosa
della realt -
o almeno di
quella
concezione
religiosa
che comune
alle tre
grandi religioni presenti
nella cultura medievale:
ebraismo, cri-
stianesimo,
islamismo. Se Dio fonte di tutto
l'essere,
nulla
sfugge
alla
sua azione,
neppure
l'ultima determinazione
individuale; ma solo se
ogni
realt in tanto esiste in
quanto
da lui conosciuta e voluta si
pu
dire che
ogni cosa, ogni
momento della
realt,
ha
un
significatoe,
vorrei
dire, una vocazione.65
Nell'ambito della filosofia teoretica
l'apporto pi importante
e
pi
originale
della Vanni
Rovighi riguarda
la
gnoseoltgia.
Di
questa
si oc-
cupata
in numerosi scritti:
l'esposizionepi
analitica
figura
nel volumeI
degli
Elementi di
filosofia
e nel libro intitolato
Gnoseologia.
Quest'ultima
opera
un testo
pregevole
che
presenta
la
questione gnoseologica
come
si evoluta nella
storia,
dai
presocratici
ai
giorni
nostri. La
personale
professione gnoseologica appare
nelle "Conclusioni teoretiche".66 La
Vanni
Rovighi
difende il
realismo, ma lo
presenta
nel
nuovo
linguaggio
della
fenomenologia
husserliana. Cos la
conoscenza viene definita
co-
me "fenomeno
dellapparire".
Tratto fondamentale del
conoscere,
di
qualsiasi
conoscere l'intenzionalit. Con il
supporto fenomenologico
la
64)
S.
VANNI-ROVIGHI,
Introduzione
a Tommaso d
'Aqztir1o,
Bari
1973,
pp.
17-18.
65) Ibid,
p.
71; cf.
ID.,
Lafilosofia
e il
problema
di Dia, Milano
1986,
pp.
96 s.
66) Cf.
ID.,
Gnoseologia,
Brescia
1979,
pp.
347-374.
La
riscoperta
della
metafisica
di San Tommaso 697
Vanni
Rovighi specifica
ci che si intende
per
intenzionalit: <<Ora il
conoscere non ,
originariamente
altro che la
presenza
intenzionale.
Oggetto
conosciuto ci che
presente
intenzionalmente
allIo, e l'Io
soggetto
conoscente,
in
quanto
ha la caratteristica di aver
presenti
cose
in una maniera che
non
quella
della unit reale o fisica,
in modo che
non
si
pu
tradurre dicendo: "lo sono
la cosa. La
presenza
e
identit
intenzionale il
phainesihai,
il fenomeno dei fenomeni>>fl7Condizione
prima
ed essenziale
per Yapparire
di un
oggetto
che la realt
agisca
su
di
me;
mi determini a conoscerla,
mi
impressioni,
come
anche si dice.
Gli scolastici chiamavano
spvecies impressa questa azione-impressione
che
il
soggetto
riceve dalla realt da
conoscere.
E badiamo che deve trattarsi
di
impressione
conoscitiva intenzionale>>fi8
Attraverso l'analisi del fenomen0" conoscitivo la Vanni
Rovighi
ap-
proda
direttamente all'essere: al
primo
urto di
un
oggetto
sensibile
contro i nostri sensi noi
reagiamo,
in
quanto
sensitivi con una sensazio-
ne o un
complesso
di
sensazioni, e
in
quanto
intellettivi con
il concetto
di ente.69 Cos la
gnoseologia
viene a saldarsi direttamente alla metafi-
sica; e secondo la Vanni
Rovighi, spetta
a
quest'ultima
fondare i
principi
supremi
della
gnoseologia,
il
principio
di identit
e
il
principio
di non
contraddizione.
FimNcEsco OLGIATI
Francesco
Olgiati
nato a Busto Arszio
(Milano)
nel 1886.
Seguendo
la vocazione al
sacerdozio,
compie
il curriculum
degli
studi nei seminari
minore e
maggiore
della diocesi milanese sino allbrdinazioneavvenuta
nel 1908. In
campo
ecclesiasticoesercita l'ufficio di archivista della Curia
e di assistente dell'Azione Cattolica. Decisivo fu il
suo incontro con
il
padre Agostino
Gemelli,
del
quale
condividevail
proposito
di rilanciare
la cultura
cattolica,
riscoprendo
la ricchezza della
teologia
e
filosofia
scolastica, non
per
nostalgie passatiste,
ma
per
innervare il
perennemen-
te valido nella storia
presente
con nuove
capacit interpretative.
Cos,
di
comune accordo,
Olgiati
e
Gemelli decisero di fondare l'universit
Cattolica del S. Cuore di Milano
(1920).
Il loro modello era l'universit
di Lovanio e in
particolare
il tomismo di Dsr Mercier. Gradualmente
Gemelli e
specialmente Olgiat qualificarono
la scuola milanese" della
neoscolastica e del tomismo con
le
proprie
caratteristiche,
grazie
anche
alla folta schiera
degli
alunni. Sin dalla fondazione della nuova
univer-
67) 13m,
p.
353.
62+) una,
p.
367.
69)
una, p.
393.
70)
Cf.
ima,
p.
360.
698 Parte terza
sit
Olgiati insegna
filosofia ininterrottamente: libero docente nel
1924;
professore
incaricatofino al 1930 e
poi
di ruolo sino al
1962;
presidente,
nel
1959, dell'Istituto Toniolo
per
il finanziamentodelle
opere
dell'uni-
versit Cattolica. Muore
a Milanonel 1962.
Docente
scrupoloso
e ricercatore
profondo, Olgiati
si
distingue
non
solo
per
la mole delle
pubblicazioni rigorosamente
scientifiche secondo
la visione della neoscolasticae del
neotomismo, ma anche
per
le attivit
riguardanti
il movimento cattolico e la formazione dei
giovani.
Va-
stissima la
sua
produzione letteraria, con eccellenti
monografie
sulle
maggiori figure
della filosofia moderna
(Cartesio, Leibniz,
Berkeley,
Marx,
Bergson, Royce
ecc.) e sul
pensiero
di S. Tommaso. Ecco i titoli
delle
opere principali:
La
filosofia
di Enrico
Bergson
(1914); Carlo Marx
(1918);
Lflidealismo di
Giorgio Berkeley
e il
suo
significato
storico
(1926);
Il
significato
storico di Leibniz
(1929);
Cartesio
(1934);
Il
panlogismo Iiegeliano
(1946); L'anima di S. Tommaso.
Saggio
intorno alla concezione tomistica
(1923);
Il concetto di
qiaridicit
in S. Tommaso
d'Aquino
(1943);
[fondamenti
della
metafisica
classica
(1950).
L'elaborazione
filosofica, attuata da
Olgiati
con
chiarezza di idee e
precise
scelte,
segue
i canoni del
pensiero
aristotelico-tomista
ma con ori-
ginalit,
cos che
egli
considerato
ancor
oggi
uno dei
migliori esponenti
della neoscolastica e
pi puntualmente,
del neotomismo.
Olgiati
difese
senza
compromessi
e concessioni la
purezza
della metafisica
Classica,
il
cui realismo ha il
suo nucleo essenziale nella concezione della realt
come ente. Il concetto di ente un Concetto
rigorosamente metafisico, tra-
scendentale,
immediato. Saldamente ancorato a
questo principio, lOlgia-
ti intu
quale
fosse il
compito
a cui mettere mano. Ecco
come G. Bontadi-
ni, suo allievo,
parla
con ammirazionedel
progetto
del maestro:
Il fatto che tutta la filosofia moderna fosse schierata contro il tomi-
smo costituiva
gi per
se stesso la
pietra sepolcrale,
che
nessuna forza
avrebbe
potuto
ribaltare. Al ribaltamento si accinse invece
YOlgiati
con
impavido coraggio.
La tesi che
egli
intravide e successivamente
svilupp
con
ampiezza
e
acume,
fu che
non era necessario rifiutarele
conquiste
del
pensiero moderno,
per
difendere il valore sovrastorico
della filosofia
tradizionale, della scolastica, del tomismo. La
negazione
cli tale valore
(era) una
superfetazione
ereticale delle effettive
acquisi-
zioni dei nuovi
tempi: acquisizioni
che dovevanoriscontrarsi in
campi
dizier-si,
semplicemente
diversi da
quelli
coltivati dall'antica
specula-
zione. I
campi, soprattutto,
della scienza e della storia. (La esaltazione
indebita,
la metafisicizzazionedi
questi
due valori
corrispondeva,
in
sostanza,
rispettivamente
al
positivismo
e alldealismo). In
compen-
dio: il
campo
della
concretezza,
in distinzione da
quello dellistrazioitie,
nel
quale
la lezione dell'antichit restava
insuperatasl
7) G.
BoNrADiNi,Conversazioni di
metafisica,
II,
Milano
1971,
pp.
337-338.
La
riscoperta
della
nzetafisica
di San Tommaso
699
La
battaglia
che condusse
Olgiati
fu
quella
di dimostrare che i due
procedimenti
- della metafisica
e
della scienza -
non si escludono
a vi-
cenda ma si
possono
e si devono
integrare.
I due
procedimenti
-
quello
del concetto e l'altro della concretezza -
non si
escludono, sono diversi
ma non
opposti;
n si vede
perch,
riconoscendo i risultati
raggiunti
dai
sommi dell'antichit
con le loro analisi concettuali
finissime, si debbano
rifiutare le
nuove luci che la
speculazione
moderna ha
saputo
accende-
re?! La
conquista imperitura
e caratteristicadell'antichit
era lo studio
del reale mediante il concetto. Se si
guarda
al
gran
fiume della filosofia
antica, se si considera la
sua
anima
profonda,
non si
pu
fare
a meno
di
riconoscere che la
sua caratteristica data dallo studio del
reale, mediante
il concetto
astrattivo, purch questa parola
astrazione"
venga presa
nel
senso di concetto riflessivamenteelaborato. La filosofiamoderna ab-
bandona
questo
indirizzo
e si
volge
interamente al
particolare,
all'indi-
viduale,
al concreto: nellaffermazi0nedella concretezza scientifica
e sto-
rica risiede il
suo
significato
storico, ma anche il
suo
limite.
L'essenziale del
pensiero
metafisico di
Olgiati
si ricava da I
fondarrzen-
ti della
metafisica
classica. Secondo
Olgiati ogni
filosofiasi fonda sui
prin-
cipi primi ontologici,
che
possono
essere
di tre
tipi:
realistici,
fenomeni-
stici e idealistici;
quindi,
il
suo
punto
di
partenza
non
pu
essere che la
metafisica
(anche
quando
a
parole
Viene
esclusa), non la
gnoseologia.
Anche chi
nega
la metafisica ha il
proprio
concetto di
realt,
che il
punto
di
partenza,
il
prius
di tutte le affermazioni.
Avvalendosi di
questo
criterio,
Olgiati pu
individuare nella storia
del
pensiero
tre concezioni
principali:
la concezione realistica che
pone
l'essere alla base di tutto (e
la concezione di
Parmenide, Platone,
Aristo-
tele,
S.
Tommaso);
la concezione
fenomenistica,
la
quale concepisce
la
realt
come
oggetto
che
appare
(
la concezione
degli empiristi,
dei criti-
cisti,
dei
positivisti,
dei
fenomenologi, degli
esistenzialisti
ecc.);
la terza
la concezione
idealistica,
che
concepisce
la realt
come attivit del
pen-
siero, come Idea, come
Ragione,
come
Spirito
(
la concezione di
Fichte,
I-Iegel,
Croce, Gentile).
Personalmente
Olgiati
ha
sempre
fatto
aperta professione
di
un reali-
smo
puro (respingendo
il realismo critico di
Mercier),
attingendo
dalle
migliori
fonti tomistiche ed evidenziando la sua alta
rispondenza
alle
istanze del
pensiero
moderno.
Olgiati
e un tomista
aggiornato,
che
conosce bene
gli
studi di
Masnovo,
Gilson, Maritain,
che
avevano messo a
fuoco l'assoluta
originalit
della
metafisica tomista dell'essere. Da
parte
sua
egli presenta
una eccellente
72)
F.
OLCIATI, La
jilasqifia
cristiana
e i suoi indirizzi
storiografica",
in M. F. Sciacca
(ed),
Filosofi
italiani
contemporanei,
Milano
1946,
p.
374.
73) Cf.
ibid,
pp.
371-372.
700 Parte terza
sintesi dei cardini della metafisica dell'essere di S. Tommasonel
capitolo
VIII di I
fondamenti
della
metafisica
classica.
Olgiati
osserva anzitutto che
l'ente di cui si
occupa
la metafisica non
quel
concetto
vago
e indefinito
che tutti hanno, ma un concetto che
possiede
un
valore ben
preciso,
chiaramente strutturato ed frutto di attenta riflessione: Udelaborazio-
ne
metafisica
completa
del concetto di ente non la
prima
nozione che
noi abbiamo
(...).
Ci baster dire che la nozione Filosofica di
ente,
conqui-
stata dal
pensiero greco
e medievale, sta alla nozione comune a tutti
gli
uomini
pressa poco
come
la nozione di
corpo
umano
che
possiede
il
fisiologo
sta all'altra che ha anche Yanalfabeta.La
prima
e
la seconda
non
differiscono
nzaterialiter,
poich
ambedue
colgono
lo stesso
organismo
dell'uomo,
tuttavia non
possono
essere
confusem" Il concetto di ente
proprio
della metafisica
implica
una essenza e un essere.75 La diversifica-
zione
degli
enti avviene sulla via dei diversi
rapporti
tra essenza
ed
es-
sere.76 Tra essenza ed
essere si
pu
dare
un
rapporta
di distinzione
reale,
di
guisa
che un'essenza non sia il
suo
essere,
ma lo
riceva,
lo
partecipi
(concetto tomistico di
participatio),
sia cio un'essenza che habet esse.
In
questo
caso, quell'ente
non
ha la
spiegazione
del
suo essere
nella
essenza;
e non
avendo in s tale
spiegazione,
la dovr
cercare
in
un
altro
ente (sino a
che
giungeremo
all'Ente che
l'ipsuiiz
Esse
subsistens).77
Sulla definizionedel concetto di ente
Olgiati
innesta
opportunamente
i
tre
grandi principi
della metafisica:
identit, non contraddizione, causa-
lit,
respingendo
tutte le difficolt e tutte le critiche sollevate contro tali
principi
dai filosofi moderni. Ma
poi,
stranamente,
pur
disponendo
ormai di tutto il materiale
necessario,
Olgiati
non
porta
a
compimento
l'e-
dificiodella metafisica dell'essere: dall'ente non risale al
suo
fondamento:
lEsse
ipsum
subsisteizs, e come se non si trattasse del momento culminante
della
metafisica,
rimandala trattazionesu Dio alla fine
dell'opera.
GUSTAVOBONTADINI
Gustavo Bontadini
nacque
a
Milanonel 1903. Si laureatoin filosofia
presso
l'universit Cattolica del S. Cuore di Milano.
Dopo
avere inse-
gnato
filosofia teoretica nell'universit di
Urbino,
nel 1949 fu chiamato
dall'universit di Pavia
a
insegnare
la stessa materia in
qualit
di
profes-
sore
ordinario. Dal 1951 al 1973 ha
poi ricoperto
la stessa cattedra
presso
l'universit Cattolica di
Milano,
ove,
anche
dopo
la
sua uscita dal ruolo
accademico,
ha continuato in modi diversi
a essere
presente
col suo
magistero.
Mor nella sua citt nel 1990.
7) F.
OLGIAII,
lfondamcnti dcllafilosqfia
classica,
Milano
1953,
p.
136.
i5) Ibid,
p.
137.
'5') Ib1d.,
p.
138.
77) lbid.
La
riscoperta
della
metafisica
di San Tommaso
701
Fra le
opere
di
maggior spicco
vanno
ricordate:
Saggio
di
una
metafisi-
ca dell
esperienza (1935);
Studi sulldealismo
(1942);
Dalflattttalisnoal
pro-
blematicisnio
(1946);
Dal
problematicismo
alla
metafisica
(1952);
Studi
difilo-
sofia
moderna
(1966); Conversazioni di
nzetafisica,
2 V011.
(1971);
Metafisica
e
deellenizzazione
(1975).
Bontadini
pu
essere considerato
come uno dei
pensatori
che
meglio
hanno
saputo comprendere
il
senso e
il valore della reinserzione della
metafisica classica
(greco-medievaleo, pi precisamente,
aristotelico-
tomista)
nel
pensiero contemporaneo. Egli
stesso
amava definirsi
un
"neoclassico"
e non un
"neotomista.
L'anima del
pensiero
di Bontadin si
pu
riassumere in
un
triplice
con" e un
triplice
"oltre:
con lidealismo, con Parmenide
e con S. Tom-
maso;
oltre
l'idealismo, oltre
Parmenide,
oltre S. Tommaso.
Infatti,
schematizzando,
la
speculazione
bontadiniana si
pu
cos riassumere:
con
lidealismo
per superare
la concezione naturalistica dei
rapporti
tra
soggetto
e
oggetto,
oltre Yidealismo
per
non cadere in una totale
sogget-
tivazione
dell'essere; con Parmenide
per
affermare il
primato
assoluto
dellessere,
oltre Parmenide
per
non bloccare tutta la realt nell'essere
escludendo il
divenire; con Tommaso
per
risolvere il
problema
del dive-
nire mediante il teorema della
creazione,
oltre S. Tommaso
per
trovare
una dimostrazione
pi rigorosa
della esistenza di Dio.
Il
punto
di
partenza
di Bontadini
lidealismo, a cui attribuisce il meri-
to di
aver demolito la falsa trascendenza creata dalla filosofia
moderna,
la
quale
era
giunta
al concetto di trascendenza mediante
una errata
contrap-
posizione
tra
soggetto
e
oggetto,
tra
pensiero
ed
essere. La costruzione
dellidealismo
era infatti il frutto del
superamento
della trascendenza
pre-
supposta
dal
pensiero
moderno. La domanda sulla
possibilit
di
passare
dalla coscienza all'essere
era in definitiva fondata
su un circolo vizioso:
presupponeva
un essere come dato al di fuori dell'orizzontedi conoscibi-
lit
e cos finiva
con
lasserire ci che in
nessun
modo avrebbe
potuto
rico-
noscere. La
soppressione
idealistica di
questa aporia,
fedele tuttavia al
principio
moderno del
cogito,
doveva
dunque
concludere nella
perfetta
intrascendibiltdella
coscienza,
che
poi
la riaffermazione dell'unit
o
della
originaria corrispondenza
del
pensiero
con l'essere. Si
doveva,
infi-
ne, riguadagnare
una verit tanto
elementare,
quanto
decisiva: tutto nel
pensiero
e cio tutto senza eccezione manifestato dal
pensiero.
Senonch
l'eliminazionedella falsa trascendenza nellidealismoVeniva
pagata
al
Caro
prezzo
della totale dissoluzione dell'essere nel
pensiero.
Era
quindi
necessario
oltrepassare
lidealismoe tornare a Parmenide.
78) La formula con oltre non una nostra invenzione, ma
appartiene
allo stesso
Bontadini,
il
quale
intitola un
capitolo
del suo
Metafisica
e dccllenizzazione,
Milano
1975,
pp.
59-64: Con
Tommaso,
oltre Tommaso.
702 Parte terza
Tornando a
Parmenide Bontadini ha
potuto ripercorrere
i sentieri
della
ontologia
e
della metafisica
con una
profondit
e una
vigilanza
cri-
tica del tutto
singolari.
Tornare a
Parmenide
significa
tornare all'eviden-
za
assoluta
e
incontrovertibile
dell'essere,
alla
sua ovvia incontradditto-
riet: infatti l'essere non
pu
non essere
pensato
che
come essere.
Il
"Principio
di
Parmenide", come lo chiama Bontadini, suona
storicamente
come
la formulazione
pi originaria
ed essenziale del
principio
di non
contraddizione: solo l'essere e
il
non essere non e;
il non essere come
tale indicibile
e
impensabile.
Nel contesto
parmenideo,
il
principio
si
traduce - com' noto - nella
conseguenza
della necessit o
della immobi-
lit dell'essere
e
dunque,
almeno in certo
senso,
nel divieto di dar credito
alla
esperienza
del divenire. Ci si trova cos da
una
parte
a
rilevarela
legge suprema
del reale
e
perci
diciamo che l'essere non
pu
non essere,
ma
dall'altra
parte,
siamo
obbligati
a riconoscere che irrefutabile
l'espe-
rienza del divenire e
questo implica appunto
il trasmutarsi dell'essere nel
non-essere,
in definitiva l'identit di
essere e
di
non-essere,
in
quanto
tale
,
per
l'appunto,
il divenire. La
ragione
ha,
quindi,
sotto di s "due
proto-
colli", come
li chiama Bontadini: la constatazione del divenire da
un
lato, e
la denuncia della
sua
contradditoriet dall'altro. Due
protocolli
che fanno
capo, rispettivamente,
ai due
piloni
del fondamento:
l'espe-
rienza e
il
principio
di non
contraddizione
(prinzo principio).
l due
proto-
colli
sono tra loro in
contraddizione, e tuttavia
godono
entrambi del tito-
lo di verit
(ossia
del valore o
positivit
teoretica)
appunto perch impo-
sti dai
rispettivi piloni
del fondamento. Sono
verit,
per,
che in
quanto
nellantinomia
(antinomia
dell'esperienza
e
del
logo)
si trovano a
dover
lottare contro
unmputazione
di falsit. Giacch
l'esperienza oppugna
la
verit del
logo
e
il
logo quella dellesperienza>>.79
A
questo punto
Bontadini lascia Parmenide
e si
aggrega
a
S. Tomma-
so facendo suo
il teorema tomista della
creazione,
il
quale
afferma che
l'immobile
crea
il
mobile, ovvero
che il mobile reso
intelligibile,
cio
incontraddittorio,
solo
se
pensato
come creato dalllmmobilefi0Il dive-
nire viene cos
superato
nella
sua
facies
contraddittoria:
ljepifania
della
Verit si ha
con
il
Principio
di creazione e soltanto
con esso:
Prima Ve-
ritas. Anteriormente a
questo principio
non
si d che la verit
puramen-
te formale del
principio
di
non
contraddizione. Il
quale pi
che verit
il criterio di
verit,
la
norma
secondo cui determiniamo la verit come
accertamentodellessere>>f
79) G.
BONTADINI,Per una teoria
delfaiidamentu,
in
Sapienza
26 (1973),
p.
342.
3) lbid.
3) ID., Coizzrcrsazioizi di
metafisica, Cit., ll,
p.
193.
La
riscoperta
della
metafisica
di San Tommaso
703
Ovviamenteil "teorema della creazione
presuppone
la dimostrazio-
ne dell'esistenza di Dio. Nella soluzione di
questo problema
Bontadini
condivide la
posizione speculativa
comune dei neotomisti fino
a un cer-
to
punto. Egli
riconosce che la
grande originalit dellAngelico
sta nel
concetto di
esse
ut actus. Ma
rimprovera
ai neotomisti di non essere riu-
sciti a
scorgere
con sufficiente chiarezza la fecondit
costruttiva,
la
por-
tata inferenziale,
di cui avrebbedovuto
essere carico il concetto di
esse ut
actusm e di
non aver
saputo
servirsi di
questo
concetto
per
dare
mag-
gior rigore
alle
prove
tomistiche dell'esistenza di Dio. Su
questo punto
Bontadini
aveva
perfettamente
ragione.
I tomisti anche
dopo
aver sco-
perto
che S. Tommaso
dispone
di
una
propria originalissima
e solidissi-
ma metafisica, trattando della esistenza di Dio hanno continuato
a citare
e a commentare le famosissime
"Cinque
Vie,
che
senza dubbio
non
sono
prove incompatibili
con
la metafisica dell'essere di S.
Tommaso,
ma
che
sono
derivate da
paradigmi
metafisici che
non sono
i suoi. Tutti i
benemeriti
Scopritori
della metafisica tomistica dell'essere
e lo stesso
Bontadini hanno
ignorato
che S. Tommaso con
grande
coerenza in di-
verse
opere
(De ente et
essentia,
Commento alle
Sentenze,
Commento al
Vangelo
di S.
Giovanni)
dimostra l'esistenza di Dio
percorrendo
la via
ontologica
che conduce direttamente
dagli
enti
(finiti,
partecipati,
com-
posti)
allEsse
ipsum
subsistens. Ad
ogni
modo Bontadini reclama
una
rigorizzazione
delle
Cinque
Vie considerando
lmopposizione
al
nega-
tivo che scaturisce dallflictusessendi:
Codesta
reductio, ovverossia
rigorizzazione,
e,
in
effetti,
il
compito
principale
che deve
essere
assunto,
di fronte alla critica moderna
(gi
iniziatasi
peraltro,
nel secolo stesso di S.
Tommaso),
dal neotomismo.
Questo non
significa
che le vie tomistiche - cos
come altre che
sono
state
aggiunte
dai neoscolastici
e Iieotomisti,
sino a
quella
che stata
esposta negli Approches
de Dieu di Maritain
non siano
persuasive,
pienamente
soddisfacenti
per
certe
mentalit,
in un certo clima cultu-
rale,
in certi ambienti
spirituali.
Ma chiaro che il
vero conforto della
ragione
- che
l'impegno
d'onore della neoscolastica
e
del neotomi-
smo in
particolare,
anche nei confronti della filosofiacristiana a fondo
fidestico si ha soltanto con la
rigorosa
riduzione dellasserto
metafisico - che si
compendiapoi
nellaffermazioneteistica - al
princi-
pio
di
non contraddizionem
A
proposito
di
rigorizzazione
della dimostrazione della esistenza di
Dio bene ricordare che Bontadini ha
compiuto
svariate revisioni di
questa
sua famosa
operazione.
In un
primo tempo egli
ricorre a
quattro
F?) D.,
Metafisica
e deellenizzazione, cit.,
p.
59.
93) La concezione classica dell'essere e
il contributo del neotonzsnto,
in Tommaso d
Aquino
nel suo VII Centenario. "Atti del
congresso
internazionaletomistico", (Roma-
Napoli)
1974,
p.
31.
704 Parte terza
elementi fondamentali: la realt
dell'esperienza,
l'idea dellAssoluto,
l'i-
dea della ulteriorit (dell'altro dall'esperienza)
e
il
principio
di
non con-
traddizione,
il
principio
cio in base al
quale
si deve decidere se
l'Assolu
to
possa
identificarsi con la realt della
esperienza
o se
debba invece esse-
re
posto
al di l di
essa. Ora,
l'esperienza
ci
presenta
una
realt che, con-
frontata con
l'idea
dell'Assoluto,
mostra di
non
potersi
identificare con
esso.
Infatti la realt che ci data con
l'esperienza
si
presenta
in divenire,
ed contraddittorio che il divenire sia l'Assoluto in
quanto
l'assolutizza-
zione del
divenire,
ossia dell'essere limitato intrinsecamente dal
non esse-
re, implicherebbe
la traduzione del non-essere
in un
positivo
(appunto
come
capace per
s di limitare l'essere).
LAssoluto
dunque
deve essere
immobile
e come tale,
deve trascendere la mutevolerealt
dell'esperienza.
Successivamente nella dimostrazione dell'esistenza di Dio Bontadini
si avvale di due soli elementi
(protocollari):
l'essere della
esperienza
e
il
principio
di
non
contraddizione.Il fulcro della
prova
il
seguente:
l'esse-
re
che
lesperienza presenta,
cio il
divenire,
contraddittorio;
tale con-
traddizione
pu
essere tolta mediante
una
integrazione
teoretica,
consi-
derando il divenire
come
effetto dell'atto
intemporale
della Creazione.
Nella
rigorizzazione
bontadiniana la dimostrazione dell'esistenza di
Dio assume una
spettacolare semplicit:
una
salita tutta in verticale
che si riduce ai
seguenti passaggi:
c' il
divenire;
il divenire contrad-
dittorio;
l'unica
possibilit
di rimuovere la contraddizione il "teorema
della creazione" (la
Chiamata all'essere dal
nulla);
quindi
l'Assoluto
(Dio)
esiste.
La eliminazione del
principio
di causalit dalla dimostrazione della
esistenza di Dio
(principio
cardine delle
Cinque
Vie) e
la
sua
sostituzio-
ne
col
principio
di
non
contraddizioneha suscitato innumerevoli
pole
miche; ma
Bontadini rimasto irremovibile,
sicuro della bont della
sua
prova.
Le analisi
e
le conclusioni metafisiche di Bontadini hanno dato
luogo
a uno
dei dibattiti
pi
vivi del
dopoguerra
in Italia. A
partire
dal
1964,
soprattutto
sulla Rivista di
Filosofia
Neoscolastica, ma
anche
su
altre riviste
di filosofiae
di cultura
varia, e
nell'ambitodi dibattiti
congressuali
si e
sviluppata un'ampia
discussione. Ricordiamo in
particolare,
oltre al
dibattito interno alla stessa universit Cattolica,
quello
con la scuola filo-
sofica di Padova
(Carlo Giacon,
Marino Gentile,
Enrico
Berti,
Piero
Faggiotto,
ecc.) e
soprattutto quello
con
Emanuele
Severino,
gi
allievo
di Bontadini e
poi per
diversi anni
collega
nella stessa universit Cattoli-
ca: stato
proprio quest'ultimo
ad
aprire
la discussione
con un
articolo
programmatico,
Titornare
a Parmenide",
pubblicato
sulla Rivista di
FilosofiaNeoscolastica" nel 1964.
Le obiezioni
principali
che venivamo mosse a
Bontadini
erano
due: il
divenire soltanto
unzpparenza
(Severino);
il divenire
non contraddit-
La
riscoperta
della
metafisica
di San Tommaso 705
torio
(Faggiotto). Rispondendo
a
queste
difficolt Bontadini tornato a
ribadire
pi
volte il
suo
punto
di
vista,
rifiutando
una
lettura
ipotetica
del divenire
e
confermando il dato della contraddizione:
questo
dato
reale che infine va
superato:
Poich il divenire
reale, e
il reale
non
pu
essere contraddittorio,
io s0 che la contraddizionedeve
poter
essere
rimossa. Ed
proprio per operare
la rimozione che
opero
Vinferenza
metafisica, e
nello stesso
tempo
acclaro il carattere
apparente
della
con-
traddizionem
CORNELIO FABRO
Cornelio Fabro nato a
Flumignano
(Udine)
nel 1911. Entrato nel-
lOrdine
degli
Stimmatini,
ha
compiuto gli
studi
superiori
nella Pontifi-
cia" universit Lateranense dove ha
conseguito
la laurea in filosofia nel
1933 con la tesi
Uoggettivita
del
principio
di
causa e
la critica di D. Hame.
Ha
compiuto
anche studi di scienze naturali nelle universit di Padova
e
di Roma. Nel 1935 ottiene la licenza in
teologia
e due anni
dopo
la lau-
rea in
questa disciplina
presso lAngelicum.
Dal 1935 al 1938 assistente
di
biologia
nella facoltdi filosofiadella Pontificiauniversit Lateranen-
se. Nel 1938
passa
all'Urbaniana come incaricato di
psicologia;
l'anno
successivo viene nominato straordinario di metafisica
e
nel 1941 Viene
promosso
ordinario;
dal 1947 anche decano della facolt. Tiene la cat-
tedra
per
18
anni,
fino al
1956,
quando
si dimette dalla Cattedra e dal
decanato
a motivo del trasferimento all'universit Cattolica di Milano.
L'esperienza
milanese si conclude
prematuramente,
e
Fabro torna a
Roma
per riprende-Ivi l'insegnamento
allUrbaniana,
questa
volta come
incaricato di storia della filosofia
moderna, mentre allo stesso
tempo

chiamato a
insegnare
filosofia teoretica
presso
il
Magistero
di "Maria
Santissima Assunta. Nel
1959,
presso
la Pontificiauniversit Urbaniana
fonda il
primo
istituto in
Europa
per
la St0ria
dellateismo";
dal 1968 al
1981 ordinario di filosofiateoretica nella facolt di lettere dell'univer-
sit di
Perugia.
Muore a Roma il 4
maggio
1995.
Molto vasta e varia la
produzione
letteraria di C. Fabro:
essa com-
prende
una
quarantina
di volumi e circa un
migliaio
di articoli. Tra le
opere pi importanti segnaliamo:
La nozione
metafisica
di
partecipazione
secondo S. Tommaso
(1939);
La
fenomenologia
della
percezione
(1941);
Partecipazione
e
causalit
(1961);
Dallessere allesistente
(1957);
Introduzione
all ateismo moderno
(1964);
Esegesi
tomistica
(1969);
Introduzione a S. Tom-
maso (1983);
Riflessioni
sulla libert
(1983);
L'enigma
Rosmini
(1988);
Le
prove
dell'esistenza di Dio
(1989).
94) Postilledi Bontadini al volume di P.
FAGGIOTTO,
Per una
metafisica dell'esperienza
integrale,
Rimini
1982,
p.
170.
706 Parte terza
Da
segnalare
inoltre le
sue
traduzioni delle
opere
di
Kierkegaard,
in
particolare quella
del
Diario,
in tre volumi (1948-1951), con
le
quali
ha
reso
accessibileal
pubblico
italiano il
pensiero
del
grande
filosofodanese.
ingegno
acuto,
dinamico e
profondo,
Fabro ha coltivato con
passione
e con
profitto
sia la storia della filosofia sia la filosofia
teoretica,
acqui-
stando meriti
insigni
in entrambi i
campi:
in sede storica
specialmente
con i suoi studi su S. Tommaso, su
Kierkegaard
e
sugli sviluppi
dell'ami-
smo moderno;
in sede
teoretica,
definendo
pi
esattamente i concetti di
essere,
di
partecipazione,
di
causalit,
di
analogia
e
chiarendo ulterior-
mente i
rapporti
tra
percezione
e
pensiero,
concludendo
per
la loro
sostanziale unit. Di
questa
vasta
opera, qui
ci limiteremo a illustrare
l'apporto
di Fabro alla
riscoperta
e
alla rielaborazione della metafisica
dell'essere di S. Tommaso.
Fabro,
che
amava
dialogare
con
Heidegger,
concede a
questi
che nella
sostanza la
sua accusa
di oblio dell'essere da
parte
della metafisica occi-
dentale
giustificata,
se
si eccettua S. Tommaso: Checch sia dei
presup-
posti
e
dell'esito della
diagnosi heideggeriana,
noi laccettiamo
per
la
sua
radicalit
metodologica
di attribuire il fallimento del
pensiero
moderno
alla concezione della verit dell'essere
come certezza (Gewisslzeit)...;
c'
per
un'eccezione e
questa
e data dalla
posizione
di S. Tommaso la
qua-
le
attinge
la nozione dell'essere stesso
per
il fatto clfessa al
posto
della
"distinzione" ontico-formale di essentia ed existentia ha
posto
la
compo-
sizionereale nell'ente di essenfia ed esse>>fl5
Fabro ha
con
Gilson il
grandissimo
merito di
aver mostrato l'assoluta
novit dell'asse tomistico e la
grandissima
fecondit di
questa
idea,
che
ha consentito
all'Angelici)
di rinnovare la metafisica aristotelica da
capo
a fondo,
innestandola
nell'impianto platonico,
mediante il
principio
di
partecipazione,
che a sua
volta viene rinnovato mediante la
travolgente
energia
dell'asse.
Per
quanto
concerne
la
riscoperta
della metafisica tomistica dell'esse-
re
Fabro
era
consapevole
dei
propri
meriti e non
tollerava che tutta la
gloria
di
questa importante scoperta
venisse data
a Etienne Gilson. In
una
preziosa
lettera indirizzataal sottoscritto in occasione della
presen-
tazione del mio volume La
filosofia
dell'essere di S. Tommaso
(Herder,
Roma
1964)
facevai
seguenti
rilievi:
<<...
Lei non si inoltra in
prospettive
storiche
e
critiche n accenna a
polemiche
e fa bene.
Lungi
da me
il contestare i
meriti,
quando
si
richiama a Gilson,
che ella considera suo maestro. Non vorrei
pero
che GlSOH con
il
suo
strapotente
influsso
e
le indubbie
qualit
comu-
nicative,
rinnovasse ai nostri
giorni
il "fenomeno Gaetano". Per me
qualcosa
mi ha
sempre
lasciato un
po
incerto sulla
qualit
metafisi-
ca" della sua
opera,
e
in
particolare:
t) C.
FABRO,
Partecipazione
e causalit, Torino
1961,
p.
25.
La
riscoperta
della
netafisira
di San Tommaso 707
a)
il mancato studio critico-teoretico delle fonti della metafisica del-
l'asse
tennistico,
di
qui
la
sua
persistenza
a usare existence
per
l'asse
tomistico;
b) la
sua confessa
noncuranza della filosofia
moderna,
ch'egli
tocca
ex conimuniter dictis.
Mi
permetta poi
di indicarledue accenni che
un
po
mi interessano:
1) Gilson, solo nel
1942,
sembra afferrare
un
po
la
vera natura dell'es-
se tomistico. Ora lei
sa che il mio volume della
partecipazione,
dove si
trova
per
la
prima
volta
(mi sembra)
il
concetto di
esse come atto
emergente
del 1939
(cf.
p.
19D e
segg.
della I
ed.).
La
presentazione
era assolutamente
nuova e certamente Gilson l'ha vista
(ha avuto il
volume) ma non dice nulla.
2)
Un
caso simile la valorizzazione
per
la lV via del Prol. al Comm.
in
Io.
di S. Tommaso:
un testo notevolmente diverso da
quello
della
Somma.
Nessuno, a mia
conoscenza, ne aveva mai
parlato.
Il sottoscrit-
to lo valorizz
per
la
prima
volta in
una Conferenza dell'Accademia
di S. Tommaso nel 1954
(pubblicata
in volume
dall'Accademia).
Ora
lo vedo
per
la
prima
volta citato da Gilson in The Elements
of
Christimt
Philosoplzy
(tr. it.,
p.
146) senza nessun altro
cenno. Questo
metodo
non mi sembra molto
generoso
e mi dicono che il mio non l'unico
caso. S. Tommaso riconosceva alle fonti molto
pi
di
quanto
ad
esse
doveva:
vero ch'io
(e nessun altro
oggi) pu pretendere
di
essere
una fonte, ma a Gilson farebbemolto
onore imitare
un
po
S. Tomma-
so e ricordare i moderni che hanno lavorato anche
per
lui....9<>
Indipendentemente
dalla difficoltdi accertare chi abbia
scoperto per
primo
l"'America" della metafisica tomistica
dell'essere, n
su
questo
punto
intendo sollevare
polemiche,
Fabro ha
certamente
ragione
quan-
do
osserva che in Gilson
manca uno studio critico-teoretico delle fonti
della metafisica dell'asse
tonzistico, studio in cui Fabro si invece merite-
volmente distinto. Ci che
era necessario dimostrare anzitutto
era
l'as-
senza
del
concetto intensivo di
essere in
Aristotele,
il
quale
come
sappia-
mo
assegna
alla metafisica il
compito
di studiare l'ente in
quanto
ente,
ed
ci che si
premurato
di fare in vari
saggi.
In
questi
studi Fabro dimostra che il
concetto di
essere
di Aristotele si
risolve nella ansia
(sostanza) e nella
nzorph (forma) e mai si eleva oltre la
forma
e
la sostanza. Anche
per
S. Tommaso
l'oggetto
della metafisica
l'ente,
perch quello
di ente il
pi
universale di tutti i
concetti; ma l'at-
tenzione
dell'Angelico
si
sposta poi
immediatamente
verso
lesse
poich
l'ente altro
non che ci che
possiede
l'essere
(I'd
quod
habet
esse).
Pertanto
96) Lettera di C. Fabro a Battista Mondin del 22 dic. 1964.
37) Cf. C.
FABRO,
Il
problema
Clell'essc
tomistico,
in Tomismo e
transfert)
nzodernu,
Roma
1969,
pp.
103-134;
<<Dall'ente d Aristotele all'asse di S.
Tommaso, ibid,
pp.
47-103; Le retour au fondament de
l'tre, ihid,
pp.
271-290.
708 Parte terza
ci che conta anzitutto e
soprattutto
e l'esse,
il
quale
racchiude
ogni
potenza, ogni
ricchezza di
realt,
ogni perfezione, ogni
atto e
ogni
attua-
lit.
L'esse, come
spiega
S. Tommaso commentando il Peri Hermeneias di
Aristotele,
significa
infatti ci che
per primo
viene colto dall'intelletto a
modo di attualit assoluta,
signijicat
eninz illud
quod primo
cadit in intel-
lectu
per
modum actualitatis absolute.
Qui,
osserva Fabro, sta
la
grande
novit di S. Tommaso:
in
questo per
modum actualitasabsolute che con-
siste il rovesciamento tomista del
pensiero
metafisico che rimane senza
esempio
nella storia del
pensiero
sia
prima
sia
dop0>>fl8 Uoriginalit
teoretica della
speculazione
di S. Tommaso
rispetto
al
pensiero
classico,
sia
platonico
come aristotelico, come
rispetto
al
pensiero patristico
e
alla
speculazione
del suo
tempo
stata
nel chiaro
proposito
di dare all'esse il
significato
di atto"
emergente per
eccellenza>>fi9
Colta
l'originalit
del concetto tomistico dell'esse che
diviene,
pertan-
to,
il robusto
pilone
che
sorregge
l'intero edificio della metafisica,
la cosa
pi importante
da fare era mostrare come S. Tommaso
procede
alla sua
costruzione. Mentre nell'esame dell'ente e
delle sue strutture
principali
(sostanzaaccidenti,
materia-forma,
atto-potenza
ecc.) S. Tommaso fa
largo
uso
della metafisica aristotelica,
quando
invece si tratta di innalzare
l'edificiometafisico fino al
tetto,
secondo Fabro,
egli
ricorre a
Platone e
al
suo
principio
di
partecipazione. Nell'opera magistrale
La nozione
nzetafisi-
ca
di
partecipazione
secondo S. Tommaso circa la
partecipazione
Fabro distin-
gue
tra
partecipazionepredicamentale
e
partecipazione
trascendentale.
La
partecipazione
predicamentale

quella
in cui ambo i termini della
relazione, partecipante
e
partecipato,
restano
nel
campo
dell'ente (della
sostanza finita) e
pu
aver
luogo
sia sul
piano logico
(la
partecipazione
della
specie
al
genere)
sia sul
piano
reale (la
partecipazione
della mate-
ria alla forma).
Invece la
partecipazione
trascendentale
quella
che ha
luogo
tra l'ente e
lactus essendi.
Partecipare,
in
senso
metafisico
signifi-
ca avere
in modo "limitato", "particolare, "imperfetto"
un
atto e una
formalit che altrove si trovano in modo totale, illimitato,
perfetto>>.9
Questo
decisamente il
caso
della forma: essa
partecipa
dell'atto d'esse-
re (actus essendi) o,
detto in altro modo,
l'atto d'essere comunica alla for-
ma
l'attualit che la rende
PFHCPLHT?
essertdi et
agendi
dell'ente concreto.
Cos lens finito si
pone
nel divenire,
in
quanto
fruisce di
questa doppia
partecipazione: partecipazione
allo
ipsum
esse
in forza del
quale
est sim-
pliciter,
e
partecipazione agli
accidenti in cui si realizzano le diverse
modalit della
sua esistenza concreta. La seconda
partecipazione dipen-
53) Le retour au fondament de
Ytre, cit.,
p.
281.
t)
Il
problema
dell'asse
tomistico, cit.,
p.
103.
9)
C.
FARRO,
La nozione
metafisica
di
partecipazione,
Torino 1939,
p.
361.
La
riscoperta
della
metafisica
di San Tommaso
709
de
ontologicamente
dalla
prima, quella delllpsum
esse
che assoluta-
mente fondante.
Successivamente, in un'altra
opera
altrettanto
magistrale
sotto il
pro-
filo
critico-teoretico,
Partecipazione
e causalit,
Fabro elabora
unbrganica
assimilazionedelia dottrina della
partecipazione,
di matrice
platonica,
alla dottrina aristotelica della
causalit, e
quindi
dell'atto
e
della
poten-
za. In
quanto
ens
per partecipazione,
la creatura non di
per
s ma in
virt di
un
altro.
Perci,
anche relativamente alla
sua
produzione
la
creatura ente
per partecipazione
su
due
piani:
in Virt della causalit
trascendentale
per
cui
passa
dalla
potenza
all'atto mediante l'attualit
dell'asse e in virt della causalit
predicamentale
per
cui
acquista
un
particolare grado
di realt
e
perfezione grazie
alla forma
e
<<diventa
per-
ci suscettibiledellactusessendi.
Dunque,
simmetricamente alla distinzione tra
partecipazione predi-
camentale
e
partecipazione
trascendentale,
Fabro introduce la distinzio-
ne tra causalit
predicamentale:
e
causalit trascendentale. La causalit del-
l'essere si
dispiega
nell'ambito
predicamentale
in base alla distinzione
tra materia e
forma
(nei
corpi)
e tra sostanza
e
accidenti
(negli
enti fini-
ti):
cosicch la forma comunica l'essere alla materia e
la sostanza comu-
nica l'essere
agli
accidenti. La causalit dell'essere si
dispiega
nell'ambi-
to trascendentalein base alla distinzionetra essentia ed esse nell'ente fini-
to: tale distinzione
non riconducibilesolo alla distinzione
pi generale,
di
potenza
e
atto,
ma si estende anche
a
quelle
tra
partecipante
e
parteci-
pato.
Il fondamento ultimo di
questa
distinzione
e
dunque
della stessa
causalit
dell'essere, la Causa
Prima, causa universalis essendi omnibus
rebus
(creazione, conservazione) e
agendi
omnium
rerum
(rapporto
tra
Causa Prima
e cause seconde).
La
presenza
nella metafisica di S. Tommaso di ambedue
questi tipi
di
causalitfa s
che,
secondo
Fabro,
l'Aquinate
soddisfi sia l'istanza
plato-
nica
(unit trascendentale dei
principi supremi)
sia l'istanza aristotelica
(affermazione
dell'essere
come sostanza e come
forma in atto).
Cosicch
si
pu
definire la concezione tomistica della
partecipazione
e
della
cau-
salit
come una
geniale
sintesi
e,
allo stesso
tempo,
un
superamento
sia
del
platonismo
sia dell'aristotelismo.
La realt che
a
rigore
nel
platonismo
storico la
partecipazione
elimina
la causalit
e
questo
tanto nella sfera trascendentale come
in
quella
predicamentale:
nella
prima per
il
separatismo
formale che riduce
l'asse a
prima
creatura" e
quindi
a una
partecipazione,
nella seconda
per
il
separatismo
reale in
quanto
i
partecipanti ottengono
una "simi-
litudine" dell'atto
partecipato
e non una
partecipazione
di "deriva-
zione reale" dellatto stesso. Parimenti a
rigore
nelfaristotelismostorico
la causalitannulla la
partecipazione:
nella sfera
trascendentale,
in
quan-
to Dio nella
gioia suprema
dell'Atto di
conoscere se stesso non
pu
710 Parte terza
ammettere mescolanza di "altri"
oggetti
diversi da
s;
nella sfera
pre-
dicamentale, in
quanto
la
produzione
avviene nell'ambitodella
spe-
cie e
in virt della forma cos che l'effetto e
sempre
secondo l'identit
specifica
e non
secondo
partecipazionewl
S. Tommaso realizza la
grande Auflicbtttzg (sintesi-superamento)
ela-
borando la struttura della causalit su
due
piani
diversi
e antitetici: nel
piano
trascendentale,
mediante l'assunzione incondizionatadel
princi-
pio platonico
della
partecipazione,
nel
piano predicamentale
mediante
l'assunzione incondizionatadel
principio
aristotelico della causalit?
In
questo
ordine di considerazioni Fabro
non esita a
proclamare
il tomi-
smo autentico
come una
delle
pi
alte sintesi di immanenza e trascen-
denza. Si tratta in verit di
una
posizione
teoretica in cui Yimmanenza
fondata sulla trascendenza in
quanto
l'asse,
che la
perfezione
che attua
ogni
altra nel modo
pi
intensivo e intrinseco,
si
pu predicare
non
solo
degli
enti finiti, ma anche di Dio che lEssere creatore a loro
intimo;
Viceversa la trascendenza si
pu predicare
oltre che di
Dio,
in
quanto
Atto
puro
di
per
s
"separato",
anche dell'asse
partecipato
e
degli
enti
finiti che
a
lui rimandano
come a
loro
compimento
e
quindi perfezione.
Fabro ha difeso
puntigliosamente
la
purezza
del tomismo da tutti
gli
inquinamenti
e travisamenti di cui fu
oggetto
in
ogni epoca,
specialmen-
te con
la
manipolazione
della
capitale
distinzione della metafisica tomi-
stica tra essentia
e actus essendi che in
nessun
modo
pu
essere
confusa
con
la distinzionetra essentia ed existentia.
LUIGI BOGLIOLO
Luigi Bogliolo
nato a Vesime
(Asti)
nel 1910. Presso la Pontificia uni-
versit
Gregoriana
ha
conseguito
sia la laureain filosofia
(1932)
sia
quella
in
teologia
(1942).
Membro dell'ordine
salesiano,
nel 1940 chiamato a
far
parte
del
corpo
accademicodel Pontificio Ateneo Salesiano di
Torino,
come docente nella facoltdi filosofia. Nel 1959 nominato
superiore
del
Collegio
InternazionaleSalesiani)
(Roma).
Dal 1961 fino al 1985
occupa
la
cattedra di metafisica
presso
la Pontificia universit Urbaniana. Nella
medesima universit dal 1974 al 1977
ricopre
la carica di rettore. Nel 1980
nominato
segretario generale
della Pontificia accademia Romana di
S. Tommaso
d'Aquino.
Tra le
sue numerose
opere segnaliamo:
La
filosofia
antica.
Saggio
di
ricostruzione
(1956);
Il
problema
della
filosofia
cristiana
(1959);
La verit del-
l'uomo
(1969); La verit di Dio
(1969);
Ijantropologiafilosofica,
4 voll.
(1977);
9') C.
FABRO,
Partecipazione
e causalit,
Torino
1960,
pp.
317-318.
92) Ibiii,
p.
318.
La
riscoperta
della
metafisica
di San Tommaso
711
Metafisica
e
teologia
razionale
(1983);
La
filosofia
cristiana,
la
storia,
la strut-
titra
(1986).
Filosofo di chiaro indirizzo
tomista,
Bogliolo
si e distinto
per l'impe-
gno
con cui ha cercato di definire la natura e i
compiti
della filosofiacri-
stiana
e
per
il
vigore
con cui ha
sviluppato
una
forma moderna di
questa
filosofia.
Bogliolo
ritiene
con
Gilson che ci che conferisce alla filosofia
un'anima cristiana
e
le assicura in tal modo
uno statuto teoretico suo
pro-
prio,
il
rapporto
intrinseco, essenziale,
necessario
con
la
Rivelazione,
in
quanto
trova in
quest'ultima
"un aiuto
indispensabile
per
la
ragione",
e
si
serve
quindi
della Rivelazione
per
arricchire,
allargare
e
approfondi-
re, precisare
e
risolvere i
grandi problemi
della filosofia. Della filosofia
cristiana cos
concepita Bogliolo
ha effettuato
una elaborazione sistemati-
ca, riprendendo
le tesi fondamentali della filosofiadell'essere di S. Tom-
maso e confrontandole
con il
pensiero
moderno
senza cedere a facili
ma
superficiali
concordismi.
Bogliolo
riconosce al
pensiero
moderno alcune
scoperte"
di
capitale importanza
che,
per,
solo la metafisica tomistica
pu
avvalorare: il realismo
(tecnico-scientifico),
Fintersoggettivit
(aspetti sociali) e
il
soggettivismo
(affermazionedelllo).13
Il tomismo di
Bogliolo

un
felice tentativo di
applicare
alla metafisi-
ca dell'essere di S. Tommaso il metodo clellnteriorit di S.
Agostino.
I
capisaldi
della
sua
filosofiasi
possono
ridurre
a
quattro:
1. il
primato
assoluto dell'essere: il momento radicaledella realt l'at-
to di
essere (actus essemii).
Ogni
esistente si illuminada
questo
fonda-
mento: tutto ci che vi in
ogni
esistente
dipende
dall'atto di
essere,
che
lo fa esistere e avere tutte le
propriet
che
gli competono
,94
2. lfirnrriedtritezza della
conoscenza dell'essere: l'essere colto dallintellet-
to intuitivamente. L'uomo non soltanto dotato di
una
zrisio
corporalis,
ma
anche di
una oisio intellectaals. Come l'occhio ha
un
preciso oggetto
che lo definisce
organo
della luce
e
di tutto ci che nella luce
compre-
so,
cosi l'intelletto
umano
ha
un
preciso oggetto
che lo definisce: l'ente
attuato dall'atto di
essere. L'essere
non soltanto atto di
ogni
atto" e
perfezione
di
ogni perfezione",
ma
anche luce di
ogni
luce
per
l'intelli-
genza
umana???
3. la dilatazionedel concetto di
esperienza
alla
conoscenza
di tutta la
realt rifiutandoil dualismo
preconcetto
tra
esperienza
sensibile
e cono-
scenza intellettiva. Nell'uomo
non vi soltanto
un'esperienza
sensibile,
ma
anche
un'esperienza
intellettiva. Non vi soltanto
un
vedere sensi-
bile"
ma
anche
un
vedere intellettivo". Ed
proprio questo
vedere intel-
lettivo
che,
dopo
essere stato
svegliato
dal "vedere
sensitivo",
spinge
e
"3) L.
BOGL1OLO, Le
scoperte
della
filosofia
moderna,
Torino
1974,
p.
6.
94) ID.,
Linguaggio teologico
e ateismo,
Roma
1972,
p.
42.
95) ID.,
A/ietajsica. Teologia
razionale,
Roma
1983,
p.
14.
712 Parte terza
stimola i sensi a
vedere oltre
quello
che vedono
con
le loro
capacit
natu-
rali
(...).
La filosofiasi
pu
davvero definire "la scienza delle scienze
per-
ch ha
come
punto
di
partenza l'esperienza
fondante di
ogni esperienza,
qual

appunto l'esperienza
dell'ente,
oggetto primo
e
immediato dell'intel-
letto,
punto
focale da cui
parte
e a
cui si riconduce
ogni
umana conoscen-
za.
In
questo punto
iniziale
esperienza
e conoscenza coincidonmfifi
4. la
grandezza
dell'uomo in cui l'Essere accoltoe
compreso
fondando
la trascendenza umana:
L'uomo la
parola
dell'essere: l'essere
parla
al-
l'uomo mediante l'uomofl7
ll tomismo di
Bogliolo
carico di umanit e
anche di
spiritualit,
che
riesce a
sviluppare, quasi spontaneamente,
la valenza
spirituale
del
pen-
siero metafisico.
Ilneotomismo
negli
altri
paesi
del Vecchio e
Nuovo Mondo
Nel secolo XX il neotomismo stata una
delle correnti filosofiche
pi
vive e
pi
dinamiche che si
imposta
all'attenzionedi tutti
gli
uomini di
cultura, e non
soltanto dei filosofi.
I tomisti di cui ci siamo
occupati
in
questo lungo capitolo
non
esauri-
scono
l'intera
mappa
del tomismo del secolo XX. Abbiamo
parlato
sol-
tanto dei tomisti francesi,
belgi
e
italiani
perch
sono
stati coloro che
hanno
maggiormente
contribuito alla
riscoperta
della metafisica dell'es-
sere
di S. Tommaso. Ma il verbo di Tommaso
ha trovato valenti
interpre-
ti anche in altri
paesi dell'Europa
nonch delle due Americhe. Per com-
pletare
la
mappa
del neotomismo
qui
ci limiteremo a
fornire
un
ulterio-
re
elenco
degli
autori
pi
illustri,segnalando
le loro
opere pi importan-
ti. Si tratta di
un
elenco
sempre
parziale,
ma
che rientra nell'economia
del nostro lavoro.
Iosiar
PIEPER

nato in Vestfalia nel 1904. La sua


ricerca si concentrata
pi
su
tematiche
antropologiche
ed etiche che metafisiche, con
l'obiettivodi
elaborare
ufiantropologia
filosofica fondata su una
prospettiva
ontolo-
gica integrale:
storia ed
escatologia
chiudono infatti l'itinerario della
dimensione esistenziale dell'uomo. Tra le sue
opere
ricordiamo: Verit
delle Cose.
Un'indagine sallantr0p0l0gia
del Medioevo (1948);
Sulla
fine
del
tempo.
Meditazioni
filosofiche
sulla storia (1950);
La scolastica.
Figure
e
pro-
blemi della
filosofia
medievale(1960);
Speranza
e storia (1967).
9) lbid,
pp.
14-15.
97)
L. BOGLIOLO,
Le
scoperte
della
filosofia
moderna, cit.,
p.
17.
La
riscoperta
della
metafisica
di San Tommaso 713
IOHANNES
BAPTIST LOTZ

un
gesuita
tedesco nato a
Darmstadt nel 1903. Ha elaborato
una
spe-
cie di tomismo trascendentale simile
a
quello
di Marchal. Contro
I-Ieidegger
ha cercato di mostrare che la
questione
dell'essere non
pu
essere
risolta
se non si
insegue
l'analisi dell'attuazionedell'essere dell'uo-
mo fino al
punto
in cui l'essere
non
si lasci intendere
a
partire
dall'Essere
sussistente. Secondo Lotz in
questa
dimostrazioneil metodo trascenden-
tale viene condotto al di l dei limiti
impostigli
da Kant. Facendoci l'es-
senza
di
questo
metodo
non viene assolutamente
sacrificata,ma
piuttosto
pienamente
realizzata. Tra le
sue
opere,
le
pi
interessanti
sono: Das
Urteil und das Scin. Eine
Grundlegung
der
Meiaphysik
(Il
giudizio
e
l'essere.
Una fondazionedella
metafisica) (1957);
Martin
Heidegger
una Thomas von
Aquin.
Mensch-Zeit-Sein
(Martin
Hcidegger
e Tommaso
d'Aquino.
Uomo-
Tempo-Essere) (1977);
Traizszcndentale
Erfahrung (Esperienza
trascenden-
tale) (1978);
Mensch-Sein-Mensch. Der
Kreislaiq
des
Philosopliierens
(Uomo-
Essere-Uomo. ll
corso
circolare del
filosofare)(1982).
SANTIAGO RAMIREZ
(1891-1967)
Domenicano
spagnolo,
ha
insegnato
filosofia
allAngelicum,
a Fribur-
go
e a Salamanca. E stata la
personalit pi
interessante
e
l'interprete
pi
valido della filosofiatomista in
Spagna
nel secolo XX. Un suo monu-
mentale studio
storico-teoretico,
in
quattro
tomi,
sullanalogia
la ricer-
ca
pi importante
che sia mai stata fatta
su
questa
fondamentale
catego-
ria della metafisica.
L'opera
omnia,
in
corso
di
stampa, prevede quaranta
volumi. Oltre il De
aizalogia,
4 voll.
(1970) ricordiamo: Introduccin
genera!
a
la Suma
Teologica
de St. Tomvs de
Aquino
(1947);
De atrctoritate dottrinali
S. Thomae
Aquinatis
(1952).
RICH L. MASCALL
Nato a
Sydenham
nel Kent nel
1905,
stato il
pi
autorevole
rappre-
sentante del tomismo nel mondo
anglicano; figura
tra i
pi importanti
tomisti di
lingua inglesee,
come
pensatore
sistematico, va annoverato tra
i
migliori. Slegato
da
qualunque
scuola cattolica di
tomismo, ma attento
lettore di
Gilson,
risente della
sua
influenza nella
impostazione
del suo
pensiero.
Mascall un
filosofo dotato di
una
personalit
incisiva o
indi-
pendente. Egli
resta convinto che la tradizione di S. Tommaso
contenga
la Chiave di
una
efficace filosofia
contemporanea
della
conoscenza,
del-
l'essere
e
di Dio. Tra i libri di Mascall che
sono
stati bene accolti in
Inghilterra
e
negli
Stati Uniti ricordiamo: He who is. A
Study
in Traditional
714 Parte terza
Theism
(1943);
Existence and
Armlogy
(1949);
The Secularisatitm
of
Christianity
(1965);
The
Opcness 0f Being
(1971).
Dellultima
opera
stato
scritto:
Chiunque
sia interessato alla rinascita della metafisica in Occi-
dente dovrebbe
leggere questo
libro.
OTTAVIODERISI
Nato a
Pergamino (Argentina),
fondatore della rivista
Sapientia
(1949) e
della universit Cattolica di Buenos
Aires, con
il
suo
insegnamento
e con
i
suoi numerosissimi scritti stato
nella seconda met del secolo XX - il
pi
autorevoleed efficace
portavoce
del tomismo nell'America Latina.
Egli
fermamente convinto della verit e
della inesauribilericchezza
della
prospettiva
filosofica
dell'Aquinate;
ma non un
semplice ripetito-
re
di S. Tommaso. Profondo conoscitore del
pensiero
filosoficomoderno
e
contemporaneo
e
delle istanze culturali del nostro
tempo, pur
assu-
mendo
dalYAquinate
i
principi primi
della
metafisica,
dell'antropologia
e dell'etica,
egli
sa
coniugarli, integrarli, svilupparli
in modo nuovo e
originale. Significativo
il
suo
apporto
alla elaborazione di
una
filosofia
della cultura
e
dei valori in chiave
realistica,
religiosa
e
umanistica. Le
sue
opere
principali
sono: Los
fundamentos metafisicos
del orden moral
(1941);
Filosofia
de la cultura
y
de 10s valores (1963);
Santo Tonms
y
la
filosofia
actual
(1975);
La
palabra
(1978).
RALPH MCINERNY

nato nel 1929 a


Minneapolis;
membro dei
dipartimento
di filoso-
fia della universit di Notre Dame dal 1955.

uno
dei massimi cultori
statunitensi del tomismo. Convinto del
suo
perenne
valore ha cercato di
farlo conoscere con
il suo
insegnamento,
con
numerosi
saggi,
con
l'im-
portante
rivista The New Scholasticisnz di cui stato
per
molti anni diret-
tore, e con
la fondazione e
la direzione del Thnnzistic Institute di Notre
Dame. Di S. Tommaso ha
approfondito
in modo
particolare
la dottrina
dellanalogia,
a cui ha dedicato due
importanti monografie,
The
Logic
ofAnalolgy
(1961) e
Being
and PTEdCtIOI
(1986).
A
suo
giudizioYanalogia
fondamentalenon
solo
per
la
teologia
ma
anche
per
la metafisica: la
dottrina sui termini
analoghi
che consente a
S. Tommaso di
spiegare
come
sia
possibile
una scienza dell'ente in
quanto
ente, Il
Mclnerny
intende
Panalogia
tomistica come
predicazioneper prius
et
posterius,
con
una
identit della
ras
pracdicata
e una variazionenel modus
praedicandi.
Con
altrettanto
impegno Mclnerny
ha studiato i temi della
morale,
difenden-
La
riscoperta
della
nzetafikaica
di San Tanzmaso
715
do Fesistenza di valori assoluti
e
di
una
legge
naturale universale in due
opere importanti:
The
Question of
Christian Ethics
(1993) e
Aquinas
on
Humazi Action
(1992).
Una eccellente sintesi della filosofiadi S. Tommaso
con
precisi
riferimenti ai suoi
predecessori,
ad Aristotele
c Boezio in
par-
ticolare,
il
suo 5t. Thonzas
Aquinas
(1977).
Nel
capitolo
conclusivo di
questo
libro
Mclnerny
scrive:
Si
pu tranquillamentepredire
che il ruolo di S. Tommaso nella
sua
qualit
di mentore intellettuale
non
potr
che
aumentare. La
sua
posi-
zione tra i cattolici romani
, o dovrebbe
essere,
solida
(...). Per
un cat-
tolico
non conoscere Tommaso
esser
tagliato
fuori da
una
porzione
essenziale del
suo
patrimonio.
Per
gli
altri,
Yimportanza
di S. Tomma-
so
per
un vasto
segmento
dell'umanit lo accredita di
un interesse
culturale
pi grande.
Dalla Divina Commedia in
poi
Tommaso indiret-
tamente
parla
attraverso un vasto numero di
opere
artistiche, e sareb-
be
un
impoverimento
culturale
non conoscere direttamente il
pensie-
ro di
un uomo
che
apparso paradigmatico
a
molti credenti. E
se
Tommaso ha
ragione riguardo
alla distinzione tra fede
e conoscenza
(razionale), se i suoi sforzi filosofici furono cotonati da
successo
(e, forse, anche
quando
non lo
furono),
egli
ha il diritto di
essere
ascoltato dai filosofiin
generale>>fi8
95)
R.
MCINERNY,
St. Thomas
Aquinas,
Boston
1977,
p.
171.
716 Parte terza
Suggerimenti
bibliografici
Le
opere
principali
di tutti i filosofi tomisti trattati in
questo
capitolo
sono
gi
state
debitamente
segnalate parlando
dei
singoli
autori.
Questa
breve nota
bibliograficariguarda pertanto
alcuni studi
importanti
sul
movimentoneotomista in
generale
e
sui suoi
maggiori rappresentanti.
E. CORETH-W. M. NEIDL-G. PFLIGERSDORFFER(edd.),
La
filosofia
cristiana
nei
secoli XIX e XX,
II. Ritorno allzredit scolastica. Roma 1994. E
l'opera
pi completa
sulla storia del neotomismo, con
ampi capitoli
su
tutti i
suoi
principali esponenti.
P.
DEZZA,
Alle
origini
del neotomisnzo,
Roma 1940.
R. ECHAURI,
El
pensamiento
de E. Gilson, Pamplona
1980.
V. MATHIEU,
La
filosofia
del Novecento,
Firenze 1978,
cap.
IV.
O. MUCK,
Die transzendentale Methode in der scholasticlzera
Pliilosopliie
der
Gegenwart,
lnnsbruck 1964.
V.
POSSENTI,
Una
filosofiaper
la transizione.
Metafisica, persona
e
politica
in
I.
Maritain,
Milano1984.
G. PRoUvosT,
Thomas d
Aqain
et le Tliomisme,
Paris 1966.
A. SAVIGNANO, loseph
Marchal
filosofo
della
religione, Perugia
1978.
M.To5o, Fede,
ragione
e
civilt.
Saggio
sul
pensiero
di E. Gilson,
Roma 1986.
G. VAN
RIET, Depistrnologie
tliomiste,
Louvain 1946.
LA RISCOPERTADELLA METAFISICADI ARISTOTELE
Nel secolo XXla rinascita della metafisica ha battuto tre vie
principali:
- la via del ritorno a Parmenide, con la
riscoperta
dell'essere nella sua
manifestazione
originaria.

questa
la via
seguita
da
Heidegger per
usci-
re
daIlobliodell'essere in
cui, a suo
giudizio,
caduta tutta la metafi-
sica occidentale;
- la Via del ritorno a S.
Tommaso,
che ha sfruttato la
scoperta
della
sua
metafisica dellkzctus essendz.
Questa
la via che hanno
percorso
nu-
merosi
neotomisti,
in
particolare
Gilson,
Maritain e Fabro;
- la via del ritorno ad
Aristotele; una
via
pi
che
legittima perch
Aristotele stato il creatore della metafisica come scienza: la scienza
dell'ente in
quanto
ente. Quesfultima
via
quella
che hanno
percorso
i
filosofi della scuola di
Padova,
in
particolare
Marino Gentile,
Enrico
Berti e Pietro
Faggiotto.
L'universit di Padova stata da
sempre
un
importante
centro di
studi aristotelici. Nel Medioevo
e
soprattutto
nel Rinascimento
(con
Pomponazzi,
Verna,
Nifo
ecc.)
la scuola
patavina
si era distinta
per
la
sua
fedelt ad
Aristotele,
di cui si cercava
di offrire una
interpretazione
letterale,
contro le
interpretazioni
addomesticate
degli
Scolastici. La
nuova scuola di Padova crede nel valore della metafisica di
Aristotele,
e senza sostanziali
ritocchi ritiene che sia tuttora
proponibile
come cam-
mino sicuro
per raggiungere
la trascendenza.
Marino Gentile
Marino Gentile nato a Trieste nel 1906 ed morto a Padova nel
1991. Ha
compiuto gli
studi universitari sotto la
guida
di A. Carlini nella
Scuola normale
superiore
di Pisa. Liberodocente di storia della filosofia
antica dal
1931,
stato dal 1951 titolare di storia della
filosofia,
prima
nella universit di Triestee
poi
in
quella
di Padova. Ha
partecipato
atti-
vamente a numerosi
congressi
filosofici nazionali e
internazionali. Ha
collaborato in veste di direttore di sezione alla elaborazione della
Enciclopediafilosofica.
718 Parte terza
OPERE PRINCIPALI
I
fondamenti tnetafisicl
della morale di Seneca
(1932); La
metafisica presofi-
stica
(1939); La
politica
di Platone
(1940); Llmanesimo e tecnica
(1943);
Filosofi):
e umanesimo
(1948);
ll
problema dellafilosofia
moderna
(1950);
Come
si
pone
il
problema nzetafisico
(1955);
Breve trattato
difilosofia(1974).
Formatosi nel clima dell'idealismo
attualistico, successivamente, con
la mediazione
dell'approfondimento
dottrinale del
cristianesimo,
Gen-
tileriusc a
superare
i canoni dialettici dello storicismoimmanentisticoe
a
giungere
a
un'interpretazione umanistico-religiosa
della
realt,
in cui
la filosofia
svolge
una
duplice
funzione: critica e fondativa. La filosofia
concepita
da Gentile
come "metafisica
critica", "domandaretutto che
un tutto
domandare, cio a dire
un
domandare
doppiamente
riferito al
tutto,
in
quanto
tema e in
quanto
abito di ricerca. In altre
parole,
da
un
lato alla filosofia
importa
che
non vi sia nulla di estraneo alla
sua inda-
gine
(e
quindi
il
tutto,
l'intero
ne costituisce
l'oggetto:
domandare
tutto)
e, dall'altro, essa si
configura
come una ricerca a cui nulla sia
presuppo-
sto
(e
quindi
il tutto indichi
Pintegralit dell'atteggiamento problemati-
co: tutto
domandare). Ma, a differenza della metafisica classica che si
interrogava
sull'essere e sul
divenire,
la metafisica di Gentilesi
interroga
sulla storia. Per
questo
motivo
egli sviluppa
un'altra definizione del
problema
metafisico
a
opera
della idea di storia, Il termine
"storia",
infatti, consente di
cogliere pi
sicuramente il
problema
della metafisi-
ca nella sua totalit. E la
storia,
quando
venga
considerata in
rapporto
alla
vera metafisica, non
quel
sistema
dialettico,
in cui la storia viene
gi
ordinata secondo
un
piano prefissato,
ma come un'autenticameravi-
glia,
che il Considerare il fluire delle
cose,
delle
opere, degli
uomini,
delle
azioni,
nella loro incoercibilemobilit. La metafisica riflette sul
carattere
contingente
e
problematico
di tutto ci che si
presenta
sul
piano
della storia e della storia stessa. Ora, se tutta la realt
problema-
tica,
vuol dire che la realt nella sua totalit
non trova la
spiegazione
in
se stessa; e, dunque,
necessario un
principio
trascendente.
Pertanto, se
il
problema
metafisico viene seriamente
impostato,
la soluzionenon
pu
essere
che
una: la Trascendenza la
ragione
della realt.
La metafisica di
stampo
neo-classico creata da Gentile ha esercitato
un notevole influsso nell'ambito
patavino,
e continua a
prosperare gra-
zie
all'opera
di due valenti
discepoli
del
Gentile,
Enrico Berti
e Pietro
Faggiotto.
La
riscoperta
della
metafisica
di Aristotele 719
Enrico Berti
Enrico Berti nato a
Valeggio
sul Mincio (Verona)
il 3 novembre 1935 e
ha studiato filosofia nell'universit di Padova sotto la
guida
di Marino
Gentile,
conseguendovi
la laurea nel 1957.
Dopo
avere
insegnato
nella
scuola secondaria ed essere stato assistente
universitario,
ha vinto nel
1963 il
concorso
alla cattedra di Storia della filosofia
antica,
di cui stato
titolare dal 1965 al 1969 nell'universit di
Perugia, passando poi
a
occupa-
re
la cattedra di Storia della filosofia nella stessa universit. Dal 1971
professore
ordinario di
quest'ultima disciplina
nell'universit di Padova.
Dal 1983 al 1986 stato
presidente
della Societ Filosofica Italiana
e
nel
1987 ha
conseguito
il
premio
internazionale
per
la filosofia Federico
Nietzsche. Nel 1991 stato incaricatodi
un corso
all'universitdi Ginevra.
PRINCIPALI PUBBLICAZIONI
La
filosofia
del
primo
Aristotele, Cedam,
Padova
1962;
L'unit del
sapere
in
Aristotele, ivi, 1965;
Stadi aristotelici,
Iapadre, L'Aquila
1975;
Ragionefiloso-
fica
e
ragione scientifica
nel
pensiero
rrztiderno,
La Goliardica,
Roma
1977;
Aristotele: dalla dialettica alla
filosofiapriora,
Cedam,
Padova
1977;
Profilo
di
Aristotele, Studium,
Roma
1979;
Le UE della
ragione,
Il
Mulino,
Bologna
1987;
Contraddiziorze
e
dialettica
negli
antichi e nei
moderni,
L'epos,
Palermo
1987;
Le
ragioni
di
Aristotele, Laterza,
Roma-Bari
1989;
Storia della
filosofia,
3 voll.,
ivi
1991;
Introduzionealla
metafisica,
UTET,
Torino 1993.
Nella ricerca di
una
filosofiache
aprisse
uno
spazio
alla fede cristiana
in maniera
rigorosamente
critica,
cio senza essere
pregiudizialmentc
condizionatada
quest'ultima,
Berti si orientato sin dalla
giovinezza
verso
la "metafisica classica" formulata da Marino Gentilein termini di
problematicit pura,
individuandoneil nucleo essenziale
soprattutto
nel
pensiero
di Aristotele. Inserendo le
suggestioni
tratte dal
pensiero
aristotelico nel dibattito filosofico
attuale,
Berti insiste
soprattutto
sulla
molteplicit
irriducibile
dell'esperienza,
che connota in senso
positivo
le
differenze tra
gli
enti, e
sulla
sua
inestinguibile
mobilit,
che
ne attesta
da
un
lato la finitezza
e
dall'altro lncessante novit.
Questi
caratteri
sono
espressione
della
problematicit dell'esperienza,
e
quindi
della
necessit di
un
principio
ad essa trascendente,
di cui la
ragione pu
dimostrare
non
solo
l'esistenza, ma
anche il carattere
personale.
L'attenzione di Berti si concentrata
soprattutto
sull'analisi delle
diverse forme di
razionalit,
che 10 ha
portato
a
distinguere
dalla razio-
nalit
propriamente
scientifica,
fondamentalmente
ipotetico-deduttiva,
una
razionalit
dialettica,
nel senso
greco
del
termine,
cio
argomentati-
va e confutativa, come
organo
specifico
del discorso filosofico.
Que-
st'ultima forma di razionalit
aperta
alla
possibilit
di rimettere conti-
nuamente
in discussione i risultati
raggiunti,
la
quale salvaguarda
la sto-
720 Parte terza
ricit
propria
del
filosofare, ma non
esclude la
possibilit
di
operare
anche
Vere e
proprie
dimostrazioni,
mediante la
confutazione, cio la riduzionea
contraddizione,
di
ogni
tentativo di assolutizzazione
dell'esperienza.
La stessa forma di razionalit
applicabile
nell'ambitodella filosofia
pratica,
costituita dal nesso
indissolubiledi etica e
politica,
la
quale
non
pu
essere ridotta a
semplice saggezza
intuitiva o strumentale, ma si
regge
su vere e
proprie argomentazioni, capaci
di delineare la natura
specifica
e
il fine ultimo dell'uomo e
della societ. In base ad
essa
pos-
sibiledimostrare la
sostanzialit,
l'identit
e
la continuit della
persona
umana,
il
suo
orientamentoalla
socialit,
che trova la
pi piena
realizza-
zione nella
partecipazione
alla vita democratica, e insieme la
sua
apertu-
ra a un
fine che trascende la societ e
la
storia,
la
quale
trova il
suo com-
pimento
nella dimensione
religiosa
della vita.
Specificamente
della metafisica aristotelica Berti si
occupato
in due
opere:
nell'importante saggio
storico, La
filosofia
del
prima
Aristotele e
nella Introduzione alla
metafisica.
In
questo
secondo scritto
egli ripropone
in modo convincente l'itinerario metafisico dello
Stagirita
e ne
difende
la sostanziale validitmettendolo
a
confronto
con altri
itinerari,
in
parti-
colare
con
quelli
di
origine platonica.
L'opera
si articola in tre
ampi Capitoli,
ben strutturati e
adeguatamen-
te documentati. Il
primo
illustra
l'origine
e il
significato
del termine
"metafisica",
nonch le critiche che
sono state mosse
alla
metafisica;
il
secondo mette a fuoco il tema
dell'indagine
metafisica;
mentre il terzo e
conclusivo
capitolo svolge
il
problema,
tracciandoil
percorso
che condu-
ce al
principio primo.
Dei tre
capitoli
il
pi
interessante e
originale
indubbiamentel'ulti-
mo,
in cui Berti cerca
di
ripristinare
il cammino di Aristotele
dagli
enti
che
divengono
al Motore immobile.In estrema sintesi,
Berti stesso
ridu-
ce
il
suo
percorso
alle
seguenti tappe:
1.
un'ampia fenomenologia
dell'e-
sperienza integrale,
ossia della
esperienza
dell'ente in
quanto
ente, con
tutti i suoi
significati,
le
sue
propriet,
i suoi
principi;
2. la
problemati-
cit del
divenire,
della
esperienza,-
3. infine la
"soluzione",
cio la
posizione
di
un
Principio
metafisico
e
della determinazione dei suoi
Caratteriml La
cogenza
di
questo procedimento
risulta dal fatto che la
problematicit
della
esperienza porta
con s, direttamente,
la trascen-
denza del
Principio,
cio la necessit che la
risposta adeguata
alla
domanda costituita
dall'esperienza
stessa sia trascendente
rispetto
a
quest'ultima.
Questa
conclusionenon
semplicemente
la soddisfazione
di
un'esperienza, quella per
cui, se c'e un
problema,
ci deve
essere
la
soluzione. Essa il risultato necessario di
una confutazione,
cio la
con-
futazione della
pretesa
assolutezza
dell'esperienza.
Se infatti
l'esperien-
za fosse assoluta, cio autosufficiente, non
dipendente
da
un
Principio,
1) E.
BERTI,
Introduzionealla
metafisica,
Torino 1993,
p.
112.
La
riscoperta
della
metafisica
di Aristotele 721
non domanderebbedi
essere
spiegata,
sarebbe
perfettamente
razionale,
di
una razionalit
gi attuata, gi completamente dispiegata, quindi
necessaria,
compiuta, perfetta?
L'itinerariometafisico tracciato da Berti ricalca assai da Vicino
quello
di Aristotele. Berti
per
cerca di
allargarloprendendo
in considerazione
oltre al divenire
fisico, materiale
ogni
altra forma di
divenire,
rinchiu-
dendo tutto dentro la
problematicit dell'esperienza,
di
qualsiasi
nostra
esperienza.
Credo che
questo
nuovo tracciato metafisico sia so-
stanzialmente valido. Infatti lunica realt in
grado
di trarre in salvo il
divenire,
qualsiasi
forma di
divenire, ma in
particolare
il divenire onto-
logico,
l'essere.
Principio, causa, ragione
di
qualsiasi
ente
soggetto
al
divenire l'essere. Il divenire
problematicoprecisamente perch
consi-
derato in
se stesso non
ha n
pu
rivendicarealcun diritto all'essere.
l,
esiste, ma non
pu
esibire
nessuna
giustificazioneadeguata
di
essere l,
di esistere, Ma il
suo essere vacillacontinuamentee minacciadi
precipi-
tare nel nulla. Il divenire
pone l'interrogativo: perch
l'essere e non il
nulla? E la
risposta

ovvia,
poich
il nulla non
pu
dar conto di ci che
,
proviene
dall'essere: il divenire un dono
dell'essere, e
tale dono
non
pu
essere
fatto che da un Essere
personale,
Cio da Dio.
Pietro
Faggiotto
Pietro
Faggiottt)
nato a Padova il 5
aprile
1923. Si laureato in
Filosofia nell'universit di Padova nel 1944. Nella stessa universit dal
1949 al 1962 stato assistente alla cattedra di filosofia
teoretica, tenuta
prima
da UmbertoPadovani
e
poi
da Marino Gentile.
Dopo
il
Consegui-
mento nel 1960 della libera docenza in filosofia
teoretica,
fu
incaricato,
sempre
a Padova,
di filosofianella Facolt di
magistero
e
di storia della
filosofia nella Facolt di lettere. Nel
1972,
quale
vincitore di
concorso,
venne
chiamatodalla Facoltdi
magistero
di Padova a
ricoprire
la catte-
dra di
filosofia;
nel 1978
pass
alla cattedra di filosofia teoretica nella
Facoltdi lettere della stessa universit. Dal 1997
professore
emerito.
PRINCIPALI
PUBBLICAZIONI
L'elenco
completo
di
questi
scritti fino al 1993 contenuto nel volu-
me AA.
Vv.,
Metafisica
e modernit, 1993,
pp.
XV-XXIV.
Qui
ci limitiamo a
ricordare i
seguenti
volumi:
Esperienza
e
Metafisica
(1959);
Saggio
sulla
struttura della
metafisica
(1965;
2 ed.
1969);
Il
problema
della
metafisica
nel
pensiero
moderno,
Parte I:
Bacone, Galilei, Cartesio, Hobbes,
Spinoza,
Locke
(1969); Parte II:
Leibniz,
Berkeley,
Hume
(1975);
Per una
metafisica dell'espe-
rienza
integrale
(1982); Introduzione alla
metafisica
kantiana
dellanalogia
(1989);
La
metafisica
kantiana
dellanalogia.
Ricerche e discussioni
(1996).
2) Itali,
p.
100.
722 Parte terza
Ricordiamo inoltre la discussione tra
Faggiotto
e Gustavo Bontadini,
svoltasi a
pi riprese
dal 1952 al 1982 e
poi
raccolta nei due volumi citati:
Esperienza
e
Nlefafisiea
e
Per ima
metafisica dell'esperienza integrale.
L'intera
indagine
di
Faggiotto

impegnata
nella difesa della
possibi-
lit della metafisica dalle obiezioni che nel corso del
pensiero
moderno
le sono state rivolte,
particolarmente
da
parte
della corrente
empiristica.
Tale corrente si richiama alla divisione di tutte le
proposizioni
nelle due
classi delle
proposizioni
analitiche e delle
proposizioni
sintetiche: le
prime
sono a
priori
e
hanno
un
valore necessario e universale, ma sono
pura-
mente formali e
prive quindi
di valore "fattuale"
o reale;
le seconde
sono a
posteriori,
hanno
un valore
reale, ma mancano
di necessit o
di
universalit. In base a tale classificazioneviene
negata
l'autenticitdelle
proposizioni
metafisiche,
in
quanto
esse
pretenderebbero
di
essere a un
tempo
necessarie e
reali. Per
Faggiotto questa pretesa
invece
legittima
in
quanto
esistono, a suo avviso,
due
tipi
di
proposizioni
analitiche:
quelle puramente
formali,
in cui il
soggetto
un
semplice
concetto, e
quelle
che
sono necessarie e
anche
reali, perch
il loro
soggetto
un
dato,
offertoci
dall'esperienza,
nel
quale
si trova realizzatoun concetto.
Tali
sono
(gi
per
Locke)
le
proposizioni
della matematica
applicata
e
tali sono
per Faggiotto
anche le
proposizioni
della metafisica}
Uempirismo, per,
oltre a contestare in
generale
la
possibilit
di
pro-
posizioni
necessarie e fattuali,
ritenendo
impossibile
che si
possa
assu-
mere con
assoluta esattezza un contenuto
empirico
sotto un concetto,
obietta in
particolare
che le
proposizioni
della
metafisica,
essendo
per
definizione
metempiriche,
non
possono
avvalersi
dellesperienza, e,
pro-
prio per questo,
in conformit al
principio
di vcrificabilit
empirica,
risultano assolutamente
prive
di
significato.
Quanto
alla
prima
contestazione,
Faggotto
osserva
che
l'impossibi-
lit di assumere con esattezza un contenuto
empirico
sotto un concetto
vale soltanto
per
i concetti
specifici
(ad es.
quello
di
triangolo),
ma non
vale
per
i concetti
generici
e
trascendentali
(ad es.
il concetto di divenire
e
il concetto di
essere) con
i
quali opera
la metafisica.
Quanto poi
all'ac-
cusa
di
insignificanza,
rivolta alle
proposizioni
metafisiche sulla base
del
principio
di verificabilit
empirica, questa
accusa
viene da
Faggiotto
confutata con l'osservazione che tale
principio,
in base alla stessa classi-
ficazione
empiristica
delle
proposizioni,
non
potrebbe
essere una
propo-
sizione analitica a
priori, perch
in
questo
caso sarebbe
puramente
for-
male e
quindi
tale da non
poter
valere
come
legge
reale del nostro
pen-
siero, e non
potrebbe
essere
neppure
una
proposizione
sintetica a
poste-
riori, perch
sarebbe
priva
di valore necessario e non
potrebbe quindi
permettere
una
perentoria
condannadelle
proposizioni
metafisiche.
3) Ci. P.
FAGGIOTTO,
Saggio
sulla struttura della
metafisica,
Padova
1969,
pp.
"137-138.
La
riscoperta
della
metafisica
di Aristotele
723
Per
Faggiotto
da
questa aporia
si
pu
uscire
superando
il concetto
inadeguato
di
esperienza proprio clellempirismo,
che la riduce
comple-
tamente all'insiemedei dati
sensibili,
i
quali
invece
ne costituiscono sol-
tanto il livello
estetico, e assumendo
un concetto
integrale
di
esperienza,
il
quale
riconosca accantoal livello estetico anche il livello
noetico,
vale a dire
l'originario
orizzonte in cui
questi
dati sensibili
sono contenuti: l'idea
dell'essere
e dei
principi primi
che
ne derivano: Se
per esperienza
intendiamosoltanto l'insiemedei dati sensoriali nel loro continuo
fluire,
Yempirismo
ha senz'altro
partita
vinta:
nessuna costruzione,
che
preten-
da al carattere della universalit
e della
necessit,
pu
trovare il suo fon-
damento
su tale terreno. Ma se riconosciamo che
nell'esperienza
deve
essere incluso anche
quell'orizzonte
noetico che conferisce al
molteplice
sensibilela
sua unit
(e ne
fa
appunto
una
esperienza) (m)
allora
quella
costruzione
appare possibilew
Se
l'empirismo,
continua
Faggiotto,
non
ha
riconosciutoil livello noeti-
co
dell'esperienza,
ci deriva dal fatto che nella coscienza
comune,
immer-
sa nella
quotidianit,
tale livello
presente
solo in forma
implicita,
atema-
tica. di essenziale
importanza, per
l'autore,
distinguere
in
seno
all'espe-
rienza il momento tematico dal nromento atematico: fa
parte
della
esperienza
non solo ci che al centro dell'attenzione, ma
anche ci che ai suoi mar-
gini,
pur
potendo
venire tematizzatoCon lo
spostarsi
della nostra attenzio-
ne. Ora,
ci che
comunemente,
anche
per ragioni pratiche,
attira il nostro
sguardo
la variet dei contenuti
sensibili,
che costituiscono
appunto
il
livello
estetico, mentre il livello
noetico,
orizzonte immutabiledella nostra
esperienza,
al di fuori della riflessione filosoficain cui viene assunto a
tema,
rimane normalmente atematicmAll'interno
dell'esperienza integrale
si istituisce tra i due livelli una tensione da cui
sorge
il
discorso,
che
non
pi
da
concepirsi
come il
passaggio
da
uno stato di assoluta immediatez-
za a uno stato di
mediazione, ma come lo
sviluppo
di
una mediazioneori-
ginaria (...).
L'esperienza
non risulta di
puri
e
semplici
dati che solo
pi
tardi il
pensiero
pone
in
discussione, ma risulta di dati che
per
il loro stes-
so
impianto,
per
il dislivello secondo cui sono
disposti, sono,
almeno
implicitamente, problematici.
l dati
dell'esperienza
sono i termini di
un
grande problema.
Il discorso metafisico il
processo
attraverso il
quale
il
problema,
colto nella
sua totalit,
tende alla
sua soluzionew
Respinte
le
pregiudizialiempiristiche
contro la
possibilit
della meta-
fisica,
Faggiotto
si
impegna
a delineare la struttura fondamentale di
questa disciplina:
essa
l'indagine
sull'orizzontenoetico
dell'esperienza
integrale,
sull'essere in
quanto essere,
vale
a dire nella
sua dimensione
4) ID.,
Per
una
metafisica dell'esperienza integrale,
cit.
p.
9.
3
Cf.
Saggio... cit.,
pp.
125-128.
6) Itali,
p.
135.
724 Parte terza
trascendentale, e sui suoi
principi primi,
anzitutto sul
principio
di non
contraddizione. Alla luce di
questo principio
l'essere
soggetto
al diveni-
re, quale
ci dato
nell'esperienza, appare
a
prima
vista contraddittorio
perch implica
il non-essere dell'essere, cio la
negazione
di
quella
in-
trinseca
positivit,
di
quella enrgheia per
cui esso
si afferma e si sostiene
nell'essere.
Appartiene
infatti all'essenza dell'essere
l'esigenza
della
sua
permanenza: unaquaeque
res, quantum
in se est,
in suo esse
perseverare
corzatur?
L'apparenza
della contraddizione
pu
essere rimossa osser-
vando che
a
ogni
essere
appartiene
necessariamentenon
la
permanenza
(come
qualcuno paradossalmente
sostiene), ma
l'esistenza di
permanere
quantunt
in se est,
fermo restando che
questa permanenza pu
essere
impedita
(come
di fatto continuamente riscontriamo), e
pu
esserlo sol-
tanto
per
l'azione di
un
altro essere
che si
rivela, cos, come
la
causa
di
quella
cessazione e
quindi
del divenire. Nulla
res,
nisi a causa externa,
potest
destrui.8 La contraddizionesussisterebbe se
l'essere che
cessa
di
essere fosse assunto come
qualcosa
di
assoluto,
per
cui il
suo
venir
meno
sarebbe dovuto
a se stesso,
in contraddizione
quindi
con la sua
essenziale,
intrinseca
positivitfi
N la contraddizionesarebberimossa se
la
causa
del divenire venisse
riposta
in una serie di
cause tutte a loro volta
soggette
al
divenire,
per-
ch il divenire sarebbe di
nuovo
contraddittoriamente assolutizzato.
L'aporia
del
divenire,
continua
Faggiotto, pu
essere
superata
solo assu-
mendo come sua
ragion
sufficiente un Essere assoluto che
pura
enr-
gheia
e
che determina il moto rimanendoassolutamenteimmobile.
L'ap-
parente
contraddittorietdell'ente
soggetto
al divenire ci conduce cos a
riconoscere l'esistenza della radice ultima delle
cose
mutevoli e
questo
riconoscimentoavvienein virt di un conoscimento
originario,
anche
se
implicito:
la Certezza dell'esistenza di un Assoluto come
universale
ragione
sufficiente,
sempre
atematicamente
presente
nell'orizzontedel-
l'esperienza integrale.
In
Faggiotto questa prospettiva
teoretica si
accompagna
strettamente
a una
indagine
storica su tutto il
pensiero
moderno con cui
egli
intende
Confrontarsi: da Bacone a Hume,
da Galilei a Leibniz,
dallo
sviluppo
cio
de11empirismo
fino al suo
approdo
nello
scetticismo,
dalla nascita
del razionalismomatematisticofino alla sua crisi.
Faggiotto
ha concluso
la sua
rassegna
sul
problema
della metafisica nel
pensiero
moderno con
una
indagine
sulla filosofia
kantiana,
pervenendo
a mostrare come
la
negazione
kantiana della metafisica
quale
scienza
riguardi
la metafisica
7) SPINOZA, Ethca,
Parte
III,
prop.
VI.
5) lbid,
prop.
IV.
9) Cf. P.
FAGGIOTO,
P 'r una
metafisica...
ciL,
pp.
201-214.
m) Cf.
lD.,
Saggio...
cit.,
pp.
199-201.
La
riscoperta
della
metafisica
di Aristotele 725
del razionalismo
moderno,
costruita con il metodo
sintetico,
proprio
della
matematica,
che scende dai
principi
alle
conseguenze,
dalle condizioni
al
condizionato,ma non
riguarda
un'altra forma di metafisica che Kant
stesso viene
svolgendo,
una
metafisica
come vera e
propria
tcoresi
(e non come
semplice postulazione
morale),
che
procede
con
il metodo
analitico
(del resto
gi
adottato da Kant nella fondazionedella
sua stessa
filosofia
trascendentale),
che dal condizionatorisale alle condizioni
e
perviene
alla fine allIncondizionato.Il mondo sensibile riconosce
Kant -
non che
una catena di fenomeni connessi secondo
leggi
univer-
sali, esso non
ha
dunque
esistenza
per
se stesso, esso non
propriamen-
te la
cosa in s e si riferisce
perci
necessariamente
a ci che contiene il
principio
di
questi
fenomeni.11 Si tratta di
quella
conoscenza
per
analogia,
teorizzatanei
Prolegomeni (55 57-60),
che conoscenza dellAssolutonon
in ci che
esso in
s,
nella
sua intrinseca
costituzione, ma
in ci che
esso in
rapporto
al mondo. Viene
riguadagnato
in
questo
modo il
pro-
cedimento della metafisica classica. Risulta allora evidente la stretta con-
vergenza
che esiste tra la
prospettiva
teoretica di
Faggiotto
e
la
sua
interpretazione storiografica
dellautentico
significato
della
negazione
della metafisica
come scienza da
parte
di Kant. Nelle
sue
opere
si tro-
vano
dei
passi
davvero molto
forti,
che sembrano escludere
senza scam-
po
la
possibilit
di
una tale
metafisica, ma Sufficiente tener
presente
che
egli
in
questi
casi si riferisce
sempre
a una scienza di
tipo
sintetico
per
rendersi conto che la
sua esclusione, se tocca la metafisica del razio-
nalismo
moderno,
che intendeva
procedere
more
geometrico,
non tocca
un'altra forma di
metafisica,
quella
della tradizionearistotelica
(e
quella
stessa
presente
in molti testi
kantiani)
che adotta invece il metodo anali-
tico e
il ricorso alla
analogiam
Una metafisica
riproposta
in
questi
termini
per
Faggiotto
una
forma
di
sapere
consapevole
dei
propri
limiti, ma
anche della
propria
vitale
importanza: pur
rinunciando allambizionedi
attingere
razionalmente
l'Assoluto nella
sua
intima
essenza,
essa tuttavia,
intenzionandoloin
una
forma
indiretta, relazionale,
ha la funzione di
aprire
la via a
quella
inte-
grazione
che
pu
venire dalla vita morale
e
dalla
esperienza religiosafi
I
suggcrinzenti bibliografici
sono
riportati
all'interno del
capitolo
e nelle note in cui
vengono
elencate le
opere
principali
di
ogni
autore.
11)
I.
KANT,
Prolegomeni"5
57.
12)
P.
FAGGIOTTO,
La
metafisica
kantiano
dellfimalagia.
Ricerche e discussioni, Milano
1996,
p.
17s.
13) Cf.
ibid,
p.
176.
726
IL RITORNO A S. AGOSTINO
Tra i metafisici classici
(Platone Aristotele, Plotino) e S.
Tommaso,
c
un altro
grandissimo
metafisico,
S.
Agostino. Anchegli
ha contribuito in
modo decisivo alla rinascita della metafisica nel Novecento. In
effetti,
il
secolo XX ha fatto
registrare
un nuovo interesse non solo
per
Aristotele
e S.
Tommaso, ma
anche
per Agostino.
Questo
documentato dalle
nuo-
ve
edizioni
e dalle traduzioni delle
sue
opere
in molte
lingue
moderne,
dalla notevole
quantit
di studi del
suo
pensiero e,
soprattutto,
dalla
ripresa delragostinismo.
Filosofi
e
teologi
di valore hanno creduto nuovamente nel valore del
pensiero
di
Agostino.
Tra i
teologi
ricordiamo, in
particolare,
Henri
De
Lubac,
Urs von Balthasar,
Ioseph Ratzinger,
Karl
Barth,
Ioseph
Mon-
tmann. Tra i filosofi hanno trovato nella metafisica cli
Agostino
lezioni
valide anche
per
l'uomo del nostro
tempo
Michele Federico
Sciacca,
Romano
Guardini,
Augusto
Guzzo.
del
pensiero
di
questi
tre autori
che intendiamo
parlare
brevementenel
presente capitolo.
Michele Federico Sciacca
Michele Federico Sciacca
nacque
a
Giarre
(Catania)
nel 1908. Allievo
di Aliotta nell'universit di
Napoli,
ottenne l'incarico di libero docente
in storia della filosofianella medesima universit
per
interessamento del
famoso
grecista
Aurelio Covotti. Dal 1938 fu
professore
di storia della
filosofia
a Pavia
e successivamente (dal l947),
fino alla
morte,
professore
di filosofia teoretica nell'universit di Genova. Grande studioso di
Rosmini fu
presidente
e animatore del Centro Rosminiano di
Stresa, a
cui ha dedicato tante delle
sue
pi appassionate
fatiche,
direttamente
o
indirettamente attraverso alcuni dei suoi
pi
laboriosi
e acuti
discepoli.
Nel 1948 fondo il Giornale di
Metafisica,
assumendone la direzione. La
rivista divenne
l'organo principale
dello
spiritualismo
cristiano e assun-
se
fin dall'inizio
una
decisa
posizione
in favore della metafisica contro
ogni negazione
di
essa
da
parte
dellmmanentismomoderno in
genere,
e
particolarmente
contro
Pattualismo,
lo storicismoe
il
problematicismo.
Sciacca morto a
Genova nel 1975.
Della
sua vastissima
produzione
(oltre
quaranta
sono
i volumi editi
nella collana marzoratana delle
Opere complete),
vanno
segnalati
in
Il ritorno a S.
Agostino
727
particolare:
La
filosofiaoggi,
2 voll.
{l 945);
Il
problema
di Dio e della
religione
nella
filosofia
attuale
(1943);
Filosofia
e
nzetaflsica
(1950);
Atto e essere (1956);
Dallzttualismo alla
spiritualismo
critico
(1961);
Dallflzttttalismocritico alla
spiritualsnzo
cristiano
(1966).
Dopo
un
breve
periodo
di adesione alla filosofiadi
Gentile,
Sciacca si
oriente verso 10
spiritualismo
cristiano e divenne,
in
Italia,
il
pi
valido
e risoluto
rappresentante
dello
spiritualismo
di indirizzo
agostiniano,
e
allo stesso
tempo
uno dei
pi
convinti e
pi
validi assertori della metafi-
SlCa.
Sciacca
pu
essere
considerato un
poeta
della metafisica.
Sulrimpor-
tanza,
la
qualit,
il valore della
regina
del
sapere
egli
ha scritto molte
pagine
liriche. Ecco
un
brano che documenta bene la "liricit della sua
metafisica:
L'uomo
sempre
lievitato dalYessere: farina che si fa
pane, sempre
nuovo
pane:
la fame dellessere lievitoinesauribile.
Ogni
ente
dato,
ma esso
che si
fa,
si costruisce nello
spirito,
ma solo
perch
si costrui-
sce nel e sull'essere: il livello
dbggixsporge sempre
nel livello del
domani: lievito e lievitazione
perenne.
E la tensione della vita
spirituale
nella sua
integralit.
Tensioneche
non teme
rottura, perch
la tensione
dell'essere allEssere il
tonico,
il ricostituente dello
spirito
(...).
Uontologo,
il metafisico
vero,
non
parla"
dell'essere,
vive dell'esse-
re e
nell'essere assumendosi il
problema
totale del
significato
del suo
essere
integrale,
fin nelle sue
profonde
ed abissali radici
spiritualiw
Tre sono le fonti
principali
della metafisica di Sciacca:
Platone,
Ago-
stino e Rosmin;
altre due fonti
importanti
sono
Aristotele e Tommaso.
Ma la fonte
primaria, quella
verso cui
convergono
tutte le
altre,

S.
Agostino.
Il suo obiettivo
riproporre
ai
giorni
nostri
Pagostinismo
perenne.
E
per
Sciacca
agostinismo significa
Voler conoscere anzitutto
due cose: Dio e l'anima,
la mia anima che
ama Dio,
che
aspira
a Dio.
Dunque
umanesimo e
spiritualismo
cristiano;
centralit del
problema
dell'anima umana
di fronte a Dio,
che in lei
parla; scoperta
della consi-
stenza delYuomo
e
delle
cose;
senso
della
creazione,
che si
coglie
come
tale
neltaspirazione perenne
al Creatore
e, dunque,
senso
profondissi-
mo, interiore,
della trascendenzam
La metafisica di
Agostino
, come
sappiamo,
una
metafisica della
interiorit centrata sulla verit. La verit abita nel cuore
dell'uomo: in
interiore homine habitat veritas. Ma la verit non si identifica con l'uomo:
la Verit su eriore
all'uomo,
ed la misura di tutto ci che luomo
p
n
pensa,
vuole e
compie.
Tale verita trascendente
non
pu
essere
che D10.
1)
M. F.
SCIACCA,
Filosofia
e
metafisica,
Brescia
"i950,
pp.
234x235.
3) 111171.,
p.
27.
728 Parte terza
Sciacca
ripropone, aggiornandola,
la metafisica
agostiniana
dell'inte-
riorit, e
la
giudica
capace
di risolvere in s le due
opposte
metafisiche
"dell'essere" e "del
pensiero",
Qonservando al
pensiero
e all'essere tutta
la loro validit e
positivit.
E a noi sembra che
con ci si renda
un
buon
servizio sia al
pensiero
moderno che
a
quello
tradizionale, un buon ser-
vizio,
quale
si addice alla
filosofia,
di avanzamento nella via della veri-
t.3 Radicat nella tradizionenoi
Vogliamopensare per
Yavvenirew fu
il motto di Sciacca.
Con
Agostino,
Sciacca definisce la filosofia
come ricerca della verit.
Chi filosofa chiamato alla
verit,
ha la vocazione
per
la verit. La
verit non conosce e
cerca;
ma
ha
gifede
nella verit. Fede nella verit e
nei suoi
disegni,
anche
malgrado
tutto.5 Chi filosofasi mette in cam-
mino
per
incontrare1a verit.6 ljestro della filosofia l'amore incondi-
zionato della
verit,
che e
poi,
anche
quanto
non se ne
ha
coscienza,
amore di Dio che la verit.7
Tra le caratteristiche
tipicamente agostiniane
che Sciacca sottolinea
nella ricerca filosofica
figurano:
-
Yinteriorft, e
di
questa
si
gi
detto a sufficienza;

l'impegno:
diversamente dalla
scienza,
la
quale
non
comporta
nes-
sun
coinvolgimento
esistenziale,
la filosofia
impegnativa
(...)
il filo-
sofo si identifica con la sua filosofia, con la sua verit,
che la sua vita.
Ogni
filosofo una formula, ma la sua formula non una astrazione,

tutta la
ricchezza, radicalmente,
della sua vita;
la formula la
Croce,
in
cui
egli
si
crocifigge
e
dalla
quale perennemente
rinascew
la
passione:
<<la filosofia e
Eros;
la filosofia volont di sacrificio:
chi filosofa
consapevole
di
essere vittima della Verit. Perci rinunzia
di
quanto
ostacoli l'amore
e il
possesso
interiore delfununz
necessarium;
dolorosa rinunzia a Volte, e
dunque
ancora uinanissima. Provocatricedi
essa,
la filosofia
choc,
scuotimento di tutto l'essere
umano,
frattura con
quanto
non essenziale al
suo essere e con
quanto
di
impedimento
al
raggiungimento
della verit. Il suo
oggetto

Dio;
lo
cerca,
vuol cono-
scerlo,
possederlo.
La filosofia
charitas, naturale,
che si esercita col
lume della
ragione,
datoci da Dio come il solo che ci facciadesiderosi di
lui e sia condizione
per
conoscerlo?
l'umilt:
questa
virt,
molto rara ma assai
preziosa,

indispensabile
al Vero filosofo.
3) IiEL,
pp.
10-11.
4)
151114125.
5) Ibid,
p.
20.
5) Haiti,
p.
29.
7) Irma,
p\
234.
s) lbicf,
p.
27.
9) lliri,
p.44.
Il ritorno a S.
Agostino
729
Gli
dunque
essenziale
l'umilt,
radice
e
guida
della filosoficaascesi:
umiltdi sentirsi creatura e
di amare in s il
creatore,
di sentir d'essere
testimonianza dell'Essere e
del Bene e
del
Bene,
che
cerca ed
ama;
di
amare la
propria
esistenza come
dono e
dunque
come atto di amore.
Lumilt,
che
legge
d'amore,
rende morali l'intelletto e
la volont ed
efficace
l'impegno
di Vincere le nostre
passioni
e
le nostre debolezze;
ci
da il
senso
del sacrificio
purificatore
a cui siamo chiamati
per
ascende-
re 0
per
filosofare. Pertanto sacrificioche
accresce
l'umanit dell'uo-
mo,
come
la
potatura
del secco
fa adorna e
vigorosa
la
piantamw
Tutte
queste singolari
caratteristiche che Sciacca sottolinea nella filo-
sofia si ritrovano
potenziate
nella sua concezione della metafisica:
soprattutto
la metafisica che si
qualifica
come
ricerca interioristica,
impegnata,
umile
e
ardente
(passione).
Come
per
ogni
autenticometafisico,
anche
per
Sciacca la metafisica
orientata verso
la trascendenza: e un cammino Verso
la trascendenza;
ed

pertanto
ricerca di
Dio,
che il Trascendente
per
antonomasia. L'inte-
riorit,
secondo
Sciacca,
veramente tale soltanto se si
apre
alla trascen-
denza: essa
ha
significato
se
si riferisce a una
realt trascendente
e
0g-
gettiva
nel cui orizzontesi definisce e consiste.
Esplicitanclo meglio
la natura della metafisica Sciacca la fa consistere
essenzialmente nella distinzione tra il relativo e l'assoluto, tra il
partico-
lare e l'universale, tra il "fisico" e
il
"metafisico", tra il sensibile" e
l'ideale".11
Queste
distinzioni introdotte da
Platone, e
riprese
da Aristo-
tele,
costituiscono la
spina
dorsale di
ogni
metafisica.
Noi
dunque
riteniamo che vi sia un
platonismo
essenziale e
perenne
che l'anima stessa di
ogni
metafisica:
l'aspirazione
al di l del
fisico
(trans-physica),
il divino
Eros,
ch' sete dimmortalit dell'anima nella
contemplazione
beatificantedell'Essere assoluto
eterno; platonismo
essenziale che
importa
distinzione e dualit di mondi:
"questo"
e
l'altro mondo in un
rapporto
relativo
e assoluto,
di
contingente
e
necessario,
di
temporale
ed eterno. Platonismo,
che e
nostro, se tra-
sposto
nei termini
agostiniani
di una
metafisica
dell'esperienza
inte-
riore finalizzatanel
dialogo perenne
dell'anima con Dio,
di tutto l'uo-
mo con tutta la Verit che
;
interiorit che
non
abolisce il
mondo;
anzi,
dal di
dentro,
lo
riconquista
nella
sua Verit e realt,
che l'atto
creativo di
Dio,
di cui tutte le cose
quae
facta
sunt sono
prova
e
testi-
monianza.
Agostino, dunque,
arricchito
ancora
dalla tradizione del
migliore
francescanesimo,
il cui
genio
filosoficoresta S. Bonaventura.12
m)
lbid.
11) Cf. ima,
p.
66.
I2) mm,
p.
s7.
730 Parte terza
Dio il tema
capitale
e conclusivo
d'ogni
metafisica. E
questo
anche
il tema su cui Sciacca ha
profuso
tutto il
suo
impegno speculativo.
Pre-
sente nelle Linee di
uno
spiritualisnzo
critico
(1936)
che sul
problema
di Dio
si
concentra,
la domanda
su Dio si
ripropone
nei Problemi di
filosofia
(1941),
nel Problemadi Dio e della
religione riellafilosofla
attuale
(1946),
nelle
Lettere dalla
canzpagna
e
in
Filosofia
e
nzetafisica
(1950),
dove alla
questione
della esistenza di Dio l'autorededica met
dell'opera (pp.
124-266).
Sappiamo
che
a Dio si accede
speculativamente
per
moltissime vie.
Non esistono soltanto le
"cinque
vie
cosmologiche
di S.
Tommaso, ma
anche le vie
ontologiche
di
Anselmo, Cartesio,
Spinoza,
Malebranche,
Rosmini, Gioberti;
nonch le vie
antropologiche
di
Kant, Lotze,
Blondel, Scheler, Maritain. Praticamente
ogni
metafisica una
ascesa,
oppure
una
navigazione
verso Dio. Abbiamo
gi
notato che tutta la
spe-
culazione filosoficadi Sciacca nutrita da
una forte
passione teologica.
Per lui
una
metafisica che
non
parla
di Dio
e
che
non
conduce
a Dio
una metafisica sterile:
una
metafisica che fallisce il
suo
principale
obiettivo. Per
giungere
a Dio Sciacca
percorre
tre vie: la via della creatu-
ralit,
la via dell'esistenza
e
la via della verit.
L'esistenza di Dio non evidente, come
pretendono gli OntOlOglSt,
ma va dimostrata. Sono invece evidenti i
dati, i fenomeni che rendono
possibile
la dimostrazione della
sua esistenza. Sono fenomeni che
ren-
dono ineliminabilela
ipotesi
di Dio. Il
primo
fenomeno
su cui Sciacca
imposta
la dimostrazionedell'esistenza di Dio il fenomeno della crea
turalit". Contro la
pretesa
creativit" dello
spirito
tanto esaltata dalla
filosofia
moderna,
Sciacca
opera
un rovesciamento metafisico"
e sotto-
linea la creaturalit" dell'essere
e
dello
spirito
umano. Scrive il nostro
autore:
La creaturalit - il sentirsi creature - l'atto
primordiale
della
coscienza: nel momento stesso che io avverto (anche confusamente)
di
essere,
avverto che
non sono
da
me,
che
sono esistente, cio da
altri. Avverto
dunque,
attraverso i limiti del mio
essere,
che
un (l')
essere non limitato,
mi ha tatto "esistere". La
presenza
di
me a me
stesso
importa
la
"presenza"
mediata
(analogica)
in me dell'Essere,
senza della
quale
io non avvertirei mai il mio limite
(e
dunque
l'esse-
re da cui sono) e nemmeno io stesso
saprei
di essere (...).
L'atto del
pensare importa
una
duplice ontologia:
realt
degli
esseri
e
realt
dell'Essere, come
importa
l'intuito fondamentale della
verit,
fondan-
te il
pensare.
Vi
dunque
l'essere come idea,
gli
esseri come esistenti,
finiti
e
relativi
e
Ylssere
come esistente infinito
e assolutom
13) lbid,
pp.
82-83.
Il ritorno a S.
Agostino
731
Con
l'argomento
della creaturalt si intreccia
l'argomento
della "esi-
stenza. La nostra esistenza non
soltanto
non incausatabens donata:
un
dono che ci Viene fatto da altri e
ultimamente dall'Essere
primo;
ma
c' di
pi:
un'esistenza transitoria,
una
esistenza
priva
di consistenza
e
di stabilit.
Questo significa
che
l'esistente non
perfetto
ma
perfettibile, dunque

incompleta
in
ogni
stato e
grado
della sua attuazione.
Lincompiutezza
dell'esisten-
te
pone
il
problema
del
suo
compimento
e
nello stesso
tempo
attesta
Ylncondizionato
(omne
nzovctur ab alia
movetur,
secondo la formula che
comune
ad
Agostino
e a Tommaso).
Uesistente in
ogni
momento la
sua consistenza, ma in
ogni
momento non mai tutta la sua consistenza:
la
sua
unaspirazi0ne
infinita,
perch

urfaspirazione
totale.
Interiorit di s a s, come tale,
interiorit di
qualche
cosa d'altro,
dell'Altro, come
perenne
sforzo di
interiorizzazione,
di
conquista
di
s nell'Altr0. La
soggettivit profonda
non un dato, ma il realizzarsi
di
se stessa,
la
conquista
di s nellabbandonodi Dio.4
Ma la via che Sciacca non si stanca mai di
percorrere
e
di
ripercorrere,
per
renderla
sempre pi
solida
e sicura,
per
evitare
qualsiasi
trabocchet-
to o
pericolosi
scivolamenti,
la via della verit.
la celeberrima via
agostiniana,
che si intona
perfettamente
con una
metafisica della
verit,
quale
Vuol
essere
la metafisica di Sciacca. Ecco una
delle tante formula-
zioni che
egli presenta
di
questa
via:
La verit una realt
intelligble,
cio
oggetto
di
un
pensiero
o
di
una
intelligenza:
non
vi verit senza un
pensiero
che la
pensi,
un'in-
telligenza
che la
intelliga.
Nel
caso
della mente umana finita,
ci non
significa
che la mente umana
faccia essere
la verit
("la
ponga"),
ma
solo che la
scopre
in
s,
la intuisce.
Quel
che conta che dove vi
verit vi
pensiero, intelligenza.
Ora,
la verit che lumana mente
intuisce dalla mente stessa
indipendente:
non verit di ieri e
di
oggi,
ma
di
sempre:
come
ogni
Verit,

estratemporale
e
perci
neces-
saria,
eterna.
Dunque
stata
sempre
verit:
dunque
lo era
prima
che la
mente umana
la
pensasse
e lo sar anche
se nessuna mente umana
domani esistesse. D'altra
parte,
se
verit,
oggetto d'intelligenza,
non
pu
essere tale senza
che
un'intelligenza
la
pensi;
ma siccome non
pu
non
essere, appunto perch eterna, dunque
vi una
Mente o un
Pensiero che la
pensa,
eterna come essa.
Ma se Pensiero eterno allora
della stessa natura della verit: Pensiero eterno ed assoluto o Verit
eterna ed assoluta
sono univoci;
dunque
la Mente assoluta e infinita
(a
differenza di
quella
umana
mutevole
e finita) essa stessa la
Verit, e
non
che
ne
partecipi
soltanto, come
l'ente razionalefinito.
Dunque
esi-
ste la Mente assoluta infinita che la Verit assoluta e infinita,
la Verit
in s e
da cui
ogni
verit: la Verit creatrice
(Dio).15
14)
Ibid,
p.
116.
15) IbmL,
pp.
161-162.
732 Parte terza
L'esame delle varie
prove
dell'esistenza di Dio
conferma,
dunque,
la
primalit
della
prova
dalla
verit",
di
quella
prova
cio che
coglie
nel-
l'atto stesso del
pensare
la
ragione
del trascendere il nostro
pensare.
L'ipotesi
Dio cessa di
essere
un'ipotesi
e diventa
verit, e non
essa,
ma al
contrario,
che Dio non esista,
sar
l'ipotesi proibita.
Il naturale
e insieme
critico
procedere
della
ragione porta
dove
giunge
la
sapienza
secolare
degli
uomini: conclude
a un Dio che,
proprio per
il
procedere
dell'inte-
riorit
e
il
convergere
delle istanze reali diverse
dell'uomo, non
pu
essere
puro principio cosmologico,
ma dev'essere
un
principio
persona-
listico. La richiesta
pi profonda
dell'uomo
quella
di
giungere
al Dio
della coscienza
religiosa,
cos
come
scopo
del filosofo cristiano
quello
di
provare
l'esistenza di Dio in cui
per
fede
egli
crede.
Dalla
presenza
della Verit nel
pensiero,
alla
permanenza
finale del
soggetto
nella Verit che 10 costituisce: il discorso di Sciacca resta sem-
pre
decisamente
speculativo,
in
una
direttiva
costante di riafferrare nella
verit,
valida
per
l'uomo
se razionalmente
conquistata,
il
senso
integrale
del vivere.
Accanito avvocato della
metafisica, Sciacca
era
per
allo stesso
tempo
anche
e
soprattutto
un filosofodel
concreto,
della
persona
umana,
e
per
altro
verso un
impetuoso
alleato di
chiunque
combattesse
quelli
che
con
motto
platonico
chiamava i cavernicoli. Sciacca si sentiva vicino ad
Agostino
non soltanto nell'ordine del
pensiero
(nella concezione del-
l'uomo
e
di
Dio), ma anche in
quelli dell'espressione
e
dell'indagine;
Sciacca
possedeva 1appassionata
finezza di certe analisi
introspettive,
la
sottigliezza dellhrgomentazione
e insieme
Yeloquenza
convincente del
dettato.
Augusto
Guzzo
Augusto
Guzzo, nato a
Napoli
nel
1894,
si laureato nell'universit
della
sua citt natale nel 1915
con una tesi
su
I
primi
scritti di Kant
(Napoli
1920).
Insegno
dal 1918 al 1924 nel liceo di Castellamare di
Stabia, e
nel
1924 vinse il
concorso
per
la cattedra di filosofia al
magistero
di Torino.
Di
qui pass
nel 1932 alla cattedra di morale della facolt di lettere di
Pisa,
per
tornare a Torino otto anni
dopo,
e
passare,
nel
1939,
alla catte-
dra di
teoretica,
conservando
per
incarico
quella
di filosofiamorale. Nel
1950 fonda la rivista
Filosofia
intorno alla
quale raggruppa
i suoi
migliori
allievi,tra cui
Luigi Pareyson.
Guzzo
muore a Torino nel 1987.
Assai vasta la
sua
produzione
filosofica.
Qui
ci limitiamo a ricordare i
titoli dei suoi scritti su S.
Agostino: Agostino
dal Contra Academicos al
De
vera
religione"
(1925);
Agostino
e
il
problema
della
grazia
(1930),
ripub-
blicato nel 1934
con
il titolo
Agostino
Contro
Pelagio; Agostino
e Tommaso
(1958); e
della
sua
opera
sistematica,
che ha
come titolo
generale
L'uomo,
Il ritorno a S.
Agostino
733
divisa in sei trattati: I. L'io e la
ragione;
II. La
moralit;
III. La
scienza;
IV.
L'arte;
V. La
religione;
Vl.
Lafilosofia
(dal 1947 al
1980).
La filosofia del Guzzo chiaramente di
stampo platonico-agostinia-
no,
sia nel metodo (interioristico) sia nei
contenuti, con
la chiara affer-
mazione del
primato
dei valori assoluti
e
perenni.
ll
suo
obiettivo
per
non e
quello
di riesumareil
platonismo
alla
lettera,
postulando
un mon-
do ideale
e
assiologico pluralistico
(come
faceva
Hartmann), con un nu-
mero sterminato di esseri e
di valori ideali. Ci che
egli
vuole
ripristina-
re il
platonismo-esigenza
contro il
platonismo-dottrina:
cade
quel
platonismovolgare
e triviale,
che fa
siepe
al monoteismo vero
dell'esi-
genza
unica,
monito del Dio unico alle
conoscenze e resta eterno il
platonismo
della stimolazionedell'uomo da
parte
del
divino,
voce,
nel-
l'uomo,
del Dio
persona.
Ci che c' di
perenne
nel
platonismo,
secon-
do
Guzzo,
l'istanza di
ancorare
il
tempo
all'eterno,
il sensibileall'idea-
le,
il finito
all'infinito, il
contingente
allAssoluto,
l'uomo a Dio: siamo
uomini
per
la tensione onde
opponiamo
il
tempo
all'eterno
e
l'eterno al
tempo,
lavoriamo il
tempo per
l'eterno,
scolpiamo
l'eterno nel
tempo,
esercitando nell'universo la
tipica parte
del
Mediatore,
che
pianta
l'eter-
no nel
tempo facendogli
ivi mettere radici
e
fiori
e frutti, e trasferendoil
tempo
nell'eterno
perch prenda
valore d'eterno dacch
piegato
a ser-
virgli
e a modellarsi nelle sue forme.
Guzzo
non vede
nessuna
incompatibilit
tra idealismo e realismo.
Il
primo
risolve l'essere nel
pensiero;
il secondo rivendicala real fa dell'es-
sere. Ma che
cosa
significa
"risolvere l'essere nel
pensiero"
e
che
cosa
"filosofiadell'essere"? A coloro che
sostengono
che
una
filosofiadell'es-
sere

quella
che il Cristianesimo richiede
per
valere come
pensiero,
Guzzo
risponde
che la filosofiadell'essere
serve
al
cristianesimo, ma non
basta a
presentarlo
come tale. Perch il
pensiero
sia cristiano non suffi-
ciente
distinguere
l'essere
intelligibile
dall'essere sensibilenel
tempo,
ma

necessario,
per
salvare il concetto di
creazione,
essenziale al cristianesi-
mo,
considerare
gli intelligibili
non necessari a Dio,
creati da Lui.
Prendendo in
esame l'idealismo
moderno,
Guzzo concede che
ogni
pensare
, incontestabilmente,
egoit,
in
quanto
l'actus
cogitandi
essen-
zialmente
soggetto,
io, a cui
propria
la
ritmicit,
cio
l'oltrepassarsi.
<<Ma
proprio perch
ritmicit esso stesso,
proprio per l'inquietudine
che, tormentando lo trae in
su,
lo
spirito
non 1Asso1uto. Un Assoluto
che diviene
non il Dio della
religione.
Il Dio cristiano interiore
allionzo,
ma c' incommensurablit radicale tra Colui che intimo e colui al
quale
e intimo. Il risolversi della realt nell'istante vissuto dell'atto del
pensiero
non
significa,
come nell'idealismo,
vanificarela realt del
pen-
siero, ma attestazione di
una realt come alterit. Dio non si
pu porre
sullo stesso
piano
del mondo fisico:
egli
Causa e
Logo,
ed anche
Redentore. Se
per
idealismo si intende
quella
filosofia che risolve tutta
734 Parte terza
la realt nell'atto del
pensiero
e identificail
bisogno
dell'Assoluto con la
totale immanenza di
esso
nell'esperienza umana, questo
idealismo,
che
antiidealismo e
positivismo,
non
s'accorda col cristianesimo. Se l'uo-
mo un
bisogno
d'Ass0Iutoche si
esprime
in
una
esperienza
e
perci
si
rinnova,
in
questo bisogno
d'Assoluto l'uomo non l'Assoluto
e se
alcuni idealisti Yidentificano con l'Assoluto,
hanno torto
-
ma e dell'As-
soluto, e
gli
idealisti che insistono sulla
dignit incomparabile,
unica,
dell'uomo
nell'universo,
hanno
ragione.
Queste
tesi stanno alla base
dell'opera
sistematica: L'uomo. Il "sste-
ma" non
concepito
dal Guzzo come un trattato
"positivo"
o
dogmati-
co,
ma come una critica universale
dell'esperienza umana; lmesperien-
za" da lui intesa come
esperienza
di valori che lo
spirito
umano Cerca
o
produce,
e
la "critica" come una
forma d'analisi della
esperienza
uma-
na,
la
quale
ne ritrova il
senso, quando
ne mette in
questione,
ne Valuta
o ne
scopre
la
possibilit.
Sebbenelo studio sia
sempre
orientato verso
lo
spirito umano,
e l'intero sistema
porti
il titolo
significativo
L'uomo,
non
significa
affatto che Guzzo consideri Dio e
la natura come non
aventi
rapporto
con la filosofia:
piuttosto
si attiene al metodo veramente critico che consiste nel collo-
carsi nella coscienza che l'uomo ha della natura e
di
Dio,
poi
nello stu-
diare la natura nella
esperienza
e
nella scienza che l'uomo
possiede,
e
nello studiare
Dio,
prima nellesigenza
e nell'idea che l'uomo
possie-
de,
poi
nella rivelazione
positiva
che
ne riceve. Ci non
deve far crede-
re che,
per
Guzzo,
lo
spirito "ponga"
o crei la natura e Dio, come se
non sussistessero
per
se stessi;
infatti
per
lui,
"idealismo" non
ha nien-
te a che fare con "ideismo",
cos come "ideale" non
ha nulla a
che
vedere
con
il
senso corrente e comune
della
parola
"idea"; e se un
"ideismo"
pu
sostenere che
l'uomo,
che la natura e Dio si riducono
all"idea" che l'uomo ne ha, un
idealismo" che non e "ideismo" sa
benissimo che
l'esperienza
umana
"esperienza"
in
quanto
attesta
delle
esperienze
attive che le sono date da
conoscere,
cio,
da un lato,
questa
esistenza di fatto che chiamiamo "natura"
(ivi
compreso
il nostro
corpo) e, dall'altro,
l'Atto
onnipresente
e onni-
potente
di Dio>>fl6
Uagostinismo
del Guzzo viene in
piena
luce
quando egli
tratta della
verit. Per lui
come
per Agostino
veritas nzater
tcmporis.
Si esclude cos
ogni
forma di storicismo e di relativismo. Si chiede il nostro autore:
nella
ricerca,
il vero
guida
la ricerca o
la ricerca
produce
il Vero? La
verit un
prodotto
storico
(filmemporis)
o l'autricedella storia
(nmter
tcmporis)?
Per il Guzzo il vero orienta la ricerca e non nasce
da
essa,
pur
non restando estraneo ad
essa,
ma
presente
e
operante
nella coscienza
1b)
M. F.
SCIACCA,
Lafllnsoflaoggi,
Roma 1954,
2
ed,
p.
380.
Il ritorno
a
S.
Agostino
735
che si sforza di
ragionare.
Ma
qui
il
punto:
immanentenon
pu signifi-
care
identit
con
le
singole
idee, perch
nessuna
di
esse
il
vero,
bens un
vero,
come
un'azione morale
quando

doverosa, ma nessuna azione
morale il dovere. Insomma anche
qui
dualit tra le idee vere e
il
vero,
come tra le azioni doverose e il dovere: le idee vere e le azioni doveroso
sono
per
il
vero e
il dovere
e non
viceversa.

questa quell'aporia
che
il
pensiero,
che
non tale
senza
la verit ed e il
pensiero
solo se non
esso stesso la verit. Il nostro
pensiero
non
misura della
verit,
ed
vero
soltanto in
quanto
e
nella misura in cui si conforma alla verit. La
verit la
misura,
il
pensiero
il misurato.
Nelll0 e la
ragione, clopo
aver
posto
la tendenza al
vero come
la ten-
denza dell'uomo che
esprime
esattamente la
sua essenza,
e
dopo
aver
stabilitoche il
Vero

sempre presente
all'uomo
perfino
nella ricerca ch'e-
gli
ne fa,
Guzzo osserva che,
proprio perch
un
oggetto
di ricerca il
vero non
s'impone
con
la
forza, ma
gli
si
propone
(all'uomo)
chieden-
dogli
la lealt di
una sincera adesione. Cos l'uomo e
sempre
tentato di
rivoltarsi Contro
il
vero,
o di
falsarlo, ma
quando
accetta di
seguirlo
opta" per
esso.
La moralit consiste nella
scelta,
in
questa opzione.
Propriamenteparlando
io non
ho scelta n
riguardo
a ci su cui debbo
pronunziarmi
col mio
giudizio,
n sulla sentenza che il mio
giudiziopro-
nunzia nelle condizioni in cui non
pu
evitare o
differire di
pronunziarsi.
Ma lasciata tutta a me
la scelta tra accettare il
pronunziato
del mio
giu-
dizio, o
ribellarmi violentementeo
falsandolo. Violenza
e
falsit
sono
le
due forme del
male,
l'una
ribelle,
l'altra subdola. Dissociazione del
bene,
ipocrisia
e ribellione, sono
testimonianze involontarie della sua
unit. Unit inscindibiledi Verit
oggettiva
e
di sincerit
soggettiva
il
bene,
la volont buona: la ribellionerende
omaggio
alla sincerit,
sacrifi-
cando la verit contro cui
insorge; l'ipocrisia
rende
omaggio
alla
verit,
che mantienein
onore,
sacrificandola
sincerit, a cui rinunzia.
Come rileva
giustamente
Sciacca,
Guzzo si trova
perfettamente
a suo
agio
nel
piano fenomenologico:
nel riflettere criticamente sulla attivit
umana e
nel descriverne la ineludibile
problematicit,
ma
la sua ricerca
deludente sul
piano
metafisico. Infatti la soluzione dei
problemi
fon-
damentali che
riguardano
il
pensare,
l'agire
e l'essere non accessibile
alla
ragione,
ma un
dono della fede: la filosofia
(o
la riflessionecritica
sull'attivit umana)
rivela all'uomo che le
sue
"risposte"
sono
inesausti-
ve;
da
qui l'esigenza
o
l'aspirazione
all'infinito,
che solo la fede
pu
sod-
disfare. Per Guzzo scienza e
filosofia
(pur
essendo irriducibili)
hanno
in comune
l'apertura
alla
fede,
in
quanto
n l'una n l'altra
possono
rispondere
alla domanda
"perch"
esisto e
penso
ecc.,
cio hanno in
comune
l'impossibilit
di risolvere i
problemi
della metafisica e
il ri-
mando,
per conseguenza,
sulla base di
un'esigenza
dell'uomo sentita,
alla fede
religiosa.
Se la filosofia,
intesa come
riflessione critica sull'atti-
736 Parte terza
vit
umana si ferma
a
questo punto,
non ancora se stessa (o tutta se
stessa), ma solo "introduzione" al
filosofare,
che sar davvero
integrale
riflessione
e critica esauriente
quando
avr
risolto,
razionalmentee criti-
camente, quei problemi
metafisici che
(Guzzo) affida, come
problemi,
all'esigenza e,
come soluzione,
alla fede>x17
Romano Guardini
Romano Guardini e nato a Veronanel 1885 da
genitori
italiani, ma
ha
lasciato l'Italia
quando
aveva
appena quattro
anni
per seguire
il
padre
in
Germania, a
Magonza,
dove
dirigeva
il consolato
italiano;
cos com-
pie
tutti
gli
studi,
fino
all'universit,
in
Germania,
che diviene la
sua
seconda
patria.
Terminato il liceo stenta a trovare la materia a
lui
pi
congeniale.
Prova
dapprima
le scienze
naturali,
poi
l'economia
politica,
ma senza esito,
anche
perch
si sente interiormentc
travagliato
e insod-
disfatto. Finalmente
scopre
l'importanza
decisiva della
fede,
che un
capovolgimento
totale di ci che
agli
occhi del mondo conta e vale, e
decide di realizzare
questo capovolgimento
nella vita sacerdotale. Inizia
gli
studi
teologici
a
Friburgo
e
li conclude
a Bonn,
conseguendovi
l'abili-
tazione
all'insegnamento
in
teologia dogmatica
con una
dissertazione
su
S. Bonaventura. Ordinato sacerdote nel
1910,
dopo qualche
anno
di
ser-
vizio
pastorale
in una
parrocchia,
Viene destinato
all'insegnamento
nel-
l'universit di Bonn e
poi
in
quella
di Breslavia. Nel 1923 da Berlino
gli
viene offerta la cattedra di Katholische
Weltanschauung
(Cosmovisione
cattolica). In breve
tempo
il
"professore
cattolico" diviene
una
delle
figure preminenti
dell'universit di Berlino. Ma con
l'ascesa di Hitler al
potere
cominciano a
sorgere
difficolt
per
la cattedra cattolica del Guar-
dini,
che nel 1939 viene definitivamente
soppressa
dal
regime
nazista.
Caduto il nazismo ritorna
all'insegnamentoprima
a
Tubinga
e
poi,
nel
1948, a Monaco. Nel 1952
gli
viene conferito il Premio della Pace
dagli
editori tedeschi. Muore il 2 ottobre 1968.
La
produzione
letteraria del Guardini molto varia e vasta:
quasi
un
centinaio di libri
e
diverse centinaia di
articoli,
in cui tratta di letteratura
e
di
storia,
cli filosofia
e
di
teologia,
di
ecclesiologia
e
di
cristologia,
di
liturgia
e
di
morale,
di
fenomenologia
e
di
antropologia
cristiana. Al
genere
filosofico,
pi
o meno direttamente,
appartengono
le
opere
seguenti: L'opposizione polare
(Der
Gegeizsatz)
(1925);
Mondo
e
persona
(1939);
La coscienza
religiosa
di Pascal
(1935); La conversione di S.
Agostino
(1935);
Figure religiose
in
Dostojevski
(1939);
Holderlin
(1939);
Libert
grazia
e
destino
(1948);
La
fine dell'epoca
nzoderna
(1950);
La sensibilit
e
la
cono-
scenza
religiosa
(1950);
Significato
dell'esistenza in Rainer Maria Rilke
(1953).
17) Ibid,
pp.
386-387.
Il ritorno a S.
Agostino
737
Guardini filosofo,
teologo,
letterato, psicologo,
fenomenologo,
ma
anzitutto e
soprattutto
un credente,
che
vede,
legge, interpreta
e vive
intimamente tutto
quanto
incontra nella luce
penetrante
e trasfigurante
della fede. Le realt trattate da Guardini sono molteplici:
il mondo natu-
rale e
quello
storico,
il mondo
liturgico
e
quello
artistico, ma
l'occhio
con
cui considera
questo
vasto orizzonteculturale uno
solo: l'occhio del-
la fede,
che in lui fede cristiana,
pi
esattamente
fede cattolica, e
che
sa
a un
tempo
illuminarela
ragione
e
lasciarsi a sua
volta rischiarare dalla
ragione,
secondo la circolarit del
programma
agostiniano:
Credo ut
intelligam
e
intelligo
ut credam.
La notevole caratura
filosoficadel
pensiero
di Romano Guardini e am-
piamente
riconosciuta
dagli
studiosi delle sue
opere.
Secondo K. Rahner:
Guardini un
filosofodi
rango.
Infatti colui che
pensa per
amor
del-
l'uomo e
della sua
salvezza non cessa
per
di essere un
pensatore.
Al
contrario. Tanto
pi quanto
si
guardi
alla sua
interpretazione
di altri
pensatori
della storia del
pensiero
occidentale (...).
Tanto
pi quando
si
tengano
davanti
agli
occhi tutte le
importanti
analisi che
sono
state
offerte dal
Guardini,
allorch ha trattato
problemi
dell'uomo: la
per-
sona,
la libert,
il
destino,
la
natura,
la comunit,
la
cultura,
per
nomi-
nare a caso
solo
pochi
termini, senza
poter
dire
qui,
in misura ade-
guata
alla realt,
quali
vie di accesso a
tali temi eterni
dell'antropolo-
gia
ci
apra
il Guardinim
Guido Sommavilla,
che oltre che eccellente traduttore delle
opere
filosofichedel Guardini in
lingua
italiana, anche uno
dei
pi profondi
conoscitori del suo
pensiero,
afferma che
quella
del Guardini a un
tempo
filosofia
perenne"
e
"filosofiamoderna,
in
quanto
vivifica il
sistema della ricerca e
della filosofia con un nuovo
metodo (il
metodo
dell'opposizionepolare)
e nuove problematiche
(attinenti al1'antropol0
gia,
alla cultura e
alla
religione).
<<Il
punto
di vista di
tipo guardiniano
sembra,
dunque,
realmente far
progredire
la
philosophiaperennis,
sulla
quale
ottimamentes'innesta,
verso
la
comprensione
del concreto.19
spiritualmente,
nella
sua Weltanschauurtg,
Guardini intimamente e
profondamente legato
a
Platone e
ad
Agostino;
invece la
sua
metodolo-
gia degli opposti
si accorda
maggiormente
con
la
metodologia
di
Aristotele e
Tommaso. A
proposito
della teoria
dell'opposizionepolare,
Sommavillaafferma che tutto sommato,
le tre
coppie degli entraempi-
rici
guardiniani ripetono
in altra luce la visione aristotelica delle cause
materiali e formali; non
importa
se
accidentali o sostanziali,
quelle
cause
T) K.
RAHNER, Festvortrag,
in Akademische Fcier zum 80.
Geburtstag
von
Romano
Guardini, Wirzburg
1965,
pp.
26-27.
l) C. SOMMAVILLA,
La
filosofia
di Romano Guardini,
in R. GUARDINI,
Scritti
filosofici,
vol.
I, a cura
di G. Sommavilla,
Milano
l964,
p.
121.
738 Parte terza
che innalzate nella
purezza originaria
dell'atto
e
potenza
metafisici,
sono estensibili tomisticamente anche all'essenza
e all'essere, ossia alla
struttura metafisica
d'ogni
esistente finito in
quanto
tale. E
che,
purifica-
te ulteriormente da
ogni limitazione, ossia
opposizione,
ossia
potenza,
offrono
un
punto d'appoggio
per
l'elaborazione di un'idea dell'Essere
infinito,
concepito
come "Atto
puro
o "Vita di tensione
purissima
.2
Pertanto, se
innegabile,
come sottolineano la
maggior parte degli
interpreti,
la filiazione
piatonico-agostiniana
del
pensare guardiniano,

pur
vero
che il dichiaratointento dell'autoredi
procedere
verso un
pla-
tonismo concreto" lo
porta
nelle vicinanze di Aristotele. Ci
partico-
larmente evidente -
come osserva M.
Borghesi

per
una
delle nozioni
chiave della visione
guardiniana, quale

quella
di "forma
vivente",
la
cui
figura,
ritmata dalla tensione materia-forma
analoga
al concetto
aristotelico di entelecltia. Tradotta sul
piano antropologico, quesfidea
trova il
suo
corrispettivo
nel
rapporto polare
che
lega
tra di loro anima e
corpo?
Anche in
questo
caso
lanalogia
con la
posizione
aristotelica
e,
segnatamente,
con la sua
reinterpretazione
da
parte
di
Tommaso, evi-
dente. Come
giustamente
stato fatto notare:

interessante
come
Guardini, che fin dai suoi studi universitari ha
sempre privilegiato
la
filosofia di
Agostino
e Bonaventura, valorizzi
qui
invece,
per
documen-
tare la
sua visione unitaria e
integrale dell'uomo,
la concezionedell'ani-
ma
forma coriroris proposta
da Tommaso
dAquino>>.32

ancora
questa
esigenza 0rganica"
e "unitaria"
che, in sede
gnoseologica,
lo
porta
a
dare
vieppi
risalto alla
conoscenza sensibilenel
suo nesso con
quella
intellettuale. In sede
metafisica,
antropologica
e
gnoseologica,
Guardini
dimostra
quindi
di muoversi in un'orbitadi
pensiero
che
non solo affi-
ne,
ma in taluni
punti
nodali si
svolge
all'interno delle
posizioni proprie
della
corrente aristotelico-tomista. Ciononostante
se si vuole
essere esat-
ti,
si deve riconoscere che
analogie
e identit di
prospettive
sono
pi
il
frutto di
una
convergenza
in forza di
un'esigenza speculativa
di
tipo
"realista",
che l'esito deliberato
e
consapevole
di
un
ricupero
teso a
valorizzare
una determinata tradizione. Laristotelismo d'altra
parte,
come riconosce lo stesso
Sommavilla,era assai
imperfettamente
noto al
giovane Guardini,23
che solo
piuttosto
tardi
scoprir
la inseribilit
or-
ganica
dei
principi
aristotelico-tomisti nelle
proprie
strutture mentali.24
20) lbid,
p.
34.
21) Cf. M.
BORGHESI,
Rormmo Guardini. Dialettica e
antropologia,
Roma
1990,
pp.
149-
150.
27-) 5.
ZUCAL,
Uescatologia guardiniana
fra filosofia
e
teologia,
in AA.
Vv.,
La
Weltanschauwzgg
cristiana di Romano
Gmxrdini,
Bologna 1988,
p.
403, nota 11.
33) G.
SOMMAVILLA,
0p,
cit.,
p.
20.
14) Ittici,
p.
114.
II ritorno
a S.
Agostino 739
La scelta della tesi dottorale
e della dissertazione
per
la libera docenza
(Privatdozenz),entrambe
su Bonaventura, non
pertanto
occasionale. Essa
significa
che Guardini
non
ha
preso posizione a favore della neoscolasti-
ca,
n
per
Tommaso
d'Aquino,
e
neppure per
la
caratterizzazionearistote-
lica della storia culturale occidentale. La scelta del
grande teologo
france-
scano e dottore della Chiesa Bonaventura in fondo la scelta
dellantago-
nista immediatodi Tommaso.25
L'ispirazione
di fondo di Guardini tutta calamitata
verso la Trascen-
denza
come in Platone
e
Agostino;
ma l'attenzione
per
il "concreto"
(la
vita, l'esistenza, la
storia,
la cultura
ecc.) conduce Guardini
a
percorrere
lo
stesso cammino di
Aristotele
e di Tommaso.
l
grandi
fulcri
su cui si
concentra la riflessionefilosoficadi Guardini
sono tre: il mondo della
vita,
il mondo della
religione
e il mondo della
persona.
Ed stata
una riflessione
feconda,
che sfociata nella elabora-
zione della teoria
dell'opposizione polare,
nel
concetto di rivelazione
come incontro di Dio
con l'uomo nella
storia, e nella riaffermazionedel
carattere
ontologico
della
persona.
Esaminiamo brevemente
l'insegna-
mento di Guardini
su
questi
tre
punti.
IL
SISTEMA DEGLI OPPOSTl
Studiando
attentamente il mondo della
vita, Romano Guardini
sco-
pre
che
esso
possiede
delle
strutture essenziali
comuni,
precisamente
quelle
strutture che hanno
cercato di
decifrare,
seppure
con
procedimen-
ti
diversi, tutti i
grandi
metafisici: da Platone ad
Aristotele,
da Plotino
ad
Avicenna,
da S. Tommaso
a Cartesio,
da Leibniz
a
Hegel. Guardini,
avendo
acquistato,
attraverso
Scheler, familiarit
con la
fenomenologia,
la
quale
si
propone
non tanto di fornire
una
spiegazione
delle
cose
quanto
di evidenziarnele strutture
essenziali, se ne serve
per cogliere
la
trama fondamentale della realt vivente. Secondo
Guardini,
la trama
fondamentale costituita
dallbpposizionepolare
(der
Gegensatz). Egli
os-
serva che tutta la realt vivente e in
particolare
la vita
umana domina-
ta dalla realt
degli opposti.
Essa
una determinazione essenziale del-
l'uomo vivente. La
polarit appartiene
ai tratti fondamentali della vita
dell'uomo. Di
qualunque
suo fenomeno si tratti:
anatomico-fisiologico
o
emotivo
o intellettuale
o volitivo
o sociale,
sempre
la
polarit
forma
fenomenica, forma strutturale
e
operativa
della vita.26 La forma
propria
dell'unit
vivente di
essere unit di
opposti. Questa unit
non
pone
luogo
all'identit dialetticadelle contraddizioni.
La teoria
degli
opposti
non ha nulla da fare
con tutto ci. Essa
parla
di
opposizioni
non di
con-
35)
H. B. GERL, Roti-tam) Guardini. La trita c
l'opera,
Brescia
1988,
p.
97.
36) R.
GUARDINI,
L'opposizionepolare,
in Scritti
filosofici,
Milano
1964, vol.
I,
pp.
231-232.
74D Parte terza
traddizioni?La teoria
degli opposti
non
nuova
nella storia della filo-
sofia,
anzi
presente
in molti filosofi, tanto
per
fare
qualche
nome:
in
Eraclito, Empedocle,
Platone, Aristotele, Cusano,
Giordano Bruno,
Hegel
ecc.
Guardini non si
preoccupa
di mettere a confronto
la
propria
teoria con
quelle precedenti.
Ma su un
punto
vuol essere
chiaro:
l'oppo-
sizione
polare
non
ha nulla da Vedere con
la dialettica
hegeliana
dei con-
trari. Secondo Guardini,
Hegel
non
prende
sul serio
gli opposti:
non
prende
sul serio la loro
significazionepropria,
la loro
propria
consisten-
za.
Egli gioca
con
la
tragica
seriet di
questa
duplicit,
ed
egli
lo
pu
perch per
lui tutte le
significazioni
e le essenze
delle cose
diventano
monisticamente
in fondo la stessa cosamt
Al contrario vera
tensione
polare

quella
in cui mai sar
possibile
veramente derivare la struttura
dell'atto;
n il mutamento
della duratam? Ci
dipende
dal fatto che le
due
parti
opposte"
sono
essenzialmente
autoconsistenti
(eigetzstfindig)
ed esiste tra loro un
reale confine
qualitativo.
Si
pu passare
dall'una
all'altra soltanto
per
mezzo
di un atto
specifico,
d'un
sorpasso
qualitati-
vo.3

questa
secondo Guardini la
grande
intuizione di
Kierkegaard:
l'affermazione
di una
dialettica
qualitativa
con
la
quale egli
si rivolta
contro
la dialettica di nzediazione
hegeliana per
cui romanticamente
si eli-
minano tutte le distinzioni
essenziali>>.31
Nel
saggio L'opposizione
polare
(che
ha
come
sottotitolo:
"Saggio per
una
filosofiadel concreto vivente)
Guardini
presenta
in modo
organico
ed esaustivo
il suo
sistema
degli opposti.
Esso consiste
di otto
coppie
di
elementi
polarizzati,
che il Guardini suddivide in due
gruppi: opposi-
zioni
categoriali
e
opposizioni
trascendcntali. Le
opposizioni
categoriali
sono
divise a
loro volta in
irttraempiriche
e transempiriche. Complessiva-
mente le serie risultano cos
disposte:
a)
opposizioni
categoriali
intraem-
piriche:
Atto-Struttura,
informe (Pienezza,
Fiille)-Forma, Singolarit-To-
talit; b)
opposizioni
categoriali
transempiriche:
Produzione-Disposizio-
ne, Originalit-Regola,
Immanenza-Trascendenza;c) opposizioni
tra-
scendentali: Affinit-Distinzione;
Unit-Pluralit.
Qui
non
il caso
di entrare nei
dettagli
e
illustrare come
Guardini
concepisce
le
singole opposizioni.

importante
invece ritenere la distin-
zione che
egli pone
tra
opposizioni
categoriali
e
trascendentali:
le
prime
rappresentano
gli
ultimi
gradi
di universalit della
polarit,
nei
quali
la
determinazione
contenutistica
- la
qualit dell'opposizione
-
ancora
27) Ibidfi,
p.
235.
28) 11nd,,
p.
159.
3)
lbfd.
3)
Ibid.
31) Ibid, nota.
Il ritorno a S.
Agostino
741
rimane;
i
supremi gruppi qualificativi dell'opposizionepolare>>.32
Invece
le
opposizioni
trascendentali si riferiscono non a
determinati settori del-
l'essere o forme della vita bens alla
opponibilit
in
quantotalem sono
prerogative
della stessa relazione
polare,
la
quale esige
sia l'affinit sia
la
distinzione,
sia l'unit sia la
pluralit.
Le otto
coppie degli opposti
Costituiscono,
per
Guardini,
la struttura
fondamentaledella
realt,
di tutta la
realt,
la
quale pertanto
nella
sua
filo-
sofia
non altro che
un
complesso
tessuto di
opposti.
La
Weltanschauung
guardiniana
vuol
perci
essere una
completa ricognizionedegli opposti,
di tutti
gli opposti,
in modo che
nessuno
di essi
venga
esplicitamente
0
implicitamente
escluso
o misconosciuto, e allo stesso
tempo ogni oppo-
sto sia visto nel suo
rapporto
con l'altro.
Questa
visione
integrale
del
mondo,
secondo
Guardini, di fatto
preclusa
alla
ragione
umana,
che
irrimediabilmentemalata di unilateralit.
Questa
malattia si manifesta
tutte le volte che la
ragione
soccombea una
delle
componenti
dell'essere
e, assolutizzandola,
la identifica con l'essere in
quanto
tale. Per
guarire
da
questa
malattia c' un
solo rimedio: la rivelazione.
LA
RIVELAZIONE
In
Religione
e rivelazione,
Guardini fa vedere che l'esistenza dell'uomo

incompleta
senza la rivelazione divina. In linea con
la
sua teoria
degli
opposti
Guardini
esplora
le varie direzioni in cui l'uomo
pu
fare
espe-
rienza dei limiti
(Grenze)
del
proprio
essere e
dell'impossibilit
di
supe-
rarli. Si tratta di
un'esperienza
dinamica,
che induce l'uomo a una conti-
nua ricerca: un trovare e un
perdere
di
nuovo,
per
muoversi verso un
incontro
pi profondo.
La
comprensione
umana
del limite assume la
forma del desiderio di
significato
e
porta
alla
comprensione
di
un certo
contenuto
per poi
frantumare ci che si
capito,
nella ricerca di un'ulte-
riore verit. Nonostante la natura simbolica
dell'essere,
sebbene
ogni
cosa
parli
di Dio e conduca a lui, tutto rimane
indeterminato,
camuffato
e
pu perfino
confondere l'uomo nella
sua ricerca del
significato.
Solo la
manifestazioneche Dio fa di se stesso
capace
di fornire una
risposta
chiara
e risolutiva alla domanda esistenziale dell'uomo che
cerca la
verit. La rivelazione l'incontro di Dio
con
l'uomo nella storia
con tutto
ci che
questa pu
avere di
ambiguo,
di
oscuro e
di tenebroso. Assu-
mendo la natura di una
parola,
Pautomanifestazionedi Dio un esem-
pio
della sua kenosis nella storia. La
parola
di Dio
pu passare
inosserva-
ta,

soggetta
a essere fraintesa e
pu persino
destare scandalo. L'uomo
32) Haiti,
p.
150.
P6) mici,
p.
151.
742 Parte terza
deve
perci
essere
nella condizionedi riconoscere la
parola
di Dio fra le
tante
parole
e
i tanti eventi della storia.
Questo
necessario anche
e
soprattutto
nel momento in cui Dio
stesso,
in
persona,
che Viene incon-
tro all'uomo nella storia. Uincarnazione la realizzazione
perfetta
dell'in-
contro tra Dio e
l'uomo. Dio entra
personalmente
nella storia
degli
uomi-
ni cosicch Ges diviene
l'espressione
(Ausdrilck) e
l'epifania
del Dio
vivente. In
Ges,
Dio manifesta il
suo "io"
tripersonale
e le sue
disposi-
zioni
(Gesinnung)
verso l'umanit. Il Dio fatto uomo costituisce in tal
modo l'ultima
parola
di Dio. Cristo introduce
una nuova creazione, una
nuova umanit che Guardini chiama "interiorit cristiana".
LA PERSONA
Alla fine
degli
Anni
Trenta,
soprattutto per
merito di Buber e
di
Mounier,
in un
mondo filosofico
polarizzato
tra Yesistenzialismoe
il so-
cialismo,
si
inaugura
un nuovo indirizzo filosoficoche
prende
il nome
di
personalistno.
Esso si
qualifica per
il
duplice
obiettivo: difesa del valore
assoluto della
persona
(contro
il
socialismo) e
affermazione del vincolo
sostanziale che unisce la
persona
alla comunit
(Contro
Tesistenziali-
smo).
Guardini
figura
tra i massimi
esponenti
del
personalismo,
a cui ha
dato
un
importante apporto
con
il
saggio
Mondo
e
persona.
Dopo
avere
trattato nella Prima Parte del mondo
naturale,
nella Seconda l'autore
affronta il tema della
persona,
la
quale
viene studiata da tre
punti
di
vista: in se stessa,
in
rapporto agli
altri e in
rapporto
a Dio.
Vista in se stessa la
persona,
secondo
Guardini,
risulta Costituita di
quattro
elementi fondamentali:la forma,
la
vita,
la
psiche,
la sussistenza.
La
persona
possiede
anzitutto una unit di struttura e
di funzioni
(
ci
che Guardini chiama
forma).
In secondo
luogo,
la
sua unit di struttura
determinata dal
suo centro.
Questo
centro non
spaziale
ma
vitalc.34
Questo significa
che Yautoedificazione
dell'organismo
nasce
da un'in-
teriorit che si
distingue
dal mondo esterno.35 Terzo elemento costituti-
vo essenziale della
persona
la
psichicit,
le cui manifestazioni
princi
pali
su cui si sofferma Guardini sono
la
coscienza,
la
volont,
la cultura
e la libertfi Ultimo e
allo stesso
tempo
massimo elemento costitutivo
della
persona
la sussistenza:
questa
assicura alla
persona
il
pieno pos-
sesso
di
se stessa mediante
l'integrit
e inviolabilit
ontologica.
la
pre-
rogativa
che lindividuo ha di essere
in s e
di
disporre
di
se stesso.
34)
R.
GUARDINI,
A/Iondo e
persona,
in Scritti
filosofici
il, cit.,
p.
73.
lbid, p.
74.
3o)
Cf.
zbzd,
pp.
75-79.
Il ritorno a S.
Agostino
743
"Persona"
significa
che
i0,
nel mio
essere,
in definitiva non
posso
venir
posseduto
da nessun'altra
istanza, ma che mi
appartengo
(...).
Persona
significa
che io non
posso
essere
abitato da
nessun altro, ma che in
rap-
porto
a
me,
sono solo con me stesso; non
posso
essere abitatoda
nessun
altro, ma io sono
garante per
me;
non
posso
essere sostituito da
nessun
altro, ma sono unico - il che resta fermo anche
se la sfera di riserva viene
fortemente
guastata
da intrusioni ed esteriorizzazioni>>.37
Vista in
se stessa la
persona gode
di
una straordinaria
Completezza
e
c1ausura"
ontologiche.
Ma
questo
non
giustifica
la celebre definizione
leibniziana dell'anima come monade senza
porte
e senza finestre. In
effetti la
persona
trascende se stessa in due direzioni:
verso
gli
altri e
verso Dio. Studiando la
persona
nel suo
rapporto
con
gli
altri Guardini
fa vedere che tale
rapporto
diviene
positivo
e contribuisce alla realizza-
zione della
persona
soltanto
se viene inteso come
rapporto dialogica,
ossia
come
rapporto
lo-Tu.
Ora,
l'altro diventa
un tu
per
me,
solo se cessa la
pura
relazione di
soggetto-oggetto.
Il
primo
passo
verso il tu
quel
movimentoche ritira le mani e liberalo
spazio
in cui
possa
avere libe-
ro corso laut0finalismodella
persona.

quel
moto che
rappresenta
il
primo
effetto della
giustzia
e il fondamento di
ogni
"amore. L'amore
personale
comincia in maniera decisiva
non con un movimento verso
l'altro
ma
da l'altro. Nello stesso istante si inverte anche il mio
atteggia-
mento. Nella misura in cui io consento a colui,
che
prima
consideravo
come
oggetto, l'atteggiamento
dell'io
emergente
dal suo
proprio
centro
e lascio che diventi il mio
Tu,
trapasso
anch'io
dall'atteggiamento
del
soggetto
utilitarista
o faziosoin
quello
delllo.38
Considerando la
persona
in
rapporto
a Dio,
Guardin fa vedere che il
suo
rapporto
con Lui
ancora
pi importante
e
fondamentaledi
qualsia-
si altro
rapporto.
Senza
Dio, infatti,
la
persona
finita
non
possibile.
Non solo
perch
Dio mi ha creato e solo in Lui trovo l'ultimo
significato
della mia
vita, ma
perch
io sussisto solo in
rapporto
a Lui. La mia
perso-
na,
nei suoi elementi
umani, non
completa
al
punto
che
possa porre
il
suo tu in
Dio, ma
possa
anche rinunciarvi o rifiutarlo, e rimanere
ancora
persona.
L'essere del mio io consiste invece
per
essenza nel fatto che Dio
e il mio Tu.39
Approfondendo questo
tema Guardini fa Vedere che la
persona esige
una
triplice
fondazionein Dio:
ontologica (perch

finita),
assiologica (perch
un valore
assoluto),
personale (perch
un io).
37)
ibid,
pp.
79490.
33)
Ibia,
p.
88.
39) Hard,
p.
94.
744 Parte terza
Fin
qui
il discorso sulla
persona
ha carattere
squisitamente
filosofico.
Nella
parte
conclusiva del
saggio
Mondo e
persona
Guardini
approfondi-
sce lo studio della
persona
in
rapporto
a Dio anche dal
punto
di vista
teologico:
il
rapporto
nuovo
che si realizza
per opera
di Cristo e con
l'inserimento della
persona
in
Lui,
grazie
al
quale
la
persona
acquista
un centro nuovo e una
forma nuova
di esistenzawl
Il
rapporto
io-tu,
di cui
sopra
s'
parlato
e
da cui la
persona
umana
deriva la sua ultima definizione, non si
rivolge semplicemente
a
"Dio, ma
al Dio uno e trino. Si inserisce nelle relazioni in cui il Cristo
sta in ordine al Dio uno e
trino. Il
rapporto
iotu dell'uomo con
Dio
consiste nel
non-compimento
del
rapporto
con Dio del Cristo. Il Tu
vero e
definitivo il Padre.
Quello
che dice veramente al Padre Tu"
il
Figlio.
Diventare cristiani entrare nella esistenzialit del Cristo.
L'uomo rinato nel Cristo dice Tu" al Padre in
quanto gli
concesso
di
prender parte
al "Tu" del
Figlio. Egli
non
dice Tu al Cristo in
senso ultimo e
definitivo. Non si mette di fronte a lui, ma cammina
insieme con lui,
"10
segue.
Entra in lui
e
compie
con lui l'incontro
(m). Lo colloca di fronte al Padre e lo rende idoneo a
pronunciare
il
genuino
Tu.
Questa
la
prospettiva
da cui
dipende
in ultima istan-
za la
personalit
cristiana, e da cui
quanto
s' detto fin
qui
riceve
l'impronta
definitivam
Da
quanto
siamo andati
esponendo
risulta che
quello
di Guardini
un
personalismo
comunitario,
teocentrico e trinitario e si dovrebbe
aggiungere,
ecclesiocentrico,
perch
nella Chiesa che la
personalit
cri-
stiana
consegue
la consacrazionee la realizzazione,
completa,
definitiva
e
conclusiva.
40)
Ibid.,
p.
101.
41) Ib1d.,
pp.
105-106.
ll ritorno a S.
Agostino
745
Suggerimenti bibliografici
Mentre su Cuardini esiste una
cospicua
letteratura,
poco
stato scrit-
to su Sciacca e su Guzzo,
specialmente
sul
secondo,
che attualmente
quasi completamente ignorato.
Ecco un elenco dei
pi importanti
studi
su
questi
tre filosofi.
SCIACCA
AA.
VV.,
Michele Federico Sciacca (1938-1968),
Milano 1968.
G.
GIANNINI,
La
filosofia dellfiiztegralita.
Il
pensiero
di M. F. Sciacca nei suoi
nzomenti essenziali e nel suo
fondamento ontologico-nzetafisico,
Milano
1970.
A.
NEGRI,
Dallattualismo
allafilosofiadellntegralita, Bologna
1963.
P. P.
OTTONELLO,
Bibliografia
di M. F. Sciacca (dal 1931 al
1968),
Milano
1969.
F.
PERCIVALE,
M. F. Sciacca e il rosmirzianeisnio,
Genova 1987.
Cozzo
F. P.
ALESSIO,
Stadi sul
neospiritualismo,
Milano
1953,
pp.
55-88.
L.
BOTTANI,
L'0ceano delle
forme
e
l'interpretazione.
Elementi della teoria del-
larte di A.
Gazzo,
in Filosofia39
(1988),
pp.
155-165.
P.
FERRARI,
Augusto
Gazzo e
l'idealismo.
Originalit
di
una
posizione,
in
Sapienza
41
(1988),
pp.
39-54.
A. PLEBE-M. F. SCIACCA-L. PAREYSON-V. MATHTFU-E. ARLAND],
Augusto
Gazzo,
Torino 1954.
M. F.
SCIACCA,
La
filosofiaoggi,
Milano
1954,
V01.
Il,
pp.
374-387.
GUARDINI
A.
BABOLIN,
La
filosofia
dellalterit,
2
v0ll.,
Bologna
1968-1969.
H. U. v. BALTHASAR,
Romano Guardini:
riforma
delle
origini,
Milano 1970.
M.
BORGHESI,
Romano Gaardirzi: dialettica
e
antropologia,
Roma 1990.
H. B.
GERL,
Romano Cuardini: la vita e l
opera,
Brescia 1988.
A. L.
QUINTAS,
Romano Gaardini
y
la dialectica de lo
vivente,
Madrid 1966.
G.
SOMMAVILLA,
La
filosofia
di Romano Gaardim,
in R.
GUARDINI,
Scritti
filo-
sofici,
V01.
I,
Milano
1964,
pp.
3-121.
S.
ZUCAL,
Romano Gaardini e la
metamorfosi
del
fireligioso
tra moderno e
post-nzoderno,
Urbino1990.
746
ANALISI
LINGUISTICA,
ERMENEUTICA E METAFISICA
Nonostante la
sua sostanziale antimetafisicitil Novecento non stato
completamente
alieno alla metafisica. Come abbiamo
potuto
vedere nei
precedenti capitoli,
in
questo
secolo ci sono stati
significativi
ritorni sia ai
grandi
metafisici
dell'antichit, come Parmenide, Platone, Aristotele, sia
ai metafisici cristiani del
medioevo,
Agostino
e Tommaso, e c' stata
soprattutto
la
riscoperta
della metafisica di Tommaso
per opera
del
neo-
tomismo.
Per,
un
fatto
innegabile,
che nella
grande
fiumanadella filo-
sofia del
Novecento,
la
ripresa
della metafisica stata oscurata e
quasi
travolta da altre correnti ben
pi
note e
pi
robuste,
quali
il
ne0positivi-
smo,
lo
storicismo,
il
pragmatismo,
Pesistenzialismo,
il
marxismo,
lo
strutturalismo, tutti indirizzi filosofici
profondamente
antimetafisici, e
per questo
motivo di essi non si fatta
parola
nel nostro studio.
Meritano invece una considerazione
a
parte
l'indirizzo
linguistico
e
la
nuova ermeneutica,
perch pi
che di due sistemi si tratta di due
metodi,
che in
quanto
tali non sono necessariamente
antimetafisici, ma
possono
associarsi alla metafisica come suoi
alleati,
anche
se
poi,
di
fatto, sono stati
quasi sempre presentati
come alternativi alla metafisica.
L'obiettivodel
presente capitolo
non
quello
di ricostruire la storia
di
queste
due
importanti
correnti
filosofiche, ma
semplicemente
di ana-
lizzare
quali
sono stati e
quali possono
essere i
rapporti
dellana1isi lin-
guistica
e
della ermeneutica con
la metafisica.
L'analisi
linguistica
e
la metafisica
L'analisi
linguistica
sorta con intenti
apertamente
antimetafisici. In-
fatti la svolta
linguistica"
nata dal convincimento che l dove non
erano riusciti i
precedenti
filosofi
con lo studio dell'essere
oppure
con la
critica del
conoscere,
avrebbeavuto una
miglior
sorte una ricerca filoso-
fica condotta mediante l'analisi del
linguaggio.
In realt l'indirizzo
linguistico
ha avuto due fasi: la
prima, quella
del
neopositivismo"
o
positivismo logico
caratterizzatada un
chiaro
e
categorico
rifiuto della
metafisica;
la
seconda,
che ha
preso
il
nome
di
analisi
linguistica",
assume invece un
atteggiamento
meno ostile alla
metafisica, e non
pretende pi
di
prendere
il suo
posto.
Analisi
linguistica,
ermeneuticae
metafisica
747
LANTIMETAFISICITDEL CIRCOLO DI VIENNA
La svolta
linguistica"
della
filosofia
trova la
sua
prima grande
fase
nel Circolo di Vienna (Wienerkreis).
E
proprio qui
che ha avuto
luogo
la
nuova
rivoluzione
copernicana
della
jlosofia:
mentre la rivoluzione
coper-
nicana di Kant aveva cercato di risolvere i
problemi
filosofici mediante
la critica della
conoscenza,
la rivoluzionedei viennesi cerca
la soluzione
dei
problemi
filosoficinello studio,
nell'analisi e nella critica del
linguag-
gio.

su
questo punto
che si trovano tutti d'accordo i membri del Kreis:
L.
Wittgenstein,
M.
Schlick,
R.
Carnap,
O.
Neurath,
V. Kraft,
F. Waismann
ecc. Questi
studiosi
provenivano
tutti dalle scienze
empiriche
o dalle
matematiche, e nei loro incontri si resero conto che la
questione
del lin-
guaggio
era una
questione
di
capitale importanza:
era
fondamentalesta-
bilire
quando
il nostro
linguaggio
ha carattere
empirico,
scientifico e
non
semplicemente
emotivo,
vale a dire
quando esprime
concetti e non
sentimenti,
quando
descrive stati di fatto e non stati
soggettivi.
Essi si
trovarono finalmente d'accordo nellassumere come
criterio la
verifica
sperimentale.
Secondo tale criterio sono
cognitive,
ossia scientifiche le
proposizioni
che
sono
traducibili in asserti che,
in
definitiva,
possono
essere constatati con
i sensi. Assunto il criterio della verifica
sperimenta-
le i viennesi trassero la
logica conseguenza
che tutte le
proposizioni
metafisiche
(come
pure
le
proposizioni
dell'etica,
della estetica e
della
religione)
sono inverificabili,e
che
pertanto
la metafisica non
pu
essere
una scienza, ma una
raccoltadi affermazioni fantastiche
e insensate.
Ecco alcune dichiarazioni molto
esplicite
a
questo proposito
di
Wittgenstein
e
di
Carnap,
che
sono stati i due
pi
autorevoli
esponenti
del Wicnerkreis.
Ludwig Wittgenstein
(1889-1951)
nel suo celebre Tractatus
logicus-phi-
Zosopliczis
(1921),
opera divenuta
celebre
per
la sua forma ermetica e
suggestiva,
scrive: ll
vero
metodo della filosofia sarebbe
propriamente
questo:
nulla dire se non
quello
che
pu
dirsi cio le
proposizioni
scien-
tifiche
qualcosa dunque
che
non concerne
affatto la filosofia; e
ogni-
qualvolta
uno
volesse
proferire
alcunch di
metafisico,
dimostrargli
che
nelle Sue
proposizioni egli
non
ha dato
significato
a certi
segniw
In
que-
ste tre
righe
si
trovano,
lucidamente
espressi,
i tre canoni fondamentali
del
neopositivismo
o
positivismologico.
Essi sono: a)
i
problemi
filosofi-
ci
possono
essere
risolti
con la sola analisi del
linguaggio
(il vero meto-
do della filosofiasarebbe
propriamente questo);
b)
solo le
proposizioni
sperimentali
o fattuali o
scientifiche hanno
senso (nulla
dire se non
quello
che
pu
dirsi;
cio le
proposizioni
scientifiche); C)
le
proposizio-
ni della
metafisica, come
quelle
dell'estetica,
della morale e della
religio-
l)
L.
WITTGENSTEIN,
Tractatus
logico-philosoplzicus,prop.
6.53.
748 Parte terza
ne sono
prive
di
contenuto,
in
quanto ogni
contenuto
proviene
dalla
esperienza e, perci,
sono
prive
di
senso
(ogniqualvolta
uno volesse
proferire
alcunch di
metafisico,
dimostrargli
che nelle sue
proposizioni
egli
non
ha dato
significato
a certi
segni).
La radicale anti metafisicit di
questa prospettiva
viene ribadita da
Wittgenstein
in unaltra
proposizione
del
Tractatus,
dove si dice: La
maggior parte
delle
proposizioni
e delle
questioni
che
sono state scritte
in materia di filosofianon sono false ma insensate. A
questioni
di
questo
genere, perci,
non
possiamo
affatto
rispondere,
ma solamente stabilire
la loro insensatezza. La
maggior parte
delle
questioni
e
proposizioni
dei
filosofi derivano dal fatto che
non
comprendiamo
la
logica
del nostro
linguaggio.
(Esse sono della
specie
della
questione,
se
il bene sia
pi
o
meno identico al
bello).
N
meraviglia
che i
problemi pi profondi
pro-
priamente
non siano
problemi!
Com'
noto,
c' anche
un Secondo
Wittgenstein, quello
delle Ricerche
filosofiche.
Ma in
quest'opera,
pur
modificando
profondamente
la
sua
concezione del
linguaggio

passando
dalla teoria del
linguaggio spec-
chio delle
cose,
alla teoria del
linguaggio
come un insieme di
"giochi"
(Sprachspieie)
- Yantimetafisicit di fondo resta inalterata: il suo
giudizio
sulla metafisica continua a essere
pesantemente negativo.
La metafisica
rimane
per
lui un insieme di stati
patologici
della mente.
Compito
della
filosofia
portare
alla luce
questi
stati,
queste
malattie della
mente,
de-
scriverle
e,
in tal
modo,
superarle.
Il lavoro del filosofo simileal lavoro
di colui che si industria
a indicare alla mosca la Via d'uscita dalla botti-
glia
in cui caduta!
Rudolf
Carnap
(1891-1970)
d un
taglio
antimetafisico ancora
pi
netto alla
sua "costruzione
logica
del mondo. In un
celebre
saggio
inti-
tolato:
Superamento
della
nzetafisica
mediante l'analisi
logica
del
linguaggio}
Carnap
afferma recisamente che
compito
della filosofia
non
quello
di
costruire
teorie, sistemi, ma di elaborare un metodo,
il metodo dell'ana-
lisi
logica
o
linguistica e,
con
esso, vagliare
tutto
quanto
viene affermato
nei vari
campi
del
sapere.
Tale metodo ha
una
duplice
funzione:
togliere
di
mezzo le
parole prive
di
significato
e cos
pure
le
pseudo-proposizio-
ni,
chiarire i concetti e le
proposizioni
aventi
significato,
per
dare una
fondazione
logica
alla scienza
sperimentale
e alla fisica.5
Per
Carnap
la domanda cui si deve
rispondere prima
di affrontare
qualsiasi problema
filosofico la
seguente:
In che
cosa consiste il
signi-
2) lbid,
prop.
4.003.
3) Cf. L.
WITTGFNsTEIN,
Pliiiostiphicai lnvestigatians,
New York
1953, 1m. 113 e 309.
4)
R.
CARNAI,
Ueberuindung
der
Metrzplzysik
durch
[agisci-re Analyse
di?!
Sprachc,
in Erkenntnis 11 (1931-1932),
pp.
236 ss.
5) Cf.
ihicL,
p.
236.
Analisi
linguistica,
ermeneuticae
metafisica
749
ficato di una
parola,
di una
proposizione?
A suo
giudizio
la
risposta
non
pu
essere
che
questa:
Il
significato
di una
proposizione
sta nel
metodo della sua
verifica.
Perci, una
proposizione,
se
significa qualco-
sa, pu significare
soltanto un
dato
empirico.
Qualcosa
che
per princi-
pio,
fosse al di l dello
sperimentabile
non
potrebbe
n essere
detta n
pensata
n
posta
in
questionew
Il metodo della verifica consiste
pertan-
to nel tradurre la
proposizione
di cui si vuole determinare
il
significato
in una
serie di
proposizioni
sperimentali.
Quando
una
proposizione
non
traducibilein
proposizioni
di carattere
empirico
(...) non
e affatto
un'asserzone: non
dice nulla; non altro che una
serie di
parole
vuote;

semplicemente
senza senso>>.7
Applicando
il
principio
della
verifica sperimentale
ai diversi
tipi
di lin-
guaggio
in uso nei vari
campi
della cultura,
Carnap giunge
alla conclu-
sione,
gi
enunciata
da
Wittgenstein,
che soltanto il
linguaggio
scientifi-
co
(quello
cio delle scienze
sperimentali)
ha
significato
teoretico;
men-
tre il
linguaggio
metafisico, etico,
religioso,
estetico, letterario,
pu
avere
soltanto un
significato
emotivo.
Con
questa
filosofiadel
linguaggio
crolla ovviamente e
volutamente
anzitutto la metafisica e
poi,
non meno rovinosamente,
anche la
religio-
ne.

impossibile
- dichiara
Carnap

ogni
metafisica che
voglia
inferire
il trascendente,
cio ci che
giace
al di l
dell'esperienza, dall'esperienza
stessa (...).
Non c' affatto una
filosofia come teoria, come
sistema di
proposizioni
con
caratteristiche
proprie,
che
possano
stare accanto a
quelle
della scienzamfi

pertanto
impossibilequalsiasi
visione del
mondo che abbiala
pretesa
di essere
l'ultima
risposta
all'ultima doman-
da,
che
voglia
fornire la chiave risolutiva dei cosiddetti
problemi
ultimi:
esistenza di
Dio,
immortalit dell'anima, una norma
assoluta
dell'agire,
senso
della storia. Anche la
religione

priva
di
qualsiasi
fondamento
teoretico. Di
questa,
come
della metafisica,
Carnap
dice che solo una
mediocre
espressione
del sentimento vitale.
Ben
presto
le tesi
linguistiche
del
neopositivismo
risultarono eccessive
e
suscitarono una
decisa e vasta reazione,
particolarmente
in
Inghilterra.
Filosofi autorevoli,come
C. E. M.
Ioad,
C. I.
Lewis,
A. C.
Ewing,
G.
J.
Warnock,
si schierarono contro il
positivismo logico"
e ne
misero in
evidenza la
superficialit
e le contraddizioni interne. Mostrarono
che il
principio
di verificazione, nonostante tutti i suoi meriti,
autoconfmddit-
torio
(in
quanto
un asserto non verificabile)e
criptometafsico
(in
quanto
aprioristicamente, categoricamente
e
immotivatamente
esclude dall'am-
bito del "sensato
proposizioni
come
quelle
etiche,
quelle
metafisiche e
6)
Ibd.
7)
R.
CARNAP, Philosophy
and
logica!
Sintax,
London 1935,
pp.
13-14.
5) ID., Ueberwirtdung
der
Metaphysikm,
cit.,
p.
240.
750 Parte terza
quelle religiose,
senza chiedersi
se
per
caso il
concetto di "senso
ammetta
pi
sensi" e non solo
quello
della
scienza)
ed
incapace
-
essendo induttivistico di dar conto
degli
assetti universali delle teorie
scientifichcfl
Ha cos inizio la seconda fase della svolta
linguistica"
che
questa
volta ha
come centri
principali
le universit di Oxford
e di
Cambridge.
JAPERIUIQA
METAFISICADEGLI ANALISTI INGLESI
A
partire dagli
Anni
Cinquanta,
sotto
l'impulso
di
Wittgenstein
e
Carnap,
si
sviluppa
in
Inghilterra
quel
movimento filosofico che
va
sotto il
nome di analisi
linguistica (Lingziistic Analysis).
Come si detto i
suoi centri
principali
furono
Oxford,
con].
L. Austin
(1911-1960), G.
Ryle
(1900-1978), P. F. Strawson
(1919), e
Cambridge con].
T. Wisdom
(1904).
Gli analisti
inglesi
fanno
propria l'impostazionelinguistica
del filoso-
fare assunta dai filosofi del
Wienerkreis, e di
conseguenza respingono
la
concezione tradizionaledella
filosofia,
che
assegnava
a
questa
il
compi-
to di studiare
una
sfera della realt diversa da
quella
delle altre scienze.
A loro avviso il
suo
compito
non
acquisire
nuove informazioni
su
qualche
realt
speciale, trascendente,
soprannaturale,
bens chiarire
quanto

gi
conosciuto in maniera diversa.
Cos,
per esempio,
tutti
sap-
piamo
che ci
sono relazioni causali
(che il fuoco
brucia,
che
l'acqua
bagna,
che la
gallina
fa l'uovo
ecc.); non certo il filosofo
a
scoprirle
per
primo.
Ma
conoscere i
rapporti
causali
una
cosa, e intendere il
signifi-
cato della
proposizione
A causa di B un'altra.
Questo

compito
del
filosofo. Tutti i
problemi
della
filosofia, secondo
gli
analisti
inglesi,
pos-
sono e devono
essere studiati in chiave
linguistica:
quelli psicologici
come
quelli metafisici,
quelli
etici
come
quelli religiosi.
ln tal modo si
hanno cambiamenti
importanti
nella
problematica
filosofica.
Cos,
per
esempio,
il
problema degli
universali diviene il
problema
della
possibi-
lit dell'uso di termini astratti
come i nomi
propri;
il
problema
della
legge
morale divieneil
problema
della
logica
delle
proposizioni impera-
tive;
il
problema
dell'essere si risolve nel
problema
delle
proposizioni
esistenziali. In altre
parole,
i
problemi
filosofici
sono
problemi
del
signi-
ficato di certi termini.
Mentre i
neopositivisti,
assumendo come criterio di
significazione
il
principio
di
vetrificazione, avevano etichettato i
problemi
della metafisi-
ca come stati
patologici
della
mente,
gli
analisti
cercano un nuovo e
pi
9) ll
principio
di verificazione una
proposizione
di metafisica
c, quindi,
se si
deve credere al
positivismo logico, priva
di
senso (C. E. M.
IOAD,
A
Critique of
Logica! positivism, Chicago 1950,
p.
71).
Analisi
linguistica,
ermeneuticae
metafisica
751
ampio
criterio di
significazione
in
grado
di
sceverare
l'esatto
significato
che
una
parola possiede
nei diversi
giochi linguistici.
Per su
questo
punto
essi non
hanno
raggiunto
una
soluzione unanime. Alcuni
voglio-
no
che la funzione di criterio
spetti
al
linguaggio
ordinario (di
tutti i
giorni)
e
perci concepiscono
la filosofia
come una
indagine
sul
parlare
comune.
Altri invece affidano ia funzione di criterio a un
linguaggio
speciale, regolato,
istituzionalizzato. Per
linguaggio regolato
essi
intendono
qualsiasi linguaggio
che sia usato con un
corredo sufficientee
appropriato
di
regole.
Secondo
gli
analisti di
questo gruppo,
l'analisi
filosoficaha il
compito
di verificare se
nell'analisi dei Vari
linguaggi
(etico, estetico, metafisico,
religioso
ecc.) ci si mantenuti alle
regole
che
li
governano,
e
inoltre di vedere se e
per
quali ragioni
le loro
regole
sia-
no
difformi da
quelle
del
linguaggio regolato")
G.
Ryleassegna
alla ricerca filosofica
un
duplice compito:
eliminazio-
ne
degli
errori ed elaborazione di una certa
geografia logica.
E
rag-
giunge
il secondo obiettivo realizzando il
primo,
escludendo, cio,
il
cosiddetto "errore
categoriale,
il
quale
consiste
nellassegnare
un con-
cetto a una
categoria logica
a cui non
appartiene,
e ci
equivale
alla vio-
lazione dell'uso del
linguaggio.
La
causa
di
questi
errori da ricercarsi
non
nella
incapacit
di
usare i
concetti, ma nel fatto che
se ne
ignorano
le
regole
d'uso.
L'indaginelogica
intorno al
linguaggio
,
perci,
lo stru-
mento
pi
efficace
per
smascherare
gli
errori
categoriali.
Altra funzione
positiva
che
Ryle
assegna
alla filosofia determinare
gli
intrecci di
tutta la
galassia
di idee che
appartengono agli
stessi
campi
o a
campi
contigui
a
quelli
dei
singoli
concetti che
prende
in
esame.
Cos
facendo,
essa
stabilisce
mappe
dettagliate degli
usi dei
concetti,
dando
luogo
a
una
geografia logica.
Mentre anche Aristotele
assegnava
il
primo compi-
to alla
logica,
a suo
giudizio
il secondo
compito,
tracciare
mappe
detta-
gliate
dell'uso dei concetti
primari, spetta
alla metafisica. Per
questo
motivo
egli
dedica
un intero libro della
sua
Metafisica
alla classificazione
degli
usi di termini come
principio,
ente, sostanza", accidente",
"identit", "relazione", essenza, causa,
potenza", privazone",
"passione, "disposizione",
ecc.
Iohn
T. Wisdom stato il massimo
esponente
dell'analisi
linguistica
nell'universit di
Cambridge. Egli
afferma che i
problemi
metafisici
non
concernono
i fatti
e
quindi
non
si risolvono mediante l'osservazione
della realt. Tuttavia i
paradossi
metafisici
non sono
inutili. La loro
pre-
tesa di andare oltre ci che si manifesta ai sensi
priva
di
fondamento,
per
rivela certi nessi e certi
rapporti
strutturali del reale che
per
lo
pi,
m) Cf.
I.
O.
URMSON,
L'analisi
filosofica. Origine
e
sviluppo
della
filosofia
analitica,
Milano1966.
H) Cf.
ARISTOTELE,
Metafisica,
libro V
(Delta).
752 Parte terza
anche allbsservatore
pi
attento, sono nascosti. Gli enunciati dei metafi-
sici, invero,
riconosce
Wisdom,
contengono sempre penetranti sugge-
stioni". Sulla
questione
- dibattutissima nel mondo accademico
inglese
negli
Anni
Cinquanta
e Sessanta - Wisdom intervenne con un
celebre
saggio
intitolato G0ds (= Dei),12
in cui mostra che la differenza tra teisti
e atei non
semplicemente
differenza di sentimenti e
di
atteggiamenti
emotivi di fronte al mondo. Sia il teista sia lateo
cercano
di
scoprire
nel
mondo modelli di strutture che
fungano
da
sostegno
del
proprio punto
di
vista;
il che costituisce un
procedimento empirico,
bench
probabil-
mente non conclusivo.
P. F. Strawson ha elaborato
una
metafisica
descrittiva.
Questa,
sulla scia
di
quanto
hanno fatto in alcuni scritti Aristotele
e Kant,
intende limitarsi
a mostrare come siano tra di loro
legate
le
categorie
fondamentali del
pensiero
e come
queste
si
colleghino
alle nozioni
formali,
quali
esisten-
za, identit, unit".13 Strawson ha dato
un
esempio
di metafisica de-
scrittiva nel suo volumeIndividuals: An
Essay
in
DescriptiveMefaphysicsfl!
dove
analizza, esattamente descrivendolo,
il concetto di individuo. Si
tratta,
in
breve, e in un certo
senso,
di
un ritorno
a
un'analisi
categoriale
di
tipo
kantiano effettuata
con
gli
strumenti
approntati
nell'arsenale del
Secondo
Wittgenstein.
Alla filosofia analitica ha
prestato grande
attenzione,
considerandola
un
possibile
alleato
e non necessariamente un nemico della metafisica e
della
religione,
il
vescovo
anglicano
lan T.
Ramsey
(1915-1972)
che fu stu-
dente
e
per
qualche tempo
anche
professore
a
Oxford. Fondamentale il
suo
volumeIl l
inguaggio religioso
(1957). Contro i
neopositivisti
e
gli
ana-
listi
atei,
i
quali
con criteri semantici assolutamente
unilaterali,
preten-
devano di ridurre la metafisica al
nonsenso e
la
religione
e
il
suo
lin-
guaggio
alla tenebrosa sfera della
emotivit,
Ramsey
si dedicato con
grande impegno
a
Verificare tali
pretese
e a
smentirle mostrando che
anche nella
religione
e
nel
suo
linguaggio
esiste una
buona dose di
ra-
zionalit,
per
la
quale
non mancano
appropriati
criteri di verifica.
Ramsey parte
dal
presupposto
che la
religione
scaturisce da fatti che
Vengono percepiti quasi
in una Wlluminazitme,
che
ne
determina
ap-
punto
la
religiosit.
A tali situazioni si
accompagna
un
linguaggio
ade-
guatamente
"strano la cui funzione
proprio quella
di
essere
"veicolo
di tale illuminazione.Ma anche
per
la
religione
e
il
suo
linguaggio

pos-
sibile
un controllo,
cos da verificarne le
pretese cognitive (cognitive
cluims). Ovviamente non
possibile
reclamare
queste prestazioni
dalla
12) Cf.
j.
T.
WISDOM, Gods,
in
Philosophy
and
Psyclzo-analysis,
Oxford 1953,
pp.
148-168.
13) Cf. P. F.
STRAWSON, Analyse,
Science et
Mtaphysique,
in AA.
Vv.,
La
philosophie
analytique,
Paris
1962,
p.
115.
14) ID.,
lndividuals: An
Essay
in
Descriptive Metaphysics,
London 1959.
Analisi
linguistica,
ermeneuticae
metafisica
753
scienza,
dall'etica
e dall'estetica. L'unica
disciplina
in
grado
di
farlo,
secondo
Ramsey,
la metafisica la
quale
assolve il
suo
compito
mostran-
do che "Dio non una
parola
vuota, ma un termine che
funge
da "inte-
gratore" supremo per
la sistemazionecosmica"
(COSTHC
mapping)
di
ogni
esperienza.
La metafisica
pu
evocare
la coscienza di Dio in veste di
su-
premo integratore
di
ogni esperienza,
ricorrendoalle
prove"
tradiziona-
li della
sua esistenza.
ALTRIESPONENTI DELLA FILOSOFIA ANALITICA
E LE LORO VALUTAZIONIDELLA METAFISICA
La via"
linguistica
del filosofare stata
percorsa
oltre che dai
neop0-
sitivist viennesi
e
dagli
analisti
inglesi,
anche da molti altri filosofi, tra
cui meritano una citazione
particolare
l'austriacoKarl
Popper,
l'america-
no Paul Van Buren e
l'italianoDarioAntiseri.
Qui
li ricordiamo in
quan-
to trattando della metafisica hanno
espresso
giudizi parzialmente
favo-
revoli nei suoi confronti. -
Karl
Popper
(1902-1994) stato anzitutto e
soprattutto
un
grandissi-
mo
epistemologo
e con le sue teorie
egli
ha contribuito in modo decisivo
all'abbattimento della dittatura della scienza e
del
dogma
della
sua
infallibilit.Il
suo
approccio
al valore delle teorie scientifiche stato
sostanzialmente
quello
dell'analisi
linguistica,
dove si
guadagnato
una
enorme
celebrit sostituendo il criterio della Verifica
sperimentale
del
Wienerkreis
con
il criterio della
falszflcabilit.
In
breve,
questo
criterio stabi-
lisce che
una teoria
pu
considerarsi scientifica soltanto
se
soddisfa
a
due condizioni:
a) essere falsificabile,
ossia
poter
venire smentita o con-
traddetta in linea di
principio;
b) non essere ancora stata trovata falsa di
fatto. Scrive
Popper: Ogni
volta che
uno scienziato
pretende
che la
sua
teoria sia sostenuta
dall'esperienza
e dalla osservazione dovremmo
por-
gli
la
seguente
domanda: Puoi descrivere
una
qualsiasi
osservazione
possibile
che, effettivamente
compiuta,
confuterebbe la tua teoria? Se
non
lo
puoi,
allora chiaro che la teoria non
ha il carattere di
una teoria
empirica;
infatti
se tutte le osservazioni
concepibili
vanno
d'accordo
con
la tua
teoria,
allora
non
hai il diritto di
pretendere
che
una
qualsiasi
osservazione
particolare
offra
un
sostegno empirico
alla tua teoria.
Oppure,
per
dirla
pi
in breve: solo
se
puoi
dirmi in
qual
modo la tua
teoria
possa
essere
confutata
o falsificata,
possiamo
accettare la
pretesa
che la tua teoria abbia il carattere di
una teoria
empirica.15
Una teoria
che
non
pu
venire confutata da
nessun evento
concepibile
non scien-
tifica. Uinconfutabilitdi
una teoria
non (come
spesso
si
ritiene) una
Virt,
bens
un vizio Si
pu
riassumere tutto
questo
col dire che il
15)
K.
POPPER,
Scienza
efilosqfia,
Torino
1969,
pp.
130-131.
754 Parte terza
criterio dello stato
scientifico
di una teoria la sua
falsificabilit
o confutabi-
lt
o
controllabilitml
Pertanto, non
la
venflcabilit,
come sostenevano i
neopositivisti
vien-
nesi,
il criterio di demarcazione tra teorie scientifiche
e teorie che
non
lo
sono
(per
es.
le
metafisiche,
le
teologie
della
storia, certe teorie
psica-
nalistiche
ecc),
bens la loro
falsjicabilit.
In
effetti, una
legge
scientifica
non
potr
mai
essere
completamente
verificata, mentre invece
pu
esse-
re totalmente falsificata. E
questo
e accaduto molto
spesso
nella storia
del
pensiero
scientifico. Precisandt) il ruolo del criterio di
falsificabilit,
Popper
chiarisce che
esso non
implica
che le teorie inconfutabili
sono
false, e non
implica
neppure
che
sono
prive
di
significato.
Ma
implica
che,
finch
non
possiamo
dare
una descrizione
dell'aspetto
che ha
una
possibile
confutazionedella
teoria,
allora
quella
teoria al di fuori della
scienza
empiricam
Come si
detto, con
il criterio di falsificabilit
Popper
ha inteso trac-
ciare una
chiara linea di demarcazione tra ci che
appartiene
alla scienza
e ci che
non le
appartiene.
Ma come
ha dichiarato
apertamente
lo stes-
so
Popper,
con
questo
criterio
egli
non
ha inteso
negare
la metafisica
come avevano
fatto i
neopositivisti
n accantonarla
come
qualcosa
di
antiquato
come in
precedenza
avevano
fatto i
positivisti.
Secondo
Popper
la metafisica
pu svolgere
funzioni
positive.
Essa
precorre
la
scienza,
la
sua
sentinella
pi avanzata,
che
anticipa
visioni e soluzioni,
che successivamente la scienza trasformer in teorie verificabili.
Secondo
Popper,
la
maggior parte
dei sistemi metafisici
pu
essere
riformulata in modo tale da diventare
problemi
di metodo scientificoax.
E
questo
si fa tanto
pi
chiaro
se
richiamiamo alla memoria che la stra-
grande maggioranza
delle nostre teorie scientifiche hanno
origine
dalla
mitologia
e
dalla metafisica. Il sistema
copernicano, per esempio,
fu
ispirato
dalla venerazione
neoplatonica
della luce del
sole,
che avrebbe
dovuto
occupare
il centro a motivo della
sua
nobilt.
Questo
significa
che dai miti e
dalle cosmovisicmi metafisiche si
possono
sviluppare
com-
ponenti
confermabili.
Paul Van Buren
(nato a
Norfolk in
Virginia
nel
1924),
dopo
aver
sposato per
qualche tempo
i canoni del
neopositivismo
ed
essersene
servito
per spiegare
il
significato
secolare del
Vangelo"
(The
secular
Meaning of
the
Gospel
il titolo della sua
opera pi
famosa),
dando cos
16) ID.,
Il criterio della rilevanza
scientifica, in l!
neoposftivismo,
a cura di A. Pa-
squinelli,
Torino
1969,
pp.
702-703.
17) ID., Scienza
efilusofia,
Torino
1969,
pp.
131 s.
15) ID., La miseria della storicismo, Milano1954,
p.
25.
19)
Cf.
ID.,
The Dcmarmtionbetwcen Science and
Mctaplzysics,
London
1963,
p.
257.
Analisi
linguistica,
ermeneutica e
metafisica
755
man forte ai
te0logi
della morte di
Dio,
si convinto deIlassurditdi
questa
filosofia, e
ha abbracciatole
posizioni
della filosofiaanalitica
cer-
cando di conciliarle
con
le
esigenze
della metafisica e
della
religione.
The
Edges of Languagge
(Alle
frontiere del
linguaggio)
(1972)
l'opera
che
meglio
documenta la
sua conversione alla filosofiaanalitica.
In
questo saggio
Van Buren osserva
che
non c' un
solo modo di
par-
lare del
mondo, ma Tanti modi
differenti";
fra
questi
tre in
particolare:
- C' il modo
fattuale, descrittivo,
che si usa
per gli oggetti;
- c' il modo
personale,
che
quello
che si
adopera per parlare
con e
delle
persone;
- c' il modo
omniconclusivo,
che "mette insieme tutte le
cose
che
riguardano
il mondo".
Del terzo modo di
parlare
del mondo si
avvalgono
sia la metafisica
sia la
religione.
L'uso che fanno del
linguaggio
la metafisica
e
la
religio-
ne,
nota Van
Buren,
un uso
speciale,
dove il
significato
delle
parole
viene
spinto
verso le estreme frontiere di ci che umanamentedicibile.
Per metafisica Van Buren intende il tentativo di chiarire le basi del
nostro
pensiero
e
i fondamenti del nostro
linguaggiom"

ovviamente
una
definizione
parziale,
in
quanto
omette il
compito primario
della
metafisica,
che
quello
di chiarire i fondamenti
degli
enti; ma una
definizione
passabile; perch poi
di fatto
quando
Van Buren elenca i
problemi
nel
campo
della
metafisica, mette al
primo posto
un
problema
ontologico,
il
problema
"dell'uno
e
dei
molti", a cui affianca il
proble-
ma
del
senso
della vita" e
il
problema
della
conoscenza
degli
altri:
Possiamo
sapere
che ci sono
altre menti?.21 Tutte
queste questioni
sono
perfettamente legittime
e
le
risposte
che i metafisici tentano di dare
non sono insensate. Per
per
trattare di
queste questioni
il metafisico
spinge
il
linguaggio
alle
sue estreme frontiere,
ricorrendo a
parole
come
Il Il
ultimamente
,
versamente
e
facendo
uso
del
paradosso.
Dire che il mondo ultimamente
non uno ma
pi,
o
che
non conosce-
remo mai veramente altre
menti, o
che la vita
non
pu
avere un
senso,
di
primo
acchito sembra
falso, o
pare
almeno che abbia
bisogno
di
es-
sere controbilanciatadall'affermazionecontraria. Il
mondo, infatti,
ha
una certa unit, e noi conosciamo
qualcosa
delle altre
menti, e
la vita
ha
un
qualche
senso. Ma le cose
paradossali
che i metafisici
dicono,
possono portarci
a vedere un
aspetto
della
questione
che
prima
po-
tremmo non aver visto cos bene, o
che
avevamo visto, ma non notato.
E se veniamo
portati
a vedere
aspetti
di altri o il mondo in modo diver-
so, giungiamo
anche a Vedere nuovi
aspetti
di noi medesimi. Se
con
queste questioni
noi ci
spingamo
ai limiti del nostro
linguaggio,
e
quin-
di del nostro
pensiero,
incorriamo nella
possibilit
del
nonsenso o nel
3) P. VAN
BUREN,
Alle
frontiere
del
linguaggio,
Roma
1977,
p.
117.
31) Ibid.,
p.
118.
756 Parte terza
pericolo
della
pazzia,
ma c' anche l'occasione di fare delle
scoperte.

questo
il
compenso
dellarrischiarci ai confini del nostro
linguaggio
22
Ai confini del
linguaggio
si trova anche
e
soprattutto
il discorso
su
Dio,
suprema
realt di cui
parla
sia la metafisica sia la
religione.
Dio,
spiega
Van
Buren, non
fuori
del
linguaggio,
bens alle
sue estreme
fron-
fiere.
Questa tesi,
che si
accompagna
a un rifiuto
dell'immagine
del lin-
guaggio
come
gabbia
per
uccelli,
viene motivata mediante la elabora-
zione di
una dottrina del
linguaggio
inteso come
piattaf0rma.
Al cen-
tro della
piattaforma linguistica
su cui stiamo e
che continuamente allar-
ghiamo
-
argomenta
Van Buren - c' il
linguaggio
nel
quale
noi ci muo-
viamo
bene,
ossia il
linguaggio "regolato
della vita
quotidiana
e
delle
scienze. Fuori dal
centro,
alla
periferia,
c' il
linguaggio
delle
analogie,
delle
metafore,
dei
paradossi,
che si basano
su
di un'estensione delle
regole
d'uso valide al centro.
del
linguaggio
della
periferia
che la
metafisica
e
la
religione
si
servono
per
parlare
di Dio.
Ora,
avendo
una concezione
troppo angusta
del nostro
linguaggio, trop-
po preoccupati
di ci che noi
possiamo
fare col
linguaggio presso
il
centro,
essi
(i letteralisti) non si avvedono che nel nostro uso
delle
parole
c'
pi
di
quanto
si
possa sognare
nella loro filosofia. Per
giun-
gere
a una
migliore comprensione
del discorso
su Dio, non abbia-
mo
bisogno
di un'alternativa ai
processi
di
linguaggio,
n di
qualche
altro metodo che "vada al di l del
linguaggio.
Ci che ci serve
giusto questa scrupolosa
attenzione alle
parole
e al modo in cui fun-
zionano e
che la filosofiamoderna ci ha
insegnato
a
rispettare.
Senza
questa
attenzione,
teisti e atei
sbagliano
allo stesso modo nel
prende-
re
il muoversi ai confini del
linguaggio
come un
comportamento
inet
to o sviato nel
campo
centrale. Le incertezze di
quelli
che si
tengono
in
equilibrio
al
margine
esterno del
linguaggio vengono
da loro consi-
derate
come
segno
di
goffaggine.
Gli uni e
gli
altri
pensano
che
quan-
do il cristiano dice "Dio" si nomini o ci riferisca a una
qualche
cosa e
ci nonostante la
lunga
storia delle obiezioni
cristiane,
cio che
que-
sto non n un nome n una
descrizionen una
parola
che si riferisce
a un
oggetto specifico.
Gli stessi teisti
sono
i
primi responsabili
del-
l'attuale confusione intorno alla
parola
"Dio". Essi hanno usato la
parola
come se
appartenesse
a
quell'area
relativamentechiara del lin-
guaggio
in cui i concetti
possono
essere usati coerentemente e incoe-
rentemente,
nel modo in cui
questa
distinzione viene fatta
presso
il
centro della nostra attivit
linguistica.
Fra loro
per
anche
quelli
che
si dicono cristiani
ignorano
i
processi
del
linguaggio
all'interno della
loro stessa tradizione
linguistica.23
23) lbid,
pp.
118-119.
33) Ibid.,
pp.
151-152.
Analisi
linguistica,
ermeneutica
e
metafisica
757
Dario Antiseri (nato a
Foligno
nel
1940) stato e continua a essere
il
massimo studioso delle
origini
e
degli sviluppi
della svolta
linguisti-
ca",
nonch
uno
dei validi
esponenti
della filosofia analitica in Italia.
Partendo dalle
posizioni
della filosofia analitica
egli
si
espresso
fre-
quentemente
sul valore della metafisica. Per determinare il valore di
quella
che fu
sempre
considerata la
regina
del
sapere
fino
a Kant,
Antiseri si avvale di due metri di
giudizio:
il metro della
ragione
scienti-
fica
e
quello
della fede
religiosa.
In entrambi i casi le sentenze che
egli
emette nei confronti della metafisica sono
decisamente
negative.
Nettamente sfavorevole il
suo
giudizio
sulla metafisica
quando
adopera
il metro della fede. In un
saggio
intitolato Perch la
metafisica

necessaria
per
la scienza e
dannosa
per
la
fede,
Antiseri riassume il
suo
giu-
dizio sulla metafisica dal
punto
di vista della fede nel modo
seguente:
In
primo luogo voglio
affermare
che,
vista dalla
prospettiva
della
fede,
la
metafisica,
quando
non e inutile
(dovrebbe
infatti dimostrare
quel
che
in
ogni
caso
sarebbe
gi
vero
per
rivelazione), certamente dannosa
per-
ch con essa
incompatibile.
La metafisica inutile
perch pretende
di
supportare,
in un
modo o nell'altro,
la fede
gi presente.
dannosa
(se
guardiamo
le cose
dalla
prospettiva
del credente)
quando presume
di
esserne un
surrogato incompatibile>>fi4
ll metro della scienza non
ha fruttato
sempre
gli
stessi risultati.
Anche
questo
metro in un
primo tempo
aveva
condotto Antiseri a
pro-
nunciare
giudizi pesantemente negativi
nei confronti della metafisica. In
Dal
positivismo
alla
filosofia
analitica
egli
scrive:
La filosofia analitica
disponibile, aperta,
elastica, critica, senza
dogmi
e con una
sconfinata buona volont di
comprendere.
Ed evi-
dente che se dovesse venire a
luce un
discorso
per
non
privilegiati
che risolvesse in una
maniera che sia in
qualche
modo
controllabile,
i
cosiddetti
problemi
ultimi,
dando con ci una visione del
mondo,
non sarebbecerto l'analista
a
rifiutarlo. Nonostante
per
tutta
quanta
la sua buona
volont,
dato che le cose
hanno
preso
una
ben diversa
configurazione,
dato cio che i metafisici stanno
affogando
in
un
gran
mare
di sistemi contraddittori,
di
incongruenze,
di
insignificanze
e
anche di belle
poesie,
l'analista non
ha motivi
per
rigettare
la sua con-
vinzione che la
metafisica,
insieme alla
magia, lastrologia,
la
strego-
neria,
sia uno dei
pesi pi
soffocanti che l'umanit si sia trascinata
dietro
per
secoli e
che solo ora sta finalmenteabbandonando?
24) D.
ANTISERI,
Perch la
ntetafisica
necessaria
per
la scienza e dannosa
per
la
fede,
Brescia
1980,
p.
9.
25) ID.,
Dal
neopositivismo
alla
filosofia
analitica,
Roma
1966,
p.
268.
758 Parte terza
Nella letteratura filosofica difficiletrovare sentenze
pi
dure di
questa
nei confronti della metafisica. Trascinata
gi
dal
suo trono
regale
essa viene
equiparata
alla
magia, allastrologia
e alla
stregoneria. Quan-
to siamo lontani dallammirazioneche lo stesso Kant
aveva
per
la meta-
fisica! Pur ridimensionandole
pretese
della metafisica
speculativa,
Kant
continuava
a
considerare la metafisica
come una nobilissimaricerca e
come una delle
esigenze primarie
dell'umanit.
Successivamente Antiseri si rese conto che
realmente la metafisica
non
uno
dei
pesi pi
soffocanti che l'umanit si sia trascinata dietro
per
secoli
e
che invece ha svolto funzioni assai
positive,
sia
come surro-
gato
della scienza sia
come
avanguardia
della scienza stessa. Antiseri
continua a ritenere che la metafisica
non sia in
grado
di
allargare
la
visione di
questo
mondo mediante
una "seconda
navigazione", per
la
considera utile
per
la
comprensione
di
questo
mondo
anticipando
e
affiancandola scienza. Cos
ora
pu
affermare che la metafisica
non
solo
utile
ma
persino
necessaria alla scienza:
Da tutto ci vediamo che la metafisica
pu
essere influente
(sulla
scienza)
almeno in
questi
modi: influisce sul
procedimento
di
prova
di
una teoria aumentandole
argomentazioni
critiche contro di
essa;
influisce sulla valutazione
comparativa
di
una teoria con le
altre,
aumentandoneil contenuto informativo; influisce
come ideale
regola-
tivo in
quanto
ci dice che
cosa non dobbiamo
cercare;
influisce
come
strumento
euristico,
perch
ci dice
cosa dobbiamo
cercare,
e cos
influisce sullo status della
maggiore
o minore rilevanza dei
problemi
e di
specifici
risultati scientifici. In
breve,
le idee metafisiche
agiscono
sulla scienza nella
possibilit
della
sua esistenza
(possibilit
etica e
ontologica),
possono agire
nella
genesi
delle teorie
scientifiche, nel
loro
processo
di
prova
o di
comparazione,
come anche nel loro
pro-
gresso
e nella loro
stagnazione.
La scienza infatti
non
progredisce
senza
geni
metafisici creativi.
Ma, d'altra
parte,
la metafisica
ristagna
nelle culture non scientifiche
o acritiche. E
questo per
la
ragione
che
lo
sviluppo
delle teorie scientifiche
comporta spesso
la rottura di
qua-
dri metafisici che
risultano, via
via,
inadeguatmh
Come risulta da
questa
interessante
dichiarazione, la metafisica ora
non
pi
considerata
una
pseudoscienza
come
la
magia, l'astrologia,
la
stregoneria.
Essa rimaneindubbiamente"altra"
rispetto
alla
scienza,
per-
ch
questa
verificabilementre la metafisica
inverificabile,
per
la
metafisica feconda di teorie
preclittive
che contribuiscono alla crescita
della scienza.
La differenza tra una teoria metafisica
e una
pseudo-scientifica
che
la metafisica feconda di teorie
pre-dittive
e
(post-visive)
che
pre-
16) D. ANTISERl-M.
BALDINI,
Lezioni di
filosofia
del
linguaggio,
Firenze
1989,
p.
200.
Analisi
linguistica,
ermeneutica
e
metafisica
759
vedono
e
post-vedono
fatti
e ne
escludono
altri; mentre la
pseudo-
scienza
partorisce
solo
(0
quasi
unicamente)
ipotesi
ad hoc in
grado
di
non escludere alcun fatto. La
pseudo-scienza
cresce cancerosamente
su se
stessa; una teoria
pseudo-scientifica
ha il volto
coperto
da
un numero
crescente di
operazioni
di
plasticafacciale.
La linea di demarcazionetra la
fisica
e la metafisica
quella
della
falsificabilit;
la linea di demarca-
zione tra la metafisica
e
la
pseudo-scienza
sta nella loro fecondit
o
sterilitnei confronti delle teorie confutabilida esser
generate?
Ci che ovvio che Antiseri anche
dopo
aver corretto il.
suo
giudizio
sulla
metafisica, continua ad
avere un concetto
tropo angusto
sia della
scienza sia della
ragione. Egli
fa
un uso univoco di
questi
due
concetti,
quando
invece
palese
a tutti, e non soltanto ad Aristotele
e a
S.
Tommaso,
che i concetti di scienza e
ragione
sono
analoghi
e non uni-
voci. Cos si
pu parlare legittimamente
di scienza
fisica, matematica,
metafisica,
teologica;
e si
pu parlare
di
ragione speculativa
e
ragione
pratica,
di
ragione
scientifica
e
ragione
filosofica,
di
ragione
inferiore
e
ragione superiore.
E linfallibilit
come
pure
la verificabilitnon mono-
polio
di
nessuno: n delio
scienziato,
n del
filosofo,
n del
teologo.
Mentre l'errore
un
male comune
che
pu affliggere
la
ragione
in tutte le
sue
operazioni, pratiche
e
speculative,
scientifiche, filosofiche,
teologiche.
Uermeneutica
e
la metafisica
Come
sappiano,
esistono due
tipi
di ermeneutiche: |ermeneutica
an-
fica o classica
e
la
nuova ermeneuticao
moderna.
Lermeneutica antica e
quella
che
venne
magistralmente
codificata da
Aristotele nel
suo Peri hermeneius. Secondo la concezione
aristotelica,
lermeneutica fa
parte
della
logica
e consiste nel classificare le
parole
(i termini) e
le
proposizioni,
e
nel determinare il
significato
dei termini
nelle varie
proposizioni,
in
particolare
nelle
proposizioni apofantiche
o
enunciative. In
quanto
studio del
significato
delle
parole
lermeneutica
classica
presta logicamente speciale
attenzione a
quel
termine che ha il
massimo
spessore
semantico,
ossia ente (on)
nella forma sostanziale ed
essere (einai)
nella forma verbale. Sin dalle
sue
origini,
Fermeneutica
risulta
pertanto
una
fedele
e
preziosa
ancella della metafisica. E
questo
rapporto
di ancillaritsi
protrae
fino
a Kant e
oltre.28
Tuttaltra funzione viene ad
assumere
la teoria della
interpretazione
di E.
Husserl,
il
quale,
come
sappiamo,
il
padre
della
nuova ermeneuti-
ca.
Da Husserl lermeneuticaviene
scorporata
dalla
logica
ed elevata al
27) Ibiri,
p.
203.
23) Cf. E.
BERTI,
Ermeneutica e
metafisica
in
Aristotele,
in B. MONDIN
(ed.), Ermeneutica
e
Inetafisica.
Possibilitdi un
dialogo,
Roma
1996,
pp.
9-25.
760 Parte terza
rango
di
epistemologia:
essa
diviene la teoria della conoscenza delle
scienze storiche. La conoscenza storica,
secondo
Husserl,
si
distingue
nettamente dalla
conoscenza
scientifica:
questa
si basa sulla
spiegazione
e sul
calcolo;
invece la conoscenza storica si basa sulla
comprensione
e
sulla
interpretazione.
Sulla strada
aperta
da Husserl si incamminato
M.
Heidegger,
il
quale
ha
applicato
l'ermeneuticaall'analisi
esistenziale,
vale a dire allo studio delle strutture fondamentali delhlsserci,
il Dasein.
Dopo I-Ieidegger
i massimi
esponenti
della
nuova
ermeneutica sono
diventati Hans
Georg
Gadamer e Paul Ricoeur. Per entrambi l'ermeneu-
tica si identifica
con
la filosofia.
Compito
dell'ermeneutiCa
raccogliere,
comprendere
e
tramandare
gli insegnamenti
filosofici,
metafisici e
reli-
giosi
delle
epoche precedenti.
Di Husserl
e
Heidegger
abbiamo
gi par-
lato. Per concludere il
presente capitolo
ora non ci resta che
esporre
il
pensiero
di Gadamer
e Ricoeur.
HANS GEORG GADAMFR
Secondo Hans
Georg
Gadamer (nato a
Marburgo,
in Germania nel
190D)
ogni pensiero
e
quindi
anche
ogni
filosofia
porta
con se dei
"pre-
giudizi" (praejudicia),
che
non sono conoscenze errate
(possono
anche
esserlo), ma conoscenze
previe,
che
non
fanno
parte
della natura umana
(non sono le idee innate di
Leibniz) ma
della
propria
cultura. I
presup-
posti
da cui Gadamer
sviluppa
la
propria
filosofia
sono
due: 1)
la realt
umana,
tutta la realt
umana
in
ogni
sua
espressione
(inclusa
la cono-
scenza)
essenzialmente
segnata
dalla
storia,
realt
storica; 2)
ogni
autenticoconoscere va inteso come
interpretazione,
cio come
ernneneuti-
ca.
Alla natura e ai
compiti
dellermeneuticaGadarner ha dedicato tutti i
suoi studi
principali,
in
particolare:
Verit
e
metodo. Lineamenti di un'enne-
nezzticafilosoflba
(1960);
Il
problema
della
conoscenza
storica (1963).
In
queste
opere egli
cerca
di chiarire i
principi gnoscologici
e
linguistici
che stanno
alla base della
nuova
ermeneutica.
Gadamer
persuaso
che esiste una verit la
quale
non
pu
essere
acquisita
coi metodi scientifici
e tuttavia
esige
il nostro riconoscimento.
ll
suo
impegno
di
scovare
quell'esperienza
della verit che
supera
l'ambitodella ricerca scientifica
dovunque
si trovi e
di
saggiarne
i titoli
di
legittimit.
Cos le scienze umane
(Geisteswissenschaften)
vengono
ad
allinearsi
con
quelle
forme di
esperienza
che stanno al di fuori dell'area
scientifica:
con
l'esperienza
della
filosofia, con
l'esperienza
dell'arte e
con
l'esperienza
stessa della
storia; con tutte le
esperienze
insomma
nelle
quali
si annunzia
una
verit che
non
pu
essere
verificata con
gli
strumenti della scienza?!
29)
H.
GADAMER,
Wnhrlzeit und
Methode, I.
C. B. Mohr
(Paul Siebeck),
Tubinga
1965,
2a
ed.,
pp.
xxv-xxvr.
Analisi
linguistica,
ermeneutica e
metafisica
761
Per
questa
area
di verit Gadamer rivendica un suo
proprio
modo di
conoscere
che non
quello
della
verifica sperimentate
e
della
spiegazione
ma
quello
della ermeneutica e
della
comprensionefio
Ermeneatica
e
comprensione
Entrambi
questi
termini hanno alle loro
spalle
una
lunga
storia. Ab-
biamo
gi
visto che il
primo
risale ad Aristotele. Il
secondo, invece,
ha
svolto un
ruolo centrale nella filosofiastoica. Secondo laccezioneusuale
essi definiscono due
procedimenti
conoscitivi differenti,
fra i
quali
l'in-
terpretare
ha il
compito
di
preparare
il
comprendere.
Per Gadarner non
cos: nelle scienze umane
interpretare
e
comprendere
sono una
sola co-
sa:
Il termine ermeneutica
informa l'autoredi Wahrheit und Methode
(Verit e metodo)

designa
il movimento fondamentale dell'esistenza
umana,
nella
sua
finitudine
e storicit, e
pertanto
abbraccia tutto l'insie-
me
del
suo
esperire
il mondo.31
Perci,
lo stesso
comprendere
non Va
inteso tanto come un atto
soggettivo,
ma come
la
penetrazione
della
realt vivente della traditio dove il
pensato
e
il futuro si danno costante-
mente la mano.
Ed
questo appunto
che deve
emergere
dalla teoria
ermeneutica,
la
quale troppo spesso
dominata dall'idea di
procedi-
mento e
di
metodo?
mentre in effetti essa
riguarda
il
conoscere stesso
cos come si realizzanel
Caso
delle scienze umane.
Ma
perch
Fermeneutica
(l'interpretazione)
la forma
appropriata
del conoscere
quando
si tratta delle scienze umane? La
ragione,
secondo
Gadamer, che l'uomo essenzialmente essere storico,
un essere
pla-
smatoe nutrito dalla storia.
Il
pensiero
classico aveva
concepito
l'uomo
come un essere naturale,
dotato di
propriet
costanti e immutabili,come
la natura. Il
pensiero
moderno ha
respinto questa
concezionee
ha
messo
in luce il ruolo essen-
ziale che
spetta
alla storicit fra
gli
elementi che costituiscono l'essere
3) Si
pu
notare come
in
questo
il Gaclamer
prosegua
la critica della concezione
positivistica
della scienza,
iniziata dai vari Boutroux, James, Bergson, Dilthey.
Verso il
principio
del
secolo,
ci informa l'autorevolestorico della filosofia
Windelband,
si cominci a
distinguere
nelle discussioni filosofiche,
fra lo
spie-
gare"
(erklaren) e
il
"comprendere"
(verstehen).
Alla
spiegazione
dei fenomeni
fisici si
contrappone,
come
guisa
fondamentale diversa del conoscere umano
la
"comprensione"
storica (W. WINDELBAND,
Lehrbuch der Geschichte dar
Philosophie,
].
C. B. Mohr (Paul Siebeck),Tubinga
1957,
15
ed.,
p.
589. Si ricono-
sce
che della natura si
pu
dare una
spiegazione,
ma
che la vita
pu
essere sol-
tanto
Compresa.
Su
questa
distinzione si basa la Nuova
Errneneutica,
la
quale
afferma che
peri
testi,
i fatti storici e i monumenti
artistici, non
si d
spiegazione
ma soltanto
comprensione.
31)
H.
GADAMER,
Wahrlteit und Methode, cit.,
p.
XVI.
32) Ibid.,
pp.
274-275.
762 Parte terza
dell'uomo. ln tal modo l'uomo moderno ha
acquistato consapevolezza
della
sua storicit. A
parere
di
Gadamer,
l'apparizione
di
una
presa
di
coscienza storica verosimilmentela
pi importante
fra le rivoluzioni da
noi subite
dopo
l'avvento
dell'epoca
moderna. La sua
portata spirituale
sorpassa probabilmentequella
che noi riconosciamo alle realizzazioni
delle scienze
naturali,
realizzazioni che hanno visibilmentetrasformato
la
superficie
del nostro
pianeta.
La coscienza storica che caratterizzal'uo-
mo
contemporaneo
un
privilegio
(forse
perfino
un fardello)
quale
non e
stato
imposto
a nessuna delle
generazioni precedenti>>fl3
Ora,
la
presa
di coscienza della
propria
storicit
implica
una
revisio-
ne sostanziale della teoria della
conoscenza. Questa non
pu pi
essere
concepita
n come diretto
rispecchiamento
della
realt, come volevanoi
realisti antichi
e moderni
(compresi
i
positivisti),
n
come creazione ori-
ginaria
dell'io
(come
affermavano
gli
idealisti), ma va intesa come inter-
pretazione
di situazioni. Solo
una
gnoseologia
ermeneutica collima
con
le
esigenze
della storicit
dell'uomo,
poich
un essere storico
comprende
se stesso e
gli
altri soltanto
interpretando. Egli
fa necessariamente
parte
di
un
circolo ermeneutico:
gli vengono
offerte dal
passato
delle tradizio-
ni che
egli
riceve
interpretandole
e
di
nuovo le comunica ad
altri,
i
quali
a loro volta le fanno
proprie interpretandole.
L'uomo
coglie
la
sua realt storica solo
interpretandola
per
due
ragio-
ni. Anzitutto
perch
la storia essenzialmente movimento e nel movi-
mento c'
qualcosa
che rimane e
qualcosa
che
muta;
perci
nel risalire al
senso
originale
delle tradizioni
occorre
passare
attraverso ai vari
sviluppi.
In secondo
luogo, perch
il
passato
non mi
estraneo, ma entra a
far
parte
del mio essere attuale,
per
entra a
far
parte
del mio
spessore soggettivo
solo mediante
l'interpretazione.
Io
sono
l'erede di tradizioni che
non sono
semplici
informazioni da
registrare,
ma fanno
parte
della mia stessa vita,
determinano la mia
prospettiva
e
le mie
progettazioni,
il mio modo di
vedere
e il mio modo di
agire. Comprendere

operare
una mediazione
fra il
presente
e
il
passato, sviluppare
in se stessi tutta la serie continua
delle
prospettive
attraverso cui il
passato
si
presenta
e si
rivolge
a noi>>fi4
A
questo punto appare
chiaro
come
il concetto di
ermeneutica,
in
Gadamer,
acquisti
un
significato
del tutto
nuovo,
molto
pi
vasto e ricco
di
quello
usuale. Per l'autoredi Wczhrheit und Methode
(Verit e metodo)
Permeneutica
non
pi
ristretta alla
spiegazione
dei testi oscuri dei
classici
greci
e latini
e
degli
scrittori sacri o
delle tradizioni orali. Essa si
estende anche
ca tutto ci che ci
consegnato
dalla
storia;
cos
parlere-
33) ID.,
Il
problema
della coscienza
storica, tr. it. di G.
Bartolomei,
Guida
Editori,
Napoli
1969,
p.
27.
34) Ibid,
p.93.
Analisi
linguistica,
ermeneutica e
metafisica
763
m0,
per esempio, dell'interpretazione
di
un
avvenimento storico, o,
ancora, dell'interpretazione
delle
espressioni spirituali,
mimiche,
dell'in-
terpretazione
di
un
Comportamento,
ecc. Con ci intendiamo
sempre
dire che il senso
del
dato,
offerto alla nostra
interpretazione,
non si svela
senza mediazione, e
che necessario
guardare
al di l del senso
imme-
diato
per poter scoprire
il vero
significato
nascosto.35
Grazie a
questa
onnicomprensivit
Vermeneutica in Gadamer viene
ad
assumere
gli
stessi connotati della filosofia: filosofiaed ermeneutica
per
lui si
equivalgono.
In
questo
senso
radicale
e universale, attesta lo
stesso Gadamer,
la
presa
di coscienza storica
(i. e.,
ermeneutica) non
l'abbandono del
compito
eterno della filosofia, ma
la via che ci stata
data,
per
accedere alla verit
sempre
ricercata.3>
Ma come si
sviluppal'interpretazione,
il
pensare
ermeneutico?
Per
comprendere
il
pensiero
di Gadamer su
questo punto
occorre tener
presenti
tre
postulati
che
gli
sono
cari. Il
primo
dice che
ogni
conoscenza
la
risposta
a una
domanda: il che
significa
che il
conoscere
anzitutto un
interrogare,
e
quest'ultimo,
secondo Gadamer,

sempre
determinato da
una
situazione
particolare.
Non al
giudizio,
dice
Gadamer, ma
alla
domanda
spetta
il
primato
della
logica,
come
dimostrano storicamente il
dialogo platonico
e
l'origine
dialettica della
logica greca.
Ma il
primato
della domanda
rispetto
alla
proposizione
significa
che la
proposizione
,
per
sua natura, risposta.
Non C'
proposizione
che
non sia una
specie
di
risposta
e
perci
non
si
pu
intendere una
proposizione
se non
rifacendo-
si ai criteri intrinseci alla domandadi cui una
risposta...
Certo non faci-
le trovare Ia
domanda,
di cui una
data
proposizione
effettivamente la
risposta, soprattutto perch
una
domanda
non mai
qualcosa
di
semplice
e
primo,
a
cui si
possa
arrivare solo se
lo si
voglia: ogni
domanda e ancora
una
risposta
e
questa
la dialetticain cui siamo
impigliati.Ogni
domanda
motivata e
anche il
suo
significato
non mai dato interamente in essa.37
In
conclusione,
l'orizzontedi
ogni proposizione
il
sorgere
da
una situa-
zione
problematica,
e una conoscenza
si mostra feconda in
quanto
appiana
una situazione
problematica
,38
Il secondo
postulato
dice che
qualsiasi
documento storico, qualsiasi
testo letterario e
anche tutti i monumenti artistici sono
la
registrazione
di certe
conoscenze,
le
quali,
come
vuole la dialettica del
conoscere,
rap-
presentano
le
risposte
alle domande che i loro autori si sono
fatti in certe
situazioni.
Pertanto,
per
comprendere
tali documenti
occorre
riportare
le
risposte
che essi
contengono
nel
contesto,
nell'orizzonte
degli interroga-
35) Ibii,
p.
29.
36) 11nd,,
p.
93;
cf.
10.,
Wahrhcit imd
mcthode, cit.,
p.
451.
37) Ima,
p.
261.
38) Ibid,
p.
262.
764 Parte terza
tivi da cui sono
sorte, un orizzonte che
conteneva la
possibilit
di molte
altre
risposte.
In certo
qual
modo la formulazione fissa che
esse
hanno
assunto deve
essere ricondotta al movimento della conversazione.
Que-
sto il
compito
delrermeneutica:
trarre il testo fuori dallo stato di alie-
nazione in cui
giace
(a causa della forma immobileche
esso
ha assunto
nella
composizione scritta) e
riportarlo
al
presente
vivo del
dialogo,
la
cui forma
originaria

sempre quella
della domanda
e
della
rispostam
Il terzo
postulato
dice che
nessuna conoscenza
"pura", impregiu
dicata", ma
sempre
"mista",
accompagnata
e condizionatada
pregiu-
dizi"
(Vorurteilc,
praejudiciul Questo terzo
postulato,
nel
pensiero
del
Gadamer, la
logica
conseguenza
della
sua concezione dell'uomo
come
essere storico
e, perci, legato
a certe tradizioni,
prospettive,
situazioni.
Sono
queste
tradizioni,
prospettive,
situazioni
a formarei
pregiudizi.
Come si
vede, Gadamer d al termine
"pregiudizio
un
significato
che si discosta sostanzialmente da
quello usuale,
per
due
ragioni.
Anzitutto nel
significato
usuale il
pregiudizio

una conoscenza errata
che
impedisce
di vedere
e
giudicare
rettamente in certe situazioni.
Ora,
per
Gadamer il
pregiudizio
non ha
questa
connotazione
negativa
di fal-
sit
e falsificazione. Per lui il
pregiudizio
soltanto
una conoscenza
pre-
via,
la
quale pu
essere sia
vera
che falsa, La seconda
ragione
che nel-
l'accezione
comune
il
pregiudizio

qualcosa
di
contingente, qualcosa
quindi
che si
pu
superare,
neutralizzare. Invece
per
Gadamer
questo
e
impossibile,
in
quanto,
come si
detto,
i
pregiudizi
fanno
parte
della sto-
ricit dell'uomo
e
perci accompagnano
necessariamente la sua esisten-
za. Il che tuttavia
non
significa
che la
conoscenza umana debba
essere
schiava dei
pregiudizi. Questo no,
anzitutto
perch
essa
pu prenderne
coscienza
e, cos,
in
certo
qual
modo li
pu
dominare, e in secondo
luogo
perch
di certi
pregiudizi
si
pu
anche disfare.
Questo, come si vedr
prossimamente,
costituisce
uno
dei massimi
compiti
dell'ermeneutica.
Da
questi
tre
postulati
derivano i tre momenti
principali
della
erme-
neutica.
Il
primo
momento
riguarda l'interrogazione
del testo e
la ricerca del
suo senso
all'interno dell'orizzonte
degli interrogativi
che lo hanno
con-
dizionato. Si inizia dal
presupposto
che il testo
possiede
un
senso;
per
afferrarlo si fanno dei
progetti,
delle
anticipazioni
circa tale
senso,
non
tanto secondo l'intenzione dell'autore
quanto
secondo l'orizzonte
degli
interrogativi
cui l'autorevoleva dare
una
risposta:
si mira al
senso
ogget-
39)
Man versteht den Text
ja
nur in seinern
Sinn, indem man den
Fragehorizont
gewinnt,
der als solcher
notwendigerweise
auch andere
mgliche
Antworten
umfasst
(11)., Wahrheit rmd
IHCHIOdE, cit.,
p.
352).
40) ibmfl,
p.
350.
41) Cf.
ibid,
pp.
250 55.
Analisi
linguistica,
ermeneutica e
metafisica
765
tivo
(die Sache)
pi
che a
quello soggettivo.
Successivamente
vengono
rettificate le
anticipazioni per conseguire
l'accordo col
senso
del
testo,
"l'accordo nella cosa". Ecco come Gadamer
descriveva, con straordina-
ria
chiarezza,
questa prima
fase
dell'interrogazione.
Pensiamo ancora una
volta
all'interpretazione
di un testo. Non
appe-
na
scopre
alcuni elementi
comprensibili,l'interprete
abbozza
un
pro-
getto
di
significato
per
l'insiemedel testo. l
primi
elementi
significativi
si manifestano soltanto
a
condizioneche ci si
disponga
alla lettura
con
un interesse
pi
o meno
determinato.
Comprendere
"la cosa" che
sorge
l,
davanti
a
me,
altro non che elaborare
un
primo progetto,
che verr in
seguito
corretto, mano a mano
che la decifrazione
progre-
disce.
Questa
descrizione evidentementesolo
una sorta di "abbrevia-
zione, poich
il
processo
ben
pi complicato: prima
di
tutto, senza
la revisione del
primo progetto,
non c' nulla
per
costituire le basi di
un nuovo
significato;
in secondo
luogo,
ma
anche al
tempo
stesso,
progetti
discordanti,
ambisconoa formare l'unit di
significato,
fino
a
quando
si abbozza la
"prima" interpretazione per
sostituire i Concetti
presunti
con concetti
pi adeguati. Heidegger
ci descrive
proprio que-
sta
perpetua
oscillazionedelle mire
interpretative,
cio la
comprensio-
ne come il
processo
di formazione di
un
progetto
nuovo. Colui che
procede
cos rischia
sempre
di cadere sotto la
suggestione
dei
propri
abbozzi;
egli
corre
il rischio che
l'anticipazione,
che si cos
preparata,
non sia conforme alla cosa.
Il
compito
costante della
comprensione
risiede nella elaborazione di
progetti
autentici e
proporzionati all'og-
getto
della
comprensione.
In altri
termini,
si tratta di
un
Colpo
di auda-
cia,
il
quale
attende di
essere
ricompensato
da
una
conferma
prove-
niente
dall'oggetto.
Ci che si
pu qualificare
come
oggettivit
non
potrebbe
essere
altro che la conferma di
una
anticipazione
nel
corso
stesso dell'elaborazionedi
quest'ultima.
Nel secondo momento si d
all'interrogazione
un carattere esistenzia-
le: si
interroga
il testo in vista di
una
risposta
ai nostri
problemi
attuali.
Uermeneutica classica
distingueva opportunamente
tre fasi: subtilitas
intelligendi,
subtilitas
applicandi,
subtilitas
explicandi"
nello studio di
un
testo. Ma alla subtilitas
applicandi
assegnava
una
funzione edificante
pi
che
propriamente
esistenziale.
Questa
invece
preminente
in unerme
neutica fondata sulla storicit
dell'uomo,
la
quale
non
pu
vedere nel
passato qualcosa
di
superato
e inattuale, ma
qualcosa
che
soggiace
al
presente
e
lo
compenetra
come
elemento essenziale. Perci essa cerca
di
spremere
dal
passato
il
significato
che ha valore anche
per
il
presentefl
42)
l-I.
GADAMER,
Il
problema
della coscienza storica, cit.,
pp.
81-82.
43)
Cf.
ID,
Wahrlzeif imd mcthode, cit.,
pp.
29D s5.
766 Parte terza
Gadamer illustra il momento
dell'applicazione
esistenziale Conside-
rando il lavoro che
compie
un
giurista
allorch si trova a dovere
applica-
re una
legge promulgata
nel
passato
a un caso
presente.
Senza dubbio,
osserva
l'autore di Wahrheit und
Methode,
il
giurista
non cessa
di tenere
d'occhio la
legge
stessa, ma
il
suo contenuto normativo va determinato
in conformit al
caso
particolare
cui dev'essere
applicata>>34 L'applica-
zione
pertanto
non
si riduce alla sussunzione di
un caso sotto una
legge
generale
il cui senso
sarebbe
gi completamente
determinato; mostran-
do in che misura essa
ha
senso
anche
per
il
presente, l'applicazione
lo
sviluppa.
D'altra
parte,
affinch si tratti
appunto dell'applicazione
di
quella
data
legge
al
presente,
il
giurista
non
pu ignorarne
il senso
pri-
mitivo
e,
di
conseguenza,
la
questione
storica. Ecco
quindi
che il ricorso
alla conoscenza del
passato
nasce nello stesso ambitodel
problema giu-
ridico
posto dall'applicazione.
Peraltro,
il
passato
cui il
giudice
Vuole
restare fedele un
passato
normativo e non
oggettivo; questo passato
consiste
per
lui non nelle circostanze
pubbliche
0
biografiche
che
spie-
gherebberoquelle
determinate
leggi,
bens nel
senso
delle
risposte,
ossia
nell'orizzonte
degli interrogativi
cui tali
leggi
intendevano
rispondere.
Il terzo momento dellermeneutica
(esso
per
terzo solo nell'ordine
logico
non
in
quello cronologico) riguarda
il
superamento
dei
"pregiudizi".
Questa fase,
nellermeneutica
tradizionale,
Viene
posta
all'inizio. Ma
Gadamer il
quale,
come
si
visto,
concepisce
il
conoscere come essen-
zialmente
"pregiudicato"
non
pu assegnare
il
superamento
dei
pregiu-
dizi alla fase
iniziale,
perch,
a suo
giudizio,
una
completa
neutralizza-
zione dei
"pregiudizi"

impossibile:significherebbe
uccidere il
conosce-
re stesso. I
pregiudizi
possono
essere riconosciuti e
controllati soltanto
man mano
che si
procede nell'interpretazione:

l'interpretazione
che
mettendo
a
confrontoil nostro orizzonteconoscitivo con
quello
del testo
svela i nostri limiti
e
i nostri
pregiudizi.
Denunziare
qualcosa
come
pregiudizio, spiega
Gadamer,
significa
sospenderne
la
presunta
validit; infatti, un
pregiudizio pu agire
su
di
noi come
pregiudizio,
nel
vero senso
del
termine,
soltanto nella misura
in cui non ne siamo sufficientementecoscienti. Ma non si
pu
riuscire a
rendersi conto di
un
pregiudizio
fintanto che
semplicemente
in atto:
bisogna
che
esso subisca,
in
qualche
modo
una
provocazione.
Ora,
que-
sta
provocazione
contro i nostri
pregiudizi
necessariamente il frutto di
un rinnovato incontro con una tradizione,
la
quale
, forse, essa stessa
alla loro
origine.46 Sappiamo
infatti che la tradizioneriferita da
un testo
44) Ibid.,
p.
309.
45) Cf.
Ibid.,
pp.
31] ss.
46) H.
CJADAMER,
Il
problema
della coscienza
storica, cit.,
p.
90.
Analisi
linguistica,
ermeneuticae
nzetafisica
767
ha
qualcosa
da
dirci,
da comunicarci:
leggendo
un testo,
volendo com-
prenderlo,
noi ci attendiamo
sempre
che
esso ci
insegni qualche
cosa.
Una coscienza formata dall'autentico
atteggiamento
ermeneutico,
sar
innanzi tutto recettiva
rispetto
alle
origini
e ai caratteri interamente stra-
nieri di ci che le
giunge
dal di fuori. Tuttavia
questa
ricettivit
non
si
acquisisce
con una
neutralit
oggettivistica:
non n
possibile
n neces-
sario n
auspicabile
mettere se stessi tra
parentesi. L'atteggiamento
ermeneutico
presuppone
soltanto
una
presa
di
coscienza,
la
quale,
desi-
gnando
le nostre
opinioni
e
i nostri
pregiudizi,
li
qualifichi
come tali,
e,
con ci
stesso,
li
privi
del loro carattere oltranzistico. E
proprio
assu-
mendo
questo atteggiamento,
si d al testo la
possibilit
di
apparire
nel
suo essere
differente
e
di manifestare la sua
propria
verit, Contro le idee
preconcette
che
gli opponiamo
in
anticipo?
Ma com'
possibile
per
l'interprete
uscire dall'orizzonte dei suoi
"pregiudizi"
e mettersi in comunicazionecon
l'orizzonte
altrui,
in
parti-
colare
con
quello
di
un testo che
appartiene
ad altri
tempi
lontani da lui?
Non esiste forse tra
passato
e
presente
un abisso insormontabile?Del
resto,
la storicit
non
rinchiude necessariamente
l'interprete
dentro il
vicolo cieco del
suo
soggettivismo?
Gadamer, pur
riconoscendo
e
affermando l'a|terit fra
passato
e
pre-
sente,
esclude che fra loro esista una scissura
completa.
La storicit
esige
piuttosto
il contrario: essa
fa s che la distanza
temporale
sia colmata
dalla continuit della tradizione
e
della
trasmissione,
grazie
alle
quali
tutto ci che ci viene trasmessosi rivela
a noi.48
Ma
neppure
il fatto che l'orizzonte
gnoseologico dell'interprete
sia
circoscritto da
pregiudizi
tale da rinchiuderlonel
suo
soggettivismo
e
da
impedirgli
l'incontro
con
altri orizzonti. Infatti i
pregiudizi
non sono
tutti
"egocentric" e, soprattutto,
i
pregiudizi
non sono
la
prima
cosa:
al
di l
e
al di sotto dei
pregiudizi
esiste
un
accordo
fondamentale,
che
Gadamer chiama "accordo
portante" (tragendes
Einverstiindniflr)
Secondo Gadamer
questo "punto
di
stabilit",
questa
solida
piat-
taforma che rende
possibile
l'incontro e la fusione tra i vari orizzonti
fornita dal
linguaggio.
Io credo che il
linguaggio operi
la sintesi
peren-
47) Ibiafi,
p.
84.
48) H.
GADAMER,
Wahrlzeit zmd
methode, cit.,
p.
281.
49) Cf.
ID.,
ljuniversalit del
problema
ermeneutica,
in
Filosofi
tedeschi
oggi,
Il Mulino,
Bologna
1967,
p.
110. A
pagina
120 dello stesso
saggio leggiamo:
Non sono
il
fraintendimento e Pestraneit la
prima cosa,
sicch l'evitare il fraintendimento
sia il
Compito
univoco, ma,
viceversa,
solo l'essere sorretti da ci che familia-
re e l'accordo, l'intesa con esso,
a rendere
possibile
la sortita in
quanto
stranie-
ro,
l'assunzione da esso di elementi e
quindi l'ampliamento
e
l'arricchimento
della nostra
propria esperienza
del mondo.
768 Parte terza
ne tra l'orizzontedel
passato
e
quello
del
presente.
Noi ci intendiamore-
ciprocamente, perch
ci
parliamo, perch,
pur
svolgendosi sempre
il
nostro discorso
su
piani
diversi
e non
convergenti,
alla
fine,
per
mezzo
delle
parole,
riusciamo a metterci
reciprocamente
di fronte le
cose
dette
con
le
parole?
Qui
abbiamo
uno
dei
punti pi originali
e
pi
interessanti di tutto il
pensiero gadameriano.
Il nostro autore infatti al fine di liberare la sua
ermeneutica dai
pericoli
di
soggettivismo
cui la storicit
pare
esporla
(pericoli
che
egli
stesso denuncia in
Dilthey)sviluppa
una nuova conce-
zione del
linguaggio,
in cui
questo
viene ad
assumere uno
spessore
ontologico
inusitato,
analogo
a
quello
che
gli assegna
il "secondo"
Heidegger.
Questi
distingue
tra due forme di
linguaggio,
un
linguaggio
originario
che
quello
dell'essere
e un
linguaggio
derivato che
quello
dell'uomo, cos
pu
sostenere che il nostro conoscere auscultazionedel
linguaggio
dell'essere;
pertanto prima
viene il
linguaggio originario
e
successivamente il
conoscere e
il
parlare
dell'uomo. Anche Gadamer d
al
linguaggio
la
priorit rispetto
al
conoscere,
al
pensare, all'interpretare.
Il
conoscere,
a suo avviso, non mai un
dato
non
linguisticoper
cui suc-
cessivamente,
mediante la
riflessione,
si trovano le
parole;
il
pensiero,
la
comprensione, l'interpretazione
sono interamente
linguistici,
e
formu-
lando
una
proposizione
si usano
le
parole
che
gi appartengono
alla si-
tuazione. Il
linguaggio
il medium in cui la realt si
manifesta;
il lin-
guaggio
il milieu in cui si attua il riconoscimento del mondo.
Questo
naturaleriferimentoal mondo conferisce al
linguaggio
il carattere di
og-
gettivit
(Sachlichkeit): Sono condizioni
oggettive quelle
che
vengono
alla luce mediante il
linguaggio>>fi1
L'appartenenza
al mondo mediante il
linguaggio
di
capitale impor-
tanza
per
l'attivit ermeneutica.
Questa
trova in essa
il
suo
sostegno,
il
suo
punto
di stabilit". Grazie
allappartenenza
al mondo mediante il
linguaggio
e
grazie all'appartenenza
del testo al
linguaggio
si
apre
un'o-
rizzonte
universale,
che rende
possibile
l'incontro
e
la fusione dell'oriz-
zonte dell'autore
con
quello dell'interprete,
e
di
qualsiasi
altro orizzonte
particolarefi?
A
questo punto l'impresa imponente
di Gadamer di elaborare
una
nuova ermeneutica
impostata
sulla storicit dell'uomo
e, peraltro,
non
priva
di valore
oggettivo,

praticamente
conclusa. Gadamer
muove
dal-
l'affermazione della storicit
quale
condizionefondamentale ed essen-
ziale dell'uomo e tuttavia
egli
cerca
di sottrarre la
conoscenza storica
(che non
opera
secondo lo schema della
rappresentazione
ma
secondo
5)
H.
GADAMER,
Il
problema
della coscienza storica, ciL,
p.
265.
51) ID.,
Wahrlzeit und
methode, cit.,
p.
421.
52) Cf.
ibid,
pp.
356 ss.
Analisi
linguistica,
ermeneutica e
metafisica
769
quello
della
interpretazione)
alle
pretese
del
soggettivismo
e
del relativi-
smo, e
crede di riuscirci facendo
appello
al
linguaggio...
Fino a
che
punto
e in che misura
pu
ritenersi riuscito
questo
tentati-
vo
gadameriano
di svincolare Yermeneuticadalle insidie del
soggettivi-
smo e
del relativismo a cui non avevano
saputo
sottrarsi n
Dilthey
ne
Heidegger?
Il
linguaggio
assolve effettivamente
a
quella
funzione di
sostegno
del
pensiero
che Gadamer
gli
attribuisce?
ll
linguaggio

certamente, come
ha mostrato A. Gehlen, una via che
consente all'uomo di sottrarsi alla
particolarit,
di esonerarsi" dalla
singolarit
e
di
attingere
l'universalit, ma
questa
via non data all'uo-
mo n dall'essere n dalla natura: una via invece che
egli
stesso si deve
aprire
e
conquistare
con
la
sua
intelligenza,
la
sua
libera
iniziativa,
la
sua creativit e
genialit.
nel
pensiero,
in
quanto
attivit
spirituale,
che
l'uomo si sottrae al
particolare
e
attinge
Yunversale. Il
linguaggio
assol-
ve
funzioni universali soltanto
grazie
al
pensiero.
Pertanto,

sempre
nello
spirito
dell'uomo, creatore della cultura
e
quindi
anche del lin-
guaggio,
che
occorre ricercare le condizioni
gnoseologiche
delle scienze
dello
spirito.
PAUL RICOEUR
Altro
esponente
autorevoledella
nuova ermeneutica filosofica il
pensatore
francese Paul Ricoeur
(nato a
Valence nel
1913).
Anch'egli
condivide i due
principi
che
Dilthey,Heidegger
e
Gadamer hanno
posto
a
fondamento della
nuova teoria
delYinterpretazione:
a)
l'affermazione
della storicit della
conoscenza;
b)
il rifiuto dello schema
soggetto-
oggetto.
Tuttavia Ricoeur ancora
pi
sollecito nel
salvaguardare
il
va-
lore universale
dell'interpretazione.
Ricoeur
sposa
coscientemente e
volutamente i due
postulati
della
nuova ermeneuticae si tratta di
cosa
perfettamente legittima
in
quanto
a
suo
giudizio,
non esiste una
filosofia
senza
presupposti
(...).
La filosofia

pensiero gi presupposto.
ll mio
compito per
lei non
quello
di
cominciare, ma nel mezzo
della
parola,
di ricordarsi: ricordarsi
per poter
cominciare?
Secondo Ricoeur il
conoscere umano necessariamente
segnato
dalla
storicit,
perch ogni
conoscere
ha
luogo
dentro una
"prospettiva
cul-
turale,
la
quale comporta sempre
un
particolare punto
di vista (il
punto
di vista di
un
determinato orizzontestorico e culturale).
lo sono nato in
qualche luogo:
una
volta "messo al mondo" io
percepisco
ormai il
mondo attraverso una successione di mutazioni e
di novazioni a
partire
53) P.
RICOEUR,
Finitudine e
colpa, Bologna
1970,
pp.
624-625.
770 Parte terza
da
questo luogo
che i0 non
ho scelto e
che
non
posso ricuperare
nel ri-
cordo. Il mio
punto
di vista si distacca allora da
me come un
destino che
governa
dall'esterno la mia Vita>>.54
L'affermazionedella storicit del conoscere basta
gi
a
far cadere lo
schema
soggetto/ oggetto.
Ma il rifiuto di tale schema in Ricoeur anche
la
conseguenza
della
sua accettazionedelle
posizioni gnoseologiche
kan-
tiane,
le
quali,
come tutti
sanno,
non consentono mai di
attingere
la cosa
in
s, ma
soltanto i
fenomeni,
che
sono
sempre
un intreccio di elementi
soggettivi
e
di elementi
oggettivi.
Cos la realt rimane
per
Ricoeur come
per
Kant
sempre
e
solo
una "X", una
cifra indecifrabile:ad
essa si
pu
puntare
col
simbolo, ma non
si
pu
mai
attingere
cos come essa e.
Alla base deIYermeneutiCaRicoeur
pone
unantropologia
che ha
come
punto qualificante
la "fallibilit"dell'uomo.
Questi
dal Ricoeur
non studiato
come homo
sapiens,
homo
Ioquens,
homo
faber,
homo liber,
homo culturals ecc. bens come
homo
fallibilis.
La sua
fallibilitviene
messa
in luce mediante lo studio della simbolica del male. l simboli
sono,
per questo
autore,
il
cespite pi prezioso dell'antropologia,
le tracce
pi
sicure
per scoprire
la condizione
originaria
dell'uomo. Per
questo
moti-
vo
egli compie
un'accurata analisi di
quattro
nuclei della simbolica del
male: il
caos
originale,
il destino
tragico,
il
peccato originale,
il mito del-
l'anima esiliata.
Egli
fa vedere che
questi
simboli rivelano
una
condizio-
ne
di alienazionedell'uomo attuale
rispetto
alla
sua
condizione
origina-
ria: la simbolica del male attesta la
separazione
dell'uomo da Dio. Cos
Ricoeur
pu
affermare che il simbolo ha
una
valenza essenzialmente
religiosa:
e la
categoria
che immette l'uomo nel
sacro e
lo rende
parteci-
pe
del
medesimo;
il
legame
dell'uomo col sacro>>.55 Senza simbolismo
ogni
sforzo dell'uomo di
esprimere l'esperienza religiosa
vano. C01
simbolismo, e
soltanto col simbolismo l'uomo
pu
mettersi in
rapporto
con
il Tutt'Altro. Poich ci che vissuto come
esperienza
del sacro
esige
la mediazionedi
un
linguaggio specifico:
il
linguaggio
dei simbo-
li. Senza l'ausiliodi
questo linguaggio l'esperienza
rimarrebbe
muta,
oscura,
chiusa sulle
sue
contraddizioni
implicite.56
Per i simboli
non sono
immediatamente
intelligibil,perch
rinviano
a una
realt
occulta,
misteriosa:
per questo
hanno
bisogno
di
interpreta-
zione. La
comprensione
del loro
significato dipende
dalla corretta inter-
pretazione.
Ma
a monte della
interpretazione
e
della
comprensione
c'
l'accettazionedei
simboli,
un'accettazioneche avviene
per
fede: Biso-
gna
credere
per
comprendere: l'interprete
non si accoster mai infatti
a
5g) una,
p.
95.
5)
Iblvd,
p.
249.
5) Ibid,
p.
419.
Analisi
linguistica,
ermeneuticae
metafisica
771
ci che dice il
suo testo se non vive nelYauradel
significato interroga-
to>>,57 e l'aura
precisamente quella
della fede. Senonch la fede dell'uo-
mo moderno
non
pi quella spontanea, ingenua, semplice,
immediata
che
aveva l'uomo delle
epoche precedenti;
una fede
pi matura,
pi
esigente
e
pi critica,
che
pu disporsi
al
comprendere
soltanto median-
te
Yinterpretare. Qualcosa
stato
perduto
irrimediabilmente
(dalla mo-
dernit): l'immediatezzadella credenza. Ma
se non
possiamo pi
vivere
i
grandi
simboli del
sacro,
secondo la credenza
originaria,
noi moderni
possiamo
almeno
tendere,
nella critica
e
per
suo
mezzo,
a una seconda
ingenuit.

insomma
interpretando
che
possiamo
di
nuovo intendere;

quindi
nell'ermeneutica che si
scioglie
il dono del
significato
attraverso
il simbolo
e si
svolge l'impresa intelligibile
della decodificazione>>fi8
ljermeneutica, condizionemoderna del credere
e dellintendere, non
vista da Ricoeur
come una condanna, ma come un dono della
modernit:
poich
noi moderni siamo tutti eredi della
filologia,
dell'e-
segesi,
della
fenomenologia
della
religione,
della
psicanalisi
del
linguag-
gio;
la stessa
epoca
che
dispone
della
possibilit
di
svuotare il
linguag-
gio
formalizzandoloin modo radicaleha anche la
possibilit
di
riempir-
lo di
nuovo,
richiamandoalla memoria i
significati pi pieni, pi
pesan-
ti,
pi legati
alla
presenza
del
sacro nelluomo>>.59
Secondo
una bella
espressione
del
Ricoeur,
il simbolo d da
pensa-
re:6 esso
d
qualcosa
da
pensare
e
di che
pensare
ai filosofi
e
agli
ese-
geti. Raccogliere
il dono dei simboli e
compito
dellermeneutica.
Oltre che delrermeneutica
filosofica, Ricoeur si
occupato
anche del-
Permeneutica
biblica, e in un
saggio importante
ha cercato di chiarire i
rapporti
che intercorrono tra
queste
due
aree dellermeneuticafi Anche
se
il
linguaggio
non e lo
stesso,
di fatto la
questione
coincide con
quella
dei
rapporti
tra filosofia
e
teologia, questione
che, come si visto in un
precedente capitolo,
stata
ripetutamente
dibattuta nel
corso dei
secoli,
e
ha ricevuto
molteplici
soluzioni.
Secondo Ricoeur tra ermeneutica filosoficaed ermeneuticabiblicac'
un
rapporto reciproco, rapporto
che viene
comunemente denominato
circolo ermeneutico. Mentre infatti
per
un verso necessario credere
per comprendere,
per
un altro
Verso necessario
comprendere
per
cre-
derci! Ricoeur deduce la
legittimit
e
l'esigenza
di
questo procedimento
circolare dalla natura stessa della fede.
Egli
rileva anzitutto che
nessun
57) Ibid,
p.
627.
53) Ibid.
5") lbid.,
p.
625.
69) lbial,
p.
624.
61) Cf. P.
RICOEUK, Ermeneulica
filosofica
ed ernzenezrtica
biblica, Brescia 1977.
62) Cf.
ID., Pinitudince
colpa, ciL,
pp.
627
ss.
772 Parte terza
trattamento
linguistico,
nessun
procedimento
ermeneutico
pu
avanza-
re
la
pretesa
di rendere
perfettamente
intelligibile
la Scrittura e
razionale
la fede.
Questo
un atto autenticamente
irriducibilea
qualunque
trat-
tamento
linguistico
e
quindi
Veramente limite di
ogni
ermeneutica e
in-
sieme
origine
non
ermeneutica di
qualsiasi interpretazione
e si
compie
col rischio a una
risposta
che
nessun commento sa n
produrre
n esau-
rire.
Proprio per
render chiaro il carattere
prelinguistico
o
iperlinguistico
si
giunti
a
chiamarela fede
"preoccupazione
ultima,
indicandoil
rag-
giungimento
di
quell'unico
necessario con
riferimentoal
quale
ci si orien-
ta in
ogni
sceltaw Ma allo stesso
tempo
Ricoeur osserva
che la fede
biblicanon
pu
essere
separata
dal movimento
di
interpretazione
che la
eleva a
linguaggio.
La
preoccupazione
ultima resterebbe nzuta se non
venisse investita dalla forza
linguistica
di
un'interpretazione
mai inter-
rotta e
sempre
ripresa
dei
segni
e
dei simboli che nel cuore
dei secoli
hanno,
per
cos dire,
educato e
formato
questa preoccupazionemffl
Le
ragioni
che Ricoeur adduce a
favore dell'uso deltermeneuticafilo-
sofica da
parte
dell'ermeneutica
biblica sono
sostanzialmente
quelle
stesse che adducono i
teologi
cattolici a
favore
dell'impiego
della filoso-
fia nella elaborazione della
teologia.
La
ragione principale
che il ricor-
s0
all'ermeneuticafilosoficarende
possibile
il
superamento
delle insidie
del
soggettivismo
e
del fideismo,
da cui si lasciano
spesso
adescare teo-
logi
e
biblisti del nostro
tempo.
Questa "applicazione"
restituisce l'er-
meneuticabiblicaa se stessa liberandolada
pi
di un'illusione.
Scompa-
re
la tentazione di introdurre
prematuramente,
come
fanno Bultmann e i
suoi
seguaci, categorie
di
comprensione
esistenziali o
esistentive.
Compi-
to
prima
delfermeneutica "la
cosa
del
testo", come ama
chiamarlaRicoeur,
ossia il mondo che il testo
dispiega
davanti a s e non
l'assimilazione
personale
del testo.65
di
importanza
notevole
Yimplicazione
che
segue
da
questo principio: Compito primo
deltermeneutica non
suscitare
63) P.
RICOEUR,
Ermeneutica
filosofica
ed ermeneutica biblica, cit.,
p.
96.
64) Ibid,
p.
97.
65)
Su
questo punto
il
pensiero
di Ricoeur coincide sostanzialmente con
quello
di
Emilio Betti.
Questi
in tutti i suoi scritti, ma
in
particolare
in Lrrmenezrtica come
metodica
generale
delle scienze dello
spirito,
si e
opposto energicamente
a
ogni
ten-
tativo di subordinare
Pesegesi
del testo
agli
interessi esistenziali
dell'interprete.
Betti
pone
una netta distinzione tra
Atrsleggung, interpretazione
che
salvaguarda
i
risultati
oggettivi
del
processo
ermeneutico, e
Sinngebung,
attribuzione
soggetti-
va di
significato propria
dellermeneutica esistenziale, e
giustamente
sostiene
che solo
dopo
avere
compreso
il
passato
nella sua
giusta
realt storica, attraver-
so un
rigoroso
lavoro ermeneuticoe
dopo
avere
ricostruito come
quel passato

giunto
fino a noi,
solo allora noi siamo resi
capaci
di
"Compre-ridere
senza
ambiguit
il reale valore di
significativit
che
quel passato
riveste
per
la nostra
Vita attuale.
Analisi
linguistica,
ermeneutica
e
metafisica
773
nel lettore
una decisione, ma
permettere dapprima
a
quel
modo d'essere
che la cosa" del
testo,
di
dispiegarsi.
Questa
proposizione
di
un mon-
do che nel
linguaggio
biblicosi chiama mondo
nuovo,
nuova alleanza,
regno
di
Dio, rinascita,
si trova cos situata al di
sopra
di
sentimenti, ten-
denze,
credenza e non credenza, e
forma
un
complesso
di realt
dispie-
gato
davanti al
testo,
per
noi indubbiamente
certe,
ma a
partire
dal te-
sto. In
questo
Consiste ci che
possiamo
chiamare l'essere nuovo
proget-
tato dal testo>>fi6
Tale
procedimento
non
conduce affatto al razionalismo
e, pertanto,
alla eliminazionedella
fede,
perch,
secondo
Ricoeur,
la stessa ermeneu-
tica filosoficaarriva a
cogliere
con
chiarezza nella Scrittura elementi non
risolubilin riscontrabili in alcun documento di
origine
umana.
La
peculiarit
della Scrittura sta nella sua
capacit
di
aprire
un orizzonte che
sfugge
alla finitezza del discorso
(uma-
no)... e
la
capacit
(con
la
parola
di Cristo)
di incarnaretutti i
significa-
ti
religiosi
in un
simbolo
fondamentale, quello
di un amore
che si
sacrifica,
che
pi
forte della morte. E ora
chiaro in che modo Perme-
neutica biblicasia caso
particolare
dellermeneutica
generale
e caso
unico:
particolare perch
l'essere nuovo
di cui
parla
la Bibbia non va
cercato altrove, ma nel mondo di
questo
testo che un testo fra
altri;
caso unico invece
perch
tutti i discorsi
parziali
sono
riferiti a un
Nome che
punto
di incontro e
indice di
incompiutezza per
tutti i
nostri discorsi su Dio.67
In Ricoeur si osserva una certa conflittualittra l'assunzione dei
po-
stulati decisamente
soggettivistici
della nuova ermeneutica (storicit
del
conoscere e
rifiuto dello schema
soggetto-oggetto)
da
una
parte,
e
il ri-
conoscimento della "cosa del
testo", cio del
suo
significato
storico
0g-
gettivo,
dall'altra. Ricoeur
pu
mantenere due
posizioni
cos antitetiche,
facendovalere la
prima per
Yermeneutieafilosofica
e
la seconda
per
l'er-
meneutica
teologica.
Da buon
teologo egli
deve affermare
e riconoscere
la
priorit
del
significato
in s della Parola di Dio sul
significato
per
noi;
allo stesso
tempo
da filosofokantiano
qual egli
,
pu
sostenere che in
sede filosoficala cosa del testo non
attingibile,
e ci si deve limitare al
significato
per
noi, come
reso
accessibileda
un
determinato orizzonte
storico-culturale.
66)
l.
RICOEUR, Ermeneutica
filosoficzz
ed ermeneutica
biblica,cit.,
p.
90.
57) lbid,
pp.
94-95.
774 Parte terza
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775
CONCLUSIONE
Con la svolta
linguistica
ed ermeneutica si chiude la
lunga parabola
della filosofia
moderna, una
filosofiache
era nata senza
preclusioni
nei
confronti della
metafisica;
anzi
per
un
paio
di
secoli,
pur percorrendo
vie nuove
rispetto
a
quelle
della metafisica
Classica, essa era
Comunque
riuscita
a
conseguire gli
stessi obiettivi
e a realizzare
a suo modo la "se-
conda
navigazione.
Ma
dopo
la critica kantana della
ragion pura
non
rimase
pi
nessuno
spazio
per
la metafisica. N si sono
aperti
nuovi
spazi
per
la
regina
del
sapere neppure quando
la seconda modernit ha
cambiatorotta e
la filosofia da critica della
conoscenza si trasformata
in
fenomenologia,
in analisi
esistenziale,
in analisi del
linguaggio
e in
nuova ermeneutica.
La filosofiaanalitica
e
la
nuova ermeneuticahanno cercato di ridurre
tutti i
problemi
metafisici
a
problemi linguistici.
Ma la filosofiaanalitica
non riuscita a trovare un criterio universale
per distinguere
tra discorsi
sensati e
discorsi
privi
di
senso;
mentre la
nuova ermeneutica non
stata in
grado
di chiarire in che
cosa consista la verit di
un discorso. In
realt i
problemi
del
significato
e
della verit
non sono
semplicemente
problemi logici
e
gnoseologici,
ma
primariamente
sono
problemi
ontolo-
gici
e metafisici.
D'altronde ci sono molti altri
problemi
di
capitale importanza,
come
l'origine
della
Vita,
il
senso dell'esistenza
e della
storia,
i fondamenti
della
morale,
il valore della
persona,
la
libert,
la morte ecc.
che il filo-
sofo
non
pu ignorare
e
che
con le sole armi della filosofiaanalitica
e
dcllermeneutica
non
potr
mai risolvere
e
neppure
affrontare.
Questi
sono i classici
problemi
con cui si cimentata da
sempre
la metafisica.
Per
questo
motivo anche nel secolo XXla metafisica ha dato
significa-
tivi
segni
di Vita. In
realt,
la metafisica
indistruttibile;e
lo
perch

l'unica forma di
sapere
umano
che
pu
affrontare i
problemi
ultimi.
D'altronde
se si
distrugge
la metafisica
non si
distrugge
soltanto
una
delle
parti pi
alte
e
preziose
del
patrimonio
culturale
dell'umanit, ma
si
priva
l'uomo di
un anello essenziale del mondo conoscitivo: l'anello
che
collega
la
conoscenza scientifica alla
conoscenza
religiosa,
la scienza
alla rivelazione. Solo
una conoscenza
che
gi penetra,
come fa la metafi-
sica,
nel mondo
trascendente,
pu fungere
da
ponte
tra la
conoscenza di
questo
mondo
e
la
conoscenza dell'altro
mondo, e tra ci che la
ragione
776 Parte terza
umana
riesce a conoscere con
le
proprie
forze e ci che riceve in dono
dalla divina rivelazione. Solo la metafisica in
grado
di fornire una
giu-
stificazionerazionaledella
religione.
La metafisica crea
quindi
un'armo-
nia tra le
grandi
attivit dello
spirito,
e assicura all'uomo una
profonda
unit interiore.
L'umanit
ha vissuto anche
epoche
ametafisiche 0
antimetafisiche.
Ma l'assenza della metafisica non mai stato un
segno
di ricchezza
bens di
povert spirituale
e
culturale.
Purtroppo, oggi
noi ci troviamo in
un'epoca
di transizione. Siamo
nella fase di
passaggio
dalla modernit alla
postmodemit.
Ci stiamo la-
sciando alle
spalle un'epoca
di fantastiche e
gloriose conquiste operate
dalla
ragione
strumentale; ma
queste
stesse
conquiste
hanno
provocato
una
profonda
erosione dei valori fondamentali. Cos siamo
sprofondati
in un
terribilevuoto culturale e
spirituale.
Con la
postmodernit spunter
una nuova
civilt soltanto
quando
l'umanit riuscir a trovare a
livello
planetario
una nuova piattaforma
di valori assoluti: valori umani,
spirituali
e
religiosi
che diventino il vin-
colo comune
tra tutti
gli
abitanti del
pianeta.
Il
compito
della metafisica
sar allora
quello
di
fungere
non
solo da
interprete,
ma
anche da difen-
sore e
garante,
sul
piano
razionale,
del nuovo
Codice dei valori,
ossia
dell'anima della nuova
civilt.
INDICE
Prologo.....................................................................................................
..p.
5
PARTE PRIMA
DINTERMEZZODELIJUMANESIMO
LUmanesimo:
prologo
della civiltmoderna
..................................
..p.
9
Ulndirizzo
platonica:
Nicol
Cusano,
Marsilio
Ficino,
Giordano Bruno
..........................
..p.
13
NicolCusano
.........................................................................................
..p.
14
Vita
.......................................................................................................
..p.
15
Opere ....................................................................................................
..p.
16
Il
platonismo
di Cusano
.......................................................................
..p.
17
La dottrina della
Conoscenza.
il
principio
della coincidenza
degli opposti ..........................................
..p.
19
La
metafisica
della coincidenza
degli opposti .......................................
..p.
21
Esistenza, natura,
attributi di Dio
.......................................................
..p.
22
La ded-uzione della Trinit
....................................................................
..p.
26
La creazione
..........................................................................................
..p.
28
Luci e ombre nel
pensiero
del Cusano
..................................................
..p.
29
MarsilioFicino
........................................................................................
..p.
31
Vita e
opere ...........................................................................................
..p.
32
Il
progetto religiosrrteologico
di Ficino
................................................
..p.
33
Il
platonismo
di Ficino
.........................................................................
..p.
34
Il cristianesimo di Picino
......................................................................
..p.
36
Dignit
dell'uomo
e immortalit dell'anima
........................................
..p.
36
lnflusso
di Picino sui
posteri ................................................................
..p.
38
778
Giordano Bruno
......................................................................................
..p.
Vita
e
opere
........................................................................................... ..p.
Il
neoplatonismo
di Giordano Bruno
.................................................... ..p.
Il metodo
............................................................................................... ..p.
II
linguaggio metafisico........................................................................
..p.
La
metafisica dell'infinito.....................................................................
..p.
La visione
cosmologica.........................................................................
..p.
La
religionefilosofiea............................................................................ ..p.
Dinflusso..............................................................................................
..p.
Suggerimenti bibliografici.....................................................................
..p.
LIndirizz0aristotelica:
Achillini,Nifo, Pomponazzi,
Zabarella,
Telesio
............................. ..p.
Alessandro Achillini
............................................................................... ..p.
Agostino
Nifo
.......................................................................................... ..p.
Pietro
Pomponazzi ................................................................................. ..p.
Jacopo
Zabarella
..................................................................................... ..p.
Bernardino Telesio
..................................................................................
..p.
L'uomo
.................................................... ........................................... ..p.
Il mondo
............................................................................................... ..p.
Dio
........................................................................................................ ..p.
Conclusione
.............................................................................................
..p.
Suggerimenti bibliografici..................................................................... ..p.
LIndirizz0tomista
................................................................................ ..p.
Giovanni
Capreolo ................................................................................. ..p.
Francesco Silvestri
.................................................................................. ..p.
Tommaso de Vio
.....................................................................................
..p.
Francisco Suarez
..................................................................................... ..p.
Vita
e
opere
........................................................................................... ..p.
Le
Disputationes metaphysicae....................................................... ..p.
La struttura delle
Disputationes........................................................ ..p.
La necessit di
un nuovo trattato di
metafisica....................................
..p.
l
capisaldi
della
metafisica
suareziana
................................................. ..p.
La divisionedella
metafisica
in
generale
e
speciale ..............................
..p.
Diffusione
e
influsso
delle
Disputationes
e
della
metafisica
suareziana
................................................................ ..p.
Conclusione
.......................................................................................... ..p.
Suggerimenti bibliografici..................................................................... ..p.
39
39
40
41
43
45
47
48
49
52
54
56
57
58
61
63
64
65
66
67
68
70
73
74
75
80
80
80
82
83
86
90
94
98
PARTE SECONDA
LA PRIMA
MODERNIT
LA METAFISICAMODERNAFINO A KANT
La modernit e
la sua
metafisica
........................................................ ..p.
L'essenza della modernit
..................................................................... ..p.
Il concetto di
Hegel ............................................................................... ..p.
Altri concetti di modernit
................................................................... ..p.
La modernit come sintesi di valori assoluti e
valori strumentali
.......
..p.
Le caratteristiche della metafisica moderna
....................................... ..p.
Cartesio,
il
padre
della metafisica moderna
..................................... ..p.
Vita e
opere
.............................................................................................. ..p.
La nuova
metafisica di Cartesio
............................................................ ..p.
Il
preambolo gnoseologico
.................................................................... ..p.
La metafisica del
Cogito
e la mathesis unioersalis
................................. ..p.
Le
regole
del metodo
.............................................................................. ..p.
L'intuizionee
la deduzione
............................................................... ..p.
Le idee innate
........................................................................................ ..p.
La metafisica di Dio
................................................................................ ..p.
La via
psicologico-riflessiva.................................................................. ..p.
La via
ontologico-dedu
ttiva
.................................................................. ..p.
La metafisica dell'uomo e
il
primato
della libert
............................. ..p.
La
cosmologia:
scienza e
metafisica
..................................................... ..p.
Obiezionie
risposte
................................................................................ ..p.
Prime obiezioni
..................................................................................... ..p.
Seconde obiezioni
.................................................................................. ..p.
Terze obiezioni
...................................................................................... ..p.
Quarta
obiezioni
................................................................................... ..p.
Quinte
obiezioni
................................................................................... ..p.
Seste obiezioni
...................................................................................... ..p.
Settimo obiezioni
.................................................................................. ..p.
Recezione e
interpretazione
del
pensiero
di Cartesio
.......................
..p.
Suggerimenti bibliografici..................................................................... ..p.
779
103
103
104
104
105
106
109
109
111
112
115
117
118
119
121
123
125
127
133
136
137
137
137
138
138
138
139
139
143
780
Malebranchee
Pontologismo..............................................................
..p.
144
Vita
e
opere
..............................................................................................
..p.
144
Malebranche
e Cartesio
.........................................................................
..p.
145
Il
prolegomenognoseologico................................................................
..p.
146
La
prova ontologica
dell'esistenza di Dio
...........................................
..p.
147
Dio e
il mondo
.........................................................................................
..p.
151
Rapporti
tra fede
e
ragione,
tra filosofia
e
religione..........................
..p.
155
Suggerimenti bibliografici.....................................................................
..p.
157
Spinoza
e
la metafisica della sostanza
..............................................
..p.
158
Il ritorno di
Spinoza ...............................................................................
..p.
158
Vita e
opere ..............................................................................................
..p.
158
Spinoza
e
Cartesio
..................................................................................
..p.
159
I1
prolegomenognoseologico................................................................
..p.
160
La metafisica della Sostanza
.................................................................
..p.
165
Le
definizioni
e
gli
assiomi di
partenza ................................................
..p.
167
Considerazioni
preliminari
sulla sostanza
...........................................
..p.
171
Prove dell'esistenza di Dio
................................................................... ..p.
171
Propriet
e
attributi di Dio
..................................................................
..p.
175
I modi della sostanza divina: l'uomo
....................................................
..p.
178
Conclusione
.............................................................................................
..p.
183
Suggerimenti bibliografici.....................................................................
..p.
185
Pascal
e
la metafisica del cuore
.......................................................
..p.
186
Pascal un
grande
metafisico
...............................................................
..p.
186
Vita e
opere ..............................................................................................
..p.
187
La
questione
dei metodi
........................................................................
..p.
189
L'enigma
umano
........................................ ..........................................
..p.
192
Il mistero divino
......................................................................................
..p.
196
La soluzionecristiana
delienigma
umano
.........................................
..p.
203
Conversionedel
cuore e
follia della
croce
..........................................
..p.
205
Conclusione
.............................................................................................
..p.
205
Suggerimenti bibliografici.....................................................................
..p.
207
781
Leibniz e la metafisica della monade
................................................ ..p.
208
Vita e
opere
.............................................................................................. ..p.
208
Il
programma
metafisicoleibniziano
................................................... ..p.
209
Dottrina della conoscenza ........................................................
............p.
214
La monade
............................................................................................... ..p.
216
Anima e
corpo:
armonia
prestabilita................................................... ..p.
218
L'esistenza di Dio
.................................................................................... ..p.
220
La
prova
ontologica
.............................................................................. ..p.
222
Le
prove
cosmologiche
.......................................................................... ..p.
224
Creazione, provvidenza,
male e libert
............................................... ..p.
225
Conclusione
....................................................................
..'.
........................p.
228
Suggerimenti bibliografici
..................................................................... ..p.
231
I
seguaci
di Leibniz: Wolff e
Baumgarten
......................................... ..p.
232
Christian Wolff
........................................................................................ ..p.
232
Alexander Gottlieb
Baumgarten
.......................................................... ..p.
234
Suggerimenti bibliografici
..................................................................... ..p.
234
Ulmpirismo:
la metafisica
prigioniera
dei sensi
..............................p.
235
La reazione
degli empiristi
al razionalismo
....................................... ..p.
235
john
Locke
............................................................................................... ..p.
236
Vita e
opere
........................................................................................... ..p.
236
Locke e Cartesio
.................................................................................... ..p.
238
lJorigine
delle idee e la nuova
mappa
del mondo conoscitivo
................p.
240
Il valore della conoscenza ..................................................................... ..p.
246
Locke e la
metafisica
.............................................................................
.
.p.
251
George Berkeley...................................................................................... ..p.
253
Vita e
opere
........................................................................................... ..p.
253
Il rovesciamento
dellzmpirismo
in idealismo
...................................... ..p.
253
Esistenza della
spirito:
io, altri,
Dio
..................................................... ..p.
255
Nominalisnzo
.....
.j
................................................................................. ..p.
256
David Hume
............................................................................................ ..p.
256
Vita e
opere
........................................................................................... ..p.
256
Il
principiofnndamentaledellafilosofia
di Hume
................................
..p.
257
Origine
della conoscenza...................................................................... ..p.
258
Origine
della relazione di causa
ed
effetto............................................
..p.
262
La conoscenza
dell'esistenza delle
cose,
dell'io
e
di Dio
.........................p.
264
Conclusione
.......................................................................................... ..p.
269
782
Isaac Newton
...........................................................................................
..p.
269
Vita
e
opere ........................................................................................... ..
p.
270
L'universo nezutvniano
.........................................................................
..p.
271
L'esistenza di Dio e la creazione del mondo
.........................................
..p.
272
Conclusione
.......................................................................................
..p.
275
Suggerimenti bibliografici.....................................................................
..p.
276
Vico
e la metafisica della storia
..........................................................
..p.
278
Vita e
opere ..............................................................................................
..p.
278
Lflatobiagrafia:
le fonti del
pensiero
di Vico
.......................................
..p.
28D
Una
nuova
gnoseologia
.........................................................................
..p.
281
La Scienza Nuova
e
i fondamenti Inetafisici della storia
....................
..p.
282
Conclusione
.............................................................................................
..p.
286
Suggerimenti bibliografici
..................................................................... ..
p.
287
PARTE
TERZA
LA SECONDA MODERNIT
LA METAFISICADA KANT FINO AI NOSTRI GIORNI
Kant: decostruzione della metafisicateoretica
e costruzione della metafisica
pratica ...............................................
..p.
291
Vita e
opere ..............................................................................................
..p.
292
Gli
sviluppi
del
pensiero
di Kant nel
periodo precritico..............
294
Prima
tappa:
il
dogmatismometafisico
Ieibniziano-
iuolfiiano...........
..p.
295
La seconda
tappa:
il
punto
di vista della
"pliilosopliiaexperimentalis............................
..p.
296
Terza
tappa:
il criticismo
incipiente
della dissertazione
De mundi sensibilis
atque intelligibilis
forma et
principiis ........
..p.
297
I limiti della metafisica teoretica
nelle due Prefazi0n della Critica della
ragion para .........................
..p.
301
La rivoluzione
copernicana
nella dottrina della
conoscenza
...........
..p.
310
L'estetica trascendentale
.................................................... ................
..p.
311
Ijanaliticatrascendentale
.....................................................................
..p.
313
La dialettica trascendentale
..................................................................
..p.
318
783
La metafisica della
ragionpratica
........................................................ ..p.
327
Libert
.................................................................................................. ..p.
329
immortalit dell'anima
......................................................................... ..p.
331
Esistenza di Dio
................................................................................... ..p.
331
Valore
epistemologico
dei
postulati
...................................................... ..p.
332
La metafisica nella Critica del
giudizio
.................................................. ..p.
333
I
Prolegonzent
a
ogni metafisicafzitara
e la conoscenza
analogica
di Dio
.......................................................... ..p.
338
Conclusione:
l'ambiguit
della metafisica kantiana
............................p.
343
Suggerimenti bibliografici
..................................................................... ..p.
348
Le caratteristiche della seconda modernit
dopo
Kant
....................p.
351
La dissoluzionedella metafisica
negli
idealisti
................................p.
355
Johann
Gottlieb Fichte e
Yidealismo etico
........................................... ..p.
357
Vita
....................................................................................................... ..p.
357
Opere
.................................................................................................... ..p.
358
Il
sapere
assoluto
.................................................................................. ..p.
358
Il sistema della libert
.......................................................................... ..p.
361
La
filosofia
della
religione
..................................................................... ..p.
363
FriedrichWilhelm
Ioseph Schelling..................................................... ..p.
365
Vita e
opere
........................................................................................... ..p.
365
Il
primo Schelling:
la
filosofia
dell'identit
............................ ...........
..p.
366
Il secondo
Schelling:
la
filosofiapositiva
e la
cristologia......................
..p.
369
Georg
WilhelmFriedrich
Hegel ........................................................... ..p.
370
Vita e
opere
........................................................................................... ..p.
370
Il sistema dellidcalismoassoluto
......................................................... ..p.
372
La dissoluzionedella
metafisica
nella storia della
filosofia..................
..p.
376
Teologgicizzazione
della
filosofia
0
filosoficizzazione
della
teologia?........................................................ ..p.
377
Valutazioneconclusiva
........................................................................ ..p.
379
Suggerimenti bibliografici..................................................................... ..p.
382
Schleiermachere
la
fuga
verso
Permeneutica
................................. ..p.
386
Vita e
opere
.............................................................................................. ..p.
386
Uimportanza
di Schleiermacher
.......................................................... ..p.
387
Il rinnovamentodell'ermeneutica
........................................................ ..p.
388
Definizione
e divisionedellermeneatica
..............................................
..p.
390
I
principi generali
delfermeneuticadi Schleiermacher
..........................p.
392
L'essenza della
religione .......................................................................
..p.
393
Suggerimenti bibliografici.....................................................................
..p.
399
784
La dissoluzionedella metafisica nei volontaristi
e nei materialisti:
Schopenhauer, Feuerbach, Marx e Comte
........................................
..p.
401
Arthur
Schopenhauer
............................................................................
..p.
401
Vita e
opere ...........................................................................................
..p.
40]
Il oolontarisnto
..................................................................................... ..
p.
402
Ludwig
Feuerbach
..................................................................................
..p.
404
Vita e
opere ...........................................................................................
..p.
404
Ijantropocentrisnzo
radicaledi Feaerlvach
...........................................
..p.
404
Karl Marx
.................................................................................................
..p.
407
Vita
e
opere ...........................................................................................
..p.
407
[alienazione
religiosa
e il materialismostorico-dialettico
...................
..p.
407
Auguste
Comte
.......................................................................................
..p.
411
Vita e
opere ...........................................................................................
..p.
411
Il
superamento
della
metafisica
nzediarzte la scienza
............................
..p.
412
Suggerimenti bibliografici
.....................................................................
..p.
420
Antonio Rosmini:
una nuova metafisica dell'essere
......................
..p.
423
Vita
............................................................................................................
..p.
423
Opere
........................................................................................................
..p.
425
a)
Scrittifilosofici
.................................................................................
..p.
425
b) Scritti
teologici
.................................................................................
..p.
425
c) Scritti ascetici
...................................................................................
..p.
425
Gli obiettivi di Rosmini
..........................................................................
..p.
426
Il
prologo gnoseologico:
l'essere ideale
...............................................
..p.
428
L'intuizionedell'essere ideale
...............................................................
..p.
428
La sintesi
prinzitiva
(dell'essere con la realt del
giudizio)..................
..p.
432
La
ragione
.............................................................................................
..p.
432
Lbntologia
............................................................................................
..p.
434
L'art
tropologiafilosofica.......................................................................
..p.
443
La
teologia
naturale
..............................................................................
..p.
451
Rapporti
tra l'uomo
e Dio
....................................................................
..p.
457
Conclusione
.............................................................................................
..p.
460
Su
ggeriment bibliografici.....................................................................
..p.
465
785
Kierkegaard
e la metafisica dell'esistenza
.......................................
..p.
467
Vita
............................................................................................................ ..p.
468
Opere
........................................................................................................
..p.
469
Il
primato
dell'esistenza
nella riflessionemetafisica di
Kierkegaard......................................... ..p.
469
Uangoscia
e
la fede
................................................................................. ..p.
472
Uinfinita differenza
qualitativa
tra l'uomo e Dio
..............................
..p.
475
Il
paradosso:
Ges Cristo
......................................................................
..p.
478
La
grandezza
di
Kierkegaard................................................................ ..p.
481
Suggerimenti bibliografici.....................................................................
..p.
484
FriedrichNietzsche e
la distruzione della metafisica
....................
..p.
485
Vita e
opere
.............................................................................................. ..p.
485
La rivoluzioneculturale di Nietzsche
.................................................
..p.
486
La distruzione della metafisica
.............................................................
..p.
487
La concezioneestetica della filosofia
...................................................
..p.
489
Il nichilismo
.............................................................................................
..p.
490
Visione vitalisticae
ludica del mondo
.................................................
..p.
491
Conclusione
............................................................................................. ..p.
497
Suggerimenti bibliografici..................................................................... ..p.
499
La
polverizzazione
della filosofia
dopo
Nietzsche
.........................
..p.
501
Le filosofiedei valori
..............................................................................
..p.
502
Rudolf Hermann Lotze
.......................................................................... ..p.
503
WilhelmWindelband
.............................................................................
..p.
505
Heinrich Rickert
......................................................................................
..p.
508
Max Scheler
.............................................................................................
..p.
509
Nicolaj
Hartmann
...................................................................................
..p.
51]
Diffusione della filosofiadei valori in
Europa
e in America
............
..p.
514
Louis Lavelle
...........................................................................................
..p.
514
Rene Le Senne
.........................................................................................
..p.
516
Conclusione
.............................................................................................
..p.
519
Suggerimenti bibliografici.....................................................................
..p.
520
786
Le filosofiedella vita e dell'azione
.................................................... ..p.
521
Gli inizi della filosofiadella vita
..........................................................
..p.
522
Henri
Bergson .........................................................................................
..p.
523
Vita e
opere
...........................................................................................
..p.
523
Il
prolegonzeno epistemologico..............................................................
..p.
524
Il
concettofondamentale
di
Beijgson:
la durata
................................... ..p.
526
Il metodo della
filosofia:
l'intuizione
...................................................
..p.
527
Le
difierenti
direzioni dell'evoluzionecreatrice
.................................... ..p.
528
L0 slancio vitale come
oggetto
della
filosofiu........................................
..p.
529
L'uomo come
fine
dell'evoluzione
.........................................................
..p.
531
Scienza e
nzetafisica..............................................................................
..p.
532
Rilievicritici
.........................................................................................
..p.
535
Wilhelm
Dilthey......................................................................................
..p.
536
Vita e
opere
...........................................................................................
..p.
536
La distinzione tra le scienze della natura
e le scienze dello
spirito:
l ermeneutica
................................................
..p.
537
La vita
come
principio
motore della storia
e la dimensionestorica dell'uomo
......................................................... ..p.
540
MaurceBlondel
......................................................................................
..p.
542
Vita e
opere
...........................................................................................
..p.
542
L'impegno metafisico
e
antropologico
di Blomiel
.................................
..p.
543
Il metodo dellmmanenza
.................................................................... ..p.
543
L"Azione
...........................................................................................
..p.
544
Apologetica
o
metafisica?.....................................................................
..p.
549
Suggerimenti bibliografici.....................................................................
..p.
551
Il ritorno a
Hegel ...................................................................................
..p.
554
Benedetto Croce
...................................................................................... ..p.
555
Vita e
opere
........................................................................................... ..p.
555
La
filosofia
dello
spirito ..................................................................... ..p.
556
L'estetica
...............................................................................................
..p.
558
Lo storicismo
........................................................................................
..p.
560
Giovanni Gentile
.....................................................................................
..p.
563
Vita e
opere
...........................................................................................
..p.
563
Littualismo
......................................................................................... ..p.
563
Arte,
religione
e
filosofia....................................................................... ..p.
565
Suggerimenti bibliografici..................................................................... ..p.
568
787
Fenomenologia
e metafisica
................................................................
..p.
570
Edmund Husserl
.....................................................................................
..p.
57D
Vita
e
opere ...........................................................................................
..p.
570
La
fenomenologia
come nuovo
fiareamlaolo"
della
metafisica...............
..p.
571
Riduzioneeidetica e riduzione trascendentale
..................................... ..p.
58D
EdithSten
...............................................................................................
..p.
582
Vita
e
opere ...........................................................................................
..p.
582
Husserl e S. Tommaso
..........................................................................
..p.
583
La riletturadella
metafisica
di S. Tommaso
in
ciziaoeflfenomenololgica......................................................................
..p.
586
Martin
Hcidcgger ................................................................................... ..
p.
59D
Vita
e
opere ...........................................................................................
..p.
590
Il ritorno della
metafisica .....................................................................
..p.
592
Il metodo
fenomenologico.....................................................................
..p.
593
Banaliticaesistenziale dellEsserci (uomo)
..........................................
..p.
596
Il riconoscimento
dellafilosofia............................................................
..p.
599
La verit dell'essere
..............................................................................
..p.
606
La
differenza ontologica
e il nulla
........................................................
..p.
608
Il
linguaggio
dell'essere
........................................................................
..p.
611
Rilievicritici
.........................................................................................
..p.
614
Karl
Jaspers..............................................................................................
..p.
616
Vita e
opere ...........................................................................................
..p.
616
Il
preambolo gnoseologic0
e il metodo
fenomenologico.....................
..p.
618
Origine
e limiti della ricerca
metafisica ...............................................
..p.
620
Dallesistenza alla Trascendenza
..........................................................
..p.
621
I tratti
originali
della
metafisica
di
[aspers ..........................................
..p.
623
Morte e immortalit
.............................................................................
..p.
631
Osservazioni critiche
............................................................................
..p.
633
Erich
Przywara .......................................................................................
..p.
634
Vita e
opere ........................................................................................... ..
p.
634
La
metafisica dellanalogia ...................................................................
..p.
635
Gabriel Marce]
.........................................................................................
..p.
639
Vita e
opere ...........................................................................................
..p.
639
La ricerca
metafisica.............................................................................
..p.
641
Primatodell'essere
................................................................................
..p.
642
L'uomo
come essere incarnatoe itinerante
...........................................
..p.
643
Valore delle analisi esistenziali di Marcel
............................................
..p.
645
Suggerimenti bibliografici.....................................................................
..p.
646
788
La
riscoperta
della metafisica di San Tommaso
..............................
..p.
650
Il neotomismo
......................................................................................... ..p.
65D
I tomisti francesi
..................................................................................... ..p.
653
Etienne Cilson
...................................................................................... ..p.
653
Iacqaes
Maritain
.................................................................................. ..p.
663
Antonin-Dalmace
Sertillanges ............................................................ ..p.
670
Cli altri tomisti francesi
......................................................................... ..p.
673
Reginalalo Garrigou-Lagrange............................................................. ..p.
674
Rgis [olivet.......................................................................................... ..p.
675
AimForest
..........................................................................................
..p.
676
Pierre Roasselot
.................................................................................... ..p.
678
joseph
De Finance
................................................................................ ..p.
679
I tomisti
belgi...........................................................................................
..p.
683
Desir Mcrcicr
...................................................................................... ..p.
683
Ioseph
Marchal
................................................................................... ..p.
685
MauriceDe
Walf................................................................................. ..p.
688
Fernand Van
Steenberghen..................................................................
..p.
688
Louis de
Raeymaeker............................................................................
..p.
69D
I tomisti italiani
....................................................................................... ..p.
692
Amato Masnovo
................................................................................... ..p.
693
Sofia
Vanni
Rozzighi ............................................................................. ..p.
695
Francesco
Olgiati ................................................................................. ..p.
697
Gustavo Bonladinz"
...............................................................................
..p.
700
Cornelio Fabro
...................................................................................... ..p.
705
Luigi Bogliolo....................................................................................... ..p.
710
Il neotomismo
negli
altri
paesi
del Vecchio
e Nuovo Mondo
..........
..p.
712
IOSefPieper ........................................................................................... ..p.
712
Johannes Baplist
Lotz
........................................................................... ..p.
713
Santiago
Ramirez
................................................................................ ..p.
713
Erich L. Mascall
................................................................................... ..p.
713
Ottavio Derisi
...................................................................................... ..p.
714
Ralph Mclnerny................................................................................... ..p.
714
Suggerimenti bibliografici..................................................................... ..p.
716
La
riscoperta
della metafisica di Aristotele
......................................
..p.
717
Marino Gentile
........................................................................................ ..p.
717
Opere principali ................................................................................... ..p.
718
Enrico Berti
.............................................................................................. ..p.
719
Principali pubblicazioni....................................................................... ..p.
719
Pietro
Faggiotto....................................................................................... .. p.
721
Principali pubblicazioni
....................................................................... ..p.
721
789
Il ritorno a S.
Agostino
.........................................................................
..p.
726
Michele Federico Sciacca....................................................................... ..p.
726
Augusto
Guzzo.......................................................................................
..p.
732
RomanoGuardini ...................................................................................
..p.
736
Il sistema
degli opposti
.........................................................................
..p.
739
La rivelazione.......................................................................................
..p.
741
La
persona
............................................................................................
..p.
742
Suggerimenti
bibliografici
.....................................................................
..p.
745
Analisi
linguistica,
ermeneuticae
metafisica
.................................. ..p.
746
L'analisi
linguistica
e
la metafisica
....................................................... ..p.
746
Lmtinzeiafisicit
del Circolo di Vienna
............................................... ..p.
747
L'apertura metafisica degli
analisti
inglesi
.......................................... ..p.
750
Altri
esponenti
della
filosofia
analitica
e
le loro valutazioni della
nzetafisica
..................................................... ..p.
753
Uermencuticae
la metafisica................................................................ ,.p.
759
Hans
Georg
Gadamer ...........................................................................
..p.
760
Paul Ricoeur
.........................................................................................
..p.
769
Suggerimenti
bibliografici
.....................................................................
..p.
774
Conclusione............................................................................................
..p.
775
790
l. INDICE DEI
FILOSOFI E DELLE
FILOSOFIE- Volumi 1-3
1 numeri in neretto si
riferiscono
alle
pagine
della
trattazio-
ne
esplicita, gli
altri alle citazioni
significative;
i numeri
in corsivo rimandano alle relative
indicazioni
bibliografiche.
Abubacer: vedi Ibn Tofail
Accademia vol. 1:
395-399
Achillini A. V01. 3:
56-57,
68
Adamo, Maestro vol. 2:
429-430
Agostino dIpp0na
vol. 1:
35,
140-141, 250;
vol. 2:
140-225, 235,
242-243, 245, 246, 307; vol. 3:
16,
357
Al-Farab vol. 2:
337, 343-349, 393
AI-Ghazali V01. 2:
372-379,
393
Al-Kindi vol. 2:
338-343, 393
Alberto
Magno
vol. 1:
261;
vol. 2:
446-474, 475
Albinovol. 1:
499, 500-504
Alessandro di Afrodisia
vol. 1:
611-612,
615
Alessandro di I-lales
vol. 2:
620-623,
630
Amalricodi Bene vol. 2: 416-417
Analisi
linguistica
vol. 3:
747-760,
775
Analisti
inglesi
vol. 3:
751-754, 775
Anassagora
vol. 1:
91-95,
104
Anassimandrovol. 1:
40-43,
104
Anassimenevol. 1:
44-45,
104
Andronicodi Rodi vol. 1: 12
Anselmo d'Aosta vol. 2:
297-323,
334
Antiseri D. vol. 3: 758-760
Antistene vol. 1:
134, 135
Apuleio
vol. 1:
497-498, 500-501
ArcesilaoV01. 1:
436-437,
441
Arstppo
V0]. 1:
134,
135
Aristotelevol. 1:
11-13, 29, 38-39,
45, 48-50, 69, 79, 94, 96-97, 107,
113, 125, 150, 155, 180-181, 203,
209, 261-381, 382, 397, 463, 562
Aristotelico
(indirizzo) vol. 3: 54-67
Aristotelismovol. 1:
611-614, 615
Atomisti vol. 1:
95-101, 104
Atticovol. 1: 498
Avempace:
vedi
Ibn-Bajja
Averrovol. 2:
383-392,
394
Avicennavol. 2:
349-372, 394;
vol. 3: 634
Basilioil Grande vol. 2:
109-111, 131
Baumgarten
A. G. vol. 3: 234
Bergson
H. vol. 3:
523-536, 551
Berkeley
G. vol. 3:
253-256,
276
Berti E. V01. 3: 719-721
Bessarione B. vol. 3: 13-14
Blondel M. vol. 3:
542-550, 552-553
Boezio S.
vol. 2:
226-244, 246, 307, 321, 327
Bogliolo
L. vol. 3: 710-712
Bonaventura di
Bagnoregio
vol. 2:
632-662, 663
Bontadini G. vol. 3:
700-705
Boutroux E. vol. 3: 522-523
Bruno G. vol. 3:
39-51,
53
Calcidio vol. 1: 420
Capreolo
G. V01. 3:
73-74,
98
Carnap
R. vol. 3: 749-750
Carneade vol. 1:
437,
441
Cartesio: vedi Descartes R.
Celso vol. 1: 498
Cicerone vol. 1:
420, 423, 426-428
Circolo di Vienna:
Vedi
Neopositivisti
Cleante V01. 1:
415, 424-425,
441
ClementeAlessandrino
vol. 1:
35;
vol. 2:
23-42,
72
Commentatori di Aristotele:
Vedi Aristotelismo
Comte A. vol. 3:
411-419,
422
Crisippo
cli Soli vol. 1:
415,
441
Croce B. vol. 3: 555-562,
568
Cusano N. vol. 3:
14-31,
52
David di Dinant vol. 2: 417
De Finance
I.
vol. 3: 679-682
De Wulf M. vol. 3: 688
Democrito V01. 1:
96-101,
104
Dersi O. V01. 3: 714
Descartes R. vol. 3:
109-142, 143,
329
Dlthey
W. vol. 3:
388, 536-541,
551
Diongi lAreopagita
vol. 2:
247-261,
278
Duns Scoto Giovanni
V01. 2:
664-698,
699
Durando di S. Porciano
vol. 2:
709-711,
746
Eckhart,
Meister vol. 2:
737-745,
748
Egidio
Romano vol. 2:
704-705,
706
Empedocle
vol. 1:
84-90,
104
Empirismo
vol. 3: 235-275
Enesidemo vol. 1: 437-438,
441
Enrico di Gand vol. 2:
700-703,
706
Epicureismo
vol. 1:
404-413,
441
Epicuro
vol. 1:
404-412,
441
Eraclitovol. 1:
53-64,
104
Ermeneuticavol. 3: 760-774,
775
Euclide di
Megara
vol. 1:
134,
135
Eudoro di Alessandriavol. 1: 495-496
Fabro C. vol. 3: 705-710
Faggiotto
P. vol. 3: 721-726
Indice dei
filosofi
e
delle
filosofie
791
Fenomenologia
vol. 3: 570-645
Ferrarese: vedi Silvestri F.
FeuerbachL. vol. 3:
404-406,
421-422
Fichte
I.
G. vol. 3: 357-365,
382-383
Ficino M. vol. 3:
31-39,
52
Filippo
il Cancelliere
vol. 2:
442-444,
445
FiloneclAlessandria
V01. 1:
443-492,
493
Filosofiadei Valori
vol. 3:
502-519,
520
Filosofiadella Vita vol. 3: 521-550
Forest A. vol. 3: 676-678
Fredegiso
di Tours v0]. 2: 313
Gadamer H. G. vol. 3:
761-770,
775
Gaio vol. 1: 497
Garrigou-Lagrange
R. vol. 3: 674-675
GentileG. vol. 3:
563-567,
563-569
GentileM. V01. 3: 717-718
Giamblicovol. 1:
583-587,
610
GilbertoPorretano
vol. 2:
323-333,
334-335
GilsonE. vol. 3: 653-663,
716
Giovanni Buridano
Vol. 2:
732-733,
747
Giovanni Damasceno
vol. 2:
267-272,
279
Giovanni di
Iandun
vol. 2:
733-737,
748
Giovanni Duns Scoto:
vedi Duns Scoto
Giovanni
Filopono
vol. 1:
614, 615;
vol. 2: 342
Giovanni Scoto
Eriugena:
vedi Scoto
Eriugena
Gnosticismovol. 2: 75-81
Gorgia
vol. 1:
114-116,
135
Gregorio
di Nazianzo
vol. 2:
107,108, 121-125,
132
792
Gregorio
di Nissa
vol. 2:
111-121,
131-132
Gregorio
il
Taumafurgo
vol. 2:
70,
72
Guardini R. vol. 3:
737-745,
746
Guglielmo dAuvergne
V01. 2:
431-442,
445
Guglielmo
dAuxerre vol. 2: 442
Guglielmo
di Occam
(Ockham)
vol. 2:
714-730,
746-747
Guzzo A. vol. 3:
733-737,
746
Hartmann N. vol. 3:
511-514,
520
Hegel
G. W. F. vol. 1:
7, 20, 26, 29,
32, 39, 47, 76, 80, 84, 107, 141,
261, 270-271,
391-
392, 513;
vol. 2:
6, 9, 10;
vol. 3:
42, 104,
141, 370-381,
384-385
Heidegger
M.
vol. 1:
11, 12, 41-43, 279, 280;
V01. 2:
13;
V01. 3:
104, 590-616,
647
Hume D. vol. 3:
256-269,
277
I-Iusserl E. v0]. 3:
570-582,
646
Ibn-Bajja (Avempace)
V01. 2:
379-381,
393
lbn Gabirol V01. 2:
396-401,
409
Ibn Tofail
(Abubacer)
vol. 2:
381-382,
393
Idealismovol. 3: 355-381
Ippolito
vol. 2:
90-93,
104
Ireneo vol. 2: 81-
90,
104
Iaspers
K. V01. 1:
55, 61, 64, 133,
141-142, 144, 179, 252-254, 256-257;
vol. 3:
616-634,
647-648
Joad
C. E. M. Vol.3: 751
Jolivet
R V01. 3: 675-676
Kant I. vol. 1:
16,
V01. 3:
291-347, .348-35U
Kierkegaard
S. vol. 3:
467-483,
484
Indice dei
filosofi
e delle
filosofie
Lavelle L. vol. 3:
514-516,
520
Le Scnne R. V01. 3:
516-518,
520
Leibniz G. W. vol. 3:
208-230, 231
Leucippo
vol. 1:
96,
104
Locke
I.
vol. 3:
236-252,
276
Lotz
I.
B. vol. 3: 713
Lotze R. H. vol. 3:
503-505,
520
Lucrezio vol. 1: 405
Maimonide, Mos vol. 2:
401-407,
409
MalebrancheN. vol. 3:
144-156,
157
Marcel G. V01. 3:
639-645,
648-649
Marcione vol. 2: 79-81
Marchal
I.
vol. 3:
685-688,
716
Mario Vittorino vol. 2:
134-139,
245
Maritain
I.
V01. 3:
652, 663-669,
716
Marx K. vol. 3:
407-411,
422
Mascall E. L. vol. 3: 713-714
Masnovo A. vol. 3: 693-694
Massimo il Confessore
vol. 2:
261-267,
278
Mcherny
R. vol. 3: 714-715
Medioplatonismo
vol. 1: 494-505
Melisso V01. 1:
81-83,
104
Mercier D. vol. 3: 683-685
Metafisica ebraica V01. 2:
394-408,
409
Metafisica islamica
vol. 2:
336-392,
393
Metafisici francescani vol. 2: 619-629
Moderato vol. 1:
506-507, 508,
510
Nemesio vol. 1:
422;
vol. 2:
125-130,
132
Neoidealismovol. 3: 554-567
Neopitagirismo
vol. 1: 506-512
Neoplatonismo
vol. 1: 513-609
Neopositivisti
vol. 3:
748-751,
775
Neotomismovol. 3:
650-715,
716
Newton I. vol. 3:
269-275,
277
Nicola dAutreCourt
vol. 2:
730-732,
747
Indice dei
filosofi
e
delle
filosofie
793
Nicomacodi Cerasa V01. 1:
507,
510 Pseudo
Dionigi:
Nietzsche F. vol. 1: 39;
V01. 3: 485-498, 499,
522
Nifo A. V01. 3: 57-58,
68
Numenio vol. 1:
507, 508-509,
511-512
Olgiati
F. vol. 3: 697-700
Ontologistno:
vedi MalebrancheN.
Origenc
vo]. 2:
43-69,
73-74
Origenismo
V01. 2: 67-69
Padri
Cappadoci
vol. 2: 106-130
Panfilodi Cesarea vol. 2: 70-71,
72
ParmendeV01. 1:
67-77,
104
Pascal B. vol. 3: 186-206,
207
Peripato
vol. 1: 400-403
Pico della MirandolaG.
vol. 3: 38-39
Peper
I.
vol. 3: 712
Pietro Aureolo V01. 2: 711-714,
746
Pirrone vol. 1: 432-435,
441
Pitagora
vol. 1:
46-52,
104
Platone vol. 1: 13, 78-79, 107, 109,
112, 122-123, 127-131, 139-258,
259,
332
Platonico(indirizzo)
vol. 3: 13-51
Platonismocristiano vol. 2: 133-244
Plotino vol. 1:
513-573,
574
Plutarco
vol. 1:
429, 494, 496-497,
501-502
Pomponazzi
P. vol. 3: 58-61,
68
Popper
K. vol. 3: 754-755
Porfrio vol. 1:
510, 514-516,
520-522, 575, 576-582,
610
Proclo
vol. 1:
139, 140, 511, 587-609,
610
Prodicovol. 1:
116-118,
135
Protagora
vol. 1: 111-114,
135
Przywara
E. vol. 3: 634-639,
648
Psello M. vol. 2: 272-277,
279
vedi
Diongi lAreopagita
Pseudo-Plutarco
vol. 1: 48
Raeymaeker
L.
(de)
vol. 3: 690-692
Ramirez S. vol. 3: 713
Ramsey
I. T. vol. 3: 753-754
Ravaisson
MollienF. vol. 3: 522
Rickert H. V01. 3: 508-509,
520
Ricoeur P. vol. 3: 770-774,
775
Roberto Grossatesta
vo]. 2:
623-627,
630
Rosmini A. vol. 3: 423-464,
465
Rousselot l. vol. 3: 678-679
Ruggero
Bacone
vol. 2: 627-629,
630-631
Ryle
C. vol. 3: 752
ScetticismoV01. 1:
431-440,
441
Scheler M. vol. 3:
509-511,
520
Schclling
F. W.
I.
V01. 32
50, 51, 365-370,
334
SchleiermacherF. D. E.
V01. 3: 386-398,
399-400
Schopenhauer
A.
V01. 3: 401-404,
420-421
Sciacca M. F V01. 3: 727-733, 735,
746
Scoto
Erugena,
Giovanni
vol. 2:
284-296,
334
Scuola a
gostiniana
vol. 2: 700-705
Scuola aristotelica
vol. 1: vedi
Peripato
Scuole socratiche
vol. 1:
133-134,
135
Seneca V01. 1: 428
Senocrate vol. 1:
398-399,
441
Senofanevol. 1:
65-66,
104
Sertillanges
A. D. vol. 3: 670-673
Sesto
Empirico
vol. 1:
113, 115, 117,
436-437, 438-440, 441,
510
794
Sigieri
di Brabante
vol. 2:
605-614, 615, 616,
618
Silvestri F. vol. 3:
74-75,
99
Simmel G. V01. 3: 541-542
Simplicio
Vol. 1:
44, 69, 508, 613-614, 615
Socrate vol. 1:
120-133,
135
Sofisti V01. 1:
105-119, 135
Speusppo
V01. 1:
396-398,
441
Spinoza
B.
V01. 1:
19;
vo]. 3:
49, 50, 158-184,
185
Stein E. V01. 3:
582-590,
646
StobeoVol. 1:
420-421, 427
Stoicismo V01. 1:
414-430,
441
Strawson P. F vol. 3: 753
Suarez F. vol. 3:
80-97,
99
Talete vol. 1:
38-40,
104
TelesioB. vol. 3:
63-67,
69
Temistiovol. 1:
612-613,
615
TeofrastoV01. 1:
11-12, 181, 401-403
Tertulliano, Settimio Fiorente
vol. 2:
93-103,
105
Indice dei
filosofi
e delle
filosofie
"limoneV01. 1:
435,
441
Tomista
(indirizzo)vol. 3: 70-97
Tommaso
d'Aquino
vol. 2:
476-602, 603;Vo1. 3: 341-342
Tommaso de Vio
(Gaetano)
V01. 3:
75-79,
98
Valentinovol. 2: 78-79
Van Buren P. Vol. 3: 755-757
Van
Steenberghen
F. vol. 3: 688-690
Vanni
Rovighi
S. vol. 3: 695-697
Vico G. B. Vol. 3:
278-286,
287
Vittorino
: vedi Mario Vittorino
Windelband W.
V01. 3:
505-507, 520,
762
Wisdom
I.
T. Vol. 3: 752-753
Wittgenstein
L. vo]. 1:
13;
V01. 3: 748-749
Wolff C. V01. 3:
232-233,
234
Zabarella
I.
vol. 3:
61-63,
68
Zenone di Cizio vol. 1:
414-415,
441
Zenone di Elea vol. 1:
78-81,
104
2. INDICE DEGLI STUDIOSI CITATI - Volumi 1-3
I numeri si
riferiscono
alle
pagine
dove si trovano citazioni
riportate
alla
lettera. Per una
bibliografiaconaaleta
si veda
sempre
alla
fine
di
ogni capitolo.
AfnanS. M. V01. 2:
344,
372
Agazz
E. V01. 1: 14
Albertell P. V01. 1: 73
Alfieri V. E. V01. 1:
97, 98,
101
Amerio F. V01. 1: 348
Anawati M. M. V01. 2: 337
ArnmH. (V011)
V01. 1: 415
Ashley
B. M. V01. 2: 458,
629
Asn
y
PalaciosV01. 2: 384
Aubenque
P. V01. 1:
280,
281
Aubcrt R. V01. 3: 652
Baeumker C. V01. 2: 450-451
Baldini M. V01. 3: 759
Balic C. V01. 2: 667-668
BalthasarH. U. (van)
V01. 2:
46, 261, 262, 264;
V01. 3:
96,
639
Bardenhewer O. V01. 2: 113
Barth K.
V01. 3:
373, 378-381,
387
Beckahcrt A. V01. 1: 461
Beerwaltes W.
V01. 1:
536, 538-539, 577, 588,
592
Berdjiaev
N. V01. 3: 10-11
Berger
P. V01. 1: 15
Berkhof H. V01. 3:
365,
482
Bernareggi
A. V01. 3: 95
Berti E. vol. 1:
24, 25, 28D,
281
Betti E. V01. 3: 773
Bettoni E.
V01. 2:
629, 673-674, 676, 687,
689
Bidez
I.
V01. 1:
522,
577
Bignone
A. V01. 1: 388-389
Bignote
E. V01. 1:
85, 406,
412-413
Bontz H. V01. 1:
238,
271
Bontadini C.
V01.
1:25, 491;
V01. 3: 698
BoothE. V01. 2: 473
Brandis C. V01. 1: 271
Brhier E. V01. 1:
230, 456,
479-480
Brentano F. V01. 1: 354
Brunschxicg
L. V01. 2: 13
Carbonara C.
V01. 1:
94, 527;
V01. 3: 35
Cassirer E. V01. 3:
30,
238
Centi T. V01. 2: 592
Ceresa-Gastaldc) A. V01. 2: 267
Chabod F. V01. 3: 10
ChadwickH. V01. 1:
492;
V01. 2: 229-231, 242,
244
Chenu M. D. V01. 2:
145,
490
Chiocchetti E. V01. 3:
284,
285
Ciento V. V01. 1: 386
Clearly
I. ].
Vo]. 1: 295
C0111 G. V01. 1:
85,
185
Courcelle P. V01. 2: 152
Courtine
I.
F. V01. 3: 92
Craemer-l-{uegenberg
I. V01. 2: 474
Crouzel H. V01. 1:
230;
V01. 2: 68-69
D'OnofrioG. V01. 2: 318-319
Dal Pra M.
V01. 1:
435, 440;
V01. 2:
284, 296, 417,
730-731
Danlou
].
V01. 1: 447-449
796 Indice
degli
studiosi citati
Dante V01. 1:
14,
15
De GandillacM.
vol. 2:
617, 696, 698, 709, 711,
713-714,
732-733
De
Lagarde
G. V01. 2: 712-715
De Lubac H. V01. 3:
154,
418-419
De Wulf M. V01. 2:
297,
472
Decleva Caizzi F. V01. 1: 432-433
Del Noce A. vol. 3:
127,
142
DenifleH. vol. 2: 412
Di
Napoli
G. vol. 3:
424,
614
Diano C. vol. 1: 95
Dilthey
W. vol. 1: 38
Diogene
Laerzio
vol. 1:
91, 96, 114, 134, 404, 408,
414-415, 420-422, 430, 432-433, 437
Dodds E. R. V01. 1: 89
Doerrie H. vol. 2: 126
Dorta-Duque I.
M. VO1. 1: 220
Dumont P. vol. 3: 95-96
Duprel
E. V01. 1:
114,
119
Dupuis
E.
J.
V01. 2: 61
Dring
I. V01. 1:
265, 274-275
Elders L. V01. 2: 502
Ertel C. vol. 3: 370
Esposito
C. vol. 3: 82
Eusebio di Cesarea vol. 2:
22, 43,
82
Fabro C.
V01. 1:
15;
V01. 2:
494, 514;
VOI. 3:
133, 409-410, 470, 471,
616
Faggin
G.
vol. 1:
507, 517, 543, 570, 573, 614;
V01. 2: 146
Faggiotto
P. vol. 3: 704-705
Fakhry
M. V01. 2:
338, 342,
379
Festugire
A.
J.
vol. 1:
142, 219-220, 228,
231
Fisher K. vol. 3:
294,
295
FunckA vol. 3: 156
Forest A. vol. 2:
498, 696, 698, 709,
711, 713-714,
732-733
Fozio V01. 1: 510
Freudenthal
I.
vol. 1: 499
Gadamer H. G. V01. 1:
217;
vol. 3:
395
Gardet L. V01. 2: 337
Gerl H. B. V01. 3: 74D
Gemet L. V01. 1: 34
Ghsalberti A. vol. 2:
717,
729
Giacn C.
vol. 2:
715;
V01. 3:
71-72,
229
Giannelli G. vol. 1: 386
GilsonE. vol. 1:
25-26, 77, 358, 381;
V01. 2:
7, 14, 323, 465, 615, 632,
641, 643, 650, 656, 662, 664, 668,
697,
750
Giovanni A.
(di)
V01. 1:
22,
vol. 2: 199
Girgenti
G. vol. 1:
576-578, 581-582
Girolamo
(Santo)
vol. 2:
22, 82,
134
GohlkeP. vol. 1: 272-273
Coldschmidt V. V01. 1: 418-419
Gomperz
H. vol. 1: 109
Grabmann M. V01. 3:
73, 95
Graiff C. A. vol. 2: 606
Gregory
T. vol. 3: 55
Gueroult M. vol. 3: 136
Guitton
I.
V01. 3: 228
Habermas
I.
vol. 3: 104
Hadot P.
V01. 1:
577, 579-580,
V01. 2: 135
Hamelin O. vol. 3: 135
HarnackA. V. V01. 2: 42
Harris C. R. S. vol. 2: 697-698
Hartmann N. vol. 3: 209-210
Hefelc
I.
vol. 2: 295-296
Indice
degli
studiosi citati 797
HeimsoethH. vol. 2:
15-16;
V01. 3: 213 Marassi M. V01. 3: 389-390
Henry
I. V01. 2: 152
Hoeffding
H. vol. 3: 239
I-Ioffmann E. vol. 2:
7,
11
Husk I. V01. 2: 395
Imbart de a Tour P. vol. 3: 38
lvanka E.(v0n)
V01. 2: 263
Iaeger
W.
V01. 1:
30, 73, 75, 85-86, 89-91,
126, 132, 230, 264, 266, 271-272,
299, 313, 347, 377;
vol. 2: 492
jaspers
K.
V01. 2:
145, 153;
vol. 3: 20-21
Iedin
H.
V01. 2: 23, 77-78, 81, 297, 727;
vol. 3: 156
Ingel
E. vol. 1: 70
Kannengiesser
C. v0]. 1: 485
Kelly
I.
N. D. V01. 2: 182
Klibanski R. vol. 3: 14
Krmer H.
V01. 1:
142-143, 149-150, 154,
158-159, 162-163, 196, 199-200,
212-213, 252,
377-378
Kuhn T. S. V01. 1: 148
LauriolaG. vol. 2: 691
Lavator R. vol. 2:
191;.
V01. 3: 89
Le Clerc M. V01. 3: 237-238
Leclercq
H. V0i. 2: 295-296
Longpr
E. V01. 2: 696-697
Malngrey
A. M. vol. 2: 107-109
Mandonnet P.
V01. 2:
451, 457, 472-474,
615
Mansion A. V01. 1: 278
Mansion 5. V01. 1: 312
Marchal
I.
vol. 3: 160, 295,
299
Martinetti P. V01. 3: 513-514
Masnovo A. vol. 2:
160, 421,
432
MathieuV. vol. 1: 22
Mazzantni C. V01. 1:
57,
60
Mazzotta C. V01. 2: 508
Melchiorre V. V01. 1:
55-57, 63,
70
Merlan Ph. vol. 1: 397
Mesnard P. vol. 3: 468
Moingt J.
vol. 2: 101
Mondsert C. V01. 2: 42
Mondin B. vo]. 1:
24, 468;
V0]. 2:
42, 106-107, 148, 488, 515;
V01. 3: 342, 353, 487,
519
Mondolfo R.
vol. 1: 9, 36, 73, 108, 583-585,
613
Morett-Costanzi T. vol. 2: 218
Mounier E. vol. 2: 10
Movia G. V01. 1: 363
Mura G. V01. 3: 393
Muzio G. vol. 3: 462
Nardi B. V01. 2: 456
Nestle W. A. V01. 1:
108,
111
Nicolosi S. vol. 3:
145, 150,
224
Niebuhr R. vol. 2: 198
Nikiprnwetzky
V. V01. 1: 472
Nock A. D. V01. 2: 6
Nygren
A. V01. 2: 12
Oggioni
E. vol. 1:
273-274,
313-314
Olgiati
F. V01. 3: 230
OrbetelloL. vol. 2:
228, 230,
241
Osculati R. V01. 3: 389
Owens
J.
vol. 1:
277-278,
327
Pareyson
L. V01. 3: 361
ParkK. V01. 2: 468
798 Irldice
degli
studiosi citati
Pasquinelli
A. V01. 1:
38, 40, 44, 46,
49, 51, 65, 66, 69, 71-72, 78, 80-82
Peguy
C. vol. 3: 535
Pepin I.
V01. 1:
454, 461
Pesce D. vol. 1:
411, 417-418
Petersen P. vol. 3: 209
PincherleA. V01. 2:
75,
77
Pohlenz M. vol. 1:
416-417, 451
Poppi
A. vol. 2: 666
PraeclterK. vol. 1: 497
Puccetti A. V01. 2: 450
Radice R. vol. 1: 446
Rahman F. vol. 2: 349
Rahner K. vol. 3: 738
Raschini M. A vol. 3:
554,
562
Reale G. V01. 1:
31, 45, 65, 66, 82,
100-101, 115, 118, 127, 147, 149,
151-154, 157, 159, 162, 169,
175-
176, 180-182, 185, 203, 217-218,
234-235, 244, 246, 253, 265,
275-
277, 279, 290-291, 299, 310,
315-
316, 327, 330-332, 345, 348,
355-
357, 375-377, 379-380, 385-387,
389, 390, 395, 397, 399, 402-403,
405-407, 426, 429, 433-436, 445-
446, 451-452, 457, 459, 494-495,
498, 503-504, 506, 512, 514,
519-
520, 524, 527, 534, 571, 575, 584,
586, 602-603;
V01. 2: 21
Renouvier Ch. vol. 3: 140
Ribes Montan P. vol. 2: 464
Riehl A. V01. 3:
294, 295, 508
Ross W. D. vol. 1:
203,
331
Rosso C. V01. 3: 513
Ruh K. vol. 2:
738,
740 - 741
Russell B. vol. 1: 387
Saitta G. vol. 1: 110
Santinollo G. V01. 3:
17, 28,
29
SchleiermacherF. D.
vol. 1:
53,
148-149
Scholz H. vol. 3: 387
SciaccaM. F. vol. 3: 206
Sciuto I. V01. 2: 303
Semerari G. V01. 3: 165
Senofonte vol. 1: 117
Sertillanges
A. D. vol. 1: 357-358
SeverinoE. vol. 1:
12;
V01. 3: 704
Simonetti M. V01. 2:
30, 103, 113,
133
SmithA. vol. 1: 577
Sodano A. R. vol. 1: 577
SommavillaG. V01. 3: 738-739
Stefanini L. vol. 1:
204,
254
Taylor
A. E. V01. 1:
126, 146
Theier W. vol. 2: 152
TillichP. vol. 3:
468,
469
Ti llietteX. V01. 3:
481, 495-496,
498
TresmontantC. vol. 3: 550
Untersteiner M. v0]. 1:
66, 106, 108,
113
Van
Steenberghen
F.
V01. 2:
420, 449, 451, 453-456,
472-473, 605, 613-614, 617, 696,
698, 709, 711, 713-714, 732-733;
vol. 3: 30-31
Vanni
Rovighi
S.
V01. 2:
296, 299, 304, 332,
V01. 3:
425, 578
Vasoli C.
vol. 2:
295-296; V01. 3:
40,
76
VattimoG. vol. 3: 599
Veccia
Vaglieri
L. vol. 2: 376-378
VerbekeG. vol. 2: 130
Verger J.
v0]. 2:
411-414;
V01. 3: 11
Vernant
].
P.
vol. 1:
31, 33-34, 37-38,
74
Veuthey
L. V01. 2: 696
Viano A. V01. 3: 239
Vincenzo di Lerins vol. 2: 46
Waddingo
L. vol. 2: 666
Wahl
I.
vol. 3: 481
Walzer R. vol. 2: 349
Wehrl
].
V01. 3: 155
Wei1E.v01.1: 17
Weisheipl J.
A.
vol. 2: 456-457, 478, 480,
482
Whittaker T. vol. 1: 519
WilamowitzU. (v0n)v01.
1: 106
Indice
degli
studiosi citati 799
Wolfson H. A.
V01. 1: 443-444, 458, 462, 468,
471, 477,
491
,'
vol. 2: 30
Wolter A. B. vol. 2: 680-681
Yolton
j.
W. V01. 3: 252
Zavalloni R. V01. 2: 695-696
Zeller E.
V01. 1:
9, 36, 38, 73, 108, 271, 417,
514, 584-585, 587, 613;
V01. 2: 9
Zucal S. vol. 3: 739
Zuercher
].
vol. 1: 275

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