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Lello Capaldo
MISTERI SVELATI
Immagini, forme e riti misteriosi a
POMPEI, PAESTUM e in MAGNA GRECIA.
Casa Editrice Fausto Fiorentino, Napoli 1994
Parz. integrato nel settembre 2000
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La riproduzione dei testi libera, lutilizzatore tuttavia ha lobbligo di citare
con evidenza e completezza la fonte e lautore.
Per mettersi eventualmente in contatto con lautore scrivere a:
pascapal@libero.it
Attenzione:
lo stesso autore ha studiato la figura di Federico II di Svevia, i suoi tempi, le
sue opere giungendo a conclusioni mai ipotizzate fino ad oggi e spesso asso-
lutamente sorprendenti. Chi fosse interessato trover in Breve storia di una
scoperta lindicazione e i collegamenti agli altri articoli inerenti allargomen-
to. I temi trattati sono: il vero volto di Federico II, uno sconosciuto ritratto
della famiglia imperiale, la barba di Federico, il suo trono, la sua mummia,
immagine e valenza del fiore di Loto, il mistero svelato di Castel del Monte
e del Bafometto, Gnosi, Mos, Hathor, Cabala, i Templari, il disco di Festo,
Mandala, Maniero della Salamandra, ecc.
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E
Conosci te stesso
Una grande lettera E campeggia vicino allingresso del tempio delfico dedi-
cato ad Apollo: qual il suo significato?
Se si prescinde dai segni diacritici, peraltro introdotti dai grammatici
alessandrini, la lettera E veniva chiamata ei, cio suona come la seconda
persona del presente del verbo essere, che vuol dire: (tu) sei: Tu sei colui
che , completeremmo noi. Con questo simbol o, dunque, viene riconosciuta
ad Apollo la unici t della Persona Divina ovvero l essenza dello Spirito Uni-
versale (Plut arco). Ma la E rivolta anche a chi entra nel tempio e suona
come un incoraggiante invito perch conosca se stesso e cerchi il divino che
in lui. Le Upanishad riassumono con la stessa formula Tu sei (cfr. nota 1)
lequazione tra lanima individuale (atman, etimologicamente = se stesso) e
lunit cosmica o Spirito universal e (brahman). E riconosce perentoria-
mente il divi no che i n Apollo: conosci te stesso invita luomo a cercare lo
stesso divi no che in lui.
E evidente, a questo punto, il legame esi stente tra la E delfica e il Cono-
sci te stesso. Costituisce unesperienza tra le pi straordinarie e stimolanti
il constatare -gi in virt delle poche note qui riportate- quanti tratti comuni
abbia la cultura dei Veda, in epoca prefil osofi ca, con i cicli sapienziali e
misterici dellantichissimo Occidente.
Per una di versa interpretazione della E delfica, questa volta come chiave
del mistero o chiave del tesoro, cfr Guarducci,1993.
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SOMMARIO
Divino e Natura. Premessa .................................................. pag. 5
Capitolo I - La coppa e la pantera (Pompei) ....................... pag. 6
Capitolo II - Villa dei Misteri .............................................. pag. 12
Capitolo III - Introduzione alla Lucania ............................... pag. 16
Capitolo IV - Il mito delle Sirene ........................................ pag. 22
Capitolo V - La semina e linverno ...................................... pag. 27
Capitolo VI - La rinascita di primavera ............................... pag. 32
Capitolo VII - Il sogno (Magna Grecia) .............................. pag. 46
Capitolo VIII - Una riscoperta archeologica (Paestum) ....... pag. 60
Capitolo IX - Conclusioni.................................................... pag. 63
Figure................................................................................. pag. 67
Bibliografia ......................................................................... pag. 97
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Divino e Natura
P R E ME S SA
Costituisce un fatto ormai acquisito che miti e riti -almeno i pi antichi, ch poi furono
invenzione di filosofi e di poeti- trovino spesso, nel loro formarsi, una spiegazione
grazie alle scienze della natura. Sostenuti da questa certezza, abbiamo iniziato un
Grand Tour nel Mezzogiorno dItalia, a partire da Pompei. Ci soffermiamo quindi a
Paestum, che gi Magna Grecia, e concludiamo il nostro giro pi a Sud in quella
Lucania che di detta antica regione parte assai significativa. E qui, infatti, che molto
ancora rimane di intatta natura e, con essa, un modo di vita altrove perduto.
Stimolati, dunque, dalla comune passione di indagare luomo in relazione al suo am-
biente, lo scrivente e la Dott.ssa Annamaria Ciarallo hanno dato alle stampe due
volumi sulla materia: Viaggio nel Regno di Napoli (Sergio Civita Ed. Napoli 1988) e
Lucania, storie di terra, di cielo e di acque (Fausto Fiorentino Ed. Napoli 1993). A
questi si sono aggiunti alcuni articoli, oggi ancora inediti che, insieme coi libri, conten-
gono numerosi spunti di antropologia culturale e storia della religione, spesso origina-
li, capaci di far luce su millenari enigmi e di dare un contributo illuminante alla cono-
scenza che luomo tende a raggiungere guardando dentro se stesso.
Di tali spunti, tra loro omogenei, lo scrivente ha curato uno stralcio che, modificato e
integrato, viene pubblicato nel presente volumetto, che quindi ha carattere antologi-
co. Vengono proposte soluzioni nuove: anche se solo alcune di esse resisteranno alla
critica, la ricerca non sar stata inutile.
Lello Capaldo
E un Dio che si muove at traverso tutt e le terre
e per le estensioni del mare e attraverso il cielo profondo.
Da Lui derivano le greggi, gli armenti, gli uomini, ogni specie animale,
ogni nato che apra gli occhi a tenue vita.
Poi a Lui tutto fa ritorno, tutto ci che si dissolve,
n vi in Lui sede di morte, ma le cose viventi volano
nel giro dellastro e dipendono dallalto cielo.
(Virgilio, Georgiche, IV, 221-227).
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Il presente studio, inizialmente suggeritoci da certa iconografia pompeiana,
dedicato ad un simbolo di sempre: quello del Male. Secondo le epoche e i
luoghi esso drago, serpente, mostro, diavolo: in Grecia e a Roma, nei
tempi classici e in relazione ad un culto misterico originario dellOriente,
esso viene incarnato dalla pantera. In un linguaggio che ci pi familiare
potremmo dire che questa rappresenta la forza oscura, contraria alla luce
divina, qualcosa che turba e assoggetta agli istinti, eterna.
Per quello che siamo, e non per quello che vorremmo essere, inevitabile
che da quando abbiamo pensato Dio, ci sia, nella nostra mente, anche il suo
contrario.
LA COPPA E LA PANTERA
Sin dal II sec. a.C. Roma accolse nuovi culti (1), espressioni di religioni
proprie di quei paesi con i quali la Repubblica entrava progressivamente in
contatto per motivi espansionistici o di semplice commercio. Laffiancamen-
to di questi culti alla religione di Stato non fu mai n facile, ne indolore,
tuttavia siccome era principalmente il popolo a volerli, essi finivano con les-
sere accettati. Tra i primi si attest il culto di Iside e Serapide, proveniente
dallEgitto, poi sopraggiunsero quelli misterici, prevalentemente lorfismo,
importato dallOriente attraverso la Grecia. Della presenza di essi esisteva-
no anche a Pompei ampie testimonianze (2). Promettevano, queste religioni,
una rinascita dopo la morte a patto di attenta osservanza dei fedeli, che non
si esauriva solo nel sottoporsi a lunghe pratiche iniziatiche: dovevano, gli
adepti, seguire precise regole di una buona vita, che facevano parte di un
codice morale, anche se questo, non ancora interiorizzato come tale dalla
generalit della popolazione, non godeva di alcuna autonomia come espres-
sione di una dottrina etica a se stante (3). Ben vero gi Socrate tendeva a
indirizzare i cittadini alla virt, ma questa laicizzazione della essenza inizia-
tica delle sette poteva aver presa esclusivamente su animi di livello superio-
re, mentre la massa accettava acriticamente qualsiasi prescrizione religiosa
solo perch ritenuta idonea al conseguimento di una nuova vita dopo la
morte. Tali regole facevano parte dei corollari misteriosofici di una rivelazio-
ne divina che, come tale, era da credersi, in quanto vera, e da praticarsi, in
quanto bene. Digiuni, astinenza nellambito di una vita casta erano dunque,
CAPITOLO I
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assieme ad altre, le restrizioni pi frequentemente richieste nelle pratiche
misteriche.
Del culto di Isis, che pur era una religione permissiva, fa parte la prescrizione
di giorni casti, mentre nella pi tarda iconografia mitraica evidente lan-
nientamento del potere del toro, i cui genitali sono attaccati da uno scorpio-
ne, simbolo di morte. Addirittura i sacerdoti di Cibele, durante la celebrazio-
ne degli omonimi misteri, provvedevano allautocastrazione.
Traspare, da questo contesto, come, in genere e pur tra enunciazioni contra-
stanti, gli eccessi legati al sesso dovessero essere considerati un male per
luomo. Lo documenta in maniera esemplare un curioso bronzetto (fig. 1),
non unico, conservato nellex gabinetto segreto del Museo Nazionale di
Napoli. Esso rappresenta un gladiatore che si difende dal suo stesso mem-
bro virile, che letteralmente lo aggredisce sotto forma di una belva e viene
comunemente interpretato come simbolo apotropaico. Ma questa lettura
appare riduttiva perch, pur destinato a questa funzione, il bronzetto sembra
contenere altro evidente messaggio altrimenti inspiegabile, in uno con linvito
ad essere vigili nel respingere la pericolosa sopraffazione che cos efficace-
mente illustra. A meno che la sua funzione diversiva non pretendesse di esse-
re proprio quella di magicamente evitarla.
Nella iconografia classica frequente il motivo di una coppa che viene svuo-
tata nelle fauci di una pantera: a Pompei lo ritroviamo nel notissimo e bellaf-
fresco (figg. 2 e 3) cosiddetto di Bacco e il Vesuvio che, non compreso
nella sua essenza di messaggio salvifico, si visto assegnare questo titolo
che lo mortifica al livello di una immagine idonea, al massimo (ed in questo
senso stata gi utilizzata!), a illustrare una etichetta per vini locali. Si tratta,
in realt, di una bella composizione, la cui spiritualit sottolineata dalla
presenza degli uccelli e dei serti fioriti, che ci rivela un aspetto di quei culti
misterici che, insieme con Diniso, ci giunsero dal lontano Oriente.
La Pantera (pan-therion = la tutta bestia, che nel trasferirsi dalle tradizioni
asiatiche a quelle europee si spesso confusa con la lince maculata) rappre-
senta la bramosia e la ferocia nel loro aspetto aggressivo. Il contrasto tra le
forme morbide ed eleganti del corpo sinuoso, lo sguardo penetrante ed enig-
matico, una diabolica vitalit hanno posto da sempre la pantera (come i
gatti) al centro di miti, di culti e di leggende (4). La fama di perversione e
crudelt, che da sempre la accompagna, discende dal fatto che normalmen-
te essa uccide, con divertimento, pi vittime di quante possono occorrerle
8
per la sopravvivenza, mentre gli aspetti fortemente negativi, che la fiera sim-
boleggia nel campo delleros, sono da mettersi in rapporto col singolare
modo di accoppiarsi dei felini poich frequentemente, nella fase che prece-
de la completa e breve disponibilit della femmina, sembra che essi si af-
frontino in una clamorosa rissa. Chi non ha mai visto una furibonda unione
tra gatti? I primitivi, dunque, dovettero rimanere profondamente impressio-
nati dai sensi cos violenti ed estremi con i quali questi animali, unici tra tutti,
accompagnano laccoppiamento cos da farlo apparire fase conclusiva di
una lussuria sfrenata e incontenibile fino alla sofferenza.
Nel mondo dionisiaco la pantera emblematicamente richiama le Menadi che,
prese da furore, uccidono e smembrano quello che correndo afferrano (cos
tuttavia macchiandosi di grave colpa nel giudizio del loro stesso dio); nella
religione egizia essa simboleggia Seth, il dio del male, il grande nemico degli
uomini e degli dei; nella cultura etrusca sempre lei a contrapporsi agli alati
poteri dello spirito visti sotto forma di Grifone. Equivalenti rappresentazioni
si ritrovano presso gli sciamani dellAsia e -a riprova della remota antichit
del mito- nelle civilt indie dellAmerica latina. La belva in questione entra-
ta a far parte della tradizione esoterica, non scritta, che lancia un ponte tra
la cultura vedica e quella contemporanea, a partire da quando Dioniso, coi
suoi misteri, questa cultura port dallIndia a Roma (5) e di qui, attraverso
Virgilio, giunta a Dante che, al cominciar dellerta, incontra la fiera che
di pel maculato era coperta (6). Ed sempre lo stridente contrasto tra la
sua bellissima livrea e la perfidia che questa ammanta, a suggerire altra e non
meno acuta contrapposizione tra il piacere legato alla volutt e il male,
sotto forma di indebolimento, di depotenziamento che inevitabilmente segue
(7).
Ma infine, in questo quadro di insieme, perch coppa e pantera vengono
spesso raffigurate congiuntamente? Formuliamo qui di seguito, una originale
proposta interdisciplinare ben sapendo che assai spesso sia il mito che il rito
muovono da fatti o circostanze spiegabili biologicamente.
Notiamo innanzi tutto che la coppa destinata a contenere vino, come sug-
gerisce chiaramente il dipinto del cosiddetto Bacco e il Vesuvio, e teniamo
presente la nozione di senso comune relativa al fatto che lubriachezza
contraria ai rapporti sessuali. In realt scientificamente provato che lalco-
ol induce un torpore psicofisico, uno stato di rilassatezza che riduce o annul-
la lattivit sessuale: questione di livello di etilismo acuto. Dunque, lo svuo-
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tare la coppa nelle fauci della pantera vale a porgerle ampia libagione, con il
desiderato effetto di ridurre o annientare la sua bramosia: e far questo equi-
vale a sconfiggere la tutta bestia, che della sua lussuria vive. Significa, cio,
liberarsi di essa nella sua fase aggressiva, significa vincere la forza distruttiva
della sensualit, allontanare lo spirito di distruzione sempre collegato alla
bruta virilit (8).
Del resto lavvertimento divino di tenere a bada la pantera in qualsiasi modo
-blandendola o respingendola- si manifesta con inequivocabile crudezza nel
gruppo bronzeo del cosiddetto Bacco Giovane appartenente al Tesoro di
Ercolano (fig. 9 ed altre coerenti figure a pagg. 67 e seguenti). Qui Dioniso,
ornato con acini duva tra i capelli, dopo aver versato la coppa (ora scom-
parsa) nelle fauci della belva, e quindi dopo averla depotenziata, letteral-
mente la schiaccia col piede, mentre ne reca la pelle maculata sulla spalla,
cos sottolineando la propria supremazia su di essa (come Ercole con il
leone).
Ma a questo punto legittimo chiedersi: daccordo sulleffetto dellalcool
sulluomo, ma chi ci assicura che lo stesso si verifichi per la pantera e che,
inoltre, essa non lo rifiuti come un alimento a lei del tutto estraneo? A dissi-
pare questi dubbi, una risposta ci giunge - chiara!- dallesperienza naturali-
stica. Leggiamo quanto a suo tempo scriveva nel merito il famoso naturalista
ed erudito Konrad von Gesner (1516-1565) nella sua opera maggiore inti-
tolata Historia animalium: I leopardi hanno grande bramosia di dilaniare
gli animali onde suggerne il sangue; vivono a gruppi lungo i fiumi o nelle zone
coperte da alberi o da cespugli, sono avidi di vino, e spesso si ubriacano,
cadendo cos vittime delluomo. (in Scortecci, 1953) (9).
Tutto torna, dunque, ma dobbiamo porci unultima domanda: se questo motivo
della coppa e della pantera stato, in funzione dei suoi significati universali,
cos frequentemente ripreso nelle arti figurative, come mai tanto non acca-
duto nel campo letterario? La cosa si spiega perch, dovendo essere il mes-
saggio rivolto a tutti -anche a coloro che non sapevano leggere, che erano i
pi- una formulazione attraverso le immagini era certamente destinata ad
avere maggiore diffusione e successo. E comunque non neppur vero che
della questione non se ne sia scritto nulla: essa viene indirettamente adom-
brata da Asclepiade di Samo (Antologia Palatina, 5,167,1s.) che vedeva
il vino come algos eroti, vale a dire come un guaio per lamore. Inoltre
nella letteratura dei Templari (10), il cui ordine fu per secoli depositario della
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tradizione e ad esso sembra abbia aderito lAlighieri (11), si legge che
lalcool afrodisiaco per le donne, ma svirilizzante per gli uomini.
Anche per i seguaci di Bakkhos il vino pharmakon, giovevole o malefico,
ambrosia o veleno (12) e come tale pu essere androfoneus cio uccisore
di un uomo in quanto maschio. In aggiunta e a conclusione riteniamo che una
diffusione scritta di questi motivi, e soprattutto un loro approfondimento,
non si sia potuto avere, a suo tempo, perch essi facevano parte di quella
conoscenza acquisita attraverso liniziazione ai misteri, che era insegnamen-
to assolutamente interdetto alla divulgazione.
NOTE
1) Foot Moore, Bari 1957.
2) Tra le altre: il Tempio di Iside e la straordinaria megalografia della Villa dei
Misteri. Cfr. La Rocca - De Vos, 1976.
3) Vegetti, 1990.
4) A suggerire lesistenza di poteri misteriosi e temibili nei felini ha certamen-
te contribuito il fatto che la loro pelliccia, strofinata, pu sprigionare scintille
comunicando cos anche piccole scosse alloperatore (Delort 1987).
5) Danielou, 1980 e Ciarallo-Capaldo, 1993.
6) Anche nella simbologia dantesca, ben pi complessa, la pantera deve
essere depotenziata e a questo provveder il Vel-tro (Inf. I, 101) che im-
persona la bevanda sacra del dolce ber. Esso un veleno perch deve
distruggere il male alla radice, insomma altro non sarebbe che il VELenoso
filTRO elevato ad emblema della irrinunciabile lotta contro la fiera (Capone,
1967; Punzo, 1964). In ogni caso e da sempre, dunque, la belva-simbolo
deve perire per veleno, quanto meno ad essa si associa lidea di un veleno
che serva ad ucciderla. Lo conferma la notizia tramandataci da Aristotele,
Dioscoride, Galeno secondo i quali esisteva (e di fatto esiste) un vegetale
estremamente tossico: laconito, detto in greco larciveleno. Il suo nome
infatti deriva da a intensiva e khoneion=cicuta, questultima essendo il ve-
leno per antonomasia, cio pianta e bevanda mortifere come non altre. Ma
laconito era detto anche pardaliankhes ovvero lammazza leopardi.
7) Per indicare il potere, i sacerdoti di Dioniso si mostravano in atteggia-
mento itifallico, che ricordava il loro dio come il Grande Inseminatore.
8) Nella sua sapienziale contraddittoriet, ardua a comprendersi ma non
folle come alcuni pretenderebbero, Dioniso voleva la castit delle baccanti,
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che egli stesso animava di forza sovrumana perch si sottraessero al ma-
schio. A questo, infatti, non si pu soggiacere senza rompere lesaltazione
ispirata dal dio, quindi negandolo. Si tenga inoltre presente che, se nella
pratica del culto dedicato a Dioniso venivano esibiti simulacri fallici, egli non
si mostra mai nellaspetto eretto e turgido (cos appare solo nelle sue pi
arcaiche e remote raffigurazioni, v. Kerenyi, 1992), e addirittura non vuole
che il desiderio dei suoi invasati giunga a compimento. (Colli, 1990).
9) Scortecci, 1953 vol. II pag.96. La predilezione della pantera per il vino,
di cui ci parla il Gesner, ma che doveva essere altrettanto nota agli antichi
(cfr.Oppiano in Cynegetica e in Detienne 1987, 1, pag.68), ci suggerisce
anche la spiegazione del come e del perch la fiera, evidentemente attratta
dal profumo del vino profuso nelle processioni che si tennero inizialmente
proprio in quei territori dei quali essa autoctona, si sia a queste accodata
cos entrando, naturalmente e spontaneamente, almeno allinizio, a far parte
del Thiasos bacchico. Daltronde la cognizione che la bevanda alcolica ren-
de innocua la belva, ne freni la furia e ne determini il depotenziamento, era
gi posseduta dagli antichissimi Egizi; notizia di questo ci giunta col mito
della distruzione degli uomini ad opera della dea Sekhmet dalla testa di leo-
ne. Essa, mandata da Ra a compiere la missione, cominci con un tale fero-
ce zelo che lo stesso mandante volle frenarla e per fare questo le sommini-
str con uno stratagemma una bevanda a base di birra. Il mito racconta che
la belva cadde sotto linfluenza del liquore, non fu pi capace di distinguere
gli uomini dalle altre cose e cos il resto dellumanit fu salvo. (Foot Moore,
op. cit.).
Da sfatare, invece, la notazione aristotelica, ripresa da Teofrasto e da Plinio
(N.H.VIII, 62), quella che vorrebbe la pantera come origine di singolari
effluvi olfattivi, grazie ai quali essa attirerebbe le sue vittime (Detienne,1987,2).
Lalito ed il corpo stesso della fiera, se in buona salute, non profumano
affatto e il loro odore indistinguibile da quello di altri felini, gatto compreso.
La presente nota ci stata verbalmente comunicata dalla Sig.na Melis Wenner,
per molti anni operatrice nello zoo di Napoli, ove ha allevato, tra laltro, sei
pantere e numerosi altri felini. Lantica leggenda della pantera profumata
stata forse inconsciamente suggerita dalla sua bellezza e dalla sua femmini-
lit.
10) Ambelain, 1975.
11) John, 1987; Guenon, s.d.; Capone, 1967.
12) Detienne, 1987, 2.
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Se un romano avesse voluto assicurarsi una vita ultraterrena non si sarebbe
certamente rivolto a Zeus. Rispondevano a questa esigenza le religioni
misteriche che, attraverso le pratiche segrete di una iniziazione, conduceva-
no i misti a solidarizzare tra loro e poi a raggiungere, insieme o isolatamen-
te, uno stato di grazia, momenti di illuminazione ovvero di identificazione
con la divinit.
Ad Eleusi,dove oggi tutto rovina, esistono ancora i resti della grande sala
ove si riunivano gli iniziandi. Sulla parete, tutto attorno, corre un fregio for-
mato da una greca. Una facile riflessione ne spiega il perch: il motivo della
greca risulta dalla sezione di due mani unite tra loro, con le dita delluna che
agganciano, appunto, le dita dellaltra. E questo significa lunione dei fedeli
tra loro e di questi a dio. (Secondo altri la greca deve essere vista come una
successione di spirali, cio di cicli della vita o, in senso misterico del morire
e del risorgere iniziatico. V. Biedermann H. Enciclopedia dei simboli, ed.
Garzandi Milano 1991).
Un motivo pi articolato, ma chiaramente derivante dalla greca, corona, in
alto, lintera megalografia della Villa dei Misteri (fig. 13), luogo dove si cele-
bravano i misteri dionisiaci e che probabilmente apparteneva ad una impor-
tante famiglia alla quale era riservato il sacerdozio pi alto.
Cosa avvenisse precisamente qui, nella sala del cosiddetto grande affre-
sco, non ci noto, ma immaginabile che venissero impartiti quegli inse-
gnamenti e prescritte quelle regole perch gli iniziandi, col radunati, potes-
sero apprendere il modo per accedere spiritualmente alla divinit. Le scene
dipinte formavano oggetto di contemplazione, di fatto Omero, nell inno a
Demetra, dice beato chi ha veduto i misteri. A fianco delle cose dette
dallo ierofante, dunque, ecco le cose mostrate, cio i dipinti e quanto
racchiuso nella sacra cista (forse una spiga di grano) che, nel loro insieme,
rendevano possibile la rappresentazione del mistero che le venerande dive
celebravano per gli uomini (Sofocle, Edipo a Colono v. 1055 e segg.)
Per quanto riguarda le immagini qualcosa di analogo, ma molto pi stempe-
rato, avveniva, secoli dopo, nella iniziazione battesimale dei Cristiani allor-
ch il catecumeno, immergendosi nel fonte, era portato a levare gli occhi in
CAPITOLO II
VILLA DEI MISTERI
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alto e cos veniva rapito dalle scene che, a volte, adornavano linterno della
cupola (cfr. Capaldo e Caputo 1992).
Il ciclo pittorico pompeiano mostra, al centro, Dioniso, rilassato, che si ap-
poggia ad Arianna, la sua sposa divina, e pu leggersi procedendo da
sinistra a destra. La prima figura quella di una donna velata, alla quale
rivolge un ammonimento il fanciullo-sacerdote che legge su di un rotolo.
Subito dopo la stessa figura appare priva di veli e manifesta la sua gravidan-
za: essa porta il frutto del suo ventre verso il dio e, per esplicitare questa
funzione, le affidato un vassoio colmo di offerte. Probabilmente la lettura
che le era stata dedicata dal giovane assistente della sacerdotessa serviva a
farle comprendere il ruolo al quale era stata chiamata.
Seguono le altre scene, come quella dellagape, quella della divinazione e, a
conclusione della sequenza essenziale, quella della fustigazione (fig. 14) e la
successiva frenetica danza, che simboleggiano la morte ed il rinascere
del fedele a nuova vita, dopo liniziazione. Non manca, gi nelle pi attente
guide turistiche, il tentativo di una analitica spiegazione dei singoli quadri ma
essa rimane priva di organicit e appare spesso arbitraria.
Noi ci limitiamo a proporne una lettura sulla base di osservazioni obiettive,
come nel caso della gravidanza della donna che porta il frutto del suo ventre
al dio e, per limitarci a quei contributi che hanno un minimo di originalit, nel
caso della scena del vaticinio, in cui il satiro offre la coppa al giovane (fig.
15) non solo perch egli beva, ma perch egli veda il vero.
Di fatto questi non sta affatto nel disimpegnato atteggiamento di chi beve
ma, lontano dallorlo del calice, con sguardo intenso ne scruta linterno, che
funziona da specchio deformante e riflette la maschera di colui che istiga,
che aizza (episeion), che altri tiene (Polluce, Onomasticon 143-145).
La coppa-specchio viene spesso citata nella antica letteratura persiana
(Punzo,1964), e chiss che questa pratica - che utilizzava il potere inebrian-
te del vino e alcuni voluti riflessi per suggerire al giovane veggente qualco-
sa che reale non era, ma idonea solo a fargli proferire una certa previsione -
non sia allorigine della metafora dargliela a bere.
Concludiamo accennando a ulteriori e promettenti spunti per una migliore
comprensione della megalografia. Essi sono stati suggeriti dallaver ritrova-
to, in essa, non pochi elementi presenti in altri misteri (eleusini, orfici) e finan-
che nellantica tradizione ebraica (e da questa passata alla Cristianit): per
questultima ci riferiamo alla mensa eucaristica, alla comunione del pasto e
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del vino preparato, alla assunzione del rotolo, quello che il fanciullo-
sacerdote legge alla donna incinta (Proverbi 9,5; Geremia 15,16; Ezechiele
2,8; 3,2). La preghiera doveva diventare elemento portato dentro dal fe-
dele.
Per quanto attiene la gravidanza essa era uno stato invocato (Kue , impera-
tivo da kueoo= concepisco, cfr. Poupard, 1988 pag. 2113), spesso e nelle
pi varie circostanze , come portatore di nuova vita, come il grembo della
terra datrice di vita (Omero, op. cit.). Non manca, nel dipinto, neppure il
capro espiatorio (capretto o agnello), la cui presenza emblematica e al
quale, tuttavia, si rinunziato, in questa celebrazione, a favore del sacrificio
incruento della fustigazione. Del sacrificio infatti non possibile fare a meno
poich esso , universalmente, attuazione del sacro ed mosso da un desi-
derio di offerta, cos appagando la spinta delle forze elementari della fede:
aspirazione, purificazione, comunione e rigenerazione. Anche qui, dunque,
come nella teologia pasquale di cui ricorrono numerose componenti, la con-
clusione la risurrezione, senza trascurare che la pittura inizia con la nascita
(cui adombra la gravidanza), continua con laccostamento al divino e si con-
clude con la rinascita a nuova vita, cos illustrando il ciclo completo del-
luomo fino alla sua salvazione che il mistero gli promette. Per quanto
attiene la mensa sacra, volendone per inciso ipotizzare le origini, antiche
come luomo stesso, essa pu forse considerarsi una eco lontanissima di riti
cannibalici consumati decine di migliaia di anni fa, poi modificati e idealmen-
te ripresi da numerosi miti, comuni a molte religioni, del dio (o delleroe)
che, ucciso e smembrato dal nemico, viene riassunto con atto damore
perch non muoia definitivamente o perch ciascuno partecipi della sua na-
tura superiore e la rinnovi. Qualcosa di vagamente simile alla eucarestia cri-
stiana che sembra parafrasare la Didakhe: come questo pane spezzato, una
volta disseminato sulle montagne stato raccolto per tornare ad essere un
tutto unico... grazie alla comunione dei fedeli, che mangiano il pane e be-
vono il suo vino. (Op. cit. pag. 674 et passim). Pur nel vago in cui siamo
costretti a muoverci troviamo dunque, qui, temi ricorrenti che attestano la
perennit di certi sacri valori, avvertiti sin dalla preistoria e poi continuamen-
te rielaborati, passati in Anatolia - attraverso il millenario scambio tra
Indoeuropei e Semiti - ed infine giunti agli Egiziani e poi ai Greci come termi-
ni comuni a varie religioni o semplicemente a culti misterici. Oltre a quelli di
Mitra e di Dioniso, altri misteri facevano proseliti a Pompei (ad es. quelli di
15
Iside) e i rispettivi ministri, a parte le pratiche strettamente iniziatiche, consi-
derando le prescrizioni correnti, dovevano far prediche non troppo dissimili
da quelle dei moderni parroci di campagna. Certamente veniva raccoman-
data ai fedeli una buona vita, il rispetto di giorni casti, digiuni, penitenze
e moderazione dei propri appetiti. In mancanza di un autonomo codice mo-
rale, filosofi come Socrate traevano spunto dalle prescrizioni proprie di al-
cuni misteri per consigliare un comportamento etico anche a coloro che non
erano iniziati.
Un culto misterioso
Tra i vari culti misteriosi era ben presente a Pompei quello del serpente
(fig. 16). Da sempre , questo animale, oggetto di attenzione nelle pi varie
religioni; anche il cristianesimo non andato esente.
Per i Pompeiani esso rappresentava, come per gli Egizi dalla mitologia dei
quali esso giunto fino a noi, la continuit della vita.
Ecco perch spesso presente nei larari: questi, infatti, serbavano la memo-
ria degli antenati e quindi un cosiffatto simbolo risultava assolutamente coe-
rente con linsieme e venivano detti Agatodmoni (=i geni buoni). C tutta-
via da rilevare una curiosit: questi serpenti, frequentemente giganteschi,
venivano raffigurati con vistosa cresta ed una sorta di gorgiera, il che sor-
prende essendo queste caratteristiche del tutto assenti nella realt. Daltra
parte la pittura romana dellepoca era realistica al punto che molti degli
animali raffigurati nelle pitture sono, a volte, riconoscibili fino a poterne de-
terminare la specie: ed allora come sanare la contraddizione?
La spiegazione la seguente: allorch il serpente veniva dipinto in qualit di
un comune abitante delle nostre campagne, allora esso appariva del tutto
normale, ma quando ad esso ci si rivolgeva per richiamarsi ai suoi poteri e
al suo significato religioso e simbolico, eccolo con cresta e gorgiera.
Questi attributi sono, dunque, nati solo dalla fantasia del pittore? Possiamo
rispondere di no: infatti quando un serpente muta la pelle essa si distacca pi
difficilmente nella zona del capo, sul quale ne permangono ampi brandelli.
Lartista non ha fatto altro che riservare questo aspetto insolito e impressio-
nante al serpente-simbolo, salvo a riprodurlo realisticamente in tutti gli altri
casi. Nota linguistica: Elaphe = genere della famiglia Colbridi, mutua la
radice con Elaphos (= cervo ed anche con Tlefo, che da una cerva fu
allevato) in quanto era opinione diffusa che molti serpenti fossero crestati
ovvero dotati di corna.
16
Introduzione alla Lucania
In Basilicata (che della Magna Grecia parte (fig. 17), e ne custodisce
leredit), tra arcaici paesaggi e riti fuori del tempo, abbiamo cercato i lega-
mi profondi che esistono tra uomo e natura, ascoltando antiche storie, visi-
tando luoghi romiti, partecipando a celebrazioni antichissime in compagnia
di vecchi dalle mani di pietra, di donne dal volto dolce ma impenetrabile, di
bambini che, a causa di una vita ancora sana, mostrano guance sode e colo-
rite. E sono essi che, depositari inconsci e protagonisti di riti millenari, ci
hanno fatto vivere momenti di insondabile antichit riuscendo anche a darci
lintima sensazione che il loro primo verificarsi possa aver preceduto laffer-
mazione di un codificato linguaggio parlato. Il tentativo di un approccio a
queste fasi preistoriche, che in alcuni casi osiamo proporre con interpreta-
zioni originali e immagini inedite (cfr. le illustrazioni del volume Lucania,
degli stessi autori), stato in chiave di una sia pur elementare psicologia
naturalistica (1), mirando lindagine, tra laltro, a rendere ragione (o, perlo-
meno, a offrire verosimili ipotesi di lavoro) di certi comportamenti umani
nonch della interazione tra leggi biologiche e componenti di apprendimen-
to.
Abbiamo dunque imboccato, a livello di primo accostamento, il corso della
biologia evoluzionistica ed in particolare della eco-etologia umana (2).
Ed attraverso questa strada che noi potremo, forse in un giorno non lonta-
no, risalire ai primissimi momenti della storia delluomo, a quella fase,
cio, in cui poco o nulla possono aiutarci altre discipline (come larcheologia
preistorica, la storia delle religioni e persino la linguistica, la psicologia ana-
litica e le scienze sociali) che invece apporteranno determinanti contributi nel
prosieguo dei tempi allorch luomo avr raggiunto pi articolati livelli psi-
chici e una pi progredita organizzazione collettiva.
Alcune manifestazioni rituali, cos come oggi sopravvivono, vengono da noi
descritte e percorse a ritroso -cercando, quindi, di spogliarle dalle stratifica-
Capitolo III
17
te elaborazioni dovute alla storia e al nostro stesso inconscio- fino a risalire
alla spontaneit delle origini, cui sono succedute la fase magica e quella
religiosa: fino a quando, cio, luomo ha creato i suoi miti. Un fantastico
affacciarsi nella preistoria umana, in quella cultura paleolitica che si radica
probabilmente nel Pleistocene medio o, certamente coi riti di fertilit, alme-
no al mondo delluomo neolitico (Facchini 1989). Viene anche indagato
qualche mito, in modo esemplificativo, come quello delle Sirene mediatoci
dal mondo greco. Chiariamo subito che le analisi da noi tentate sono espres-
se in forma divulgativa ritenendo che sia questa la strada perch non rimanga
limitato a pochi un primo approfondimento di un mondo fascinoso e signifi-
cativo, che invece appartiene a tutti.
Lessere andati, nel corso delle nostre osservazioni, cos vicini al primo for-
marsi della coscienza umana ci ha inoltre portato a toccare il momento del
sacro. Esso, come del resto prevedibile, si sviluppato da idee assai sem-
plici, che sono poi andate complicandosi in modo da lasciarci sbalorditi nel
momento in cui cerchiamo di abbracciarne la storia (3). Anche il solo tentar-
ne una sintesi sarebbe stata, in questa sede, pura follia: tuttavia abbiamo
voluto concludere il libro aprendo uno spiraglio sulliniziale formarsi di que-
sto processo. Vediamo come nasce una divinit, come da essa ne nasca
unaltra, e poi unaltra ancora e con esse linsieme si complichi, ma solo
apparentemente. Il fondo sempre quello delluomo che vuole allontanare
da s lorrenda morte, tributando onori e chiedendo alleanze a quegli oggetti
o a quelle entit, eventualmente personalizzati e comunque divinizzati, che
sia pure oscuramente gli appaiono legati alla vita.
Miti e riti si moltiplicano, si intrecciano, si nascondono tra loro, vengono a
volte illuminati da sprazzi di luce, subito seguiti da oscurit profonda: per
poterne accennare non abbiamo trovato di meglio che ricorrere ad un lin-
guaggio di sogno (v. capitolo VII).
Aconclusione, e lo affermiamo una volta per tutte, noi siamo consci di aver
spesso formulato delle semplici ipotesi, che riteniamo essere almeno verosi-
mili, ma che si ancora lontani dal poterle trasformare in certezze.
NOTE
1) La psicologia studia i meccanismi mentali che determinano il comporta-
mento delluomo, ma il momento in cui tale studio viene affrontato principal-
mente nei rapporti che egli ha con lambiente naturale in cui vive, allora si
18
parla di etologia umana. Tuttavia, considerata la maggiore complessit della
nostra psiche -il cervello umano oggi sette volte pi grande di quello pre-
visto per i mammiferi della nostra taglia (Alcock 1992), ma anche nei primi
stadi dellumanit ha presentato analoga superiorit- chiaro che lindagine
sulluomo, sia pure primitivo (cio nel momento in cui lapprofondimento
etologico significativo in quanto solo in questa fase il suo comportamento,
probabilmente, non risulta ancora influenzato da componenti intellettive sot-
to forma di scelte consapevoli non sempre coincidenti con le spinte adatta-
tive) deve adeguarsi a metodi pi articolati di quelli adottati nello studio delle
specie animali. Vengono pertanto chiamate inevitabilmente in causa, o an-
che semplicemente sfiorate, tutte le scienze delluomo, ed questo il motivo
per cui, invece di etologia umana, preferiamo nel nostro caso parlare di
psicologia naturalistica.
Non possibile studiare direttamente le risposte che a suo tempo i primitivi
presentarono agli stimoli ambientali: a parlarcene possono essere solo testi-
monianze obiettive, ove esistano. N sarebbe valido, anche se si tentati di
farlo, cercare di valutare oggi situazioni superate da millenni e rivissute con
lausilio di ricostruzioni pi o meno fantasiose fatte da noi, attraverso le lenti
di chi ha ormai irreversibilmente accumulato, fin nelle profondit dellincon-
scio, esperienze maturate in molte decine (se non centinaia) di migliaia di
anni vissuti in pi dei nostri antenati: il metodo peccherebbe di intollerabile
soggettivismo! Di certi fatti, dunque, si pu solo provare a farne una rico-
struzione su basi interdisciplinari, o anche per analogie, ad esempio speri-
mentando nellambito dello sviluppo psichico del bambino, oppure fruendo
dei risultati ricavati dallo studio di culture primitive contemporanee ( che
peraltro vanno quotidianamente estinguendosi) o, ancora, osservando il
comportamento dei primati non umani; infine, ultimo ma non ultimo, attin-
gendo ai significati profondi dei miti (che sono storia) indagati con lausilio
delle scienze della natura e delluomo, e soprattutto confrontati tra loro in
relazione ai gruppi umani che li hanno concepiti.
Il risultato pi gratificante sarebbe (ma forse solo unidea velleitaria) quello
di riuscire a spiegarsi, di ricostruire le iniziali direttrici di sviluppo (ad es. le
tendenze al sedentarismo o al nomadismo, allaggressivit o al pacifismo,
alla competizione o alla cooperazione, alla formazione di societ paritarie o
autoritarie ecc.) manifestate dai primi nuclei umani, e quindi le loro scelte, il
loro modo di comportarsi in relazione alle influenze eco-etologiche proprie
19
del tempo e dei luoghi.
Dobbiamo comunque notare che oggi ci troviamo di fronte ad almeno due
importanti fatti nuovi, che sono i seguenti: a) il progredire e lampliarsi degli
studi ha portato ad una graduale riduzione le differenze esistenti tra etologia,
psicologia comparata e neurofisiologia; b) sono state queste le scienze che,
in tempi recenti, hanno sovvertito convinzioni consolidate, e vale la pena di
fare qualche esempio. Non regge pi lidea che il tab dellincesto sia speci-
fico della cultura umana e che pertanto costituisca il primo originale mattone
idoneo a costruire ledificio delle regole sociali: infatti proprio letologia, in
contrasto con quanto affermato dalla psicoanalisi e ripreso dallo strutturali-
smo di Levi-Strauss, ci offre una serie di dati da cui emerge che anche i
primati non umani dimostrano disinteresse ai rapporti tra individui nati e cre-
sciuti assieme, essendo pervenuti a questi risultati attraverso una selezione
naturale tendente a favorire quei soggetti che, non riproducendosi in con-
sanguineit (inincrocio), mettono al mondo una progenie pi numerosa e
fisicamente pi forte.
Non regge pi quella parte di psicanalisi che spiega alcune forme di nevrosi
umana parlando di super-ego, perch letologia ci presenta casi di analoghe
nevrosi presso gli scimpanz.
Non regge pi lo schema di un altruismo culturalmente costruito perch,
sempre letologia, ci dimostra che, al suo posto o almeno al fianco di esso,
dobbiamo tener conto di quello geneticamente determinato. E via dicendo.
Va altres ricordato che, nelluomo, ha senso parlare di una determinante
interazione tra ambiente e comportamento solo nei primi stadi del suo svi-
luppo filetico perch, successivamente, il meccanismo di adattamento, pro-
gressivamente prevalente, sar rappresentato dalla cultura. Mentre gli altri
viventi realizzano ladattamento al loro ambiente modificando (leggi grazie
alla selezione de n.d.r.) i loro geni, luomo ottiene (oggi pi esatto dire
pu ottenere n.d.r.) questo risultato modificando in prevalenza, se non
esclusivamente, lambiente in cui vive per metterlo in armonia coi propri
geni (Dobzhansky in Facchini 1992). Concludiamo con questa felice affer-
mazione di Coppens (1988 ibidem). Lambiente, dapprima, la cultura e la
societ, in seguito, hanno fatto lumanit.
2) Un affine e promettente strumento di indagine anche quello dellecolo-
gia comparativa. Per un primo avvicinamento alla materia v.Ries,1993
(pag.106) e relativa bibliografia.
20
3) Il senso del religioso esclusivo della specie umana, a meno che non si
voglia ravvisare, nei gruppi in cui esiste quella stratificazione gerarchica (da
Ieros = sacro e arkheuo = comando) presente solo tra gli animali pi evo-
luti, un primo abbozzo di tale senso manifestantesi come ricerca di protezio-
ne, di rassicurazione, unito al bisogno di avere un capo, una guida: allaccet-
tazione, cio, di un dominante di rango pi elevato. La differenza che nelle
societ non umane il capo appartiene fisicamente al gruppo, mentre luomo
lo immagina come soggetto trascendente, proietta cio la figura del capo
fuori dalla realt fisica, salvo poi, spesso, a recuperarla come entit nata
dalluomo (cfr. il capitolo Il sogno), e magari ad affiancarla al capobran-
co umano nella complessa figura di Dio-Re. Insomma un dio dalla doppia
natura, un uomo-dio fatto di carne e di sangue, che sia fratello sulla terra, ma
anche di natura divina perch possa assicurarci una nuova vita dopo la mor-
te!
Tutto questo appare legato ad una esigenza innata in noi, ma si sviluppa con
lesperienza e la fantasia cos formando materia che viene trasmessa alle
generazioni successive attraverso leredit culturale. Di questultimo fatto ne
troviamo conferma nella circostanza che la complessit delle mitologie au-
menta con quella delle societ; infatti fin da quando, almeno dal paleolitico
superiore, si hanno i primi segni di pratiche magiche e cultuali, lumanit ha
concepito non meno di centomila religioni! (Wallace, 1966).
Al fenomeno possiamo anche tentare di dare una pi analitica spiegazione
che la seguente: per luomo il difendersi dai pericoli esigenza connaturata
e irrinunciabile, e quindi, allorch esso si vede minacciato, scattano i mecca-
nismi di difesa che sono di tipo fisiologico e psicologico. In relazione a que-
sta seconda componente noi possiamo notare uno strano comportamento
delluomo: in alcuni casi, cio, questi, sentendosi minacciato da un pericolo,
lo nasconde a se stesso, fa in modo di non vederlo, insomma lo ignora o,
meglio, lo nega. Di questo costante modo di agire ce ne fornisce ampia
dimostrazione il fatto che, nonostante i pericoli gravi che la scienza ecologica
oggi prevede, luomo non sembra rendersene conto, sembra non crederci;
cio il suo pi elementare e spontaneo senso di difesa lo induce a negarli.
Ma lauto-inganno continua ed ecco luomo dire a s stesso che, seppure
pericolo c e si dimostra magari prossimo, esso non lo riguarder, non lo
toccher, non gli arrecher danno perch, invece, si sostanzier lontano da
lui, nello spazio o nel tempo (Cirincione, 1991).
21
Equesta capacit di autoingannarsi subentra, da sempre, non soltanto in
vista di pericoli pi o meno imminenti, ma anche per depotenziare, esorciz-
zare eventi sentiti come terrifici. Ad esempio, vedendosi minacciato dalline-
vitabile morte, luomo la nega nel senso che le contrappone la resurrezione,
la metempsicosi, una vita ultraterrena. E dunque sempre lautoinganno la
causa che induce gli uomini a concepire le proprie rassicuranti religioni.
Ma tutto quello che di esse rimane solo luomo, la sua sofferenza, il suo
evanescente riflesso.
22
Cominciamo con lo splendido mare che, secondo antichi confini, orlava a
occidente la Lucania (1).
Donne bellissime che, seducenti, apparivano tra le spume del mare chieden-
do con un canto suadente ai marinai di interrompere la loro solitaria naviga-
zione, di indugiare con loro.... Nessuno, meno lastuto Odisseo, resisteva
allinvito -che precedeva una fine crudele- ed il mancato ritorno di tanti
marinai, insieme alla dolce ma infame lusinga raccontata dai superstiti, furo-
no premesse formidabili per diffondere il mito delle Sirene, che trova le sue
prime origini nella terra degli Arii, incredibilmente lontana nel tempo e nello
spazio.
Ma come pot nascere questa leggenda di sempre ?
Incentrata sullinesauribile fascino del femminile, essa viene indagata in que-
sto capitolo.
IL MITO DELLE SIRENE
Pi delle leggende, delle massime, dei proverbi - di solito nati pi tardi- il
mito che, svelato, diventa storia. E, trovandoci in terra lucana, parliamo
delle Sirene, due delle quali, secondo Licofrone, Apollonio Rodio ed altri,
avevano dimora e culto sulle coste che a questa regione appartenevano
secondo i suoi pi antichi confini, precisamente a Licosa e a Palinuro-
Molpa, mentre altre due ebbero stanza nella penisola di Sorrento e a Napoli
(2).
Premesso che mito vuol dire parola, racconto, e, in quanto parola, anche
narrazione primordiale tratta da un tempo oscuro e mancante di storia, cosa
favolosa della quale si parla come esistente, ma che veramente non sia (3)
dobbiamo ammettere che ad esso si attaglia un linguaggio di sogno, mentre
assai male rendono rigide parole scritte con la pretesa che possano squa-
drare lanimo nostro informe. Occorre, dunque, un linguaggio di sogno col
quale pi facile tentare di esprimere la tendenza primitiva a personificare
eventi e fenomeni: e luomo lo ha fatto col cielo, col vento, col fulmine ecc.,
ma anche con quei fatti, con quelle inspiegabili coincidenze che condiziona-
CAPITOLO IV
23
vano la sua esistenza. Tra queste non poteva mancare lesperienza base
della attrazione e danno che caratterizzava frequenti situazioni nella sua
vita e del mondo attorno a lui: si pensi, ad esempio, a tutte le imprese che,
attirandolo col miraggio di conseguire fama e ricchezza, si concludevano
invece con la sua rovina o la sua morte. Pi semplicemente si pensi agli
inganni tesi dalluomo ai suoi nemici (ad es. il cavallo di Troia) o alle sue
prede (le esche sulle trappole per i selvatici): fatti, questi che, sempre
sostanziando lesperienza base in oggetto, non potevano sfuggire allesigen-
za di una rappresentazione, di una personificazione.
N questo processo deve suscitare incomprensione poich costituiva una
forma di approfondimento, di spiegazione da parte dei primitivi, come noi
interessati al quia.
E furono appunto queste personificazioni, queste interpretazioni
personalistiche, frequente origine della inconsapevole creazione dei miti. In
seguito il processo della mente umana si caratterizza attraverso un sempre
pi ampio riconoscimento delle forze naturali esterne alluomo e si riduce
cos il campo della persona.
Ma torniamo ai miti, in particolare a quello delle Sirene, esseri, questi, cui
viene universalmente riconosciuto il ruolo di attrarre e procurare sventura
ed il cui nome deriverebbe da una radice sanscrita (svar=cielo) legata al
significato di splendore (e quindi attrazione) oppure, secondo altri eti-
mologi (forse pi verosimilmente avendo esse fama di demoni dal canto
seduttore) dalla base semitica sjr, che vuol dire cantare.
Di esse si legge nel Pianigiani (op. cit.): esseri mitologici il cui busto era di
vaga donna e terminava in pesce, i quali avendo stanza sul lido del mare
adescavano col soavissimo canto i naviganti per poi farli naufragare.
Sostanziava questa favola il mortale rischio di coloro che, dirigendo la nave
verso tratti di mare resi splendenti dalla poca profondit delle acque,
increspate e suonanti, si perdevano con essa. Continua, il Pianigiani, sempre
con riferimento alle Sirene e in armonia con quanto detto: ebbero questo
nome perch in origine furono il simbolo della piana e lucida superficie del
mare, sotto la quale stavan coperti gli scogli e i banchi di sabbia; donde la
favola che fossero vergini fanciulle le quali, stanziate in unisola, colla dol-
cezza del loro canto attraevano a s i naviganti e poi li uccidevano. Omero
ne annovera due e le colloca in un paese immaginario; di poi furon comune-
mente tre lungo la costa meridionale dItalia.
24
Pi tardi appaiono talvolta come geni della morte e il lor canto funereo,
talaltra come immagine di unattrattiva irresistibile e ingannatrice.
Tuttavia in una pi approfondita lettura del mito dobbiamo riconoscere che
laccostamento delle Sirene al mare nulla ci dice delle origini del mito stesso,
quando cio esse venivano rappresentate come donne-uccello (v. figg. 18 e
19): dobbiamo, piuttosto, prendere atto che la prerogativa del canto come
richiamo si sposa meglio a questa primitiva figurazione (per antonomasia gli
uccelli sono canori e col canto si richiamano e attraggono luomo) che
propria della cultura vedica (4). Nelle leggende brahamaniche troviamo le
Apyas, lusinghiere ed omicide, con quelle qualit, cio, che da sempre le
distinguono, donde probabilmente le Arpie greche. Queste ultime infatti
sono anchesse donne-uccello e sono legate al concetto di possessivit
muliebre e allimmagine delluccello di rapina (arpazo = rapisco, strappo a
forza). Evidenti le analogie con la Sfinge, la Gorgone e la Medusa: sfingi ed
arpie son poste sulle steli dei sepolcri, sempre in relazione al causare la
morte di chi osi accostarsi ad esse con desiderio, inoltre la Sirena posta,
come avvertimento e come genio custode, sulla omonima porta della citt di
Paestum.
Fin qui, tuttavia, nulla che spieghi perch il concetto di lusinga-morte
(trappola, adescamento e morte, inganno, sofferenza) si manifesti come im-
magine di donna-uccello nel Rigveda, come prodotto di una cultura lontana
dal mare e familiarizzata con le grandi pianure e i grandi spazi interni, nonch
con la fauna ad essi collegata, e come immagine di donna-pesce quando
divenne successivamente patrimonio di quelle civilt che nel mare trovavano
una loro ragione dessere (5).
Ma, solo che un po ci si rifletta, ecco che la spiegazione appare immediata
come quando affiora alla coscienza, finalmente compreso, il significato di un
sogno, di un archtipo dellinconscio collettivo (6).
La donna-uccello o la donna-pesce sostanziano, con la met superiore, la
donna come massima attrazione e, con la met inferiore, una natura non
umana e, assieme con questa, lindicazione della impossibilit di ottenere da
essa la prosecuzione della vita e quindi delusione, morte. Come, se non
immaginando un mostro quale le Sirene, poteva una mente primitiva sogna-
re (visualizzare) lesperienza base attrazione-morte? come, se non imma-
ginandolo attraente come una vergine e mortale, sterile, come un essere con
cui inutile unirsi? In altri termini quando luomo primitivo ha voluto simbo-
25
leggiare, inventare qualcosa (una figurazione, naturalmente, poi diventata
un simbolo) che difendesse, con la sua sola presenza, citt, tombe o itinerari
segreti, che servisse ad intimorire, spaventare, distogliere luomo da certe
azioni, egli pens, al di fuori di ogni processo razionale, limmagine di un
qualcosa di attraente (per antonomasia la donna) con la contestuale presen-
za di elementi idonei ad annunciare la non vita, lestinzione, la morte (7).
Cos nacque limmagine della Sirena e, ovviamente, il mito fu parto di una
mente maschile (8).
NOTE
1) Si estesero i primi limiti della Lucania dal fiume Silaro (=Sele, n.d.r.)
infino a Reggio ... Da Antonini, 1983.
2) Berard, 1963.
3) Da Pianigiani, 1988. L accostamento tra mito e sogno discende dal-
lesprimersi ambedue attraverso simboli cio qualcosa che ha valore per
quel che significa e non per quello che rappresenta. E merito fondamentale
della psicoanalisi lapprofondimento dallattivit cosciente allinconscio
(vedi pi sotto la nota 6).
4) I Greci inizialmente conservarono limmagine della Sirena come donna-
uccello. Si vedano in proposito le numerose raffigurazioni tra le quali ricor-
diamo quella, assai bella, su unanfora dipinta da Python e conservata nel
museo di Paestum, la pittura vascolare del mito di Ulisse (British Museum),
la Sirena sullomonima porta di Paestum, le figurazioni sul vaso greco, detto
delle Sirene, esposto nel Museo Correale di Sorrento ed infine linedita
anfora del VI secolo riportata in figura 18.
Le prime rappresentazioni come donne-pesci si hanno, invece, in un vaso di
Megara del II secolo a.C. (Museo Nazionale di Atene) e in una lucerna
romana del I-II secolo d.C. (Royal Museum di Canterbury). La scena ri-
prodotta sempre quella che ricorda la vicenda di Ulisse, ma questa volta
ad insidiarlo sono, appunto, donne-pesci.
5) Ferma la perennit dei valori arcaici, lantica religione iranica, giunta at-
traverso una peregrinazione durata molti secoli sulle rive delloceano India-
no, adatta i propri miti al mondo del mare e, come Varuna, somma divinit
vedica, diventa Signore dei flutti, cos le Sirene donne-uccello divengono
donne-pesci. E evidente, da quanto sopra, che il mito greco delle Sirene,
che a lungo ha continuato a rappresentarle come donne-uccello, si distac-
26
cato dalla matrice in una profonda antichit, prima che le popolazioni dellin-
terno, che avevano concepito il mito, si spingessero fino al mare.
Ricostruzioni di questo tipo, ipotizzabili senza forzature alla distanza di tre o
quattro millenni e a migliaia di chilometri dal focolaio iniziale, sono la prova
della potenza altrimenti inimmaginabile della tradizione.
6) Gli archtipi sono simboli (qualcosa che ha valore per quel che significa e
non per quel che rappresenta), che ritroviamo nei miti, nei riti, nelle religioni,
nellarte, nel folklore, nei sogni di culture pur tra loro separate da spazio e da
tempo.
Secondo una visione diversa da quella junghiana, che afferma lorigine inna-
ta degli archetipi, propendiamo a pensare piuttosto che essi sarebbero stati
concepiti dalluomo in modo spontaneo ed immediato fin dalla pi remota
preistoria, in rapporto alla sua stessa esistenza e allambiente in cui viveva,
cos come i miti pi elementari e semplici nati nei primordi pi lontani che sia
possibile immaginare: lUrzeit dello spirito umano. Limmenso intervallo di
tempo trascorso avrebbe portato a velarne le origini ed essi, in parte nati da
unattivit psichica questa s legata a fattori genetici, si sono diffusi nel mon-
do insieme con luomo, si sono tramandati attraverso leredit culturale cos
da apparirci presenti sempre e dovunque. Anche se non manca oggi chi, con
poca verosimiglianza ritiene che acquisizioni culturali, dopo migliaia di gene-
razioni entrino a far parte dellapparato biologico (Anati 1992, pagg. 121
sgg.).
7) Per rendersi conto del significato negativo della Sirena, in tutta la sua
pienezza, si tenga conto che non esiste societ senza religione e che questa
, a sua volta, prevalente culto della vita e della sua continuit. Quali che
siano le culture sembra che esista una invariante universale, valida ancora
oggi: bene, ed ogni suo sinonimo, tutto quanto favorisce la vita, la pro-
muove; cattivo, e termini equivalenti, tutto quanto tende a distruggerla, a
interromperne la continuit. La vita vive ed il male assoluto arrestare
questo flusso imperioso e infinito (Boyer 1992): la vita dunque lespressio-
ne pi alta del sacro. Vedi anche il capitolo Il sogno.
8) Questa breve indagine sulle Sirene chiarisce come, con lo scorrere dei
secoli, il mito vada articolandosi e complicandosi fino a velare densamente,
ma mai a cancellare, la verit fondamentale.
27
Pu apparire strano, ma i ritmi della natura sono tali che il seme del frumen-
to, il principale alimento dei paesi mediterranei, deve essere affidato alla
terra in autunno inoltrato, proprio quando la stagione promette maltempo.
LA SEMINA E LINVERNO
Quando luomo inizi a coltivare la terra si rese subito conto di quanto in-
certi potessero risultare i suoi sforzi e le sue aspettative. Fu cos che, sfinito
dallestenuante lavoro dellaratura e della semina, e timoroso di non racco-
gliere il frutto sperato, egli si adoper a provocare la germinazione di quel
seme, che aveva posto nel grembo oscuro e gelido della terra e che poteva
andare incontro ad un duplice destino: la morte o la nascita.
Luomo doveva dunque impegnarsi in ogni modo per favorire questultima.
Lansiosa speranza era che la luce tornasse e che la terra potesse comincia-
re a scaldarsi presto, cos che il seme fosse stimolato a generare la pianta e
il frutto che, per luomo, significava la vita.
Ecos, fin dallinizio della sua attivit di agricoltore, egli parl alla terra (1),
tent di provocare una risposta della natura producendo egli stesso quel
calore, che desiderava, accendendo fal nei campi grazie al dominio del
fuoco acquisito ormai da millenni, fin da quando egli viveva prevalentemente
di caccia.
Poi, col tempo, questo suo ingenuo esempio divenne magia e, dopo anco-
ra, invocazione della divinit facendo ardere torce e candele nelle sacre
processioni dedicate, nel mondo romano, alla dea Terra e a Cerere.
Ma di occasioni, di circostanze in cui riproporre le proprie istanze, nel peri-
odo tra il solstizio dinverno e lequinozio di resurrezione, luomo ne predi-
spose molte, tutte intese innanzitutto a fugare le tenebre della fredda stagio-
ne, ma anche perch la fiamma bella e laccenderla celebra, con riti socia-
lizzanti, la potenza delluomo che riuscito a dominare il fuoco, a emulare
entit soprannaturali.
Vi era una gradualit in queste celebrazioni per cui luomo, condizionato dai
ritmi stagionali, prima cerca di purificarsi, col nuovo anno, riconoscendo alla
CAPITOLO V
28
fiamma potere lustrale, poi tenta di vincere loscurit della cattiva stagione e,
solo pi avanti, col procedere dellanno, prova ad anticipare lalidore esti-
vo, portatore di frutti abbondanti e maturi, accendendo i fuochi di primave-
ra.
Ma rimaniamo ai riti dinverno e notiamo come molti di essi siano sopravvis-
suti fino ai nostri tempi, seppure dalla Chiesa orientati ad onorare i nuovi
santi della Cristianit. Il tredici dicembre si celebra a S. Mauro Forte (MT)
(2) la festa di S. Lucia (fig. 20), protettrice della vista, senso al quale
indispensabile la luce, inconsciamente personalizzata nella Santa che ne
mutua il nome (Lucia-luce). Insomma, senza rendersene conto, con questo
rito si festeggia la Luce. E cos, innanzi alla chiesa e con manifesta devo-
zione, vengono accesi un grande fuoco, che sar benedetto, e tante candele.
Al termine della processione, poi, i fedeli raccoglieranno un po di brace da
portare nel proprio focolare.
Ma una sopravvivenza ancora pi sconcertante si ha con la festa di S. Anto-
nio Abate, il 17 gennaio. Anche in questa occasione ricorrono confusi ele-
menti che, in un certo senso, associano il Santo alle antiche pratiche tradizio-
nali. Il suo nome, infatti, di per s legato al fuoco perch definisce un male
che provoca forti bruciori (3), ed a lui si dedicano lingueggianti fal che
certamente si rifanno a riti pagani.
Nella religione romana, infatti, questi roghi frequenti avevano le pi varie
finalit: dallaiutare a venir fuori dalla cattiva stagione, scaldando ed illumi-
nando, allo stimolare e festeggiare la prima germinazione del grano, fino a
promuovere la purificazione degli uomini e degli animali prima di entrare
nellanno nuovo che, col calendario precedente alla riforma di Numa, inizia-
va a marzo.
Feste di speranza dunque, celebrate nella stagione buia (come i Saturnali e
le Feriae Sementinae), feste inquietanti quando divengono dominio dei
Luperci, feste quasi di famiglia quando si identificano col carnevale che noi
conosciamo. Feste che si prolungano per giorni fino a raggiungere, al termi-
ne di febbraio, la conclusione del carnevale, cos ripetendo gli antichi cicli
che sfociavano nelle feste terminalia.
Echi a volte impressionanti di questi riti lontani, frammisti ad usanze cristiane
in un curioso intrico non sempre facile da sciogliere (4), li abbiamo vissuti a
Tricarico (PZ), in occasione dellinizio di carnevale, che qui si celebra in
forma assai singolare. Eccone il racconto.
29
Giungemmo in paese in unalba gelida e cristallina. Lorizzonte rapidamente
trascolorava dal blu al rosa quando, come ad un segnale, le vuote stradine
cominciarono a risuonare per il fragore di numerosi e rustici campanacci. Se
ne udivano di quelli assai grandi, di quelli piccolissimi e di tutta la gamma
intermedia, tolti in prestito alle mandrie e agitati ritmicamente in modo da
trarne tutta la loro sonorit. Di uomini ancora non se ne vedevano; poi, dai
vicoli, dalle piazze questi apparvero, coi loro campanacci, vestiti con indu-
menti di lana, qualcuno addirittura coperto con una pelle, e come formiche
formarono un risonante corteo.
La campana, si sa, risveglia, fa passare dal sonno alla veglia e mai pi chia-
ramente che in quella occasione noi lo sperimentammo. Qualche latente se-
gno di inerzia e di stanchezza fu fugato dalle grida e dai fischi sonori che
qualcuno emetteva come se si fosse effettivamente trattato di incitare gli
animali del singolare corteo, fatto invece da uomini e campane.
Poi lappuntamento alla chiesa, fuori del paese, coi pochi quadrupedi portati
alla benedizione.
Nellinterno campeggiavano sullaltare S. Antonio e il suo roseo e grasso
porcello: in altri casi linsieme sarebbe apparso blasfemo.
Fuori del tempio, prete, uomini, animali e musicanti compivano i tre giri ri-
tuali attorno alledificio: nei tempi andati, si riteneva che le benedizioni au-
mentassero in relazione al numero di tali giri.
In una confusione immensa e tra strepiti incredibili un gruppo di fedeli e di
bestie entra in chiesa e il sacerdote, ansioso che quella bailamme finisca,
agita, come cerimoniale che deve essere comunque compiuto, un braccio
ligneo di sconcertante verismo anatomico in cui contenuta una reliquia del
Santo, per poi allontanare i profanatori del tempio. Sentimenti contrastan-
ti, quelli del sacerdote, che dimostrano come il rito pagano resista ancora
come tale e forse non stato mai pienamente accolto dalla nuova religione.
Alluscita della chiesa il corteo si riforma: ci sono bambini totalmente avvi-
luppati nelle mutande e nelle maglie di lana degli adulti, vi sono giovani con o
senza corona di nastri multicolori e vi persino qualche anziano, ciascuno
col proprio campanaccio la cui grandezza, di solito, proporzionale allet
di chi lo agita. Poi, inaspettatamente, compaiono pochi soggetti, prima non
notati, di alta statura, ornati di nastri neri e robuste corna, col volto velato di
scuro (fig. 21).
Si muovono diversamente e in modo da impressionare; di tanto in tanto, poi,
30
simulano un accoppiamento con un componente-vacca del corteo: un gi-
rare in coppia del toro che aggredisce alle spalle, rapido, e poi tra le impre-
cazioni del mandriano, che cos pienamente vive la sua parte, torna tutto
come prima (5).
Di colpo sembra di rivivere le feste celebrate nellantica Roma in onore di
Fauno Luperco: i velli degli armenti sostituiti dai vestiti di lana e i lunghi nastri
al posto delle strisce di pelle caprina. Si invoca, ora come allora, la fertilit
dei campi, degli animali, degli uomini stessi. I nastri agitati come
scacciadiavoli, insieme coi fuochi e col risuonare delle campane, allontanano
quanto c di negativo, che viene lasciato allanno che muore.
Allanno che verr siano riservate pingui messi, giovenche gravide, donne
fertili e uomini purificati.
NOTE
1) Lelementare meccanismo psicologico che a monte di questo compor-
tamento esposto nel successivo capitolo dedicato ai riti di primavera.
2) In questo e in altri casi da noi citati, non detto che il rito si compia solo
nel comune indicato, n si esclude che esso sia ripreso anche in altri paesi (v.
figg. 22, 23 e 24).
3) Si tratta dellherpes zoster, i cui sintomi si cercava di lenire ricorrendo a
unzioni di grasso di maiale. Ecco, forse, il motivo per cui questo animale era
prediletto dal Santo e sempre veniva rappresentato accanto a lui.
4) Le difficolt alle quali si accenna non dipendono soltanto dal lunghissimo
tempo trascorso, dal momento in cui queste feste si celebravano sicuramen-
te secondo il rito pi antico, n dalle condizioni di vita profondamente muta-
te, ma sono soprattutto in relazione ai tentativi tenacemente ripetuti dalla
Chiesa, nel frattempo divenuta potere, per indebolire il paganesimo so-
pravvissuto, magari accogliendone i riti, ma celebrandoli ad uso e consumo
della fede cristiana. A titolo di esempio si pensi che, fin dal V secolo, S.
Mamerto formulava le rogazioni, che altro non erano che feste cristiane
che tuttavia ricalcavano antichi riti pagani. Lo scopo era, dunque, assimilare
le tradizioni pagane ma per svisarne le finalit, per trasformarle e, se poi
questo non fosse riuscito, per reprimerle.
Considerata questa opposizione della Chiesa, esercitata per oltre quindici
secoli, un vero miracolo che le comunit agricole, almeno quelle pi isola-
te, siano riuscite in parte a mantenere le remote tradizioni.
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5) Pi tardi si uniscono al corteo le solite maschere civili e borghesi (il ma-
scherarsi, da sempre, serve a garantire lanonimato cos consentendo la sa-
tira contro i potenti) e quindi tutti convergono in paese perch al carnevale
partecipi la popolazione nella sua globalit.
Ma qui ci attendeva una deludente sorpresa: con una finezza e una cultura
degne del peggiore animatore di clubs balneari erano state apprestate strut-
ture e invenzioni idonee a trasformare lantico rito in una specie di melensa
festa di provincia. Il tutto avidamente sottolineato e ripreso dalla televisione
di stato, che tanti meriti gi vanta nei processi di banalizzazione e
massificazione tipici dei nostri tempi. Sar questa la fine dellautentico e
millenario carnevale di Tricarico?
32
Centinaia di migliaia danni or sono luomo viveva quotidianamente le sue
paure primordiali. Allora solo i barlumi di una intelligenza ancora lontana
schiarivano la notte degli istinti.
Evenne il momento in cui luomo si accorse che il giorno diveniva pi breve,
che pi lunga era loscurit, che pi aggressive divenivano le belve nemiche:
e fu inverno. Ma poi la luce amica inizi a riapparire e alluomo non sembr
vero il nuovo innalzarsi del sole sullorizzonte. La paura si ridusse, ma anco-
ra lo attanagliava. Solo dopo la nascita solstiziale ed il torpore invernale
giunse finalmente il miracolo della primavera, del rinascere della natura.
Lerba andava ricoprendo le nere zolle, che gli ricordavano la notte, le foglie
ravvivavano gli scheletri degli alberi: la morte veniva cancellata dalla resurre-
zione equinoziale.
Si poteva, allora, anche morire per poi risuscitare? la grande nemica di sem-
pre era vinta?
Tutto questo fu sogno e desiderio, e poi divenne mito. Cos, e non in altro
modo, nacquero i riti di primavera (1).
LA RINASCITA DI PRIMAVERA
Furono, dunque, il terrore innato della morte e linsopprimibile impulso di
conservazione che, insieme, legarono lidea della fine a quella della rinascita
in un alternarsi di paure e di speranze nate con luomo. E fu questo un segre-
to che egli port lungamente nel cuore, poi coltiv con la magia, infine affid
alla religione (ed oggi lo riscopre con la ragione). I culti misterici, infatti,
hanno dato, tra i primi, riscontro al mito della resurrezione, cio della vita
eterna, attraverso i rituali di iniziazione.
Ma, come dicevamo, prima ancora di questo ci sono stati altri remotissimi
riti di cui si conservata traccia, fino ai nostri giorni, nelle tradizioni che le
societ contadine mantengono e celebrano attorno allequinozio di primave-
ra, in coincidenza col rivitalizzarsi del mondo vegetale.
E, dunque, un sentimento che ha radici nel nostro profondo, quello che
sospinge luomo a conservare i cerimoniali di primavera e pertanto sembra
CAPITOLO VI
33
assai strano che si sia dovuto attendere linizio di questo secolo perch
antropologi e psicologi si cimentassero con la materia, in precedenza solo
oggetto di superficiali descrizioni folcloristiche. E la sua spiegazione appa-
re quasi superflua: il nostro passato che ci ha formati e quindi basta ricer-
carla dentro di noi: velata appena dagli insuccessi della magia, essa affiora
nel momento in cui partecipiamo al rito che si rinnova, cos imprevedibil-
mente riscoprendo sentimenti pregnanti, custoditi dalla tradizione contadina,
ma che ugualmente ci appartengono.
Enon potrebbe essere diversamente, tenuto conto della millenaria esperien-
za che ci lega ai cicli della natura e che ci fa guardare alla terra come sorgen-
te di vita e culla della morte, ad essa legandoci come appare dalla radice
comune a homo e a humus (2).
Il rito del Maio tra quelli pi significativi e deve il suo successo alla sua
polivalenza.
Lappuntamento nel bosco, alle sei del mattino. E ancora buio, c poca
gente, quasi tutti uomini. Un gruppetto si dirige verso un grande albero,
individuato dopo giorni di ricerche: un autentico monumento vegetale (3).
Dopo pochi minuti di armeggi, esso cade di schianto e la terra trema: ha
ceduto alle maledette motoseghe, che hanno distrutto un rituale e sostituito
la scure, pi accettabile, pi umana.
Il colosso giacente viene ora sfrondato, squadrato e infine, incredibile a dir-
si, spostato a braccia, con sforzi cadenzati dalla voce del caporale, fino ad
allinearlo con un sentiero. Si agganciano allora le pariglie dei buoi: gigante-
schi, splendidi e ornati di nastri e figure di santi.
Inimmaginabile, se non si assiste al rito, limpegno degli uomini che va dallo
sforzo fisico sovrumano (fig. 25), allesborso di ingenti cifre per disporre
degli animali da tiro pi belli.
Comincia cos la lenta marcia nel bosco, che durer giorni. Falde di luce
cadono sulla carovana e illuminano a tratti i volti, le figure, lalbero, le bestie
(fig. 26).
In unampia radura lalbero si incontra con la cima, la sposa, che una
pianta sempreverde (abete o agrifoglio). Essa viene saldamente legata, con
rami di salice, al grande albero cos da costituirne fantastico vertice.
La gioia esplode, rende generosa la gente che offre e si scambia il cibo
rituale. E festa grande e la Chiesa, allargando la porta del paradiso, ha
accolto tra le proprie celebrazioni il rito precristiano, antichissimo e di origi-
34
ne silvana, dedicandolo al Santo Patrono.
Poi lalbero dalla vergine cima viene eretto, a forza di braccia (a Rotonda, e
con lausilio di macchine primitive ad Accettura) nella piazza del paese. Qui,
in piccoli capannelli, si suonano e si cantano motivi antichi (4) gli uomini si
esibiscono in gare di forza e di abilit e le donne, in processione, recano in
chiesa, portandole sul capo, le cente, come cesti o cerchi di fiammelle, che
sono un tipo di offerta di remota antichit anchesse.
Quella che abbiamo descritta , una per tutte e spogliata da non pertinenti e
posteriori aggiunte (5) la festa del Maio (o del Maggio), che si svolge, iden-
tica nella sua essenza, presso molti popoli della terra. Vediamo ora di sco-
prirne il significato, risalendo alle origini, che sono quanto mai remote come
dimostrato dalla universale diffusione del rito che, evidentemente, ha se-
guito luomo nella sua diaspora.
Le interpretazioni non mancano: vi chi, in esso, vuol vedere la celebrazione
del mitico amplesso tra Urano e Gaia, del cielo luminoso con la Gran Madre
Terra, come culmine di quellamore che vivifica il mondo.
Ma cos siamo gi alla mitologia e alla poetica.
Continuando a cercarne le radici ci imbattiamo nella grandiosa e tragica
unione tra luomo e la natura, a noi completamente sconosciuta e invece ben
viva nel culto dionisiaco, i cui seguaci raggiungevano livelli di estasi con stra-
ordinari effetti psico-fisiologici, che provocavano, appunto, supremi mo-
menti di identificazione con il creato.
Ma seguendo altre strade possiamo attingere, sia pure con un margine di
arbitrariet, soglie ben pi remote, che devono aver avuto le loro prime
radici forse nel Pleistocene medio, durante quella crisi di adattamento
dellH. erectus alle condizioni di vita offerte dalle terre appena conquistate
(6).
Luomo, a partire da un certo punto della sua evoluzione, ha sempre subto
il fascino dellalbero, del bosco, che stato anche il suo primo tempio, luogo
di angoscia ma anche di conforto per avvertite presenze numinose.
Alberi grandi, foreste profonde vogliono anche significare maggiori possibi-
lit di sopravvivenza. Luomo ha bisogno dellalbero e, come dimostrano
antichi riti, a volte si identifica con esso (7). Pi che una tendenza, questo
un desiderio: lalbero non forse il simbolo della vita che si rinnova ad ogni
primavera, della vegetazione che muore e rinasce, dellimmortalit?
Nellidentificazione albero-uomo, questi portato ad attribuire ad esso un
35
modo di esistere simile al proprio: ed ecco quindi che, desiderandone il
rigoglio e la moltiplicazione, egli vuole il suo sposalizio ricorrendo ad
unazione che la natura dovrebbe imitare (8).
Enella riuscita di queste pratiche (che poi saranno definite di magia omeo-
patica) luomo fermamente crede -malgrado gli insuccessi- a tanto indotto
dal suo primo, e non lontano, esprimersi con linguaggio preverbale, manife-
stato attraverso il suo stesso comportamento, integrato da gesti ed espres-
sioni vocali. Non c dubbio infatti che le prime forme di comunicazione tra
gli uomini siano state di questo tipo consentendo esse, pur nella loro sempli-
cit, di chiedere amore, cibo, aiuto o piet; ma prima ancora di questa fase
il capo riconosciuto del clan umano agiva in modo spontaneo e naturale (9)
limitandosi a fornire comunicazioni inconsapevoli attraverso il proprio com-
portamento, recepite dal gruppo con le facolt di imitazione e di apprendi-
mento (10).
Era, allinizio, semplicemente il suo fermarsi o il procedere, e poi il suo rac-
cogliere il cibo o il suo cacciare, il suo aggredire o fuggire a determinare
unazione parallela del clan: n pi, n meno di quanto egli -molto pi tardi e
proprio sulla scorta di questa esperienza- far nei confronti della natura per
indurla (magicamente) a rinnovare il verde di primavera, e con esso la vita, a
produrre alberi pi alti, pi forti, pi verdi, pi vitali poich, col
lussureggiamento del bosco, vi saranno pi animali, pi cibo.
Dovranno poi trascorrere centinaia di migliaia di anni (11) perch, gradual-
mente, nasca il linguaggio verbale (i tempi sono assai lunghi perch qualsiasi
tipo di evoluzione , inizialmente, sempre assai lento) annunciato dal compi-
mento di atti rituali complessi e da manifestazioni ispirate dal compiacimen-
to, dalla soddisfazione delluomo nei confronti della sua forza, della sua abi-
lit, della sua potenza, costantemente verificate per ottenerne sicurezza.
Il rito del Maio, fondamentale momento sacro anche di societ prive di
scrittura, viene celebrato con maggiore o minore impegno, secondo i luoghi,
partendo dal semplice infiggere un ramo verde nella umida terra (12), fino
ad assumere proporzioni smisurate. E evidente che, allorigine di questa
magnificazione dellalbero, vi linnata tendenza delluomo ad attribuire, nel
momento in cui li ricorda o in qualche modo li riproduce, li raffigura o li
celebra, proporzioni eccezionali a quei soggetti che polarizzano un suo par-
ticolare interesse, che sia quello di ottenere migliori gratificazioni, di sentirsi
meglio protetto o pi ammirato e cos via. Luomo sente lesigenza del
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grande, basta pensare ai giganteschi megaliti presenti in Africa, Europa e
Asia, e gi questo spiega le dimensioni raggiunte dal Maio nella sua evolu-
zione, ma al fenomeno concorre anche la medesima tendenza che port alla
enfatizzazione delle forme delle Grandi Madri del Paleolitico, vedi per tutte
la cosiddetta Venere di Lespugue della veneranda et di 23.000 anni, alla
quale luomo guardava, s, come oggetto di desiderio, ma anche come uni-
versale fonte di vita (13).
Praticando questa esaltazione della sua creazione -e il modo pi elementare
per farlo appunto quello di ingrandirla in tutto o in parte- luomo si com-
piace perch gli sembra di vederla pi rispondente alla sua immaginazione,
pi bella, meglio commisurata allimportanza che egli attribuisce al modello
che lha ispirata e inoltre pi adeguata al ruolo che essa, nella realt, desti-
nata a svolgere. Citiamo come esempi, nelle antiche raffigurazioni, la statura
degli animali cacciati in rapporto con quella del cacciatore, le grandi dimen-
sioni delle divinit o degli oggetti divinizzati, lamplificazione degli attributi
femminili nelle rappresentazioni erotiche, la imposizione di maschere che
sottolineano i poteri dello stregone etc.
Ma ci sono, inoltre, motivazioni convergenti: il Maio si evoluto nel tempo
come articolata struttura, cos venendo ad appagare, l dove questa evolu-
zione c stata, anche lesigenza pi complessa e misteriosa della mente
umana (si usa dire dello spirito e sar lultimo e lontano traguardo della
cibernetica) che la creativit, cio quella esigenza interiore che, ancor
prima di essere consapevole azione magica, lo ha portato ad incidere, in
unepoca incredibilmente remota risalente a trecentomila anni fa, una serie di
doppi archi su di una costola bovina rinvenuta nel 1969 da F. Bordes a Pech
de lAze in Francia (Facchini 1992, pag.34), oppure a creare, circa
trentamila anni fa, le straordinarie pitture di Lascaux e le piccole Veneri
(meglio le Grandi Madri) del Paleolitico (14).
In contrasto con questa nostra opinione c chi sostiene che larte primitiva
si palesa sempre come opera di rito o di culto; non ha per scopo il diletto
estetico, rispondendo sempre ad una profonda, intima e connaturale esigen-
za religiosa: documento, forse, anchessa della speranza delluomo di riusci-
re a plasmare nella materia la divinit, che sfugge direttamente al suo sguar-
do, e di propiziarsene la potenza benefica o scongiurare quella avversa
(15).
Anoi, tuttavia, sembra di poter insistere sul fatto che lestrinsecazione, sotto
37
forma di un disegno, di un motivo immaginato, di un ricordo o di un deside-
rio, congiunta al piacere che la realizzazione in s procura, costituiscono
momenti che precedono qualsiasi riflessione magico-religiosa, anche se
questa potr poi subentrare in tempi successivi e lontani (16).
Infine il grande Maio soddisfa anche -sotto forma di nebulosa sfida agli dei-
quel senso competitivo che luomo ha sempre nutrito nei confronti di essi e
delle forze della natura, che reso con evidenza ancora maggiore dalla lotta
contro il toro, divina incarnazione della fertilit, consacrata dalla
tauromachia di cui c prova fin dallarte cretese-minoica e continuit fino ai
nostri giorni.
Luomo ha sempre voluto misurarsi con la divinit, mostrandosi ad essa non
inferiore (lo stimolo di origine genetica lo stesso di quello che, nella lotta
per lesistenza, lo spinge a misurarsi coi propri simili, anche se visibilmente
pi forti) ed anche a questo fine, dunque, tende la costruzione dellalbero
meraviglioso: il Maio che, gi il pi bello della foresta, reso ancora pi alto
e vitale dalla cima sempreverde, concepita e impostagli, appunto, dalluomo
(17).
Chi, con animo partecipante, ha assistito alle drammatiche fasi dellerezione
del tronco e della cima nella piazza del paese, chi finalmente ha visto il verde
vessillo sollevarsi nel cielo, piegarsi e rialzarsi alla forza dei venti, prova una
emozione profonda impossibile a rendersi materia di ragione (fig. 27).
NOTE
1) Le condizioni astronomiche che determinano lavvicendamento delle sta-
gioni, e quindi dei riti, sussistono solo per le popolazioni boreali (trattandosi
del continente europeo) che vivono nella fascia delle medio-alte latitudini,
presso le quali ancora oggi diffusamente persistono le connesse tradizioni.
In ogni caso i riti di rinascita, che sostanziano la ricerca di rinnovamento,
sono presenti in moltissime culture primitive diffuse in ogni parte del mondo.
Ad esempio tra gli Asmat, aborigeni della Guinea sud occidentale il cui
modo di vita ci riporta allet della pietra, si celebra la rinascita allorch
nuovi soggetti vengono a far parte del proprio villaggio. Essi vengono fatti
strisciare per terra mentre una fila di donne, al di sopra di essi, forma una
galleria stando allin piedi e con la gambe divaricate. Esse intendono cos
rappresentare lutero e la vagina dai quali si pu rinascere (AA.VV. I popoli
della terra. vol. I, pag. 67).
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2) Cfr. Gamkrelidze e Ivanov, 1990. C, tuttavia, ben pi ampio ed unifi-
cante contributo della linguistica, che prova remote connessioni a volte da
noi solo vagamente intuite.
Maggio e Maio hanno la loro radice in comune con Maia, la Grande Madre,
alla quale si sacrifica in questo mese. Inoltre Maia, tenuto conto dellinfluen-
za delle lingue semitiche su quelle indoeuropee, ipstasi dellacqua, che in
accadico suona ma-a. Daltra parte questa corrispondenza risulta
concettualmente confermata dallessere la compagna di Vulcano, Maia ap-
punto, colei che, in questa unione e nella logica della complementarit ri-
spetto al paredro, stata preceduta da Bona Dea o, pi remotamente, da
Stata Mater (e quindi ha valenza simile ad esse) questultima essendo espli-
citamente ritenuta colei che proteggeva le case contro i pericoli del fuoco e
arrestava gli incendi, cio lacqua.
Ed ancora, Maio si lega al latino maius=maggiore, in quanto cresce: nel suo
significato, quindi, legato allacqua che fa crescere le messi (cfr. il proverbio:
acqua di maggio vale un carriaggio). Questi collegamenti, che certamente
non si esauriscono con la nostra breve nota, possono apparire confusi, pur
convergendo sulla idea della vita che rinasce in primavera, muovendosi ed
accalcandosi in una visione ancora non chiara ed ordinata del mondo, cio
cos come essa poteva essere in una mente primitiva.
3) A Rotonda, nel 1988, stato abbattuto un faggio dritto e schietto di 225
anni di et ed altezza di oltre trenta metri.
4) Sopravvivono in Lucania espressioni di canto e di musica autonome, che
divergono dalla cultura dominante. Esse hanno carattere popolare e, a volte,
addirittura primitivo: retaggio di situazioni storiche arcaiche e tuttavia ancora
oggi eseguite in alcuni rituali, chiaramente paganeggianti, celebrati nelle zone
interne della regione. Assistervi significa vivere momenti di insondabile anti-
chit, nei quali la zampogna ritrova un ruolo centrale, e significa ancora sco-
prire un mondo semplice, fuori del tempo, spesso legato ad unesistenza
difficile, che qui si protratta fino a ieri.
Una bella raccolta di musiche popolari lucane, intitolata La Madonna di
Viggiano, stata realizzata nel 1984 a cura di Giuseppe Gala, per Mate-
riali sonori con sede in via Trieste, 35 - 52027 S. Giovanni Valdarno
(Arezzo). Essa dovrebbe trovare spazio nei musei delle tradizioni popolari e
andrebbe proposta, per lascolto, ai visitatori.
5) Tra le quali porremmo anche laggiunta della cima sempreverde.
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6) Homo erectus primo uomo moderno e nostro diretto ascendente,
comparso in Africa circa 1,7 milioni di anni or sono. Di qui cominciata la
sua diaspora che lo ha portato gradualmente in tutte le zone temperate del-
lEuropa, dellAsia e oltre (solo circa 30.000 anni fa egli ha varcato il ponte
formatosi nello stretto di Bering). Nel nostro continente giunse circa 1,5
milioni di anni fa e continu a diffondersi migrando lungo le aree forestali,
che gli assicuravano abbondanza di cibo. I suoi insediamenti sono segnati
dagli strumenti litici da lui scheggiati, mentre il pi antico reperto europeo di
H. erectus (una mandibola) stato trovato a Mauer, in Germania, a 24
metri di profondit nel terreno e rimonta solo a circa 650.000 anni fa.
Azzardiamo che forse gi a partire da questa epoca (o non molto pi tardi)
pu supporsi che luomo, in fase di adattamento ai nuovi ambienti, abbia
posto le basi del rito dellalbero: anche se comunemente si ritiene che capa-
cit di astrazione e pensiero metafisico siano da attribuirsi con certezza solo
ai pi tardi neandertaliani (comparsi circa 130.000 anni b.p.).
La pi remota datazione, alla quale abbiamo accennato pur sapendo di de-
rogare dagli schemi correnti, non deve tuttavia sorprendere perch da livelli
ancora pi antichi (paleolitico inferiore) emergono testimonianze che
evidenziano intendimenti di carattere simbolico e estetico, come luso del-
locra rossa, impiegata per ridare il colore del sangue e della vita, ritrovata in
depositi antropici dellEtiopia risalenti a 1.500.000 anni fa e, pi tardi, anche
il trattamento di reperti cranici.
In conclusione se vero che le prime sicure manifestazioni di un evidente
psichismo compaiono solo pi tardi, allorch luomo rappresent gli aspetti
del mondo attorno a lui e cio nel paleolitico superiore, come le attuali cono-
scenze archeologiche provano - a questa epoca infatti rimontano, per atte-
nerci ai motivi che hanno ispirato questo capitolo, numerosi graffiti o dipinti
alberiformi, segni di arboscelli o di piante databili a partire da circa 30.000
anni or sono - ma si deve tener conto che capacit di astrazione, senso
estetico e creativit artistica non sono esclusivamente legati a produzione di
immagini (esiste tutto un filone da esplorare sul comportamento artistico
degli scimpaz, v. Morris 1969) ma anche alla pratica di riti, spesso com-
plessi, che solo a causa della loro remota antichit (precedente la diaspora
del genere Homo) hanno potuto avere, con eguali significati, diffusione
ecumenica. Anzi, a proposito di essi dobbiamo prendere atto di una loro
singolare e sostanziale fissit, verificata per tempi lunghissimi (basta pensare
40
ai miti della Grande Madre), forse superiore anche a quella del linguaggio,
che si evolve e si amplia.
Tutto questo ci porta ad una dimensione temporale assai pi ampia e se noi
ne teniamo conto, in uno con lestrema lentezza iniziale che propria dei
processi evolutivi e con la continuit somatica delluomo, dobbiamo conve-
nire che non pu escludersi, anzi da ritenere probabile lesistenza di testi-
monianze pi remote, anche se perdute perch affidate a supporti
deteriorabili o non ancora ritrovate. Insomma il fatto di cui sembra non si sia
tenuto sufficiente conto che sicuramente lhomo religiosus non compar-
so improvvisamente nel Paleolitico superiore con la specie neandertaliana,
ma sia piuttosto il prodotto di una lentissima evoluzione le cui tappe, col
progredire degli studi, vengono sempre pi retrodatate (Facchini 1992, pag.
85 e segg.) come, ad esempio, accaduto per lepoca dei primi focolari.
7) Un esempio tra i tanti possibili: per i gi citati Asmat (v. nota 1 di questo
stesso capitolo) un uomo ed un albero sono, ancora oggi, simbolicamente
identici (AA.VV. I popoli della terra . Vol.I, pag.65).
8) Siamo, cos, ad un livello tra lo spontaneo e labbozzo del razionale:
possiamo dunque, coerentemente con quanto enunciato nella nostra Intro-
duzione, ipotizzare qualcosaltro da mettere in rapporto coi primi moduli
comportamentali delluomo ( simili a quelli di vari animali) rivelatici dalleto-
logia. E potrebbe essere proprio questo il punto di partenza per compiere i
primi passi nella spiegazione della nostra storia, che, successivamente,
potremo approfondire grazie ai contributi di altre discipline (v. il capitolo III
di questo libro).
Immaginiamo, dunque, che una banda di umani si sia fermata in un bosco e
quindi riservi a questarea ogni difesa possibile. Ebbene la tutela di questo
territorio, nei confronti di cospecifici, non sar affidata solo a combattimenti
- che metterebbero seriamente a rischio la potenzialit riproduttiva del grup-
po, cio il fine principale che esso spontaneamente persegue - ma anche a
esibizioni di forza, individuali e collettive, valide a scoraggiare i competitori.
Tanto per fare un esempio prendiamo in esame quanto accade in un branco
di antilopi inseguito da un predatore. Esse non fuggiranno soltanto, ma si
esibiranno in una serie di acrobatici balzi, che apparentemente fanno loro
perdere terreno, ma che servono a dimostrare il loro stato di soggetti forti ed
agili. Ora noto che il predatore tende preferenzialmente (per un risparmio
di energia e per conseguire un pi sicuro risultato) ad attaccare gli animali pi
41
deboli: la detta esibizione, pertanto, potr verosimilmente scoraggiare il pre-
datore e dissuaderlo dallinseguire determinati soggetti, indirizzandolo inve-
ce verso altri componenti del branco. Il tutto, evidente, senza che nessuna
delle parti ne abbia consapevolezza.
Etorniamo alluomo: ecco dunque che egli abbatte un grande albero, ogget-
to di culto e di speranza, lo maneggia con apparente naturalezza (la coo-
perativa che, a Rotonda, si era formata per spostare, a forza di braccia, il
colossale albero nel bosco, si era battezzata La Terribile) cos dimostran-
dosi in grado di battere, per forza ed organizzazione, anche vigorosi rivali e
poi, perch questa sua azione serva nel tempo, lo colloca ben in vista presso
le proprie abitazioni, a monito degli eventuali invasori.
9) Si potrebbe dire di istinto, cio in funzione di stimoli in parte innati
(moduli motori), in parte appresi (sperimentati con successo). In altri termini
il comportamento delluomo determinato da componenti genetiche e da
fattori ambientali: su di esso ha agito, ed in parte ancora agisce, la selezione
naturale.
10) Grazie a questo meccanismo, ad esempio, la chioccia comunica al pul-
cino quali sono i semi commestibili. Si ipotizza qui un tipo di evoluzione che
pu assimilarsi a quella del bambino (Piaget, 1967). Ancora una volta levo-
luzione dellindividuo ricapitola quella della specie.
11) In relazione alle nostre odierne cognizioni scientifiche, sembra possibile
poter postulare che gi Homo habilis (vissuto oltre due milioni di anni fa e i
cui resti fossili sono stati rinvenuti a Koobi Fora, Rodolfo orientale, nel
1972) possedesse strutture cerebrali e di fonazione tali da consentire il lin-
guaggio, sia pure in forma rudimentale e, forse, con assenza di vocali. In
realt sembra che, nellambito di una graduale e lenta evoluzione degli
ominidi, con H. habilis vi sia stato, invece, un incremento relativamente
improvviso e veloce della capacit endocranica, ma soprattutto la compar-
sa, al suo interno, dellimpronta di un cervello pi evoluto.
Asottolineare questo scatto in avanti dellevoluzione umana (teoria degli
equilibri punteggiati) compaiono i primi strumenti litici e le prime strutture di
abitati (Phillip, 1987).
Circa lo sviluppo filetico del genere Homo, vi accordo di massima nel
riconoscere la successione: H. habilis, H. ergaster (in greco=coltivatore),
H. erectus (contemporaneo di H. antecessor), H. heidelbergensis (inizio
di un linguaggio articolato), H. sapiens neanderthalensis ( parz. contem-
42
poraneo di Cro-Magnon, cos detto dal nome della localit di rinvenimento
in Francia) H. sapiens sapiens, ma non si creda di poter schematicamente
collocare queste forme umane lungo lasse di un unico albero genealogico:
esse piuttosto compongono un intricato cespuglio di pi razze e a volte
anche di pi specie, che possono tra loro ibridarsi.
Ad esempio, e per limitarci ai pi recenti esponenti del genere Homo, sem-
bra ormai assodato che il sapiens non discenda dal neanderthalensis, ma
che suo progenitore sia H. di Cro Magnon. Le due specie avrebbero con-
vissuto per millenni, a volte anche incrociandosi, ma poi la prima si sarebbe
estinta forse proprio a causa della concorrenza generatasi tra esse con laf-
fermazione della seconda rivelatasi pi competitiva.
In ogni caso le opinioni sulla derivazione e lo sviluppo degli stessi ominini
sono spesso ancora discordi malgrado gli importanti progressi della
paleoantropologia compiuti negli ultimi decenni e tuttora alimentati da nuove
scoperte non facilmente classificabili e riassumibili. Spesso neppure lesame
del DNA riuscito a dirimere alcune intricate trame del cespuglio.
Riportiamo qui di seguito alcuni dati ricavati da de Lumley (1985) docente
al Museum National dHistoire Naturelle nonch direttore del Muse de
lHomme e dellInstitut de Palontologie Humaine di Parigi, considerato una
vera autorit in materia e le cui conclusioni sono diffusamente accettate dagli
studiosi:
-comparsa del pensiero concettuale, circa 2,8 milioni di anni BP (= before
present) (Australopithecus afarensis);
primi strumenti litici, circa 2,5 milioni di anni BP (Homo habilis);
-uso del fuoco, circa 450.000 anni BP (H. erectus);
-prime sepolture, circa 70.000 BP (H. sapiens neanderthalensis);
-nascita dellarte, oltre 30.000 BP (H. sapiens sapiens);
-primi pastori, primi agricoltori, uso dei metalli, in graduale successione a
partire da 10.000 BP.
Precisiamo tuttavia che oggi, sulla base degli studi pi recenti, c la tenden-
za a far slittare pi indietro nel tempo le tappe fondamentali della preistoria
umana (Facchini 1992).
12) Linfiggere rami verdi nel terreno dovette manifestarsi probabilmente
anche come spontaneo tentativo delluomo primitivo al fine di creare, attor-
no alla propria dimora, una condizione di ambiente lungamente attesa du-
rante la spoglia stagione invernale. Egli anticipava cos il conforto della ras-
43
sicurante ripresa vegetativa: si noti che ancora oggi il verde il colore della
speranza! Allinizio questa pratica nacque, dunque, per dare un senso di
sicurezza o forse anche -fenomeno noto tra alcune specie animali- per ap-
pagare un certo compiacimento visivo e per attirare la femmina (vedi ad es.,
tra gli uccelli, i Ptilonorinchi). In seguito essa continu per quel processo,
ben noto in etologia, dei tentativi e degli errori, cio luomo fu indotto a
proseguirla sentendosi, tra laltro, premiato dallattecchimento dei rami che,
confitti nel terreno, si trasformavano in alberi.
Per quanto attiene la scelta delle specie non escluso che essa cadesse,
nelle nostre regioni, sull agrifoglio e sullabete, cio proprio su quelle essen-
ze sempreverdi oggi impiegate a fornire la cima a quel Maio che si usa
collocare tra le case dei propri paesi.
In tempi a noi pi vicini il ramo da infiggere si trasformer nel Maio, di
concezione sempre pi complessa. Dobbiamo aggiungere che qualcuno ri-
tiene (Burkert, 1987, pag. 217) che questa usanza, nella sua pi elementare
manifestazione, debba essere interpretata come una ideale fecondazione
della madre terra, tenuto conto della fallicit del ramo e dellalbero. Noi
tuttavia riteniamo che il rito anticipi largamente nel tempo lapplicabilit di
questa interpretazione (per giunta semplicistica poich lalbero simbolo
polivalente: perfino della Grande Madre) in quanto probabilmente risale ad
unepoca in cui luomo non si rendeva ancora conto del ruolo maschile nella
fecondazione. Ancora oggi alcuni gruppi di primitivi, come ad es. i Tiwi,
aborigeni delle isole Melville e Bathurst non lontane dalla costa sett. del-
lAustralia, ignorano il rapporto tra gravidanza e atto sessuale (AA.VV. I
popoli della terra. Vol. I, pag. 60).
La questione viene ampiamente trattata da Malinovski e un interessante
commento alle conclusioni da lui raggiunte, nonche i titoli stessi dei suoi
saggi, possono trovarsi in B. Russel, Matrimonio e morale, ed. TEA, Mi-
lano 1993). Allorch luomo prender coscienza del suo ruolo di
fecondatore molte cose cambieranno nella sua vita e nella sua storia, di
conseguenza sono in molti a chiedersi quando questo sia avvenuto. Nessun
testo a noi noto ne parla, eppure non ci sembra impossibile venirne a capo
solo che si rifletta che una consapevolezza di questo tipo deve aver lasciato
un segno profondo. E per noi questo segno da ravvisarsi nella comparsa,
in Bretagna, dei primi menhir che, pur di difficile datazione, si sono diffusi
nel mondo mediterraneo in et neolitica, pi o meno tarda secondo le regio-
44
ni. Sono essi lesaltazione del potere maschile non appena esso stato com-
preso!
13) Il culto della Grande Madre, attestato fin dal Paleolitico, continua e si
rafforza nel Neolitico e nel prosieguo, fino a giungere nei tempi storici. Con
laffermarsi dellagricoltura -naturalmente dove essa era pi facile, dove la
terra appariva madre e nutrice, vale a dire nelle valli irrigate da fiumi perenni
(che sono state anche culla di civilt remote) e cio, principalmente, nella
valle dellIndo, in Mesopotamia e in Egitto- tale culto si diffuse verso occi-
dente fino alla penisola iberica (attraverso larea cretese-minoica e quella
tessalico-greca) e verso oriente fino a coprire tutta larea indiana
(Barraclough, 1979).
14) Per quanto attiene levolversi delle prime forme darte, non si dac-
cordo con chi ritiene che esse siano sorte in modo da manifestare, fin dal
loro apparire, una notevole complessit e poi si siano sviluppate secondo un
processo di stilizzazione (Moscati, 1979). Nel nostro caso sembra vero
piuttosto il contrario -e la citata scoperta di F. Bordes lo prova- che cio
levolversi delle figurazioni (come, del resto, lo stesso linguaggio, che appar-
tiene ad una sfera assai simile a quella della creativit artistica) andato dal
semplice al complesso. Lapparente stilizzazione, che spesso interviene in
pi tardi graffiti o pitture, deve essere interpretata come forma di semplifica-
zione che soccorre gli autori allorch, per sopravvenute esigenze di sempre
pi frequenti pratiche magiche, le figurazioni inizialmente create per appaga-
re, con la loro perfezione formale, il senso estetico delluomo (e forse
unesigenza di possesso che si avverte per le cose che piacciono), devono
ora essere replicate dagli stregoni per rendere propizia la caccia o per invo-
care labbondanza e la fertilit.
15) Fumagalli, 1932.
16) Fldes-Papp, 1985, pag. 8.
17) I rituali che luomo andato formulando, oltre che inconsciamente rivolti
a un suo diretto appagamento, stimolano laggregazione sociale che tanto
aiuta il clan a sopravvivere, e cos raggiungono anche lo scopo di auto-
rafforzamento. Fare, assieme ad altri, le stesse cose -come il cacciare o il
difendersi, laggredire o il fuggire, il mangiare o lamare- avere gli stessi capi,
gli stessi dei, gli stessi miti, in una parola avere le stesse radici, prima occa-
sionali e tenui, poi sempre pi salde e differenziate, esattamente quanto
occorre perch si formi una societ, sempre pi ampia, dalla quale tendiamo
45
a non staccarci perch in essa ci sentiamo pi protetti.
Luomo, nella sua esistenza sempre difficile, non vuole essere solo: nasce
cos il senso del gruppo, lamor patrio, insomma luomo nasce geneticamen-
te predisposto ad una vita sociale, ma contemporaneamente trova motiva-
zioni culturali che trasmette ai discendenti e che istituzionalizzano questa sua
tendenza cos armonicamente sinergica con la spontanea esigenza del so-
pravvivere e garantirsi una prole.
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CAPITOLO VII
Essere solare! Chi siamo noi? Chi non siamo?
Sogno dunombra luomo.
Ma se splendore divino lo illumina,
allora luce splendente tra gli uomini
e dolce stagione.
(Pindaro, Pyth. 8,98)
IL SOGNO
Magna Grecia, estate: la terra percossa dal sole, le vaste stoppie
senzalberi, aride e crepitanti. C per una macchia verde di erba, un pic-
colo incolto allombra di pochi pioppi, che segnano una sorgente. Mi sdraio
sotto di essi e, mentre la vicina scaturigine bisbiglia suoni che sembrano
parole, lo sguardo si perde nel mare lucido delle piccole foglie percorse da
un fremito di vita: uno scintillio continuo, che lentamente si trasforma in un
miraggio.
Vedo nel cielo le due aquile liberate da Zeus; dopo un lungo volo esse si
scontrano e cadono nel gran baratro di Delfi: il centro del mondo (1). Qual-
cuno mi suggerisce: come lombelico il centro delluomo. Appare il gros-
so, incomprensibile oggetto (fig. 28), scolpito nel tufo, che sulle scale del
museo di Delfi.
La voce di un custode recita senza capire: E lnfalo: lombelico della
terra; uneco riprende: nel cui grembo si torna per rinascere (2).
Mi perdo nel museo, vuoto di gente; giro insoddisfatto e intravedo da lonta-
no una testa alla quale stato sovrapposto un oggetto simile allnfalo (3).
La distanza non mi consente di apprezzarne lo spessore: una folgorazione!
sembra una mitra. Mitra: ma che senso ha? rifletto: in greco metra vuol dire
matrice, utero, e mutua la sua radice con madre e materia. E oggi si legge
mitra.
Una mitra, dunque, un utero sul capo: cosa vorr dire? ma certo: il passag-
gio dal non-essere allessere, e anche nato dalluomo, fratello, uomo ge-
nerato e generante.
Una luce daurora si stende sulle tenebre del caos: inizia il lungo giorno della
Grande Madre.
47
Rivisito il cosiddetto nfalo: somiglia ad una colossale mitra anchesso, un
utero dilatato in basso perch colto nel momento del parto. Una irregolare
cordonatura lo racchiude come in una rete. Dove ho visto qualcosa di simi-
le? gi, i vasi sanguigni rigonfi a fine gravidanza.
Avanza un corteo dantica gente, reca un dono splendido: una mitra tutta
doro che Zeus ha destinato ad Apollo (cfr. Grimal, 1990, pag 54).
Apollo, dunque, come Cristo, nato dalluomo. Quel Cristo-uomo che inti-
mamente partecipa della natura umana, al di fuori della quale non avrebbe
potuto comprendere e redimere luomo. Apollo, nato dallutero, cui sacro
il delfino, che si tuffa e sempre risorge alla luce solare, che ha doppia natura
di pesce e di mammifero. Delfino, utero: ma utero in greco suona delphus.
Ritorna Delfi, ombelico del mondo fatto persona; laccostamento illumi-
nante e, mentre lo scenario si allarga allinfinito, al centro, con le grandi
figure di Apollo e di Cristo, rimane, piccolo, luomo che a malincuore si
vede inferiore alla divinit. Perch landrgino primordiale diventato un
semplice maschio, privato della divina totipotenza creatrice.
Ma luomo non si rassegna, elabora per s ampie giustifiche e di queste
intesse la storia. Comincia col dire dessere stato fatto a immagine e somi-
glianza di Dio, ma questi, poi, gli ha sottratto una costola, cos mutilandolo
del principio femminile. La colpa non sua, ma di Eva perversa e di
struggitrice.
Uninsopprimibile esigenza ossessiona luomo, quella di sentirsi senza col-
pa, quasi che cos potesse tornare al prima. Ormai sensi di odio-amore lo
legano a dio.
Nel sogno lo scenario si oscura: appare una lunga strada e in fondo ad essa
un polverone. Ci vado incontro e vedo un gruppo di cavalieri dellet di
mezzo, che scortano una portantina col loro Re, ferito alla coscia e sangui-
nante. Latmosfera cupa, passano con strepito gli armati, ma solo una
breve apparizione.
La strada ora solitaria e corre lungo misere case senza tempo. Entro, e in
un angolo buio un uomo giace sofferente in un letto di stracci. Ma, possibile?
al suo fianco si agita una creaturina appena nata mentre egli si lamenta per
aver partorito con doglia: luomo non si rassegna (4).
Limmagine svanisce, torna una gran luce. Mi pare di capire, Dio, s, in lui
vivono i due principi, egli il doppio. Io, ego, ekas; dio, duo, dva (5). Un
lampo: mi accorgo solo ora quanto Dio, dal sanscrito in gi, somigli a Due.
48
Dio laltro, il secondo, linterlocutore primo delluomo, una sua proiezio-
ne, non il contrario. E questi, per rassicurarsi, dice: Tu sei (6). Precipito,
quasi mi sveglio con angoscia.
Torna rasserenante limmagine di Apollo e dei suoi delfini: ie, ie, Paian!(7).
Un volo di migratori disegna una grande V nel cielo, ma sono lontani (8).
Attraverso ora il mare splendente da Delo fino a Cuma: la Sacra Rupe.
I templi sono ormai diroccati, ombre sono i simulacri, ma da sempre essa
coinvolge coi suoi elementi di natura: il tufo dorato, i lenti olivi, la risacca
sonante, il sole. Topos, come Delfi, fuori del tempo, essa mi riporta con le
sue grotte nel grembo materno, alle radici dellumanit, quando lansia di
vivere diventa culto della vita. E la vita la negazione della morte, la nascita,
Ieros-gamos.
Torna la Grande Madre: feconda e capace di indurre fertilit.
Il principio di tutto dunque femminile? ma poi luomo comprende il suo
ruolo fecondante e si appropria del privilegio: la vita sar la verticalit dei
menhir.
Si venera in qualche luogo Pitone (9) simbolo della met inferiore, ctonio:
una divinit sotterranea la cui sacerdotessa -pallido ricordo della Grande
Madre Gea ed ora solo legame tra vecchio e nuovo- la Pitia, che vaticina
dalle viscere della terra.
Qui, dunque, tornata anche la grande Dea Feconda, cacciatavi dalle
rilucenti turbe dei cavalieri delle steppe che, quasi miraggio, pi volte sono
calati come piovra nei suoi territori.
Eil maschio diventa uomo, Apollo depone la cetra e trafigge Pitone, ma la
Pitia rimane, a Cuma sotto il tempio di Apollo, suo nuovo ispiratore. Torna
lnfalo, btilo antico, che fu utero di Gea, casa e tomba di Pitone, mitra
ideale di Apollo (10).
Diniso e Orfeo rimangono a Eleusi. La mente oscilla, poggia su instabili
basi.
Ora il multiforme Apollo appare come il non nato, padre di sua madre, il
senza macchia, il non molteplice (11), divino giovane che venisti alla vita
proveniente dallinterno di te stesso (12), landrgino: egli, trionfante, final-
mente va per il mondo che illumina e avvolge con la sua solarit (13).
Lo stormire del vento e il borbottio della sorgente mi fanno svegliare; ad
essa mi ero dissetato prima del sonno, mentre una biscia innocua, che l
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aveva casa, mi guardava immobile e vicina.
NOTE
1) In relazione alle numerose citazioni che in questo capitolo vengono fatte
su Delfi, quali espressioni di quel pensiero greco in parte da noi ereditato e
che a volte rivive, come abbiamo visto, nei riti ancora oggi celebrati soprat-
tutto nel Mezzogiorno dItalia, sembra opportuno dare qualche altra notizia
sul famoso santuario.
Premesso che in quelle tradizioni, che raggiungono momenti della pi remota
antichit, gli avvenimenti, specie i pi complessi, si comprimono e a volte si
sovrappongono nella memoria collettiva cos rendendo difficile (ma non im-
possibile) stabilire una cronologia, sia pure relativa, con netti confini, osser-
viamo quanto accaduto a Delfi. La sovranit su questo luogo di culto
passa, limitandoci alle tappe pi significative, da unarcaica divinit locale
alla Grande Madre Feconda, poi a Dioniso Pangenetor e infine ad Apollo
che, pur avendo col predecessore radici comuni (ancora in Euripide
Bakkhos designa ambedue gli dei) in opposizione col primo e, in virt
della sua complessa figura, storicamente lo supera. Sembra, dunque, che la
tradizione coaguli cos attorno a Delfi tutto larco del religioso concepito
dalluomo: il succedersi delle dette divinit riecheggia infatti il passaggio dai
culti pi remoti, e di elementare concezione, sino a quelli delle comunit che
vivevano di caccia (Dioniso Zagreo, gran cacciatore) e poi a quelli degli
agricoltori, pastori e naviganti, che si ponevano sotto la protezione di Apol-
lo. In realt il luogo dove sorge Delfi rivela la sua destinazione al culto fin dal
neolitico (V e VI millennio a.c.)(Rachet 1981). Qualche coccio e qualche
utensile di pietra sono stati raccolti nei dintorni del santuario di Atena
Pronaia, di quello di Ermes e ad ovest di quello di Apollo. Culti tanto longevi
sono contestuali testimonianze del succedersi dei detti momenti religiosi.
Ma torniamo a fatti pi vicini alla storia: nellarco di tempi pi brevi questa
localit fu detta Pito fino al tempo di Omero, in seguito fu detta Delfi. Secon-
do il mito, che riflette fatti storici, fu Apollo (o chi per lui) a rifondare il
tempio nel luogo gi consacrato a Diniso (Semerano, 1984, alla voce Di-
niso), alla Dragonessa e a Pitone, e da allora cambi il nome. Ambedue i
toponimi, tuttavia, sono da porre in relazione a fatti di natura nonch alla
singolare morfologia del luogo, infatti esso si trova tra le due rocce Fedriadi
(=le Splendenti) ove esisteva allepoca, ed oggi scomparsa a causa di
50
terremoti, una profonda spaccatura. Da essa fuoriuscivano vapori mefitici,
che pertanto richiamavano pytho nel suo significato legato ad imputridisco
(vedi pi innanzi, in questa stessa nota) e mutua la radice snscrita puy con
puzzare nonch con Python e Pythia = Pitone e Pizia (Cfr. il latino
putre e litaliano pus e putire).
In tempi preistorici poteva dunque trattarsi, come abbiamo gi detto, di un
luogo consacrato al culto ispirato dal timore delle esalazioni tossiche e sof-
focanti che col ristagnavano; nel merito si vedano, in Italia, i numerosi tem-
pli dedicati alla dea Mefite e si consideri leguale significato del nome di
questa divinit italica e di quello della Pizia, ambedue legati al cattivo odore
delle esalazioni del suolo (Mefite deriverebbe dallosco medio-dluitis, don-
de Mefifitis e Mephitis=colei che fuma nel mezzo oppure da Medhu-
io=che si inebria, da Torelli M.R. in Salvatore 1990). Anche Pitone ben si
lega alla radice puy poich molte specie di Pitonini hanno abitudini fossorie e
si rifugiano normalmente in cavit dove marciscono foglie e legno che, per
fermentazione, producono un gradito calore. Insomma la presenza del pito-
ne legata ad una sgradevole sensazione olfattiva cos come prodotta dalle
putizze.
Allorigine dei miasmi doveva probabilmente esservi anche qui una putizza,
ma gli antichi li attribuivano alla presenza del cadavere di Pitone, ucciso da
Apollo e da questi lasciato l a marcire. Dette esalazioni provocano malesse-
re e delirio e furono la prima causa della trance in cui cadeva la Pizia
(v.epipneoo e eppnoia dal significato di soffio e ispirazione cfr.
Apollonos in Platone Phaedr. 265, concettualmente equivalente ai termini
italiani inspiro e ispirazione. E particolarmente interessante, anche in
chiave naturalistica, un accostamento tra le due localit: Pito (Delfi) ed
Ansanto, questultima in Italia in prov. di Avellino. Infatti la prima sorge sulle
pendici meridionali del Parnaso, che costituito da rocce carbonatiche del
Mesozoico assai simili a quelle presenti in Italia, in profondit proprio alla
Mefita di Ansanto, ove esiste la famosa putizza consacrata ad antiche divini-
t italiche (cfr., degli stessi Autori, Mito e realt- La Mofeta di Ansanto in
Napoli Nobilissima, Maggio-Agosto, Napoli 1984). E dunque la stessa
natura geologica del suolo di Delfi, di cui possono far parte rocce madri e
rocce magazzino impregnate di idrocarburi, idrogeno solforato, metano e
altri gas oggi esauriti o imprigionati, che rende possibile ipotizzare anche qui
lesistenza di analogo fenomeno. Lescluderlo tassativamente [Rachet,
51
1981, pag. 60] pertanto un errore fuorviante.
La consacrazione del luogo alla Terra Madre e alla Vita fu dunque graduale:
si part da un culto preistorico dedicato ad una divinit femminile locale, si
pass poi attraverso la fase della Dragonessa e del serpente Pitone, legati
alla Terra e al suo Utero come matrice di tutte le cose, fino a giungere al
culto di Dioniso, figlio e paredro della Grande Madre e infine ad Apollo. Il
cambiamento dei nomi dati al luogo conferma le fasi principali di questa
successione, infatti allorch esso fu venerato per allontanare il pericolo do-
vuto ai gas mefitici, allora il suo nome si lega a pythoo = imputridisco, ed il
toponimo Pito (in greco pytho); ma quando, dopo lavvento della Signora
di Creta, si ravviva il culto -femminile anchesso- della Madre Terra (Gea),
allora si guarda alla grande cavit tra le Fedriadi come al suo utero e quindi
prevale il toponimo Delfi (Delphus = utero). Anche A. Gimbutas (in
Ries,1992) segnala lequivalenza Delfi-Utero, ma questa sua affermazione,
senza il supporto anatomico, linguistico e di costume da noi fornito in altre
note di questo stesso capitolo, appare apodittica o, al massimo, solo come
leco lontana e incomprensibile di una intuizione remota. In sostanza manca,
in questo suo studio, pur di grande interesse, il passaggio-chiave che nel-
lonfalo di Delfi riconosce fisicamente e anatomicamente lutero, con tutte le
implicazioni che lidentificazione comporta.
Delfi , dunque, luogo sacro per eccellenza, essendo col venerato lnfalo
della Terra, essa stessa divinizzata col nome di Gea, primigenia madre e
nutrice del tutto, come cant Omero in un inno a lei dedicato. Ecco dunque
in una visione unificante, luoghi, fenomeni e divinit tra loro legati spesso per
fatti di natura. E tra essi rientrano anche Apollo Pizio, per qualcuno paredro
della Grande Madre e poi signore di Delfi e, come gi detto, il serpente
Pitone, abitatore e custode delle viscere della terra e quindi connesso al
culto ctonio. In questo insieme possono concettualmente inquadrarsi tutte le
altre Grandi Madri, cos evidenziando una importante e suggestiva continui-
t di valori e di significati. In particolare vi rientra la Grande Dea minoica (II
millennio a.C.), che impugna due serpenti (v. la maiolica di questo soggetto
ritrovata nel Tesoro del Palazzo di Cnosso), ricordando, tralaltro che,
come racconta Omero nellinno dedicato ad Apollo, tra i primi ministri del
tempio delfico vi furono, per designazione dello stesso Apollo, marinai
cretesi provenienti da Cnosso (Rachet, 1981). I serpenti, nellambito di uno
psichismo oscuro ma irrifiutabile, rappresentano la continuit della vita -
52
legata quindi alla figura della Dea Madre - leternit e la conoscenza (diver-
se e pi complesse relazioni tra i miti da noi richiamati possono leggersi in
Kerenyi, 1992 nel capitolo Diniso a Delfi).
Compreso cos, per grandi linee, il grande episodio delfico, anche nelle sue
implicazioni sincretistiche evidenziate nelle figure alle quali si rimanda, c da
aggiungere che il pensiero teologico ad esso legato non scomparso con
loracolo, soppresso da Teodosio nel 390 d.C., ma stato ampiamente
riutilizzato dal cristianesimo. Lattivit speculativa che ha per oggetto la divi-
nit tende a ripetersi, quale che sia la religione, perch sono gli uomini, dai
quali essa costruita, a rimanere gli stessi per lungo tempo. I cambiamenti
sono dovuti al progressivo articolarsi del nostro patrimonio culturale e forse
anche al lento sviluppo biologico del cervello umano.
2) Conseguenze di questa concezione sono le sepolture che intendono ri-
chiamare lidea della rinascita. Tra esse vanno annoverate le remote tombe
megalitiche a corridoio, simboleggianti lutero e la vagina, quelle a tholos
(cos diffuse dallAsia alla Spagna) e ancora di pi quelle delle popolazioni
di agricoltori (il legame con la terra la necessaria premessa) che inumavano
il defunto in posizione rannicchiata ovvero fetale. Detta pratica era diffusa in
Lucania nellet del ferro e dur fino al IV sec. a.C. (Pontrandolfo Greco,
1982, pag. 27) v. pi avanti la nota. Del resto sulla capacit della Madre
Terra a generare uomini ci parla anche il mito di Deucalione e Pirra.
3) Altre statue, ad esempio quella di Serapide, recano sul capo un kalathos
(letteralmente=canestro, capitello) che allude anchesso, come lutero, alla
fertilit e alla ricchezza di cui il soggetto portatore.
4) Lesigenza del profondo, di avere in s il doppio potere (maschile e fem-
minile, di fecondazione e di concepimento) per luomo insopprimibile e si
manifesta in pi modi: dal mito di Diniso, uscito dalla coscia di Zeus, fino
alla ingenua finzione del maschio partoriente (couvade, Reik 1979), ed an-
cora: dalle complesse elaborazioni culturali in chiave femministica, come
quella del Re-custode del Graal ferito e mestruante (Giani Gallino 1986)
fino ad altre simili, magari in chiave omosessuale.
Luomo partoriente ha fatto anche parte della tradizione contadina lucana
fino a pochi decenni addietro: un momento di preistoria che perdurato fino
ai nostri giorni. E, incredibile a dirsi, questa costumanza della couvade o,
meglio, il rito del puerperio maschile gi noto in epoca greco-romana, ha
avuto una diffusione anche presso diverse popolazioni dellAmerica meri-
53
dionale, delle Antille, delle Molucche, il che ne lascia ragionevolmente ipo-
tizzare origini incredibilmente remote (Reik 1979; Hutchison 1923), prece-
denti la diaspora del genere umano.
Gli antropologi evoluzionisti ritengono che esso sostanzi, come gi accenna-
to, una forma di appropriazione, da parte delluomo, del potere della donna
connesso alla maternit e alla vita.
5) In sanscrito, ekas=1 e dva=2. Non si perda di vista che il testo racconta
un sogno e sono proprio queste omofonie, questi accostamenti formali a
confermarlo.
Ma c qualcosa in pi: secondo lopinione di non pochi studiosi, che noi
non condividiamo e che qui riportiamo solo come vago sostegno di questa
nostra immagine onirica, la parola Dio, in ebraico Jahv, vicina al fenicio
Iao, che sarebbe formata dai segni I e O, simboli dei due sessi (Cutner,
1972, pag. 49 e segg.).
In realt una rigorosa etimologia lega invece Dio alla radice ariana div = diu,
che ha il senso di splendere e d anche divus e Iovis per Diovis. Ad altra e
diversa radice ariana (dva) fanno capo le parole due e dividere
(Pianigiani): non sussiste, dunque, la possibilit di ricondurre ad un unica
origine Dio e due, come invece, fuori dal razionale, il sogno vorrebbe e
come pur suggerisce lapparente somiglianza tra zeug- (=giogo, coppia) e
Zeus nel ruolo, questultimo, di colui che accoppierebbe, tenendoli
aggiogati, i due poteri.
6) Una grande lettera E campeggia vicino allingresso del tempio delfico
dedicato ad Apollo: qual il suo significato?
Se si prescinde dai segni diacritici, peraltro introdotti dai grammatici ales-
sandrini, la lettera E veniva chiamata ei, cio suona come la seconda per-
sona del presente del verbo essere, che vuol dire: (tu) sei: Tu sei colui
che , completeremmo noi. Con questo simbolo, dunque, viene ricono-
sciuta ad Apollo la unicit della Persona Divina ovvero lessenza dello Spi-
rito Universale (Plutarco). Ma la E rivolta anche a chi entra nel tempio e
suona come un incoraggiante invito perch conosca se stesso e cerchi il
divino che in lui. Le Upanishad riassumono con la stessa formula Tu sei
(cfr. nota 1) lequazione tra lanima individuale (atman, etimolgicamente =
se stesso) e lunit cosmica o Spirito universale (brhman). E ricono-
sce perentoriamente il divino che in Apollo: conosci te stesso invita luo-
mo a cercare lo stesso divino che in lui.
54
E evidente, a questo punto, il legame esistente tra la E delfica e il Cono-
sci te stesso. Costituisce unesperienza tra le pi straordinarie e stimolanti il
constatare -gi in virt delle poche note qui riportate- quanti tratti comuni
abbia la cultura dei Veda, in epoca prefilosofica, con i cicli sapienziali e
misterici dellantichissimo Occidente.
Per una diversa interpretazione della E delfica, questa volta come chiave
del mistero o chiave del tesoro, cfr Guarducci,1993.
7) Grido di invocazione dal peana sacro ad Apollo. A Delfi si celebravano
gare di musica e di canto e pertanto non sorprende che sui marmi spezzati
delle rovine del Tesoro degli Ateniesi siano state ritrovate, graffite, notazioni
vocali che hanno consentito di ricostruire un inno dedicato ad Apollo. Que-
sto ed altri brani della musica della Grecia antica sono stati raccolti in uno
straordinario disco (Harmonia Mundi-France-Hm 1015) che serve a farci
meglio comprendere lanimo greco e il suo profondo senso del religioso.
8) Inevitabile un addio allo stuolo delle antichissime dee madri, che lincon-
scio ha sempre associato al sollevarsi, al volare degli uccelli e quindi a quelle
sorprendenti geometrie che essi disegnano nel cielo durante le loro migra-
zioni, allorch si allontanano dautunno o tornano in primavera, secondo
ritmi comuni alla vegetazione e alla vita stessa. Figure femminili con ali, testa
duccello e seni evidenti (legati alla maternit) sono state ritrovate a Delfi
(XII sec. a.C.), a Creta (III millennio a.C.). A Larissa figure simili sono state
datate intorno al V millennio a.C. (Gimbutas, 1990). Suffraga il ricordo dei
numerosi vasi mammillati rappresentanti la Grande Madre con testa di uc-
cello, trovati nellarea cicladica e risalenti al XVI sec. a.C. e successivi.
9) Tra le pi antiche divinit dellolimpo greco vi Cecrope (forse da
Kercops, donde anche cercopiteco=il caudato); essere primordiale, nato
dalla terra, con busto duomo e parti inferiori di serpente. Una remota tradi-
zione lo vuole importato dal Pantheon egizio e il mito racconta che sarebbe
stato il fondatore di Atene dove, a celebrarlo, sorge uno splendido sacrario:
lEretteo.
10) ttars, in sanscrito = che sta sopra (Pianigiani, op. cit.).
Il fenomeno che pi colpisce luomo primitivo quello della nascita, in
contrappunto con quello della spaventosa morte. Ne deriva un comporta-
mento ricco di implicazioni sul piano sociale, nellambito del quale esso d
luogo ad una organizzazione matriarcale e, sul piano religioso, alla
divinizzazione dellutero (e della vulva) dal quale luomo pende e dipende.
55
Un culto remoto, questo, durato per circa 20.000 anni (Gimbutas, 1990) e,
come prevedibile, geograficamente coincidente in larga misura con la zona
climatica definita temperata, in cui la Grande Dea della Terra Feconda (la
nascitura Demetra, cio Dea-Madre, dei greci e la pi tarda Magna Mater
latina) era sentita come fondamentale fonte di vita e di nutrizione.
Un culto al quale le fiere popolazioni del Nord erano estranee per la loro
scarsa dipendenza dallagricoltura e che, per il loro periglioso modo di vita,
avevano invece privilegiato la supremazia sociale del maschio.
11) Da a-polos , e questo dalla radice sanscrita PU, che ha il senso di
procreare, generare (cfr. lat. pullus , e litaliano pulcino, puledro etc.).
12) Frankfort, 1961, pag. 17.
13) Per un rigorosa esposizione storica dellevoluzione culturale delle popo-
lazioni indo-mediterranee, in questo nostro capitolo a volte velata da com-
ponenti vaghe e soggettive, cfr. Untersteiner, 1991.
14) Si comprende cos uno dei motivi che legano il delfino ad Apollo, ma ve
ne sono altri. Questi mammiferi erano onorati come dei nella Creta
preellenica; Apollo si trasforma in delfino, secondo linno omerico, per rag-
giungere i lidi di Crisa che gli aprono la via a Delfi.
15) Sul piano strettamente etimologico le due parole, pur tanto simili, avreb-
bero radici tra loro diverse, ma noi presumiamo che la questione vada rivista
al lume delle considerazioni svolte in questo capitolo (v. figg.).
16) In questa convergenza di forme non sembra un caso, noi ne facciamo
solo un ipotesi (sulla quale, tuttavia, meditare), la sovrapponibilit della sa-
goma del grande onfalo (visibile quello del Museo di Delfo che il pi
diffusamente noto) con quella di alcuni importanti battisteri: in particolare
sorprendentemente perfetta quella col battistero di Pisa.
Questi sacri edifici, infatti, erano legati alla nascita spirituale delluomo in
quanto cristiano e forse un filo sottile lega tra loro anche le forme delle tom-
be a tholos, cos fatte per provocare la rinascita dellinumato (v. nota 2 di
questo stesso capitolo), ed alcune celebri rotonde come quella di Marmari,
presso Delfi, quella di Epidauro e molte altre, in cui gli iniziati rinascevano a
nuova vita.
Del resto la stessa Chiesa considerata la Sposa di Cristo e la Madre dei
Cristiani: sotto questo punto di vista ad essa applicabile tutto il simbolismo
della madre, risultandone la cupola, che ha forma di nfalo, il suo grembo.
Forme e proporzioni architettoniche si sarebbero potute conservare nei se-
56
coli grazie a tradizioni non scritte, a modelli in parte scomparsi nonch come
patrimonio di quei segreti gelosamente custoditi dai costruttori di edifici
sacri (arte regia) , in prima istanza v. Hutin,1955, cit.
Il battistero (lonfalo) e lacqua del suo fonte, che bagna il catecumeno,
ricordano la nascita fisica delluomo che si accompagna alla presenza delle
acque amniotiche. Considera laffinit, non solo formale, tra le parole udor
(=acqua), idria, otre, utero e confronta il capitolo Il tempio delle acque in
Lucania (Ciarallo-Capaldo, 1993).
Vogliamo ricordare infine, come semplice curiosit su cui tuttavia trattenersi
per una fugace riflessione, che tra i cibi rituali ve ne uno di forma strettamen-
te simile allonfalo e che pertanto risulta legato al Natale, festa della Nativit,
come luovo legato alla Pasqua e alla ri-nascita di primavera, come lostia
consacrata nel rito cristiano della comunione, come le pagane minestre di
legumi mischiati, come il pane di S.Antonio ecc. ecc. Tutti questi cibi sono
simboli del divino e, se accettarli collettivamente rafforza i legami sociali e d
allintera collettivit il senso di un destino comune, lassumerli appaga quella
esigenza di sempre, facilmente comprensibile, di introdurre e custodire den-
tro di s, in unintima unione, la divinit medesima. Devozione, dunque, o
desiderio di farne propri i poteri?
Una leggenda fa risalire le origini del tipico dolce natalizio - a forma di onfalo
o, il ch equivalente, ispirato alla sagoma del battistero - al Quattrocento
ma verosimilmente esso ha origini assai pi antiche (Encicl. Ital. Roma 1949,
vol.XXVI, pag.190 f).
17) La continuit della vita, cos fortemente sentita dalluomo, stata
espressa da altro antichissimo simbolo che, come lnfalo, ammantato da
millenario mistero. Si tratta della egizia Croce Ansata (Ankh), attribuita a
Iside, la Grande Madre, presente nella religione egizia, pur essendo questa -
pi precocemente che altre- rivolta a divinit solari e maschili. Come dice-
vamo, emblema di vita e di eternit, essa risulta dalla sovrapposizione di una
sorta di ovale, che quasi un cerchio, su di una T che, come segno e come
fonema, presente tra i tardi geroglifici (v. Fldes Papp, 1985, pag.103). In
relazione al culto in assoluto pi antico, che quello dedicato alla vita, noi
ipotizziamo che lovale equivalga ad un utero stilizzato, mentre anche la T
saldamente legata alla femminilit e rappresenterebbe la vulva. A sostegno
di questultimo significato sussistono motivi formali e linguistici: infatti, sia
pure con un segno diverso da tau, ma che comunque aveva lo stesso suono,
57
i nomi femminili scritti in geroglifico erano seguiti dalla lettera t(ad esempio
la moglie di Amon aveva nome Amont, che il femminile dello stesso
nome). Inoltre la Terra, madre di tutte le cose, si chiama t (Hornung 1992,
pag.62).
In conclusione la Croce Ansata rappresenterebbe, nel suo insieme, la vulva
che allutero sta sotto, cio il ventre gravido e la vagina. La chiave della
vita riassume insomma la quintessenza della Dea Madre.
Del resto Ankh pu facilmente mettersi in rapporto con il sanscrito ANK
(=piegare) e pertanto equivalente ad anca, che la parte tondeggiante ai
lati del corpo umano (fi-anco, in unione con lavverbio greco amfis=da
ambo i lati, tuttintorno, vedi anfibio, ambiguo,anfiteatro etc.), a quel profilo,
cio, esaltato nel corpo femminile e che quindi lo caratterizza.
Dal punto di vista glottologico queste somiglianze fonetiche e semantiche,
che non a caso ruotano attorno allasse portante delleterno culto della vita
ed accostano egiziano e sanscrito, ripropongono e confermano la possibilit
che sia esistita una pi ampia famiglia linguistica (derivata dal nostratico
che fu una lingua probabilmente parlata in Medio Oriente intorno al 15000-
12000 a.C.) alla quale sarebbe appartenuto sia lindoeuropeo che
lafroasiatico (semitico, egiziano antico, berbero). Cfr. Villar 1997.
Ankh risulta dunque saldamente legato allimmagine della donna che, come
abbiamo visto, era, secondo la pi antica delle religioni (cio in un tempo in
cui si ignorava la funzione fecondante del maschio, v. supra capitolo VI nota
12) lunica artefice della vita, autonomamente prolifica, ed ecco forse il per-
ch, pi tardi, si disse che essa fosse vergine e madre.
Non certamente un caso che il simbolo in questione, solo con lievissime
modifiche che non toccano lidentit dei due elementi che lo compongono
ed il loro mutuo rapporto, abbia rappresentato nei millenni concetti tra loro
coerenti. Infatti, sul filo dell astrologia, esso passato successivamente a
significare il pianeta Venere e poi, ancora oggi in linguaggio biologico, a
indicare la femmina.
Nella lunghissima e ininterrotta successione delle Grandi Madri, dal paleoli-
tico ad oggi, dobbligo soffermarsi sia pur brevemente sulla tappa coinci-
dente con la civilt egizia, di particolare importanza perch i culti che le sono
propri in parte integrano ed in parte sono addirittura allorigine delle religioni
del Mediterraneo (Bernal, 1991). Facciamo quindi conoscenza con Satis,
che una delle pi antiche divinit egizie, se non la pi antica in assoluto,
58
(DAlesio,1954). Essa reca un copricapo (mitra) bicorne che fa pensare ad
un utero (exotericamente le corna si richiamerebbero alla prolificit del toro,
ma questa una spiegazione che non convince) e reca lAnkh nella mano
destra. Solo pi tardi, quando fu ben chiara la funzione del maschio (vedi
sopra), a Satis fu affiancato il marito Khnum ritenuto creatore degli uomini e
delle cose. La sua prolificit, in questo caso con appropriatezza, si intese
sottolineare rappresentandolo con testa di ariete e si credette anche, con
facile allusione, che fosse lui a donare le periodiche inondazioni del Nilo,
cio la vita per lEgitto. Khnum fu particolarmente onorato a Elefantina;
anchegli esibiva la Chiave della Vita e si diceva presiedesse alla formazione
dei bambini nel seno materno (ibidem).
Un quadro, tra i meno convenzionali, del complesso pensiero religioso pres-
so gli egiziani lo troviamo in Frankfort 1992.
E appena il caso di chiarire come lemblema Ankh, o Croce Ansata, du-
rante lo scorrere di tempi cos lunghi, si sia caricato di altri significati -e
questo vale anche per molti altri simboli- ma noi abbiamo voluto indagare
esclusivamente sulla sua formazione e sulla sua primitiva valenza in relazione
alle affinit che lo legano ad altri emblemi da noi presi in esame.
Per una sintesi dei significati convenzionali di Ankh e Onphalos vedi
Chevalier e Geerbrant, 1986. Dobbiamo inoltre informare il lettore che, in
contrasto con la citata interpretazione, che vede nella T un simbolo femmini-
le, vi stata una larga corrente di opinione per la quale la croce, simbolo dei
simboli, rappresenterebbe invece lorgano maschile della generazione (v.
per tutti Knight,1981, pag 48). Anche in questo caso linsieme del circolo e
della croce (ankh)si collega tuttavia alla generazione e alleternit: al di l di
qualsiasi contrapposizione potremmo dunque concludere che questo sim-
bolo, in epoca primordiale, solo femmina (Grande Madre), viceversa,
quando si comprende il potere fecondante del maschio come necessaria
premessa alla procreazione, esso viene a sintetizzare questa nuova coscien-
za, parallela alla concezione androgina della divinit.
18) Ovvero , come ritiene il Poupard, op. cit. alla voce Onfalo,
ammantato con agrenon, che per i greci indicava una rete, una veste di lana,
cio un paludamento che fa pensare ad una sorta di saio ( come quello usato
dagli antichi sacerdoti iranici), di mantello, appropriati per esercitare la divi-
nazione. Vedi in proposito la significativa affinit linguistica tra Manto e
Mantica, anche nel senso di vaticinio oracolare, (in greco manduas =man-
59
tello, mantis=indovino e manteia=divinazione), parole tutte con la medesi-
ma radice sanscrita MA=pensare (Pianigiani 1988). Da questa radice an-
che: mania=furore, che lo stato danimo manifestato dalla Pizia nel mo-
mento oracolare in quanto posseduta dalla divinit.
Ed ecco, ancora dalle parole e dal mito, nuovi spunti di riflessione sulla lunga
e complessa storia dei culti delfici e dei suoi dei. Agrenon,.la rete, che
anche strumento di caccia e, nel caso della divinazione, supponiamo che
essa alluda alla cattura, da parte del vaticinante, dei balenanti pensieri sul
futuro - si lega a Zagreo, il primo Dioniso e lo stra-cacciatore ( agreuo
=landare a caccia); sono dunque parole che appartengono alla medesima
area semantica (Chantraine,1983, vol.I, pag. 15) e sottolineano il gi noto
rapporto tra Dioniso e Delfi (Kerenyi,1992). Da parte sua il mito ci raccon-
ta di Zagreo affidato ad Apollo e della cura che questi si prese nel seppellire
le sparse membra della vittima dei Titani proprio accanto al tripode di Delfi
(Grimal,1987).
60
Toccate, nel nostro itinerario, le fertili sponde dello Ionio, ripercorriamo
idealmente il viaggio che compirono i raffinati sibariti allorch si recarono sul
lido tirreno per fondare Paestum.
UNA RISCOPERTA ARCHEOLOGICA
La circostanza che una testimonianza archeologica sia nota, ma di essa se ne
ignorino origini e significati, concede, a colui che questi elementi razional-
mente ipotizza, la sensazione di aver fatto una riscoperta.
APaestum, non lontano dal Tempio di Nettuno, si vede, a fior di terra, una
strana ed articolata struttura di cui non v cenno nelle guide. Dagli studiosi
essa stata indicata, ma con assai scarsa attendibilit, come lorologio ad
acqua ed insiste nellarea sacra del predetto tempio, che recenti indagini
sottraggono a Poseidon-Nettuno e tendono ad attribuire ad Apollo hiatros-
medicus (Torelli,1987) (fig. 38).
La detta struttura, risalente al periodo greco, dista circa una ventina di metri,
in direzione NNO, dallangolo anteriore sinistro del tempio di Nettuno. E
costituita da un bacino a forma di toppa di serratura, nel cui centro si solleva
una colonnetta, ed collegato con una doccia ad una grande vasca. Questa,
a sua volta, dotata di gradini, che sono quasi un invito a scendere in essa.
Gi la forma del detto bacino ci conduce nei pi segreti e remoti meandri
della nostra storia non scritta. Ritroviamo infatti questa sagoma nei templi
dOriente (la yoni), nei pozzi nuragici, nellantica architettura araba e persi-
no nella configurazione del colonnato di S. Pietro, nel cui centro stato
innalzato uno dei pi grandi obelischi di Roma.
Ma , oltre alla doccia che si versa nella grande vasca interrata, proprio
quella colonnetta (quel fallo) piantato nel centro del bacino, o ricettacolo, a
suggerirci che ci troviamo di fronte ad un linga-yoni, sacra espressione
dellenergia creativa, qui rappresentata secondo uno schema assai diffuso e
ricorrente in Oriente (Capaldo, Ciarallo,Pane 1989). Il significato dellinsie-
me inequivocabile, e quindi non sono necessarie argomentazioni a soste-
gno: non si pu infatti non arrendersi allevidenza, soprattutto quando la
realt cos palese, n pu essere invocata una qualsiasi somiglianza di tutto
CAPITOLO VIII
61
linsieme con altro tipo di impianto. Inoltre si deve considerare che la sua
presenza ben si accorda con il dominio di Apollo su questa area e ce ne
parla una poco nota circostanza: proprio a Delo, anchessa consacrata allo
stesso dio, esisteva una struttura analoga, successivamente raffigurata su di
unanfora attica del V sec. a.C. (cfr. fig. 36, e da noi interpetrata appunto
come un linga-yoni. Questa lettura ha poi trovato conferma nel Danielou
(1980, pag. 177).
Il cosiddetto orologio ad acqua, dunque un evidente testimonianza di
quellinteressantissimo e poco esplorato contatto tra le religioni dOriente e
dOccidente; esso anche un simulacro, raro presso di noi, di quel culto
della vita (fallico) che fu tra i pi combattuti dal Cristianesimo, al punto che
non gli stato consentito di sopravvivere, pur tra i tanti riti della paganit
che, invece, adottati o meno dalla nuova religione e magari mascherati, sono
giunti fino ai nostri giorni (cfr. Ciarallo e Capaldo, 1993).
La grande vasca presente a Paestum -ma non il bacino, che ha lorlo privo
di varchi- era sicuramente collegata con larticolata canalizazione che si in-
travede nellarea a sud di essa e quindi si rafforza lidea di una sua
dedicazione al culto della vita, per la quale lacqua elemento essenziale.
Largamente presente nella zona essa ci ricorda che versarla sui simboli sacri
pratica frequente e diffusa presso gli Hind durante le loro cerimonie dedi-
cate al toro e al linga (Knight,1981). La funzione della struttura era dunque
quella di consentire la celebrazione di tali rituali, forse connessi alla immer-
sione degli iniziati. Un legame potrebbe esservi tra essa e linsieme degli
altari e dei thesauri antistanti al tempio di Nettuno: la struttura potrebbe,
infatti, essere stata donata alla comunit poseidonate da una qualche citt
amica ove fiorivano culti orientali della fertilit, gi presenti in altre forme
nella stessa Paestum (Tocco in Zevi 1990). Solo uno scavo mirato e la
valutazione di ogni altro elemento utile potr fornire una risposta a questi
ultimi interrogativi.
Comunque non vogliamo concludere questo nostro lavoro senza accennare
al ritrovamento di unaltra struttura formalmente assai simile al c.d. orologio
ad acqua poseidonate, descritta da A. Wasowicz (1984).
Lo scavo effettuato dalla nominata archeologa a Nymphe (Nimfeja,in lin-
gua ucraina, nome che richiama luoghi dacqua come quello dorigine,
nonch Siris e Poseidonia), non lontano da Olbia sul litorale settentrionale
del Mar Nero, avrebbe portato alla luce, secondo lautrice, tre forni da
62
vasaio (fig. 39) situati in prossimit di un tempio dedicato a Demetra (circa
VII-VI sec a.C.). In unarea sacra, dunque, dove i culti misterici erano pro-
babilmente di casa. Le immagini che corredano il lavoro non sono un mo-
dello di chiarezza e tuttavia suggeriscono lidea che almeno per uno di questi
forni, quello riprodotto nella foto, possa trattarsi ancora una volta di un lin-
ga-yoni (figg. 40, 41 e 42). Naturalmente per un giudizio pi motivato sa-
rebbe necessario un improbabile e difficile sopralluogo.
Ma intanto vale la pena di tener conto che Olbia era una colonia ionica,
come la stessa Siri nella Magna Grecia, e che, inizialmente amica dei
Sibariti, fu poi da questi conquistata e tenuta in dominio (Brard
1963;Guzzo 1982). Come spesso accade tra i popoli che si sono combat-
tuti, anche in questo caso i vincitori subirono il fascino e linfluenza dei vinti,
titolari di una raffinata cultura, che i Sibariti in parte fecero propria e trasmi-
sero, a loro volta, a Paestum (e le testimonianze non mancano) allorch la
fondarono. E anche noto che gli Ioni ad ampi e vivaci traffici commerciali
affiancarono una intensa attivit intellettuale alimentata dalle frequenti e dif-
fuse relazioni con le pi varie popolazioni, non escluse quelle orientali carat-
terizzate da una mentalit naturalistica, che quella che distinse la scuola
filosofica ionica.
Tornando all orologio ad acqua ci rendiamo dunque conto che la
canalizzazione posta al servizio della grande vasca, linequivocabile simbolo
della vita giuntoci dalloriente, i culti della fecondit che qui gi si celebrava-
no, il pensiero di Talete che elevava lacqua a principio di tutte le cose, la
coerenza di tutto questo col mondo spirituale ionico, mutuato dai Sibariti
che fondarono Paestum, formano, attorno a questa struttura riscoperta, un
coerente quadro di suggestiva unitariet. Tutto vero, dunque, o solo verosi-
mile?
In conclusione valgano le nostre ipotesi solo come una benevola provoca-
zione per una diversa e non impossibile interpretazione della struttura ritro-
vata a Nymphe, di particolare importanza anche perch potrebbe segnare
una tappa e una direzione dellitinerario seguito da questo tipo di monumen-
to nel trasferirsi dallOriente fino a Paestum (Barraclough 1979, Maiuri
1939), ove sarebbe giunto, sembra, pi tardi che nella regione pontica.
(Da Napoli Nobilissima,vol XXI, fascicolo III-IV, maggio-giugno 1992).
63
I tentativi, da sempre perseguiti dalluomo per trovare Dio, sono rimasti
sterili e tali rimarranno per sempre somigliando, questo suo sforzo, a quello
di colui che intenda darsi un morso sul capo. Luomo non riuscir mai a
fornire una risposta allultimo perch al quale tenta di avvicinarsi attraverso
le molte tappe dei vari come. Ed allora a cosa ha portato il suo lungo
travaglio?
Per noi la risposta una sola: luomo non ha fatto altro, e non di rado incon-
sapevolmente, che far luce su se stesso, cos rivelando gli angoli pi segreti
del suo animo, i suoi desideri, le sue aspettative pi inconfessabili: a volte
scegliendo strade difficili, spesso circondate di mistero, piene di autoinganni,
illusioni cui, tuttavia, non sono mancate folli speranze.
Volendo noi riprenderne un interessante segmento, e considerando le pro-
fonde radici comuni delle religioni doccidente e doriente, non sembri fuori
di luogo se, per questa pagina conclusiva, attingiamo a fonti indiane. Anche
perch quanto stiamo per riferire circondato da veli cos fitti da farcelo
apparire uno degli esempi pi significativi ai quali ricorrere per chiudere uno
scritto dedicato al tentativo di rivelare il senso di alcuni culti misterici, Non
senza ricordare tuttavia che il mistero tale in quanto anche se spiegato
difficilmente viene compreso.
Abbiamo gi visto come siano stati accolti, nel culto di Apollo, riferimenti di
origine orientale tra i quali noi riteniamo di poter porre la E delfica
Nonch il precetto Conosci te stesso. Per questultimo abbiamo gi
ipotizzato una spiegazione exoterica, ma ora tentiamo di chiarirlo in modo
pi esaustivo, cio anche nel suo significato pi segreto.
Premesso:
a) che lIndia e lisola di Bali (Bonnefoy 1989 PAG 899) conservano (que-
stultima in forme sincretiche) evidenti tracce delle pi antiche tradizioni
indoeuropee (fig. 43), che sicuramente influenzarono la religione greca
(Danielou 1980);
b) che noto che Apollo rispettava il miraggio della sapienza orientale
(Lane Fox 1991 e, con la E e il citatao precetto, la accoglieva nel suo san-
tuario di Delfi, mentre a Delo (dove pur era egemone il culto di Apollo)
CONCLUSIONI
64
esisteva un simulacro formato da un fallo ed un ricettacolo, un Yoni-Linga
(Danielou 1980) evidentemente ispirato dalla fede shivaitica;
c) che comune nellisola di Bali la scultura in legno riprodotta in fig. 38, sul
cui significato i locali non sanno dare spiegazioni o si mostrano reticenti;
d) che conoscere significa comunemente apprendere con lintelletto, ma
vi un diverso e pi spinto livello della conoscenza che equivale ad avere
idea di qualcosa attraverso la contemporanea esperienza di tutti i sensi (v.
nelle sacre scritture: e luomo conobbe la donna);
e) che secondo lantica concezione non soltanto induistica, riaffermata dalla
pi recente teofania della Trimurti, la funzione di Dio creare, conservare e
riassorbire luniverso;
f) che luomo tende a imitare la divinit, attraverso i simboli e il rito, al fine di
identificarsi con essa, cos immaginando di poterne condividere le preroga-
tive ed assumerne i poteri.
Tanto premesso il precetto delfico potrebbe rappresentare un invito perch
luomo, appunto imparando a conoscere se stesso ed imitando Dio, esau-
risca in s il ciclo eterno (creare, conservare e riassorbire) cos raggiungen-
do anche quella che egli ritiene la suprema illuminazione. ......Il profeta Elia,
come il profeta Idris (Enoch), ha bevuto alla sorgente della vita e fu cos
preservato dalla morte: (Hutin S.: Le societa segrete Garzanti Ed., Milano
1955.)
La scultura balinese (fig. 44) rappresenterebbe il rito e fornisce un riscontro
al nostro discorso. Sembra poi logico pensare che la detta pratica, divenuta
segreta nellambito di una dottrina esoterica rigidamente inconfessata, sia
nata spontaneamente nellambito di un ascetismo non disgiunto da una posi-
tiva valutazione della sfera sessuale.
Noi non sappiamo quanto sia antico il mito di Bali, che riecheggia quelli nati
con luomo, ma la cosa non di particolare importanza perch esso si pone
fuori del tempo. Ancora oggi, tra noi, nascono nuovi miti.
Possiamo aggiungere che laccentuata forma sferica che si voluta dare alla
scultura richiama, anche sul piano formale, il suo tendere al divino. Lo sug-
gerisce il pensiero di Erich Neumann: .......tutti i simboli con cui lumanit ha
cercato di comprendere mitologicamente linizio sono oggi altrettanto vitali
che nei tempi primitivi ed hanno un loro posto non solo nellarte e nella
religione, ma anche nei processi vitali della psiche umana, nel sogno, nella
fantasia. E fintanto che ci sar lumanit, la perfezione comparir come cer-
65
chio, palla e rotondo e tanto la divinit primitiva autosufficiente, quanto il S
che ha superato gli opposti, si ritroveranno nella immagine del rotondo, nel
mandala. (Da E. Neumann: Storia delle origini della coscienza, Astrolabio-
Ubaldini Ed. Roma 1978, pag. 32.)
Rimane ora, coerentemente con le nostre premesse, da esaminare il fatto dal
punto di vista strettamente biologico. La pratica dellautofellazione (rappre-
sentata dalla detta scultura balinese in fig ) non anatomicamente impossibi-
le e, in proposito, preferiamo che il lettore attinga a testi specialistici (Kinsey
1965, pag. 379 segg). Si tenga tuttavia presente che le bassissime percen-
tuali di praticanti spontanei rilevati in detta indagine possono elevarsi note-
volmente allorch, a monte, vi sia la spinta di unideologia e di idonee e
coerenti pratiche fisiche.
66
RI F L ES S I ON E
E cos io pensavo che le scienze dei libri, almeno quelle le cui ragioni sono
soltanto probabili e non dimostrative, essendosi formate e ispessite a poco a
poco con le opinioni di molte e diverse persone, non si avvicinano tanto alla
verit quanto i semplici ragionamenti che pu fare naturalmente un uomo di
buon senso, sulle cose che gli si presentano.
Ren Descartes, Discorso sul metodo
67
FIGURE
Fig. 1 - Figura di gladiatore con casco e cimiero che combatte contro il proprio
fall o dallaspet to di pantera. I campanell i sottolineano lesigenza di essere
vigili, di tenere desta la propria attenzione contro il pericolo. Da Il gabinetto
segreto del Museo Nazionale di Napoli, Ruggero Aprile Ed., Torino 1971.
Capitolo I
68
Fig. 2 - Dipinto murale
cosiddetto di Bacco e il
Vesuvio. Dal larario della
Casa del Cent enari o in
Pompei, ora al Museo
Archeologico Nazional e
di Napoli, sala LXXVII
n 112286. Esso mostra
un Dioniso, dotato di tirso
ed identificantesi con un
grappolo duva, stante ai
piedi di un monte che si
vuole rappresenti i l Som-
ma-Vesuvio nel suo
aspetto monocuspide
precedente leruzione del
79 d.C.- La sua potenzialit distruttiva, prima del
cataclisma, era ignota ed anzi si notino limpianto
a vigna delle sue basse pendici e la vegetazione
che interamente lo ricopre cos da farl o apparire
dilettoso.
Fig. 3 - Dettaglio del precedente affresco: si noti
che il contenuto della coppa viene versato nelle
fauci della pantera.
69
Fig. 4 - Dioniso con la pantera, mosaico proveniente da Ercolano ed ora espo-
sto nel MNN, sala LVIII, n 9989.
Fig. 5 - Dioniso fanciullo
con coppa, che cavalca una
grande fiera. Il feli no ha carat teri di leone e di tigre, forse perch quest ultima
era meno nota o forse per sottol inearne potenza e ferocia, e ci non ostante
risult a ammansito grazie al contenut o della coppa. Inoltre ornato di uva e di
pampini come i partecipanti al corteo bacchico.
Mosaico proveniente dalla Casa del Fauno in Pompei ed esposto al MNN sala
LX, n 9991.
70
Fig. 6 - Statua di Di oniso e fiera appar-
tenente alla Collezione Farnese. MNN,
sala VIII, s.n.
Fig. 7 - Dettaglio del gruppo statuario prece-
dente: si noti la coppa che sovrasta la pante-
ra.
71
Fig. 8 - Pompei, arte popolare: edicola scolpi-
ta nel tufo, raffigurante Dioniso che versa l a
bevanda nelle fauci della pantera.
Lelevata frequenza del motivo coppa-pante-
ra fa riscontro, evidentement e, al ripetersi del
paradigma nelle prediche degli addetti al culto
nonch alla sua presa sui fedeli.
Fig. 9 - Il cosiddetto Bacco Giovane,
ritrovato ad Ercolano, Decumano
Massimo ins.VI, n 12. Appare fin
troppo facile, a causa del frequente ri-
petersi di analoghi schemi, ricostruire
cosa Dioniso avesse nel le mani, oggi
scomparso: nella destra i l t irso e nella
sinistra, raffigurata nel gest o di versa-
re, una coppa. Grazie al cont enuto di
questa egli ha depotenziato l a pantera,
che poi schiaccia sotto il sandalo.
Bronzo con agmine di oro, argento e
rame (Foto Foglia).
72
Fig. 10 - Dioniso (Bacchus), con la
coppa ed il tirso, siede sul trono. La
pantera, soggiogata dal dio, att ende
alla sua difesa.
Affresco pompeiano ritrovato nella
Casa del Naviglio
(Pompei VI,10,11).
Fig. 11 - Statua in tufo di gusto
popolare, costituente la insegna di
unosteria (I 20,1) nei pressi del-
lanfiteatro. Essa rappresenta un
soldato che, con aria sprezzante,
appoggia lo scudo sul capo di
Priapo e con la daga si accinge a
mutilarlo, segno quindi del suben-
trare del nuovo culto nellarea ro-
mana e della t endenza ad
esaut orare i vecchi dei della reli-
gione di stato. La religione di Mi-
tra, infatti, si diffuse soprattutto
col rientro delle coorti dall a Cap-
padocia e dalla Commagene e fu
nel primo sec. a.C. che i mist eri
di Mitra comparvero a Pompei.
Questi era un dio unico e giusto,
eroico, capace di assicurare la
73
Fig. 12 - Paestum: leterna lotta tra il bene e il male. Parete lunga di tomba
lucana dipint a, soggetto di cultura etrusca.
Per i vizi che la pantera dissimula sotto il suo elegante e piacevole aspetto essa
richiama alla mente la donna che, facendo leva sull a propria avvenenza,
spesso capace di nascondere gli scopi che si prefigge e finanche la propria
infedelt (v. la voce virt simulata, in Ronchetti 1922). Di qui la vistosa
appartenenza del soggetto raffigurato al sesso femminile.
vittoria alle armi dei suoi devoti e questo fu il motivo per cui furono soprattutto
i mili tari a diffonderne il culto. Liniziazione esigeva prove di forza e di corag-
gio nellambito di una buona vita atta a dimostrare la capacit di sacrificio
del fedele. Il di o si venerava in templi ipogei (non ritrovati a Pompei) dove
veniva rappresentato nellatto di uccidere un toro con una semplice daga.
74
Fig. 13 - Sulla sinistra inizia la megalografia. Sullo sfondo la parete con Dioni-
so e Arianna.
Fig. 14 - La fustigazione
Capitolo II
75
Fig. 15 - Il rifl esso nella coppa
Fig. 16 - Gli Agatodemoni
ovvero i geni buoni
76
Fig. 17 - Anticamente i confini delle province meridionali sono st ati vaghi e
mutevoli. In epoca augustea Bruzio e Lucania (Calabria e Basilicata) forma-
vano ununica regione: la Terza. Ancora nel XVI sec. la Lucania comprende-
va la vasta piana di Paestum mentre, subito a sud, la gran parte delle terre
formavano la Magna Grecia (Graecia Maior).
La carta tratta dal famoso atlante di Ortelio, geografo e cartografo fiammin-
go (Anversa 1527, 1598) e, come in uso ai suoi tempi, orientata con i l Sud in
alto. Per l a spi egazione del termine Andragathia v. Ciarallo e Capaldo,1988.
Capitolo III
77
Fig. 18 - Inedito vaso gre-
co rinvenuto in localit Il
Deserto, nei pressi di S.
Agata sui Due Golfi. Esso
decorato con figure di
Sirene: una centrale, ad ali
spiegate, e quattro nell a
fascia superiore, realizza-
te con la tecnica delle fi-
gure nere a silhouette.
Ritrovato nellagosto
dell 81, esso stato con-
segnato alla Soprinten-
denza Archeologica di
Napoli grazie alla tenace
mediazione del magistrato
dott. Domenico Galasso,
appassionato studioso di
archeologi a e assertore
dell a localizzazione di un
tempio delle si rene nell a
contrada del ritrovamento,
in vertice surrenti no
(Capasso, 1846 e Poi,
1983).
Nella penisola sorrentina, dunque, esisteva un Tempi o del le Sirene nel Deser-
to, appunto dove stato ritrovato il vaso, ed esisteva un tempio dedicato a
Minerva (Atena) sul Monte San Costanzo, dove gi ungeva la strada osca risa-
lente dal mare di Punta della Campanell a (v. Appella e Sisinni 1991, pag. 75).
Il vaso faceva parte di un corredo funebre databile alla seconda met del VI
sec. a.C. e le sue dimensioni sono: altezza cm 27, di ametro della bocca cm
12,5, diametro della base cm 9,2.
Capitolo IV
78
Fig. 19 - Una bella immagine di sirena alata: neck-amphora firmata da Python,
IV sec. a.C., Museo Nazionale di Paestum. Al di sotto della sirena: luovo
cosmico.
79
Fig. 20 - San Mauro
Forte: festa di Santa
Lucia. E giunto fino a
noi l antico detto S.
Lucia il giorno pi
breve che ci sia, val e
a dire che, in corri-
spondenza di quest a
fest ivit, il 13 dicem-
bre, avremmo la not te
pi lunga dellanno. Ed
allora, quale occasione
migliore di questa per
far rivivere, natural-
mente dedicandoli alla Santa, gli antichi fuochi pagani accesi per fugare le
tenebre invernali e per far tornare, almeno auguralmente, la luce di primave-
ra? Ma in real t le cose non stanno esattamente in questo modo e il giorno pi
breve (o la notte pi lunga) coincideva e coincide invece col solstizio dinver-
no, che cade tra il 21 e il 22 dicembre poich vi sono piccole variazioni annuali,
che tra loro si sommano o si sottraggono rimanendo tuttavia nei detti limiti.
Nellantico calendario composto da F. D. Filocalo nel 354 d.C. , invece, il 25
dicembre che, secondo una pi antica tradizione, viene riportato come Dies
Natalis Invicti. E, dunque, formalmente questo, per gli antichi, il giorno in cui
la traiettoria percorsa dal sole (Sol Invictus) comincia a sollevarsi sulloriz-
zonte (e quindi le giornate ad allungarsi) ed questa anche la data alla quale fu
poi legat a, fuori dal rigore storico, la nascita di Cristo.
Ma nei secoli successivi si verificato uno slittamento delle date, e una conse-
guente gran confusione, poich il calendario riformato da Giulio Cesare nel 46
a.C., e poi adottato dalla Cristianit, non era del tutto preci so ed andava accu-
mulando ritardi al punt o che, per rimettere ordine, il Papa Gregori o XIII, nel
1582, intervenne togliendo dieci giorni (cio proprio la sfasatura tra S. Lucia e
il solstizio) facendo cos in modo che linizio dellinverno cadesse nuovamente
intorno al 22 dicembre. Lantico det to riferito al giorno di S. Lucia fu, eviden-
temente, concepito prima del 1582 e, col suo persistere, ci fornisce con evi-
denza e immediatezza la prova della tenacit degli usi e delle credenze popo-
lari. La festa si conclude con gli ultimi bagliori del fal nella piazza, ma una
particella di quel fuoco, prelevato dai fedeli, alimenter la fiamma dei focolari
domestici e, con essa, una tradizione che non si estingue.
Capitolo V
80
Fig. 21 - Dopo la cerimonia
in chiesa si riforma il corteo
per t ornare in paese. Com-
pai ono le grandi figure nere.
Fig. 22 - Un vero e
proprio tiaso bac-
chi co nelle st rade di
S. Mauro Fort e: un
corteggio antico,
millenario, che qui
giunto fino a noi
passando indenne
attraverso i pericoli
di una assimilazione
alle feste cristiane e
si cel ebra in piena
autonomia, con sen-
tita partecipazione popolare, i mpegnando numerose squadre (le antiche fra-
trie) t ra loro gareggianti. Al calar della notte esse agitano ininterrottament e
grandi campanacci simboli di vita e strumenti adatti a provocare il risveglio del
dio dal suo sonno invernale. Con laggiunta di pochi cembali e timpani vien
fatt o quel baccano che gradito a Bacco-Diniso Bromi o uso ad accompa-
gnarsi con rombo di tuono.
81
Fig. 23 -
Non man-
ca il tirso:
una squa-
dra vest e
l u n g h i
mantelli e,
forse con-
fuso ri-
cordo del-
le Mena-
di, pre-
ceduta da
una figura
che danza e si agita eseguendo movenze effeminate, che la gente imi ta. O,
forse ancora, inconsapevole tradizione in omaggio al dio che recava in s
caratteri femminili?
Fig. 24 - Com-
postezza, inve-
ce, quasi ierati-
cit degli anzia-
ni che attiva-
mente parteci-
pano alla festa.
Durante il Rina-
scimento si ce-
lebrava pubbli-
camente Bacco
coi canti car-
nasci al eschi ,
di uno dei quali fu autore famoso Lorenzo dei Medici. Qui, a S. Mauro Forte,
secondo le pi antiche tradizioni (comuni ad altri paesi) si celebra il carnevale
praticando anche i l sacrificio cruento di natura alimentare delluccisione del
porco e spillando il nuovo aglianico.
82
Fig. 25- Il primo sollevamento a forza di braccia: luomo si misura col gigante
della foresta.
Fig. 26 - Il l ungo corteo esce dal bosco: il grande albero trascinat o da dodici
coppie di giganteschi buoi.
Capitolo VI
83
Fig. 27 - Il maio sta per raggiungere la verticalit.
84
Fig. 28 - Lnfalo di Delfi: il cosiddetto ombe-
lico della terra (omphalos = ombelico,
umbone, e anche centro) oppure, secondo al-
tra int erpretazione, simbolo aniconico di
Apollo (Cssola 1991, pag 80). Ma, secondo
la nostra originale interpretazione, non di om-
belico si tratta, ma dellutero della terra, di
Gea, dilatato in basso perch colto i mmediata-
mente prima del parto (cfr. foto successi va).
Sciogliamo, con questa lettura, un mistero mil-
lenario (cfr. AA.VV. Grande dizionario dell e
Religioni, 1988, alla voce Onfalo, che te-
stualmente riporta: La sua forma resta per
un enigma) ed esponiamo qui di seguito alcu-
ne considerazioni a sostegno della nostra tesi.
Utero: questa una parol a che in greco suona delphus (donde delfino, che
non un pesce, ma un mammi fero ed quindi dotato di utero) e pertanto si
identifica col nome (Del fo, Delfi) della citt delloracolo poi consacrato ad
Apollo (v. nota 13 del capitolo VII).
E come, in italiano, lutero vi ene detto anche matrice (donde madre e materia,
cio principio capace di sostanziare una forma, replicarla, moltipli carla, capa-
ce di dar vita) cos in greco c anche metra, parola assai vicina a mitra cio
al copricapo, che al linizio della cristianit era riservato al sommo pontefice,
ma che in precedenza era gi adottato dai sacerdoti pagani ed ebrei (v. nota 14
del capitolo VII).
Mitra, copricapo, dunque, qualcosa che sta sopra: ma questa espressione si
traduce i n sanscrito ttars, e non v chi non veda che cos si torna, per
altra via, a utero. Ed infatti luomo dallutero pende (quando nasce, gl i sta
sotto) e dipende (allorch lo divinizza). Le pi antiche mitre avevano due corni
ed erano, a volte, compl etate da due bende che ricadevano sulle spalle: sono,
questi, altri elementi che, attraverso una diversa strada, quella l inguisti ca, an-
cora una volta ci riconducono alla identificazione mitra-utero. Sta di fatto che
il lessico anatomico e quello religioso, in relazione alle due parole, mutuano
termini comuni. I dizionari ecclesiastici parlano di mitra bicorne, quelli oste-
trici di corni dellutero; ed inoltre, le fasce che ricadono dalla mitra sulle
spalle son dette bende o fimbrie, e fimbrie sono anche quelle orlature delle
tube uterine che si presentano, appunto, come frange.
Capitolo VII
85
Infine infula viene detta la benda bianca e scarlatta che i sacerdoti pagani, o
le stesse statue delle divinit, portavano avvolta attorno al capo (veniva detta
anche mitra) e ricadente sulle spalle, la cui etimologia viene data come incerta
in alcuni dizionari (cos come pochi di questi accostano delfino a delphus!!),
mentre a noi sembra che essa sia voce assai vi cina a nfalo.
La concezione del divino, nella sostanza e nella forma, ruota dunque, nella
fatt ispecie, attorno alliniziarsi della vita: unico fenomeno, questo, capace di
lenire, ad esso in un certo modo contrapponendosi, il terrore che la morte
induceva nelluomo (da Rachet, 1981), v. nota 14 del capitolo VII. La foto
trat ta da Rachet, 1981. Un onfalo, tuttora visibile stato ritrovato anche a
Pompei , nel tempio di Apollo. Esso forse da mettersi in relazione ad un
primitivo al tare qui dedicato a questa divinit e risalente al periodo
presannitico quando il golfo di Napoli ricadeva sotto linfluenza ellenica (La
Rocca de Vos, pagg. 100-101).
Fig. 29 - E solo un caso che famosi ed antichi edifici, ad esempio i bat tisteri,
abbiano forma e proporzioni dellonfalo? La figura mostra la perfetta
sovrapponibilit delle rispettive sagome. Raffronti il lettore le misure delle due
figure e ne rilevi le identiche proporzioni, la statua ed il suo supporto, la lanter-
na, necessaria a sollevarla e renderla pienamente visibile, sono strut ture della
Cristianit e ricordano le croci esorcizzant i poste sui grandi menhir della Bre-
tagna e sugli obelischi egizi portat i a Roma. Anche le cupole cristiane somi-
gliano allonfalo, ment re quelle islamiche, pi schiacciate, si ispirano al seno
femminile, avendo sempre accanto il minareto, che si richiama alla maschilit:
un altro modo di esprimersi ma, comunque, sempre coll egando religione e
sesso, questultimo come origine dell a vita.
86
Fig. 30 - Utero di bovino. Particolarmente alla
fi ne della gravidanza esso presenta numerose
verruche, vistosa vascolarizzazi one nonch
ispessimenti, corrispondenti ai cotiledoni, che
sono formazioni interne ma che qui si manife-
stano per essere stato col to, lorgano, quando
la sua parete muscolare al massimo dell a
tensione e dellassottigliamento. A queste cir-
cost anze si deve dunque la raffigurazione a
cordoni e nodi dellnfalo scol pito nel tufo e
non a quanto comunemente si ritiene, cio che
esso venisse ricoperto per motivi cultuali con bende e con rete poi riprodotte
direttamente in fase di scultura. Pi precisamente lut ero, divinizzato inizial-
mente in quanto tale cio come ori gine dell a vit a, fu rappresentato nel suo
aspetto reale (a proposito dellantichit dei riti che legano lutero alla nasci ta e
alla rinascita presso popolazioni di tutto il mondo cfr. lesempio di cui alla nota
1 del capitolo La rinascita di pri mavera). Successivamente -considerato il
suo sopraggiunt o legame al la Pitia vaticinante- la sua irregol are superficie fu
vista come un mantello ad esso sovrapposto vedi nota 18 del capitoo VII.
La i niziale e remota rappresentazione veristica dellutero stata resa possibile
dal fatto che il sacrificio di grossi animali era frequente a Delfi e pertanto i
sacerdot i, che esercitavano laruspicina (la facolt oracol are pass poi alla
Pitia), avevano una discreta conoscenza dellanatomia degli organi interni.
La figura tolta da Williams, 1936.
87
Fig. 31 - Mitre o (mitrie)
papali che ricordano nell a
forma lonfalo, la cupola, il
grembo. Laccostamento
formale dellut ero alla mi-
tra (ancora di pi al
Triregno) pi evident e se
lo si considera nella sua
fase di maggiore dil atazio-
ne, come risulta al momen-
to del parto, quando cio il canal e cervicale ancora imprigiona il capo del
nascente. La mitra deriva dall a tiara papale che ancor pi di questa somiglia
allutero. (successivamente questo copricapo dei massimi sacerdoti e dei re-
gnanti orientali, si complic con laggiunta di tre corone e cos prese il nome di
triregno. Anche Apollo fu detto dalla triplice corona).
Si notino le sacre bende, ai lati delle mitre, come rafforzamento dei significati
sacral i. Queste bende richiamano le trombe uterine con le quali hanno in
comune la posizione rispetto allutero, la forma nonch lorl o frangiato (le
fimbrie). Linfula era la benda di l ana che veniva avvolta attorno alle t empi e
dei sacerdoti e, anche, ciascuna delle due strisce pendenti dalla mitra
vescovile (Devoto-Oli).
Anche senza tener conto dellassonanza tra le parole infula e onfalo non
pu sfuggire che la prima di esse, di etimologia sconosciuta e forse di origine
dialettale (D.E.I.) al pari di fimbrie e come parte per il tutto equivarrebbe a
utero, onfalo.
Si noti che il papa, allorch compare nelle vesti di Principe della Chiesa, indos-
sa il triregno, derivant e dalla tiara, che ancora pi simile allonfalo di quanto
lo l a mitra (v. Araldica di O. Neubecker, Mondadori Ed. Mil ano,1980).
Fig. 32 - Apparato genitale femminile
(parziale). Estratt o dalla sua sede na-
turale, e quindi venuti meno i l ega-
menti e intervenuta l a flaccidit post
mortem. Le tube si ripiegano verso il
basso e appaiono simili all e bende
frangiate ai lati dellutero e coll ega-
te con esso (da Ceccaroni, 1929).
88
Fig. 33 - Divinit femmi-
nile (XII sec. a.C.) ve-
nuta alla luce nel recinto
sacro del santuario di
Delfi (disegno B): essa
da porsi in relazione a Ge
(la Terra) che fu oggetto
di culto mol ti secoli pri-
ma che subentrasse
Apollo. Nella remota an-
tichit e per molti millen-
ni, in tutta lEuropa e nel
vicino Oriente, sono sta-
te prodotte un gran nu-
mero di statuine stilizzate
di dee la cui met infe-
riore veniva segnata con
una Y poco profonda
(derivante dal triangolo
pubico, disegno A) o ad-
dirittura con una sempli-
ce T (tau, disegno B) radicandosi questa schemati zzazione nella somi glianza
che il segno presenta con lutero (disegno C). Da Rachet,1981,
Gimbutas,1990, Ciarallo e Capaldo, 1993,ridisegnato. Ma lorgano riprodutti-
vo, con le sue corna, richiama anche, con evidenza, la tau di tauros (voce
popolare greca di origine ed estensione indoeuropea. Cortelazzo e Zolli 1988)
nonch la sagoma stessa della testa dell animale; esso pertanto, fin dal la pi
remot a antichit, viene collegato con la generazi one (Gimbutas ibi dem). Nel
disegno D lutero viene presentato in rapporto con il corpo femminile. Quanto
detto spiega perch la croce a tau ri masta a lungo allusivamente legata all a
femmi nilit (v. Cri stian 1995, pag.80) e solo pi tardi, quando stata chiara la
funzione fecondante del maschio, la stessa tau divenut a simbolo dei genitali
maschili e quindi pur sempre della prolificit di cui il toro rimane emblema.
Come gi dimostrano i disegni , anche nella scrittura geroglifica la T segno
del femminile, e questo valore simbolico viene espressamente enunciato da
Jacq C., pag. 80.
Pu apparire che certi significati si contraddicano e si confondano, e questo
in parte stori camente possibile, ma in realt non si ha quasi mai
sovrapposi zione di valori ed il loro cambiare legato al trascorrere di tempi
lunghissimi che oggi non riusciamo a valutare (v. not a 17 del capitol o VII).
89
Fig. 35 - Satis e Khnum.
Fig. 34 - Croce ansata egizia (Ankh), b) simbol o del pianeta Venere, c) segno
di femmina in biologia (v. nota 17 del capitolo VII).
90
Fig. 36 - Pitture vascolari su di una lekythos attica del V sec. a.C. (per gentile
concessione del Louvre - Parigi). Le tenebre scompaiono nel momento stesso
in cui appare la luce. Questa cont emporaneit si t raduce, nel mito, nella
uccisi one di Pitone, ad opera di Apollo, quando questi, infante, ancora nelle
braccia della madre. Cio la morte del dio ctonio, anti-solare, coincide con la
nascita della divinit solare.
La scena si svolge vicino alla palma, famoso albero della deserta Delo, al
piede della quale Leto partor e dove Apollo ricev in dono da Zeus una mitra
doro (Grimal 1987, alla voce Apollo). Come riferimento temporale si tenga
presente che Delfi, almeno fino ai tempi di Omero (VIII sec. a.C.), si chiama-
va Pito. Altre rivelazioni fa la pittura vascolare. Pitone, prima di essere lui
stesso oggetto di culto, ove lo stato, simbolo del rinnovarsi della vita nel-
lambito di una religione della natura ed quindi rivale e custode di Gea. La
sua casa, si vede nella pittura, un linga-yoni, somma espressione dellenergia
creativa. In sorprendente accordo con questa nostra originale lettura delle
figure vi la tradizione che proprio a Delo, ove pur era egemone il culto di
Apollo, esist eva un fallo eretto su di un piedistallo in forma di ricettacolo
(Danielou, 1980, pag. 177). Prova questa figura-simbolo, riconducibile al solco
e al laratro, quanto remote siano le radici di questo culto che si perde nel
substrato preist orico delle civilt i ndiane. Di fatto sia il pitone (nel dipinto
vascolare rappresentato forse propri o Python molurus), che i l simbolo linga-
yoni, ambedue in fig. 24, provengono dallo stesso luogo dorigine, dove fioriva
il culto shivaitico (Shiva = Diniso, cfr. Foot Moore, 1957, vol. I, pag. 224, il
quale era venerato a Delfi, v. nota 1 e vedi anche fig, Dioni so e loto). La cosa
non deve sorprendere perch numerosi erano gli eruditi viaggiatori che, anche
dallOriente, venivano a Delfi, famosa nel mondo, ad attingere ed apportare
91
nuovi spunti di riflessione religiosa (Fox Lane R, 1991). Lo dimostra il famoso
precetto del tempio di Delfi, Conosci te stesso, comunemente spiegato in
termini moraleggianti, mentre la sua comprensione sul piano religioso si pu
avere solo attraverso le anti che dottrine induistiche.
In una antica leggenda ind, i nfatti, Brahma, sdegnato dellabuso che luomo
faceva dei propri poteri divini, volle privarlo di questi. Nascose la divinit del-
luomo profondamente in lui stesso, dove egli dovr cercarla, ma dove gli sar
assai difficile trovarla. Conoscere s stesso significa dunque riscoprire il divi-
no che in noi (cfr. note 1 e 5). (Per la influenza del la cultura orientale su
quella greca vedi anche Akurgal, 1969).
Infine la figura it ifallica, tra Leto e la palma, potrebbe rappresentare il Grande
Dio, panghenetor (Plutarco, De Iside et Osi ride) e, tenuto conto del conte-
sto in cui appare, il Luminoso, lo Splendente, del quale la l uce att ributo ne-
cessario, o forse lo stesso Diniso.
La lekythos in oggetto raffigurata e descritta nel Corpus Vasorum
Antiquorum, Bibliothque Nationale, Cabinet des Mdailles, Planche 86,
figg.6,7,8, catal. n 308. Particolare ameno: i l relatore, con riferimento alla
figura itifallica, dice unaltra donna davanti al gruppo e azzarda: pu
essere Artemide? No comment!
92
Fig. 37 - Mitra del Patriarca di Mosca (sec. XVII, museo del Cremlino). Di
tradizionale forma ci lindrica, essa ornata di perle e di gemme (Kybalov,
1966, pag. 368). La Chiesa ortodossa, giudicata da quella latina di attacca-
mento soverchio allantico (Ceccaroni , 1929, all a voce ortodossa), non ha
avvertito il bisogno, come invece ha fatto quella occidental e, di trasformare
(mascherare!) limmagi ne del lantica mitra, che pertanto ancora oggi conser-
va il suo aspetto ori ginario (v. nota 16 del capit olo VII).
93
Fig. 38 - Paestum: il cosiddetto orolo-
gio ad acqua.
Fig. 39 - Piantina degli
scavi di Ninfa si noti il
perimetro del tempio
di Demetra e, in basso
sulla destra, il
monumentino con
pianta a toppa di ser-
ratura, segnalato da
due piccole frecce e
contrassegnato col
numero 11 (da
Wasowicz 1984).
Capitolo VIII
94
Fig. 40 - Quello che a noi sembra un ricettacolo e un fallo e stato i denti ficato,
dalla Autrice del lo scavo, come forno da vasaio. (Da Wasowicz 1984).
Fig. 41 - Uno degli infiniti linga-yoni
esistenti nei templi indiani. Quello qui
riportato (alla base di un colossale
ficus) ridotto all essenziale ed
accolto in un tempietto, quasi come in
una nostra edicola stradale (da Verni
1976).
95
Fi g. 42 - Una
linga-yoni cir-
condato da divi-
nit indi ane (da
Knight, 1981).
Si notino gli ele-
menti fonda-
mentali: il fallo
su una base, il
bacino e la doc-
cia che scarica
in unampi a va-
sca.
Fig. 43 - Il sogno di fondere la spirituali-
t dellOriente con quella occidentale
stato coltivato da sempre.
Tra le numerose testimonianze in questo
senso abbiamo scel to questa immagine
poco nota ma di grande chiarezza ed ef-
ficacia: Dioniso, divinit di origine orien-
tale venuta a suo t empo a far part e
dellolimpo greco-romano ed in questa
scultura riconoscibile per essere pre-
sentato tra luva ed i pampini, contem-
poraneamente portatore del sacro fiore
di loto, emblematico della spiritualit
dell Oriente.
Conclusioni
96
Fig. 44 - Scultura bali nese della qual e gli isolani non sanno o non vogliono
svelare il significato. In termini iniziatici essa richiama almeno t re simboli:
lUroboros, ovvero il serpente che si morde la coda, simbolo delleternit con-
quistata; lAndrogino, o lUomo Assoluto, che racchiude in s lo spirito creati-
vo (maschile) e quel lo ricettivo (femminile); lUovo cosmico, che nella t radi-
zione egizia sospeso tra due colonne, simbolo del passaggio dal non essere
alla vita (Cheval ier, Gheerbrant 1986 (cfr..) Ma noi che, qui come sempre
ricerchiamo le arcaiche origini biologiche del mito, riaffermiamo che esse pre-
cedono qualsiasi teorizzazione, che invece frutto di quelle intuizioni deliran-
ti che possono essere provocate solo da esperienze totali.
Nella scultura vediamo un soggetto che pratica lautofellazione cui egli por-
tato da una tendenza spontanea: solo pi tardi luomo, che nel frattempo
andato costruendo un mondo fantastico (cio divino, estrapolandolo dal pro-
prio e quindi somigliante a questo) ritiene di poter imitare la divinit cos iden-
tificandosi con essa; infatti l a Trimurti, somma t riade delli nduismo, stata da
lui immaginata come costituita da Brahma, Vishnu e Shiva, rispondenti alle tre
funzioni di Dio: creare, conservare e riassorbire luniverso.
Nella realt la possibilit fisica di compiere detta pratica ritualizzata risultereb-
be possibile soli per due o tre soggetti su mille (Kinsey et Al.,1965) ma la
percentuale aumenta tra coloro che t endono ad att uarla sott o la spinta di un
insegnamento religioso: unico incentivo, questo, che pu compensare la seve-
ra interdizione al soddisfacimento autonomo (come la masturbazione) comune
a molte religioni.
97
Vengono qui di seguito elencati numerosi testi, in gran parte di recente pub-
blicazione, allo scopo di offrire ai lettori la possibilit di approfondire la
materia nelle sue varie articolazioni: folkloriche, antropologiche, psicologi-
che, mitologiche, archeologiche etc. E per rendere pi agevole la documen-
tazione non mancano i titoli di opere divulgative.
Non sorprenda il numero delle discipline oggetto della presente bibliografia,
ma si tenga conto che si tratta spesso di comprendere il profondo dellanimo
umano, in rapporto ai tempi e ai luoghi, e questo esige uno studio, appunto,
interdisciplinare. Si avverte che molte di queste materie sono andate incon-
tro ad un recente e sostanziale sviluppo, che continua tuttora in relazione al
rinnovato interesse che esse suscitano, e pertanto si consiglia di ricorrere
sempre a testi aggiornati (da Lucania). Quando ci risulta che dei testi anti-
chi o esauriti stata ripubblicata una ristampa preferiamo riportare questa in
bibliografia per una pi facile reperibilit rispetto agli originali.
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