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Ernst Jnger cacciatore sottile

di Luigi Ranzani

Temo che gli animali vedano nell'uomo un essere loro uguale
che ha perduto in maniera estremamente pericolosa il sano intelletto
animale -vedano cio in lui l'animale delirante, l'animale che ride,
l'animale che piange, l'animale infelice.
F. Nietzsche, La gaia scienza.

La caccia, il cacciare prima ancora che
un'azione, una passione innanzitutto un
luogo, di pi: l'esperienza del limite.
Artemide presso i Greci abitava, oltre a monti e boschi,
ogni territorio agrs : le terre incolte che segnano, al di l dei
campi coltivati, i confini del territorio civilizzato della plis. Alla
frontiera di questi due mondi Artemide presiede alla caccia
accogliendo il cacciatore che, oltrepassando questa frontiera,
rischia l'inselvatichirsi, la bestializzazione.
Ma Artemide anche Limnatis perch abita quei paesaggi
eterici, indefinibili, non asciutti n completamenti acquosi che si
estendono tra terra e acqua: paludi, acque stagnanti, litorali, argini.
Per la mossa promiscuit dei confini che presiede Artemide
partecipa di uno statuto ambiguo: mette in causa, sottolineandone
l'estrema fragilit anzi rendendo la fragilit stessa permeabile, il
limite tra l'ordine della civilt e il regno del caos abbandonato alla
violenza pura e spontanea di una fecondit continua; ma insieme
consacra l'intangibilit del limite rendendolo distinguibile e
riconoscibile. Lacerando la chiusura del limite accoglie il
cacciatore nel territorio dell'Altro, acconsente all'oscillazione tra
umano e non umano cos come al rischio dell'oltrepassamento
verso l'indistinguibilt dell'informe. Ma proprio sul limite, al
culmine della crisi come cancellazione del limite, attraverso una
'manifestazione soprannaturale' Artemide salva il cacciatore
guidandolo al riconoscimento, facendogli fare l'esperienza, il
sacrificio, del limite.
Nel primo caso cancella, confonde le frontiere della natura o
nella mente; nell'altro, proprio quando le frontiere sono confuse,
ne permette la distinzione: Artemide opera sempre come divinit dei
margini, con il duplice potere di mantenere, tra selvatichezza e civilt, i
necessari passaggi e di conservarne i rigorosamente i confini al momento stesso
in cui questi si trovano superati.

L'esperienza della caccia raccoglie i molti
nomi del rapporto, idiosincraticamente
mediato, che Ernst Jnger intrattiene con il
proprio 'altro'.
L'apertura di Cacce sottili (testo uscito in Germania nel 1980 e
tradotto in Italia da Alessandra Iadicicco presso Guanda nel 1997)
testimonia, infatti, della passione giovanile dell'autore per la
raccolta e la collezione di insetti: passione che lo accompagner
lungo tutta la sua lunga vita, impegnandolo in un atletismo
contemplativo in continuo slittamento tra l'individuativa
esplorazione analitica dell'occhio 'scientifico' e l'abbandono allo
sguardo pi pudico del puer oltre che, ovviamente, nella pratica
restitutiva dello stile.
Il giovane Jnger si accosta all'osservazione del mondo
naturale attraverso l'emulazione del padre che, prima botanico poi
farmacista di professione, riforniva la biblioteca di famiglia di
cataloghi illustrati, suscitando la curiosit dei figli. In realt la
disposizione verso l'ammirazione e lo studio della natura, cui fu
decisiva la venerazione materna per Goethe, parte importante di
una formazione culturale (Bildung) tramandata generazionalmente
e garantita dalla ripetizione delle due azioni costitutive della
scientia amabilis: contemplazione e descrizione: La vera conoscenza
della natura, la cura attenta dell'osservazione, il confronto, la classificazione e
la descrizione degli oggetti aveva stregato gli spiriti per pi di cent'anni in un
modo che noi possiamo appena immaginarci.
Alla dedicazione per le cacce sottili Jnger perviene attraverso
l'abbandono del gioco degli scacchi.
Ma significativa l'argomentazione che motiva la scelta: Quanto
alla perdita di tempo era la stessa cosa che per il gioco degli scacchi, solo che
l'attrazione era pi forte perch la partita non si esauriva in pure
combinazioni, ma dischiudeva alla contemplazione un campo inesauribile.
Sospettando che l'idealismo proairetico dello scacchista
nasconda "l'uomo della rinuncia", Jnger inclina per un adesione
attiva, strategicamente partecipe dell'esistente e dei suoi inciampi
materiali, riconoscendo nella sorpresa e nell'arrischio della caccia
lo specchiarsi di Eros e Plemos : Jnger caccia perch gi vinto
dall'inquietante aspetto gianico con cui la forma archetipica del grande
gioco del catturare e nascondere si fa mondo.
Il momento entusiastico, maniacale che muove il cacciatore
non si esaurisce per in mera oziosit, magari patinata da
nostalgie aristocratiche, n in quel dilettantismo estemporaneo,
mimetico e abbastanza comune condiviso da molti appassionati e
che ne motiva forse la volubile scostanza.
In realt il cacciatore, partecipando al gioco eracliteo
dell'eterno divenire che governa, invisibile, il cosmo, si orizzonta
in dimensioni spaziali pi complesse che la linearit bidirezionale
tracciata dal banale rincorrersi di inseguitore ed inseguito.
Lo spazio d'azione del cacciatore, e tanto pi se sottile,
sembrerebbe infatti non concedere l'illusione di una assoluta
padronanza e determinazione dei gesti in quanto compromesso
con la dimensione microcologica dell'esistenza entomica, la pi
prossima all'effetto dissimulante della superficie e al suo
inquietante riso proteiforme.
Lo scintillio improvviso, immotivato nell'apparente
immediatezza, di improbabili 'gioielli della terra' sembra impedire
la semantica dell'azione fondata sul dualismo soggetto-oggetto:
l'imprevedibilit ne disarma l'intenzionalit cos come la 'paurosa'
gratuit ne rallenta il dispositivo di cattura, l'istante auratico
dell'apparire dissolve la sostanzialit dell'ego alterandone
l'autocoscienza spaziale e spinge a considerare la possibilit
dell'incontro al di l di un fatto anticipabile dalla volont di
partecipazione, verso l'incondizionatezza aleatoria di un puro
evento.
Si tratta di una forza invisibile che non muove oggetti ma lega
affetti, non condizionata da un preventivo assenso della coscienza
e che provoca il pensiero all'immagine di uno spazio composto da
luci discordanti e coimplicati, pieni e vuoti connessi dall'anonima
forza armonizzatrice immanente agli infiniti fili di una tessitura
cosmica: La forza di una terra agisce a grandi profondit e determina non
solo l'armonia reciproca tra gli esseri viventi, ma anche quella della natura
inanimata. Le cose pi lontane si accordano tra loro attraverso la rima. Il
mondo si compone e si fa poesia.
Possiamo gi qui notare come l'occasione autobiografica
venga distillata dei suoi aspetti aleatori e soggettivistici per
ricomporsi stilisticamente secondo prospettive schiettamente
speculative. Questa oscillazione del piano scritturale la
incontreremo, intensificata nel movimento, ogni volta che la
bellezza sensibile si presenter quale ineludibile domanda circa il
senso della destinazione terrestre dell'uomo poich,
heideggerianamente, proprio del Dasein il trascendersi nel
domandare dell'essere dell'ente.
La figura mitica del cacciatore, alla luce del suo
approfondimento fenomenologico, scolora delle tinte pi
immediatamente vitalistiche velandosi di una cortina serenamente
malinconica che opacizza, senza annullarla, la compostezza algida
della vis contemplativa.
La qualit malinconica per non inclina mai alla tristitia che
un inevitabile confronto con la caducit delle forme trasmette -
anzi in Jnger la delimitazione si conferma come necessit della
perfezione stessa- quanto piuttosto, e in senso non pietisico, com-
muove: letteralmente il bello agita il pensiero che, al contatto con
l'alterit si trasforma intensionalmente: co-agitatio, avvertendo
l'inquietante che lo abita.
In questa accezione potremmo leggere la malinconia
jngeriana accostandola a ci che Benjamin commentava ne "Le
affinita elettive" riferendosi al 'tocco' crudele della bellezza: Salvare
quel che vi in essa di essenziale lo sforzo di Goethe. In questo sforzo lo
splendore di questa bellezza si turba sempre pi, come la trasparenza di un
liquido nella scossa in cui si consolida. Poich non nella piccola commozione
che si assapora, ma nella grande commozione della scossa, l'apparenza della
conciliazione supera le belle apparenze e da ultimo anche se stessa.
L'eroismo del cacciatore acquista cos dei tratti che lo
avvicinano pi alla pazienza del martire che all'impeto bellicoso
del guerriero: egli patisce l'esposizione allo scavo denudante,
dissolvente di una meraviglia ingiustificata ed anzi ne
accondiscende l'urto (Stoss) spaesante con cui, una piccola
porzione di materia colorata, nell'innocenza del suo terribile
apparire, si annuncia come il pericolo estremo della morte,
dell'annullamento di ogni individuazione: La bellezza vuole rapirci
ci che ci appartiene; se diventa troppo forte, finir col sottrarci anche il
tempo.
La precipitazione impassibile con cui il predatore conduce la
sfida, l'attacco e la cattura -dalla rilassatezza vegetale della
concentrazione alla risoluta determinatezza dell'azione- se
osservati da distanze allargate oltre il prospettivismo copernicano,
si rivelano come dei modesti raggrinzamenti nella tramatura
cosmica in cui per altro il cacciatore, se consapevole
dell'impossibile definitivit del proprio annodarsi, accede ad
un'essenziale profondit del domandare: Chi caccia a sua volta
cacciato e chi osserva a sua volta tenuto d'occhio. Quanto pi strana,
bizzarra la preda, tanto pi urgentemente si impone la domanda sul senso
dell'inseguimento. Si tratta sempre, comunque, di una finzione, ad ogni
contatto con la terra, si tratti di insetti o di gioielli. Che cosa mi incatenava,
che cosa mi rendeva allo stesso tempo cieco e veggente? Dove si cela il senso del
gioco, e dove appostato colui che mi scruta? Me lo domando spesso, e me lo
chiesi anche allora, quando mi fui riscosso dallo stupore suscitato
dall'antaeus.
Il paradigma venatorio si tinge di una seriet disciplinata alla
correzione di quelle proiezioni antropomorfiche indirizzate alla
fagocitazione sentimentale e compiaciuta di un'alterit non umana
e non storica.
Infatti l'occasione venatoria, nell'intreccio delle reciproche
esposizioni, stimola quella facolt mimetica indispensabile per
poter godere della multiformit dei fenomeni attivando la possibilit
umana di sperimentare, attraverso il gioco analogico della
somiglianza e della differenza, dell'avvicinamento microcosmico e
dell'allontanamento segiziale, un'espansione dinamica e
metamorfica della forza immaginativa: impraticabile passaggio
che, attraverso straniamento e avvicinamento, oltrepassi la
chiusura umanistica sull'identico ed insieme prepari il transito
verso dimensioni interstiziali capaci di riorientarne la topologia:
Lo spazio per i movimenti liberi va assottigliandosi, sia per la
colonizzazione sempre pi fitta, sia per traffico sempre pi rapido. Un modo
per sfuggire alla sensazione di restringimento che ci opprime la
contemplazione accurata delle piccole cose; il mondo si riversa allora in
particelle di piccole dimensioni. Le oasi fioriscono a ridosso delle strade
militari, di cui gli esperti seguono solo a grandi linee il sistema; si muovono
verso punti di riferimento e aree di sosta pi nascoste, diverse dai porti e dalle
stazioni [...]. I punti di riferimento sono le concrezioni magiche di un
paesaggio, [...]quasi perdute nell'indistinto e, per questo tratteggiate con
estrema chiarezza. La vista di una pietra preziosa pu rendere accessibile una
montagna.

Cacciare nei territori del nulla.
In questo restringimento che ci opprime, altrove nominato
'inquietudine anteica', la consapevolezza epocale, fattasi decrittura
fisiognomica, legge lucidamente la trama che unisce la forza
costruttiva e organizzatrice del nichilismo -il suo aspetto salutare-
alla progressiva, calcolata distruzione della natura.
Questo nesso irresistibilmente occultato dal discorsivo
invece ricondotto alla arbitraria separazione metafisica tra
soggetto e oggetto, in forza della quale ogni movimento
interattivo tra umano e non-umano univocamente dettato da atti
intenzionanti della coscienza, o dalla messa in forma concettuale
dell'immaginazione, e insieme, da una pretesa, accondiscendente
disponibilit dell'ente ad essere raggiunto, trasformato,
consumato, annientato.
Lo sguardo appassionato e partecipante alla bellezza non si
sottrae dunque all'orizzonte epocale. La solitaria passione
entomologica, cos come la frequentazione della letteratura
scientifica, anche l'osservatorio non casuale per penetrare nella
logica del movimento disgregativo del nichilismo: Il crescente
malessere solo un sintomo della svolta dei tempi che si percepisce in un
piccolo ambito lontano, dove trova il suo diletto lo spirito venerante.
Nichilismo che, nel contatto incidentale o progettato con l'altro
inumano, esercita inesorabile la potenza dello sguardo di Medusa
pervicacemente impegnato nell'imbiancamento del carattere
espressivo, multiforme, numinoso che si sprigiona quale elemento
musico delle forme.
Jnger individua la condizione necessaria di questo esito
dissolvente nel pregiudizio scientifico, cio nella fede
assolutamente moderna nella deducibilit veritativa del reale
ricondotto alla misura concettuale della ragione umana. La
progressiva estraneazione dal sentimento di coappartenenza ad un
medesimo astro, accresce nell'uomo la necessit di una
elementarizzazione dell'esuberanza qualitativa -nient'affatto
naturale- della natura nell'ordinamento sistematico della
conoscenza. Il vantaggio ricavato dalla riduzione logica (die
Rationalisierung) dell'ignoto nell'abituale, l'assicurazione dagli
effetti esproprianti con cui l'irroconoscibile si annuncia come
incatturabile dalla comprensione. La natura disincantata accresce
la sicurezza disponente e progettante dell'uomo,
contemporaneamente alla neutralizzazione dell'apparire
ontologico registrato ora come casuale epifenomeno.
Bisogna per notare come l'oggettiva registrazione della
destinalit epocale non sia mai ordinata con criteri degenerativi
ma sempre sciolta da pose inquisitorie e paludamenti
moraleggianti. Nota infatti Alessandra Iadicicco: Jnger non respinge
affatto il sapere degli scienziati [...]. Se riconosce a quelle ricerche il carattere
dell'esattezza appunto l'esattezza che egli rifiuta di accogliere come criterio
di giudizio. Un gesto decisivo in questo confronto con il sapere scientifico
quello di consegnarlo radicalmente al suo limite storico, alla sua provenienza
indisponibile, alla sua radice finita.
Infatti nello sfogliare le espressioni simboliche epocali Jnger
intesse un'esegesi attenta alle molteplici configurazioni di senso
sedimentate sul volto della Terra, rune preziose che testimoniano
le risposte incise dall'abitare umano: Cacce sottili , sotto questo
riguardo, una preziosa mappatura geofilosofica delle rivoluzioni
planetarie.
Nell'epoca in cui il grande Ordine del Discorso sistematizza
l'esistente secondo la successione continua delle rappresentazioni,
la forma accolta e misurata secondo la bidimensionalit
dell'effetto duplicativo prodotto dall'atto riflessivo: il visibile
ricondotto alla stabilit constatata nella ricorsivit della forma.
Linn, protagonista del dispiegamento sistematico dello
spirito sulla natura incarna nondimeno le movenze premurose di
un 'giardiniere appassionato' e dal tono benedicente che,
nominando, chiama all'essere le cose: Occorre vedere in questo
personaggio qualcosa di pi profondo che semplicemente un gigante della terra.
In lui vi una funzione sacerdotale nel senso pi alto della parola [...]. Ci
che senza nome acquista un significato che si estende fin dove riesce a
spingersi lo sguardo e fin dove la parola si pone a tracciare un confine. La
natura resa abitabile e familiare in un modo nuovo. Si moltiplicano le sale
dei trofei create dallo spirito.
Una svolta radicale segnata dall'evoluzionismo darwiniano.
Se la classificazione linneiana era metafisicamente sorretta dalla
fede in un atto creatore univoco ed esterno alla libert
d'espressione delle forme, delimitate dalla irrevocabilit
dell'impronta ricevuta, Darwin teorizza una forza anonima ed
immanente all'organismo che si temporalizza nelle reazioni
adattive alla contingenza di variabili ambientali.
Il Barocco invece, secolo attraversato dall'angoscia per un
universo infinito e disertato da Dio, partecipa allucinato alla
caducit metamorfica delle forme, sviluppando una sensibilit
attenta al meraviglioso, all'abbondanza e allo straordinario, colto
per nell'inappariscenza dei dettagli: Anche la natura comincia a
parlare in modo nuovo; conquista una forza grande ed autonoma. Non solo le
sue forze sono viste in modo nuovo, ma con e attraverso esse, si vede il
miracolo che la multiformit illimitata contribuisce a rappresentare. E' come
una bacchetta magica che opera inaudite trasformazioni. Un bel giorno, un
pesce dorato lungo una spanna incanta i nostri occhi e viene fondata una
nuova cappella; ne seguir un culto secolare, coltivato oltre misura.
Di passaggio, ma un tema serpeggiante nella opera
jngeriana, si riconosce nelle possibilit estetiche racchiuse in
questo sguardo, un prezioso viatico per l'attraversamento del
muro del tempo e, forse, per l'avvicinamento di ci che con
questo passaggio potr darsi a vedere.
Quando invece il continuum fluido delle forme, il loro darsi
animosamente come increspature della superficie, viene irretito e
consolidato dal concetto, allora la natura diventa universalmente
manipolabile. Risolvere la natura in meccanica significa ricondurre
le percezioni qualitative a parametri quantitativi e invariabili;
riportare la realt dell'immagine patita ad una rappresentazione
numerica e misurabile, cio al mero movimento di punti-massa in
uno spazio isotopo ed omogeneo in un tempo continuo ed
irreversibile, vuol dire porre l'energia e il movimento come
fondamento esaustivo dell'esistente. La riconduzione della natura
alla superficialit di un sistema di nessi finalistici mossi dal
principio di utilit provoca l'irreversibile processo di
legnificazione e mineralizzazione del vivente. L'accoglienza che
una tale 'ipotesi di lavoro' riscuote a livello della conoscenza
anche perfettamente corrispondente alle richieste di immediata
disponibilit di materia uniformata avanzata dall'Operaio: Se il
mondo fosse davvero costituito in modo cos semplice, dovremmo rivelare in
esso, secondo il modello del paesaggio d'industria, la presenza di pochi tipi
fondamentali utilizzabili nel modo pi funzionale. D'altronde, una delle
tendenze della nostra epoca appunto orientata verso la creazione di tali
paesaggi. La scomparsa delle specie un sintomo di questo processo. Il
catalogo degli animali che ancora i nostri padri videro con i loro occhi e che
conosciamo solo attraverso le descrizioni e le illustrazioni, cresce in maniera
inquietante.
Nell'imminenza della catastrofe planetaria si ripropone,
inevitabile, la domanda sul senso della parabola umana e
sull'effemerit del suo tracciato.
Jnger annota icastico: Le cose stanno effettivamente cos.
L'infinit del processo di innovazione in cui massicciamente
impiegata ogni forma di vita conserva, come propria condizione
di inveramento, la necessaria nientificazione della Terra. L'ultimo
uomo procedendo nel progetto innovativo deve dar spazio alla
infinit della potenza del suo pensare-agire la progettazione stessa.
Ma la radice finita a cui pur appartiene la facolt immaginativa
della ragione e su i cui schemi lavora sinteticamente la presa
concettuale, costituita dalla quella medesima Terra che, offerta
all'immaginazione del senso, verr incontrata ancora e sempre
lungo il percorso di autoaffermazione del soggetto fino a porsi
quale ultimo ostacolo da nientificare.
Bisogner, con Jnger, pensare uno scenario in cui lo spirito
autodispiegato regni su di una Terra desertificata e in selvaggia
solitudine, e certo anche avviandosi alla propria calcificazione,
esistenziale od ontologica poco importa.
Constatando la progressiva diminuzione di specie animali,
scrive: Non solo le rondini, anche le mosce sono tra gli animali in via di
estinzione, e l'uomo, persecutore e a sua volta perseguitato, contribuisce a
questa scomparsa. Egli rimasto intrappolato nel processo che risucchia ed
annienta le specie: di qui la sua cosmica angoscia e il suo timore di non poter
arrestare il corso del destino. Tale situazione va colta nel suo insieme: con
l'epoca dei cavalli scomparsa anche quella dei cavalieri. Ma l'alba continua
a risplendere sulle cime che i flutti non hanno raggiunto.
Questa chiusa fortemente contraddittoria non pu certamente
essere interpretata in senso consolatorio, n come
spregiudicatamente mossa dall'ebbrezza che accompagna ogni
distruzione: essa va piuttosto approfondita nella sua
contraddittoriet.
Ma pensare la contraddizione ingiunge l'abbandono della posa
prospettica considerando anche come l'assunto antropocentrico
del discorso tecnico acceleri la catastrofe.
Sollecitando una visione d'insieme, Jnger accenna
all'ineffettualit dello scavo storico fondato sulle metodologie
delle scienze dello spirito. Torna utile qui riprendere un passo
dell'Operaio illuminante della questione gi allora: Una forma , e
nessuna evoluzione l'accresce o la diminuisce. Perci la storia dell'evoluzione
non la storia della forma, ma tutt'al pi il suo commento dinamico [...]. Da
ci dipende il fatto che il problema del valore non quello decisivo. La forma,
come va ricercata al di l della volont e al di l dell'evoluzione, cos si trova
anche al di l dei valori: essa non possiede alcuna qualit.
E' infatti consustanziale al prospettivismo moderno
l'attribuzione di significati fondati sulla capacit estensiva del
giudizio, sulla sua efficacia valutativa (il valore come positum della
volont di potenza).
Come pensare allora lo sguardo d'insieme che Jnger
suggerisce senza fraintenderlo come l'estrema, tardiva
riappropriazione di ci che il soggetto ha ormai da tempo
dimenticato di abitare?
Si pu tentare di chiarire la domanda, se non proprio di
assicurarci la risposta, ricorrendo ad un passo conclusivo delle
Cacce sottili: La scomparsa degli animali uno spettacolo che si ripete [...].
L'universo acquista nuove figure e smarrisce quelle antiche, ma non esaurisce
mai la forza inesauribile che genera ed annienta. Quando guardo le rondini,
mi assale la tristezza; non per quando sposto un poco lo sguardo e lo rivolgo
al crinoide appeso al davanzale della finestra. Fu scavato fuori, con uno
scalpello, dallo scisto nel quale era rinchiuso da centinaia di milioni di anni.
Un'eco di vita proviene dall'insperato, dall'insospettato. Il destino della
rondine intrecciato con il nostro, non quello dell'archeopterix. Nel primo
caso il dolore ad a commuoverci, nel secondo, la pienezza della vita.
Qui lo sguardo sinottico procede palesemente dalla rimozione
di ogni inclinazione umanistica e verso una sospensione della
facile celebrazione del vivente in cui inevitabilmente si finisce per
riconoscere la propria proiezione.
La sinossi dell'antinomia si rifiuta cos ad ogni
accondiscendenza vitalistica attendendo appunto ci che si sottrae
all'espressivit della forma: l'inaspettato, l'inespresso inteso come
l'offrirsi della memoria arcaica della Terra.
Appare ovvio come questa possibilit inedita esuli da ogni
iniziativa rappresentativa del singolo, anche se proprio al singolo
viene demandato l'oltrepassamento del nichilismo. Jnger confida
infatti sulla trasformazione artistica dello sguardo, l'unica via che,
niccianamente, restituisca alle cose innocenza, cio quella
leggerezza luminosa della parvenza, redimendole dagli schemi di
scopo con cui la volont di verit le attraversa fino
all'annientamento. Solo nell'esercizio minimo della distanza dato
poter cogliere l'attimo che sospenda l'adesione ingenua alla natura
ricollocandola nell'intatta estraneit di un evento ingiustificabile,
nella salvaguardia della venerazione.
A questo motivo fondamentale penso si riferisca Jnger
descrivendo la topologia transcosciente del ritorno: Un'immagine
vuole spezzare i confini che il concetto aveva tracciato per restringerla e
definirla. Lo spirito, che lo voglia o no, deve prenderne atto, se non vuole
capitolare di fronte ai fenomeni. Estendendo i confini pu di nuovo
comprendervi quell'immagine. L'errore non stava nel mondo, ma nel nostro
occhio, nel nostro intimo. E' un salto che ci riporta indietro, verso l'origine.
Oltre a sollecitare una elaborazione simbolica dell'immagine, il
ritorno pu anche essere inteso non tanto come la riproposizione
dell'identico all'interno di una temporalizzazione ciclica del
divenire, quanto invece come il riconoscimento dell'inconoscibile
dell'origine in ogni cosa che . L'antico Thauma, e il carattere di
urto con cui viene alla presenza, tende piuttosto a spezzare
l'antropomorfismo del dato, sospendendo il processo
ermeneutico e legandosi impercettibimente all'oblio.

Concludendo
Riflettendo sul senso generale della propria passione
entomologica, Jnger scrive: Gi che cosa che fa la gioia in queste
scene di caccia? Perch acquistare migliaia di ideogrammi e innumerevoli
rune? Non per la bellezza, perch molti di questi animali non hanno un bel
aspetto; non nemmeno per la gioia di vedere e conoscere ci che gli altri a
malapena conoscono e sanno guardare. Si dimentica tutto questo negli istanti
in cui risplende l'armonia. Dietro alla molteplicit, di qualsiasi specie essa
sia, si nasconde un mistero. Ma la stessa composizione fa cenno verso
qualcosa di completamente diverso. Quando il lettore lo ha compreso,
interrompe la lettura per abbandonarsi alla gioia di un'intesa muta.
Jnger consapevole che salvare la potenza simbolica
dell'immagine -la forza legante, espansiva della forma- l'ultima
possibilit per riportare l'uomo al cospetto di dimensione
cosmiche.
Lungo le Cacce sottili compare spesso il riferimento allo
Schwrmen (l'andare in estasi): il prodigio erotico della natura che
si risveglia, e attraverso la compartecipazione di animali, piante,
colori, profumi, testimonia dell'inapparenza donativa ripiegata e
vibrante negli strati dell'esistente: Se le piante da fiore, manifestandosi
nella loro inesauribile multiformit, fanno l'effetto di una violenta eruzione
dell'Eros cosmogonico, in questo attrarsi e fondersi insieme di organi animali
e vegetali, dischiude un tratto insondabile, indecifrabile di Madre Natura
[...]. L'unione di esseri cos lontani attratti l'uno verso l'altro il segno di un
desiderio nuziale, di una scintilla che si accende in tutti gli oggetti all'inizio di
una perpetua festa d'amore. Vedere l'invisibile festa non dato
ovviamente dall'occasionalit di uno sguardo ben intenzionato che
confidi nell'immediatezza dell'esperienza: , ancora una volta, la
necessit del cammino alla forma che impone un esodo da se
stessi, una conversione senza tinteggiature 'catechistiche' ma
metaforicamente pragmatica: una con-versio dell'occhio cieco
della mente l'azione contemplativa jngeriana, molto vicina, in
questo al rovesciamento prospettico del pittore d'icone: le forme
non defluiscono dal centro luminoso dell'occhio ma irraggiano
dalle proprie regioni ontologiche come punti-eventi in s
illuminanti, costruiti di luce e non illuminati dall'esterno. Il pittore
d'icone deve muoversi nelle forme, trasportarsi all'interno della
forma ripercorrendone le linee germinative ma insieme, coglierne
sinteticamente l'integrit.
La straordinariet di questo atteggiamento stilistico si avverte
nella estrema capacit di disvelamento della realt. Essa riesce,
attraverso il controllo e la calibratura dell'immagine, in uno spazio
limitato, a restituire il movimento istantaneo di molteplici
accadimenti singolari. Tuttavia ogni singola forma pur se
rappresentata nella precisione dei suoi contorni non si esaurisce
nell'accidentalit di un puro epifenomeno. La concentrazione sulla
particolarit costruttiva riesce ad estenderne non la forma ma il
raggio di influenza di quest'ultima -le linee di sviluppo potenziali-
sul resto della rappresentazione, ottenendo compositivamente una
totalit in s conchiusa. Ma questo grado di realismo non
assolutamente avvicinabile al semplice artificio di una
decalcomania con cui l'ideologia di realt pretende di risolvere il
problema della rappresentazione. La rilevanza va invece
sottolineata nella posa assolutamente non mimetica
dell'osservatore: l'uomo al centro senza farsi esso stesso centro.
Se ci viene restituito cos tangibilmente il senso dell'immagine
tanto da avvertirne l'apertura ontologica, lo dobbiamo allo
spostamento all'interno della scena dell'osservatore. Jnger mostra
perfettamente come la sospensione di ogni interferenza
psicologica nella composizione della sensazione, non limiti le
possibilit rappresentative dell'ulteriorit sensibile a condizione
per di un'attenzione costante alle modalit entro cui la
sensazione si d, che presuppone a sua volta, a parte subiecti, il
mantenersi esposto all'evento nella lacerazione del confine dello
spazio proprio. Difatti nell'immagine restituita non possiamo
individuare un criterio gerarchico di organizzazione delle forme,
ottenibile unicamente con la messa in prospettiva del campo
visivo. Ma altrettanto poco ci troviamo di fronte ad una pittura
impressionistica, atomizzata. Allora ci vuol dire che la
rappresentazione ha raggiunto il suo scopo: riuscita a
testimoniare il senso invisibile imminente nell'immagine in un
blocco di puro affetto che promuove la comunicazione di
quell'incomunicabile che resta la sensazione di dono del reale, il
miracolo per cui ogni cosa che , anzitutto un accadere, un darsi.
Da qui l'insistenza con cui Jnger denuncia l'impoverimento
formale del moderno. E' una polemica irriducibile al registro
sociologico o estetizzante: le forme simboliche sono luoghi da
interpretare, soglie dell'invisibile che mostrano il cammino
dell'arrischio che il soggiorno umano sulla terra.
L'esperienza entomologica testimonia della serenit di uno
sguardo non pregiudiziale sulla natura e che, sull'orlo della sua
distruzione, illuminata dalla luce del tramonto, ci viene restituita
nella sua incontaminata purezza. E' quella particolare ilaritas che
presiede al pittore di beati giardini paradisiaci dove si danno corpi
semplici, perfetti nell'assenza di ogni espressivit.
Penso che approfondire l'eredit di questa meditazione sia
innanzitutto mantenere la duplicit dell'interrogazione, o meglio,
sopportare la tremenda domanda muta che, all'interno della
catastrofe, la Terra ci rivolge in un'intatta perfezione.
In un passo dei 'Diari' della II Guerra Mondiale Jnger parla
di un fenomeno fitologico secondo il quale alcune specie di fiori
(Nyctagenariae) acquistano uno splendore incomparabile in
concomitanza della luce crepuscolare. Jnger aggiungeva come
questo fosse da tempo elemento di inquietudine.
Noi sappiamo in generale che l'inquietudine accompagna
l'attesa dell'ignoto.
Potrebbe invece essere plausibile che l'ignoto pi inquietante,
in quanto figli della Terra, ci sia gi da sempre consegnato in tutto
ci che passando anche .

Luigi Ranzani

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