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D I
LEON BATTISTA ALBERTI
4^-
A L NOBILE SIGNORE
MARIO MORI-UBALDINI
CONTE A L BE R TI
CA V A L I E R PRIORE D E L L 'O R D I NE D I 8ANTO STEFANO
HSSENDOMI prefisso di pubblicare tutte
l e Opere edite ed inedite scrtte in
v o l g a r e da L E O N BATTISTA A L BE R TI , i l
cui illustre Nonne Voi avete ereditato
coli' amore ad ogni sorta di lodati studi,
non avrei potuto mandare ad effetto
il mio p r o p o n i me n t o , specialmente
in F i r e n z e , senza cbe l e medesime
Vi venissero i nt i t ol at e; appartenendo
di diritto e di giustizia alla Vostra
Gasa di dover entrar compartecipe a
qualunque onore si faccia a questo
quale
quand
patria
illustra l'E uropa ed il mondo. Ma se
. 1 .
questo secolo andr famoso ne posteri
per aver Voi finalmente eretto un
marmoreo monumento ai mani del
gran Genio del secolo decimoquinto,
uscito dalla nobilissima Vostra G e nt e ,
non piccola lode spero eziandio che
abbia a conseguitargli per avergliene
inalzato u n a l t r o , pi perenne del
bronzo, nella pubblicazione delle sue
O pere immortali.
Vi sia raccomandato il
: A lflC K ) BOKOCCI
D E L L A VITA
K
D E L L E O P E R E
D I
L. B. A L BE R TI
DISCORSO.
JCJCCOCI dinanzi ad uno di quegli uomini, il cui
portentoso genio e la cui immortale dottrina possono
far meglio stupire che maravigliare. Imperciocch,
tanto coli' onnipotente suo ingegno tutte le provincie
dell' umano scibile trionfalmente peregrin, che a
leggere le sue opere, le diresti frutto delle medita-*
zioni di pi sapienti e di pi secoli, piuttosto che di
un solo e di sola un'et. Queste nostre parole ri-
volgonsi a quel divino LEON BATTISTA ALBERTI, prin-
cipe della schiera de' pochi prosatori italiani del se-
colo XV , uno de'principali ristoratori dell'italiana
eloquenza, la quale dopo la morte del Boccaccio
si sa come andasse decaduta per l'irragionevole
opposizione fatta al nuovo volgare, dai letterati del
quattrocento, onde tenere in seggio un gergo che
A L BE R TI , T.l. b
X
essi osavano dir latino, ed uno de' principali final-
mente a far risorgere le arti, per l'inondazione dei
Barbari, venute anch'esse in deplorabile corruttela,
e quasi al tutto spente; mentre colle sue opere ri-
chiamandole a nuova vita, primo di tutti, cui vo-
lesse battere quella gloriosa via, mostrava co'suoi
scritti come vi si potesse venire in fama immortale.
N al gran riscatto procedeva egli colle sole
parole, ma come colui che ben sapendo quanto alle
teoriche fossero propizi gli esempi, alle sue disqui-
sizioni sulla statuaria, pittura e architettura, le
opere della pratica ancor v'aggiungeva, mentre e pit-
ture e statue ed edilizi e getti e lavori di bulino pur
fece (*). Oltre di che fu matematico e filosofo valen-
tissimo, e molto prode poeta. Anzi tanto per ogni
lato tutti i confini dell'umana sapienza tocc, che
l'immenso suo ingegno, certo pu dirsi, altro limite
non avere avuto, che quello, per cos dire, insupe-
rabile entro cui furono circoscritte le menti de' mor-
tali. Il perch fino che il mondo star e si avranno
io pregio i lodati studi e le arti, Italia andr superba
di essere stata madre ancor di questo Grande, per
far nuova fede alle genti, come dal felice suo grembo
uscissero in ogni tempo fulgidissimi ingegni da rag-
giare nel mondo il benefico lume di quella vera sa-
pienza che pi presto pu condurne alla meta della
sospirata civilt.
(*; CBISTOFOBO LANDINO, Apologi de* Fiorentini, pag. 164.
XI
N sia chi creda il nostro dire dottato da so-
verchio affetto o da prevenzione, che ove il lettore
voglia farsi a considerare le opere dell'insigne, da
noi ora per la prima volta raccolte e moltissime di
esse ancor per la prima volta pubblicate, facilmente
crediamo come egli abbia a venire nella nostra sen-
tenza, la quale vogliamo fin d'ora mandar confor-
tata dell' autorevole giudizio d' un Poliziano, che scri-
vendo a Lorenzo il Maguifico dei pregi dell'Alberti
diceva, come le sue lodi non una lunga orazione
non che una lettera avessero potuto comprendere,
nulla essendovi per lui di si astniso e recondito che
non gli fosse chiaro ed aperto, rimanendo in forse,
se pi nel verso valesse che nella prosa, e se pi
gravi, pi solenni o pi tersi fossero i suoi discorsi.
Oltre di che, cos scrut egli le cose degli antichi,
che tutta la ragione d'architettura di essi non solo
stupendamente comprese, ma le produsse ancora ad
utile esempio. E aggiungasi che macchine ed aotomi
moltissimi non solo invent, ma ancora maniere
bellissime di edifizi oper, essendo stato di pi, pit-
tore e statuario di singolare valore, onde fia meglio
di lui tacere che non dirne abbastanza (*) .
Nasceva adunque Leon Battista Alberti, fioren-
tino per genitori e casato., in sul cominciare del
secolo XV in Venezia, dove la sua famiglia s'ebbe
(*) V edi Apfxmdice N. I .
XII
a riparare dopo la cacciata dalla sua patria, frutta-
tale per amor di libert. Noi non volemmo precisare
la sua nascita al 1404, siccome fece Pompilio Poz-
zetti, e dietro lui altri ancora, perch, se le ragioni
che lo inducevano a stabilirsi in siffatta opinione sono
dall'un canto ingegnose, e bisogna anche dire pro-
babili molto, dall'altro d'uopo ancor convenire,
che trattandosi di date, anche la maggior probabilit
non pu pienamente sodisfarne, ma vi si vuole pa-
tenie irrepugnabile certezza. Ci nondimeno fra i
documenti che accompagneranno questo discorso non
mancheremo di tutti riferire eziandio i titoli che
concorsero a far venire il Pozzetti nella summento-
vata credenza, perch, cui piacesse, possa a suo ta-
lento seguitarli (*).
Ritornando ora all'Alberti, suo padre come quello
che tutto amore era pe'suoi figlioli, e molto solle-
cito della loro educazione, come in pi luoghi delle
sue opere lo stesso Leon Battista asserisce (**), non
appena lo vedeva aggiunto a quell'et, in cui so-
gliono le giovinette menti informarsi agli studi della
sapienza, tosto qual si conveniva al suo nobile li-
gnaggio lo faceva ammaestrare. Ma considerando
come dalla robustezza del corpo forza acquisti l ' i n-
telletto, l'avveduto genitore, nella lotta, nel corso ed
in altre ginnastiche lo esercitava, si che ben presto
il cresciuto garzonetto poteva mostrarsi assai va-
(*) Vedi Appendice N. I I .
(**) Fra le altre nel libro Della comodit e incomodit delle lettere.
XIII
loroso, e neir armeggiare e nel maneggiare cavalli
e nel resistere al corso e nella danza e nella lotta,
narrandosi, che un dardo lanciato dal suo poderoso
braccio, forza avesse persino di trapassare qual sia
pi forte corazza (*). Pervenuto quindi a quell'ora
in cui all'ingegno dello studioso alunno abbiso-
gnano pi sostanziali studi, ecco il padre mandarlo
a Bologna, onde apprendere in quella celebre Uni-
versit le umane lettere, nelle quali se l'Alberti
profittasse lo dicono e sempre diranno i suoi bellis-
simi scritti. N solo in quel famoso Ateneo attendeva
a queste discipline, ma come egli stesso e l'Anonimo
del secolo XV , che ci lasci una vita di lui molto
elegantemente distesa nella lingua del L azio, ci af-
fermano, ancor vi dava opera alle leggi (**), e con
tanto fervore e assiduita che la fatica del soperchio
studio ebbegli a causare una molto grave infermit
di languore. Per forma che i medici a volerlo resti-
tuire a sanit, ebbero a comandargli la sospensione
di que' gravi studi, come quelli che furono da essi
riconosciuti unica cagione del male. E il precetto dei
medici riusciva assai giovevole all'Alberti, il quale
ritraendone gran vantaggio, poteva indi a non molto
riaversi da quella fiera malattia. Se non che l'amo-
re immoderato che egli portava/agli studi, ancor in
questo frattempo s forte in lui faceva sentirsi, che
essendo tuttavia in cura, e prima che interamente
(*) Vedi Appendice N. I I I .
(**) V. App. N. HI e IV.
XIV
uscisse di convalescenza, a sollievo dello spirito
avendo ricorso alla dolcezza delle muse, sua fer-
vente passione, toccando allora il ventesimo anno (*)
scrisse in latino uno scherzo comico intolato Filo-
dossio, parola composta di due greci vocaboli im-
portanti atnator della gloria, dove sotto il velame
d'una molto ben concetta allegoria rappresentando
se stesso, s'ingegnava a mostrare, come lo stu-
dioso e sollecito, ugualmente cbe il ricco e felice
potesse divenire glorioso (**). Ma l'operetta sottrat-
tagli di furto da un suo amicissimo e famigliare, in
poche ore trascritta e all'insaputa di Leone man-
data fuori (quantunque ripiena d'errori seminativi
dal frettoloso ricopiatore, i quali per sovramercato
crebbero ancora di mano in mano che da altri ne
fu fatto esemplare}, non appena se ne fu impadronito
il pubblico, che tatti lodandola a cielo, non sapen-
dosene l'autore, l'ebbero senz'altro per cosa antica
e stupenda (***). E siccome il giovine scrittore alcuna
volta dava al suo Filodossw il nome di Lepido, per
mostrare lo scherzo da che originava il componi*
meato, ecco tantosto gli onniveggenti antiquari creare
di pianta un Lepido antico suo autore, quantunque
di nessuno scrittore di questo nome parlasse la
storia delle latine lettere. Nuova prova che ci am-
maestra cosa possono essere molte volte le in ter-
(*) Non maiori annis XX. nnos non plu s v iginli. App. N. I I I .
(*) Vedi Appendice suddetta.
(*) Vedi App. N. IV.
XT
prelazioni di questa pi che sovente 9ognatrice schiera.
Del quale granchio ciascuno pu credere se poi l'Al-
berti in cuor suo ne dovesse mattamente ridere; il
quale per vedere anzi fin dove giungesse il costoro
abbaglio, essendosi saputo come da lui provenisse
la celebrata Favola, e interrogato d'onde l'avesse
diseppellita, ed egli asserendo da un antichissimo
codice, di tanto crebbe il fanatismo per la pseudo-
antica Commedia, che tutti trovandovi il sapore e
il sale plautino, quantunque scritta non in verso n
spartita per atti, la sentenziarono assolutamente per
lavoro di autore de' buoni secoli; il perch gir trion-
falmente tutta Europa. Sennonch in Germania Al*
berto d'Eyb, canonico di Bamberga, se al suo giu-
gnere le faceva grata accoglienza, ritenendola per
cosa molto elocubrata e lodevole, non poteva per
averla per cosa d'antico, ma l'ascriveva invece al
celebre Carlo Marsuppini d'Arezzo (*), segretario della
(*) CABLO MARSUPPINI nacque nel 1399, e fu uno de' primi letterati
del secolo XV. Datosi per tempo allo studio delle greche e latine
lettere, ben presto vi sal in distinta eelebrit: e tanto fu caro per la B*a
dottrina a Coslmo de' Medio! e a Lorenio suo fratello, che secoloro
vollero condurlo a Verona, ove stettero alcun tempo, causa la peste
che affliggeva Firenze. Ma ritornatovi alfine e fatto pubblico professore di
Rettoria e Belle L ettere, si grande fa 11 favore ohe ottennero le sue
belle lezioni, che ad udirlo andavano I pia nobili personaggi, lo che dest
Tiofidia de'suoi emuli, fra'quali 11 Fllelffl, che come si vede da un
suo poscritto in una lettera ch'egli mandava a Lorenao il Magnifico per
offeritegli di scrivere con franchezza la storia della famosa congiura
de'Pazzi, parlandovi di Carlo lo chiamava con derisorio soprannome Carlo
Malcolore. Fu, Carlo, segretario della Repubblica fiorentina, nel quale
ufficio succedette al celebre Leonardo suo concittadino e mori di anni 8 4,
XVI
Repubblica fiorentina, e famoso a quel tempo per
greca e latina letteratura, stampandola nella sua
Margarita Poetica fra le commedie de' secoli po-
steriori da lui chiamate straordinarie, e facendo
eletta delle sue molte belle frasi per proferirle in
esempio della pi squisita latinit. La qual cosa ad
ogni modo ognun vede come ritorni a lode, e non
piccola, di Leon Battista nostro, il quale se al rigido
tribunale della moderna critica (dice molto giudizio-
samente il Pozzetti) non otterr in oggi un favore-
volissimo voto sul suo Filodossio, pure bisogna con-
venire che rispetto ali' et in cui egli la scriveva,
poich solo quattr'anni appresso si poneva alle scienze
sublimi 0 , la cosa non pu non meritar somma lode.
Laonde troppo austero ci parve il sig. Renouard
quando semplicemente ne disse (**) essere il Filo-
dossio un men che mediocre lavoro, tanto riguardo
all stile che alla condotta ; e assolutamente poco
istrutto e confuso, quando soggiunse: avere alcuni
preteso essere desso, opera di Leon Battista Alberti,
nato nel 1404 e morto verso il 1480, o di Alberto
de Albertis, architetto fiorentino e commentatore di
11 di 24 d'Aprile del 1453, avendogli solenni eseqaie decretate il Senato
fiorentino ; e Matteo Palmieri eletto a fargli I' orazion fanebre, lo co-
ronava poeta nel feretro. Ci restano di lai varie opere eruditissime,
ed anche opinione di vari scrittori, che egli abbia molto lavorato sai
poema di Silio Italico.
() V. Appendice N. IV.
(**) AnncUes de V imprimerie des A L D B, Tom. I I , pag. 156. A Pa-
r i s , chez Antoine-Augustln Renouard, MDCCCXXV, in-Svo.
XVlf
Vitru v io , mentre in oggi si sa chiaramente come
il sole, il suo autore essere veramente Leon Battista,
il quale non coment, propriamente parlando, Vitru-
vio, ma lo illustr nella sua architettura, dichiarando
pi lucidamente alcuni passi alquanto oscuri di esso,
onde merit il nome di Vitru v io fiorentino.
Ma ripigliando il filo del nostro discorso, restau-
ratosi l'Alberti dalla sua malattia, di che gi si disse,
e volendo poco dopo far prova di ritornare agli studi
legali che aveva intermessi, eccolo nuovamente ri-
cadere nella stessa infermit, per cui ebbe questa
volta a ridare un addio alla visibilmente a lui nemica
giurisprudenza per non ripigliarla mai pi, sostituendo
alla medesima le matematiche e la filosofia, nelle quali
fece s mirabili progressi, anzi dove tanto avanz,
che lasciatisi molti indietro, non fu certamente supe-
rato allora da nessuno.
Restituito intanto Cosimo de' Medici alla patria
e riassunte le redini del governo, una delle sue prime
cose fu quella di richiamare ancora la famiglia degli
Alberti; la quale ritornata in Firenze, e volendosi dal
principe rallegrare la citt afflitta dalle miserie delle
continue guerre avute con Filippo Maria Visconti
duca di Milano, vedevasi Leon Battista proporgli un
pubblico letterario certame, con premio di una co-
rona d'alloro foggiata in argento, da donarsi a
quello de' campioni apollinei che in qualunque genere
di versi, ma volgari, avesse meglio dette le lodi della
A L BE R TI , T. l . O
XV III
sincera amicizia (*). E l'albertiano concetto, spalleg-
giato da Piero figliolo di esso Cosimo, tosto avendo ef-
fetto, in Santa Maria del Fiore, perch pi decoro acqui-
stasse la letteraria gara, si vedeva dischiudere l'aringo.
Ma la disputata corona nessuno de' combattitori ot-
teneva , perch giudicatosi che alcuni componimenti
i quali sopra gli altri si distinsero, fossero di ugual
merito, alla chiesa veniva dagli arbitri lasciato il
conteso guiderdone. La quale sentenza fu per altro
generalmente ripresa ; perch dovendo ad ogni modo
il premio essere d' uno de' dicitori, e del migliore di
essi, non fu al certo dai giudici serbato il mandato.
Per, checch ne fosse, tutti godranno del vedere, come
una volta si riconobbe poter le lettere essere chia-
mate a consolazione degli animi afflitti ancora da
pubbliche calamit. N la storia ci tacque i nomi dei
dotti campioni, i quali furono, Michele di Noferi del
Gigante, Francesco (HAltobianco degli Alberti, Antonio
degli Agli, Mariotto d'Arrigo Dav amati, Francesco
di Bu onanni Malecarni, Benedetto di Michele d'Arezzo,
Leonardo di Piero Dati e Anselmo Calderoni, araldo
della Signora di Firenze (**) ; e giudicatori i Segrotari
di Eugenio IV, eletti per fare onore a quel pontefice
che allora si ritrovava in Firenze. Ma se questo primo
certame non tornava a intera gloria de' letterari ca-
valieri, Leon Battista senza sgomentarsi, un altro ne
(*) V edi Appendice N. I V e V .
(**) Cosi 11 dod. N. 34, pf ot . 41 della LaarenzJana. I l P O ZZE TTI :
Conte d> Vrbino. - V . App. !. V .
XIX
proponeva suH' Inv idia, torse perch nel non conferire
il premio hi quel primo concorso, questa maledetta
dov avervi parte : e il motivo perch il secondo non
avesse effetto, potr il lettore raccoglierlo da queste
parole dello stesso Leon Battista, che si legger
nel suo libro Della tranqu illit dell'animo che ora da
noi per la prima volta vien messo alla stampa, e dove
fa dire ad gnolo Paradolfini, a proposito dell'invidia!:
Ma quanto ella possa ne' nostri animi, assai ne scris-
se '1 tuo Leonardo trgico (*), uomo integrissimo
e tuo amantissimo, Battista, in quel suo Iemsale (**);
quale egli apparcchio per questo vostro secndo
certame coronario (***), istituzine ottima, utile al
nome e degnila della patria, atta a esercitare pr~
diarissimi ingegni, accomodata a ogni culto di buoni
costumi e di virt. Oh lume de
9
tempi nostri ! Oh or-
namento della lingua toscana ! Quinci fioriva ogni
pregio e gloria de' nostri cittadini. Ma dubito non
potere, Battista, recitare vostra opera: tanto pu la
invidia in questa nostra et fra i mortali e perver-
sit! Quel che niuno pu non lodare e approvare,
molti studiano vituperarlo e interpellarlo .
(*) LENAB DO DI PIETRO DATI, era nel 1488 canonico di Firenze. Scrisse'
motte cose in prosa ed in verso, assai lodate dal dotti suoi contemporanei;
Fu Segretario di Callisto I I I , di Pio II e di Sisto IV> e nel 1467 era Ve-
scovo di Massa. Il Mehus pubblic nel 1743 molte lettere di lui. Fu il
Datf ancor Notalo, pi*hn che avesse le dette dignit eccleslastiche, e setti
il BvrcMeito da procuratore nelle sue domeniche liti.
(**) una tragedia tuttavia a penna, di cui parla LEONARDO AHETINO,
Llb. IX , Episl. VII.
(***) Daa corona di' che gt si disse-
fc
Recatosi quindi Leon Battista a Roma, quivi
nella lingua latina ponevasi a scrivere il suo MomoC),
opera a dialogo, dove intese a formare un ottimo
principe, e dove sparse molti solenni insegnamenti
ed assai argute piacevolezze. E questo titolo le dava,
perch da Momo (principale collocutore, inquieto e
turbolento iddio, sotto il quale flguravasi dagli anti-
chi la maldicenza)^ tutta la macchina, gli avvenimenti
e gli episodi del componimento hanno origine. Bene
scolpiti sonovi i caratteri degli altri personaggi che
compongono tutta la filosoflca e insieme lepida sce-
na, la quale talvolta partecipa del lucianesco, con
molto profitto e diletto di chi legge. Vedesi in esso,
Giove, in cui rappresentato il principe, assediato da
pessimi cortigiani che tentano di farsi signori del
suo animo, lungamente titubare incerto fra i vizi e la
virt; e gli adulatori v'hanno anch'essi la loro.
Se non che in tale materia l'Autore se la passa un
po' troppo di liscio, contentandosi solo di dire, che
avendo i poeti comici flagellato abbastanza la peste del
costoro vizio, non istar a dirne altro, forse nella
temenza che addentratosi in siffatto ginepraio, come
avrebbe dovuto il filosofo, fossero per venirgliene
maggiori inquietudini e perturbazioni di quelle con
cui gi, e non poco, era dagl' invidiosi tribolato. Ma
comunque ci s i a, chi die di piglio alla penna per
uscire a campo contro il vizio, da nessuno sgomento
: i .
(*) 11 Momo fu composto dall'Autore a Roma oel 1451.
XXI
deve andar trattenuto del non perseguitarlo per ogni
verso e sino agli estremi. Il perch non cos avendo
questa volta adoperato il nostro Alberti, panni non
potere egli sfuggire da un po' di rimprovero; mentre il
filosofo che voglia ottenere parole di giusta e intera
lode, dovrebbe schivare persin l'ombra del pi leg-
gero sospetto di vilt. Tuttavia ne piace sentirlo dire,
nel secondo libro di questa sua bell'opera, che se
l'uomo fra quanti sono animali nel mondo il pi
intollerante di servit, deve eziandio porsi mente come
egli sia ancora il pi inchinevole e dedito a man-
suetudine e docilit; che il reggere gli stati non
cosa da pigliare a gabbo, n impresa da tutti; e che,
se i bruti, e quelli fra essi che sono pi selvatichi, si
governano domati da lunga consuetudine, e mediante
una specie di disciplina si tengono insieme, non si
dovr con men arte e ragione governare gli uo-
mini , i quali sono nati a essere socievoli pei co-
modi e vantaggi della vita. E ci tanto pi, in quanto
che spesso si pot ancora vedere che il volgo spon-
taneamente obbedisce a chi cose oneste gli comanda.
E parimente bellissima la pittura che egli vi
fa della vita de' furfanti, le cui pessime arti sono
dalla sua filosofia smascherate colla pi patente verit,
e nel tempo stesso con lepidissima satira.
Cos l'Alberti non trascurava neanche un'altra ma-
niera d'eloquenza, e forse ancor pi difficile, ne' suoi
Apologhi, quale la didascalica, ove, come ben avverte
il Pozzetti, non s frequente l'abbattersi in esemplari
XXII
che meritino un'intera commendazione. Per qui,
come pu vedersi dalla stessa lettera con cui il me-
desimo Leon Battista g' indirizzava a Francesco Ma-
rescalchi, il nostro Autore riconosceva di per s un
difetto che ne'medesimi veramente si trova, ed un
po' d'oscurit ; nel quale vizio inciampava a volere
essere brevissimo; e fors'anco per avervi voluto
fare alcuna satirica allusione da non essere da tutti
intesa.
Ma, se non tanto dilettevole ed utile riesci va
in questo genere di componimenti, non cos era
nelle Piacev olezze Matematiche, le quali, quantunque
distese in un sistema non interamente perfetto n pie-
namente dedotto, pure i suoi problemi meritano molta
lode. E certo faranno ognor fede di quanto valesse
l'Alberti nella geometria e il suo metodo per conoscere
l'altezza di una torre di cui si veda soltanto la cima,
e l'equilibra o livello a pendolo da lui trovato per li-
vellare i terreni e le acque correnti, ed il modo ch'egli
propone per misurare, cammin facendo, la distanza
tra que' luoghi ove non possono spingersi le visuali,
e finalmente la stadera a bilico, modello della mo-
derna bascule. E giacch trovo nelle note, di che il
celebre Giambattista Niccolini corred il suo eloquen-
tissimo elogio di Leon Battista, una molto sensata
analisi di un valente matematico, il cui nome ci
dispiace sia taciuto per non potergli retribuire quelle
parole di lode che il suo molto assennato giudizio
meriterebbe, non sar discaro neanche al nostro
XXIII
lettore di qui ritrovarla, Le Piacev olezze Matema-
tiche dell'Alberti, dice adunque l'anzidetto scienziato
anonimo, non formano un'opera metodica e dedotta,
ma una raccolta di Problemi modellati secondo il gusto
del tempo, altrettanto facili nella loro esposizione, che
per la loro intelligenza. Egli incomincia con alcune
applicazioni pratiche della dottrina dei triangoli simili
alle loro altezze e distanze accessibili ed inaccessi*
bili, valutati i rapporti dei loro lati ed omessi i pi
complicati fra i loro angoli ed i lati stessi. Seguono
gli altri sulla profondit; fra i quali da notarsi il
modo di rilevare quella d'un fluido in quiete, dal
tempo impiegato da un galleggiante per affondar visi
e per restituirsi alla sua superficie; idea che ha cer-
tamente suggerita l'altra d'una certa importanza in
Dinamica, di misurar delle profondit simili col suono.
Meno felici sono le indagini sulla misura del tempo
colla combustione, supposta regolare, d'alcuni corpi,
colla fontana d'Erone, col gnomone verticale, coll'os-
servazione delle stelle circompolari, gli uni fra questi
mezzi essendone incapaci per loro stessi, gli altri per
il modo della loro applicazione. La misura delle su-
perficie piane che ne succede, limitata ai terreni,
un succinto epilogo dei soliti canoni rammentati
dal Golumeila e dal Fibonacci. Vequ ilibra o livello a
penduto, offre all'Autore degli argomenti pi -distinti,
sia per livellare i terreni, le acque correnti, o c . ,
sia per rilevare i rapporti di due pesi distinti, sia
pel maneggio dei raortari, per la direzione dei loro
XXIV
colpi, ec. La stadera a bilico per valutare i pesi,
un ingegnoso ritrovato, modello alla moderna ba-
scu le, e l'odometro, o compasso itinerario, prevale per
la semplicit, per l'economia, per la fiducia a quello
ideato dall'Accademia del Cimento, che il celebre
Ramsden si fatto proprio. N l'applicazione di que-
st'odometro, consigliata dall'Autore per definire la
velocit di una nave in corso, prevarrebbe meno
sull'uso incerto dei lock ordinarii ci che quindi sug-
gerisce per misurare l'azione del vento sopra una
vela, capriccioso, e manca di fondamento e di re-
lazioni. Il libro termina coll'esposizione del problema
idrostatico della Corona, che l'Autore estende alla
valutazione del peso de' corpi, insistendo nella dot-
trina dei galleggianti, nota dopo Archimede .
E questa bella esposizione delle Piacev olezze
Matematiche di Leon Battista nostro, volemmo noi
riportare per intero, anche perch si vegga se in esse
contengansi cose di nessu na entit, siccome scrisse il
sig. Dott. Giovanni Gaye alla pag. 146 del suo primo
tomo del Carteggio inedito d'Artisti dei secoli XIV,
XV e XVI, pubblicato in Firenze nel 1839 colle stampe
del chiaro letterato e non meno illustre tipografo
sig. Giuseppe Molini. E qui l'occasione richiede, che
si dica eziandio come il d'altronde benemerito ed
erudito sig. Gaye pigliasse un abbaglio, quando a
pag. 345 del detto Carteggio e dello stesso volume,
asseriva l'opera dell'Alberti, della quale si parla,
essere tuttavia inedita, mentre ritrovasi essa gi
impressa fra gli Opu scoli morali di Leon Battista,
fatti stampare da Cosimo Bartoli in Venezia nel 1568,
in un con la Lettera con cui l'Alberti l'intitolava
al Marchese Meliaduse d'E ste, la quale credeva il
Gaye di avere egli, nel detto suo libro, per la prima
volta resa di pubblica ragione. Per non solo il
Bartoli l'aveva pubblicata, ma dal Pozzetti ezian-
dio nel 1789, alla pag. 18 della seconda numerazione
del suo lodatissimo Elogio di Leon Battista, ma stata
pur riprodotta. Se non che hisogna saperne grado al
moderno editore, per averla pi degli altri due data
corretta ed intera.
Ma T operetta che ora ci si appresenta, come
tutto manifesta il candore e la mitezza del gen-
tilissimo animo di Leon Battista ! Stesa in dialo-
g o , interlocutori Togenio e Microtiro, subietto la
repubblica, la vita civile e rusticana e la for-
tuna, tu lo senti ragionare con s filosofica e lu-
singhiera parola, da rimanerne preso e vinto: e
di quanto diciam noi, sia questo un esempio. En-
trato col suo discorso intorno alle ricchezze, Le
ricchezze tue, o Tichipedio, non niego, sono orna-
mento alla patria e alla famiglia tua, non quanto tu
le possiedi e procuri, ma quanto tu bene le ado-
peri. Non ascrivo a laude che a tua custodia stieno
cumoli d'oro e gemme: che se cos fosse, quegli
che la notte sulle torri e specole hanno cura e
custodia della terra, pi arrebbono che tu da
A L BE R TI , T. l. d
XXVI
gloriarci. Ma tanto ti loder, quanto in salvare e
i
onestare la patria tua e i t n o j , spenderai aon l e ric-
chezze s o l e , ma ancora il s udore, il sangue e la
vita . E poco pi lontano : Per assegtrire
r i c c he z z e , piene di ma l i , esposte a tutti i peri col i ,
per i quali tutti g ' i nv i di , tutti g i i a v a r i , tutti gli
ambiziosi, cupidi, l asci vi , voluttuosi e dati a gua-
da g n o , e nati alio spendere (numero infinito di
omini pestileiiziosi ) , ne assediano e o a anime mi mi -
ci ssi mo, con opera infestissima, assi dui , vi gi l an-
tissimi per espilarci e satisfarsi de' nostri incomodi; e
noi per asseguire tanta peste, sottomettiamo i nostri
pensi eri , opere <e studi a mille brutte fatiche e servit.
Ed oei in o<fio la p o v e r t . . . . . Poi in appresso :
Principi primi cittadini, io questa vostra ampli-
tudine che cercate voi? laude, gloria, immortalit?
i m con pompa, BO I con ostentazi one, non con mol to
popolo d'assentatoci asseguirete vera e intera l aude ,
ma s ol o ben meritando con virt ! . . . . . L e quali
parole s e pi fossero i nt ese, cera q n a t i minori mali
non peregrineremmo noi m questa misera aiuola di
dolori e di pianto !
E dell'Alberti pure un altro tratta te Ho molto
notabile, intitolato Della comodit e incomodit delle
lettere, dettato in Bologna quando non aveva ancora
treat'aniii e dove col senno del pi provetto filosofo
facendosi a disputare con quali l eggi governar s i
debbono i suoi ^cultori, tutte ne avverte le dif-
X1 VI1
Scolta e le spine che in esse loro ritrovami, mo-
strando eziandio quanto se ne vadano errati coloro che
sperano da esse onori e dovizie (vero, che in oggi, eoa
sagace e libera ragione dice quel fior d* ingegno del
pretodato Niccolini, parlando di questa operetta, non
avrebbe d'uopo di dimostrazione alcuna), e finalmente
come possano divenire profittevoli agli uomini e a
chi le coltiva, e quale esser debba il loro nobile
scopo, sgomentando i profani del por piede nel toro
santuario, ed infiammandovi chi invece vi si sente
da segreto impulso prepotentemente chiamato : li-
bretto veramente raro e magnanimo, da rendere per
s solo e con tutta la sua esiguit, gloriosa per
sempre la memoria di uno scrittore ! Ma perch di
descrivere le albertiane opere noi ci riserbiamo in
fine di questo Discorso, dove proponemmo di tutte
notarle con quell'ordine cronologico che meglio po-
trassi; cosi ora solo a contenteremo di trattenerci sopra
due altri suoi lavori filosofici, per quindi passare agli
artistici. E il primo di questi la Tranqu illit
delrAnimo, dove l'Autore per v ia di dialogo distinto
in tre libri, essendo interlocutori lo stesso Leon Bat-
tista Alberti, con Niccola di messer Veri de' Medici e
Agnolo di Filippo Pandolfini, prende a disputare in
che modo il pi beatamente possa menarsi sua vita.
Intorno al quale argomento tutto il primo libro si
aggira ; mentre neir altro favella con quale salutare
medela guarir si possano le piaghe fatte nell'animo
tuo dagli altrui sdegni e dispetti : finalmente nell'ut-
XXVIII
timo, come risanisi il cuore che trafitto dalle pi
acute spade del dolore, miseramente ti opprima e
quasi minacci di morte. E qui pure ad esempio del
forte filosofare di Leon Battista si odano queste ve-
ramente auree parole eh' egli stesso favella a messer
Agnolo nel primo libro. Ragionando del poter vincere
s stesso, e dicendo : Perch non potre' io quello
che poterono gli altri, quali furono in vita uomini
come test sono io? E quanti furono che osserva-
rono costanza e vera virilit d'animo nelle cose
dure ed aspre? E a noi chi vieter che non ci sia
lecito nelle avversit e gravezze obsistere e deporre
ogni perturbazione con buona ragione e consiglio?
Non dubito (l'odi tu seguitare) che se vorremo bene
offirmarci con virt, e bene offirmati opporci con
modo a chi ne offende, ci troveremo essere n men che
uomini, n men potere che possino gli uomini. N mai
sar sopra alle forze ascritteci dalla natura quello che
c'imporranno i tempi, cio la successione e variet
delle cose rette dalla natura. Egli scrivono che So-
crate fu dalla moglie contumacissima e importuna,
continuo mal ricevuto, e fu dai figliuoli immodestis-*
sirai in molti modi offeso in casa, e fuori di casa
ancora fu da molti insolenti bestialacci e da que' co-
mici poeti assiduo infestato, e con varie ingiurie
offeso. E bench cos fosse da tante parti esagitato
y
pur visse a qualunque perturbazione della fortuna,
e a qualunque ruina delle cose sue coir animo equa-
bile e col volto mai mutato. Pot adunque Socrate
XXIX
questo non da' del i , ma da s stesso; che vol l e, e
volendo pot .
E pi sotto: N si vuole giudicare quello che tu
possa di te stesso prima che tu lo provi; e provando, s e
ben non fussi, diventerai atto in vincere ogni insulto
avverso vincendo te stesso. Ma noi, alcuni, troppo
ne diffidiamo ; e come in milizia chi sia inesperto e
timido, cos noi fuggiamo al primo strepito ed ombra
degF inimici ; e prima soccombiamo coli' animo, che
noi conosciamo quanto possa chi ne urteggia. E come
dicono che molti arrebbono acquistata sapienza, dove
e' non avessono prima persuaso alla opinione sua
d'esser savi; cos, contro, non pochissimi rimangon
senza loro lode, dove non si fidarono potere quanto
volendo gli era lecito potere. Cos mi pare qui tra
noi resti assai esplicato, che noi uomini bene con-
sigliati tanto potremo di noi stessi, di nostro animo,
volont, pensieri ed affetti, quanto vorremo ed in-
statuiremo .
Ecco in qual modo si hanno a fare i libri, se
si voglia che non abbiano a diventar rancidi e vieti,
e che si leggano con piacere e con frutto ancor nei
secoli futuri. E . questo sia specchio a molti degli
odierni scrittori, che invece di darci nelle loro opere
quel vero eterno, unico ammaestratore degli uomini,
siccome fece l'Alberti, ci porgono invece un cumulo
di sofismi, e di inconcepibili astrazioni: e Dio volesse
che qui pur sostassero essi ! che non di rado ci ven-
gono innanzi con manifeste stoltezze e spesso ancora
con patenti immoralit! Quanti libri dell'Alberti,
di solo un uomo, di un uomo di qtiattrocenf anni
fa, di un tempo se non barbaro, secondo la illuminata
sapienza de
9
sedicenti progressisti del secolo, almeno
rozzo, e 4>er inopia di dottrina e per miseria di
civilt, quanti libri e quanta vera dottrina ! Quanti
libri di una miriade di scrittori de' nostri tempi, del
tempo dell'onniveggenza, e quanta nebbia e quanto
fumo, e quanta (vergognomi il dirlo
r
ma come ta-
cerlo?) e spesso ancor quanta peste!
E dell'altra assai pi grand'opera intitolata La
Famiglia o Delta Famiglia, che con tutti due i nomi
s'incontra, quale filosofo ancor de' nostri giorni non
vorrebbe esserne l'autore? ove colla soavit del pi
mansueto consiglio Leon Battista t'insinua nel cuore
quella dolce e placida filosofia domestica da far beate
le case degli uomini. Diviso in quattro libri, ecco
nel primo vi trovi qnale sia V uffizio de' vecchi verso
i giovani, e il debito de'minori verso i maggiori, e
come si debba provvedere ali' educazione de' figli ;
prima pietra con cui vuoi fondarsi il sociale edifizio :
nel secondo, gli ammaestramenti matrimoniali; primo
piano della gran fabbrica: nel terzo dell'economia;
altro piano di essa ; e dell'amicizia nel quarto, che il
tetto che lo ricopre e tutela dalla furia de' turbini e
delle tempeste domestiche. Oh buon Plutarco ! questo
veramente divino libro te ne ricorda, parendoci sentire
dal labbro di Leone parlare quella bella ed utile sapien-
za di che arricchivi le non mai abbastanza lodate tue
Opere morali.
Ma fato delle migliori cose di questa terra, tanto
tesoro per quattro secoli quasi giaceva sconosciuto
fra la polvere delle bibliotechei E runico cui in
questo gran lasso di tempo capitasse alle mani e che
potesse farcelo conoscere, quell'unico, non so a quale
strano fine ne prendeva il solo terzo libro, a suo modo
lo raffazzonava, ai collocutori Alberti (che tutti della
famiglia Alberti erano questi), tant' altri Pandolfini
sostituiva, facendo di pi uno de'medesimi autore
dell'estratto brano, un Pandolfini e quell'Agnolo
stesso che introdotto a ragionare nella Tranqu illit
dell'animo,di che gi si parl, diceva: E riferiscovi
quel che io intesi spesso da lui (*), che due soli uomini
gli paiono ornamento della patria nostra, padri del
senato e veri moderatori della Repubblica. L'uno si
Giannozzo degli Alberti s uo, uomo tale per certo
quale e' lo espresse in quel suo libro 111.
0
de Fami-
lia (**), buono uomo ed umanissimo vecchio . Ma chi
questa impostura tramasse ed eseguisse, e la manomis-
sione del prezioso scritto facesse, quantunque a noi
qualche sospetto ne tenzoni nella mente e forse non
senza fondamento da poter d ancora dichiarare, noi
non istaremo pi oltre a investigare, bastandoci l'esser-
si fatta nota l'impostura, nella quale se poca o molta
malizia vi fosse, da ci die segue il lettore lo deduca.
1 quattro libri della Famiglia dell'Alberti inco-
minciano con una lunga introduzione, verso il fine
(*) Da Leon Battista Alberti.
(**) Appunto quel libro cbe fa volato dare al detto Agnolo.
XXXII
della quale si legge: Perch non dubito che il
buon governo, i solleciti e diligenti padri delle fami-
glie , le buone osservanze, gli onestissimi costumi,
l'umanit, la facilit, la civilt rendono le famiglie
amplissime e felicissime.... .
E nel prologo PandoIGni 1 lodati studi la sol-
lecitudine e la diligenza, il buon governo e le buone
assuetudini, e l'osservanzie, gli onesti costumi, l'uma-
nit , la facilit e la civilt, rendono le famiglie
de g n e . . . . .
E pi sotto Leon Battista nella sua introduzione
suddetta: Voi vedrete da loro (*) in che modo si
molti plichi la famiglia, con che arti divenga fortunata
e beata, con che ragioni si acquisti grazia e bene-
volenza ed amist, con che discipline alla famiglia
si accresca e diffonda onore, fama e gloria, e in
che modo si commendi il nome delle famiglie a
sempiterna laude e immortalit .
E il Pandolfini : Debbono adunque studiare i
padri come molti plichi la famiglia, con che mestiero
ed uso si aumenti e divenga fortunata e come
s'acquisti grazia, benevolenza e amicizia, e con quale
disciplina s'accresca a onore, fama e gloria .
1 quali brani confrontati, chiaramente apparisce
che quegli che donar voleva al nome di Agnolo
Pandolfini il terzo libro del Trattato della Famiglia
di L, B. Alberti, conosceva egregiamente l'opera
() Cio dai passati Alberti.
XXXIII
dell'ultimo, mentre lo vedi andare a pescare nel prin-
cipio della medesima e parole e pensieri, per com-
porre la piccola Introdu zione al libro che egli rapiva;
il quale incominciando : Aveva gi dato a pi cose
risposta Lionardo, della quale, Carlo ed i o, circa il
disopra ragionamento, o dubitavamo, o non bene
ri cordavamo. . . . , faceva pur chiaramente palese
come il discorso HI.
0
, libro con parziale epigrafe in-
titolato V Economico, o il Padre di Famiglia, coir an-
tecedente di cui necessario seguito, dovesse andar-
sene collegato e congiunto. Dopo di che apertosi
nuovamente il dialogo fra i soliti interlocutori di casa
Alberti, ed entrato finalmente Giannozzo in materia,
eccolo dire: sono io prudente, e conosco chi
gitta via il s uo, essere pazzo. Chi non ha provato
quanto sia duolo e fallace a' bisogni andare pelle
merc altrui, non sa quanto sia utile il danaio. E chi
non prova con quanta fatica s'acquisti, facilmente
spende: e chi non serva misura allo spendere, suole
bene presto impoverire: e chi vive povero, figliuoli
miei, in questo mondo soffera molte necessit e molti
stenti; e meglio forse sar morire, che stentando
vivere in miseria. Sicch Leonardo mio, quel pro-
verbio dei nostri contadini credi a me, come a chi
in questo possa per prova e conoscimento non pi
esserne certo, cos comprendo ch'egli verissimo:
chi non trova il danaro nella sua scarsella, molto
manco il trover in quella d'altrui. Figliuoli mi e i . . . !
A L BE R TI , T. I . e
1XXIV
e' s i vuole esser massaio, e , quanto da uno mortale
inimico, guardarsi d^lle cattive spese .
E Agnolo Pandolfini, subito dopo il suo breve
*
Prologo: Conosco prima, figliuoli mi ei , in questa
mia maggiore et fatto pi prudente, la masserizia
esser cosa utilissima, e chi gitta via il suo esser
matto. Egli non ha provato quanto il du o l o , e
fallace a' bi s ogni , andare per la merc altrui, e non
sa quanto utile il danaio risparmiato, n sa con
quanta industria e fatica s'acquista; e per facilmente
spende. Chi non serva misura nello spendere, suole
presto impoverire. E chi vi ve povero in questo mondo,
patisce molte necessit e soffera molti stremi bisogni,
e meglio gli sarebbe morire che stentando vivere in
miseria. Quello proverbio verissimo : chi non trova
il danaro nella sua s cars el l a, molto meno lo trover
in quella d'altrui. P er t a n t o , figliuoli mi e i , siate
massai , e , quanto da un vostro mortale ni mi c o , vi
guardate dalle superchie spese .
E fin da questo momento accompagnandosi col-
l'Alberti , puntualmente Io seguita insino alla fine ; se
non c h e , in moltissimi l u o g hi , per accomodare il ra-
gionamento alle persone de'P andolfini, tutte quelle
cose (e non son poche n di piccol mo me n t o ) , le
quali alla famiglia Alberti avessero potuto referirsi, egli
inesorabilmente vi recide : s che Dio vi dica per noi
quale servizio debba essere stato fatto all'opera del
povero Leon Battista, alterandola e guastandola in ai
XXXV
*
fatta maniera ! Il quale patentissimo furto e manomis-
sione , quantunque pur sempre si fossero riconosciuti i
quattro libri della Famiglia per cosa dell'A lberti, e
per conseguenza quello ancora gratuitamente attri-
buito al P andolfini, pure non f u , eh' io sappia,
da altri av v e r t i t o, se non in questi ultimi t empi ,
dal signor Antonino Corsi commesso dell'Accademia
della Crusca e , da qualche anno, defunto. E qui noi
avremmo potuto facilmente produrre anche un pi
lungo confronto de' due t e s t i , onde ancora pi trion-
falmente comprovare, come del libro di che si parla,
vero autore sia l'Alberti ; ma riflettuto che molto a
lungo ci ne avrebbe condot t i , e che tra breve
tutta intera l'opera della Famiglia, fra la quale
necessariamente ancor l'Economico, cosi come origi-
nalmente lo dettava Leon Battista, sar da noi stam-
pato , che ciascuno potrebbe ci fare di per s a tutto
suo grand' agi o e forse con pi intera compiacenza e
soddisfazione (e che d'altronde il da noi riferito pi
che bastevole si a rendere compiuta quella prova
che ci correva obbligo di dare al P ubbl i co) , non altro
diremo, se non che un nemico fato letterario pare
davvero perseguitasse l'Alberti; mentre nel 1668 Co-
simo Bartoli, facendo stampare in Venezia vari Opu-
scoli del nostro A utore, alcuni de'quali trovansi di-
stesi ancora in latino da lui s t e s s o , e dicendosi nel
titolo del libro: Tradotti e parte cwretti da M. Cosimo
Bartoli, lungamente e indistintamente tutti per voi-
XXXV I
garizzamento del detto letterato editore passavano.
E prova ne sieno le parole di uno de' pi dotti filo-
logi bibliografi del decorso secolo, vogliam dire di
Apostolo Zeno, il quale a pag. 409 del secondo tomo
del Montanini da lui s eruditamente annotato ( Vene-
zia 1753, in 4t o ) , parlando del Trattato della pit-
tu ra del nostro A utorete dicendo: // Bartoli....
ne fece u n v olgarizzamento, e lo inser tra gli Opu-
scoli morali del medesimo Alberti DA LUI raccolti e
tradotti ; viene chiaramente a mostrare, come
egli credesse tutte le opere rinchiuse nel detto vo-
lume fossero traduzione del pubblica tore, senza me-
nomamente pensare, che alcune pur ve ne potessero
essere fra quelle, originalmente scritte dallo stesso
Alberti nell'idioma materno. Ma d'altronde, chi dopo
aver letto nel frontispizio d'un libro, tradotto dal
tale , e dopo essere stato da una s solenne e franca
fede assicurato che il volgarizzamento era di lui, chi,
diciam noi, sarebbe potuto andare a sospettare che
tutta la traduzione non fosse stata di quello che innanzi
alla faccia del pubblico, col quale n anche i pi sver-
gognati osano mentire, bandiva che suo era il tra-
slatamento? Per con tutto questo beli'affermarsi,
essere egli il traduttore di tutte le cose dell'Alberti che
da lui si pubblicavano, pure non pu negarsi, come
si disse, che nel suo libro non vi sieno pi cose vol-
gari dello stesso Alberti, siccome il Teogenio, ossia il
dialogo Della Repu bblica, della Vita Civ ile, e Ru sticana,
rami
e di Fortu na (*), e VEcatom/ila e la Dei/Ira, due operette
amatorie (**), e te Piacev olezze Matematiche, i quali
tre primi libretti, si hanno tutti stampati fin dal se-
colo XV , e quando il Bartoli non era n anche venuto
alla luce del mondo! Tal che, questo confondere in
letteratura le proprie con l'altrui cose, senza in chiaro
modo distinguerle, e quasi diremmo a bello studio si
cercasse di far passare per sue le non sue fatiche,
non essendo da ingenuo e leale animo, non possiamo
nascondere, non solo averci maravigliato, ma forte-
mente sorpreso, facendo di pi in noi insorgere tale
un sospetto, da dover riprendere a scrupoloso esame,
e l'edizione del Bartoli e le singole Operette dal suo
frontispizio annunziate per tradotte da Ini, onde ve-
dere se anche qualcosaltro avessimo potuto scoprire
che dell'Alberti interamente fosse stato, Ma le con-
seguenze che ne parve potessero emergere da queste
nostre indagini, altrove saranno da raccontare.
(*) Opera di Messer Battu ta Alberti de Repu blica de Vita civ ile e
ru sticana e de Fortu na, in ne\ finita V opera di Messer Battista Alberti
in 4. Edizione in caratteri romani esegoita in Firenze per cara del Mas-
saini. E siste nella Magliabechiana. V. Catal. Fossi.
(**) Baptistae de Alberti* poetae lau reati de Amore, liber oplimu s
feUciter incipit: in fine: MCCCCLXXI In 4. E site presso II chiarissimo
signor A vv. Gaetano D e Minicis di Fermo nostro singolare ami co, pos-
sessore di una molto notabile biblioteca di preziose edizioni, ed erodilo e
colto scrittore nella patria favella. Baptistae de Albertis Poetae lau reati
opu s preclaru m in Amoris remedio feUciter incipit: dell'anno st esso, nello
stesso sesto e caratteri dei libro de Amore, ed esistente anch'esso presso
il annodato sfg. A vvocato. i l primo dei due infatti 'EcatomfUa, l'altro
la Dei/ira.
XXXV III
Intanto facendo ritorno alla Famiglia di Leon
Battista, i cui tre primi libri stendeva tutto d'un filo
in Roma nel breve spazio di 90 giorni (*), bisogna
dire che quantunque da lui si scrivessero per acqui-
starsi grazia tra i s u o i , pure non vi fu di essi chi
li degnasse nemmeno di un guardo; per forma che
molto l'Alberti se ne rammaricava, da risolversi pel
concetto s degno, di darli persi no alle fiamme. Se non
che da questa giusta ira sua, volle la fortuna dell'ita-
liane lettere ed il bene dell' umana famiglia si c ont e -
ne s s e ; si che tre anni dopo aggiuntovi il IV.
0
libro,
tornava ad offerirli ai medes i mi , loro di cendo: Di
qu indi se siete saggi, mi amerete; se no, la v ostra tri-
stizia torner ad onta v ostra (**) . E dalle seguenti
parole di Leonardo D ati, che scriveva a nome ancora
di Tommaso Ceffi (***), pu anche riconoscersi come
l'Alberti forse pensasse di mandare questo suo libro a
qualche illustre Siciliano (****); mentre dicono esse:Et
politati su mu s, et dbemu s etiam non polliciti id ipsu m
in recognoscendo libro tu o exequ i, qu od nu per lilteris
a nobis petis. Libru m ipsu m in manibu s habemu s at-
(*) Vedi Appendice N. I H.
(**) Vedi Appendice N. saddetto.
(**) LEONARDO D A TI , Epistolae Florentiae, 1133 io 8vo. E pisto-
la XI I I . pag. 18.
(*+'*) II POZZETTI, inclinerebbe a credere che fosse Alfonso d'Ara-
gona re di Napoli e di Sicilia dicendo: P robabilmente egli destinava di
dedicarli ad Alfonso d'Aragona re di Napoli e di Sicilia, col mezzo dell'in-
signe amico suo Antonio BeccadellL, detto II P anormita, che risedeva alla
corte di quel sovrano . Vedi pag. 24 della seconda numerazione del suo
Elogio dell'Alberti.
mix
qu e expendimu s omni stu dio et diligentia, ita demu m
u t Familia tua, qu antu m in nobis fu erit, nomisi et
recognita et eu lta, Siciliani ev olatu ra sit .
Intorno poi alla preziosit della lingua in che fu dessa
dettata, e che potremmo noi dire di pi, dopo che il
suo I1L libro ( sebbene tutto mutilo e guasto ) cono-
sciuto e pubblicato sotto il nome di Agnolo Pandol-
flni, fu concordemente dai pi eletti giudici delle
bellezze di nostra lingua tenuto per una delle sue
pi fulgide gemme, e dopo che dai primi editori fio-
rentini nella Prefazione mandata innanzi all'edizione
principe fatta in Firenze nel 1734, Colle stampe di
Tartini e Franchi nella forma d
>
i n-4t o, citata dagli
Accademici della Crusca, si dice che: Quanto alla
dicitura ella tale appunto, quale da tutti i maestri
di ben favellare ne'dialoghi prescritta, cio sem-
plice , e naturale, ed ai ragionamenti improvvisi e
famigliari somigliantissima, ma altres graziosa oltre
modo, e leggiadra, e adorna di quella purit e va-
ghezza , che maravigliosamente fior in quel secolo
avventuroso. E perch non si creda, che il desiderio
di accreditare quest'opera sia unicamente quello che
e' induce ad affermare ci che in commendazione di
essa per noi si dice, ce ne staremo al giudizio pur-
gatissimo de' primi compilatori del celebre Vocabo-
lario dell'Accademia della Crusca, i quali alle molte
eleganti scritture, sulle quali il fondamento di quel
vasto nobilissimo edificio gettarono, questo Dialogo
parimente aggiunsero, dal quale in non piccola quan-
I L
tit trassero gli esempj in confermazione delle loro
utilissime osservazioni . 1 quali encomi, giustissimi
al certo per la lodata scrittura, veggasi come, do-
vendosi per legittima conseguenza estendere a tutte
le altre volgari opere albertiane, queste debbano es-
sere di singolarissimo pregio, per la pi forbita ita-
liana favella. Ma della Famiglia qui basti (*).
Ora, siccome ci proponemmo, noi dovremmo
farci col nostro discorso nelle cose artistiche di
Leon Battista ; ma come entrare nel novello campo
senza aver prima esposto anche un altro nostro pen-
siero (che ci riserbavamo d'altronde di dichiarare
in altro luogo), mediante il quale non pochi compo-
nimenti pur volgari, che vanno errando senza nome
di autore potrebbero restituirsi all'Alberti, cui in
quanto a noi senza dubbio appartengono? Narra
l'Anonimo del secolo XV (**) nella precitata Vita di Leon
Battista, eh' egli fra gli altri componimenti scrivesse
ancora delle concioni ; il quale indizio avendoci messo
in traccia delle medesime, mentre i suoi MSS. an-
davamo rivlgendo, ecco in alcuno di essi, apparirci
varie composizioni di tal fatta, ma senza dirsi l'autore,
e messe in bocca di Stefano Porcari, il qual nome (sa-
(*) Avremmo noi dovuto dir qui qualche cosa di un' edizione (fattasi
or ora in Napoli pel Trani), del I I I .
0
libro Della Famiglia, restituito all'Al-
berti ; ma, e per non essere che un solo brano dell'Intera opera, e pi
per essere la detta stampa affatto lontana dalla genuina lezione, raancan-
dovene fino un lungo squarcio che pur In tatti I testi che l'editore dice aver
consultati si trova, non credemmo mal fatto il tacerne. 10 Giugno 1843.
() Vedi Appendice N. I I I .
ni
pendo noi d'altronde che l'Alberti pur descrisse in la-
tino la Congiu ra, che questo animoso ed eloquente
cavaliere romano tramava contro Niccolo V ) , aven-
doci immantinente commosso, ci pose ad attenta*
mente considerare lo stile in che furono distese ; il
quale visibilmente apparendo a noi simile in tutto
a quello dell'Alberti, tra per l'Av v ertimento predetto
che l'Anonimo ci dava, tra per trovarsi di queste
orazioni sovente mescolate con iscritture dell'Alberti,
e tra per la per noi inimpugnabile uguaglianza di
stile, credemmo non da essere ripresi, se riponessimo
in fronte alle medesime il nome dell'Alberti, forse
da lui non appostovi, per non parere innanzi al
suddetto pontefice, di cui era familiare ed amico,
che lodando egli in quelle retoriche esercitazioni in
certo modo l'ingegno del congiuratore, potesse inter-
namente applaudire anche al suo sacrilego attentato.
Il perch, avvisando noi, dopo le sovraesposte ragioni,
di far cosa gradita a quelli che ci leggeranno, tosto
una delle pi brevi vogliam riferirne, affinch anche
subito, nel vedere parole e frasi familiarissime a
Leon Battista, possa giudicarsi da ognuno del fonda-
mento della nostra opinione. Ecco adunque il di-
scorso saggio, ove le parole e le frasi scritte io diverso
carattere faranno conoscere le ragioni che vieppi
c'indussero a ritenere anche questi componimenti
per usciti dalla penna dell'Alberti; ne' quali inoltre
da osservarsi che pur vi s'incontrano quegli stessi
spazi lasciati in bianco, i quali si rinvengono nei
A L BE R TI , T. I. f
XL 1I
manoscritti di*lui; spazi, pe' quali. Leonardo Dati (*)
gli diceva, parlandogli di quelli da lui lasciati nella
Famiglia : erratu m, et id qu idem non mediocre
esse v idetu r, qu u m sententias atqu e exempla qu oru n-
dam addu ci*, nec eos nominas, sed omittis interv allo,
oc si v el ignores, v el aliqu id ipsemet con/ingas (**): lo
che ci parve costituire un altro non piccol segno da
convalidare il nostro divisamente). Ma veniamo al
saggio.
Risposta fatta per detto messere STEFANO agli Eleziona-
ri, qu ando gli dierono l'elezione del Capitanato
di Firenze.
lo conosco, magnifici Elezionari dell'inclita e fa-
mosa citt di Firenze, essere grav issimo peso agli
omeri miei, per pi e varie ragioni, quello che per
benignit d'essa e vostra vi degnate, non per miei
meriti, assu mermi al magistrato e dignit del vostro
capitanato, grado in verit supremo di qualunque
grav issimo e probatissimo u omo. E quanto pi consi-
dero, e nella mia mente rivolgo la umanit di quella
Signoria e vostra, la spettata virt de
9
famosissimi
cavalieri e gentili uomini che per li tempi passati
in tale u fficio si sono esercitati, tanto maggiore essere
(*) Lettera XIII, pag. 18 dell'edizione fiorentina delle Lettere del Dati,
che fa Catta nel 1743 In 8vo.
(**) Ma I'ANONIMO parrebbe dare spiegazione di queste omissioni,
mentre dicendo che l'Alberti da giovanotto*cadato in memorabile malattia,
soggiunge che per essa nomina (nterdu m familiarissimoru m, cu m
ex u su id forel fu tu ru m, NON OCCUBRBBANT.
1L I I I
Fobbigazione mia, veggo, verso quella vostra famosa
patria. Alla qu ale per satisfare interamente, come
debito sarebbe e sommamente desidero, vorrei che
la grazia del nostro Creatore, e la natura m'avessi no
dotato di tanta virt e dottrina, che l'amministrazione
di questo magistrato, al concetto per voi di me fatto,
al peso a me imposto ed alla volont mia satisfacesse.
E prima quelle degne e debite grazie che possibile
sono in me , a voi in nome della vostra eccelsa Co-
munit, ed alla vostra nobilt e circumspezione umil-
mente rendo, che di me inesperto ed indotto uomo
tanta fede avete presu nta di su blimarmi a tanto onore
e dignit, la quale con allegro volto e giocondo animo
accetto, sperando nella benignit dello onnipotente Id-
dio, nella somma prudenzia e sapienzia della gloriosa
Signoria e reggimento della vostra citt, e nella purit
e sincerit mia, che mi conceder fare qu ello f ) sia
sua laude e gloria, a trionfo ed esaltazione della vostra
chiarissima e potentissima citt, consolazione e pace
del vostro gratissimo popolose perfetta dimostrazione
della mia fede, volont e disposizione. Ed intese le
qualit e condizioni con le quali la mia elezione
celebrate, e che per lo. vostro dottissimo cancelliere
con grande ordine sono state recitate,
Invocato divotissimamente il sussidio superno,
Accetto, approvo e prometto pienamente adem-
piere ed osservare (**) .
(*) Air Alberti pure familiare in casi simili sottintendere il che.
() Preso dal Cod. Magllab. ci. V I I , Var. N. 45.
XLIV
Ora al secondo esempio.
Wwria fatta \ier messere STEFANO PORCARI da Roma,
Capitano di Firenze, qu ando fu nu ov amente
rifermo nel detto u fficio.
Quando io considero, magnifici e prestantissimi
Signori miei, la grandezza di tanti v ostri in verso
me cumulatissimi benefici! ; quando io ripenso ne\Yam-
plitu dine di tanti vostri meriti singolari, mi par piut-
tosto al presente convenirsi alle magnificentissime
vostre Signorie, rendere al poter mio condegne
grazie e riferire merite v enerazioni, che secondo l'usate
onoranzie tradu rre il parlar mio in trattare disci-
pline politiche, o quale debba essere la vita e co-
stumi di quelli che a conservare, a temperare e a
reggere le costanti Repubbliche sono deputati; per
che all'una cosa mi stringe necessit, l'altra conve-
niente e solita consuetudine mi persuade; la quale
conciossiacosach in tempo pi comodo possa riser-
vare , quella al presente seguiter che sotto neces-
sario vincolo debitamente mi lega a dover dire .
Crescendo negli anni della mia giovinezza, ma-
gnifici Signori miei, e pensando di giorno in giorno
pi cautamente gli antichi fatti de' nostri valorosi
Romani, spesso nella memoria mi veniva, fra gli
altri, il glorioso nome di P. Cornelio Scipione ; e
contemplando pi volte le sue meravigliose virt,
considerava in me medesimo quante opere prestan-
XL V
tissime, quanti fatti singularittiaii, quante pubbliche
dignit av ev a esercitate,. ec. *
Ma possono eglino mai essere pi patenti le
albergane maniere, le albergane frasi, le albertiane
parole? Chi per poco sia pratico delle scritture del
nostro Autore potrebbe mai dire che ci non sia?
E se dal metodo di disegnare e di colorire partico-
lare a un pittore, si pu riconoscere e stabilire il
nome dell'ignoto autore di una tela, perch non
dovr essere lo stesso nelle letterarie lucubraaoni,
quando si prendano a indizio lo stile, le Crasi e i voca-
boli ; e tanto pi quando a questo corredo di potenti
intrinseche ragioni, possono anche altre concomitar-
sene estrinseche, ed esse pure di bastevole peso:
come sono: e il dirsi nella vita dell'Anonimo che
l'Alberti scrisse concioni (*); che ai su oi Opu scoli
solev a sov ente apporre altru i titoli non solo ma che
alla fama degli amici intere opere donav a (**) ; e final-
mente che i su oi cittadini, che ne'pu bblici consigli
amav ano di comparire eloqu enti, non poco prende-
v ano dalle albertiane scrittu re.
E che le concioni di che si parla, fossero inoltre
un popolare esempio di civile eloquenza, abbastanza
(*) Scripsit elegias, atqu e C O NC I O NE S. V e di Appendice N. I l i .
(**) Tu m et su is in Opu scoli* ALIORUM TITULOS APPOSDIT ET INTEGRA
OPERA AMICORUM FAMA ELARGITC8 E I TI TI T. Vedi Appendice N. sndd.
(***) Brev i tempere mu lto su o stu dio, mu lta indu stria id assecu lu s
eXtUH, T O TI CIVBft QUI IN SENATI) SE BI C I BLOQUENTES C UMUlE tiT, NON P A U-
C I 80WA 8 E X ILL10S SCRJPTIS, AD EX01NAND AM ORATIONEM SCAM, Ornamenta m -
dies sxu cepi8$e faterentu r. VejJI la stessa Appendice.
XLVI
ne lo dimostra la sorprendente ripetizione de' MSS.
che di esse vedesi fatta, non essendovi in Firenze
pubblica biblioteca, che non ne abbia raccolto e
conservi, si pu dire, una congerie; senza parlare
di quelle che pur si custodiscono in quelle private,
che sono anch'esse moltissime: lo che fa chiara*
mente ancor palese, come dopo la loro pubblica-
zione fossero desse dai repubblicani fiorentini stu-
diate, siccome dice l'Anonimo che furono pur quelle
dell'Alberti.
Ma non si finisca, intorno alle concioni di che par-
liamo , senza sentire innanzi questo sublime squrcio
che nella X.
a
f ) si l egge, ove favellando l'oratore
del civile amore in verso la propria Repubblica, dice :
Quando rivolgo nella mente e nello intel-
letto contemplo lo stato e l'essere di tutta l'umana
condizione, mi pare comprendere per certo quello
essere verissimo che dagli antichi filosofi stato
scritto, cio che il principio, l'origine e i nascimenti
nostri, parte alla patria, parte a' parenti e parte agH
amici debbe essere convenientemente deputato. Peroc-
ch come piacque agli stoici, referente Cicerone,
quello che nella liberale e feconda terra ovvero per
arte, ovvero per natura generato, tutto a uso e
utilit degli uomini nasce e fruttifica .
(*) 11 Manzi nel 1816 stamp a Roma IX di queste concioni, sotto
il titolo di Orazioni di Stefano Porcari cav aliere romano, e IV ne tarano
da Giuseppe Mannl stampale nel 1718 in Firenze, ma attribuendole a Bu o-
naecorto da Montemagno.
XL V II
a Ma solamente la generazione umana, a rispetto
di niuna altra cosa creata se non di s stessa;
solamente 1' uno uomo nasce per l'altro, presidio ,
fermezza e consiglio, l'uno per aiuto dell'altro ge-
nerato. E pertanto dobbiamo seguitare questa natura
come duce e guida dell' umanit nostra, e porre in
mezzo tutte le forze nostre, tutto il nostro sapere e
le comuni utilit, dando insieme e ricevendo alter-
nativi benefici! ; con opera, con istudio e con indu-
stria con giungere, mantenere e crescere questo santo
legame, questo debito naturate ali
9
umana conve-
nienza (*); alla quale obbligazione tutte le leggi della
natura, tutte le leggi divine ed umane (**) conveniente-
mente ci costringono. Se adunque a
r
privati comodi
l'uno dell'altro tanto indissolubilmente e per tanta
forza di natura siamo legati, quanto maggiormente
dobbiamo costretti essere ai pubblici ! Se tanta
retribuzione, merito e beneficio dobbiamo prestare
alle membra particulari, quanto maggiormente dob-
biamo sporre all'universale corpo della patria no-
stra comune t Onde sono i nostri primi naturali
nascimenti ? dalla patria ; onde sono le dolci pro-
creazioni de
9
figliuoli? dalla patria; onde sono le
amantissime benevolenzie e sua vita degli amici? dalla
patria. Non ci da la patria i magnificentissimi onori?
non ci conserva la patria tutte le nostre umane fe-
licit? Dove viviamo noi e conversiamo se non nella
(*) Umana societ, ti 33 Magliab. ci . V I I , Var.
(*) Tu lli gli ordini div ini ed u mani, II 33 suddetto.
patria? Dove possediamo noi le nostre domeniche
ricctiezze se non neUa patria ? Dor sono tutti i no*
stri diletti e sollazzi, latte le nostre giocondit, e f u i *
mente tutti i nostri beni e le nostre fortune pubbliche
e private, se non nella patria ? chi ci difende, ohi
ci aiuta, chi ci consiglia, chi ci sovviene in tatti
i nostri bisogni, in tutte le nostre opportunit, m
non la patria? Se adunque i singular affetti, con
somma fede, amore e benevolenzia dobbiamo Ila no*
stra patria portare, alla quale per tanti supremi bene
fieri, per tanti liberalissimi meriti per certo degna*
mente siamo obbligati e sottoposti, sempre debb' es*
sere nell' animo nostro impresso il dolce e venerando
suo nome; sempre dobbiamo nella salute o nella h*
columit pubblica fissi tenere i pensieri nostri ; sempre
del comun bene tranquillit, pace e pubblico ri+
poso pensare e cos va continuando eto*
quentissimamente tutta la conciono insino alla fino.
Vedutosi fin qui Leon Battista qual letterato e
filosofo, e passando ora a considerarlo siccome arte*
fice, giustizia vuole, come gi da principio accen-
navamo, che principalmente al suo straordinario genio
abbiasi a retribuire la propagazione delle risorte arti;
avvegnach primo egli con saldi precetti, dedotti dal
pi serio ed accurato studio sulla natura, ne insegnava;
il loro culto. Statuaria, pittura e architettura in quel*
lor primo risorgere, tanta illustrazione ricevevano da:
Leon Battista solo, quanto moltissimi anni d'espe-
rienza e T ingegno di pi dotti operatori avessero
XL IX
lor potuto conferire. Piccola, se si voglia, la mole
di quel suo libro del comporre la statua, ma grande
per gli ammaestramenti con cui questo gran padre
delle restaurate arti l'arricchiva. Dopo aver breve-
mente, e da quel gran maestro che egli era, discorso
come avesse origine, e primieramente procedesse la
statuaria; dopo aver toccato i modi con cui que-
st'arte divina si stendesse fra gli uomini, eccolo
discendere a quegl'insegnamenti che conducono al
fatto di una buona composizione di simulacro, senza
tema d'inciampar nell'errore e venendo di pi al tuo
soccorso con un suo nuovo istrumento composta di
tre parti, di un orizzonte, ci o, d'una linda e
d'un piombo, il tutto chiamato da lui Definitore,
insegnandoti inoltre il modo di usarlo per meglio
aggiungere al fine bramato. Artisti dell'et no-
stra, questo studio e quest'amore di Leon Battista
Alberti per l'arte vi sia ognor stampato nella mente ;
ed alcuno di voi bandisca dal suo operare quella
nebbia di mistero, di che si circonda allorch vi
si accinge; mentre solo al modo dell'Alberti pos-
sono le arti procedere e trionfare, in ogni altro vil-
mente egoistico ritardare e ancor morire !
E come della Statuaria, cos dicasi nell'Alberti
della Pittura, per che ancora in questa con utilis-
simi e squisiti precetti egli pur primo, dopo la sua re-
denzione, si rendeva solennemente benemerito; per
forma, che egli stesso di questo pregio, nel secondo
libro del Trattato di essa da lui scritto, ne godeva, di*
ALBJERTI , T. I . g
cendo: Noi certo, i quali, se mai da altri fu scritto,
abbiamo cavata quest'arte di sotterra, e-se non.mai
fu scritto, l'abbiamo tratta di eielo, seguiamo quarto
finora qui facemmo con nostro ingegno, ec. . E nel
terzo della medesima. Noi per ci reputeremo a
volutt primi aver presa questa palma, d'aver ardito
commendare alle lettere quest' arte settilis&ima
nobilissima (*) .
Ma due furono le opere sulla pittura che Leoni
Battista compose, l'una pi breve detta Ru immti\
V altra Elementi, molto pi prolissa ed in tre Kferi
distesa, scritta originalmente in italiano e poi da
lui stesso voltata in latino, nella cui lingua Ai sol
l'ultima dapprima pubblicata e poi anche in ita*
liano; ma nella traduzione che ne fece Coeimo Bara-
toli , il quale, non sapremmo asserire se il volgarizza*
mento albergano non conoscesse, n se egli se ut
giovasse neir eseguire il suo, mentre le stesse frasi
usate dall'Alberti nell'altro troppo spesso incontran-
dosi , ne darebbero forse autorit di sospettare il co
trario e che se ne profittasse pi ancor del dover*.
Dell' altra poi , l'unico esemplare che si conosca j
quello sarebbe che gi possedeva, in un codice cai**
taceo nella forma d'in-4to, il celebre Scipione Maf-
fei, intitolata questa ad un Teodoro (**), come l'altra
(*) Queste parole son dello stesso Alberti, avendole noi tratte dai
Trattato detta Pittu ra da lai stesso tradotto, inedito, e che noi ora tn QdMU
nostra edizione per la prima volta offriremo al pubblico.
(**) Dalla lettera latina che l'Alberti scrive a Teodoro, appare che
in questa seconda operetta sulla pittare, egli compilasse brevissimamente
quanto di pi interessante gi aveva scritto nell'altra pHk grande in tre
LI
ali' immortale Brunellesco, la quale ottenneva di pi
la gloria di una traduzione in g r e c o , fatta da un P a-
oagioto Doxara del P eloponneso, il cui originale al
tempo del P ozzetti, che primo ci dava queste notizie,
8i conservar* nella Naniana di Venezia.
P er il campo do t e pi stese le sue grand'ali
il geni o albertiano, fu r architettura ; queir arte su-
blime che fa vivi i popoli ne' s e c o l i , ed in cai la
veneranda maest della religione cotanto ingigantisce.
Decaduta essa ancora come le altre arti dopo la
barbarica irruzione, e riavutasi principalmente per
l ' i ngegno dell'O rgagna, di Arntfo, del Brunellesco,
di Filippo Calendario, di Buono e di a l t r i , chi primo
dopo Vitruvio raccoglieva in regole piene di filosofica
ragione l e sue maraviglie? Leon Battista. Il suo vo-
lume dell'A rchitettura, compreso in X libri, e <ia lui
steso in l a t i no , rimarr sempre gran codice di que-
jt' arte eteruatrice de' progressi dell'umana civilt.
Fattosi a studiare e ponderare i vi tra via ni precetti,
e questi eoafronUodo cogli antichi monumenti, con
mirabile c r i t i c a, dice il P ozzet t i , Leon Battista ne
notava i difetti, ne traeva il migliore, distrigan-
dolo di quanto v' era d'intralciato, ai suoi principii
rW&ceva, l o anal i zzava, magistralmente lo COm-
, e ohe por la stendesse originalmente in italiano ; mentre dice In essa
tettoia : % Sed eu m Iris librasi Piero*A meo*, tibi ptecu ine persaepiu s
afllrmasses, postu lassesqu e et Elemento, haec, qu ae a me pridem ethru sca essent
lingu a meoru m civ iu m gralia edita facerem Ialina , libiqu e v isenda miltere,
v olm $wpfckUi<me lu ae amicitiaequ e noitrae abu nde (qu od in m$ esset) saii$-
fao0te >u C od. 30 Magl i abechJano, ci . I V .
Ili
poneva, ometteva quanto di meno importante pa-
ressegli, lo estendeva colla coltura e colla profonda
intelligenza del perito, offerendo il tutto nel pi se-
ducente e dilettevole aspetto, e con un mirabile or-
dine, e una pi mirabile esattezza, all'ultimo segno
della chiarezza lo portava. Chi sa (seguita lo stesso
dottissimo biografo critico) chi sa i rapporti della
architettura con tutte le altre scienze ed arti, com-
prender quale apparato di dottrina, qual penetra-
zione e criterio, richiedevasi nell'Alberti per venirne
a capo con tanto successo . Ma ancor da noi siavi
accennato il metodo tenuto dal fiorentino Yitruvio
nella trattazione del libro di che si ragiona.
Assomigliando egli le fabbriche a tutti gli altri
corpi, prima avverte constare esse di materia e di
forma, figlia questa dell'ingegno, opera Tal tra della
natura; alla prima delle quali cose dovr l'architetto
provvedere con una buona elezione ed opportuno ap-
prestamento, mentre avr a dedurre l'altra dalla po-
tenza del suo consiglio; notando inoltre che ove la
mano dell' artefice non venisse a dar forma all'appa-
recchiata materia, n l'uno n l'altra delle predette
cose potrebbero quasi a nulla giovare. Quindi nar-
rato come s'abbia a mandare ad effetto la fabbrica,
e tutta percorsa la ragione dello edificare, dopo avere
ancora discorso delle abitazioni richieste ad ogni
stato d'uomini, passa agli ornamenti, fermandosi
prima intorno a quelli che ai sacri luoghi apparten-
gono; poscia a quelli de' luoghi pubblici e profani ;
LUI
appresso, agli altri che alle fabbriche de' privati si
riferiamo ; e finalmente, esposti gli errori in cui
pu cadere l'architetto, e il modo di poterli, se
possibile, emendare, come in bella appendice chiude
il suo libro con molte notabili ed utili teoriche sulle
acque: e onde si generino o sorgano, ed ove cor-
rano , e come le nascoste si trovino , e quali sieno
sane e quali no ali' uso dell' uomo, e come si con-
ducano, e come si fermi il lido del mare, in somma
tutto che possa appartenere al fatto delle acque a
beneficio dell' umana famiglia.
Qualche critico, e chi non ne ha? volle trovare di
che ridire in alcuna cosa dell'albertiana architettura,
come per esempio, eh' ella spesso e ancora troppo
oziosamente fiorita di erudizione (*); che non del
tutto esatta la dottrina del V. ordine (**); che
l'Alberti non conosceva la pozzolana (***), e che sl-
milmente non del tutto sodisf nella figura e forma
delle colonne. Ma la prima di queste taccie vuoisi
aver piuttosto a elogio dell'Alberti, anzi che a bia-
simo ; l'altra non fu provata ; la terza insussistente ,
perch l'Alberti, come lo prova il Fea nel!' annotare
il Vinkelman, conosceva bellissimo quel cemento; e
finalmente neanche l'ultima regge, perch accusato
di far le colonne rigonfie nel mezzo, a detrimento
() Vita de*pi celebri Architetti, Roma 1768 , In 4to.
(**) STOLUO , Introdu ci, ad Hisl. Hit., Cap. VII ; e BLONDEL, Diction-
mire enciclop., ari. Architectu re.
(***) VINKELMAN, Osserv azioni su W Architettu ra degli amichi.
u v
del b e l l o , esempi eguali ne porge la romana archi-
tettura: oltre di c h e , chi la vide (*)> dice esaere pur
cosi fatta la celebre colonna di P ompeo, che sorge
presso ad A lessandri^
Ma lasciando* queste irragionevoli riprensioni ,
dicasi piuttosto a gloria deli-Alberti, che Francia, *)
parca lodatrice delle cose strani ere, ammirando il
pregio della grand'opera di L eone, volle averla tra-
<
dotta nella sua lingua. E cos basti che
giudice al certo competentissimo di siffatta mat eri a,
tenendo l'Alberti per un altro Brq&elleaco, fra qmi
geni sublimi che fecero risorgere l'architettura con
franca, ingenua e giusta parola lo annoverava*
Se noi non ci fossimo proposti di
dell' A lberti, pi come letterato che come
ora dovremmo fttr conoscere i suoi lavori artistici?
larga messe di certo offerendocene le sue opere in
questo gran ramo dell'umano sapere. Ma siccome (W
nostro proponimento ci forse troppo ci dilungherebbe*
e d'altronde, non essendo noi artisti ( n potendo forse
ragionare *su queste mat eri e, se non in quanto esse
appartengono al bello in g e ne r e , comune a ogni altra
opera dell'umano i n g e g n o ) , cos vorr il cortese l et -
tore averci per assoluti, e queste cose accenneremo-
dicendo brevement e, come in patria operasse il
Coro e la Tribuna della Nunziata, edifizio dagl ' i n-
tendenti giudicato mirabile, quantunque un po' biz-
zarro , mentre questa costruivasi dalT architetto in
(*) II signor P ococke.
Lt
tal o do , che il riguardato rimirando da un certo
punto l'edilizio, per ottico inganno par gli si roteaci
ali! ingi.
P oi la facciata di Santa Maria Novella, prose-
guendo l'opera di tre claustrali della scuola d'rnolfo,
ma e o a iagianzione di nulla guastare del (atto, per
cai Leon Battista secondando, con mirabile giudizio
l ' a nt i c o , il quale per troppo saper del t e de s c o , n
potendo perci permettere al genio dell' ultimo ar-
chitettore di sfoggiarti quanto avrebbe voluto e po-
t at o, in quell'unico punto dot e la stia potenza creatrice
si trovava libera da quelle semibarbariche pastoi e,
in queir unico punto, che era la porta maggi ore, la
quale tutta dot eva farei di pianta da l u i , questa t i
eseguita con tanto magi stero, che oggi rimane uno
de' pi bei pezzi delia moderna architettura.
Anche il palazzo Rucellai nella V i gna, gi fatto
fabbricare da Gosimo di quella famiglia, molto com-
mendata opera dellA lberti ; come pure, lui architetto,
fu esegui to Fi l t ro di t i a della Scal a, di quale gi era
signore Giovanni Rucellai che lo faceta edificare, e
in og g i t enut o in propriet de' signori Stiozzi : ma
cme primamente sorgeva, oggi pi non . P er il
tfeHatore della colta e gentile Toscana, non potr
por piede nella nobile Firenze, senza sentirsi trasci-
nato all'illustre palagio, per venerare in quel sacro
luogo le rimembranze generose e sublimi dell' italica
virt, mentre i suoi giardini ( i gi famosi Orti Ori-
cellari) udivano un giorno dal Machiavelli leggervi
LVI
i suoi immortali Discorsi su lle Deche di Tifo Liv io, e
Fabbrizio Colonna disputarvi delle Arti di gu erra, per
sua sciagura scordate da Italia, e i due Franceschi
Diacceti, e Zanobi Buondelmonti, e Luigi Alamanni
ragionarvi del come si potesse avere, mantenere e
conquistare una patria, le parole sperimentando coi
fatti ; e cos quel Palla Rucellai, che se molt' altri ai
fossero trovati del suo forte petto, non avrebbe Fi*
renze forse avuta la consolazione de' Medici.
Opera di Leon Battista Alberti ancor la Cap-
pella di San Pancrazio; ma chi potrebbe descriverla
senza le belle parole del celebre Niccolini ? certo
il nostro umile ingegno non mai ; il perch le sue
dunque s'ascoltino. Arduo ed elegante lavoro,
dice egli (*), la cappella di San Pancrazio. For
l'Alberti il sottoposto pavimento, ond' essa non posa
che su due grand' architravi sostenuti da due pila*
stri e da due colonne. Ti sorprende l'ardire dell'in-
gegno e la squisitezza del gusto che regna a gaia
in questo edificio, ove sorge il sepolcro di Cristo,
simile alla forma a quello che i devoti peregrini, in
mezzo a tanti pericoli, cercavano in Gerusalemme.
Cos Giovanni Rucellai sodisfece alla divota curiositi
di molti di que' tempi, ne' quali tutti ancor lodavamo
il pio furore delle crociate che V Occidente opposero
all'Oriente, e l'armi d'Europa precipitarono sull'Asia,
che tomba divenne di poche virt e a molti delitti ..
(*) Elogio storico di Leon Ballista Alberti fiorentino, nel Voi. I. delle
Opere stampale in Firenze pel Piatti nel 1831.
LY11
Anche Qoaracchi, deliziosissima villa de* Rucellai
(ove la boschereccia Eco gi ripeteva il suono dei
soavissimi versi del Cantore delle A pi ) , sorse pri-
mamente con disegno dell'Alberti.
E il bellissimo tempio che il pio signore di
Manto va, Lodo vi co Gonzaga, inalzava a Dio immor-
tale nel nome di Sant'Andrea, anch'esso pel magistero
delParte aibertiana dalla fama predicato mirabile ; e
gran peccato fn certo quello de'moderni che, sotto titolo
di migliorarlo, non poco nel suo interno Io maltrat-
tarono, facendo sparir molti di que' vaghi ornamenti
di che l'aveva arricchito l'Architettore.
Cosi a Roma Niccolo Y, dice il Palmieri (*) coevo
di L eone, volendo inalzare una suntuosa Basilica a
San Pietro, e gittate avendo perci altissimi fonda*
menti, ed essendo ornai sorto di tredici braccia il
moro, questo lavoro, per rifarlo a modo di un disegno
di Leon Battista (al qual uopo fu consultato) pri-
mieramente dismise, e forse nella seconda maniera
avrebbe veduto il suo fine, se la morte troppo presto
non avesse rapito il pontefice.
Finalmente Sigismondo Pandolfo Malatesta, si-
gnore di Rimini, da Leon Battista facendo anch'egli
eseguire il gran tempio in quella citte dedicato a
San Francesco, faceva sorgere in quello il capo
d'opera della moderna architettura. Chi bramasse di
() Matteo.
ALBERTI , T. I. h
LV1I1
averne una minuta ed esatta descrizione potrebbe
leggere il Dufresne nella Vita del nostro Artefice,
o meglio di tutti una molto accurata Operetta,
tutta aggirantesi intorno al famoso tempio, com-
pilata da Giovanni Battista Costa (*) Per noi non
potremmo n dobbiam trattenerci dal riferire : la
seguente lettera, per far vedere come una cupola
simile a quella di Santa Maria del Fiore, oggi Duo-
mo di Firenze, vi dovesse pur entrare, quantunque
questo concetto non ottenesse poi la sua esecuzione
senza sapersi dire il perch. Ma tant' vero che dessa
era risoluta e gi apparecchiata, che fino in una meda*
glia fatta gittare nel 1450 dallo stesso Sigismondo
Pandolfo Malatesta, impressa nel Museo Mazzucchel-
liano (**) e ben descritta dal Battaglini nelle Memorie
istoriche di Rimini e de' suoi Signori, da una parte si
vede il tempio malatestiano colla detta cupola. Ma ecco
la lettera dello stesso Leon Battista che noi traemmo
dalla prima dissertazione (delle due che il Pozzetti
scrisse sopra alcuni passi della Vita di Lorenzo de' Me-
dici, detto il Magnifico) del Dott. Guglielmo R o s e o l e
stampata in Bologna pel Ramponi nel 1810 in 4t o,
la quale anche meglio far vedere la certezza di
quanto abbiamo narrato.
(*) II tempio di San Francesco di Rimini, Lucca 1763.
() Tomo l., Tav. XIV, N. I .
LIX
P restantissimo viro MATHJEO DB BASTIA , Amico
dulcissimo, riminum. Salve.
Molto mifu r grate le lettere tu e per pi tispetti,
* fu mmi grettissimo il Signor mio, com'io desiderav a,
cio che pigliasse ottimo consiglio con tu tti. Ma qu anto
tu mi dici, che il Manelto afferma che le Cu pole denno
esser du e larghezze alte, io credo pi a chi fece Terme
e Panteon, e tu tte qu este cose massime, che a lu i; e
molto pi alla ragione, che a persona. E se lu i si
regge a opinione, non mi marav iglier se errer spesso.
Qu anto al fatto de'pilastri nel mio modello, rammentati
che io ti difsi: Qu esta faccia conv ien che sia opera da
per s, perch qu este larghezze ed altezze delle Cappelle
mi pertu rbano. Ricordati, e ponv i mente, che nel mo-
dello, su l canto del tetto a man ritta e a man manca,
v ' u na simile cosa, e dissi: Qu esto pongo io qu i per
coprir qu ella parte del tu tto idest del coperto, qu ale
si far entro la Chiesa; perocch qu esta lu nghezza
dentro non si pu moderare colla nostra facciata, e
v u oisi aiu tare qu el che fatto , non gu astar qu ello
che s'abbia a fare. Le misu re e proporzioni de' pila-
stri, tu v edi ond'elle nascono, ci che tu mu ti, discorda
tu tta qu ella mu sica. E ragioniamo di ricoprir la
Chiesa di cose leggiere. Non v i fidate su qu e' pilastri
a dar loro carico. E per qu esto ci parea che la v olta
in botte, fatta di legname, fu sse pi u tile. Ora qu el
nastro pilastro, se non risponde legato con qu ello della
Cappella, non monta, perocch qu ello della Cappella
non av r bisogno d'aiu to v erso la nostra facciata, e se
gli bisogner, elio s v icino e qu asi legato, che n'av r
molto aiu to. Adu nqu e, se cos peraltro v i pare, segu ite
il mio disegno qu ale, a mio giu dicio, sta bene. Del
fatto degli occhi, v orrei chi fa professione intendesse il
mestier su o. Dichiarai perch si squ arcia il mu ro, ed
indeboliscono V edifizio in far finestre per necessit
del lu me. Se pu oi, con meno indebolire, av er pi lu me,
non fai tu pessimamente a farmi qu ell'incomodo?.
Da man diritta a man manca dell'occhio rirnam
squ arciato, e tanto arco qu anto il semicircolo sostiene
il peso di sopra. Di sotto non sta nu lla pi forte M
lav oro per esso occhio, ed ottu rato qu ello che dee
m
darti il lu me. Sonov i molte ragioni a qu esto proposito*
ma sola qu esta mi basti; che mai in edificio lodato,
presso chi intese qu ello che niu no intende oggi, mai
mai v edrai fattov i occhio, se non alle Cu pole, ed *
lu ogo della cherica. E qu esto si fa a certi templi, a
Giov e, a Febo, i qu ali sono padroni della lu ce, ed
hanno certe ragioni in la su a larghezza. Qu esto dissi
per mostrarv i onde esista il v ero. Se qu i v err per-,
sona, dar ogni modo di sodisfare al Signor mio. Tu ,
pregoti, esamina ed odi molti, e riferiscimi : forse qu al
che sia dir cosa da stimarla. Raccomandami, qu ando
il v edi o scriv i, al Signore, a cu i desidero in qu a-
lu nqu e modo esser grato. Raccomandami a Monsi-
LI1
gnore (*), a lu tti qu elli che tu credi che me amino.
Se av r fidato, v i mander V Ecatomfila (**) ed altro.
Vale, ec.
Romae, xvm Novembris.
BP TI STA A L BE *TI US.
N qui neanche si fermava il prodigioso sapere
dell'Alberti, che (ritornando ai suo ingegno letterario)
dalla Vita di S. Polito da lui descritta si vede quanto
fosse ancor valoroso nella ecclesiastica erudizione.
Come pure l'incarico che a lui fu dato, e ch'egli
assunse, di scrivere la Vita di D. Ambrogio Trav ersati,
letterato celebratissimo della sua. et, quantunque
ali' opera forse poi non si ponesse, o se pur vi si
pose, la non giunse fino a noi, o non si trova,
baster farne certi come egli dovesse essere ancor
rersatissimo nella storia letteraria.
Ma un ingegno s assetato dello apprendere, e
un' anima gentile, qual era quella di Leon Batti-
sta , come avrebbe ella potuto astenersi dal cercare
d'istruirsi nella pi soave, nella pi commovente di
tutte le arti, la musica? Infatti anche nella musica non
fu inesperto, mentre l'Anonimo citato ne dice che
non solo seppe da s impararla , ina ancor l'insegn
e vi compose; per modo che i suoi componimenti
(*) Probabilmente a Bartolommeo Malatesta, allora vescovo di
Rlmlnl. *
(*) Un' opera amatoria, che In greco suona amica di cento amori.
Vedi pag. XXXVII.
LX1I
armonici ottennero laude ancor da chi in quella era
dotto. E si dilett parimente del canto, ma a questo
non mai si poneva, se non che solo o al pi coi
fratelli e parenti suoi, unici ammessi a poterlo ascol-
tare, e dandosi egli per lo pi a questo sollievo al-
lorch villeggiava. E oltre a ci ancora seppe il
suono, mentre Niccola di Vieri de' Medici nel De pr-
fu giis aeru mnaru m dell'Alberti, rispondendo ad Agnolo
Pandolfini, uno dei collocutori, gli dice: Siete voi*
Agnolo, in questa opinione che queste conversioni e
congiunzioni di voci possano levare gli animi, e
imporre in loro vari eccitamenti e commozioni
Troppo sarebbe forza" qui in Battista, s'e'potesse
con suoi strumenti musici adducere gli animi in qal
parte e' volesse .
Ma ecco finalmente l'Alberti ancor poeta: n
poteva andare scemo di questo pregio un uomo che
la natura aveva formato per tutti i generi di lette-
raria gloria: fu egli ancora uno di que'primi che
col loro genio e col loro buon gusto richiamarono
nel XV secolo la volgare poesia a quello splen-
dore che dopo la morte del Boccaccio e del Pe-
trarca era fin allora rimasto offuscato. Il perch il
suo poetico onore non potr scompagnarsi, senza of-
fensione di giustizia, da quello di un Lorenzo il Ma-
gnifico, di un Angiolo Poliziano e di que'pochi altri
che restituirono alle Muse italiane la loro pristina
gloria. Vero che Leon Battista nostro non potr
dirsi n si soave, n s insinuante nella sua poetica
LIIII
dizione, siccome nella sua il Petrarca, ma s'egli va
secondo in ci al cantor di Valchiusa, privilegiato
dalla natura di una maggior sensitivit e di una pi
speciale attitudine a ben descrivere, soprattutto nei
suoi accessoria i suoi concetti, non potr neanche
negarsi che l'Alberti per chiarezza, e per semplicit,
nel franco concepimento ed esposizione delle sue
idee sempre giuste e ben pensate, non gli vada del
pari. Oltre a questo, non da dimenticarsi che il
Petrarca fece della poesia un suo particolare studio;
e Leon Battista, se dettava versi lo era soltanto a
fine di sollevare con grato passatempo il suo ingegno
sempre sommerso in gravissimi studi. Ma alcuna sua
poetica cosa, meglio persuada quello che le nostre in-
sufficienti parole non basterebbero forse a mostrare.
S'io sto doglioso niu n si marav igli,
Poi che si v u oi chi pu qu el che le piace ;
Non so qu ando av er debba ornai pi pace
Valma smarrita fra tanti perigli !
Misero me! a che conv ien s
f
appigli
Mia v ana speme, debole e fallace,
N rincrescer mi pu chi ci mi face....
Amor che fai, perch non mi consigli f . . . .
Ben fora tempo d'av anzar tu o corso,
Che la stanca v irtu de ognor v ien meno.
N mlto tfamendu e gi mi confido.
Ma se ancora a piet s'allarga il freno,
Tengo che assai per tempo sia 'l soccorso,
Se non, tosto u dirai ? u ltimo sirido.
L1V
tradurre nella nostra versificazione l'esametro ed il
pentametro alla foggia de' Latini, prova essendone
qusti due versi:
' 4
Quarta jmr e*trm+ misifabiU epistola nu mfo.
A le, eke spregi, mistamente uri ;
i quali sono sucri e non del Tolomei, come ora ri-
conoscittto da ogni scrittore dell'italiana versificazione.
Ma questa nuova maniera di verseggiare nella nostra
tavella, se non ebbe seguaci, non meritava, a nostro
avviso, di andar neanche derisa; mentre (reverenti
alla versificazione sorta dair indole di nostra lingua ) ,
bisogna che pure in quanto a noi confessiamo, come
anche questa derivazione latina non le avrebbe forse
portato nessun danno, ma forse una gloria di pi,
di che ella poteva essere degnissima e che le si po-
teva volentieri lasciare a maggiore ricchezza della
sua poetica corona.
Ma poich l'occasione ricondusse le nostre parole
sulle albertiane invenzioni, non sar da noi preterito
come al nostre L. Battista debbansi anche altri felici ed
utili ritrovamenti si in pittura che in ottica e in idro-
statica. Imperocch in quanto alla prima di quest'ul-
time c o s e , inventore fu egli di quel v elo o rete da
ritrarre, conosciuto sotto il nome di reticolo de' di^
pintori, il quale notissimo, non vorremmo al certo
descrivervi, se non ci tirasse a ci il piacere di p-
LXVI
terto fare con le sue stesse italiane parole non mai
fin qui prodotte a luce di stampa.
Nel secondo della Pittu ra poco dopo il principio,
parlando della importanza del disegno e del modo
con cui possa il pittore far visi esperto, dice egli
adunque : Qui si dia principale opera a quale, se
bene vorremo tenerla, nulla si pu trovare, quanto
io estimo pi accomodata cosa altra che quel Tel o,
quale io tra' miei amici soglio appellare iotersega-
zione (*) Quello sta cosi. Egli uno velo sottili**
simo, tessuto raro tanto, di quale a te piace colore
distinto, con fili pi grossi in quanti a te piace
paralleli; qual velo pongo tra l'occhio e la cosa
veduta, tale che la piramide visiva penetra per
la rarit del velo. Porgeti questo velo certo.non
piccola comodit: primo, che sempre ti ripresenta
medesima non mossa superficie, dove t u , posti certi
terminiV subito ritrovi la vera cuspide della piramide;
qual cosa certo senza intercisione sarebbe difficile;
e sai quanto sia impossibile bene contraffare cosa
quale non continovo serva una medesima presenza.
Di qui pertanto sono pi facili a ritrarre le cose
dipinte che le scolpite; e conosci quanto mutato
la distanza e mutata la posizione del centro, paia,
quello che tu vedi, molto alterato. Adunque il velo
(*) La traduzione latina dello stesso Alberti ha qpl Cu iu s eqo
primu m adinv eni. L'Alberti che scrisse da prima in italiano I libri deUa
Pittu ra, nel voltarli poi fn l ati no, volle al certo meglio chiarirvi conVegH
fosse l'inventore del v elo, cosa non molto espressa nell'originale.
LIVII
ti dar, quanto dissi, non poca utilit, ove sempre a
vederla sar una medesima cosa. L'altra sar utilit,
che tu potrai focile costituire i termini degli orli e delle
superficie, ore in questo parallelo vedrai il fronte, in
quello il naso, in un altro le guance, in quel di sotto
il mento, e cosi ogni cosa distinto ne
9
suoi luoghi: cos
tu nella tavola o in parete vedi divisa in simili pa-
ralleli , .ogni cosa a punto porrai. Ultimo a te dar il
velo molto aiuto ad imparare a dipingere, quando
vedrai nel velo cose ritonde e rilevate; per le quali
cose assai potrai e con giudicio e con esperienza
trovare quanto a te sia il nostro velo utilissimo .
E per quanto alla seconda risguardi, chi potr
non riconoscere dalF ingegno pure del nostro Alberti
quella Camera ottica, detta ancora da altri di
prospettiv a, e generalmente attribuita al napolitano
Dalla Porta, vissuto un secolo appresso Leon Battista?
chi, diciam RQ, dopo che nell'Anonimo abbia letto che
da lui una cassetta si compose, dove poste pitture
da esso fatte, e quelle per un pertugio offerte alla
vista de' riguardatoli, questi, e alti monti; e vaste
regioni di paese, ed ampio seno di mare, e navi,
e sole cos al vivo vedevanvi, da esclamare, rozzi o
intelligenti che si fossero: Ecco l in mezzo alt onde
u n v eleggiente nav ilio, che innanzi al mezzod sar
a riv a, se noi trattenga la tempesta; che gi gi il
mare ingrossa, e il forte lu strare del sole in su ll'ac-
qu e ne danno segno! (*)
(*) Vedi Appendice N. I H.
LXVIII
E in idrostatica come immagin egli di misurare
la profondit del mare, ove non iscandagli e non
funi giovassero, eccolo con le sue stesse parole.
Se volete misurare la valle (del mare) quanto
sia profonda, della quale noa si trovi fondo con l o
scandaglio n con molte funi, fate cosi. Abbiate un
vaso atto a tenere acqua, sia a guisa di bossolo o
di tazza, o come vi piaccia; fateli nel fondo un
piccolo pertuso, empietelo d'acqua, ma turate con
cera o con dito, xjhe non versi. Abbiate dipoi una galla
di quercia, un ferretto piccolo simile a una figura
di abaco, che importa 5* Di questo ferretto, il gambo
suo maggiore ficcatelo in detta galla sino alla sua
met; l'altro mezzo avanzi fuori della galla Abbiate
ancora piombini atti da peso quanto vi pare che
sforzino la galla a ire al fondo dell'acqua, i quali
piombini sieno fatti in questa forma quali li vedete
qui dipinti, e slmilmente il vaso e la galla.
Appiccate uno di questi piombini alla vostra
galla, come vedete la pittura, andate in luogo
che a voi sia noto, misurate prima con una fan
quanto sia quivi il fondo dell'acqua. Dipoi arete il
vostro vaso pieno di acqua che sia pura, e peser-
telo insieme con l'acqua quante libbre once e grani
egli sia. Fatti questi preparamenti, lasciate ire a un
tratto la galla con il suo piombino in acqua, e nel
medesimo istante sturate il buso del vaso che l'acqua
se ne esca. La galla tirata allora dal piombino anchr
sino al fondo, e giunto che sar il piombino, toccher
LXIX
prima il capo C il terreno e fermeram ; ed il Capo B
umilmente decliner a terra, e subito la coda A, ap-
piccata all'angolo del ferraccio, si distorna dal luogo
MIO , e la galla libera si rivolter suso ad alto. Siate
presto, e (orate con il dito che nulla pi acqua esca
dal vaso ; dipoi pesate quant' acqua vi resti e quanta
ve. ne manchi, e notate, in quel tempo che la galla
and gi e ritorn s u , qnant'acqua si vers nelle
braccia delle (uni a voi note. Non mi estendo in
altro
9
perch credo che assai comprenderete che con
qpesta misura vi sar fcile il misurare il profondo
dell'Oceano, por che l'acqua non sia corrente .
E questo quel trovato, cui rimase il nome di bolide
tiertiana? che indarno l'Inghilterra prov di rapire
J suo ingegnoso scopritore ed ali' italica gloria, vo-
tando attribuirlo ali' Hooc ; ed pure quella stessa
scoperta di che ragion il Manni nel suo libro di
Fiorentini* inv anite, e che err nel dirlo trovarsi nel
libro VI d&'Architettu ra, mentre invece nelle
Pipcev oiezze Matematiche; la quale fallata citazione
traeva poi io dubbio lo stesso Tiraboschi, che non
avendola trovata mei citato luogo, diceva, forse ne
avr parlato l'Alberti nel silo libro Intrno alle Nav i,
che l'Autore afferma di avere scritto, ma che pro-
babilmente perita.
E anche aveva egli trovato il modo di som-
mergere e ardere le navi con miseranda strage della
ciurma, ci asserendo egli stesso nel duodecimo ca-
pitolo del V libro* delle sue cose architettoniche.
LH
E Slmilmente aveva inventato un tavolato di nave,
di tale artificio da poterlo in un baleno, con un sol
colpo di martello, tetto quanto scommettere> per
cacciar gi i nemici che so vi fossero saliti,
quindi clla stessa celeril restituirlo in pristino
stato (").
E pare altres a noi di aver nelle Piacev olezze
Matematiche ritrovato anche qualche altra invenzione
del genio di Leon Battista, e specialmente pertinente a
geometria; ma queste cose non vorremo asseverante-
mente affermare, contenti di aver con queste parole
forse assillato opportuni ingegni, perch facci ansi a pre-
cedere nell'indagazione, e del tutto ce ne certifichino.
Ma ormai avvicinandoci al fine di queste nostre
parole, diciamo come questo straordinario ingegno,
dopo tanto scientifica artistica e letteraria gloria;
l'anno 1472, come attesta Matteo Palmieri nella sua
cronaca de Temporibu s (**), chiudeva finalmente in
Roma la sua mortale carriera. E la fede di Matteo,
siccome di colui che quivi allora si ritrovava qul
segretario di Sisto I V , vuoisi certamente a quella
preferire dell'Annotatore del Vasri stampato in Roma,
il quale dicendo come l'Alberti avesse avuto sepultura
in Santa Croce nella tomba de'suoi maggiori, ver-
rebbe a far credere ch'egli in Firenze vedesse l'ultii
() Dell'Architettu ra, Libro V, Cap. XI I .
() Leo BaptUla Alberti* vir ingenti atque doctrinae eleaanlis R O JI *
MoaiTCR egregio Archilecturae codice relieto. MURATORI , Rer. Hai.
Script., Voi. I.
L UI
giorno, mentre sicuramente ci non fu. Secondo
poi il Pozzetti la detta morte sarebbe accaduta ia-
torno alla primavera, arguendolo il valente critico
da una filza di Ser Domenico da Figline la quale
esisteva nell'arcivescovato di Firenze, ove si leggeva
che ai 26 Aprile del predetto 1472,< Gta&}o del ca-
valier Carlo Pandolflni veniva presentato afta prioria
di San Martino a Gangalandi, vacante per la morte
allora seguita di Leon Battista ultimo pievano (*).
N fu soltanto Leon Battista pievano di San Martino
di Gangalandi, ma fu egli ancora (testimonio il se*
natore Carlo Strozzi ed il Salvini ) , del novero dei
canonici della metropolitana ; anzi questa dignit
sarebbegli stata, second'essi, conferita fin dal 1447 (**).
Fu caro a molti principi, a Eugenio IV, a Nic-
colo V e a Pio II pontefici, dai quali fu ancor gui-
derdonato da speciali favor, mentre da' primi due
aveva beneficii e prebende, dall'ultimo l'onorevole
incarico di abbreviatoti di lettere apostoliche, come
apparisce nel catalogo che sulle schede del preno-
minato Salvini fu nel 1782 pubblicato in Firenze,
nel quale si legge: Battista, chiamato Leon Bat-
-
(*) Vacante plebe S. Mortimi de GangatendU, qu am ptebem v acai ex
priv ilegio apostolico per obilwn v enerabili* v iri Domini Baptistae de Al-
berti* u llimipUbani nu per defu ncli patroni, eligu nlv enerabilemv iru m Do-
minu m hOkmu m domini equ iti* CarU de Pandotflni* decretoru m doclorem
et canonicu m fiorentinu m compalronu m.
(**) Cosi lo STROZZI e lo stesso SALTIMI nelle Vite da lai Incominciale
a scrivere degVIUtu tri canonici Fiorentini, l e quali si conservano non com-
piate nel loro Archivio.
LXXII
tista di Lorenzo dei celebre cavalier Benedetto degli
Alberti, dottore in decreti, scrittore abbreviatone di
lettere apostoliche di P io 1 1 . . . . x>.
N minore stima ed amore ebbero per lui Giovan
Francesco signore di Mantova e i due Carnosi fratelli
L ionello e Meliadasio marchesi E stensi, ad istanza del
primo de'quali compil il libro deli'Architettu ra, e del
secondo le Piacev olezze Matematiche; come pure Fede-
rigo di Montefeltro, il quale volle ornata l a s n a famosa
libreria delle cose di lui. E certo che in Leon Battimi
dovevano essere que' meriti che dovevano farlo degno
di s grande s t i ma, mentre i pi dotti scrittori della
sua et ad una voce concordano non solo in cbiamario
uomo dottissimo in tutte umane c o s e , e da non p*
sporsi a nessuno del suo tempo f ) , ma s ancora
onnipotente e miracoloso ingegno (**)
E a tanta sapienza riuniva l'Alberti eziandio bel-
lissime doti del l ' ani mo, essendo che era egli man-
sueto, faci l e, gi ocondo, generoso, magnanimo, inverso
gli amici fedele, se pronto a s degno, prontissimo a 4&*
monticarlo, paziente delle o n t e ; s e non che quelle
de'suoi parenti lo trafiggevano a s e g n o , da non ri-
cordarsi talvolta della mitezza del suo cuore.
Ma piacer ai lettori di sentire dalla stessa sua
bocca varie cose risguardanti la sua v i t a , e da lui
intromesse nel suo celebre Momo, ove certamente,
(*) CHISTOFOHO JUND I NO , de Vera Nobilitale*
{**) HIEBONYMI LiQTTi, Epistolae ti Opu scu la eie., Aretli. Tomi 2
in 4io. Vedi Tomo I. E p. XXI I I .
LXX11I
secondo noi, volle egli raffigurare s stesso in quel
Gektsto filosofo che nel libro IV si sente ragionar
con Caronte e col medsimo Momo, il quale nar-
rando al primo le sue calamit, E' m'incresce di
te, o Momo mi o, gli rispondeva: ma che star
io a raccontare le mie miserie per consolare a te
afflitto. Io sbandito dalla patria (*) consu mai il fior
della mia giov ent peregrinando, continu amente du -
rando grndissme fatiche m u na perpetu a necessit
M tu tte le cose. Fu i molestata da u na continu a in-
fu tria e de'miei (**) e degl'inimici. Soffersi la per-
fidia degli amici (***)?che i parenti mi rabbassino: che
f-rtoaU mi calu nniassino; che i nemici mi fu ssino
emeli. Fu ggendo gl'impeti e le fu rie contrarie della
fortu na, incorsi nette apparecchiate rov ine di tu tte
le cose mie. Sono stato tormentato dalle pertu rba-
zioni, dai trav agli e dalle tempeste; soffogato dalle
calamit, oppresso dalle necessit (****) e tu tto sop-
portai pazientemente e con modestia, sperando per
lo av v enire cose migliori dai pietosissimi Dii e dal
m^fato pi che per il passato. E beato a me sedai
tu tto e dagli stdi delle bu one arti, al che io fu i
() Scrivo con diverso carattere tutte le cose che sono avvenute
ascile a Leon Battista per far vieppfy ostensibile il fondamento della nostra
opinione che In Gelaste sia veramente raffigurato l'Alberti.
(**) Di queste ingiurie de' sool , l'Alberti si duole molta spesso nelle
sue Onere.
(**) Vedi Appendice N. I l i .
(****) Vedi App. N. IV.
- A L BE R TI , T. I . , j
LWIV
tempre dedito, fu ssi ora ricompensato di case pia
felici (*). Ma qu al fru tto ch'io facessi nelle bu we
lettere giu dichinio gli altri. Io fo di ine qu esta pro-
fessione di essermi affaticalo, e di -av er fatto ogni
opera, u sato ogni stu dio e diligenza di nomini av ere
a pentire di qu anto di giorno in giorno io facessi
fru tto} ma la cosa mi su ccessa al contrario e molto
fu ori di mia opinione. Imperocch l donde me ne
av ev a ad essere sapu to grado, me ne fu portata in-
v idia; e l donde i bu oni mi promettev ano bene, i
tristi mi procacciav ano male (**). E altrove lo ateato
Gelasto a Caronte che gli chiedeva una mercede por
passar la barca, non avendone e g l i , e da Caronte
essendogli detto che piuttosto che ridursi a quei ^mi-
serabile termine, meglio sarebbe stato lo andarsi a
impiccare, I o, rispondevagli Gelasto, confesso che
r ho Catto scioccamente, ma lo feci forse e non senza
buona ragione, come quello che tenevo per certo
che s'aspettasse massimamente a chi faceva il filosofo
rimuovere in tutto e per tutto da s ogni cura e
pensiero che si potesse aver da'denari, come quelli
che si dice che sono il fomento de' pensieri e de* fa-
stidi, acciocch io mi potessi tutto dare con lo animo
(*) II Homo fu composto dall'Alberti nel 1451, k> che tuoi dire
che In quell'anno le sue traversie non erano cessate.
(**) Vedasi se veramente In Gelsto l'A lberti; mentre tatto
veramente di quanto dice codesto avvenuto a Leon Battista. 11 riferito
brano e I seguenti sono tolti dal volgarfizamento pubblicato dai Bartoll
il 1568.
sciolta e libero alla cognizione ed agli studi delle
ose difficiiissime e rarissime (*) . AU'ultitto^ domftUr
dandogli:' ironicamente Caronte in che t os a consi-
stesse la saviezza de' filosofi, mentre non sapevano
che nuocere a s st essi ; Gelaste quasi montatoi in
i n *** Noi stam quelli che abbiamo saputo ogni cosa,
risponde vag iy noi siamo quegli che abbiamo saputo le
cagioni & i moti delle stelle O , delle pioggie e della
saette. Sappiamo che cosa sia l a terra, i l e i e l o e di l
mare (***). Noi siamo stati g'inventori delle ottime
arti f ***). Noi quegli che con i nostri scritti abbiamo
quasi che data la l egge agli uomini, mediante la quale
essi diventino pii (*****) , ed abbiamo insegnate le
comodit della vita e le altre cose atte ad acquistarsi
fai grazia degli uomini (******) .
E qui sia posto termine a questo nostro Discorso,
i l qual e, se non avr in qualche modo giovato a far
ooooscere tutta la grandezza dell'immenso ingegno
(*) Anehe questo rilevasi In.moltissimi luoghi delle opere di Leone
da potersi dire di lui.
(**) Apparisce nelle Piacev olezze Matematiche infatti cbe l'Alberti sa-
pesse astronomia e conoscesse la fisica; e cosi nel intono.
(***} Scrisse an libro de Nav e, ma che forse perduto; dove certo
un Ingegno come Leon Ballista doveva aver trattato del mare in tutta la
sua estensione.
(***) inventore colai cbe ritrov qualche cosa; e Leon Battista fu
in fatti trovatore tanto in architettura che In statuarla e in pittura.
(*) Scrisse l'Alberti un'opera de Religione.
(******) O non si vede qui una palpabile allusione al libro deWArchi-
teUu ra e all'altro (non men famoso quando sar pubblicato) della Famiglia ?
LXXVI
e quasi incredibile di Leon Battista, non ci sar, spe-
riamo, nemmeno disdetto di lusingarci dal cortese
e generoso lettore di essere della nostra ii
perdonati, pensando che non di un Discorso, ma di
uh intero e non piccolo volume sarebbe stato materia,
ci che noi ci ingegnammo ristringere in queste
poche e incolte pagine, e opera di grande e poderoso
ingegno i l discorrere di Leon Battista in un modo
che di lui fosse degno.
" "1 n
NO TIZIE
l i mano
A L E O N BA TTI STA A L BE R TI (*>
Percorrendo le Opere di questo Genio si ngol are,
si trovano sempre delle interessanti novit che erano
sfuggite ad altri studiosi.
L 'invenzione de' sostegni per uso dei canali di
navigazione, fu dallo Zendrini attribuita ad alcuni
ingegneri venezi ani , ed in Toscana e in Lombardia
prevalse l'opinione che Leonardo da Vinci fosse il
primo ad immaginare siffatto artifizio, e ne facesse
nel territorio milanese l'applicazione.
Ma Leon Battista Alberti descrisse i sostegni per
uso della, navigazione con tanta evi denza, che non
pu mettersi in . dubbio aver egli > o i nvent at o, o
almeno ben conosciuto-questo mirabile artifizio avanti
ai sopraccitati due ingegneri veneziani ed a Leonardo
(*) Queste Notizie dettate da S. E . il Consigliere Conte VITTORIO
FOSSOMBRONI, ci vennero gentilmente favorite dalSig. Professore Dottor
G .B.lficcouNi, al quale l'illustre Autore ne avea fatto dono.
fosse nel primo, e contribuisce a si fatto resultato lo
strato d'aria cbe resta sotto il pastrano, al quale
strato d'aria non da luogo l'abito attillato e stretto
alla vita. In simil guisa una flanella che abbia da
una parte del pe l o, se venga applicata sopra l a carne
dalla parte del pel o, tien pi caldo di quello che fa-
rebbe dalla parte opposta, perch in questo secondo
caso resta a contatto quasi con tutti i punti, mentre
nel caso primo i peli diminuiscono i contatti, e danno
quindi luogo alla permanenza di uno strato d'aria
sotto la flanella.
I sommi Geni godono la facolt di una specie
di divinazione, onde come per istinto toccano a certe
verit che sono di un livello molto pi elevato di
quello delle speculazioni l oro contemporanee. 11 di-
vino Alighiri ha date molte riprove di c i , e segna-
tamente in quella bella terzina, la quale esprime la
teoria sulla formazione della pioggia, data nel decorso
secolo dal fisico L e-R oy.
Ben sai come nell'aere si raccoglie
Qu ell'u mido v apor che in acqu a riede>
Tosto che sale, dov e 'l freddo il coglie.
D A NTE , Pu rg. C a nt . V . , v.
AVVERTENZA.
Come si era promesso nel nostro Discorso, avremmo
dopo il medesimo dovuto dare il Catalogo delle Opere
di LEON BATTISTA ALBERTI ; ma la forte probabilit, e
quasi certezza nuovamente fattasi incontro, di potere
scoprire altre importanti sue Opere, specialmente per-
tinenti alle A rti, ci fece risolvere di sospenderlo,
per offrirlo intero e compiuto alla fine dell'ultimo
volume. Se non che vogliamo farvi sin d'ora sicuri
che non sar desso composto di meno di 38 titoli di
Opere incontrastabilmente di lui.
A L BK R TI , T. l .
D O CUMENTI IL L USTR A TIV I
EDITI ED INEDITI
DELLA V I TA , D E L L E O P E R E E D E L L A FAMIGLIA
DI
L E O N BATTISTA A L BE R TI
A P P E N D I C E
L
Lettera del POUZIANO a LOREFIZO D B' ME D I CI , cui a nome di BE R -
NARDO A L BE R TI , fratello di L E O N BATTISTA, intitola l'edizione
de Re JBdifieatoria, stampata pe r la prima volta in Firenze
nel 1485 in-folio.
Baptista Leo florentinu s e clarissima Albertorum familia,
v ir ingenti elegante, acerrimi ju dicii, exqu isitissimaequ e doctrinae,
cu m complu ra alia egregia monu menta posteri* reliqu isset, tu m
tibros elu cu brav a de A rchitectura decem, qu os propemodu m emen-
datos perpolitosqu e editu ru s jam jam in lu cem oc tu o dedicatu ru s
nomini fato est fu netos. Hu ju s frater Bernardus, homo pru r
d$ns
%
tu iqu e inter pau cos stu diosu s, u t u na Opera tonfiti v iri
memoriae v olu ntatiqu e consu leret, et tu is in se meritis gratiam
referret
9
de&criptos eos eoo archetypis, atqu e in v olu men redactos,
tibi repratsentat, Lau renti Medice. Et cu pkbat Uh qu idem, u t
ipsu tn apu d te mu niti au ctoremqu e mu neris Baptistam ornarem
v erbis. Qu od ego mihi nu lla rottone statu i faciendu m, ne tam
absolu ti operi$, tamqu e excelkntis v iri lau dea cu lpa atterrerei* in-
genti; namqu e operi qu idem ipti maju s mu lto ex lectione praeco-
niu m accedei, qu am qu antu m ego u ttis v erbis consequ i possim.
Au ctoris au tem lau des, non solu m epistola angu stiai
}
sei nostra
omnino pau pertatem orationis reformidanU Nu llae qu ippe hu nc
hominem latu eru ntf qu amlibet remotae litterae, qu amlibet recon-
ditae disciplinae. Du bitare possis u tru m ad oratoriam magis, an
ad poeticen factu s
9
u tru m grav ior UH sermo fu erit, an u rbanior.
Ita perscru tata antiqu itatis v estigio est
9
u t omnem v eterv m ar-
chitectandi rationem et deprehenderit, et in exemplu m rev ocav erit:
sicu t non solu m machinas et pegmata, au tomataqu e permu lta, sei
formas qu oqu e aedificioru m admirabiles excogitav erit : optimu s
praeterea et pictor et statu ariu s est habitu s ; cu m tamen interini
ita examu ssim tener et omnia, u t v ix pau ci singu la: qu are ego de
ilio, u t de Cartilagine Sallu stiu s, tacere satiu s pu to
9
qu am pau cQ
dicere. Hu ic au tetn libro, Lau reati, cu m v el praecipu u m ocu m
in tu a bibliotheca v elim attribu as, tu m eu m et ipse legas diligenter,
et legendu m v u lgo, pu blicandu mqu e cu res : nam et ipse dignu s est,
qu i v olitet doeta per ora v iru m, et in te jam u no propemodu m
recu mbit desertu m ab aliis pratrociniu m litteraru m. Vale.
II.
Tratto dalla seconda nu merazione delP E logio latino di L eon
Battista Alberti, pag. 6, scritto da POMPILIO P O ZZE TTI , ov e
Vegregio biografo critico con molte sav ie ragioni s
p
ingegna
mostrare che il lodato sapiente nascesse in Venezia nel 1404.
Non sembra esservi dubbio che i l nostre Leon Battista
sortisse i natali in Venezia ; poich si sa da l ui medesimo (lib. I l i
della Famiglia) che gli Alberti, dopo l e note loro vicende, eransi
stabiliti in quella ci tt; di pi essi vi ebbero sepoltura. I l solo
L orenzo padre del nostro Leone ebbela in Padova, perch si era
col trasferito ad impulso de
9
medici, per motivi di salute. Final-
ment e, il Burchiello cos da principio ad uno de' suoi Sonetti
( P arte I I , pag. 42. Firenze 1553, in-Sv o )
Stadio Boezlo di Consolazione
Quivi In Vinegia in casa u n degH Alberti.
Intorno poi all'anno preciso in cui nacque Leon Battista,
dividonsi fra di loro gl i eruditi. P er tacer d'altri, i l Hanoi ed
LXXXTII
il Lmi, e ristesso Sig. Cav. Tiraboschi. I due primi (de Fhr.
inv enti*, Cap. XXXI; Nov . Leti, di Fir. del 1745, col. 452 ) si
determinano per Tanno 1398. Ali' immortale Autore della Storia
ditta Lett. ital.,T. V I , Lib. I I , ediz. pri. .Sfoci, sembr di do-
verlo differire verso il 1444. Son ben lontano dalP entrare in
contese, ed in contese di anni e di date. Convenne anco d'Alem-
bert nell'Elogio di Bernoulli, che tali questioni distolgon sovente
i biografi da oggetti di maggior importanza. L'epoca vera della
nascita di Leon Battista per noi quella, in cui la prima volta
comparve con gloria alla luce del mondo letterario. Che se mi
si chieda il motivo, che mi ha pure indotto a fissarla nell'anno 1404,
eccolo in succinto. Attesta YAlberti medesimo (*) che nel trente-
simo anno dell'et sua, egli indirizz la sua Commedia intitolata
Philodoxios ali' insigne cavaliere Leonello d'Este. Per impetrarne
il favore, si prevalse della mediazione del rinomato Poggio Brac-
ciolini. La lettera, colla quale il Poggio offer all'Estense Mecenate
l'operetta di Leone, scritta da Bologna il di 12 di Ottobre.
Ora per essere il Brecciolini allora Segretario apostolico, l'Ottobre
segnato in essa lettera, dee fissarsi quello dell'anno 1436 o 1437,
in cui lo stesso Poggio trovavasi in Bologna colla corte del sommo
pontefice Eugenio IV. Tolgansi pertanto all'anno 1436 o al se-
guente i 30 anni dell'et del nostro Alberti; diasi il tempo che
impieg nel ritoccare il suo Filodossio, si calcoli quello della sua
dimora in Firenze ove distese i suoi tre libri toscani della Pittu ra,
e si avr Fanno enunciato. Cos l'epoca da noi fissata trovasi
coerente a quella del Senator Carlo Strozzi, e del Can. Salvini.
Questi nel margine scritto a penna di un ruolo de' Canonici fio-
rentini assicura esser nato YAlberti a' 18 Febbraro dell' anno
comune 1404. Ultimamente il chiarissimo Sig. Ab. Serassi (Afe-
morie delle Belle Arti, Roma pel Pagliarini 1788, T. IV, p. 20}
(*) V edi Appendice N. IV.
LXXXYM
ci ha fatto sapere, che sulla tavola interna di un esemplare dei
libri de Re jEdificatoria dell' edizione fiorentina dell'anno 1465,
esistente nella Libreria de' Padri Minori Osservanti di San Fran-
cesco in Urbino, leggesi notato da mano coeva : a Au ctor tanti
Architectu rae D. LEO BATISTA DB ALBEHTIS natu s est Itmu ae anno
christmae salu ti* 1404 . Vero Tanno della nascita ; ma quanto al
luogo, io non penso di dover rinunziare alle ragioni che mi hanno
indotto a creder nato Leone in Venezia, sulla semplice parola
di un Anonimo, sia pur egli contemporaneo, che lascia in un
libro una memoria senza recarn poi alcuna prova. Cosi non si
fosser perduti que' Ricordi au tografi che VAlberti slesso avea
lasciato della vita e delle Opere sue ! Essi ci avrehber risparmiata
la pena di trattener chi legge in troppo minute ricerche. I men-
tovati Ricordi, per testimonianza di Filippo Valori ne' suoi
Termini di mezzo riliev o, ec. ( Firenze -1604, pag. 10 ) , si
conservarono gi presso Gio. di Angelo degli Alberti, vescovo di
Gortona e governatore di Camerino, fino al cader del secolo XVI.
IH.
V I TA D I LEON BATTISTA A L BE R TI
DI
AUTORE ANONIMO 0
CON A FR O NTE I L V O L G A R I ZZA ME NTO
D E L D O TT. NI CI O BONtJCCI
( E stratti dal Voi. XXV della celebre C ollezione, Intitolata : Rertm
tUMearu m Scriptores, e c . , pubblicata dal MURATORI ) .
(*) Avendo lette e ben considerate queste Memorie, non possiamo
nascondere un nostro pensiero, 11 quale sarebbe che dalla penna dello
stesso Alberti siano desse uscite ; non potendo credere che altri che Leon
Battista non fosse stato, avesse potato con tanta minuta puntualit ed
evidenza farsi narratore li certe cose che non potevano essere note che
a fui sol o, o solo da lui avvertite e ricordate. In cento luoghi questo che
nel diciamo pare infatti si Riccia manifesto. D'altronde noi sappiamo
ancora che L. Battista lasciava scritto de' Bicordi nUa ma Vita ; e che sul
finire del XVI secolo erano essi In mano del vescovo di Cortona, e gover-
natore di Camerino suo discendente (a). Queste, che ora si presentano
al pubblico, furono ritrovate senza principio, e forse mancanti del fine.
(a) Vedi pag. L XXXV I I I .
A L BE R TI , T. I . I
L E O MS BA P TI STiE DE ALRERTIS VITA.
Omnibu s in rebu s, qu ae ingenu u m et libere
edu eatu m deceant, ita fu it apu eritia instru ctu s, u t inter primario*
aetatis su ae adolescentes minime u ltimu s haberetu r. Nam cu m
arma, et equ os, et mu sica instru menta arte et modo tractare,
tu m literis, et bonaru m artiu m stu diis., rarissimaru mqu e et diffL
cillimaru m reru m cognitioni fu it deditissimu s. Deniqu e omnia,
qu ae ad lau dem pertinerent, stu dio et meditatione ampexu s est.
Ut reliqu a omittam, fingendo atqu e pingendo nomen qu oqu e adi-
pisci elaborav it, adeo nihil a se fore praetermissu m v olu it
t
qu o
fieret u t a bonis approbaretu r* Ingenio fu it v ersatili, qu oad nu ttam
ferme censeas artiu m bonaru m fu isse non su am. Hinc ncqu e otto,
au t ignav ia tenebatu r, nequ e in agendis rebu s satietate u squ am
afficiebatu r. Solitu s fu erat dicere: sese in literis qu oqu e iUu d
non animadv ertisse, qu od aiu nt reru m esse omniu m satietatem
apu d mortales ; sibi enim literas, qu ibu s tantopere delectaretu r,
tnterdu m gemmas. floridasqu e atqu e odoratissimas v ideri, adeo
u t a libris v ix posset fame, au t somno distrahi; interdu m au tem
literas ipsas su is su b ocu lis inglomerari persimiks scorpionibu s,
u t nihil posset reru m omniu m minu s, qu am libros intu er A literis
iddrco, si qu ando sibi esse illepidae occepissent, ad mu sicam,
et pictu ram, au t ad membroru m exercitationem sese tradu cebat.
XCI
VITA DI LEON BATTISTA ALBERTI.
In tutto che a nobile e liberalmente educato
convenisse, cosi fu sin da puerizia ammaestrato, da non aversi
certo per l'ultimo fra i primi giovinetti dell' et sua. Imperoc-
ch dato a' cavalli, agli armeggiamenti ed ai musicali ^strumenti,
delle lettere e delle beli' arti appassionato, cosa non v' era s
peregrina e difficile eh' egli non cercasse di avidamente apparare.
Finalmente tutte cose laudate con lo stadio e la meditazione com-
prese. nel modellare e nel dipingere ancora, per tacre il re-
stante, cos egli si affatic, da non voter nulla pretermesso per
venire in istima de' buoni. D 'ingegno facilissimo, pu dirsi tutt'arti
fosser sue. Non o z i o , non inerzia in lui la potevano, s che
datosi a una cosa non sapeva saziarsene. Diceva egli sovente
avere con le lettere succulcata quella saziet, la quale si tiene
essere in tutte umane cose. E tanto godeva nelle lettere, da
parergli quelle talvolta boccinoli di odoratissimi fiori, da non
potersi n per fame, n per sonno staccare dai libri ; e talora
dal troppo s u starvi, parevagli sotto gli occhi ammucchiarglisi
l e lettere come scorpioni, da non poter nulla non che i libri
vedere. Ed ove avvenisse che l e lettere lo avessero stancato,
la musica, la pittura e l'esercizio ne l o ristoravano. Usava la
XCII
Utebatu r pila, jacu lo cimentato, cu rsu , saltu qu e, lu ctaqu e, atqu e
imprimis ardu o ascensu in montes delectabatu r, qu as res omnes,
v alitu dini potiu s, qu am lu do au t v olu ptati conferebat. Armoru m
praelu diis adolescens claru it: pedibu s iu nctis stantiu m hu meros
hominu m saltu su pra transilibat. Cu m hasta parem habu it saL
tantiu m ferme neminem. Sagitta manu contorta thorace firmissi-
mu m ferreu m pectu s transv erberabat. Pede sinistro ab pav imento
ad maximi templi parietem adacto, su rsu m in aethera pomu m
dirigebat manu , u t fastigia longe su perv aderet su bKmiu m tecto-
ru m. Nu mu lu m argenteu m manu tanta v i emettebat, u t qu i u na
secu m afforent in tempio, sonitu m celsa conv exa tectoru m templi
ferientis nu mi clav e exau dirent. Equ o insidens, v irgu la oblonga
altero capite in pedis dorsu m constitu to, et manu ad alteru m
v irgae capu t adhibita, in omnem partem qu adru pedem agito.
bai, v irga ipsa
y
integras u t v olebat horas, immota nmqu am.
Miru m atqu e rasru m in eo, qu od ferodores equ i et sestoru m
impatientissimi, cu m primu m consendisset, su b eo v ehementer
coatremiscebantt atqu e v elu ti horrentes su btrepidabant. Mu iicam
nu ltis praeceptoribu s tenu it, et fu ere ipsiu s opera a doctis mu sici*
approbata. Cantu per omnem aetatem u su s est ; sed eo qu idem
intra priv atos pariete$
P
au t solu s
et praesertim ru re cu m fratre,
i
propinqu isv e tantu m, Organis delectebatu r, et inter primario
mu sicos in ea re peritu s habebatu r. Mu sicos effecit nu nnu llos eru -
ditiares su i monitis.
Cu m per aetatem coepisset matu rescere, caeteris omnibu s
rebu s posthabitis, sese totu m dedicav it stu diis literaru m ; dedit
enim operam ju ri pontificio, ju riqu e civ ili, annos aliqu ot; idqu e
tantis v igiliis tantaqu e assidu itate, u t ex labore stu dii in grav em
corp&ris v aletu dinem inciderete In ea qu idem aegritu dine su os
perpessu s est afflnes non pios ncqu e hu manos. Idcirco consokmdi
su i grafia, internUssis ju riu m stu diis inter cu randu m et conv a-
lescendu m, scripsit Philodoxeos fabu lam, annos natu s noti plu s
v iginti, oc du m per v aletu dinem primu m licu it, ad coepta dein-
xe ni
palla, il corso, la lotta, la danza, il dardeggiare, e soprattutto
lo ascendere ardui monti; ma ci pi a robustezza del corpo
che per gi uoco e sollazzo. Ne' soldateschi esercizi, giovanotto i l l u-
strassi; da terra a pie pari un uomo ritto saltava, n aveva
chi nel salto dell'asta lo vincesse. Una saetta da l ui vibrata, tratta
la mano al petto, forza aveva di trapassare qual pi forte ferrea
corazza. Col sinistro pie rasente al muro del D uomo, scagliando
in al t o un pomo, superava pi molto il culmine de' tetti. Cos
una piccola moneta d'argento con tanf impeto in u n tempio in
alto lanciava, da far senti l e a chi quivi era con l ui il suono della
percossa nella volta. A cavallo, l'estrema punta d'una verga ferma
al piede, sull'altra la mano, ore sane durava con la pi gran
facilit a volteggiare, immobile la verga. Raro e mi rabi l e!
Serissimi cavalli del cavaliere intollerantissimi, com' egli su vi
fosse, quasi sentissero orrore, pareva sottrepidassero (1). Da $
la musica apprese, e quanto vi compose piacque a
9
maestri (2).
Finch visse ebbe in uso il cantare, ma in privato e s ol o, e
specialmente in villa col fratello o parenti. Dilettavasi ancora di
suonar gli organi, ove fu tenuto de' primi suonatori ; e de' suoi
consigli molti ancor rese pi esperti nella musica (3).
Cresciuto negli anni ogni altra cosa pretermessa, tutto alle
lettere ed alle sacre e civili leggi si diede, s che tra per le tante vigi-
lie e l a indefessa assiduita, vinto dalla fatica degli sludi gravemente
i nferm, senza che i suoi di quel suo stato si movessero a piet.
Frattanto a onsolazione di s s t es s o, n avendo allora pi che
vent'anni, intermesse l e leggi, fra l a convalescenza e la cura scrisse
il Filodossio commedia (4). Ma sanato appena e g' incominciati
XCIV
ceps stu dia, et leges perdiscendas sese restitu it; in qu ibu s cu m
v itam per maximos labore*, su mmamqu e egestatem traheret, ite-
rato grav issima aegritu dme obreptu s est. Artu s enim debilitati,
mcritu dinequ e absu mptae v iru s oc prope totiu s eorporis v igor,
robu rqu e infractu m atqu e exhau stu m, eo dev entu m est grav issima
v aitu dine, u t lectitanti sibi ocu loru m illieo acies obortis v ertigi-
nibu s
9
torminibu squ e defecisse v ideretu r, fragoresqu e, et longa
sibila adinter au res mu lto resonarent. Has res phisici av enire
fessitu dine natu rae statu ebant. Ea de re admonebant iteru m, atqu e
iteru m, ne in his su is laboriosissimi persev eraret. Non paru it;
sed cu piditate ediscendi sese lu eu bratimibu s macerans, cu m ex
stomaco laborare accepit, tu m et in morbu m incidit dignu m me-
morato. Nomina enim interdu m familiarissimoru m, cu m ex u su
id foret fu tu ru m, non occu rrebant ; reru m au tem, qu ae v idisset,
qu am mirifice fu it tenax.
Tandem ex medicoru m ju ssu stu dia haec, qu ibu s memoria plu ri-
mu m fatigaretu r, prope efflorescens intermisit. Veru m qu od sine lite-
ris esse non potset, annos natu s qu atu or et v iginti ad phisicam se,
atqu e mathematicas artes contu lit; eas enim satis se posse colere non
diffidebat: siqu idem in his ingeniu m magis, qu am memoriam exercen-
dam intelligereL Eo tempore scripsit ad fratrem de Commodis lite-
rarum, atque Incomipodis, qu o in libello ex re ipsa perdoctu s, qu id-
nam de literis foret sentiendu m, disseru it. Scripsitqu e per ea tempora
animi gratta complu rima opu scu la (5) : Ephebiam, de Religione,
Deiphiram, et pleraqu e hu ju smodi solu ta oratme ; tu m et v ersu ,
E legias, Eclogasque; atqu e Conciones, et eju scemodi amatoria, qu i-
bu s piane stu diosis ad bonos mores imbu etdos, et ad qu ietem animi
prodesset. Scripsit pr aeterea et afjiv Au m su oru m gratia, u t lingu ae
latinae ignaris prodesset, patrio sermone annu m ante trigesimu m
aetatis su ae etru scos libros, primu m, secu ndu m, oc tertiu m de Fa-
milia, qu os Romae die nonagesimo, qu aminchoarat, absolv it; sed
inelimatos, et asperos, nequ e u squ equ aqu e etru scos. Patriam enim
lingu am apu d exteras nationes per diu tinu m familiae Albertov u m
xcv
stadi eoo l e leggi riprese, l'ingente fatica, e la gran povert nuo-
vamente nel male il travolsero. D ebol e, macilento e senza
quasi pi un fil di l ena, ogni tanto costretto al letto, per tor-
nami ecclissaronglisi gli occhi , e le orecchie continuo cantarongli,
parendogli lunghi sibili e strepiti sentire. Chiamati i medici, e
statuito ci dalla stanca natura avveni re, ali
9
abbandono de' fa-
ticosi stadi l o consigliavano. Ma egli sordo, e dalla sete d' ap-
con gli stadi a consumarsi, alla fine,
g u a s t a t o g l i l o stomaco, cadde in memorabile male; imperoc-
ch de
9
nomi de
9
suoi iamigliarissimi, che par tatto giorno aveva,
in bocca, non si risovveniva, mentre delle vedute cose era poi
tenacissimo (6) .
Al fine comandandolo i medi ci , quegli studi della memoria
soperchiamente affaticalori, in sul presso di vederne il fratto inter-
Ma non potendo star senza essi, di 24 anni, alla fisica ed alle
matematiche intender; non diffidandosi di loro, per essere cose pi
che da memoria, da ingegno. In quel tempo scrisse al fratello della
Comodit e Incomodit dlie lettere; nella quale operetta,.ammae-
strato dall'esperienza, che s'avesse a pensare di esse tratt; e Ai
pure allora che pi e pi opuscoli per suo sollievo compose: in pro-
s a , YEftbia, de Religione, la Dtifira e molte altre cose di tal fatta,
in verso, Elegie ed Egloghe; cos Concioni e altrettali operette ama-
torie, si per informare a
9
buoni costumi chi l e avesse studiate, e
s a tranquillit dell'animo. Scrisse inoltre, e per ingrazionarsi c o i .
suoi, e per chi non sapesse latino, il primo, il secondo e il terzo
libro de Famika, i quali in 90 giorni ebbe in Roma incominciati e
finiti; per ruvidi e incolti da non si poter dire toscani; avvegnach
per la lunga cacciata della famiglia A lberti, presso forestiere
XCVI
exiliu m edu catu s non tenebat, et du ru tn erat hoc in lingu a seri-
bere eleganter, atqu e nitide, in qu a tu m primm scribere non
assu ev eraU Sed brev i tempore mu lto su o stu dio, mu lta indu stria
id asseeu tu s extitit, u t su i civ es
f
qu i in senatu se dici eloqu entes
cu permt, non pau cissima ex ittis scriptis ad exornandam ora-
tionem su am ornamenta in dies su scepisse faterentu r. Seripsit et
praeter hos annu m ante trigesimu m plerasqu e I ntercaenales, illas
praesertim focosa*, V iduam, D efunctum, et istis rimillimas, ex
qwbu s qu od non sibi saHs matu re editae v iderentu r, etsi festiv is-
sime forentj et mu Uos risu s excitarent, tamen plu res mandamt
igni, n obtrectationibu s su i reKnqu eret, u nde se kv itatis forte
su bargu erent. Vitu peratoribu s reru m, qu as conscriberet, modo
coram sententiam su am depromererU, gratias agebat, in eamqu *
id partem accipiebat, u t se fieri elimatiorem, emendatoru m ad-
monitu s v ehementer congratu laretu r. De re tamen ita sentiebat,
omnibu s facile persu awm iri posse, u t su a plu rimu m scriptio
probaretu r, qu ae, si forte minu s, qu am cu peret, delectet, non tamen
se incu lpandu m esse, qu mdoqu idem sibi secu s, qu am caeteris
anctoribu s non licu erit ; cu iqu e enim ajebat ab ipsa natu ra v eti-
tu m esse meliora faoere su a, qu am possit facere : demu m sat est
pu tandu m, si qu id pr v iribu s, et ingenio immeri satisfeceriL
Mores au tem su oi iteru m atqu e iteru m per qu am diligen-
tissime cav ebat, ne a qu oqu am possent u lla ex parte ne su -
spetione qu idem v itu perarti et cahtmniatores pessimu m in v ita
homintu n malu m v ersati ajebat. IUos enim dididsse per jocu m
et v ohiptatem non minu s, qu am per indignationem et iracu n-
diam famatn bonoru m sau dare, et posse nu Uis remediis cica-
tricem illati eoru m perfidia u lceris aboleri. Itaqu e v otu it otnni
in v ita, omm gesta, ormi sermone et esse, et v ideri dignu s
bonoru m benev okntia, et cu m ceteris in rebu s, tu m maxime
tribu s omnem dicebat artem eonsu mendam. Sed arti addendam
artem, ne qu id Mie factu m arte v idea tu r, du m per u rbem abam-
bu laris, du m equ o v eheris, du m loqu aris ; in his enim omni
ICTU
nazioni educato, la patria Ungila non sapesse e doro gli Cosse
dapprima assuefatto, con eleganza e nitore lo
Ma presto molla c o n ed industria ci arendogU fatto
i, che i noi concittadini che ia-Consiglio dest-
ri'eloquenti, per abbellire lor conclone, non po-
chi fiori, a Imo stessa confessione, da
9
suoi scritti prendessero.
Oltre a ci non ancora trentenne molte inUreemaU por compose
e i p f n i l m f t r quelle festive del Morto, e della Vedov a e altre
a queste similissime, assai delle quali per non parergli i one
con maturo consiglio pubblicate, quantunque le finsero giocon-
dissime e mollo.le facessero ridere per non dare ansa a
9
male-
voli suoi di morderlo di lenta ne le dar aUe fiamme. A
9
riprensori
delle sue scritture ove egli uditi li avesse grazie riferiva, e ne
godeva come lo incitassero a far meglio, sebbene poi in fondo fosse
convinto non avessero a dispiacere suoi libri, i quali se quanto
avesse egli desiderato non fossero nasciti, non perci doverla
avere.con lui, avendo anch'egli, come tuli* altri scrittori, con
tutte le fan del suo ingegno fatto il possibile di far bene; n
poco ci essere.
E in quanto alla vita, era si scrupoloso di onorata fama,
che neanche il sospetto di non bella cosa voleva appannasse
il suo nome. I calunniatori poi, la pi gran peste per lui
degli uomini, abboniva, come quelli che per ischerzo e sol-
lazzo non meno che per indignazione e iracondia laceravano la
fama de
9
buoni, irrimediabile piaga. Cosi in ogni azione, gesto
e parola volle essere e comparir degno dell
9
amore de
9
buoni,
dicendo fra l'altre doversi tre cose con ogni studio soprattutto
curare: passeggiare, cavalcare, parlare da non potere essere
ALBERTI , T. 1.
XC V ilI
ex parte circu mspiciendu m, u t nu ttis non v ehementer placeas.
Mu ltoru m tamen> etsi esset facUis, mitis, oc nu lli nocu u s, sensit
iniqu issimortm odia, occu ltasqu e inimicitias sibi incommodas,
atqu e nimiu m grav es; oc praesertim a su is afftnibu s acerbissima
inju rias, intolerabilesqu e contu melie^ pertu lit animo constanti.
Yixit cu m inv idii et malwolentissimis tanta modestia, et aequ ani-
tritate, u t obtrectatoru m, aemu loru mqu e nemo tam etsi erga se
iratior
f
apu d bonos et grav es de se qu idpiam, nisipknu m lau dis,
et (xdmirationis au deret proloqu u Coram etiam ab ipsis inv idis
honorifice accipiebatu r. Ubi v ero au res alicu iu s lettissimi, oc su i
simillimi paterent
r
hi maxime, qu i prete eeteris diligere simu lassent,
omnibu s calu mniis absentem lacerabant. Tam aegre ferebant v ir-
tu te et lau dibu s ab eo su per ari, qu em fortu na sibi tonge esse in-
feriorem ipsi omni stu dio et indu stria aborassenU Qu in et fu ere
x necessariis (u t cetera omittam) qu i illiu s hu mmitatem, bene*
ficentiam, UberalUatemqu e experti, intestinu m, et nefariu m in
scelu s ingratissimi, et cru delissimi conju rarint, serv oru m au dacia
in eu m excitata, u t v im ferro barbari immeritissimo inferrent.
Inju rias istiu smodi a su is illatas ferebat aequ o animo per taci-
tu rnitatem magis, qu am au t indignatione ad v indictam penderei,
au t su oru m dedecu s, et ignominiam iri promu tgatu m sinereL Su o-
ru m enim lau di, et nomini plu s satis indu lgebat, et qu em semel
dilexerat, nu llis poterat inju riis v inci, u t odisse inciperet, sed
improbos ajebat maleficiis in bonos inferendis facile su periores
fu tu ro. Nam satiu s qu idem apu d bonos pu tari sentiebat injitriam
perpeti, qu em facete. - Ideirco notentibu s laedere contra eos, qu i
Uteessire parati sint, contentionem esse non aequ am. Itaqu e pr-
terv oru m impttu m paciencia frangebat, et se ab calanu tate, qu od
posset, sob v irtu tis cu lto v endicabat. Bonis et stu diosis v iris fu it
commendata. Principibu squ e non pau cis aceeptissimu s. Sed qu od
omne ambitionis, assentationisqu e genu s detestaretu r, minu s mu ltis
placu it, qu am placu isset, siplu ribu s sese familiarem fecisset. Inter
principes tamen italos, interqu e^ reges exteros non defu ere u ni
XG1 X
da nessuno in qualunque cosa ripreso. 1 molti odii de' tristi e
le coperte nimist, quantunque facile e mite, e specialmente
le acerbe e hitollerande onte de' suoi, supremamente senti ;
ma con forte animo seppe anoor tollerarle. Con g' invidi e ma-
ligni si modestamente e con tanta equanimit si comport, che
maldicenti ed emuli, per quanto con lui la volessero, non uno
vi fu che, co
9
buoni e prudenti, il maggior bene del mondo non
ne dicesse e non lo ammirasse. Anzi da costoro, in faccia, molto
era onorato; ma se poi tra' lor pari o fra creduli e'trovati si
fossero e lui lontano, l'inGnta amicizia in ogn' ingiuria prorom-
peva, non potendo patire esser vinto in lodi e virt da cbi fosse
men ricco di loro. Tra i suoi, per dirne una, fu persino cbi,
quantunque provata avesse F umanit di lui ne' suoi benefizi e
liberalit, con domestica scelleratezza, ingratissimo^ crudelissimo
congiur, incitando l'audacia de' servi sino ad assalire rinnocen-
tis9imo con barbaro coltello. Per tali ingiurie da' suoi, noti solo
egli equanime sosteneva, ma s taceva per non propalare il vi-
tuperio de' suoi, i quali molto volentieri e pi di quel si meri-
tassero lodava. Amato uno una volta, per offse che costui gli
rendesse, non v' era verso eh' ei lo potesse odiare, dicendo essere
naturale i tristi avere a onteggiare i buoni, e pi stimando essere
da questi avuto per tolleratore d'ingiurie che per iogiuriatore ;
soggiungendo inoltre non essere pari la pugna tra chi dalle
offese abboniva e chi pronto a quelle scendeva. Cosi con la pa-
zienza l'impeto de
1
protervi rintuzzava, e per quanto fosse in lui,
solo con la pazienza faceva di ci vendetta. Dai buoni e stu-
diosi laudato, fu ancora a non pochi principi carissimo; ma <fo
tutte ambizioni alieno e <T ogni adulazione sdegnoso, a molti non
piacque, lo di e non sarebbe stato, se fatto secoloro avesse comunella.
Per fra' principi & Italia o gli esterni re, pi d'uno ve ne fu
atqu e item alteri testes et praecones v irtu tis su ae
t
qu oru m tamen
gratiam ad nu llas v indictas, cu m nov is in dies inju riis irritar*etu r,
et piane u lcisci posset, abu su s est. Praeterea cu m tempore incidis-
-. sent, u t his, a qu ibu s grav iter esset laesu s priv ata su a fortu na v aierei
" pu lcre, pr meritis referre, beneficio et omni hu mahitate malu it,
qu am v indicta eflicere, u t scelestos poeniteret talem a se v iru m
fu isse laesu m. Cu m libros de Familia primu m, secu ndu m atqu e
tertiu m su is kgendos tradidisset, aegre tu lit, eos inter omnes
Albertos, alioqu in ociosissimos, v ix u nu m repertu m fore, qu i titolos
libroru m perkgere dignatu s sit, cu m libri ipsi ab exteris etiam
nationibu s peterentu r; ncqu e potu ti non stomachari, cu m ex su is
aliqu os intu eretu r, qu i totu m illu d opu s palata
y
et u na au ctoris
ineptissimu m institu tu m irriderent. Eam ob contu meliam decrev e-
rat, ni principes aliqu i interpeUassent, tres eos
9
qu os tu m-absol-
v eraty libros igni perdere. Vicit tamen indignationem officio, et
posi annos trfs, qu am primos ediderat, qu artu m libru m ingratis
protu lit. Hinc si probi estis, inqu iens, me amabilis: sin tandem
improbi, vestra vobis improbitas erit odio, lllis libris illecti, pie-
riqu e
9
ru des conciv es stu diosissimi literaru m effecti su nL Eos, ce-
terosqu e omnes cu pides literaru m fratru m loco depu tabat. lllis
qu aequ e nosset u ltro commu nicav it. Su as inv entmes dignas, et
grandes exercentibu s condonav it. Cu m appu lisse doctu m qu emv is
au disset, illieo sese u tiro in illiu s familiaritatem insinu abat, et a
qu ocu mqu e qu aequ e ignorasset, ediscebat. A fabris, ab architectis, a
nav icu lariis
y
ab ipsis su toribu s siscitabatu r si qu id nam forte
raru m su a in arte et reconditu m qu asi pecu liare serv armi. Eadem
ittico su is civ ibu s v olentibu s. conmu nicabat. Ignaru m se mu ltis in
rebu s simu labat
y
qu a alteriu s ingeniu m, mores peritiamqu e scru -
taretu r. Itaqu e reru m, qu ae ad ingeniu m, artesqu e pertinerent,
scrtUator fu it assidu u s. Pecu niariu m, et qu aestu s idemfu it ormino
spretor. Pecu nias, bonaqu e su a amicis cu stodienda, et u su fru enda
dabat. Tu m apu d hos, a qu ibu s se diligi conjectaret, fu it cu m
Cf
testimone e predicatore delle virt sue. Se non che tanta grazia,
polendolo pur e , e sebbene quotidiane Fossero contro di lui l e
ingiurie, ad altrui vendetta non usolla giammai. Oltre di c h e ,
venuto egli in nge e potendo rendere la pariglia ai suoi accaniti
offensori, meglio am con benefizi e cortesia ri meri tarl i , pi
avendo caro che si pentissero di aver onteggiato uom siffatto. Dati
a l eggere il I ., 11. e I1L libro de FamiUa a
9
suoi , intollerando
gli fu che di tutti gli A lberti, altrimenti oziosissimi, uno appena ve
ne fosse da leggerne i titoli, mentre essi libri erano pur dagli altri
di fuori richiesti, stomacandolo di pi il vedere alcuni fra i suoi, a u-
tore e libro siccome inettissimi, palesemente sbeffare; per la quale
contumelia risolveva egli di darli alle fiamme; e s che fatto l'avreb-
be, se in quel mentre da alcuni principi non gli fossero stati doman-
dati : tuttavia amore sullo sdegno la vinse ; e dopo vari anni ag-
giuntovi il IV. libro, agl'ingrati ne gli riporgeva, lor dicendo:
Di qu indi, se sarete sav i mi amerete, se no, la v ostra tristizia
torner in onta v ostra. Da que' libri adescal i , ancora inculti
concittadini, delle lettere amantissimi divennero; e questi e tutti
che de' lodati studi fossero premurosi ebbe in luogo di fratelli,
spontneamente comunicando loro quanto egli conoscesse. I suoi
trovati, degni e grandi , agli artefici l ar g ; e sentito che un
dotto fosse venuto in c i t t , eccolo tantosto a lui per amicar-
selo. Da t u t t i , quanto egli non sapesse, cercava imparare,
febbri, architetti, navicellai e perfino calzolai richiedendo se
nelle arti loro cosa per avventura s'avessero avuta non co-
mune, segreta e quasi particolare, ogni cosa desiderando d' ap-
prendere. E lo s t e s s o , ove mostrato ne avessero b r a m^,
faceva egli con gli a l t r i , volentieri tatto loro conferendo.
Talvolta in molte cose simulava egli i gnoranza, ad iscoprire
i ngegno, maniere e perizia altrui. E cos delle c o s e , che ad
ingegno od arte appartenessero, fa assiduo investigatore. D 'ogni
interesse sprezzatore, denaro e suoi beni non solo dava a cu-
stodire agli a mi c i , ma ancora a godere ; e cui si qredesse
CH
reru m su arwn, aiqu e institu toru m, tu m et secretoru tn prope fu tili*.
Aliena secreta nu squ am prodidit, sed aeternu m obmu Lu it. Literis
perfidi cu ju sdam, qu ibu s impu rissimu m ipsu m inimicu m pessime
posset affare, nolu it prodere; sed interea du m se nequ mimu s iUe
conv itiator literaru m au ctor mordere non desinerei, nihilo plu s
eommotu s est
9
qu am su bridms diceret: Enimvero an tu homo
bone nana et scribere literas meministi ? Ad molestissimu m qu em-
dam cahmniatorem conmrsu s arridens: Fa c i l e , inqu it, patiar, te,
quod v o t o , mentiendo oslendere qualis quisque nostrura s i t : tu
istiusmodi praedicendo efficis, ut te iati parum esse modestum
senti aut, magis quam me tua istbac praesenti ignominia vi t uper.
E go tuas istas ineptias ridendo efficio, ut mecum plus nibil as-
sequaris quam ut cam Crustratus a me discesseris, tum te tui
pigeat.
Ac fu erat qu idem natu ra ad iraeu ndiam facili, et animo acri:
sed illieo su rgenkm indignationem reprimebat consilio, atqu e
ex indu stria v erbosos, et perv icace* interdu m fu giebat, qu od non
posset a/pu d eos ad iram non su bcalescere. Interdu m u ltro se pr-
terv is, qu o patientiae as$u e$ceret, offerebaU Familiare* arcessebat,
qu ibu s cu m de literis
f
et doctrina su os habebat perpetu o* sermone*,
iliisqu ae encribentibu s dictabcU opu scu la, et u na eoru m effigie* pin-
gebat
f
au t fingebat cera. Apu d Venetias v u ltu s amicoru m, qu i
Florxntiae adessent, expressit annu m, mensesqu e integros postqu am
eos v iderat. Solitu s eroi rogare pu eru los, eam ne imaginem, qu am
pingeret, nossent, et negabat ex arte pictu m dici, qu od non iUico
a pu ri* u squ e noscerttu r. Su os v u ltu s, propriu mqu e simu lacru m
emu latu s, u t ex piota fictaqu e effigie ignoti* ad se appellentibu s
fieret notior.
Scripsit libello* de P i c t ur a, tu m et opera ex ipsa arte
pingendi eflicit inau dita, et spectatoribu s incredibili, qu ae qu i-
dem parv a in capta conclu sa pu sillu m per foramen ostenderet.
Vidtsses iUic monte* maxknos, v astasqu e prov incia*
9
sinu m im-
manem. mari* ambientis, tu m e conspectu longe sepositas regiones
CUI
d'essere amato, sue cose, istituti e segreti pi die facilmente
dischiuse. Altrui segreti mai non trad ; nel suo petto eternamente
seppellirai! B una Tolta, potendo lettere produrre di un tradi-
tore, e far con esae grave danno all'impuro nemico, noi volle ;
ed all'iniquo calunniatore, di quelle lettere artefice, non, omet-
tendo egli mai suoi moni , sorridendo, si content dirgli: a b
dimmi u n po' bu on u omo: ti ricordi mai tu di scriv er lettere?
Cori a un molestissimo detrattore, pur ridendo diceva : Facilmente
ti tollerer io, per che con tu e menzogne ehi tu ed io mi $im
fai tu conoscere : chi tu coe predicando, adoperi che la tu a poca
modestia ti v egga, piu ttosto che me tu v itu peri. Md io qu este tu e
inezie piglio tu riso, si che non potrai altro con me eaoarei,
che partendoti fru strato abbia del tu o contegno a dolerti.
Fu ancora di molto iraconda natura e di animo acerbo,
ma. il surgente sdegno sapeva ancora tosto reprimere. Talora
consigliatamente i ciarlieri e temerari fuggiva, non potendo
con costoro non sentirsi muovere ad ira; ma talora spon-
taneamente loro ancora si dava. Usava chiamare a so gli
amici, co' quali di cose letterarie continuamente ragionava,
e ancor opuscoli dettavagii, effigiando nelF infrattempo loro
imagini e modellando in cera. In Venezia, gli amici che in
Firenze erano e da un anno veduti, ritraeva; e solito pure era
domandare a' fanciulli se quel ritratto eh' egli faceva conosces-
sero essi, e ove no tosto gli avessero detto, quella pittura per lui
era senz' arte. I volti de* suoi e il suo ancora effigi, perch chi
andaste a lui pi facilmente ne lo riconoscesse.
Scrisse ancora alcuni libri di Pittu ra, e si fece nelle me-
desime cose inaudite, le quali in una cassetta rinchiuse, per
piccolo pertugio poi mostrava. Vaste pianure quivi veduto avresti
intorno a immenso mare distendersi, e pi lontane regioni da
cnr
u squ e adeo remotissima*, u t v isenti acies deficeret. Has res de-
monstraliones apjp[labat, et erant eju smodi, u t periti, imperi-
tiqu e non pictas, sed v eras ipsas res natu rae intu eri decer tarent.
Demonstrationu m erant du o genera; u nu m qu od diu rnu m
9
al-
teru m qu od noctu rnu m nu ncu paret. Noctu rnis demonstrationibu s
v idei Artu ru m
9
Pleiades, Oriona et istiu smodi signa micantia,
illu cescitqu e excelso a ru piu m et v erru caru m v ertice su rgens lu na,
ardentqu e antelu cana sidera. Diu rnis in demonstrationbu s splen-
iti passim, latequ e irradiat immensu m terraru m orber is, qu i
post irigeniam, u ti ait Homeru s, Au roram fu lget. Qu osdam Grae-
coru m proceres, qu ibu s mare foret percognitu m, in su i admiratto-
nem peUexit. Nam cu m iUis mu ndi hanc fictam molem per pu siU
lu m, u t dicci, foramen ostenderet, oc rogar et, et qu id nam v idis-
senti E\a,inqu it UH, elassem naviam in mediis undis i nl uemur:
eam ante meridiem apud nos habebimus, ni istic, qui ad O rien-
tem solem nimbus, atque atrox tempestas properantem, offenderit.
Tuoi et mare inhorruisse intuemur, periculique signa sunt quod
a sole nimium acres mare adversum jactat radios. Hu ju smodi
rebu s inv estigandis opere plu s adhibu it, qu am promu lgandis ; nam
pu s ingenio, qu am gloriae inserv iebat. Nu mqu am v acabat animo
a meditatone, et commentatone. Raro se domi ex pu blico reci-
piebat non aliqu id commentatu s, tu m et inter coenas commentando.
Hinc fiebat, u t esset admodu m tacitu rnu s, et solitariu s, aspectu qu e
su btristisy sed moribu s minime difficilis, qu in inter familiare^, etiam
cu m de rebu s seriis dispu tar et, semper sese exhibebat jocu ndu m,
et serv ata dignitate festiv u m.
Fu eru nt qu i eju s dieta, et seria, et ridicu la complu rima col-
ligerent, qu ae qu idem ille ex tempore, atqu e v estigio celeriu s edi-
derit ferme, qu am praemeditarit. Ex mu lti* panca exempli gratta
referemu s. De qu odam qu i diu tiu s inter diserendu m ostentando^
memoriae gratia nimiu m mu lta nu llo cu m ordine esset prolo-
cu tu s, cu m rogaretu r qu alis sibi dispu tator esset v isu s, respondit:
eu msibiperam libris laceris, et disv olu tis refertam v ideri. Domu m
cv
perdervi V occhi o, le quali cose chiamavate dimostrazioni; e tali
si erano ohe dotti ed indotti sostenevano, non veder qui vi cose di
pennello, ma s vive e vere. delle dimostrazioni due sorte ve
n ' e r a n o ; l e diurne e l e notturne. In queste O ri one, A rturo, l e
P leiadi ed altre fulgenti stelle vedevi, e la luna dietro alti monti
spuntante -e l e antilucane stelle. Nell'altre sfolgarare per tutto
quegli che al dire d'O mero splende appresso l'irigena Aurora.
G raitf'uomini di Grecia delle marine cose apertissimi, cos fece
egli stupire, che mostrando loro pel pertugio anzidetto, codesto
suo piccol mondo, e chiedendogli che si vedessero : Ecco l in
mezzo fonde u n nav ilio, risposero essi ! Per fermo, innanzi a mez-
zod sar a riv a, ov e noi trattenga la tempesta, la qu ale gi
minaccia pel mare che comincia a ingrossarsi e pel forte lu -
strare delle acqu e incontro al sole. Ed era pi inteso a inve-
stigare tali cose che a promulgarle. Raro rimettevasi egli in casa,
che qualche cosa meditata non avesse, da poterne ragionare a
cena. D i quindi la taciturnit, solitudine e maninconia. Ma di
beili costumi era ancora, che.disputando fra i suoi di cose gravi
eziandio, loro si porgeva dignitosamente giocondo e festivo.
V i fu ancora chi i s u d seri e faceti detti uscitigli di bocca, cos
in parlando quando andava a diporto raccolse, e fra i molti questi
diremo. Tale che per pompa di memoria in parlando molte
cose senza ordine raffazzonava, a lui chiedendo che della sua di-
sputazione paressegli? R ispose: Un sacco pieno di libri laceri e
sciolti. Tornato in antica, scura e mal costruita casa, ecco
ALBERTI, T, l . n
evi
v etu stam, obscu ram et male aedificatam, in qu a div ertisset, tri-
tav am atqu e ideirco nobilssimam aediu m appellabat,
m
siqu idem cacca
et incu rv a esset. Peregrino roganti, qu a namforet v ia eu ndu m
sibi o v ersu sy u bi Ju s redderetu r: non equ idem, mi hospes, inqu it
nov i. Tu m condv es, qu i aderant: ne v ero non id nov isti inqu ilini
Praetoriu m? Non equ idem, inqu it, Ju s ipsu m istic habitasse, o
civ es, memineram.Roganti ambitioso, pu rpu r ne decenter u te-
retu r : pu lcre, inqu it, ea modo pectu s tegat. Otiosu tn qu emdam
garru lu m scu rram increpans: eja, inqu it, u t apte carioso in
Wu neo ev igilans considet rana! Cu m familiarm admneret,
u t a maledici consu etu dine sese abdicaret: carbone* dicbat non
redpiendos sinu . Cu mqu e sibi centra a mathematica imprope-
raretu r qu od bilingu e, et v ersipellem hospitem detinu isset: nu m
tu , inqu it, nosti, nisi in pu ncto aequ am su v erficiemattingat globu *.
Lemtatem et iheonstantiam a natu ra esse datam mu lieribu s, di-
cebaty in remediu m earu m perfidiae et neqiiitiae. Qu od si persev e-
raret mu Her su is in incoeptis, fore u t omnes bonas kominu m re
su is flagitiis fu nditu s perderet. Amicu m pau lo clariorem et
concitatiorem animis qu am optasset offendens: heu s tu , inqu it,
cav e ne ad cu rrendu m cu rrendo ru as. Dicbat inv idiam caecam
esse pestem, et omniu m insidiosissimam
f
eam enim per au res, per
ocu los, per nares
9
per os, deniqu e ipsas edam per u ngu icu las ad
animu m ingredi, et caecis flammis inu rere, u t etiam qu i se sanos
pu tent, isthac, ipsa peste contabescant. Au ru m, dicbat laboris
animam, laborem ipsu m v olu ptatis serv u m esse. Ceteris in rebu s
mediocritatem approbabat Unam excipiebat patientiam, qu am au t
nimis serv andam, au t nihil su scipiendam statu ebat, ajebatqu e per
saepiu s grav iora ob patientiam tollerati, qu am oh v ehementem
acrimoniam tu lissemu s. Ut morbos, sic et proterv oru m au da-
ciam, ajebat interdu m, non ali ter, qu am pericu losis cu randi ratto-
nibu s posse tolU. Sat eu m dicbat hominem sapere, qu i saperet
qu ae saperet, satisqu e posse qu i posset, satisqu e habere ipsu m
hu nc, qu i qu ae haberet
f
eadem haberet. In ju risconsu ltu m
11
diceva egli Farcibisava delle fabbriche e per la pi nobile, co-
mecch cieca e cadente. A peregrino che il richiedeva della
via per al P alazzo di G iustizia: davvero, ospite mi o, c h' i o noi s o ,
gli rispondeva : e i cittadini che gi loro si erano fatti intorno :
come non sapete *oi il P retorio? In verit cittadini, c h' i o non
sapevo che quivi stesse la Giustizia. E richiesto da ambizioso
perch secondo i l suo grado non vestisse porpora; egli: ben dici;
infatti i petti d'oggi voglion porpora. Sgridando un ozioso
e ciarliero buffone: oh via, di sse, che a' pie di fradicio tronco
bene sta la garrula rana. E ammonendo un suo amico che da
maldicente compagnia si slontanasse: carboni, disse, non doversi
accogliere in seno. E da matematico ripreso perch tenesse
in casa tale versipelle e bi l i ngue: e come? non sai t u , gli
rispostegli, c h e l a sfera solo in un punto tocca il piano? Levit
e incostanza, diceva, esser date da natura alle donne, rimedio di lor
perfidia e nequizia; che se femmina perseverasse in sue imprese,
addio tutte cose buone dell'uomo. In poco avveduto e precipi-
toso amico imbattutosi un giorno : ol t u , bada, gli di sse, che il
troppo correre non t'abbia a precipitare. D iceva la ceca invidia
esser peste e soprattutto insidiosissima : entrar per gli orecchi ,
entrar per gli occhi, entrar per le nari, entrar per la bocca, per
l e unghie entrare, per ficcartisi nell'anima cui senza avvederti ti
inette in incendio; per forma, che quelli ancora che di lei credonsi
immuni da lei son contaminati. -*- L 'oro, dicevalo anima della
fatica, la stessa fatica serva del piacere. -In tutte le cose voleva
egli mediocrit, salvo nella pazienza, la quale diceva doversi avere
tutta o punt a, asserendo, pi spesso gravi cose tollerarsi colla
pazienza, di quello che con veemente prorompere Usava dire :
audacia di temerari, e morbi, con forti rimedi aversi talvolta a
curare. E : abbastanza sapere colui che sapesse ci che sapesse;
abbastanza potere chi potesse quel che potesse; ed abbastanza avere
chi avesse quel che avesse. D'un perfido legista che aveva una
CVIII
perfidu m, qu i altero hu mero depresso, altero su blato deformis ince-
derei: aequ a, inqu it, istic nimiru m iniqu a su nt, u bi lancs in
libra non aequ e pendeant. Dicebat omnem splendorem v im ha-
bere igneam : non idcirco mirandu m, si nimiu m splendidi civ es
de se in animis hominu m inv idiam iu ccenderent. Tu ta ab ho-
stiu m inju riis civ itate, cu m facinorosu m conciv iu m haberi coepta
esset ratio : non ne, inqu it, istu e fit percommode, u t imbte se-
dato, teda resarciantu r. Rogatu s qu i nam essent hominu m pes-
simi; respondit: qu i se optimos v ideriv elint, cu m mali sint. Ite-
ru m rogatu s, qu isnam esset civ iu m optimu s; respondit: qu i nu lla in
re mentiri institu erit. Ajebat nihil esse tam propriu m,insitu m-
v
y
atqu e innatu m mu lieribu s, qu am u t eas reru momniu m, qu ae
egerint, dixerintv e illieo poeniteat. Latu m anu lu m afflu enti
fortu nae simittimu m sibi v ideri praedicabat, qu i qu idem ni alligata
stu ppa arctior rddatu r, perfacile e digito decidat. Rogatu s
qu id esset maximu m reru m omniu m apu d mortaks, respondit : spes.
Qu id minimu m? inqu it, qaod inter hominem est, atque cadaver. Re-
ru m omniu m su av issimu m: amari. Liberale: tempus. Pau perta-
tem in v ita hominu m ajebat eju smodi esse, ac si v ia salebrosa nu dis
Ubi sit pedibu s eu ndu m : nam u su callu s su perindu citu r, eoqu e fit,
u t minu s in dies Ubi reddatu r aspera. De civ e insolentissimo,
et omniu m importu no, cu m au disset missu m in exiliu m: nu mqu id
non predixeram, inqu it, homini hu ic qu i qu idem su blato merito
assidu o nebu laru m olfatu delectabatu r, cav endu m ne qu id offen-
derei, qu o sibi iUiso pede esset ru endu m ? Fortu natos ossimi-
labat hiSy qu i sitienti in flu mine nav igarent: namqu e ni lev igato
nav igio contibu s laborent, haereant. In eonciv em qu emdam
maleficu m, cu m magistratu m se v ocatu m congratu laretu r : me-
mentOy inqu it, olim te iteru m fu tu ru m priv atu m, au t in magi-
strato emoritu ru m. Petierat a qu odam, qu i sese in repu blica
administranda principem gloriaretu r, plu res ne essent ii qu i scalas
aediu m pu bliearu m conscenderent, qu am qu i descenderent; cu mqu e
ille respondisset : parem ferme u trinqu e sibi v ideri nu meru m:
G1 X
spalla pi alta: ve', diceva, quivi non denno farsi giuste le c o s e ,
mentre l e bilancio non istanno del pari. Diceva ogni splendore
avere un' i gnea virt, n doversi perci maravigliave, se troppo
splendidi cittadini invidia di s negli animi umani accendes-
sero. Assicurata da nemiche offese la c i t t , co
9
facinorosi
cittadini aversi da attendere: forse non ben fatto, diceva, dopo
la pioggia risarcire i tetti? Chiesto chi degli uomini peg-
gi ore; rispose: i tristi cbe vogliono farla da buoni. tornato
a esser domandato chi de' cittadini il migliore ; rispose : chi
non s a mentire. Diceva nulla essere pi proprio congenito
e insito nelle donne, che il tosto pentirsi di quanto e'fecero o
dissero. A ura di fortuna esser per lui largo anello, di ceva;
che s e di stoppa noi stringi, dal dito ti fogge. Chiesto delle
umane cose qual fosse la principe: la speranza* L ' ul t i mi s s i ma:
d che fra la v ita e la morte. La pi soave: essere amati. L ibe-
rale: il tempo. Diceva la povert essere ali' umana vita quello
che a scalzo piede scabroso sentiero ; ma l ' u s o , fare il c a l l o , e
l'asprezza parer minore. Udito come un insolentissimo, e a tutti
intollerando avuta avesse la cacciata : forse a cosjtui meritamente
elevato e continuo fiutatore di nebbie, non l'aveva io predetto cbe
badasse di non scivolare per non andare a rompicollo ? I fe-
lici assomigliava a coloro che vanno in nave per seraiarso
fiume, che se con ferrate mazze non aiutano il l egno, s'impunta-
nano. Ad un malvagio che menava gran rombazzo per essere
stato assunto al magistrato : ricordati, gli disse, che un giorno ri-
tornar devi, privato o morir magistrato. A tale che gloria vasi
d'essere il primo magistrato della repubblica, chiese se pi fossero
coloro che salissero o scendessero le scale di P alazzo; ed avuta
risposta : esser pari ; e di quelli che entrano od escono per le
CI
iterato qu aesiv it, plu resne esseri t, qu i per fenestras ingrederentu r,
qu am qu i egrederentu r. * Rebu s pu erlibu s, et lettissimi* plu rimam
operarti perdmtem : dixti, hu nc annos Nestori* mu lto su peratu ru m.
Rogatu s qu id ita: qu oniam, inqu it, qu adragenariu mpu eru m intu eor.
Praesentibu s u tendu m, u t praesentibu s. Doctas amicoru m au -
re*, scriptoru m limam dictitabaU Obtrectatore* fallace*, ambigu a*
et omnes deniqu e mendace*, u t sacrilego*, et capitale* fu res ajebat
esse plectendo*, qu i v eritatem ju diciu mqu e, religiosissimas, oc
mu lto rarissimas re* e medio inv olent. Cu m iniqu o* affine*
mu lti* beneflcii*, et omni officio saepiu s sibi reconciliasset, so
litu * erat dicere meminisse qu idem te, foru m pu tridu m nodo non
teneri. Ditissimi et forUmatissimi cu ju tdam aedes procu l fu -
giendas admonebat; nam solere qu idem ajebat, u bi nimiu m
oppleta sint v asa, omnia effondere. Cu m intu eretu r lev issimos
et ambitioo* aliqu os, qu i se philosophari profiterentu r, per tir-
bem v agari, et se ocu is mu Uitu dini* ostentare: eccu m nostros
caprificu s ajebat, qu i qu idem infru ctu osissimam, et su perbam isthanc
solitu dinem adamar in t, qu ae pu blica sit. Petitu * arbiter ad di-
rimendam litem nonnu Uo* inter perv icace* et importu no*, mu nu *
id su scipere recu sav it: atqu e amici* rogantibu *, qu id ita preter
officiu m, et pristinam *u am facilitaiem ageret : lyram, inqu it, fra-
ctam, et penitu s discordem ad pu eros fore atqu e ad stu lto* rejicien-
dam. De civ e ru sticano: facile mortale* reddi locu plete* ajebat,
si ea, qu ae pau perta* cogat, sponte exequ antu r, atqu e profligari
qu idem pau perttem cedendo. Ambitiosi domu m spectans : tu r-
gida, inqu it, domu s haec *u u m propediefn efflabit heru m, u t ev enti
qu idem : nam ob alienu m ae* ipsaru m aediu m fortu natissimu s do-
minu s in exiliu m secessit. Cu idam prodigo, et insolenti, qu i se
dicti* morderei, cu m sati* obticu isset: non tecu m, inqu it, o beate,
contendam, qu em respu blica su o sit hospitio acceptu ra: horu m
v erboru m mordax ille, cu m carceribu s detentu m diem obiret,
meminit. Ferrariensibu s ante aedem, qu a per Nicolai Estensis
tiranni tempora maxima ju v entu tis pars eju s u rbis deleta est, o
cn
finestre, seguit a dirgli, chi son eglino i pi? In fanciullaggini
ed inezie, non facendo uno che perdersi, costui disse dimolto vince-
r gli anni di Nestore; e chiesto il perch : prche, disse, di qua-
rantanni ancor lo veggo bambino. Le presenti cose, diceva,
cane presenti gretti a usare. Dotte orecchie d'amici, esser la
lima degli scrittori. Fallaci detrattori, ambigui, e tutti infine
bugiardi, mfame genia, e quai sacrileghi e ladroni diceva aversi a
punire, togliendo essi di mezzo la verit e il giudizio, santissime e
cose. Con ogni officio e molti benefizi, tristi parenti
spessissimo si riconcili, ma a fradicia botte, diceva, non valer
tane. E cosi : casa di ricchissimo e felicissimo doversi fuggir
telano, dicendo vasi soverchiamente pieni tutto traboccare.
Vanissimi ed ambiziosi che far volevano i filosofi, vedendo egli
vagare per la citt per dare a tutti in sugli occhi: ecco i
nostri caprifichi, diceva, cui pi piace questa sterile e superba
solitudine, che il pubblico. Chiamato arbitro in una lite
lira alcuni pervicaci e importuni, non volle assentire ; laonde
chiesto da alcuni vuoi amici, perch la solita facilit sua e l'usata
amabilit non mostrasse; disse: conquassata lira e quasi del
tutto discorde, essere da fanciulli e da stolti. Parlando del
contadino, diceva, gli uomini divenir ricchi, se ci che la
povert impone, spontaneamente si faccia: yoleni cacciare povert
con cederle il campo. E agguantando a una casa d'ambizioso:
questo turgido palazzo, tra poco si sgonfier, cacciando via con
un vento il suo signore, ed arrenile; che per essersi l'altrui
pecunia appropriata, il fortunatissimo signore in esilio ebbe a
andare. Prodigo e insolente, con male parole trafiggendolo
e molto egli essendo stato cheto : non io con l e , o felice conten-
der, essendo la Repubblica per aprirti le sue case ; e imprigio-
nato il maldicente, di queste parole si ricord. Innanzi al
Palazzo de' Ferraresi, dove al tempo di Niccola D'Este tiranno,
la pi gran parte della giovent della sua citt fu morta: o
CXII
amici, inqu it, qu am lu brica eru nt proximam per- aetatem pav i-
menta haeCy qu ando su b his tedi* mu ltae implu ent gu ttae: ete-
nim praedicendi* rebu s fu tu ri* pru dentiam doctrinae, et ingeniu m
artibu s div inationu m cortju ngebat.
Extant eju s Epistola^ ad P aulum P hysi cum, in qu ibu s fu -
tu ro* casu s patriae anno* integros ante praescripserat ; tu m et
pontificu m fortu na*, qu ae ad anriu m u squ e du odecimu m essent
affu tu rae praedixerat
9
mu ltaru mqu e reliqu aru m u rbiu m
9
et prin-
m
oipu m motte* ab ilio fu isset enu nciato*, amici et familiare* su i
memoriae prodideru nt. Habebat pectore raaHu m, qu o benev olentias
et odia hominu m erga se pr(mentiret. Ex solo intu itu plu rima
cu ju squ e praesentis v itia tdiscebat, Omnibu s argomenti*
9
maxi*
moqu e opere, sed fru stra elaborami aliqu os erga se mansu etiore*
reddere, qu o* fu tu ro* inferno* exipso aspectu sensisset. Eoru m ta-
men inimicitias qu asi fatalem qu andam necessitatemi mediocriter
ferebat, in omniqu e contentarne moderatiti* sibi fare contendendu m
indicebat, qu am fortasis licu isset
9
praeterqu am in reddenda mu tu i
beneficii gratta. Vix poterat perpeti prae se qu emqu am su periorem
v ideri benev olenza^ seclu sa ambitione, a qu a tam longe abfu it, u t
etiam
9
quas ipse gesserit, res dignas memorato, suis eas majoribus
in libris de Familia adscripserit. Tum et sute in opusculis aliorum
titulos opposuit, et integra opera amicorum famae elargitas exti ti t.
Doloris etiam, et frigorie, et aestu s fu it patiens. Cu m accepisset
grav e in pedem v u lnu s annos natu s non integros qu indecim
9
et a
medico disdu etae pedi* parte pr more et arte consu erentu r, et
du eta per cu tem acu adnodarentu r, emisit gemitu m poenitu s nu l-
lu m. Propiis etiam in tanto dolore manibu s cu ranti medico su b-
ministrav it
9
v u lnu squ e ipsu m tractav it febribu s flagrans, et ob
lateru m dolore* frigida* totis temporibu s u ndas desu dans, acati*
mu sici*, horas ferme du as v im mali, et doloris molestiam canendo
su perare innitebalu r (7). Capu t habebat a natu ra frigorie
y
au raequ e
penitu s impatientissimu m. Id effecit ferendo, et sensim per ae*ta-
tem perdu eta con*u etu dine
9
u t bru ma, et qu ov is perflante v ento
CXI1I
amici, disse, devono pur esser lubrici questi pavimenti in avve-
nire, quando sotto questi tetti molte gocciole cadranno: imperocch
nel predire il futuro, la prudenza della dottrina e l ' i ngegno
con le divinatrici arti congiungeva.
Sonovi di lui Lettore a Paolo Medico (8) , dove i futuri casi
della patria, interi anni prima che seguissero, pronunziava; e
Cos prediceva l e forlune de' pontefici che avvenir dovevano do-
dici anni appresso : i moti di altre citt molte e di pri nci pi ,
confessarono gli sanici ed intrinseci s uoi , essere pur stati da lui
enunziat A veva nel cuore tale un senso da presentire chi male
o ben gl i volesse. Uno sguardo, basta vagli per sapere i difetti
d'ognuno. Tut t o, ma indarno, pose egli in opera per farsi pi
umani al cuni , che con sola un'occhiata conosciuto aveva dovere
essergli ne mi c i : per la loro avversione come una certa fatale
necessit mezzanamente tollerava, ed in ogni qnistione impo-
neva a s di contendere moderatamente pi ancora del dovere,
salvo che in rendere pariglia di beneficio. Appena poteva patire
che alcuno in benevolenza lo vincesse, esclusa l ' ambi zi one, da
cui tanto aborr, che cose da lu i stesso operate e memorabili, ai
su oi maggiori ni libri de Familia v olle attribu ire. Cosi pu re nei
tu oi opu scoli altru i titoli appose, ed opere intere alla fama degli
amici elarg.
D olore, freddo e caldo pazientemente toller. Riportata grave
ferita in un piede, non ancor egli di quindici anni , e dal
medico secondo uso ed arte ricucitagli, quasi non fiat. Anzi
delle stesse sue mani sovvenne il medicatore, e di per s , colla
febbre i ndosso, la piaga medic. Cos per fiera lombaggine sem-
pre sudando freddo, chiamati i musici, con un par d'ore di
canto sforzavasi domare quella pena. Aveva da natura il capo da
non sopportare la pi piccola brezza; ma a poco a poco nella
state vi si assuefaceva: nelle brume e a qualunque vento, sempre
ALBERTI , T. I. o
CXI?
nu llis capite v estibu s aperto obequ itaret. Allea, atqu e imprimis mel
9
natu rae qu odam v itto, fastidibat
9
adeo u t solo intu ito, si qu ando
cas ea sibi fu issent oblata, bilis a stomaco sibi excitaretu r. Vieit
sese ipsu m u su spectandi, tractandiqu e ingrata, qu o adeo perv enit,
u t minu s offender ent, ex exemplu m praebu it, posse homines de se
omnia, u t v elint. \
Lev andi animi gratta e domo in pu blicu m exiens cu m artifices
omnes assidu os in tabernis v ersati ad opu s intu eretu r, qu asi grav is-
simo aliqu o a censore commonefactu s, saepe domu m confestim repete*
bat: et nos quoque pr suscepto officio, inqutens', exercebimur.
Vere nov o cu m ru ra et colles efflorescentes intu eretu r, arbu staqu e, et
plantas omnes maximam prae se fru ctu u m spem ferre animadv er-
teret, v ehementer tristis anmu s reddebatu r, hisqu e sese castigabat
dietis : nunc te quoque, o Baptista tuis de studiis quidpiam fru-
ctum polliceli oportet. Cu m au tem agros mssibu s graiv es et
in arboribu s v im pomoru m per u u tu mnu m pendere conspicaretu r,
ita afficiebatu r moerore, u t sint, qu i illu m v iderint prae animi
dolore interdu m collacrymasse, eju squ e immu rmu rantis v erba exau -
dierint: en L eo, ut uadique tesles, atque accusatores nostre iner-
tiae circumstant 1 Et quid nam uspiam est, qnod integro in anno
multatn de se mortalibus ulilitatem non attulerit? Al tu et quid-
nam habes, quod in medium tuo pr officio abs te perfectttm
efferas ? Praecipu am et singu larem v olu ptatem capiebat spectan-
dis rebu s, in qu ibu s aliqu od esse specimen formae, c decu s. Senes
praeditos dignitate aspectu s, et integros, atqu e v alente, iteru m
atqu e iteru m demirabatu r, delitiasqu e natu re sese v enerari praedi-
cabat. Qu adru pede, ov es, ceterasqu e animantes forma praestantes
dicebat dignas benev olenza, qu od egregia essent ab ipsa natu ra
iignatae gratia.
Lepidissimo cani su o defu ncto fu nebrem scripsit orationem*
Qu icqu id ingenio esset hominu m cu m qu adam effectu m eie-
gantia, id prope div inu m dicebat, tantiqu e cu ju sm, et in qu av is
cxv
a capo nudo cavalcava. L 'aglio e specialmente il mele, per certo
vizio di natura, abboriva, cosi che a sola vista quando il caso
mettevagli quelle cose innanzi agli occhi, eccitavagli il vomito* Ma
questi ribrezzi vinse a forza di guardare e trattare le ingrate cose,
tale che giunse al fine a sostenerle benissimo, mostrando che
volere e potere son nell'uomo una cosa.
A sollievo delFanimo, uscendo di casa in pubblico, con tutti
operosi artefici nelle loro officine so la passava, per osservare
lor lavorii, e quasi da alcun gravissimo riprensore ammonito,
spesso di presente a casa si restituiva, dicendo: e noi pu re
neW intrapreso officio ci eserciteremo. Nella primavera poi ve-
dendo colti e colli fiorire, e tutti arboscelli e piante grandissima
speranza porgere di frutti, preso da forte mestizia questo rim-
provero si faceva: ora tu pu re dev i de* tu oi stu di, o Battista,
promettere agli u omini alcu n fru tto. vedendo i campi
pieni di messe, e nell'autunno gli alberi carichi di frutti /c o s
tristo diveniva, che vi fu sin chi ne lo vide lacrimare, senten-
dogli dire*: ecco, Leone, (Fogni parte accu satori deWinerzia nostra
testimoni ne stanno! E dov ' mai cosa che in u n anno intero
non apporti grand! u tile aW u mana famiglia ? Ma tu che face-
sti, di', d/a mostrare di av er adempiu to al tu o* u fficio ? Gran-
dissima e singolare volutt prendeva nel rimirare le cose in cui
fosse alcuna bellezza e ornamento. Vecchio d'aspetto venerando,
sano e vigoroso da lui veduto, non si saziava mai del riguar-
darlo; e cos delle bellezze della natura diceva esser egli vene-
ratore. Quadrupedi, uccelli ed altri animali splendidi di bellezza,
diceva degni d'amore per essere cose egregie quelle che da
natura si largirono di grazia.
Mortogli il suo graziosissimo cane, scrissegli l'orazione fu-
nebre.
Tutto che dall'uomo fosse stato fatto con ingegno e con
qualche eleganza, l'aveva per quasi divino; e tanto conto faceva
CXVI
re expositam melu storam fackbat, u t etiam malos seriptores dignot
lau de assev erar et. Gemmi*, floribu s, ac locis praesertim amoenis
v isendis, nonnu mqu am ab aegritu dine in bonam v aletu dinem rediii.
Ore porrecto, et su bafflicto qu idam incedebat: Huic, inqu it,
sua olet barba. In insolentem, et irridentem: Scis tu inqu it, ut
solent quidem apte fiere, qui rideant inepte? In eu m qu i su a
prolixa gloriaretu r barba; sordes, inqu it, pectoris per quam belle
subintegit* Ex v erbosi ore teter flatu s in eju s os effu ndebatu r ;
ilk se finxit casu starnu tatu ru m, atqu e et quidnam causae est?
inqu it, quod solem starnutabundi aspicimus ? Risere amici, et di-
spu tatione hacjocosa v erbosi historiam interru pere. Roganti lev is-
simo cu idam, qu id ita simu lacru tn fmodsset ore aperto? ai cantet,
inqu it, ubi ipse saltaveris. Cu m lau daretu r qu idam, qu od diligens
animadv ersor esset, et scriptoru m errores pr qu oqu e sev ere col-
ligeret: num, inqu it, bunc video, unde sii erroribus refertissimus.
Hellu onem conspicatu s, qu i qu idem esset ad egestatem redaetu s ;
non, inqu it, hos physici novere, homines ex crapula famescere. r
Tu midu m qu endam, et piane morosu m despectans dixit: bonu m
hu nc sibi v ideri mu sicu m, qu i qu idem ex v estigli complexione exci-
tatam harmoniam parv is au ribu s gradiendo capesseret. Cu idam
procacioriy cu i esset pollicitu s nu mos, cu m au reos rogaret, u nde-
cim connu meratis nu mis: alium, inqu it, si addidero, solidum de-
dero, qui numos promisi. In qu endam pingu em, qu i esset mu lto
aere alieno astrictu s, sic, inqu it, et saccus quidem istboc paclo
fieret turgidus : multa capiens et nihil reddens. i n inv idu m et
maledicu m: at enim, inqu it, horrendum canit noctua. Cu idam,
qu i su ae su perbiam u xoris detestaretu r : neque irasci, inqu it, no-
sti, neque irridere. In familiaru m inertem, et somncu losu m ro-
gantem, qu id ita esset, qu od su is tectibu s hiru ndines non nidifi-
carent: minime, inqu it, mirum; nam istic algent homines.
GXY1I
di cosa esposta con qualche g r a z i a , che anche i cattivi scrittori
aveva per degni di lode. G emme, fiori e- speeialmente ameni
luoghi vedendo, sovente da malattia lo restituirono a sanit (*).
(*) Npn si volgarizzato il seguito, perch oltre il non contener
cosa da sapersi spettante alla Vita di L. B. Alberti, ci persuademmo
ancora che nulla avesse che fare con ci che gli va innanzi, e che gli
fosse con poca critica appiccato da raano posteriore. O se anche s'abbia
a credere essere uscito dalia stessa penna che scrisse il rimanente, non
si vorr negare che tati'altro luogo che qaesti dovess' essere original-
mente II 800.
CIVIII
Ex gibbosi cuiusdam delatoris dorso ad se proficiscenU talpamjam
tu m surgentem affuturam dixit. Quosdam ex Magistratibus im-
probo* a porta propere exeuntes conspicatus: bene, inquit, sese
res habet, quando quidem isli effugiant. Macie confectum homi-
nem quendam salutans, salve, %nquit
9
sai.... Importuno et plurima
petenti: o, inquit, mi homo quantam altulisti negandi facilitatemi
Facere ajebat Bononiae...., quod esset illa quidem pinguis civitas,
sed insulsa. In eum, quid eset claudus ; poplitem is, inquit,
per quam belle scalpit !
Usqoe hoc MS. ( sic In edltione Reru m ItaUcaru m ) .
CIX
N O T E
(1) A lotte queste minate e innocenti vanit, come non dire che
chi scriveva parlava di s?
(2) Chi scrive una vita di qualsivoglla persona* segno eh' egli crede
il suo soggetto degno di emergere almeno sa molti ; ed in questa persua-
sione, come ali'occorrenza di doverlo specialmente lodare, come dico,
restringersi in si limitate e modeste frasi? Nuova ragione che sempre
pi ci conferma che l'Anonimo era, per noi, Leon Battista stesso.
(3) Nota la modestia di quest'altra espressione e di', se mal sospet*
tasse chi credesse nell'Anonimo lo stesso Leon Battista.
(4) Se forse non fosse stato l'Alberti stesso che scriveva, chi si
sarebbe potuto tenere di non dir qualche altra parola su questo lavoro,
che sebbene scritto dall'Autore non ancor di vent' anni, par fece nel
mondo tanto strepito?
(5) II MS. (dice II primo Editore di questa Vita in una sua nota)
ha In facda alla parola opu tctdu m la sigla S, forse in significazione di
tcWcet.
(6) O ci si dica se questa si evidente e minuta descrizione di un
male d'altronde non comune, anzi raro, poteva farsi da altri che II male
stesso non avesse provato?
(7) Anche tutto questo periodo contiene in s tali note da convali-
dare sempre pi il sospetto che l'Anonimo sia l'Alberti stesso.
(8) Questo Paolo Medico Paolo di Domenico Dal Pozxo To$caneUi
fiorentino, 11 quale nel XV secolo fu medico, filosofo, astronomo e ma-
tematico insigne.
cxx
I V .
Lettera di POGGIO BRACCIOLINI a LEONELLO D ' E STE , cui svela
l'Autore del Filodossio. Dal POZZETTI , pag. 10, seconda
numerazione del suo pi volte citato Elogio latino di Leon
Battiate.
POGGIUS 8. D. Insigni Equiti LEONELLO ESTENSI.
Baptista de Albertis v ir singu taris ingenti, mihiqu e amicis-
, simu s scripsit fabu lam qu amdam, qu am Philodoxeos appellai,
su mma ekgantia, oc v enu stcUe. Eam tibi dicav i!, u t in tu o no-
mine edatu r, qu od et sibi dignitatem adlatu ru m pu tat, et au cto-
ritatem. Sscipies igitu r fabu lam, caru mqu e habebis id mu nu s,
qu od proficiscitu r ab homine penitu s tibi deditissimo. Nam certo
scias v elim, Baptistam nostru m tam esse erga te affectu m bene-
v olentia, qu anta esse potest, maxima, cu i si respondebis in amoris
officio, ineitabis alios ad te ornandu m Utteris, atqu e excolendu m.
Hoc nequ aqu am existimes paru m conferre ad gloriam consequ en-
clam. Solae enim litterae reddu nt hominem apu d posteros immor-
tdkm. Vale, et me ama.
Bononiae die xii Octobris.
Illus. D. LEONELLO ESTENSI. LEO BAPTISTA ALBERTUS.
Consu ev ere pleriqu e scripta su a ad prindpes, et v iros illu s-
tre* eam ob rem dedere, qu od au t grattarti inire, au t stis eo poeto
rebu s aliqu am adiicere au etoritatem stu du erint: Mihi au tem,
qu am ob rem ad te principem illu strissimu m, nostram hanc fa-
bu lam deferri ju berem, horu m nihil admonu it. Nam cu m fratris
tu i Meliadu sii v iri hu manissimi
9
et qu i mihi optima semper stu -
CXXI
piane sm amcissimu s : non er^m qu idem tam ineptu s,
u t canfidarem, te magis fabu lis omeri meis qu am fratri* lu i aman-
tissimi iu dicio et v ohmtate, Nequ e lau di* eu piditate addu cebar,
Ut alio malem qu am ipso Meliadu sio, cu i atro earissimu s, apyd
te u ti interprete, Tu m, et eoru m institu tu m non approbabam, qu i
se ationyn su ffragio, qu am propria v irtu te hanestos (ore eu pianf.
Qwe, et si mihi v irt* non tanta sit
9
u t non tu a nobis si ac-
cesserit mctoritas plu rimwn sit adiu menti adlatu ra, tamen anti-
qu iu s apu d me fu it; cu m mu lti amicissimi hanc a me fabu lam pe-
terent, u nu m te pratferre, qu em nostro esse dignissimu m mu nere
iu dic#rem. JZt tibi qu idem spero hanc co fu tu ram non ingratam,
qu o in <fc* intelUges me magis explicandi amori*
9
qu o su m mirifice,
ob tms v irtu tes in te praeditu s
9
hanc tibi misse fabu lam, qu am
ornandi mei. Tu igitu r hanc perleges, et me tu u m esse v oks. Yak.
COMMENTARIUM
PHILO D O XO FABULA.
LgO B4PT. A L BE R TI ;
fabu la per$inet od mores
9
docet emm stu diosu m, atqw
hminm, non mnu s qu am div item, et fortu natu m
rm adibisci. Idcirco tiiu lu s Philodox^eos fabu la* est.
philo amo
9
doxa nero gloria dicitu r : huius boxe soror,
w; qu #m eamdem latini, proximo meabu lo, famam mmeu -
t Hot qu idtm, qu od /tornarti omnes historiae fu isse gloria*
twtsntu r, merito amba* esse matrona* Romanas fin*
gimu s. Amiws amanti* Phroneus: qu em eu mdem sapientem, a*
A L BE R TI , T. I . p
CXX1 I
pru dentem possu mu s appellare. Nam qu isqu is gloriae cu pidu s sit,
hu nc non impru dentem, sed admodu m in rebu s gerendis callidu m
esse oportet. Atkenienses ambo, qu ia Athenae artiu m bonaru m et
optimoru m stu dioru m inv entrices atqu e alu mnae fu erint. Tu m
Philodoxo adolescentiparentes Argos et Minerva, qu oru m alteru m
prov identiam, alteru m stu diu m et indu striam interpretamu r. Ty-
chiae qu idem, qu am eamdem nos fortu nam nominamu s, incostanti,
et nu lli coniu giu m serv anti, qu andoqu idem illa istiu smodi maxime
ingeniis delectatu r, adoptiv u m temerariu m filiu m Thrasone, et
Au tadia natu m dedimu s. Thraso au tem au dax et tu midu s est
Au tadia insolentia arrogantiaqu e dicitu r. Serv u s fortu nae Dy-
nastes hu nc nos tyrannidem potentiam v ocamu s. Nam haec
praesertim qu idem fortu nae su biecta est. Doxae v icinu s Auphto-
nus, Tychiae libertu s div itias et copias demonstrat, qu ae pr-
xime ad gloriam propagandam facu ltatem praestent: Sed, qu o
libertu m esse illu m v olu i, perqu e fallaciam aedes eiu s ingredi?
Id piane docet ab indu slriis qu oqu e div itias occu pari ; sed esse eas
primo adgressu difflciks. Tamen postea se se faciles praebere:
v eru m esse infidas, atqu e a du ris possessoribu s illieo didicisse au -
fu gere. Doxam inqu it palam atqu e pu bblico v elie cu m amante
colloqu i. Id affirmat v eram gloriam fama comite, affectare cele-
britatem atqu e odisse solitu dinem. Chronos tempu s est; eiu s fi\a
Alethia, qu ae apu d latinos v eritas nu ncttpatu r. Haec in tu mu ltu
praesens omnia spectav it. Doxa su premu m fastigiu m conscenderat
9
qu od ita prorsu s ev enit iis qu i, non stu dio et indu stria adiu trice,
sed temere procacitate qu adam, atqu e au dacia qu idpiam etiam
dignu m... (sic) gloria exequ antu r : Namqu e hi non v eram gloriam,
sed fortu nae adminicu Us, famam u su rpante Alethiae adserv atrix
Mnimia ; haec est cognitio et memoria, qu ae et Phronei u xor est
Nam si stu diu m cesset, memoria res cognitu pretiosissimas denegai.
Idcirco antequ am Doxa amanti adiu ngatu r, memoria stu dio
restitu itu r. Deniqu e datu r amatori legittima u xor, du m petu lans
CXXIlt
fortu na dari fUio raptam or asse t. Qu am iibi rem tempu s hau d
qu idem concessa libere, at non denegav it tamen. Su nt et pkraqu e
aUa, qu ae saletn habeant, eo brev itatis cau sa proetereo. Itaqu e
nostra, u t docu i, fabu la materiam habeat non inelegantem, nequ e
qu am ab adu lescenti, non maiori annis XX editarti, qu ispiam
doctu s minime inv idu s despiciat. Tu m et eo eloqu entia est, qu am
in hu nc u squ e dem docti latinis litteris omnes approbarint, atqu e
u squ e adeo esse antiqu i alicu iu s scriploris existirnarint, u t fu erit
nemo, qu i non hahc ipsam su mma cu m admiratione perlegerit :
mu lti memoriae mandarini ; non pau ci in eo saepiu s exscribenda
plu rimu m operae consu mpserint : hic locu s admonet u t recitem qu o-
nam poeto meam esse ignorarmi. Mortu o Lau rentio Alberto pa-
tre meo, cu m ipse apu d Bononam iu ri pontificio operata darem,
in ea disciplina enitebar ita proficere, u t meis esserti carior, et
nostrae domu i ornamento, Fu ere inter meos, qu i inhu maniter
nostro jam jam su rgenti et piene florescenti nomini v ehementiu s
inv iderent : qu os etsi iniu stos, et nirniu m du ros in dies eoeperirer,
tamen nequ e odisse poteram, nequ e non diligere, qu ippe qu i illis
omnia mecu m licere arbitrarer. Tu U igtu r illoru m in me hu mani-
tatem (sic) animo non iniqu o et magis officii et hu manitatis qu am
iniu riaru m memori, qu ood ipse piane coepi omnes meos, ad eoru m
gratiam, et beniv olentiam mihi conciliandam, esse conatu s irritos,
atqu e inu tiles. Idcirco hanc, in eo, qu o tu m eram constitu tu s merore
incommodoru m meoru m et acerbitatis illoru m, qu ibu s, u t essem ca-
riar, omnes boni desiderabant,consolandi mei gratia, fabu lam scripsi.
Qu am qu idem inelimatam, et penitu s ru dem familiaris qu idam mei
stu diosissima su bripu it, fu rtimqu e illam horis pau cissimis qu arti ce-
lerrime transcripsit. Ex qu o factu m est u t ad meas mendas, scribendi
istiu s festinatione, mu lta v itia adiicerentu r. Fecit tamen eiu s, me
inv ito, copiam v u lgo, apu d qu em, librarioru m imperitia nimiru m,
omnino inconcinna reddito est. Qu ae enim inepte scripta aderant,
ea qu isqu e pr arbitrio interpretrabalu r. Nequ e defu ere aliqu i,
c n i Y
*
(18) Mercurio I I , chiamato ancora E rmete Triniegistro, che
vuoi dir tr volte grande, per essere stato r e , sacerdote e filosofo,
raccolse i monumenti dell' umana sapienza che Mercurio I aveva
ordinato si scrivessero in colofone marmoree. Vogliono che fosse
cons i gl er d'I side tnoglie d'Osiride, e visse intorno a 1500 avanti
Ges Cristo.
(19) D ue furono i Orate filosofi, l'uno cinico e l'altro acca-
demico. Il primo viveva 328 anni avanti G. Cristo, e l'altro 800;
ma l'Alberti vuoi parlare certamente di quest' u l t i mo , mentre il
cinico gitt tutto il suo denaro in mare per darsi pi liberamente
alla filosofia, oppure, secondo altri, consegn tutta la sua pe-
cunia a un banchiere, con ordine di darla ai suoi figli se fossero
siati pazzi, e soggiungendo, che ov e fossero stati filosofi non av reb-
bero della medesima sicu ramente abbisognato. Il qual disprezzo della
ricchezza, denotando al certo che la casa dai regi apparati e dai
v ari ornamenti non fosse sua, ci fa sicuri, come si di sse, doversi
qui intendere l'accademico. .
(20) Anche gli Aristippi furono due, e ambidue filosofi di
Cirene; l ' uno detto il v ecchio, e l'altro il giov ane, per esser ni-
A L BBR TI .T.I . | g
138 I L L US T R A Z I O NI
pot del primo ; ma Leon Battista qui vuoi dire senz' altro di
questo, il quale verso il 396 avanti G. Cristo fond la setta cire-
naica. La sua gran massima era il piacere, tenendo, l'uomo
non potere esser felice, se non in mezzo ad essi. Infatti
comprare una pernice per $0 dramme (e ogni dramma vale-
va 14 soldi e due o tre denari di Francia) , il pi gran docu-
mento che veramente i piaceri fossero per lui il tutto, se tanto
faceva per la gola. Pass U pi del suo tempo alla corte di
Dionisio il tiranno, che lo teneva in grandissimo pregio ed era
inoltre molto pronto e vivace nelle risposte, tal che ingiuriato
un giorno da uno, e Aristippo fuggendo, e l'ingiuriatore segui-
tandolo dicendogli perch se ne fuggisse, rispondevagli il filosofo :
Tu sei av v ezza a dir male, ed io a non ascoltarlo. E lo stesso
Dionisio volendo un giorno trafiggerlo con dirgli che i filosofi
pu r si v edev ano alle porte de* grandi, egli pronto, con quest'al-
tre parole il rimbeccava, dicendoli: / medici sono per lo pi m
casa degli ammalati.
i ,
(21) Senocrate, figlio di Agatenore calcedonio, ebbe a suo
maestro P iatone, ma fu d'ingegno tardo e cogitabondo, talch
il suo maestro paragonandolo ad Aristotile soleva di re: a que-
sti il morso, all'altro gli sproni. Fu di tania continenza,
per, e pudicizia, che certi, per vederlo caduto in una lubricit
e aver poi motivo di beffarlo, vi mandarono Frne celebre corti-
giana ; ma la prova fu indarno; cosicch colei ebbe a dire, non
essere stata da un uomo, ma da una statua. Scrisse moltis-
sime opere s in geometria, che in filosofia morale ed in versi,
enumerate da Diogene Laerzio nella sna vita.
(22) Diogene Laerzio nella vita di Senocrate, non dice vera-
mente che Dionisio gli facesse il dono della ghirlanda, perch
e' vinse gli altri nel bere, ma invece quelli della casa di Dio-
nisio. (V . DIOGENE. LAERZIO, Vita di Senocrate).
S TO R I G H E 139
(23) Lacide fu clbre filosofo della setta de
9
Pirronisti, visse
a
9
tempi d'Aitalo re di Pergamo, e mor per una intemperanza
usata nel bere.
(Sfc) Due furono anche i Dioni, uno istorico e l'altro filo-
sofo del quale parla l'Alberti, e che per la sua eloquenza fu
soprannominato Crisostomo, cio Bocca (Toro; nacque in Prusia
di Bitinta, visse a'tempi di Traiano, e lasci ottanta orazioni ed
altre opere.
(85) Aristotile, figlio di Nicomaco medico e di Festiade da
Stagira nel macedoniese, per cui fu detto Stagirita, fu uno
de' pi celebri filosofi che mai venissero al mondo. Ebbe a mae-
stro Piatone, fu capo della scuola de' Peripatetici, ed insegn ad
Alessandro il Grande, al quale fu dat precettore da re Filippo
suo padre. Accusato d'empiet da Eurimedonte, sacerdote di
C erere, e temendo perci di far la fine di Socra te, ritirassi a
Calcide, ove mor, chi-dice avvelenato, chi d'una colica e chi
finalmente che si precipitasse nell'Euripo, dal dolore di non aver
potato trovare la cagione del suo flusso e riflusso. Scrisse una
gran quantit di opere, e quelle che ci rimangono fanno fede
quanto tutte dovessero essere importantissime. Chi volesse sapere
il loro titolo legga Diogene L aerzio, l dove parla di lui : Cice-
rone poi nelle Tu scolane e in altri luoghi ci lasci scritto, che Ari-
stotile fosse piccolo di statura, gobbo, deforme e balbuziente.
Nacque l'anno 384, e mori 322 avanti Ges Cristo.
(26) Zenone da Cizio nell'isola di Cipro, fu pure celebre filo-
sofo e discepolo di Crate. La sua massima filosofica era u n solo
Dio ed in tu tti u na necessit inev itabile. Inoltre faceva consistere
il supremo bene, nel vivere giusta la natura, ma guidati dalla
retta ragione. E ben fece l'Alberti a dargli l'aggiunto di stoico,
140 I L L US TR A Z I O NI
perch cos ci ha ammoniti ch'egli parlava di questo Zenone e
non di quello d'Elea, oppur dell'Isaurico.
' (27) Antigono fu uno de' pi prodi ed esperti condottieri di
Alessandro Magno, dopo la morte del quale si fece re d'Asia.
(28) Seneca, gran filosofo scrittore latino che ci lasci di-
verse bellissime opere si in verso che in prosa, visse ai tempi
di Nerone, del quale fu maestro e consigliero nella via di virt;
ma tutti sanno come poi il principe, chiuse le orecchie ai suoi
savi ammaestramenti, lo facesse morire, lasciando per altro a
Seneca la -libert di eleggere quella morte che pi gli piar,
cesse, ed egli scelse di essere svenato. Narra Tacito che essendo
nel bagno colle gi aperte vene, Seneca tuffasse le mani nell'acqua
mescolata del suo sangue e ne aspergesse i pi prossimi dicendo:
qu este effu sioni a Giov e liberatore.
* *
(29) C. Tacito, scrittore latino chiarissimo, visse sotto Vespa-
siano Domiziano, Nerone, Traiano e Adriano, alcuni de* quali lo
inalzaropo ai primi onori. Scrisse la Storia de'principi, da Au gu sto
fino ad Adriano, che a noi non giunse intera, e ancora De
9
chiari
Oratori, come pure la Vita d'Agricola suo socero, ed una altra
opera intitolata : De
9
costu mi e del paese de Germani e tutto con
isUte per la concisione, per la forza e per le sentenze mirabilissimo.
(30) Muzio Scevola, soldato ramano, avendo- Porsenna re dei
Toscani assalita la patria sua , s'introdusse nel suo campo e nella
sua tenda per pugnalarlo; ma perduto il colpo in uno della sua
corte, per averlo scambiato pel re, a punire la mano del com-
messo errore Farse sovr'ardente braciere; e siccome poi in seguilo
usava la sinistra, per fu detto Scev ola da una greca parola che
vuoi dire mancino. (V. L I V I O , T. I I , e 12).
S T O R I C H E 141
(SI ) D idooe, che anche si disse E l i s a , fu figlia di Belo re
de
9
Tirii e moglie di Sicheo, il quale fu ucciso da P igmalione
fratello di lei per impadronirsi delle sue ricchezze. Ma ella fug-
gita co* suoi tesori , recossi in Affrica dove fabbric Cartagine.
Ambite in seguito l e s ue nozze da Iarba re di G et ul i a, ed ella
ricusando il maritaggio, volendo il mauritano principe costrin-
gerla colle armi, la forte donna si uccise. V irgilio favoleggi poi
gli amori di lei con E nea, e riusc a formarne il pi sublime
episodio del suo poema (V . Eneide, L ib. I V ) .
(32) E nni o, poeta latino de
1
pia ant i chi , nacque secondo
alcuni in Rudi citt di C alabria, e secondo altri in Taranto sotto
il consolato di Q. Valerio e C. Manilio, l'anno della fondazione di
Homa 510. Fu caro al vecchio Scipione ffricano, e scrisse molte
tragedie, il nome di alcune delle quali ci fu lasciato da Cicerone
nel l ' Orazione pr Archia. Compil pure, testimonio lo stesso
C icerone, gli Annali della Repu bblica romana, un poema in esa-
metri , Su lla seconda Gu erra Pu nica ed altro ; per di Ini non
ci rimangono che frammenti. Era d' un ingegno il pi grande> ma
il suo stile aveva pi che del duro e dell'aspro. Narrasi che
V irgilio si servisse qualche volta de' versi di questo poeta dicendo,
che erano perle cav ate dal letamaio di Ennio. Mori di podagra circa
140 anni avanti G. Cristo e fu sepolto nel sepolcro del suo amico
Scipione. Orazio racconta di pi che E nnio non componesse versi
se non dopo aver ben beuto. Ma non vuoisi frodare ad E nnio la
gloria di aver introdotto pel primo, fra i R omani, il verso eroico.
s
(33) Milone at l et a, fu s famoso nella sua arte ed era do-
talo di si prodigiosa forza, che ne' giuochi olimpici levava di terra
come il pi leggero peso un bue , sei poneva sul l e spal l e, il de-
poneva qui ndi , e d'un pugno l'uccideva.
Caio G iulio Cesare Ottaviano A ugus t o, secondo impe-
ratore romano e nipote di G iulio Cesare, nacque in Roma 63 anni
142 I L L U S T R A Z I O N I
prima della venuta di Cristo, e fa uno del celebre triunvirato con
Lepido e con A ntonio, i quali si sa come tutti e tre d'accordo si
prendessero quella suprema potest e si spartissero i l mondo, che
per discordie, e per guerre fra es s i , renne poi finalmente nelle
sole mani di A ugusto. Fu piuttosto crudele finch dur il triun-
virato, ma restato solo e pacifico possessore del governo, divenne
mite e virtuoso. V aretino Mecenate ed A gri ppa, ebbero l a pi
grai* parte alle fortune ed alle virtuose azioni di A ugusto.
(35) Plinio il G iovine, soprannominato Gecilto, fu nipote e
figlio adottivo di P linio i l V ecchi o, celebre naturalista de
9
tempi
romani, e nacque m Corno. 11 suo singolare merito gli acquist
sommi onori , e sotto Traiano ftt ancora assunto al consolato.
Scrisse, mentre occup questa sublime dignit, il famoso Pane-
girico a Traiano, riguardato da molti per un capo l avoro; ci
lasci ancora dieci libri di Lettere che sono elegantissime, eru-
ditissime; ma con tutto questo gl'intelligenti dicono che i suoi
scritti non sieno di tutto quel candore che contradistingue il
secolo d'Augusto.
(36) M. T. Cicerone, principe della latina eloquenza, nacque
il 2 Gennaio Fanno 103 innanzi la venuta di G. Cristo, essendo
consoli Q. A ttilio Serano e Q. Servilio C epione, lo che viene ri-
cordato da lui stesso nell'E pistola V ad Antie., Lib. V I I , e anche da
Gellio nel L ib. XI I I , e. 28 ; come pure da P lutarco e da Macrobio.
Ebbe un figlio detto Marco, e una figlia chiamata Tullietta, come
dice egli nell'Orazione pr Sextio,\\ corpo della qual e, fu al tempo
di Sisto V ritrovato fuori di Roma sulla via A ppi a, e conservato
intatto da balsami odorosissimi. Cos il Rodigino, L ib. I H, e. 24.
Fu ammazzato dai soldati di Marco Antonio il giorno 7 di Di-
cembre, essendo consoli Irzio e P ansa, in quell'anno che gli
successero poi Ottaviano e Q. P edi o, come pare si possa ritrarre
dalle parole di Cornelio Taci t o, nel Dialogo degli Oratori, dove
solamente dice : VII Idus , senza il mese. Tullio Tirone suo
S T O R I C H E 143
l i berto, scrisse la sua vita in tre vol umi ; quindi P lutarco, e fra
i moderni, il Miltono.
(97) Clodio, di prenome P ublio, fu deirantichissima famiglia
de' C l audi , ma cittadino turbolento e facinoroso, dato alle pi
scellerate libidini, ed uno de' pi accaniti nemici di Cicerone.
O mero, principe de
1
poeti greci e il pi antico di e s s i ,
uno de' pi mara?igliosi ingegni che mai venissero al mondo.
Sette citt si disputarono la gloria di avergli dato i natali, e fu-
rono Smi r ne , R odi, Colofone, Salamina, C hi o, Argo ed A t e ne ,
s che fu fatto questo distico :
Smirna, tihodos, Colophon, Salami*, Chios, Argot, Atenae,
Oriti* de patria certat, Homere, tu a*
L 'opinione pi comune per si eh' egli fosse di Smirne. Si hanno
di l ui due celebratissimi poe mi , V uno intitolato VIliade, l'altro
VOdissea che sono veramente due miracoli dell'umano ingegno.
A nche l a Batrocomiomachia, ossia La gu erra aV Topi colle Rane,
poemetto burlesco ed altre cose, vengono attribuite al gran can-
tore ; itaa ci non ha molto fondamento. Non poche sono le tra-
1
duzioni fatte in italiano dei detti suoi due poemi , se non che
dopo quella del Monti, che sublimemente tradusse in versi sciolti
i l p r i m o , e l ' al tra del Pindemonte che volgarizz parimente in
feriolti con bellissima poesia il secondo, non rimase agli altri
traduttori grandissima fama. V ogliono alcuni che Omero perdesse
per malattia gli occhi , e altri che nascesse cieco. D ella prima
opinione sarebbe E raclide, della seconda V el l ei o; ma quella in
che tutti concordano si che morisse poverissimo ; il solito
quasi di -tutti i poeti.
(39) Talete da Milesio, fu il primo de' sette sapienti della
G r e c i a , e intese moltissimo all'astronomia, dove fece delle bellis-
s i me scoperte. E gli fu il primo a predire l'eccUssi del Sole, e
144 I L L U S T R A Z I O N I
fond quella setta che si disse Ionica, perch egli era di Ionia
essendo nato a Mileto.
(40) Apuleio fu celebre filosofo platonico ed autore del fa-
moso Asino d'oro, tradotto s bene dal Firenzola.
(41) A nassagora, fu maestro di Pericle ed uno de' pi ce-
lebri filosofi dell'antichit. Fra le sue dottrine eravi, che* il sole
fsse u na massa ignea pi grande del Peloponneso, che la lu na
offesse abitanti, che il massimo degli u mani beni stesse nella con-
templazione, e che la mente div ina fosse cagione ddf u niv erso. Na-
cque in Clazomene verso il 506, e mor il 428 avanti G. Cristo.
(42) L attanzio, autore ecclesiastico, scrisse intorno al prin-
cipio del IV secolo.* I l Baronio l o tiene a f r i c a n o , ma quei
da Fermo, citt della Marca d'Ancona credono e vorrebbero s o-
stenere ch'egli fosse del loro luogo. E gli compose e ci lasci molte
o p e r e , l e quali furono stampate la prima volta a Subiaco e la
cui edizione divenne preziosa per essere il primo libro impresso
in Italia con data.
(43) L i s i a, fu a no de' pi eleganti, puri e soavi oratori greci.
Nato in Siracusa 459 anni avanti Ges Cristo, mor di 4 a nni ,
lasciandoci molte Arringhe, delle quali solo trentaquattro per-
vennero fino a noi. - ' .
(44) A ristone, filosofo e discepolo di Zenone, visse intorno
al 236 avanti Ges C risto, e questi quegli che rassomigliava
l e disputazioni de- logici alle tele de' r a g ni , le quali diceva
non possono esser meglio lavorate, ma a che buone?
< (45) Criftippo, celebre .filosofo greco della setta degli Stoici,
era, di So k nella C i l i ci a, e* fu uno de' pi gran. dialettici dal
STO R I C HE 145
m o tempo, tal che si disse : Se gV Iddii av essero av u to tfu opo di
serv irei della logica, non altra av rebbero sclta che qu ella di Cri-
sippo. I l suo trattato sulla Prov v idenza notabile per alcuni bel-
liasimi pensieri, uno de' quali ebbe l ' onore di essere svolto dal
Malebranche.
(46) Teucero fu figliuolo di Telamone re di Salamina, e fu
ali' impresa di Troia ; ma perch ritornava senza aver voluto far
vendetta dell'uccisore d'Aiace fratello del padre, questi l o sban-
deggiava, ed egl i , impassibile, andar s e ne in Cipro e vi fabbricava
Salamina.
(47) .P . Grasso, di soprannome il Ricco, figlio di P . Mu i i o ,
fratello di P . Scevola e Consolo col vecchio A fricano, fu solenne
legista e non men grande oratore. Ebbe un figlio per nome L uci o,
atodft'egli nell'eloquenza valorosissimo, anzi il primo di quanti i n
allora fossero mai stati al mondo oratori;* per forma, che dallo
slesso Cicerone, ne' libri, delPOratore e nel Bru to, merit di
essere non l odato, ma inalzato alle stelle.
(48) A sinio P olitone, Console e distinto oratore romano, fiori
sotta A ugusto, del quale ancora fu amico. Orazio e V i rgi l i o; di
c ai fu singoiar protettore, fecero sovente menzione di l u i , e
l ' ul t i mo specialmente con parzialissimi -encomia Scrive O razio
( Epist. X* Lib. I ) eh' egli componesse ancora tragedie e storie ; e
cos narrasi essere pare stato il primo a formare i o Roma una
biblioteca, e che A ugusto avendo per celia composti de'versi
contro di l ui , istigandolo a rispondere, egli dicessegli che non
starebbe mai stato si pazzo a scriv ere contro chi potev a bandire.
(49) Antioco il Grande, .re di Siria, dopo aver fatte varie con-
qui ste, pensando di far l'impresa ancora di Smirne, di Lampsaoo
e di altre citt della Grecia asiatica, queste ricorsero per a i a t a
A L K1TI ,T.I . 19
146 I L L U S T R A Z I O N I
ai Romani, i quali mandarono ad Antioco ambasciatori perch
rendesse quanto aveva tolto a Tolomeo Filadelfo e lasciasse
tranquille le altre greche citt; ma Antioco montato perci in
ira, ad istigazione di Annibale, dichiar la guerra a' Romani,
i quali lo disfecero in una gran battaglia vicino a Magnesia,
onde fu costretto a domandar la pace, che ottenne con sacrifizi
grandissimi, perch ebbe a andarne ricacciato oltre il Tauro.
Dopo questo trattato egli poi diceva con la pi grande indifferenza,
di essere obbligatissimo ai Romani, per av erlo sgrav ato dal gran
pensiero di reggere tanti popoli !
(50) Sesto Aurelio Properzio, celebre poeta elegiaco latino,
fu da Bevagna, piccola terra presso Fuligno. Am una gen-
tildonna per nome Ostia o Ostilia, da lui per celebrata sotto il
poetico nome di Cinzia. V'ha chi asserisce' essersi fatta la sco-
perta del suo sepolcro in Spello, citt pure a tre miglia da altra
parte da Fuligno, ma intorno a ci vuoisi vedere negli Atti di Lipsia
del 1725 l'osservazione di Fr. Carlo Corrado. 11 marchese Antonio
Cavalli di Ravenna, recentemente fece e stamp una felicissima
traduzione poetica delle'sue Elegie, ed alcune ne ha pure egre-
giamente trasportate nella nostra poesia il conte Francesco Maria
Torricelli da Fossombrone, uno de
9
pi gentili poeti e prosatori
della et nostra, il quale 'ora intende ad una nuova illustrazione
dell'allegoria del poema di Dante.
(51) Epicuro, uno de' pi grandi filosofi del suo tempo, na-
cque circa il 340 avanti 6. Cristo : fu figlio di Neocle e di Che-
restrata, ed insegn in Atene la filosofia a numerosi discepoli,
i quali T avevano in tanta stima, che mettevano da per tutto
il suo ritratto. Faceva consistere l'umana felicit nei piaceri,
ma non ne' sensuali come malignamente sparsero i suoi ne-
mici, intendendo egli per piacere' quella consolazione e quella dol-
cezza che va congiunta colle virt. Il Gassendo scrisse molto
diligentemente quanto poteva appartenere alla vita di questo
STORICHE 147
grand'uomo, e il marchese Guasco molto ingegnosamente lo
difese dalle imputate calunnie. Alcuni Santi Padri, Ira' quali
Origne e San Gregorio Nazianzieno, lo giustificarono intorno ai
costumi.
(52) Vedi la nota (47).
(53) Cleopatra, regina d'Egitto, figlia di Tolomeo Auleta e
sorella e moglie dell' ultimo Tolomeo, donna di prima impudici-
zia, fu amata da Cesare, dal quale ebbe un figlio detto Cesarione;
poi da Antonio, che ebbela in luogo di vera moglie. Finalmente
vinto Antonio presso Azzio, fattasi mordere per disperazione
da aspidi, cos si uccideva.
Agamennone figlio di Atreo e di Erope, fu re di Micene.
Nella spedizione che i Greci fecero contro Troja pel ratto d'Elena,
fa con universale consenso, risguardo alla sua sapienza, nominato
oondoitiero dell'esercito; ma ottenuta ch'ebbe dopo il decimo anno
la vittoria, e ritornato in Grecia, non appena vi era giunto che
Clitennestra sua moglie aiutata da Egisto suo adultero lo mette-
vano a morte. Lasci un figlio e fu Oreste, che vendic nel
truce drudo e nella fiera madre, la morte del padre, trucidan-
doli ambedue.
(55) E rad ito, celebre filosofo greco, fa d'Efeso, e dotato dalla
natura di perspicacissimo inggno, colle sole sue meditazioni
divenne sapiente. Sempre taciturno e chiuso ne' suoi pensieri,
piangeva continuamente sulle debolezze dell'umana natura, lo
che fruitogli il nome di Filosofo tenebroso. Scrisse intorno a va-
rie cose con gran lode; ma il Trattato sulla Natura gli acquist
la maggior rinomanza. Fra le altre sue opinioni meritano parti-
colare considerazione quella sulla immortalit del? anima e della
risurrezione generale de'morti.
148 I L L U S T R A Z I O N I
(56) A masi, di semplice soldato fattosi re d'E gitto, fu da prima
disprezzato da' suoi soggetti , causa l ' umi l e sua ori gi ne; ma *
forza di dolcezza e di saper fare, trionf di questa avversione.
Dicesi foss'egli Vinventore di una l e g g e , mediante la quale eia*
SCUDO era astretto a render conto ad un magistrato, istituito per-
ci a bella posta, de' mezzi con cui sussisteva.
(57) Policrate re di Sa mo , visse gran tempo senza pro-
vare il pi piccolo sinistro di turbata fortuna, della quale per
temendo [perch tutti devono in vita avere qualche avversit) gitt
da s stesso in mare il suo anello alla cui gemma era attri-
buita una grande virt; e dice Erodoto che il facesse ad insi-
nuazione di Amasi re d' E gi t t o, col quale aveva fatto l ega. Ma
dopo alquanti giorni pescato un pesce e nel suo ventre trovato
il detto anello, fu ci avuto per gran ventura; l o che intesosi
da A masi , non volle pi averla per alleato , dicendo: che l'uomo
avventurato deve aspettarsi grandi avversit, non solo per s
ma ancora per gli amici suoi. ci veramente s e g u i ; perch
guerreggiando con re Bario e fatto prigione da Oronte suo
capitano, fa da questi fatto crocifiggere; ci avvenendo quasi
524 anni avanti Ges Cristo.
(58) L . Cornelio Cinna celebre Consolo romano, Fanno 87
avanti la venuta di G. Cristo, fece una legge pel richiamo degli
sbandeggiati; ma oppostosegli Ottavio suo c o l l e g a , dov egli in-
vece andarsene cacciato da Roma. P er spalleggiato da Mario, da
Sertorio e dagli schiavi, ritorn, uccise O ttavia, e fu sul punto
d
1
impadronirsi della R epubblica, e di far la guerra a Siila ;
ma troppo crudele, avendo le sue barbarie stancato il suo eser-
ci to, in quel frattempo, fu da' suoi soldati lapidato in Ancona.
(59) L . Cornelio Siila, uno de' pi gran perturbatori dell*
repubblica romana, fu da fanciullo erudito nelle latine e greche
S T O R I C H E 149
l ettere, e pass la soa giovinezza in mezzo ai pi scellerati vi-
t i ; ma ottenuta poi la questura, si vedeva mutar vita. A s t a t o ,
s i curo, cupido di gl ori a, largo donatore e di grand' ani mo, Sai-
Instio non seppe se avesse egli a dirsi pi felice o pi forte.
Mandato da Mario ambasciatore al re Bocco, ritornossene con
G iagurta legato. Vinse Mjtridate, represse la guerra sociale, op-
presse C inna, e quindi lo stesso Maria Finalmente depose la dit-
tatura che aveva assunta, ritirandosi in P ozzuolo, dove moriva di
morbo pediculare.
(60) Caio Mario fa uno de
9
pi celebri capitani romani. Vinto
G iugurta e Bocco re di Mauritania egli fece altre memorabili i m-
prese. F u Console pi volte, ma la sesta avendo avuto Siila per
emulo e nemi co, ebbe a ritirarsi in Affrica. Sertorio e Cinna per
10 richiamarono, ed egli tornato a Roma faceva morirvi i suoi
pi grandi ne mi c i , sbandeggiando gli altri. Ma Siila finalmente
trionfando, dicono che questi mandasse un Servio Gallo ad ucci-
de r l o , mentre stava nascosto ne
9
paduli di Minturno; se non
di e il sicario atterrito dalla maest delF aspetto del gran capi-
tano , affermano ritornasse senza avergli fatto la pi piccola of-
fesa; il quale racconto vuoisi per altro da molti avere per mera
invenzione.
(61) P lutarco filosofo, . stori co ed oratore di Grecia celebra-
tissimo, era di Cheronea citt della Beozia, e fioriva sotto Traiano,
11 quale avevalo in tanta st i ma, che lo inalzava persino alla
dignit consolare, a lui confidando parimente gravissimi incarichi
politici. Stadio sotto A mmonio, e viaggi la Grecia per conoscervi
e consultarvi i dotti, scrivendo nelle sue Memorie quanto credeva
degno di essere avvertito. Verso il termine della sua vita ritornos-
sene peraltro al suo paese, ove credesi che finisse i suoi giorni.
R imangono di lui moltissime Vite di u omini illu stri e di molte altre
i soli nomi , come pare bellissime Opere morali ed altri eccellenti
scritti che sono un vero tesoro di erudizione e di sapienza, e di
150 I L L U S T R A Z I O N I
quanto ci resta di pi curioso a sapersi nell'antichit profa-
n i . La migliore traduzione italiana delle sue Vite quella di
Girolamo Pompei veronese, e delle cose Morali quella di Mar-
oello Adriani fiorentino.
(62) M. E milio Scauro, fu veramente specchio di ogni inclita
romana virt ; ma assalito dall' oro di G iugurta, quando questo
*
principe affricano era in differenze con R oma, e lasciandosi cor-
rompere a pr del barbaro, posponendo all'utile la patria, la sua
fama fin allora bellissima, sozzamente e per sempre contamin.
Laonde ben disse Cicerone nella L
a
Terrina : a Nu lla esserv i si
santo da non potersi v iolare, nu lla *i mu nito da non potersi op-
pu gnare dalForot
(63) M. Accio P l aut o, celebre poeta comico l a t i no , fu di
Sarsina neU'Umbria. Dicono che p e r l a povert girasse una
macine da molino onde campare la vita; ma questa asserzione ha
de'contradittori. I suoi sali e la squisita purit con che egli scrisse,
rese l e sue commedie delizia di tutti , facendo fin dire, che se le
muse latine avessero dovuto parlare, l'avrebbero sol fatto nell'elo-
quio plautino. Mor l ' anno 184 avanti G. Cristo. Venti sue
commedie ci restano, ma YAmfitrione e VEpidico sono avute per
le migliori.
Vedi la nota (25).
(65) C. Giulio Solino, egi zi aco, secondo che alcuni eruditi vo-
gliono (romano al certo n o , addimostrandolo con troppa evidenza
la forma del suo stile soverchiamente affettato e la non eletta
sua el ocuzi one, ad onta ch' egl i stesso in pi luoghi del suo
Polyhistor, che un libro delle cose pi memorabili di varj paesi,
parli spesso di Roma come di sua p a t r i a ) , per avere messo a
sacco vari scrittori onde comporre il suo l i bro, e principalmente
il maggiore P linio, si acquistava il soprannome di Scimmia pii-
S T O R I C H E 151
tuona. O ltre la detta opera ci rimangono di l ui ancora vari fram-
menti di versr sopra certi pesci. I l Salmasio, c he fece delle dotte
chiose sopra Solino,, sostiene avere egli vissuto dopo Alessandro
Severo: altri poi dicono verso la fine del primo s e c o l o , o s ul
principio del secondo.
(66) Giulio C apitolino, storico latino, scrisse l e Vite di An-
tonino Pio e di Vero, intitolate a D iocleziano; e quelle di Clau -
dio* Albino, di Macrinoy de'due Mssnini dedicate a C o s t a t i n o ;
come pure quelle di Massimo e di BaUrino, che pi non ci
rimangono.
(67) Marco Aurelio Antonino il filosofo, imperatore romtio,
fti uno de'pi gran principi che mai portassero corona. Nacque
i l 96 d'Aprile nel centoventunesimo anno dalla venuta di Cristo.
Antonino P io lo adottava ed associavate ali' imperio con L ucio
V ero; ma dopo la morte del padre, il Senato dava a lui solo il
reggimento dell'imperio; se non che Marco A urelio, ad onta di
questa gran deferenza del Se nat o, non volle regnar s o l o , ma
chiam socio alla imperatoria potest ancor Lucio V ero, e fu la
prima volta che Roma vedesse due imperatori regnare insieme.
Marco A urelio era un principe dotato dei pi squisiti pregi per
render felici i suoi sudditi, e videsi in lui avverata quella vec-
chia sentenza che il mondo sarebbe felice se i filosofi fossero
r e , o se i re fossero filosofi. Marco A urelio seguiva apertamente
la filosofia s t oi ca, e lasciataci scritto un volume in dodici libri
di Riflessioni sopra la v ita, che furono stampate la prima volta
nel 1558, ed il primo libro di tutta l'antichit profana che
pi si avvicini al V angelo.
(68) Marco Terenzio V ai rone, il pi dotto e il pi erudito fra
i R omani, scrisse moltissime opere quasi in numero di 500 vo-
l umi , fra l e quali molti libri Della lingu a latina, d$Ua Vita del
152 I L L USTR A Z I O NI
Popolo romano, delie Cose ru sticane, deW Edu cazione de
9
faU
t
di Satire e d'altre cose. Sant'Agostino lo chiam il dottore
delle cose, e Cicerone scrivendogli: Tu in nostra u rbe pe-
regrinante ( dicevagli ) , errantes, tanqu am hospites, tu i libri
qu asi domu m redu xeru nt, u t possu mu s aliqu andoqu e et u bi e*-
semu s cognoscere. Tu aetatem patriae
9
tu descriptiones tcmporu m,
tu sacroru m tu ra, tu sacerdotu m, tu domesticata
y
tu pu blicam
disciplinata, tu reru m, tu locoru m regionu m, tu otmiu m ku mna-
ru m div inaru mqu e genera, nomina, officia et cau sas aperu isti .
Mor 28 anni avanti Ges Cristo.
(69) Gli Efori erano magistrati spartani, in numero di -cin-
que , il cui ufiBco per non durava pi che un anno. Tutti erano
presi dal popolo, e s estesa era la potest loro, che potevano
far persino imprigionare i re. Furono infatti istituiti per mo-
derare il regio potere assoluto e frenare ogni * arbitrio. Nel
diritto degli Efri v' era la convocazione delle Assemblee e di
presiedervi. Potevano assomigliarsi ai Tribuni del popolo, e i l
loro nome, come quello de* Consoli, serviva a contare per epoche
gli anni.
(70) Chilone di L acedemonia, famoso filosofo di Grecia, fu a i o
degli Efori per la sua sapienza. D icono morisse dalla gioia nel f rb-
bracciare s uo figlio reduce vittorioso da'giuochi olimpici. D o -
mandato qual cosa fosse pi difficile a farsi, ri spose: dispensare
il tempo, perdonare le ingiu rie e osserv are il segreto. Riferisce
P linio che fosse C hilone, colui che fece scolpire in lettere d'oro
nel tempio di Delf la celebre sentenza : CONOSCI TE STESSO.
(71) Britannico, figlio dell'imperatore Claudio e di Messa-
l i na, avrebbe dovuto succedere nel regno a s uo padre; ma que-
sti sposata A gri ppi na, la nuova moglie metteva sul trono Ne-
rone suo figlio, il quale faceva avvelenare Britannico.
S T O R I C H E 163
(72) Antistene, celebre filosofo ateniese e discepolo di Socra t e ,
Ai quello che istitu la setla de' Cinici verso il 324 avanti Ges
Cristo, e fa cagione del bando di Anilo e della morte di Melita,
due de
9
pi grandi nemici del suo maestro, i quali colle loro
inique accuse e scellerati maneggi, lo fecero condannare a ber
la cicuta.
< (78) Temistocle fu uno de' pi celebri capitani ateniesi. Di-
seredato dal padre causa la sua scorretta vita, per cancellare
quest'onta diessi a servire la patria con grandi fatti. Fu egli
che riport la famosa vittoria navale di Salamina contro Serse;
ma chiamato poscia in giudizio dai suoi concittadini con molte
accuse e sbandito dalla patria, ricoveravasi in P ersia, ove il
re lo accoglieva con la pi grande magnificenza, assegnan-
doli tre citt per il suo sostentamento. Moriva avvelenatosi col
sangue di toro per non volere portar le armi contro la patria.
Oh magnanimo I
(74) Simonide, fu uno de' pi grandi poeti greci dell'anti-
chit. C eos, oggi Zia, isola dell'Egeo, fu sua patria; ebbe dalla
natura una memoria prodigiosa, e vogliono fosse inventore della
memoria locale. Simonide sarebbe stato ancor pi glorioso se
non si fosse contaminato coli'avarizia, che rese mercenaria la
sua penna. Delle sue cose non ci rimangono che frammenti.
(75) Vedi la nota (56).
(76) E uri pi de, celebre tragico d'Atene, nasceva il d stesso
che Serse fu sconfitto. In retorica fu discepolo di Prodico, in filo-
sofia di Socrate ed anche seguit nassagora. Fu assai caro e
stimato da rchelao re di Macedonia, e scrsse settanta tra-
gedie, ma cinque furono quelle che meritarono la corona.
Mor di anni 75, essendo stato di nottetempo dilaniato da' cani.
m
ALBERTI. T. l . 30
154 I L L U S T R A Z I O N I
11 medesimo re fece seppellire l e sue ossa a P e l l a , ricusando
di concederle agli Ateniesi, quantunque istantemente richiedes-
sero quelle illustri reliquie, per esser riportate in patria.
(77) Bione, detto il Boristenita perch di Boriatene, fu uomo
di solenne ingegno, ma di perduti costumi. Fu molto senten-
zioso n e ' s u o i detti, come pu vedersi in que s t o , che avendo
incontrato egli un invidioso straordinariamente preso dalla ma-
linconia: Non si sa, disse, se il male sia accadu to a Itti, o ad
altri il bene. Viveva verso il 376 avanti G. Cristo.
(78) M. Antonio l'Oratore fu s celebre in eloquenza, che
Cicerone diceva : per lui essere allora divenuta Roma emul a di
Grecia. Fu P retore, Proconsole e Censore, e fu fatto morire nel
tempo delle civili commozioni di Mario e Cinna. Non volle mai
consentire si pubblicasse nessuna delle sue arringhe.
(79) Giuseppe Flavio, soprannominato l'I storico, fu di Giudea.
Nacque sotto Caligola Tanno 37 di G. Cristo. E gli discendeva dai
sommi pontefici di Gerusalemme per parte di padre, e per quella
di madre dal sangue reale de' Maccabei. Fu condottiero de' Ga-
lileesi, e in pi incontri seppe ancora segnalarsi. Fu poi fatto
prigioniero da V espasiano, cui predisse l ' i mperi o. Testimonio
della presa di Gerusalemme ne compose la Storia in sette libri
veramente stupendi. Scrisse anche venti libri Delle Antichit giu -
daiche, due libri contro Appione, un Ragionamento sopra il mar-
tirio de* Maccabei, e un Trattato su lla su a Vita ; e tutte que-
st'opere scritte in greco sono veramente eccellenti. Si hanno buone
traduzioni anche in italiano di quest'autore, ma quelle di Fran-
cesco Baldelli, celebre letterato del cinquecento, bisogna di rl o,
primeggiano.
(80) Laberio fu poeta comico del tempo di Cesare da cui
fu fatto cavaliere. Pregato dallo stesso Cesare di recitare egli
S T 0 R 1 C HE 155
slesso in una sua scenica rappresentazione, lo fece ; ma finita la
sua parte e andato a sedere fra i cavalieri, questi credutisi offesi
per aver Laberio calcata la scena, si tennero cos stretti, che il
poeta non pot trovarvi posto, per cui imbarazzatosi, e Cicerone
ci fedendo: Io ti avrei, Laberio, fatto luogo, dicevagli, se non
sedessi s stretto: ma Laberio pronto e senza lasciargliela ca-
dere : Mi maroriglia, o Cicerone, che stretto tu segga, mentre sei
uso a storti ognor su due seggiole, volendo alludere alla sua am-
biguit. Mori a Pozzuolo kk anni avanti G. Cristo.
(81) Agrippina, figlia di Germanico, sorella di Caligola e
madre di Nerone, se fu bellissima donna, fu ancora dissolutis-
sima e di una ambizione la pi segnalata. Fu moglie, in terze
nozze, di Claudio imperatore zio di lei, cui avvelen per far
salire sul trono suo figlio, il quale si sa che in ricompensa e di
averlo messo al mondo e di averlo fatto regnare, la faceva
uccidere. Dicono che questa fine predettale, Agrippina rispon-
desse : Mi uccida pure, ma regni. Colonia fatta da lei ingrandire
ricevette il suo nome e fu detta Colonia Agrippina.
(83) Celio, oratore di singolarissimo ingegno, discepolo
di Cicerone e dotato di forme veramente bellissime, am Clodia
sorella di Clodio, ma accusato da un Atratino di vari delitti, fra
i quali di aver congiurato con Catilina la rovina della Repubblica,
fu da Cicerone difeso con una elegantissima orazione che an-
cora ne rimane.
{83) Giustino storico del secondo secolo, fece un Compendio in
elegante latino, della Storia di Trogo Pompeo. Delle tre tradu-
zioni italiane che si hanno di questo scrittore, dello Squarciafico,
del Porcacchi e dello Zucchi, la prima del secolo XV, del XVI
le altre, le ultime due son quelle che portano il vanto, e in
verit lo meritano, per esser molto ben fatte.
156 I L L U S T R A Z I O N I
(84) Esiodo, celebre poeta greco, fu d'Ascra in quel di Beozia.
Alcuni lo fanno pi antico di Omero, altri suo contemporaneo
e altri di molto tempo appresso. Cos pure non assai fondata
opinione quella di chi lo crede vissuto centanni dopo di Omero,
ci assicurandoci Porfirio. Ci rimangono di lui due poemi, il
primo di maggior fama, intitolato Le Opere e i Giorni conte-
nente precetti agricoli, e l'altro, la Teogenia o Generazione de-
gVIddii. Lo Scu do, altro poema che gli si vorrebbe attribuire,
da
9
critici non gli consentito. Cicerone soleva dire a Lepra
d'imparare Esiodo a memoria, e spesso di averlo in bocca.
(85) Cleobolo, uno de' sette savi della Grecia, fu di Lindo
nell' isola di Rodi e figlio di Evagora. L'ingratitudine e l'infe-
delt erano per lui due cose le pi abominevoli. Sono sue molte
sentenze notabilissime, fra le quali : Piglia donna a te egu ale,
se non v u oi i parenti di lei per tu oi signori. Perdona agli altru i
falli, ma nona te stesso. Ebbe una figlia chiamata Cleobolina,
poetessa di versi esametri enigmali, e mori verso il 560 avanti
6. Cristo, avendo 70 anni.
(86) Ecuba, figlia di Dimante re di Tracia e moglie di P iiamo,
cui diede diciassette figli, nella presa di Troia, tocc in sorte
ad di s s e , di cui fu schiava. La sua figlia Polinessa, venne sa-
grificata sulla tomba d'Achille, s! ch'ella dal gran dolore im-
precando ogni sorta di maledizioni contro i Greci, fu, secondo la
Favola, trasmutala in cagna.
(87) Niobe, figlia di Tantalo re di Frigia e moglie di An-
fione re di Tebe, avendo avuto quattordici figli, sette maschi e
altrettante femmine, os tenersi da pi di La tona, che non ne
ebbe che due, cio Apolline e Diana. Ma Latona adontatasi di
tale disprezzo, fece dai due suoi figli saettare tutta la numerosa
sua prole, per forma che la infelice madre dalP immenso dolore
veniva convertita in sasso.
S T O R I C H E , 157
Prometeo, figlio di Giapeto, secondo la Favola, dicono
che formasse di cera e d'acqua i primi uomini, e che togliesse
poi dal cielo il fuoco per vivificarli. Ma Giove sdegnato di tanto
ardimento, faceva da Vulcano legare il profano rapitore con ferree
catene sul monte Caucaso, dove mandava un avvoltoio a strappar-
gli ogni giorno una parte di fegato. I l Bocart per tiene che
Prometeo sia lo stesso che il Mago nominato nella Bibbia.
Alcinoo re de' Traci nelT isola di Corcira, fu celebre
pe' suoi superbi palagi, pieni di ogni magnificenza e ornato dei
pi bei giardini, i quali passarono in proverbio, per significare
de' luoghi pieni di ricchezze e di delizie. ( Vedi VIRGILIO nelle
Gtorgxche, Lib. I I , v. 8 7) .
(90) E lena, figlia di Giove e di Leda e celebre per la sua
bellezza, fu rapita da Teseo, poi restituita, e tornata di nuovo
ad esser rapita da Paride figliolo di Priamo, il qual ultimo ratto
produceva la famosa guerra di Troia, che durava dieci anni.
Morto Paride, Elena sposava Deifobo, che poi faceva uccidere da Me-
nelao. Finalmente morto anche questo, ritira vasi Elna nell'isola
di Rodi presso Polisso suo parente, il quale, per essere deasa
stata cagione della perdita di tanti eroi, comandava l'appiccassero.
(91) Non cos per pu dirsi di Sofonisba, che dovendo
venire a ogni modo in potere de
9
vincitori Romani, volte morire.
(92) Teti dea del Mare, secondo alcuni era madre di Nereo
di D ori, che maritatisi insieme, dalle loro nozze, ne nacquero
le Ninfe della Terra e del Mare, fra le ultime delle quali, Teti
la Giov ine fu la bellissima. Giove avrebbe voluto sposarla,
ma inteso dal Destino come sarebbe nato di loro un figlio, che
avrebbe cacciato dal regno il padre, davala perci in moglie
168 I L L US TR A Z I O NI
a Peleo, alle cui nozze intervenivano tutte deit, tranqe la
Discordia, la quale per vendicarsi dell'onta di non essere stata
invitata, gettava sulla tavola un aureo pomo con la leggenda
intorno : Per la pi bella. Giunone, Pallade e Venere contesero
questo pomo, ma Paride, eletto a dar sentenza, lo giudicava a
Venere. Dalle nozze di Teti con Peleo poi, nasceva Achille.
(93) Massimino, imperatore romano, soprannominato Aiace,
nacque in Francia. Di bifolco fattosi uom d'arme, giunse, dopo
Alessandro Severo, ad ottenere l'imperio. Fu di pi che atleti-^
che membra ed ebbe una forza prodigiosa. Dicono gli storici che
mangiasse e bevesse quotidianamente in quella quantit, che
racconta ancora l'Alberti ; anzi qualcuno invece di un' an-
fora , vorrebbe dire che ne bevesse otto; ma ci non par veri-
simile. Massimino fu crudelissimo, e perseguit i cristiani in
un' orribile maniera. Finalmente il senato non potendo pi tol-
lerare la sua barbarie, nominava venf uomini per governare la
Repubblica e difenderla dalle sue crudelt; lo che irritando
Massimino, dalla Germania dov'era allora, passava in Italia, ed
assediava Aquilea; la quale facendo una lunga resistenza, ed
annoiandosene i suoi soldati, finalmente uccidevano lui ed il
figliolo, gettando i loro corpi alle fiere.
(94) Solone nacque in Atene, e fu figlio di Esecestide; fu
uno de' sette savi di Grecia, e legislatore degli Ateniesi. Per suo
consiglio furono mutate molte leggi di Dracone, che ogni delitto
multava di morte ; onde Demade oratore, diceva : che Dracone
av ea scritto le leggi col sangu e u mano. Fu egli che in Atene isti-
tu il consiglio degli Areopaghi. Pisistrato suo parente, per, si
uni seco, e colla sua malizia superando la bont di Solone, si
fece Signore assoluto d'Atene, che i Greci chiamavano Tiranno,
la qual cosa da Solone non volle farai, dicendo che la tirannide
STO R I G HE 159
ito/Ma dilettev ole, ma priv a di scale ; e per and peregrinando
per l'E gitto ed altrove per dieci anni. Giunto finalmente alla corte
di C reso, ricchissimo re di L idia, questi gli mostrava tutti i suoi
tesori, domandandogli, se mai avesse veduto pi bella cosa; ma
gli rispondeva il sapi ente, che t eapponi e i gatti gK parev ano
cote molto pi belle, perch la loro bellezza era da natu ra. Fra
l e sentenze di Solone, queste sono notabili: Soccorri al prossimo
tu o. Difendi la v irt delPamico. Resisti attira. Obbedisci
alle leggi. Onora padre e madre. Non giu rare. Non essere
inv idioso. Non pigliar tosto delle amicizie, e sii costante in
qu elli che piglierai. Maritati con donna tu a egu ale. Ri-
prendi in segreto Fornico che loderai in pu bblico. Impara a
gov ernare, prima di prendere il gov erno. Fu gg la pratica dei
cattiv i. Segu ita la v irt. Le leggi sono tante tele di ragno,
le qu ali serv ono a pigliare i deboli e piccoli, come qu elle, le
mosche ed altri piccoli animali, ma sono rotte dai robu sti e dai
grandi.
GENA D I FA MI G L I A
AVVERTIMENTO.
Qu esto leggiadrissimo dialogo della Cena di Famiglia di
L. B. ALBERTI, non mai per lo addietro pu bblicato colle stampe,
tratta di ci che in qu esta v ita si richieggo a bene reggersi
con felicit ; argomento importantissimo e cos magistralmente
sv olto dal nostro Au tore, da non lasciar nu lla a desiderare,
come se fav ess'egli dettato u n ampio e diffu so libro per
dispu tarti di tale materia. Una pittu ra poi, che v i ritrov erai,
del giu oco e de' su oi scellerati effetti, esegu ita al modo dei
grandi artefici, in poche pennellate, ma v iv issima e intera,
non potr non commov erti e spav entarti, come qu ell'orribile
mostro che Leonardo da Vinci dipingev a in u na rotella, e
che, v edu to improv v isamente dal padre, lo facev a agghiacciar
di terrore.
La lezione del nostro testo tratta da qu ello stesso
Codice Lau renziano segnato 112 e descritto neW A vverti-
mento che mandammo innanzi alla Tranquillit dell*Animo,
come qu ello che fu da noi ritrov ato di squ isita lezione ; n
omettemmo di tenerne anche u n altro a confronto, giov an-
docene eziandio in alcu n lu ogo, e fu il Gaddiano, ora Lau -
rtnxiano, del qu ale pu r facemmo parola nel su ddetto lu ogo.
164
Colla scorta di qu esti du e Codici della Cena di Famiglia
pertanto, gli u nici che potemmo ritrov are in Firenze, e fidati
nella loro bont, portiamo speranza di av er tu ttav ia potu to
dare alla lu ce oon la pi sicu ra lezione qu esta operetta,
dov e i latinismi fattisi pi rari che non nella precedente,
danno ragione a poterla tenere non poco posteriore alla me-
desima. Finalmente, trov andosi nella Cena interlocu tori tre
Alberti, Francesco d'Altobianco, Battista (che l'Au tore del
libro ) e Matteo, e parendoci non inu tile il sapersi, prima
di leggere il dialogo, con qu ale grado di parentela fossero i
medesimi tra loro congiu nti, for s'anche a pi piena intel-
Ugenza di codesto; repu tammo non perdu ta opera di dare
eziandio qu eUa parte dell'albero genealogice Albert tono, che
potesse a d sodiifare.
Francesco Leon BaUUla
Alleianco
Ntecotato
I acopo
L Oronzo
BcDQQcttO
Nerozzo
A lberto
\
Iacopo
Malteo (*)
A ntonio
Tommttso
Carocdo
Lapo
Giudice (questi fa Codicillo nel 1142) .
R ustico
Fabiano
A L BE R TI
(*) I noni scritti le eontoo fono g'interlocutori del Dialogo.
GENA D I FA MI G L I A
Interlocu tori.
L E O N BA TTI STA
FR A A C MC O A L BE R TI .
MATTKO
mai a me parse v ero, quanto si di ce, che il buono
appetito rende la cena ottima; certo, qui ora questo mi pare
vei t oi mo, e cosi stimo affermeranno questi giovani, quali
eccitarono ancora in me maggior voglia di fare come loro,
con pi alacrit e volutt.
FRANCESCO. Contrario anzi : la affabilit e lo ecci-
tare Tun l'altro a festivit ragionando, sempre fu sommo
ed ottimo condimento del convito: che ne dici tu Battista?
BATTISTA. Pur come voi. Alle cene, quello che
presta molta volutt nel cibo si la fame. A' nostri animi
ia tutta la vita, come dissero alcuni dotti, niuno instru-
mento, ninna arte musica si trova soave, quanto il ragionare
fatto insieme de' cari amici. E vuoisi, per satisfare al convito,
prendere di ci che vi s'appone, con volutt, e recrearsi
insieme con giocondit e pronta festivit: e cosi loder
in ogni cosa, secondo i tempi, luogo e faccenda, che vi si
adoperi, quanto li conseguitili le forze.
166 G E N A
MTTEO. Adunque aremo da non lodarti, Battista.
BATTISTA. Duolmi: e questo perch?
MATTEO. Perch in questa nostra cena facesti n
l'uno n l'altro; quasi nulla cenasti e meno favellasti.
E piacemi test con queste parole averti eccitato a riso e
ilarit: e cos fa'. Queste tue cure litterarie, quali tengono
te sempre occupato, repetera'le altrove.
FRANCESCO. Come non ti ricordassero i costumi
suoi!... Battista di sua natura, raro, se non provocato, fa-
vella; e, per uso lungo, suole spesso intermettere ancora il
di, senza gustar cibo. La prima ragione della sanit con-
siste . in conoscere ed osservare quello che suole nuocere o
giovare; e indi moderarsi.
BATTISTA. Niuna di queste, niuna. Ma rimirando or
l'uno or l'altro di questi nostri nipoti, in me i' ne pigliava
meco tacito gaudio e contentamento, riconoscendo in loro e
lineamenti e movimenti ed aria de' nostri fratelli, loro padri.
Vedoli di presenza e aspetto abili (a), non immodesti, e
spero saranno in ogni laude simili a' nostri maggiori e degni
vero appellarsi Alberti: vuoisi renderne grazia a D io, e
laude a loro. Certo i nostri Alberti furono, quale sia la cagio-
ne non forse a me quanto io vorrei bene nota, e forse qui
ora^ion luogo da riferirla, certo furono pregiati ed amati
persino da chi non li conoscea se non per nome; onde a
noialtri ancora ne resta buona commemorazione (6) e grazia.
(a) Sv elti
y
pronti: alla maniera de* L atini, e II col contrario sarebbe
inetto
y
che latinamente dlrebbesi inabilito.
(b) Ricordanza. A nche commemorazione voce presa dai L at i ni , I
quali da memini (ricordarti), derivano memoria e memor (ricordev ole). II
cui contrario immemor ( dimenticheoole ) , e memoro, che vuoi dira ri-
du rre a memoria, d'onde II composto commemoro, commemorano.
DI FAMIGLIA 167
MATTEO. Anzi in prima, e qui e in ogni presenza
della nostra giovent, sar da investigare qualunque ra-
gione la dirizzi a satisfare di di in di pi a pieno alle
nostre aspettazioni e desiderii, quando per carit (a) e debito
noi siamo loro padri e moderatori, e cosi loro erano quinci
da te vero convitati, cio pieni di ricordi e ammonimenti
atti a bene reggersi in vita con felicit. E per non per-
dere questa occasione attissima al nostro offizio, mi pare
di riferire qui a tutti insieme, quello che a ciascuno ap-
partiene assiduo ricordarsi. Udite giovani Alberti, udite da
noi, quali fossero le cagioni onde i nostri passati furono
amati e pregiati; e affermate in voi con ogni studio e
diligenza imitare ogni loro istituto e ragione di tradursi a
buona grazia e fama. Una delle cagioni fu: il numero degli
uomini A lberti, l'abbondanza delle facolt, lo assiduo
acquistarsi, ben facendo e giovando a molti, gran numero
d'amici. Queste cose, quali e quanto e come si trattino, e go-
vernino , assai lo mostr pi fa Battista ne' suoi libri de
Familia. Ma quello che molto mi piaceva in ne' nostri
passati, e giudico che fosse (6) ottimo aiuto a bene aversi, fu
lo uso familiare e assidua conversazione e concatenata fra-
tellanza fra loro insieme, piena di carit e giusto offizio,
come veggo qui oggi Battista, dandoci esemplo di s, pari
vorrebbe vedere da noi. E cosi faremo: imiteremo i nostri
maggiori, quali niuno d vacava (e), ch'essi non convenissero
(a) Carit amore, presa la parola In senso ampio, sennonch la
carit differisce dell'amore In ci, che questo genere e quella, specie.
L'amore appartiene a tolte le cose, la carit solo agli nomini.
(6) Fu sse e fiu ter, vogliono aversi ornai per voci antiquate nella
prosa, sebbene la poesia le adoperi sovente per pi eleganza: comune,
fosse e fossero.
(e) Mancav a, passav a: da v acare de' L at i ni .
168 G E N A
insieme: conferivano delle cose oneste e delle cose atte al
bene della famiglia. Era Ira loro il nome Alberto, pari a
una lro repubblica; curavonla e correggevano (a) con ogni
vigilanza e circospezione. L'uscio di qualunque di loro, l'ani-
mo, l'onore, ogni cosa era fra loro comune e quasi proprio, si
ad uso, s a governo e mantenimento. Chi amava uno, sen-
tiva so accetto per questo a tutti gli altri ; ohi forse offen-
deva qualunque eziam (6) minimo, fra loro dispiaceva a
tutti, e ipassime a chi pi sapeva e valeva: pensate voi o
figliuoli nostri, Come pu essere una famiglia in bene e non
mal felice, dove questa amorevolezza e ragione di confor-
marsi insieme non sia? ove potr mia famiglia essere ur-
tata, quando questa volont e consenso a tutti comune sar
in animo, con opera e prontezza, bene conflrmata? Io spesso
mi maraviglio quando vidi in alcuna famiglia, tanta, non
dico solo ignoranza, ma inetta ostinazione di gareggiare
massime per accumulare a s qualche parte di peculio, e
levarlo da chi per molte ragioni questo doveva presso di
lui essere comune, onde poi asseguita la impresa, trovano (e)
perdita maggiore che vittoria. Qualunque in ogni istoria
mai volse conducere cosa alcuna degna in repubblica; sem-
(a) Gov ernamnla.
(o) ncora: voce antiquata. Sebbene ttfamsla parola (atta latina,
pure cangiando 11 l In seppe ella divenire ancora italiana. Ma non raserai
oggi nelle tue scritture, se non vuoi essere accusato di affettazione
%
e
di pedanteria. Alcuni poi notarono, che nella lingua nostra sonovl quat-
tro parole che necessariamente hanno la loro terminazione In conso-
nante, cometa, con, per, non; per ecoone In eziam una qointa, esclu-
dendo da questa categoria, ti,4ef, e le altre derivazioni dell'articolo il,
ossia dell'antico f, che vorrebbevt aggiungere qualche altro, II quale non
pose mente, come U o ei trasmutatesi in io, ove dal miglior suono ve-
nisse ricevuto.
(e) Trov arono, il Gaddiano.
DI FAMIGLIA 169
pre in prima diede somma opera di multiplicarsi fautori e
coospiratori. La natura diede alle famiglie ottimo fra loro e
proprio vincolo, sopra tutti fermissimo (a); questo fa, la vera
dovuta coasanguinit, onde fossero contro a casi avversi
pia muniti e dalle ingiurie de' pessimi meno offesi. Tu
contenzioso, preferisti uno piccolo transitorio emolumento a
Ufttt fermezza d'ogni tua fortuna e bene, e violasti la
religione e santit della innata fratellanza. Chi trapren-
der usaere a te amico, quando tu ricusi essere - amato
da* tuoi, quali amerebbero te, se tu amassi loro? Quale sar
fra* cittadini s infimo che stimi te, don pigli ardire
a notarti, quando e' ti vegga recusato e negletto da' tuoi?
I nati (6) piccinini, raffrenano e perturbano a' grandi l ' ar-
denti imprese contro di te, de' tuoi invidi e avversar!. Que-
sto perch? certo perch essi intendono che la vera e naturai
congiunzione fra quelli ohe sono d'uno sangue e nome alle-
vati insieme, fa che quello che duole e move l'uno in
tempo, ancra move tutti gli altri ; pargli adunque cedere
piuttosto che tirarsi addosso ruina da tante parti, e cosi
sono i ben collegati con vera benevolenzia, non ingiuria (e) ,
temuti dai ni mici, e sono pari amati e seguiti da chi per
loro spera migliorare e salvare suo stato.
FRANCESCO. Chi dubita che questa comunione e na-
turale confederazione, sempre Ai utile e necessaria alle
famiglie. Che pi? Sola la dimostrazione di essere d'uno
animo tutti insieme e d'uno volere, gli fa pregiare e re-
veri re, quando bene fossero discordi. Ma spesso interviene
che bisogna non fare poca stima delle sustanzie sue, onde
(a) ForUitimo, II Gadd.
(b) I figli-
(e) Vedi nota (e) alla pag. 114.
ALBERTI , T. 1.
170 C E N A
facile insorgono liti: e vedemmo qualche volta alle famiglie
che simular fra loro dissidio, in casi avversi, ne salv parte.
BATTISTA. E ' mi sovviene, e panni verissimo, tra
v i c i ni , tra la moglie e 'l mari to, tra
9
fratelli, mai sar
dissensione, purch uno di loro sia savio. Le gravi e dan-
nose discordie crescono quando ambo loro sono male con-
sigliati. Le contenzioni delle borse, non hanno per so forza
di contaminare gli animi moderati. Chi per cupidit e gara
le far capitali e convertiralle in o di o , sar stoltissima
Gonsiglierei si chiamassero certi a mi c i , quali da voi inten-
dessero e fra loro dicidessero la causa. E voi omnino (a) lungi
fuggiste commutare insieme parole contenziose. Dal eonten-
dere surge gara, dalla gara ostinazione, dall'ostinazione
ingiuria, dall'ingiuria iurgio (6) e rissa e arme (e) . E cono-
scesi che nello uso civile sono due tempi vari; l'uno quando
alla famiglia si cerca nuova amplitudine e dignit, l'altro
quando ella si trova fra i pochi ne' primi luoghi onorata.
Forse sar non inutile fra '1 numero de' maligni per i nmi -
nuire i nvi di a, mostrasi in ogni cosa men potere e meno
volere che tu non puoi. Ma se la citt sia retta da buoni,
e pi poteranno le leggi che le volont, certo e '1 ben fare
tanto sar pi glorioso, quanti pi insieme concorreranno
a fare pur bene.
MATTEO. O DioI che questo succedesse 1. . . Ma in
quella terra, se oggi ne fusse una simile a quelle antiche
nominate, dove ogni cosa, pubblica pi era venale che le
private, ove da' primi anni i cittadini quasi come in una
(a) Voce latina: fuori dell'oso.
(fc) Iu rgio un latinismo non ricevuto neanch'esso dall'uso, e vuoi
dire : contenzione di v illane parole.
(e) Rileggi questo periodo.
DI FAMIGLIA 17t
scuola impararono e continuo osservarono esser vari ed tn
ogni cosa perseverarono dar parole fuori, contrarie alla
volont intima, e fare, senza verecondia , niuna delle cose
promesse, quale uomo sar si stolto che non tema parere
buono fra loro, o instituisca essere dissimile dagli altri?
BATTISTA. Vedi Matteo; i' sono certo che tu sem-
pre volesti e vorrai essere pi simile a* buoni che a
1
non
buoni. Felicissima, giocondissima commemorazione poter
dire a s stessi : conoscomi che io sono buono (a). E se ad
alcuni animali, come al cammello, non piace bere l'acqua se
prima e' non l'intorbida, sappi, costui, che tempo lo aspetta;
esso sofferir molta e lunga sete ; ma come chi nav i g a,
cosi v o i , mutati i v e n t i , mutate le vele e seguita altra
dirittura, se questo corso vi porta a porto (6), cio a quiete
e onesto ozio; dove questo non segua, raccogli e statti in
0
sommo e sicurissimo porto, doVe tu addirizzi i tuoi con-
cetti: fatti bene volere da' tuoi cittadini e da tutti con buone
arti e approvata integrit. La umanit e facilit e probit,
porgono scala e ale a superare (e) in cielo.
MATTEO. Udiste voi giovani? udiste v oi ?
FRANCESCO. Dir pure forse pi che non richiede
pesto luogo. Di molte cose si ragiona e non si negano a
parole, quali se fussero in fatto meno difficili, ehi I quanto sa-
rebbe la vita e condizione de' mortali ancora meno misera,
fra savi e pazzi, fra buoni e mali, fra ricchi e bisognosi, fra
(a) Notabili parole.
(b) Vi parta a porto, di quel bisticci da schifarsi colla pi grande
attenzione da coloro ebe non vogliono offendere l'eleganza del loro discorso.
(e) Ascendere; latinismo da farne conto nella grave prosa e special-
me nt e nel l e poetiche dizioni. Il V ocab. non registra su perare In questo
senso che II proprio. VIRGILIO nel I I I .
0
delle Georgiche, disse : Su perant
monte* et (lu mina tranant.
172 C E N A
i tiranni (a) e subietti: non patisce la natura che benivotenzia
vi sia stabile, se fra loro non quello che li componga e
tenga insieme. Bisognavi qualche condizione per la quale
minuendo all'uno ed accrescendo ali
9
altro, fra loro seguiti
parit; e se a me non pessimo, fia necessit usare e con-
trattarmi (6) con molti, dei quali tu conosci i loro pensieri,
vita e fatti, basteramm* egli quanto che tu dici? Che pu uno
buono mutar di s o , se non in peggio !
BATTISTA. Secondo il fine che tu proponi almeno
fia mutabile la volont non da bene a male, ma da sof-
frire pi tosto incomodo che turpitudine. Io persuasi a me,
gi pi tempo, che in vero^ a' buoni nulla possa nuocere
se non tanto, quanto diventassino meno buoni. Pi ferma
(a) Ito-anno, nella sua primitiva origine, non voleva significare altro
che signore o monarca con piena potest sopra i soggetti suoi. Ma in pro-
cesso di tempo, fattisi questi principi malvagi, e avendo abusate le forze
del regno per dominare superbamente contro le eque e giuste leggi, fa'
il nome di tiranno rivolto in mala parte, indioando un re o principe ingiusto
e crudele. Tuttavia l nostri antichi, come I Greci, l'usarono il pi delle
volte nel miglior senso, come pu vedersi ne' loro libri e In questo e In
molti altri luoghi dello stesso Alberti, siccome nel I H.
0
della Famiglia,
ove dtce: Cresciu ti (crti uomini) in antichissima libert detta patria e
con animo troppo pieno d'odio acerbissimo contro a ogni tiranno, o
contenti delia comu n libert v orrebbero pi che gli altri libert e licenza ,
dove tiranno non certamente in cattivo significato. tutta questa
spiegazione noi credemmo necessaria, perch leggemmo in una chiosa
(fan moderno, posta appunto alia voce tiranno, del precitato esemplo,
che tiranno principe che nel reggimento fa contro ragione e giu sti-
zia , lo che non sempre vero come dagli addotti esempi si potuto
vedere.
(b) Contrattare dal lai. contrectare che propriamente significa frequ en-
ter tango, oto tocco spesso; e nel figurato, qu el frequ ente trov arsi insieme
delle persone per qu alstoogha interesse. Vorrebbe In quest'ultimo senso an-
dar registrato nel Vocab. L'uso per In sua vece ha trattare.
DI FAMIGLIA 173
e certa oosa nella salveiza ohe porge Iddio a' buoni,
che non sono gli odii fra quelli che tu raccontavi. I l a tor-
niamo onde facemmo digressione: dicesti, Matteo, che l'uso
de' nostri familiare insieme, con carit, fu gran cagione
a farli pregiare, cosi pare anche a noi, se gi qui Fran-
cesco non fusse in altra sentenza.
FRANCESCO. A me pare il simile; ma soprattutto
i buoni costumi acquistarono loro molta grazia. Io posso
affermare questo: mai fu famiglia in questa nostra citt
pi costumata, e forse per questo in prima fu ben voluta
e nominata.
MTTBO. Ben dici il vero ed cos, e dohbiamcene
gloriare, e proporci d'esser simili a loro: che direte ! Era per
Italia ridotto in proverbio: quando vollero approvare in
akuno la molta umanit e prestanzia de' lodatissimi c o -
stumi, diceano : Costui tale come se fusse nato e allevato
fra gli Alberti.
r BATTISTA. E merito. In prima, furono i nostri
osservantissimi della religione, e reverentissimi a' loro
maggiori.
FRANCESCO. Per confirmare il detto tuo, Altobianco
mio padre, spesso mi riferiva, che per darsi quanto e' do-
veva simile a' suoi maggiori (a), mai volse essere veduto
sedere in pubblico, presente messer Antonio cavaliere suo
fratello; e gli altri de' quali uno qui dottore e nel nu-
mero de' cherici, con uffizi pubblici, in dignit non ultimo;
mai presente, non dico alcuno padre e capo di famiglia,
ma pi, presente Lionardo o Benedetto suo fratello consu-
(a) Darti simile ^a u no per imitare u no in lu tto e per tu tto , panni
maniera da essere avvertila sebbene sappia alquanto di latino.
174 C E N A
brino per et maggiore, mai fu veduto assedersi. E cos
noi tutti sempre rendemmo reverenda a' maggiori come ai
padri, e cos loro amarono sempre noi come figliuoli.
BATTISTA. Qualunque non inetto sia e ben allevato,
senza dubbio conosce che questo gli debito e somma
laude. Chi rende onore ad altri, acquista (mestamento a
s : ecco la ragione. Quello incorretto giovane non fece il
debito suo con degna reverenzia verso il padre, quanto da
lui richiedevano gli altri cittadini : quel biasimo di chi fu ?
non di colui a chi non fu renduto a dignit (a) , ma tutto e
solo di chi non satisfece all'offizio suo. Tu, contro, contri-
buisti a chi meritava onore; fu pari (6) tutto tuo, non d'altri,
l'onestamente e lode. Ben sapevo 4o che '1 mio rizzarmi,
scoprirmi, ovviarli (e) , non portava a que
1
miei alcuna cosa
per quale essi dovessino riferirmene merito, altro che ralle-
grarsi , conoscendo che chi vedeva in me quella osservanzia
e officiosit mi riputava degno d'essere amato. E mancando
i n me quello che mi si richiedeva m'era da altri bi as i mo,
e da me stesso rimordimento.
FRANCESCO. Que'tuoi R omani, in ogni cosa mal
corretti oggi, molto errano in questo; stimano i padri meno
che suoi vicini e quinci crescono con molta lascivia e vizi.
BATTISTA. Ben per questo costituirono que' popoli,
quali se suoi minori sino a certa et peccavano, i magi-
strati punivano il padre, gastigavano i precettori che non
li corressero in tempo.
(a) Cu i non fu reso il debito onore.
[b) Parimente. Pari, In questo senso non nel V ocab. , ma -io
l'I ntesi spesso nella bocca di que' popoli di V aldlraetauro, che pi sono
prossimi al mare.
(e) Andarli incontro : dal Ialino obire.
DI FAMIGLIA 175
MATTEO. Questo bisognerebbe oggi in questa nostra
citt: sarebbero meno linguacciuti, pi escogitati (a) , meno
insolenti, pi moderati nelle voglie loro; fuggirebbero l'assedio
e corruttela de' viziosi, da' quali depravati, imparano esser
ghiotti, inverecondi, giocatori e senza alcuna riverenza o
timor del biasimo; ed cci tanta copia, e si pronta, e s pe-
tulante di questi seduttori, ministri e maestri di tutte le
arti pessime e maleficii, che per loro, rari giovani, crescono
senza turpitudine ().
FRANCESCO. Ben dici il vero: uomini pestiferi, frau-
dolenti, impronti (e), importuni, sfacciati, assediano la gio-
vent, e pi nuocono a questi nominati uomini da bene, che
a plebei e men fortunati (d) , quanto presso di loro trovano
pi che rapire.
BATTISTA. IO udiva questo che tu di' fuori di qui :
ora, in presenzia, non vorrei vederlo I Troppo mi perturbe-
rebbe I dura faccenda moderare la giovent ! vero ; ma io in
ogni altra cosa sarei con loro facile e indulgente, purch
fossero non sfrenati e simili a quegli ohe non sdegnano i
maggiori, e ostinati credono solo a s, e curano solo sati-
sfare alle voglie sue : non gli potrei riputare da bene,
sendo non buoni e costumati. Chi dir io che sia da bene?
colui che merita grazia, favore, aiuto, laude e ogni bene. Chi
(a) Pi riflessiv i.
(6) Giovane, poni mente alla verit di queste parole e delle seguenti
ancora.
(e) impronto, spiega il Vocab. importu no; ma ecco l'Alberti, met-
tendo dopo impronto, importu no, ne dimostra che pare una differenza dee
passare fra le due voci. infatti gli esempi stessi addotti dal Vocab. con-
fermano la cosa. Mentre impronto quivi vuoi sempre dire importu no sfac-
ciato, senso datoli pure dal nostro Autore, come vediamo In questo luogo.
(d) Men forniti di av eri ; di beni delta fortu na.
176 G E N A
merita ricever qusto? lo immodesto? petulco? (a) lascivo?
inonesto? temerario? arrogante? temulento? scellerato? certo
no. Quello che tu concederai a uno putido gaglioffo (6) sar
scritto alla tua umanit pi cbe alla necessit di colui.
Ha uno vizioso indomito quale solo oda, creda e diesi a
quelli suoi confederati seduttori, degni d'ogni supplizio,
costui non merita di essere guardato dalla plebe, non che
reputato fra gli uomini da bene. E se vizio alcuno in qualun-
que et e stato si trova dannoso, certo questo, dagli antichi
chiamato alea (e), come sono carte, dadi, sempre fu pernicio-
sissimo. Qual prudente non ricuser nei suo' traffici un
giocatore? Pel giuoco, chi acquista mai altro che nome di
fraudolente e fabbricator d'inganni ? Dal giuoco viene ninno
piacere, gravi perdite, molestissime cure e infestissima sol-
lecitudine, assidue perturbazioni I Tu, Francesco (d); alcuna
volta ti dilettano mie simili perquisizioni (e) e invenzio*
(a) Petu lco da petu lcu s de' Latini petu lante, che osa ci che non pu.
(6) In un rarissimo libretto, che ha per titolo: Discorso Intorno tifa
conformit della lingu a italiana, colle pia nobili antiche lingu e, e principal-
mente con la greca, ec, di ASCAMO PERSIO, Impresso In Venezia e ristampato
a Bologna per Giov anni Bossi 1892, In 8vo, trovo a pag.28 che In lingua
aramea, cosi detta da Arano figlio di Sem, capo di quella nazione, gaioffa
vuoi dire adu ltera: dalla qual voce deriv 11 nostro gaglioffo. tk verit,
In pi d'un luogo Intorno a Urbttio, dove si conservano, come anche al-
trove dicemmo, molte antiche voci, io udii questa, per significare precisa-
mente ci che il Persio asserisce voler dire.
(e) Alea propriamente II giu oco de* dadi, e perch il pi rischioso
di tutti, per alea fu presa per ogni giuoco dove la fortuna vi ha la
pi gran parte. DI quindi le (rasi latine facere aleam ; u Uimam emperiri
abati, per significare quello che noi diciamo giocar ru llimi carta, ar-
rischiar tu tto in un colpo.
(d) Sottintendi, ateolta.
(e) Accu rate ricerche: al due moderai esempi che dal Vocab.si cliano
a questa parola, non sarebbe forse mal fatto se si facesse precedere questo
antico dell'Alberti.
DI FAMIGLIA 177
ni (a) : v e di , pregoti , quanto faccia a proposito (b). Fi ngo qm
.vi sia un gi ovane giocatore incorretto. D i mmi , figliuolo, se
s ul nostro ponte fusse un furioso uomo qual commosso ad
i r a , graffiasse, mordesse c hi s e gli appressi ; e io di c e s s i :
spogli^ i panni tuoi e i o i mi e i ; leghimgli insieme e s t i mo-
leremo questo f uri os o: a c h i . di ftoi e
1
far peggi o, costui
trni nuda a
1
suoi e restino i panni tutti- al c o mpa g no :
pialleresti questo parti to? C he, Matteo, s e un tal gi ovane
qui ioslse, ohe credi risponderebbe? . . . : . .
-*r MATTEO, E
1
mi pare quasi scorgere, da lungi dove
t u inteftda capi tare, e risponderotti per l ui . Ma pri ma fammi
y partito compiuto (e) : se l'uno di noi ricevesse picchiate
pari al l ' al t ro?
-TT* FRANCESCO. R iterrebbe ci ascuno i suoi.
- MATTEO. Ben di c i : adunque ri spondo: non l o
pi gl t ara, i
BATTISTA. P erch n o ? e poi aresti i miei insieme^
aresti i tuoi. i
:. ,-rr MATTBO. A nzi
f
t u aresti l e t ue picchiate ed io, l e
m i e : e chi mi sicura (d) c h ' i o torni senza perdita, nop che
c on g uadag na . .
1
(a)' Intenzione propriamnte l'atlo del r i t r o v a r e ; speci al mente poi,'
t o ma q u i , t i nel l o c he CIOBBONB definisce nel libro de hwenHone ad Hern.
-7 . 6OW0t'toMo rfrtim v eraru m, au t v erimWu m, qu ae cau sarn ptobabUen
reddanl.
{b) Sot t i nt endi : qu anto io sto per din.
(e). Dimmi U tu tto ben bene ; finitami di dichiarare U tu tto. La frase
dell'A utore presa dagli s qui t t i n , che l'ultima cosa che rende compi at e
e s u g g e l l a l e disquisizioni che devono risolverei eoi mandarle a partito.
. (<*) Sicware e au icu rare, per far sicu ro. BOCCACCIO, nella NoY. del
G arbi no: E sicu rato da lui che n dal G erblnp, n da altri' Impedito sa*
r e b b e , ^c. . . . . . : . . ; : . . . - . .. ' ' ,';
A L BBUTI . T. l . . . . ! ...\%%,\ '
478 C E N A
BATTISTA. Prudente risposta: e se vi penseremo, tro-
veremo che *1 gioco, simile a una di quelle Furie poetiche,
ancora incende furore in chi se gli dia. E parvi poco furore?
giocano, dove a caso sovviene loro; spesso fu qualche desco
sordido e puzzolente, in luogo alioqu in (a) frequentato, n si
curano esser veduti e biasimati da molti. I primi furono certi
ribaldi; concorsevi numero di vilissimi raercenari (6) : questo
nostro uomo da bene, nato per essere ornamento della patria,
ma per corruttela degli scellerati disviato e dedicato al gioco,
subito dimentica so stesso e vinto e tratto dalla miseria
sua, non si pu contenere, mescolasi in quel fastidio, sur-
gonvi alterazioni, vedesi da lunge tumulto, odonsi voci e
parole pazze, odiose, bruttissime. Concorre la plebe e biasima
chi pi erra, e sempre, da* savi e da* men savi, per pi ri-
spetti, in quella colluvie (e) sar pi vituperato chi fia pel
nome de
9
suoi, meno degno di esser veduto in tale errore fra
loro. Aggiungi che coloro (d) dal ponte e dal furioso si parti-
ranno, subito che vedranno il suo male; questo giocatore mai
si parte dal gioco, se non ultimo superato, e partirassi forse
dal ponte colui coli* occhio enfiato e livido, colla bocca e
denti, colla gota e orecchi stracciati, col petto tutto percosso;
cose, non nego, dannose mai si al corpo ; ma pel gioco la
parte in noi pi da curarla molto pi patisce; perduta la
recognizione del debito suo, non cura s stesso; sotterrasi
(a) Oltre a ci : parola latina.
(6) Che campano di braccia. Costoro sono ordinariamente la fecola
de' paesi.
(e) In *qu e' radu namenti d'immondezze ; in qu e
3
su diciu mi. Collu v ie
dal lat. collu v ie*. Voce che non trovo nel Vocab., ma che panni degna di
potervi avere onorato luogo.
(d) Coloro non ha il 121, ma solo il Gadd.; per parendomi neces-
sario adottai la sua lezione.
DI FAMIGLIA 179
nel vituperio (a); non vedendo quel che ne seguiti a quella
bruttezza ma tumido di cupidit, livido d'invidia e con-
cusso (b) qui e qui di varie esagitazioni d'animo, ora per
recuperare quello che perduto, ora per accrescere la vi n-
cita. Che posso io dire altro a rabbia? E cos, come prima
precipit s stesso in questo male, cos dopo la calamit,
senza niuno ut i l e, urta s stesso con acerbissimo penti-
mento (e).
FRANCESCO. Rispondi, Matteo, tu che traprendesti
formi risposta; parti che Battista dica il vero? paionti di-
letti questi nel gioco da seguirli, o crucciaraenti da
fuggirli ?
MATTEO. E chi ne dubita? esecratali; da bestem-
miarli; ma io potrei dire che molti in la sua giovent pure
allettati parte da avarizia, parte dalle insidie e assedio dei
corruttori, cominciarono il gioco solo per piacere; e poi
col tempo tal' ora si rammendarono e liberaronsi da quella
servit.
BATTISTA. Farannolo, se in loro potr parte alcuna
di ragione o vero conoscimento. A questi bisogna solo di-
liberarlo, e fuggire luoghi, e persone, e occasione onde se-
guirti simili errori, e darsi ad altri onesti spassi o a
quelli mestieri, onde con pi certezza e buona grazia e* sa-
tisfaccino alla cupidit, accumulandosi con onest giusto
peculio. Del gioco, fra tanto numero de
9
barattieri, non ca-
verai uno o forse un altro, che non resti mendico pel
gioco ed invecchi svilito e nudo. Questo onde avvenga,
(a) Tremenda frase.
(6) Sbattu to.
(e) P ad essere pi v i v a, pu essere pi terribile questa pittura del
giuooo e de' suoi orribili effetti ? Ma seguita e sentirai ancora.
180 C E-N A
non oscuro ad iscerneiio. Non riesce al gioco, la 'mpressa,
parte per sua propria natura parte per quello che dopo al
gioco ne seguita. Ecco : tutti noi qui useremo convenire
insieme a gioco : trovansi questo di fra ni fiorini mille :
ciascuno di noi propone e studia, quanto in so s i a, vi n-
cere. Dimmi onde persuadesti tu he a te pi che me
seguiti vincita, se in te non sar qualche arte fraudolente
e apparecchio atto a ingannarmi ? Potr forse resistere alla
fraude di questo uno, ma se due o pi faranno setta (a) i n-
sieme contro me, che potr io? Nulla. Ma i modi ccm che uno
solo pu rubarmi al gioc, chi mai gli racconterebbe ? l a -
sciamo addietro gli altri giochi, in quali sono infinite deco-
zioni (b) e tradimenti. Raro fu giocatore non prono () e pronto
a esser traditore. Ma diciam solo de
1
dadi in questo.
Circa la materia del dado , questa parte d'osso e stucco
grave ; quest' altra lieve, giunte insieme e poste con accura-
tifitsimo artifizio; certi punti posti due volte in um dado, in un
altro niuna ; a questi una faccia aspra o bene spianata e bene
angolare; quest'altra tersa, liscia, curva, cogli angoli quasi
tondi, onde bene possano dire, come colui giocando, il tuo
non il mio indugia a ritenere, Aggiugni V artifizio della
mano; scambiano i dadi e rifondono e scemano le poste
con prestezza di mano e coperto furto: insomma tutto il
gioco non ama altro che fraude, tradimento e preda(d). Lodasi,
(a) Bello questo far setta, c he noi comunemente diciamo far lega,
A vvertilo.
(6) Dal lat. deceptio, inganno^
(e) inchinev ole, procliv e, latinismo da pronti*.
(d) P rego : fai attenzione alle seguenti parole e anche torna pi volte
a ri l eggerl e, trasportandole alle maledette carte che sonosi in oggi sosti-
tuite a
1
dadi, i .
DI FAMIGLIA 181
per questo quello di cui si dice che' diede al figliolo suo
per ogni altro modo inemendabile mastri espertissimi dai
quali esso imparasse e conoscesse quest' arte che tanto ti
dilettava; seguihne, che il giovane, aperto discernendo le
Infinite insidie e talenti, lacci che s*adprano giocando,
revoc s stesso e corresse tanto errore e pi non gioc.
Tu, giovane, male esperto, per inconsiderazione credulo,
pur prometti a te stesso buona e perpetua fortuna contro
tante e si artifiziose falsit e tradimenti: portasti pi somma
tu solo che tutti gli altri, e cosi desti in preda te stesso
a
9
tuoi insidiatori. Dirai : in questa cosa pu la fortuna ;
vmoesi, perdesi, cos passiamo tempo. Anzi prdete il
tempo e voi stessi. Ma concedoti: poniamo ohe tu per-
dendo perda poco, e vincendo vinca pi la perdita (a) ; seb-
bene racconterai sar e molta e spessa la vincita, contro,
rarissima (6) , il male tuo qual sussegue a poco a poco tanto
pi nuoce, quanto tu meno lo senti: ultimo te n'avvedi
quando ti troverai senza quella somma allora ut i l e, ora
necessaria a
1
bisogni t uoi , onde alienasti la possessione
e resti indebitato; non ardisci uscire in pubblico; la casa
tua ti sar un carcere; contristera'ti in solitudine; gli
amici e noti antichi ti rifiuteranno e avviliranno; i ne-
mici ne saranno lieti e befferanti; tu da te stesso ri -
ceverai tormenti intollerabili, repetendo (e) in questa misria
(a) Pi che non la perdita. Ellissi che acquista molta eleganza alla
dizione.
(fc) Cio : al contrario rariu ima la perdita. UarisHma chi volesse
guardare attentamente dovrebbe riferirsi a v incita che le vicino; ma
per quella costruzione di pensiero che si da pur sovente nella nostra
lingua, ella vuoi riferirsi a perdita,
(e) Rammemorando da repeto In questa significazione.
182 G E N A
gli spassi gli amici l'onore e gli altri beni perduti
per tua colpa e stoltizia e forse per tedio di te stesso ;
viverai errando per le selve quasi come fiera per do-
lore furiosa. O misera condizione! che vita sar la tua?
chi comunicher teco alcuna sua amministrazione o traffico?
qual de
1
maggiori ti commetter alcuna degna faccenda ?
qual padre non ti dico ti dar la sua figliola ma
quando mai patir che *1 figliolo suo a te sia familiare?
Certo miserabile condizione da eleggere la morte per
fuggirla. Ma poniamo contro che ad alcuno di noi qualche
volta la fortuna succeda in gi oco; vincesti? subito le
torme de* tuoi seguaci seduttori : dacci vincita ; spendi in
quella e in quell'altra cosa superflua e lasciva; vinci
domani? queir altro? pur simile fanno a lui ; non compie
1* anno che si dissipa tutta la somma comune indi a niuno
resta un quattrino.
FRANCESCO. Non basterebbe il di a raccontare tutte
le perversit e mine che porge il gioco esecratale t (a)
uomini abiettissimi e vilissimi i giocatori t vuoisi odiare il
gioco e lungi fuggire chi se gli dia.
MATTEO. Udite figlioli udite e cosi fate voi: siete
d'indole e presenza certo elegante nobile e in questo si-
mili a
9
nostri maggiori: d'ingegno pronto d'intelletto acuto
e di natura proni e parati a farvi amare e reputare.
Donate a questa nostra et questo espettatissimo da voi
e massimo gaudio e ultimo contentamento ; eccitate voi
stessi ; dedicate l'animo a virt ; amate i buoni ; pigliate
gloria in voi stessi de' buoni costumi; imitate i nostri mag-
II Gadd. dopo gioco, legge: Cota detestabile, il gioco, esecratile!
u omini abiettissimi i giocatori, ec.
DI FAMIGLIA 183
giori, da' quali arete domestico esempio per asseguire pari
fama e nome; intraprendete buoni esercizi; seguite i degni
studi; date opera di bene meritare di voi stessi, della fa-
miglia vostra, della patria, facendo come fecero i vostri
maggiori, uomini religiosissimi, costumatissimi, ornatissimi,
di molta e singolare virt.
BATTISTA. COS farete figlioli: i buoni costumi danno
dolce grazia a
9
fanciulli, molta laude a
9
giovani, ferma
autorit agli uomini maturi, onoratissima dignit a* pi
attempati. Ad ogni et e stato i costumi buoni sono or-
namento e splendore di tutta la vita.
A V V E R TI ME NTI
M A T R I M O N I A L I
A VVERTIMENTO.
Anche per T edizione di qu est
9
Operetta, che ora v ede
per la prima v olta la lu ce, noi potemmo profittare di tre.
Codici. Il primo Itfagliabechiano i n-fol i o, cartaceo e del se-
colo X V, di perfetta lezione, segnato CI IV, N. 38 e gi
193 Strozziano; il secondo pu re della stessa insigne Biblioteca,
del medesimo secolo e cartaceo anch' esso, ma di u n grado
inferiore al primo, in qu anto alla bont della lezione, segnato
CI IV, N. 33; il terzo Palatino membranaceo i n -8 v o , del
X V secolo anch' esso : ma qu ello da cu i traemmo copia per
la nostra pu bblicazione fu Vu ltimo; il qu ale per av ere pi
degli altri du e u na Lettera a Piero de' Medici, con cu i
l'Au tore gli manda V Operetta, per essere di squ isita lezione
ed in lettera molto elegante, ci da forse ragione di poter
credere che qu esto sia stato l'esemplare stesso mandato dal
nostro Leon Battista al Medici. Ov e per potesse essere
occorso, pu credere il cortese lettore, che ancora gli altri
ci abbiano giov ato.
188
L Operetta tratta di cose molto u tili a sapersi da chi
tolse o v u oi tor donna; n noi v orremo prev enire la sav ia
cu riosit dei lettori, altro di qu ella accennando. Solo diremo
che ne' Codici ella intitolata: Epistola Uxoria, se non che
noi credemmo meglio ridu rre il titolo come abbiamo fatto.
Ne' nomi poi di Sf i z i o , di ACRINO e di TRISBOFO che
s* incontrano in essa, v edr il lettore come dall'Alberti si
v olle simboleggiare al carattere di ciascu na delle dette persone.
Trissofo poi su onerebbe qu ello che popolarmente si direbbe
tra noi il Saccente.
M. P I E R O DI COSMO D E MED ICI
LEON BATTISTA ALBERTI
MO L TE cagi oni , gi pi tempo, me induceano che
io t e molto amassi, P i e r o: vedeati modestissimo ed
umanissimo ed amorevole di ciascun buono e studioso
di lettere e virt, e dato a ogni cosa lodata e pre-
giata in uomo come t u , nato ed educato in famiglia
nobile e beata. Onde io sperava vederti in tempo,
alla patria nostra simile al padre tuo C os mo, uomo
virtuosissimo ed a me amicissimo, pregiato, utilis-
simo ci t t adi no, da cui la nostra R epubblica, per
tuo consiglio e fortune di d in d pi riceva au-
torit, dignit ed amplitudine. Io adunque te amava,
poich cos giudicava per tua virt e costume, certo
meritavi da me e da tutti gli studiosi essere amato.
Ma ora ch' i o intendo quanto sia la benevolenza tua
verso di me, e poi eh' io sento qual sia lo studio ed
opera tua assidua e prontissima in rendermi con ogni
190
arte, con lodarmi e commendarmi a tutti noto e
accettissimo; ed ancora eh' io vedo te dato a rico-
noscere scritti ed esercitazioni mie letterarie, tanto
che raro passa ora in quale tu non legga e commendi
a memoria qualche mio scritto e detto, posso io non
soprattutto gli altri amarti? da cui, uomo degnissimo
d'essere amato, io tanto me scorga amato ? Ma non
dubito di d in d si porgeranno occasioni, per quali
tra noi mostreremo qual sia l'animo e l'affezion no-
stra insieme, e concerteremo vincere V uno V altro
d'amorevolezza e di qualunque onesto e grato officio.
E gi che io conobbi te tanto tepido de' miei scritti,
mi piacque mandarti questa nostra Operetta, scritta
in villa fra le selve in ozio, al quale a questi tempi
per buona ragione me diedi. E credo non ti tedier
rileggerla pi d'una volta, perch la vederai materia
scritta pur faceta e giocosa, e non inutile in vita a
consigliarsi; e parrtti, credo, trattata da me non in
tutto senza modo e degna maturit. Riderai e ame-
ra'mi e da me aspetterai simili maggiori premi alla
nostra ottima amicizia.
AVVERTIMENTI
M A T R I M O N I A L I
UD I STI , credo, pi volte i Lacedemoniesi essere stato
popolo, fra' Greci antichi, vittorioso in arme e temuto an-
che , ed in pace modestissimo, riverito ed amato da* suoi
finitimi ed esterni popoli. E forse vi si rammentano i nomi
di molti Lacedeiqoniesi famosi, i quali con sue virt a so
acquistarono nome e gloria, ed alla patria sua aumentarono
dignit e autorit. Fra questi dicono fu uno chiamato Gleio-
dromo, uomo fuori in esercito ed espedizion d'arme, ed in
consiglio a casa, non posposto a* primi lodati ed amati
cittadini. Costui sendo d'et grande e grave a morte, so
adorno con quelli abiti ed insegne trionfali; indosso la pre-
testa, vesta regale; in capo la ghirlanda con sue fronde di sodo
oro e gemmate, i quali ornamenti, in dono e premio alle sue
ben guidate vittorie, esso avea dalla patria ricevuti. E se-
dendo a mezzo il letto con sua barba e fronte piena di
maest, chiam a s tre suoi, i quali avea eredi, figliuoli
non dissimili a lui in modestia e in ogni laude, che udissero
192 AVVERTIMENTI
la sua ultima volont e testamento. Eran lor nomi, il mag-
giore, Mizio, l'altro Aerino, l'ultimo Trissofo, e simili quasi
parole disse. Figliuoli mi ci , i beni e le fortune, quali
T avolo vostro, uomo degno di memoria, a me padre, l a-
s c i , io li servai sino a qui, e a voi li restituisco si culti
e migliorati, ch'io spero presso di voi porgano manifesto
testimone ed indizio della mia modesta vita e diligenza.
E voi, cos.prego e non dubito, farete; cos vi procurai foste,
e cos vi conosco modesti e diligenti. Date adunque cura
ed opera, e tua sia in prima questa diligenza, Mizio, quale
per et ti si debba ottenere il luogo mio ed essere a co-
storo come padre di famiglia; farete s che i nipoti nostri
simile abbino da lodare la parsimonia vostra e temperanza,
quale voi credo lodate la mia. Vedeste ancora, quanto in
me fu ingegno, industria, studio; tutto lo spesi quanto in me
fu, a venire tale che voi poteste gloriarvi essermi figliuoli :
da voi richieggo vostro officio, cosi facciate che (a) i o , ben-
ch morto, abbia da rallegrarmi avere voi, con istudio e buone
opere cupidissimi di laude e insieme fra voi amantissimi.
Lodovi che per vostra osservanza e benigna natura, sempre
volesti che io per voi vivessi lieto e , quanto la fortuna
permettesse, felice. Adunque se a me fu debito avere cura
di voi e vedervi di d in d migliori, godo avere satisfatto
ali* officio mio ed alla espettazione de* buoni nostri cittadini
ed al desiderio mio, quando vi vedo costumati e buoni :
ed esco di vita, non se non in molta parte contento, poi-
eh* io lascio le fortune vostre non turbate, e voi con
ragione ben composti. Restanmi questi ornamenti, i quali
riconoscete sono propii miei, quali, non i vostri maggiori
(a) Facciale, carne foli, io, ec. II Magllab. gi Strosz., el. 1.
MATRIMONIALI 193
a me concessero, ma il giudizio e consenso di tutti i dir
tadini solo alla mia virt contribuirono e sono tali che non
tanto il prezzo loro quanto la dignit e rarit loro vi deb-
bono movere (a). Questi non senza cagione voglio sieno Aon
in comune di voi tre ma di colui solo quale di voi si possa
vero dire pi che gli altri virtuoso modesto prudente co-
stante pietoso e giusto. Questo Voglio stimiate da me uomo
non inconsiderato sia fatto prima per esercitarvi (b) insieme
a virt o desiderio di simile prestanzia e dignit ; poi ancora
mi parse che quello avea la patria mia sapientissima donato
in premio della virt a solo uno ci t t adi no, io il simile
dovessi commendarlo ed a solo u n o , et a chi ne fusse pi
degno.
Se accuserete mio istituto, ancora accuserete il mio
troppo Verso di voi amore; il quale tanto in me v a l e , che
mentre c h' i o penso a uno qualvuoi di v o i , quello allora
pare a me molto sopra tutti i mortali prudentissimo e at-
tissimo ; n posso me stesso certificare t a nt o , e ciascuno
di voi propongo a t u t t i , e niuno propongo agli altri. Voi
tra voi insieme con vostra usata modestia il disaminerete.
Adunque chi si dar primo virtuoso, siali a felicit ed ot -
tima quiete ed eterna pace, pigli a s questa corona questa
vesta e questi ornamenti con animo ed istituto di non
recusare fatica o pericolo alcuno, per farsi degno di tanto
ornamento e meritarlo .
Qui i figliuoli mossi e dalla maest del padre e dalle
parole gravissime tanto piene di dignit, e non meno dai
proposti regii e quasi divini ornamenti, ed ancora dalla
piet e carit del padre (il quale e' cos vedevano, bench
fa) Commov ere > il Magliab. anzidetto.
(t>) Eccitarv i; lo s t es s o.
A L BE R TI , T. l . 25
194 AVVERTIMENTI
propinquo a morte, nulla remettere sua cura verso i cari
figliuoli) sommirando l'uno l'altro collagrimarono ed alquanto
tacerono. Ultimo il maggiore, disse: Sia alla famiglia nostra
ogni tuo esemplo, padre, ed ogni tua gloria perpetuo orna-
mento e felice memoria delle tue virt, quanto ci sforzeremo
con ogni opera e studio essere non dissimili. E cos t u, spera,
sarai presso di noi pi e pi anni, e vederai noi quali sino
a test sempre ti fummo ossequentissimi, conscendere i n
grado onorato, quale, per tuo suffragio e per benignit degli
Dii che vorranno, tu prenda frutto della diligenza (a), avesti
in renderci ben culti di virt ed ornati di costumi, asse-
guiremo . In questo le lagrime loro e del padre ritorna-
rono che non fu licito procedere pi oltre confortandolo.
Poi che il vecchio fu uscito di v i t a , pur tenea cupidit
i figliuoli di quella non meno ricca che splendida eredit, di
que' trionfali ornamenti, e rendersi gloriosi del nome d'esser
detto primo virtuoso. Ma come bene allevati e civili fra-
telli per non multiplicare fra loro contenzione, chiamarono
arbitri i vecchi della loro famiglia, uomini integrissimi e
severissimi, appresso de' quali e' discettassero (6) ciascuno la
sua causa. Statuito il di , convenuti gli arbitri e costoro,
cominci de' fratelli il maggiore d'et, e cosi disse: *
P adri, se io non fussi certissimo essere in voi verso
ciascuno di noi pari amore, quanto nulla pi si possa deside-
rare, insieme ed essere in voi giustizia tale, che nulla vorrete,
per gratificare a uno, meno favoreggiare all'altro, forse io
qui, a lungo vi pregherei ed addurre'vi cagioni assai, per
(a) A bene intendere questo costrutto vuoisi sottinteso un che dopo
diligenza. Queste ellissi erano comuni agli antichi.
(&) Discettare, viene dal lat. discettare, dispu tare, contendere, ma in
modo oratorio o forense.
MATRIMONIALI 195
quali vi persuadeste fra noi non essere contenzione, chi di
noi assegua (a) questi ornamenti, ma quasi esamine a chi di
noi meno manchi virt, per essere a voi grato come perfetto
virtuoso, e approvato come modesto, temperante e pru-
dente. N sarebbe in me vera modestia, n voi areste da
reputarmi prudente, se io vi sollecitassi che oltre alla
giustizia voleste essere non comuni arbitri, ma fautori
parziali, qual cosa n cerco n da voi aspetto, che sempre
vi conobbi osservantissimi d'ogni onest e religione; e spero
ascolterete noi , con quanta da ora ci porgete umanit ed
attenzione; e in nostre discettazioni, se forse scorreremo in
qualche non degna parola alle vostre severissime presenze,
reputatelo non allo studi nostro del vi ncere, come immo-
derato, ma solo alla condizione del concertare (b), poi che
raro si pu fra pronti ingegni agitare causa alcuna senza
veemenza. D ico me essere non ultimo di cui voi fermiate opi-
nione non mediocre a riputarmi degno d'essere da voi amato.
Vedestine molti indizi, che da prima mia et sempre me diedi
assiduo e fermo a tutti gli studi e coselodatissime; vedestimi
crescere in e t , sempre ingegnandomi che le virt e opere
mie superassero gli anni e satisfacessero alle vostre espet-
tazioni di me e di mio ingegno; vedesti l'osservanza mia
e riverenza verso ciascuno di v oi , l'ubbidienza verso il
padre nostro, in quali virt non mi estolgo essere stato ai
miei fratelli superiore. Furono, e loro come i o , in ogni si-
mile laude da pari ammirarli ed amarli (e). Ma diede la for-
(a) Consegu a. Assegu ire viene da assequ or; consegu ire da consequ or,
come ognun vede ambldoe latinismi ; se non che l'oso avendo In oggi
ricevuto la seconda pi della prima maniera, questa divenuta antiquata.
(6) Vedi noia (&) pag. 28.
(e) Ugu ali in ammirarli ed amarli.
196 AVVERTIMENTI
tuna a me propria e diversa materia in quale io esercitassi
ogni mia virt. Quest' una adunque lasciata addreto molte
altre nostre comuni lodi breve reciter (a) ; e non mi diffido
asseguire, che voi statuirete me primo, a cui i vostri animi
si addirizzino a gratificarli .
Rammentavi quale a me fu moglie , femmina di na-
tura soprattutte l'altre importuna e contumace, di mente
incostante e lieve, d'ingegno lascivo e petulco (6) , <T animo
elato e molto superbo, rissosa, maligna, ostinata, e
tale, che quando ella prima venne in casa, voi parte
vi maravigliavate della sofferenza mi a, parte vi movea
compassione il tanto mio, quanto io per lei soffriva, tedio;
lascio addreto le parole immoderate, i rimbrotti assidui, i
richiami infiniti, co' quali vedeste ella sempre mi si porgea
ed opponea dura ed acerba, che furono tali e tanti che
sarebbe prolisso ed odioso recitarli; n voglio sia mio
istituto biasimare altri per accumularmi laude .
Tanto affermo con mia equabilit e continenza di me
stesso e modo, la rendetti (qual voi poi la vedeste e ma-
ravigliastivi ) trattabile , facile, mansueta, soffrendo da lei
ogni sue simili femminili inezie, quali pochi vogliono, ra-
rissimi sanno sofferire. Ma quello in che si trova niuno
s maturo e ben consigliato che non subito inacerbisca
precipitoso ad ira e furore, fu dove io dimostrai quanto
in me fosse prudente consiglio, giusta ragione, virile fer-
mezza e modesto istituto. Non mi periter (e) addurre qui in
mezzo qualunque cosa, onde voi chiaro ed aperto scor-
ta) A. pag. 41 nota (d) spiegammo recitare valere Io stesso che rac-
contare, ma qui aggiungeremo: sempre in forma oratoria.
(b) Petu toso, il Cod. 38 Magliab., ci. IV. Vedi pag. 176 nota (a).
{e) Non mi v ergogner.
MATRIMONIALI 197
giate ogni mia ragione di vivere e studio di virt. E se
cosa niuna sar s brutta, che detta in luogo e t e mp o ,
non sia onesto udirla, e quando il mio recitare i costumi
al t rui , quasi come materia in quale io me esercitai, fia
tale che nulla porga molestia a chi ora sia fuori di vita
e libero d'ogni infamia, e nullo torni in gravezza a chi
fu sempre in questo fuori di colpa, certo sar da non essere
recusato udirmi .
D ico, padri, he conoscendo io in la donna che
fu mi a , studio men di servarsi buon nome che di s a -
tisfare a s u e , nel nostro matrimonio, non giuste voglie
e desiderii, pi giorni meco mi consigliai. N cercando evi -
tare quello che tenuto occulto nulla si stima, e palesato
molto nuoce, a me parea con altri che meco esplicare miei
nell'animo mio involuti pensieri, e meco dicea: in che onesto
modo poss'io mostrarli che suoi costumi a me dispiacciano?
S'io solo a lei biasimo i suoi detti o fatti, subito eccito in casa
intollerabile rissa: ella irritata, e meco arder di sdegno,
e con tutti furiosa d'ira e contumacia, maledir il d ch'ella
eqtr sotto questi t et t i , dove ella vi va non col marito ma
st ent i , servendo a chi dolga ogni suo onesto sollazzo. N,
dolendomi co' suoi , sar se non disutile impresa; a' quali
s' i o porto (a) cosa incerta, parte a lei e alla madre, le quali
istrutte e viziate (b) per scusar s accuseranno me esser g e -
loso, pi crederanno che a me; parte, dolendoli sua infamia
mostreranno nulla credere e risponderanno onteggiosi, mai
altri, che solo me essere stato che in la loro famiglia i n -
seminasse brutto nome; essere stati sempre liberi e vacui
ciascuno di loro padri da tanta infamia delle cose loro ; e
(a) Cio: Riporto, riferisco.
(6) Corrotte.
198 AVVERTIMENTI
se io pur persevero*, mostrandomi alienato da lei, ella, per
inimicarmi, ostinata di di in d a me accrescer nuovi s o -
spetti, e goder vedermi affannato; e quando io ben l'avessi
giunta impudica, che poi riferiscalo io a
1
suoi, diranno, me
essere n primo n solo a cui sieno accaduti tali casi ;
affermeranno che di questa femminile incostanzia e lascivia
nulla quasi vi si trova surgere altro incomodo che solo la
fama e romore del volgo; e colui meglio consigliarsi, quale
non rompa in ira, aggravando a s stesso incomodo, e ira-
porrannomi che per loro e per mio onore io non , sia quello
che faccia la plebe testimone di tanta nostra comune i n -
famia; e a me qui che partito si dverebbe? non punirla?
forse quella con intera e piena licenza persevererebbe
essere ogni d pi impudicissima; s'io forse cercher pu-
nirla, non senza gran mio pericolo, non senza crudelt, n
senza gravissima sollecitudine e molestissime cure, potr
vendicarmi ; e s
1
io pur la punissi, che altro asseguire' i o ,
che solo in luogo di eredit a' miei figliuoli dalla madre,
brutto nome e perpetua infamia insieme e odio e disgrazia
dei cognati s uoi , e capitale ingiustizia dei congiunti a chi
amava. Pi fie utile adunque dissimulare non vedere quello
che non bene si possa emendare, che mostrarsi curioso dove
il tuo investigare poco ti giovi, estimare in miglior parte,
tanto darli occasione, che ella dove seco forse cos deliberi
satisfarsi, possa senza interpetr (a) saziarsi, e fie utile non
(a) Mezzani. Interprete da interpres, secondo il FOBCELLINI, quel-
r internu nciu s qu i in cUiqu a re agenda mediu m se interponit qu asi consiliator
et au ctor. Alii ab In ter du cant et pretiara, qu od presertim locu m habeat
in conlrahendo : alii a pars qu od sii qu asi inter partes ; alii a paro, aUi
ottu nde. Dal Vocabolario citato II corrotto 'interprete, cio interpito nel
nostro senso, adducendo un esempio tolto dalla Cronica del MOBBLLI.
MATRIMONIALI 199
ascoltando, non mostrando credere, raffrenare gli ollocuto-
ri (a) a meno parlare di ose a loro incerte e a me mal grate,
e al tutto fare s che per me, loro non cresca occasione da
sospettare n da parlare de
1
costumi di chi sia detta mia; e
se vedranno me uomo non stolto, cos trattarla come molto
da me amata e approvata onesta e pudica, non sar chi
stimi altri ne' fatti altrui pi vegga che me , qual sia in
mie cose pur diligente. Questo adunque fu mio consiglio
tacendo e dissimulando soffrirla, quale chi sar che non lo
giudichi prudentissimo e giustissimo, quando per altre ca-
gioni mosso e per quanto la prova dimostr, potr vederlo
pieno d'utilit ones t o, e vacuo d'ogni molestia .
Seguinne che suoi per buona relazione della donna
me tanto amarono, che nulla alla benivolenzia e studio
del beneficarmi vi si potea aggiugnere. Seguinne eh' ella
mai si sentiva stracca compiacermi, e quasi come di libe-
rasse contendere e certare meco in chi di noi pi fussi
amorevolezza, continuo mi si porgea mansueta e trattabile
e la licenzia (6) avea meco, la rendea, credo, sazia solo di
que'primi lievi trastulli amatorii. E chi pertanto non avesse in
me biasimato ogni durenza ? (e). Sarebbe stata sevizia odiosa
(a) / maledici. Da obloqu or, che propriamente significa contraddire
u n parlatore, ma che talvolta s ' os a a significare dir male, da cai oMocu -
tores, maledici, detrattori. OUocu tore non nel Vocabolario.
(b) La solita ellissi del che.
(e) Sottintendi dopo pertanto sarebbe stalo colu i che. Suole, vero, il
cornane osar di queste e l l i s s i , dove il gesto e la inflesslon della voce so-
gliono talvolta rappresentare alla mente quanto dalle parole, per seguir la
rapida successione delle idee viene I nterlasclato, ma nelle scritture dove
questi soccorsi estrinseci non s o n o , quando le sottintese parole non siano
pia che chiarissime, a essere supplite, vuoisi molto stare in attenzione onde
schivarle, per non cadere nella oscurit, pessimo di tatti gli scogli nella
elocuzione.
200 AVVERTIMENTI
la mia asperarmi (a) contro la mia donna, sarebbe immanit
la mia contenermi duro con chi io avea e i di miei e intere le
notti a vivere. Certo stoltizia grandissima cercare in prova,
cos a, quale a me sarebbe stata acerbissima trovarla. Fu
adunque prudenzia stimare quanto sia la femmina, per sua
natura prona e proclive a ogni lascivia, e conoscere quanto
(piasi niuna si trova s sozza che non studi e goda essere
mirata : n possono le femmine non offerirsi (b), e amare chi
mostri piacerli sue bellezze e gesti (e). Fu ottimo consiglio se-
eludere ogni severit, donde a me molto sarebbe redunda-
tone danno. Fu onesto fuggire la discordia domestica, utile
servare la grazia de
1
suoi, giocondo mantenere la pubblica
buona fama, e comodo fuggire la capitale inimicizia dei
cittadini. E quanto, interi quelli anni (d) eh' ella meco fu in
vi ta, costanza in me fusai e virile perseveranza, con mara-
viglioso contenere e moderare me stesso, chi potrebbe rac-
contarlo? Io (e) vedea gli amanti, or l'uno or l'altro, il d e la
notte assidui: istavano, perseguitavano, sollecitavano; io fug-
gia vedere, dissimulava avere veduto, tacea. Non mancava
chi, per mostrarsi ne
9
fatti miei pi curioso non li bisognava,
mi riferiva cose quali io mi sapea ; occorreano non pochi
(a) Incitarmi, dal lat. exasperare.
(b) Offerire dicevano pia volentieri gli anti chi , I quali si tenevano pi
presso alle origini l at i ne, venendo la voce da offero ; dal moderni dicesi
offrire ; sebbene nel l e eleganti scrittore ancor si mantenga la prima ma-
niera , che h a , parml , nn non so che di pia gentile della nuova.
(e) E mov enze. Gesto ha ancora significazione di movimento del
corpo.
(d) Per tu tti qu egli anni.
(e) lo non ha 11 P al at i no, ma si II 33 Magllab. citato. Parendomi
non ozioso, credei ben fatto accoglierlo nella nostra lezione.
MATRIMONIALI 201
chi , per dirmi cosa mi dispiacesse narravano sue istorie, e
non rari, per pormi in odio ohi essi inimicavano, fingeano
cose moleste. A lcuni ad altro proposito e fine porgeano suoi
detti e sentenzie, quali io mi pot* interpretarle dette per
me. Da infinite parli era eccitato, tratt, impinto (a) a rom-
pere in qualche inconsulta (b) ragione di vendicarmi e d'ac-
crescermi inimicizia e infamia. Ed io cost ant e, offer-
mato, sempre pl acabi l e, equabi l e, lenissimo, mai, per qual
si fosse altrui favole {e) , volli n meco essere, n con altri
parere perturbato, o in parte alcuna commosso o concitato
a mala ira e inutile sdegno. E parsemi divino consiglio
essere alla donna t a l e , che ove ella in nulla desiderasse
accontentarsi, i vi in me ella volesse nulla essere men che
ottima e continentissima. V oglio essere in questa causa re-
misso; e dicendo, nulla pi che in la mi a, quale descrissi
vita veement e, sarebbe chi simile a me si glorierebbe e
domanderebbe, dove altrove, in qual si sia marito si t ro-
vasse tanta ragione in suoi consigli, tanta mansuetudine e
placabilit d'animo, tanta continenzia e modestia, tanta
perseveranza e fermezza, che maritato a femmina iniqua,
inetta, arrogante, insolente con ordine e modo prestituis-
se (d) a s utile e ottimo instituto a bene e beato v i v e r e ,
(a) Spinto, add. da v mpmgere per ispingere. DANTE nel Conv iv io uso
la stessa voce dicendo : Ciascu na cosa da prov v idenza di propria natu ra
impinta, inclinabile alla su a perfezione; ma voce in oggi quasi intera-
mente fuori dell'uso.
(b) Inconsiderata, impru dente.
(e) False narrazioni.
(d) Prestitu isse dal lai. praeslilu o. Nel Vocab. non rinvenni questo
latinismo che totalmente Inusitato, ma c he , confesso, In qualche grave
prosa non avrei forse difficolt d'Introdurlo.
A L BE R TI , T. I. 26
202 AVVERTIMENTI
continuando suo modesto incetto (a) di perseverare a s e
a
9
suoi buon nome e intera fama, e pi e pi anni soffrendo,
tacendo, dissimulando, imperando, reggendo (6) s stesso
mai commettesse per ira o subitezza, cosa onde poi gli biso-
gnasse dire, non vorrei cos avere detto o fatto. Gli altri
mariti per gravi e riposati cbe sieno, per ogni miniino a
s sospetto sguardo ingelosiscono, vivono B sollecitudine,
gravi a s stessi e molesti a chi seco vive : a me, n guardi,
n atti, n parole, n cosa, per inezia che facesse la donna
mia, mai posero in animo sinistra alcuna superstizione.
E ancora chi con pi copia volesse estendersi (e) direbbe,
ne' campi, in esercito e fra V uso dell' armi solere u solo
consiglio, una sola opera, una sola ora, una sola vittoria
rendere glorioso in tutta la vita e famoso col ui , i n . e h i
la fortuna pi che la sua virt fu da essere premiata. Se
cos s'afferma, la Fortuna molto valere ove Marte s ' i m-
pacci, Ma in s direbbe costui essere stata perpetui anjai eser-
citata sua virt, e d'ora in ora esserli bisognato innovare
e adoperare suoi ottimi consigli; esserli stato opera con-
tinua stare pronto e des t o, con certa ragione e virile sof-
ferenza, che da parte niuna sua prudenaia a virt si possa
in lui desiderare, e sua essere propria laude, e sola sua,
dove non con arme e atto della moltitudine, non con oc-
casione de'tempi o di luogo alcuno, super l'impeto di
(a) neomindamento, da ipeeptum lat., ma voce d'Infeffce forfana,
perch l'uso non volle riceverla n nelle scrittore, n ne' familiari di-
scorsi. I Lessici per dovrebbero registrare anefee questi vocaboli, perch
ove ne' nostri antichi sieno rinvenuti, chi non sa H latino possa averne
una spiegazione.
(b) Vergendo II 33 Magliab., ma con manifesto errore.
(e) Cio : chi con maggiore esuberanza di parole volesse allungarsi nel
discorso, ec.
MATRIMONIALI 203
nimici; ma con soli suoi auspicii e guida, con sola sua
bene adattata e ben retta ragione, con solo suo offermato
e mantenuto ufficio, esso super la iniquit della fortuna
sua, e oppresse la infamia, la quale da molti lati la s ' i n -
surgea. Simili e pi altre cos e, altri forse eloquente addur-
rebbe per amplificare le lodi sue, e rendersi, a chi udisse, pi
da meravigliarlo e preporlo. Io qui nullo altro che tanto (a)
il semplice e nudo mio merito volli esplicare, ove io sperava
in voi essere prudenzia e intelligenzia, che senza altri orna-
menti di eloquenza, esso per so si porgerebbe t al e, che da voi
impetrerebbe, quale aspetto proferirete, a mia laude e
di gni t , giustissima e religiosissima sentenza .
Qui A e r i no, il secondo fratello, molto laud Mizio, e
disse : sperare assai che quella facilit e umanit sua tanto
eserci tata, sarebbe acoomodatissima alla pace e quiete e
dolce unione della famiglia l o r o , e per s non volere ohe
manchi ; c he , a chi il padre loro diede domestico principato
e imperio sopra gli a l t r i , a costui sieno ancora contribuiti
gli altri ornamenti ; ma pregarlo, seco consideri qual fatto
de
1
due, fusse da pi essere approvata, e disse; l u avesti
donna contumace, l i eve, elata, rissosa, ed i o il simile ebbi in
coniugio (6) femmina strana, traversa (e) , bestiale, arrab-
biata. E s i a, prego v i , non meno licito a me , poich ancora
la mia non v i v e , narrarne cose divulgatissime: ma che pos-
siamo noi stimare in questo essere nostra prima alcuna iniqua
fortuna ! Comuni sono e innati vizii a tutte le femmine essere
l asci ve, incostanti, importune, superbe, gareggiose (d), osti-
(a) Tanto, per solamente, alla Ialina : avvertilo.
[b) Matrimonio, da coniu giu m Ae' La Uni. Voce non dell'uso.
(e) Aspra, importabile.
(d) Litigiose, ma con gareggiamento.
204 AVVERTIMENTI
nate. Proprio non giuste con gli altri mariti ; n a congiu-
gati (a) ragionevole fortuna sarebbe a chi potesse gloriarsi
avere femmina presso a s modesta, facile e non studiosa e
cupida d'imparare, e disseminare in le famiglie odii e infa-
mie. Cosa rara, fratello mi o, cosa inaudita che femmina non
disturbi l'amicizia e care unioni dovunque ella in mezzo
segga 1 E in rari si trova lenit (b), tanta equanimit e
ben composta ragione che a loro femminili inezie, a loro
insimulazioni non si turbino ; non per in questa laude
negherei me essere stato a te non dispari. Tu soffristi fem-
mina vagola (e) e vanicciola (d); io soffersi la mia, dura, biz-
* zarra, sempre accigliata, sempre apparecchiata a contendere
e onteggiare. Tu del tuo consiglio asseguisti frutto, quiete in
cas a, tranquillit in la famiglia, grazia presso de' suoi;
fuggisti cose difficili, gravi, moleste; fuggisti la discordia
domestica, gli odii le inimicizie. Io pi stimai la fama e
buon nome, che tutte queste cure aspere e acerbissime.
Tu curasti ch'ella non volesse, io ch'ella non potesse es-
sermi impudica. E in questo chi di noi meglio consigliato
fisse, non bisogna a costoro, uomini dottissimi e sapientis-
simi disputando, dimostrarlo. E s bene conosco per et e
per uso la volubilit, la nequizia e perfidia delle femmine!
Ben si rammentano l'ingegno delle femmine, persino dai
primi anni, essere educato non ad altro che a studii e arti
(a) Congiunti in matrimonio.
(ft) Dolcezza, da lenita*.
(e) II Vocabolario non riferisce questa voce; la quale a me parrebbe
fosse qui diminutivo di vago nel significato d'incoitante, instabile, siccome
trovasi alcune volte usato dagli Autori latini : se pur anche non voglia
Intendere ciarlare da vagulatio, che presso i Latini voleva dire Volto del
vociferare, il cicalamene.
(d) Vanerella. Vanicciolo, diminutivo di vano, manca al Vocabolario.
MATRIMONIALI 205
di lascivia e incontinenzia, tale che chi quanto e'debba aspet-
tare eh* elle non vogliano cose a loro desideratissime, e pi
che altra qulvuoi dolcezza gratissima, costui , mio con-
siglio far ch'elle non possano; e pi saranno quelle che non
potendo non vorranno, che quelle che possano e non v o -
gliano. E se quelle che non possono cercano potere, quelle
che possano non vorranno che ? E cos Aerino qui a questa
materia comparando i nsti tuti , cure e molestie sue e del
fratello insieme, disse pi c o s e , qual sarebbe prolisso reci-
tarle. Ultima preg que' padri , arbitri e giudici in questa
causa, si rammentassero che quelli ornamenti doveano essere
quasi premio della v i r t , e non si dimenticassero quanto
la virt fu disgiunta dalla fatica e dal sudore delle vi gi l i e,
sollecitudine e c u r e , e che considerassino a chi di loro
pi sia stata laboriosa provincia, o a chi fuggiva, o a chi
a s prendea somma vigilanza e diligente cust odi a, di quello
pel quale si loda chi vi espone la roba, il sudore, il sangue,
la vita per ottenerla.e conservarla.
Qui Trissofo, l'ultimo minore dei fratelli, giovane d' i n-
gegno e d'animo fervente e ardito, sorrise e preg i padri, non
chiedessero da s simili ornamenti in suo dire,'in cjuali a s
parse i fratelli suoi pi per onestare suoi gesti che perorare
la causa, se fussero e s t e s i , ma parerli che poco abbino di -
cendo asseguito quel che cercavano. Se cos s i a, che chi dice
io soffersi con animo virile gl'incomodi e danni , i quali
m'erano necessari sofferire travagliandomi in mare, non tanto
loda l'animo s uo, quanto accusa il consiglio per quale s i n-
dusse a fidarsi della incostanzia e perfidia del mar e , e con-
venirli cos, non per schifare quale e* non puote avversit,
ma per meglio reggersi, ivi offermarsi e con l'animo sostenersi.
Simile chi di ca: io tacito soffersi la insolenzia di colei con
206 AVVERTIMENTI
chi mi convenia oos vivere>, non loda la vi rt, ma ducisi
della sua imprudenzia che cosi si sommise a tanta avver-
sit e grave sorte, e sempre esserti piaciuto il proprio con-
siglio suo e oggi piacerli pi che mai: poi che da' fratelli
avesse inteso quello gli parea, mentre le loro donne erano
vi ve, che mai avessero minimo momento d'ora lieto e libero
di cure e maninconie, e lodarsi che gi anni dieci bene li abbi
retto, non volontaria come a fratelli, ma certo inevitabile,
laboriosissima provincia, in quale ben consigliando s stesso
nulla n a, suasioni, n a preghiere, n a minacele alcune
credendo, o interiassando suo preso ottimo instituto, esso
con molto frutto perseveri ; e disse essere la pazienza e ferr
mezza sua stata incredibile, e tentata non da una, quale i
fratelli, sola femmina, ma da tutti quasi i mortali; n esserli
stato sicuro refiigio la casa sua, dove il padre, la madre e
fratelli tutti li persuadeano, comandavano, pregavano pi-
gliasse moglie; minacciavanlo esredarlo (a), privarlo de
1
beni
paterni, averlo in luogo d'alieno ed ignoto (6) , se non gli
ubbidiva. N fui, disse, ancora libero da tanta domestica
ricadia (e) , se forse fuggiva in vicinanza, ove i parenti e c o -
gnati, me assediavano ed espugnavano dessi al padre mio
questa ubbidienza, a' fratelli questa grazia, a chi mi pre-
gava mi rendessi non tanto inesorabile e ostinato. E n
teatri* n templi, n pubblici diversorii ancora, mai a me
fu luogo a fuggire tutti i mortali; quasi a gara e distri-
buita faccenda, a me sono stati, in questo sudermi (d) eh' io
tolga donna, troppo odiosi; e io che manifesto vedea quella
(a) Diredarlo.
(6) Di u no che non si fosse mai n v isto n conosciu to.
(e) Noia, molestia, tormento; e trovasi scritto anche recadia.
(d) Jta su adere lat. ; noi diciamo pi volentieri persu adere.
MATRIMONIALI 207
che dal marito potea n facilit, n benignit, n amore-
volezza alcuna pi a so desiderare, e quella che con m-
ravigliosa custodia era osservata, non per essere assai
pudica. E intendea, questa non si saziare d' uno e poi
d'un altro amante; e questa nulla potersi contenere coti
infinita guardia, c o n s i g l i a c i non torta: e'soffriva nostro pa-
dre, e voi in prima, fratelli miei, con molta pazienza; e: ove
potete meravigliarvi ancora non poco della mia equit e
modestia, mai con ninno di m i , e meno con al t ri , a tanto
nostro tedio me turbai: solo mi .parca bastasse dirvi non
voglio mogl i e; n mi curri allegarvi queste ragi oni , te
quali ora v'addussi perch vedea pronte le vostre risposte:
non vogliamo sia tu in miglior sorte che noi. E insieme
a me parea non comodo eh' io dicessi a t e , cosa, qual tu
parte fuggivi sapere, e parte meglio di me sapevi. E a t e ,
uomo vigilantissimo, A erino, e diligentissimo, non, arbitra-
v a (a) poterti dire cosa, la quale tu non bene sapessi: e qua!
fu meglio consiglio, padri, il loro 6 il mio? Tu Mizio, per non
aver in casa il tedio e mattanamento (6) d'una femmina,
non ti curasti vedere furi cosa a te molesta ! E tu A erino,
per non l'abbattere fuori, a chi forse parlasse di cose a te
ingrate, soffristi in casa infinite discordie, continua t u-
multo e turbdknzia : ella si dolca degli uomi ni , della for-
tuna, degli D ii; accusava s stessa che pi volesse vedere
questa luce e tanta sua miseria, n meritava con sue doti (e)
(a) Non istimav a ; dal lat. arbitrar. ,
(b) E la continu a noia. Ne' luoghi Intorno ad Urblno lo odii pi volte
la frase dar mattana nel sopraddetto senso* II Voeah. che ha mattana non
ha mattanamenlo.
(e) Doti non qui per omam4nti
r
ma per que* beni mobili o immo-
bili che da la donna ali' nomo, per l'Incarico eh' et sostiene del matrimonio.
208 AVVERTIMENTI
e bellezze essere trattata peggio della cognata, la quale
felice vivea, libera e soluta; s essere peggio che serva a
quale non sia licito non che non favellare e darsi sollazzo
ma n mirare, n ridere, n piangere, n tossire a sua
voglia: queste sono le lodi e i frutti del consiglio vostro.
Del mio consiglio, padri, sono frutti, prima: che per mia
troppa licenzia niuna trascorse, sottomettendosi ciascun d
a nuove congiunzioni (a), n per mia austerit fu mai chi
cercasse con sua volutt e mia infamia vendicarsi, e pascere
delle nostre fortune pi e pi famiglie di persone infami,
quale ella adoperasse in essere con meno pericolo lasciva.
Ma che poss'io credere qui, Aerino, se tu non per sen-
tenzia di questi padri, ma in qualche altro modo occupassi (6)
questi ornamenti, e cosi piacesse agli Dii che tu scontrassi
nostro padre risuscitato, e per onestarti dicessi a te fus-
sino stati aggiudicati, che credi non griderebbe egli ad alta
voce, questa essere cosa iniqua, cosa detestabile? non di-
rebbe egli ? a me la patria diede questi ornamenti, premio
alle mie mirfiche (e) virt; dielli a me, il quale con gravis-
simi pericoli, con molto affanno, con lunghe vigilie, sov-
venni alla salute della patria mia, il quale la vendicai
dal!' impeto de' nemici, il quale conservai ai miei cittadini
la cara e dolce libert, ozio, quiete e tranquillit, e voi
padri gli aggiudicasti a chi turb con suoi sospetti l'ozio
e quiete nostra domestica, e a s stesso impose servile con-
dizione e indegna d'animo libero, nato ad osservare gesti
[d) Ordini, comandi; da coniu ngere del Latini che ha senso ancora di
comandare, ordinare. Congiu nzione i>er ordine, comando non trovasi nel
Vocabolario.
(6) 2" impadronissi di ec. , dal* lat. ob e capio.
(e) MaraeigHose, voce latina.
MA TB1M0NUU 209
e detti d'una inquieta e incostantissima feoHmoetta. Poi si
volgerebbe, credo a te Aerino
f
e direbbe: ohe foudedi tua
virt, che meriti adduci 4, quale primo ed ultimo de'.tuoi
pensieri ponesti in opera inutile t iftdegsis&tma di chi abbi
l'animo erto e virile? S'ella per t e non pecc, se* tu con
custodirla e contenerla facesti il debito tuo, che gloria tft
ne surge degna di tanti ornamenti? Se non ti si convenia
perdere il tempo e te stesso m prestarti quasi pedissequo
e osservatore della incostanzia femminile, non t ' egli ver-
gogna gloriartene? E del vizio suo a hi altri che a lei
ne surge infamia? che adunque ti vendichi questa vana e
falsa gloria? In cose pi degne* direbbe il padre- nostro:
figlioli miei, voglio adoperiate vostro ingegno, industria, vo-
stro studio, vostra opera che improverare, quanto e con ohi
e dove e quanto, rida o cianci una lieve e fallace femmina*
E tu Miiio (udite tdal padre nostro queste parple), con che
fronte ardiresti chiedere questi ornamenti ? noi* adducendo
altre ragioni che solo queste: placai con importuna femmina,
feci ch'ella predicava a me essere uno ottimo marito* non
mi crucciai per sue alcune inezie ! Oh meriti degntssirm !
oh virt maravigliosa ! oh cittadino nato a gloriare , a
onorare la patria nostra,. il quale seppe gratificando a
una femmina, rendersi pregiato marito ! E se tu non ti
crucciasti non era in te giusto sdegno, o in lei non era
v
quanto nell'altre, iniquit e malignit; n ha stomaco a
chi non dispiace una femmina petulca, arrogante, immo-
desta. E s'ella teco fu facile, non fu tua egregia laude n
molto durasti fatica mitigarla e renderla mansueta : cos,
eredo, direbbe nostro padre. Ma io per non vorrei parere
a voi uomini temperati ssi mi troppo immodesto disputatore.
A L BE R TI . T. l . 27,
210 AVVERTIMENTI MATRIMONIALI
Non mi distender adunque kMlando me stesso: tanto (a) non
preterir questo. Se voi approvate il consiglio di qual sr
sia de' due miei fratelli, in me atoora l'approvate, l o n
soffersi dura moglie, n permisi fosse inonesta. Se lodate
la perseveranza, costanza fermezza forse in me solo prima
la loderete. Io con tutte le turme degli uomini ebbi pa-
zienza udirli persuadermi, tramai, sforzarmi toglier moglie,
ove offermato, nulla me da questo ottimo consiglia mi o,
potea muovere: non doti grandissime, non parentele di
nobilissimi e massimi, non bellezza di sposa, non proposte
amplitudini, non espettazione di magistrati, non copia
d'ogni profferta fortuna poteremo strmi dal mio santissimo
e giustissimo i nst i t el o, col quale propulsai da me ogni
dura compagnia in casa ed ogni sinistro rumore fuori
tra le genti .
Qui i padri, i quali sedeano arbitri in questa causa,
prescrissero termine a consigliarsi, e piacque loro quelli
trionfali ornamenti intanto si deponessero presso i s a -
cerdoti della dea Gibele. *'
(a) Vedi pag 203 noia (a)..
INTORNO
A L T O R D O N N A
t.
A VVERTIMENTO.
Di qu esta interessante ed eloqu entissima L ettera, dov e
TAu tore sapientemente discorre di parecchie cose u tili a
sapersi da chi v oglia ammogliarsi, non ci fu fatto di poter
rinv enire se non u n u nico testo a penna, ti qu ale si conserv a
nel Codice 33, CI. IV della Magliab echiana
y
altre v olte da
noi citato^ e gi notato per non troppa bont di lezione. Dal
che potr argomentare il lettore qu ale* e qu anta possa essere
stata la difficolt da noi dov u ta incontrare nella su a pu bbli-
cazione. Con tu tto qu esto per, col soccorso di u na ragione-
v ole critica e ortografia, portiamo speranza di av erla, se non
interamente restitu ita alla su a primitiv a integrit, almeno di
av erla su fficientemente restau rata da qu e' danni che V imperito
o trascu rato ammanu ense in lei ebbe introdotto.
Nel MS. la Lettera ha qu esta intitolazione: Risposta
fatta a un singolare amico, e molti consigli ed esempi dati
all'opera del tor donna LEONIS BAPTISTA t r a s l a t u m ,
21 4
V u ltima delle qu ali parole potrebbe indicare che la L ettera
fosse stata scritta originalmente in latino daWALBERTI e poi
da lu i stesso v oltata in v olgare ; oppu re, che scritta in latino
da altri, fosse da lu i messa in italiano: sebbene l'assieme
dei pensieri e del metodo con cu i stesa, per noi sia bastante
argomento a farci credere che neW u na e nell' altra lingu a
(
:
sri ambedu e di esse fu stesa) sia u scita dalla penna di
Leon Battista.
INTORNO
A L T O R D O N N A
Lettera responsiv a (*).
I l tacere non posso, n a me il parlare recito. Ili odio
mi sono le gru e gli uccelli e ciascuna voce luttuosa.
cci chi dileggia qualunque dice il vero ; tale che meglio '
forse fia il tacere. Vorrei adattarmi al vero, n molto
mi curer compiacere ad altri o dilettare le orecchie
altrui: e veggo molti ghiottoni essere in grazia, perch
compiacciono e dilettano ad altri. E quelli in prima sono
gratissimi che sanno, con sue finzioni e dolci narrazioni, i n-
gannarti. Pur non posso per tacere, n* sapr darti tossico
melato, n saprei conciarti con varie parole: adunque- forse
doverci tacere. Ma poi eh' io conosco ohe in tempi sfaranno
mordaci loro parole e piene di veneno, , panni ; danno
tacere la verit. Se molti saranno persuasori della volont
facondissimi, eloquentissimi
f
e io ragionando della verit
(*) Vedi il precedente Av v ertimento.
216 I N T O R N O
ti sia in fastidio, e' sar egli da non tacere. Tra chi piglia
diletto solo delle altrui parole, gli spiacer udirci, come
cantare un*oca fra i cigni: pur quando che sia, fu l ' oca
utilissima, e non permise la terra di Roma cadere in incen-
dio e rapina ; e se tu sarai prudente, non riprenderai il
mio utile favellarti. Molti desiderano cose che paiono belle,
quali a chi le considera sono mostri e chimere, quali hanno
faccia di leone, ventre di capra e coda di drago; n veggo
si possa tacere. Piacque ad Ulisse la voce della Sirena.
Conobbe ancora i veneni di Circe ; fu la virt in lui, quale
fece evitarlo il pericolo, credo, e tu sperando in Dio. Imi-
tatore d'Ulisse e non d'Empedocle, quale non ben consi-
gliato commise inezia, adirai e approverai le mie parole,
quali mi pare di non tacerle; grande, credo che sia l ' i n -
cendio del tuo amore altrove e della benevolenza verso
di me; ma forse maggiore verso altrui. N vorrei ti vin-
cesse tanto che forse- dorerei tacere; ma con quello animo
faveller con quale sono: tuo giudicare quello ti pare: ama
da riputarmi ami co, e conoscerai che la benevolenza mia
verso di te mi fa parlare. La prima moglie del primo
Adamo, subito dopo la creazione dell' uomo nel suo primo
peccato,, prima ruppe il digiuno, iirabbidiente contro al
sommo Padre e creatore: vizio ereditario a tutte le fem-
mine e mai da poterlo purgare !
E diooti niuna esser pari contumelia, amico mio, a
uno uomo, quanto la moglie inubbidiente. Guarda Davide
nella sacra storia chiamato beato, e di coi si dice, trovai
l'uomo secondo il mio cuore ! Concitato da femmina, dopo
l'adulterio cadde in omicidio ! Come mai pare vengono gli
scandoli sol i , tanto pu la iniquit eoinquinare (a) dovun-
(a) Lordare, bru ttare, voce latina.
A L T O R D O NNA . 2 1 7
que ella entri. Bersabea taciturna e nulla maligna, non
per rest di essere stimolo a perversione e morte del suo
perfetto innocente marito. Chi spregi eloquemia come Baiila
di Sansone e bellezza come Bersabea saranno elle nocive
credimi: in te non sar cuore pi virile che allora fusse
in Davide. E Salomone, un sole in. lira gli uomini e tesoro
della delizia di Dio tutto sapienza pure amando ottenebr
tanto lume di sapienza e tanta sua gloria. Per una femmina
inchinossi a Balaal e mutossi in zabulo (a) per cadere mag-
gior precipizio che Fetonte. Quale (b) era Apolline divent
pastore. D icoti, amico se non sarai pi savio che Saio-
mone eh' esso non potrai non sar che non puossi essere
fascinato (e) da una femmina. Apri gli occhi : quello che pi
raro si trova che fenice buona fmmina (d) potrai non
amarla senza amaritudine, paura infortunio sollecitudine.
Maligno animale in troppa gran copia datoci dalla natura !
Che si trovi luogo niuno da loro vacuo (e). Se tu l'ami,
elle ti tormentano e godono per tenere te a s , avere
diviso te da te stesso e da tuo spirito.
Solo in tanto numero Lucrezia e Penelope forse fu-
rono pudiche: ora Penelope Lucrezia e se alcuna fu tanta (/")
(a) Inchinossi a Balaal falso Idolo, clo apostat, e si mut In tabu lo,
vale a dire in tristissimo. Zabu lo propriamente vorrebbe dir diav olo.
(b) Qu ale, ha qui significato di colu i che.
(e) fascinare per affascinare non trovo nei Vocab. che per ha fa-
scino e fascinagiane. Fascinare e affascinare, secondo la stollda super-
stizione degli antichi, significava ammaliare col gu ardo, con toccamente,
o con false lodi; qui in senso figurato.
(d) Non spiacela alle donne, se qui mi sfugge dalla penna un Av -
v ertasi.
(e) Che si trov i u n momento di bene con esse, gH v ano.
{() Fu simile.
A L BE R TI , T. l . 28
218 I N T O R N O
sa'bene non si trovano; e troverai s la Mirra, Cilene e
quante vorrai turba esercitata in tutti i viri qual sanno.
I nflettagli tenere i suoi suggetti in profonda miseria.
Giove r e , detto poi I ddio, con quanta avesse amplitudine
e dignit, seguente E uropa, renduto in costumi bestiali e
feroci (a). Fu grande Giove, e t u, credo, non per maggiore
sarai di lui. E Febo simile in terra con sua virt al sole,
pazzo am Lauootoe con infamia a s , e morte a lei. E
Marte foltissimo e ornatissimo d'infiniti trionfi, perduto
in amore con V enere, fu legato da Vulcano con cat ene,
quale esso non vedea, ma certo le sentiva, e beffato da
tutti gli Dei Satiri.
Adunque amico fingi a te Leucotoe e fingi le catone
quale forse in parte senti, e in tempo sono da rompere;e
cosi ftiggi innanzi che tu sia simile fatto a V ulcano, non
dico zoppo, ma al tutto sciancato e debole. Oh potere fuggire
a libert! Palla perch non permise dilettare, ma giovare,
non fu accettata da quel falso giudice degl'Iddii (b). Ma t u,
che (e) giudizio fia il tuo? Panni vedere qui ti faccia quello
che tu leggi n molto gustare la sentenzia, ma piuttosto aspet-
tare qualche motto e dilicato detto : non aspettarlo (d) in
(a) Nota la soppressione del verbo che sarebbe fu, come rende ener-
gica la dizione.
(6) Allude al glndtslo di Paride. Vedi hr Fa?ol. Folto perch non
fa giusto nella sentenza, preferendo V enere, onta la sensuale bellezza, a
Pallade dea delle arti e della pace, quando per ordine di Giova ebbe da
aggiudicare II noto pomo aureo gettato dalla Discordia stilla mensa degli
Del nelle nozze df Tetl e di Petoo.
(e) Che talvolta particela significativi di qualit siccome qol. Avvertilo.
(d) Questo periodo nel MS. si legge precisamente cosi. Seguito
anche la stessa ortografia del codice per dare, giacch l'occasione mi si
porge propizia, anche un' Idea della difficolta che abbiamo dovuto incon-
trare eziandio da questo lato nell' ordinare la lezione di questa Lettera.
A L TO R D NNA 219
questa lettera. Conviene i rivoli sieno non dissimile al fonte
s uo, e chiari o torbi, cos mie parole simile escono dal
core. Per questo conoscendo me stesso forse non volea
dissuaderti : ma non potendo tacere, parlai.
E se in me fusse tanta eloquenzia quanto volont , in
questa materia ti parrebbe avere utile autore (a). Ma poi che
ancora il tuo animo in parte libero, e a me per nostra
amicizia devi non poco, pregoti me n'oda con pazienzia ed
esplicherotti cose utilissime. E' non mi volere cosi esquinto
oratore, quanto, confesso duolmi, non sono. Bastiti il vero
udire da me e piacciati la mia buona volont. Giulio C e-
sare prncipe di tutte le cose, cadde perch poco a tempo
fa sollecito conoscere quello gli scrveva il suo amic. Tu
wro (b) me udirai, e consi gl i ent i , e di te stesso arai cura
e buono provvedimento. A molti non giova esser facile e
trattabile, ove gli convenga sofferire. A cui sarebbe utilissimo
prima aversi lasciato consigliare che necessit il premesse ;
a chi inconsiderato e ruinoso corresse nelle mani e nelle
insidie de* ladroni, che farebbe chi lodasse, amandolo sua
sfrenata audacia o durezza di fronte, credo a te gradir
e piaeeratti avere udito. N sar in te tanta contumacia
Maltu . che giu dicio fla il tu o parmi v edere qu i ti fascia (o fasHa che cosi
ancora per avventura para potrebbe dire) qu ello chettu ggiL ne moUto.
Qhu stare la sentenzia ma pi. tosto aspettare qu alche motto e delicato detto
non aspettarUo. Ma fascia non dandomi alcuna ragionevole lezione, e
peggio po\ [astia, credei ben fallo dovere leggere faccia da cai n'esclva
bastante buon senso. Questa la nostra opinione ; la quale se ad alcuno
non quadrasse, non vuoisi a lui precludere la via di sostituire quar altra
spiegazione pi gli piacesse.
(a) Utile recitatore. Au tore v er recitatore al modo de
1
Latini, manca
al Vocabolario.
Veramente. Vero coire larga come qui, voce del tulio latina.
220 I N T O R N O
ohe non degni la fede, la fede sollecitudine di chi te ama
e te vorrebbe essere felice. Gli altri errori giovano a ren-
derne dotti ne' non vostri pericoli, e pi se senza danno.
Meglio correggere coli' altrui percolo che col vostro : la
nostra negligenza sempre nuoce (a).
Foraneo re, autore di molte e santissime leggi, disse a
Leonzio suo fratello : A essere felice a me nulla manche-
rebbe se ma) avessi avuto moglie . Risposeli Leonzio : Che
nuoce avere avuto moglie ? Rispose Foraneo: e Qualunque
sia marito il sa, perch tutti il provano. Adunque, non sarai
quello uno a chi perdiletti (b) essere marito . Valenzio (e)
imperatore in et d'anni ottanta, vergine, mentre che molti
trionfi e lode si promulgano, una sola mia, disse, reputo
gloria esser maggiore, che qualunque sia di queste: e do-
mandato, rispose: questa essere che aveva vinto, la carne
e sue inimicissime cupidit. Vuoisi come costui non pat-
tuirsi a famigliarit, ma ostare a tanta peste per vivere
felice e morire glorioso. Cicerone repudiato ch'egli ebbe
Terenzia sua moglie, non poteva i o , di sse, alla moglie e
alla filosofia insieme darmi. Fia tua prudenzia adunque,
non a me tanto, ma a Cicerone principe d'eloquenzia in dare
orecchie. Ennio poeta, ripreso ch'egli amasse numero
molte femmine, dicea piacergli avere qualche notte lieta e
potere nella gravezza de' pensieri alquanto respirare; peroc-
ch vivere in perpetue tenebre era simile a giacere in
inferno : cos godere la natura ne' tempi e nell' altr$* cose
(a) Notabili parole !
() Lo stesso che diletti, se non che la preposizione per v'aggiunge
una maggior compiacenza nel diletto medesimo.
(e) Forse M. Valerio Corvino, che fa imperatore, cio condottiero
d'eserciti e visse una lunghissima vita, mentre aggiunse al 100 anni e fu
anche virtuosissimo.
A L TO R D O NNA 221
con sua variet : non per lodo chi fa pari leghi (a) con
molti fili, u ohi con una tortissima catena. A te piacer
pi la vita libera che qual sia ottima scusa ; ma pure cos
credo che meno nuocono molte piaghe piccole che una
assidua e mortale. Paccuvio si doleva con uno Ario suo
vicino: tengo nell'orto mio un albero infelicissimo, al
quale tre mie mogli s'impiccarono. Rispose A rio: non mi
maraviglio della furia loro; ma non so donde in te tanta
fosse o stoltizia o inezia : vorrei potessino piantare nell'orto
mio di quegli santissimi rami 1 Sulpizio rispose a chi lo
domandava perch cagione avesse fatto divorzio dalla
moglie: Questo mio calzare vedete quanto sta bene ed
bel l o, pure mi strnge ed io so dove. A mediti dol e,
ma tacciono, non potendo deporto. Prudente Catone disse :
sarebbe la vita nostra pare agli Iddii se fusse dataci sola
senza femmina. Vuoisi credere a chi prudente per prova
tutto conobbe. Piacciono i diletti di Cupido, ma sono
mai senza infiniti dispiaceri. Metello rispose a Mario :
non volere la figliuola ricca, formosa, nobile e felice mo-
gl i e, e perch piuttosto volea essere suo che d'altrui. A
cui Mario ridisse: anzi essa sar tua. E Metello : anzi con-
viene che l'uomo sia della moglie; ma cos s'afferma, che
T uomo conviene che sia dell' altro. Prudente adunque chi
questo conobbe e a s provvide 1 Ma se pur bisogna prima
considerare che non t ' utile, poi vorrassi seguire l'amore,
non il censo, la venust, non le veste, i costumi e
non le ricchezze. Al tutto fa' che la donna si mariti, non
tu a li.
(a) Leghi per legami, v incoli; da legare, come priego e niego, da pre-
gare e negare. Manca al V ocabolario.
222 I N T O R N O
Laide Cornzia (a) sopra all'altre bella, solo ricettava
principi e reali. E volle costei darsi a Demostentf oratore, e
in premio domandava gran peso d'oro (b). Risposegli D emo-
stene : non imparai comprare tanto un pentenni (e): e pru-
dente chi saperi fuggendo pi che pentendosi, conoscerle
e schifarle t Lucia odiava il marito e ucciselo: Livia perch
troppo Famava
f
ancora uccise il suo: quella con veneno,
questa con furore ; e contrarie furono queste in volont e
fraude, pure furono femmine con vrie e diverse fallacie.
In uno solo vizio comunicano i loro anfani, che sono ini-
quissime, e sempre sono maligne e malefiche. E vedesi
esemplo di loro di e amando e odiando, sempre sono audaci
e bestiali; sempre parate a nuocere nuocono; volendo
giovare, non raro ancora nuocono.
E Deianira si vendic, e quello era preparato a fe-
stivit e letizia condusse a lagrime ; e chi dovea vestirsi la
camicia, spogli sua vita (d). Precipitata femmina e senza
(a) Di Corinto. * '
(6) Fu Laide una famosa cortigiana dell'antichit, e narrasi che De-
mostene andasse nascosamente a Corfnto per avere un suo favore ; ma
che essa avendogli chiesto 10,000 dramme, intorno a 680 monete toscane,
egJi dicesse quello che riferisce l'Autore.
(e) Pentire e penlere, ma la seconda maniera oggi antiquata.
(tf) Deianira figlia d* Ocneo re d* E lolla fa amata da Nesso Centauro,
il quale prov rapfrla ; ma rcole suo marito trasse al tristo un' avvele-
nata saetta ed egli ehbe a morire. Stando per io sefaurato per spirare,
onde vendicarsi del suo uccisore, don alla donna la sua camicia tinta del
proprio sangue, assicurandola essere in quella veste una virt, che qual
uomo la mettesse non avrebbe potuto pi andar preso da amore d'altra
femmina, e la credula Deianira ricevette II dono. Poco appresso rcole
s'innamor di Jol e, e Deianira mand pronta ad rcole l'avvelenata
camicia, la quale Indossatasi da rcole, questi ebbe a venirne in tanto
furore da gittarsi nel fuoco, e Deianira per disperazione si uccise. Cosi la
Favola.
A L TO R QO NNA 223
niuna sanit (a), sempre reputa da seguire non quello che
l'onest e la ragione, ma quello che l'appetito persuade ; e
come gode piacere a tutti cosi ostinata preferisce quello che
a s piace. rcole con sua fatica vittorioso, poi ch'ebbe
superato terribilissimi mostri, solo da uno inumanissimo fe
vinto : cosi in deplorando il suo caso (oh da essere deplo-
rato I ) fin; e questo da una femmina. Aveva costui
nuto il cielo con sue spalle, n per valse sostenere
stesso in dispregiare una vile* femmina : fallaci femmine I
che in sue risposte sempre sono ambigue; e negandoti
sempre inframmettono parole che paiono prometterti; e bene
che paiono negare, niuna mai niega. Contro alla copia
dell' oro non valse la torre d'A erisi, se bene interpre-
tiamo, e Danae (6) per questo perdette sua pudicizia. Per
insino dal cielo vengono i corruttori della pudicizia ! N uno
solo vento commuove la quercia. Clizia (e), vergine in grande
sua et e famosa, oppressa da Apolline, portato ha Piato-
ne (d). Sicura forse fu costei vegghiando, non fu dormendo ! N
ti maravigliare se come Tape, dell'ortica o altronde pigliano
il mele; cos io da queste favole deduco buoni esempli, e
argomento. Ma molti increduli fuggono gli onesti esempli
(a) Sanit propriamente qu ello stalo del corpo in cu i ogni su o u fficio
pu farsi felicemente, ma qui In senso figurato, come osato da' Latini
per significare II buono stato della ment e. Senza niu na sanit Intendasi
dunque come s e dicesse insana.
(b) Danae era figlia d'Acrislo re d'Argo : fu da suo padre per custo-
dire la sua pudicizia, rinchiusa In una torre di bronzo ; ma G i o v e , di lei
I nnamoratosi, si converti In pioggia d'oro e cosi trov modo di entrare
In quella ed incinse la v e r g i ne , la quale partor un figlio che si chiam
P erseo che poi uccise A crislo. Cosi la Favola.
(e) Clizia figliuola dell'O ceano o di Tetl fu amata da A pollo.
(<f) merito ha Piatone.
224 INTORNO L TOR DONNA
quali sono da notarli, non tanto dal lione e dallo eleonfante
tratti, quanto da uno vile vermine, e massime quando il
sentiamo in noi possino fare frutto. Non sola la fede e la
religione, quanto ancora averci dissimili ne'costumi a'bruti
animali, rende noi civili e pregiati. Piacenti soprattutto che tu
abbi l'animo bene culto ed ornato; ma n ancora mi pare
non dovuto te porga civile. N cosa tanto desidero in t e ,
quanto vederti giunto non a Venere, ma a Pallade congiunto
e segregato da ogni consorzi femminile, e tutto dato allo
studio e investigazione delle cose occulte e preziose: e per
questo ti scrissi un poco forse acerbo pi che non ne
aspettavi. Ma non reputare crudele quel medico la cui
opera ti sani ; n ti si conviene impigrire in quella comin-
ciata tua vi a, quale, bene che sia certa e laboriosa, ti con-
duca in suprema cognizione di cose ottime in buona felicit.
S 0 F R 0 N A
D IALO G O
OVE SI RAGIONA D ELLA D I FE SA D E L L E D ONNE
AVVERTIMENTO.
Qu esto v ago, ad u n tempo cu rioso e finqu inedito
scritte rello a Dialogo del nostro LEON BATTISTA, u no al certo
de' su oi pi giov anili lav ori (perch, come sappiamo, essendo
di tren? anni div enu to egli sacerdote, dopo essere stato as-
su nto a s rispettabile grado, non av rebbe sicu ramente osato
di riv olgere il casto pensiero a simili cose), fu da noi
fedelissimamente secondo il solito, tratto dall'u nico, ma egre-
gio testo a penna che di esso per noi si conosca, e che con-
serv asi nel Codice Magliabechiano, palchetto IV, N. 38.
Ma a chi il bizzarro ingegno di LEONE ne lo mandasse, non
av endolo potu to con certezza chiarire, senza far altre parole
ci restringeremo a dire, che desso non fu sicu rissimamente
fatto per nessu no di casa Alberti, non potendosi certamente
a lei riferire in nessu n modo il cardinale di che nell'operetta
si ragiona. Motiv o poi dav a al medesimo u na lu nga Let-
tera italiana dello stesso Au tore intitolata de Amore, e scritta
228
a Paolo Codagnello giu reconsu lto bolognese, ov e molto sca-
gliandosi egli contro le donne, con qu esto Dialogo v olev a forse
cercare di ricomperarsi seco loro V onore. Se non che ci
pare ancora che sotto mele segu iti a dar loro bastante v eleno,
col mettere in chiaro sotto aspetto di lode le loro pi squ i-
site malizie e la loro mirabile finzione. La detta Lettera
a Paolo, v err pu re a su o tempo da noi pu bblicata.
SOFRONA
D IALO G O
O V E SI RAGIONA DELLA D I FE SA D E L L E DONNE
Interlocu tori.
SOFRONA ,
BA TTI STA .
(QUANTI fra noi siano in pi modi necessit ad amicizia
ed ottimi legami di benevolenzia, sarebbe lungo recitarli. N
a questo, di che i o intendo scriverti, sarebbe molto adattato
raccontar qui l'amore (a) sempre a me e a tutti i miei mostr
in vita L. (6) con te tuo z i o , cardinale religiosissimo ed uomo
per costumi, nobilt, vi rt , e per perizia di perfettissime
arti fra tutti i sacerdoti certo, (suo merito) avuto per primo
e prestantissimo. Quale autore e tutore (e) d'ogni mia dignit
(a) Un che quivi poslo chiarirebbe forse pi la lezione. Ma gi no-
tammo altrove In questo stesso volarne, che L eon Battista elidesse molto
spesso questa partlcella.
(b) Chi questa lettera significasse, iniziale certamente del nome cui
fu mandato il D ialogo , non potemmo scoprire.
(e) Tu tore propriamente quegH che ha In cura il pupillo , ma qui
con maniera non avvertita dal Vocabolario preso assolutamente per
difensore o protettore.
230 S O F R O N A
ed autorit, quando per molti verissimi indizi conosci me
e te essere non mediocre n volgare amico, debbi stimare
io non men che tu desidero (ove cos dai fati a noi fosse
permesso) vederlo in vita studioso di premiare le virt e
meriti tuoi. E voglio non dubiti, me d'ogni tuo incomodo
e sinistro caso sentirne come amico, in ogni parte, dolore.
Ma poich dai prudenti antichi scrittori me sentiva ammo-
nito essere nostro debito, quanto in noi sia (a) , ossistere e pro-
pulsare da noi ogni tristezza e mala cura d'animo, presi per
sollazzo a questa nostra comune calamit scriverti quanlo
a questi d Sofrona, quella matrona dopo le nozze del me-
dico maritata a quel iurisconsulto, e poi terzo (6) , moglie
di quel famoso procuratore, onde test rimasa vedova, molto
si consiglia con quel giovane teologo in chiesa, qual tu
s a i , fra pi donne meco a questi d ebbe ragionamenti
degni di memoria, giocosi ed atti a sollevarti l'animo da
ogni gravezza e miseria. Disse adunque Sofrona con voce
altera e fronte aspra, e con gli occhi, uhi !... (e) turbati:
E tu Battista, che stoltizia fu la tua scrivere a Paolo
iurisconsulto lettere (d), s vituperando noialtre femmine?
Indegno della grazia quale sempre avesti presso di tutte
le fanciulle!... E eh' nostra colpa se tu non sai soffrire un
cruccio di chi t ' a ma , dove tu scrivi non sa soffrire chi
non sa amare? Aspetta (e me guida e capo) averci tutte
tue capitali mimiche .
(a) Per qu anto in nou t
(b) Per la terza v olta. Terzo qui in modo avverbiale, ma l'unico
esempio che per noi si conosca.
(e) I nteriezione viva e famigliare nel comune parlare, e che dinota
una forte meraviglia ; ma i vocabolaristi non la registrarono.
(d) Allude alla Lettera de Amore di che si disse nel premesso Av -
v ertimenlo.
D I A L O G O 231
Simili parole e gesti (a) , tutte le altre ivi presenti
donne, mi porsero animosissime. I o , qual tu s ai , sono
di natura vergognosa, e soprattutti rattenuta e guardingo,
dubitai alquanto se altra cagion cosi l'ammovesse (6) , e se
altro odio le incendesse a tanto s severo minacciarmi;
poi meco mi dolsi del nostro Paolo, che in questo avesse
non ubbiditomi, quanto io in quelle mie medesime lettere'1
pregai l'ardesse, solo per non dare occasione altrui, sti-
masse me a cos scriverli da cagione alcuna mosso, che solo
per vendicarlo in libert da queir amatoria sua servit, in
quale, misero giacea ; ma ultimo che io mi raccolsi, tutto
rimesso, dissi:
Sofrona, n tu prudentissima credo me reputi stolto;
n queste donne nobilissime, stimano in me non essere
qualche virt e cagione, per quale io meriti essere non in
disgrazia a chi io mai offesi e sempre onorai : onde sino
a qui mi glorio, mai ad alcuna amata mia fui poco accetto.
N se io forse in quelle lettere a Paolo biasimai costume
alcuno in femmine stimava biasimar t e, o chi sia altra di
queste, a cui, senza cagion, mi duole mostriate me esservi
ad odio: e quando sar che forse tu sia direttore e guida,
Sofrona, di costoro, pur stimo e da te aranno ottimi esem-
pli e precetti giustissimi a essere non crudeli, inique e ris-
sose. E tu da loro, credo, arai non altro aiuto a beneficare
chi ami con fede e con prudenza, nel numero de' quali mi
persuade ascrverete me, quale di voi qualcuna prov quan-
to in me sia costanzia, modestia, riguardo ed incredibile
(a) E alii.
(&) Ammov esse, lo stesso che commwesse, eccitasse. Il V ocab. cita
il deri vato, ma non il verbo.
233 S O F R O N A
taciturnit: e pregovi donne pietosissime vogliate nulla su di
me statuire senza prima giudicare ogni merito mio; qual cosa
se farete, non dubito affermerete me degno d'essere amato *.
SOFRONA. E che meriti sono i tuoi ? E chi (a) te non
perseguisse odiandoti e biasimandoti? Ingrato fastidio di
questi letterati t... Ciascuno vuole essere eontro le femmine
satiro (b), come in voi uomini fosse nulla degno di vitupera-
zione!... Tutti volete mostrarvi eloquenti ed eruditi in dir
male di noi oziose e illitterate, e poi, per sciocca faueiultetta
che sia, tutto il di vediamo si fa adorare da questi poeti ed
oratori grandissimi: e t u, fra loro il primo, so che amasti:
ben sentiamo delle trame tue (e) e bene intendiamo tue eglo-
ghe! (d) s i , amasti una trecca tignosa.
BATTISTA. Non a te mai, Sofrona, negher per ogni
altra virt, e per questa in prima, voi da me meritare lode,
che sapete farvi amare : e se io amai in trecca costumi
e modi nobilissimi e degni d' imperio, chi a ragione
me ne biasimer ? E se io fui men superbo in degnare una
s) vi l e, chi creder a chi forse persuadesse me non molto
degnare e reverire te e quest'altre tutte nobilissime e leg-
giadrissime? Madonna, Dio proibisca da me tanto infortunio,
ch'io poco pregi l'autorit e maest vostra! Ma forse
a questo proposito sarebbe chi rispondesse : se noi amiamo,
(a) Dopo il chi sottintendi sarebbe che, s e vuoi che 11 senso ti corra
pi facile e chiaro.
(b) Cio satirico. D A NTE nel IV delT Inferno :
L'altro Orazlo salir*
(e) l tu oi occu lti maneggi : le lu e occu lte tresche.
(d) L'A. qui si riferisce al l e egloghe amatorie composte da lai e men-
zionate ancora nel nostro Discorso e nella Vita dell'Anonimo, c he per noi
si riterrebbe essere assolutamente dell'A lberti stesso. Vedi anche Ap-
pendice, N. I V .
D I A L O G O 233
vostra virt ci sforza ad amarvi; altri forse direbbe tro-
varsi mai chi sia savio dalla cintola in gi, n stare al-
trove '1 gran sentimento che solo in mezzo ivi del cervello.
SOFRONA. E mai!... Se voi uomini quali vi usurpate
tante lodi e tanta virt, tanta costanzia, i quali trascorso
tutto il mondo toniate a casa con assai astuzia non me-
no che con guadagno, pure in questo ancora tanto errate,
che miracolo, se a noi femmine quali voi dite essere v o -
lubili, non viviamo in perpetua sterilit? Ma in noi fiorisca
questa prudenzia, che sappiamo a nostra volont rtrarci
e dimenticar l'impresa: voi sempre perseverate miseri!....
BATTISTA. Di questa tua sentenzia voglio sti mi ,
sono ed io ; n mai mi parse cosa non ragionevole se una
femmina amasse. In ogni storia mai mi rammento fatta
menzione di femmina, quale non, quando che sia, in s
soffrisse incendi amatorii. Ma forse questi altri giovani
si maravigliano che cagion sia, che seguite da belli, pru-
denti , modesti, nobili giovani, voi donne pi tosto vi
diate, quanto e' dicono, a uno v i l e , e di loro fiamma
nulla vi curate (a).
SOFRONA. Parti !... Cosa si bene vogliamo, sia chi goda
de' nostri doni (6) , non della sua vittoria con noi. Voi ne
venite pomposi, parvi meritare da tutte essere richiesti, non
da noi come dono, ma come dovuto aspettate ogni nostra
cortesia, e gloriatevi, quasi vostra virt pi che nostra
beneficenzia, essere contenti (e) per liberalit nostra.
(a) Che femmina al pegglor sempre s'appiglia,
disse ancora un poeta verseggiando l'antichissimo proverbio.
(6) Cio : qu ello che da noi ben si v u ole H , che siav i chi goda, ee.
(e) Contentati.
A L BE R TI , T. U 30
234 S O F R O N A
BATTISTA. Lodo la sentenzia t ua, Sofrona, ma non
scorgo assai (a), che ragion v' induca ad allettare molti c hi e -
di tori, se non vi grada pattuirvi (6) a loro ; e se v ' grato
piacere altrui per dispiacerli, non vi lodo.
SOFRONA. Quasi come tu sia s tardo d' i ng e g no,
che tu non conosca bisognarci dimolti t ri s t i , ed el eg-
gere uno forse buono. Ma credi che pi niuno si pu
diletto a noi trovar maggiore, che avere nostro g i uo c o ,
voialtri molto onoratissimi (e), e con cosa a qual mai pen-
sammo, darvi che pensare intere le notti e prestarvi occa-
sione di scrivere simile alle tue elegie (d) e pianti amatorii.
Sciocchi uomini ! sciocchi !... Quanto pi sete astuti, pi ivi
sete i net t i ; volete prevedere, e investigare, e congetturare
nostre parole e gesti , e fra voi non restate d'interpetrare
nostri detti e f at t i , e perdetevi in fatica inutile vana !
P u egli trovarsi simile insania, che quietarsi mai , pen-
sando sempre alla volubilit di una fanciulla ? Eh ! quanto
noi pi mollo prudenti, quali tanto ci ricordiamo di voi
ed appena, quanto in presenzia vi vediamo; e i v i , gente
cieca! vi dileggiamo (e). Che se cosi fosse a noi licito non
(a) Ben non v eggo.
(b) Pattu irsi col terzo caso per significare dar s con patti ad u n
altro: avvert i l o.
{e) Nota come s in Italiano che In latino f superlativi non si pren-
dano con tanto rigore, da non poterli preporre, o per dir megl i o, da non
poterli accompagnare ancora con un accrescitivo. CICERONE ha mu lto ju -
cu ndissimu s; e nelle Novelle A ntiche alla XL I H / Vide l'ombra sua
molto bellissima ; e tal maniera che In buona scrittura e da' culti par-
latori oggi forse non s ' us e r e bbe , fu da noi pi d'una volta senti ta nella
bocca delle genti popolane del contado d'Urblno.
(d) Forse intende deWAgilella e della Mirzia, due el egi e di L . Bat-
tista che tuttavia ci rimangono.
{e) CHE LEZIONE, UO MI NI !!!
D I A L O G O 235
starci sedendo solitrie in casa in ombra, ina crescere fuori
in mezzo V uso e conversazion delle persone, che credi ?
Oh Iddio ! qual sarebbe e quanta la prudenza nostra mara~
ti gl i osa e incredibile ! quanto sarebbe ogni nostro consi-
glio simile all'oracolo d'A polline, poich cos inesperte
vi soprastiamo: e ben comprendo, perch cos conoscete,
sarebbe, per inducesti questa consuetudine di recluderci in
fra i pareti solitari. E con tutto c i , vedi pur se in noi
sia nulla di sentimento ! che siamo tutte maestre a nostra
posta mostrarci corrucciate, dove ben nulla a voi pen-
siamo, solo per darvi dolore!... e voi, semplicetti... a nostra
posta ritornate in letizia con noi I E che prudenza stimi tu
sia la nostra, quando cos vedi nostra industria, che nostri
mariti amino chi noi Togliamo, e persegui no odiando chi
noi deliberamo ingiuriarlo? e presente tutti i nostri (tanta
astuzia in noi) , che persino assiduo sappiamo tenere in casa,
chi disponemmo averlo per quasi continuo altro a noi
marito? (a).
BATTISTA. Che in voi sia maravigliosa astuzia a
qualunque preponete cosa, mai dubitai ; ed ancor vi ve chi
me cos essere ne fece certo. Ma, non mi persuadeva, tanto
durare in donna, virile ani mo, che non dubitando darsi ai
suoi molesta, stesse ostinata perseguendo i suoi diletti; dove
a simili imprese, pure oltre al riguardo grandissimo, si
debba tempo e lunga fermezza ; e cosa niuna tanto si tiene
occulta, quale il tempo non iscopra.
SOFRONA. Oh inetto letterato I Se sapemo, quanto
certo sappiamo, essere signore de' nostri mariti, stimi tu
aremo altro da pensare, a l t r o , che di comandarli? Eh
(a ) QUESTA, SE HA I , * LA GIUNTA !
236 ' SOFRONA, DIALOGO
levati queir opinione dell'animo, che tu credane* nostri
incetti non essere molto ostinata fermezza. Ben so io che
tu conosci chi, uno intero inverno simulando, dur co-
stante , e mostr al tutto fuggire quello eh' ella appetiva,
per potere a primavera fiorire e fruttare le voglie sue.
Cos credi noi tutte, volendo, sappiamo : e basti questa della
prudenza e costanza nostra. Potrei dirti de' costumi nostri,
della bellezza e de' nostri abiti quali tu vituperi in quella tua
epistola, se io non vedessi con opera li lodi (a) ; che quando
e tu e gli altri intoppate in qualche ornata fanciulla vi fer-
mate, e veggovi diventati statue balocche, e che qui qual
di voi co' nostri ornamenti vestito, non paresse un mostro,
dove noi a voi sempre paremo dee I Ma che fo io ? tra-
duco io me in altro ragionamento. Lodando n o i , rest' io
biasimar te.
Qui io sorrisi, e parsemi luogo a dedurmi (6) da Sofrona,
e da quelle seco radunate donne, e dissi di dar opera, che
elle intenderebbero questi loro ragionamenti averli giovato,
intanto eh
1
i o , quando che sia lodandolo, accuserei me
avere errato, se mai non molto le ornai (e) quanto le me-
ritano : partimi.
(a) Lodo Invece di lode trovasi usato dagli antichi ; ma parola da
lasciarla loro senza Invidia. DANTE nel III dell* Inferno :
questo misero modo
Tengon l'anime triste di coloro,
Che visser sanza Infamia e sanza lodo.
(b) Da tormi, da levarmi; In senso traslato: modo per latino.
(e) Onorai: come I Latini che figuratamente dicono ornare per how-
rare ; se non che la lingua parlata non adott questo latinismo, che non
trovai neanche usato in nessun altro n antico n moderno scrittore.
TAVOLA A NA L I TI CA
DILLE
MA TE R I E CO NTE NUTE IN QUSTO TOMO
DEDICATORIA
DISCORSO dell'E ditore sulla Vita e sullo Opere di Leon Battista
Alberti vm
L . B. Alberti principe de* prosatori italiani del XV seco-
l o , vm. Lode datagli dal P oliziano, xi . Nasce In Venezia dove
I suoi erano es ul i , iv i. Educazione de' primi anni di l ui , u n . P el.
troppo studio ammala, ivi. DI v e n t a n n i scrive II Filodomo,
commedia I alina, e curiose vicende di questo componimento, xvi.
Ritornato In patria propone un pubblico certame A pollineo, pri-
mo modello de' pubblici concorsi, xvn. Chi fossero i campioni di
questa Uzza letteraria , xv m. L. Battista va a Roma e vi scrive il
Monto, xx. Idea di quest'O pera, ioi. Scrive cento Apologhi, xxi .
Compone un iibro intitolato Piacev olezze Matematiche, dove si
contengono trovali notabilissimi fatti da l ui , XXII. Idea non giusta
del Gaye di quest'O pera, xxiv. Altro suo libro filosoflco intito-
lato Teogenio, e ancora, di Repu bblica, di Vita civ ile, Ru sticana e
di Fortu na, xxv. A ltr'opera sulla Comodit e incomodit delle
Lettere, xvi. Suo libro sulla Tranqu illit dell'Animo, xxvu. Com-
pone la gran d'Opera delta Famiglia, compiuta In IV l i bri , xxx.
II I I I .
0
de' detti IV libri estratto da Incognito dall'Opera intera, e
attribuito quindi al Pandolflni col titolo di Trattalo del Gov erno
della Famiglia, restituito ora per la prima volta all'A lberti, cui
innegabilmente appartiene, e prove che ci confermano, xxxi.
Cose volgari dell'Alberti paesano per di Coshno Bartoii, xxxm.
1 tre primi libri della suddetta Opera sono dall'Alberti com-
posti in Roma nel breve spazio di 00 giorni, xxi v w. Ragioni
che militano per potersi ritenere le Concioni di Stefano Porcarl
80*
238 TAVOLA ANALITICA
per cosa dell'A lberti, I L I . L'Alberti scrive Intorno alla Statua- p
a j
.
r i a , XL U. Suoi trovali in quest ' art e, iv i. Scrive due Opere a n -
cora sulla P ittura, L. Sua Opera Immortale sull'Archi lettura, L I ;
sua breve anal i s i , u i . L'Alberti tenuto dallo Scamozzi per
un nitro Brunel l esco, LVI. Coro e tribuna della Nunzlata di F i -
renze, opera di Leon Battista , iv i. Restaura e In parte abbel-
lisce la facciala di Santa Maria Novella pur di Fi r e n z e , L Y. I l
palazzo Rucellai nella Vigna fabbricato su disegno di Leon Bal-
lista , iv i. Cos la cappella di S. Paner zio In Fi r e n z e , e altro
opere architettoniche sono di l ui , iv i, l i famoso lempio di San-
t'Andre; di Mantova pur cosa dell'A lberti, LVII. Niccolo V
voleva far fare dall'Alberti una sunluosa Basilica a San P ietro ;
ma la morte del magnanimo pontefice fa che il gran progetto
rimanga I nesegui to, iv i. S. Francesco di R i mi ni , immortale
opera architettonica, del l ' A l beri !, iv i. Sua l eder ove si ra-
giona della cupola che doveva avere questo gran t empi o, n i .
L .Ballista dodo anche in ccclesiaslica erudizione, scrive la Vita
di S. Potilo, LXI. P are eziandio scrivesse ia Vita di Niccola di
Vieti de
%
Medici, L UI . Finalmente, ancor po e l a , scrive elegantissi-
mi v e r s i , iv i. Suo bel sonetto , LXIII. A mbendo di esser trovatore
di quaiche utile cosa, in tutto cui il suo ingegno I ntendesse, anche
nella poesia italiana invent il verso esametro e nenia metro, XLV.
Velo o rete de' di pi nt ori , trovata dall'A lberti, LXVI. La camera
ottica invenzione dell'Alberti e non di G. B. della P orta, LXVII.
In idrostatica come immagina di misurare la profondit del
ma r e , LXVIII. Tremenda invenzione bellica del l ' A l berti , v m.
Leon Ballista muore in Roma LXX. E ssendo sacerdote fu pi e-
vano di San Martino a G angalandi, e Canonico delia Me tropo-
lilana di Fi renze, LXXI. Belle qualit morali che pur I* adont a-
vano , LXXII. D escrive s stesso nel Homo, iv i.
NOTIZIE intorno a L . B. A L BE R TI di S. E . il Sig. Consigliere
Con l e Vittorio Fossombroni L XXV II
Sos t eg ni probabi l mente de l l ' A l b e r i !, o c e r t o conosci uti da
lui prima di L eonardo da V n c i , e a l l r e s ue notabili cogni zi oni
in i draul i ca e In fisica, iv i.
A V V E R TE NZA per cui l ' A ut ore del Discorso r i me l l e l ' I n di c e de l l e
O pere del l ' A l beri ! alla fine del l ' ul t i mo v o l u me . . . . i xxxi
DOCUMENTI edi l i ed i nedi l l I llustrativi della V i t a , de l l e O pere e
del l a Fami g l i a di L eon Ba l l i s t a A l bert i LXXXIII
Appendice. I . L e t t e r a del P olizia no a L o r e nz o de ' Me di -
ci , con la qual e g* I ntitola l'edizione dell' O pera] De re Aedifiea-
loria w v
II. Prova mollo giudiziosa del Pozzetti che l'Alberti na-
scesse nel 1404 L MI V I
TAVOLA ANALITICA 239
I H. Vita di L. B. Alberti di Autore anonimo coevo 6crtftta p.
f
in latino e volgarizzata dai D . A . Bonucci LXXXIX
Sospetti che l'Autore anonimo sia io slesso A l berti , iv i.
IV. Lettera di Poggio Brecciolini che prova II FilodosHo
sia opera di L. Battista c n
Lettera dello slesso Leon Battista al marchese Leonello d'E ste
che lo convalida ancor pi , iv i. Commentario Ialino di L. Bal-
lista stesso al suo Filodossio, CXKII. Philodoxioi Fabu la, cxxvn.
Y. Accademia Coronaria. Tema della Vera Amicizia. . . CI.&VII
Ottave di Michele di Noferi del G igante, CLKVII. Capitolo di
M. Fr. d'AllobJanco degli Alberti, CLXXV. Capitolo di M. A ni. degli
A g l i , CLXXX. Capitolo di M. Mariolto D avanzali, CLXXXVH. Capi-
tolo di M. Francesco di Buonannl Malecarni, cxcv. Capitolo di
M. Benedetto di Michele d'A rezzo, ccv. Carme di M. Leonardo
D ati , ccxiv. Canzone di M. Antonio Calderoni, ccxxix. Sonetto
di Lorenzo D amiani, ccxxxm.
ADDIZIONE AI DOCUMENTI cci xxv
I. Lettera di Girolamo Massaini a Roberto P ucci , iv i.
I I . Sull'origine delia Casa A i be r l i , e c . , CCXL. Leltcra del
Cav. N. de'P allantI al Cav. M. Gio. Alberto degli A lberti, CCXLI.
DELLA TRANQILL1TA' DELL'ANIMO.
AVVERTIMENTO dell'E ditore 3
LETTERA di Carlo Alberti a Lorenzo Vettori sulle vicende dell'Ope-
ra e sulla sua materia 5
Comlnclamento dell'O pera. Libro Primo 7
Lode del Duomo di Fi renze, 8. Potenza del canto religioso, 9.
Niccola di Yleri de' Medici cita ad Agnolo Pandolflni, presente
L. Ballista, il I I I . libro della Famiglia, allr'Opera dell'Alberti, i o .
Leon Ballista Alberti suonatore di vari strumenti, 11. Quali cose
rovinino le R epubbliche, iv i. D ue animi n e l l ' u o mo , 13. Co-
stanza con cui voglioosl tollerare le avversi t , 14. V olendo,
lutto si pu, 15. Vincere s stesso superare ogni cos a, 17. Chi
vuole propulsare ogni mal e, pu, iv i. Volont nascere dal con-
s i g l i o , 19. Senza esperienza non volersi giudicare di s , iv i.
Mollo nuoce il persuadersi, il fidarsi e il diffidare di s stessi, iv i.
La morte non debb'essere molesta e perch, 20. Non essere
s facile II tare, quanto il di r e , 21. Solo il sapiente viver li-
bero , 22. Faciiissimo il dire di soffrire, ma difflcliisslmo lo es e-
guire la massima, 23. Chi non sente ie cose umane non esser
uomo, 24. Animo non sano n libero sempre e r r a , 25. Chi si
tiene in esercizio, meglio comporta le c o s e , 28 . Come si schifi
U perturbazione d'animo Incitata per qualunque avversit, 31.
240 TAVOLA ANALITICA
Ragione e societ due gran doni di D i o , 32. Cosa sia servire a p ,
f
D i o , iv i. Molti pericoli, non escluso la morte, essere sempre a
sopraccapo dell' uomo, 33. Quale sia la pat ri a, quale I parenti ,
e quale I consanguinei, 35. Ozio nutritore d'ogni vi zi o, iv i. Molto
pi doversi curare la salute dell' animo che del corpo, 30. Molti
mali derivare dalla gozzoviglia, iv i. I nvestigare gli altrui fatti, cosa
stol ta, iv i. Piuttosto avere a por studio in non ricevere un'aliena
cura che in accettarla, 38 . Mal consigliati essere coloro cbe bra-
mano le magistrature, iv i. Non esser libero chi qualche cosa far
non pu, 39. L'ambizione e ostentazione di sue virt, cagione di
nocumento e turnazione, iv i. Sospettosi, acerbi, iracondi doversi
schi vare, 40; anche i bugiardi, iv i. Siasi tardi In credere, 41 *
Non aversi a credere senza consultazione, iv i. Ogni onesto si fa
pal es e, iv i. In sue faccende volersi essere s e c r e t o , 42 Blandi-
zie e lezi! di femmine fuggansl, iv i. Chi fu sempre fel i ce, non
pu saper che siasi infelicit, 45. Come si converta e muti la
natura catti va, 46. Quando la simulazione buona, 47. Il mo-
derare la lingua spegne l ' i r a , ici. Senza esercizio ed esperienza
non potersi abituare a virt alcuna, 48. Troppa cura del corpo
guasta l'animo, 40. L 'uso ogni gran cosa consegue, iv i. Chi non
impara a soffrire a' tempi di felicit, non sa poi all'oceorrenza
soffrire, 52. A versi a dimenticare le ingiurie, e quanto a ci
sieno utili le l e t t e r e , gli s t udi , gli esempi e la memoria, 53*
Libro secondo 55
Riepilogo di quanto trattossl nel 1. libro, e ci che si dispone a
ira Ita re nel secondo , iv i. E sercizio e sobriet mantenere sana
la vita , 57. Esercizi che faceva l'Autore per corroborarsi in sa-
ni t , iv i. Turbazioni d'animo essere molto maggiori di quelle del
corpo , 59. Chi appetisce cose Impossibili, avere l'animo Infer-
mo , 60 ; cosi chi crede esser felice Invece In mi seri a, 62.
Ogni contento in ogn' istante poter mancare, 63. P enitenza, sia
grata , 65. Leonardo Dati autore di una tragedia Intitolata /em-
sale, 67. Invidia contro i virtuosi detestabile ; poco stimarsi Tun
l'altro, perniciosissimo, iv i. Onde nasca l ' I nvi di a, 68 . Natura
non dare a tutti ogni cosa , t 9. Doversi curare di essere pi che
parer dolio e virtuoso , 71. Vendetta da usarsi contro I maledi-
ci , 72. L 'animo umano non potere avere in s cosa altra che
umana , 73. La pazienza spesso offesa , si converle In furore, 74.
Con tardo consiglio si fanno I fatti pr e s t o , 75. Ogn' Ingiuria
aversi a dimenticare, 76. Non doversi spontaneamente offerire .
a ingiurie ed a dispiaceri, 8 0. Quale maggior vendetta, e qoand
si abbia usare, 8 2. Tempi e consuetudlne quanto sforzino l'animo
deir uomo, 8 3. Come debbasi l'uomo governare nelle avversfl
Inevitabili, 85. La virt non resta mal senza premi o, 87. Inter-
cenali, Opera dell'Autore, diala, iv i. Cose il pi delle volte succ-
dere secondo il voler di chi l e guida, 88.
TAVOLA ANALITICA 241
P ag.
Libro Terzo 89
Bellezza e magnifica costruzione d'un t empi o, 91. Bel detto di
Terenzlo, 93. La pazienza vincere le squadre armate delle Fu-
r i e , 95. Non potersi alcuna volta astenersi dal dol ore, 96.
Quanto sia necessario non essere avventato e subito in ogni
azi one, 98 . Doversi spegnere l ' i r a , 99. Afflizioni dell'animo fare
I nvecchiare, 100. E sser concessa qualche lagrlmelta a testimo-
nio d'umanit, 107. Bella legge de' Licii intorno al pianto, 108.
L'ingiuria essere dell'Ingiuriatore, 112. Fortuna avversa insegnare
ad esser pazienti, 113. Ragione e virilit ncora dell'animo, 114.
Sonno, dimenticalore d'ogni mal e, 118. Canto estinguer le cu-
r e , 121. Giuochl a ricrea mento dell'animo, giovare, 122. Appena
insorge l'ira aversi a contenerla prima che si faccia si grande
da opprimerci, 125. Altri ricordi utili a sapersi, 126. Conclu-
sione deli' O pera, iv i.
Illu strazioni Sloriche 131-159
CENA DI FAMIGLIA.
AVVEBTIMBNTO deli' Editore 163
Branca dell'albero genealogico Albertiano , 164.
Comlnclamento dell'Opera 165
Affabilit e festivi ragionari molto far lieti I conviti, 165. Fami-
glie , come rendonsi pregi ate, 167. Gare delle famiglie quanto
noce voli, 168. Chi non sa d'essere amato da ' s uo i , non pu fare
d'essere amalo l u i , 169. Parole contenziose , quanto s'abbiano
a fuggire, 170. Umani t, facilit e probit , scala a supremo
bene, 171. Buoni costumi, religione e rispetto verso i maggiori,
sicura via ad acquistarsi stima ed amore universale, 173. Bella
e savia legge d'alcuni popoli, 174. Giuoco, fonte d'Infiniti dispia-
c e r i , 176. Sua tremenda pittura, 178. Frodi de'gluocatori, 180.
Conclusione piena di bellissimi ammaestramenti, 82 e seg.
AVVERTIMENTI MATRIMONIALI.
AVVERTIMENTO dell'E ditore 187
LBTTBBA dell'Autore a P iero di Cosimo de' Medici 189
Preambolo dell' Opera 191
Beni ereditati da' maggiori, e lasciati cui devono andare, si resti-
tuiscono, 192. Discorsi e riflessioni di Mizfo, Aerino e Trissofo
su cose pertinenti a compagnia matrimoniale, 194 e seg.
242 TAVOLA ANALITICA
INTORNO AL TOR DONNA.
P ag.
AVVERTIMENTO dell'Editore 213
Cominciamento dell* Opera 215
Moglie inubbidiente, supremo de* mali ad un uomo, 216. Donna
buona pi rara che Fenice, 217. Notevole sentenza dell'aver mo-
glie, 220. Spiritosa risposta data da Ario a Pacuvio, il quale si
doleva seco di avere un albero a cui gli si appiccarono tre mo-
gli, 221. Doversi cercare, da chi si ammoglia, amore, venust
e onesti costumi, non censo, pompose vesti e ricchezze, ivi.
risposta di Demostene a Laide cortigiana, 222. L'oro onnipotente
anche in amore, 223.
I SOFRONA.
M
| AVVERTIMENTO dell'Editore 227
i
Cominciamento dell'Opera 229
Sofrona riprende l'A. di avere scritto male delle donne, 230.
Cortese risposta di lui, 231. Tulli gli uomini dicon male delle
donne e poi corrono lor dietro, 232. Curiosa difesa delle donne
fatta da Sofrona, 233. Conclusione, 235 e seg.
i i
FI NE D E L TOMO PRIMO.
KB. /1 segno *, indica che non in tu tti gli esemplari corse quelV errore.
XI I
XXV I
XXXI
XXXI I I
XXXV I I I
XL I Y
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L V I I I
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GCXXXV
15
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9
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7-10
11
4
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19
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13-14
9
R R O R I .
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* Scripsit elegiai, atqu e Scripsitqu e GONGIONBS
CONCIONES.
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Magnifico) Ato,
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* con le lettere succulcata
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artificiati
stili
quali quali
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adulazioni ;
accompagnata
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terzo;
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* Sceglie quello e
officio giudlclo
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* Lattantlo
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Magnifico 4to ) ,
Melladuslo
nelle lettere sconosciuta
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terzo,
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offizlo giudizio
esser
Opera ;
contumacissima
ente secondo
Lattanzio
permeditato
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causa ; e voi
mostrarsi
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! vince domani quell'altro
E
TUTTE LE OP ERE DI L. B. ALBERTI PUBBLICATE
PER LA PRIMA VOLTA DAL D. A. DON UCCI CON SUE
ILLUSTRAZIONI SONO POSTE SOTTO LA TUTELA
DELLA LEGGE SULLA PROPRIET' LETTERARIA.