Il primo Novecento si distingue in Europa per lesplosione delle Avanguardie nei
principali centri di cultura: Parigi, Monaco, Berlino, Zurigo, Milano, Mosca.
Con il termine Avanguardie, tratto dal linguaggio militare e gi usato nellOttocento con accezione politica per indicare i gruppi alla testa di movimenti rivoluzionari, si intendono i vari fenomeni artistico-letterari, che si manifestano in Europa dallinizio del Novecento alla fine del primo conflitto mondiale. Pi propriamente meglio definirle Avanguardie Storiche, per distinguerle dai movimenti che si diffonderanno dopo la Seconda Guerra Mondiale e che costituiranno le Neoavanguardie. Caratteristiche salienti delle Avanguardie Storiche sono: il rifiuto, da parte degli intellettuali, del ruolo sociale, rifiuto gi manifestato da un certo Decadentismo; la frattura tra mondo della cultura e massa: lintellettuale davanguardia si deve misurare con un pubblico non pi dlite, colto, raffinato e capace di cogliere qualsiasi messaggio espresso dall'autore, bens con un pubblico debolmente acculturato e insensibile alle novit; il rifiuto della mercificazione della letteratura e dellarte, luna destinata a trasformarsi in prodottoeditoriale, laltra ormai entrata nellera della perfetta riproducibilit tecnica di qualunque immagine, mediante la fotografia e il pi recente cinema, in sorprendente e costante espansione; la conseguente crisi di identit di letterati e artisti; il rifiuto dei codici culturali tradizionali e luso di mezzi espressivi nuovi (incomprensibili e talora risibili per il pubblico di massa); la sperimentazione di forme originali e aggressive e lelaborazione di nuove poetiche; luso insistito di Manifesti per esplicitare le loro teorie non tanto al pubblico del tempo, quanto piuttosto alle generazioni future, le sole capaci, forse, di leggere i loro testi e di decifrare il significato dei loro oggetti artistici. Partendo dalla volont delle Avanguardie di presentarsi come creatrici di nuovi codici linguistici, talvolta decisamente alternativi a quanto fino ad allora conosciuto, i Formalisti Russi, che opereranno a partire dagli anni venti, forniscono la chiave di lettura forse pi adeguata del fenomeno, insistendo proprio sulla struttura linguistica (letteraria o artistica) e sulla tecnica compositiva dei testi (letterari o artistici). La lettura sincronica, che potrebbe apparire limitativa, arricchisce invece quella diacronica: capire il testo o lopera di un artista dal suo interno aiuta a stabilire legami con altri testi e con altre opere della stessa epoca fino a raggiungere una prospettiva globale, storica, riconoscendo omologie tra le basi materiali di una determinata societ e la sovrastruttura culturale che tali basi materiali producono e determinano. Le Avanguardie sono spesso correlate tra loro, accomunate da un duro attacco antiborghese e antitradizionale, accomunate dalle sperimentazioni pi ardite sul piano linguistico, stilistico, ideologico, con stretta dipendenza tra i vari livelli, accomunate, infine, dalle tematiche della modernit: negazione di s, morte di Dio, caos, allucinazione, morte dellio, attivismo o nichilismo, grottesco, inconscio Le Avanguardie coinvolgono tutte le arti: pittura, scultura, letteratura, musica. E tutte le arti usciranno dallesperienza delle Avanguardiedestrutturate. Si pensi al ruolo dei Fauves (Le Belve) come Henri Matisse, Raoul Dufy, Maurice de Vamink, delCubismo in pittura e nella scultura di Pablo Picasso e Georges Braque, Ossip Zadkine, Jacques Lipchiz, Fernand Lger, Robert Delaunay, Juan Gris, dellEspressionismo(tedesco, austriaco, francese) pittorico di Paul Klee, Franz Marc, Georg Grosz, Oskar Kokoschka, Chaim Soutine, George Rouault e letterario di Gottfried Benn e Georg Trakle e di tanti altri scrittori non tedeschi profondamente influenzati dalla tendenza espressionista e dalla poetica dellEspressionismo, basata sulla soggettivit: ogni artista chiamato a manifestare un mondo soltanto suo, con unassoluta libert di interpretare la realt secondo listinto e lirrazionalit, contro al materialismo borghese, in vista di un ritorno ad unumanit libera e primigenia. Si pensi al Futurismo italiano di Filippo Tommaso Marinetti e dei suoi amici milanesi e parigini, che, proponendo un adeguamento delle arti alla corsa frenetica del progresso e luso delle "parole in libert", danno avvio ad un processo di revisione degli stessi mezzi espressivi e ad una concezione nuova dellartista e dellarte, chiamati a interpretare i miti della modernit: la macchina, la velocit, la violenza, limperialismo, la guerra. Dal primo manifesto del 1909 su "Le Figaro" ai numerosi altri, di cui il pi interessante per le indicazioni sulla letteratura quello del 1912, intitolato "Manifesto tecnico della letteratura futurista", lAvanguardia dei Futuristi respinge ogni forma consueta di causalit e di consequenzialit, sostituendo allimpianto logico del pensiero luso libero dellanalogia, dell"immaginazione senza fili", del "sostantivo-doppio", proponendo la distruzione della sintassi, labolizione dei tradizionali segni di interpunzione, luso del verbo allinfinito, le "parole in libert", luso di forme grafiche particolari, nella convinzione che la parola non valga solo per limmagine mentale che pu produrre, ma anche perlaspetto visivo e acustico. Non si pu non considerare la felicissima stagione pittorica futurista di Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Carlo Carr, Ardengo Soffici (pittore e scrittore), Gino Severini, Fortunato Depero e ladesione al futurismo di moltissimi altri scrittori, pittori, scultori, musicisti (come Francesco Balilla Pratella), che, accordandosi alla dinamica civilt industriale, propugnano teorie basate sul dinamismo plastico, sulla scomposizione della lingua, delle forme, dei colori, dei suoni per riprodurre il movimento e non solo quello esteriore, ma anche quello interno alla materia, come intuizione delle linee-forza degli oggetti. Il Futurismo ha anche un pittoresco versante spettacolare: chiassose esibizioni pubbliche, serate, beffe, insulti, zuffe, curioseperformances, che anticipano certi strumenti moderni della propaganda e della comunicazioni. Si pensi al Dadaismo, un movimento davanguardia estrema e radicale, nato, non a caso, a Zurigo, in territorio neutrale, negli anni della Grande Guerra (1916- 1918), attorno ad un caff letterario, il "Cabaret Voltaire", fra artisti, poeti e pensatori di varia provenienza: tedeschi come Ball, Huelzenbeck, Richter, alsaziani come Harp, rumeni come Janco e Tzara. Casuale, secondo i fondatori, la scelta del termine Dada, trovato distrattamente sfogliando un vocabolario, ma polisemico in senso internazionale (in rumeno e in russo significa s s, nel linguaggio infantile francese significa cavallo, in swahili (lingua veicolare in molte aree del continente africano) significa sorellao forse volutamente solo la riproduzione di una lallazione infantile a simboleggiare il giocoso rifiuto dellutilit dellopera darte e la spontaneit assoluta dellartista. Il linguaggio dei dadaisti, in letteratura, distrugge ogni tessuto logico del discorso, propone una scrittura rivoluzionaria, formata di suoni e di fonemi in libert, al limite del paradosso e del nonsense. Il Dada, secondo Trista Tzara portavoce "di una rivolta che era comune a tutti i giovani, una rivolta che esigeva unadesione completa dellindividuo alle necessit della sua natura, senza riguardi per la storia, la logica, la morale comune, lOnore, la Patria, la Famiglia, lArte, la Religione, la Libert, la Fratellanza, e tante altre nozioni corrispondenti a delle necessit umane, di cui per non sussistevano che delle scheletriche convenzioni, perch erano state svuotate del loro contenuto iniziale". Lultima delle avanguardie internazionali che caratterizzano il periodo considerato il Surrealismo (= superamento del realismo). In realt, come movimento, si affermer negli anni venti, ma anticipato da Apollinaire e la denominazione stessa del movimento da lui coniata antecedentemente. Scegliamo una definizione successiva di Andr Breton: "Surrealismo automatismo psichico puro, mediante il quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente sia per iscritto o in altre maniere, il funzionamento reale del pensiero con lassenza di ogni controllo esercitato dalla ragione, al di l di ogni preoccupazione estetica e morale". Il Surrealismo elaborer un linguaggio nuovo con il quale penetrare nella sfera dellinconscio e registrare il sogno, il fantastico e la follia. Interessantissimi sono gli esperimenti di "scrittura automatica", basati sul metodo freudiano delle libere associazioni. Non clamorosa negli atteggiamenti esterni, ma significativa, in Italia, lAvanguardia Vociana per certi versi vicina allespressionismo, per altri ad un frammentarismo a fondo autobiografico: lautobiografismo dei Vociani, concepito come alternativa al romanzo, proprio il necrologio del romanzo inteso in senso tradizionale. Papini parla di scoperta di una nuova "arte interna". Papini, Boine, Bacchelli, Campana, Cardarelli, Cecchi, Jahier, Rebora, Sbarbaro, Slataper hanno, infatti, in comune una scrittura smembrata in frammenti e aliena da ogni continuit narrativa, oppure una poesia dotata di un suo ritmo interiore non predeterminato da schemi fissi, ma dettato da personali preferenze espressive. Curiosamente, per i Vociani, la poesia tende ad assumere cadenze prosastiche, mentre la prosa viene utilizzata per trascrivere le nuove concezioni dellio, attribuendole un significato non lontano da quello della lirica. "La Voce" (1908-1916), fondata da Prezzolini e da lui diretta fino al 1914, salvo un periodo, nel 1912, in cui viene invece diretta da Papini, passa sotto la direzione del De Robertis nel 1914. In politica dibatte i problemi dellirredentismo e del nazionalismo, del suffragio universale e del mezzogiorno, della scuola e della religione, rifuggendo da ogni retorica e con la collaborazione di intellettuali di varia e spesso contrastante provenienza culturale. In letteratura ricerca scrittori e poeti "di qualit" e la sua presa di posizione cauta nei confronti del Futurismo, diventa la causa di alcune defezioni di collaboratori, come Papini, che fonda "Lacerba", nel 1913, con Soffici, ma anche "Salvemini", che fonda "Lunit" (1911-1920) per portare avanti dibattiti politici pi agguerriti e decisamente antinazionalisti. Anche altre riviste italiane del periodo costituiscono dei poli di aggregazione degli intellettuali nostrani, per quanto meno significativi rispetto alla chiave di lettura adottata del fenomeno Avanguardie. Ne ricordiamo alcune: "Il Marzocco" (1896-1932, fondato da Angiolo e Adolfo Orvieto), con posizioni politiche prima nazionaliste e interventiste, poi decisamente fasciste, famoso per lopposizione al filosofo Benedetto Croce; "Il Leonardo" (1903-1907, fondato da Papini e Prezzolini), vivace e polemico, che si fa interprete del superomismo e dellirrazionalismo, ma, soprattutto, che veicola la letteratura straniera, favorendone la conoscenza da parte degli scrittori italiani dellepoca; "Hermes" (1904-1906 fondato da Giuseppe Antonio Borgese), diffusore dellestetismo dannunziano ed esaltatore di unarte "vitale e pagana"; "Il Regno" (1903-1906, fondato da Enrico Corradini), che propaganda le posizioni del gruppo dei nazionalisti. Unaltra avanguardia che lavora in sordina in Italia costituita dal Crepuscolarismo. Forse impropria la definizione di "avanguardia", nel senso che la nozione di "crepuscolarismo" non indica un programma rigorosamente formulato, magari con un manifesto, che faccia capo ad un gruppo omogeneo; si tratta piuttosto di un orientamento diffuso, che comunque interpreta la crisi del concetto di letteratura, in modo diverso, ma con scelte di rottura analoghe a quelle delle Avanguardie Storiche. La definizione di poeti "crepuscolari" si deve al critico Giuseppe Antonio Borgese, in un articolo del 1909 apparso su "La Stampa", nel quale Borgese parla di "una voce crepuscolare, la voce di una gloriosa poesia che si spegne". In sostanza, si tratta dunque di una definizione spregiativa a proposito della produzione di alcuni poeti, che rappresenterebbero lesaurirsi di una tradizione grande. I Crepuscolari, infatti, contrappongono ai contenuti aulici e sublimi dei poeti che li precedono lamore per le piccole cose, le atmosfere dimesse, un linguaggio quasi prosaico, tendenzialmente colloquiale. Il poeta, con il Crepuscolarismo, arriva a negare il significato della poesia, presentandola come esperienza minore se non inutile. Carlo Vallini, Sergio Corazzini, Corrado Govoni, il primo Palazzeschi, Marino Moretti sono solo alcuni di questi poeti cos "quotidiani", che raggiungono, come sostiene il critico Brberi Squarotti, il "grado zero" della scrittura. LArte, per loro, "artificio", in un senso ancora tutto decadente, ma che non induce pi il poeta a creare mondi alternativi (paradisi artificiali, atmosfere estetizzanti, esperienze eccezionali), bens genera la consapevolezza dellinutilit. In questa inutilit, tuttavia, come insegna Guido Gozzano, il pi ironico dei Crepuscolari, consiste l'estrema espressione del valore della poesia: la sola forma di conoscenza ancora consentita, sia pure in negativo. Cultura in guerra, dunque? S Le prospettive di innovazione delle Avanguardie sono tantevistose o dimesseLa ricerca del nuovo lobiettivo comunema il cammino incerto Il "segno" e la "parola" sono diventati armi: dei boomerang. GIANNI VATTIMO
INDICE La filosofia e la critica della tecnologia Poesia e ontologia La filosofia e la critica della tecnologia intervista a Gianni Vattimo di Ennio Galzenati (rilasciata il il 23/06/1993 nella sede della Vivarium di Napoli) L'Unit, 19 maggio 1997
Professor Vattimo, parlando di filosofia e critica della tecnologia, che naturalmente un prodotto recente della riflessione filosofica, quanto necessario risalire all'indietro per riconsiderarne i termini? La demonizzazione della vita razionalizzata della civilt industriale comincia, secondo me, ad avere un'influenza sulla filosofia alla fine dell'Ottocento in una discussione che sembra molto astratta e molto lontana da questi temi: quella che si svolge, soprattutto nella cultura tedesca - con autori come Dilthey, Rickert e Windelband - sulla distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito. Il secondo Ottocento l'et del Positivismo, una filosofia che rivendica, tra l'altro, il modello dei saperi positivi delle scienze come la fisica o la chimica per ogni tipo di sapere: si tratta di far passare allo stadio positivo, come dicevano i filosofi positivisti, tra cui Comte, anche il sapere sull'uomo, il sapere sociologico, psicologico e persino la morale. Gi alla fine dell'Ottocento, comunque, questo impatto della tecnologia sulla societ si avverte come il tentativo di ridurre anche l'uomo ad un meccanismo calcolabile, prevedibile, totalmente organizzato, ci che poi Adorno chiamer "l'organizzazione totale". Le scienze dell'uomo, che i filosofi chiamano "scienze dello spirito", sembrano invece essere caratterizzate dal fatto che hanno a che fare con movimenti liberi non prevedibili, non calcolabili, non riducibili sotto leggi generali di comportamento. Si rivendica perci l'originalit delle scienze dello spirito, nei loro metodi, nei loro modi di costruirsi rispetto alle scienze della natura, perch in realt ci si vuole ribellare al dominio della tecnologia, della razionalizzazione sociale complessiva e dell'organizzazione totale della societ. Cosa pensa dello spirito polemico nei confronti di questa "organizzazione totale" che, a partire dai primi anni del nostro secolo, filtra attraverso il mondo delle avanguardie artistiche? L'Espressionismo e, in genere, le grandi avanguardie artistiche del primo Novecento - il cubismo, il dadaismo, il surrealismo - non sono pi guidate da un proposito di analisi quasi scientifica della sensazione visiva. Al contrario il mezzo artistico serve ad esprimere la volont di partire dall'interno per manifestare al di fuori piuttosto che subire un ordine oggettivo del mondo e riprodurlo. Del resto questa interpretazione dell'avanguardia non originale. La si trova gi in un'opera fondamentale per lo spirito di quell'epoca, Spirito dell'utopia (Geist der Utopie; trad.it Firenze, 1980) di Ernst Bloch, scritto e pubblicato nel '18. E' un filo conduttore interessante perch contiene l'idea che lo spirito non pu essere meccanizzato, spiegato, ridotto entro leggi generali, e afferma anche un principio di unificazione della cultura del primo novecento collegando le avanguardie, la riflessione filosofica e la rivolta contro l'organizzazione tecnologica della societ. Questi stessi temi si ritrovano nell'Esistenzialismo? Certo. Pensiamo per esempio alla riflessione di Heidegger in Essere e Tempo (trad.it. Torino, 1994), del '27, maturata per a partire dagli anni '10. In una memoria autobiografica Heidegger allude allo spirito degli anni '10, come dominato dalla ripresa di Kierkegaard, di Nietzsche e di Dostoevskij, personaggi che hanno in comune l'esistenzialismo, l'accentuazione, persino eccessivamente patetica, del dramma della libert dell'uomo, accentuazione tanto pi significativa quanto pi si afferma in un mondo dove invece l'organizzazione sociale diventa sempre pi razionalistica e meccanizzata. Abbiamo moltissimi criteri per distinguere, in ogni scienza, ci che vale in un certo campo e ci che non vale ma, asserisce Heidegger in Essere e tempo, si perso invece il senso complessivo di che cosa chiamiamo ""; abbiamo dimenticato il senso di questo termine perch abbiamo ridotto l'essere all'oggettivit. Ma allora, se identifichiamo l'essere con ci che oggettivamente dato e verificabile ne consegue, prima di tutto, che non possiamo pi pensare alla nostra esistenza in termini di essere, perch non siamo mai un tutto gi dato, siamo fatti di ricordi del passato, di esistenza nel presente e soprattutto di proiezioni verso il futuro, tutte cose che dal punto di vista della datit verificata non sono nulla. E' possibile ricollegare questo discorso heideggeriano allo spirito dell'avanguardia di cui parlavo prima . Se non possiamo pi parlare dell'essere dell'uomo, perch il nostro modello di essere quello della datit oggettiva, ci non ha solo delle conseguenze conoscitive preoccupanti, ma ha soprattutto conseguenze morali, politiche e sociali drammatiche. Predisponiamo cio l'essere dell'uomo a diventare oggettivit manipolabile nell'organizzazione totale della societ.
Parliamo adesso della scuola di Francoforte. La scuola di Francoforte un prodotto filosofico molto recente, con cui dobbiamo fare i conti, ma le sue motivazioni restano fondamentalmente quelle che ho raccontato, cio la rivolta avanguardistica della "Kultur", potremmo dire con i termini di certi filosofi primonovecenteschi, contro la "Zivilisation", la cultura contro i meccanismi della civilizzazione che sono diventati oppressivi. La parola "totale Verwaltung", l'"organizzazione totale" - termine diventato classico attraverso la filosofia di Adorno - esprime l'idea che la razionalizzazione tecnologica della societ comporti quasi naturalmente un rischio di totalitarismo politico. Questa tematica stata molto presente nella cultura europea degli anni Sessanta. Credo che il Sessantotto, l'anno della contestazione giovanile, avesse sviluppato una critica radicale della tecnologia, che oggi stata ereditata da alcuni filoni dell'ambientalismo e dell'ecologismo, in cui la tecnica considerata naturalmente orientata a produrre strutture politiche totalitarie . Adorno pensa alla societ tecnologica come a una societ "motorizzata", nel senso che la societ tecnologica sembra ad Adorno un grande meccanismo mosso da un motore centrale. Questa idea di Adorno si ritrova anche in alcuni grandi romanzi come quello di Orwell 1984 e quello di Huxley Brand New World. Quando la societ si organizza in modo saldamente tecnico ci troviamo di fronte ad una specie di gran sistema di ingranaggi che girano tutti mossi da un centro unitario: la propaganda del regime nazista come la radio di Goebbels che d ordini a tutti. Secondo l'idea di "pubblicit centralizzata" di Adorno, noi viviamo in una societ non tanto diversa da quella nazista. L c'era infatti una propaganda politica, ma noi siamo dominati totalitariamente dalla pubblicit delle merci e siamo altrettanto poco liberi.
Professore, Lei crede che ci sia ancora valido? Questo modello, secondo me, non gi pi il modello della tecnologia avanzata in cui viviamo noi oggi; del resto gi l'idea della radio poteva condurre anche Adorno ad una riflessione ulteriore; oggi, per esempio, se noi accendessimo la radio e sentissimo la voce di Goebbels potremmo, con un piccolissimo movimento, passare su un'altra modulazione di frequenza, e sentire invece delle canzoncine dialettali. Quando perci la tecnologia diventa prevalentemente una tecnologia della comunicazione piuttosto che una tecnologia del motore, la paura nei confronti di questo mondo tecnologico sembra potersi riassorbire in una visione della societ come scambio di comunicazione, piuttosto che in una visione della societ come grande meccanismo mosso da un unico motore centrale. In un saggio di Sentieri interrotti intitolato "L'epoca dell'immagine del mondo" Heidegger ripercorre la storia della scienza tecnica moderna interpretandola come costruzione di un'immagine del mondo che dipende da colui che costruisce l'immagine. La tecnologia tende cio ad essere la costruzione del mondo sulla base di progetti del soggetto in qualche modo; anche lo scienziato che fa esperimenti non guarda solo cosa succede, ma provoca degli eventi per confermare o smentire certe proposizioni; il tecnologo che produce macchine prosegue questa stessa vocazione tecnologica della scienza. Cos il mondo diventa sempre pi l'immagine del mondo che noi ci facciamo e che noi costruiamo attivamente con la tecnica piuttosto che una cosa data davanti a noi. Nella nostra epoca per le cose sono andate cos avanti che l'immagine del mondo non pi una e ce ne sono piuttosto molteplici. Questo accade nella societ della comunicazione. Viviamo in una societ di intensa comunicazione in cui ci sono tanti giornali, tante stazioni televisive e questi enti di comunicazione parlano anche di loro stessi. Se voi leggete i giornali trovate che molto spesso alcune delle notizie riguardano le loro vicende: il giornale stato comperato dal tale gruppo che produce dentifrici e noi possiamo essere messi in guardia sul fatto che le notizie che riguardano i dentifrici su quel genere di giornali dovremmo prenderle "cum grano salis", perch interviene l'interesse del padrone della catena di fabbriche di dentifrici, che anche proprietaria del giornale. La molteplicit delle agenzie di informazione nel nostro mondo, che forse sempre esistita, ma non cos largamente come oggi, diventata cos esplicita, che noi oggi sappiamo di vivere in un mondo di interpretazioni, non in un mondo di realt date. Questo fa s che la potenza totalizzante dell'informazione porti con s una sorta di antidoto interno e noi non prendiamo pi troppo sul serio l'informazione che ci viene fornita. Non sono solo le "lites" a sapere che la TV mente; tutti sanno benissimo che per sapere ci che succede devono comprare almeno tre giornali di orientamento diverso, devono guardare programmi televisivi differenti, devono in qualche modo comporre la visione della realt in una babele informativa che ha certamente delle caratteristiche preoccupanti, nel senso che ci si pu sentire confusi, ma ha anche un'intrinseca componente liberante, emancipatoria. Credo che questa sia la nuova situazione con cui ha a che fare la riflessione filosofica sulla tecnologia. Lo spirito in qualche modo soffia dove vuole. La paura che i nostri filosofi e gli avanguardisti artistici del primo Novecento avevano nei confronti della tecnologia, pu essere, nella societ contemporanea, ampiamente ridimensionata, anche se non del tutto superata, se per esempio ci assicuriamo che il pluralismo dell'informazione sia davvero tale, che non ci siano cio troppi canali televisivi posseduti dalla stessa impresa per esempio, o che non ci sia una sola informazione di Stato. Ma bene cercare di spingerci nella direzione della babele, piuttosto che difenderci da essa, perch non dobbiamo eliminare la pluralit dei linguaggi, ma piuttosto moltiplicarla.
Poesia e ontologia 1 Professor Vattimo, cominciamo questa nostra conversazione, sul tema della poesia, ricordando il titolo di un libro che Lei scrisse e pubblic nel 1968. Si intitolava Poesia e ontologia. Che cosa voleva indicare, mettendo insieme questi due concetti, quello di "poesia" e quello di "ontologia"? Era un modo di annunciare fin dal titolo uno degli assunti teorici, anche un po polemici, del libro. Lidea fondamentale era che lestetica novecentesca, o anche del tardo Ottocento - ma forse lestetica postkantiana in generale - avesse teso ad isolare larte dal dominio della verit. Si pu portare come esempio la teoria estetica di Croce, secondo cui nella dialettica dei distinti i predicati che si possono attribuire allesperienza estetica, allarte, sono bello o brutto, ma non vero o falso. Questo significa che lesperienza estetica non ha a che fare con lesperienza della verit. Un tale atteggiamento, che stato dominante nellestetica filosofica del Novecento, era gi stato discusso anche prima della pubblicazione del mio libro da autori - a cui io mi rifacevo - come Gadamer o come Heidegger. Gadamer in particolare, nel suo libro del 1960, Verit e Metodo , era partito proprio da una critica di quella che lui chiamava la "coscienza estetica" - potremmo chiamarla coscienza "estetistica" - cio muovendo dalla critica di quellatteggiamento che appunto considera lesperienza dellarte e del bello come completamente scissa dallesperienza del vero. Gadamer argomentava, secondo me giustamente, che questo estetismo, riferito soprattutto alla filosofia dellarte del Novecento, era il corrispettivo dello scientismo metodologistico del positivismo. Se si domanda perch nellesperienza estetica non vi siano il vero e falso, si tende a rispondere che questi appartengono esclusivamente a quelle esperienze che si lasciano organizzare dal metodo scientifico. Ecco perch, tra laltro, Verit e Metodo si intitola cos: Gadamer voleva indicare gi dal titolo della sua opera che il suo problema era quello di rivendicare lesperienza di verit che si fa al di fuori dei campi metodologicamente organizzati come quelli della scienza. Ora, uno dei campi classici, o insomma lemblema stesso di ci che non metodico, lesperienza estetica. Gadamer, che poi allargava il discorso anche allesperienza delle scienze storiche, delle scienze umane - perch poi era questo il suo obiettivo pi generale - muoveva dal recupero in senso veritativo dellesperienza che sembra essere la pi lontana dal vero e dal falso, vale a dire appunto lesperienza estetica. Io procedevo in questa stessa direzione anche con riferimenti che non mi sembrava di trovare gi in Gadamer, cio sviluppando lidea che le avanguardie artistiche del Novecento erano proprio una forma di rivolta degli artisti, dellarte militante, contro lestetismo dellestetica filosofica. Cos, mentre Croce oppure i neokantiani tedeschi sostenevano che lesperienza estetica non ha nulla a che fare con il vero o il falso, gli artisti pensavano invece che larte dovesse uscire dal mondo asettico del museo, della galleria o della pura esperienza della poesia che si raccomandava per la sua sonorit, per la sua bellezza strutturale, per le forme, senza riferimenti esistenziali. In quel libro, lesperienza delle avanguardie novecentesche mi pareva - e mi pare ancora oggi - interpretabile come una rivolta dellarte contro la sterilizzazione a cui sembrava volerla condannare lestetica filosofica della sua stessa epoca. E naturalmente, ancora una volta, il riferimento principale - per me come del resto per lo stesso Gadamer - era la filosofia di Heidegger; questo in parte perch per me essa stata unesperienza filosofica di fatto dominante, in parte perch mi sembra che sia oggettivamente fondamentale per il pensiero del Novecento. con Heidegger, in fondo, che la poesia stata completamente ricondotta allambito della verit, fuori dalla prospettiva limitata in cui laveva collocata lestetismo filosofico del primo Novecento. Naturalmente i riferimenti a Gadamer e a Heidegger hanno due valenze differenti, perch in Gadamer il fatto che ci sia unesperienza di verit nella poesia, e in genere nellarte, si giustifica dal punto di vista di una concezione della verit che risale a Hegel prima che a Heidegger. Io riassumevo la posizione di Gadamer - mi sembra utile questa formula per ricordarla - dicendo che "si fa esperienza di verit, quando si fa vera esperienza". Se noi teniamo presente questa espressione, capiamo perch la lettura di unopera darte, lincontro con unopera darte pu essere esperienza di verit; basti pensare allesperienza che facciamo quando leggiamo un romanzo: ci cambia la vita, forse non cos radicalmente, ma certo cambia, modifica la nostra visione del mondo. Ora, effettivamente, questa concezione di origine hegeliana: la verit , come dire, lincontro con unalterit che noi assimiliamo, e quindi che non lasciamo stare nella sua estraneit, ma, assimilandola, diventiamo altri da quello che eravamo. In Gadamer molto importante questa idea dellesperienza come Erfahrung. La parola tedesca Erfahrung ha da fare anche col viaggiare, colfahren, e implica un mutamento: possiamo fare lesempio di un individuo che ha viaggiato molto, e che, quando fa ritorno a casa, non pu essere esattamente lo stesso, perch ha imparato altre cose, sa altre cose, e queste cose sono diventate parte della sua conformazione mentale. Se compiamo una vera esperienza, e cio qualche cosa che ci costringe, ci spinge a cambiare, facciamo unesperienza di verit. In questo senso, lincontro con lopera darte, che lincontro con una visione del mondo "altra", che ci scuote, o anche semplicemente che ci arricchisce, rappresenta il senso dellesperienza del vero che si fa nellarte e in genere in tutti quei campi, come per esempio la conoscenza filosofica, la conoscenza storica eccetera., che alla mentalit di ispirazione positivistica del tardo Ottocento sembravano escluse dal campo del metodo scientifico. Certo, la storia non sarebbe capace di verit scientifica, se la scienza fosse solo la conoscenza di leggi generali. Allora il punto : questi saperi che non hanno da fare con principi generali, con leggi generali, ma con fatti specifici, sono saperi capaci di verit? Direi di s, se lesperienza che facciamo in questi saperi una vera esperienza. Largomento di Gadamer, che sta alla base di Verit e Metodo, si muove attorno a questa prospettiva. 2 stato Heidegger che, nel saggio intitolato Lorigine dellopera darte, ha chiarito, forse pi radicalmente di quanto non lo abbia fatto Gadamer, lincontro con lopera darte come unesperienza di verit. Vuole ripercorrere i motivi principali di questo saggio? Nel saggio Lorigine dellopera darte (Der Ursprung des Kunstwerkes ), che del 1936, Heidegger chiama lopera darte una "messa in opera della verit". Qui effettivamente troviamo la possibilit di parlare di "poesia e ontologia" o di "poesia e filosofia" o di "poesia e verit" o di "arte" in genere. In che senso lopera darte "messa in opera della verit"? Prima di tutto ovvio che, per parlare di opera darte come "messa in opera della verit", bisogna avere una certa concezione della verit, che in Heidegger non , e non pu essere, quella della verit come corrispondenza di una proposizione a uno stato di cose. Molto spesso, naturalmente, la tradizione ha parlato di verit della poesia, ma, poich ne ha parlato in riferimento a questa concezione della verit come enunciazione vera di stati di cose, cio in termini di proposizioni che corrispondano a uno stato di cose, ha sempre dovuto concepire la poesia secondo il motto latino del miscere utile dulci, che esprime lidea per cui nella poesia si possono dire delle verit, descrivendo, per esempio, come stanno le cose con lessenza delluomo o le leggi morali, eccetera. Perch tali verit vengono espresse in poesia? Una ragione pu essere, ad esempio, che in questo modo la gente le impara meglio; anche i proverbi, in genere, si formulano come dei versetti, espressi in termini "poetici", con delle metafore. Sembrerebbe dunque che vi sia una verit della poesia, che la stessa verit che si pu dire in proposizioni astratte, ma presentata con termini immaginosi, metaforici, perch piace di pi o si ricorda meglio. Ora, non questo il senso in cui Heidegger parla di "una messa in opera della verit", perch per lui la verit, prima di essere la descrizione oggettiva di uno stato di cose, lapertura di un orizzonte di una possibile descrizione dello stato di cose. Non tanto difficile da capire: noi descriviamo uno stato di cose usando degli strumenti, dei termini, dei paradigmi, dei presupposti, i quali per noi sono alla base della possibilit di descrivere in modo veritiero quello stato di cose. Ma i paradigmi, l"apertura", per cos dire, il sistema dei presupposti in base a cui possiamo dire la verit, nel senso di descrivere validamente lo stato di cose, tutto questo insieme precede questa verit espressa come corrispondenza nella proposizione alla cosa. E questo insieme difficilmente oggetto, a sua volta, di una descrizione vera, perch per essere descritta veridicamente avrebbe bisogno di un altro sistema di presupposti, di unaltra apertura e e cos via. Si comprende benissimo che, procedendo in questo modo, si potrebbe risalire allinfinito. Heidegger non vuole tanto risalire allinfinito per distruggere logicamente lidea di verit, ma richiamare la nostra attenzione su un fatto che era anche, in fondo, alla base della critica marxiana dellideologia ossia che quando noi enunciamo una proposizione vera, presupponiamo un sistema di criteri che a sua volta non enunciamo in una proposizione vera, ma allinterno dei quali in qualche modo siamo - come dice Heidegger "gettati", ci "apparteniamo", "ci siamo": il nostro equipaggiamento. I nostri occhi noi non li descriviamo, mentre descriviamo ci che vediamo con gli occhi; quando ci mettiamo a studiare i nostri occhi, magari li studiamo in base a unimmagine, che per guardiamo pur sempre con i nostri occhi, che, nel momento stesso in cui li usiamo per guardare, non possiamo vedere. una cosa abbastanza ovvia, che per filosoficamente diventa importante, perch in fondo alla base della stessa idea che la poesia sia capace di verit. 3 Professor Vattimo, in che senso dunque la poesia "dice" il vero? La poesia non dice verit a livello della proposizione corrispondente alloggetto, ma "dice" - esprime, rappresenta, mostra - qui difficile qui usare un verbo adeguato - la verit dellorizzonte a cui apparteniamo quando poi diciamo delle singole verit. Quando noi parliamo di poesia e verit, per esempio, abbastanza facile cadere in un errore di banalizzazione. Che cosa dice una poesia, quale verit enunciabile ricaviamo da una poesia di Pascoli, di DAnnunzio, di Carducci? Quando cerchiamo di volgere la verit della poesia in singole verit proposizionali, per lo pi ricaviamo delle proposizioni banali: "Gli uomini sono mortali", "La vita difficile", "Lesistenza sempre schiacciata dal problema della libert". Questo vuol dire che, se guardiamo alla verit della poesia, la prima cosa a cui siamo richiamati una nozione di verit non proposizionale, non descrittiva, non misurata sul principio della conformit. Allora, se c una verit nella poesia, questa verit pensabile solo come apertura originaria dentro cui siamo gettati, orizzonte allinterno del quale possiamo diventare consapevoli di noi stessi, che dunque cosa ben diversa da una verit enunciata come proposizione descrittiva allinterno di questo stesso orizzonte. Il rapporto con questa verit poetico anche perch non pu essere descrittivo-proposizionale o scientifico: se noi ci sforziamo di afferrare questa verit, ci accorgiamo che impossibile renderla in termini di proposizioni dimostrabili, oggettivabili. Con esse siamo in un rapporto che si potrebbe chiamare "abitativo", nel senso che c nella nostra esistenza, alla base di ogni nostro enunciato tematico, una pi originaria appartenenza che noi non riusciamo a tematizzare. Noi non possiamo dire che, poich non riusciamo a tematizzarla, dobbiamo trascurarla. Trascurarla, infatti, significherebbe lasciarsi guidare da pregiudizi che noi non sospettiamo neanche di avere - il che abbastanza pericoloso. Sapere di appartenere ad un orizzonte che non possiamo oggettivare davanti a noi - perch ci contraddittorio con la nozione stessa di orizzonte -, significa gi sforzarsi di fare esperienza di questo orizzonte con altri mezzi. In fondo, tutta la storia delle arti nella storia della cultura questo. Le arti non hanno mai detto verit utili, utilizzabili, sistemabili in un trattato, e tuttavia ci sono sempre state. Controbattere sostenendo che ci accaduto solo perch luomo ha inevitabilmente anche un aspetto di "oziosit" una spiegazione un po troppo banale, soprattutto se si pensa alla vita degli artisti, allinteresse che la gente porta allarte, anche allimportanza sociale che larte ha sempre avuto nella cultura. Che larte sia messa in opera della verit tende a spiegare meglio tutte queste cose; c una verit pi originaria delle singole verit che possiamo enunciare e il rapporto con questa verit pi originaria non si pu per definizione tematizzare in proposizioni enunciabili: esso costituisce il senso dellesperienza estetica. Nella pittura, nella musica, nella poesia noi mettiamo in opera, in qualche modo, questa apertura della verit. Heidegger naturalmente collega a questo anche tutto un altro insieme di contenuti filosofici. Uno, in modo particolare, lidea che la verit non sia sempre la stessa in tutte le epoche, e cio che non vero che tutti gli uomini sono sempre gettati in un orizzonte di verit sempre uguale, ma che ci sono delle cesure, dei cambiamenti nellorizzonte di verit in cui noi ci troviamo. Anche questa una cosa che si capisce, se si pensa a teorie diverse da quella heideggeriana, ma forse a questa vicine nellintenzione. Intendo riferirmi, ad esempio, a una teoria come quella di Thomas Kuhn, ad esempio, che parla dei "paradigmi", secondo cui le scienze provano, dimostrano proposizioni, per allinterno di un insieme di presupposti, di assiomi, che costituiscono appunto il paradigma allinterno del quale si prova o si falsifica una proposizione. A sua volta, il paradigma, anche per Kuhn, non oggetto di prova o di falsificazione, perch altrimenti si esigerebbe un altro paradigma pi ampio allinterno del quale si possa provare qualcosa o falsificare qualcosa. Quindi, anche in questo caso, i paradigmi allinterno dei quali si muovono le verit della scienza sono storicamente dei fatti complessi. Certamente non si pu dire che essi siano dei fatti irrazionali, per sono dei complessi eventi storici a cui gli scienziati appartengono e allinterno dei quali trovano o falsificano proposizioni. Ebbene, se noi pensiamo a questo, possiamo avere unidea, ancora una volta, di che cosa Heidegger intenda quando dice che larte "messa in opera della verit". "Messa in opera" che pu essere storicamente mutevole, proprio perch le epoche, i paradigmi, non sono sempre gli stessi. la ragione per cui larte una storia e non accade una volta sola. Altrimenti basterebbe una sola opera darte, come ad esempio una tragedia greca, per tutte le epoche. Ma non cos, perch oltre alla tragedia greca, esiste la Divina Commedia o lopera di Shakespeare, tra le quali noi cogliamo delle differenze: in queste diverse opere darte si aprono dei mondi diversi, dei mondi storici allinterno dei quali lumanit del passato vissuta e dentro cui ancora viviamo noi, mediandoli con il nostro mondo storico, con i nostri poeti, con le nostre opere darte. 4 In Heidegger lesperienza estetica come esperienza di incontro con la verit soprattutto unesperienza poetica. Perch, professor Vattimo, proprio la poesia, perch i poeti, per dirla con il titolo di un saggio di Heidegger, hanno un ruolo privilegiato? Perch nel saggio Sullorigine dellopera darte di Heidegger c anche una sorta di riconduzione di tutte le arti alla poesia come arte della parola. Ora questo un tema naturalmente complesso, forse anche controverso tra gli interpreti di Heidegger, per Heidegger certamente ritiene che, in qualche senso, la funzione inaugurale di apertura di un mondo storico che lopera darte ha, si realizza in modo speciale, in modo privilegiato nellarte della parola. "Apertura di un mondo storico" pu voler dire due cose. Svelamento di un mondo storico - e in questo caso ci troviamo in temi che sono familiari alla storia dellestetica e della filosofia. Hegel, per esempio, sosteneva che, almeno in certe fasi dello sviluppo dello spirito, la verit dellepoca, la verit dello spirito di unepoca, si rivela nellarte e non nella religione o non nella filosofia. Lestetica hegeliana sostiene che nella storia dellumanit, let in cui larte il luogo supremo di rivelazione dello spirito dellepoca stata let classica greca. C unepoca nella storia dello spirito in cui lo spirito si rivela a se stesso, si documenta, in qualche modo, pi adeguatamente nellarte che non nella filosofia o nella religione, mentre, ad esempio, lo spirito medievale si rivela piuttosto nella religione cristiana; il senso del gotico il senso di unarte la cui verit per la religione. Bene, noi possiamo intendere in questi termini la posizione di Heidegger, per cui nellopera darte si apre un mondo storico, nel senso che in essa vi si rivela. Ma l'originalit di Heidegger nellidea che nellopera darte si "inaugura" un mondo storico: non solo si apre, nel senso che si svela pi adeguatamente, ma accade prima di tutto l. Il linguaggio uno degli strumenti fondamentali attraverso cui noi accediamo al mondo; non accade che prima noi vediamo il mondo e poi troviamo le parole per descriverlo, perch, come mostrano le nostre esperienze anche a livello psicologico, se non abbiamo la parola, in un certo senso non vediamo la cosa. Secondo Heidegger, soprattutto il linguaggio quello che ci d accesso al mondo. Noi ereditiamo un insieme di capacit per vedere il mondo, ereditando un certo linguaggio, la nostra lingua naturale, che per non naturale in quanto eterna; naturale nel senso che la nostra lingua madre, la lingua che impariamo quando siamo bambini. Ebbene, questo linguaggio, che non sempre uguale - le lingue sono mai state tutte eguali nel corso della storia - costituisce un fatto naturale e storico insieme. In quanto fatto storico ha dei momenti principali in cui ovviamente cambia. Heidegger identifica i momenti di "inaugurazione" di una lingua di unepoca con certi grandi eventi poetici. Noi diciamo abitualmente a scuola che Dante il padre della lingua italiana, che la traduzione della Bibbia di Lutero ha fondato il tedesco moderno, che Shakespeare , quasi come Dante, il padre della lingua inglese, eccetera. Talvolta questo lo diciamo in maniera banalizzante, ma per Heidegger c una verit in tutto ci molto profonda, e cio che nella poesia si inaugurano svolte decisive delle lingue naturali. Quindi, anche in questo senso, lopera darte "mette in opera la verit" e la mette in opera come opera darte linguistica, perch dal punto di vista di Heidegger, anche per interpretare storicamente delle opere darte non linguistiche - per esempio la pittura di Michelangelo o di Goya - noi, per esprimerne il carattere aprente, inaugurale, utilizziamo delle parole. 5 Abbiamo visto che per Heidegger c' una certa originariet della poesia rispetto alle altre arti: quali sono i problemi suscitati da questa tesi? Questo un punto su cui pochi studiosi di estetica concorderebbero pienamente, perch lesperienza dello spazio, per esempio, che si fa con la pittura, con larchitettura, con le arti visive, si pu considerare ragionevolmente ancora pi originaria, o almeno altrettanto originaria, di quella delle parole. Heidegger stesso, in unopera tarda, la breve ma intensissima prolusione degli anni Sessanta intitolata Larte e lo spazio, potrebbe fornire elementi per andare in questa direzione, in quanto qui egli sostiene che, se dovesse riscrivere Essere e Tempo, riconoscerebbe altrettanto originario, nella nostra esperienza, lo spazio. Heidegger, mettendo allo stesso livello spazio e tempo come forme originarie della nostra esperienza, avrebbe forse anche dovuto rivedere il rapporto tra arti del linguaggio e arti visive, spaziali. Dunque per gli studiosi heideggeriani, su questo probabilmente c ancora molto da lavorare. Per il senso fondamentale : lopera darte ha una funzione inaugurale rispetto ai mondi storici, soprattutto in forma di opera darte poetica - "dichterisch wohnt der Mensch auf dieser Erde", "poeticamente abita luomo su questa terra" un verso di Hlderlin a cui Heidegger fa riferimento in un saggio sulla poesia. Ovviamente labitare richiama lesperienza dellarchitettura, delle arti della visione; il "poeticamente" significa, se dobbiamo prenderlo alla lettera, nellinterpretazione che d Heidegger di questo verso di Hlderlin, che labitare storico delluomo ha a che fare con lo stare in un ambiente, ma questo stare in un ambiente vissuto esistenzialmente anzitutto come appartenenza ad un linguaggio che parola. I versi di Hlderlin che Heidegger commenta con lespressione a cui io mi sono poco fa richiamato, sono in realt due, tra loro simili. Laltro dice: "voll Verdienst doch dichterisch wohnt der Mensch auf dieser Erde", "pieno di merito e tuttavia poeticamente abita luomo su questa terra". Qui, secondo me, c unulteriore dimensione di questo significato aprente dellopera darte, che vale la pena illustrare. Questo distico hlderliniano, "pieno di merito e tuttavia poeticamente abita luomo", contiene anche un altro elemento, non solo quello dellabitare, non solo quello della poesia nel senso di arte della parola, ma anche quello di una opposizione tra "abitare poetico" e "merito". Ancora una volta, quella verit che si apre nella poesia e che lapertura dellorizzonte allinterno del quale poi noi possiamo enunciare le verit nel senso tematico, proposizionale della parola, quella verit anche qualcosa che ci proviene e che noi non costruiamo. Ecco perch c unavversativa tra il "pieno di merito" e "tuttavia poeticamente abita luomo". "Pieno di merito" vuol dire: certamente luomo abita sulla terra, costruendo case, producendo automobili, ascensori per facilitarsi lesistenza, per difendersi dai pericoli della natura, e cos via; tuttavia, dice Hlderlin, luomo "abita poeticamente". C qualche cosa, alla base di tutta questa opera che propria delluomo, che non attivit, ma prima di tutto qualcosa come ricezione, passivit In fondo, anche noi, quando facciamo esperienza di poesia, parliamo quasi spontaneamente di grazia. Gli applausi che si rivolgono ai grandi interpreti hanno da fare col ringraziamento e poi, tradizionalmente il bello dellarte stato accostato allidea di grazia, non tanto alla graziosit che unaccentuazione della facilit del movimento - si dice che un balletto grazioso, che una piccola opera darte graziosa, quasi come se fosse qualcosa di meno del bello -; la grazia , per esempio, il creare "in stato di grazia", il che costituisce loriginalit del genio. Tutti questi modi in cui la tradizione ha enfatizzato lesperienza estetica, hanno una loro radice nel "doch", nellopposizione tra lattivit utile, produttiva, volontaria, di cui noi abbiamo merito, luomo ha merito, e il trovarsi gettato in un mondo disponendo gi, per esempio, del linguaggio e di un insieme di vie di accesso agli enti, che non ci siamo costruiti da noi e che sono alla base di tutto il nostro costruire. Questo importante per capire qual quel tipo di verit che si pu dare nella poesia. 6 Professor Vattimo, vi sono altre dottrine estetiche che possono illustrare la concezione heideggeriana dellarte? Un altro grande pensatore estetico del Novecento stato Michel Dufrenne, autore di varie opere tra cui una Fenomenologia dellesperienza estetica, e un saggio intitolato Il poetico; egli stato un filosofo, diciamo, di scuola fenomenologica ma molto sensibile anche alle suggestioni heideggeriane. Ebbene, Dufrenne aveva descritto lopera darte come un "quasi soggetto", il che ci serve molto per capire che cosa possiamo intendere Heidegger a proposito dellapertura nel mondo. Un "quasi soggetto" un "oggetto" che si incontra nel mondo e che non si lascia trattare come un puro oggetto. Unopera darte una visione sul mondo, non un pezzo di mondo. Un romanzo, un quadro, una sinfonia, non sono cose che si aggiungono ad altre nel mondo, ma contengono sempre, in qualche modo, lappello a reinterpretare il mondo. L"altro" con cui mi incontro, se non un individuo che voglio usare per un certo scopo, ma uno che ascolto come un "altro", mi offre uninterpretazione del mondo con cui mi debbo misurare, non un oggetto che metto accanto agli altri tranquillamente, aggiungendo un pezzo al mio mondo. Qualcosa di questo genere si pu intendere per capire di che cosa parliamo quando diciamo che unopera apre un mondo. una prospettiva altra sul mondo, che pu diventare un oggetto del mio mondo, ma se desidero appendere un quadro nella mia camera, lo faccio non soltanto perch sta bene l; qualcuno pu anche intenderlo solo cos, in termini puramente decorativi, ma se poi cercassimo di spiegarci perch sta bene, secondo me, scopriremmo sempre che sta bene perch evoca, apre immagini di mondo alternative a quelle dentro cui sto e quindi non semplicemente una parte, un pezzo passivo, inerte nel mio mondo, ma un soggetto che mi parla. 7 C per unaltra considerazione che dobbiamo fare, sempre riguardo ad Heidegger. Lei non crede che vi sia in Heidegger una sorta di intonazione religiosa? In fondo Heidegger parla di poesia, ne parla in generale come luogo originario, per poi sceglie, di fatto, alcuni poeti in particolare, ne privilegia alcuni, Hlderlin su tutti. Ecco, che cosa significa questa scelta? Che cosa intende fare Heidegger con questa operazione? Qui il discorso potrebbe, dovrebbe essere molto ampio. vero che Heidegger sceglie Hlderlin tra i poeti - uno dei poeti che commenta pi frequentemente, con cui ha convissuto, per cos dire, per tanto tempo, fino a definirlo come "il poeta del poeta", cio il poeta della poesia. Questo molto interessante perch collocherebbe Hlderlin e Heidegger nellorizzonte di uno dei tratti caratteristici della poesia novecentesca o dellarte novecentesca, che intensamente caratterizzata dallautoriflessione. C tutta una storia della pittura, per esempio, tra Otto e Novecento, che vede levoluzione della pittura come unaccentuazione della consapevolezza dei mezzi della pittura: il colore, il quadro, la tela, le linee, la prospettiva spaziale. Quindi mi sembra molto significativo che Heidegger sia cos sensibile a questo. Diciamo per che il discorso di Heidegger va ancora oltre, non solo scegliendo Hlderlin in quanto "poeta del poeta", ma anche Rilke, per esempio, o, negli scritti degli anni Cinquanta, Trakl, che un poeta difficile perch "maledetto" in molti sensi, un poeta espressionista del tutto diverso dai poeti "vati" che ci si aspetta che Heidegger commenti; ebbene, la scelta di questi poeti non in Heidegger slegata da una considerazione epocale. Ancora una volta, non ci sono poeti che esprimono meglio di altri lessenza eterna dellarte, ci sono poeti che sono pi eloquenti, pi capaci di dirci che ne dellessere nella nostra determinata epoca. Il destino dellessere nella nostra determinata epoca ha probabilmente a che fare anche con il fatto che il poeta poeti sulla poesia, nel senso che lautoriflessivit della poesia hlderliniana, che parla del poeta, diventa determinante per Heidegger, perch particolarmente in sintonia con unepoca dellessere che quella che Heidegger tenta di cogliere. Che cosa pu voler dire tutto questo? Traduciamolo un po sommariamente nei nostri termini. Non sempre e non in ogni epoca culturale o della storia dellessere cos chiaro che lesperienza della verit sia esperienza dellorizzonte piuttosto che esperienza delle proposizioni vere, come ho detto prima. nella nostra epoca, che Heidegger chiama della "fine", del "compimento" o del "superamento" della metafisica, che ci diventa possibile capire meglio che la verit non soltanto o principalmente la proposizione che descrive adeguatamente lo stato di cose, ma lappartenenza ad un orizzonte dentro cui siamo "gettati", che ci donato. In questa epoca, in cui diventa comprensibile - perch finita la metafisica - questa esperienza della verit come appartenenza, allora pi verosimile cercare il vero nei poeti e in certi poeti che poetano sulla poesia. Ecco perch il discorso complesso. Heidegger non avrebbe mai detto che si debba in ogni epoca cercare la verit piuttosto nella poesia; ma soltanto che nella nostra epoca diventa possibile cercare la verit nei poeti, in quei poeti che sono particolarmente consapevoli del significato della poesia in questa epoca. Questidea complessa, ma non del tutto inverosimile. Non tutti i poeti sono uguali, non sempre il rapporto tra verit e poesia si svela nello stesso modo. Per Heidegger di questa epoca sono emblemi poeti come Hlderlin, Rilke, Trakl, George. 8 Professor Vattimo, lasciamo per un momento la poesia, per tornare proprio al discorso invece pi globale sullarte. Lei ha parlato dellarte, dellesperienza estetica come esperienza di verit. Possiamo allora radicalizzare il discorso e intenderla proprio come esperienza ermeneutica? Possiamo sicuramente parlare di esperienza ermeneutica in rapporto a questa verit intesa come appartenenza allapertura. Lermeneutica quella posizione filosofica che individua lesperienza della verit non come descrizione oggettiva di stati di cose, o quanto meno non solo come descrizione oggettiva di stati di cose, ma prima di tutto come abitare dentro unapertura che ci regge e ci rende possibile qualunque descrizione oggettiva. Come a Marx interessava capire lideologia che sta dietro le nostre descrizioni del mondo, cos a Heidegger interessa cercare di risalire a questa verit come apertura alla quale apparteniamo, a questo paradigma. Ora, questo risalire un dialogo con la poesia. Heidegger ha spesso parlato della filosofia, del pensare, come dialogo di filosofia e poesia . Il dialogo di filosofia e poesia sempre in corso e in esso entra in gioco il modo di vedere la verit come orizzonte a cui apparteniamo, il che non molto lontano dalla religione. A mio parere una riflessione intensa, approfondita, sul rapporto di filosofia e poesia per il pensiero, non pu che condurre anche a ritrovare una certa valenza religiosa di ci con cui la filosofia ha a che fare. Potremmo dire che se ci che ci si svela nella poesia quella verit che ci data come dono, come grazia - si potrebbe dire -, e con cui siamo in un rapporto di dialogo chiarificatore, interrogativo, non puramente contemplativo e passivo -, allora quellaltra forma della vita spirituale che Hegel, come ricorderete, metteva insieme a filosofia e arte, riguarda sicuramente la religione. Io credo che il pensiero contemporaneo, attraverso lesperienza dellermeneutica, nella misura in cui riceve di nuovo un accesso ad una ricerca della verit, ad un ascolto della verit che si d nella poesia, sia in qualche modo richiamato anche ad unesperienza religiosa. Ci che caratterizza il pensiero di oggi in una larga parte della filosofia - anche se non in tutta - dapprima un nuovo ascolto della poesia, ma sempre pi anche una nuova sensibilit religiosa che non mette da parte la poesia. Probabilmente se vi sar una nuova esperienza religiosa del pensiero, essa dovr essere sempre pi intensamente collegata con lesperienza estetica, comportando, a partire da questo aspetto, una ridefinizione dellesperienza religiosa stessa. Intervista realizzata il 20 giugno 1996, Milano - RAI INDIETRO