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Nietzsche,
Wittgenstein
e la derivazione
della
teora
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I L S E N S O D E L PASSATI I
gli argomenti, e che Wittgenstein vi abbia contribuito, alcuni devono spiegare perch egli avrebbe cambiato idea. Ma spiegarlo
si potrebbe, e potremmo arrivare a capire che se Wittgenstein
non vedeva piti l'edificio di una disciplina intellettuale, la sua cecit non era quella di Sansone ma semmai quella di Edipo a Colono, che scomparendo lascia dietro di s acque salutari.
I testi postumi di Wittgenstein, pur non essendo intesi a manifestare o incoraggiare urna teoria, non ne escludono realmente
la derivazione. Con Nietzsche invece la resistenza alla continuazione della filosofia con mezzi consueti sostanziata nel testo,
che blindato non soltanto contro i l tentativo di ricavarne una
teoria, ma in molti casi contro qualsiasi esegesi sistematica che
10 assimili a una teoria. A questo la scrittura di Nietzsche arriva,
in parte con la scelta dei suoi argomenti, in parte con il suo stile
e gli atteggiamenti che esso esprime. Queste caratteristiche si oppongono a una mera esegesi di Nietzsche o a una sua incorporazione nella storia della filosofia come fonte di teorie. Alcuni ritengono che queste caratteristiche si oppongano all'incorporazione di Nietzsche nella filosofa come operazione accademica,
ma concluderne che Nietzsche non abbia importanza per la filosofa, sicuramente un errore. Nell'insistere sull'importanza di
Nietzsche per la filosofia, intendo qualcosa che non pu essere
eluso da una definizione di "filosofa". I n particolare non p u essere eluso appellandosi a un'antitesi tra filosofa "analitica" e filosofia "continentale". Questa classificazione ha sempre comportato una contaminazione piuttosto bizzarra di metodologia e
topografa, come se si volessero classificare le automobili in automobili a trazione anteriore e automobili giapponesi; ma, a prescindere da questo e da altri aspetfi assurdi della distinzione, c'
11 fatto pi immediato che nessuna classificazione di qLiesto genere pu eludere le persistenti continuit tra l'opera di Nietzsche
e l'attivit di ci che chiamano filosofia. Ignorarle, perlomeno
nella filosofia morale, non significa soltanto adottare uno stile,
ma scansare un problema.
A ragione Michel Foucault ossei"v in una delle sue ultime interviste che non esiste un unico nietzscheismo e che la giusta domanda da porre "che uso serio si p u fare di Nietzsche?". Un
uso serio di aiutarci con istanze che emergono in qualsiasi filosofia seria (in particolare nella filosofia morale) che non eluda
la pi sostanziale delle sue questioni. Nietzsche non ci aiuter se
lo si prende come un pensatore che ci imponga un certo metodo. Ho gi detto che considero i suoi testi ben al sicuro da un'esegesi che voglia derivarne una teoria; da questo per non consegue, ed importante che non consegua, che quando tentiamo
di far di lui un uso serio, la nostra filosofia non debba contene-
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re una teoria. Ci perch le persistenti continuit tra i suoi problemi e la nostra attivit vanno in entrambe le direzioni. Alcuni
degli argomenti da lui toccati verranno meglio affrontati - il che
vuol dire: affrontati i n maniera da comprenderli meglio - con
tutt'altri stili di pensiero e forse con qualche teoria di diversa provenienza; sicuramente non con formule magiche teoriche, o anche antiteoriche, che si vorrebbero tratte dallo stesso Nietzsche.
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a b b i a m o granch idea d i quali siano questi t e r m i n i o come possa configurarsi vm'attivit morale "speciale" aderente al natural i s m o . Se ci consentito d i definire l'attivit morale i n qualsiasi
m o d o l'attivit morale sembri suggerire, i l naturalismo n o n escluder nulla e n o i c i r i t r o v e r e m o al p u n t o d i partenza. I l guaio
che i l termine stesso "naturalismo" richiede u n approccio verticistico, nel quale si presume che conosciamo gi quali t e r m i n i ci
vogliano per definire u n qualsiasi fenomeno "naturale", e siamo
i n v i t a t i ad applicarli all'attivit morale. N o i per n o n sappiamo
q u a l i siano quei t e r m i n i , a meno che n o n siano ( i n u t i l m e n t e ) i
t e r m i n i della fisica; ed questo che p o r t a alla difficolt.
I n questo imbarazzante frangente possiamo trovare i n Nietzsche sia u n atteggiamento generale sia dei suggerimenti specifici che possono esserci d i grande aiuto.^ Dir qualcosa pi avant i sul m i o modo d i intendere certi suoi suggerimenti. I l suo atteggiamento generale ha due aspetti che ci riguardano, e che vann o considerati insieme. Primo, alla d o m a n d a "Quanto debbono
le nostre spiegazioni dell'attivit specificamente morale aggiungere alle nostre spiegazioni della restante attivit umana?", la r i sposta : " I l meno possibile". E quanto pi una visione morale
degli esseri u m a n i sembra ricorrere a materiah specialmente dep u t a t i agli scopi della morale (certe concezioni della volont, ad
esempio), tanto pi abbiamo motivo d i domandare se n o n possa
darsi una spiegazione pi i l l u m i n a n t e che si fondi soltanto su
concezioni di cui c i serviamo comunque i n altri a m b i t i . Questa
richiesta di u n m i n i m a l i s m o psicologico morale non per semplicemente applicazione d i un'occamistica volont d i economia:
e questo il secondo aspetto dell'atteggiamento generale d i Nietzsche. Senza farci guidare dall'idea d i q u a l i materiali c i servano
p e r l e nostre spiegazioni economiche, un simile atteggiamento ci
far semplicemente ricadere nella difficolt i n cui gi siamo i n corsi. L'impostazione d i Nietzsche d i individuare u n eccesso d i
contenuto morale nella psicologia richiamandosi i n p r i m o luogo
a ci che un interprete esperto, onesto, acuto e non o t t i m i s t i c o
comprenderebbe della condotta u m a n a . Questo interprete sarebbe - per sen'irci d i un'espressione sfacciatamente valutativa
- "realistico", e n o i d i r e m m o che questa impostazione c i spinge
i n direzione d i una psicologia morale p i u t t o s t o realistica che naturalistica. I n gioco n o n soltanto l'applicazione di u n p r o g r a m m a
^ Ovviamente l'interesse di questa analisi si indirizza in prevalenza alle opere maggiormente "scettiche" di Nietzsche, pi che alle sue idee (per esempio) di
autosuperamento. E non si pu negare che anche queste abbiano la loro utiht.
C o m e che sia, non c' speranza di ottenere qualcosa dalle sue aspirazioni liberatorie senza contrapporle al suo discorso sulla morale coiTente.
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Illusioni dell'io
Seriamente parlando, ci sono buone ragioni per sperare che in filosofia ogni dogmatizzare, per quanto si sia atteggiato in maniera pomposa, definitivamente e universalmente valida, possa essere stato
soltanto una nobile bambocciata e una cosa da principianti; e che
forse assai prossimo il tempo in cui si comprender sempre pi che
cosa propriamente stato sufficiente per fornire le fondamenta a tali sublimi e assolute costiarzioni dei filosofi, quali i dogmatici fino a
oggi hanno edificato - una qualche superstizione popolare di et immemorabile (come la superstizione dell'anima che, quale superstizione del soggetto e dell'io, ancor oggi non ha cessato di creare disordini), forse un qualche giuoco di parole, una seduzione a opera
della grammatica o una temeraria generalizzazione di dati di fatto
molto angusti, molto personali, molto umani, troppo umani.^
Molte idee possono ricavarsi da questo complesso: ad esempio, che noi non facciamo mai veramente una cosa, che nessun
accadimento un'azione. Ancor pi interessante una lettura di
Nietzsche secondo cui l'azione una categoria interpi-etativa funzionale, ma locale o prescindibile; a me questo pare altrettanto
poco plausibile, ma c' chi l'ha accolta.'' Se gli uomini compiono
' Ivi, Prefazione. Il riferimento a Lichtenberg, pi oltre, si trova nel paragrafo 17.
*> Nietzsche, Aurora, 120. Il passo sull'alba, citato oltre, si trova anch'esso in
Aurora, 124.
' Per esempio Frthjof Bergmann, Nielzsche's Critique of Muralily in Reading
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Questo i l l u s t r a t o chiaramente dal m o d o i n c u i alcuni studiosi consider a n o la concezione o m e r i c a dell'azione; n o n t r o v a n d o i n Omero quest'idea d'azione, hanno ritenuto che i greci dell'et arcaica o n o n avessero alcuna idea d'azione, o ne avessero u n a imprecisa, dalla quale era assente i l concetto d i volont.
E s a m i n o questa e altre c o n c e z i o n i errate affini i n Shame and Necessity: se ne veda in particolare il c a p i t o l o 2,
" Nietzsche, Genealogia della morale, P r i m a dissertazione, sez. 13,
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Ci sono due idee u t i l i i n questo discorso. Una che l ' i m m a gine contro c u i Nietzsche si scaglia i m p l i c a una sorta d i conto
doppio. L'io che la causa viene ingenuamente introdotto come
causa di un'azione. Se i l mio io-agente produce soltanto u n i n sieme d i eventi, n o n avr forse quanto basta per un m i o coinvolgimento nell'azione: sar tutt'al pii i l "pilota della nave" d i cui
parla Descartes. L a duplicazione dell'azione deriva anche dall'idea che la forma della causazione sia quella del comando. U b b i dire a u n comando consiste i n un'azione; m a comandare a sua
volta un'azione. L'io pu agire ( i n u n momento piuttosto che i n
u n altro, ora p i u t t o s t o che p r i m a ) solo facendo qualcosa - la cosa che fa volere; m a , per piri d'una ragione, ci che cos compie
sembra essere a sua volta un'azione. Nel fare di un'azione qualcosa che introduce u n agente-causa, i l ragionamento rivela una
poderosa tendenza a produrre due azioni.
I l secondo pensiero utile che si ricava da Nietzsche che u n
ragionamento t a n t o particolare deve avere uno scopo, e che lo
scopo morale.
L'oggetto
della
riprovazione
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Se c' chi lamenta d i essere v i t t i m a d i u n danno, c i sono anche u n agente da riprovare e u n atto d i questo agente che ha p r o vocato i l danno. L'ira della vittima passa dal danno all'atto dell'agente; e i l risarcimento o indennizzo offerto dall'agente equivarr all'ammissione sia del danno sia dell'esserne l u i stato causa. Poniamo che l'agente danneggi la v i t t i m a , e che lo faccia intenzionalmente e volontariamente: dove n o n si assume che "intenzionalmente e volontariamente" richieda i l meccanismo speciale della volont, ma si intende soltanto che l'agente sapeva quel che faceva, voleva farlo ed era i n uno stato mentale normale nel farlo.
Poniamo che l'agente n o n sia disposto a risarcire o indennizzare la vittima, e che quest'ultima non abbia i l potere d i c o s t r i n gervelo. Nel rifiutare u n a riparazione l'agente rifiuta d i r i c o n o scere la vittima o i l suo danno: che u n a prova particolarmente
viva dell'impotenza della vittima.
Queste circostanze possono generare, nella vittima o i n altra
persona che ne prenda e parti, una fantasia molto particolare d i
prevenzione restrospettiva. I n quanto v i t t i m a , io ho la fantasia di
i n t r o d u r r e nell'agente u n riconoscimento della mia persona che
sostituisca esattamente quell'atto con c u i m i ha danneggiato. Voglio credere che se avesse riconosciuto la m i a persona, avrebbe
evitato d i farmi del male. Ma l'idea n o n pu essere che io i n qualche modo empirico avrei potuto prevenirlo: quest'idea contiene
solamente i l rimpianto che ci non sia avvenuto realmente e, cos stando le cose, i l ricordo d i un'umiliazione. L'idea dev'essere i n vece che io, adesso, v o r r e i trasformare l'agente, da uomo che n o n
m i riconosceva come persona, i n u o m o che m i riconosceva. Questa fantasticata trasformazione magica n o n implica realmente la
trasformazione d i nulla, e non ha dunque nulla a che fare c o n ci
che potrebbe, semmai, avere veramente trasformato la realt. Presuppone semplicemente l'idea dell'agente nel momento dell'azione, quella dell'azione che m i ha fatto del male e quella del r i f i u t o
di tale azione, i l t u t t o isolato dalla rete d i circostanze i n c u i l'azione dell'agente era effettivamente inserita. Implica esattamente l'immagine della volont che gi stata svelata.
Da questo sentimento fondamentale possono derivare molte
cose. Esso pone le fondamenta della pi pura e semplice interpretazione della pena, ed assai significativo che i l linguaggio
della retribuzione i m p i e g h i naturalmente concetfi teleologici d i
conversione, educazione o emendamento ("dargli una lezione",
"fargliela vedere") insistendo i n pari t e m p o che i l suo i n t e n t o
i n l.ermini d i somiglianze, i l che richiede u n ' i n t e r p r e t a z i o n e psicologica Con
m o l t a approssimazione p o s s i a m o dire che u n a genealogia nietzscheana p r e n de le mosse da Davidson pi l a storia.
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psicologico speciale e le esigenze della morale ci consente d i vedere che questa psicologia anch'essa u n concetto morale, e segnatamente una. psicologia che condivide certe dubbie caratteristiche con quella morale particolare. Oltre a ci, sapremmo fornire ulteriori concetti psicologici che ci aiutino a capire le motivazioni d i quella f o r m a particolare dell'eticit. Tali concetti, che
Nietzsche raccoglie sotto i l nome d i risentimento, p o r t a n o sicuramente f u o r i della sfera etica, nelle categorie d'ira e d i potenza,
e n o n pu essere semplicemente u n a questione filosofica decidere quanto tali categorie siano i n grado d i spiegare. Potrebbero essere necessarie altre spiegazioni, e pu darsi che p o i si dimostirino pi i n t i m a m e n t e legate a concetti d i equit, per esempio. M a
contrapponendo l'una all'altra quelle spiegazioni, e interpretando
la psicologia del volere come esigenza del sistema morale, ci troveremo a seguire u n percorso peculiarmente nietzscheano i n d i rezione della naturalizzazione della psicologia morale.