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Sistemi colloidali
La scienza dei colloidi si occupa di sistemi nei quali uno o pi componenti hanno
dimensioni tra i 10-6 e 10-9 m. Molti sistemi colloidali hanno numerose applicazioni di tipo
pratico. I colloidi sono costituiti da una fase dispersa (o discontinua) distribuita in una fase
disperdente (o continua). Una distribuzione uniforme di particelle (fase dispersa o
discontinua) in un dato stato di aggregazione disperse in un mezzo di diversa natura detta
dispersione.
La denominazione dei colloidi dipende dal carattere delle due fasi presenti. I sol sono
dispersioni di solidi in liquidi (per esempio, gli agglomerati di atomi di oro in acqua) o di
solidi in solidi (come il vetro rubino, che un sol di oro nel vetro e manifesta il caratteristico
colore in virt della diffusione). Gli aerosol sono dispersioni di liquidi in gas (come la nebbia
e le nebulizzazioni, i cosiddetti spray) e di solidi in gas (come il fumo). Le emulsioni sono
dispersioni di liquidi in liquidi (come il latte). Qualche volta si comprendono anche le
schiume, dispersioni di gas in liquidi (come la birra) o di gas in solidi (come la pomice).
Unulteriore possibile classificazione distingue i colloidi in liofili (inclini ad attrarre il
solvente) e liofobi (inclini a respingerlo) oppure, se si tratta di acqua, in idrofili ed idrofobi.
Fra i colloidi liofobi si annoverano i sol metallici. In generale i colloidi liofili presentano
qualche elemento di affinit chimica nei confronti del solvente, per esempio gruppi ossidrili
atti a stabilire legami idrogeno. Un gel una massa semirigida di sol liofilo che ha assorbito
tutto il mezzo disperdente.
necessario classificare i sistemi colloidali per poterne capire le differenze, e tra le varie
classificazioni quella pi utilizzata e quella che si basa sullo stato di aggregazione delle fasi
(Tabella 1).
Tabella 1: Alcuni esempi di sistemi colloidali.
Fase
dispersa
Liquido
Mezzo
disperdente
Gas
Solido
Gas
Liquido
Liquido
Solido
Liquido
Classe
Esempio
Notazione
aerosol
liquido
aerosol
solido
emulsioni
l/g
pulviscolo, fumo
s/g
latte, creme,
maionese
vernici, sol di Au,
pasta dentifricia
l/l
sol, sospensioni,
paste
s/l
Solido
Solido
lega
s/s
Gas
Liquido
schiuma
g/l
Gas
Solido
Liquido
Solido
schiuma
solida
gel
schiume da sapone
e da estintore
plastica espansa
(polistirene)
gelatina
g/s
l/s
2. I tensioattivi
I tensioattivi sono prodotti che offrono numerose potenzialit applicative come detergenti,
emulsificanti, agenti disperdenti, schiumeggianti, ecc., e sono alla base di moltissime
applicazioni industriali: in agricoltura, edilizia, come adesivi, come additivi per il cemento, in
liquidi per la pulizia a secco o detergenti per la casa (detersivi) e per lindustria, per la
fluidificazione del carbone, come additivi per rivestimento (coating), in prodotti farmaceutici
e cosmetici o fotografici, per la polimerizzazione di emulsioni, nel trattamento di pelli e
cuoio, nella flottazione, nella lubrificazione, nellindustria della carta o del tessile, per il
recupero di petrolio, negli inchiostri e nelle vernici.
Le propriet di queste sostanze sono legate alla loro struttura chimica, infatti essi sono
costituiti da una testa polare, che solubile in acqua, ed una coda idrofobica, che solubile in
solventi organici come gli idrocarburi. I tensioattivi possono essere classificati in base a
diversi criteri, ma quello che risulta essere pi esaustivo e chiaro senza dubbio quello che si
riferisce alla struttura chimica. In dipendenza dalla struttura del gruppo idrofilo, un
tensioattivo pu essere classificato come:
Non ionico
Cationico
Anionico
Zwitterionico.
Costituito, quindi, da un gruppo idrofilo non ionico (alcoli, poliossietileni, gliceridi, eteri,
esteri, ammine, ammidi, tioli, tioeteri, ecc), oppure da un gruppo ionico sia cationico (sali
di ammonio quaternari) che anionico (carbossilati, solfati, solfonati, fosfati, ecc) o anche da
uno zwitterione (fosfolipidi, lecitine, sulfobetaine), cio con la contemporanea presenza di un
gruppo anionico e cationico. Tipici aggregati di interesse biologico, costituiti da molecole di
tipo zwitterionico, sono le membrane cellulari, i cui principali componenti sono i fosfolipidi
(Figura 1)
Un altro tipo di classificazione dei tensioattivi stata proposta sulla base di un parametro
definito bilancio idrofilo/lipofilo (hydrophilic-lipophile balance, HLB). Suggerito per primo
da Clayton si basa sul rapporto tra dimensioni e forza della frazione idrofila e lipofila della
molecola. E un parametro empirico assegnato a tensioattivi non-ionici sulla base di una
ampia serie di esperimenti su emulsioni preparate utilizzando un consistente numero di
tensioattivi. Il parametro HLB assume valori compresi tra 1 e 40; i valori pi bassi si
riferiscono ai tensioattivi maggiormente solubili nella fase olio; valori piu alti a quelli
solubili in acqua. Con valori alti troviamo, quindi, tensioattivi a carattere prevalentemente
idrofilo che possiedono una buona solubilit in acqua ed in genere sono utilizzati come
detergenti, agenti solubilizzanti e stabilizzanti delle emulsioni olio in acqua (vedi paragrafo
4). In basso nella scala troviamo tensioattivi con scarsa solubilit in acqua utilizzati come
emulsionanti acqua in olio. Valori intermedi di HLB indicano tensioattivi utilizzati come
bagnanti, schiumeggianti e stabilizzanti. Una pi dettagliata classificazione delle propriet dei
tensioattivi secondo i valori di HLB riportata in tabella, con riferimento al loro potere
emulsificante e di dispersibilit.
Nel caso dei tensioattivi ionici, si chiama controione lo ione che bilancia la carica della testa
polare: ad esempio, nel caso del bromuro di diottadecildimetilammonio (DODAB), il Br- il
controione del [(H3C(CH2)17)N(CH3)2]+, oppure nel caso del sodio dodecilsolfato (SDS), Na+
il controione del H3C(CH2)11-O-SO3-.
Tabella 2: Bilancio idrofilo/lipofilo (hydrophilic-lipophile balance, HLB).
Potere emulsificante
Dispersibilit
1-6
W/O
1-4
6-9
Wetting agent
3-6
Scarsa dispersibilit
8-18
O/W
6-8
13-15
Detergente
8-10
15-18
Solubilizzante
10-13
>13
Dispersione chiara
In
funzione
della
struttura,
delle
caratteristiche
chimiche,
della
concentrazione, della temperatura, della forza ionica, del solvente e di altri eventuali soluti,
man mano che il numero di molecole di tensioattivo sciolte in soluzione aumenta, queste
possono formare dapprima piccoli oligomeri (dimeri, trimeri, tetrameri, ecc.) e in seguito
degli aggregati con un numero di aggregazione2 maggiore, in generale compreso tra 50 e 200.
Esistono vari tipi di aggregati supramolecolari, di varie forme geometriche e dimensioni, ma
in tutti i casi le teste polari si trovano a diretto contatto con le molecole di acqua, costituendo
il guscio (shell) idrofilo, mentre le catene alifatiche vengono segregate nel cosiddetto core
idrocarburico, che presenta propriet chimico-fisiche (ad esempio densit, mobilit e costante
dielettrica) molto simili a quelle degli idrocarburi liquidi. Tali "aggregazioni", particolarmente
frequenti in soluzione acquosa, sono originate dall'instaurarsi di interazioni attrattive, come i
legami idrofobici (non covalenti), tanto pi numerosi quanto maggiore la concentrazione di
tensioattivo disciolto, fino a formare strutture associate dette micelle (vedi figura 2).
Strutture supramolecolari: Il termine deriva dal tedesco Ubermolekule, introdotto nel 1937 per descrivere le
entit ad elevata organizzazione, derivanti dallassociazione di specie a coordinazione saturata.
2
Numero di aggregazione: numero medio di molecole che costituiscono laggregato colloidale (ad es. in una
micella)
Non tutte le sostanze tensioattive possiedono queste due propriet. La formazione di micelle
quindi legata ad un corretto bilancio tra la parte idrofobica e quella idrofilica del tensioattivo.
In effetti, non mai stato possibile isolare una micella, ma parecchie sono le grandezze
chimico-fisiche che permettono di rivelare la formazione di dispersioni micellari, quando
I principali fattori che influenzano i valori della c.m.c. sono legati sia alla struttura chimica
del tensioattivo che alla natura del solvente e ad altri parametri come la pressione, la
temperatura, la forza ionica della soluzione, il pH, ecc. In generale si riscontra che:
laggiunta di sali alla dispersione micellare induce una diminuzione della c.m.c.
maggiormente sentita dai tensioattivi ionici quindi dagli zwitterionici ed infine dai non
ionici;
la variazione di temperatura ha effetti diversi: nel caso di un tensioattivo ionico esiste una
temperatura, detta Krafft Point, oltre la quale si ha la formazione delle micelle. Laffinit
con lacqua di un tensioattivo anionico aumenta proporzionalmente con la temperatura,
perch aumenta la dissociazione della testa polare. Per un tensioattivo non ionico al di
sopra di una certa temperatura, il Cloud Point, il sistema si separa in due fasi: una
contenente micelle, laltra con tensioattivo in quantit prossima alla c.m.c.;
leffetto del pH importante perch pu variare la carica del gruppo polare, da ionico a
non ionico, oppure da zwitterionico a ionico.
Strutture
Preparazione
Micelle
Micelle inverse
Microemulsioni
Monostrati3
Vescicole Liposomi4
Monostrato: film (aggregato bidimensionale) di molecole orientate rispetto allinterfase di spessore pari alle
dimensioni della molecola stessa.
4
Vescicole e liposomi: strutture sferiche chiuse, composte da bistrati lipidici curvi, che intrappolano parte del
solvente al loro interno
5
E uno dei possibili metodi
(b)
Propriet
Peso
Molecolare
Diametro
idrodinamico
Stabilit alla
diluizione
Micelle
Micelle
inverse
Microemulsioni
40-100
50-5000
Monostrati
Vescicole
Liposomi
Dipende dallarea
>107
coperta e dalla
densit di
300-10000
copertura
Dopo giorni (o Dopo mesi
settimane)
(o settimane)
Per spiegare la possibilit di avere diverse forme di aggregati necessario fare alcune
considerazioni di carattere geometrico. Infatti le principali forze che governano
laggregazione spontanea di anfifili, cio la formazione di micelle, bistrati, vescicole, ecc,
derivano dalle interazioni idrofobiche fra le catene idrocarburiche che inducono le molecole
ad associarsi e dallopposta natura dei gruppi idrofili che impongono alle molecole di
rimanere in contatto con lacqua. Questi due tipi di interazione sono fra loro competitivi ed
agiscono come forze opposte soprattutto nella regione interfacciale; luna, infatti, tende a
diminuire e laltra ad aumentare larea per molecola, ossia larea del gruppo polare esposto
alla fase acquosa. Il contributo attrattivo deriva soprattutto da attrazioni idrofobiche, cio da
tensione interfasale acqua/idrocarburo e quindi il contributo idrofobico allenergia libera pu
essere scritto come a. Il contributo repulsivo molto complesso, tuttavia possiamo assumere
che esista una relazione di proporzionalit inversa con a. Ne consegue che:
[1]
=a+k/a,
quindi idrofobico) nel quale sono solubilizzate sostanze insolubili in acqua. Naturalmente il
processo di solubilizzazione strettamente legato alle caratteristiche idrofobiche o idrofiliche
del substrato. Largomento sar approfondito nel paragrafo 7.
4. Microemulsioni e emulsioni
Le microemulsioni sono sistemi liquidi, omogenei, stabili termodinamicamente e otticamente
trasparenti costituiti da due liquidi immiscibili tra loro, ad esempio acqua e olio, luno
disperso nellaltro in forma di goccioline sferiche con dimensioni dai 50 a 1500. A
seconda che la fase dispersa sia lacqua oppure lolio si hanno microemulsioni del tipo acqua
in olio (W/O) od olio in acqua (O/W). Le microemulsioni sono stabilizzate da un tensioattivo
che abbatte la tensione superficiale allinterfaccia olio-acqua, e permette al sistema
unemulsificazione spontanea di una fase nellaltra. Sono stabilizzate da un monostrato di
molecole anfifiliche di natura ionica o non ionica la cui azione talvolta coadiuvata da quella
di un cotensioattivo non ionico solitamente un alcool o unammina, scelti in funzione del loro
HLB (Hydrophilic Lipophilic Balance).
Al contrario le emulsioni, sistemi eterogenei instabili termodinamicamente e con dimensioni
della fase dispersa maggiori, necessitano di un lavoro meccanico per essere formate. Peculiare
caratteristica delle microemulsioni la stabilit termodinamica, dovuta allabbattimento della
tensione interfacciale del sistema, fenomeno che non si osserva nella formazione delle
emulsioni.
Il ruolo del tensioattivo quello di abbassare la tensione superficiale allinterfase fino a
consentire il processo di emulsificazione spontanea di una fase nellaltra. Questultima
propriet differenzia radicalmente le microemulsioni dalle emulsioni ordinarie che, oltre ad
essere costituite da gocce della fase dispersa di dimensioni maggiori (diametro >2000
rispetto al diametro massimo di 1500 delle microemulsioni), necessitano di un lavoro
meccanico per potersi formare.
Nelle microemusioni le gocce sono quindi costituite da un nucleo, il core di fase dispersa, e
da una corona interfasale di spessore non trascurabile rispetto alle dimensioni della goccia,
in media intorno ai 20-50 .
Le microemulsioni, cos come le soluzioni micellari, a causa delle piccole dimensioni degli
aggregati, danno effetto Tyndall, cio diffondono la luce in tutte le direzioni dello spazio.
Proprio questo fenomeno sfruttato per lo studio delle loro dimensioni (si usano solitamente
due differenti tecniche: scattering di neutroni a basso angolo (SANS) e la diffusione di luce
(Quasi Elastic Light Scattering) che sfrutta proprio leffetto Tyndall).
Volume dellinterfase
(%)
Estensione superficiale
Interfase (m2 / 100 cc)
14
19
27
49
88
8 x 102
2 x 103
3 x 103
1 x 104
5 x 104
A causa delle dimensioni delle particelle di un sistema colloidale, il rapporto tra area
superficiale e volume molto alto e una porzione significativa di molecole viene a
trovarsi nella regione microeterogenea detta interfase. Il contributo che portano queste
molecole alle propriet termodinamiche del sistema diventa rilevante. In particolare
lenergia libera superficiale viene ad essere un termine fondamentale della variazione di
energia libera totale che accompagna qualunque trasformazione chimico-fisica.
Poich necessario spendere energia per generare una superficie evidente che un sistema
disperso costituisce un sistema ad elevata energia e pertanto spontaneamente il sistema tende
a trasformarsi in modo da minimizzarla. In termini pratici questo significa che, nel tempo, un
sistema disperso tende a presentare separazione netta di fase.
Parlare quindi, in campo applicativo, di stabilit di una sospensione ha senso solo dal punto di
vista cinetico, cio in base al tempo necessario al raggiungimento dello stato di equilibrio
termodinamico.
pertanto pi comodo fare implicito riferimento alla seguente definizione operativa: si
considera stabile una sospensione quando, data una certa porzione di volume, non vi sono
variazioni, in un dato intervallo di tempo, del numero totale di particelle ivi contenute. una
definizione in qualche misura ancora arbitraria, poich viene a dipendere dalla scala dei tempi
scelta. tuttavia comoda per i nostri scopi.
Tre sono i tipi di meccanismo attraverso i quali il numero di particelle pu decrescere:
collidere e quindi coalescere. Le cause di tali fenomeni risiedono nella natura delle forze
interparticellari in gioco e, grazie allo studio e alla razionalizzazione di queste, possibile poi
intervenire sui parametri che governano i meccanismi di stabilizzazione dei sistemi dispersi
(vedi anche approfondimento successivo).
Figura 8: Curve di energia totale di interazione (ottenuta dalla somma di curve di attrazione e
di repulsione, considerando due curve di repulsione di differente altezza)
Formazione di sedimento
La formazione di un sedimento da una sospensione un fenomeno ben noto, conseguenza
della maggiore densit delle particelle rispetto alla fase continua liquida. Quando le particelle
sono sufficientemente piccole, per esempio nel range dimensionale dei colloidi, alla forza
gravitazionale opposta la forza diffusionale associata alla energia cinetica traslazionale delle
particelle (cio al loro moto browniano). Quando lenergia di diffusione browniana (che
4/3a3(0-)g = 6h0aV0
da cui si ricava:
[3]
V0 = [2a2(0-)g]/9h0
WSD = DW + SW - SD
Dove con S si indica lo sporco, con D la superficie solida e con W l'acqua. L'azione del
detergente consiste nellabbassare DW e SW, diminuendo pertanto WSD ed aumentando la
facilit con cui le particelle di sporco possono essere distaccate dalla superficie per agitazione
meccanica.
Se lo sporco fluido (olio o grasso), la sua rimozione pu essere considerata un fenomeno
dipendente dai valori di angolo di contatto. L'addizione di un detergente consente, infatti, di
abbassare l'angolo di contatto al punto triplo di contatto tra le fasi solido-olio-acqua.
tensioattivo indissociate e non risente invece della concentrazione di micelle (se non come
riserva di molecole indissociate in seguito al loro adsorbimento dalla soluzione). Risulta,
quindi, che le propriet molecolari dei tensioattivi associate ad una buona azione detergente,
possono originare un processo competitivo piuttosto che contributivo quale la formazione di
micelle. La figura 12 illustra in maniera schematica le diverse fasi del processo di rimozione
di grasso da una superficie solida per effetto dell'azione di un detergente e di successiva
azione meccanica.
In (a) riportata una superficie coperta con sporco grasso; l'acqua da sola non in grado di
rimuovere lo sporco a causa della sua elevata tensione superficiale e della conseguente
modesta capacit di bagnamento del sistema (b). In (c) illustrato l'iniziale effetto del
detergente aggiunto.
Le parti idrofobiche delle molecole di detergente sono in grado di interagire fortemente con le
molecole idrofobiche di grasso in maniera competitiva al supporto, meno affine allo sporco,
fino a scalzarle dal supporto stesso. Lo sporco pu essere a questo punto facilmente rimosso
per azione meccanica. Lo sporco viene poi tenuto sospeso (d) nel solvente, in quanto le
molecole di detergente formano uno strato adsorbito sulla superficie pulita ed attorno alle
particelle di grasso rimosse tale da rendere nulla la affinit tra il supporto e le particelle
rimosse. In queste condizioni possono essere facilmente rimosse meccanicamente.
Figura 12: Rimozione di grasso da una superficie solida per effetto dell'azione di un
detergente e di una successiva azione meccanica