You are on page 1of 2

Linguaggio dei segni e iconicità

Le ricerche condotte negli ultimi 40 anni hanno dimostrato che le lingue dei segni possiedono
molte caratteristiche (come l’arbitrarietà), strutture e funzioni linguistiche simili a quelle delle
lingue vocali anche se sono indipendenti dalle lingue parlate della stessa area geografica. Sin dalle
prime ricerche sulle lingue dei segni, i ricercatori hanno notato che, in molti casi, le forme dei segni
assomigliano o, in un certo senso, “portano alla mente” le forme degli oggetti, azioni od eventi che
rappresentano (ad esempio in LIS il segno per “dormire” richiama l’azione di appoggiare la testa sul
cuscino). Questa caratteristica, definita iconicità, ha portato ad indagare la relazione di somiglianza
tra il segno ed il suo referente. Un’importante conseguenza dell’iconicità dei segni è che persino un
udente che non ha familiarità con alcuna lingua dei segni può, più o meno appropriatamente,
“leggere” o “indovinare” il significato di un segno o trovare una connessione tra il segno e
l’oggetto, evento od azione che quel segno rappresenta. Una serie di test (Klima e Bellugi, 1976)
dimostrano che molti dei presunti effetti iconici rilevati da spettatori udenti sviano dai significati
autentici, precludendo loro la capacità di capire cosa i segnanti stiano trasmettendo. Questi test
mostrano come a tali osservatori sembra spesso di intuire qualcosa che però puntualmente sfugge
loro: solo se poniamo un sistema linguistico strutturato in maniera tale che degli elementi linguistici
segnati possano essere messi in risonanza interna, si può affermare la presenza di un principio
iconico forte. Al di fuori di quest’apparato di convenzioni, per buona parte arbitrario, ogni
rivendicazione di iconicità delle lingue segnate si dissolve in false interpretazioni. I test
consistevano nel mostrare a persone udenti e non-segnanti una serie di segni, chiedendo loro di
intuirne il senso. Meno del 10% rispose correttamente, anche se nella maggioranza era forte la
tendenza, poi delusa, ad individuare tracce di manifestazioni iconiche; anche fornendo serie di
risposte multiple, una sola delle quali esatta, le risposte corrette superavano appena il 10% del
totale. Questi esperimenti furono ripetuti (Klima e Bellugi, 1979) fornendo agli spettatori il
significato dei segni rappresentati, con l’intento di capire se gli individui udenti non-segnanti
fossero in grado di rintracciare la motivazione iconica che ha guidato i segnanti a produrre un segno
in quel particolare modo. In questo caso i risultati furono ribaltati, infatti circa il 90% del campione
rispose correttamente alle domande. Alla luce di questi risultati, i due autori avanzarono alcune
ipotesi circa la natura iconica dei segni e le modalità di riconoscimento utilizzate dagli osservatori,
sia sordi che udenti. I segni riconosciuti anche dagli spettatori udenti non-segnanti (quindi solo in
virtù di una somiglianza con la realtà rappresentata) furono definiti “trasparenti”, dato che la loro
produzione sembra raffigurare la realtà delle cose. I segni rimasti incomprensibili nel corso dei
primi test li definirono “opachi”, nel senso che il loro significato rimane oscuro se non si conosce
quella particolare lingua segnata. Gli esiti dei test del 1979 spinsero inoltre gli autori a coniare il
nuovo appellativo di segni “translucidi”: segni che, in un primo momento definiti opachi, risultano
poi trasparenti agli occhi degli osservatori, non per riconoscimento intuitivo, ma per una
mediazione culturale fondata cioè sulla competenza di osservatori esperti. Klima e Bellugi (1979),
in un altro esperimento, analizzarono gli errori di intrusione durante compiti di rievocazione. I
risultati mostrarono che i soggetti sordi commettono sia errori fonologici che semantici, ma con una
netta prevalenza dei primi. Gli autori utilizzarono quindi l’elevata presenza di errori fonologici per
sostenere che i sordi scompongono i segni, nelle loro componenti, come gli udenti scompongono le
parole (da qui gli errori fonologici) e che, nonostante la somiglianza tra alcuni segni e il loro
significato, questi non possono essere definiti iconici. Quanto detto sino ad ora potrebbe
erroneamente portare a pensare che, nelle lingue dei segni ,alcuni segni si riferiscono alla parola che
rappresentano in base a convenzioni linguistiche, come per le lingue verbali, mentre altri per il fatto
che assomigliano a ciò che rappresentano. L’erroneità di quanto detto può essere mostrata tramite
un esempio: considerando la parola “albero” in LIS e ASL possiamo dire che, pur essendo segni
differenti, rievocano entrambi la forma dell’albero. Proprio il fatto che siano differenti però ci fa
notare che non ogni segno che richiama l’albero in una lingua dei segni è utilizzato per dire
“albero”, ma è scelto sulla base di una convenzione. Questo mostra, come avviene nelle lingue
verbali, che nelle lingue dei segni il rapporto tra i segni e ciò che rappresentano è convenzionale.

Info @ http://psychomer.blogspot.com

You might also like