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IL FILM
Da dieci anni ormai Home Movies Archivio Nazionale del Film di
Famiglia salvaguarda la memoria filmica privata. Questa missione
molto complessa non avviene solo attraverso la fondamentale opera
di raccolta e conservazione dei materiali filmici amatoriali, ma anche
con la valorizzazione di questo patrimonio. Nel caso di Formato Ridotto
la sfida stata quella di andare oltre (senza per tralasciarla) lattivit
di ricontestualizzazione storica dei documenti filmici, cercando di far
emergere dalle immagini delle storie possibili, delle interpretazioni e delle
letture originali del passato e del presente dei luoghi da cui provengono.
Per far questo sono stati solleticati lo sguardo e la penna di cinque scrittori
fortemente legati al territorio, lasciando che ognuno sperimentasse, a suo
modo, lincontro con il cinema amatoriale.
Questa libert lasciata agli autori traspare dalla differenza di linguaggio,
approccio, lettura e interpretazione che ciascuno ha trovato in questo
incontro. Nessun episodio nasce dal semplice accostamento di due
elementi paralleli. Il lavoro di scrittura, selezione e montaggio frutto di
una ricerca profonda, anche quando un documento come il film di famiglia
diventa la base per un racconto di finzione.
Il film ha dato anche modo di far convergere diversi progetti che negli
anni hanno fatto crescere e maturare lesperienza di Home Movies. Le
immagini utilizzate sono state infatti raccolte, digitalizzate e catalogate
grazie a progetti realizzati in ambito regionale, come Una citt per gli
archivi della Fondazione Carisbo e della Fondazione del Monte di Bologna
e Ravenna, Film di Cassetto realizzato in collaborazione con la Cineteca
di Rimini e Cinema di Famiglia, progetto pluriennale frutto della partnership
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con lUniversit degli Studi di Modena e in particolare con il laboratorio audiovisivo della sede di Reggio
Emilia RelabTv. Il film stato realizzato grazie al sostegno dellAgenzia di informazione e comunicazione della
Regione Emilia-Romagna che ha contribuito in maniera determinante alla sua realizzazione.
Il risultato un viaggio sorprendente nello spazio e nel tempo, uno sguardo originale e inedito che passa dal
mare alla montagna, dallo sport alla storia di vita, percorrendo le strade e i luoghi dellEmilia Romagna.tori, che
racconteranno la regione da prospettive diverse.
EPISODI
Il mare dinverno di Ermanno Cavazzoni
Perch gli umani occupano questo strano spazio che
la spiaggia? Come fa il mare a riappropriarsene? Una
rilettura in chiave apocalittica della vacanza al mare.
Uomini la domenica di Emidio Clementi
Il rito della partita di calcio vissuto da un gruppo di tifosi
degli anni Cinquanta, rivisitato attraverso le parole di
chi oggi lo osserva a distanza.
Uomo donna pietra di Enrico Brizzi
La scalata di una montagna come rito di iniziazione
alla vita amorosa in un racconto di fiction costruito su
immagini documentarie.
51 di Wu Ming 2
La pellicola del cineamatore Angelo Marzadori su un
festival dellUnit del 1951 origina un piccolo saggio sul
comunismo in salsa italiana.
Strade di Ugo Cornia
Un viaggio personalissimo sulle strade dellEmilia
Romagna attraverso un turbine di camera car, ricordi
e musica jazz.
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GLI SCRITTORI
Si cercato di creare un gruppo valido ed eterogeneo di scrittori in grado di rappresentare la variet che
contraddistingue una regione ricca di voci come lEmilia-Romagna. La selezione si basata anche su di un
confronto attivo e propositivo riguardo i temi da sviluppare. Gli scrittori coinvolti nel progetto sono Wu Ming 2,
Ermanno Cavazzoni, Enrico Brizzi, Ugo Cornia ed Emidio Clementi.
Wu Ming 2
Wu Ming 2 uno dei componenti del prolifico gruppo di scrittori bolognesi riuniti sotto il
nome collettivo Wu Ming, gi Luther Blisset - diventato celebre negli ultimi anni con numerosi romanzi, tradotti e pubblicati in molti paesi. Si ricordano per Einaudi: Q, Asce di guerra,
54, Manituana e Altai. Come solista ha pubblicato Guerra agli Umani, Il Sentiero degli dei
e Timira.
Ermanno Cavazzoni
Ermanno Cavazzoni ha esordito nella narrativa nel 1987 col romanzo Il poema dei lunatici
da cui Federico Fellini ha tratto il suo ultimo film La voce della luna. Tra le opere pi recenti
si ricordano: Gli scrittori inutili, Storia naturale dei giganti, Guida agli animali fantastici.
Enrico Brizzi
Enrico Brizzi ha esordito giovanissimo con il romanzo Jack Frusciante uscito dal gruppo.
Nel tempo ha allineato sugli scaffali romanzi, raccolte di testi brevi e graphic novel che lo
hanno reso tra gli autori italiani pi rappresentativi della generazione under 40. Tra I suoi
lavori pi recenti sono Linattesa piega degli eventi, La Nostra guerra, La vita quotidiana
in Italia ai tempi del Silvio.
Emidio Clementi
Emidio Clementi cantante, autore dei testi e bassista dei Massimo Volume. Parallelamente alla sua carriera musicale, ha portato avanti un percorso come scrittore, pubblicando romanzi dambientazione bolognese, come La notte del Pratello, Lultimo dio, Matilde
e i suoi tre padri.
Ugo Cornia
Ugo Cornia insegnante di filosofia e di sostegno in una scuola superiore di Modena, dove
nato e cresciuto. Ha cominciato a pubblicare alla fine degli anni novanta sulla rivista Il
semplice a cura di Gianni Celati e Daniele Benati. Ha esordito nel 1999 con Sulla felicit
a oltranza. Di recente sono usciti Modena piccolissima, Operette ipotetiche e Le storie
di mia zia.
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LA PRODUZIONE
Home Movies /Kin
La collaborazione tra Home Movies e Kin, nata in primo luogo da un
supporto tecnico della cooperativa allarchivio, si trasformata negli anni,
grazie ad un comune interesse per la salvaguardia e la valorizzazione del
cinema di famiglia, in una partnership per tutti gli aspetti di valorizzazione
e diffusione del patrimonio filmico dellarchivio.
Fin dalle origini larchivio di Home Movies si configurato come un centro di rielaborazione e diffusione del materiale audiovisivo recuperato. La
stretta partnership con Kin ha consentito di sviluppare questa vocazione
allargandola alla collaborazione di filmmaker di volta in volta incontrati. I
diversi sguardi degli autori di cinema documentario trovano ora una matrice comune nel lavoro archeologico dellArchivio, una base imprescindibile, frutto di una metodologia e di un processo ormai decennale. La
scommessa la stessa di una factory: chi produce incanala e supervisiona
lavori diversi per trovare un equilibrio tra lesigenza dellArchivio di svelare
se stesso, assumendo nuove forme (non limitandosi a quelle tradizionali
come il documentario narrativo), e la necessit di mantenere il rigore storico e filologico. La missione consiste anche nellintercettare giovani autori
desiderosi di confrontarsi criticamente con le immagini del passato e di
non limitarsi alla fascinazione che esse rappresentano. In altre parole, il
riuso delle immagini darchivio presuppone da parte dellautore una propensione alla ricerca e alla consapevolezza storica che non si possono
improvvisare. Mettersi al servizio delle immagini pi di un esercizio stilistico. Guardare e ri-guardare finisce per essere una forma di allenamento
dellocchio e per questo non fuori luogo parlare delle attivit di Home
Movies, non solo quelle legate alla formazione, come di una scuola dello
sguardo che unisce gli autori e gli spettatori.
Home Movies Kin formano dunque un binomio produttivo fondato sulla
volont di lavorare sulle immagini con la lentezza necessaria al metabolismo per comprenderne e interpretarne i valori sociali ed estetici.
In particolare, negli ultimi anni iniziato lo sviluppo di progetti a partire dai
film della famiglie e dei cineamatori che negli lArchivio ha acquisito.
Nel 2011 due progetti di documentario di Kin e Home Movies, sviluppati
a partire da fondi filmici conservati nellArchivio, hanno ottenuto il fondo
MEDIA per lo sviluppo e hanno creato interesse e ottenuto riconoscimenti
sia in contesti nazionali che internazionali.
Formato Ridotto un ulteriore risultato di questa collaborazione.
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www.homemovies.it
doc.kine.it
GLI AUTORI
Hanno curato e realizzato il progetto:
Antonio Bigini, autore e script editor. Ha collaborato come sceneggiatore
e assistente alla produzione con diverse case di produzione italiane, tra cui
Minimum Fax Media e Studio Azzurro. Per Kin responsabile dellideazione e dello sviluppo progetti. autore di Anita, film di prossima uscita
diretto da Luca Magi e di Eye on Art - Annina Nosei, documentario in produzione per la regia di Mareike Wegener.
antonio@kine.it
claudio@kine.it
paolosimoni@gmail.com
diego@itsounds.it
Le animazioni dei titoli di testa sono state realizzate da Luca Magi, artista,
regista e animatore che per Kin sta curando la regia del documentario
Anita.
lucamagi76@yahoo.it
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CREDITS
realizzazione
Antonio Bigini
Claudio Giapponesi
Paolo Simoni
testi
Enrico Brizzi
Ermanno Cavazzoni
Emidio Clementi
Ugo Cornia
Wu Ming 2
immagini
Home Movies - Archivio Nazionale del Film di Famiglia
raccolte nellambito dei progetti
Una citt per gli archivi
Fondazione Carisbo
Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna
Film di Cassetto
Cineteca di Rimini
Cinema di Famiglia
RelabTv / Universit di Modena e Reggio Emilia
supporto ricerche
Karianne Fiorini
Ilaria Ferretti
revisione pellicole
Lorenza Di Francesco
Sabina Silenu
telecinema HD
Mirco Santi
montaggio e postproduzione
Claudio Giapponesi
suono e mix
Diego Schiavo
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musiche originali
UOMO DONNA PIETRA
Diego Schiavo
Chiara Bonfante - chitarra
UOMINI LA DOMENICA
Massimo Carozzi - musica e sound design
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Massimiliano Amatruda - fisarmonica
STRADE
Fabio Cimatti
musiche eseguite da Gruppo Yaezir
Fabio Cimatti - sassofoni
Francesco Bucci - trombone
Francesco De Vita - chitarra
Enrico Versari - percussioni
fondi filmici utilizzati
VACANZE AL MARE
Buda, Cocchi, De Nittis, Dufern, Fabbrini, Lanci, Naccari, Rocchi, Scarpellini, Vecchi, Zamagna
UOMO DONNA PIETRA
Bagni, Calvi, Cavazzoni, Crotti , De Conti
UOMINI LA DOMENICA
Cavina, Fondo Anonimo
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Marzadori, Pascucci, Pasi
STRADE
Cavazzoni, Fuzzi, Marzadori, Ravazzini, Rattighieri-Draghi, Torresi, Valtorta, Vecchi, Vighi
ufficio stampa
Matteo Pasini
progetto realizzato in collaborazione con
Agenzia di informazione e comunicazione della Regione Emilia-Romagna
Roberto Franchini
Tiziana Zucchini
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Ermanno Cavazzoni
Questi Home Movies, i filmati casalinghi, mostrano un campionario di corpi con la pelle lucida per le creme solari. Sono i corpi dei bagnanti della
Romagna, che destate vanno a Rimini e a Riccione, al mare. Mentre i
genitori, contro ogni logica, si cuociono al sole i bambini se ne stanno in
riva al mare, come fosse il posto pi sicuro del mondo, scherzando con
quellimmensa distesa di acqua che sembra innocua. Ma poi arriva linverno e il mare si riprende ci che suo.
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Emidio Clementi
Il rito della partita la domenica. Un gruppo di amici che, a met degli anni
50, vuol mettersi per sempre alle spalle la guerra e vivere la spensieratezza di una partita di pallone. Ma il bianco e nero, certi volti, la nebbia delle
trasferte a Milano e le geniali riprese di Vittorio Cavina calano la prosaica
passione italiana per il calcio in un clima noir da Giungla dasfalto.
Ugo Cornia
Wu Ming 2
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Ermanno Cavazzoni
IL MARE DINVERNO
Quando estate, la popolazione umana si affolla lungo le rive del mare, in particolare dove sono
sabbiose. Questo un fenomeno del ventesimo secolo. Nei millenni precedenti una cosa simile
non era mai accaduta; il mare lo si temeva (e lo si rispettava).
Lesodo in genere dura luglio e agosto; e essendo la striscia di sabbia sottile, la popolazione si
addensa, come altre specie animali gregarie, pinguini, foche, otarie, e cos via. Il mare lascia che
facciano, anche se la spiaggia opera sua, lui che lha creata.
In estate il mare si limita a una leggera risacca, indifferente ai bagnanti che sguazzano; lascia che
si pianti unaltalena nellacqua bassa, e si facciano tutte le sciocchezze cui la razza umana molto
portata. Anche che si pianti un palo scivoloso e ci si arrampichi su, cio si tenti invano, perch anche se siamo sempre scimmie nella mentalit, non abbiamo per pi quattro mani.
Circa a met del ventesimo secolo, attorno al 1950, luomo fin da molto piccolo stato abituato ad
avere confidenza con la sabbia del mare; e a considerare il mare, cio la riva del mare, un campo
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di divertimenti: dove si scava, cos, senza costrutto, si mette la faccia nellacqua, o la faccia nel
salvagente per una foto ricordo, si usa una grossa signora come trampolino per fare dei tuffi, a ripetizione; in genere si usa di tutto pur di trastullarsi; si butta spesso in alto una palla; si va a cavallo del
fratello, si rema, o si fa qualcosa di simile al ballo o che ricorda per cos dire il ballo; si indossano
ochette gonfiabili, pesci gonfiabili, e ogni sorta di apparecchiatura gonfiabile.
Cio si sono abituati i bambini a prendere in ridere il mare, come fosse al servizio loro, un bonaccione che va avanti e indietro, e che serve come passatempo. O come argomento da cartolina: Saluti
dal mare, Ci divertiamo al mare e cos via.
Mentre il mare una cosa seria, che copre il 71% del pianeta, ha visto passare tante ere geologiche, tante specie animali, e vedr passare anche luomo, oltre che questo uomo balneare di questo
momento.
E intanto girano i venditori di cocco fresco, i venditori di gelati confezionati, i venditori di bibite con
la cannuccia; le venditrici di focaccine si mangia si lecca; e intanto passano sullacqua venditori di cappelli e pupazzi, il mare sembra al loro servizio.
Lungo la spiaggia lumanit ha costruito ingegnosi insediamenti di legno, cio quegli abitacoli detti
cabine; con camminamenti, porticati, punti di ristoro, musica, specchi, dove ci si pu dare un colpo
di pettine per abbellirsi. Sono citt in miniatura, lunghe e sottili, appoggiate sopra la sabbia. E su
cui regna il bagnino, una figura che per due mesi onnipotente.
Poi lestate finisce, e incominciano le piogge autunnali; lumanit scappa via. E come la gente in
massa venuta, in massa se n andata; la spiaggia rimane deserta. Ritornano le conchiglie, le
alghe, i naturali detriti. cambiata stagione; le ombre sono lunghe. Il sole bianco. E poi viene la
neve, com naturale dinverno.
Ed a questo punto che il mare si gonfia; ha portato pazienza tutto luglio e agosto, ha lasciato
passare settembre; adesso torna a occupare la spiaggia, che sua. Quello che ci ha costruito
sopra lumanit, al mare non gliene importa. Questo suo territorio. Il mare batte e ribatte; gonfia
londa e si infrange. Queste esili citt umane resistono poco; e il bagnino a questo punto non conta
pi niente. Che siano cabine con su scritto bagno sirena, bagno da Gianni; che ci sia stata musica,
giochi a palla, che ci siano stati amori estivi, occhiate, baci, arrivederci al prossimo anno, tutto
cancellato. Le assi si schiodano, tutto a poco a poco crolla, onda su onda; se lo mangia il mare.
Perch lui vuole espandersi sulla spiaggia libera, e insiste tanto che a fine inverno non c pi niente; rottami, mucchi di rottami e assi divelte.
Lumanit per, una sua caratteristica di non darsi per vinta. E allora spazza via tutto quello che
arrivato durante linverno, si raccolgono fascine, legni, pezzi di barca Tutto pattume, incompatibile con la folla balneante della prossima estate. Si pu trovare anche una scarpa (chiss laltra
dov finita).
Poi, ai primi tiepidi segni di unaltra estate, si ricomincia da capo. Sedia a sdraio, canottiera, occhiali da sole, cappello, si riavvia laltalena, si riflette Poi ecco il balneante che torna! E c chi
si azzarda nellacqua bassa per vedere se il mare si tranquillizzato e porter ancora pazienza.
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Emidio Clementi
UOMINI LA DOMENICA
Il senso del rito di una domenica pasquale. In macchina e in motocicletta diretti verso lo stadio. Si
va alla partita come si andrebbe a teatro o a una cena di gala: la sigaretta che pende dalle labbra,
i vestiti impeccabili. Poco importa se sono anni sbiaditi per il Bologna, dopo un passato di puro
splendore che rende il presente ancora pi anonimo.
Lungo la pista da atletica sfilano le Forze dellOrdine a passo di marcia, in fila per due. una citt
che tiene al senso del decoro: pochi cartelloni pubblicitari esposti sopra le gradinate, tifosi che
applaudono composti. Il modello emiliano nellepoca del suo massimo slancio. Si progetta, si costruisce, si amplia.
Non ci che abbiamo, ma ci che vogliamo sprona la cittadinanza il sindaco Dozza. I tifosi condividono: si adeguano come possono, ma non smettono di sognare.
I giorni precedenti ha piovuto. Il Bologna una squadra tecnica, un po viziata, che non ama la
fatica: il campo pesante potrebbe svantaggiarla. Terreno pettinato a festa, ma molliccio sul fondo
scrive Severo Boschi con la consueta spoglia raffinatezza sul Resto del Carlino del 28 aprile 56. La
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partita Bologna-Napoli, ottava giornata del girone di ritorno. Il Bologna ristagna nella parte bassa
della classifica, il Napoli pure. Ciononostante lo stadio gremito in ogni settore. Si attendono i gol
di Pivatelli, che puntuali arrivano. Segna anche Pozzan, e Vitali per il Napoli.
Il Bologna di queste ultime settimane pugnace, solido seppur lento, vivo di morale e di condizione atletica commenta il giorno dopo un preoccupato Boschi sta rendendosi conto ti quanto
sia difficile uscire dalla melma che lo ha lungamente invischiato nelle posizioni di coda. Non sono
bastati non bastano sei risultati utili consecutivi, diciannove reti segnate contro cinque soltanto
subite, laver attraversato incolume come una salamandra gli infuocati campi di Firenze e Roma per
scrollarsi di dosso quella posizione di penultima che continua a opprimere la squadra.
Da l a giugno il Bologna si riprender, scaler posizioni e finir quinto in classifica. Pivatelli, con
ventinove reti praticamente una a partita vincer la classifica cannonieri. In attesa di tempi migliori ci si accontenta di questo.
Via Rizzoli e Piazza Maggiore, Palazzo Re Enzo, la facciata di San Pietro. La bellezza corrosa dalla
familiarit. Un caff veloce in un bar del centro. Poi la solita scia di traffico domenicale lungo via
Saragozza. La fila ordinata ai botteghini.
una giornata fresca, da giacca e soprabito. Lo indossano tutti, seguendo lesempio di uneleganza conformista, ligia al clima e al giudizio degli altri.
Lappuntamento ai distinti centrali, sotto linsegna dellAlemagna.
Arrivano alla spicciolata, sorridenti. Sono le tre in punto di domenica 27 ottobre 1956. In Ungheria
appena esplosa la rivolta anti-sovietica, lAlgeria brucia, Boschi scrive: Il Palermo ha trascorso
la settimana a Ravenna dove si coscienziosamente allenato alla Darsena. Gli uomini stanno tutti
bene (...). Arrivati ieri mattina a Bologna hanno preso alloggio in un albergo del centro e nel pomeriggio sono andati al cinema.
Lazione parte dalla sinistra, una respinta maldestra del portiere Benvenuti, un esordiente il velo
di Pivatelli e Cervellati che realizza da pochi passi, sotto un sole basso, sbiadito, che allunga le
ombre e le assottiglia, fino a renderle simili a una scultura di Giacometti. il 15 del primo tempo.
La prospettiva della scorpacciata di gol auspicata da Boschi si fa concreta. Ma solo unillusione.
Pareggia Luosi, una mezzala con la faccia da veneto dArgentina, appena dieci minuti pi tardi.
Finisce uno a uno. Il Bologna si ritrova penultimo in classifica con cinque punti in sette partite.
Si torna indietro che ormai notte. Via Andrea Costa illuminata dai lampioni, le insegne spente, una
mestizia che dal campo si trasferisce allintera citt. A casa ci si toglie le scarpe e la cravatta. E poi?
Si cena con gli avanzi del pranzo? Ci si corica presto? Oppure si cerca di dilatare il pi possibile
quellultimo scorcio domenicale davanti alla radio o in qualche osteria del centro?
Il giorno dopo sul Carlino Boschi parla di fisionomia oblomoviana del complesso, pacioso e legnoso ad un tempo. Un Bologna che dorme, che rifiuta gli sforzi soprattutto morali e mentali, che si
accascia al pi lieve malessere.
il mattino del 20 gennaio 1957. Il Bologna gioca in trasferta contro lInter. Si tratta di un incontro
di cartello, anche se non in ballo la vetta della classifica. Il fatto per di partire per Milano otto ore
prima, fa sorgere il dubbio che la partita sia perlopi un pretesto.
In treno si ride, si parla animatamente.
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Milano accoglie i bolognesi nella sua veste consueta, che diventer presto parodia nazionale:
fredda, nebbiosa, distaccata. In cappotto, coi baveri alzati si sbircia fuori dai finestri del tram, forse
immaginando come sarebbe la propria vita tra quelle strade o alla ricerca di uno sguardo, un volto
di donna.
Pranzo da Boccaccio, un ristorante-tavola calda in Piazza Virgilio, a due passi da Cadorna. Da l
San Siro una linea retta verso ovest: via Vercelli, via Rembrandt, via Novara.
Molti si muovono a piedi lungo i marciapiedi alberati, alcuni in taxi, lo sguardo appena velato dallo
sforzo di una digestione pesante.
Sugli spalti si scorgono molte zone vuote. Forse il pubblico non s ancora ripreso dalleccezionale
ondata di freddo dellanno prima, quello per intenderci in cui nevic persino in Brasile. O forse il
Bologna a non attrarre pi le grandi masse.
La partita nervosa, a tratti scorretta. Il Bologna, che prima della gara incarnava il ruolo di vittima
sacrificale, lotta e rincorre e alla fine rischia addirittura di vincere. Finisce 2 a 2. Un risultato che alla
fine non accontenta nessuno.
Seduto poco distante in tribuna stampa, Boschi butta gi appunti invelenito contro tutto e tutti: il
terreno di gioco (sotto un trasparente velo di segatura, ghiaccio da valzer viennese), il pubblico
(isterico); Ghezzi (una pessima imitazione di Lawrence Olivier in Riccardo III, la scena della morte); larbitro Grillo (ultracasalingo).
Passerranno quasi dieci anni prima che il Bologna possa vendicarsi, ma lo far in grande stile. Il
7 giugno 1964, al termine di una stagione piena di colpi di scena e di tragedie, la squadra di Bernardini batter lInter in un infuocato spareggio-scudetto. A niente varranno le alchimie tattiche di
Herrera. Dopo la conquista della Coppa dei campioni, il mago e i suoi reggicoda, come li definisce
Boschi, appariranno troppo stanchi, forse anche appagati.
Boschi per non si lascer impietosire. Un KO strepitoso grider il giorno dopo dalle pagine del
Carlino.
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Enrico Brizzi
Tutti, dalle nostre parti, hanno sentito parlare della Pietra di Bismantova. Con la sua impressionante
forma ad incudine, spicca da secoli nel cuore dellAppennino reggiano: considerata via via montagna sacra alla luna, rifugio naturale o luogo per sacrifici, allepoca delle guerre dItalia fra Longobardi e Bizantini venne da questi fortificata; monaci di rito greco furono i primi pii abitatori dellEremo. Secoli di razionalismo hanno cancellato il culto degli astri e la pratica celtica della raccolta del
vischio, ma anche le salmodianti preghiere ortodosse e il legame che, pi avanti, i monaci di San
Benedetto intrecciarono con la terra e i suoi ritmi.
La Pietra rimasta isolata, ma la reputazione magico-misterica che lha accompagnata per secoli
non svanita, si solo confusa, lasciando che allIlluminazione si sostituisse la lugubre fama di
luogo romito frequentato da chi intende porre termine alla propria esistenza sulla terra.
Ma di tutto questo, a ventanni, non mi curavo. La guerra era finita da poco, e la maggioranza delle
genti dEmilia si trovava felice e incredula di potere ancora scherzare, ballare, e , perch no?, seguire un amico escursionista lungo i sentieri dAppennino.
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Marzio era poco pi grande di me, ma lui la guerra laveva fatta davvero. Aveva cominciato come
staffetta, portando i messaggi dei patrioti nel cannone della bicicletta, col rischio di farsi fucilare a
ogni posto di blocco tedesco. Una volta era sfuggito a un rastrellamento per un pelo, e da allora si
era unito alle formazioni della Resistenza attive sullAppennino. Aveva ucciso, e aveva visto morire.
Cose enormi, rispetto alla mia esperienza di semplice sfollato minorenne.
Quando gli domandavi di quei tempi, Marzio diceva sempre che mettere la propria vita a repentaglio, la migliore garanzia che si raggiunger lobiettivo. Non amava le mezze misure, il mio amico,
e fu lui a portarmi la prima volta ad arrampicare sulla Pietra.
Il capocordata era un vecchio alpino di Castel di Casio di nome Arienti. Prima della guerra aveva
lavorato a Londra come cameriere. Sapeva sfoggiare dei bei modi, quando voleva, e verso la fine
degli anni Trenta si era ritrovato responsabile dei tavoli pi importanti al ristorante dellHotel Ritz.
Sosteneva di avere servito teste coronate e magnati americani, ma il cliente al quale era rimasto pi
affezionato era lo scrittore Aldous Huxley. Avevamo anche effettuato ascensioni insieme in Svizzera
e in Italia. Poi Arienti era stato richiamato nel Regio Esercito, e per qualche anno si era occupato
solo di marce, attendamenti e quote da conquistare. Adesso che la guerra era irrimediabilmente
finita, si era ritirato in Emilia, e ogni mese saliva alla Pietra per le vie pi ardite. La gente diceva
che fosse un po tocco, ma lui sosteneva che era un modo adatto per onorare chi non pi fra noi.
Secondo sal Marzio, vestito di scuro come in citt. Ci teneva a far vedere che quellascensione, per
lui, era poco pi che uno scherzo. Quindi and suo cugino Aurelio, un rappresentante di granaglie
di San Giorgio di Piano, e infine tocc a me.
Il mio stile era tuttaltro che impeccabile, ma riuscivo con una certa sorpresa a mantenermi aggrappato alle rocce. Trovavo ad ogni gradino una soluzione che, un metro pi in basso, appariva
impossibile. A spingermi verso lalto, allinizio era la paura di una figuraccia, poi qualcosa cambi.
Mi sembr di capire, allimprovviso, che ero l ad arrampicarmi come una capra solo per poterlo
raccontare a una donna. Irene, la stessa di cui mi ero innamorato da ragazzino sulla spiaggia di
Riccione.
Mamma e mio padre, lavvocato Paride Pellegrini, avevano fatto amicizia con i signori Maier, e io ero
diventato amico del loro unico figlio maschio. Lei, invece, mi era entrata dentro in maniera diversa.
Temevo che, a forza di ricordi, sarebbero arrivate le vertigini, invece andavo su leggero, come richiamato verso la vetta, e pi salivo, pi mi meravigliavo di non essere ancora rovinato a valle.
Lalpino Arienti mi fece notare che sembravo distratto. I pigri devono fare le passeggiate, non salire in montagna, mi apostrof. Concentrati, giovane!
Come faceva a sapere che pensavo a Irene?
Vuoi allungare la lista delle disgrazie? insistette. Concentrati o ti faccio scendere a calci nel
didietro!
Giurai che sarei rimasto concentrato, e continuai in segreto a cullarmi nelle immagini di lei.
Salivo, e mi tornavano in mente ricordi di unestate lontana, prima che la guerra ci separasse, mescolati a certe frasi della nostra lunga corrispondenza. Da quando le cose erano tornate al loro
posto, ci scrivevamo tutte le settimane, e per le feste le telefonavo.
Adesso lei aveva un figlio, ma lo cresceva da sola, e io speravo che nella sua vita restasse un posto
per me. Decisi che, se fossi tornato a terra sano e salvo, avrei rotto ogni indugio: sarei andato a
trovarla a Trieste, dove viveva, e avrei fatto di tutto per diventare suo marito.
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La prima volta che ho messo piede alla Festa dellUnit di Bologna avevo sedici anni e il muro di
Berlino si era sgretolato da qualche mese. Il Partito Comunista Italiano si chiamava ancora cos, ma
non avrebbe visto un altro settembre. Il comunismo, a detta di tutti, era ormai un cadavere, ma come
ai tempi di Carlo Marx, il suo semplice spettro faceva ancora paura.
Capannoni e gazebo occupavano la spianata di Parco Nord, come consuetudine fin dal 1973. Prima
di allora cerano state altre sedi, ma io non ne sapevo nulla e certo mi sarei stupito se mavessero
detto che la prima Festa Nazionale dellUnit prese vita sotto i platani della Montagnola: una collinetta
scomoda, in pieno centro, schiacciata contro i viali di circonvallazione. Una specie di grande aiuola
rotonda, dove oggi si tiene a mala pena un doposcuola estivo, mentre allora ci incastravano perfino
la Fiera Campionaria.
A dire il vero, in quel settembre 1951, la sede designata per il raduno Nazionale sarebbero i giardini
Margherita, subito fuori porta, dove la Festa di casa dal 1946. Lanno precedente i compagni ci
hanno costruito un anfiteatro da diecimila posti e per il comizio di Palmiro Togliatti contano di metterne
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in piedi uno ancora pi grande. Ma non hanno fatto i conti con il generale De Simone, ex governatore
di Harar, nellAfrica Orientale Italiana, e ora prefetto nella citt di San Petronio. A sorpresa, De Simone
nega il permesso per i Giardini e a soli venti giorni dallinizio della Festa d il suo benestare per il
Parco della Montagnola.
Ecco perch, se penso allautore di queste riprese, mi basta sapere che era un militante del PCI, per
immaginarmelo un po nervoso, incazzato con quel prefetto che ha fatto di tutto per guastare la festa.
- Te lo faccio vedere io, com venuta bene - mi pare di sentirlo rimuginare.
E mentre lui rimugina e riprende, io mi permetto un altro salto nel suo futuro, nel mio passato, nel
settembre 1990.
Se non ricordo male, a propormi di andare alla Festa fu la mia ragazza di allora, e quando tornai a
casa, mia madre si sorprese molto sentendo dovero andato a finire con la mia nuova morosa. Sapeva
che mero messo a citare Lenin e Che Guevara, ma considerava la Festa dellUnit un raduno per
trinariciuti di stretta osservanza, per di pi appestato da effluvi di salsiccia e orchestre di filuzzi.
Allora le raccontai che nelle ore trascorse al Parco Nord avevo incontrato pi auto in vendita che bandiere rosse, e avevo mangiato spaghetti allo scoglio, al suono di un quartetto jazz molto tradizionale.
Mi convinsi che i pregiudizi di mia madre fossero figli di un antico modello di Festa dellUnit, tutto
falce e martelli, comizi ortodossi, ritratti del Baffone e neonati alla griglia. Uno stereotipo che in qualche misura doveva essere nato da un evento reale, a mezza via tra un congresso di partito e una
festa del patrono. Due manifestazioni per nulla incompatibili, se vero che anche il mitico sindaco
Dozza, rieletto proprio nel 51, partecipava volentieri alla processione della Madonna di San Luca,
alla quale dichiarava di credere, per quanto ateo, come tutti i bolognesi. Le liturgie popolari, al fondo,
si somigliano tutte, eppure la favola di Peppone e Don Camillo, di un Dopoguerra conflittuale ma tutto
sommato bonario e strapaesano, non mi ha mai convinto.
Nel 1951 Giuseppe Stalin ancora vivo e in Corea la Guerra Fredda si scalda al fuoco delle artiglierie. In Italia, la celere di Mario Scelba usa il pugno di ferro contro scioperi e manifestazioni di piazza.
Secondo fonti sindacali, il bilancio della repressione, a partire dal luglio 1948, di 92.169 arresti per
motivi politici, 3.126 feriti e 66 morti. Quattro di questi proprio nel gennaio 1951, durante le proteste
per la visita italiana del presidente americano Dwight Eisenhower.
Sempre in gennaio, a Bologna, durante una sparatoria lungo via Santo Stefano, muoiono due vigili
urbani, due passanti e due banditi della famigerata Banda Casaroli.
Il 16 settembre, invece, due giorni prima che sinauguri la Festa, comincia il processo a Walter Reder,
responsabile delle stragi naziste di Monte Sole, SantAnna di Stazzema, Valle di Fivizzano e San Terenzio.
Non sono tempi facili per chi diffonde LUnit: anche in una regione rossa come lEmilia Romagna
non salutare farsi vedere in giro con il fascio di copie a cavallo del braccio. A Imola, il questore ed
ex-prefetto fascista Massagrande ha fatto sequestrare le mimose per la festa dell8 marzo: figurarsi
cosa pu fare con un giornale sovversivo.
I Festival dellUnit nascono proprio per finanziare la stampa comunista, che vuole essere indipendente e del tutto alternativa rispetto a quella borghese. Nella provincia di Bologna ogni comune ha
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la sua festa e spesso se ne organizzano anche nelle frazioni pi piccole: basta unaia o un cortile, un
paio di fuochi per piadina e salsiccia, quattro assi inchiodate come pista da ballo, una chitarra, un
organetto e qualcuno che faccia il palo, per evitare visite sgradite. Ma non sono solo le feste improvvisate a rischiare la chiusura immediata. A Mordano, il Pretore fa sbaraccare gli stand a poche ore
dallapertura, per ragioni di sicurezza legate al traffico. Allora gli organizzatori smontano la cucina,
il banco della pesca con tutti i premi, i tavoli, le panche, il palco e la pista e si trasferiscono armi e
bagagli in un campo l vicino, ma di l dal fiume Santerno, dove inizia la provincia di Ravenna e quindi
finisce lautorit del pretore.
Rispetto a questo clima generale, il nostro cineamatore comunista, per di pi incazzato col prefetto,
ritrae una Festa dellUnit che sembra appartenere ad un altro tempo, o meglio: ad unaltra nazione.
Dov il conflitto, lideologia, la lotta di classe che stillano da ogni articolo dei giornali dellepoca?
E forse Bologna la Rossa che distorce la prospettiva? Una citt dove i comunisti giocano in casa,
governano lo sviluppo, suscitano invidia e dunque possono permettersi una festa pi rilassata, meno
politica e pi popolare?
Bologna non una citt tipica dellItalia scrisse Pier Paolo Pasolini nel 75, definendola una terra
separata, dove opulenza e comunismo vanno a braccetto, e cancellano cos ogni alternativa.
Sar per questo che mi pare di assitere a una celebrazione istituzionale, di quelle che coinvolgono
lintera cittadinanza, compresi gli uccelli, che dal cielo arrivano a stormi, e sembrano darsi convegno
per il comizio di Togliatti?
I quotidiani del giorno dopo raccontano ammirati o impauriti della folla strabocchevole raccolta in
piazza Otto Agosto e lungo tutta via Indipendenza, dal Nettuno alla stazione, per non parlare della
grande parata, che sfila per tre ore da Porta San Donato a Piazza dei Martiri, su per via Marconi fino
a Piazza Malpighi.
La Parata degli Amici dellUnit venne inventata nel 1947 e fu da subito un successo, fiumana carnevalesca di carri allegorici, complessi ginnici, gruppi sportivi, bande musicali, cartelloni colorati,
stendardi e bandiere. LUnit di quellanno la celebr con parole auliche: Se il ricordo della Parata
potr col tempo svanire, mai potremo dimenticare quella selva di drappi fiammeggianti, simboli della
nostra fede e delle nostre lotte.
Galvanizzato dalla retorica del cronista, cerco quei drappi e quei simboli nella parata di quattro anni
dopo e fatico a trovarne.
Ci sono i cartelli con i nomi delle regioni italiane, come se lUnit che si festeggia fosse quella nazionale. Icone da agenzia turistica mettono insieme prodotti tipici, maschere tradizionali e monumenti di
spicco. Nulla di politico, zero ideologia e cento per cento Belpaese.
Nel fiammeggiare di bandiere intravedo pi volte quella a stelle & strisce degli Stati Uniti dAmerica, e
va bene che non siamo ai tempi del Vietnam, ma in Corea gli yankee sparano contro le armate rosse
di URSS e Cina, mentre qui vengono accolti con grande diplomazia.
Forse sar colpa del bianco e nero, ma non vedo sventolare sciami di bandiere rosse: piuttosto lo
stendardo arcobaleno dei pacifisti, mentre persino lUnit viene definito giornale della Pace. La colomba di No svolazza un po dapertutto, la parola comunismo non compare mai, e solo una falce e
martello, piccola piccola, fa capolino sullangolo di due cartelloni, dedicati al trentesimo anniversario
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del PCI.
Sfila lorgoglio operaio di molte officine in agitazione - la Calzoni, Casaralta - ma le lotte dei lavoratori
sono accompagnate da parole dordine generiche, come pace e libert. Lo slogan Chi italiano
difenda le Reggiane e la nostra industria italiana sembra pi vicino allautarchia di Mussolini che
allinternazionalismo di Lenin.
Da Palmiro Togliatti mi aspetterei almeno un saluto a pugno chiuso e invece no: prima di lanciarsi
in due ore di comizio, il Migliore si mostra ai compagni sventolando la manina, con il linguaggio del
corpo di un papa in Vaticano. Sar per questo che a Roma, in quegli anni, di una ragazza disinibita
si era soliti dire che laveva data a tutti, tranne che al papa e a Togliatti?
E a proposito di ragazze...
Sul palco delle autorit, non riesco a distinguere nemmeno una sagoma femminile, mentre la partecipazione alla parata dellUnione Donne Italiane si fa notare giusto per il modellino in scala della
Mole Antonelliana, sospinto dalle compagne torinesi in mezzo a ginnaste e contadinelle in costumi
tradizionali.
Altre donne stanno in cucina a far la sfoglia, oppure si mettono in mostra per diventare stelline e
vincere il concorso di bellezza che si faceva in tutte le feste, con le foto delle vincitrici pubblicate sui
giornali delle diverse federazioni e spesso anche sullUnit, a pochi fogli di distanza dalla Pagina
della Donna.
Liniziativa era anche un modo per raccogliere fondi: Tu arrivavi - racconta Elio Zuppiroli di Castel
San Pietro - e acquistavi i biglietti che ti permettevano di esprimere il voto. Quindi pi biglietti compravi, pi voti potevi esprimere. Considerando che i biglietti non costavano molto, puoi ben capire come
a volte capitassero elezioni poco democratiche...
A Osteriola facemmo un concorso in costume - ricorda Ivo Cattoli - Eravamo negli anni Cinquanta e
levento non fu accettato, anzi, cre scandalo tra le compagne che lavoravano nelle cucine e dicevano E noialtre? Cosa siamo? e allora io cercavo di consolarle dicendo loro: Ma voi siete Miss Tortelli,
non avete bisogno di presentarvi cos.
Sempre Pasolini scrisse che il Partito comunista italiano era un Paese pulito in un Paese sporco, un
Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un
Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico.
Se tanta differenza cera davvero, e io sono convinto che almeno un po ce ne fosse, allora queste
immagini non le rendono giustizia, e alla fine mi domando se non lo facciano di proposito. S, mi dico,
il nostro cineamatore comunista e incazzato, rimuginava proprio questo, mentre sceglieva le sue
inquadrature.
Ecco qua, prefetto De Simone. Era di questo che avevi paura? Di questa folla composta, delle donne
in cucina, dei sorrisi da miss, della pace e della libert?
- Accettateci! Perch tutta questa paura? Noi siamo diversi, ma siamo uguali agli altri - grider trentotto anni dopo Michele Apicella, funzionario del PCI dalla memoria appannata, in margine a una partita
di pallanuoto.
Diversi, ma uguali. Un ossimoro che i compagni, mi par di capire, si trascinano dietro fin dalle prime
feste.
O magari sono io che me lo porto in testa, fin da quella prima volta, alla Festa dellUnit di Parco Nord,
sul finire dellestate del 1990.
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Ugo Cornia
STRADE
Cera un racconto cos bello di mia zia Maria, che mi faceva sempre, di quando tra fine ottocento e
inizio novecento dovevano andare da Modena a Pievepelago e si andava ancora con la diligenza
tirata dai cavalli. Si prendeva la diligenza allinizio di via Giardini e ci si metteva un giorno e se riesco a ricordarmi bene si viaggiava anche la notte. Ogni tanto ci ripenso e mi chiedo comera tutta
la storia e non riesco pi a ricordarla.
Mentre invece mi ricordo ancora bene le storie che mi ha sempre raccontato mia zia Bruna, che
aveva conosciuto uno di Roma, che stava lavorando a Modena e poi, dopo qualche anno si sono
sposati, per dopo pochissimo che si erano sposati lui lo promuovono e deve tornare a lavorare a
Roma, e allora tutti questi viaggi ad ogni festa da Roma a Modena, e non cera ancora lautostrada
del sole, quindi partivi un giorno, in macchina, e arrivavi il giorno dopo e attraversare lappennino
era unimpresa e poi pian piano, iniziano a costruire i primi pezzi di autostrada del sole e li aprivano
un po per volta, e il viaggio diventava ogni volta un po pi breve. E ce nerano dei pezzi di autostrada che non erano ancora aperti al pubblico, e non ci poteva entrare in verit, anche se non cewww.formatoridotto.com
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ra nessuno a controllarti, e se uno decideva di entrarci, diceva mia zia, era a suo rischio e pericolo,
perch non sapevi dove potevi andare a finire, e suo marito invece questi pezzi dautostrada non
ancora aperti li imboccava sempre, e certe volte andava bene, ti ritrovavi cinquanta chilometri pi
avanti, invece altre volte ti trovavi di colpo con lasfalto che finiva in mezzo a un prato, o sul greto di
un torrente, senza nessuna altra strada da imboccare. E lidea di una strada che a un certo punto
finisca cos, si fermi, senza sboccare in unaltra strada, cio in pratica sia una strada senza uscita,
mi rendo conto che per noi veramente unidea strana. E quindi cosa devono essere state per la
gente le strade che pian piano venivano asfaltate e sistemate e collegavano un posto con laltro per
andarci in automobile, e poi le strade che non cerano mai state e un bel momento venivano costruite. E mi ricordo anche, con mia madre, andando a casa sua, sullappennino bolognese, quando
da bambina non andava in macchina con suo padre e doveva prendere dei mezzi sostitutivi, e noi
trentanni dopo, nel 70, stavamo andando su in macchina di nuovo a casa sua, e lei guidava e mi
diceva che partendo da Modena fino a l si arrivava con un treno, e poi dovevi cambiar treno, facevi laltro pezzo via treno, scendevi e prendevi la corriera, ma anche la corriera a un certo punto
si fermava perch in quel punto si fermava anche la strada asfaltata. Gli ultimi quindici chilometri ti
venivano a prendere col carro.
Per quanto riguarda me direttamente, a diciottanni, pi o meno come tutti, ho preso subito la patente e avevo una grande smania di guidare e andare in giro e infatti, sia da solo che con degli amici,
appena potevo mi mettevo in macchina per andare di qua e di l. E circa dieci anni dopo, ma forse
anche un po meno di dieci anni, mio padre un giorno mi ha detto che si era fatto due calcoli e mi
ha accusato di aver fatto pi di trecentomila chilometri con la sua macchina, e io un po cercavo
di contestare questo suo calcolo, ma la macchina aveva fatto allincirca trecentosettantamila chilometri, quindi mio padre aveva senzaltro ragione, perch lui ormai la macchina non la usava quasi
pi. Per di pi io stavo ancora finendo di studiare, e quei trecentomila chilometri fatti con la sua
macchina li avevo fatti principalmente andando a spasso, e non per lavoro, muovendomi su e gi
per la provincia di Modena e Bologna, con frequenti puntate nel reggiano, e un po pi rare puntate
nella zona di Parma e di Ferrara. Decisamente pi rari e occasionali, devo dire, erano stati i giri
nelle zone di Piacenza, Ravenna, Forli e Rimini. Anche negli anni seguenti ho continuato a girare,
anche se un po meno, e pi che altro per lavoro ho continuato a fare per una decina di anni dai
cinquanta ai cento chilometri in macchina quasi tutti i giorni.
E se ci penso conosco moltissime strade e anche moltissimi nomi di strade, e mi vien subito da
pensare, per motivi miei privati, alla Porrettana, strada che ho fatto migliaia di volte, anche se uno
che sta qua per prima cosa dovrebbe nominare la via Emilia, perch abitiamo in una regione che
ha preso il suo nome, ma forse si anche formata, intorno a questa lunga strada che lattraversa
tutta, fatta pi di duemila anni fa, (tomba romana) e io tra laltro un pezzetto di via Emilia, la via
Emilia ovest di Modena, per cinque anni lho fatta tutti i giorni per un tratto di tre o quattro chilometri per andare alla scuola elementare, perch i miei mi avevano iscritto in questa scuola a tempo
pieno che praticamente si affacciava sulla via Emilia ovest, in realt era a una cinquantina di metri
di distanza dalla via Emilia, su una piazzetta. E quindi allora dobbiamo iniziare dicendo via Emilia,
che tra laltro, nel duemilaetre/duemilaequattro per un anno ho lavorato a Castelfranco Emilia, e
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quindi per un altranno mi sono fatto tutti i giorni altri trenta chilometri di via Emilia. Ma lasciando la
via Emilia subito dopo diciamo Porrettana, e andando avanti a pensare a tutte queste strade che
conosco, ancora dopo mi viene in mente la fondovalle Panaro, perch poi tutte le fondovalli, che
nei loro percorsi si avvicinano e si allontanano da dei fiumi, e mentre vai a un certo punto vedi di
colpo saltar fuori il fiume che l, con lacqua e i sassi, magari veramente a pochi metri, e poi la
strada sale un po e il fiume si allontana e momentaneamente scompare, e vedi delle case, oppure
soltanto degli alberi, e per magari due chilometri dopo la strada ridiscende e ti ritrovi di nuovo
quasi al fiume, e anche la Porrettana una fondovalle, e non so se si chiami anche fondovalle Reno,
o si chiami soltanto Porrettana, cio la strada per Porretta, come anche la Bazzanese e la Vignolese,
cio la strada per Vignola e la strada per Bazzano, tutte strade che prendono il nome dalla localit
di arrivo, e tutte queste strade in qualche modo mi stanno care per tanti motivi, che ci passavo per
andare in un posto particolare, oppure che ci passavo per andare a trovare qualcuno, e se penso
in particolare alla Vignolese, e poi alla Bazzanese, strade che io ho spesso percorso per andare in
una mia casa sullappennino bolognese, quasi in toscana, e percorrevo prima la vignolese verso il
casello dellautostrada del sole, e poi magari, se lautostrada del sole era bloccata, andavo avanti
per immettermi sulla bazzanese e poi sulla Porrettana, ma tra vignolese e bazzanese ho sempre
fatto una scorciatoia di qualche chilometro, forse cinque, su delle stradine secondarie, che offre
questa straordinaria sequenza di nomi di frazioni, perch prima incontri una frazione che si chiama
Altol, poi due chilometri dopo c un gruppo di case che si chiama California, e pochi chilometri
dopo c Formica, e fin da bambini, quando eravamo in macchina, io e mia sorella ridevamo come
matti a guardare questa sequenza di cartelli con Altol, California e Formica.
Ma tornando a queste varie strade, sulle quali ho consumato quintali di gomme e di benzina mi
viene anche da pensare alla Radici in Piano, cio alla strada per Sassuolo, dove andavo spesso
con mia madre che a Sassuolo ci lavorava, e ci insegnava, e ci andavamo soprattutto nei mesi di
giugno e luglio, quando la scuola era finita, perch mia madre andava in banca a prender lo stipendio, e mi ricordo che spesso in quei mesi le davano anche gli arretrati, e quindi, appena usciti dalla
banca mi portava da qualche parte e mi regalava qualcosa, per cui questa strada Radici in Piano,
se non sono in momenti di particolare cattivo umore, ha sempre avuto la caratteristica di mettermi
di buon umore, come se ancora adesso, tutte le volte che faccio la radici in piano, arrivati in fondo
ci fosse qualcuno che vuol darmi dei soldi. E la Radici in piano lho poi percorsa spesso in anche
unestate in motorino, nel mese di luglio in cui compivo sedici anni, che avevo deciso di andare a
lavorare per un mese in una fabbrica per tirar su i soldi per comprarmi il motorino, e mio padre mi
aveva anticipato i soldi e avevo poi comprato invece il motorino per andare a lavorare, perch coi
mezzi pubblici era un po proibitivo, ma poi cerano talmente tanti di quei camion sulla Radici, che
quando sei in motorino e te li senti passare di fianco ti fanno un po spavento, per cui dopo un po
non facevo pi la Radici in piano ma cercavo di arrivare fino agli sterminati sobborghi industriali di
Sassuolo facendo vari pezzi di stradine secondarie parallele, anche se poi da Sassuolo partono
tante altre strade che entrano nelle prime colline, e io nelle due ore di pausa pranzo prendevo il
motorino e andavo a mangiarmi un panino in collina, e poi ti incrociavi con la pedemontana, e in tre
chilometri eri gi nel reggiano.
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Perch tutte le strade dellEmilia-Romagna hanno una loro stessa logica piuttosto ferrea, con questi
lunghi assi est-ovest, costituiti dalla via Emilia, dallautostrada del sole pi lA quattordici, e appunto
dalla pedemontana, e perpendicolarmente a questi assi est-ovest invece trovi tutte le fondovalli in
direzione nord sud, e in mezzo tra tutte queste strade linfinito reticolato di tutte le piccole strade
secondarie e talvolta anche minime, e queste fondovalli che a me piaceva tanto percorrere, in
quello chiamerei il loro tratto sud, diciamo a partire dalla via emilia e verso la montagna, con tutte
le loro curve ampie che si allontanano e poi si riavvicinano allalveo del fiume vivo, con lacqua, e
a certi orari anche abbastanza vuote di traffico, in modo che si possa andare spediti, ma invece
volevo poi parlare di queste fondovalli nel loro tratto nord, nel loro tratto che va dalla via Emilia al
Po, come la Panaria bassa, queste strade lunghe e tendenzialmente dritte, con rettilinei puri talvolta
lunghi anche cinque o sei chilometri, cinque o sei chilometri completamente dritti, e poi di colpo
un ampissimo curvone verso destra, e poi un poco pi avanti, per esempio un chilometro, magari
un altro curvone che invece va verso sinistra, anche quello amplissimo, e magari dei tratti alberati,
come un viale di citt, anche se invece sei in piena campagna, coi tigli o i platani, e queste strade
spesso hanno a un loro lato largine, e la Panaria bassa, strada che io ho dovuto fare, sempre per
lavoro tutti i giorni per tre anni, e allinizio ero cos contento, dopo tre chilometri di via nonantolana
mi buttavo sulla Panaria bassa, che inizia proprio attaccata allargine, e poi via, a gran velocit per
non arrivare in ritardo, sulla Panaria bassa,e l, andando in direzione nord, sempre alla tua destra
largine, tanto che mi dicevo sempre per questi tre anni che prima o poi, tornado in dietro, avrei voluto fermarmi una mezzoretta a farmi una passeggiata sullargine per vedere lacqua, e poi invece,
visto che a tornare indietro uno ha sempre un po smania di ritornare a casa perch stanco, oppure deve tornare perch deve andar da qualche parte, e quindi non mi sono mai fermato, e anche
l davvero, due o tre rettilinei di una lunghezza sterminata, e ongi tanto invece un borgo di due o tre
case, letteralmente due o tre case e basta con intorno cinque o sei di quei pioppi immensi, e io su
questi infiniti rettilinei mi guardavo lorologio e vedendo che ero a pelo sullorario magari acceleravo,
e inve poi per, vedendo delle strane figurine piccolissime in zona strada un chilometro pi avanti,
magari attacavo a rallentare un po, che non si sa mai che cosa faccia la gente a bordo strada, e
comunque sempre con quellargine che si vedeva a destra, a dieci metri dalla strada, oppure a
trenta metri dalla strada, che tra la strada e largine in mezzo cera una fila di cinque o sei case,
e poi di nuovo largine si allontanava dalla strada, e poi in fondo, poco prima di Finale, una serie
bellissima di curve che durer cinque chilometri, e queste strade con argini io le ho sempre trovate
meravigliose, e quando ho cambiato luogo di lavoro, e facevo per lultima volta la Panaria bassa,
e nella mia testa mi dicevo basta, basta basta basta, mai pi Panaria bassa, perch dopo tre anni
che lavevo fatta tutti i giorni, andando come un pazzo per non arrivare in ritardo, tutti i giorni cento
chilometri, cinquanta a andare, cinquanta a tornare, io di quella strada non ne potevo proprio pi.
E invece, cinque o sei mesi dopo, che ero dovuto tornare in questo posto in cui avevo lavorato a
prendere della documentazione, e facendo la Panaria e guardando argine e case sparse e capi e
i saltuari fabbriconi mi ero detto subito ma accidenti, ma come bella questa strada.
Comunque, avendo detto la parola argini, anche sul Po mi ci piaceva andare, proprio sulla strada
dellargine, zona Gualtieri, Guastalla, Boretto eccetera, altre volte invece verso Bondeno Stellata
e le chiuse e le zone ferraresi, queste strade sullargine che costeggia le golene, e da un lato hai
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laperta campagna, con quei paesi che ti vedi dallalto, come se tu stessi andando a altezza tetti,
mentre dallaltro lato pioppeti e pioppeti e pioppeti, e a nu certo punto invece il Po che l, e poi di
nuovo ancora pioppeti.
Perch per me lavvenimento questo, che tutte le strade sono belle, e sono belle perch in sostanza son fatte di aria perta, immense qunatit di aria aperta intorno a te, aria aperta traversata
da altre cose, vive e non vive, naturali e artificiali, e anche se sei l per strada per lavoro, e quindi a
prima vista non dovresti neanche divertirti, ma a un certo punto pu sempre esserci qualcosa che
ti passa davanti. Negli ultimi tempi, per esempio, che ho fatto lautostrada del sole, almeno due o
tre volte al mese, almeno una volta su due, che uscivo al casello di Sasso, due cornacchie grige
appollaiate sul guardrail, le avr viste forse venti volte, forse di pi, e queste cornacchie grige che
ormai frequentano tranquillamente le strade, e si sono abituate alle macchine, varie volte le ho viste tranquille passeggiare in corsia demergenza nel tratto appenninico, incuranti delle macchine
che stanno passando a neanche due metri da loro, come se avessero imparato che sulla corsia
demergenza stanno al sicuro.
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