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Come per molti altri materiali dalle particolari caratteristiche fisico-chimiche anche a proposito
delle sostanze foto-luminescenti la storia affonda le radici nella notte dei tempi spaziando
liberamente tra Asia ed Europa ed proprio presso le civilt dellantica Cina che si fanno
risalire le prime realizzazioni artistiche (coppe, bicchieri ed ornamenti) decorati con giade
fosforescenti che sono state raccolte in preziose collezioni a causa della loro rarit.
Il testo pi antico in cui si parla di questa classe di materiali farebbe risalire all'epoca dell
imperatore cinese Zhao Tai Zhong della dinastia Song (960-1279) la prima pittura luminosa.
Il documento, (esposto al Museo Palace di Taipei, Taiwan) la narrazione di una pittura
rupestre raffigurante una bellissima mucca disegnata sul muro di una caverna che non poteva
essere vista di giorno perch "andava in un prato per mangiare" e "tornava alla grotta a sera".
Nel testo si racconta che limperatore incuriosito dal fenomeno dette ordine di indagare ed un
esperto rifer che la mucca era stata dipinta con pitture speciali a base di conchiglie di mare.
Anche altre fonti del periodo menzionano l'uso di conchiglie combinate con materiali vulcanici
ed certo che la tecnica della pittura luminosa era nota sia ai cinesi che ai giapponesi grazie
anche agli scambi di materiale tra i due paesi.
Linteresse intorno alle pitture luminose tale che anche in Europa si sviluppano studi tesi alla
realizzazione di materiali luminescenti ed un resoconto dettagliato
viene riportato da Giovan
Battista dalla Porta (1535-1615) che nel trattato Naturalis Magiae
del 1558 scrive di alcuni e meravigliosi fenomeni che si verificano in
natura ed al quesito su come si possa fare che una cosa nelle
tenebre risplenda risponde con una ricetta a base di lucciole distillate
e seccate dalla quale si ricava una polvere magica assai nota
nellambiente del teatro per la sua intrinseca natura incline a
produrre effetti prodigiosi; naturalmente non si parla ancora di
fotoluminescenza ma di una propriet limitata nel tempo che essendo
originata da organismi viventi nota sotto il nome di
bioluminescenza.
Qualche decennio dopo il pittore Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571-1610) prester
particolare attenzione proprio a quel passo per la preparazione di pitture che gli consentiranno
di lavorare nel buio assoluto fissando temporaneamente limmagine sulla tela ed a riprova di
ci figurano i risultati delle ricerche che rivelano la presenza di materiali fotosensibili quali
argento,
arsenico,
zolfo,
magnesio
e
iodio.
Per giungere alla comparsa in Europa e per la precisione in Italia del
primo materiale fotoluminescente sintetico occorre attendere il 17
secolo quando sotto il nome di 'Pietra di Bologna', Pietra fosforica o
'spugna di Luce' proprio grazie a questa pietra per circa tre secoli, dai
primi del '600 all'inizio del '900, la citt di Bologna trova il suo posto
nella storia della chimica.
La Pietra colp innanzitutto la curiosit e l'immaginario popolare,
attir verso la citt l'interesse dei viaggiatori, ispir testi letterari,
sugger teorie pi o meno fantasiose e aliment numerose dispute
scientifiche.
La data della scoperta delle singolari propriet della Pietra di Bologna non nota con
esattezza, tuttavia, secondo gli storici, si colloca fra il 1602 e il 1604.
Essa viene generalmente attribuita a Vincenzo Casciarolo (o
Casciorolo), un calzolaio bolognese che, secondo Camillo Galvani
(1780), "si dilettava di travagliare nelle cose chimiche" e,
passeggiando presso Paderno "per divertirsi da qualche sua naturale
malinconia", vide scintillare una pietra, la raccolse, la port a casa, la
fece cuocere e scopr, forse casualmente, che mettendola al buio dopo
averla esposta al sole, riluceva. La pietra, cui furono attribuiti vari
nomi (pietra fosforica bolognese, pietra di Bologna, pietra luciferina,
pietra di luna, spongia lucis, lapis illuminabilis, lapis lucifer,
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phosphorus ecc..) una variet di baritina (solfato di bario anidro), raggiata e nodulare, che
una volta macinata, impastata con bianco duovo o altri leganti e calcinata su carbone, si
trasforma in solfuro di bario. La figura, riprodotta da un testo di Luigi Bombicci (Corso di
Mineralogia, G. Monti, Bologna, 1862), un autore che amava disegnare dal vero, ne fornisce un
esempio che trova riscontro nei pregevoli esemplari conservati presso il museo a lui intitolato.
La prima citazione delle propriet della pietra di Bologna dovuta a Giulio Cesare La Galla
(1612), mentre la prima descrizione dettagliata della preparazione di materiale fosforescente a
partire da essa di Pietro Poterio (Pharmacopea Spagyryca, Iacobi Montis, Bologna, 1622).
Secondo Poterio, colui che per primo rese luminosa la pietra nellintento di ricavarne oro, fu un
noto alchimista di Bologna, Scipio Bagatello. Il nome di Casciarolo non compare nel lavoro di
Poterio. Lattribuzione della scoperta al chimico Casciarolo di Majolino Bisaccione (15821663) e Ovidio Montalbani (1602-1671), in due lettere pubblicate nel 1634. Questultimo,
addirittura, propose di chiamare la pietra lapis casciarolanus. Il riconoscimento pieno a
Casciarolo venne da Fortunio Liceti (o Licetus) (1577-1657), nellopera Litheosforus sive de
Lapide Bononiensis,
pubblicata a Udine nel 1640. Secondo Liceti, fu appunto Casciarolo, uomo di umili condizioni,
che trov la pietra, ne scopr le propriet e la mostr a Bagatelli. Questi ne parl a Magini,
professore di matematica a Bologna, il quale ne mand campioni a vari scienziati, tra cui
Galileo Galilei, e ad alcuni sovrani europei. Tutto ci rese rapidamente famosa la pietra,
indusse a riprodurre il procedimento di preparazione dei fosfori ed ad interpretarne il
comportamento. Nacquero le ipotesi pi disparate. Per un certo periodo, da parte di alcuni
(Niccol Cabeo, Athanasius Kircher), si pens che la pietra si comportasse con la luce cos
come un magnete si comporta con il ferro. Anche Galileo intervenne nella disputa, seppure di
sfuggita, con una lettera a Leopoldo di Toscana, scritta per confutare alcune osservazioni di
Liceti sulle opinioni dello stesso Galileo in merito al "candor lunare".
Nel 1669 al lavoro del chimico tedesco Henning Brand di
Amburgo si deve la scoperta di un materiale bianco che si
illuminava al buio (il fosforo elementare) prodotto come
residuo nella distillazione delle urine calcinate su carbone,
che ravviv ulteriormente la discussione sulle propriet dei
fosfori naturali ed artificiali e vi partecip anche Robert
Boyle.
La luce osservata da Brand non era generata da un
meccanismo di fotoluminescenza ma era in realt causata
dalla combustione molto lenta del fosforo, ma siccome egli
non vide fiamme n calore non la consider combustione
Nel 700, il sistema newtoniano influenz anche le teorie
sulla pietra.
I bolognesi contribuirono
alla discussione ed un gruppo di membri dellAccademia (Beccari, Galeazzi e Laurenti) fece
numerosi esperimenti in proposito. I Commentari, una sorta di diario scientifico del segretario
Francesco Maria Zanotti (De Bononiensis scientiarum et Artium Instituto atque Accademiae.
Commentarii), registrarono i risultati, compresi quelli dello stesso Zanotti, riportando altres
anche due studi di Beccari sui fosfori, di carattere pi generale. Marsigli dedic all'argomento
un'apposita dissertazione e lAccademia delle Scienze di Parigi non fu da meno, come risulta
dai Mmoires di Homberg e Du Fay. Fra i trattati di chimica, il celebre Cours de Chymie di N.
Lmery (1645-1715) forse quello che si occupa pi diffusamente della Pietra di Bologna,
anche dal punto di vista sperimentale e con il supporto di una bella tavola esplicativa.
Questopera ebbe numerose riedizioni e traduzioni. L'ultima edizione, pubblicata in italiano nel
1719 da Gabriele Hertz, racconta la storia della Pietra, spiega come trovarla, ne cita le
propriet depilatorie, descrive minuziosamente il procedimento per farne fosforo e propone
una teoria per spiegarne la luminosit. Certo, Lmery non indulgente con i predecessori; egli
afferma che Poterius, Montalbanus, Maginus, Licetus,Menzelus, ed alcuni altri hanno scritto di
questa pietra, ed hanno date le maniere di calcinarla; Ma le loro descrizioni non servono a
nulla, perch, seguitandole, non sottiene alcun fine. Il secondo tomo del Dictionnaire de
Chimie di Macquer, pubblicato a Parigi da Lacombe nel 1769, dedica alcune pagine a quello che
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I composti a base di radio sono stati completamente abbandonati sul finire degli anni 60
mentre vernici radio luminescenti per usi speciali sono state formulate a base di Promethio
147, materiale radioattivo utilizzato in miscela con il solfuro di zinco in una matrice polimerica
con un tempo di dimezzamento pari a 2,6 anni.
La storia si conclude (almeno per il momento) allinizio degli anni 90 quando quasi
contemporaneamente vengono formulati in Svizzera ed in Giappone nuovi composti foto
luminescenti (non radioattivi) basati su, una classe di alluminati attivati con lantanidi, alkaline
earth aluminated, con prestazioni in termini di intensit luminosa e durata di luminescenza
notevolmente superiori ai precedenti composti basati su solfuri.
Nonostante il costo rilevante, le caratteristiche di estrema stabilit chimico fisica e di sicurezza
intrinseca hanno permesso laffermazione di questi materiali in tutte quelle applicazioni dove le
esigenze di alte prestazioni luminose e sicurezza di impiego rappresentano il requisito
fondamentale.
Gli unici limiti di questi prodotti erano rappresentati da:
i) limitata disponibilit di effetti luminosi (verde-azzurro e turchese),
ii) colore diurno tendente al verde (o al giallo)
iii) copertura dei soggetti che venivano trattati per conferire leffetto luminoso.
Primi nel tempo ad aver realizzato leffetto di eso-luminescenza che rende gli oggetti trattati
avvolti dalla luce senza tuttavia coprirne eventuali decori o loghi, siamo oggi ad annunciare
un ulteriore passo avanti nella tecnologia dei materiali ad effetto foto luminescenti; il
superamento della barriera del bianco.
Annunciamo quindi con piacere la disponibilit del primo coating luminescente caratterizzato
dal colore diurno bianco
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