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CONFLITTUALIT POLITICA IN UN COMUNE AD

AUTONOMIA LIMITATA. LESEMPIO DELLA TORINO SABAUDA


ALLA FINE DEL SECOLO XIV

Introduzione. - 1. Rapporti di potere fra principe e citt. - 2. Elementi di tensione tra nobili e popolari. - 3. Le tensioni con le autorit sabaude e i legami di
solidariet tra nobili e Popolo. - 4. Conclusioni.

Introduzione
Negli ultimi anni, sulla storia della Torino medievale si scritto molto, raggiungendo risultati davvero soddisfacenti. In precedenza, i primi lavori degli storici piemontesi si sono concentrati a partire dalle prime trattazioni di Luigi Cibrario, Ferdinando Gabotto e Francesco Cognasso
sulla ricostruzione degli avvenimenti che hanno segnato la storia della citt
in un prospettiva evoluzionista e celebrativa che mirava essenzialmente a
leggere la storia di Torino in relazione al ruolo che la citt avrebbe assunto nei secoli successivi.
Pi rigorosi sono stati i risultati delle ricerche compiute a partire dagli anni Settanta del Novecento dagli allievi di Giovanni Tabacco. Si tratta
di contributi che hanno ricostruito i meccanismi di formazione delle strutture del potere nel territorio piemontese 1; di studi che hanno posto laccento sugli equilibri istituzionali che hanno portato Torino ad essere gi
alla vigilia della dedizione ai Savoia, un comune ad autonomia limitata 2.
Lo sviluppo ulteriore di queste ricerche ha trovato una sistemazione defi1 Si tratta di studi poi confluiti in ampie rassegne editoriali. A proposito delle strutture del potere in Piemonte, si veda Piemonte medievale. Forme del potere e della societ. Studi per Giovanni Tabacco, Torino 1985.
2 Secondo la felice definizione di G. SERGI, Interazioni politiche verso un equilibrio istituzionale. Torino nel Trecento, in Torino e i suoi statuti nella seconda met del Trecento, Torino 1981, p. 13.

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nitiva nella Storia di Torino edita nel 1997 dallEditore Einaudi e nelle raccolte di saggi presenti nelle collane di ricerca promosse dallArchivio Storico della citt di Torino (come i due volumi de Il Palazzo di Citt, Torino fra Medioevo e rinascimento e gli importanti saggi presenti nel volume
gi ricordato, Torino e i suoi statuti nella seconda met del Trecento). In
queste raccolte rientrano principalmente anche i contributi di storia economica della citt, quelli relativi alle analisi di demografia condotte da Rinaldo Comba 3 e gli svariati interventi sulla ricostruzione del tessuto urbano del comune di Torino, tra cui spiccano i lavori di Aldo Settia, Maria Teresa Bonardi e Rosanna Roccia, autrice tra laltro di un lavoro sugli ordinamenti militari torinesi alla fine Trecento 4. Correlati ai temi di storia economica gi oggetto delle prime trattazioni a riguardo da parte di Mario
Chiaudano negli anni Quaranta 5 troviamo gli studi di Anna Maria Pascale e Stefano Benedetto relativi alla storia agraria di Torino e del suo contado 6. In merito ai contributi di storia sociale si ricordano soprattutto
per la loro utilit nellambito della nostra ricerca gli studi di Enrico Artifoni 7 e Alessandro Barbero 8.

3 Tra i numerosi studi dellautore sullargomento, obbligatorio il rimando a R. COMLa popolazione in Piemonte sul finire del Medioevo, Torino 1977 (Biblioteca storica subalpina, 199).
4 R. ROCCIA, Lorganizzazione militare nella Torino del XIV secolo, in Torino e i suoi
statuti cit., pp. 39-48.
5 M. CHIAUDANO, La finanza del comune di Torino nel secolo XV, in Bollettino storico-bibliografico subalpino , XLIII (1941), pp. 1-38.
6 Cfr. ad esempio S. BENEDETTO, Forme e dinamiche del paesaggio rurale, in Torino fra
Medioevo e Rinascimento. Dai catasti al paesaggio urbano e rurale, a cura di R. COMBA, Torino 1993, pp. 241-264, e A. M. PASCALE, Fisionomia territoriale e popolazione nel comune
di Torino sulla base del catasto del 1349, in Bollettino storico-bibliografico subalpino ,
LXXII (1974), pp. 199-258.
7 Soprattutto E. ARTIFONI, I ribaldi. Immagini e istituzioni della marginalit nel Tardo Medioevo piemontese, in Piemonte Medievale cit., pp. 226-251.
8 A. BARBERO, Un oligarchia urbana. Politica ed economia a Torino fra Tre e Quattrocento, Roma 1995. Oltre alla monografia, sono risultati di grande importanza anche i contributi dellautore sulla composizione sociale della citt di Torino. A tal proposito si vedano
A. BARBERO, G. S. PENE VIDARI, Torino sabauda. Dalle lotte di parte e dalle congiure antisabaude a un nuovo equilibrio sociale e istituzionale, in Storia di Torino, II: il basso medioevo e la prima et moderna (1280-1536), a cura di R. COMBA, Torino 1997, pp. 213-257; A.
BARBERO, Gruppi e rapporti sociali, e Il mutamento dei rapporti fra Torino e le altre comunit del Piemonte nel nuovo assetto del ducato sabaudo, in op. cit., pp. 161-213 e pp. 373422; ID., Una fonte per la demografia torinese del basso Medioevo: lelenco dei membri del
BA,

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Laspetto relativo alla conflittualit urbana rimasto per certi versi in una posizione di secondo piano rispetto alle ricostruzioni di storia
istituzionale e sociale. Gli studi sulla giustizia in ambito torinese e pi
in generale in ambito sabaudo sono scarsi e hanno insistito soprattutto
nello studio dei banna 9; privilegiando lanalisi quantitativa dei reati contenuti nei conti della castellania per la ricostruzione della storia della criminalit 10. Poca attenzione stata posta, almeno sino agli anni Novanta,
consiglio di credenza, in Bollettino storico-bibliografico subalpino , LXXXVII (1989), pp.
221-233; ID., La violenza organizzata. LAbbazia degli Stolti a Torino fra Quattro e Cinquecento, in Bollettino storico-bibliografico subalpino , LXXXVIII(1990), pp. 387-453.;
ID., Reclutamento dei funzionari e venalit degli uffici nel ducato sabaudo: lesempio del vicariato di Torino (1360-1536), in Amministrazione e giustizia nellItalia del nord fra Trecento e Settecento: casi di studio, a cura di L. MARINI, Bologna 1994, pp. 11-40; A. BARBERO,
G. CASTELNUOVO, Governare un ducato. Lamministrazione sabauda nel tardo Medioevo,
in Societ e Storia , 57 (1992), pp. 465-511.
9 Il contenuto dei banna riguarda i proventi della giustizia; in modo particolare, si tratta di un gruppo specifico di rubriche contenute nei rotoli dei conti della castellania, che ogni
anno ciascuna castellania sabauda era tenuta a redigere e spedire alla Camera dei Conti di
Chambry. I conti della castellania sono conservati presso lArchivio di Stato di Torino, Camerale, e sono conservati in unit archivistiche dette articoli , delle quali i nostri rappresentano lart. 75, paragrafo 1. I mazzi nei quali sono suddivisi vanno dal 7 al 9; e i rotoli dal
44 al 55. A tal proposito riportiamo tutte le segnature archivistiche, al fine di rendere pi
chiara larticolazione delle singole fonti e la loro rilevanza quantitativa e cronologica: art. 75,
p. 1, m. 7, rotolo 44 (1378-1380), rotolo 46 (1383-1384), rotolo 47 (1384-1386); m. 8, rotolo
50 (1385-1390), rotolo 52 (1392-1394); m. 9, rotolo 54 (1398-1401). I conti della castellania
verranno citati sempre con lindicazione del mazzo, del rotolo e dellanno di riferimento.
10 M. CONSTANT, La justice dans une chtellenie savoyarde au Moyen ge: AllingesThonon, in Revue historique de droit franaise et tranger , 50 (1972), pp. 374-397; N.
CARRIER, Une justice pour rtablir la concorde : la justice de composition dans la Savoie de
la fin du Moyen ge (fin XIII e - dbut XVI e sicle, in Le rglement des conflits au Moyen
ge (Atti del XXXI convegno della S.H.M.E.S. - socit des Historiens Mdivistes de lEnseignement Suprieur Public, Angers 2000), Paris 2001, pp. 237-259; ID., Les communauts
montagnardes et la justice dans les Alpes nord occidentales la fin du Moyen ge. Chamonix, Abondance et les rgions voisines, XIV e-XV e sicles, in Cahiers de Recherches Mdivales , 10 (2003), pp. 89-118; P. LEHMANN, La rpression des dlits sexuels dans les tats savoyards. Chtellenies des diocses dAoste, Sion et Turin, fin XIII e-XV e sicle, Lausanne 2006
(Cahiers Lausannois dHistoire Mdivale, 39), p. 11; V. BUFFLIER, Justice et criminalit dans
la Chtellenie de Chambry ou Moyen ge (1353-1364), dattiloscritto presso lUniversit de
Savoie-Chambry, a.a. 1998-1999 (relatore: prof. C. GUILLER). Per lambito piemontese, si
ricordino R. COMBA, Apetitus Libidinis Coherceatur . Strutture demografiche, reati sessuali e disciplina dei comportamenti nel Piemonte Tardo Medievale, in Studi Storici , 3
(1986), pp. 529576; P. DUBUIS, Sulla criminalit e sui bandi del comune di Ivrea, in Bollettino storico-bibliografico subalpino , LXVIII (1970), pp. 157211; G. S. PENE VIDARI,
Sulla criminalit e sui bandi del comune di Ivrea, in Bollettino storico-bibliografico subal-

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ai sistemi di ricomposizione delle dispute, pur attestate dai rotoli dei banna. Lindagine che ci proponiamo di affrontare in questa sede prende le
mosse dallo studio di due registri giudiziari inediti conservati presso lArchivio Storico della citt di Torino 11. Si tratta di due Libri Malleficiorum
che ci riportano alla dimensione del processo pubblico e testimoniano lattivit della curia vicariale della citt per un periodo compreso tra il 1379 e
il 1383.
Attraverso lo studio di questi documenti, abbiamo potuto ricostruire
il funzionamento del sistema giudiziario del comune di Torino alla fine del
Medioevo e in modo particolare, il nostro contributo ha cercato di cogliere laspetto relativo alla conflittualit di ambito urbano 12. Il criterio principale che ha guidato la nostra ricerca sulla natura delle dispute a Torino,
ha preso le mosse dalla natura delle persone che sono implicate a diverso
titolo negli atti dei processi; in altre parole dei diversi gruppi sociali in cui
si articolava la societ torinese a fine Trecento. Tale classificazione indivi-

pino , LXVIII (1970), pp. 157-211; C. BURZIO, Il principe, il giudice e il condannato. Lamministrazione della giustizia a Fossano allinizio del Trecento, Cuneo 1990. Taluni aspetti della criminalit di ambito torinese di fine Trecento si possono trovare anche in BARBERO,
Gruppi e rapporti sociali cit., pp. 161-213.
11 Archivio storico della citt di Torino, Carte Sciolte 3212, I, Liber Malleficiorum
1379-1380, e II, Liber Malleficiorum 1381-1383.
12 Lanalisi della conflittualit condotta per tutti i gruppi sociali, ha permesso altres di
identificare una serie di categorie di disputa attestate con maggior frequenza nel contesto sociale della citt. Tali tipologie si riconducono a conflitti di propriet, a liti insorte per debiti insoluti, a scontri intra-familiari e a semplici dissidi nati dalla rottura delle relazioni di vicinato, senza grosse differenze tra ceti. La caratteristica pi importante della conflittualit
emergente dallo spoglio delle fonti giudiziarie si riferisce proprio a questa uniformit di fondo. In modo particolare, si potuto osservare come i metodi di conduzione delle liti intrafamiliari si riconducano sempre ai meccanismi della faida, intesa come una pratica di gestione del conflitto che sfruttava larena processuale come uno dei tanti strumenti di mediazione offerti dal sistema giudiziario. A tal proposito, mi permetto di rimandare alla mia tesi di
dottorato: M. MAGNANI, Lamministrazione della giustizia a Torino alla fine del Trecento.
Reati, conflitti e risoluzione delle dispute in un comune principesco, dattiloscritto presso il dipartimento di Storia dellUniversit, a.a. 2007-2009, pp. 80-144. Anche a Torino, dunque, le
relazioni di inimicizia e i conflitti attraversavano tutto il corpo sociale come una relazione
di tipo ordinario, cos per il magnate o per il mercante, come per lartigiano o per il popolino (A. ZORZI, Pluralismo giudiziario e documentazione: il caso di Firenze in et comunale, in Pratique sociale set politiques judiciaires dans le ville de lOccident la fin du Moyen
ge in Pratiques sociales et politiques judiciaires dans les villes de lOccident la fin du
Moyen ge, a cura di J. CHIFFOLEAU, C. GAUVARD e A. ZORZI, Roma 2007, p. 147).

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dua una tripartizione fra i membri delloligarchia cittadina (nobili e popolari) e una terza e pi ampia categoria costituita dal resto della popolazione civile. Una cospicua percentuale di processi infatti vede protagonista la classe dirigente della citt. Per il biennio 1379-1380, la percentuale
delle presenze degli appartenenti alle famiglie delloligarchia urbana (sia
nobili che popolari) del 18% sul numero totale di 246 rei; mentre per il
1382-1383, tale cifra sale sino al 24% su un totale di 218 imputati.
Partendo da questi dati numerici, la nostra analisi intende incentrarsi
proprio sui conflitti delloligarchia cittadina, concentrandosi in modo particolare su di un aspetto specifico di tali dispute, vale a dire le liti tra nobilt e Popolo. Il tema dei conflitti di fazione rimasto ai margini della storia torinese, a lungo interpretata come un comune che non presentava
quelle fratture che si possono cogliere per il resto dellItalia centro-settentrionale, soprattutto alla fine del secolo XIII 13. In realt, non sono affatto
mancati nella storia della Torino basso medievale momenti di forte attrito tra le due forze politiche. Un aspetto ancora pi interessante riguarda poi quelle dispute che testimoniano delle tensioni molto forti tra la clas-

13 Riguardo al tema delle lotte di fazione tra magnati e popolari e del ruolo giocato dal
Popolo nella politica dei comuni basso medievali tema classico della storiografia italiana
comunalistica a partire dai dibattiti tra Gaetano Salvemini e Nicola Ottokar ci limiteremo
a segnalare in questa sede i lavori pi recenti e gli aggiornamenti storiografici sulla questione. A tal proposito si vedano E. ARTIFONI, Tensioni sociali e istituzioni nel mondo comunale, in La Storia, a cura di N. TRANFAGLIA e M. FIRPO, I, Torino 1986, pp. 461-491; ID., Corporazioni e societ di Popolo : un problema della politica comunale del secolo XIII, in
Quaderni Storici , 74 (1990), pp. 387-404. Una tappa importate per la riflessione storiografica sulle lotte di fazione nei comuni italiani si veda limportante raccolta degli atti del
convegno di Pistoia del 1997, Magnati e Popolani nellItalia comunale (Atti del quindicesimo convegno di studi del Centro Italiano di Studi di Storia e dArte di Pistoia), Pistoia 1997.
Recentemente alcune monografie si sono incentrate sul rapporto tra nobili e Popolo fra XIII
e XV secolo. Si vedano ad esempio G. MILANI, Lesclusione dal comune. Conflitti e bandi
politici a Bologna e in altre citt italiane tra XII e XIII secolo, Roma 2003; A. GAMBERINI,
La citt assediata. Poteri e identit politiche a Reggio in et viscontea, Roma 2003; M. GENTILE, Terra e poteri. Terra e poteri: Parma e il parmense nel ducato visconteo allinizio del
Quattrocento, Milano 2001; Guelfi e ghibellini nellItalia del Rinascimento, a cura di M.
GENTILE, Roma 2005. Per lambito strettamente piemontese si vedano R. BORDONE, Magnati e popolani in area piemontese con particolare riguardo al caso di Asti, in Magnati e Popolani nellItalia comunale, soprattutto alle pp. 399-415; S. BANI, Funzionamento della societ di S. Giovanni Battista e suo inserimento nelle istituzioni e nel quadro sociale del comune di Torino, Torino 1975, dattiloscritto presso il Dipartimento di Storia dellUniversit
di Torino, sezione medievistica.

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se dirigente questa volta unita e compatta e gli ufficiali principeschi posti al vertice del governo cittadino.
Prima di entrare nel merito della conflittualit politica torinese di fine Trecento, occorre tuttavia, riassumere quali fossero i rapporti di potere
tra la citt e il principe sabaudo. Al fine di cogliere, in prospettiva diacronica, tali rapporti nella loro complessit, abbiamo preso in esame gli Ordinati comunali che coprono senza interruzioni il ventennio che va dal
1372 al 1392 14, i quali testimoniano con precisione il dinamismo della societ politica della citt.
1. Rapporti di potere fra principe e citt
Gli statuti e le franchigie emanate nel 1360 dal conte Amedeo VI in
favore della citt rappresentano un momento importante nella ridefinizione dei rapporti di potere tra il principe sabaudo e il comune di Torino.
Tuttavia, la spinta allautonomia derivante dalla concessione degli statuti
non va enfatizzata o letta in direzione di una riduzione della sovranit del
conte sul territorio. Se vero infatti che il consiglio di credenza poteva ritagliarsi uno spazio di gestione autonomo verso cui convogliare aspettative e interessi della popolazione urbana, significativo tuttavia che da una
lettura pi attenta dei meccanismi di controllo esercitati sullorgano consiliare della citt, emerga pur sempre la forte egemonia principesca sul comune e la sua classe dirigente. Ad esempio, il consiglio cittadino poteva
14 La scelta dei volumi degli Ordinati che registrano le sedute del consiglio comunale a partire dal 1325 caduta sui volumi inerenti gli anni 1365-1392 e trascritti negli ultimi dieci anni a cura dellArchivio storico della citt di Torino: Libri Consiliorum del comune di Torino del 13651369. Trascrizione e regesto degli Ordinati comunali, a cura di M. BAIMA, Torino 2002; Libri Consiliorum del comune di Torino del 1372-1375. Trascrizione e regesto degli Ordinati comunali, a cura di M. BAIMA, Torino 2002; Libri Consiliorum del comune di Torino del 1376-1379. Trascrizione e regesto degli Ordinati comunali, a cura di M.
BAIMA, M. T. BONARDI, Torino 2002; Libri Consiliorum del comune di Torino del 13801383. Trascrizione e regesto degli Ordinati comunali, a cura di M. BAIMA, M. T. BONARDI,
Torino 2003; Libri Consiliorum del comune di Torino del 1384-1386. Trascrizione e regesto
degli Ordinati comunali, a cura di M. BAIMA, A. ONESTI, Torino 2005; Libri Consiliorum
del comune di Torino del 1387-1389. Trascrizione e regesto degli Ordinati comunali, a cura
di M. BAIMA, A. ONESTI, Torino 2006; Libri Consiliorum del comune di Torino del 13901392. Trascrizione e regesto degli Ordinati comunali, a cura di L. BARALE e F. GAMALERO,
Torino 2008.

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riunirsi unicamente in presenza del vicario, del giudice o di un loro collaboratore, i quali come vedremo, fungevano da veri e propri elementi di
controllo sullamministrazione del comune 15 in quanto rappresentanti
diretti del principe e espressione tangibile dellinteresse di questultimo alla razionalizzazione politica dei propri domini.
Da una rapida rassegna dei compiti amministrativi del consiglio di
credenza 16 emerge, con sufficiente chiarezza, come le prerogative del consiglio si limitassero a un ruolo di interfaccia tra la comunit e il principe,
nonostante unindubbia autonomia inerente la gestione delle questioni interne alla citt. Proprio queste prerogative rappresentarono per il consiglio
di credenza larena in cui si misurava la competizione politica tra le componenti sociali torinesi, il campo dazione riservato agli interessi di parte
delloligarchia. Tali interessi si convogliavano per verso il mantenimento
o laccrescimento degli spazi concessi dal principe. Com stato dimostrato dalla recente storiografia incentrata sul rapporto fra Stati regionali e ci
che restava degli organismi municipali nelle citt del Trecento e del Quattrocento, le autonomie e le prerogative in cui si muovevano i collegi cittadini, rappresentavano un vero e proprio momento di espressione della comunit 17.

15

SERGI, Interazioni politiche cit., p. 14.


Al consiglio di credenza competevano le pi disparate funzioni amministrative e di
governo delle attivit economiche. Innanzitutto lelezione del massaro (funzionario dalle
competenze fiscali), dei racionatores, degli extimatores incaricati della redazione del catasto
e delle pratiche fiscali, dei sindaci del comune e di due dei notai della curia. Inoltre, la credenza deliberava a proposito dei prezzi della carne, del pesce e del grano in tempi di crisi; si
assumeva la difesa dei propri cittadini nei conflitti con le comunit circostanti, si preoccupava di regolamentare lincanto delle gabelle e provvedeva ai tagli del tasso; imponeva la taglia e stabiliva i tempi per la mietitura, decideva sullammissione di un nuovo cittadino nel
tessuto sociale torinese e procurava mercenari per lesercito del principe. Provvedeva al mantenimento degli edifici pubblici e concedeva i protocolli dei notai defunti agli individui che
riteneva pi idonei a ricoprirne il ruolo scegliendoli tra le fila delle principali famiglie nobili e popolari che formavano loligarchia cittadina. Su di un maggior approfondimento sui
compiti del consiglio di credenza torinese e sullarticolazione della classe dirigente del comune, si vedano BARBERO, Torino sabauda cit., pp. 221-238 e UnOligarchia urbana cit.,
capp. I e II.
17 G. M. VARANINI, Aristocrazie e poteri nellItalia centro-settentrionale dalla crisi comunale alle guerre dItalia, in R. BORDONE, G. CASTELNUOVO, G. M. VARANINI, Le aristocrazie dai signori rurali al patriziato, Roma - Bari 2005, p. 166. Sul tema dei rapporti fra principi e comunit cittadine fra XIV e XV secolo si rimanda agli studi di G. CHITTOLINI, Citt,
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Nel consiglio di credenza di Torino, come in molti centri dellItalia


centro-settentrionale, era viva e vitale, insomma, una prospettiva politica
e una dimensione civica circoscritta, ma tuttaltro che irrilevante o spenta 18. La permanenza di questa vitalit delle istituzioni municipali creava
dei problemi al principe, che con un sapiente sistema di mediazione, riusciva a assorbire nella propria ottica di riordino politico le tendenze pi
autonomistiche delloligarchia in un sistema regolato di rapporti bilaterali
che stemperavano la tensione e mantenevano intatto il potere del principe 19. Questa dialettica, tuttavia, non priva di ricadute sul piano della conflittualit. Come vedremo nelle pagine che seguono, non mancano a Torino episodi di intolleranza verso le autorit principesche e di aperta ostilit,
che pure il principe riesce far rientrare attraverso alcuni strumenti politici
e giudiziari.
Uno dei principali aspetti del rapporto tra principe e oligarchia a Torino traspare dalla divisione fra nobili e populares nella quale la citt articolata alla fine del Trecento. Le fonti comunali sono molto precise nellindividuare con precisione le famiglie e i membri di entrambe le parti. La loro esistenza appare predeterminata 20 da una scelta del principe che pur
comunit e feudi negli stati dellItalia centro settentrionale (XIV-XVI secolo), Milano 1996;
ID., Organizzazione territoriale e distretti urbani nellItalia del tardo Medioevo, Bologna
1994, pp. 7-26; G. M. VARANINI, Governi principeschi e modello cittadino di organizzazione del territorio nellItalia del Quattrocento, in Principi e citt alla fine del Medioevo, a cura di S. GENSINI (Atti del convegno del Centro di Studi sulla Civilt del Tardo Medioevo,
San Miniato 1996,) Pisa 1997, pp. 95-124; GAMBERINI, La citt assediata cit., pp. 25-90; GENTILE, Terra e poteri cit., pp. 123-150. Per larea sabauda, si vedano ancora BARBERO, CASTELNUOVO, Governare un ducato cit., pp. 465-511.
18 VARANINI, Aristocrazie e poteri nellItalia centro-settentrionale cit., p. 167.
19 A proposito della mediazione politica tra XIV e XV secolo, Renato Bordone ha recentemente osservato come lo Stato regionale che si va affermando appare negli studi recenti che stanno aggiornando uninveterata tradizione storiografica sempre pi configurato su basi contrattuali o pattizie, frutto di articolate relazioni fra pluralit di poteri. In questo panorama anche i ceti dirigenti cittadini, patteggiando, mantengono, pur ridimensionandone politicamente, le loro prerogative municipali, e individuano nelle vecchie istituzioni cittadine (consigli, statuti, magistrature amministrative) il loro punto di riferimento (R. BORDONE, Introduzione, in Le aristocrazie cit., p. XI).
20 Il caso di Torino e della ripartizione predeterminata per classi sociali stata riassunta da Gian Maria Varanini nel suo contributo sui ceti patrizi del secolo XIV. Si veda a tal
proposito, VARANINI, Aristocrazie e poteri nellItalia centro-settentrionale cit., p. 166. Come
utile confronto per comprendere la composizione della societ di un comune soggetto allegemonia sabauda, si veda il caso di Susa in G. SERGI, Concretezza di unastrazione; gli or-

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certificando di fatto una situazione esistente 21, tese a semplificare la societ


torinese al fine di un inquadramento pi deciso nellalveo del principato.
In conclusione, lo statuto del 1360 rispondeva allesigenza del principe di razionalizzare le forze sociali presenti in citt, fornendo tuttavia ai
membri delloligarchia uno spazio entro il quale muoversi con una certa
disinvoltura. Amedeo VI pur liberando la cittadinanza da taluni oneri e
obbligazioni imposte a Torino dai principi dAcaia 22 definisce i termini di
unindipendenza limitata che poggiava su una concessione che di fatto non
intaccava il potere esecutivo del principe. La comunit poteva procedere
alla formazione dei capitula dello statuto e ritagliarsi alcuni alvei di autonomia il cui orizzonte era per rappresentato dalla citt stessa.
Rispetto alle comunit soggette ai Savoia, le citt piemontesi detenevano prerogative proprie del loro carattere prettamente comunale. Sotto il
profilo politico, il maggiore di questi poteri era rappresentato dal controllo degli ufficiali di nomina principesca.
Loperato del giudice e del vicario, veniva infatti sottoposto per legge a verifica da parte dei rappresentanti del consiglio comunale di Torino,
il quale annualmente doveva eleggere quattro sapienti tenuti sotto giuramento a indagare sugli eccessi e le eventuali inadempienze dei due ufficiali, denunciandone le azioni ritenute ingiuste 23. Della pratica del sindacato
dines di un comune alpino del Duecento, in Citt e territori nellItalia del Medioevo. Studi in onore di Gabriella Rossetti, a cura di G. CHITTOLINI, G. PETTI BALBI, G. VITOLO, Pisa - Napoli 2007, pp. 41-52.
21 Nel periodo da noi considerato, la contrapposizione fra nobilt e popolo non fosse ancora il relitto di un clima politico superato; e che lo sforzo di osservare una rigorosa
parit nella spartizione degli uffici fosse il frutto di una persistente diffidenza reciproca piuttosto che di una tendenziale omologazione fra nobili e popolari [...] il profilo sociale, economico, demografico e culturale di una famiglia di popolo era ancora, a questa data, mediamente piuttosto distante da quello di una famiglia nobile; ma anche sul piano pi propriamente politico esistono indizi importanti di un persistente contrasto d interessi (BARBERO, Un oligarchia urbana cit., p. 25).
22 Come riportato nelle franchigie concesse a Torino poco prima degli statuti dallo stesso Amedeo VI. A tal proposito si veda F. SCLOPIS, Statuta et privilegia civitatis Taurinensis,
Augustae Taurinorum 1835, p. 212.
23 Quatuor sapientes qui teneantur denuntiare seu significare domino comiti, expensas comunis, excessus et iniusticias et defectus suorum vicariorum, iudicum, castellanorum,
officialium et nuntiorum domini comitis existentium in Taurino, et qui plena credencia iurent :Gli statuti del comune di Torino del 1360, a cura di D. BIZZARRI, Torino 1933 (Biblioteca della Societ storica subalpina, 138/1), rubrica 289, p. 121.

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se ne ha menzione per il periodo preso in esame dal nostro lavoro una


sola volta allinterno di una seduta del consiglio del marzo del 1382, nella
quale si delibera lelezione dei quattro sapienti scelti per notifficare illustri domino nostro principi iniurias et inusticias si que fierent per dominos
vicarium et iudicem et alios officales 24. La traduzione pratica di tale norma testimonia uno degli alvei di quellautonomia controllata che il conte
aveva accordato al consiglio cittadino in seguito alla concessione degli statuti nel 1360. Contestualmente per tale concessione nasconde una volont
di controllo indirizzata nei confronti di quegli stessi ufficiali incaricati dal
principe di governare il distretto urbano.
Ancora da un punto di vista politico, tra quei poteri che lo statuto accordava ai rappresentanti del comune di Torino, va sottolineata la concessione del diritto di rappresaglia nei confronti dei singoli individui che ne
facevano esplicita richiesta 25.
2. Elementi di tensione tra nobili e popolari
Come abbiamo avuto gi modo di ricordare, non mancarono nella
Torino tardo trecentesca momenti di attrito tra le forze politiche. Nelle
fonti di matrice processuale le tracce di conflitti a sfondo politico sono decisamente scarse. Il caso pi significativo risale al 14 dicembre del 1380. Si
tratta di uninquisizione purtroppo priva dellintestazione nella quale venivano identificati i colpevoli e il reato che si intendeva perseguire. Dal
contenuto delle deposizioni dei testimoni, si evince tuttavia che si tratta di
un processo nel quale lo scontro riguardava pi membri del consiglio di
credenza, sia nobili sia popolari.
24

Libri Consiliorum del comune di Torino del 1380-1383 cit., p. 203.


Gli statuti del 1360 si esprimono a riguardo in questo modo: item quod nullum
cambium vel aliquam represalia concedatur alicui super aliquibus rebus vel personis vel contra personas aliquas, nisi placuerit maiori parti credentie, que volutas et arbitrium exquiratur hoc modo (Gli statuti del comune di Torino del 1360 cit., rubrica 46, p. 37). Negli Ordinati torinesi del 1380 si registra un caso di conferimento di tale diritto; Giovannino Cravino cittadino torinese, ottenne il permesso alla rappresaglia dalla curia contro Lionello e
Matteo Provana di Lein iuxta formam capituli civitatis Taurini positi in libro capitulorum
foleo XV et hoc usque in quantitatem librarum LVIII solidorum XII iuxta formam apendice facte per Matheum Provana predictum (Libri Consiliorum del comune di Torino 13801383 cit., p. 295).
25

CONFLITTUALIT POLITICA IN UN COMUNE AD AUTONOMIA LIMITATA

459

La prima delle testimonianze quella del nobile Nicola Aynardi, il


quale introduce la propria deposizione fornendo subito elementi importanti: il rumor al centro dellinquisizione si sarebbe originato durante
unimportante seduta del consiglio di credenza risalente con ogni probabilit al 29 novembre 26 incentrata sulle modalit del prelievo fiscale.
Il testo della deposizione ci informa che durante il dibattimento acceso, Bartolomeo Sacco membro del Popolo de loco suo surexit et venit [...] inter alios contendentes, dicentem plura verba qui bene non intellexit, propter rumorem qui ibi erat; tamen audivit dictum Bartholomeum
qui dicebat incidere per pecias 27. Gi da questa testimonianza viene circostanziandosi il contenuto della lite, dal carattere spiccatamente politico e
nella quale un credendario avrebbe minacciato la controparte di farla letteralmente a pezzi 28. Gli atti del processo proseguono con altre 4 testimonianze, seguite dagli interrogatori dei presunti imputati: un certo Giacomo Granerio, sul quale torneremo a breve, e Bartolomeo Sacco. A fianco della sua deposizione troviamo la formula con cui si registrava lemissione della sentenza, in questo caso una condanna a 20 soldi propter rixam
in credencia.
Siamo dunque di fronte a un confronto politico denunciato come una
rissa, climax della tensione sviluppatasi durante la riunione del consiglio. Il
carattere di scontro fra le diverse componenti sociali della classe dirigente
emerge con ulteriore chiarezza nelle deposizioni degli altri testimoni. Cominciamo da quella di un anonimo credendario (presumibilmente un no-

26 La data stata ricavata da un confronto tra il Liber Malleficiorum e gli Ordinati del
1380. I registri ci informano che loggetto della riunione aveva un contenuto finanziario.
Scorrendo i regesti di ogni singola seduta si incontrano solo due date anteriori al 14 dicembre che potrebbero essere state il teatro dei disordini. Si tratta della riunione del 29 novembre nella quale si discuteva a proposito dei debiti maturati dal comune verso il principe e
quella dello stesso 14 dicembre nella quale si fissano i prezzi di carne e pesce. Visto il contenuto della lite dal carattere politico-finanziario, si indotti a ritenere pi pertinente la riunione del 29 novembre. Cfr. Libri Consiliorum del comune di Torino 1380-1383 cit., pp. 91
e 98. Sugli scontri di carattere politico cfr. M. GRAVELA, Processo politico e lotta di fazione
a Torino nel secolo XIV: la congiura del 1334 contro Filippo dAcaia, in Bollettino storicobibliografico subalpino , CVIII/2 (2011), pp. 483-552.
27 Liber Malefficiorum cit., I, ff. 169r.
28 Nicola Aynardi infatti riferisce di trovarsi assieme a Franceschino Borgesio, membri
di spicco della nobilt torinese, il quale avrebbe per primo avvertito le minacce del Sacco.

460

MATTEO MAGNANI

bile a giudicare dal contenuto della deposizione) il quale riferendosi non


alle ingiurie minacciose del Sacco, bens alle agitazioni in consiglio, riferisce di accuse pesanti mosse da Francesco Gastaldi, popolare di spicco, al
dominus Tomaino Borgesio: pater vester et aliud de domo vestra fecerunt
tale instrumentum de Iacobus de Granerio 29. Il testo della testimonianza
prosegue e indica come proprio Giacomo Granerio popolare, ma non appartenente al consiglio dixit quod veniret cum quinqaginta sociis , minacciando quindi una ripercussione armata da parte del popolo. Landamento della deposizione confuso, ma dichiaratamente di parte, indicando il Popolo come motore del tumulto e precisando come il nobile Domenico de Gorzano avrebbe visto plures populares qui non sunt de credencia congregatos ad domum comunis hora dicte credencie 30.
Da queste prime battute, si viene delineando un quadro nel quale la
natura degli scontri tra nobili e Popolo riguarda la distribuzione dei carichi fiscali. Tale impressione si rafforza nelle successive deposizioni. Franceschino Borgesio, interrogato assieme agli altri testimoni il 1 gennaio, torna a indicare il Sacco come principale responsabile assieme a Francesco
Gastaldi e Bertolino Malcavalerio.
A riguardo per, la testimonianza chiave risulta quella del secondo
imputato, Giacomo Granerio. La deposizione molto interessante perch
innanzitutto sposta laccento dei fatti sullorigine stessa delle agitazioni,
confermando il sospetto di una responsabilit attiva dei membri del Popolo. Secondo quanto riporta Giacomo Granerio, Enrico Cornaglia e Ricciardello de Broxulo, populares influenti, si erano recati presso il suo banco in beccheria e gli avevano riferito dellordine del giorno previsto per la
riunione del consiglio: quod credencia debebat fieri de presenti pro recuperando pecuniam et quod credendarii erant discordes, quia aliqui volebant imponere dictam pecuniam per taxum et aliqui per taleam ad registrum 31. Successivamente avevano chiarito le loro intenzioni, dimostrando di voler creare disordine al fine di ottenere una vittoria sulla controparte. Infatti i due avrebbero detto a Giacomo che se la credenza avesse

29
30
31

Liber Malefficiorum cit., I, f. 169v.


L. cit.
L. cit.

CONFLITTUALIT POLITICA IN UN COMUNE AD AUTONOMIA LIMITATA

461

scelto di imporre la taglia per registrum, quod ipse qui loquitur et alii populares minus gravarentur quam per taxum et imo cum essent in credencia, ipse qui loquitur venire deberet cum aliis popularibus ad dictam credenciam causa dicendi quod nolebat ullo modo taxum sed solum modo taleam 32. Ecco quindi il punto focale della disputa: la questione fiscale. La
lite originava dalla crisi finanziaria nella quale versava il comune in quegli
anni; soprattutto a causa delle ripetute richieste di contribuzione e sussidio
da parte del principe, dovute principalmente alla guerra. Il processo mostra che non era messa in discussione la tassazione come rimedio necessario al fine di fronteggiare la crisi. Se mai, la polemica riguardava il metodo
che si sarebbe dovuto impiegare per calcolare lammontare dellimposta.
Secondo i populares, il modo migliore per raccogliere il danaro consisteva
nellesazione della taglia, cio limposta diretta che rappresentava nel secolo XIV a Torino il principio cardine dellesazione fiscale. La taglia era
calcolata proporzionalmente alle ricchezze di ognuno dei contribuenti che
avevano registrato i propri beni a catasto 33. Ai nobili tale principio di esazione non conveniva; e si capisce bene perch essi portino avanti con forza il principio di una divisione per quote diverse, rappresentato dal taxum.
Come hanno dimostrato numerosi studi, pi o meno recenti, le questioni fiscali, in primo luogo quella cruciale relativa alla valutazione dellimponibile, erano in questi contesti sociali [...] connesse immediatamente
a problemi di equilibrio politico generale e alle dialettiche fra gruppi dominanti e gruppi che rivendicavano una partecipazione al potere 34. Nel
32

L. cit.
Sulla natura dellesazione fiscale a Torino nel Trecento, si veda G. BRACCO, Le finanze del comune di Torino nel secolo XIV, in Torino e i suoi statuti cit., pp. 49-55.
34 P. CAMMAROSANO, Italia medievale. Struttura e geografia delle fonti scritte, Roma
1991, p. 184. Sulla questione relativa agli scontri tra nobili e populares nelle citt comunali
italiane, spiccano i lavori di John P. Grundmann e Jean-Claude Maire Vigueur sul caso di
Perugia nel Duecento. A tal proposito si veda J. P. GRUNDMANN, The Popolo at Perugia.
1139-1309, Roma 1985, pp. 35-80; J. C. MAIRE VIGUEUR, Comuni e signorie in Umbria,
Marche e Lazio, Torino 1987, pp. 134-138, pp. 204-207; ID., Cavalieri e cittadini. Guerra,
conflitti e societ nellItalia comunale, Bologna 2004, pp. 209-267. Secondo lo storico francese, il problema dellimposta diretta dovunque al centro dei conflitti che oppongono la
nobilt e il Popolo e che la maggior parte degli accordi che segnano levoluzione dei rapporti
fra le due classi comprendono clausole di natura fiscale (op. cit., p. 266). Alla stessa conclusione giunge anche Giuliano Milani nella sua sintesi di storia comunale quando affronta
il tema degli strumenti messi in campo dalle forze politiche per fare fronte al problema fi33

462

MATTEO MAGNANI

nostro caso, le fonti processuali ci mostrano unoligarchia cittadina tuttaltro che compatta, in cui nobili e Popolo sono implicati in conflitti reali incentrati proprio sui problemi derivanti dalla scelta delle modalit di calcolo dellimposizione fiscale.
Come dimostra anche solo una lettura superficiale degli Ordinati, il
consiglio di credenza si trova in pi occasioni a fronteggiare problemi di
natura fiscale. A titolo esemplificativo si prenda in considerazione la riunione che il consiglio aveva tenuto solo un anno prima rispetto al rumore del 1380, ossia il 7 gennaio del 1379. Qui si legge: Et primo super satisfacendo illustri domino nostro principi de taxo sibi per comunitatem
Taurini debito videlicet pro termino finito in festo nativitatis Domini
proximo preterito et hoc infra sex dies proximos iusta litteras ipsius domini nostri principis tenoris infrascriptis 35. In questa rubrica si manifesta soprattutto la pressione del principe sulla citt, ma era soprattutto il
Popolo a risultarne sfavorito tanto che a un anno di distanza alcuni suoi
membri avevano deciso di intervenire con la forza, in virt soprattutto del
proprio carattere socialmente eterogeneo, capace di dialogare anche con le
forze del popolo minuto. In un documento del 1382, il principe chiede
chiarimenti in relazione alla riscossione della taglia in seguito a una mozione sollevata quamplurium hominium popularium civitatis Taurini
che supplicano in gruppo il principe di porre alla questione un rimedio op-

scale: tra questi strumenti, il movimento popolare , comera avvenuto in precedenza,


cerc di favorire quelli che prevedessero una ripartizione delle spese pi larga e ispirata a criteri di equit, cio quelli fondati sullestimo (G. MILANI, I comuni italiani, Roma - Bari
2005, p. 124 sg.). Come si vede, il criterio dellestimo proprio quello che ancora nel secolo XIV viene propugnato dal Popolo torinese. Sulle incidenze delle problematiche fiscali sulla politica e sulla societ dei comuni nel periodo signorile, si vedano i lavori di Patrizia
Mainoni sulla realt bergamasca sotto il dominio visconteo. Come dimostrano i suoi studi,
la contingenza bellica che attraversava il delicato passaggio fra Tre e Quattrocento, influ notevolmente sugli equilibri delle citt soggette a un signore. A tal proposito si veda, P. MAINONI, Le radici della discordia. Ricerche sulla fiscalit a Bergamo tra XIII e XV secolo, Milano 1997, pp. 7-19, pp. 110-144. La stessa autrice intervenuta sui medesimi temi in Politiche finanziarie e fiscali nellItalia settentrionale (secoli XIII-XV), a cura di P. MAINONI, Milano 2001.
35 Libri Consiliorum del comune di Torino 1376-1379 cit., p. 241. Il problema della taglia torn a occupare una posizione di preminenza in seno alle decisioni del consiglio ancora nel 1382. A tal proposito si vedano i Libri Consiliorum del comune di Torino 1380-1383
cit., pp. 192-193.

CONFLITTUALIT POLITICA IN UN COMUNE AD AUTONOMIA LIMITATA

463

portuno 36. Si tratta del segno che anche limposizione della sola taglia provocava problemi e lacerazioni in seno al gruppo popolare. Non un caso
che tra i popolari che si recarono a Pinerolo troviamo proprio Bartolomeo
Sacco.
possibile trovare ulteriori tracce di scontri tra nobili e popolari per
ragioni fiscali in altre sedute del consiglio di credenza. Una delle pi interessanti si trova allinterno degli Ordinati ed tanto pi significativa perch vede accendersi la controversia tra il gruppo nobiliare e la Societ di
San Giovanni Battista. Lepisodio riguarda una disputa esplosa nel 1392 in
occasione dellassegnazione dellimposta sui mulini, momento in cui la
maggioranza dei nobili abituati ad essere i principali appaltatori delle gabelle si vedono costretti a reagire con forza alla richiesta avanzata da forze popolari di assegnare limposta direttamente alla Societ popolare di San
Giovanni Battista 37. La schermaglia persa dai nobili, in modo particolare dai membri delle famiglie Beccuti, Borgesio e da Gorzano che si erano
opposte alla richiesta 38. I della Rovere, gli Ainardi e gli Alpino presenti in
consiglio votano invece a favore della Societ, che ottenne lassegnazione
dellimposta 39.
Tornando al processo del 1380, le autorit vicariali consce della ricaduta sociale che il rumore poteva generare cercano di comprendere meglio la posizione del Granerio che si sarebbe portato sino in comune, minacciando addirittura una rappresaglia con cinquanta uomini armati. Il reo,
tuttavia, nega di essersi recato in consiglio e di aver spinto altri a dirigersi
verso il palazzo del comune. La negazione di ogni coinvolgimento diretto
viene accettata dal giudice, visto che non specificata alcuna sentenza emessa nei confronti del Granerio. Inoltre, nessun teste fece ulteriori riferimenti al coinvolgimento del Granerio nei fatti, agevolandone lassoluzione.
La successiva testimonianza di Domenico de Gorzano aiuta a cogliere un altro aspetto del processo, cio la partecipazione illegale alla seduta
36

Op. cit., p. 308.


Libri Consiliorum del comune di Torino del 1390-1392 cit., pp. 255-257.
38 Tresdecim de Burgenssis, de Becutis et de Gorzano recussaverunt ponere in buxolis eorum tabulas albas et nigras ymo ipsas possuerunt dicentes tale partitum fieri non debere super super bancham sive dischum existentes ante sedimina et conspectum ubi domini
vicarius et iudex sedebant et sedere soliti sunt (L. cit.).
39 Op. cit., p. 300 sg.
37

464

MATTEO MAGNANI

di altri membri del Popolo che non ne avevano diritto. Probabilmente


spinto dai colleghi nobili, Domenico si reca nellarchivio del comune (situato nei sotterranei) per consultare i registri che segnalavano il nome dei
credendari al fine di verificare alcune presenze sospette. Mentre si trovava
presso i gradini del palazzo, vidit [...] quamplures homines et inmediate
in via ante domum comunis erat eciam magna quantitem hominum popolarium et omnes murmurabant de talea vel taxu 40. Interrogato a proposito dei principali uomini del popolo che avrebbe visto, il nobile Domenico indica Mazardino Cravino e Maynardo Raviola, populares ricchi, anche
se non ancora rappresentati in credenza. Stefano de Vulveria, esponente del
Popolo si affretta invece a minimizzare il ruolo dei colleghi nellaccaduto,
negando con forza la propria responsabilit nellaver mosso i popolari verso il comune.
Il processo si chiude con linterrogatorio di Bartolomeo Sacco, lunico che a giudicare dalla sentenza , risulta colpevole del rumor. Il documento rilevante perch permette di cogliere la difesa dellimputato incentrata sulluso strumentale del reato che ridefinisce il ruolo giocato dallimputato. Nel ridimensionare le accuse di minaccia che gli vengono mosse, il Sacco prende le distanze dal sollevamento popolare, spostando lasse
del discorso verso una posizione quasi passiva nei confronti di quanto stava accadendo. Secondo quanto rifer nella propria deposizione, nelludire
il clamore proveniente dallesterno del palazzo civico, egli si mostra molto preoccupato per le conseguenze che il tumulto avrebbe potuto provocare. Iste esse turpis rumor , con queste parole limputato defin i tafferugli scatenatisi in consiglio, aggiungendo che la minaccia che avrebbe pronunciato sarebbe in realt, un commento al clima che regnava dentro e fuori il palazzo 41. Interrogato dal giudice sui fatti 42, nega ogni coinvolgimen-

40

Liber Malefficiorum cit., I, f. 170r.


Il turpe rumor sarebbe stato deleterio e metteva il comune in grande pericolo si populus se rumoraret ne nos incideret per pecias (L. cit.).
42 Interrogatus si ipse dixit quod faceret incidere aliquem per pecias vel quod incideretur per pecias, respondit quod non. Interrogatus si ipse dixit alicui persone populari quod
non esset de credencia, quod veniret ad domum comunis, hora dicte crdencie, respondit
quod non. Interrogatus si audivit dicere quod aliquis diceret aliquibus popularibus quod veniret ad domum comunis ut supra, respondit quod non. Interrogatus si vidit die et hora aliquos populares ad domum comunis, qui non essent de credencia, respondit sic: Mazardinum
41

CONFLITTUALIT POLITICA IN UN COMUNE AD AUTONOMIA LIMITATA

465

to, non riuscendo a convincere le autorit che lo puniscono con lammenda di 20 soldi registrata dal notaio.
Quel che bisogna sottolineare il modo in cui i membri di ambo gli
schieramenti esposero la loro versione dei fatti di fronte al giudice e al vicario. I nobili scelgono una posizione pi marcatamente accusatoria nei
confronti della controparte, i popolari optarono invece per una versione
pi vaga dei fatti principali. Pi dettagliate le versioni dei due imputati, soprattutto quella del Granerio che forse conscio della propria posizione
meno sicura di fronte al tribunale vicariale riferisce gli aspetti pi importanti del conflitto, puntando su unargomentazione che illustri della
condizione di disagio politico esistente fra i membri del consiglio di credenza, fornendo una versione dettagliata e convincente. Bartolomeo Sacco,
invece sceglie la via della mediazione. Conscio di essere al centro di una
polemica estesa, confessa di aver pronunciato le parole di minaccia, ma in
un contesto differente da quello configurato dagli altri testimoni, offrendo
una versione dei fatti che lo allontanasse dalla sollevazione popolare. La
strategia di rendersi parzialmente estraneo ai fatti riesce a evitare pene
maggiori.
Nonostante quindi Torino non conosca quella lacerazione che coinvolge e oppone i membri della nobilt e del Popolo nelle citt dellItalia
centro-settentrionale, evidente che nella realt del comune piemontese
esisteva una separazione a livello sociale che affondava le radici nelle problematiche economico-finanziarie del comune. Inoltre, il favore che il
principe dimostr in quel torno di anni verso il Popolo una prova dellesistenza di momenti di forte tensione istituzionale che potevano mettere in seria crisi gli ordinamenti comunali. La Societ di san Giovanni Battista rifondata con nuovi statuti nel 1389 rappresentava unassociazione dalle caratteristiche nettamente antiaristocratiche 43 e che nonostante

Cravinum in medio gladaris, cui dominus vicevicarius precepit quod descenderet et statim
descendit. De aliis interrogatus, respondit se nichil scire (L. cit).
43 Sulle caratteristiche della societ, si veda Gli statuti della Societ di San Giovanni
Battista del 1389, a cura di M. CHIAUDANO, Torino 1933 (Biblioteca della Societ storica subalpina 138/2), p. 10. Sulla societ di san Giovanni Battista si veda anche SERGI, Interazioni
politiche cit., pp. 15-17; BARBERO, Unoligarchia urbana cit., pp. 23-59; ID., Gruppi e rapporti sociali cit., pp. 162-168 e 184-190; BANI, Funzionamento della societ di S. Giovanni
Battista cit., pp. 20-102.

466

MATTEO MAGNANI

il controllo che gli ufficiali del principe avevano sullorganismo significava per i nobili uno smacco politico. Questi avvenimenti non vanno enfatizzati, ma servono a definire un gruppo sociale certamente non inerte e
capace se guardato nel suo complesso di rendersi compatto al fine di
ottenere i propri interessi.
Tensioni ulteriori sono ravvisabili allinterno dei conti della tesoreria
sabauda dello stesso anno. Purtroppo il testo scarno dei conti non permette di circostanziare con precisione la dinamica degli eventi; ciononostante la fonte attesta il pagamento di una composizione di una lite piuttosto accesa tra le parti che aveva reso necessario lintervento del principe,
chiamato a dirimere la controversia 44. Tre anni prima, nel 1389, alcuni torinesi exceptis illis de albergo, avevano proposto al principe una somma
piuttosto considerevole pro licencia eis data faciendi in dicta civitate
unam societatem duraturam per tempus XXV annorum 45. Al di la del
contenuto laconico del documento, proprio nel 1389 Amedeo dAcaia
riforma gli statuti della Societ di San Giovanni Battista, convogliando le
richieste del Popolo allinterno di una struttura che nonostante fosse
espressione del gruppo popolare rientrava nei disegni del principe, intenzionato a fare ricorso a strumenti aggregativi ormai consolidati in altre realt cittadine, per esercitare un controllo sociale sulla popolazione e
per emarginare eventuali tentazioni eversive dei magnati torinesi 46.
Oltre a disordini cos manifesti, nei Libri Malleficiorum si trovano
pochissimi altri accenni a liti tra nobili e populares. Si tratta di casi decisamente meno rilevanti e meno palesemente connotati dal punto di vista politico. Ad esempio la fonte riporta uninquisizione del 14 gennaio 1379 che
vide imputato per ingiurie verbali, Pietro della Rovere esponente di spicco della nobilt torinese pi vicina alla cattedra vescovile pronunciate nei

44 Nella fonte, parzialmente trascritta da Filippo Saraceno a fine Ottocento, si legge:


Manu Ardicionis Alpini de Taurino, pro sigillo composicionis [...] facti inter illos de societate de Taurino, et illos de albergis de dicto loco non existentibus de societate (Regesto
dei principi dAcaia, 1215-1418, a cura di F. SARACENO, in Miscellanea di Storia Italiana ,
XX, 1882, p. 220). Lo stesso episodio viene connesso da Alessandro Barbero al clima di tensione legato allassegnazione dellimposta sviluppatosi in credenza nel maggio di quellanno.
Cfr. BARBERO, Unoligarchia urbana cit., pp. 26-27.
45 Regesto dei principi dAcaia, 1215-1418 cit., p. 221.
46 BORDONE, Magnati e popolani in area piemontese cit., p. 415.

CONFLITTUALIT POLITICA IN UN COMUNE AD AUTONOMIA LIMITATA

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confronti Ursino Cavagli, membro di grande prestigio del Popolo. Da un


punto di vista procedurale, lepisodio non si discosta da quello di qualsiasi altro processo per ingiurie testimoniato dai documenti torinesi, soprattutto per quanto riguarda la rapidit nello svolgimento dellinchiesta condotta in brevissimo tempo e terminata con una sentenza di condanna a 10
soldi per ingiurie pronunciate in presenza del vice vicario 47. Come per tutti i casi di reato dingiuria, il testo dellinquisizione riporta il tipo di insulto (Pietro della Rovere aveva detto: tu mentisci per gulam! allavversario) e sottolinea la condizione psicologica del reo che avrebbe pronunciato le parole iniuriosse et irato animo . Tale attributo indica un contesto
di disagio e tensione fra le due persone che fa pensare a un conflitto pi
radicato che aveva trovato pubblicamente una valvola di sfogo (il fatto
avvenuto in via publica ante apotecham Antonii Voyroni ). La deposizione di Pietro della Rovere, come la stragrande maggioranza dei casi riportati nelle fonti torinesi, si incentra sullammissione di colpa: predictus
Petrus de Ruvore, principalis in facto suo e testis in alieno, iuratus et interrogatus super predictis, respondit verum esse quod ipse dixit dicto Hurisno, presente domino vice vicario, tu mentisci per gulam 48. Tale ammissione, nel contesto di uno scontro verbale tra due personaggi cos in vista del consiglio cittadino e rispettivamente di nobilt e Popolo, induce a
pensare a uninimicizia anche politica.
Episodi di questo genere sono sanzionati anche dai banna, nei quali
ad esempio troviamo multato Francesco Corvexio, membro del Popolo e
credendario, quia evaginavit gladium contra Francequinum Borgexium 49, o Filippo Beccuti per ingiurie dirette al popolare Iohaninus
Cagna 50 o ancora Stefano de Colleto verso un membro dellillustre famiglia dei Borgesio 51. Allinterno dei conti della castellania, si incontrano anche casi interessanti in cui membri del Popolo pagano delle ammende per
risse, aggressioni o ingiurie dirette nei confronti di dipendenti di famiglie

47

Liber Malefficiorum cit., I, f. 29v.


L. cit.
49 Art. 75 cit., p. 1, m. 7, rot. 44 (1378-1380).
50 Art. 75 cit., p. 1, m. 7, rot. 47 (1384-1386).
51 Per quanto riguarda la biografia del rosso Borgesio, si veda BARBERO, Unoligarchia urbana cit., pp. 205 e 322.
48

468

MATTEO MAGNANI

nobili, come ad esempio il bovaro di Giovanni Beccuti, vittima di ingiurie


da parte di un membro della famiglia Daerio, popolare e di Domenico de
Burgo, fratello del credendario Giovanni de Burgo 52.
3. Le tensioni con le autorit sabaude e i legami di solidariet fra nobili e
Popolo
Le alleanze tra i due schieramenti politici emergono nelle fonti giudiziarie (sia dai registri che dai banna) dal contenuto dei conflitti e dal
ruolo rivestito dai nobili o dai populares come testimoni o fideiussori in
processi che vedevano imputati membri dellaltro schieramento. Le fonti
individuano unarea della conflittualit particolare nella quale possibile
scorgere la solidariet o la costruzione di alleanze tra nobili e Popolo: si
tratta delle tensioni con le autorit vicariali.
Nella nostra analisi, cominceremo proprio da questultimo punto per
concentrarci in un secondo momento sul ruolo strategico rivestito dalle
parti nei processi. Prima di tutto, per, occorre delineare il quadro politico-sociale in cui si inserivano i casi di insofferenza o di aperta ostilit verso gli ufficiali del principe. Per far ci, cominceremo dalla lettura degli Ordinati dellultimo trentennio del Trecento, dai quali traspare una chiara e
continua frustrazione della citt dei confronti dei principi sabaudi. Gli
oneri fiscali pretesi per saldare vecchi e nuovi debiti e i continui appelli allinvio di contingenti armati, spingono infatti il comune a cercare un compromesso che non nasconde troppo una certa insofferenza, testimoniando
una condizione di disagio.
Per limitarci al solo arco cronologico interessato dal nostro lavoro, tra
il febbraio del 1379 e il maggio del 1383, si assiste a un impegno costante
della citt a far fronte alle richieste finanziarie del principe. In modo particolare tra laprile e il maggio del 1380, il consiglio di credenza delibera
linvio di ambasciatori a Pinerolo ad exponendum et referendum ex parte comunis, predicta et gravissima honera comunis 53. Nel giugno dello
stesso anno, il comune chiede al principe lesenzione dal pagamento dello

52
53

Art. 75 cit., p. 1, m. 7, rot. 46 (1383-1384).


Libri Consiliorum del comune di Torino 1380-1383 cit., p. 34.

CONFLITTUALIT POLITICA IN UN COMUNE AD AUTONOMIA LIMITATA

469

stipendio dei mercenari impiegati in guerra, ottenendo di fatto un momento di respiro, ma gi in ottobre il consiglio deve provvedere allaccensione di un prestito forzoso per pagare i mercenari. Durante i mesi invernali i problemi finanziari dovuti allintensificarsi delle richieste, spingono
il consiglio a esporre nuovamente la difficolt al principe 54. Nel dicembre
del 1382, il consiglio invia un ambasciatore per chiedere una proroga al pagamento del taxum, ma la risposta del principe negativa e il comune deve eleggere una commissione di sapienti per occuparsi della riscossione.
Nel 1388 la guerra col signore di Milano rappresentava un problema enorme, tanto vero che il consiglio cittadino invia un ambasciatore in Savoia
per chiedere la pace con il Visconti 55. Negli anni successivi, per far fronte
a questi problemi alcuni esponenti tra i pi ricchi del Popolo e della nobilt sono costretti a indebitarsi, come dimostrano i casi di Rainerio Beccuti, Antonio Necchi e Antonio Malcavalerio che tra laprile del 1387 e il
giugno del 1389 si indebitano con il vicario per far fronte alle spese del comune 56.
I numerosi tentativi di ottenere dal principe dilazioni di pagamento,
sgravi fiscali o risposte istituzionali a situazioni politiche contingenti vanno interpretate come un fattore di consapevolezza che la citt aveva di s,
del proprio ruolo e delle proprie forze. In altre parole, il comune si rivolgeva al principe per lamentare una situazione difficile, spesso ben conoscendo la risposta che questi avrebbe dato loro. Nonostante questo elemento, rendersi uniti e compatti di fronte alle pretese e alle resistenze del
principe, era un modo per farsi sentire e dimostrare la propria insoddisfazione. Talvolta linsoddisfazione diventava frustrazione e conduceva a momenti di forte tensione e di aperto conflitto. Questi episodi di scontro tra
la classe dirigente e gli ufficiali del principe si ritrovano nelle fonti giudiziarie, sia nei registri sia nei conti di castellania. In modo particolare, nel

54 Il consiglio delibera linvio di ambasciatori a Pinerolo pro ponendo remedium offensionibus que cotidie per patriam inferentur [...] et ad exponendum consilio illustri domini nostri principis quod comunitas Taurini est taliter honerata pro subsidio debendo [...]
quod nullo modo non possent contribuire aliquibus sumptibus faciendis occaxione gentium
armigerorum . (Libri Consiliorum del comune di Torino 1380-1383 cit., pp. 101-103).
55 A tal proposito si vedano i Libri Consiliorum del comune di Torino 1387-1389 cit.,
p. 129.
56 Cfr. Op. cit., p. 31; p. 256; pp. 294-295.

470

MATTEO MAGNANI

registro del 1383 troviamo due processi inquisitori istruiti contro due nobili torinesi, Martino Borgesio 57 e Filippo Beccuti e nei conti della castellania dello stesso anno viene registrato il caso pi grave di ostilit verso i
Savoia e i suoi ufficiali. Nella nostra analisi, comincieremo proprio da questultimo caso per prendere successivamente in esame i due processi inquisitori contro Martino Borgesio e Filippo Beccuti. I tre episodi ci offrono
inoltre la migliore attestazione della solidariet sociale e dellaggregazione
politica tra le forze nobiliari e popolari che si innescavano ogniqualvolta la
citt entrava in conflitto col principe e isuoi ufficiali.
Nel 1383, nella chiesa di San Francesco, il nobile Antonietto Borgesio propose proprio a taluni membri del Popolo di costituirsi in una lega
giurata (le fonti la chiamano espressamente liga popularium) dai connotati
anti-sabaudi e dai tratti eversivi. I conti della castellania passano in rassegna con molta precisione i vari individui implicati a cominciare da Antonietto Borgesio, colpevole di aver personalmente aggredito il vicario. Successivamente vengono elencati uno per uno i populares coinvolti (Tommaso Delfino, Giorgio de Pertuxio, Bartolomeo de Pertuxio, Bartolomeo
Cornaglia, Nicolino Daerio e Stefano de Montagna di Reano) e i cives torinesi che vi avevano preso parte. Si tratta in prevalenza di individui dediti ai pi svariati mestieri, anche se non mancarono casi di coinvolgimento
di artigiani specializzati come Martino e Ardizzone de Fronte che avevano una posizione di notevole prestigio in citt, figurando tra i principali

57 Il primo caso riguarda uninquisizione istruita contro Martino Borgesio, in seguito


alla denuncia di Giovanni di Pinerolo famulo del vicario sporta al giudice di Torino, affinch procedesse ex officio nei confronti di Martino. Il reato che viene denunciato di aggressione con e senza sangue avvenuta a Torino, sulla via pubblica di fronte allabitazione di
Nicola Beccuti et fratres. Martino avrebbe dapprima avuto una colluttazione con il querelante per motivi non specificati, ma successivamente avrebbe aggredito Giovanni con la spada. Martino ammette di aver colpito Giovanni, anche se afferma di non sapere della fuoriuscita di sangue. Un primo teste, Nicola figlio di Guglielmo Tapai, dichiara di aver visto Giovanni sanguinare, pur ignorando le modalit dellaggressione che per sottolinea con forza sapeva essere stata compiuta dal Borgesio. Il secondo teste, Guglielmo Beccuti, conferma laccaduto e Martino condannato per aggressione senza sangue a 40 soldi e a 60 soldi
per aver provocato con la spada lo spargimento di sangue. Anche in questo caso le testimonianze, seppur confuse riguardo alla dinamica dei fatti, provenivano da persone di buona reputazione e fama. Soprattutto quella del nobile Guglielmo Beccuti, che a dispetto di quanto
si sarebbe potuto immaginare non testimonia a favore di Martino. Il processo si trova in Liber Malefficiorum cit., II, ff. 85r-86r.

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carpentieri cui il comune affidava la costruzione o il ripristino delle maggiori opere pubbliche.
Laspetto sovversivo della lega emerge con chiarezza dalla definizione della posizione che i suoi membri avevano assunto nel contesto conflittuale. Ad esempio, di grande rilievo latteggiamento di Tommaso Delfino, il quale aveva partecipato alla lega, se faciendo quodammodo capitaneum popolarium 58. O ancora quello di Giacomino Fea, il quale dixit
incitando populum bonum esset capere vicarium domini e che avrebbe
tentato di far rilasciare con la forza Antonietto Borgesio, nel frattempo arrestato e detentus in castro. La lega era stata prontamente soppressa dagli
ufficiali del vicario, ma non aveva portato ad esiti paragonabili a quelli seguiti alla congiura del 1334. Infatti, il principe aveva concesso a tutti i
membri della lega la remissione di colpa, condonando la met o i tre quarti della pena. Secondo Alessandro Barbero, lapporto popolare sarebbe stato piuttosto scarso per determinare una seria rottura in seno alloligarchia
e proprio la mancanza di una recrudescenza da parte del principe, indica
che la gravit dellaccaduto non debba essere esagerata 59.
A prescindere da una valutazione qualitativa dellaccaduto difficile
dalla sola lettura dei conti della castellania credo sia importante sottolineare comunque, il carattere di aperta ostilit nei confronti del principe e
dei suoi collaboratori pi stretti testimoniato da questa lega. Non essendo
in possesso degli atti del processo, pressoch impossibile ricostruire le fasi del conflitto dando ad ognuna di esse il peso che meriterebbe. Soprattutto per quanto riguarda lemanazione della sentenza e la sua successiva
negoziazione con il principe. Quello che bisogna rilevare il carattere trasversale dellinsofferenza nutrita dal corpo sociale torinese verso personaggi estranei al mondo cittadino, in modo particolare nei confronti di
quegli ufficiali forestieri incaricati dal principe sabaudo di reggere il comune di Torino.
Se si legge il giuramento della lega e i disordini che ne erano derivati
su scala urbana non in unottica di lotta di fazione tra magnati e popolari, ma come espressione di un sentimento condiviso la considerazione

58
59

Art. 75 cit., p. 1, m. 7, rot. 46 (1383-1384).


BARBERO, Torino sabauda cit., p. 241.

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che si impone rimanda a una tensione, tra le comunit urbane del Piemonte
sottomesse al dominio dei Savoia.
In questa chiave di lettura, la remissione della pena deve essere letta
come un tentativo di mediazione da parte del principe; come un mezzo di
ricomposizione della stabilit sociale. A fronte di un intervento coercitivo
che avrebbe inasprito i rapporti visto anche il particolare momento contingente di crisi e tensione istituzionale il principe sceglie la via del compromesso che non faccia venir meno la propria autorit sul comune, ma
che ponendo il principe allinterno di una cornice graziosa attenui il
significato dello scontro rappresentato dalla lega stessa.
Oltre alla Lega Popolare di Antonietto Borgesio, i conti della castellania registrano numerosi altri banna sulla tensione fra nobili, Popolo
e le autorit sabaude. Tra questi, ci limiteremo a ricordare lattentato compiuto ai danni degli ufficiali del vicario da parte di Ulfredo Beccuti nel
1386, che quadem nocte per transitum becharie, quasdam cordas tendidit
cum certis aliis pro familia vicarii cadere facienda 60.
Passiamo ora al secondo caso di scontro con le autorit vicariali testimoniato dai Libri Malleficiorum. Linquisizione contro Filippo Beccuti
del 1383 viene istruita per uno scontro aperto che Filippo aveva avuto con
il vice vicario di Torino, Iuvenino de Drua. Il reato denunciato nellinquisizione linosservanza alle norme dello statuto che regolamentavano il
porto darmi in citt 61. In modo particolare, Filippo portava con s un gladius pi lungo della misura consentita 62. Lo stesso capo daccusa sar imputato lanno successivo al fratello di Filippo, Giovanni 63. In occasione
60

Art. 75 cit., p. 1, m. 7, rot. 50 (1385-1390).


Liber Malefficiorum cit., II, f. 57r.
62 Riguardo le misure dellarma non sappiamo molto. Il testo dellinquisizione laconico e si limita a dire che il gladius portato da Filippo Beccuti risulta contra formam capitulorum civitatis Taurini e che eccede di unam maiorem mensuram . Laccostamento con
il testo dello statuto tuttavia, ci offre maggiori informazioni. La rubrica 320 nel definire le
armi offensibilia probite recita che non intelligatur arma offensibilia cutellus qui non excederet mensuram ordinatam, videlicet uno rasso minus uno octeno cum manubrio (Gli
statuti di Torino del 1360 cit., p. 133). Larma portata da Filippo Beccuti quindi un grosso pugnale, che eccede di una misura il massimo consentito. Desidero ringraziare Marco
Merlo per la consulenza tecnica relativa alle tipologie di armamento in uso nel periodo interessato dal mio studio.
63 Art. 75 cit., p. 1, m. 7, rot. 46 (1383-1384). Anche in questo caso non si specifica la
lunghezza dellarma.
61

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dellinquisizione del 1383, Filippo viene arrestato dal luogotenente dopo


una colluttazione nata dal rifiuto del Beccuti di seguire lufficiale al castello per rispondere dellaccusa di porto darmi non autorizzato. Secondo la
testimonianza del luogotenente del vicario, Filippo ha insultato con pesanti
minacce lufficiale, in seguito alla richiesta perentoria di consegnargli larma 64. Filippo si rifiuta di depositare la daga e viene pertanto avvicinato dagli uomini di Iuvenino de Drua per essere condotto al castello. In quel momento Filippo, tentando di divincolarsi, aggredisce un certo Lazzaro da
Fossano, uno degli uomini dellufficiale. La seconda testimonianza di cui
disponiamo proprio di Lazzaro che naturalmente conferma la denuncia
del suo superiore, cos come testimonia anche un certo Oppezzo di Villanova dAsti, famulo di Iuvenino, il quale aveva tentato di sequestrare larma a Filippo.
Limputato imposta una difesa tecnica: ammise di aver ingiuriato il
miles Iuvenino, ma in propria discolpa afferma di aver portato con s larma per affrontare un viaggio a Rivoli, che poi non avrebbe compiuto, non
avendo avuto a disposizione il cavallo per effettuare lo spostamento. Ammette inoltre di aver rifiutato di seguire Iuvenino al castello e che avrebbe
colpito Lazzaro per errore. Interrogatus si dixit aliud verbum iniuriossum dicto militi, respondit se non recordaret 65. Se la seconda ammissione mira a ridefinire il ruolo giocato dallimputato nella vicenda, la prima
affermazione fa riferimento direttamente alla normativa statutaria che prevedeva leccezione di portare con s arma offensibilia nel caso si stesse per
lasciare la citt per affari 66.
Il processo contro Filippo Beccuti quello in cui la solidariet tra nobili e Popolo si manifesta pi apertamente. Come testimoni a difesa del nobile Filippo, infatti, vengono interrogati i populares Antonio e Francesco

64 Dictus Philippus, animo iniuriosso, dixit dicto Iuvenino vivevicario quod faciebat
iniusticiam in eo, quod sibi auferri faciebat gladium predictum et quod non esset simper in
officio vicevicarie (et) plura alia verba minatoria contra honorem curie et contra dictum dominium vicevicarium proferendo (Liber Malefficiorum cit., II, f. 57r).
65 Op. cit., f. 59r.
66 Si tratta dell rubrica 132 sul porto darmi che vieta di portare con s arma offensibilia pena una multa di 10 soldi nec eciam intelligantur dictam penam incurrere cives vel habitatores Taurini euntes per civitatem extra civitatem ad eorum negotia, arma defferentes
prout appareat verisimile (Gli statuti di Torino del 1360 cit., p. 133).

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Malcavalerio e Ricciardello de Broxulo. Entrambi ammisero di aver visto


il Beccuti porre resistenza e ingiuriare il luogotenente del vicario, ma di
non averlo visto colpire Lazzaro. Rovesciando la posizione dellufficiale, il
Malcavalerio afferma tuttavia di aver visto invece Lazzaro colpire il Beccuti. Ricciardello de Broxulo, fideiussore per limputato, conferma la testimonianza di Filippo e di Antonio, tamen non vidit eum (Lazzaro) percutere . Successivamente convince Filippo a recarsi in comune insieme con
il vice vicario. Francesco Malcavalerio segue il buon esempio di Ricciardello, esortando il Beccuti a seguire il vice vicario, ma contestualmente evita che Lazzaro scagli a sua volta una freccia contro Filippo. Come ultimo
teste compare un certo Ludovico di Pinerolo che invece vidit quod dictus Philippus de manu percuxit dictum Lazerum 67. La sentenza di condanna, ma solamente a 5 soldi per le ingiurie e non per il reato denunciato. I tre esponenti di riguardo del Popolo che pure abbiamo visto in disaccordo con la nobilt per questioni interne al comune fanno muro attorno al Beccuti, capovolgendo lentamente la situazione a scapito degli ufficiali che si fregiavano del diritto di essere creduti sulla parola in sede processuale. Tutte e tre le deposizioni dei Malcavalerio e di Ricciardello, circoscrivono latteggiamento del Beccuti come legittimo, in quanto vittima
di sopruso da parte dellufficiale. La sentenza che condanna unicamente le
ingiurie rende conto del valore assunto in sede di giudizio della testimonianza di personaggi influenti del comune, creduti sulla parola ancor prima delle guardie, in quanto indubbi uomini di buona fama. La somma delle deposizioni di tutti i testimoni pende a favore dei tre membri del Popolo, rispetto ai quali quattro testimonianze a favore degli ufficiali, perdono
consistenza e credibilit.
Le tre testimonianze sono molto simili sotto il profilo dei contenuti.
Tutte e tre confermano la deposizione di Filippo, corroborando la tesi di
legittima difesa e limitando il reato alle sole ingiurie. Successivamente per
vengono aggiunti elementi che mirano a screditare loperato di Lazzaro
che non si sarebbe limitato a ingiungere a Filippo di seguirlo, ma lo avrebbe dapprima colpito a mani nude per poi cercare di lanciargli una freccia a
tradimento. In un quadro rispettoso delle figure istituzionali (tutti e tre

67

Liber Malefficiorum cit., II, f. 60r.

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hanno convinto Filippo Beccuti a seguire il luogotenente del vicario al castello), i tre suggeriscono un comportamento scorretto degli ufficiali, corroborando la teoria della legittima difesa.
Il ruolo degli individui che in tali occasioni prestano fideiussione o testimonianza a favore, ci dimostra la ramificazione dei rapporti di solidariet sociale intrecciata fra le forze politiche di nobilt e Popolo. In un episodio di faida tra Giovanni e Filippo Beccuti, ad esempio, ritroviamo citato Antonio Malcavalerio come fideiussore per Filippo. Il rapporto tra i due
rinvia a un contesto di solidariet politica. Infatti anche se tra loro intercorresse unamicizia anche solo personale il fatto che legasse due personaggi di spicco della nobilt e del Popolo, credo sia sufficiente a determinare il carattere schiettamente politico del legame. Lo stesso discorso vale
per Giovanni Beccuti che presenta come fideiussori, in occasione del processo contro suo fratello, i populares Giovanni e Francesco Gastaldi. Nei
processi celebrati a Torino tra il 1379 e il 1383, sono tuttavia scarse le segnalazioni di fideiussioni (31 nel primo biennio, 49 nel secondo); risulta
pertanto difficile approfondire maggiormente la questione dello scambio
sociale sotteso a tali pratiche. Qualche altra attestazione, comunque, presente nei registri giudiziari. Nel giugno del 1380, ad esempio, viene istruita uninquisizione per ingiurie e rissa senza sangue contro due membri di
grande rilievo della pars populi, Francesco de Corvexio credendario del comune e Francesco de Pertuxio 68. Da alcuni elementi (luogo, tempo e contenuto dellingiuria) si intuisce chiaramente che tra i due esisteva una forte inimicizia palesata da una serie di ingiurie dal contenuto infamante che
Francesco de Pertuxio avrebbe pronunciato contro Francesco de Corvexio,
scatenandone lira. Il processo molto breve ed privo della trascrizione
delle testimonianze. La fonte segnala, tuttavia, il nome dei fideiussori: il
nobile Alberto Borgesio per Francesco de Corvexio e Bartolomeo Sacco
per Francesco de Pertuxio.

68 Liber Malefficiorum cit., I, ff. 75r-75v. Del processo, terminato con una doppia compositio con il vicario, si ha menzione anche nei banna concordata, presenti allinterno dei
conti della castellania del 1383. A tal proposito si veda Art. 75 cit., p. 1, m. 7, rot. 46 (13831384).

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4. Conclusioni
Attraverso la scelta di analizzare la conflittualit a partire proprio dalle persone implicate, si riusciti a dimostrare lesistenza di tensioni interne alla classe dirigente. Le frizioni rimandano alla complessa gestione delle risorse fiscali. In modo particolare, la rivendicazione allimposizione della taglia (calcolata proporzionalmente alle ricchezze dei singoli contribuenti secondo i criteri dellestimo) un segno inequivocabile di parte politica. Il caso della protesta avanzata nel 1382 dal Popolo di Torino al consiglio del principe per risolvere nuovamente la questione dellimposizione
della taglia non va letto come una semplice lamentela, ma come il segno di
coinvolgimento attivo del Popolo nella cornice politica del comune. Contrariamente a quanto sostenuto dalla storiografia, a Torino nobili e Popolo litigano ancora alla fine del Trecento e gli scontri politici rappresentano
conflitti che incidono realmente sugli equilibri tra le parti; cos come incidono sulla natura stessa dei singoli gruppi di potere. Loligarchia torinese
di fine Trecento non unoligarchia compatta, ma un insieme eterogeneo
di individui pronto a scontrarsi sulle questioni che segnavano in profondit la vita della citt. Le modalit di imposizione delle imposte dirette, i
problemi derivanti dal reperimento e dallinvio di contingenti armati a servizio del principe e la ripartizione degli oneri per la contribuzione ai sussidi richiesti dai Savoia sono i principali terreni di scontro tra nobili e populares. Lanalisi delle fonti giudiziarie ci porta a ravvisare nel Popolo di
Torino un gruppo in cerca di unautorappresentazione, che non sfugg
neanche al principe. Nella lettera di risposta alle richieste del 1382 69, il
continuo e iterato uso del termine populares da parte del principe, sottolinea la presa di coscienza dellesistenza di un Populus inteso come un insieme coordinato di individui capace di autorappresentarsi al fine di ottenere il riconoscimento di alcuni diritti.
Ma lo studio dei registri giudiziari e dei banna contenuti nei rotoli dei
conti della castellania ha permesso di ravvisare non solo frizioni e spaccature nei rapporti interni alla classe dirigente. Gli scontri con gli ufficiali
principeschi rivelano una coesione sociale tra nobilt e Popolo. Uninsofferenza capace di diventare aperta ostilit e coagulare le parti politiche ver69

Libri Consiliorum del comune di Torino 1380-1383 cit., p. 308.

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so azioni di forza volte a far sentire la propria voce. In questottica va letto il giuramento della Lega Popolare promossa da Antonietto Borgesio
e sostenuta da un certo numero di popolari. Questi fatti, che abbiamo definito come azioni di forza sono da interpretare, tuttavia, allinterno del
contesto politico sabaudo. Un contesto nel quale lelemento di mediazione offerto dai principi giocava un ruolo chiave nella definizione di un equilibrio di potere tra il principe e la citt. I dissidi tra autorit vicariali e la
classe dirigente si traducevano sul piano della politica interna della citt, in
un difficile rapporto che si instaurava tra gli ufficiali del comune e i semplici cittadini. Soprattutto per ragioni legate alla riscossione pratica delle
imposizioni straordinarie.
MATTEO MAGNANI

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