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MONOTONICITÀ E
LOGICA DI DEFAULT
Relatore Presentata Da
Prof. Giorgio Sandri Antonio De Negri
A.A. 2005/2006
Sessione I
Indice
Introduzione
1. Il ragionamento di default
2. La logica come forma di rappresentazione della conoscenza
2.1 La logica del primo ordine
2.1.1 Linguaggi del primo ordine
2.1.2 Introduzione della non monotonicità nella Logica del Primo Ordine
2.2 La logica di default
2.2.1 Introduzione
2.2.2 Formalizzazione della logica di default
2.2.3 Proprietà delle teorie di default
2.3 I default normali
2.4 I default semi-normali
Conclusioni
Bibliografia
Introduzione
1
M. Benzi, Il Ragionamento Incerto – Probabilità e logica in intelligenza artificiale, pg. 154, Milano:
Angeli, 1997.
2
P. Besnard, An Introduction to Default Logic, pg. 4, Springer-Verlag, 1988.
3
Ibid, pg. 2.
4
Ibid, pg. 3.
conclusioni; esse possono essere falsificate e potremmo essere costretti a ritrattarle.
Ecco perchè il ragionamento di default è un ragionamento in condizioni di incertezza di
tipo non-monotono.
“Il ragionamento di default è dunque in sé un tentativo che permette di ottenere
conclusioni affidabili sebbene suscettibili di revoca” 5 . Esso non introduce alcun grado
di certezza, alcun tipo di probabilità; esso ha soltanto i due canonici valori di verità della
logica classica. Pertanto le inferenze che sono derivabili da questo tipo di ragionamento
saranno perentorie, rispettivamente vere oppure false. Pensando all’esempio di Tweety,
nel primo caso non vi era alcun genere di evidenza che potesse indurre a ritenere che
Tweety in quanto uccello non fosse in grado di volare; il ragionamento di default
asserisce che se è possibile derivare una conclusione allora quella conclusione deve
essere presa come vera. A differenza di ciò che riteneva McCarthy[1959], il
ragionamento di default vuole esprimersi attraverso enunciati ordinari della logica
matematica perchè traendo una conclusione suppone che essa sia assolutamente vera nel
momento in cui è inferita. Nel caso in cui si dovesse verificare che la conclusione è
inattendibile basterebbe combiarne il valore di verità, ma fino a quel momento essa deve
venir considerata come accettabile e corretta senza gradi, quindi vera.
D’altro canto in questo modo, il ragionamento di default permette di stabilire
una base di informazioni che rappresenta in maniera coerente le nostre conoscenze.
Saranno espunte le ambiguità derivate dalla contraddizione tra due asserti con valori di
verità opposti e saranno mantenute tutte quelle che riescono ad ampliare le conoscenze
in modo non contraddittorio rispetto alle credenze cui assolutamente non siamo disposti
a rinunciare. Altri tipi di ragionamento di senso comune invece, tendono a mantenere
ogni conoscenza, magari sotto la condizione di attenuarne il valore di affidabilità,
contribuendo così a conservare latenti le eventuali contraddizioni insite nella base di
conoscenze. Ecco perchè l’Intelligenza Artificiale ha trovato e trova nel ragionamento
di default un tipo di ragionamento completo, cioè una descrizione esaustiva, sebbene
anche non dettagliata, di quel processo che porta un soggetto a trarre una conclusione.
Questo perchè evidentemente l’IA non può permettersi sistemi che presentino la benché
minima ambiguità e perchè anche nell’evoluzione di un sistema di rappresentazione
5
G. Fisher-Servi, Quando l’eccezione è la regola, le logiche non monotone, pag. 109, Milano:
McGrawHill, 1990.
delle conoscenze, quindi dell’eventuale falsificazione di alcuni asserti, essa necessita di
stabilire perentoriamente la verità o la falsità delle premesse del ragionamento. Infatti
premesse con gradi di attendibilità costituirebbero una mole di dati ingombrante e, con
riferimento ad una situazione reale, troppo complessa per venire elaborata da una
macchina che si propone di essere concisa quanto attendibile 6 .
Nelle sezioni seguenti mostreremo come il ragionamento di default sia
esprimibile formalmente attraverso una logica di default che a sua volta si appoggia
sulla logica del primo ordine; di come goda di particolari proprietà che lo rendono un
ragionamento semi-monotonico e infine di come esistano particolari schemi d’inferenza
detti default normali estremamente utili per intraprendere la formalizzazione del
ragionamento ed ottenere una rappresentazione logica funzionale, elegante ed
economicamente soddisfacente.
8
G. Fischer-Servi, Quando l’eccezione è la regola, le logiche non monotone, pag. 109, Milano:
McGrawHill, 1990.
9
Come nota giustamente G. Lolli nella sua Introduzione alla logica formale la base canonica è costituita
dai tre simboli booleani di negazione, congiunzione e disgiunzione in quanto è così esteticamente
migliore e più fruibile. Infatti sia la congiunzione che la disgiunzione possono essere espresse per mezzo
dei due restanti connettivi.
linguaggio naturale, specialmente quello italiano, conta più di trenta simboli sotto forma
di lettere, spazi, interpunzioni e simboli speciali.
La logica formale è in sé costituita da due parti, rispettivamente la parte
sintattica e la parte semantica. La prima sezione descrive la logica come un sistema di
simboli, dove il linguaggio logico è un sottoinsieme dei termini generati da un alfabeto
secondo un preciso schema di costruzione. La seconda sezione riguarda invece i modelli
che sono inferibili da una teoria assiomatica(un insieme di formule dette assiomi) 10 .
A sua volta due almeno sono le proprietà che appartengono alla logica formale e
per le quali abbiamo interesse: esse sono la coerenza e la completezza semantica. La
coerenza o completezza presuppone che ogni formula ottenuta applicando le regole di
inferenza sugli assiomi della teoria sia vera in tutti i modelli della teoria stessa. Ciò
significa che la teoria per essere valida non deve poter dare adito a contraddizioni
reciprocamente tra le inferenze che vengono tratte dagli assiomi della teoria. Se così
fosse essa sarebbe assurda ed inutile ed evidentemente non avrebbe alcuna ragion
pratica di essere utilizzata nel formalizzare il ragionamento di default. “La completezza
semantica presuppone che in una teoria i teoremi inferibili siano esattamente le formule
vere in ogni suo modello” 11 .
10
Cfr. D. Palladino, Corso di logica – Introduzione elementare al calcolo dei predicati, cap. 5, Roma:
Carrocci, 2003.
11
G. Lolli, Introduzione alla logica formale, pg. 106, Bologna: Il Mulino, 1991.
2.1.1 Linguaggi del primo ordine
Def. 1.1 Un alfabeto di riferimento per un linguaggio del primo ordine consiste di
i. ¬ ∧ ∨ ⇒ ⇔ ∀ ∃ , ( ) (simboli logici)
ii. x0,x1 x2... (variabili individuali)
0 1 0 1
iii. f ,f ,f ,f
0 0 1 1
... (simboli funzionali)
0 1 0 1
iv. P , P , P , P ...
0 0 1 1
(simboli predicativi)
Def. 1.2 Le parole di un linguaggio sono una sequenza finita di simboli ottenute
concatenando simboli e sequenze di simboli. L’operazione di concatenazione sarà
indicata scrivendo semplicemente i simboli l’uno di seguito all’altro, da sinistra verso
destra, come nelle scritture indoeuropee. Tra le parole, quelle che consideriamo ben
formate, si dividono in due categorie, quella dei termini, corrispondenti ai nomi, e
quella delle formule,corrispondenti alle frasi.
Def. 1.3 L’insieme dei termini è il più piccolo insieme con le seguenti proprietà:
i. Ogni parola costituita da una sola variabile è un termine.
ii. Ogni parola costituita da una sola costante è un termine.
n
iii. Se f i
è un simbolo funzionale ad n-argomenti e t1,...,tn sono termini allora
n
anche f i
( t1,...,tn) è un termine.
n n
Def. 1.4 Una formula atomica è una parola della forma P i
( t1,...,tn) dove P i
è un
Def. 1.6 Data una formula A tali che le sue variabili libere siano A={ x1,...,xn , y },
Le sentenze definite secondo Skolem sono utilizzate per fornire un significato ad ogni
frase che possa essere espressa con una formula. Il processo di sostituzione di una
formula non universale con una formula universale è detto skolemizzazione 13 .
La relativa parte semantica per i linguaggi del primo ordine riguarda i modelli
che possono essere costruiti al fine di ottenere un’interpretazione dei simboli del
linguaggio. Infatti, abbiamo la necessità non solo di poter rappresentare le nostre
conoscenze, ma allo stesso tempo di valutare queste conoscenze. Tali regole vengono
12
G. Lolli, Introduzione alla logica formale, pg. 38, Bologna: Il Mulino, 1991.
13
Abbiamo qui utilizzato una definizione per quanto riguarda gli enunciati di Skolem, consci del fatto che
nei testi di logica tale definizione è in realtà un teorema del quale andrebbe presentata una formale
dimostrazione. Tuttavia per semplicità e concordemente con Besnard[1988] abbiamo optato per una
soluzione più semplice e rapida.
quindi fornite con lo scopo di stabilire se un particolare costrutto riflette correttamente il
significato di una formula del linguaggio.
Def. 1.7 L’insieme dei valori di verità per la logica del primo ordine è un insieme
costituito da due elementi V={v, f} dove v sta per vero ed f per falso.
Def. 1.8 Un’interpretazione del primo ordine ϕ è costituita da un insieme non vuoto
ω, detto universo di ϕ, assieme ad una funzione che assegni ad ogni simbolo funzionale
f una funzione del tipo f : ωn→ω ed ad ogni simbolo predicativo P una relazione
Def. 1.9 Un enunciato è valido se è vero in tutte le interpretazioni del primo ordine ed è
soddisfacibile se è vero in almeno una delle interpretazioni del primo ordine.
14
Tale funzione è altamente non iniettiva ma è suriettiva, quindi non è in alcun modo invertibile come è
facilmente apprezzabile a livello intuitivo.
può essere scritta come A ∈ Th(T) dove Th(T) ed è detta chiusura deduttiva di T oppure
può essere scritta come T A.
2.1.2 Introduzione della non monotonicità nella Logica del Primo Ordine
15
P. Besnard, An Introduction to Default Logic, pg. 25, Springer-Verlag, 1988.
16
Ibid, pg. 26.
17
Ibid, pg. 26.
18
Ibid, pg. 27.
In altre parole questo teorema garantisce che, aggiungendo nuovi assiomi ad una teoria
già precostituita tutti i teoremi che compongono la teoria stessa saranno preservati. Allo
stesso tempo, ogni teorema della teoria iniziale sarà un teorema della teoria allargata.
Ex. 1.1 Consideriamo le seguenti informazioni riguardo gli uccelli, poste in forma di
una teoria assiomatica T:
Uccello(Tweety)
Struzzo(Clyde)
∀x Struzzo(x) ⇒ Ucello(x) ∧ ¬Vola(x)
E’ generalmente accettato che: “dato un qualunque uccello, si ritiene che esso sia in
grado di volare, a meno che non si abbia qualche evidenza contraria”, ciò significa
dunque che avendo un uccello e non avendo evidenza contraria al fatto che possa volare
dobbiamo concludere che l’uccello effettivamente vola. Quindi formalmente:
dove x è una variabile che sta per qualunque termine e denota la relazione di
conseguenza formale. Siamo particolarmente interessati al caso in cui ci sia un uccello
per il quale sia impossibile determinare l’ incapacità di volare, sebbene, di fatto,
concludiamo che l’uccello non possa volare. Formalmente:
T Ucello(Tweety)
T ¬Vola(Tweety)
T ∪ {¬Vola(Tweety)} ⊥
19
I. Kramosil, A Note on Deduction Rules with Negative Premises, pg. 53, IJCAI 1975.
2.2 La logica di default
2.2.1 Introduzione
Come suggerito dal nome, la logica di default [Reiter 1980] intende sviluppare
un sistema di rappresentazione formale del ragionamento di default. Per questo fine essa
introduce un tipo di regole di inferenza non monotònica dette default, del genere:
UCCELLO( x) : VOLA( x)
VOLA( x)
che deve essere interpretata come: “se x è un uccello e non esiste evidenza contraria al
fatto che x voli allora concludi che x vola”. Applicando questo default alla teoria T
presa in esempio sopra, abbiamo la possibilità di concludere che Vola(Tweety) e dagli
assiomi dedurre che ¬Vola(Clyde); ma introducendo Vola(Clyde) andremmo a
compromettere la coerenza della teoria e l’applicazione del default sarebbe bloccata.
Tuttavia, considerare la coerenza come rispetto per gli assiomi della teoria in esame, si
dimostra in alcune situazioni insufficiente per conservare la globale coerenza della
teoria.
Ex. 1.2 Consideriamo perciò il fatto che ogni tifoso sia contento quando il suo giocatore
favorito ottenga una brillante prestazione e sia infelice quando viene sconfitto;
rappresentando questa credenza con un default otteniamo:
∀x ¬ FELICE(x) ⇔ SCONTENTO(x)
Sapendo che John è un tifoso di Becker che tuttavia ha scommesso contro lo stesso
Becker in favore della vittoria del suo avversario Lendl otteniamo che:
Ex. 1.3 Una proposizione del tipo “Tutti gli uomini amano una donna” può assumere
due significati:
i. Esiste una donna che è amata da tutti gli uomini.
ii. Per ogni uomo, esiste una donna che è amata da quell’uomo.
Usando la skolemizzazione, questi due significati sono suscettibili di rappresentazione
attraverso l’utilizzo di un default:
20
Il primo ed il secondo default rappresentano rispettivamente la prima e la seconda proposizione,
disambiguate con l’uso del procedimento di skolemizzazione.
2.2.2 Formalizzazione della logica di default
A : B1 ,..., Bn
C
dove:
i. A, B1,...,Bn, C sono proposizioni.
ii. A è chiamato prerequisito del default δ.
iii. B1,...,Bn è chiamato giustificazione del default δ.
B
Nella sezione precedente avevamo introdotto i default come regole il cui proposito fosse
quello di estendere la sottostante teoria incompleta del primo ordine; essi permettono
infatti di coadiuvare e completare la teoria iniziale con alcune proposizioni che possono
essere ritenute plausibili.
Def. 1.13 Una teoria di default è una coppia ordinata del tipo (A, Δ) dove A è un
insieme di proposizioni universali e Δ è un insieme di default tale che ogni elemento di
CONS(Δ) sia una proposizione universale.
Vista la definizione di teoria di default possiamo perciò sostenere che gli elementi A
della teoria siano ciò che chiamiamo assiomi di una teoria. L’insieme delle proposizioni
A rappresenta le nostre conoscenze mentre l’insieme dei default Δ rappresenta la nostre
potenziali credenze.
A : B1 ,..., Bn
δ= ,
C
se A ∈ T e ¬B1,...,Bn ∉ S allora C ∈ S.
B
Si intende che S corrisponda agli assiomi di T con l’aggiunta delle conseguenze derivate
dall’applicazione dei default. Ritornando alla definizione di default data ad inizio
capitolo abbiamo la necessità di sostituire la rappresentazione delle giustificazioni come
sequenza di proposizioni con un’unica proposizione. Tale sostituzione è permessa dal
teorema seguente.
A : B1 ,..., Bn
dove n > 0
C
esiste una proposizione F tale che date due teorie assiomatiche T ed S dove S è
deduttivamente chiusa,
A: F A : B1 ,..., Bn
∇ sT se ∇ sT
C C
Def. 1.15 Data una teoria di default ς = (A, Δ), se S è un insieme di proposizioni, allora
Λ s (S) è il più piccolo insieme che soddisfa:
i. A ⊆ Λ ς (S)
Informalmente Λ ς (S) è il più piccolo insieme di credenze che possiamo avere riguardo
i. SCONFIGGE(Lendl, Becker)
ii. TIFA(John, Becker) ∧ SCOMMETTE(John, Lendl)
iii. ∀x ¬ FELICE(John) ⇔ SCONTENTO(John)
Qui Λ ς (A) rappresenta la chiusura deduttiva della teoria assiomatica costituita dagli
Def. 1.16 Un insieme di proposizioni E è un’estensione per una teoria di default ς = (A,
Δ) se E è un punto fisso dell’operatore Λ ς .
21
Gisèle Fischer Servi, Quando l’eccezione è la regola, le logiche non monotone, pag. 189, Milano:
McGrawHill, 2001.
Ex. 1.5 Sia Δ costituito dai due seguenti default:
i. AMICO(Alan, Bob)
ii. AMICO(Bob, Chris)
iii. AMICO(Chris, Dan)
iv. ¬AMICO(Bob, Dan)
v. AMICO(Alan, Chris) ⇒ ¬AMICO(Alan, Dan)
Th. 1.6 Sia E un’insieme di proposizioni ed ς = (A,Δ) una teoria di default. Sia inoltre
i. E0 = A.
A : B1,..., Bn
ii. Ei+1 = Th(Ei) ∪ { C / ∈ Δ dove A ∈ Ei e ¬Βi ∉ Ε, per ogni
C
i={1,…,n }.
∞
allora E è un’estensione della teoria ς = (A, Δ) se e solo se E = U i =0
Ei . 22
22
P. Besnard, An Introduction to Default Logic, pg. 44, Springer-Verlag, 1988.
Questo teorema semplifica la comprensione intuitiva di cosa sia un’estensione, poiché
fornisce una metodologia per costruire le estensioni stesse di una teoria di default.
Th. 1.8 Sia E è un’estensione della teoria ς = (A, Δ). Se S ⊆ E allora E è anche
un’estensione della teoria di default υ = (A ∪ S, Δ). 24
Questo teorema può essere interpretato asserendo che gli assiomi di una teoria di default
godono di una sorta di proprietà d’assorbimento rispetto alle conclusioni che
l’estensione genera. Infatti il teorema garantisce che quando una conclusione tratta da
un default viene confermata, tutto l’insieme delle credenze che dipendono da quella
conclusione possono essere mantenute; “se qualcosa di previsto accade allora si
dovranno presumere tutte le conseguenze previste in relazione all’accadimento
dell’evento, seppur al momento non confermate” 25 .
23
Ibid, pg. 46.
24
Ibid, pg. 47.
25
Ibid, pg. 4.
A: B
Def. 1.17 Un default si dice normale se è della forma . Pertanto una teoria di
B
default (A, Δ) si dirà normale se tutti i default Δ che la compongono sono normali. 26
Il risultato fondamentale di questa introduzione consiste nel fatto che ogni estensione di
una teoria di default normale non deve essere ridotta o diminuita quando sono aggiunti
alla teoria nuovi default. Questa proprietà è detta di semi-mononicità.
Ex. 1.6 La teoria di default definita da A = { AMICO (Alan, Bob), AMICO(Bob, Chris),
AMICO(Chris, Dan), ¬AMICO(Bob, Dan)} e
Questo è proprio il risultato che ci premeva ottenere. Ora possiamo estendere in maniera
indefinita la nostra teoria a seconda di come la situazione che analizziamo si evolve.
Sappiamo infatti che se una teoria di default ha più estensioni esse sono tra loro
26
Fischer-Servi, in Quando l’eccezione è la regola, le logiche non monotone, afferma che per default
normali si possano intendere anche quelli i cui letterali che costituiscono l’insieme delle giustificazioni
possano essere plurime. Significa che possono essere del tipo B1,...,Bn . In realtà Reiter non fa menzione
di tale possibilità, anche perché è possibile dimostrare che esiste sempre una proposizione equivalente
all’insieme delle proposizioni che costituiscono le giustificazioni.
27
P. Besnard, An Introduction to Default Logic, pg. 44, Springer-Verlag, 1988.
incompatibili ed è proprio ciò che abbiamo reputato essere il requisito fondamentale di
questo tipo di rappresentazione. I default, dicevamo, hanno a che fare con il vero ed il
falso e non con la probabilità. Ecco perchè se vi sono due possibili estensioni esse
debbono essere necessariamente incompatibili, una vera e l’altra falsa rispetto ad una
particolare situazione. Abbiamo ottenuto cioè la capacità di descrivere l’evoluzione di
un ragionamento di senso comune. Non solo infatti siamo in grado di rappresentarlo
formalmente ma altresì possiamo determinare se la progressione logica del pensiero sia
coerente con le assunzioni iniziali, se cioè stiamo procedendo correttamente,
preservando le nostre credenze.
Ex. 1.7 Ritornando all’esempio del tifoso nonché scommettitore John, immaginiamo
che mentre sta tornando a casa qualcuno gli offra una bicicletta, e ciò come capita
normalmente, lo renda felice. Pertanto la teoria di default (A, Δ) verrebbe arricchita in
tale modo:
∃xREGALA( x, John, Bicicletta) : FELICE ( John)
i. Α Δ viene aggiunto
FELICE ( John)
ii. Ad A viene aggiunta la proposizione ∃x REGALA(x,John,Bicicletta)
Def. 1.18 Sia ς = (A, Δ) una teoria di default normale e sia A una proposizione. Una
sequenza finita del tipo Δ0,Δ1,...,Δn è detta prova di default di A rispetto alla teoria ς =
(A, Δ) se:
i. A ∪ CONS(Δ0) A
ii. A ∪ CONS(Δι) F per tutti gli F ∈ PRE(Δi-1)
iii. Δn = ∅
∞
iv. U i =0
CONS(Δι) è coerente rispetto ad A
Abbiamo ora una precisa definizione di conseguenza attraverso quella di prova di
default; è necessario dunque indagare le proprietà delle prove di default per determinare
la natura e il senso dello stesso ragionamento non monotònico. Infatti, studiando
l’influenza dell’azione di aggiornamento e aggiunta di nuovi assiomi e conclusioni,
saremo in grado di comprendere come la logica di default riesca a sostenere il peso di
rivedere le conoscenze.
Def. 1.19 Se un enunciato A ha una prova per default PA=Δ0,...,Δn con rispetto ad una
teoria di default normale (A, Δ) allora il supporto di PA è:
n
DS ( PA ) = Ui = 0 Δ i .
Th. 1.10 Sia (A, Δ) una teoria di default normale e sia A un enunciato, allora A ammette
una prova di default rispetto alla teoria (A, Δ) se e solo se A è un’estensione della teoria
stessa. 28
28
Ibid, pg. 66.
completamento della visione che ci eravamo proposti di fornire, ovvero di utilizzare la
logica come strumento di formalizzazione per il ragionamento di default. Esistono
pertanto dei tipi particolari di default cosiddetti da Reiter semi-normali per la loro
caratteristica di non rispettare i criteri sintattici di quelli normali, ma di adeguarsi
completamente alle proprietà che essi posseggono. La differenza consiste
essenzialmente nella possibilità di introdurre dei connettivi, particolarmente delle
negazioni, nella seconda parte dello schema di default, ovvero nel gruppo delle
giustificazioni. L’utilità è quella di modellare in maniera più efficace alcune istanze del
ragionamento di default che sarebbero altresì rappresentabili tramite i costrutti normali,
ma che per essere formalizzate richiederebbero un maggior numero di tali costrutti.
Entra perciò in gioco una sorta di principio economico per la teoria dove, seppure viene
aggiunto un grado di complessità esso è compensato da un grado di soddisfazione per
l’utilizzatore della teoria maggiore del costo per l’inserimento. Inoltre a tale principio se
ne potrebbe affiancare uno di natura estetica che vede nei default semi-normali uno
schema elegante di formalizzazione di diverse istanze del ragionamento comune.
Ex. 1.8 Consideriamo il caso in cui un ragazzo di nome Ed voglia fare una crociera
assieme a dei suoi amici, Alan e Bob; supponiamo inoltre che abbia una madre
apprensiva contraria al viaggio in quanto non ritiene che gli amici del figlio siano una
compagnia sicura. Aggiungiamo infine che il padre di Ed rassicuri la moglie riferendo
che uno tra i due compagni di viaggio abbia un patentino di primo soccorso,
convincendola così a lasciar partire il figlio; tale ragionamento può essere formalizzato
con i seguenti assiomi:
Esso non permette di trarre la conclusione per cui la madre di Ed concede il suo
permesso. Se tuttavia proviamo a riformalizzare questo ragionamento escludendo di
menzionarne i prerequisiti ed introducendo un’implicazione nelle giustificazioni
otteniamo che:
ELEFANTE ( x) : ¬CASO1( x)
,
GRIGIO( x)
ELEFANTE − REALE ( x) : ¬CASO2( x)
CASO1( x)
dove in modo intuitivo possiamo considerare i casi proposti come inibitori degli altri
casi nel momento in cui possono essere derivati di default. Possiamo infatti tradurre il
“CASO1” con la proprietà di non essere grigio, mentre il “CASO2” con la proprietà di
essere un elefante reale e così via. Attraverso questa sistemazione possiamo sviluppare
un sistema gerarchico di regole di default, soggette alla possibilità di essere vagliate fino
al ritrovamento del caso desiderato; presupponendo infatti che i casi enumerati siano
tutti e soli i casi possibili, non solo la soluzione alla nostra interrogazione esiste, ma
verrà ritrovata in un tempo finito.
29
Trad. mia da A. Cohen, “Default Reasoning and Generics”, Computational Intelligence, V.13, N. 4,
Blackwell Publisher, 1997.
30
Esistono diversi modi di intendere le espressioni generiche. Per diversi logici esse sono esclusivamente
quelle determinate dalla presenza di quantificatori universali, in quanto essi ritengono che le espressioni
comunemente dette generiche non siano altre che il frutto di un’elaborazione mentale che coglierebbe la
molteplicità collettiva nell’unità dell’espressione. Tuttavia, poiché il senso della nostra dissertazione si
lega la ragionamento di senso comune preferiamo mantenere l’accezione “normale” per le espressioni
generiche.
che sono definite come generiche; tale definizione implica evidentemente il fatto che
esse siano usate come generalizzazioni di conoscenze proprie del soggetto. Ma
evidentemente esse hanno un corrispondente grado di attendibilità che varia in base alla
proposizione stessa: la prima è ad esempio sempre vera, la seconda nella maggior parte
dei casi è vera, la terza è sicuramente soddisfatta da un buon numero di francesi,
l’ultima infine da un esiguo numero di bulgari. Mentre ci siamo addentrati
nell’approfondimento delle caratteristiche del ragionamento di default abbiamo
riscontrato, in questo ambito più che in quello logico, il maggior numero di perplessità.
Come evidente, la formalizzazione logica lascia meno spazio alla discussione, le
caratteristiche di quelle proposizioni atte a divenire parte del sistema di ragionamento
sono un terreno di contenzioso tra gli studiosi. Perciò Carlson[1995] sosterrà che “le
condizioni di verità delle cosiddette espressioni generiche sono qualcosa di misterioso;
non hanno relazione con le proprietà degli oggetti individuali che designano, ma
sottostanno ad un principio regolativo ontologicamente irriducibile” 31 . Nella sua
disamina Carlson, per meglio esplicitare la propria posizione sottopone al lettore questo
esempio:
i. Le persone hanno difficoltà a trovare la Carnegie Mellon University.
E’ evidente che la maggior parte delle persone non abbia questo tipo di difficoltà in
quanto non ha nemmeno l’intenzione di recarsi all’università Carnegie Mellon;
solamente un ristretto numero di persone, cioè coloro che si recano all’università
Carnegie Mellon per la prima volta, potrebbe incorrere in questo tipo di disguido. Per
valutare ciò che rende questa proposizione vera, è importante considerare quale genere
di persone rientrano nell’asserzione, ovvero ne sono rese partecipi, e quale ne
costituiscono un’eccezione. Come argomenta Carlson, le persone che non cercano di
recarsi all’università, o perché non sono interessate o perché conoscono già la strada
non contano come eccezioni; solo le persone che cercano di raggiungere l’università e
non hanno problemi nel farlo debbono essere considerate tali. Ma è evidente come
questa generalizzazione sia in verità assolutamente ristretta ed implichi per sua natura
l’esclusione dall’insieme dei soggetti propri della sua predicazione la maggior parte
dell’umanità. Come giustamente ha fatto notare Cohen: “nel valutare la verità di questo
tipo di proposizioni, noi dobbiamo confrontare le persone che hanno trovato l’università
31
G. Carlson, Truth-conditions of generic sentences: Two contrasting views, in The Generic Book, pg.
39, Chicago: University of Chicago Press, 1995.
senza problemi con quelli che invece ne hanno avuti: se la maggioranza di essi ha avuto
difficoltà allora la proposizione è vera, altrimenti è falsa” 32 .
Accettando dunque il criterio per cui si debba operare una selezione rispetto ai
referenti del termine persone in quella proposizione, Cohen ci fornisce un modo per
valutare se essa sia vera o meno.
Def. 2.1 Data un’asserzione generica S predicante una certa proprietà φ di tipo
κ, assumiamo che la proprietà φ sia un elemento dell’insieme A composto da tutte le
proprietà predicabili. Allora, se sono in maggior numero le istanze di κ che soddisfano
φ rispetto a quelle che soddisfano una diversa proprietà φI∈ A ma che non soddisfano
φ diciamo che la proposizione S è vera.
32
A. Cohen, Default Reasoning and Generics, Computational Intelligence, V.13, N. 4, Blackwell
Publisher, 1997.
Ex. 2.2 Consideriamo l’enunciato:
i. Gli Indiani parlano l’Hindi.
Sappiamo che in India con una quota del 30% della popolazione totale la lingua Hindi è
la più parlata; perciò rispetto ad ogni linguaggio alternativo preso singolarmente la
lingua Hindi è più parlata, ma rispetto alla disgiunzione di tutti i linguaggi parlati in
India essa è evidentemente meno diffusa. Abbiamo perciò una sorta di massimo
relativo, l’enunciato in questa forma deve essere considerato falso a meno che non
venga completato con un’assunzione di relatività:
i.bis Tra tutte le lingue parlate dagli indiani la più diffusa è l’Hindi.
Def. 2.2 Sia genA(C(κ))(φ) una proposizione, dove φ è una proprietà, κ è un genere, e
C(κ) è una funzione che correla un genere con i suoi casi. Sia A un insieme di
alternative a φ, allora genA(C(κ))(φ) è vera se :
ovvero se:
Il problema dell’insieme delle Alternative, della loro ricerca e della loro pertinenza è
molto simile al problema che si pone nella distinzione tra determinabile e determinato:
I propose to call such terms as colour and shape determinables in relation to such terms
as red and circular which will be called determinates. Any one determinable such as
colour is distinctly other than such a determinable as shape or tone; i.e. colour is,
metaphorically speaking, that from which the specific determinates, red, yellow, green,
etc., emanate; while from shape emanate another completely different series of
determinates such as triangular, square, octagonal, etc. Further, what have been assumed
to be determinables—e.g. colour, pitch, etc.—are ultimately different, in the important
sense that they cannot be subsumed under some one higher determinable, with the result
that they are incomparable with one another; while it is the essential nature of
determinates under any one determinable to be comparable with one another. The
ground for grouping determinates under one and the same determinable is not any
partial agreement between them that could be revealed by analysis, but the unique and
peculiar kind of difference that subsists between the several determinates under the
same determinable, and which does not subsist between any one of them and an
adjective under some other determinable. 33
33
W. E. Johnson, Logic, pgg. 174-176, New York: Dover, 1964.
sottintende la medesima fattispecie introducendo la relazione di reciprocità tra due
diversi determinati, che si scambiano vicendevolmente il ruolo nell’essere
determinazioni. L’ultima proprietà infine può suscitare qualche dubbio; essa risulta più
evidente tuttavia considerando tale esempio:
i. rosso p colore
ii. colore p proprietà − fisica
iii. rosso p proprietà − fisica
dove è chiaro come il rosso sia una particolare determinazione dell’essere colore, il
colore a sua volta una proprietà fisica e dunque il rosso sia una determinazione
dell’essere proprietà fisica.
The more fundamental position which “colour” occupies vis `a vis both “red” and
“scarlet” is shown by the fact that the predication of “red”, “not red”, “scarlet” or “not
scarlet” of any object presupposes that “coloured” is true of the object. A term A
presupposes a term B if and only if it is a necessary condition of A’s being true or false
of an object x, that B must be true of x. For example, as we commonly use these words,
in order for it to be either true or false of something that it is red, it must be coloured.
Both “red” and “scarlet” then presuppose their common determinable “coloured”. But
“scarlet” does not presuppose its determinable “red”, and we may generalise this point
as a criterion: B is an absolute determinable of A if and only if A is a determinate of B,
and A presupposes B. Thus “coloured” is an absolute determinable of “red”, but “red” is
not an absolute determinable of scarlet. The notion of an absolute determinable is
relevant to the traditional problem of categories: every predicate carries with it the
notion of a kind or category of entities of which it can be sensibly affirmed or denied.
For example, “red” is sensibly affirmed or denied only of objects which are coloured—
this is part of what is meant by saying that “red” presupposes “coloured”. Absolute
determinables then provide us with a set of category terms. 34
Def. 2.5 Siano p e q due proprietà tali che p p a q , allora l’insieme delle alternative di p
34
J. Searle, On determinables and the notion of resemblance. In Proceding of the Aristotelian Society,
supplementary vol. 33, pg. 143, London: Harrison and Sons, 1959.
Reiter[1980]. In effetti possiamo vedere come le regole che dettano l’esistenza dei
default per Reiter siano strettamente legate all’intuitività delle asserzioni generiche.
Evidentemente la regola per cui gli uccelli volano non è altro che una formalizzazione
dell’asserzione generica “gli uccelli volano”. Dal punto di vista conoscitivo pertanto, ci
interessa sapere per quale ragione si possano utilizzare queste espressioni e addirittura
utilizzarle come regole in una formalizzazione per default. Come mai infatti preferiamo
regole del tipo “gli uccelli volano” a regole del tipo “gli uccelli sono bravi guidatori di
camion”?
Se consideriamo uno schema dei default come la correlazione tra due proprietà,
ovvero:
Def. 2.6 Siano p e q due proprietà, ed A l’insieme di tutte le proprietà predicabili. Allora
una regola di default sarà adeguata con rispetto ad A se genA(p)(q) è vera cioè se
dove k(x) sia una proprietà tra quelle presenti nell’insieme degli assiomi della teoria di
default ed α sia invece la proprietà da derivare, allora la regola è adeguata se:
P (α k ∧ (α1 ( x ) ∨ α 2 ∨ ... ∨ α n ( x )) > 0,5.
MAMMIFERO( x) : PARTORISCE( x)
,
PARTORISCE( x)
ORNITORINCO( x) : DEPONE − UOVA( x)
.
DEPONE − UOVA( x)
Come sappiamo l’ornitorinco è una specie molto particolare, appartiene al genere dei
mammiferi ma depone le uova 35 . Come tale in questo caso, l’ordine di applicazione dei
default determina due risultati evidentemente contraddittori, di cui il primo(la proprietà
di partorire) è scorretto mentre il secondo è giusto. Pensando alla seconda regola,
notiamo come essa sia maggiormente specifica rispetto alla prima, poiché la nozione di
35
Fonte: Wikipedia the free enciclopedy, http://it.wikipedia.org/wiki/Ornithorhynchus_anatinus .
ornitorinco comprende evidentemente quella di mammifero mentre non è vero il
contrario. La regola aggiunge a sua volta una peculiarità per questa nozione ovvero il
fatto che un particolare tipo di mammifero abbia la proprietà di deporre le uova.
Ammettiamo di avere due regole, la prima afferme che i Quaccheri sono pacifisti e la
seconda che i Repubblicani non sono pacifisti. Supponiamo di venire a conoscenza del
fatto che Nixon è sia un Quacchero che un Repubblicano. Che cosa possiamo dire circa
l’essere o meno pacifista di Nixon? Poiché le nostre informazioni su Nixon riguardano
sia il suo essere un Quacchero che il suo essere un Repubblicano, abbiamo bisogno di
una regola riguardo ai Quaccheri-Repubblicani. Se tale regola esiste possiamo usarla per
inferire una conclusione riguardo Nixon; ma se non esiste non possiamo inferire una
conclusione. In altre parole in questo caso dobbiamo adottare un approccio di tipo
scettico. 36
36
Gisèle Fischer Servi, Quando l’eccezione è la regola, le logiche non monotone, pag. 199, Milano:
McGrawHill, 2001.
Bisogna innanzitutto stabilire che, quanto meno nell’intenzione di Reiter[1980], questi
due orientamenti riguardo all’affidabilità delle conoscenze sono spesso confusi e
distorti. Riteniamo quindi di escludere gli accenni fatti a tale problema dallo stesso
Reiter ed utilizzare piuttosto il lavoro di Dung[1997]:
Come dimostra questa definizione effettivamente non possiamo ritenere che vi sia una
differenza radicale nei due approcci, piuttosto sussiste una differenza di grado nella
rilevanza delle informazioni. L’approccio scettico è dunque un approccio più diffidente,
più esigente da un certo punto di vista, perché presuppone che l’affidabilità di una
conclusione sia asseribile solo rispetto a tutte le estensioni che costituiscono la teoria di
default. Gli approcci sono evidentemente l’ambito più generico del nostro sistema,
poiché mentre prima avevamo legato l’affidabilità ad una singola proprietà, poi ad una
regola di default, ora la applichiamo all’intero insieme delle regole che costituiscono la
nostra teoria.
Mentre l’approccio scettico è definito perentoriamente, riguardo all’approccio
fiducioso Dung[1997] indaga cinque differenti atteggiamenti assumibili dal soggetto
nell’accettare o rigettare una conoscenza che hanno come base comune il grado minimo
di validità della definizione sopra. La nozione più semplice di accettabilità per un
approccio, che denominiamo ingenuo, ritiene semplicemente che la teoria iniziale si
possa estendere con un certo insieme di assunzioni a patto che esse siano conflict-
free(non si può dedurre il contrario di nessuno dei presupposti usando semplicemente la
nozione di conseguenza logica). Tale criterio è evidentemente molto blando, poiché non
valuta l’ipotesi di assunzioni esterne alla teoria che possano avere effetti perturbanti
sulla teoria stessa.
37
P.M. Dung, An abstract argumentation-theoretic approach to default reasoning, Artificial Intelligence,
vol. 93, pg. 67, 1997.
Il secondo approccio si basa sulla nozione di semantica dei modelli stabili, che
in programmazione logica è di fatto la semantica standard per la logica di default, la
logica autoepistemica e la logica modale non monotònica. Questo approccio, che
denominiamo sufficiente, richiede non soltanto che l’insieme dei presupposti sia
conflict-free, ma che da essi non sia deducibile il contrario di una qualunque tra le
assunzioni.
Il terzo approccio nell’ambito di quelli fiduciosi consiste nel considerare un
insieme dei presupposti accettabile se e soltanto se è sia conflict-free che, dal punto di
vista della chiusura deduttiva, difendibile da tutti gli attacchi possibili.
Il quarto, che denominiamo preferenziale, riguarda le estensioni e considera
un'estensione accettabile se è massimamente ammissibile, nel senso che non esiste alcun
insieme comprendente tali estensioni che sia allo stesso modo ammissibile.
Il quinto, che denominiamo approccio completo, è intermedio fra il terzo ed il
quarto che abbiamo proposto; considera un'estensione accettabile se essa è ammissibile
e contiene in sé tutti i presupposti necessari affinché sia difendibile dagli attacchi.
Def. 2.7 Per abduzione intendiamo che, data una teoria T in un qualunque linguaggio
logico formalizzato, un sottoinsieme X delle ipotesi di T è una spiegazione abduttiva se
T con l’aggiunta di X permette di derivare l’evento M osservato e non già compreso
nella teoria stessa.
La definizione implica chiaramente l’esigenza di possedere gli strumenti tipici
del ragionamento in condizioni di informazioni incomplete, tuttavia bisogna segnalare il
fatto ch si è tentata una formalizzazione di tale ragionamento anche in logica classica.
La logica di default essendo non monotònica si presta evidentemente meglio a subire e
gestire le eventuali conseguenze derivate dalla revisione delle conoscenze del soggetto.
Dobbiamo fare attenzione al senso di queste conoscenze intorno alla vita di John.
Facendo riferimento al criterio di adeguatezza posto sopra possiamo ora considerare
cosa significhi un’informazione come la terza. Normalmente non nevica significa infatti
che il numero dei giorni dell’anno in cui può verificarsi tale manifestazione
metereologica è esiguo rispetto al numero di giorni in cui essa non si verifica. Ma
tornando alle abitudini di John, se in una teoria di default ς = (A, Δ) assumessimo come
insieme degli assiomi A ={Weekend}, essa avrebbe una singola estensione contenente
¬NEVICA e SCIA(John). Supponiamo invece di osservare il fatto che John sia uscito
ma non per sciare, evidenza contraddittoria rispetto all’unica estensione della teoria.
L’abduzione in questo caso punta a trovare una spiegazione per questo evento, ovvero a
selezionare un insieme di fatti appartenenti alla teoria stessa tali per cui con l’aggiunta
di un’ulteriore ipotesi la teoria sia in grado di spiegare l’osservazione. In questo caso
basta aggiungere all’insieme degli assiomi A l’assioma NEVICA, quindi AI ={Weekend;
Nevica} per cui la nostra teoria di default ha una sola estensione contenente
¬SCIA(John) . Diciamo quindi che NEVICA è stato aggiunto all’insieme delle ipotesi
poiché è stato addotto dall’osservazione ¬SCIA(John) , quindi l’evento del nevicare è
la spiegazione abduttiva della conclusione ¬SCIA(John) .
E’ facile osservare come una semplice situazione, tratteggiata dal Ex. 2.4 sia
difficilmente rappresentabile in termini di logica classica e di ragionamento monotònico
di conseguenza; infatti non solo vi è una revisione delle inferenze tratte ma l’impiego
forte del significato di estensione tipico della logica di default.
Ex. 2.5 Consideriamo che le informazioni riguardo allo stato di una rete telematica,
ovvero una rete in cui delle macchine si scambiano informazioni, siano rappresentate
attraverso la logica di default. Supponiamo che la nostra teoria ς = (A, Δ) descriva delle
semplici conoscenze riguardo alle relazioni intercorrenti tra i componenti della rete di
computer, lo stato di una macchina(funzionante, non funzionante), lo stato della linea di
connessione, lo stato di collegamento tra un una macchina e l’altra(scambia
informazioni, non scambia informazioni). Supponiamo che la rete sia schematicamente
strutturata come in figura:
a
c e
⎧ FUNZIONA( x) ⇒ CONNESSO ( x, x) ⎫
⎪¬FUNZIONA( x) ⇒ ¬RAGGIUNGE ( y, x) ⎪
⎪ ⎪
⎪COLLEGATO ( a, b), COLLEGATO (a, f ) ⎪
⎪ ⎪
A= ⎨COLLEGATO (b, c), COLLEGATO (b, d ) ⎬.
⎪COLLEGATO (c, e), COLLEGATO (d , e), COLLEGATO (e, f )⎪
⎪ ⎪
⎪COLLEGATO ( x, x) ⎪
⎪COLLEGATO ( x, y ) ⇒ COLLEGATO ( y, x) ⎪
⎩ ⎭
I primi due assiomi riguardano il funzionamento di una macchina implicando il fatto
che ogni macchina sia raggiungibile da se stessa e come tale che sia anche connessa con
se stessa. L’assiomA del collegamento tra due macchine differenti rappresenta la
connessione diretta tra di esse, ovvero è una generalizzazione dove le variabili sono
sostituibili esclusivamente con le costanti fissate nel gruppo degli assiomi. Siano
dunque date le seguenti regole di default:
La prima regola afferma che una macchina normalmente funziona; la seconda e la terza
asseriscono che se sussiste una connessione tra due macchine allora esse sono
reciprocamente raggiungibili e che altrimenti esse non sono reciprocamente
raggiungibili. L’ultima regola asserisce invece che una connessione possa essere estesa
attraverso due collegamenti in modo da ottenere un collegamento tra due macchine che
data la struttura della rete non sarebbero connesse direttamente tra loro. Secondo le
assunzioni che costituiscono la nostra teoria abbiamo una sola estensione, in cui tutte le
macchine lavorano e tutti i nodi della rete sono tra di loro connessi. Supponiamo ora di
accorgerci che la macchina a sia operativa ma che invece la macchina e non sia da essa
raggiungibile, ovvero FUNZIONA(a) e ¬COLLEGATO(a, e) siano entrambe vere, cosa
non considerata nell’unica estensione della teoria. Se osserviamo lo stato della rete una
possibile spiegazione di questa evidenza si può riscontrare nel fatto che la macchina e
sia rotta, ovvero che ¬FUNZIONA(e) è una possibile spiegazione del problema. Come
si vede dal secondo assioma ¬FUNZIONA( x) → ¬RAGGIUNGE( y, x) segue
direttamente che ¬RAGGIUNGE(a, e) e dalla prima regola di default
FUNZIONA(a) risulta essere vero. Altre possibili spiegazioni sono evidenziabili non
adducendo il malfunzionamento della macchina e, infatti ogni nodo della rete non
funzionante che sia causa di una possibile interruzione nella connessione tra le
macchine a ed e è una spiegazione.
Negli esempi riportati, le teorie di default avevano una singola estensione,
tuttavia in generale, una teoria di default può avere svariate estensioni; ciò non modifica
il processo abduttivo, semplicemente comporta che esistano due o più differenti
soluzioni a seconda dell’estensione valutata. Se scegliamo di adottare un approccio
fiducioso nel caso di estensioni multiple anche l’abduzione si riferirà di conseguenza
alla singola estensione analizzata, mentre adottando un approccio scettico essa dovrà
misurarsi con tutte le estensioni considerate nella teoria. Evidentemente spetta solo al
soggetto che applica le regole scegliere quale approccio adottare.
38
Il programma può essere gratuitamente scaricato all’indirizzo internet
http://www.cs.engr.uky.edu/deres/ dove si troveranno i codici sorgenti e la documentazione necessaria al
suo utilizzo.
39
P.Cholewinski, V. W. Marek, A. Mikitiuk, Computing with default logic, Artificial Intelligence, n. 122,
pgg. 105-146, 1999.
dall’Università di Stanford 40 , ed utilizzato a livello internazionale come metodo di
riferimento per il calcolo logico. Grazie ad esso avremo la possibilità di creare insiemi
di teorie di default secondo precisi parametri, ed investigare la crescita e la dimensione
delle loro estensioni in modo da riuscire a valutarne il comportamento. Forniremo
pertanto i risultati di queste prove ma soprattutto i grafici sviluppati con il programma,
che evidenzieranno sia le estensioni di una teoria di default, sia il modo in cui queste
estensioni stanno in rapporto con le altre estensioni. Nella formalizzazione ci siamo
infatti premurati di mostrare come, nel caso di default normali, l’esistenza di due
diverse estensioni comportasse la loro contraddittorietà. Vedremo infatti come i grafici
manterranno questa proprietà nel calcolo delle svariate estensioni della teoria.
Bisogna ricordare che, riguardo ad una teoria finita di default ς = (A, Δ) ed una
proposizione A ad essa associata, nell’analisi delle estensioni della teoria possiamo
riscontrare tre tipi di fattispecie:
i. Esistenza: l’analisi determina se esiste un’estensione per la teoria in
oggetto(poiché ragioniamo con default normali essa è garantita).
ii. Presenza parziale: l’analisi determina se esista almeno un’estensione della
teoria in cui sia presente A.
iii. Presenza assoluta: l’analisi determina se per ogni estensione vi sia la presenza
di A.
Date queste tre fattispecie abbiamo conseguentemente tre diversi livelli di
complessità problemica. Il primo caso è per noi ovvio poiché sappiamo che ogni teoria
di default normali possiede almeno un’estensione e quindi non sussiste l’oggetto
d’indagine. Nel secondo caso dobbiamo considerare la complessità dell’evento come
una ricerca normale per ampiezza nell’insieme delle estensioni calcolate, il primo
risultato valido produrrà la fine del processo. Nel terzo caso dovremo valutare invece
due aspetti: la non presenza della proposizione cercata determina il fallimento della
ricerca ma affinché ciò si verifichi è necessario che o essa non venga trovata o venga
ritrovato un controesempio. Nel primo caso dunque la ricerca dovrebbe continuare la
sua indagine fino al termine delle estensioni con complessità massima, mentre nel
secondo caso la ricerca dovrebbe continuare fino al primo controesempio rinvenuto
40
D. E. Knuth, The Stanford GraphBase: A Platform for Combinatorial Computing, Addison-Wesley,
Reading, MA: 1993.
quindi con un po’ di fortuna con una complessità media. Questi tre tipi di indagine
costituiscono sinteticamente ciò che DeReS è in grado di fare e come può farlo.
41
In realtà il programma è piuttosto datato in quanto i sorgenti risalgono al 1996. Ciò significa che buona
parte delle librerie di compilazione da esso usate non esistono più o sono state sostituite. Siamo riuscite a
recuperarle ed ad ottimizzare il programma affinché possa funzionare sotto le distribuzioni Linux attuali.
Una copia dei file binari ricompilati è stata spedita agli sviluppatori di DeReS i quali ne hanno promesso
a breve termine la pubblicazione online.
4.1.1 Default Reasoning Module
Per generare i sottoinsiemi di Δ , DeReS crea un albero binario i cui nodi sono i
sottoinsiemi di Δ . L’albero è costituito nel seguente modo: sia Δ = {δ1, δ2,..., δn}, la
radice dell’albero è l’insieme vuoto dei sottoinsiemi di Δ , se un nodo a, alla profondità
k, è etichettato dall’insieme ΔI ⊆ Δ allora il figlio sinistro sarà etichettato da ΔI∪{δk + 1}
mentre il figlio destro di a sarà nuovamente etichettato ΔI. (fig.1)
DeReS considera i nodi dell’albero in accordo con il tipo di ricerca in
profondità. Per evitare di considerare lo stesso sottoinsieme più volte, un insieme di
default è controllato attraverso la procedura Is_Estension solo quando si incontra la
prima volta come etichetta di un nodo.
42
Letteralmente genera e controlla, si riferisce al fatto che ciò che viene prodotto dal programma debba
essere in qualche modo registrato e controllato per evitare errori e ridondanze.
∅
1 ∅
1,2 1 2
∅
∅
1,2, 1,2 1,3 1 2,3 2 3
3
Ex. 3.1 Sia ς = (A, Δ) una teoria di default con A = {p} e Δ ={δ1, δ2, δ3}, dove:
p: :x : ¬x
δ1 = , δ2 = , δ3 = .
¬p x ¬x
Supponiamo di cercare le estensioni della teoria esaminando i default contenuti in essa.
Per ogni ΔI ⊆ Δ dobbiamo controllare quando (A ∪ CONS(ΔI)) è un’estensione della
nostra teoria. Ma tale teoria ha evidentemente una sola estensione data da (A
∪ CONS(δ1)), risultato che viene computato da DeReS come l’insieme dei default
generanti attraverso il prover module locale. Invocando invece il prover module
completo otterremo anche quelle due estensioni generate dai sottoinsiemi di Δ. E’
evidente come l’utilizzo dei due moduli dipenda dalle nostre necessità. Infatti il primo
modulo è sufficiente nel caso in cui si vogliano determinare quelle estensioni di una
teoria che siano derivate dall’insieme completo dei default, mentre il secondo nel caso
in cui si vogliano analizzare anche le sotto-estensioni derivabili dai gruppi dei
sottoinsiemi di default. Le esigenze possono così corrispondere al tipo di approccio che
presupponiamo di attuare, scettico oppure fiducioso, computando rispettivamente tutte
le estensioni o solo alcune.
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