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IL CONCETTO DI ZERO AGLI ALBORI DELLA SCIENZA

MODERNA

GIORGIO ISRAEL

Per lungo tempo la nascita del pensiero rinascimentale e la nascita del pensiero
scientifico moderno sono state presentate esclusivamente come un fenomeno interno
alla civilt europea occidentale. Dopo il buio e lungo periodo del Medioevo, la
disintegrazione dell'Impero Romano d'Oriente aveva prodotto una disseminazione delle
testimonianze della cultura filosofica e scientifica greca ivi conservate in silenzio da
secoli: la scoperta e la lettura di antichi manoscritti dimenticati aveva determinato un
fiorire di nuove riflessioni e di nuovi studi che erano stati all'origine di una nuova
primavera dell'umanit e dell'affermarsi dell'Europa come centro della civilt mondiale.
Questa immagine stereotipata e deformata ha contribuito a creare l'immagine del
sorgere del pensiero razionale e scientifico moderno come di un fatto tutto interno alla
cultura europea occidentale o, se si vuole, come alla ripresa di un dialogo di questa
cultura con se stessa, dopo una lunga e silenziosa interruzione. Si in tal modo
contribuito fortemente a nascondere come in secoli per tanti versi oscuri, mentre
l'Occidente cristiano era costretto entro forme di oscurantismo, se non di vera e propria
barbarie, l'area mediterranea era il centro di un intreccio di culture e di attivit di
straordinaria vitalit e vivacit. Questo intreccio era contrassegnato dall'interazione fra
la componente cristiana, quella musulmana e quella ebraica. La Spagna, la Sicilia e il
meridione dell'Italia dove la dominazione musulmana contendeva palmo a palmo i
territori con la cristianit mondo cristiano, mondo ebraico e mondo musulmano
vivevano a stretto contatto, entro forme di interazione e collaborazione che superavano
gli ostacoli posti dai conflitti bellici e ponevano le basi di quella che sarebbe stata la
grande cultura europea moderna. Fin dall'undicesimo secolo, le scuole di traduzione che
si erano create in citt della Spagna come Toledo, ed entro le quali collaboravano
studiosi delle tre culture, avevano iniziato a produrre la traduzione in latino di decine e
decine di opere della filosofia e della scienza greca che avrebbero rappresentato gli
strumenti fondamentali per lo sviluppo della cultura scientifica moderna, come gli
Elementi di Euclide, le opere di Archimede, di Apollonio, di Tolomeo, di Ippocrate, di
Galieno, di Aristotele. Presso la Scuola Salernitana di Medicina, che ben rappresenta
uno dei primi nuclei di sviluppo della medicina moderna, le lezioni erano tenute in

arabo, in ebraico, in greco e in latino. E nella Sicilia di Federico II, i primi "tornei
matematici" della storia della disciplina avevano visto l'affermazione di un giovane
prodigio, Leonardo Pisano. Questi si era formato per alle scuole matematiche arabe:
seguendo le orme del padre mercante, si era recato nell'Africa mediterranea (l'attuale
Algeria) imparando l'algebra araba e nel suo Liber Abaci aveva raccolto una sorta di
enciclopedia dell'aritmetica greca e araba e dell'algebra. Questo libro, che si ispirava
agli studi di Savasorda, di Al-Khwarizmi e di Al-Karagi non fu tuttavia capito e
assimilato in Occidente, perch troppo elevato per le conoscenze ivi prevalenti in
quell'epoca.
L'anno 1492 segna non soltanto la scoperta delle Americhe, ma sopratutto con
la drammatica espulsione degli Ebrei dalla Spagna e con la cancellazione della residua
presenza musulmana dalla Spagna la fine di quella coesistenza fra cultura araba,
ebraica e cristiana che era stato il fenomeno pi importante del Medioevo europeo e che
aveva prodotto il manifestarsi di uno dei pi grandi sviluppi intellettuali della storia.
Come sarebbe ipocrita tacere gli aspetti drammaticamente conflittuali che
facevano da sfondo a questa grande cultura mediterranea, altrettanto lo sarebbe il
tacere o lo sminuire il ruolo che essa ebbe nella formazione della cultura scientifica
moderna. Come dimenticare il ruolo avuto non soltanto dall'algebra araba ma anche
dell'alchimia, cui anche la cultura ebraica diede un poderoso contributo, soltanto di
recente riscoperto? E come dimenticare il ruolo che ebbe la speculazione della
Kabbalah nella formazione di quella imponente corrente di pensiero che va sotto il
nome di "Cabala cristiana" e che al cuore stesso del pensiero rinascimentale? Eppure
questa "censura" stata fatta per lungo tempo e ancor oggi lungi dall'essere rimossa.
Quando apprendiamo che le opere teologiche e alchimistiche di Newton cos
impregnate di latenze mistiche e esoteriche rappresentano assai pi della met della
produzione complessiva del grande scienziato, non possiamo non stupirci. Eppure, la
storiografia di stampo positivistico ha tentato di vincere questa sorpresa accreditando
l'immagine falsa di un campione del razionalismo scientifico moderno che, per un
debolezza privata, si concedeva queste distrazioni altrimenti deprecabili. Chi
rimprovererebbe un grande scienziato di fare le parole crociate nei momenti di ozio?
Ma le riflessioni teologiche e alchimistiche di Newton non erano una sorta di gioco
delle parole crociate: esse avevano un posto centrale nel processo di formazione delle
sua concezioni dello spazio, del tempo e della materia fisica. Cos come sarebbe vano
comprendere appieno le idee filosofico-scientifiche di Leibniz dimenticando che l'idea
di un calcolo filosofico universale di cui il calcolo differenziale gli sembrava la pi

brillante espressione gli era stata ispirata, per sua stessa ammissione, dalla cabala dei
vocaboli mistici e dall'aritmetica dei numeri pitagorici.
La recisione dei legami fra la cultura scientifica dell'Europa occidentale e gli
sviluppi cui abbiamo sopra accennato non costituisce soltanto l'espressione di una
visione storiografica positivistica, ma oscura il ricordo del fatto che il Mediterraneo
stato per lungo tempo un luogo di fertile incontro fra culture e non soltanto un luogo di
conflitti insanabili.
Quello che segue un modesto contributo al tentativo di ricordare in che modo il
pensiero kabbalistico medioevale (in ci assai vicino alle concezioni prevalenti nel
pensiero arabo dell'epoca) abbia contribuito a formare alcune visioni del concetto di
zero e di vuoto che hanno giocato un ruolo fondamentale nel pensiero scientifico
moderno.
***
Non sai far alcun uso del niente, zietto? chiede il Matto a Re Lear,
nell'omonima tragedia di Shakespeare. E Re Lear risponde:
No di certo, ragazzo, niente si pu fare del niente.
Il dileggio del Matto cresce di tono: Ti sei pareggiato il cervello da ambo i lati e
non hai lasciato niente nel mezzo.
E infine: Ora sei uno 0 senza cifra. Io sono meglio di te: io sono un buffone e tu
sei niente.
Non questo l'unico luogo in cui Shakespeare si cimenta col tema del nulla,
dell'abisso del non essere, dell'impossibilit di creare dal nulla. E vi si cimenta nei modi
pi disparati, dall'Amleto, al Macbeth, ogni volta mostrando quanto lo affascinino le
ambiguit e le difficolt del concetto di nulla. Il tema del Re Lear l'idea del nihil ex
nihilo fit riaffermata dal vecchio re, peraltro contraddetta e smentita (in questa come in
altre opere) dalla presenza della forza creativa della vita e dell'amore, che si esprime
sopratutto e proprio nell'amore negato, annichilito e escluso dall'esistenza e che viene
perci dal niente.
Ma in questa opera di Shakespeare, pi che altrove, la metafora rispecchia con
estrema precisione la difficolt di accettare lo zero e l'evoluzione di questa nozione da
strumento aritmetico operativo a immagine del nulla che bene si esprime nella formula:
sei uno 0 senza cifra; e in quanto immagine del nulla solleva mille difficolt.
Lo zero da s solo osserva il Dizionario della lingua italiana del Petrocchi
non val nulla: ma alla dritta delle altre cifre le moltiplica per dieci. E nel Dizionario

della lingua spagnola di Moliner, si menziona la locuzione zero a sinistra (ancor oggi
in uso in Spagna) per indicare qualcosa che non vale nulla e non merita alcuna
considerazione. Anche il Dizionario della lingua francese del Littr definisce lo zero
come una chiffre qui de lui-mme ne marque aucun nombre, mais qui, tant mis la
droite des autres, indique qu'ils prennent une valeur dix fois plus forte. E aggiunge
che, in senso figurato, un zro, un vrai zro, un zro en chiffre, se dit d'un homme qui
n'est d'aucune considration.
Per il vezzo di voler attribuire a civilt sempre pi lontane nel tempo le grandi
scoperte, taluno attribuisce anche agli antichi Cinesi la scoperta dello zero, ma per
vedere le cose nella giusta prospettiva come osserva G. Guitel (Guitel, 1975)
bisogna tener conto della differenza concettuale fra zero-operatore e zero mediale. Lo
zero operatore quello di cui parlano Littr e Petrocchi: aggiunto tante volte a una cifra
serve a indicare che essa assume un valore tante volte pi grande, secondo la base scelta
(10 nel nostro sistema numerico). Cos, uno zero aggiunto a destra al numero 23 indica
che 230 un numero dieci volte pi grande di 23. In tale accezione operativa, lo zero
non contiene in modo visibile la nozione di nulla. Ma, se si considera il numero 203,
ovvero si interpola lo zero, l'approccio operativo diviene pi complicato: in tal caso
bisogna pensare che una parte del numero (il 20) stata moltiplicata per 10, mentre la
parte delle unit (3) stata lasciata inalterata. Qui lo zero indica l'assenza delle decine,
o l'assenza della moltiplicazione delle unit per la base 10. La radice dell'identificazione
dello zero con il nulla non sta quindi nell'uso dello zero operatore (lo zero a destra) ma
nel concetto di zero mediale: lo zero a sinistra degli spagnoli, che di fatto la stessa
cosa dello zero da solo di Petrocchi, del vero zero di Littr, dello zero senza cifra
di Shakespeare; come uno zero mediale Re Lear, di cui il Matto dice che si
pareggiato il cervello da ambo i lati e nel mezzo ha lasciato niente. Ancora nel
Seicento, il Cardinale di Retz osservava, a proposito del principe di Conti che ce chef
de parti tait un zro [uno zero mediale], qui ne multipliait [ovvero diveniva un zerooperatore] que parce qu'il tait prince de sang.
L'opposizione fra zero-operatore e zero mediale quindi la chiave per
comprendere l'evoluzione della nozione di zero verso l'identificazione con il concetto di
niente. Questa storia lunga e faticosa prese le mosse dall'uso che si faceva dello zero
nella matematica indiana e che divenne sistematico nella matematica araba, la quale
pu essere considerata il vero vettore del concetto di zero nella scienza e nella cultura
occidentale. Fu Leonardo Pisano, nel Duecento, a dare il nome latino di Zephirum (da
cui deriva l'attuale zero) al termine arabo Sifr (vuoto), che per origine anche della
parola cifra. Ne discese un'ambiguit di significato che perdur a lungo, se si pensa

che, per molto tempo, in inglese si us la locuzione cipher per denotare lo zero. Tale
ambiguit rilevata con sorpresa da Littr che osserva che zro et chiffre sont le mme
mot; il est curieux de constater ainsi deux formes se diffrenciant pour signifier des
choses trs diffrentes. Poich l'aritmetica araba era definita come una procedura
algoristica in opposizione a quella abacista (ovvero fondata sull'uso delle cifre
romano e dell'abaco a gettoni), prevalente in Occidente, e che non conteneva il concetto
di vero zero nella Francia del Duecento si usava offendere una persona
chiamandolo cifra in algorismo, intendendo dire cos che si trattava di un uomo da
nulla. La diffidenza nei confronti del concetto di vero zero non si riflette soltanto
nell'ambiguo significato attribuito al termine cifra, ma anche nell'idea di
procedimento segreto e oscuro che era associato al calcolo in cifre e che si riflette nel
significato che ha questa parola ancora oggi, quando si parla di linguaggio cifrato per
intendere una forma di espressione criptica. In realt, l'opposizione nei confronti del
calcolo in cifre o algoristico fu grande e fu dovuta a una diffusa resistenza da parte
delle autorit ecclesiastiche di fronte a ci che appariva come un prodotto della cultura
degli infedeli: proprio la facilit e l'efficacia dei procedimenti algoristici sembrava
costituire la prova di un carattere magico, se non addirittura demoniaco, dei
procedimenti provenienti dal mondo musulmano.
Si detto del ruolo avuto da Leonardo Pisano nel diffondere nell'Occidente
medioevale cristiano i procedimenti della nuova matematica algoristica araba. Pi in
generale, la Spagna e la Sicilia e cio le regioni in cui coesistettero e si
confrontarono per secoli, anche se in forme talora conflittuali, le culture araba, ebraica e
cristiana furono i luoghi in cui lo studio e la traduzione dei testi della scienza e della
filosofia greca si accompagnarono a una loro reinterpretazione nelle forme di un nuovo
sapere scientifico. In queste nuove forme il concetto di numero aveva un ruolo centrale,
non soltanto nella matematica araba ma anche nella mistica kabbalistica ebraica che
ricercava la struttura segreta del Cosmo entro segrete strutture numeriche, riprendendo
cos antiche tematiche pitagoriche. L'influsso delle tecniche algoristiche e della
numerologia mistica nella formazione dell'arte combinatoria (di cui uno dei primi
esponenti il filosofo e mistico catalano Raimondo Lullo) e sul neoplatonismo
rinascimentale di Pico della Mirandola e Marsilio Ficino, ormai riconosciuto e
considerato come un passaggio cruciale verso quella visione della conoscenza della
natura attraverso i numeri prima e la matematica poi, che costituisce il fondamento
concettuale della scienza moderna. Ma tutto ci, come si detto, avvenne attraverso
grandissime resistenze e difficolt. Per quanto riguarda, l'uso delle cifre, e in
particolare dello zero, l'opposizione delle autorit ecclesiastiche ortodosse fu tenace e

insistente. A tal punto, che la secolare contrapposizione fra abacisti e algoristi si


concluse in modo definitivo soltanto quando un provvedimento preso durante la
Rivoluzione francese viet l'uso dell'abaco nelle scuole e nell'amministrazione (voir
Ifrah, 1985).
La diffidenza nei confronti dello zero (e sopratutto, evidentemente, contro lo zero
mediale o zero senza cifra) ha radici filosofiche e teologiche profonde ed legata alla
difficolt di accettare la nozione di nulla. Per questo, quel che vogliamo qui sostenere
che la difficolt di accettare lo zero non tanto una questione tecnica (un'opposizione
fra diverse correnti del calcolo numerico abacismo e algorismo), quanto
un'opposizione metafisico-teologica, con evidenti conseguenze sullo sviluppo del
pensiero scientifico, fra la visione semitica (arabo-ebraica) del nulla, dell'infinito e della
creazione dal nulla e quella della tradizione scolastica-cattolica, ostile all'idea di nulla e
assai ambigua sull'idea di creazione dal nulla.
Non allora casuale il fatto che abbiamo iniziato citando Shakespeare come un
pensatore che aveva una visione complessa e tormentata del nulla (dello zero) e della
creazione ex nihilo. Soltanto di recente Shakespeare stato riletto alla luce di una
visione meno appiattita su taluni stereotipi un p schematici del passato. D. Barnes
(Barnes, 1975) ha sviluppato una penetrante analisi del Mercante di Venezia, che ha
ribaltato il luogo comune secondo cui questa sarebbe un'opera antisemita, per mostrare
al contrario come essa sia un'opera allegorica che riprende tematiche kabbalistiche,
riprese dalla filosofia giudaizzante del frate cabbalista di Venezia Francesco Giorgi, e
di cui Shakespeare era certamente un lettore. In uno scritto successivo, Frances Yates
(Yates, 1982), pur trovando troppo schematico il parallelismo stabilito da Barnes fra i
personaggi di Shakespeare e il diagramma kabbalistico dell'albero delle Sefiroth, ha
sviluppato l'analisi di Barnes, per mostrare come proprio in Giorgi si ritrovi la chiave
allegorica dell'opera di Shakespeare. Ricordiamo che la scelta giusta tra i tre scrigni (di
oro, argento e piombo) fra cui doveva scegliere il corteggiatore di Porzia per
conquistarne la mano era quella dello scrigno di piombo, che nella simbolologia di
Giorgi rappresenta proprio la sapienza e la religione ebraica. E che si basa sul passaggio
dei Proverbi (8.10.11) che costituisce evidentemente la chiave dell'allegoria di
Shakespeare: Scegli la mia disciplina e non l'argento/scegli l'intelligenza all'oro fino/
perch la sapienza meglio dei preziosi.
Comunque, senza sviluppare oltre questo discorso che ci porterebbe fuori strada,
quel che mette conto di sottolineare che da non molti anni iniziato un ampio lavoro
di ricerca teso a ricostruire i nessi fra pensiero kabbalistico ebraico e quella vastissima
area che va sotto il nome di cabala cristiana e che ha costituito uno dei fondamenti

tematici del pensiero rinascimentale e quindi pre-scientifico nonch il canale di


trasmissione di una parte importante del pensiero ebraico medioevale. Fa parte di queste
ricerche la scoperta degli influssi kabbalistici sul pensiero di Shakespeare, ma pi in
generale sul pensiero dell'era elisabettiana. Cos, la Yates ha individuato in modo
penetrante alcuni temi giudaizzanti e kabbalistici del pensiero di Francesco Bacone,
presenti in particolare nella Nuova Atlantide (Yates, 1982). I legami sempre pi evidenti
fra il movimento riformatore baconiano e il rosacrocianesimo tedesco aprono cos
nuove prospettive e impongono, ad esempio, di riesaminare le peraltro evidenti
venature kabbalistiche del pensiero di Leibniz. Un discorso speciale meriterebbe
Newton, i cui interessi per il pensiero mistico sono se non altro testimoniati dalla sua
passione per l'alchimia e di cui tuttavia sono state ricordate ma non approfondite le
influenze subite dal pensiero kabbalistico nella concezione dello spazio. Proprio
menzionando Newton viene a mente l'accusa pi ricorrente che gli venne rivolta
quella di reintrodurre nella scienza influssi di tipo magico, attraverso il concetto di
azione a distanza (attrazione gravitazionale) fra due corpi nel spazio vuoto. E, se
pensiamo al punto di vista dell'altro grande punto di riferimento del pensiero scientifico
seicentesco, Descartes, ritorniamo in pieno nell'antinomia da cui siamo partiti. Come
per Newton lo spazio un contenitore vuoto degli eventi fisici, cos per Descartes il
vuoto impensabile e inaccettabile sia nel ragionamento come nello spazio fisico. Lo
spazio , per Descartes, pieno e continuo, e i processi fisici non si spiegano mediante
azioni a distanza bens mediante azioni di contatto: il moto dei pianeti avviene
all'interno dei vortici determinati da queste azioni di contatto, e non a causa della forza
di attrazione gravitazionale.
Non ci si inganni. Naturalmente, sia Descartes che Newton accettano lo zero, il
quale entrato ormai a far parte del bagaglio tecnico della matematica da lungo tempo
(anche se, come si detto, al livello del calcolo numerico pratico l'approccio algoristico
avr definitivamente partita vinta pi tardi). L'impatto matematico dello zero nella
cultura occidentale avvenuto gi nel tredicesimo secolo, con la diffusione della
scienza araba e in particolare dell'algebra. Ma quel che appeso al concetto di zero, e
cio una sua interpretazione (che una delle molte possibili, nella grande ambiguit e
flessibilit di questo concetto) in termini di simbolo del niente, passato attraverso il
filtro di una cultura ostile al concetto di niente che, laddove le maglie del filtro erano
pi strette come nel caso della cultura cattolica di Descartes non ha lasciato
passare nulla della valenza metafisica di questo concetto, mentre laddove erano pi
larghe, se non larghissime come nel caso di un Newton ha lasciato passare molto
di questa valenza.

Veniamo ora rapidamente alla radici della antinomia fra le concezioni del nulla e
della creazione ex nihilo e le concezioni ostili all'idea del niente.
Non c' dubbio che una delle difficolt costitutive della teologia cristiana
ortodossa, da Sant'Agostino alla scolastica di San Tommaso d'Aquino, risiede nella
difficile conciliazione che in essa si tentava di realizzare fra la visione della creazione
caratteristica del pensiero filosofico greco e quella del monoteismo ebraico. In effetti,
nella filosofia greca con l'importante eccezione di Democrito e delle sue dottrine
atomistiche presente una grande riluttanza e persino un vero e proprio orrore nei
confronti del concetto di vuoto. Lo spazio sempre pensato come qualcosa di pieno,
che non ammette interruzioni, lacerazioni, vuoti e assenze di correlazioni. E' un punto
di vista che non divide platonismo e aristotelismo. La teologia cristiana ha ripreso in
pieno da Parmenide e da Platone l'idea di una separazione fra il mondo eterogeneo,
frammentato, imperfetto e interrotto della realt concreta e il mondo della pura forma,
dell'essere divino immutabile, pieno, omogeneo, indivisibile, senza tempo. Non mi
soffermo sul valore enorme che ebbero, in questa direzione, le confutazioni di Zenone
(attraverso i suoi celebri paradossi) del moto, del vuoto e dell'infinito. Ne discende che
il concetto di creazione, nella filosofia greca e in particolare nei teologi cristiani che da
essa erano influenzati, ha un significato peculiare: Dio non il creatore dal nulla del
cosmo ma piuttosto il supremo architetto che ha ordinato secondo principi di suprema
razionalit il caos in cui il cosmo stesso si trovava. E' possibile dare innumerevoli
esempi degli influssi posteriori di questa interpretazione di Dio come supremo
architetto: ci limiteremo a ricordare, in tempi meno lontani, la visione di Descartes che
concepiva il mondo come una immensa macchina, un gigantesco orologio
perfettamente organizzato nella correlazione dei suoi ingranaggi e Dio come il
supremo orologiaio, colui che aveva fabbricato dalla materia prima caotica questa
macchina i cui principi razionali di funzionamento spettava all'uomo-scienziato
indagare, capire e descrivere. Anche in Galileo, l'attenzione posta pi sulla forma
organizzativa del mondo (i principi matematici con cui stato scritto da Dio) che non
sul processo della creazione del mondo dal nulla. Per Descartes, come per tanti altri
filosofi-scienziati della sua epoca, il mondo-macchina un continuo privo di
interruzioni e di vuoti. E insisto sul fatto che la ripresa da parte di Newton dei temi
dell'atomismo democriteo e quindi dell'idea del vuoto, fu assai criticata all'epoca e la
sua concezione della trasmissione a distanza dell'interazione gravitazionale nello spazio
vuoto come la manifestazione della ripresa di temi magici.
Eppure il tema della creazione ex nihilo, l'idea che il mondo stato creato da Dio
completamente dal nulla, era fondamentale nella concezione ebraica e quindi

rappresentava l'altro dei due elementi costitutivi della teologia cristiana. E' nella
difficolt di conciliare questi due aspetti, in questa tensione inerente alla teologia
cristiana che va ricercata la causa principale delle difficolt di accettare il concetto di
nulla. Sant'Agostino, certamente influenzato dalla negazione del vuoto parmenideoplatonica (trasmessagli dagli scritti di Plotino) tent di conciliare questa negazione con
l'idea della creazione dal nulla, assegnando al nulla uno status escatologico, e cio
identificando il nulla con il male, con il diavolo, ovvero con l'assenza o privazione del
divino, ci che era stato sottratto dall'originale pienezza di Dio. Una soluzione
pericolosa e quasi blasfema, perch rischiava di introdurre l'idea di un'omissione, di
qualcosa di mancante prima dell'atto creativo, una mancanza di cui quell'atto doveva
riparare. E difatti Sant'Agostino tent di riparare a tale critica introducendo l'idea
secondo cui Dio cre il tempo, ed essendo cos fuori del tempo non avrebbe mai potuto
mancare di ci che sempre ebbe. San Tommaso vide comunque a tal punto questo
rischio, da decretare che di Dio poteva parlarsi soltanto in modo negativo, ovvero per
dire ci che Dio non (mortale, temporale, finito, etc.). Il processo creativo era da lui
visto pi come una distruzione del nulla da parte di Dio che non come l'estrazione da
esso del mondo. Il nulla conserva quindi un ruolo e l'idea della creazione in senso
stretto rimane, ma in termini negativi e cio come il processo di eliminazione della
negazione di Dio.
Si tratta sostanzialmente di un tentativo di negare il problema del niente,
trasferendo il rifiuto di esso nel suo superamento da parte di Dio. Ma il problema resta
cos soltanto esorcizzato, la grande questione di conciliare o confrontare apertamente
l'idea della creazione dal nulla con il principio del nihil ex nihilo fit, resta soltanto
messa fra parentesi ma non elusa. Come molto pi tardi mostreranno i tormenti di
Shakespeare attorno a questo tema.
Ora, l'impatto sulla cultura europea del concetto di niente (e di quello connesso di
infinito) si manifesta attraverso due canali: l'introduzione araba dello zero nella
matematica, l'idea del niente come si manifesta nella mistica ebraica medioevale (e
anche, pi tardi, nel pensiero di un grande filosofo ebreo del secolo successivo, Hasda
Crescas). E' importante rilevare la sinergia di questi due processi. Perch, se l'influsso
della mistica ebraica sul Rinascimento, per quanto importante, sarebbe stato
insufficiente da solo a influenzare in modo significativo le forme costitutive del
nascente pensiero scientifico, anche la rivoluzione della matematica introdotta dalla
scienza araba non avrebbe avuto l'impatto concettuale che ebbe, se non fosse
progressivamente germogliata sul terreno della nuova concezione dello spazio, del
tempo, del cosmo caratteristica del pensiero rinascimentale. Quindi si deve davvero

parlare di una radice arabo-ebraica (semitica) della scienza moderna che si intreccia in
modo complesso e talora contraddittorio con una componente greco-cristiana.
Sottolineando per che sarebbe pi corretto parlare di componente greco-arabo-ebraica
e di componente greco-cristiana visto che la cultura filosofica e scientifica greca
viene tirata da ciascuno dalla sua parte.
La tradizione ebraica fino al Duecento riafferma una visione della creazione del
nulla strettamente basata sul racconto biblico della creazione (Ma's Bereshit). Nella
prospettiva che ci interessa, il contributo di quello che pu essere considerato come il
massimo pensatore ebreo medievale, Maimonide, non costituisce un fattore davvero
innovativo. Difatti, Maimonide, tende a consolidare il punto di vista dell'ebraismo
rabbinico, contro una deviazione mistica e allo scopo, compie un originale e
straordinariamente interessante recupero dell'aristotelismo. In tal modo, egli per si
appiattisce sul pensiero aristotelico, almeno per ci che concerne la concezione del
mondo sublunare.
La situazione si modifica quando si sviluppa il pensiero mistico kabbalistico,
sopratutto nella Spagna medioevale. In questo ambito, l'idea della creazione dal nulla si
precisa e si modifica allo stesso tempo.
Le recenti ricerche di Mosh Idel (Idel, 1988) hanno messo in luce l'esistenza di
due filoni all'interno della tradizione kabbalistica, quella della Kabbalah cosidetta
teosofico-teurgica e quella della Kabbalah cosidetta estatica. E' la prima che ci
interessa per l'idea dell'organizzazione del cosmo che essa propone, vista come un
grande albero di canali che trasmettono a ogni lato del cosmo stesso l'influsso divino:
l'abero delle dieci Sefirth. Anche se l'opera del kabbalista estatico Abraham
Abulafi ha avuto un grande ruolo nella introduzione dell'idea secondo cui il il libro
divino la chiave per comprendere il libro della natura (Deus sive Natura) che
influenz Spinoza e che finit par s'introduire dans la pense de la Renaissance par
l'intermdiaire de Pic de la Mirandole (Idel, 1991).

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Nello schema delle dieci Sefirth, la sorgente iniziale (l'infinito divino, En Sof)
propaga la sua luce attraverso una serie di canali che si diramano in tutto il mondo. I
nodi di questo sistema di canali (l'albero delle dieci Sefirth) sono denotati da nomi
che hanno un significato mitico-ontologico e morale al contempo: La corona, che il
luogo d'ingresso dell'influsso divino il punto d'ingresso del lampo divino, En Sof, che
con la sua luce infinita attiva l'albero. Poi l'intelletto, la sapienza, la severit di
giudizio, la tenerezza amorosa, la bellezza o clemenza, la gloria, la vittoria, il
fondamento, il regno. La corona quindi per i kabbalisti il punto dove l'influsso
divino si manifesta e sorge dal niente. Dietro il kether sta difatti l'En Sof (o illimitato,
infinito), dietro cui ancora vi l'ain, il niente, il nulla, il vuoto, la pura presenza
dichiarativa di Dio, l'Io Sono. I precursori di teosofi cristiani ispirati dal kabbalismo
come Henry More parlavano dell'inizio della catena del cosmo, come dell''ayin , ayin
gamur (nulla originale). E, come ricorda Scholem, Henry Vaughan (Eugne
Philaleths) ne se refre pas des mystiques chrtiens mais des kabbalistes juifs
lorsqu'il parle du commencement primordial de la chane du cosmos comme du ayin
du nant des juifs qui serait la divinit simple et sans couvert (Scholem, 1990).
In realt, i kabbalisti si cimentano con gli stessi temi della teologia cristiana e le
stesse difficolt, per proporre soluzioni molto audaci, fra cui quella
dell'autocontrazione di Dio o tsimtsum (dovuta alla Kabbalah palestinese di Safed)
influenz il pensiero filosofico di Schelling.
Di particolare interesse, al riguardo, il contributo dato dalla scuola kabbalistica
spagnola del tredicesimo secolo di cui fu il principale esponente Azriel di Gerona.
Secondo Azriel, la prima Sefir volont originale di Dio ma anche nulla. La volont
deve essere allora intesa come il nulla di tutta la creazione. La messa in moto della
creazione eternamente data nella prima Sefir ed un movimento che trasforma
continuamente l'infinito nel vuoto, un abisso infinito entro Dio stesso (tehom, la
profondit abissale della Genesi).
Altri kabbalisti per non volevano sentir parlare della coesistenza fra infinito e
nulla e concepivano la prima Sefir e quindi il nulla, come un'entit creata. Tale non era
il parere dell'autore del pi famoso testo kabbalistico, lo Zohar, il quale aderiva alla
prima visione. Tuttavia, tutti concordavano con l'idea che fosse inconcepibile l'idea che
un Essere perfetto abbia in s il nulla senza che quest'ultimo si fondi su questo Essere. Il
rifiuto dell'accezione tradizionale della formula creazione dal nulla conduce all'idea
che la superessenza divina sia il nulla o che essa gli dia origine. Quindi un tema
fondamentale kabbalistico che la creazione dal nulla pu significare soltanto due cose:
che l'universo non eterno e che non stato creato da una materia primordiale esterna a

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Dio. Quindi tutto l'essere deriva dalla luce di En Sof, che deve essere pensata come il
nulla stesso. Nel palazzo del nulla risiede il tutto, scrive un kabbalista spagnolo del
Cinquecento.
E ancora Azriel di Gerona osserva: Comment a-t-Il produit l'tre partir du
nant alors que l'tre est trs diffrent du nant? Reponds: Celui qui produit l'tre
partir du nant n'a rien de dfectueux, car l'tre est dans le nant suivant la modalit du
nant tandis que le nant est dans l'tre suivant la modalit de l'tre. E aggiunge: Il a
fait de son nant son tre (Cit par Scholem, 1990).
Nel suo Commento sulle Aggadot, Azriel di Gerona, dopo aver menzionato
Platone e Aristotele, osserva: Sache que l'existence concrte ne retranche ni n'ajoute
rien l'existence de la forme. En effet, la racine de la forme est dpourvue de toute
existence concrte et (pourtant) elle entoure et environne de tous cts. C'est que la
forme de tout vase est seulement ce qui lui manque en existence concrte, car c'est ce
qui lui manque de toute existence qui le constitue et le fait subsister sans (lui-mme)
subir de changement. Le changement n'affecte, on le sait, que l'tre qui vient
l'existence conscutivement son non-existence, car ce qui enveloppe l'existant (est
prsent) dans toutes ses parties avec le mode d'tre subtil qui lui est propre, sans exister
pour autant concrtement selon un mode changeant mais (subsistant) selon un mode
invariable. Ainsi la forme se reconnat mieux par la vacuit de l'existence concrte dans
ce sens qu'elle n'est pas venue l'existence, qu'elle ne se reconnat pas par son existence
concrte. Tu peux vrifier cette assertion par l'espace vide (qui est constitutif) de tout
corps. [] le vide est le fondement de toute structure et il n'y a compltude de la forme
que grce lui (Cit par Lvy, 1987).
In effetti, il rapporto che Azriel istituisce fra materia, forma e vuoto si ricollega
alla terna aristotelica materia-forma-privazione (o steresis). Il punto fondamentale che
qui la steresis aristotelica divenuta nulla (ayin) o vuoto (requt). Questa
interpretazione emanazionistica della creazione dal nulla, identificato con il tutto o
l'infinito, si distacca sia dalla tradizione teologica cristiana che da quella dell'ebraismo
ortodosso e, come vediamo, permette persino un recupero di un tema centrale del
pensiero aristotelico. Tre sono difatti, per Aristotele, le caratteristiche costitutive di un
essere: la forma, la materia e la privazione (steresis). La steresis designa ci che l'essere
specifico non pu essere: in ogni cosa presente non soltanto la sua materia e la sua
forma ma anche ci che le precluso. Ora, per i kabbalisti, la steresis un non essere
che si identifica con il nulla presente in ogni cosa. La creazione ovvero il sorgere
di una forma a partire dalla materia e quindi il continuo processo creativo del cosmo
sempre accompagnata da un emergere del nulla, dal continuo contatto con il nulla.

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L'emergere del nulla accompagna ogni processo vivente, cio l'atto in cui la forma
investe la materia. E' dal contatto continuo con il nulla che nasce la creazione continua,
l'eterno miracolo dell'inizio. Le dernier miracle est encore plus grand que le premier
(Cit par Scholem 1990).
Queste connessioni fra pensiero kabbalistico e pensiero aristotelico attraverso il
concetto di nulla e di steresis potrebbero aprire una lunga diramazioni di
considerazioni interessanti. Fra l'altro, si potrebbe osservare che la riscoperta e
l'utilizzazione da parte di Ren Thom del concetto aristotelico di forma all'interno della
sua visione della morfogenesi (Thom, 1988) ne fanno quasi un kabbalista in
incognito Ma su questo interessante aspetto ci ripromettiamo di tornare in un altro
scritto.
Fino a non molto tempo fa non si riteneva che queste speculazioni mistiche
potessero aver avuto un influsso rilevante sull'introduzione del concetto di nulla nel
pensiero occidentale moderno. Ma oggi, la conoscenza sempre pi approfondita dei loro
modi di trasmissione nel pensiero rinascimentale, mostra in modo sempre pi evidente
il loro grande ruolo (si veda, in particolare, (Idel, 1991) e (Wirszubski, 1989)). La
formula di Pico della Mirandola secondo cui la creazione dal nulla (ens ex non ente)
equivale alla nascita della sapienza dalla corona, ripresa in pieno dalla formula
kabbalistica, secondo cui ain ovvero il non-ente (in ebraico) indica la corona; e la
sapienza (la seconda delle Sefirth) proviene dalla corona, ovvero dal nulla. La
sapienza viene dal nulla, aggiunge Pico, riprendendo testualmente i testi kabbalistici
diffusi nella Sicilia medioevale: in tal modo egli immette nella cultura rinascimentale
l'idea di creazione dal nulla e legittima il concetto di niente.
I nodi della trasmissione del pensiero kabbalistico nel pensiero rinascimentale e a
partire di qui, nella formazione di quella vastissima corrente detta della cabala
cristiana, sono stati di recente ampiamente studiati e non possiamo qui che rinviare ai
testi citati. Ricordiamo per sopratutto che ci avvenne attraverso un episodio specifico:
il viaggio del kabbalista spagnolo Abraham Abulafi in Italia, nell'intento di convertire
il Papa alle verit kabbalistiche. Abulafi, nonostante il Papa l'avesse diffidato
minacciosamente dal farlo, si rec nel palazzo papale del paese di Soriano del Cimino
(vicino a Roma). Qui, per una singolare circostanza, non appena Abulafi penetr nella
sala delle udienze, il Papa mor di colpo Egli fu immediatamente arrestato dai monaci
di guardia al palazzo, ma nel trambusto seguito all'improvviso decesso del Papa, riusc a
dileguarsi. Cominci di qui una lunga peregrinazione di Abulafi per l'Italia, che lo
condusse a stabilirsi in Sicilia. I numerosi manoscritti kabbalistici lasciati da Abulafi
furono studiati in modo profondo da uno studioso ebreo siciliano, Nissim Abul-Farag e

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da suo figlio, che poi si convert al cristianesimo, assumendo il nome latino di Flavius
Mithridates. E' a Mithridates che si debbono le traduzioni in latino delle opere di
Abulafi, e in particolare del suoDe Secretis Legibus che ebbero un'influenza cruciale
su Pico della Mirandola e sul circolo degli umanisti fiorentini. E' quindi possibile
localizzare in modo quasi puntuale lo snodo di passaggio fra pensiero kabbalistico e
pensiero rinascimentale.
Ora, il punto pi interessante che questo passaggio deve molto alla traduzione
di Flavius Mithridates, la quale non n neutrale n fedele. Di certo non perch
Mithridates non fosse un buon traduttore dall'ebraico, ma perch era un traduttore
tendenzioso che utilizzava questo suo ruolo per fare delle vere e proprie operazioni
culturali. In particolare, come ha ricostruito C. Wirszubski con una accurata e sottile
analisi dei testi (Wirszubski, 1989), nella traduzione del suoDe Secretis Legibus di
Abulafi, Mithridates interpola una formula assai significativa che propugna, molto al
di l del testo di Abulafi, l'idea della coincidenza degli opposti in Dio: Verum est
haberi pro primo principio apud nos et omnes cabalistas quod Quodlibet est in quolibet
et nihil est extra se. L'analisi Wirszubski mostra che questa asserzione una sintesi di
una formula tratta dal De Docta Ignorantia di Nicola Cusano e dall'altro lato dalle
dottrine di Azriel di Gerona, di cui Mithridates traduce nello stesso manoscritto (e, con
evidenza, prima del testo di Abulafi) le Quaestiones super Decem Numerationibus.
In tal modo, trent'anni prima del De Arte Cabalistica di Johannes Reuchlin,
Flavius Mithridates aveva realizzato che le dottrine di Nicola Cusano e di Azriel di
Gerona erano simili, o almeno reciprocamente rilevanti, per quanto riguarda il tema
della coincidenza degli opposti in Dio (Wirszubski, 1989). Questa influenza della
Kabbalah geronese che Mithridates interpola in Abulafi si fa sentire nella discussione
del problema della creazione ex nihilo. Qui la traduzione interpola un altro passaggio
che interpreta il segreto di un passaggio biblico come contenente l'idea di ens ex non
ente vel sapientia a corona, dove si identifica il concetto di creazione del nulla nel
termini del ruolo della prima Sefir (la corona, per l'appunto). Ancora una volta
un'interpolazione ripresa in pieno dalle dottrine della scuola kabbalistica di Gerona.
Questa interpolazione, osserva Wirszubski conduce direttamente alle modalit
dell'incontro fra Pico e la Kabbalah, alla quale egli si inizi attraverso le traduzioni di
Mithridates. Difatti, uno dei principi fondamentali della dottrina di Pico proprio la
interpretazione emanazionistica della creazione ex nihilo basata sulla formula ens ex
non ente vel sapientia a corona. Pico, che identifica comunemente ayin (non ens) con
keter (corona) scrive, ad esempio, che ain id est non ens indicat coronam de qua
scribitur et sapientia ex ain invenitur et sapientia ex ain veniet.

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A partire da questo nodo di passaggio, innumerevoli sono la testimonianze


dell'influsso e della diffusione dell'idea kabbalistica di nulla in tutta la cabala
cristiana e nel pensiero rinascimentale.
Abbiamo sottolineato che le speculazioni kabbalistiche si svilupparono in un
contesto di profonda collaborazione culturale arabo-ebraica, e di diffusione in
Occidente delle opere matematiche arabe nella cui traduzione gli ebrei spagnoli
ebbero un ruolo fondamentale per cui l'idea di nulla e di zero derivante dal
contatto con la matematica araba non poteva non aver influito sul loro sviluppo. In
definitiva, la formazione e la diffusione di un concetto dello zero come niente ha una
origine nella cultura semitica (arabo-ebraica) e, attraverso il suo recupero da parte della
cultura rinascimentale si diffonde, sia pure con molte resistenze nella cultura filosofica
e scientifica occidentale. Ma di certo questa idea dello zero-niente di questo nulla
che tutto come diceva con accenti kabbalisti il matematico del novecento Charles
Laisant si alla fine radicata in modo assai profondo, anche se, come abbiamo
osservato, alquanto tardo.
Le tematiche di cui abbiamo parlato appaiono assai lontane, e per una ragione ben
precisa. Da quando, nel Novecento, la filosofia della scienza (e, in particolare, della
matematica) ha proposto un approccio formalista tendente a svuotare di contenuto i
concetti della scienza e a proporsi quindi come una logica formale, o un sistema di
regole del gioco, del procedere scientifico, correlazioni come quella fra la nozione
operativa di zero e il concetto di nulla sono state fatte semplicemente sparire. Si tratta
tuttavia di sparizioni effimere, poich al di l di ogni considerazione filosofica o
metafisica, quelle correlazioni affondano le loro radici negli strati pi profondi della
psicologia.

Riferimenti bibliografici:
D. BARNES, The Provocative Mechant of Venice, Chicago, Malcolm House publ., 1975.
C OPENHAVER B.P. "Jewish Theologies of Space in the Scientific Revolution: Henry
More, Joseph Raphson, Isaac Newton and Their Precedessors", Annals of Science,
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M. IDEL, Mamonide et la mystique juive, Paris, Editions du Cerf, 1991.

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G. IFRAH,Les chiffres ou l'histoire d'une grande invention, Paris, Laffont, 1985.


G. ISRAEL, "Scienza e Cabala", Prometeo, Anno 10, N. 39, 1992, pp. 14-31.
G. ISRAEL, "L'Ebraismo e il pensiero scientifico: il caso della Kabbalah", Prometheus,
15 ("Le religioni di Abramo e la scienza"), 1993, pp. 7- 40.
T. LVY, Figures de l'infini. Les mathmatiques au miroir des cultures, Paris, Editions
du Seuil, 1987.
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R. THOM , Esquisse d'une smiophysique, Physique aristotlicienne et Thorie des
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C. WIRSZUBSKI, Pico della Mirandola's Encounter with Jewish Mysticism, Cambridge,
Mass., Harvard University Press, 1989.

Giorgio Israel professore di storia della matematica presso l'Universit di Roma "La
Sapienza". E' Direttore responsabile della Rivista di Storia della Scienza, membro dello
Executive Committee della International Commission on the History of Mathematics e
membro corrispondente della Acadmie Internationale d'Histoire des Sciences. E'
autore di numerosi articoli e volumi fra cui The Invisible Hand, Economic Equilibrium
in the History of Science (MIT Press, Cambridge, Mass., 1990, in collaborazione con B.
Ingrao), Il mondo come gioco matematico, John von Neumann scienziato del Novecento
(La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1995, in collaborazione con A. Milln Gasca).

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