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Massa e potere. Lo statuto della divinit nellangelo cristiano,


in Anghelos. Angelus. From the Antiquities to the Middle Ages, Micrologus XXIII (2015), d. par Agostino
Paravicini Bagliani, p. 79-108.

MASSA E POTERE.
LO STATUTO DELLA DIVINIT NELLANGELO CRISTIANO.

1. INTRODUZIONE METODOLOGICA
Contro unantica condanna, che si espressa in forme diverse, a partire dallinizio
del XIX secolo lOccidente ha cominciato a considerare linsieme dei racconti, delle
leggende e dei miti provenienti dal suo passato e dalle altre civilt non pi come
manifestazioni diminute e relativamente inintelligibili di uno spirito infra-razionale
n come espressioni di una razionalit puramente estetica, ma come realt e
sviluppo di una razionalit autonoma, legittima, autenticamente razionale, tanto
quanto lo quella che si esprime nella scienza o nella stessa natura delle cose. Il
lungo percorso che ha condotto dalla Symbolik di Friedrich Creuzer1 ai volumi di
Mythologiques di Claude Lvi-Strauss2, attraverso le opere di Bachofen3 e Cassirer4,
di Durkeim5 di Krenyi6, Propp7 e Frye8 (per non citare che i pi celebri) ha aperto

F. G. CREUZER, Symbolik und Mythologie der alten Volker, besonders der Griechen (1810-12), 2. vollig
umgearb. Ausg., voli. 4, Leipzig-Darmstadt 1819. Su Creuzer cf. A. MOMIGLIANO, Friedrich Creuzer
and Greek Historiography, in ID., Contributo alla storia degli studi classici, Roma Edizioni di Storia e
letteratura, 1980, pp. 233-248 e F. MARELLI, Lo sguardo da Oriente. Simbolo, mito e grecit in Friedrich
Creuzer, Milano LED, 2000 ; Friedrich Creuzer 1771-1858 Philologie und Mythologie im Zeitalter der
Romantik, hrsg von F. Engehausen, A. Schlechter J. P. Schwindt, W. Moritz, Heidelberg Verlag
Regional 2008.
2
C. LVI-STRAUSS, Mythologiques, 4 voll., Paris, Plon, 1964-71. Su questi volumi di Lvi-Strauss cfr.
il volume di M. Godelier, Lvis-Strauss, Paris Seuil 2013, e linterpretazione di E. VIVEIROS DE
CASTRO, Mtaphysiques cannibales, Paris PUF 2009
3
J. J. BACHOFEN, Versuch ber die Grbersymbolik der Alten, Basilea, Bahnmaier 1859
4
E. CASSIRER, Philosophie der symbolischen Formen. 2. Teil, Das mythische Denken, Berlino, B. Cassirer
1925
5
E. DURKHEIM, Les formes lmentaires de la vie rligieuse, Parigi, PUF 1912
6
K. KERENYI - C. G. JUNG, Einfhrung in das Wesen der Mythologie. Gottkindmythos. Eleusinische
Mysterien, Amsterdam u. a. Pantheon 1942, tr. it. Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia,
Torino Boringhieri 1972
7
V. J. PROPP, Morfologija skazki, Leningrad, Academia, 1928, trad. it., Morfologia della fiaba, con un
intervento di Cl. Lvi-Strauss e una replica dell'autore, Torino, Einaudi, 1966 ; Id., Istoriceskie korni
vol Sebnoi skazki, Leningrad, Edizioni dell'Univ. Statale dell'Ordine di Lenin, 1946, trad. it., Le radici
storiche dei racconti di fate, Torino, Einaudi, 1949.
8
N. FRYE, Anatomy of Criticism, Princeton, Princeton University Press 1957, trad. It. Anatomia della
critica, Einaudi 1969

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la strada alle riflessioni successive di Vernant9, Barthes10, Blumenberg11, Jesi12 o


Ricoeur13. Quanto questo coro di voci spesso distanti e variegate ha permesso di
capire inoltre che la narrazione una forma di razionalit non solo nel senso di
uno strumento che permette di conoscere e descrivere il mondo umano e naturale
secondo gradi di complessit e di precisione pari a quello di altre forme cognitive.
Se infatti miti, racconti e leggende necessitano di essere studiati iuxta propria
principia soprattutto perch essi posseggono una forza normativa distinta da
quella che si espressa nella giurisprudenza classica, capace di dar forma alla vita
di una societ. Il racconto esiste non solo per esprimere informazioni o saperi che
non possono essere espressi in altre forme: esso ha spesso lo scopo di definire e
formulare il principio organizzativo di una societ, la forma attraverso cui una
comunit definisce e rende intelligibile anche il proprio ordine politico, sociale e
normativo.
Per ragioni facilmente comprensibili, questo sforzo secolare, che ha reso
finalmente intelligibili i miti greci, quelli egiziani o quelli amerindiani, ha escluso
in maniera quasi sistematica14 linsieme di miti prodotti in seno al giudaismo o al
cristianesimo oggetto discipline autonome quali la teologia, la storia, la filologia e
lermeneutica biblica. A causa della loro forma, del loro contenuto e soprattutto
delluso che una istituzione tuttora esistente, la Chiesa, ne ha fatto e ne fa, la

J.-P. VERNANT, Mythe et pense chez les Grecs. Etudes de psychologie historique, Paris, Maspero, 1965.
R. BARTHES, Mythologies, Paris Seuil 1957
11
H. BLUMENBERG, Arbeit am Mythos, Francoforte, Suhrkamp Verlag 1979, tr. it. Elaborazione del
mito, Bologna, il Mulino, 1991
12
F. JESI, Letteratura e mito, Einaudi, Torino 1968; ID., Mitologie intorno all'illuminismo, Milano
Edizioni di Comunit 1972; ID., Il mito, Milano, ISEDI 1973; ID., Materiali mitologici. Mito e
antropologia nella cultura mitteleuropea, Torino, Einaudi 1979.
13
PAUL RICOEUR, Temps et rcit. Tome I: L'intrigue et le rcit historique, Le Seuil, 1983; ID., Temps et
rcit. Tome II: La configuration dans le rcit de fiction, Le Seuil, 1984; ID., Temps et rcit. Tome III: Le
temps racont, Le Seuil, 1985.
14
Ci sono, ovviamente, notevoli eccezioni. Cfr., tra le tante, E. LEACH, Genesis as Myth and other
Essays, Londra Jonathan Cape 1969 e soprattutto M. DOUGLAS, Leviticus as Literature, Oxford, Oxford
University Press 2000. Sulla scia di Strauss e di Renan teologia contemporanea, a partire da R.
Bultmann, ha assieme riconosciuto e negato il carattere mitologico dei racconti contenuti nel suo
canone. Cfr., tra i i numerosi possibili riferimenti R. BULTMANN Neues Testament und Mythologie. Das
Problem der Entmythologisierung der neutestamentlichen Verkndigung, Mnchen, Kaiser, 1985.
10

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mitologia che ha nel Tanakh giudaico e nella Bibbia cristiana il proprio deposito e
la propria fonte sembra godere di una sorta di eccezione epistemologica che
conferisce a questi racconti uno statuto radicalmente altro da quello dei racconti su
Zeus o Era della tradizione ellenica e da quelli prodotti quotidianamente dalla
pubblicit

dallindustria

cinematografica

contemporanea.

La

produzione

mitologica e teologica cristiana pu essere oggetto di unanalisi storica, filologica o


teologica ma sembrerebbe scientificamente, storicamente e teologicamente illecito
avere su di essi lo sguardo sincronico e sistematico di un antropologo, di un
folkorista o di uno studioso di mitologie, come quello che Levi-Strauss aveva
elaborato per la mitologia amerindiana. Per farlo, bisognerebbe trasgredire molte
delle regole della ricerca accademica: sarebbe necessario negare che questi racconti
siano la manifestazione della personalit di un individuo che esprime in essi la
propria opinione e la Weltanschauung dellepoca in cui vive (sottrarli cio alla
dossografia e alla storia del pensiero e delle idee); negare che la loro disseminazione
cronologica sia significativa in un qualsiasi senso (sottrarli quindi alla storia); e
negare infine che il destino delle scritture che li enuncia sia significativo per
comprendere il loro significato (strappare questi testi alla filologia). Bisognerebbe
insomma riconoscere che la razionalit che informa questo tipo di racconti e di
narrazioni ha una forza e una necessit che supera quella della volont estetica
individuale cos come quella della storia politica, culturale e materiale: la logica di
questi miti qualcosa che pu essere studiata autonomamente, senza esser ridotta
ai suoi componenti filologici, storici o filosofici. Se il corpus narrativo e speculativo
che si soliti nominare cristianesimo non ovviamente il frutto di una rivelazione
divina esso non nemmeno una massa confusa di racconti e teoremi che larbitrio
estetico o intellettuale di individui disparati o la casualit di eventi storici e politici
possono mutare del tutto accidentalmente. Linsieme di questi racconti possiede
una logica, una struttura e un significato che ne definiscono (e ne guidano) almeno
in parte gli sviluppi e i mutamenti.

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A costo di contraddire le etichette storiche, scientifiche e filologiche oggi in vigore


e di trasgredire le regole del bon ton accademico prover ad adottare questa
prospettiva, sforzandomi di descrivere la riflessione mitologica e speculativa del
cristianesimo tardo-antico e medioevale sugli angeli come una sorta di pense
sauvage occidentale15, come una forma di razionalit diversa anche da quella che si
soliti riconoscere alla scrittura letteraria, saggistica o filosofica. In questo modo, mi
sembra, possibile ottenere una serie di importanti evidenze mitografiche. Per
riassumere i risultati della ricerca16, dir che la riflessione angelologica cristiana dei
primi secoli sembra organizzarsi attorno a due grandi temi, che coincidono
curiosamente con la celebre endiadi dellopera di Elias Canetti: massa e potere.
Langelo, si potrebbe dire, il luogo in cui la divinit esiste nella forma di una
massa di soggetti (e non pi in quanto individuo isolato, come nel monoteismo, o
gruppo limitato, come nel politeismo) e di un potere (e dunque come prassi e non
pi come sostanza, propriet ontologica inalienabile di un individuo).
Con linsieme dei miti prodotti in seno al Giudaismo del Secondo Tempio e
al Cristianesimo delle origini fa irruzione nel pantheon del Mediterraneo
orientale e Occidentale una forma speciale di divinit, una figura del divino fino ad
allora se non inedita di certo mai divenuta cos importante, quella di una massa per
lo pi anonima soggetti divini, che si pone in chiara opposizione alle forme di
divinit tradizionali. Da questo punto di vista un angelo la manifestazione di una
specie di divinit indifferente allopposizione tra monoteismo e politeismo:
rappresenta la presenza del divino in forma soggettiva numericamente diffusa, non
esclusiva di un unico soggetto che si distingua qualitativamente dal resto del reale,
15

E di fatto le prossimit tra il corpus narrativo e mitografico giudeo-cristiano e quello di altre civilt
(non solo geograficamente e storicamente circostanti) estremamente significativa. Il cristianesimo,
del resto, riprende e sviluppa temi cari alla mitologia di altri contesti culturali: basti pensare
allantropofagia o alla teofagia celebrata nel rito eucaristico in forma assieme materiale e simbolica, o
allidea di comunit che si costituisce alla morte del suo re fondatore che era stata studiata da
Frazer, ma lelenco potrebbe essere infinito. Cfr. J. FRAZER, Il ramo d'oro, 3 voll., Torino,
Boringhieri, 1965. Tra i pi recenti cfr. J. BOTERO, Nascita di Dio. La Bibbia e lo storico, tr. it. Firenze,
Ponte alle Grazie 1990.
16
Ho pubblicato una parte dei risultati della ricerca nellantologia G. AGAMBEN, E. COCCIA (eds),
Angeli. Ebraismo Cristianesimo Islam, Vicenza Neri Pozza 2009

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e senza nemmeno poter essere una prerogativa aristocratica di un gruppo limitato e


circoscritto di soggetti dotati di personalit riconoscibili perch definite da qualit
specifiche e specificamente individuali (come accade nel politeismo). Negli angeli,
la divinit esiste come qualit condivisa da un numero imprecisato di soggetti e il
primato della quantit sulla qualit fa della divinit un fatto di gradi e di intensit e
non di sostanza: i diversi soggetti angelici si differenziano soprattutto per il grado e
lintensit di divinit posseduta e non per una specifica qualit ontologica o un
potere che separi qualitativamente un soggetto da tutti gli altri. . La divinit pi un
fatto sociale e differenziale piuttosto che ontologico e cosmologico: non designa
una divisione nella catena dell'essere, ma una superiorit relativa di un individuo o
di una classe rispetto ad altri individui e ad altre classi.
In quanto qualit diffusa, condivisa impersonalmente e anonimamente da
una massa innumerabile di soggetti che si distinguono pi per il grado e lintensit
della partecipazione che per unesclusiva natura qualitativa, la divinit negli angeli
pi una questione pratica che non ontologica. quello che si esprime nellidea che
la divinit sia negli angeli un fatto di potere. Langelo il luogo in cui divinit e
potere coincidono: lo conferma il nome tecnico usato per esprimere la sfera
angelica, quello di gerarchia, che deriva dalla fusione delle due radici greche che
esprimono le idee di sacralit e potere. Viceversa il potere non designa pi
nellangelo un attributo ontologico ma una competenza, una vera e propria
magistratura. Massa e potere, in questo senso, non sono due tratti autonomi della
divinit angelica: essi, al contrario, si compenetrano reciprocamente e luno si
definisce in funzione dellaltro. Gli angeli sono la realt del potere divino solo
perch si articolano in una massa; viceversa la massa angelica cessa di essere nel
cristianesimo, come era accaduto nel contesto del giudaismo del Secondo Tempio e
nei cicli di Enoch il solo luogo di una rivolta originaria per farsi societ ordinata,
segno e prova dellesistenza di un potere al suo interno capace di avere effetti anche
fuori di esso.

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2. LINSUFFICIENZA DELLA STORIA


A un primo sguardo, gli angeli sembrano figure marginali e quasi decorative della
divinit, forme non facilmente classificabili che campeggiano nella cartografia
celeste quasi come un hic sunt leones: langelogia spinge la fenomenologia del divino
al di fuori delle figure cardinali, quelle enumerate nella Trinit, quasi a costringere
la divinit a mostrarsi in un volto inedito, del tutto insostanziale. soprattutto
storicamente che la loro persistenza e la loro importanza nel pantheon cristiano ha
qualcosa di enigmatico. Le prime righe dellEpistola agli Ebrei suonavano come una
condanna allestinzione. In esse Cristo veniva esaltato al di sopra degli angeli e
riconosciuto come unico erede divino ed unico mediatore: non certo a degli angeli
egli ha assoggettato il mondo futuro, del quale parliamo (Ebr. 2, 5) ma al Figlio,
che irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con
la potenza della sua parola (Ebr. 1, 3). Una volta che il Messia ha assunto il
possesso di tutto il regno e ogni funzione di mediazione, ogni atto angelico perde
ogni significato oggettivo. La definizione del dogma trinitario, inoltre, aveva
accompagnato la vacuit dellazione angelica con la loro sostanziale estraneit al
governo divino. La battaglia contro gli pneumatomachi prima del concilio di
Costantinopoli in effetti era interamente centrata sulla possibilit di ridurre lo
Spirito agli angeli o collocare gli angeli nella Trinit 17 . Il concilio sancir
definitivamente che essi invece non appartengono alla Trinit cio non sono santi
per via della natura della loro condizione. lo spirito che li rende santi. Qualsiasi
loro azione in questo senso resa possibile dallo spirito. solo grazie allo Spirito,
argomenta Basilio, che Gabriele ha potuto annunciare a Maria la nascita di Ges ed
17

ATANASIO DI ALESSANDRIA, Epistula I ad Serapionem: Contra illos qui blasphemant et dicunt Spiritum
sanctum rem creatam esse in MIGNE PG 26, c. 557. Sulla questione cfr. W.-D. HAUSCHILD, Die
Pneumatomachen: eine Untersuchung zur Dogmengeschichte des 4. Jahrhunderts ,Diss., Hamburg, 1967;
A. HERON, The Holy Spirit in Origen and Didymus the Blind. A Shift in Perspective from the Third to the
Fourth Century , in A. M. RITTER (a cura di), Kerygma und Logos , Gttingen, Vandenhoeck und
Ruprecht, 1979, pp. 298-310; E. L. HESTON, The Spiritual life and the Role of the Holy Ghost in the
Sanctification of the Soul, as Described in the Works of Didymus of Alexandria, Diss. St. Meinrad Indiana
, 1938

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solo grazie allo Spirito che gli angeli possono contemplare senza interruzioni il
volto del Padre. Lo spirito riempie ogni cosa [] mentre gli angeli gli sono
inferiori, e non sono presenti che la` dove sono inviati (Athan., Ep. Serap., 1, 2627). Rivendicare cio che solo lo Spirito sostanza e che solo lo spirito produce
santit (sapientiae et sanctificationis effectrix)18, significa non solo escludere gli angeli
al possesso sostanziale della divinit, ma svuotare interamente la loro prassi. Da
dove viene allora la loro capacit di sopravvivere alle decisioni conciliari pi
radicali? V nella loro presenza una sorta di necessit strutturale che sembra porsi
al di l delle decisioni conciliari o dogmatiche e che gli strumenti forniti dalla
storia, dalla filologia o dalla teologia non riescono a spiegare.
Da un punto di vista storico, il cristianesimo non definisce un corpus
mitografico originario, ma una forma di riscrittura del corpus mitografico del
giudaismo del Secondo Tempio e come la quasi totalit delle sue figure e dei suoi
elementi anche gli angeli sono sopravvivenze e prestiti di questo corpus,
contaminati o ibridati con altre forme mitologiche (quali quelle greco-romane). In
ambito giudaico le prime narrazioni che hanno riconosciuto per la prima volta
allangelo un ruolo decisivo nella storia del cosmo sono i racconti e i miti raccolti
nel cosiddetto ciclo enochico. Si tratta di una mitologia parallela e in parziale
concorrenza con quella sedimentasi nel Pentateuco stratificatasi in pi libri, di cui
si conservano redazioni in lingue diverse (dalletiopico classico al copto, al
paleoslavonico) e che sono stati composti in epoche diverse. I suoi strati pi antichi
risalgono secondo le ultime datazioni al III sec. a. C., anche se possono
testimoniare nuclei mitologici pi antichi19.
18

DYDIME LAVEUGLE, Trait du Saint-Esprit, introd., testo critico, trad. e note di L. Doutreleau,
Paris, Cerf, 1992, 11
19
La bibliografia sul tema imponente: cfr. almeno G. BOCCACCINI, Beyond the Essene Hypothesis. The
Parting of the Ways Bewteen Qumran and Enochic Judaism, Grand Rapids (Mich.), Eerdmans, 1998; ID.,
Enoch and Qumran origins. New Light on a Forgotten Connection, Grand Rapids (Mich.), Eerdmans,
2005; ID., J.-J. COLLINS, The Early Enoch Literature, Leiden, Brill, 2007; G. BOCCACCINI, Enoch and
the Messiah Son of Man. Revisiting the Book of Parables , Grand Rapids (Mich.), Wm. B. Eerdmans,
2007; ID., I giudaismi del Secondo Tempio. Da Ezechiele a Daniele, Brescia, Morcelliana, 2008; D.
JACKSON, Enochic Judaism. Three defining paradigm exemplars, London, T&T Clark International,

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Le leggende enochiche sono interamente centrate su un nuovo evento


fondatore, la caduta angelica, e sulle sue conseguenze; il ruolo degli angeli
decisivo, in tutto il ciclo. Il Libro dei Vigilanti racconta di come gli angeli, capeggiati
da Semeyaza si siano invaghiti delle figlie degli uomini, abbiano avuto commercio
sessuale con esse generando giganti (il gigante per definizione una figura
angelica). Oltre a questo gli angeli insegnarono ad esse incantesimi e magie,
scienze proibite. Uno dei segni pi evidenti della memoria di questo evento mitico,
pi o meno coscientemente rimosso sia nel giudaismo rabbinico che nel
cristianesimo post-costantiniano sta nellobbligo per le donne di coprirsi il capo
(fino a qualche anno fa ancora in uso): per non sedurre gli angeli, di cui ogni
chiesa piena. a causa degli angeli che un dovere per le vergini velarsi (Virg.
7) scriveva ancora Tertulliano.
In questo ciclo mitologico dunque, per la prima volta, non pi Israele,
dunque un popolo o una collettivit, n un singolo individuo a trasgredire la legge.
Per la prima volta il male viene rappresentato come un evento naturale che non
dipende n da Israele in quanto popolo n da un singolo individuo: il male dunque
non ha natura n politica n semplicemente morale, ma linfrazione di un ordine
naturale e cosmico la cui causa un elemento stesso di questo ordine, langelo. Il
rimedio di un male che ha assunto uno spessore cosmico e non pi meramente
politico, sociale o antropologico, non pu pi essere, come era successo nel
passato, un nuovo patto tra Dio e uomo: necessario qualcuno che ricongiunga le
sfere, un mediatore assieme umano e divino (come lo sono gli angeli)20. Il ruolo
messianico nel ciclo impersonato da Enoch, uomo che assunto in cielo (secondo il
2004; P. SACCHI, L apocalittica giudaica e la sua storia, Brescia, Paideia, 1990; ID., Formazione e linee
portanti dellapocalittica giudaica precristiana, in Rivista di studi biblici, 72, 1995, pp. 19-36; G. W.
NICKELSBURG, 1 Enoch 1. A commentary on the Book of 1 Enoch chapters 1-36; 81-108, Minneapolis
(Minn.), Fortress Press, 2001: J. C. VANDERKAM, Enoch and the Growth of an Apocalyptic Tradition,
Washington (d. c.), The Catholic Biblical Association of America, 1984; ID., The Book of Jubilees. A
Critical Text, Louvain, Peeters, 1989; ID., Enoch. A Man for all Generations, Columbia , University of
South Carolina Press, 1995.
20
Ho riassunto le splendide pagine che Paolo Sacchi dedica allanalisi mitologica del ciclo di Enoch
contenute in P. SACCHI, Lapocalittica giudaica e la sua storia, Brescia, Paideia, 1990. Cfr. anche G.
BOCCACCINI, I giudaismi del Secondo Tempio. Da Ezechiele a Daniele, Brescia, Morcelliana, 2008.

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secondo libro di Enoch egli assume in cielo le vesti divine) per salvare gli uomini e
gli angeli caduti. Questa riconfigurazione della natura del male ha unaltra
conseguenza importante. Fino ad allora Israele aveva pensato il male sempre e solo
nei termini di una trasgressione umana tutta umana di un patto stretto tra Dio e il
suo popolo: il male, in quanto fatto di natura politica, aveva dimensioni nazionali. Il
ciclo di Enoch segna la fine del nazionalismo tipico della mitologia ebraica: il male
un fatto cosmico, che interessa tutti gli uomini. Il messia dunque non deve salvare
un popolo, ma il cosmo e lumanit nella sua totalit.
Se si confronta il dato giudaico a quello cristiano, si nota una evidente
continuit. Certo, il messianismo cristiano ha tolto ogni effettivit alla mediazione
angelica, ma non ha affatto eliminato la funzione mitologica principale dellangelo:
anche nel cristianesimo infatti langelo la figura divina che, in qualche modo, la
vera responsabile dellintroduzione del male nel mondo. Fu proprio uno di loro,
infatti larcangelo chiliarca ed amministratore che era stato posto da Dio alla testa
degli angeli incaricati della terra a causare la rovina delluomo rendendolo
peccatore Per questo fu punito; e a causa della sua rivolta fu detto in ebraico
Satana, in greco diavolo 21 . Se gli angeli del ciclo enochico hanno peccato per
eccesso di amore per luomo al punto di volervisi unire, quelli dei miti confluiti
nellortodossia cristiana fanno della gelosia la passione che scatenato la ribellione
angelica. E lo stesso Satana a confessarlo ad Adamo: Per causa tua, fummo
cacciati dalla nostra dimora e gettati sulla terra. Dio mi fece espellere dal cielo,
privandomi della gloria, insieme con i miei angeli. Fui [] spogliato di tutta la mia
gloria, mentre a te venivano riservate gioia e delizie. Perci presi ad invidiarti e non
tolleravo che ti gloriassi tanto22. Tutti i mali, le miserie, le meschinit umane sono
riconducibili all'azione di una classe specifica di figure angeliche, gli angeli caduti, i
demoni. Con il loro occulto contagio, lalito dei demoni corrompe le menti con
21

IRENEO DI LIONE, Dimostrazione della Predicazione evangelica, 11-16, in Patrologia Orientalis XII, pp.
762-764. Cfr. anche Vita di Adamo 12, 17; II Baruch LVI, 10 e ATENAGORA, Suppl. 24.
22
Vita di Adamo ed eva, tr. it. in Apocrifi dellAntico Testamento, a cura di P. SACCHI, vol. I Utet, Torino
1981, p. 454.

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furori e follie ripugnanti, con smanie terribili ed errori di ogni sorta e il pi


importante di questi consiste nel raccomandare codesti dei alle menti sedotte e
raggirate allo scopo di procurarsi la pastura che loro propria23. Il rapporto con il
male non si esaurisce qui: non lhanno solo introdotto e non si limitano a produrlo
nel corso attuale del mondo. Sono angeli anche coloro che per incarico divino,
hanno il compito di eseguire materialmente la tortura eterna sui corpi risorti dei
malvagi. Come ha scritto Filone di Alessandria ad essi stata confidata la parte del
male24 nelluniverso, e costituiscono le potenze punitive25 del mondo.
Da un punto di vista mitologico dunque quello angelico nel cristianesimo
non uno spazio residuale: non solo v una continuit storica ininterrotta quanto alla
sua funzione narrativa principale (lintroduzione del male), ma questo elemento
sembra rappresentare il senso stesso anche della tonalit messianica che il
cristianesimo ha dato alla base mitologica giudaica che esso ha trasformato.
facile intuire, infatti, come solo a partire dal terreno di coltura mitologico
preparato dal ciclo di Enoch che diventer possibile la nascita del messianismo
cristiano: solo allorch si pensa che lorigine del male non ha misura n umana n
nazionale che diventa necessario larrivo di un messia divino. Solo l dove il male
non interessa pi una singola nazione ma il cosmo e lumanit intera e il
messianismo costretto a superare i limiti del nazionalismo. Il nucleo mitologico
del cristianesimo mostra inoltre una struttura assieme parallela e opposta a quella
enochica: in questultima sono gli angeli che peccano ed un uomo ad essere
divinizzato per salvare uomini ed angeli, nel primo laccento posto sul peccato
umano (anche se ad istigarlo stato langelo caduto) ed per questo Dio che deve
scendere in terra e diventare uomo per salvare gli uomini. Ed in termini di una
rielaborazione di questo nucleo che la mitologia cristiana va riletta. Il cristianesimo
non un fenomeno mitologico originario : una serie complessa di reazioni di
23

TERTULLIANO, Apologetico XII, 6


FILONE DI ALESSANDRIA, De confusione linguarum 181, tr. it. tr. it. in ID., Tutti i trattati del
commentario allegorico alla Bibbia, a cura di R. Radice, Milano Bompiani 2005, p. 1095
25
FILONE DI ALESSANDRIA, De confusione linguarum, 172, ibid. p. 1093
24

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riscrittura e ripensamenti di un corpus mitografico giudaico. Uno dei grandi


insegnamenti della scienza del mito del secolo scorso stato quello che le forme di
riscrittura e di moltiplicazione dei miti non possono essere comprese n descritte
come un semplice processo di mutamento storico simile a quello che un
documento o una dottrina acquisisce attraverso i processi di copia o di
interpretazione: il cambiamento dei miti segue una logica che non quella che la
filologia applica per comprendere la diffusione dei testi n quello che lestetica o la
critica letteraria utilizza per capire il modo in cui delle forme simboliche si
riproducono. Non riusciremo mai a capire cosa il cristianesimo ha compiuto rispetto
al materiale mitologico giudaico se ci si ostiner

comprenderlo come fenomeno

puramente storico. Esso, piuttosto va considerato come il caso pi evidente, in


Occidente semplice di quanto Lvi-Strauss aveva chiamato trasformazione 26 .Da
questo punto di vista, la speculazione angelologica sembra essere il mitologema
originario che ha generato lepopea mitologica condensatasi negli scritti del Nuovo
Testamento e negli scritti intertestamentari apocrifi.
E si potrebbe ipotizzare che sono state proprio langelologia e le sue aporie
ad aver generato quella complicata speculazione messianica e trinitaria che
chiamiamo cristianesimo: o pi radicalmente il cristianesimo stesso ad essere una
riposta alla questione angelologica sollevata nel ciclo di Enoch. Anche la necessit
di pensare in modo cos rigoroso la sinonimia tra divinit e sostanza, essenza,
natura attraverso la trinit pu essere concepita come una forma di opposizione o di
reazione alla precariet ontologica con cui la divinit esiste nellangelo. a causa
del mitologema angelico che la cultura informata dal cristianesimo stata
ossessionata dal tentativo di pensare Dio come un ente. Non un caso forse se la
teologia latina ha preferito, sin dallinizio, il vocabolario dellontologia aristotelica al
ductus platonico, che riservava alla divinit i modi dellepekeina ts ousias. Ancorare
la trinit allessere e ai suoi modi significava delegittimare indirettamente il pericolo
26

Sul concetto di trasformazione cfr. le importanti note di E. VIVEIROS DE CASTRO, Mtaphysiques


cannibales, op. cit., e G. SALMON, Les structures de lesprit. Lvi-Strauss et les mythes, Paris PUF 2013.

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Massa e potere. Lo statuto della divinit nellangelo cristiano,
in Anghelos. Angelus. From the Antiquities to the Middle Ages, Micrologus XXIII (2015), d. par Agostino
Paravicini Bagliani, p. 79-108.

rappresentato da angeli e demoni. Lonto-teologia, forse, non che il tentativo di


svegliarsi dallincubo di cui langelologia assieme la repressione e il suo ritorno.

3. LA DIVINIT COME MASSA


Se gli angeli si caratterizzano immediatamente in termini di massa perch quanto
li definisce innanzitutto il loro numero infinito. Mille migliaia lo servivano e
diecimila miriadi lo assistevano (Dn 7,10) si legge in un celebre e citatissimo
passaggio di Daniele. E nellApocalisse si legge : E vidi e udii la voce di molti
angeli intorno al trono, e agli animali e ai vegliardi, e il loro numero era di miriadi
di miriadi e migliaia di migliaia (Ap. 5,11). E ancora: Il numero delle truppe
(strateumata) di cavalleria era di duecento milioni: udii il loro numero (Ap. 9,16).
Anche lapocalittica apocrifa ribadir la loro infinit : sono sessantaquattromila,
con sei ali ciascuno secondo lApocalisse di Elia27, o migliaia di migliaia e miriadi
di miriadi secondo lApocalisse di Sofonia 28 . Secondo la stima dellApocalisse
apocrifa di Giovanni29, invece, la quantit degli angeli la stessa di quella della
stirpe degli uomini, perch nel Deteuronomio si legge che Dio stabil i confini dei
popoli secondo il numero degli angeli di Dio (32, 8). NellAscensione di Isaia, il
protagonista, salito al settimo cielo afferma di vedere una luce mirabile e angeli
senza numero30. Nella Visio Pauli31, Paolo afferma di vedere, sulla sponda del lago
27

Apocalisse di Elia, 4, 30 - 5, 6; trad. it. in P. Sacchi (a cura di), Apocrifi dellAntico Testamento, vol.
iii, Brescia, Paideia, 1999, pp. 150-151. Sullapocalittica cfr. I due studi classici di J. J. COLLINS, The
apocalyptic imagination. An introduction to the Jewish matrix of Christianity, New York, Crossroad, 1984
e P. SACCHI, Lapocalittica giudaica e la sua storia, Brescia, Paideia, 1990. SullApocalisse di Elia cfr. W.
SCHRAGE, Die Elia-Apokalypse, Gtersloh, Gtersloher Verlagshaus 1980; ID., LApocalypse dElie, in
Le Muson, 95 (1982), pp. 269-283; D. FRANKFURTER, Elijah in Upper Egypt. The Apocalypse of Elijah
and early Egyptian Christianity, Minneapolis, Augsburg Fortress, 1993; Id., The cult of the martyrs in
Egypt before Constantine. The evidence of the Coptic Apocalypse of Elijah, in Vigiliae christianae , n.
48, 1994, pp. 25-47
28
Apocalisse di Sofonia, trad. it. in Sacchi (a cura di), Apocrifi dellAntico Testamento, cit., vol. III, pp.
174-182.
29
Apocalisse apocrifa di Giovanni, trad. it. in L. MORALDI (a cura di), Apocrifi del Nuovo Testamento,
Casale Monferrato, Piemme, 1994, vol. III, Lettere, Dormizione di Maria, Apocalissi, p. 474-477.
30
Ascensio Isaiae. Textus, a cura di P. Bettiolo, A. Giambelluca Kossova, C. Leonardi, E. Norelli, L.
Perrone, Turnhout, Brepols, 1995; M. PESCE, Isaia, il Diletto e la chiesa. Visione ed esegesi profetica
cristianoprimitiva

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Acherusa angeli, forse in numero di tremila, cantavano un inno dinanzi a me.


Certo, la scolastica medievale si sforzer di affermare che ciascuno di questo
numero infinito persona e che gli angeli non si distinguono solo per numero32, ma
linfinit degli angeli un dato su cui vale la pena di riflettere. Grazie ad essi il cielo
lo spazio della divinit si popola di una massa di soggetti divini di cui solo
raramente e parzialmente si distinguono i volti, di un demos di divinit minori,
meglio di aspiranti dei che si sforzano di apparire divini senza mai poter riuscire a
esserlo per natura (non superando la soglia della Trinit). Daltra parte, quello
angelico anche lo spazio di divinita propriamente rats, di soggetti che hanno
perso la propria divinit: i diavoli sono, alla lettera, divinit fallite, e per questo
invidiose, rabbiose e risentite per sempre incrostati a costumi della provincia pi
feroce del mondo divino, linferno. Soprattutto da questo punto di vista, la
persistenza degli angeli in un pantheon cos rigorosamente e giuridicamente
sorvegliato quale quello della teologia cristiana antica e medievale, rappresenta
per uno storico delle religioni, qualcosa di estremamente anomalo. A rigori, il
destino sembrava segnato, la loro esistenza condannata ad una lenta, graduale
estinzione quando, confutando la demonologia medioplatonica33, Agostino aveva
nellAscensione di Isaia, Brescia, Paideia, 1983
J. N. BREMMER, I. CZACHESZ (a cura di), The Visio Pauli and the gnostic Apocalypse of Paul ,
Leuven, Peeters, 2009; C. CAROZZI, Le voyage de l me dans lAu-del daprs la littrature latin (Ve XIIIe sicle), Roma, cole franaise de Rome, 1994; ID., Eschatologie et au-del. Recherches sur
lApocalypse de Paul, Aix-en-Provence, Publications de lUniversit de Provence, 1994; M.
HIMMELFARB, Tours of Hell. An Apocalyptic Form in Jewish and Christian Literature, Philadelphia,
University of Pennsylvania Press, 1983; L. JIROUSKOV, Die Visio Pauli . Wege und Wandlungen
einer orientalischer Apokryphe im lateinischen Mittelalter unter Einschluss der alttschechischen und
deutschsprachigen Textzeugen, Leiden - Boston, Brill, 2006.
32
Per unintroduzione generale allangelologia medievale cfr. D. KECK, Angels and Angelology in the
Middle Ages. New York and Oxford, Oxford University Press, 1998; T. SUAREZ-NANI, Les anges et la
philosophie. Subjectivit et fonction cosmologique des substances spares au XIIIe sicle, (Etudes de
philosophie mdivale, Vrin), Paris, 2002 ; S.-TH. BONINO, Les anges et les dmons, Quatorze leons de
thologie, Bibliothque de la Revue Thomiste, Parole et Silence Paris 2007; Angels in Medieval
Philosophical Inquiry: Their Function and Significance, ed. I. IRIBARREN and M. LENZ, Aldershot:
Ashgate 2008; A Companion to Angels in Medieval Philosophy, ed. by T. HOFFMANN, Brill Turnout 2012
33
Sulla demonologia medioplatonica cfr. la sintesi di F. E. BRENK, In the Light of the Moon,
Demonology in the Early Imperial Period, in: Austieg und Niedergang der rmischen Welt II 16, 3, (1986),
p. 2068-2145 e J.Z. SMITH, Towards Interpreting Demonic Powers in Hellenistic and Roman Antiquity,
ANRW 2.16.1 (1978), pp. 425439. Per Plutarco cfr. H. VON ARNIM, Plutarch ber Dmonen und
31

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dimostrato come la figura di Cristo impedisce di riconoscere agli angeli qualsiasi


funzione mediatrice. Per raggiungere all'unico bene che rende felici, aveva scritto
nel nono libro del suo De civitate Dei non sono necessari molti mediatori ma uno
solo, e quello stesso di cui partecipando si diviene felici, cio il Verbo di Dio, non
creato. [] Egli non mediatore in quanto Verbo perch il Verbo sommamente
immortale e felice ben lontano dagli infelici mortali, ma mediatore perch
uomo34. Eppure non stato cos e le ragioni sono molte. A voler tracciare una
tendenza si potrebbe dire che la teologia cristiana ha tentato di fare di questa massa
una vera e propria societ: un insieme ordinato, riconoscibile, reale, meglio la
forma pi antica, paradigmatica e il telos di ogni esperienza sociale. Si potrebbe dire
che la chiave della persistenza dellangelo nella teologia cristiana sta proprio nel
tentativo di pensare la divinit in forma sociale, la divinit come fatto sociale e
viceversa, la socialit come realt divina prima ancora che umana.
Quella degli angeli , infatti, secondo la teologia cristiana la prima societ
nella storia del mondo35. I teologi non sono mai riusciti a risolvere i dubbi sulla data
esatta della loro creazione, ma non ha mai avuto dei dubbi sul fatto che prima degli
angeli nessuna congregazione di esseri razionali sia potuta esistere. La vita sociale ha
fatto il suo ingresso nel mondo molto prima che la famiglia di Adamo ed Eva si
installasse nel paradiso terrestre: per costituirsi il sociale non ha aspettato luomo
Mantik, Amsterdam, J. Mller, 1922; K. DRING, Plutarch und das Daimonion des Sokrates (Plut. de
genio Socratis Kap. 20-24), in Mnemosyne, n. 37, 1984, pp. 376-392; W. DEUSE, Untersuchungen zur
mittelplatonischen und neuplatonischen Seeleenlehre, Wiesbaden, Steiner, 1983; G. SOURY, La
dmonologie de Plutarque. Essai sur les ides religieuses et les mythes dun platonicien clectique, Paris,
Belles Lettres, 1942. Su Apuleio: W. BERNARD, Zur Dmonologie des Apuleius von Madaura, in
Rheinisches Museum, n. 137, 1994, pp. 358-37 H. CANCIK, Rmische Dmonologie (Varro, Apuleius,
Tertullian), in A. LANGE, K. F. DIETHARD RMHELD (a cura di), Die Dmonen / Demons. Die
Dmonologie der israelitisch-jdischen und frhchristlichen Literatur im Kontext ihrer Umwelt, Tbingen,
Mohr Siebeck, 2003, pp. 446-460; C. MORESCHINI, La demonologia medioplatonica e le Metamorfosi
di Apuleio, in Maia, n. 7, 1965, pp. 30-46; B. M. PORTOGALLI, Sulle fonti della concezione teologica e
demonologica di Apuleio, in Studi classici e orientali, n. 12, 1963, pp. 227-241.
34
AGOSTINO, De civitate Dei, IX, 15, 2
35
Oltre al De civitate Dei di Agostino si veda il suo Encheiridion 58 PL 40 259; IPPOLITO II (Phil. Vi,
34, p. 192 ff. : aggeloi epouranioi, politeuomenoi en irousalm ti an ti en ouranois), GREGORIO MAGNO
(Homelia 34, 8, PL 7 1250, in illa sancta civitate; coelestium civium ibid.. 1255). Sul tema cfr. E.
COCCIA, Societas, in Mots mdivaux offerts Ruedi Imbach, d par I. Atucha, D. Calma, C. KnigPralong, I. Zavattero, Porto, FIDEM 2011, p. 681-690.

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n ha avuto bisogno degli animali. Lesperienza di vivere assieme a degli individui


simili nella forma ma distinti nellessere qualcosa che accaduto in cielo prima
ancora che in terra. Quella angelica la prima e pi antica delle societ che hanno
popolato il cosmo, quasi lantenato di tutte quelle che si trovano in cielo e in terra.
Quella angelica per soprattutto la pi perfetta delle societ. Le popolazioni
animali o umane, gli stati, le nazioni, i popoli, le istituzioni che si sono susseguite
durante tutta la storia e continueranno a farlo fino alla fine del mondo, fino a
quando il messia figlio verr per dissolvere i principati e le potest angeliche e
restituir il potere al Dio padre (1 Cor. 15, 24) sono solo una vaga eco, se non
unimitazione una imperfetta ripetizione di quello che successo nei cieli. La
compagine angelica talmente perfetta e pura che non pu esservi nulla di
superfluo o di inutile, scrive Guglielmo dAuvergne. In quanto societ perfetta,
essa non ha bisogno daltro per poter sussistere, perch lo stato e la gloria degli
angeli rappresenta lestremo della perfezione, e lestremo della perfezione non
tollera aggiunte. A differenza dunque di quella umana la socialit angelica non
mai il teatro di obbrobri e imperfezioni. La loro citt, infatti, estremamente
pacifica, perch in essa regna una pace inviolata; una comunit giustissima,
costituita da individui santissimi, assolutamente solleciti e zelanti; un luogo in cui
non vi spazio per nessuna offesa n ingiustizia, e in cui i nemici non possono
avere accesso. In essa dunque non esiste n potrebbe esistere la facolt di nuocere
ad altri, cos come la volont di farlo, e non vi alcun bisogno di magistrati, giudici,
pretori o di qualsiasi altro ministro della giustizia. Una societ perfetta non ha mai
bisogno del diritto o di uno stato per potersi conservare, cos come non ha avuto
bisogno di un contratto per potersi costituire. Gli angeli, continua Guglielmo, non
hanno bisogno di un capo o di un qualche re che governi la loro vita: qui ogni
trasgressione impossibile e non vi alcun bisogno di un governatore [rector]o di
un comandante. E l dove non vi pericolo di errore o deviazione, la legge non
necessaria n, di fatto, esiste. La citt angelica una societ pura, una citt senza
diritto senza legge e soprattutto senza istituzioni. O se si vuole uno stato puramente

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sociale, senza amministrazione, una societ che si regge da sola e che non ha
bisogno n di giudici n di magistrati di altri simili ufficiali. In essa resterebbero
infatti inerti e sarebbero del tutto inutili36.
Prima societ delluniverso, societ perfetta e paradigmatica, quella angelica
anche la societ che accoglier tutti gli uomini eletti dopo la fine del
mondo : crediamo che a essa salir un cos grande numero di uomini, tanti quanti
sono l gli angeli eletti che ebbero la sorte di rimanere37, scrive Gregorio Magno
facendo eco a un celebre passo di Agostino38. La societ angelica anche il telos
storico di ogni societ umana.

36

GUILELMUS DE ALVERNIA, De universo creaturarum, casa ed., luogo anno, I, 109, ff. 960a-961
b: verum quod propter se imposita sint eis officia quae ex nominationibus earum designantur
impossibile esse, videre facile est: in civitate namque pacatissima pace scilicet inviolabili et in
agregatione iustissimorum atque sanctissimorum seseque perfecte diligentium in qua nullum habet
locum iniuria vel iniustitia ad quam nullus est accessus hostibus nulla cuiquam nocendi facultas,
nulla omnino voluptas nec esse potest, non est opus magistratibus neque iudicibus neque
praetoribus aut aliis quibuscunque iustitiae ministris. Ibi enim nullum est delictum, nulla
querimonia quapropter nullum locum habet ibi punitor aut paena ubi tutissima est innocentia, ubi
nulla est nocendi audacia ; lex etiam quae propter transgressiones ponitur nec necessaria est, nec
locum ibi habet. Ibi enim impossibilis est omnis transgressio; sed neque rectoribus aut ducibus ibi
opus est, ubi nullum erroris aut deviationis periculum; quia igitur talis est illa civitas sanctissimarum
ac beatissimarum substantiarum ut omnino nec iudicibus nec magistratibus nec aliis huiusmodi
officialibus egeat ; otiosi igitur atque omnino inutiles in ea essent, cum igitur eius sit perfectionis ac
puritatis ut nihil supervacuum nihil inutile habere possit manifestum est huiusmodi principatus aut
potesates apud eam non esse, ubi enim unusquisque civium sempetispum per se laudabiliter regere
sufficit et etiam regit nec gubernatione alia nec rectore alio opus est. [] Quid principatus et
potestates et rectores huiusmodi gubernationi civilium illorum adderent si eis praessent? Nec enim
praeciperent aut aliter facererent quam faciant cum omnia faciant prout decet perfectionem gloriae
in qua sunt status aut gloriae ultimitas est perfectionis ultimitas autem perfectionis non recipit
additionem.
37
GREGORIO MAGNO, Omelia 34, in G. AGAMBEN, E. COCCIA (eds), Angeli. Ebraismo Cristianesimo
Islam, cit. p. 1023
38
AGOSTINO, Enchiridion 9, 29: Placuit itaque universitatis Creatori atque moderatori Deo ut
quoniam non tota multitudo angelorum Deum deserendo perierat, ea quae perierat in perpetua
perditione remaneret; quae autem cum Deo illa deserente perstiterat de sua certissime cognita
semper futura felicitate gauderet; alia vero creatura rationalis, quae in hominibus erat, quoniam
peccatis atque suppliciis et originalibus et propriis tota perierat, ex eius parte reparata quod
angelicae societati ruina illa diabolica minuerat suppleretur. Hoc enim promissum est resurgentibus
sanctis, quod erunt aequales angelis Dei. Ita superna Hierusalem mater nostra, civitas Dei, nulla
civium suorum numerositate fraudabitur, aut uberiore etiam copia fortasse regnabit. Neque enim
numerum aut sanctorum hominum aut immundorum daemonum novimus in quorum locum
succedentes filii sanctae matris, quae sterilis apparebat in terris, in ea pace de qua illi ceciderunt,
sine ullo temporis termino permanebunt. Sed illorum civium numerus, sive qui est, sive qui futurus
est, in contemplatione est eius artificis, qui vocat ea quae non sunt tamquam quae sint, atque in

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Se questa societ perfetta e originaria una massa soprattutto perch la


prima societ senza famiglia. Gli angeli non sono il risultato della generazione
reciproca, perch non hanno luso della femmina39. Creati direttamente da Dio,
non c alcun rapporto di parentela tra di loro: nessuna genealogia possibile e la
molteplicit non definisce alcun genere. Lo spazio sociale non ha nulla di privato e
di domestico.
In un senso ulteriore con langelo appare una divinit di massa nel senso che
la loro esperienza della divinit sempre espressa socialmente, perch condivisa
con altri e nel senso che esprime, per ciascuno di essi non una natura, una
determinazione ontologica o una propriet personale ed esclusiva ma un pura
relazione sociale, un rango, una dignit: quanto, appunto si esprimer nel concetto
di gerarchia. Ed proprio in questo concetto di origine dionisiana che societ e
potere si saldano. Una delle specificit della speculazione angelica in seno al
cristianesimo lidentificazione, nellangelo, di divinit e potere: a partire dallo
pseudo-dionigi, la nozione di potere uno dei termini tecnici per definire la
compagine angelica. Potere in questo caso un sinonimo e un sintomo di ordine,
organizzazione, taxis. In questo langelologia cristiana si definisce in opposizione
alla sua fonte giudaica e si costruisce come una specie di metafisica dellordine
sociale. Non un caso se i testi dello pseudo-Dionigi e di tutta la tradizione
angelologica a lui legata verranno ancora citati nel diciassettesimo secolo quando si
costituir la prima riflessione sociologica sugli ordini sociali40.
mensura et numero et pondere cuncta disponit. Su questo passo cfr. anche P. Lombardus, Liber
sententiarum II, d. 9, c. 7
39
E lespressione usata da TEODORETO DI CIRO, Terapia dei morbi pagani, a cura di N. Festa,
Firenze, Ed. Testi cristiani, 1931, pp. 211 sgg
40
Cfr. CHARLES DE LOYSEAU, Trait des Ordres et simplex dignits, Paris 1645, Avant-propos, p. 1-2:
Il faut quil y ait de lOrdre en toutes choses, et pour la biensance et pour la direction dicelles. Le
monde mme est ainsi appell en Latin, cause de lornement et la grace provenant de son
admirabile disposition et en grec kosmos cause de son bel ordre et agencement, pource que le
parfait ouvrier eis taxin auton ex tes ataxias gagen, dit Platon en son Timee que Ciceron au 5 des
Loix, tourne ex inordinato ordinem constituit. [] Car nous ne pourrions pas vivre ensemble en egalite
de condition mais il faut par necessite que les uns commandent et que les autres obeissent. []
Voil quant a ceux qui commandent et quant au peuple qui obeyt pource que cest un corps a
plusieurs testes, on le divise par Ordres, Etats ou vacations particulires. Les uns sont ddiez

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3. LA DIVINIT COME POTERE


Da un punto di vista strutturale possibile affermare che gli angeli non hanno nel
cristianesimo funzioni puramente conoscitive o cosmologiche: non esistono per
conoscere Dio o per rendere possibile la conoscenza di Dio agli uomini, non si
limitano a trasmettere a Dio le esigenze e i desideri umani e il loro compito non
riducibile a quello dei pianeti o delle sfere celesti. Ci che caratterizza questi esseri
e che rende necessaria la loro presenza nel cosmo cristiano cristianesimo invece
la loro intima relazione con il potere. Ed in questo tratto che gli angeli della
tradizione cristiana patristica e medievale si distinguono dalle figure intermedie di
cui si parli in altri contesti culturali o religiosi.
La teologia ha siglato questa coincidenza di potere e divinit con il nome di
gerarchia. Il termine, coniato dallo ps.-Dionigi, significa letteralmente potere sacro
(hiera arch) o potere sulle cose sacre (arch tn hiern)41, o secondo le possibili
traduzioni latine sacer principatus o sacri principatus42 . Secondo lacuta glossa di
Giorgio Pachimeride la gerarchia ci attraverso cui si esercita un potere in modo
sacro e ci per cui si comandati in modo sacro43. Il legame tra angeli e potere
onnipresente ma appunto nellopera dello pseudo-Dionigi44che diventa oggetto
pariticulierement au service de Dieu, les autres a conserver lEstat par les armes, les autres a le
nourrir et maintenir par les exercices de la paix. Ce sont nos troiz ordres ou estats generaux de
France, le clerge la oblesse et le tiers etstat. Mais chacun de ces trois ordres est encore subdivise en
degrez subordonnez ou ordres subalternes a lexemple de la Hirarchie Cleste dont traintant saint
denys lAreopagite il dit lgamment.
41
Cos ad esempio JOHANNES DE SKYTHOPOLIS, Commentaria, in PG 4, 29A. La Patrologia attribuisce
le glosse ancora a Massimo il Confessore. Sullimportantissima figura di Giovanni di Scitopoli cfr. le
indicazioni di B. R. SUCHLA, Dionysius Areopagita. Leben Werk Wirkung, Herder, Freiburg Basel
Wien 2008, pp. 12-21 e 60-65.
42
Cos quasi tutti i latini. Alano di Lille la definisce ad esempio: rerum rationabilium et sacrarum
ordinata potestas in inferioribus debitum retinens dominatum (ALANUS AB INSULIS, Summa quoniam
homines, in P. GLORIEUX, La Somme Quoniam homines d'Alain de Lille, Archives dhistoire doctrinale
et littraire du Moyen ge 20 [1953], p. 280), o gerarchia dicitur quasi sacri principatus a gera quod
interpretatur sacrum et archos quod principatus dicitur (p. 281).
43
GEORGIUS PACHYMERES, Paraphrasis, in PG 3, c. 128 A
44
Su di lui la bibliografia imponente. Y. DE ANDIA (a cura di), Denys lAropagite et sa postrit en
Orient et en Occident. Actes du Colloque International, Paris 21-24 septembre 1994, Paris, Institut dtudes
Augustiniennes, 1997; Id., Lunion Dieu chez Denys lAropagite, Leiden - New York - Kln, Brill,

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privilegiato di una riflessione sistematica. Il suo Peri ts ouranias hierarchias, alla


lettera Sulla magistratura sacra celeste descrive gli angeli alla lettera come sacre
magistrature ( il significato letterale del neologismo dionisiano hierarchia)
organizzate secondo forme e ordinamenti specifici, con incarichi, compiti specifici e
con gradi di potere via via decrescenti in funzione della prossimit a Dio. Il De
coelesti hierarchia una teoria della sacralit come magistratura e della magistratura
come forma propria della divinit e al tempo stesso la descrizione del sistema delle
diverse magistrature celesti. Essa il pendant teologico di unopera per certi versi
simile, e quasi perfettamente contemporanea, il Peri archn ts rmain politeias (lat:
De magistratibus) 45 . In questopera composta attorno alla met del sesto secolo
Giovanni Lido, il pi grande degli antiquari del tardo ellenismo, presenta in modo
dettagliato levoluzione storica delle istituzioni, del profilo giuridico e del destino
delle magistrature romane da Enea fino allimpero e al regno di Giustiniano,
attraverso il periodo monarchico e quello repubblicano. Paragonando lopera di

1996; R. A. ARTHUR, Pseudo-Dionysius as a polemicist. The development and purpose of the angelic
hierarchy in sixth century Syria, Aldeshot, Ashgate, 2008; J. DILLON S. KLITENIC WEAR, Dionysius the
Areopagite and the neoplatonic tradition. Despoiling the Hellenes, Aldershot, Ashgate 2007; H. GOLTZ,
Hiera mesiteia. Zur Teorie der hierarchischen Soziett im Corpus areopagiticum, Erlangen, Lehrstuhl
fr Geschichte und Theologie des christlichen Ostens an der Universitt Erlangen, 1974; H. KOCH,
Pseudo-Dionysius Areopagita in seinen Beziehungen zum Neuplatonismus und Mysterienwesen. Eine
litterarhistorische Untersuchung, Mainz, Franz Kirchheim, 1900; S. LILLA, Dionigi lAreopagita e il
platonismo cristiano, Brescia, Morcelliana 2005; A. LOUTH, Pagan theurgy and Christian sacramentalism
in Denys the Areopagyte, in Journal of theological studies, n. 37, 1986, pp. 38-43; Id., Denys the
Areopagite, London, G. Chapman, 1989; R. ROQUES, Lunivers dyonisien. Structure hirarchique du
monde selon le Pseudo-Denys, Paris, Aubier, 1954; P. ROREM, Biblical and liturgical symbols within the
pseudo-Dionysian synthesis, Toronto, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, 1984; Id., PseudoDionysius. A commentary on the texts and an introduction to their influence, New York, Oxford University
Press, 1993; ID., J.-C. LAMOREUX, John of Scythopolos and the Dionysian Corpus. Annotating the
Areopagite, Oxford, Clarendon Press, 1998; CH. SCHFER, The philosophy of Dionysius the Areopagite.
An introduction to the structure and the contents of the treatise On the divine names, Leiden, Brill, 2006; I.
P. SHELDON-WILLIAMS, Henads as angels. Proclus and Pseudo-Dionysius, in Studia Patristica, n. 8, 1972,
pp. 108-117; B. R. SUCHLA, Dionysius Areopagita. Leben, Werk, Wirkung, Freiburg im Breisgau,
Herder, 2008; P. STRUCK, Pagan and Christian theurgies, in Ancient world, n. 32, 2001, 25-38; W.
VLKER, Kontemplation und Ekstase bei Pseudo-Dionysius Areopagita, Steiner, Wiesbaden, 1958.
45
Per la nuova edizione critiqua: JEAN DE LYDIE, Des magistratures de l'tat romain (grec ancienfranais, texte tabli, traduit et comment par M. DUBUISSON, J. SCHAMP, Paris, Les Belles Lettres,
2006. Su di lui cfr. J. CAIMI, Burocrazia e diritto nel "De magistratibus" di Giovanni Lido, Milano,
Giuffr, 1984; M. MAAS, John Lydus and the Roman Past: Antiquarianism and Politics in the Age of
Justinian, London - New York Routledge.

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Massa e potere. Lo statuto della divinit nellangelo cristiano,
in Anghelos. Angelus. From the Antiquities to the Middle Ages, Micrologus XXIII (2015), d. par Agostino
Paravicini Bagliani, p. 79-108.

Dionigi al Peri archn di Giovanni Lido possibile precisare meglio quale sia il
progetto del De

coelesti

hierarchia.

Gi Agostino, riprendendo i motivi

veterotestamentari della Malchut ha-shamaim (il regno dei cieli)46 aveva suggerito di
immaginare gli angeli come gli abitanti di una citt, la citt di Dio, che assieme
modello e assieme destinazione di tutte le citt di tutte e compagini politiche. Se
per il cielo davvero organizzato come una civitas, come uno stato, allora deve
esistere in esso del potere, devono esistere magistrature, incarichi, una certa
organizzazione e una certa prassi che mira a determinati scopi. Questa lidea che
anima il trattato. Gli angeli non sono oziosi cittadini di spazi eterei: sono impiegati,
con specifiche mansioni, con funzioni di ordine pubblico 47 . Essere un angelo
significa innanzitutto essere definito da uno di questi poteri, da una specifica
magistratura celeste. La citt celeste dunque formata da questa compagine di
individui ciascuno dei quali ha un proprio compito: dal contemplare Dio allo
svolgere missioni sulla terra, dal compiere miracoli alla trasmissione della legge.
Viceversa, ciascuna delle attivit compiute dagli angeli non mai motivata da
ragioni private o personali: tutto, anche lamore bruciante per Dio, la
contemplazione della sua natura sono compiti, magistrature che sono state loro
affidate, poteri e non occupazioni casuali. Quale che sia lattivit compiuta da Dio,
si tratta di qualcosa compiuto per imitare Dio, per acquisire un grado di
somiglianza maggiore con lui, e dunque una qualche forma di sovranit. La citt
angelica, nelle parole con cui Tommaso Gallo condensa la definizione dionisiana
una congregazione santa di persone razionali ordinatamente distinte secondo il
grado e i compiti [officia] e dotate del sapere e delle operazioni che competono loro,

46

Sul tema cfr. lo studio di CH. GRAPPE, Le royaume de Dieu. Avant, avec et aprs Jsus, Ginevra, Labor
et Fides, 2011.
47
lo stesso Giovanni di Scitopoli ad affermarlo, glossando il titolo dellopera: la gerarchia, egli
scrive il potere, la magistratura sullorganizzazione delle cose sacre, una specie di cura [phrontis], e
il gerarca il magistrato [ho tn iern archn] il curatore [phrontizn] il provveditore [pronon] delle
cose sacre e non dei sacerdoti. colui che dispone [ho diatassn] sulle cose sacre, che decide sulla
disposizione [katastasis] di queste e su quella della chiesa e dei misteri, ma non larchihereus, il
sommo sacerdote, in MIGNE, Patrologia Graeca, t. 4, c. 29.

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assimilantesi per quanto possibile alla conformit con Dio e dotata divinamente di
illuminazione divine48 .
V per unenorme differenza che separa il trattato di Dionigi dal
capolavoro di Giovanni Lido: quando Giovanni descrive il sistema della
magistratura e la storia della sua lenta decadenza (che imputa, in parte
allassunzione del greco, come reciterebbe un antico oracolo secondo cui la
Fortuna avrebbe abbandonato Roma una volta dimenticata la lingua originaria) egli
non intende affatto descrivere la natura delluomo: il suo non un trattato di
antropologia. Parlare di magistrature significa occuparsi di un aspetto secondario e
non costitutivo dellesistenza umana. Descrivendo le magistrature sacre, invece,
Dionigi non descrive un aspetto particolare e isolato dellesistenza angelica, ma la
natura stessa, lessenza, lintima costituzione di quello che chiamiamo angelo.
Larch negli angeli coincide con la natura, e viceversa il loro essere si risolve nella
magistratura che loro affidata. Questo significa che il politico in essi esaurisce
tutta la realt e ogni forza della loro esistenza: lincarico il compito che essi
svolgono non privatamente ma pubblicamente esprime senza resto il loro volto e la
loro identit. Non c' tratto di vita che non sia espresso dalla loro stessa
magistratura. In fondo quella angelica lesempio di una vita integralmente
politicizzata, nel senso che non c' alcuna slabbratura tra il fatto di esistere, di
essere determinati individui e dal fatto di svolgere un certo incarico pubblico, di
essere cittadini nella citt di Dio. Persino chi tra di loro non ha missioni sulla terra
e si limita a stare accanto a Dio per conoscerlo o amarlo (serafini e cherubini).
Lidentit tra vita e magistratura, tra esistenza e compito da eseguire aveva un
nome preciso nella teologia ellenistica: liturgia. Gli angeli, come recita la lettera agli
ebrei, sono spiriti liturgici [leitourgika pneumata dice il testo greco, ma la traduzione
della vulgata administratorii spiritus spiriti amministrativi o degli amministratori
spirituali] inviati a servizio di coloro che riceveranno leredit della salvezza [Ebr.
48

THOMAS GALLUS, Glosae super angelica hierarchia, cura et studio D. A. Lawell, Turnhout: Brepols
Publishers 2011 (CCCM 223A), p. 27

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1, 14]. A differenza di quanto oggi siamo soliti considerare il termine liturgia non
designa semplicemente linsieme dei riti consumati nel Tempio. Il termine
appartiene al diritto pubblico ellenistico. Liturgia [leitourgeia] era una prestazione di
lavoro obbligatoria compiuta dal cittadino per linteresse pubblico solo talvolta
legata ad una copertura finanziaria 49 . Secondo letimologia popolare diffusa gi
nellantichit, la liturgia lopera [ergon] del popolo [laos] un servizio espletato dal
popolo e a vantaggio del popolo stesso. Loggetto di questi servizi poteva essere il
pi disparato: la raccolta delle imposte sul grano, pratiche religiose o lavori
pubblici, la costruzione o lallestimento di una festa, il controllo della sicurezza di
citt e di villaggi, ecc. Lobbligo colpiva tutti i cittadini e nemmeno lassenza
prolungata dalla propria circoscrizione poteva liberare un individuo dalla necessit
di prestare il servizio. Occuparsi di una liturgia significava provvedere a spese
proprie di tutto il servizio. Ora, se nello spazio politico terrestre le magistrature
liturgiche sono annuali o limitate, nel cielo la liturgia coincide con lintera esistenza.
Se gli angeli sono spiriti liturgici perch sono sostanze per i quali, a differenza
degli imperi terrestri, il servizio liturgico non limitato temporalmente ma li
coinvolge in tutta la loro esistenza, in ogni suo momento, e in ogni suo aspetto: la
liturgia coincide con il loro essere spiriti. Gli angeli sono lessere proprio della
liturgia divina, il servizio pubblico celeste, meglio il luogo in cui quanto che la
modernit ha chiamato burocrazia assurge a uno statuto metafisico, divino.
Proprio perch arrivata ad una consistenza divina la magistratura qui
sinonimo di eccellenza e di efficienza. Quella angelica, racconta Guglielmo
dAuvergne una societ organizzata nei saperi e nei compiti; essa possiede cio
49

Sulla liturgia cfr. ora oltre all'opera classica di F. RTEL, Die Liturgie. Studien zur ptolemischen und
kaiserlichen Verwaltung gyptens, Leipzig, Teubner, 1917, N. LEWIS, The compulsory public services of
Roman Egypt, Firenze Gonnelli 1997; ID., La mmoire des sables. La vie en gypte sous la domination
romaine, Paris, Armand Colin, 1988, pp. 171-177; ID., Leitourgia studies, in ID., On government and law
in Roman Egypt. Collected papers of Naphtali Lewis, Atlanta, Scholar Press, 1995, pp. 81-93; Id., On the
starting date of liturgies in Roman Egypt, ibid., pp. 114-119. Cfr. anche limportante studio di C.
DECROLL, Die Liturgien im rmischen Kaiserreich des 3. und 4. Jahrhunderts n. Chr., Stuttgart, Franz
Steiner Verlag, 1997. Per Roma cfr. G. PEREIRA-MENAUT, Che cos un munus ?, in Athenaeum.
Studi di letteratura e storia dellantichit , 2004, pp. 169-215

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un ordine definito sia rispetto alle competenze di ciascuno (scientialiter) che alla
ripartizione dei compiti (officialiter), in modo che a nessun angelo sia affidato un
compito che non sappia o non voglia espletare50. Nelle societ umane compiti e
lavori sublimi e gloriosi sono assegnati a chi non sa n compierli n portarli a
termine con dignit e anzi odia la loro esecuzione e deturpa in modo intollerabile la
loro bellezza con la propria perversit. Qui invece, tutto organizzato e costituito
secondo la convenienza, la massima decenza, la perfezione: a ciascuno sono affidati
i compiti per lui pi appropriati, ognuno obbligato al dovere per cui pi
adatto 51 . Lefficienza in fondo lassenza di differenza o di separazione tra il
proprio essere e il compito da svolgere. Ogni angelo il compito che deve svolgere.
Questa coincidenza di esistenza e magistratura non riguarda solo il tempo di
vita di un singolo angelo: si estende anche nello spazio a tutti gli angeli che
popolano la citt celeste. Questo significa per che la citt di Dio priva di semplici
sudditi che non prendano parte al governo. Gli uomini i veri oggetti del potere
angelico abitano fuori da questa citt e quando vi entreranno questa forma di
potere e sovranit si distrugger (I Cor 15, 24). La citt perfetta appare dunque
paradossale: in essa ogni cittadino funzionario, governato (da Dio) solo perch
partecipe del governo52: si fa parte di questa societ solo in quanto si partecipa del
potere a cui si soggetti e lo si esercita. Per questo in questa citt il governo non
una semplice attivit che si esercita al di fuori, sugli uomini, n si incarna in una
parte minoritaria della societ angelica, ma coincide con lessere stesso della societ:
essere in societ, agire socialmente significa sempre e solo avere dei compiti da
svolgere, far coincidere prassi e magistratura. Tradurre il paradosso della societ
50

GUGLIELMO DI AUVERGNE, De universo, Paris 1561, p. 992: Societas ordinata tam scientia quam
officio, seu scientialiter et officialiter, quia in ea ordinate sint scientiae et officia, ita ut nullus
angelus deputateur alici officio quod probe exequi aut nesciat aut nolit
51
Ibid. : praeclariora nacque ac sublimiora officia illis imponuntur qui et minime sciunt illa exequi
et exercere et maxime executionem ipsorum oderunt et pulchritudinem eorum perversitate sua
deturpant intolerabiliter ac deformant; ibi vero omnia ad congruum ad decentiam et decorem omnia
composita sunt et constituta; omni aquippe officia idoneis imposta sunt et aptis altissime coaptata.
52
Su questo aspetto cfr. G. AGAMBEN, Il regno e la gloria. Per una genealogia teologica dell'economia
e del governo. Vicenza, Neri Pozza 2007

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angelica significa pensare il governo non come la semplice attivit di una minoranza
superiore sulla maggioranza inferiore, ma come larticolazione della totalit della
societ. Nella societ divina ci sono solo governanti e si governati solo nella
misura in cui si partecipa al governo perch si possiede una qualche magistratura.
In questo spazio di divinit, appunto, massa e potere coincidono: societ non che
larticolazione di una moltitudine secondo un sistema di magistrature per cui
ciascuno dei suoi membri esercita una speciale magistratura (un munus) che
definisce interamente la sua realt sociale.
La coincidenza tra divinit e potere va compresa anche secondo un altro
senso. La teologia latina ha spesso riflettuto sul fatto che il termine angelo non
raccoglie sotto di s creature accomunate da una natura specifica, ma enti
caratterizzati solo da un certo compito. In greco angeli significa messaggeri e
arcangeli sommi messaggeri; e il termine angelo riferito al compito (officium) e
non alla natura53, scrive Gregorio Magno dopo aver glossato lungamente i nomi dei
cori angelici. Quando si parla di angeli non si fa mai riferimento ad un volto noto, a
dei tratti riconoscibili, ma soprattutto a una certa funzione o a una comune
obbligazione espletata da nature diverse e mai definite davvero con precisione.
Quella angelica dunque la figura di una divinit dispersa tra diversi gradi dessere,
equivocamente diffusa senza e non pi riservata a un singolo livello ontologico. E
come se nellangelo la divinit cessasse di essere una differenza specifica per farsi
quasi una categoria professionale. Le coorti angeliche non definiscono un livello
dessere, ma il fatto che lessere del creato (o una buona parte di esso) sottoposto
a un mandato, ha una certa mansione, vive in vista di un dovere [officium]: quello di
essere una divinit. Nel grado in cui espleta un compito ogni cosa in verit pu
trasformarsi in un angelo. Maimonide lo afferma senza mezzi termini. Il senso di
angelo (malak) quello di inviato, sicch chiunque esegua un ordine un

53

GREGORIO MAGNO Homiliae sup. Ev., II, XXXIV, 6, in GRGOIRE LE GRAND, Homlies sur l'vangile,
livre II Homlies XXI-XL, int., trad. et notes R.taix, G. Blanc, B. Judic, Sources chrtiennes 522,
Paris, Cerf, 2009, p. 336.

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angelo54. Si un angelo solo grazie ad un dovere o a un compito assunto, non in


forza di una natura o di un corpo capace di sostenere e rendere possibili una certa
forma di vita.
Ora, il compito assegnato agli angeli proprio quello di essere divini. La
divinit intesa come magistratura la divinit (o la sacralit) concepita come un
officium, un compito da espletare piuttosto che una qualit, una realt che esiste pi
nel fare che nellessere. Un angelo di fatto, non semplicemente una divinit
minore che possiede un certo numero di poteri, di facolt e di compiti da sbrigare;
innanzitutto un soggetto che ha il compito di essere divino, il luogo in cui la divinit,
lessere-come-dio non una natura ma un compito, una facolt, una magistratura
appunto. Gli angeli sono divini per magistratura, per incarico e non per natura. Ne d
prova del resto la stessa definizione della gerarchia che Dionigi fornisce nel III
capitolo

del

De

coelesti

hierarchia.

La

gerarchia,

scrive

Dionigi

unorganizzazione sacra [hiera taxis] una scienza e unoperazione, che si conforma


per quanto possibile al Divino e che portata allimitazione di Dio
proporzionalmente in funzione delle illuminazioni che da Dio stesso le sono
comunicate55.
Se la definizione sorprendente perch la divinit negli angeli non viene
presupposta ma ci che la stessa magistratura sacra deve produrre: risultato pi
che requisito del ministero angelico. La divinit affare di organizzazione, di sapere e
di operazione. Langelo dunque la figura paradossale di una divinit che tale
solo grazie ai suoi sforzi, alla sua attivit: una divinit che deve sforzarsi di essere o
di apparire come tale, di somigliare in qualche modo a Dio. Il potere sacro non
presuppone una natura divina in chi la esercita, ma ha il precipuo scopo di
divinizzare chi lo esercita, anzi il divenire divino del gerarca stesso. Se la
magistratura nellangelo lessenza della divinit, anche vero il contrario, che la
54

MAIMONIDE, Guida dei perplessi , II, cap. VI in G. AGAMBEN, E. COCCIA (eds), Angeli. Ebraismo
Cristianesimo Islam, cit. p. 362
55
PS.-DIONIGI AREOPAGITA, De coelesti hierarchia III, 1, tr. it. (modificata) in DIONIGI AREOPAGITA,
Tutte le opere, Milano Bompiani, 2009, p. 99.

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divinit nellangelo esiste solo come magistratura. Langelo divino solo


gerarchicamente. Solo come gerarca egli pu dirsi come Dio, solo nel grado in cui,
come si legge nella definizione, appartiene ad unorganizzazione sacra, possiede un
certo sapere e si sforza di somigliare a Dio

4. ESSERE-PER-LA-CADUTA
Linsostanzialit della natura divina e il suo carattere pratico sono immediatamente
connesse ad un altro tratto che caratterizza la divinit nellangelo e che si esprime
nel mitologema fondatore della loro esistenza: la caduta. I teologi sono unanimi in
questo: sugli angeli si sa molto poco, ma la prima certezza su di loro il fatto che
sono decaduti. Tommaso ad esempio aveva scritto: presso tutti i cristiani certo
che gli angeli hanno peccato e sono stati trasformati in demoni56. Come scrive
Giovanni di Damasco in un logion che diventer una sorta di ritornello nella
teologia cristiana medievale, Ci che per luomo la morte, questo la caduta per
gli angeli: dopo la caduta per loro non c pi pentimento, cos come neanche per
gli uomini dopo la morte57. Se luomo, come stato detto, lessere-per-la-morte,
il mortale langelo , nel cosmo, lessere-per-la-caduta, colui che pu cadere. Ma
vale soprattutto anche il contrario: la caduta il fatto angelico per definizione,
consustanziale al tipo di potere che incarnano, la gerarchia, e anche al tipo di
divinit che rappresentano ed quanto li distingue da Dio. In Cristo o nel padre la
divinit non pu essere perduta n oggetto di un merito. Gli angeli sono chiamati
a meritare la propria divinit o a cadere, a precipitare, a perderla. La caduta o
lacquisizione del merito il primo evento della vita di queste creature e pi in
generale il primo e pi importante evento nella storia del cosmo. Langelo in
questo senso la divinit in quanto capace di cadere, cio di perdere la propria divinit
(o viceversa la creatura capace di meritare la propria divinit).

56

TOMMASO DAQUINO, Super Sent., lib. 2, dist. 5, qu. 1, art. 1: Apud omnes Catholicos certum est,
Angelos peccasse, et Daemones effectos esse .
57 DAMASCENO, De fide orthodoxa, II, 4, 96

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Essere un angelo significa esperire la propria divinit in quanto fatto non


naturale, ma legato al proprio merito e che pu essere perso: la sacralit, lessere
sacro quanto lo un Dio per essi un fatto di grazia o di perdita, qualcosa di
meritato di ricevuto ma non sembra mai poter affondare le proprie radici nel loro
stesso essere. stata la patristica greca a produrre le riflessioni pi profonde e
mature su questo paradosso. Chiedendosi di che tipo fosse la trasformazione subita
da Lucifero, il primo degli angeli divenuto poi principe del male, lo pseudo-Cesario
afferma esplicitamente che i demoni hanno perso il rango [taxis] non la natura
[physis]58. la formulazione pi tecnica dellevento della caduta, la non coincidenza
di physis e taxis, di natura e ordine. Il pensiero neoplatonico aveva sempre
considerato taxis e physis come coincidenti: chi ha natura superiore pi in alto e
cambiare di rango salire o scendere nella taxis degli enti significa mutare natura.
Lidea di caduta proprio quella di una natura capace di rimanere nonostante un
cambiamento di ordine e soprattutto, di un ordine (una taxis) che non si basa su
una natura preesistente.
Un essere naturalmente divino infatti non potrebbe cadere, non potrebbe
perdere la propria divinit e trasformarsi nel suo contrario, a meno di non pensare
che il male stesso appartenga alla natura divina. E un essere naturalmente divino,
come lo il Padre o il Figlio, incapace di perdere la propria divinit, esercita
naturalmente il proprio potere: in lui cio il potere non sar mai una questione di
rango, ma la mera espressione della propria potenza. La gerarchia il potere
esercitato da chi pu perdere la propria divinit, un potere sacro per rango e non
per natura. La gerarchia il luogo in cui la divinit non un fatto di natura, ma di
status, di rango.
Se la divinit coincide nellangelo con una magistratura, quello angelico
dunque un potere che presuppone e conferisce una divinit di partecipazione e non
naturale, una divinit di rango o di status [taxis]; viceversa, essa permette di far
coincidere questa divinit di rango con la possibilit di esercitare un potere su ci
58

PS. CESARIO DI NAZIANZO, Dialogus I, q. 48, in PG 38, c. 917.

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che a essa inferiore. Se il potere sacro, infatti, innanzitutto il potere di rendere


divino chi non lo per natura, i gerarchi i soggetti divinizzati- non hanno altro
fine n altra attivit che lesercizio di questo stessa sacralit. Nella gerarchia cio la
verit del potere la sua sacralit, e la sola attivit del sacro e del divino lesercizio
del potere, ma entrambi (potere e sacralit) sono un fatto di taxis, di rango, di status
e non di natura.
5. CONCLUSIONE
Perch il cristianesimo ha avuto la necessit di pensare la divinit nella forma di
una massa di soggetti che la possiede nella forma di un compito da assolvere e non
di una qualit ontologica non suscettibile di essere perduta59? Qual la funzione di
questa forma di divinit sospesa tra qualcosa che deve essere acquisito e qualcosa
che stato irrimediabilmente perduto? Perch popolare il pantheon di soggetti che
fanno esperienza della sacralit come fatto sociale e di massa e non come privilegio
individuale? E perch la sacralit deve esistere nei cieli anche come realt pratica e
non puramente ontologica? Perch si voluto far vivere la divinit come semplice
professione, come magistratura, come possesso precario, insostanziale manierista?
Insomma a quali esigenze risponde il tentativo di pensare la divinit come massa e
potere?
Per rispondere a queste domande necessario cessare di considerare
langelo come uno spazio residuale e intermedio rispetto a quello umano e a quello
divino. Farlo significherebbe infatti limitarsi a prendere alla lettera (e dunque a
ripetere e a parafrasare) i racconti che ne parlano e le riflessioni che vi si ispirano:
come se si tentasse di capire il significato di una pubblicit continuando a ripetere
il suo slogan. Dal punto di vista della scienza dei miti quello angelico non uno
spazio residuale ma il mitologema centrale attorno a cui linsieme dei miti cristiani
59

Si tratta di un dato strutturale generale che nei singoli testi e nelle singole interpretazioni ha
subito notevoli variazioni. Ci sembra per che solo a partire da questa evidenza che il dibattito
medievale sulla possibilit di assimilare angeli e intelligenze planetarie (e lo scandalo suscitato dalle
risposte positive) diventi comprensibile. Cfr. sulla questione il volume di T. SUAREZ NANI, Les anges
et la philosophie, cit.

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(in primis quello della necessit della redenzione e dunque di un Messia) si


organizzano: langelo ad essere allorigine del male del mondo (anche di quello
umano) e a rendere necessario lintervento di una forza divina per la sua
eradicazione.
Se questo vero, quella incarnata dagli angeli non una figura minore e
derivata della divinit ma come il suo statuto pi originario e proprio per questo
pi ambiguo. stato Kerenyi a suggerire che ogni figura genuinamente mitologica
ha qualcosa di paradossale 60 . Nella figura del messia Ges il cristianesimo ha
condensato e polarizzato tratti esclusivamente positivi 61 : Cristo colui che
interamente uomo e Dio, ed soprattutto lincarnazione assolutamente positiva
dellumanit e della divinit. Cristo la realt umana e divina in tutto quello che vi
di buono, creatore, redentore. Nellangelo tutto diventa pi indeciso e ambiguo:
gli angeli sono divini senza esserlo per natura, hanno aspetto umano senza essere
veramente umani. E soprattutto essi assumono su di essi entrambe le polarit dello
spazio morale, quello del male assoluto e quello del bene, quelle di un servizio
liturgico in cui essere in societ significa essere il governo e quelle dellorigine
ultima di ogni disobbedienza, quello dellindividualit assoluta che si ribella e
quello della massa in cui ogni forma di personalit impossibile. Quello angelico
lo spazio metafisico in cui lopposizione tra cielo e terra come neutralizzata o
riconciliata. Per questo in esso si pu diventare divini (la divinizzazione il compito
della gerarchia) ma anche perdere la propria divinit.
Freud aveva suggerito che ogni rimozione conduce alla produzione di una
rappresentazione di sostituzione [Ersatzbilung]62. Si potrebbe comprendere quella
angelica come una rappresentazione di sostituzione di questo tipo. In un certo
senso langelo ci che ha permesso al cristianesimo di rimuovere lidea della

60

K. KERENYI - C. G. JUNG, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, cit. 1972
Per un breve excursus della cristologia antica cfr. ALOIS GRILLMEIER, Jesus der Christus im Glauben
der Kirche; 2. verb. u. erg. Aufl., Friburgo Herder 1982.
62
S. FREUD, Die Verdrngung, in ID., Das Ich und das Es. Metapsychologische Schriften, Francoforte
Fischer, p. 112.
61

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divinit del male (e di non cadere in una forma di manicheismo), continuando a


pensare la divinit come spazio di onnipotenza e di redenzione. Ma anche in questo
caso si rischia di concepire questo luogo come forma residuale. E forse, a differenza
di quello che la psicanalisi ha insegnato, nello spazio del mito ci che ambiguo e
paradossale ha spesso uno statuto non solo pi reale, ma pi originario di quanto
univoco: la chiarezza sempre il risultato di una purificazione. Allo stesso modo,
anche nello spazio morale non sono n il Bene, n il Male, n la loro opposizione a
rappresentare loriginario o il grado di realt pi profondo ma linestricabile
ambiguit che caratterizza qualsiasi esperienza.
Piuttosto che interrogarsi sulle ragioni della necessit o della persistenza
angelica bisognerebbe interrogarsi sul perch il cristianesimo ha avuto bisogno di
pensare la divinit come lo spazio dellassolutamente buono, perch ha voluto
pensare la divinit come privilegio impartecipabile o come spazio di una comunit
in cui possibile una filiazione senza generazione. Lidea di divinit come qualcosa
di irriducibile a un privilegio esclusivo di indefinitamente condiviso pi concreta
del suo contrario. Allo stesso modo lidea di divinit come processo o titolo che pu
essere acquisito o perduto sembra essere vicina al grado zero del significato della
divinit. Ed come se grazie al grado zero incarnato dallangelo che le altre figure
della divinit acquistano il loro significato.

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