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Cass., 26.1.2010, n.

1530

c CASS. CIV., III sez., 26.1.2010, n. 1530


Conferma App. Milano, 13.1.2005

Responsabilit civile - Responsabilit


del datore di lavoro - Nesso di occasionalit necessaria - Accertamento Condizioni (cod. civ., art. 2049)
Non responsabile il datore di lavoro se il
vigilante uccide un uomo durante lorario
di servizio qualora non si configuri alcun
nesso di occasionalit necessaria tra latto
dellagente e il rapporto di lavoro, non essendo configurabile la responsabilit del
preponente ex art. 2049 cod. civ. in assenza di legame tra latto produttivo del danno e lo scopo in vista del raggiungimento
del quale il datore di lavoro abbia affidato
al dipendente le mansioni in occasione
delle quali lillecito sia stato compiuto
(nella specie, la Corte ha respinto il ricorso dei genitori, dei fratelli e della fidanzata della vittima contro la sentenza dappello che aveva stabilito che non era configurabile un rapporto di occasionalit necessaria tra lesercizio delle mansioni a cui la
guardia giurata era adibita e lomicidio.
Lassassino, infatti, aveva agito per finalit proprie, in risposta a una reiterata provocazione da parte della vittima; provocazione che non aveva nessuna attinenza
con il servizio prestato).
(massima non ufficiale)
dal testo:

Il fatto. 1. Il (Omissis) P.M. uccise Pe. An.


con cinque colpi di pistola e fu poi condannato
per omicidio.
I genitori, i tre fratelli e la fidanzata del P.
agirono giudizialmente per il risarcimento nei
confronti del P.M. e della ILVI s.r.l. (Istituto
Lariano di Vigilanza), del quale il P.M. era dipendente, assumendone la responsabilit ex
art. 2049 c.c., per essere il fatto avvenuto mentre il medesimo svolgeva le proprie mansioni di
guardia giurata innanzi ad una banca di (Omissis).
La societ convenuta resistette, sostenendo
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che lomicidio era stato perpetrato per ragioni


del tutto indipendenti dal servizio che il P.M.
stava prestando e che trovava le proprie radici
nella risalente inimicizia personale tra lomicida e la sua vittima.
Chiam comunque in causa le Assicurazioni
Generali s.p.a., che si costitu negando, tra laltro loperativit della garanzia.
Con sentenza n. 202 del 2002 il tribunale accolse la domanda anche nei confronti della Ilvi
s.r.l. (respingendone quella di garanzia).
2. La sentenza stata totalmente riformata
dalla corte dappello di Milano che, decidendo
con sentenza n. 19 del 2005 sul gravame della
Ilvi, ha respinto la domanda nei confronti della
stessa proposta sui rilievo (a) che non era nella
specie configurabile un rapporto di occasionalit necessaria tra lesercizio delle mansioni cui
il P.M. era adibito e lomicidio da lui commesso, essendo del tutto pacifico che lomicida
aveva agito per finalit proprie, in risposta ad
una reiterata provocazione da parte della vittima, provocazione che non aveva nessuna attinenza con il servizio prestato; e (b) sul rilievo
ulteriore che neppure poteva imputarsi al datore di lavoro di non avere adibito il P.M. ad
un lavoro fuori citt al fine di evitare incontri
tra il medesimo ed il P., non essendo tanto esigibile dalla Ilvi s.r.l. proprio per il carattere extralavorativo del dissidio tra i due (che avrebbe
per questo reso ragionevolmente inutile il trasferimento).
3. Avverso la sentenza ricorrono per cassazione i soccombenti P.-A.-D.M. affidandosi a
due motivi, illustrati anche da memoria, cui resistono con distinti controricorsi la Sicuritalia
Ilvi & Argus s.p.a. (gi Ilvi s.r.l.) e le Assicurazioni Generali s.p.a.
I motivi. 1. Col primo motivo di ricorso
denunciata violazione dellart. 2049 c.c., per
essersi la corte dappello discostata dal principio secondo il quale ai fini della configurabilit della responsabilit indiretta del datore di
lavoro ex art. 2049 cod. civ., non necessario
che fra le mansioni affidate e levento sussista
un nesso di causalit, essendo invece sufficiente che ricorra un semplice rapporto di occasionalit necessaria, nel senso che lincombenza
affidata deve essere tale da determinare una situazione che renda possibile, o anche soltanto
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agevoli, la consumazione del fatto illecito e,


quindi, la produzione dellevento dannoso, anche se il lavoratore abbia operato oltre i limiti
dellincarico e contro la volont del committente o abbia agito con dolo, purch nellambito delle sue mansioni (Cass., 7.1.2002, n. 89,
ed altre conformi).
Si afferma che poich lomicidio era avvenuto mentre il P.M. svolgeva servizio di vigilanza
innanzi alla banca e con larma che il datore di
lavoro aveva fornito (circostanza contestata
dallIlvi), il rapporto di occasionalit necessaria
doveva ritenersi sussistente.
Si imputa inoltre alla corte territoriale di non
aver ritenuto il datore di lavoro responsabile
per non aver allontanato il P.M. da (Omissis)
bench fosse consapevole dellinimicizia fra il
suo dipendente (lomicida) e la vittima, che
aveva dato luogo a precedenti dissapori verificatisi in un luogo sito a pochi chilometri di distanza.
2. Col secondo motivo la sentenza censurata per insufficienza o contraddittoriet
della motivazione per avere erroneamente ritenuto che lomicida avesse agito per finalit proprie in risposta ad una reiterata provocazione
della vittima e che la provocazione non avesse
nessuna attinenza col servizio espletato.
3. Il primo motivo manifestamente infondato.
Il principio riportato dal ricorrente stato
enunciato in fattispecie nella quale stata ravvisata la responsabilit indiretta del datore di
lavoro in relazione alla condotta del dipendente che, guidando un trattore per espletare un
servizio del quale era incaricato, aveva consentito ad un altro dipendente di collocarsi come
passeggero sul parafango del mezzo e ne aveva
cagionato la morte a seguito di una manovra
errata. In un caso, dunque, nel quale, il commesso aveva perseguito finalit coerenti con
quelle in vista delle quali le mansioni gli erano
state affidate, e non finalit proprie, alle quali il
committente non era neppure mediatamente
interessato o compartecipe.
Costituisce, infatti, principio consolidato
che va anche in questoccasione ribadito che
condizione per la configurabilit del nesso di
occasionalit necessaria che latto dellagente
non sia assolutamente estraneo al rapporto di
lavoro (cfr., ex plurimis, Cass., n. 1516 del
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2007), non essendo configurabile la responsabilit del preponente ex art. 2049 c.c., se manchi ogni legame tra latto produttivo del danno
e lo scopo in vista del raggiungimento del quale il datore di lavoro abbia affidato al dipendente le mansioni in occasione delle quali
lillecito sia stato compiuto.
Le ulteriori considerazioni dei ricorrenti in
ordine al mancato allontanamento del P.M.
impingono in valutazioni di fatto, riservate al
giudice del merito e nella specie adeguatamente motivate.
4. Il secondo motivo inammissibile in
quanto:
a) nellillustrazione del motivo non chiarito
se la motivazione si assuma insufficiente oppure contraddittoria, o luna e laltra cosa insieme, sicch lindividuazione del tipo di vizio denunciato viene inammissibilmente rimessa alla
stessa corte di legittimit;
b) lillustrazione (pagg. da 13 a 18 del ricorso) non reca la bench minima spiegazione
delle ragioni per le quali la sentenza sarebbe
viziata per aver ritenuto del tutto pacifico
che lomicida avesse agito per finalit proprie
e concerne, invece, aspetti relativi alla responsabilit oggettiva prevista dal pi volte
citato art. 2049 c.c. (pagg. 14 del ricorso, penultimo capoverso) ed alla nota inimicizia tra
omicida e vittima, che si assume nota al datore di lavoro, come gi affermato nel primo
motivo;
c) i rilievi relativi al carattere del P.M., che
renderebbero evidente la culpa in vigilando
dellIlvi, sono del tutto estranei al vizio denunciato.
5. Il ricorso respinto. (Omissis)
[Di Nanni Presidente Amatucci Estensore Marinelli P.M. (concl. conf.). P.A., A.M., P.P.,
P.G., P.L., D.M.N. (avv.ti Marrapese, Ferrero e Testa) Sicuritalia, Ilvi & Argus s.p.a (avv.ti Mariani e
Monza)]

Nota di commento: Il nesso di occasionalit


necessaria nella responsabilit di padroni e committenti
I. Il caso
Una guardia giurata, mentre svolge servizio di vi815

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gilanza davanti ad una banca, uccide con cinque colpi di pistola un uomo nei confronti del quale prova
una risalente e personale inimicizia, e viene dunque
condannata per omicidio.
I parenti della vittima agiscono giudizialmente
per il risarcimento del danno anche nei confronti
della societ di cui il vigilante era dipendente, assumendo la responsabilit indiretta ex art. 2049 cod.
civ. del datore di lavoro, per essere il fatto avvenuto
mentre lomicida svolgeva le proprie mansioni.
La sentenza del Tribunale, che accoglie la domanda dei parenti della vittima anche nei confronti del
committente, viene riformata in sede di appello sulla
base del rilievo che non configurabile un rapporto
di occasionalit necessaria tra lesercizio delle
mansioni cui la guardia giurata era adibita e lomicidio dalla stessa commesso, avendo lomicida agito
per finalit proprie, assolutamente estranee al rapporto di lavoro.
La Cassazione, nella sentenza in commento, conferma la pronuncia dei giudici di secondo grado, affermando che non configurabile la responsabilit
del preponente ex art. 2049 cod. civ. qualora manchi ogni legame tra latto produttivo del danno e lo
scopo in vista del raggiungimento del quale il datore
di lavoro abbia affidato al dipendente le mansioni
in occasione delle quali lillecito sia stato compiuto.
La pronuncia de qua consente di fare il punto in
tema di responsabilit del datore di lavoro per
il fatto illecito dei propri dipendenti e, in particolare, relativamente al presupposto maggiormente controverso in dottrina e giurisprudenza del rapporto che deve sussistere tra il comportamento illecito del dipendente e le mansioni cui
adibito.
II. Le questioni
1. Il rapporto di occasionalit necessaria. Lart. 2049 cod. civ. statuisce che i padroni e i
committenti sono responsabili per i fatti illeciti compiuti dai loro domestici e commessi nellesercizio
delle incombenze cui essi sono adibiti. cos prevista accanto alla responsabilit dellautore dellillecito, la responsabilit del datore di lavoro, che viene
ad essere obbligato solidalmente con quello nei confronti del terzo vittima dellillecito. Il fatto che il legislatore non abbia previsto, per il preponente, la
possibilit di scagionarsi con la prova di non aver
potuto impedire il fatto, ha consentito alla dottrina
di inquadrare la norma nellambito della responsabilit oggettiva (cfr., per tutti, Bianca, 729, infra,
sez. IV).
Tale orientamento stato accolto anche dalla giurisprudenza che, dopo aver individuato per lungo
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tempo il fondamento della responsabilit del datore


di lavoro in una presunzione assoluta di culpa in eligendo o in vigilando, ha abbandonato questo originario indirizzo, prediligendo un criterio oggettivo di
imputazione (cfr. Cass., 16.5.2006, n. 11375, infra,
sez. III).
Varie sono invece le teorie proposte dalla dottrina
con riguardo al fondamento teorico di tale responsabilit: si rivengono infatti opinioni che ritengono
debba essere individuato nella posizione che un soggetto assume rispetto allautore del danno (ampliamento della sfera di azione; Scognamiglio, 697 ss.,
infra, sez. IV) o nella prestazione di una garanzia
(Bonvicini, 66 ss., infra, sez. IV). Oggi tuttavia la
dottrina prevalente preferisce ricercarne il fondamento in un criterio di allocazione dei rischi, per il
quale i danni cagionati a terzi dal fatto illecito dei dipendenti devono essere posti a carico del datore di
lavoro, e ci in considerazione del fatto che questultimo fa proprie le utilit conseguenti al lavoro
commissionato ad altri (questordine di idee sviluppato soprattutto da Trimarchi, 79, infra, sez.
IV, il quale com noto rinviene nellart. 2049 un
cardine della disciplina del rischio di impresa, secondo cui limprenditore dovrebbe rispondere dei
danni che siano la realizzazione del maggior rischio
che limpresa introduce nella societ (Trimarchi,
155; cfr. anche Galgano, 322; Salvi, 193, entrambi
infra, sez. IV).
A questa impostazione aderisce anche la giurisprudenza prevalente che ravvisa la ragione della responsabilit del padrone e del committente nel criterio di inscindibilit degli effetti dannosi da quelli
utili (principio del cuius commoda eius incommoda), per cui chi trae vantaggio dallattivit dei dipendenti tenuto alle conseguenze dannose dellattivit
dei medesimi autori di danno, indipendentemente da
propria colpa (Cass., 16.5.1968, n. 1541, infra, sez.
III), e ritiene dunque di poter individuare nel disposto dellart. 2049 cod. civ. una prima forma di codificazione del c.d. rischio di impresa (Cass.,
26.6.1998, n. 6341; Cass., 27.3.1987, n. 2994, entrambe infra, sez. III).
Padroni e committenti non sono responsabili di
ogni evento dannoso provocato da domestici e commessi, ma soltanto di quelli cagionati da costoro
nellesercizio delle incombenze cui sono stati adibiti. La giurisprudenza, al fine di definire il nesso tra
incombenze ed illecito, utilizza comunemente la formula della c.d. occasionalit necessaria. Secondo
tale formula affinch il committente sia solidalmente
responsabile dellillecito ex art. 2049 non necessaria la prova di un vero e proprio nesso di causalit,
risultando sufficiente, viceversa, lesistenza di un rapporto di c.d. occasionalit necessaria, da intendersi nel
senso che lincombenza svolta abbia determinato una
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situazione tale da agevolare e rendere possibile il fatto


illecito e levento dannoso (Cass., 12.3.2008, n.
6632; Cass., 6.3.2008, n. 6033; Cass., 10.5.2005, n.
9764, tutte infra, sez. III).
A tale orientamento giurisprudenziale sono stati
mossi vari rilievi da parte della dottrina, concernenti
essenzialmente lo scarso rigore del criterio della
occasionalit necessaria (cfr., per tutti, Scognamiglio, 699). Si cos proposto il diverso criterio
della pertinenza degli atti dannosi allesercizio delle
incombenze, nel senso che essi possano rientrare,
secondo un giudizio obiettivo di congruit, nel contenuto o nello scopo dellincarico (Scognamiglio,
700); oppure si ritenuto necessario un vero e proprio rapporto di causalit, ancorch nella variante
attenuata della concausa sine qua non (Ruffolo,
111, infra, sez. IV).
Tuttavia tale formula stata mantenuta dalle nostre corti, proprio in quanto costituisce uno strumento flessibile che consente al giudice di affermare
o negare con ampia discrezionalit la responsabilit
del committente, adeguandosi al mutare dei tempi e
allevolversi della coscienza sociale, sempre pi
orientata verso tendenze oggettivistiche (Bessone,
Abuso delle mansioni di commesso, occasionalit necessaria con levento dannoso, responsabilit del committente ex art. 2049 cod. civ., in Giur. merito, 1983,
I, 416).
Osservando le massime che affermano tale principio, si pu notare come esse riportino frequentemente precisazioni, con la funzione di delineare se le
situazioni oggetto della fattispecie concreta in esame
rientrino nellesercizio delle incombenze. A questo riguardo si possono individuare alcuni indirizzi
giurisprudenziali, ormai consolidati, che tipizzano
comportamenti che si ritiene comunemente non interrompano il nesso di occasionalit necessaria.
Cos, con riguardo al rapporto tra la condotta
dannosa intrapresa dal preposto e le istruzioni a
questi impartite dal committente, costante e ricorrente la decisione secondo cui irrilevante che il
comportamento del preposto si ponga in modo autonomo nellambito dellincarico ovvero abbia addirittura ecceduto i limiti di esso (Cass., 26.6.1998, n.
6341, infra, sez. III); cos come si riscontra frequentemente la statuizione che il rapporto di occasionalit necessaria non viene meno neppure nel caso in
cui il commesso abbia trasgredito agli ordini ricevuti, purch nellambito delle sue mansioni (Cass.,
7.8.1997, n. 7331, in Mass. Giust. civ., 1997).
La giurisprudenza ha poi affrontato anche la questione se il datore di lavoro deve rispondere del fatto
illecito compiuto da un soggetto al quale il dipendente abbia affidato il compimento di una o pi incombenze a lui spettanti. Anche in questo caso le
nostre corti hanno statuito che la responsabilit del
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committente non viene meno neanche nel caso in


cui labuso del commesso si concreti nellaffidamento ad altri di mansioni proprie e personali (App. Milano, 20.2.1981, in Giur. merito, 1983, I, 416, con
nota di Bessone; in Arch. civ., 1981, 678).
Ancora soprattutto con riguardo al caso di truffe perpetrate dal dipendente ai danni dei terzi risulta costantemente ribadito che il dolo del commesso nel compiere il fatto dannoso non esclude il
rapporto di occasionalit necessaria con le mansioni
affidategli (Cass., 7.1.2002, n. 89, infra, sez. III;
Cass., 14.11.1996, n. 9984, in Resp. civ. e prev.,
1998, 455, con nota di Botti), nemmeno se integra
un reato (Cass., 9.5.1986, n. 3093, in Mass. Giust.
civ., 1986; Cass., 16.5.1968, n. 1541, infra, sez. III).
E si ulteriormente precisato che il datore di lavoro
risponde per la condotta dei propri dipendenti che
configuri reato anche nel caso in cui sia rimasta
ignota la persona fisica autrice dellillecito (Cass.,
21.11.1995, n. 12023, in Mass. Giust. civ., 1995).
Alla luce di tali indirizzi si pu constatare come la
giurisprudenza sia orientata ad interpretare in senso
estensivo lespressione codicistica esercizio delle
incombenze, ritenendo sussistente la responsabilit
del datore di lavoro anche allorquando il dipendente abbia trasceso i limiti delle proprie attribuzioni o
trasgredito agli ordini ricevuti, purch il fatto illecito fonte dellevento dannoso non si presenti estraneo alle incombenze affidate al dipendente, ma
mantenga una relazione sia pur marginale con
lesercizio delle mansioni esercitate (cfr. Cass.,
3.4.1991, n. 3442, ivi, 1991; Cass. pen., 10.1.1986,
in Riv. pen., 1987, 187).
2. Lattivit privata del commesso quale limite al nesso di occasionalit necessaria. Nonostante lampia portata che viene attribuita alla responsabilit del datore di lavoro, rimane comunque
ferma in giurisprudenza laffermazione della necessit di un collegamento funzionale o strumentale fra
lo svolgimento dellincarico e levento lesivo; la responsabilit del preponente viene cos esclusa allorch il danno sia imputabile alla attivit privata
dellautore dellillecito, come tale separata e distinta
da quella di impresa.
A tal proposito va rilevato che le formule che si
trovano nelle massime molte volte dopo il tralatizio principio della occasionalit necessaria con cui
si fa riferimento alla sfera personale del preposto sono varie, ma sostanzialmente riconducibili ai seguenti tre tipi.
In alcune massime si ritrova la statuizione secondo cui la responsabilit ex art. 2049 esclusa solo
quando il fatto illecito eziologicamente sia riferibile
ad attivit privata svolta nellesercizio della personale autonomia dellautore del danno (Cass. pen.,
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Cass., 26.1.2010, n. 1530 - Commento

10.1.1986, cit.; Cass. pen., 25.9.1989, in Cass. pen.,


1992, 1525; App. Milano, 8.6.1993, in Banca, borsa,
tit. cred., 1995, II, 36; Cass., 30.10.1981, n. 5724, infra, sez. III; Cass., 15.7.1980, n. 4562, in Mass.
Giust. civ., 1980).
Frequente tuttavia anche la formula in cui viene
data rilevanza alla circostanza che il preponente sia
interessato o compartecipe alle finalit del preposto
ovvero che abbia agito per fini puramente personali
e privati. Si statuisce cos che lart. 2049 cod. civ.,
disciplinando la responsabilit dei padroni e committenti per i danni arrecati dal fatto illecito dei commessi nellesercizio delle loro incombenze, richiede che
domestici e commessi abbiano perseguito, con il
comportamento dannoso, finalit coerenti con le
mansioni affidate e non estranee allinteresse del padrone o committente (Cass., 4.6.2007, n. 12939, in
Mass. Foro it., 2007). La responsabilit del datore di
lavoro deve dunque essere esclusa quando il fatto illecito sia dettato da fini di privata autonomia dellagente, rispetto ai quali il committente non sia nemmeno mediamente interessato o compartecipe
(Cass., 27.3.1987, n. 2994, infra, sez. III).
Infine, in altre massime si legge che, ai fini della
responsabilit indiretta ex art. 2049 cod. civ., sufficiente un rapporto di occasionalit necessaria tale
per cui le funzioni esercitate abbiano anche soltanto
agevolato la realizzazione del fatto lesivo, essendo
irrilevante, pertanto, che il dipendente abbia superato i limiti delle mansioni affidategli, o abbia agito con
dolo e per finalit strettamente personali (Cass.,
22.8.2007, n. 17836, in Mass. Foro it., 2007; Cass.,
24.11.2000, n. 15192, in Foro it., 2001, I, 867).
La prima formula non pare dar luogo a grossi
problemi interpretativi laddove intende escludere la
responsabilit del proponente quando levento dannoso bens riferibile al commesso, non nellesercizio delle incombenze cui adibito, ma allinterno di
unattivit privata del dipendente, separata e distinta da quella dimpresa.
In tale ambito pu inquadrarsi la fattispecie in cui
un autista dipendente di una agenzia viaggi, noleggiato con lauto da un privato per una gita, durante
una pausa della guida, aveva cagionato un danno a
questultimo a causa di un mal riuscito lancio della
canna da pesca. A questo proposito la Cassazione ha
escluso la responsabilit dellagenzia, precisando
che non sufficiente che lillecito si sia verificato in
coincidenza con lespletamento dellincarico, ma
necessario che esso sia stato quantomeno agevolato
o reso possibile dallesercizio delle mansioni a cui il
dipendente era adibito (Cass., 11.7.1975, n. 2766,
in Giur. it., 1976, I, 1, 1174). Un collegamento con
lesercizio delle mansioni manca poi anche nel caso
in cui un incaricato della vendita di un veicolo aveva
cagionato un incidente mentre guidava non per una
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prova su strada, ma per una gita gaudente, senza


che nessuno dei danneggiati trasportati vi partecipasse come aspirante acquirente dellautomobile su
cui viaggiava (Cass., 30.12.1971, n. 3776, in Resp.
civ. e prev., 1972, 411).
Nelle fattispecie considerate il rapporto di occasionalit necessaria manca in quanto il comportamento dannoso non stato, in alcun modo, agevolato dallesercizio delle mansioni esplicate, onde la
condotta del preposto non pu venir riferita allambito delle attivit commessegli e alla sfera giuridica
del preponente.
Con riguardo alla seconda massima citata nella
quale data rilevanza alla circostanza soggettiva delle finalit dellagire del preposto va detto che il riferimento a finalit coerenti rispetto allo scopo
delle mansioni e allinteresse del preponente viene
spesso utilizzato dalle nostre corti per affermare la
responsabilit di questultimo nei casi in cui il commesso pone in essere atti non coincidenti con loggetto dellincarico, ma da ritenersi pur sempre riconducibili al suo contenuto.
In tale direzione si muovono varie sentenze, le
quali statuiscono che, ai fini della responsabilit ex
art. 2049 cod. civ., non ha rilevanza il fatto che il
comportamento del commesso si sia posto in modo
autonomo nellambito dellincarico o abbia ecceduto i limiti di esso, anche in trasgressione agli ordini
ricevuti, sempre che il commesso abbia perseguito finalit coerenti con quelle in vista delle quali le mansioni gli furono affidate e non finalit proprie alle
quali il committente non sia neppure mediatamente
interessato o compartecipe (Cass., 12.3.2008, n.
6632, infra, sez. III; Cass., 4.6.2007, n. 12939, cit.;
Cass., 10.12.1998, n. 12417, in Giur. it., 1999, I, 1,
2031, con nota di Greca; in Danno e resp., 1999,
480; Cass., 27.3.1987, n. 2994, infra, sez. III).
Tale argomentazione evidenziano le nostre corti
coerente con la natura oggettiva di tale responsabilit e con il principio del rischio dimpresa che va
posto a fondamento dellart. 2049 cod. civ. Linquadramento operato dal legislatore della commissione
del fatto illecito entro la cornice dellesercizio delle
incombenze denuncia, infatti, lintento del legislatore di circoscrivere larea della responsabilit del
committente secondo gli stessi confini nei quali lattivit del preposto, ancorch svolta in forma illecita o
sfociante nellillecito, qualificabile come attivit
dimpresa, in quanto eziologicamente collegata con il
processo produttivo perseguito dal committente
(Cass., 28.6.1998, n. 6341; Cass., 27.3.1987, n.
2994, entrambe infra, sez. III).
Pertanto, anche nei casi in cui lattivit dannosa
vietata o compiuta al di fuori di un incarico preciso,
lindagine sulle finalit dellagire del preposto pu
condurre allaffermazione della responsabilit del
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datore di lavoro laddove queste si rivelino non estranee al suo interesse o quantomeno coerenti con le
mansioni affidate.
Risulta tuttavia di immediata evidenza che il riferimento allinteresse del preponente non sta altro a
significare se non che il preposto ha esercitato (sia
pure esorbitando dai limiti dellincarico conferitogli) unattivit connessa con quella oggetto dellimpresa. In tal senso si esprime anche una pronuncia
della Cassazione, che operando uninterpretazione
autentica della ricorrente massima secondo cui il dipendente non deve perseguire finalit proprie alle
quali il preponente non sia neppure mediatamente
interessato o compartecipe afferma che il concetto di interesse mediato correlato alle finalit perseguite dal commesso, nientaltro esprime, evidentemente,
se non lesigenza della riferibilit del comportamento
del preposto (determinativo del danno) allambito
delle mansioni a lui affidate (Cass., 22.5.2001, n.
6970, in questa Rivista, 2002, I, 871, con nota di
Boeri).
La relazione tra fatto dannoso e finalit coerenti poi ben chiarita da autorevole dottrina che sottolinea come essa consista nel fatto che in realt lattivit compiuta dal preposto per giovare allimpresa
rientra normalmente nel rischio di impresa, anche
ove non sia stata espressamente autorizzata, e ci in
quanto la stessa rappresenta o una deviazione nel
modo di svolgere lattivit autorizzata, oppure una
attivit compiuta per eccesso di zelo (Trimarchi,
164).
Sempre con riguardo alla seconda massima citata
in cui viene data rilevanza alla circostanza soggettiva
delle finalit dellagire del preposto, particolare attenzione va riservata anche alle pronunce che utilizzano il riferimento allo scopo di privata autonomia dellattivit del commesso al fine di delimitare
la nozione di occasionalit necessaria, escludendo la
responsabilit del datore di lavoro tutte le volte in
cui il comportamento del commesso, anche se posto
in essere nellambito dellesercizio delle mansioni,
non sia riferibile alle esigenze e agli scopi per cui il
lavoro viene svolto (Cass., 17.3.1990, n. 2226, in
Giur. it., 1991, I, 1, 355, con nota di Carusi).
Tale indirizzo non univoco, in quanto contrasta
con lorientamento espresso dalle nostre corti nella
terza massima sopra riportata, secondo cui, ad integrare il rapporto di occasionalit necessaria, sufficiente la circostanza che le funzioni esercitate abbiano agevolato levento lesivo, restando irrilevante il
fine personale perseguito dal commesso.
Il contrasto giurisprudenziale risulta ben evidente
dallesame delle opposte conclusioni cui sono pervenute le nostre corti con riguardo a due fattispecie
analoghe, in quanto entrambe relative ad uno scherzo tra dipendenti poi risoltosi tragicamente. Cos
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Responsabilit civile

stata negata la sussistenza del nesso di occasionalit


necessaria nel caso in cui il dipendente di un istituto
di vigilanza era rimasto ferito dalla pistola maneggiata per scherzo da un collega, che aveva contravvenuto al divieto del datore di lavoro di tenere la pistola carica nei locali dellistituto (Pret. Lecce,
16.10.1981, in Giur. merito, 1982, I, 536); al contrario, si riconosciuta la responsabilit del datore di
lavoro per lomicidio causato da un aiuto cameriere
che, svolgendo le sue mansioni in cucina e scherzando con un coltello, aveva cagionato al cuoco una ferita mortale (Cass., 16.5.1968, n. 1541, infra, sez.
III).
Emblematiche sono le motivazioni che le sentenze pongono a fondamento delle loro decisioni. Secondo il primo giudice la circostanza che il vigilante
si sia messo a scherzare con la pistola carica ha senza
dubbio interrotto qualsiasi nesso di occasionalit
necessaria, ammenoch aggiunge polemicamente la sentenza non si voglia aderire alla teoria della
condicio sine qua non, per cui ogni fatto anche remoto pu essere causa di un certo evento. Sarebbe, infatti, ingiusto ancora secondo questa pronuncia
far ricadere sempre sul datore di lavoro, del tutto incolpevole, responsabilit derivanti da unazione autonoma del dipendente, in contrasto con le direttive
del committente.
Al contrario, la seconda sentenza citata afferma la
presenza di un nesso di occasionalit necessaria in
base dellosservazione che lesercizio delle incombenze agevol levento lesivo. Nesso la cui esistenza
non pu essere esclusa secondo le argomentazioni
della corte dal fatto che lattivit volitiva del cameriere non era pi diretta nelleffettuare il fatale
scherzo, ad uno scopo proprio del datore di lavoro, ma
ad uno scopo proprio di esso dipendente, trattandosi
di circostanza attinente allelemento subiettivo del
reato, la quale non vale ad escludere detto collegamento, che sussiste anche se il commesso abbia agito
contro lordine del committente.
Tali contrapposti indirizzi si rinvengono in giurisprudenza anche con riguardo al caso del preposto
che nellambito delle proprie mansioni pone in essere un atto doloso o addirittura un reato. Ambito in
cui il contrasto pi evidente se si considera che il
dipendente che dolosamente consuma un reato mira
a realizzare finalit meramente egoistiche (altrimenti
il preponente sarebbe chiamato a rispondere direttamente ex art. 2043 dellillecito, eventualmente a titolo di concorso; Franzoni, 743, infra, sez. IV).
Cos, in alcune sentenze si richiede che il commesso che ha cagionato il fatto nellambito delle sue
mansioni abbia perseguito fini coerenti con queste e
non abbia agito per fini privati (Cass. pen,
17.3.1988, infra, sez. III). su questo terreno che si
innesta anche la decisione in esame, la quale con819

Cass., 26.1.2010, n. 1530 - Commento

fermando la sentenza dappello che aveva negato la


sussistenza di un rapporto di occasionalit necessaria con lesercizio delle mansioni a cui la guardia
giurata era adibita in quanto lassassino aveva agito
per finalit proprie esclude la responsabilit dellistituto di vigilanza sulla base dellargomentazione
che latto illecito del vigilante non stato occasionato da finalit coerenti con le mansioni esercitate. Si
legge infatti che non configurabile la responsabilit del preponente ex art. 2049 quando, come nel caso di specie, manchi ogni legame tra latto produttivo del danno e lo scopo in vista del raggiungimento
del quale il datore di lavoro aveva affidato al dipendente le mansioni in occasione delle quali lillecito
sia stato compiuto.
In altre pronunce, invece, le nostre corti hanno statuito che, ai fini della responsabilit del preponente,
sufficiente un rapporto di occasionalit necessaria, tale per cui le funzioni esercitate dal preposto abbiano
anche solo agevolato levento lesivo, restando irrilevante che il dipendente abbia superato i limiti delle
mansioni affidategli, o abbia agito per finalit strettamente personali. In base a questa argomentazione la
Cassazione ha, per esempio, riconosciuto la responsabilit del Ministero della Difesa per le violenze subite
da un militare di leva da parte di soldati e graduati in
quanto realizzate proprio in virt del vincolo di subordinazione gerarchica esercitato sul danneggiato
(Cass., 22.8.2007, n. 17836, cit.).
Ma questultimo orientamento trova la sua pi
frequente applicazione nellindirizzo che come si
visto supra ribadisce costantemente che il dolo del
commesso nel compiere il fatto dannoso non esclude il rapporto di occasionalt necessaria e, in particolare, riconosce la responsabilit della banca per le
truffe o le appropriazioni indebite realizzate dai
propri dipendenti a danno degli ignari clienti (cfr.,
fra le tante, Cass., 6.3.2008, n. 6632; Cass.,
12.3.2008, n. 6632, entrambe infra, sez. III).
In esito a queste osservazioni, si pu affermare
che il criterio utilizzato dalla giurisprudenza e nella sentenza in commento che fa riferimento alle finalit dellagire del commesso deve, ancora una volta, essere ridimensionato nella sua portata: il fatto
che gli atti illeciti siano compiuti dal dipendente nellambito dellesecuzione della prestazione, ma per
un fine proprio, non sembra infatti di per s elemento determinante per escludere il nesso di occasionalit necessaria. Si deve convenire dunque con
chi ritiene che, se lesercizio delle incombenze espone il terzo allingerenza dannosa del preposto, il preponente pu essere chiamato a rispondere anche nel
caso in cui il preposto abbia abusato della sua posizione, agendo per finalit estranee a quelle del preponente (Bianca, 736).
Tale argomentazione, infatti, coerente con il
820

Responsabilit civile

fondamento della responsabilit del committente


qual riconosciuto dalla dottrina, ma soprattutto
accolto dalla stessa giurisprudenza quello cio di
addossare a chi trae vantaggio dallattivit del preposto il complesso di rischi connessi con tale attivit
ed in particolare il rischio dovuto alla fallibilit dellelemento umano (Visintini, 629, infra, sez. IV;
Trimarchi, 155). Seguendo questa teoria, il datore
di lavoro deve rispondere degli illeciti posti in essere
dal preposto anche quando egli agisca per fini propri, se essi siano collegati strettamente con lesercizio dellimpresa e notevolmente facilitati da questo,
tanto che le eventuali conseguenze dannose possano
considerarsi concretizzazione del maggior rischio
che determinate attivit introducono nella societ
(Trimarchi, ibidem).
Cos, alcuni aa., senza negare valore assoluto alla
formula del nesso di occasionalit necessaria, ritengono che la stessa debba essere precisata alla luce
del fondamento della responsabilit del datore di lavoro (cfr., per tutti, Visintini, 630, la quale evidenzia come il datore di lavoro sia chiamato a rispondere se latto dannoso del preposto realizza il rischio
tipico dellattivit esercitata).
A risultati particolarmente rigorosi giunta la
dottrina che ha tentato di correggere i due capisaldi della responsabilit vicaria ex art. 2049 individuati dalla giurisprudenza nesso di occasionalit
necessaria e attivit privata del preposto cercando
di coordinarli anche in una prospettiva di incentivi di efficienza nella prevenzione degli incidenti
(Monateri, 1003, infra, sez. IV). Questo a. nel delineare i confini dellattivit privata del preposto
mette in chiaro, da un lato, che attivit privata del
dipendente non significa sfruttamento a fini privati
delle mansioni affidategli dal datore di lavoro e,
da altro alto, che lattivit del preposto non diviene privata quando il preposto semplicemente realizza il rischio tipico creato dallattivit del preponente. In definitiva, secondo tale opinione, lattivit
del preposto privata quando si pone al di fuori
della sfera di vigilanza e di controllo e di rischio tipico ascrivibile giuridicamente al preponente (Monateri, 1002).
Qualora si voglia interpretare la fattispecie considerata alla luce di questa impostazione, va osservato
che il comportamento della guardia giurata che,
mentre svolge servizio di vigilanza davanti ad una
banca, uccide a colpi di pistola un passante, sia pure
per fini personali, si pone come realizzazione del
rischio tipico dellattivit cui era stato adibito dal
preponente (che prevede la disponibilit di armi da
fuoco), e di tale atto illecito il datore di lavoro deve
essere ritenuto responsabile anche al fine di incentivarlo nella prevenzione dei danni che posono scaturire da quella attivit.
NGCC 2010 - Parte prima

Cass., 26.1.2010, n. 1530 - Commento

III. I precedenti
1. Il rapporto di occasionalit necessaria. La formula della c.d. occasionalit necessaria costantemente e pedissequamente ribadita
dalla giurisprudenza al fine di indicare il rapporto
tra fatto illecito del commesso e svolgimento dellincarico (cfr., recentemente, Cass., 12.3.2008, n.
6632, in Danno e resp., 2008, 1219, con nota di Bartolini; Cass., 6.3.2008, n. 6033, in Dir. ed econ.
ass., 2009, I, 261; Cass., 24.1.2007, n. 1516, in Mass.
Foro it., 2007; Cass., 18.10.2006, n. 22343, in Lav.
nella giur., 2007, 787, con nota di Graziani; Trib.
Venezia, 16.2.2006, in Giur. merito, 2006, 1932).
Giurisprudenza risalente ha affermato che lart.
2049 cod. civ. stabilisce una presunzione iuris et de
iure di responsabilit fondata sulla culpa in eligendo
e in vigilando (Cass., 29.10.1970, n. 2256, in Mass.
Foro it., 1970; Cass., 21.5.1971, n. 1515, in Foro it.,
1971, I, 1895). Tale indirizzo stato criticato dalle
sentenze che hanno ravvisato la ragione della responsabilit del padrone e del committente nel criterio della inscindibilit degli effetti dannosi da quelli
utili (principio del cuius commoda eius incommoda) (Cass., 16.5.1968, n. 1541, ivi, 1968, I, 1792).
Lorientamento pi recente ritiene che detta norma
preveda una forma di responsabilit oggettiva
(Cass., 16.5.2006, n. 11375, ivi, 2006, I, 2014; Cass.,
7.1.2002, n. 89, in Mass. giur. lav., 2002, 248, con
nota di Ruggiero; in Notiz. giur. lav., 2002, 290),
che trova la propria giustificazione nella teoria del
rischio di impresa (Cass., 11.1.2010, n. 215, in Guida al dir., 2010, n. 6, 34, con nota di Tatarelli;
Cass., 14.6.1999, n. 5880, in Danno e resp., 1999,
1022, con nota di Pedrazzi; in Studium iuris, 1999,
1286; Cass., 26.6.1998, n. 6341, in Danno e resp.,
1999, 429, con nota di Pizzetti; Cass., 27.3.1987,
n. 2994, in Giur. it., 1988, I, 1, 1833, con nota di
Verzoni). Non mancano tuttavia pronunce che in
mero ossequio verbale al tradizionale principio della
colpa quale fondamento della responsabilit (Visintini, 623) fanno tuttora riferimento alla presunzione iuris et de iure di responsabilit (Cass.,
22.3.1994, n. 2734, in Mass. Giust. civ., 1994).
La Cassazione ritiene sussistente il nesso di occasionalit necessaria allorquando il lavoratore abbia
operato oltre i limiti dellincarico, purch nellambito delle sue mansioni: cos, nel caso del dipendente
che, guidando un trattore per espletare un servizio
del quale era incaricato, aveva consentito ad un altro
dipendente di collocarsi come passeggero sul parafango del mezzo e ne aveva cagionato la morte a seguito di manovra errata (Cass., 7.1.2002, n. 89, cit.).
Parimenti la Cassazione ha ritenuto una societ che
gestiva unarea portuale responsabile per lormeggio
di imbarcazioni dello scoppio di un gommone in esiNGCC 2010 - Parte prima

Responsabilit civile

to alloperazione di gonfiamento con compressore


effettuata su richiesta di un cliente abituale da un dipendente, eccedendo i limiti delle sue competenze
(Cass., 10.5.2005, n. 9764, in Foro it., 2006, I, 183).
Secondo giurisprudenza costante il rapporto di
occasionalit necessaria non viene meno nelle ipotesi di dolo del dipendente: cos stata condannata al
risarcimento dei danni la banca per il fatto del dipendente della filiale che si appropriato indebitamente di una somma di denaro versata nelle sue mani, presso listituto, da ignari clienti (Cass.,
20.3.1999, n. 2574, in Danno e resp., 1999, 1021 ss.,
con nota di Pedrazzi. In casi analoghi la Cassazione ha affermato la responsabilit indiretta della banca per fatti illeciti compiuti da suoi funzionari a danno dei clienti: cfr. Cass., 6.3.2008, n. 6033, cit.;
Cass., 12.3.2008, n. 6632, cit.; Cass., 16.5.2006, n.
11375, cit.; Cass., 26.6.1998, n. 6341, cit.; Cass.,
9.8.1994, n. 7348, in questa Rivista, 1995, I, 773,
con nota di Bontempi; Cass., 8.11.1984, n. 5649, in
Mass. Giust. civ., 1984; Cass., 24.7.2009, n. 17393,
in Rep. Foro it., 2009, voce Responsabilit civile,
n. 289, con riguardo allattivit illecita posta in essere da un promotore finanziario). Parimenti stata riconosciuta la responsabilit indiretta del condominio, quale datore di lavoro, in relazione alla condotta dolosa del portiere addetto alla ricezione della
corrispondenza, il quale, dopo aver ricevuto un plico contenente carta di credito e relativo PIN, indirizzato ad un condomino, ha provveduto ad utilizzarla effettuando prelevamenti e pagamenti senza
consegnarla al legittimo proprietario (Trib. Firenze, 10.5.2007, in Foro tosc., 2007, 302, con nota di
Tartaglia).
2. Lattivit privata del commesso quale limite al rapporto di occasionalit necessaria.
Ampia la casistica giurisprudenziale in materia.
La Cassazione ha riconosciuto la responsabilit di
un istituto di vigilanza nel caso di una guardia giurata che, nellesercizio dei propri compiti, segnalava
ad un complice le assenze degli occupanti delle ville
affidate alla vigilanza dellistituto e gli indicava lora
in cui potevano commettersi i furti con tutta sicurezza, argomentando che tale responsabilit viene meno solo nel caso in cui il commesso abbia operato al
di fuori del rapporto con il committente, senza alcuna attinenza con le proprie mansioni e con gli scopi
del committente (Cass. pen., 17.3.1988, in Riv.
pen., 1989, 934). Ancora, la Supr. Corte ha cassato
la sentenza che aveva escluso la responsabilit del
datore di lavoro per il fatto di un dipendente che,
rimproverato da un compagno per questioni concernenti le modalit di esecuzione dellattivit lavorativa, ne aveva causato preterintenzionalmente la
morte, lanciandogli contro un mattone (Cass.,
821

Cass., 26.1.2010, n. 1530 - Commento

30.10.1981, n. 5724, in Mass. Giust. civ., 1981, laddebito di responsabilit al datore di lavoro per litigi
tra dipendenti era stato invece negato da Cass.,
4.1.1980, n. 20, in Riv. infort. e mal. profess., 1980,
II, 207). Infine, la Cassazione ha riconosciuto la responsabilit del datore di lavoro quando il commesso, pur eccedendo i limiti dellincarico, abbia perseguito finalit coerenti con quelle in vista delle quali
le mansioni gli furono affidate: cos nel caso di un sinistro stradale causato da un motocarro affidato da
un imprenditore ad un proprio dipendente per il
trasporto di materiale, era rimasto leso un altro dipendente della stessa impresa che il primo trasportava sul veicolo per fargli raggiungere il posto di lavoro (Cass., 27.3.1987, n. 2994, cit.).
Per una panoramica giurisprudenziale v. Gaudino, La responsabilit di padroni e committenti nella
casistica giurisprudenziale, in Contr. e impr., 1987,
915.
IV. La dottrina
1. Il rapporto di occasionalit necessaria. In dottrina opinione prevalente che la responsabilit dei preponenti sia responsabilit oggettiva (cfr., per tutti, Bianca, Diritto civile, 5, La responsabilit, Giuffr, 1994, 729; Visintini, Trattato
breve della responsabilit civile, Cedam, 1996, 619).
Con riguardo al fondamento teorico della responsabilit di padroni e committenti, ampio comunque il panorama dottrinale, cfr. Scognamiglio, voce Responsabilit per fatto altrui, nel Noviss. Digesto it., XV, Utet, 1968, 691; Bonvicini, La responsabilit civile per fatto altrui, Giuffr, 1976, 66
ss.; De Cupis, Il danno: teoria generale della responsabilit civile, Giuffr, 1970, 144 ss.; Rodot, Il problema della responsabilit civile, Giuffr, 1964, 148;
Trimarchi, Rischio e responsabilit oggettiva, Giuffr, 1961, 70 ss.; Galgano, Diritto civile e commerciale, II, 2, Le obbligazioni e i contratti, Cedam,
1990, 322. Per un esame del fondamento dellart.
2049 cod. civ., in prospettiva storica, cfr. Galoppi-

822

Responsabilit civile

ni, Profilo storico dellart. 2049, in Riv. trim. dir. e


proc. civ., 1970, 67 ss.
Talora la dottrina ha criticato la formula giurisprudenziale delloccasionalit necessaria: cfr., per tutti,
Scognamiglio, 699; Ruffolo, La responsabilit vicaria, Giuffr, 1976, 111. In senso favorevole v. invece
Comporti, Rischio professionale della banca e responsabilit extracontrattuale, in Funzione bancaria rischio
e responsabilit della banca, a cura di Maccarone e
Nigro, Giuffr, 1981, 30; Salvi, La responsabilit civile, nel Trattato Iudica-Zatti, Giuffr, 2005, 197, il
quale sostiene che tale principio, opportunamente
precisato, consente di raggiungere risultati congrui alla funzione della norma.
2. Lattivit privata del commesso quale limite al rapporto di occasionalit necessaria.
Per unampia rassegna critica delle teorie di dottrina
e giurisprudenza sul punto cfr., Bal, Lesercizio delle incombenze quale limite della responsabilit dei padroni e dei committenti, in Giust. civ., 1990, II, 339.
In dottrina viene criticata la rilevanza che alcune
sentenze danno alla circostanza che il preponente
sia interessato o compartecipe alle finalit del preposto: cfr., Bianca, 736, nt. 30, ove si osserva che
questo riferimento allinteresse del preponente
contrasta (...) con linterpretazione che ha piuttosto
riguardo allobiettivo collegamento tra il danno e le
incombenze del preposto, quali che siano i fini che
questultimo si prefigge. Scettici nei confronti di
questo criterio soggettivo sono anche Trimarchi,
164 ss.; Monateri, Le fonti delle obbligazioni, 3, La
responsabilit civile, nel Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, Utet, 1998, 1002.
Per lopinione secondo cui il datore di lavoro deve essere chiamato a rispondere del comportamento
del dipendente che integri il rischio tipico dellattivit cui viene adibito, cfr. Trimarchi, 155; Visintini, 630; Monateri, 1003; Franzoni, Lillecito,
nel Trattato della resp. civ., diretto da Franzoni,
Giuffr, 2004, 736.
Alessandra Salomoni

NGCC 2010 - Parte prima

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