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Franco Bellandi

Mito e ideologia:
et dell'oro e mos maiorum in Giovenale
1.

Il proemio e l'excursus centrale della satira VI

Nel corso degli ultimi decenni, il proemio della satira VI di


Giovenale (w. 1-24) ha subito - soprattutto ad opera della critica anglosassone - un radicale mutamento di status: dopo che a
lungo lo si era interpretato (specialmente in Italia, seguendo
suggestioni crociane) come quadro michelangiolesco... ritratto
con vero abbandono poetico, in cui sarebbe possibile avvertire
del primitivo, di un'anima
il soffio di un'anima innamorata
che sembra farsi antica narrando i fatti antichi1, ci si finalmente accorti, con qualche ritardo e purtroppo, per, anche
con molti fraintendimenti di segno diverso, del suo carattere
sottilmente ambiguo.
Fra i primi a sottolineare questa ambiguit di tono del proemio fu W.S. Anderson, che calc l'accento sulle scarse attrattive
della donna delle caverne, quale risulta dall'ambivalente caratterizzazione fattane da Giovenale: il suo aspetto selvaggio e
scarmigliato, la sua goffa grossolanit, non possono non suscitare una sorta di disgusto nel lettore che, cos, si accosta necessariamente alla parte prima della satira (w. 21-285) avvertendo
ambiguit nell'ottica del Satinst, non del tutto convinto che il
mondo del passato sia cos desiderabile come quello del presente2.
1. A. Serafini, Studio sulla satira di Giovenale, Firenze 1957, p. 168: crocianamente, egli parla di un sereno stato di contemplazione in cui il lettore s'immergerebbe
con il poeta, dimentico di s e del suo mondo; si tratterebbe per Giovenale, perso
nel vagheggiamento nostalgico del passato, di una aversio dagli orrori del presente
ben pi forte che non in Livio (Id., Maia 3, 1950, p. 86). L'idea del quadro
michelangiolesco era gi in E.V. Marmorale, Giovenale, Bari 1938 (19502), pp.
111-112, che parlava di un raccorciamento della prospettiva. Contra: vedi le giuste osservazioni di D. Nardo, La sesta satira di Giovenale e la tradizione eroticoelegiaca latina, Padova 1973, p. 9, n. 11. Invece che Michelangelo, vi sentiva niederlaendisches Geschmack C.F. Heinrich, nel suo commento adi. (Bonnae 1839).
2. W.S. Anderson, Juvenal 6: A Problem in Structure, Cl. Philol. 51, 1956, pp.

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Una volta apertasi questa strada del dubbio, per cos dire,
fu poi H.A. Mason che giunse a rilevare nell'esordio della satira
la presenza continua e dissacrante di un malizioso wit, che toglierebbe ogni seriet alla iniziale rappresentazione della trogloditica coppia-modello, fino a spogliare di qualunque reverenza il quadro decisamente animalesco di questi Adamo ed va
pagani. Questo studioso, infatti, tende a svuotare quasi del tutto la tensione moralistica di Giovenale, e a fare della sua satira
pura letteratura ironico-giocosa, evidentemente non riuscendo
ad ammettere che wit (o, almeno, certe forme di esso) e seriet
di impegno morale possano, invece che opporsi, collaborare3.
Giusta, quindi, nella sostanza l'esigenza cui, poco pi tardi,
sent di dover dare risposta D. Singleton, operando il tentativo di reintegrare a questo
giovenaliano (da poco recuinevitabilmente
al
e,
soggetto a comperato poeta perci, quasi
la
funzione
di necessaria
prensibili soprawalutazioni)
il
suo
4.
scopo, Singleton ha
Purtroppo, per raggiungere
creduto di dover rovesciare il senso di questa rappresentazione
giovenaliana dell'Et dell'Oro: cos nell'ironia che, effettivamente, si percepisce qua e l nei versi iniziali della satira VI egli
ha voluto cogliere i segnali di una sottile critica operata da parte
di Giovenale quale Author nei confronti di un mito (quello del-

75-76 (ora in Essays on Roman Satire, Princeton N.J. 1982, pp. 257-258, da cui si
citer anche in seguito). Comunque, gi G. Highet, Juvenal th Satirist, Oxford
1954, p. 100, aveva parlato di un aprirsi jokingly della satira.
3. H.A. Mason, Is Juvenal a Classici, Arion 1, 1962, p. 8 ss. e 2, 1962, p. 39 ss.,
poi ripubblicati in Cntical Essays on Roman Literature: Satire, ed. by J.P. Sullivan,
London 1963, p. 93 ss. (vedi p. 137; cfr. anche A.C. Romano, Irony in Juvenal,
Hildesheim 1979, pp. 116-117). Su questa linea interpretativadi Giovenale in chiave
di pura literaryfrivolity, vedi quanto ho gi scritto in Dizionario degli scrittorigreci
e latini, Settimo Milanese 1987, s.v. Giovenale, p. 1044. Come scrive E. Courtney,
A Commentary on th Satires of Juvenal, London 1980, p. 155: Juvenal writes
with true desperation e la sua gaiety - quando c' - si pu definire born of
desperation.
4. D. Singleton, Juvenal VI 1-20 and Some Ancient Attitudes to th Golden Age,
Greece and Rome, 19, 1972, p. 151 ss.: there is a type of seriousness (not necessarily synonymous with 'earnestness') that is not incompatible with wit (p. 152);
there is a sort of seriousness about this passage... which suggests a serious purpose
behind th undoubted Juvenalian wit (p. 165). Sul concetto e la funzione dello
vedi CA. Van Rooy, Studies in CUssical Satire and Related Literary
,
in Greek
Theory, Leiden 1965, p. 90 ss.; G. Giangrande, The Use of
and Roman Literature, The Hague 1972.

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Et dell'oro e mos maiorum in Giov enaie

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la primordiale innocenza dell'Umanit) che all'occhio del Moralista-Filosofo, quale Giovenale per Singleton e deve essere - in contrapposizione al suo Satirist di facciata - non potrebbe non presentare spunti e motivi di imbarazzo e di
perplessit5. L'Et dell'Oro, infatti, ha sottolineato Singleton
- s et di
perfetta innocenza, ma non di vera moralit, perch
quest'ultima comporta la presenza inevitabile e dialettica del
male, del peccato da superare e da vincere, e senza lotta,
senza scelta fra alternative diverse, non si da morale degna di
questo nome6. Singleton che nel corso del suo studio si occue funzioni di questo mito assai
varie
versioni
utilmente
delle
pa
diffuso nella letteratura precedente (anche filosofica) - non si
accorge di lasciarsi fuorviare proprio dall'analisi di questi precedenti verso un'interpretazione che con Giovenale finisce per
non avere pi nulla a che vedere: ovvio, infatti, (o almeno
dovrebbe esserlo), che Giovenale non Piatone e non si pu
certo attribuire al poeta satirico latino la problematica etica del
della Repubblica (358*; 368e ss.)7, ma
Politico (27lc-272d)
5. Su questa teoria del Satirist, ho pi volte espresso e motivato la mia perplessit
(vedi Dizionario cit., pp. 1045-1046, e, pi in particolare per la sat. V, Sulla satira
quinta di Giovenale. In margine a un recente commento, Boll. Studi Latini, 20,
1990, pp. 91-92): in realt, se c' un personaggio, questi proprio il moralistafilosofo delle ultime satire, costruito volenterosamente ma stentatamente con materiali oraziano-senecani; il satirico/uomo della strada delle prime satire sembra
molto pi vicino al fondo della personalit giovenaliana (e, difatti, non difficile
ritrovarlo anche sotto il moralista filosofeggiante dei libri IV e V, appena appena
grattando sotto la superficie, cfr. F. Bellandi, Etica diatribica e protesta sociale
nelle Satire di Giovenale, Bologna 1980, p. 66 ss.; 84 ss.). Nota Courtney op. cit. p.
257 (a proposito appunto della satira VI): th poet is judging from th viewpoint
of th husband... not from that of a moralist.
6. Cfr. Singleton, art. cit. pp. 153-154: Juvenal leaves us in no doubt; the tone of
the passage under discussion makes it certain that we are meant to re] e et the ideal
of innocence hre depicted (il corsivo mio); p. 165: it (se. the prologue) is an
ironical statement by Juvenal of his sphre of interest as a satirist, implying that he
speaks for and to civilized man, aeeepting both the disadvantages and the potential
value of the civilized state. This involves the acceptance of the invitable sinfulness
of civilization, but also of the fact that civilization is moral becauseitis sinful, for
clearly morality cannot exist unless the possibility of its opposite also exists. Ancora pi significativa Paffermazione che conclude il lavoro: innocence must be
destroyed in order that something more valuable may take its piace, con Pilluminante rimando alla Genesi e al concetto di redenzione come a stato pi complesso e pi felice della semplice innocenza. Singleton non esita a parlare di Christian
analogy (p. 162).
7. Per Piatone (Polit. 27c-272d) - dice Singleton (p. 156 s.) - e per Aristotele

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neanche quella posidoniano-senecanadi Epistulaead Lucilium


90, con la sua discussione su presenzae funzione di sapientes-re
e di philosophianell'et aurea8,senza caderein un grosso equivoco.
La posizione di Giovenal (e proprio del cosiddetto Giovenaie democriteo) a proposito del ruolo svolto dalla filosofia
nel raggiungimentodella felicit da parte dell'uomo quanto

impossibile per l'uomo essere felice e, dunque,


(Polit. 7, 1334*), senza
l'et aurea, nella sua amoralit afilosofica, non pu costituire il vero ideale di vita.
Per la verit, altri passi di Piatone impostano diversamente il problema, e proprio
con riferimento a questo mito: vedi, per es., Leggi lYhd-e, dove Piatone invita
l'uomo contemporaneo ad imitare la vita che si racconta del tempo di Crono; non
si deve poi dimenticare che in Piatone la razza aurea ha anche una valenza simbolico-gerarchica; in ogni caso la questione assai pi complessa di come la riduce il
Singleton: vedi U. Bianchi, Razza aurea, mito delle nque razze ed Elisio. Un'analisi stonco-religiosa, Studi Mater. Storia Relig. 34, 1963, p. 163 ss.; B. Gatz, Weltalterygoldene Zeit und sinnverwandte Vorstellungen,Hildesheim 1967, p. 54 ss.; K.
Kubusch, Aurea Saecula: Mythos und Geschichte, Frankfurt/Bern/New York 1986,
p. 29 ss.; M. Hartman, The HesiodicRoots ofPUto's Myth ofthe Metals, Helios,
15, 1988, p. 103 ss.
8. Cfr. Seneca ep. 90, 5: ilio ergo saeculo quod aureum perhibent penes sapientes
fuisse regnum Posidonius iudicat... proprio Seneca a impostare il problema nei
termini che pi meno Singleton vorrebbe attribuire a Giovenale: cfr. par. 36 (non
erant UHsapientes viri, etiam si fadehant facienda sapientibus...) parr. 44-46 (sed
quamvis egregia Ulis vita fuent et carens fraude, non fuere sapientes...ignorantia
rerum innocentes erant; multum autem interest utrum peccare aliquis nolit an nesciat...omnibus bis virtutibus <sc. iustitia, prudentia, temperantia, fortitudo> habebat similia quaedam rudis vita). Mancavala filosofia a questa et di felicit inconsapevole e quindi rudis (cfr. par. 35 hanc philosophiam fuisse UH rudi saeculo
...non credo). Vedi E. Bertoli, L'et dell'oro in Posidonio e Seneca, Quad. Lingue
Letter., 7, 1982, p. 151 ss.; A. Novara, 'Rude saeculum' que l'ge d'or selon Snque (d'aprsAd Ludi. 90, 44-46), Bull. Ass. G. Bude 1988, p. 129 ss.; F.R. Chaumartin, Snque, lecteur de Posidonius (A propos des lettres 88 et 90), Rev. Et.
Lat. 66, 1988, p. 21 ss.; L. Castagna, Storia e stonografia nel pensiero di Seneca, in
AA.W., Seneca e la cultura, Napoli 1991, p. 112 ss. Sul rapporto SenecaGiovenale, cfr. Bellandi, Etica diatnbica cit., p. 75: dopo aver polemizzato con la
visione diatribica dell'esistenza, Giovenale finisce per accostarvisi, ma non va
molto oltre un rimpasto di luoghi comuni in cui l'elemento senecano (spolpato dei
risvolti pi problematici e ridotto a sententiae di un moralismo alquanto scontato)
importante, ma solo accanto ad altri (Orazio, per es., e soprattutto il diatribismo
gi penetrato e diffusosi nelle facili argomentazioni delle declamazioni e negli exempL dei manuali e repertori dell'insegnamento retorico). Ma Seneca non mai stato
per Giovenale stimolo a riflessioni filosofiche approfondite (cfr. n. sg.); al massimo,
come suggerisce Gatz, op. cit. p. 127, Giovenale potrebbe essere stato indotto dalla
lettura deW'ep.90 di Seneca a sviluppare l'idea della semplicit dell'et aurea; ma,

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Et dell'oro e mos maiorum in Giovenale

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meno tiepida9 e non certo su questa base che si pu giungere a


dar conto della presenza delle venature ironiche nella delineazione del mito dell'innocenza aurea. Anche il tentativo di
prestare a Giovenale le perplessit morali che il mito dell'Et
dell'Oro suscita nel Virgilio di Georgiche 1, 121 ss. a causa del
gravis veternus in cui torpebant i regna Saturnia (ibid., v. 124),
non regge affatto quando si constata che Giovenale ha gi inserito nella sua et aurea quegli elementi santificanti che sono il
labor improbus e la duris urgens in rebus egestas (Georg. 1, 145146), elementi che Virgilio fa invece apparire solo nell'et successiva, grazie all'intervento in qualche modo provvidenziale
di Iuppiter, che mette fine all'inerzia beata del regno del padre
(Georg. 1, 129 ss.).
evidente che l'et aurea di Giovenale ha un'asprezza primordiale, tutta lucreziana (almeno nel colore, vedi infra),

a mio avviso, Lucrezio pi che sufficiente per spiegare il particolare tono del
proemio giovenaliano (vedi infra).
9. Cfr. 13, 18-22 e 120-123, su cui vedi Bellandi, Etica diatnbica cit., p. 74, . 114.
Del resto, anche se Giovenale non ce lo avesse dichiarato in modo esplicito, ugualmente non sarebbe stato difficile accorgersi della povert concettuale del suo pensiero e della sostanziale rigidit della sua problematica morale: Giovenale - non di
rado - grande e, talora, grandissimo poeta, ma come moralista non va molto al di
l dell'antitesi passatista fra il quondam e il nunc. Singleton giunge a dire che Giovenaie non pu rifiutare la civilt e ritirarsi da essa in un passato idealizzato (pp.
164-165), il che chiunque abbia letto il nostro satirico sa che proprio ci che egli fa
costantemente (sia nella fase aeW'indignatio,che nella fase democritea, s che non
possibile distinguere fra un atteggiamento simulato e la sua demistificazione,
come vorrebbe la teoria del Satirist). Per Singleton, Giovenale non pu non prendere le distanze da quella moralit ingenua che si mostra incapace di distinguere fra
gradi diversi di male; ma Giovenale non si preoccupa mai di sceverare con scrupolosa caraturai gradi della peccaminosit e del vizio e anche quando cerca di farlo, lo
fa spesso goffamente (si pensi solo agli espedienti transizionali fra i vari quadri della
sat. VI, spesso basati su una valutazione di maggiore minore gravita dei comportamenti femminili e, talora, del tutto insostenibili dal punto di vista logico, vedi per
es. . 434 ss.): Giovenale non certo lOrazio di serm. 1, 3 (cfr. n. 44). Nel caso
particolare del proemio della sat. VI, comunque, se proprio si volesse rinvenire una
matrice filosofica, si potrebbe pensare ad una qualche influenza del concetto cinico della felicit legata alla natura e all'istintualit animale,
einfaches Leben,
lungi dagli eccessi della cultura (cfr. Gatz, op. cit. p. 126), filtrato in Roma attraverso la diatriba cinico-stoica (dalle Menippee di Varrone, cinico da salotto [Paratore], a certi passi di spiccata marca diatribica di Seneca): ma il cinismo di Giovenaie , come vedremo, solo in funzione di un'antitesi iperbolica con gli eccessi del
luxus contemporaneo, non meditata convinzione filosofico-ideologica.

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che la garantisce da qualunque sospetto di amoralit paradisiaca*10.


Con tutto ci, non si vuoi certo tornare alla proposta di leggere il quadro giovenaliano dell'Et dell'Oro in termini di sogno michelangiolesco, n si vuoi ricadere in quell'immagine
compattamente seriosa del poeta, che, pur fra tanti equivoci,
ormai da tempo stata posta legittimamente in crisi. Se venature ironiche e tocchi di ambiguit sono di fatto disseminati nel
tessuto della rappresentazione, se palesi lacerazioni, riflesso di
polemiche attuali, vengono a crepare la superficie della scena
iniziale, occorrer chiedersi se non siano rintracciabili spiegazioni pi soddisfacenti di quelle sin qui indicate. Vedremo che
Pambiguit del proemio della satira VI spiegabile altrimenti
che con una volont di semplice lusus letterario (Mason) con
un intento di svuotamento critico, a partire da un'ottica filosofica, del contenuto ideologico del mito in questione (Singleton).
Cominciamo, dunque, con l'analizzare pi da vicino questi
24 versi della satira VI11: si pu dire che questo prologo am-

10. Il lavoro nell'et aurea era gi stato introdotto da Arato (Pbaen. v. 112:
ma senza intaccare l'atmosfera idillica dell'et felice; la frugalit era
),
stata invece introdotta, per lo meno sottolineata, da Cicerone nella sua traduzione
(Aratea, fr. XVII Soub. malebant tenui contenti vivere cultu), e passer in Ovidio
Met. 1, 104-106 (solo, per, per la prima fase della sua et aurea), cfr. A. Barchiesi, Letture e trasformazioni di un mito arateo, MD 6, 1978, p. 181 ss.; ma gli
elementi pi propriamente aspri (dovuti alla contaminazione fra mito dell'et
aurea e narrazione storico-antropologica delle origini ferine) vengono da Lucrezio (cfr. Nardo, op. cit. pp. 6-7). In Giovenale, per la verit, ci sono solo alcuni
elementi di vita ferina, perch la sua et dell'oro (dichiaratatale per motivi morali)
ha gi diversi elementi di civilizzazione materiale (vedi infra); interessante il confronto con Virgilio Aen. 8, 319 ss., dove l'et dell'oro, portata da Saturno in fuga
dall'Olimpo, non per il Lazio la prima et in assoluto (che descritta, invece,
come dura e primitiva), ma una fase successiva in cui, proprio grazie agli insegnamenti del nuovo arrivato, si hanno i primi ritrovati della civilt (cfr. M. Pavan, s.v.
aurea, in Enciclopedia Virgiliana, I, Roma 1984, p. 412 ss.; G. D'Anna, II Lazio e
la concezione virgiliana dei Saturnia regna, in Id., Virgilio, Roma 1989, p. 105 ss.).
11. Spesso si considera il proemio concluso col v. 20 (cos, per es., P. rcole, Studi
giovenaliani, Lanciano 1935, pp. 186 e 216; Anderson, art. cit. p. 257; Nardo, op.
cit. p. 5; ed altri). Ma, anche se il tono dopo il v. 20 ha una sterzata (cfr. . 20), i w.
21-24 costituiscono il naturale e necessario epimythion di quanto precede (fra l'altro
sono proprio i w. 23-24 a chiarire l'articolazione precisa in et metalliche delle
fasi prima indicate pi genericamente con le denominazioni di regno di Saturno e
di Giove, cfr. n. 13); con funzione di cerniera, l'apostrofe a Postumo (v. 21) serve a
prepararelo sviluppo seguente, che con sufficiente chiarezza sembra giungere fino

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Et dell'oro e mos maiorum in Giovenale

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biguo, che minato nella sua apparenteserietda maliziosi


spunti ironici? e se cos , in che senso?
Certo, Giovenale non crede al Mito delle Et nella forma
in cui ce lo viene presentandonell'esordio della composizione:
certo non crede all'esistenzadi un'et in cui regnasseSaturnus
(v. 1), seguitadal regno di un Iuppiterprimapuer e poi barbatus
(w. 15-16), allafuga dallaterradi Astraeae Pudicitiainorridite (w. 19-20).
Se non bastasseroa dimostrarloi palesi spunti ironici, soprattutto evidenti nei w. 15-1712,ed altri, forse meno appariscenti,
ma non meno sicuri, su cui avremo modo di soffermarcipi
avanti, il confronto con 13, 38-52 - un passo ricolmo di pungente ironia sul pi tradizionale,vieto, ciarpamemitologico
dovrebbe toglierci ogni possibile dubbio sul fatto che il nostro
autore non pu credereall'esistenzadi un'Et dell'Oro e poi - di un'Et dell'Argento e del Ferro, corrispondentirispettivamente ai regni di Saturno e di Giove13.Dopo aver detto,
al v. 37. Con i w. 38-40 il discorso subisce un oscuramento nel senso e nella distribuzione delle battute a causa dell'imbarazzante presenza del personaggio di Ursidio
(di ci mi occuper pi dettagliatamente in un lavoro di prossima pubblicazione);
ma certamente lo zoccolo introduttivo dura fino al v. 59, dopo di che inizia la
struttura a quadri autonomi (e talora mal collegati) dedicati alle varie forme della
depravazione femminile, che rendono ormai impraticabile il matrimonio.
12. Nei w. 15-16 e 16-17 contribuiscono all'effetto ironico i due saporosi enjambements, miranti certamente a creare attesa e aprosdketon (nondum I ... barbatus e
turareparatis I per caput... alterius, con il sorprendente alterius in cesura semiquinaria); in quest'ultimo esempio, poi, interviene una rottura del tempo mitico (cfr.
Nardo, op. cit. pp. 9-10; E. Pianezzola, Forma narrativa e funzione paradigmatica
di un mito: L'et dell'oro Utina, in Studi di Poesia Latina in onore di A. Traglia,
Roma 1979, II, p. 591) volutamente umoristica. R. Marache (Rhtorique et humour
chez Juvnal, in Hommages ]. Bayet, Bruxelles 1964, p. 475 s.), parla di un processo di ridicolizzazione degli dei e, a proposito dell'inizio di VI, di solennit
parodique.
13. Nella prima parte del proemio (w. 1-20) Giovenale si limita a opporre il regno
di Saturno al regno di Giove, alludendo a diverse fasi di quest'ultimo come stadi di
crescente degenerazione morale, senza ricorreredapprima alle consuete designazioni per mezzo dei metalli; solo ne'epimythion (w. 21-24) che appaiono le denominazioni di ferrea aetas (v. 23) e di argentea saecuL (v. 24), le quali implicano
evidentemente un'impostazione del mito delle Et in 3 gradi: 1) Oro (soggiorno di Pudicizia sulla terra); 2) Argento (residue tracce di questo soggiorno, w.
14-15; comparsa dei primi adulteri, v. 24); l'et d'argento coincide con la puerizia di
Giove: love nondum barbato = Iove puero, w. 15-16; 3) Ferro (apparizione di
tutti gli altri crimini, v. 23): l'et ferrea sembra cominciare con la maturit sessuale

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infatti, che al giorno d'oggi si vive in un'et peggiore addirittura


dell'Et del Ferro, alla cui scelleratezza la natura stessa non ha
saputo trovare un nome metallico (13, 28-30), Giovenale si fa
amaramente beffe della simplicitas di Calvino, che pretenderebbe il rispetto dei giuramenti prestati in nome degli dei, e soggiunge:
Quondam hoc indigenae vivebant more, priusquam
sumeret agrestem posito diademate falcem
Saturnus fugiens14, tunc cum virguncula Iuno
et privatus adhuc Idaeis Iuppiter antris;
nulla super nubes convivia caelicolarum
nec puer Iliacus formonsa nec Herculis uxor
di Giove, quando Iuppiter diventa barbatm (cfr. anche n. 16). Veramente, c' una
lieve incongruenza nella determinazione temporale delle et metalliche: l'et
d'argento dovrebbe cominciare con l'assunzione del regno da parte di Giove (sub
love) e, dunque, proprio con l'uscita di questi dallo stato di puerizia (cfr. 13, 41
dove pnvatus adhuc... Iuppiter pi meno equivale a Iuppiter nondum barbatus),
mentre qui sembra che essa cominci con la nascita stessa del futuro sovrano del cielo
e giunga fino alla sua pubert (per una pi corretta scansione delle et mitiche,
cfr. Ovidio Met. 1, 113-114). Quanto all'allontanarsidi Pudicitia dal mondo degli
uomini, in un primo momento del processo di decadenza (corrispondente all'et
d'Argento) le fughe della dea sono ancora saltuarie (cfr. multa...vestigia...aut aliqua, w. 14-15; pauUtim, v. 19): il modello di tale comportamento potrebbe essere
quello della Vergine (Dike) di Arato Phaen. v. 115 ss., - verisimilmente noto a
Giovenale dalle traduzioni latine di Cicerone e/o Germanico - che anch'essa non
abbandona tutto d'un colpo la terra per il cielo ma dapprima- nonostante il disgusto per le loro colpe - si limita a diradare la sua frequentazione degli umani.
14. Questi versi vogliono semplicemente dire prima che, con la cacciata di Saturno ad opera del figlio Giove, avesse termine l'et dell'oro; il passo presenta qualche contatto formale con Virgilio Aen. 8, 314 ss., 319 ss.: indigenae (hapax in Giovenale) proviene di l, come dimostra anche la stessa posizione in semiquinaria(cfr.
v. 314 di Virgilio); a conferma della utilizzazione del passo virgiliano da parte di
Giovenale - in tema di raffigurazione dell'et aurea- cfr. luv. 6, 12 / Virg. Aen. 8,
315; e da quel passo di Virgilio (v. 320) dipende anche fugiens di 13, 40, riferito a
Saturno, ancora nella medesima sede del verso; ma ci non deve far pensare che
Giovenale voglia rimandare qui alla particolare concezione dell'et aurea presente
in quel passo virgiliano (cfr. n. 10), e relativa al Lazio: in Virgilio l'opposizione
indigenae/fugiens (anche exut) funzionale al contesto (opponendo gli antichi e
selvaggi abitanti del luogo al nuovo arrivato);in Giovenale, invece, tale opposizione
non agisce pi e, per il senso, indigenae potrebbe benissimo essere sostituito da
antiqui veteres, ma maliziosamente preferito perch suggerisce l'idea della necessit dell'autoctonia (e del non-contatto con lo straniero) ai fini della moralit:
tratto, insieme, topico delle descrizioni dell'et aurea (cfr., per es., Ovidio Met. 1,
94-96 e vedi il tema absentia navium nell'index di Gatz, op. cit. p. 229 4 a) e
profondamente giovenaliano.

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Et dell'oro e mos maiorum in Giovenale

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ad cyathos et iam siccato nectare tergens


bracchia Volcanus Liparaea nigra taberna;
prandebat sibi quisque deus nec turba deorum
talis ut est hodie, contentaque sidera paucis
numinibus miserum urguebant Atlanta minori
pondre; nondum faliquisf sortitus triste profundi
Imperium Sicula torvos cum coniuge Pluton
nec rota nec Furiae nec saxum aut volturis atri
poena, sed infernis hilares sine regibus umbrae.

Dunque, l'et in cui si viveva onestamente, rispettando i giuramenti e gli dei, quella stessa del regno di Saturno prima della
sua cacciata ad opera del figlio Giove (ancora privatus in Creta
= nondum barbatus di 6, 15-16), quando ancora Giunone, la
futura sposa, era verginella. I tratti ironici sono molteplici15 e
valgono a confermarci che anche nella satira VI in realt
Giovenale sta scherzando sopra il mito che racconta e su Iuppiter, in particolare, in modo anche abbastanza irriverente16.
Ma, se non ci crede, perch Giovenale ha scelto proprio questo mito come incipit della sua satira?
Un fatto certo: se Giovenale non presta fede al mito delle

15. Il segnale d'ironia pi vistoso naturalmente il diminutivo hapax virguncula


riferito a Giunone; anche prvatus, in riferimento a Giove, lo umanizza in una
riduttiva connotazione burocratica; ma sarcastico soprattutto l'accenno al gran
numero degli dei (turba deorum... contro paucis numinibus), come fossero un fardello inutile e gravoso non solo per le spalle del povero Atlante; si suggerisce cos,
senza troppe remore, che di tante divinit si potrebbe fare benissimo a meno: il gran
numero degli dei sentito come un es. di luxuria peregrina (non si viveva meglio
quando gli dei erano meno numerosi e, magari, delle nostre parti?); piena di sottintesi anche l'allusione alla loro attivit principale (convivia), con la presenza alla
mensa celeste del paggetto asiatico per eccellenza (puer Iliacus, cfr. 5, 56 e 59 flos
Asiae... Ganymeden e - per le riserve morali di Giovenale su queste presenze ai
banchetti - cfr. 11, 145 ss.): con l'avvento del regno di Giove la moralit comincia a
vacillare gi in cielo, non solo in terra (cfr. n. sg.). Quanto all'ironia sul ciarpame
mitologico, si confronti l'elenco delle tradizionali pene infernali con l'esplicita dichiarazione di 2, 149-153 (su cui vedi sotto).
16. L'accenno alla pubert di Iuppiter, infatti, non allude - sia pur umoristicamente - soltanto al dato neutro dello scorrere del tempo nel mito: il cenno del v. 59
(adeo senuerunt Iuppiter et Mars?) chiarisce che Giovenale ha in mente la raffigurazione tradizionale di Giove come seduttore/adultero per eccellenza (cfr., per es.,
Catullo 70 e 72, ecc). Dopo l'Et d'Argento, gli adulteri si moltipllcheranno anche
perch l'esempio viene ormai dall'alto (concetto questo tipicamente giovenaliano:
cfr. v. 617).

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Franco Bellandi

Et disposte secondo uno schema di progressiva decadenza


morale , senza alcun dubbio egli crede ad un processo di dissoluzione dei valori morali in corso dal passato al presente18:
quindi, egli accetta in qualche modo la sostanza del mito, se
pure scherza sopra la sua forma tradizionalmentepi diffusa
o, comunque, pi nota a livello letterario. E, del resto, lo
stesso Giovenale a rivelarci assai esplicitamentequal il suo
atteggiamentonei confronti di questi materialimitico-favolosi
vulgati, a dichiararcila sua intenzione di farneun uso puramente allegorico-strumentale:
esse aliquos manes et subterranea regna
et contum et Stygio ranas in gurgite nigras
atque una transire vadum tot milia cumba
nec pueri credunt, nisi qui nondum aere lavantur.
Sed tu vera puta... (2, 149-153).

Dunque, nessuno pi crede alle fole sull'aldil, nemmeno i


bambini, se non forse quelli che sono ancoracos piccoli da non
pagareil biglietto d'ingressoper entrareai bagni pubblici. Sed
tu vera puta: Giovenale non vuole, naturalmente,che il suo
lettore conceda credito reale a tali assurdit,ma ritiene che sia
talora proficuo un uso strumentaledi siffatti temi ed espedienti
17. Se nell'archetipo letterario esiodeo lo schema di progressiva decadenza morale
non del tutto rispettato (cfr. B. Gatz, op. cit. pp. 1-51; L. Bona Quaglia, Gli
Erga di Estodo, Torino 1973, pp. 85-130, con ampia bibliografia nelle pp. 243268, cui sar da aggiungere almeno K. Kubusch, op. cit. p. 9 ss.), e se non lo ,
come abbiamo gi visto (cfr. n. 10), neanche in Virgilio (Aen. 8, 314 ss.), dove
abbiamo prima un progresso dalla ferinit originaria all'et d'oro e poi la decadenza, destinata ad essere interrotta dal rinnovarsi dello splendore aureo nell'et augustea, lo schema discendente massimamente coerente in Ovidio Met. 1, 89 ss.
18. Si tratta, com' ben noto, di uno dei concetti-cardine della sua satira:il contrasto tune, quondam, olim I nunc un ritornello ossessivo della predicazione morale
giovenaliana (cfr. Nardo op. cit. p. 12; J. De Decker, Iuvenalis declamans, Gand
1913, p. 34 ss.; S.C. Fredericks, Calvinus injuvenal's thirteenth satire, Arethusa
4, 1971, p. 229, n. 7). La storia regresso morale, non progresso; il vizio al giorno
d'oggi al culmine (1, 81 ss.; 147 ss.; 6, 634, 644 ss.; 10, 34 ss., 47; 13, 28 ss.).
L'unica eccezione sembra 15, 106 ss., dove cultura e storia appaiono come un processo di avanzamento lento, di ammorbidimento della ferocia degli animi, oggi
giunto a compimento. Ma proprio il pessimismo atroce di questa satira (cfr. 15,
29-32; 129 ss.; 159 ss.) - per quanto sia, per cos dire, mirato alla denigrazione
degli Egiziani - rende cos problematico il cenno da giustificare l'interpretazione di
Courtney, op. cit. ad /., che lo definisce highly ironie (cfr. n. 54).

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Et dell'oro e mos maiorum in Giovenale

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per dare espressivit, colore, icasticit ai concetti, agli insegnamenti che gli interessa comunicare. Lo stesso vale, evidentemente, per il proemio della satira VI con il suo Mito delle Et: si
osserver che Giovenale non si presta a fare un uso strumentale
totalmente serio di questo stock di immagini neanche l (2,
149-152) dove, pure, l'impiego di quei materiali munito di un
esplicito avvertimento destinato a non lasciare alcun dubbio sul
reale pensiero dell'autore19. A maggior ragione, perci, spunti
ironici - segnali della sua incredulit alla lettera di quel che
sta affermando - gli debbono essere concessi in 6, 1-24, dove
manca affatto una dichiarazione come quella di 2, 152 (necpueri
una presa di distanze preventiva come in 15, 117credunt...)

118 (utiam quae carminatraduntl dignafide credas) ed anzi,

al contrario, tutto quanto viene detto posto sotto l'impegnativa egida dell'iniziale, solenne Credo...20.
Evidentemente, Giovenale ritiene di poter ironizzare e scherzare sul significante (il mito, di ascendenza greca, scelto per
comunicare il suo pensiero) senza, per, giungere a intaccare il

19. L'uso sapiente della metonimia, della sineddoche, del dettaglio ironico caratteristico di Giovenale quando vuoi ridicolizzare - sbriciolandolo - qualche concetto serio (cfr. 7, 3-5). Qui per Caronte si cita la sua pertica (contus), per le onde cupe
dello Stige le rane che vi gracidano, mentre un razionalismo ironico, quasi ecataico, si incentra sul particolare assurdo che tot mi Ha possano transirevadum una
cumba. Marache, art. cit. p. 475, parla di vritable ironie voltairienne. Per l'uso di
materiale mitologico greco, al quale non si presta fede (s Graecia vera), cfr. 14,
239-43: qui la nutazione finale {tamquam et tubicen surrexent una) svolge una
funzione di ridimensionamento ironico, ai limiti deWaprosdketon,che sgonfia
uno sviluppo troppo esteso dato al motivo.
20. Il tono singolarmente solenne dell'esordio di VI stato variamente notato
(nel confronto con gli indignati inizi ex abrupto delle prime satire, che esordiscono
per lo pi con interrogazioni retoriche ed esclamazioni): cfr. Anderson art. cit. p.
257, che parla di epic grandeur del prologo e vede l'inizio all'antica maniera spostato ritardatoa 21-24; anche Nardo, op. cit. p. 5, parla di respiro insolitamente ampio e pacato. In effetti (se escludiamo il tono asseverativo e pacatamente
amaro di sat. Ili, cfr. Ludo tarnen al v. 2), l'unica satira che abbia un inizio paragonabile a VI la sat. X, in apertura del libro programmaticamente democriteo di
Giovenale: vi lo stesso sguardo universalistico (non pi legato ad un'ottica
ossessivamente romana: cfr. 6, 2 in temriscon 10, 1 omnibus in ieras...), un analogo tono amaro, sia pur tenuto sotto controllo (cfr. Bellandi, Etica diatribica cit., p.
66); tuttavia, col gioco sottile dei suoi anacronismivoluti (cfr. n. 28 a proposito di
Larem, v. 3, e soprattutto Graecis... altenus, w. 16-17), la sat. VI allude ironicamente al suo raggio d'interesse - in realt - pi romano che propriamente universale.

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Franco Bellandi

significato in cui crede (il processo di decadenza della moralit in corso dal passato al presente). Sulle motivazioni di una
simile operazione ci soffermeremo nella seconda parte del nostro lavoro: per ora, accontentiamoci di osservare che Giovenale crede di poter distinguere fra lettera e senso e ritiene di
poter giocare su questo iato, senza svuotare il suo messaggio
etico di ogni seriet.
Infatti, se prescindiamo momentaneamente dal rivestimento mitologico in cui Giovenale ha scelto di comunicarci il suo
discorso, non possiamo fare a meno di riconoscere che il contenuto ideologico di questo quadretto iniziale dell'Et dell'Oro
totalmente serio. Certo, non si potr dire che la coppia trogloditica che Giovenale ci presenta e su cui tanto si sono accaniti
Anderson, Mason, Singleton, appaia pienamente attraente ai
nostri occhi21. Ma si pu per questo sostenere che Giovenale
nega la validit di quei valori che - tramite l'immagine di
questa coppia primordiale - egli addita all'imitazione del suo
pubblico? E il confronto con il fondamentale excursus centrale
costituito dai w. 286-30022 a dimostrare in modo inequivocabile come in entrambi i passi - sia pure con toni molto diversi: del
tutto seriamente in 286-300; con tratti ironici e macroscopicamente iperbolici in 1-24 - sono esaltati e propugnati esattamente gli stessi valori23. Possiamo anche, per comodit, riassumere

21. Singleton (art. cit. p. 152) ha giustamente sottolineato, sulla scia di Anderson,
ranimalit della coppia originaria: essi vivono non solo con gli animali (pecus
...communi... umbra, v. 4), ma come animali; la montana uxor quasi pi una
scrofa una vacca che una donna: ubera detto pi spesso di mammelle animali
(cfr. 12, 8 anche, per es., Virg. Georg. 2, 254 ubera vaccae) che del seno femminile
(vedi anche n. 39); cfr. la recente traduzione di G. Viansino, Milano 1990, p. 213:
le sue mammelle da mucca.
22. Per R.P. Bond, Anti-feminism injuvenal and Cato, in Studies in Latin Literature and Roman History, Bruxelles 1979, 1 p. 427 s., l'intervento del Satirist as a
Moralist, il cosiddetto bridge passage, comprende i w. 286-305, servendo i w.
300^-305 a ricollocare le donne al centro del quadro, dopo il discorso di tono pi
generale dei w. 292-300 a9 in simmetrica corrispondenza con i w. 286-291. L'osservazione acuta, anche se attenua soltanto e non elimina la durezza del passaggio
all'interno del v. 300. Pi discutibile la sua ripartizione di quello che sopra (cfr. n.
11) abbiamo definito Yepimythion del proemio (w. 21-24) fra 21-22 e 23-37 (ibidem, p. 419 s. e 423).
23. Lo notano genericamente sia Highet, op. cit. p. 268 . 11, che Anderson, art.
cit. p. 264; Nardo, op. cit. p. 14; Courtney, op. cit. ad l. rcole, op. cit. p. 215,
notava una qualche corrispondenza anche strutturale fra il prologo e il gruppo

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Et dell'oro e mos maiorum in Giovenale

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in uno schema orientativo gli elementi che nelle due rappresentazioni si corrispondono, mantenendola stessa identicafunzione, pur nella diversit dei contesti e dei toni:
Et dell'Oro (mito)

par1) piccolezza e modestia delle abitazioni \frgidaspelunca...

vas domos(w. 2-3)

Questa et aurea di Giovenale ha un colore decisamente lucreziano,


11
siglato anche da una precisa reminiscenza diretta, appena variata (v.
orbe novo caeloque recenti, derivante da Lucrezio 5, 907 tellure nova caela dura vita dei
loque recenti, cfr. Nardo, op. cit. p. 7, . 7). Colpisce che
di ambisfumatura
certa
una
con
autori
primitivi sia vista in entrambi gli
danno
che
elementi
e
il

luogo
diverso
ma
dosaggio l'impasto degli
guit;
a questo tono ambiguo: nel codice epico-didascalico di Lucrezio l'amvita
biguit risulta da alcune sfumature di rimpianto nostalgico per questa
ferina dei primitivi, tutt'altro che idealizzata ma nello stesso tempo, almeno in alcuni momenti, certamente vagheggiata come pura24;nel codice satirico di Giovenale, invece, l'ambiguit consiste proprio nei tratti di
humour che screziano d'ironia la tinta lucreziana del passo. Ma, nonostante questo sicuro rapporto di filiazione fra i due testi, che s'inscrive in un
affiorare di alcune
rapporto fra i due autori che va ben al di l del semplice
concetc'
non
sosteneva
come
corrispondenza
Highet25,
reminiscenze,

centrale di pensieri (dal v. 286, per, fino al v. 345), definendolo quasi come un
nuovo proemio corrispondente al primo (e indicando - discutibilmente - una possibile analogia nella sat. IV, douta di un secondo avvio nei w. 34-36). S.A. Cecchin, Letteratura e realt: la donna in Giovenale (Analisi della VI satira), in Atti del
II Convegno Nazionale di Studi su La donna nel mondo antico, (Torino 18-20
aprile 1988), Torino 1989, p. 141, accettando uno schema bipartito della satira,
rileva come entrambe le parti cominciano, in modo del tutto parallelo, con una
scena collocata nella pi remota antichit.
24. Cfr. L. Perelli, La storia dell'umanit nel V libro di Lucrezio, Atti dell'Acc.
Scienze di Torino, 101, 1966-1967, p. 157; non evidentemente il caso di entrare
qui nell'intricata questione del primitivismo lucreziano, su cui vedi, da ultimo, G.
Bonelli, / motivi profondi della poesia lucreziana, Bruxelles 1984, p. 291 ss. (con la
bibliografia precedente nella n. a p. 292, cui sar da aggiungere almeno A. Novara,
Les ides romaines sur le progrs d'aprsles crivains de h rpublique, Paris 1982, p.
313 ss. e D.H. Blickman, Lucretius, Epicurus and Prehistory, Harvad Stud. Cl.
Philol. 92, 1989, p. 157 ss.).
25. Cfr. G. Highet, JuvenaVs Bookcase, Amer. Journ. Philol. 72, 1951, p. 369
ss., ora ristampato in The Classical Papers ofG. Highet, New York 1983, p. 244 ss.
(da cui si cita), secondo il quale (p. 265) Giovenale desume da Lucrezio solo pochi

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Franco Bellandi

tuale esatta fra l'umanit primordiale descritta da Lucrezio in 5, 925 ss. e


gli aurei trogloditi di Giovenale. Questi ultimi, infatti, vivono stabilmente in una spelunca, che costituisce dunque una forma, sia pur rudimentale, di abitazione fissa (domos, w. 2-3); invece in Lucrezio 5, 932 gli

uomini primitivi vulgivago vitam tractabantmore ferarum: l'uti-

lizzazione di cavos montis (5, 955) (= speluncas) era saltuaria e casuale


come quella di nemora...silvasque e non comportava alcuna forma di insediamento stabile (cfr. 5, 970-972 saetigens...pares subus silvestria membra
I nuda dabant terrae no dumo tempore capti J circum se foliis ac
frondibus involventes, il che significa che essi, al calar delle tenebre, si
facevano il loro giaciglio di fronde dove capitava26).Si osservi che il tema
della vita in casa non senza legame essenziale col tema dei costumi
sessuali: cos, mentre l'et primordiale del satirico vede il trionfo della
Pudicitia, virt coniugale (cfr. n. 49), quella di Lucrezio esplicitamente
contempla la pratica di una sessualit indiscriminata (cfr. 5, 962 ss.: et
Venus in silvis iungebat corpora amantum;/ conciliabat enim vel mutua
quamque cupido/ vel violenta viri vis atque impensa libido/ velpretium...;
cfr. il concetto di Venus incerta moreferarum in Orazio, Serm. 1, 3, 109 s.,
di impronta lucreziana) e solo in una seconda fase del processo di civilizzazione (5, 1011 ss.), dopo la scoperta di casae/ignis/pelles (tutti elementi come s' visto - gi presenti in Giovenale sin dall'inizio), abbiamo l'affermarsi di un rapporto sessuale a struttura monogamica (5, 1012 et mulier
coniuncta viro concessa in unum) e l'allevamento dei figli come frutto riconosciuto dell'amore di coppia27. In Giovenale invece, e naturalmente
data l'ottica particolare della satira VI, la famiglia delle origini ha gi a

turns of phrase; maggiore sensibilit a una certa allure lucreziana, non necessariamente legata a reminiscenze dirette puntuali, mostra L. Canali, Giovenale, Roma
1967, pp. 42-43 (ora ristampato in / volti di Eros, Roma 1985).
26. Anche per Ovidio Met. 1, 121-122 le prime domus (antra e casae, come si pu
dedurre dal v. 122) appaiono solo nell'Et d'Argento. Inoltre, l'et primordiale ed
aurea di Giovenale conosce il fuoco (v. 3) e l'uso delle pelli animali (w. 6-7, cfr.
anche pecus, v. 4) a differenza di quella di Lucrezio (5, 953-954 necdum res igni

scibanttractarenequeuti I pellibus et spoliis corpusvestireferarum). Natu-

ralmente nel suo quadro di originario pudore Giovenale non pu ammettere la


nudit dei primitivi (cfr., invece, Lucrezio 5, 1426 s.: fngus enim nudos sine
pellibus excruciabat I teirigenas, cfr. 5, 970-971 membra I nuda; ma anche in
e i suoi primitivi in questo
Piatone, Polit. 272a gli uomini aurei vivono );
uso delle rudi pelles sono simili agli antichi e sani Italici di 14, 185-188 (cfr. n. 35):
ci a segnalare insieme il loro pudore e la loro frugalit di vita.
27. opinione corrente (e molto plausibile) che nella lacuna di un verso dopo 5,
1012 si parlasse esplicitamente di matrimonio, forse designandolo con il termine
coniugium I conubium I concubitus (da ipotizzarsi preferibilmente a inizio di verso,
in qualche nesso con tura, per spiegarne la caduta, dato che l'attuale v. 1013 comincia con cognita sunt); vedi il commento adi. di C. Bailey, Oxford 1947, III p. 1485.

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Et dell'oro e mos maiorum in Giovenale

103

pieno la struttura dell'istituto matrimoniale (cfr. uxor, v. 5; marito, v. 10;


cfr. n. 48) e non manca nemmeno l'elemento santificante della religione,
per Lucrezio posteriore (e fortemente negativo)28.

2) labori lavoro domestico della montana uxor (preparazione del silvester torus con fronde, paglia e pelli, ad opera della donna stessa, w. 5-7).
Qui il nucleo familiare ancora puro, essenziale (uxor/ maritus/ infantes); non ci sono schiavi, naturalmente, a fare i lavori domestici per la
signora a lavorare la terra per i padroni29 e, dunque, i domini (v. 4)
lavorano essi stessi; nel proemio, l'attenzione concentrata sulla donna,
che ha il consueto compito di accudire i figli e attendere ai lavori domestici
(sintetizzati nella preparazione del giaciglio); delle occupazioni specifiche
28. Tale elemento introdotto - con voluto anacronismo - con un termine appartenente al lessico della religione tradizionale romana (Lar, v. 3). Sull'atteggiamento
di Giovenale nei confronti della religione tradizionale romana e delle superstizioni straniere, cfr. soprattutto J. Beaujeu, La religion de Juvnal, in Mlanges J.
Carcopino, Paris 1966, p. 71 ss.; J. Gerzra, Juvnal et la ralit contemporaine, Paris
1976, p. 353 ss. Come si sa, per Lucrezio la religione (anzi il timore religioso)
creazione (nefasta) della mente umana in et pi avanzata (cfr. 5, 1161 ss.); vedi F.
Giancotti, Religio, natura, voluptas. Studi su Lucrezio, Bologna 1989. Nell'excursus
centrale della sat. VI (286-300 a) il tema religioso non esplicitamente ripreso, ma
lo subito dopo, col richiamo tematico a Pudicitiae...aram (v. 308); esso sar poi
sviluppato ulteriormente in tutto l'episodio della Bona Dea (fino al v. 345) e poi, e
contrario, negli episodi dedicati alla mania delle donne moderne per le superstizioni
orientali (v. 511 ss.). L'importanza del tema religioso (nelle sue forme tradizionali,
non-ellenizzate od orientalizzate) invece esplicita in 14, 182 (dove, sulle labbra
degli antichi Italici, si citano espressamente i numina ruris). Questa presenza dell'elemento religioso nella vita dei primitivi (sat. VI), degli antichi Italici (sat. XIV),
deve molto al Virgilio del secondo libro delle Georgiche (su cui vedi E. Castorina,
Sull'et dell'oro in Lucrezio e Virgilio, in Studi di stonografia antica in memoria di
L. Ferrer, Torino 1971, p. 99 ss., ora in Scitti Minon, Catania 1979, p. 18 ss. e G.
Barra, Le Georgiche di Virgilio e il mito del'et dell'oro, in Atti del Convegno
Virgiliano sul bimillenario delle Georgiche, Napoli 17-19 die. 1975, editi a Napoli
1977, p. 149 ss.); D. Joly (Juvnal et les Gorgiques in Hommages ]. Bayet, Bruxelles 1964, p. 290 ss.) ha mostrato come sia proprio questo il libro delle Georgiche
pi caro a Giovenale: ed soprattutto qui che il mito dell'et dell'oro si fonde con
l'ideologia augustea del recupero del mos maiorum, com' evidente soprattutto nell'esplicita equazione dei w. 532 ss.: hanc ohm veteres vitam coluere Sabini,/ hanc
Remus et f rater...I aureus hanc vitam in terris Saturnus agebat (cfr. F. Klingner,
ber das Lob des Landlebens in Virgils Georgika, Hermes 66, 1931, p. 159 ss.,
poi ristampato in Studien zur griechischen und rmischen Literatur, ZrichStuttgart 1964, p. 225 ss.).
29. Sul tema della absentia servorum in connessione col mito dell'et aurea, cfr.
Gatz, op. cit. pp. 119 e 127; index 4 e (a p. 229).

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104

Franco BeUandi

del marito non detto nulla, anche se si pu pensare innanzi tutto alla
lotta contro le fiere (che forniscono le pelles per il torus e per le vesti) e alla
cura del pecus citato nel v. 4. Questo del lavoro svolto personalmente dai
domini un tratto ideologicamente molto significativo che accomuna l'et
aurea e quelle et storiche di Roma e d'Italia in cui vigeva ancora il mos
maiorum00.

3) pericolo.
Il cenno alle vicinaeferae (v. 6) introduce nella rappresentazione- accanto
all'elemento/ asprezza di vita - l'altro e fondamentale elemento del rischio; la vita quotidiana della coppia primordiale assillata dal timore
continuo dell'assalto delle belve (cfr. Lucrezio 5, 982 ss.). Naturalmente
l'introduzione di un elemento di pericolo mortale (le belve) costituisce la
negazione di una delle caratteristiche strutturali della rappresentazione
tradizionale dell'et dell'oro: la pace e la sicurezza che derivano dall'assenza della guerra e dal buon rapporto con gli animali31.
30. Cfr. 11, 77 ss. (olim...Cunus parvo quae legerat horto I ipse focis brevibus
ponebat holuscuL, quae nunc I squalidus in magna fastidii compede fossor, I qui
meminit calidae sapiat quid volva popinae) dove - accanto al tema dell'antica frugalit (cfr. parvo... brevibus... holuscuL) - compare appunto l'elemento del lavoro
fatto con le proprie mani (quae legerat... ipse), il tutto in strdente antitesi con il
presente in cui il lavoratore servile, anzi lo schiavo ergastolano (in magna... compede
fossory cfr. 8, 180) - nonostante la sua condizione - in grado di sprezzare il cibo
umile, ma sano, del passato in confronto alle leccornie in uso nel suo tempo; lo
stesso concetto ribadito pochi versi pi tardi (11, 86-89: cognatorum aliquis titulo
ter consulis atque I castrorum imperiis et dictatoris honore I functus ad has epulas
solito maturius ibat I erectum domito referens a monte ligonem)y il che
significa che la sana aristocrazia di un tempo se ne andava lieta alle frugali cene
(addirittura nei giorni di festa: festis...diebus, v. 83; natalicium...lardum, v.
il monte con la propria zappa. Il qua84), dopo aver dissodato personalmente
dretto oleografico richiama facilmente altri passi: per es. 2, 73-74 (...ittud I monta-

numpositis... vulgusaratris) 14, 169-171(magnisfratribushorumI a scrobe


vel sul e redeuntibus alteracenaI ampliaret grandesfumabantpultibusoUae,

dove si ritrova anche il concetto della frugalit del cibo: pultibus, cfr. 11, 58)
ancora 14, 181-182, dove l'insegnamento antico (ohm) dei vecchi Italici consiste
ancora una volta nella formula lavoro e frugalit:/fcroem quaeramus aratro I
qui satis est mensis (il pane bisogna procurarselo col sudore del proprio lavoro e
non sfruttando il lavoro altrui, cfr. 8, 117-118 parce et messoribusUlisI qui saturant
urbem circo scaenaeque vacantem, e la misura deve essere quella sufficiente al bisogno, e non di pi). Espressiva, dunque, in 14, 159-160 l'antitesi fra il possidere del
latifondista odierno che fa lavorare gli altri (cfr. culti...agri) e Varare dell'antica
massa di piccoli proprietari, che conduceva personalmente l'aratro, cfr. 2, 73-74
(citato sopra). Vedi anche Canali, op. cit. pp. 40-41.
31. Cfr. D.S. Avalle, L'et dell'oro nella 'Commedia*di Dante, Letture Classen-

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Et dell'oro e mos maiorum in Giovenale

105

Et della Repubblicaromana(storia)
1 A) piccolezza
(w. 288-289).

e modestia delle abitazioni

: parva. ..teda

L'elemento/modestia
delle abitazionicompareanchenel passo ideologicamenteparallelo(gipi volte citato)di 14, 161 ss.: al v. 167 troviamo definita casa l'abitazionein cui vive la numerosaf umilia(cfr. turla casain questiobarn),in cui ancoraregnafelicementeil mosmaiorum*2;
ne sorgesu un appezzamentominuscolodi terreno(cfr.v. 163,vix iugera
bina; v. 166, glaebula; v. 172, nunc modushic agri nostronon sufficit
(cfr.saturabat,
horto),che pure in gradodi soddisfareabbondantemente
v. 166)i bisognidei numerosiabitanti;e l'ammonimentodei vecchiItalici
di un tempo (nei w. 179 ss.) cominciapropriocon un perentoriovivite
contenticasulis...33.

2 A) labori labor somniquebrves et veliere Tuscovexatae duraeque


manus(w. 289-290).
La donnalatinadell'etannibalicanon si abbandonaallapigriziae a sonni
troppoprolungatie, quindi,non lasciacontaminarela suamodestadimora
- datoil temaprincipale,se purnon
daivitia (v. 288), fracui naturalmente
unico, dellasatira:la scomparsadi Pudicitia- fondamentalequi la libido
strettamentesessuale (v. 294; cfr. 300 ss.). Il legame intercorrentefra
otiumldesidiae Venus/Amor (anchecon l'esemplificazionepropriodegli
- con l'invitoa occuimmodicisomnt)eragistatosviluppatoampiamente
parsinel lavoro(ovviamentein un'otticaben diversa!)- da Ovidio Rem.
Am. 135-150.Ma in Giovenale essenzialeil nessolibido& luxuria:cos,

si IV, Ravenna 1973, ora in Modelli semiologici neUa Commedia di Dante, Milano
1975, p. 85 s.; per il pacifico rapporto con gli animali feroci nell'et dell'oro, vedi
Piatone, Polit. 27\d-272b. Sul motivo, intrecciato col tema del vegetarismo, cfr.
Perelli, art. cit. p. 164 e Gatz, op. cit. p. 122 e 171 ss.
32. Qui siamo gi dopo i Punica proelia (w. 161-162), poich si parla appunto dei
veterani di quelle guerre e della loro ricompensa per le ferite riportatevi; ma siamo
subito dopo, alle soglie - evidentemente - del processo di corruzione che presto
comincer. Si ricordi che in Livio 39, 6, 7 (verisimilmente basato su Pisone fr. 34 P.)
l'inizio della luxuria peregrina fatto risalire al 187 a.C, data del trionfo asiatico di
Manlio Vulsone (cfr. C. Lena, V* Italia dei mores romani nelle Origines di Catone, Athenaeum 62, 1984, pp. 21-22).
33. Nella pane precedente della satira XIV (w. 86-95) non era mancato un breve
sviluppo sul tema del lusso relativo alle abitazioni (alta... culmina viUarum...marmoribus), giunto al giorno d'oggi a dimensioni veramente maniacali.

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106

Franco Bellandi

a proposito delle modalit del sonno, risulta significativo anche il tema


della frugale modestia del lectus, che nell'esordio (w. 5-7), naturalmente,
impostato in modo esasperato con l'accentuazione della rozzezza e scomodit del giaciglio (silvestrem ... torum ... frondibus et culmo ... pellibus), ma altrove trattato senza esagerazioni eccessive con riferimento
elogiativo al mos maiorum (11, 90 ss.: nudo Utere et parvis frons aerea
lectis I vile coronati caput ostendebat aselli).
Nell'excursus centrale della sat. VI il cenno alla brevit del riposo notturno
non collegato expressis verbis alla semplicit del letto (anche se ci in
fondo implicito in parva... teda), ma in 6, 88-89 era gi stato detto con
astio che le donne di oggi sono state allevatepiuma... et segmentatis...cunis
(anche se in determinate occasioni, e solo in quelle!, sanno fare a meno di
tali comodit, cfr. anche 259-260). Sul tema polemico del lectus auratus (v.
594), cfr. n. 39.
La donna dell'antica repubblica, poi, non si limita a distribuire il lavoro
alle ancelle ma, come dimostrano le sue mani sciupate, essa stessa Unifica, secondo un topos del mos maiorum romano relativo alle donne che si
manterr a lungo nel tempo e che sar ancora testimoniato dalle epigrafi di
elogio funebre delle donne in et abbastanzatarda; Giovenale non accenna
qui alle ancillae che verosimilmente attorniavano la matrona romana intenta al suo lavoro34e probabilmente lo fa per sottolineare Yhumilisfortuna di queste antiche Latine; ma anche laddove - in queste epoche idealizzate e santificate dal rispetto del mos maiorum - l'esistenza di elementi
servili ammessa, Giovenale bada bene a sottolineare l'esiguit o, comunque, la giusta proporzione di questa presenza: cfr. 14, 168-169 unus I
vernula, tre s domini, con unus nel risalto della clausola35.

34. Cfr., gi nell'et regia, la mitica Lucrezia: nocte sera deditam lanae inter
lucubrantes an e ili a s in medio aedium sedentem inveniunt, come la vede Livio in
1, 57, 9. Sul tema della filatura come compito tipicamente matronale, cfr. C.
Petrocelli, La stola e il silenzio, Palermo 1989, p. 99 ss.; ma al tempo di Giovenale il
lavoro della lana riservato alle sole schiave libert (cfr. 6, 497; 11, 69), quando con sarcastico paradosso - non prerogativa attribuita ai maschi effeminati (2, 5457).
35. Coerentemente all'ideale di frugalit propugnato, lo schiavo - visto come una
sorta di oggetto di lusso - deve essere presente in piccole dosi; si ricordi che in
questo passo (14, 161-162) si esalta la frugalit dei veterani delle guerre puniche,
oltre che delle guerre con Pirro, e quindi siamo proprio alla fine di quel terzo sec.
a.C. (o inizi II) che sta per vedere Pinizio dell'espansione a oriente di Roma (cfr. n.
32); essa avr quelle note conseguenze sul costume che i vecchi Italici di 14, 179 ss.
stigmatizzano con parole (peregrina ignotaque nobis I ad scelus atque nefas, quaecumque esty purpura duat) che Giovenale ha gi pronunciato in prima persona
nell'excursuscentrale della sat. VI (cfr. w. 294 ss., in part. 298 ss.: puma peregrinos
obscaena pecunia mores/ intulit et turpi f regerunt saecula luxu I divitiae molles).
L'unica differenza fra i due passi che in 14, 179 ss. il discorso incentrato sul

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Et dell'oro e mos maiorum in Giovenale


3 A) pericolo:
(w. 290-291).

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proximus urbi I Hannibal et stantes Collina turre mariti

La vicinanza del duce cartaginese uYUrbs svolge esattamente la stessa funzione delle ferae attorno alla spelunca primordiale (cfr. proximus in v. 290
e vicinarum in v. 6): si introduce, ora in modo esplicito, l'elemento/timore del nemico (qui umano, l ferino).
Si tratta del famoso motivo del metus hostilis, tema tradizionale ripreso efficacemente da Sallustio (Iug. 41, 2) e da Livio, per tacere di altri, e divenuto
presto un luogo comune36. La paura del nemico la sola capace di retinere
in bonis artibus civitatem. Nell'et dell'oro giovenaliana (sia in quella propriamente mitica, che in quella storica) la pax non deve avere parte:
fra i longae pacis m ala (cfr. i passi - ideologicamente affini - di Tacito,
richiamati in Nardo, op. cit., p. 14, . 24) c' soprattutto il predominio che
la luxuria acquisisce, rovinando i costumi. un vero e proprio paradosso
(la guerra e l'insicurezza fra i tratti caratterizzanti di un'et aurea), se si
pensa che la guerra l'elemento-principe delle rappresentazioni delle
et negative (bronzo, per es., in Esiodo e Arato, e soprattutto ferro)37.

Ma, a parte queste corrispondenze puntuali cos evidenti, il


quadro complessivo che perfettamente combacia: l'aspetto rozzo della montana uxor solo anticipazione e amplificazione
di quell'elemento che ritroveremo nelle mani sciupate e indurite
della donna latina arcaica (cfr. v. 290: vexatae duraeque manus); si ricordi che la bellezza delle mani era essenziale all'immagine ideale della donna nella poesia erotica38. Anche altri
particolari caratterizzanti Yuxor montana dimostrano che essa
simbolismo concreto della purpura (= pecunia/ divitiae), in antitesi con le rozze
pelles (= paupertas). Per il momento sui vecchi spossati (fractis aetate) il ricordo
ancora fresco delle ferite sofferte, del sangue sparso (14, 161-166 Punica passisproelia...pro multis... vulnenbus...merces ...sanguinis atque Uboris...) basta a svolgere la
medesima funzione modratrice del metus hostilis che, a rigor di termini, dovrebbe
considerarsi estinto con la cacciata di Annibale.
36. Cfr. n. di Courtney a 6, 290-291, alle cui indicazioni bibliografiche sar da
aggiungere almeno A. La Penna, Alcuni concetti base di Vairone sulla storia romana, Atti del Congresso Intern, di Studi Varroniani (Rieti settembre 1974), Rieti
1976, (ora in Aspetti del pensiero storico latino, Torino 1978, pp. 139-140).
37. Cfr. Gatz, op. cit. p. 229, 4 b (absentia belli). In Ovidio Met. 1, 97-100, per
es., il quale sviluppa, tra gli altri, celebri spunti tibulliani (1, 3, 47-48, in particolare,
e 1, 10, passim), gran parte della caratterizzazione dell'aetas aurea costituita proprio dalla negazione degli elementi di guerra (cfr. v. 142 ss.). Vedi il commento di F.
Bmer alle Metamorfosi (Heidelberg 1969), pp. 48-49 e 51-52.
38. Come ricorda Courtney ad /., in CEL 1988, 24 le durae manus di Allia Pote-

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Franco Bellandi

ha per Giovenale qualit positive (sia pure espresse iperbolicamente) che egli vorrebbe restaurate nella donna moderna: per
es. la cura personale dei figli (v. 9). La donna ricca di oggi non
vuole partorire e abortisce (w. 592-601); solo la povera costretta a generare e ad allevare la prole, zpartus subire discrmen
e omnes nutricis tolerare labores, spinta a ci dalla condizione
modesta (fortuna urguente)39. Soltanto la sana povert (Ybumilis fortuna di v. 287), dunque, pu costringere al corretto comportamento la donna che, altrimenti, seguendo la sua natura,
facilmente si corrompe. E se Yuxor montana scarmigliata e
poco attraente, per Giovenale non forse pi horrida (v. 10)
l'impiastricciata donna moderna foeda aspectu (v. 461), la cui
facies egli non esita a definire ulcus (v. 473)39bls?
Giovenale non Ovidio, che con franchezza dichiara la sua
ripulsione per le immundae Sabinae di una volta (Am. 1, 8, 39
ss.) e che decisamente preferisce il cultus del suo tempo40.
Anche il primordiale nutrimento a base di ghiande (cfr. v. 10:

stas sono probabilmente l'effetto del suo assiduo lavorare la lana, ma le mani della
donna dell'elegia han da essere tenerae (cfr. Ovid. Fast. 4, 773-774).
39. La moglie ideale di 14, 167-168, ligia ai dettami del mos maiorum, f ta ia.cebat (cfr., all'inverso, quanto accade al giorno d'oggi: sed iacet aurato vix ulla
puerpera lecto in 6, 594, col tema del letto lussuoso contrapposto al rozzo giaciglio
primordiale di 6, 5-7 e alla modesta casa di 14, 167) e annoverava fra i suoi figli
almeno trs infantes e un numero imprecisato di altri, pi grandi, gi in grado di
lavorare la terra (w. 168-171). Come la donna primordiale, essa non si rifiutava alle
fatiche dell'allevamento personale dei figli; anche su questo tema colpisce l'affinit
ideologica fra Giovenale e Tacito: in Dial 28, 4 Messalla rimpiange il buon tempo
antico (pridem) in cui suus cuique filius, ex casta parente natus, non in cellula emptae nutricis, sed gremio ac sinu matris educabatur, cuiuspraepua laus erat
tuen domum et inservire liberis, cfr. Agr. 4, 2 e, soprattutto, Germ. 20, 1 sua
quemque mater uberibus alit> nec ancillis aut nutricibus delegantur (dove ritroviamo l'uso di uberaf cfr. n. 21, trattandosi delle encomiabili ma selvagge Germane in contrapposizione al gremium ac sinus delle Romane). Doveva tratursi di
un tema polemico alla moda (cfr. Favolino in Gellio 12, 1, 1, su cui Bond, art. cit. p.
432).
39bis. Del resto, il valore moralmente positivo di questo particolare tipo di horror
esplicitamente affermato in passi come 10, 298 s. (sanctos licei horrida mores I

tradideritdomusac veteresimitataSabinos) 8, 116(horrida vitandaest Hispa-

nia, in contrapposizione alla resinata iuventus greco-orientale).


40. Su questo tema vedi le considerazioni di A. La Penna, Gusto modernizzante e
modello arcaico nell'etica delVeros in Ovidio, in Id., Fra teatro, poesia e politica
romana, Torino 1979, p. 181 ss. (in particolare, sull'elogio ovidiano del cultus, p.
188).

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Et dell'oro e mos maiorum in Giovenale

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gUndem ruotante marito) - nonostante la presenza del pecus nel


v. 4 faccia pensare ad uno stadio pi avanzato di economia pastorale - una voluta iperbole rispetto a quel concetto di humilis fortuna, di paupertas Romana originaria che, nell3'excursus,
richiamato espressamente senza puntuale, specifico, riferimento
al cibo - sebbene e contrario il riferimento, preparato dal v. 297,
ci sia poco dopo: cfr. w. 302-305, con ostrea, vino, ecc. - ma
che in tanti altri passi troviamo illustrato, con accentuata partecipazione emotiva, proprio con un'insistenza marcata sulla modestia e semplicit dei cibi dell'et arcaica di Roma41.
Si pu dunque parlare di un'ironia che svuoti il significato
del passo? Giovenale preferisce davvero le raffinatezze e la sensibilit gentile di Lesbia e di Cinzia42? e nega questo quadro

41. In 6, 10 siamo evidentemente ancora nell'et in cui l'uomo si ciba di ghiande


(primo alimento dell'uomo secondo la teoria della storia umana vista come progresso da origini ferine, teoria che di solito si oppone al mito delle razze delle et
in decadenza, mentre qui, come si detto, elementi dell'una e dell'altra si mescolano
inscuidibilmente). In 13, 57 troviamo ancora le ghiande come cibo dell'et aurea,
ma insieme ai pi gradevolifraga, che sono una variazione degli arbita di Lucrezio
5, 941 e 965 e provengono direttamente da Ovidio Met. 1, 104 (cfr. n. di Courtney
ad l e F. Della Corte, Virgilio e le ghiande del secolo d'oro, in Atti del Convegno
virgiliano sul bimillenario delle Georgiche cit. in n. 28, p. 309 ss.). In 14, 181 ss., gli
antichi Italici sono ormai al di l di questa et primitiva, che non rimpiangono
affatto (laudani hoc numina ruris I quorum ope et aux ilio gratae post munus
anstae I contingunt homini vetens fastidia quercus): il passaggio dalla ghianda al
pane sentito, dunque, come un notevole progresso. Ma qui siamo olim (v. 180):
dopo questo primo gradino positivo si proceduto troppo oltre (su esempio straniero: peregnna, v. 187). Dunque anche l'equazione che potremmo estrarre dal
=
proemio della sat. VI: et dell'oro (intesa come modello etico) et delle ghiande , in realt, solo un'iperbole; fuor di metafora, per cos dire, la vera et dell'oro
dal punto di vista morale quella tWolim romano-italico in cui si era usciti dalla
primordialit ferina, ma non si era ancora soggiaciuto all'influsso nefasto in direzione del luxus, proveniente da Grecia ed Oriente. Pane e non ghiande, dunque, ma
pane qui satis est mensis e non oltre. In 6, 18, Yhortus dell'et d'argento offre gi
caules et poma, ma si tratta sempre di cibi modesti e naturali (sui cavoli, in particolare, come cibo povero dei clienti d'oggi, cfr. 1, 134 e 5, 87). L'idea che esistano
dei bisogni naturali e necessari, colmati i quali non opportuno procedere oltre,
naturalmente democriteo-epicurea, ed arrivataa Giovenale attraverso i passi pi
scopertamente diatribici di Lucrezio, Orazio, Seneca (su cui vedi G.F. Gianotti,
Dinamica dei motivi comuni, Lucrezio, Orazio, Seneca in P.L. Donini-G.F. Gianotti, Modelli filosofici e letteran: Lucrezio, Orazio, Seneca, Bologna 1979, p. 3 ss.).
42. Anderson, art. cit. p. 257, sembra ammettere una forma di inconsapevole cedimento di Giovenale allo charme delle due donne moderne, corrotte ma affascinanti,
rispetto alla scarmigliatauxor montana (riserve in Bond, art. cit. p. 439, . 86); se si

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Franco Bellandi

iniziale di rozza ferinit, ai suoi occhi ripugnante, perch egli


(e non pu non essere) dalla parte della civilt? 3.
Non bisogna evidentemente scambiare l'iperbole e gli spunti
ironici (a livello di significante) con uno svuotamento tout
court del significato del discorso: nei w. 1-20 sono affermati
per figurarti (con qualche ambiguit e con un tasso pi vistoso
di iperbolicit) gli stessi concetti che nei w. 286-300 subiscono
una ritrascrizione in termini di maggiore seriet.
chiaro che non la donna dell'Et delle caverne e dell'Et
dell'Oro (qui coincidenti) il modello etico che Giovenale alla
lettera propone al suo lettore, ma altrettanto certo che i valori raccomandati attraverso la scena d'apertura sono proprio
quei fondamentali Wertbegriffe arcaici in cui Giovenale mostra
di credere fermamente in tutte le sue satire. La donna delle caverne rappresenta solo un'iperbolica esasperazione di quel modello etico arcaico che - senza pi venature ironiche e con maggiore realismo il poeta vede incarnato nell'antica donna latina dell'et della Repubblica (prima dell'espansione ad oriente).
Non che quest'ultimo modello non sia - a sua volta - iperbolico rispetto alla realt dei tempi di Giovenale. Ma certo, per
cos dire, rispetto all'antica donna latina Yuxor montana rappresenta una sorta di iperbole al quadrato.
Si pensi al pranzo che Giovenale offre al suo amico Persico
nella sat. XI. Le portate sono modeste (w. 56-76), ma il poeta
sa bene che un tempo (olim) una cena del genere sarebbe passata per un lusso immorale, e non solo per la gente comune, ma

seguisse questa suggestione interpretativa, si potrebbe dire che Giovenale nutre di


fronte alle due donne un sentimento analogo a quello che il moralista Sallustio
prova - pur nella condanna etica - di fronte alla sua Sempronia (Cat. 25). Singleton
art. cit. pp. 152-153, va oltre: il paragone fra la montana uxor e Cinzia/Lesbia
lontano dall'essere interamente a vantaggio della prima; di Lesbia Giovenale apprezzerebbe in qualche modo la raffinatasensibilit (dimostrata dal pianto per la
morte del passer). Ma Nardo, op. cit. p. 13 ha opportunamente suggerito che questa
raffinata sensibilit la stessa che vediamo pesantemente ironizzata da Giovenale
nel finale della satira (w. 652-654), quando la moglie - commossa dalla rappresentazione dell'Alceste - si mostra pronta a sacrificareil suo consorte per salvare
la vita della suz... catelUl Anche Nardo, comunque, che pure parla di programmatica positivit tWuxor montana, scrive che ben altro fascino irradiano i luminosi
occhi di Lesbia....
43. Singleton, art. cit. p. 164: It is now clear why th satirist must reject the
Golden Age as an ideai, why he must be on the side of civilization.

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Et dell'oro e mos maiorum in Giovenale

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anche se riservata agli stessi appartenenti alla classe dirigente


(w. 77-78):
haec

li m nostri iam luxuriosa

senatus / cena fuit.

Nonostante ci, Giovenale si lancia in una lunga descrizione


idealizzata di questa antica et di frugalit e di lavoro (w. 78119), in cui sono presenti elementi che non si possono interpretare che come polemicamente iperbolici, dettati solo dalla volont di antitesi con gli eccessi di segno opposto del presente44.
Dunque, Giovenale pu coniugare l'esaltazione pi enfatica
del mos maiorum con la piena consapevolezza della presenza di
un certo tasso di esagerazione nelle sue parole; e, infatti, egli
non arriva a riproporre nell'attualit l'estremistico rigore di un
ritorno alla cena dell'antico senatus; invece il suo proprio
comportamento (ispirato ora ad un oraziano senso del giusto
mezzo) che offre come exemplum ai contemporanei: egli dunque consapevole di un processo di relativo ammodernamentoammorbidimento di quei valori estremi che pure ammira ed
esalta45. L'iperbole su cui si fonda l'esaltazione di quei valori

44. Gi Canali, op. cit. p. 4, rilevava la contraddittoriet fra 11, 100 ss. (elogio, sia
pure con qualche ambiguit, cfr. Viansino, op. cit. p. 435, del tunc rudis et Graias
mirari nesaus artes ... miles, che magnorum artificumfrange bat poetila I utphalens
gauderet equus) e il quadro negativo della volgarit del miles contemporaneo nella
sat. XVI, al quale questo idealizzato soldato di una volta finisce, in fondo, per assomigliare: si tratta di una conseguenza della continua e talora incontrollata tendenza all'iperbole nell'antitesi tunc/nunc. Cos, in 13, 53-59 si giunge a dire, con tono
che l'antitesi con 60 ss. (nunc si depositum...) costringe a ritenere positivo, che al
tempo dell'et dell'oro improbitas ilio fuit admirabilis aevol credebant quo grande
nefas et morte piandum/ si iuvenis vetulo non adsurrexerat et si I barbato cuicumqu puer..., la cui strumentale esagerazione (dovuta alle esigenze dell'antitesi contestuale) messa esplicitamente in evidenza da un passo come, per es., 14, 15 ss.

(mitemanimumet mores modicis erroribus aequosl praecipit...),dove si

argomenta razionalmente contro chi, come Rutilo, infierisce sui servi duo propter
lintea: certo il furto di due tovaglioli modicus error almeno quanto l'infrazione
costituita dal non alzarsi in segno di rispetto di fronte al pi anziano (magari di soli
4 anni: 13, 58) e nessuno creder che Giovenale rimpianga davvero (ossia alla lettera) il tempo in cui tanta severit asserita vigente.
45. L'etica diatribica che arrivaa Giovenale non quella del cinismo estremistico,
ma quella filtrata da Orazio e dal Seneca oraziano di ep. 5, col rigore ascetico
dell1autarkem addolcito in direzione della metntes (cfr. A. La Penna, Vintellettuale emarginato nell'antichit, Maia 42, 1990, p. 3 ss.); cos, l'impostazione severamente stoico-cinica della programmatica sat. X (almeno nella cornice) poi

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Franco Bellandi

serve solo ad enfatizzare l'antitesi con il presente, e non si deve


intendere come riproposta letterale, nell'attualit, di quei valori stessi.
Forse con la massima chiarezza ci risulta da un passo come
il finale della sat. XIV: dopo aver citato elogiativamente l'esempio estremistico del nudus ... Cynicus (v. 308 ss.), e dopo aver
esplicitamente dichiarato quale sia la sufficiente mensura census
(w. 316-317), ovvero - secondo i dettami di natura e sapientia
insieme (v. 321) - quanto necessario a vincere sete, fame e
freddo (v. 318), Giovenale si chiede: acribus exemplis videor te
eludere ?; e in risposta non esita a chiudere la satira con un ridimensionamento in senso mondano e alla romana (cfr. nostris de moribuSyv. 323) della sua severit ascetico-filosofica,
arrivando ad ammettere che si possa legittimamente desiderare
un patrimonio fino a 1.200.000 sesterzi (tre volte il censo equestre: v. 326). La portata puramente iperbolica e strumentale di
certe boutades estremistiche (cfr., per es., 5, 6-11, col suo rabbioso invito a preferire una vita da mendicanti a un'iniuria cenae) appare dunque chiara, senza che ci significhi propriamente il loro svuotamento
rovesciamento ironico.
Al di l, dunque, del diverso tono, non c' alcuna incongruenza sostanziale fra il proemio e Yexcursus centrale della satira. Pu sembrare che qualche particolare faccia difficolt, ma
ad una lettura pi attenta tale impressione svanisce si attenua
di molto.
Si osservi, per es., che in w. 286-300 solennemente affermato che la Pudicitia era presente nella Repubblica Romana di un
tempo, addirittura fino a tutto il IH sec. a.C, prima del contatto malefico con i costumi orientali, secondo un topos assai diffuso anche a livello storiografico (cfr. n. 32) e che, invece, in
1-24 la decadenza della Pudicitia, sia pure solo incipiente (cfr.
decisamente attenuata in direzione oraziana in XI e XII. Vedi, per es., la caratterizzazione che della propria casa fa il poeta in sat. XI: nel confronto con le lussuose
abitazioni dei praedivites, certo la sua dimora pu definirsi h um ili s domus (.
171), ma senza dubbio il tenore di vita presupposto dal convivio offerto a Persico
non la segnala come un parvum tectum all'antica come una casula (che invece, e
non a caso, attribuita nel v. 153 ai figli del pastore e del bifolco al suo servizio).
Nonostante il paragone un po' lezioso con Evandro (11, 61), la sua domus non
ceno Yangustum tectum arcaico di Virg. Aen. 8, 366. Cos, anche nella sat. XII, se il
poeta dichiara di non disporre di res ampia domi (v. 12), la situazione economica
presupposta dalla sceneggiatura modesta, ma tutt'altro che sordida.

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Et dell'oro e mos maiorum in Giovenale

14-15, Pudicitiae... vestigia, e 24 primos... moechos\ fatta risalire gi all'Et dell'Argento (che, comunque, Giovenale con un
felicissimo tocco di ironica coerenza provvede a fare - si badi sempre precedente alla nefasta apparizione dei Graeci, w. 1617, che contribuiranno a fare di un processo all'inizio solo accennato una frana travolgente: cfr. 3, 109-112, sulla irrefrenabile libido sessuale dei Graeculi> incapaci di rispettare alcunch).
La Storia smentisce il Mito? la valenza universale del Mito ammette un'eccezione, concedendo un'oasi di conservata pudictia al privilegiato ceppo latino?
In realt, una lettura pi attenta dei due passi svela chiaramente come in entrambi si voglia esprimere, diversamente ma
con piena congruenza, lo stesso concetto negativo: non esiste
alcuna possibilit per l'essere umano, in nessuna epoca, mitica
storica, di una pudicitia naturale e spontanea. In effetti, nel
primo caso, ironia e tendenza all'iperbole spingono Giovenale a
ridurre al massimo la durata della sua pudica Et dell'Oro (nonostante il din del v. 2) ed anzi a suggerirne decisamente, fra le
righe, la natura puramente fantastica, astratta, utopica. Osserviamo infatti da quale tipo di umanit costituita la felice generazione pudica del tempo di Saturno:
quippe aliter tune orbe novo caeloque recenti
vivebant homines, qui rupto robore nati
compositive luto, nullos habuere parentes.

(w. 11-13)

Naturalmente in rupto robore nati e compositi... luto c' allusione a miti celebri e certamente Giovenale sfrutta questi dati mitici per proiettare la sua umanit pudica in un passato talmente
lontano e favoloso che il tunc finisce per perdersi in una dimensione temporale irraggiungibile46. Aliter vivebant> infatti,
solo coloro che non erano nati da accoppiamento sessuale (i due

46. La nascita dagli alberi motivo antichissimo che Giovenale desume, per, da
Virgilio Aen. 8, 314 (gens...virum truncis et duro robore nata); esso allude alla spontanea autoctonia, mentre la menzione del mito di Prometeo (cfr. 14, 34-35 ...iuvenes quibus arte benigna I et meliore luto finxit praecordia Titan) deriva probabilmente lo spunto da Ovidio Met. 1, 82 s.; come in Ovidio, qui si vuoi lasciare
aperta la scelta fra due possibili alternative (piena spontaneit autoctona creazione ad opera di un demiurgo): ma quel che importa a Giovenale in questo contesto
(diverso 15, 147 ss., dove la scelta si fatta esplicita in direzione di un conditor)
che, in ambedue le ipotesi, non compaiono genitori umani. Rispetto a Giov. 15,

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Franco Bellandi

fedeli sposi dell'et aurea - si deve ritenere - sono sbucati fuori


dalle querce
sono stati plasmati col fango): la mancanza di
genitori non un'indicazione in qualche modo neutra, che
serva da semplice dato cronologico (con allusione alla generazione asessuata dei primi uomini, quale seriamente descritta da
Lucrezio in 5, 788 ss., 805 ss., 849 ss.); essa invece introdotta
per creare una sottile ironia: se, infatti, teniamo conto del nefasto ruolo che Giovenale attribuisce zWexemplum dei genitori
nella educazione dei figli (cfr., in generale, 14, 1-3 e, in particolare, - per quanto attiene alla pudicizia delle mogli, appunto 14, 25-30, da confrontare puntualmente con 6, 231-241), ben
difficile pensare che qui Giovenale non abbia voluto ironicamente alludere al fatto che la Pudicitia, in realt, potuta moravi in terris solo il tempo stretto della prima generazione, nata
dalle querce dal fango: l'esaltata pudicitia dell'#xor montana
fu favorita (oltre che dalle altre cause, pi serie, gi viste)
anche dal non aver avuto essa una madre che le potesse insegnare alcunch in fatto di sesso, e per il semplice motivo che, non
esistendo ancora la riproduzione per via sessuale e, dunque,
non essendo nata da donna, la fortunata... non ebbe una
madre!47. Ma gi con la seconda generazione, quella degli infantes magni, v. 9, evidentemente nati dall'unione sessuale dell'xor (v. 5) e del maritus, v. IO,48comincia l'et del sesso e della
procreazione e con essa inevitabilmente il decadimento irrefrenabile della Pudicitia, sia pure dapprima con un ritmo ancora

143-147 e a Ovidio Met. 1, 76-88, nel proemio della Sat. VI di Giovenale non c'
alcun cenno alla scintilla di divinit presente nell'uomo: il motivo sar da ricercarsi nell'influenza lucreziana predominante in questo proemio.
47. Non coglie la sfumatura sottilmente ironica Singleton, art. cit. p. 153, quando
proprio nel dato della mancanza di genitori di questa umanit primitiva vede un
altro dei suoi segnali contro il mito dell'et aurea e con un certo patetismo scrive:
Juvenal is writing for a Roman audience and I need hardly stress th importance of
th parental tie for such an audience. No example could more obviously have been
selected to alienate th reader's sympathy from th way of life here depicted. E
la sat. XIV, col suo feroce attacco ai cattivi genitori di oggi, non scritta per il
medesimo pubblico? Cfr. la n. di Courtney ad l. : (they) had no parents to corrupt
them.
48. Notare la posizione di alto rilievo che i due termini-chiave uxor e marito
hanno nel complesso periodo iniziale di 10 w. (il pi lungo fra tutti gli esordi di
Giovenale): in clausola entrambi, esattamente a met (v. 5) l'uno e in fondo (v. 10)
l'altro.

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Et dell'oro e mos maiorum in Giovenale

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abbastanza relativamente lento. Si potrebbe anche dire, dunque, a voler essere pedanti, che per Giovenale l'Et dell'Argento (coi suoi primi adulteri) comincia gi con la generazione successiva alla prima. Ma extra figuram tutto ci equivale a dire
che, in fondo, la Pudicitia ha cominciato a decadere con l'arrivo
stesso della riproduzione per via sessuale e, quindi, fuori del
mito, da sempre, con la nascita dell'essere umano stesso, quale almeno lo conosciamo oggi: la Fedelt coniugale (perch di
questo essenzialmente si tratta, quando si parla di pudicitia in
questo contesto)49 si proietta, dunque, in un passato cos iperbolicamente lontano e favoloso (e, comunque, cos breve: lo
spazio di una sola generazione, la prima) da porsi praticamente
come inesistente50.
Il proemio finisce, dunque, per affermare la innata, ineliminabile, tendenziale peccaminosit dell'essere umano: e ci ,
del resto, evidente nel modo stesso in cui Giovenale caratterizza
questo preteso periodo di originaria pudicizia: anche nello stato
di natura, questa pudicizia primordiale non ha nulla di naturale, se intendiamo con questo termine qualcosa di spontaneo,

49. Come dimostra anche la precisa ed enfatizzata definizione in termini istituzionali del rapporto fra i membri della coppia primordiale (vedi n. prec. e p. 114,
per il rivelatore confronto con Lucrezio), la Pudicitia precisamente la divinit che
presiedeva nel mondo romano (per il voluto anacronismo, cfr. n. 28 su Lar) alla
fedelt coniugale delle matrone (non si tratta dei pi generici Verecundia Pudor):
originariamente (cfr. Livio 10, 23, 3) il culto di Pudicitia era riservato addirittura
alle matronae univirae e, naturalmente, nel corso della satira Giovenale non mancher di sfruttare sarcasticamentequesto tema delPunivirato: nel modo pi chiaro nei w. 53-54 229-230.
50. Sia Anderson, art. cit. p. 75, che Singleton, art. cit. p. 152, sottolineano il
carattere di provvisoriet che l'uso di moran conferisce al soggiorno di Pudicitia
fra gli umani: sarebbe un modo di suggerire che si tratta, in fondo, di un ideale
astratto. Gli spunti principali utilizzati da Giovenale per questo quadretto iniziale
sono molteplici (Virgilio/Properzio/Ovidio e Lucrezio, innanzi tutto), ma l'enfasi
sulla divinit di Pudicizia e sulla pregnanza simbolica di tale suo soggiorno fra gli
uomini, del suo lasciarsi vedere dai mortali (v. 2 visa), deve probabilmente qualcosa alla traduzione aratea di Cicerone (in Arato/Cicerone, infatti, si da notevole
risalto al concetto di tbeoxenia e anche alla gradualit del processo di allontanamento della Vergine dalla terra: cfr. in Giovenale 6, 14-15 e 19 paulatim), mentre
qualche suggestione pu provenire anche dal Catullo del finale del e. 64 (che oltre
tutto - rispetto alla tradizione esiodea e aratea- enfatizza molto l'aspetto eroticosessuale della depravazione contemporanea, insistendo proprio sulla presenza di
questo fattore di dissoluzione nella vita familiare, cfr. w. 401-404, rispetto al felice
passato in cui le domus erano castae, v. 384).

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Franco Bellandi

di connaturato, di autonomo51. Nel proemio la natura


esterna - selvaggia, povera, piena di rischi e pericoli, nient'affatto paradisiaca come la natura convenzionalmente ritratta nei
quadri pi celebri dell'Et dell'Oro - non porge occasione al
peccato, anzi svolge quelle stesse funzioni di freno sulla natura
umana, di per s incline a corrompersi e contaminarsi52, che in
286-300 sono invece svolte da una societ organizzata repressivamente e dal pericolo esterno, questa volta costituito dall'uomo (Hannibal) invece che dalle vicinae ferae.
Nel Mito, dunque, o, se si vuole, nell'ormai perduto e irrecuperabile Stato di Natura, la Pudicitia preservata da fattori repressivi naturali, disseminati nell'aspro ambiente circostante;
nella Storia, quando ci avviene, essa salvaguardata da una
societ obbligatoriamente puritana che - pi vicina alla natura sanamente matrigna di quanto non sia la societ del luxus,
th
quella che noi chiameremmo la civilt del benessere
affluent society - non consente ancora quel processo di sviluppo del vizio che si avr - inevitabilmente - non appena cesseranno di esistere anche solo si allenteranno i freni esteriori:
dunque, sia nell'allegoria mitologica dell'esordio, che nella ritrascrizione storica dell'excursus centrale, possibile cogliere
la medesima concezione negativa dell'essere umano, per il quale
51. Cfr., all'inverso, l'insistenza di Ovidio Met. 1, 89-90 sulla spontaneit del
retto comportamento degli uomini aurei: aurea...aetas...vindice nullo I sponte
sua, sine lege /idem rectumque colebat (cfr., al v. 93, ancora sine vindice).
52. Il vizio si trasmette per contagio, come per una peste che si diffonde sulla
base del'exemplum (cfr. 2, 78-81 : ddit banc contagio labem I et dabit in plures,
sicut grex totus in agris I unius scabie cadit et ponrigine porci I uvaque conspecta
livorem ducit ab uva; vedi Viansino op. cit., p. 100); nella sat. VI il tema accennato
in 288-289: nec vitiis con tingi parva sinebant tecta labor...; il quadretto iniziale
presuppone in fondo la sostanziale solitudine della coppia trogloditica o, per lo
meno, un suo isolamento di tipo ciclopico, cfr. Odyss. 9, 106 ss., soprattutto
112-115, dove per gli abitatori delle spelonche montane (ot '
non c' vita sociale ('
attorno al nucleo
)
)
familiare (
/
'
In Gio' ,
).
venale VI, come dimostrano i w. 55-59, la societ, anche ristretta e rurale, vista
come occasione e incentivo al peccato. Una visione pi ottimistica della vita sociale
appare in 15, 131 ss., 149 ss., soprattutto in 157-158, dove la vicinanza delle case
(laribus coniungere nostris I tectum aliud) non pi occasione di contatto pericoloso per la pudkitia, ma causa di quella collata fiducia che consente tutos vicino
limine somnos. Ma l'ottica della sat. XV diversa e, peraltro, in questo quadro
idilliaco della convivenza sociale nell'et primordiale non mancano le contraddizioni interne (cfr. n. 54).

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Et dell'oro e mos maiorum in Giovenale

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unica possibilit vera di virt sta nel non essere affidato a s


stesso , bens nell'essere tenuto rigidamente a freno da una
condizione di bisogno da un'autorit esterna repressiva.A
meno che Giovenale non si impancili a maestro senecano di
virt, il che avviene solo in pochi pasticciati passi ricolmi di
contraddizioni, non esiste per lui nessuna bont originaria
dell'Uomo54,e, dunque, nessuna forma di pudicitia che non sia
in qualche modo imposta coercitivamentedall'esterno.
2. a) Ironia e seriet: un problema di destinazione?
b) L'uso politico del mito
a) Dunque, il fondo ideologico comune, le forme pur in una
e
comune tendenza all'iperbole divergono:l'ironia una volont di humoursottendono alcunidettaglidellaversione mitologico-letterariaalla greca,mentre la versione storicizzata e latinizzata del mito dell'Et dell'Oro si presentain totale seriet.

53.

Nel modo pi chiaro possibile ci affermato in 6, 327, nel celebre tum /emi-

na simplex!
54. In 1, 81 ss. la colpevole concupiscenza carnale insita nell'uomo sin dalle
sue origini prime, sin da quando gli esseri umani sorsero per la prima volta da terra
(questa volta con ricorso ad un mito diverso dai saxa di Deucalione) e ...manbus
nuda s ostendit Pyrrha puellas. Si noti come in questa che stata definita una scena
da nudatio mimarum (J. Gerard, op. cit. p. 22, . 4, - se si preferisce - una scena
in cui Pirra svolge il ruolo di entremetteuse, cfr. Marache art. cit., p. 475) gli
uomini e le donne non sono qualificati con riferimento ai loro ruoli istituzionali
di uxoreslmanti (cfr. 6, 5 e 10), ma semplicemente come mareslpueUae. La bont
originaria dell'essere umano affermata da Giovenale solo in 15, 131 ss. ma a
parte l'intrico di contraddizioni in cui si mette (cfr. n. 18, sul problematico rapporto
con 15, 106 ss.) - non si tratta, in fondo, che di un espediente per incupire drasticamente - per contrasto - la perversione degli Egiziani, colpevoli di cannibalismo.
Sulla natura originaria dell'essere umano Seneca esprime pareri molto differenti
(cfr. M. Bellincioni, Educazione alla sapientia in Seneca, Brescia 1978): uno dei
passi in cui, forse, pi si avvicina a questo concetto della bont dei primitivi ep.
90, 40. Ma si noti: in Giovenale il mutuus adfectus - che per natura, per dono del
conditor, lega gli esseri umani fra loro - li spinge a cercare e concedere aiuto per
abbandonare la selva originaria coi suoi pericoli naturali e costituirsi in comunit e
soprattutto per difendersi; ma questa difesa none dall'aggressione delle sole fiere, bens dagli attacchi gi militarmente organizzati (armis...tuba...turrbus) degli
altri uomini (sul tema, cfr. Perelli, art. cit. p. 164 s.). Al contrario, in Seneca ep. 90,
41 arma cessabant incruentaeque h umano sanguine manus odium omne in feras
verterant.

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Franco Bellandi

Colpisce un fatto: due volte troviamo la versione mitologicoletteraria nella sua forma alla greca (in 6, 1-24 e, ancor pi
marcatamente, in 13, 38-52) e tutte e due le volte possiamo riscontrare come le venature d'ironia che danno una tonalit
ambigua al passo sono strettamente connesse ad una volont di
caratterizzazione negativa - quanto meno riduttiva - del destinatario diretto del discorso.
Nella sat. VI l'evocazione del Mito delle Et con il racconto
della progressiva scomparsa di Pudiatia (w. 1-20) rivela alla
fine - in una sorta di epimythion (w. 21-24), non privo di un
suo effetto-sorpresa - di essere funzionale al tentativo di dissuadere dalle progettate nozze un non meglio identificato Postumo
(vv. 25-27), il quale - proprio per via di un tale dissennato progetto - palesa il suo stato di delirante follia (w. 28-37). Com'
stato notato, l'atteggiamento di Giovenale verso il suo destinatario decisamente acidulo: l'ironia non affatto benevola
affettuosa, mostra bens delle punte asprigne che sconfinano talora in un aperto sarcasmo. Il satirico si fa beffe della simplicitas
del suo personaggio, la sua ironia - al di l forse delle sue stesse
intenzioni - pi scoptica che veramente maieutica55. La presenza di un destinatario, dunque, portata alla luce in un secondo momento con un effetto quasi aprosdochetico, svela di aver
avuto parte determinante nell'organizzazione tematica e formale del discorso, che si scopre ora (solo ora) a lui diretto: si
capisce adesso che nei w. 1-20 Giovenale ha raccontato una
favola a un puer; ma si tratta, in realt, di un puer adulto, cui la
vita con le sue esperienze dovrebbe aver gi insegnato concretamente quanto il poeta si premura di apprendergli attraverso il
velo del racconto mitologico; soprattutto, il destinatario dovrebbe poi comportarsi nella vita come suggerisce il senso sim55. Gi in Etica diatrtbica cit., p. 7, . 14, lo notavo; successivamente ha insistito
sulle analogie - in questo senso - fra il Trebio della sat. V e Postumo, W.S. Smith
Jr., Husband vs. Wife inJuvenaVs sixtb satire, Class. World 83, 1980, p. 323 ss.
La caratterizzazione acidula di Postumo sarebbe ancora maggiore se egli fosse
identificabile - come alcuni sostengono - con l'Ursidio che appare in v. 38 ss.; in
realt, assai pi probabile che Ursidio sia distinto da Postumo e sia introdotto - in
un'obiezione - da Postumo stesso, a giustificazione del suo comportamento: ma ci
non toglie che i due personaggi presentino delle imbarazzanti analogie e che il poeta
si rivolga a entrambi con un tono alquanto aggressivo. Della questione, che in ogni
caso testimonia della poco salda organizzazione strutturale della satira (cfr. n. 11),
mi occuper pi diffusamente in altra sede.

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Et dell'oro e mos maiorum in Giovenale

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bolico della favola stessa. Ma cos non : nostra tempestate...


uxorem, Postume, ducisi
Questa interpretazione confermata dall'altro contesto in cui
appare il mito nella sua forma alla greca. Nella sat. XIII la
figura di Calvino ancor pi chiaramente aggredita dal satirico: ^ingenuit di Calvino, la sua ridicola simplicitas (v. 35),
tutt'altro che candore privo di colpe, ha semmai qualche analogia con la torbida ottusit di Trebio (sat. V)56. Calvino, infatti,
mostra una moralit molto rudimentale, non priva di inquietanti lati oscuri, su cui il satirico non esita a intervenire con rudezza. Questo lo si scopre sempre meglio andando avanti nella lettura della satira. Ma gi all'inizio - quando appunto abbiamo
l'evocazione del nostro mito aureo - si mette in rilievo la
puerilit del destinatario, vero senior bulla dignissimus (v. 33).
L'ironia che abbiamo sottolineato nei vv. 38-52 e che sgretola,
per cos dire, il mito dall'interno, dunque funzionale alla caratterizzazione del personaggio: Giovenale gli si rivolge con un
mito cui - in quelle forme - non crederebbe nemmeno un bambino (cfr. 2, 152 necpueri credunt...; vedi supra, p. 99), perch
Calvino, nonostante abbia superato la sessantina (vv. 16-17),
col suo atteggiamento infantile, coi suoi capricci (cfr. v. 140
ss.), dimostra purtroppo di avere la capacit mentale e l'immaturit emotiva di un vero e proprio puer.
L'ambiguit nella trattazione del mito, dunque, omologa e
funzionale all'ambiguit che contraddistingue in questi casi il
rapporto fra il satirico e il destinatario del suo discorso. La forma screziata d'ironia, che non intacca affatto la sostanza ideologica del discorso, risponde insomma ad un'esigenza, per cos
dire, drammatica.
All'inverso, la compatta seriet della versione storicizzata e
latinizzata del mito aureo in 6, 286 ss. (con le sue riproposte
varianti in 11, 77 ss.; 14, 161 ss., ecc.) - mentre dimostra che
Giovenale crede a questo mito latino, anche se cosciente di
farne un uso estremistico, iperbolico, che none per ironico
- confermata anche dal fatto che egli l'assume sempre in prima persona al di fuori di particolari necessit drammatiche,
senza particolari condizionamenti contestuali, quando si rivol56. Cfr. Etica diatribica cit., p. 87 ss. (in part. . 130 sull'analogia CalvinoTrebio); sulla sat. XIII, vedi ora G. Viansino, op. cit. p. 461 ss. (con l'indicazione
della bibliografia pi recente).

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Franco Bellandi

ge ad un pubblico indeterminato a un destinatariocos privo


di caratteristichepersonali da non distinguersi affatto da un
pubblico anonimo (se non per la sua dimensione numericadi
individualit);si pensi all'incidenzapraticamentenulla di destinataricome il Persicusdi XI il Fuscinusdi XIV (specialmente
di quest'ultimo, puro nome, evocato all'inizio della satirae subito dimenticato);e tale certo il caso anche di 6, 286 ss. (unde
haec monstra tarnenvel quo de fonte requirisf): ben noto,
infatti, che a questo punto della satiral'esplicito impiantocolloquiale dell'esordio, caratterizzato secondo precise esigenze
drammatiche,si gi dissolto da un pezzo, travolgendo nel
nulla il povero Postumo e suscitando grosse difficolt esegetiche agli interpreti57;ed altres evidente che Yexcursussulle
cause dei fenomeni viziosi sin qui descritti pronunciatodall'Autore ex cathedra,col tono di chi rompa ogni illusione scenica e dichiariamoto ludo il vero (cfr. 8, 125-126), e non gi da
quella sorta di Autore personatusche egli inevitabilmenterisulta quando si rappresentain drammaticocolloquio con un suo
personaggioe per necessit scenichesi relativizza,rapportandosi ad esso58.SparitoPostumo, questalarvalesecondapersona
che resta non altri che il tipico interlocutorefittizio della tradizione diatribico-satirica(cfr. Persio 1, 44 quisquis es, o modo quem ex adverso dicerefeci...) e perci - attraversodi lui ma
senza autentici condizionamenti di tipo drammatico- il discorso s'intende rivolto in tutta serietal pubblico generico dei
potenziali lectoreslauditors della satira.

57. Postumo appare con esplicita chiarezza come destinatario della satira solo nei
w. 21-37 (citato due volte, dopo la dieresi bucolica, al vocativo); dopo di che (con
buona pace di Smith Jr. art. cit., che cerca di dare unit alla satira attorno al perno di
questo evanescente personaggio), non viene pi apostrofato fino al v. 377, dove
abbiamo la sorpresa di ritrovarlo ma senza pi alcuno statuto di personaggio privilegiato (e si ricordi che per Anderson, art. cit. p. 276, . 17, forse non si tratterebbe
nemmeno pi dello stesso personaggio dell'inizio! idea bizzarra che, comunque,
testimonia in qualche modo del disagio degli interpreti). Nel mezzo (e di nuovo
dopo i w. 377-378) la satira si muove per quadri senza destinatario rivolgendosi
ad altri (Ursidio, appunto, cfr. n. 55, Lentulo al v. 80), a una seconda persona
indeterminata, il cui status oscilla a seconda delle esigenze fra quello del fidanzato
ancora in cerca della futura moglie e quello del marito, sposato da pi meno
tempo.
58. Cfr. il caso particolarmente evidente della sat. IX (su cui vedi art. cit. Boll.
Studi Latini 20, 1990, p. 92).

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Et dell'oro e mos maiorum in Giovenale

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C' dunque una duplicit d registri tonali e stilistici che - a


proposito di questo tema particolare- possibile collegarecon
chiarezza ad un diverso impianto di destinazione e al correlato
atteggiamentodell'Autore, che oscilla fra lapersonadell3amicus
in colloquio privato (pi meno paritarioe familiare)con Vamicus e quella del vates che dall'altoproclamaverit utili all'ammaestramentodella comunit59:lo stesso concetto generale
(la decadenzairrefrenabiledella moralitdal passato al presente) viene articolato a livello tematico e formale in modo differente a seconda della diversastrutturacomunicativain cui si ha
necessit di inserirlo.
b) Resta da notare qui come del mito aureo- ironico, screziato di humouryoppure compattamenteserio - fatto da Giovenaie un uso funzionalmenteomogeneo, sempree soltanto, cio,
in chiave di criticapuramentenegativadella societ e - sia pure
in modo pi velato - del regime politico del suo tempo. Nella
59. Entrambi questi atteggiamenti hanno in fondo una matrice oraziana, solo
che - mentre nel modello augusteo essi sono abbastanza coerentemente distinti fra
composizioni a differente destinazione (sermones e odi private rivolte alla cerchia amicale / carmina civili indirizzati solennemente alla comunit; cfr. M.
Citroni, Occasione e piani di destinazione nella lirica di Orazio, MD 10-11, 1983,
p. 133 ss.) - Giovenale, dopo la prova complessivamente pi omogenea del libro I,
in cui l'influenza di Orazio vates abbastanza importante (cfr. Bellandi, Etica diatribica cit., p. 9, . 17), comincia a mescolarli, oscillando fra l'uno e l'altro. evidente che Giovenale ha cercato di passare dall'una all'altra maniera: la sterzata
verso la personalizzazione amicale del discorso satirico (con conseguente tentativo di adottare toni pi sfumati e morbidi) esplicita negli ultimi libri, dove prevale
un'impostazione pseudo-epistolare dei componimenti (cfr. L.J. Lindo, The Evolution ofJuvenaVs Later Satires, CL Philol. 69, 1974, p. 17 ss.); ma anche prima ci
sono segnali in questo senso: gi nei libri II e III l'impianto iniziale (ed effimero)
della satira VI l'apostrofe incipitaria della sat. Vili testimoniano della volont di
personalizzare in modo amichevole il discorso (vedi anche A. La Penna, // pro=
gramma poetico di Giovenale, in Studi in onore di A. Grilli Paideia 45, 1990, p.
- quella privata
oraziano
modello
del
faccia
dell'altra
il
Ma
258 ss.).
recupero
deWamicus impegnato nella dialettica del sermo - non che superficiale: l'inconsistenza dei vari destinatali (probabilmente fittizi), il tono acidulo adottato con loro
non appena acquistano un minimo spessore drammatico, inducono a forti sospetti sul fatto che attorno al poeta vi sia realmente una cerchia di amici, cui egli si
rivolge in una comunicazione che voglia mantenere anche una sua valenza credibilmente privata; l'autore non riesce a mascherareche - al di l dell'etichettatura
epistolare - il suo vero destinatario resta in realt un pubblico indeterminato (in
prima istanza - presumibilmente quello delle sale di recitationes), al quale egli si
voce istituzionalmente sovra-ordinata.
ma
come
non
come
amicus,
rivolge

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Franco BelUndi

letteratura precedente - com' ben noto - si era usato il mito


dell'Et dell'Oro anche in funzione encomiastico-panegiristica
(da Virgilio a Calpurnio Siculo, al Seneca dell3Apokolokyntosis),
ricorrendo al tema del ritorno, pi meno in corso di realizzazione
imminente, dell'originaria et felice: dunque, tale
motivo aveva anche una sua consolidata tradizione
di impiego celebrativo-propagandistico a sostegno del regime imperiale60. Se si colloca su questo sfondo, l'ironia con cui Giovenale
manipola il mito nella sua forma pi vulgata acquista facilmente
anche potenziali risvolti di pi ampia portata, a livello di criptomessaggio politico: questo gi probabile per il proemio della
satira VI, laddove l'insistenza sulla scomparsa di Pudicitia dal
mondo attuale (oltre ad essere di per s stessa generico elemento
di giudizio negativo sul presente) diventa una maligna (o quanto meno imbarazzante) allusione puntuale, quando la si legga
tenendo presente la propagandata identificazione di Pudicitia
con l'imperatrice Plotina: la cronologia della sat. VI consente a
pieno un'in terpretazione del genere . Ma soprattutto nella
sat. XIII che il risvolto anche politico - non solo morale - del
Mito delle Et si fa pericolosamente esplicito: qui non ci si limi-

60. Cfr. E. Manni, La leggenda dell'et dell'oro nella politica dei Cesan, Atene e
Roma, s. Ili, 6, 1938, p. 108 ss.
61 . La satira VI quanto meno degli ultimi anni del regno di Traiano, dato che nei
w. 407 ss. si allude a fatti databili al 113-115 d.C; nell'et imperiale Pudicitia era
entrata a far parte delle divinit connesse alla casata del sovrano (cfr. Val. Max. 6, 1
praef.: tu [Pudicitia]y Palatii columen, augustos pnates sanctissimumque Iuliae
<gentisf>genialem torum adsidua statione clbras);per l'identificazione Pudicitia =
Plotina, cfr. G. Radke, s. v. Pudicitia, in RE XXIII (1959), col. 1945, che attira
l'attenzione su una statua della Pudicitia Augusta dedicata all'imperatrice(CIL Vili
993) e su alcune monete di Plotina in cui appare l'iscrizione ara Pudic (cfr. H.
Temporini, Die Frauen am Hofe Trajans. Ein Beitrag zur Stellung der Augustae im
Pnncipat, Berlin-New York 1978, p. 100 ss.; 110 ss.). Monetazione in onore di
Plotina attestata dal 112 d.C. e Adriano coni monete in suo onore nel 117-118,
all'esordio del suo regno, al quale insistenti voci dicevano che era arrivato proprio
grazie all'esplicito favore della moglie di Traiano (cfr. Temporini, op. cit. p. 120
ss.); sulle dicerie intercorse a proposito dei rapporti di Plotina con Adriano (Cassio
Dione 69, 1, 2, cfr. 10, 3, parla senza mezzi termini di
cfr. R. Syme,
),
Tacito, tr. it. Brescia 1967, p. 328. Su tutta la questione, vedi anche L. Zusi, Plotina
e Giovenale, in Sodalitas. Scritti in onore di A. Guanno, Napoli 1984-1985, IH p.
1095 ss., che per allarga troppo lo spettro delle possibili allusioni malevole a Plotina in Giovenale e poi - incoerentemente, a mio avviso (cfr. sotto, n. 65) - le connette (p. 1116) con una sua fiducia verso Adriano.

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Et dell'oro e mos maiorum in Giovenale

123

ta pi ad un'ironia che neghi, con humour ma con opportuna


genericit, la sanit morale del presente; si giunge ora ad
un'affermazione che pi drastica e cupa non potrebbe essere: il
presente adrianeo (la sat. XIII ha un preciso terminus post
quem: il 127 d.C; cfr. v. 17) non solo non ha alcuna caratteristica di periodo aureo ma non neanche un'Et del Ferro62;
addirittura, la natura non in grado di trovare un metallo per
designare tanta depravazione (w. 28-30):
Nona aetas agitur peioraque saecula ferri
temporibus, quorum sceleri non invenit ipsa
nomen et a nullo posuit natura metallo63.

Questo - si badi - detto mentre la propaganda diretta del


sovrano regnante insiste sul rinnovamento del saeculum aureum (sulle monete) e, comunque, su fenomeni di carattere portentoso (il ritorno della Fenice) che dovrebbero segnalare la
particolarissima felicit dei tempi64. Si tratta certo del punto in
cui Giovenale si spinge pi clamorosamente allo scoperto: na62. Giovenale si astiene dall'aggressione diretta al sovrano ma nella valutazione
dei tempi va addiritturaoltre l'anonimo libellista che - al tempo di Tiberio (Svetonio Tib. 59, 1) - scrisse: aurea mutasti Saturni saecula, Caesar:/ incolumi nam te
ferrea semper erunt.
63. Sulla questione delle varianti nona/nunc nel v. 28 e sul significato della nona
et, cfr. I. Borzsak, Nona aetas? (Zur juvenalischen Textberlieferung), Meander
22, 1967, p. 305 ss. (che argomentava in favore di nunc di P) e M.J. McGann,
JuvenaVs Ninth Age (13, 28 ss.), Hermes 96, 1968, p. 509 ss. (che, anche in nome
del principio della lectio diffidlior, preferisce la lezione nona e la mette in connessione con Sibylline teaching e in particolare- sia pure indirettamente- con quell'oracolo sibillino di cui parla Cassio Dione in 57, 18, 3 ss.: esso profetizzava la fine
di Roma dopo 900 anni (cfr. scholia Bern, a Lucan. 1, 564 (Sibylla) noncentesimum
annum exitio Romanis cecinerat). Nonostante le riserve al riguardo di Me Gann
(pp. 511 e 514), pu anche darsi che nel passo di Giovenale vi sia allusione al fatto
che 1*8secolo (calcolato ad urbe condita) si era concluso nel 47 d.C. e s'avvicinava
dunque - sotto Adriano la chiusura del nonum saeculum (quello destinato ad
essere esiziale per Roma); sui calcoli (pi meno funzionali alle diverse esigenze) di
queste coincidenze fatali, cfr. Syme, op. cit. p. 1016 ss.
64. Vedi A. Garzetti, Vimpero da Tibeno agli Antonini, Bologna 1960, p. 402; E.
Tengstrm, A study of JuvenaVs tenth Satire. Some structural and interpretative
Problems (Acta Universitatis Gothoburgensis), Gteborg 1980, pp. 50-52. Sul ritorno della Fenice, interpretato come felice superamento di una crisi, cfr. Syme, op.
cit. p. 1019 s. Va da s che tutta l'impostazione di questo mio saggio si oppone
all'interpretazione che degli old good days in Giovenale d M.M. Winkler, The
Persona in Three Satires ofjuvenal, Hildesheim-Zrich-New York 1983, p. 23 ss.

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124

Franco Bellandi

turalmente, la sua critica resta con prudenza su un piano di abbastanza generico moralismo (anche se la sat. XVI, per es., ha
punte che difficilmente potrebbero essere sganciate dalla responsabilit diretta del potere politico65).
Ma la stessa insistenza ossessiva con cui Giovenale manifesta rimpianto per l'aurea aetas - identificandola nel concreto
della storia di Roma con l'et in cui asserito vigente il mos
maiorum - che finisce inesorabilmente per assumere un'implicita valenza di critica politica. vero, infatti, che si pu fare un
uso pienamente di regime anche della critica pi feroce al
costume e alla societ, ma in questo caso occorre che il moralista - se spietato verso i sudditi - possa esaltare appoggiare
chi quei sudditi vuoi raddrizzare sulla via della riforma morale e del recupero del mos maiorum; era stato appunto questo il
caso degli intellettuali augustei pi impegnati nel disegno di restaurazione morale voluto dal sovrano: da Virgilio, che nelle
Georgiche (cfr. sopra, n. 28) e poi mi9Enide (6, 791 ss.; 8, 314

65. Cfr. quanto ho scrtto in Dizionario, cit., p. 1044. Senza voler esasperare la
portata politica della satira sugli intollerabili privilegi dei militari (argomento assai delicato, come ognun vede; cfr. M.E. Clark, Juvenal, Satire 16: Fragmentary
Justice, Min. CI. Stud. 13, 1988, p. 113 ss.), difficilmente il sarcasmo di un passo
come 16, 58 ss. (ipsius certe du ci s hoc referre videtur ut...) non finisce per tirare in
ballo Adriano (cfr. Garzetti op. cit. p. 436: certo che la cura dell'esercito fu tra le
principali di Adriano; e Grard, op. cit. pp. 340-341); anzi, quel termine di dux
(gi adoperato per Domiziano in 4, 145) riverberaironia sulla tanto sospetta du eis
indulgentia di 7, 21. A me sembra indiscutibile che anche 7, 90 ss. non possa essere
letto senza rintracciarviuna critica abbastanza chiara (fra le righe) al potere politico
dell'attualit (ibid., p. 1043). A proposito della discussa interpretazione del proemio
della sat. VII (per me ironico verso Adriano e il suo atteggiamento verso la cultura e
gli intellettuali), cfr. Dial. d'Archeol. 8, 1974-1975, p. 384 ss.; recentemente S.H.
Braund, Beyond Anger: a Study of JuvenaVs Third Book of Satires, Cambridge
1988, p. 35 e . 26 (a p. 209) - riprendendo l'interpretazione di R. Marache, ora
riconfermata in Juvnal-peintre de la socit de son temps, in Aufstieg und Niedergang der rmischen Welt II 33.1, Berlin-New York 1989, p. 606 ss. - tornato
a'interpretazione edulcorata di tale proemio come diplomatico espediente per
evitare di offendere il sovrano, come conventional captatio benevolentiae nei suoi
riguardi; in ogni modo, a p. 207 (n. 9) Braund contesta giustamente (come gi avevo
fatto ibid., p. 400, . 31) l'assurda interpretazione iper-positiva di Anderson: th
'lapses' into pessimism are too long and substained to be properly described as
such. Quanto a 15, 110 ss. - col suo apparente ottimismo sulle condizioni della
cultura al giorno d'oggi - se non ironico (vedi soprattutto l'iperbole del v. 112 e
cfr. n. 18), certo affermazione dettata solo dal desiderio di dare la massima enfasi
all'antitesi con l'orribile selvatichezza degli Egiziani.

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Et dell'oro e mos maiorum in Giovenale

125

ss.) aveva dato paradigmatica formulazione al nesso aurea aetas


I mos maiorum in stretta connessione col presente augusteo e
col progetto imperiale di moralizzazione del costume, all'Orazio, soprattutto, delle Odi Romane66 anche - sia pure con
dosi pi ampie di ambiguit - alPOvidio augusteo di certe
tirate moraleggianti67.
Ma Giovenale recupera e addirittura enfatizza con piglio polemico questo tema caratteristico dell'ideologia augustea proprio
quando il regime imperiale indirizzato a livello politico e culturale in tutt'altra direzione. Giovenale appesantisce questa tematica augustea tornando continuamente a riproporre - con
solo esigui aggiustamenti ai tempi - il modello etico catoniano del sano, antico costume italico ad una societ che con i
codici morali delle sue lontane origini agro-pastorali certamente
non ha pi molto a che spartire. Questo iato paradossale fra

66. Lo spieiato pessimismo del giudizio morale in Carm. 3, 6, per es., ha toni
apocalittici di sapore pre-giovenaliano (vedi la sarcasticadescrizione dei fecunda
culpae saecuh nei w. 17 ss., incentrata proprio sulla rovina della pudkitia nella
famiglia romana, in dittico con l'antitetico quadro dell'antica, felice et seguace del
mos maiorum nei w. 33 ss.); e Tode si conclude con una sentenza cupamente desolata che non sembra lasciarescampo: aetas parentum, peioravis, tulit I nos nequioresy
mox daturos/progeniem vitiosiorem (w. 46-48); ma tanta negativit si pone solo
come il dato che reclama l'intervento soterico del principe e si collega - ora pi,
ora meno esplicitamente - al suo progetto di moralizzazione del costume e di restauro dell'antica religiosit: cfr. 3, 6, 2-4 (donec templa refeceris...). un pessimismo, dunque, che apre la strada ad un possibile rnnovellarsi dell'et dell'oro, gi in
atto secondo Carm. Saec. v. 57 ss. e legato in modo inscindibile alla presenza divinamente attiva di Caesar (cfr. 4, 5, 17 ss. 4, 15; cfr. V. D'Agostino, La fantastica
descrizione dell'et del ferro negli scrittori antichi^Riv. Studi Class. 17, 1969, p.
11 s.; Kubusch op. cit. p. 148 ss.).
67. Sull'uso che del mito delle Et fa Ovidio e sul suo atteggiamento nei confronti del presente augusteo, ora criticato abbastanza duramente, ora ironizzato
come et dell'oro in senso ben diverso da quello tradizionale (Ars 2, 275 ss.), ora
esaluto come et splendida in cui l'antica rustidtas stau sconfitta, vedi K. Galinski, Some Aspects ofOvid's Golden Age, Grazer Beitr. 10, 1981, p. 193 ss. (che
giustamente fa rilevare - di fronte a certe tirate ovidiane piuttosto aspre contro la
plutocrazia del suo tempo, interpreute talora in chiave anti-augustea come
his
th
behavior
of
of
was
criticai
himself
ruling class, p. 198, n.
very
Augustus
15). Vedi anche Kubusch, op. cit. p. 185 ss.
68. Vedi la felice formulazione che di questa caratteristicaideologica del poeta ha
dato L. Canali, op. cit.: in una civilt prevalentemente urbana e internazionale in
sviluppo sulla base di una fiorente economia di scambi, Giovenale rappresenta,solo
ideologicamente e quindi con l'astrattezza propria dell'assenza di concrete media-

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Franco Bellandi

proposta ideologica e realt naturalmente valeva gi a pieno per


la societ augustea; ma con la differenza essenziale che allora
era stato Augusto a spingere espressamente i suoi poeti verso
quell'operazione di copertura ideologica, mentre ora Adriano (nonostante certe patinature augustee che erano quasi
d'obbligo per tutti i sovrani) non ha pi alcun reale interesse per
un'operazione culturale di questo tipo: da una parte, il suo regime, decisamente filellenico e modernizzante, non ha alcuna
velleit di ritorno all'indietro - verso modelli culturali arcaizzanti, incentrati sul mito delle origini italico-romane69 -, dall'altra l'esigenza di legittimazione (a livello culturale) non pi
pressante come un tempo, quando l'istituzione-principato era
agli esordi, poich essa ormai acquisita e saldamente salva- dal potere militare70.
guardata senza pi troppe ipocrisie

zioni politiche, le esigenze di una societ contadina, autarchicae nazionalista in fase


di sempre pi accentuato regresso (p. 11); poco prima, a p. 8, il critico aveva
definito a ragione la base ideologica della satira di Giovenale come una base astratta di antichi valori depressi e sconfitti. In questo senso pu essere significativo
della crescente consapevolezza giovenaliana al riguardo (e del correlato pessimismo) il confronto fra 3, 168 ss. e 14, 179 ss.: al tempo della sat. Ili, si afferma
perentoriamente resistenza ancora nell'attualit di comunit marginali simili
alle antiche (Virg. Georg. 2, 527 ipse dies...festos...per herbam riecheggia in Giov. 3,
172-173 ipsa dierum I festorum herboso... a conferma che tutta la chiusa del II libro
delle Georgiche ha influenzato profondamente la rappresentazione del satirico, cfr.
n. 28) e addiritturasi dichiara che ci vero per pars magna Italiae; al tempo della
sat. XIV, invece, non c' pi spazio per affermazioni del genere e la sanit italica
confinata nel lontano passato (olim, in risalto nella clausola del v. 180). Anche in 6,
55-59, peraltro, Giovenale non manifesta molta fiducia - al giorno d'oggi - nella
vita delle isolate comunit rurali, quanto al rispetto di Pudiatia.
69. Il filo-arcaismo di Adriano (amavit...genus vetustum dicendi, SHA, Vita Hadriani 16, 5) essenzialmente linguistico-letterario, senza un vero rovescio socioideologico; particolarmente significativa per il nostro discorso appare l'avversione
(o, comunque, la non-simpatia) da lui manifestata per il modello-principe della
cultura augustea, Virgilio (ibid. 16, 6): Hadrianus August us (dal 123 d.C; cfr.
Syme op. cit. p. 327) non sente pi bisogno evidentemente di un suo Virgilio.
Sulla politica culturale e i gusti poetici del sovrano, vedi H. Bardon, Les empereurs
et les lettres latines d'Auguste Hadnen, Paris 1940, p. 393 ss. e L. Gamberale, La
riscoperta dell'arcaico, in Lo spazio letterario di Roma antica. III (La ricezione del
testo), Roma 1990, p. 560 ss.; sui resti della sua attivit letteraria, cfr. I frammenti
dei fpoetae novelli ', introd. testo crit. e comm. a cura di S. Mattiacci, Roma 1982,
pp. 23-25 e 55-79.
70. Emblematico al riguardo l'aneddoto relativo a Favorino di Arelate, riportato
in SHA, Vita Hadriani 15, 2 (cfr. Cassio Dione 69, 3, 5-6): la risposta di Favorino a
chi lo indurrebbe a contrastare il sovrano su un'umile questione lessicale in cui

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Et dell'oro e mos maiorum in Giovenale

127

Dunque, Adriano non sente pi quel forte bisogno di crearsi


consenso che spinse Augusto - prima tramite Mecenate e poi,
pi ruvidamente, in prima persona ad organizzare e valorizzare uno staff d'intellettuali pronti a collaborare alla sua politica.
In questo quadro, nei fatti, cos poco augusteo, Giovenale si
presenta come aspirante consapevolmente destinato a frustrazione al ruolo storicamente superato di vates egregius, inteso
questo ruolo proprio alla maniera di Virgilio od Orazio (7, 53
ss.)71. L'esplicita dichiarazione di fallimento, di inattualit
di questa figura di vates - mentre spiega il ripiegamento di Gio-

me illum
questi ha certamente torto (non rede suadetis,familires, qui non patimini
doctiorem omnibus credere, qui habet triginta legiones) la dice lunga - nella sua
frivolezza di battuta - su quanto si pensava della realt di fatto del principato, al di
l di ogni mistificazione ufficiale; anche se nella Vita Hadriani non mancano oscillazioni nella valutazione del rapporto del sovrano con gli intellettuali (dovute probabilmente alla giustapposizione di fonti contraddittorie, cfr. H.W. Benario, A
Commentary on th Vita Hadriani in th Historia Augusta, Ann Arbor (Michigan)
1980, p. 10 s. a proposito di 15, 10/16, 8), certo Adriano non ebbe un approccio
augusteo con la cultura e i suoi operatori.
71. Sul fatto che il mecenatismo di tipo augusteo (decisamente idealizzato da
Giovenale sulla scorta di Orazio) definitivamente superato dai tempi, Giovenale
ha le idee molto chiare (cfr. F. Bellandi, Dial. d'Archeol. cit., p. 402 ss.; sul
in Oralit scritturaspettacoproblema pi in generale, vedi A. La Penna, // letterato
lo, Torino 1983, p. 140 ss.; L'intellettuale emarginato nell'antichit, in Maia 42,
1990, p. 3 ss.); non questa, probabilmente, l'ultima ragione per cui egli si trova a
e sente di dover abbandisagio nei panni cui pure aspirerebbe del vates egregius
donare i toni alti dell'indignano per una dimensione privatae pi dimessa (almeno programmaticamente)della comunicazione letteraria(cfr. n. 59). Proprio il confronto con Orazio-poeta augusteo pu aiutare forse a chiarire meglio quel che
intendiamo. Per agire con credibilit il ruolo del vates occorre avere sentirsi
un'investitura: POrazio delle Odi Romane o, pi in generale, della poesia civile
ha la coscienza di essere il portavoce del potere, di collaborare autorevolmente
con i suoi manifesti da intellettuale-creatore di consenso ad un progetto di ambiziosa politica culturale; con la consapevolezza dell'importanza di questo ruolo, tutt'altro che marginale, Orazio pu legittimamente - e con buona immedesimazione
Musarum sacerdos (Carm. 3, 1,
psicologica presentarsi talora in atteggiamento di
e del rappor3), che solennemente ammaestrail suo popolo; il tema dell'investitura
in
Carm.
chiaro
3, 4 (special
Caesar
con
del
to privilegiato
particolarmente
poeta
mente v. 9 ss. e 37 ss.; cfr. P. Brisson, Horace: Pouvoir potique et pouvoir politial contrario, ha di
que, in Prsence d'Horace, Tours 1988, p. 51 ss.). Giovenale,
fronte un regime col quale non in consonanza e che, comunque, non richiede pi
a
si
agli intellettuali una collaborazione di questo tipo; dunque, quando egli atteggia
un
rabbiosamente
ad
in
disagio
vates indignatus, parla prima persona
esprimere
societ n, tanto meno, dalla
soggettivo che non sente condiviso n dalla massa della
sua lite politica: egli resta, perci, un vates senza investitura, un vates da sala di

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Franco Bellandi

venale verso un programma di pseudo-comunicazione privata,


il tentato recupero del sermo oraziano - costituisce una critica
abbastanza aperta all'abbandono del carattere augusteo del
principato, incentrato su una valorizzazione essenziale dell'asse
italico-occidentale, con i suoi corollari ideologici e concreti72.
Di tale critica espressione non secondaria il rimpianto ossessivo del mos maiorum italico-romano, elevato alla dimensione
mitica di una vera Et dell'Oro, secondo un repertorio tematico
tipicamente augusteo ormai, per, del tutto fuori tempo.
Universit di Siena

recitazione, una sorta di degradata Cassandra (cfr. F. Bellandi, Poetica dell'indignano e sublime-satirico in Giovenale, Ann. Scuola Norm. Sup. Pisa s. Ili, 3, 1973,
p. 88 ss.).
72. La componente ideologica italico-romana essenziale per Ottaviano nella
fase della lotta contro l'orientale Antonio e resta un perno della cultura augustea anche dopo la conquista definitiva del potere (cfr. A. La Penna, Orazio e Videologia del principato, Torino 1963, p. 56 ss.; in part. pp. 58-59, sull'Italia come sede
dell'et aurea e simbolo etico, rifugio delle virt prische).

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