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Mito e ideologia:
et dell'oro e mos maiorum in Giovenale
1.
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Franco Bellandi
Una volta apertasi questa strada del dubbio, per cos dire,
fu poi H.A. Mason che giunse a rilevare nell'esordio della satira
la presenza continua e dissacrante di un malizioso wit, che toglierebbe ogni seriet alla iniziale rappresentazione della trogloditica coppia-modello, fino a spogliare di qualunque reverenza il quadro decisamente animalesco di questi Adamo ed va
pagani. Questo studioso, infatti, tende a svuotare quasi del tutto la tensione moralistica di Giovenale, e a fare della sua satira
pura letteratura ironico-giocosa, evidentemente non riuscendo
ad ammettere che wit (o, almeno, certe forme di esso) e seriet
di impegno morale possano, invece che opporsi, collaborare3.
Giusta, quindi, nella sostanza l'esigenza cui, poco pi tardi,
sent di dover dare risposta D. Singleton, operando il tentativo di reintegrare a questo
giovenaliano (da poco recuinevitabilmente
al
e,
soggetto a comperato poeta perci, quasi
la
funzione
di necessaria
prensibili soprawalutazioni)
il
suo
4.
scopo, Singleton ha
Purtroppo, per raggiungere
creduto di dover rovesciare il senso di questa rappresentazione
giovenaliana dell'Et dell'Oro: cos nell'ironia che, effettivamente, si percepisce qua e l nei versi iniziali della satira VI egli
ha voluto cogliere i segnali di una sottile critica operata da parte
di Giovenale quale Author nei confronti di un mito (quello del-
75-76 (ora in Essays on Roman Satire, Princeton N.J. 1982, pp. 257-258, da cui si
citer anche in seguito). Comunque, gi G. Highet, Juvenal th Satirist, Oxford
1954, p. 100, aveva parlato di un aprirsi jokingly della satira.
3. H.A. Mason, Is Juvenal a Classici, Arion 1, 1962, p. 8 ss. e 2, 1962, p. 39 ss.,
poi ripubblicati in Cntical Essays on Roman Literature: Satire, ed. by J.P. Sullivan,
London 1963, p. 93 ss. (vedi p. 137; cfr. anche A.C. Romano, Irony in Juvenal,
Hildesheim 1979, pp. 116-117). Su questa linea interpretativadi Giovenale in chiave
di pura literaryfrivolity, vedi quanto ho gi scritto in Dizionario degli scrittorigreci
e latini, Settimo Milanese 1987, s.v. Giovenale, p. 1044. Come scrive E. Courtney,
A Commentary on th Satires of Juvenal, London 1980, p. 155: Juvenal writes
with true desperation e la sua gaiety - quando c' - si pu definire born of
desperation.
4. D. Singleton, Juvenal VI 1-20 and Some Ancient Attitudes to th Golden Age,
Greece and Rome, 19, 1972, p. 151 ss.: there is a type of seriousness (not necessarily synonymous with 'earnestness') that is not incompatible with wit (p. 152);
there is a sort of seriousness about this passage... which suggests a serious purpose
behind th undoubted Juvenalian wit (p. 165). Sul concetto e la funzione dello
vedi CA. Van Rooy, Studies in CUssical Satire and Related Literary
,
in Greek
Theory, Leiden 1965, p. 90 ss.; G. Giangrande, The Use of
and Roman Literature, The Hague 1972.
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la primordiale innocenza dell'Umanit) che all'occhio del Moralista-Filosofo, quale Giovenale per Singleton e deve essere - in contrapposizione al suo Satirist di facciata - non potrebbe non presentare spunti e motivi di imbarazzo e di
perplessit5. L'Et dell'Oro, infatti, ha sottolineato Singleton
- s et di
perfetta innocenza, ma non di vera moralit, perch
quest'ultima comporta la presenza inevitabile e dialettica del
male, del peccato da superare e da vincere, e senza lotta,
senza scelta fra alternative diverse, non si da morale degna di
questo nome6. Singleton che nel corso del suo studio si occue funzioni di questo mito assai
varie
versioni
utilmente
delle
pa
diffuso nella letteratura precedente (anche filosofica) - non si
accorge di lasciarsi fuorviare proprio dall'analisi di questi precedenti verso un'interpretazione che con Giovenale finisce per
non avere pi nulla a che vedere: ovvio, infatti, (o almeno
dovrebbe esserlo), che Giovenale non Piatone e non si pu
certo attribuire al poeta satirico latino la problematica etica del
della Repubblica (358*; 368e ss.)7, ma
Politico (27lc-272d)
5. Su questa teoria del Satirist, ho pi volte espresso e motivato la mia perplessit
(vedi Dizionario cit., pp. 1045-1046, e, pi in particolare per la sat. V, Sulla satira
quinta di Giovenale. In margine a un recente commento, Boll. Studi Latini, 20,
1990, pp. 91-92): in realt, se c' un personaggio, questi proprio il moralistafilosofo delle ultime satire, costruito volenterosamente ma stentatamente con materiali oraziano-senecani; il satirico/uomo della strada delle prime satire sembra
molto pi vicino al fondo della personalit giovenaliana (e, difatti, non difficile
ritrovarlo anche sotto il moralista filosofeggiante dei libri IV e V, appena appena
grattando sotto la superficie, cfr. F. Bellandi, Etica diatribica e protesta sociale
nelle Satire di Giovenale, Bologna 1980, p. 66 ss.; 84 ss.). Nota Courtney op. cit. p.
257 (a proposito appunto della satira VI): th poet is judging from th viewpoint
of th husband... not from that of a moralist.
6. Cfr. Singleton, art. cit. pp. 153-154: Juvenal leaves us in no doubt; the tone of
the passage under discussion makes it certain that we are meant to re] e et the ideal
of innocence hre depicted (il corsivo mio); p. 165: it (se. the prologue) is an
ironical statement by Juvenal of his sphre of interest as a satirist, implying that he
speaks for and to civilized man, aeeepting both the disadvantages and the potential
value of the civilized state. This involves the acceptance of the invitable sinfulness
of civilization, but also of the fact that civilization is moral becauseitis sinful, for
clearly morality cannot exist unless the possibility of its opposite also exists. Ancora pi significativa Paffermazione che conclude il lavoro: innocence must be
destroyed in order that something more valuable may take its piace, con Pilluminante rimando alla Genesi e al concetto di redenzione come a stato pi complesso e pi felice della semplice innocenza. Singleton non esita a parlare di Christian
analogy (p. 162).
7. Per Piatone (Polit. 27c-272d) - dice Singleton (p. 156 s.) - e per Aristotele
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a mio avviso, Lucrezio pi che sufficiente per spiegare il particolare tono del
proemio giovenaliano (vedi infra).
9. Cfr. 13, 18-22 e 120-123, su cui vedi Bellandi, Etica diatnbica cit., p. 74, . 114.
Del resto, anche se Giovenale non ce lo avesse dichiarato in modo esplicito, ugualmente non sarebbe stato difficile accorgersi della povert concettuale del suo pensiero e della sostanziale rigidit della sua problematica morale: Giovenale - non di
rado - grande e, talora, grandissimo poeta, ma come moralista non va molto al di
l dell'antitesi passatista fra il quondam e il nunc. Singleton giunge a dire che Giovenaie non pu rifiutare la civilt e ritirarsi da essa in un passato idealizzato (pp.
164-165), il che chiunque abbia letto il nostro satirico sa che proprio ci che egli fa
costantemente (sia nella fase aeW'indignatio,che nella fase democritea, s che non
possibile distinguere fra un atteggiamento simulato e la sua demistificazione,
come vorrebbe la teoria del Satirist). Per Singleton, Giovenale non pu non prendere le distanze da quella moralit ingenua che si mostra incapace di distinguere fra
gradi diversi di male; ma Giovenale non si preoccupa mai di sceverare con scrupolosa caraturai gradi della peccaminosit e del vizio e anche quando cerca di farlo, lo
fa spesso goffamente (si pensi solo agli espedienti transizionali fra i vari quadri della
sat. VI, spesso basati su una valutazione di maggiore minore gravita dei comportamenti femminili e, talora, del tutto insostenibili dal punto di vista logico, vedi per
es. . 434 ss.): Giovenale non certo lOrazio di serm. 1, 3 (cfr. n. 44). Nel caso
particolare del proemio della sat. VI, comunque, se proprio si volesse rinvenire una
matrice filosofica, si potrebbe pensare ad una qualche influenza del concetto cinico della felicit legata alla natura e all'istintualit animale,
einfaches Leben,
lungi dagli eccessi della cultura (cfr. Gatz, op. cit. p. 126), filtrato in Roma attraverso la diatriba cinico-stoica (dalle Menippee di Varrone, cinico da salotto [Paratore], a certi passi di spiccata marca diatribica di Seneca): ma il cinismo di Giovenaie , come vedremo, solo in funzione di un'antitesi iperbolica con gli eccessi del
luxus contemporaneo, non meditata convinzione filosofico-ideologica.
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10. Il lavoro nell'et aurea era gi stato introdotto da Arato (Pbaen. v. 112:
ma senza intaccare l'atmosfera idillica dell'et felice; la frugalit era
),
stata invece introdotta, per lo meno sottolineata, da Cicerone nella sua traduzione
(Aratea, fr. XVII Soub. malebant tenui contenti vivere cultu), e passer in Ovidio
Met. 1, 104-106 (solo, per, per la prima fase della sua et aurea), cfr. A. Barchiesi, Letture e trasformazioni di un mito arateo, MD 6, 1978, p. 181 ss.; ma gli
elementi pi propriamente aspri (dovuti alla contaminazione fra mito dell'et
aurea e narrazione storico-antropologica delle origini ferine) vengono da Lucrezio (cfr. Nardo, op. cit. pp. 6-7). In Giovenale, per la verit, ci sono solo alcuni
elementi di vita ferina, perch la sua et dell'oro (dichiaratatale per motivi morali)
ha gi diversi elementi di civilizzazione materiale (vedi infra); interessante il confronto con Virgilio Aen. 8, 319 ss., dove l'et dell'oro, portata da Saturno in fuga
dall'Olimpo, non per il Lazio la prima et in assoluto (che descritta, invece,
come dura e primitiva), ma una fase successiva in cui, proprio grazie agli insegnamenti del nuovo arrivato, si hanno i primi ritrovati della civilt (cfr. M. Pavan, s.v.
aurea, in Enciclopedia Virgiliana, I, Roma 1984, p. 412 ss.; G. D'Anna, II Lazio e
la concezione virgiliana dei Saturnia regna, in Id., Virgilio, Roma 1989, p. 105 ss.).
11. Spesso si considera il proemio concluso col v. 20 (cos, per es., P. rcole, Studi
giovenaliani, Lanciano 1935, pp. 186 e 216; Anderson, art. cit. p. 257; Nardo, op.
cit. p. 5; ed altri). Ma, anche se il tono dopo il v. 20 ha una sterzata (cfr. . 20), i w.
21-24 costituiscono il naturale e necessario epimythion di quanto precede (fra l'altro
sono proprio i w. 23-24 a chiarire l'articolazione precisa in et metalliche delle
fasi prima indicate pi genericamente con le denominazioni di regno di Saturno e
di Giove, cfr. n. 13); con funzione di cerniera, l'apostrofe a Postumo (v. 21) serve a
prepararelo sviluppo seguente, che con sufficiente chiarezza sembra giungere fino
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Dunque, l'et in cui si viveva onestamente, rispettando i giuramenti e gli dei, quella stessa del regno di Saturno prima della
sua cacciata ad opera del figlio Giove (ancora privatus in Creta
= nondum barbatus di 6, 15-16), quando ancora Giunone, la
futura sposa, era verginella. I tratti ironici sono molteplici15 e
valgono a confermarci che anche nella satira VI in realt
Giovenale sta scherzando sopra il mito che racconta e su Iuppiter, in particolare, in modo anche abbastanza irriverente16.
Ma, se non ci crede, perch Giovenale ha scelto proprio questo mito come incipit della sua satira?
Un fatto certo: se Giovenale non presta fede al mito delle
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per dare espressivit, colore, icasticit ai concetti, agli insegnamenti che gli interessa comunicare. Lo stesso vale, evidentemente, per il proemio della satira VI con il suo Mito delle Et: si
osserver che Giovenale non si presta a fare un uso strumentale
totalmente serio di questo stock di immagini neanche l (2,
149-152) dove, pure, l'impiego di quei materiali munito di un
esplicito avvertimento destinato a non lasciare alcun dubbio sul
reale pensiero dell'autore19. A maggior ragione, perci, spunti
ironici - segnali della sua incredulit alla lettera di quel che
sta affermando - gli debbono essere concessi in 6, 1-24, dove
manca affatto una dichiarazione come quella di 2, 152 (necpueri
una presa di distanze preventiva come in 15, 117credunt...)
al contrario, tutto quanto viene detto posto sotto l'impegnativa egida dell'iniziale, solenne Credo...20.
Evidentemente, Giovenale ritiene di poter ironizzare e scherzare sul significante (il mito, di ascendenza greca, scelto per
comunicare il suo pensiero) senza, per, giungere a intaccare il
19. L'uso sapiente della metonimia, della sineddoche, del dettaglio ironico caratteristico di Giovenale quando vuoi ridicolizzare - sbriciolandolo - qualche concetto serio (cfr. 7, 3-5). Qui per Caronte si cita la sua pertica (contus), per le onde cupe
dello Stige le rane che vi gracidano, mentre un razionalismo ironico, quasi ecataico, si incentra sul particolare assurdo che tot mi Ha possano transirevadum una
cumba. Marache, art. cit. p. 475, parla di vritable ironie voltairienne. Per l'uso di
materiale mitologico greco, al quale non si presta fede (s Graecia vera), cfr. 14,
239-43: qui la nutazione finale {tamquam et tubicen surrexent una) svolge una
funzione di ridimensionamento ironico, ai limiti deWaprosdketon,che sgonfia
uno sviluppo troppo esteso dato al motivo.
20. Il tono singolarmente solenne dell'esordio di VI stato variamente notato
(nel confronto con gli indignati inizi ex abrupto delle prime satire, che esordiscono
per lo pi con interrogazioni retoriche ed esclamazioni): cfr. Anderson art. cit. p.
257, che parla di epic grandeur del prologo e vede l'inizio all'antica maniera spostato ritardatoa 21-24; anche Nardo, op. cit. p. 5, parla di respiro insolitamente ampio e pacato. In effetti (se escludiamo il tono asseverativo e pacatamente
amaro di sat. Ili, cfr. Ludo tarnen al v. 2), l'unica satira che abbia un inizio paragonabile a VI la sat. X, in apertura del libro programmaticamente democriteo di
Giovenale: vi lo stesso sguardo universalistico (non pi legato ad un'ottica
ossessivamente romana: cfr. 6, 2 in temriscon 10, 1 omnibus in ieras...), un analogo tono amaro, sia pur tenuto sotto controllo (cfr. Bellandi, Etica diatribica cit., p.
66); tuttavia, col gioco sottile dei suoi anacronismivoluti (cfr. n. 28 a proposito di
Larem, v. 3, e soprattutto Graecis... altenus, w. 16-17), la sat. VI allude ironicamente al suo raggio d'interesse - in realt - pi romano che propriamente universale.
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significato in cui crede (il processo di decadenza della moralit in corso dal passato al presente). Sulle motivazioni di una
simile operazione ci soffermeremo nella seconda parte del nostro lavoro: per ora, accontentiamoci di osservare che Giovenale crede di poter distinguere fra lettera e senso e ritiene di
poter giocare su questo iato, senza svuotare il suo messaggio
etico di ogni seriet.
Infatti, se prescindiamo momentaneamente dal rivestimento mitologico in cui Giovenale ha scelto di comunicarci il suo
discorso, non possiamo fare a meno di riconoscere che il contenuto ideologico di questo quadretto iniziale dell'Et dell'Oro
totalmente serio. Certo, non si potr dire che la coppia trogloditica che Giovenale ci presenta e su cui tanto si sono accaniti
Anderson, Mason, Singleton, appaia pienamente attraente ai
nostri occhi21. Ma si pu per questo sostenere che Giovenale
nega la validit di quei valori che - tramite l'immagine di
questa coppia primordiale - egli addita all'imitazione del suo
pubblico? E il confronto con il fondamentale excursus centrale
costituito dai w. 286-30022 a dimostrare in modo inequivocabile come in entrambi i passi - sia pure con toni molto diversi: del
tutto seriamente in 286-300; con tratti ironici e macroscopicamente iperbolici in 1-24 - sono esaltati e propugnati esattamente gli stessi valori23. Possiamo anche, per comodit, riassumere
21. Singleton (art. cit. p. 152) ha giustamente sottolineato, sulla scia di Anderson,
ranimalit della coppia originaria: essi vivono non solo con gli animali (pecus
...communi... umbra, v. 4), ma come animali; la montana uxor quasi pi una
scrofa una vacca che una donna: ubera detto pi spesso di mammelle animali
(cfr. 12, 8 anche, per es., Virg. Georg. 2, 254 ubera vaccae) che del seno femminile
(vedi anche n. 39); cfr. la recente traduzione di G. Viansino, Milano 1990, p. 213:
le sue mammelle da mucca.
22. Per R.P. Bond, Anti-feminism injuvenal and Cato, in Studies in Latin Literature and Roman History, Bruxelles 1979, 1 p. 427 s., l'intervento del Satirist as a
Moralist, il cosiddetto bridge passage, comprende i w. 286-305, servendo i w.
300^-305 a ricollocare le donne al centro del quadro, dopo il discorso di tono pi
generale dei w. 292-300 a9 in simmetrica corrispondenza con i w. 286-291. L'osservazione acuta, anche se attenua soltanto e non elimina la durezza del passaggio
all'interno del v. 300. Pi discutibile la sua ripartizione di quello che sopra (cfr. n.
11) abbiamo definito Yepimythion del proemio (w. 21-24) fra 21-22 e 23-37 (ibidem, p. 419 s. e 423).
23. Lo notano genericamente sia Highet, op. cit. p. 268 . 11, che Anderson, art.
cit. p. 264; Nardo, op. cit. p. 14; Courtney, op. cit. ad l. rcole, op. cit. p. 215,
notava una qualche corrispondenza anche strutturale fra il prologo e il gruppo
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in uno schema orientativo gli elementi che nelle due rappresentazioni si corrispondono, mantenendola stessa identicafunzione, pur nella diversit dei contesti e dei toni:
Et dell'Oro (mito)
luogo
diverso
ma
dosaggio l'impasto degli
guit;
a questo tono ambiguo: nel codice epico-didascalico di Lucrezio l'amvita
biguit risulta da alcune sfumature di rimpianto nostalgico per questa
ferina dei primitivi, tutt'altro che idealizzata ma nello stesso tempo, almeno in alcuni momenti, certamente vagheggiata come pura24;nel codice satirico di Giovenale, invece, l'ambiguit consiste proprio nei tratti di
humour che screziano d'ironia la tinta lucreziana del passo. Ma, nonostante questo sicuro rapporto di filiazione fra i due testi, che s'inscrive in un
affiorare di alcune
rapporto fra i due autori che va ben al di l del semplice
concetc'
non
sosteneva
come
corrispondenza
Highet25,
reminiscenze,
centrale di pensieri (dal v. 286, per, fino al v. 345), definendolo quasi come un
nuovo proemio corrispondente al primo (e indicando - discutibilmente - una possibile analogia nella sat. IV, douta di un secondo avvio nei w. 34-36). S.A. Cecchin, Letteratura e realt: la donna in Giovenale (Analisi della VI satira), in Atti del
II Convegno Nazionale di Studi su La donna nel mondo antico, (Torino 18-20
aprile 1988), Torino 1989, p. 141, accettando uno schema bipartito della satira,
rileva come entrambe le parti cominciano, in modo del tutto parallelo, con una
scena collocata nella pi remota antichit.
24. Cfr. L. Perelli, La storia dell'umanit nel V libro di Lucrezio, Atti dell'Acc.
Scienze di Torino, 101, 1966-1967, p. 157; non evidentemente il caso di entrare
qui nell'intricata questione del primitivismo lucreziano, su cui vedi, da ultimo, G.
Bonelli, / motivi profondi della poesia lucreziana, Bruxelles 1984, p. 291 ss. (con la
bibliografia precedente nella n. a p. 292, cui sar da aggiungere almeno A. Novara,
Les ides romaines sur le progrs d'aprsles crivains de h rpublique, Paris 1982, p.
313 ss. e D.H. Blickman, Lucretius, Epicurus and Prehistory, Harvad Stud. Cl.
Philol. 92, 1989, p. 157 ss.).
25. Cfr. G. Highet, JuvenaVs Bookcase, Amer. Journ. Philol. 72, 1951, p. 369
ss., ora ristampato in The Classical Papers ofG. Highet, New York 1983, p. 244 ss.
(da cui si cita), secondo il quale (p. 265) Giovenale desume da Lucrezio solo pochi
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turns of phrase; maggiore sensibilit a una certa allure lucreziana, non necessariamente legata a reminiscenze dirette puntuali, mostra L. Canali, Giovenale, Roma
1967, pp. 42-43 (ora ristampato in / volti di Eros, Roma 1985).
26. Anche per Ovidio Met. 1, 121-122 le prime domus (antra e casae, come si pu
dedurre dal v. 122) appaiono solo nell'Et d'Argento. Inoltre, l'et primordiale ed
aurea di Giovenale conosce il fuoco (v. 3) e l'uso delle pelli animali (w. 6-7, cfr.
anche pecus, v. 4) a differenza di quella di Lucrezio (5, 953-954 necdum res igni
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2) labori lavoro domestico della montana uxor (preparazione del silvester torus con fronde, paglia e pelli, ad opera della donna stessa, w. 5-7).
Qui il nucleo familiare ancora puro, essenziale (uxor/ maritus/ infantes); non ci sono schiavi, naturalmente, a fare i lavori domestici per la
signora a lavorare la terra per i padroni29 e, dunque, i domini (v. 4)
lavorano essi stessi; nel proemio, l'attenzione concentrata sulla donna,
che ha il consueto compito di accudire i figli e attendere ai lavori domestici
(sintetizzati nella preparazione del giaciglio); delle occupazioni specifiche
28. Tale elemento introdotto - con voluto anacronismo - con un termine appartenente al lessico della religione tradizionale romana (Lar, v. 3). Sull'atteggiamento
di Giovenale nei confronti della religione tradizionale romana e delle superstizioni straniere, cfr. soprattutto J. Beaujeu, La religion de Juvnal, in Mlanges J.
Carcopino, Paris 1966, p. 71 ss.; J. Gerzra, Juvnal et la ralit contemporaine, Paris
1976, p. 353 ss. Come si sa, per Lucrezio la religione (anzi il timore religioso)
creazione (nefasta) della mente umana in et pi avanzata (cfr. 5, 1161 ss.); vedi F.
Giancotti, Religio, natura, voluptas. Studi su Lucrezio, Bologna 1989. Nell'excursus
centrale della sat. VI (286-300 a) il tema religioso non esplicitamente ripreso, ma
lo subito dopo, col richiamo tematico a Pudicitiae...aram (v. 308); esso sar poi
sviluppato ulteriormente in tutto l'episodio della Bona Dea (fino al v. 345) e poi, e
contrario, negli episodi dedicati alla mania delle donne moderne per le superstizioni
orientali (v. 511 ss.). L'importanza del tema religioso (nelle sue forme tradizionali,
non-ellenizzate od orientalizzate) invece esplicita in 14, 182 (dove, sulle labbra
degli antichi Italici, si citano espressamente i numina ruris). Questa presenza dell'elemento religioso nella vita dei primitivi (sat. VI), degli antichi Italici (sat. XIV),
deve molto al Virgilio del secondo libro delle Georgiche (su cui vedi E. Castorina,
Sull'et dell'oro in Lucrezio e Virgilio, in Studi di stonografia antica in memoria di
L. Ferrer, Torino 1971, p. 99 ss., ora in Scitti Minon, Catania 1979, p. 18 ss. e G.
Barra, Le Georgiche di Virgilio e il mito del'et dell'oro, in Atti del Convegno
Virgiliano sul bimillenario delle Georgiche, Napoli 17-19 die. 1975, editi a Napoli
1977, p. 149 ss.); D. Joly (Juvnal et les Gorgiques in Hommages ]. Bayet, Bruxelles 1964, p. 290 ss.) ha mostrato come sia proprio questo il libro delle Georgiche
pi caro a Giovenale: ed soprattutto qui che il mito dell'et dell'oro si fonde con
l'ideologia augustea del recupero del mos maiorum, com' evidente soprattutto nell'esplicita equazione dei w. 532 ss.: hanc ohm veteres vitam coluere Sabini,/ hanc
Remus et f rater...I aureus hanc vitam in terris Saturnus agebat (cfr. F. Klingner,
ber das Lob des Landlebens in Virgils Georgika, Hermes 66, 1931, p. 159 ss.,
poi ristampato in Studien zur griechischen und rmischen Literatur, ZrichStuttgart 1964, p. 225 ss.).
29. Sul tema della absentia servorum in connessione col mito dell'et aurea, cfr.
Gatz, op. cit. pp. 119 e 127; index 4 e (a p. 229).
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del marito non detto nulla, anche se si pu pensare innanzi tutto alla
lotta contro le fiere (che forniscono le pelles per il torus e per le vesti) e alla
cura del pecus citato nel v. 4. Questo del lavoro svolto personalmente dai
domini un tratto ideologicamente molto significativo che accomuna l'et
aurea e quelle et storiche di Roma e d'Italia in cui vigeva ancora il mos
maiorum00.
3) pericolo.
Il cenno alle vicinaeferae (v. 6) introduce nella rappresentazione- accanto
all'elemento/ asprezza di vita - l'altro e fondamentale elemento del rischio; la vita quotidiana della coppia primordiale assillata dal timore
continuo dell'assalto delle belve (cfr. Lucrezio 5, 982 ss.). Naturalmente
l'introduzione di un elemento di pericolo mortale (le belve) costituisce la
negazione di una delle caratteristiche strutturali della rappresentazione
tradizionale dell'et dell'oro: la pace e la sicurezza che derivano dall'assenza della guerra e dal buon rapporto con gli animali31.
30. Cfr. 11, 77 ss. (olim...Cunus parvo quae legerat horto I ipse focis brevibus
ponebat holuscuL, quae nunc I squalidus in magna fastidii compede fossor, I qui
meminit calidae sapiat quid volva popinae) dove - accanto al tema dell'antica frugalit (cfr. parvo... brevibus... holuscuL) - compare appunto l'elemento del lavoro
fatto con le proprie mani (quae legerat... ipse), il tutto in strdente antitesi con il
presente in cui il lavoratore servile, anzi lo schiavo ergastolano (in magna... compede
fossory cfr. 8, 180) - nonostante la sua condizione - in grado di sprezzare il cibo
umile, ma sano, del passato in confronto alle leccornie in uso nel suo tempo; lo
stesso concetto ribadito pochi versi pi tardi (11, 86-89: cognatorum aliquis titulo
ter consulis atque I castrorum imperiis et dictatoris honore I functus ad has epulas
solito maturius ibat I erectum domito referens a monte ligonem)y il che
significa che la sana aristocrazia di un tempo se ne andava lieta alle frugali cene
(addirittura nei giorni di festa: festis...diebus, v. 83; natalicium...lardum, v.
il monte con la propria zappa. Il qua84), dopo aver dissodato personalmente
dretto oleografico richiama facilmente altri passi: per es. 2, 73-74 (...ittud I monta-
dove si ritrova anche il concetto della frugalit del cibo: pultibus, cfr. 11, 58)
ancora 14, 181-182, dove l'insegnamento antico (ohm) dei vecchi Italici consiste
ancora una volta nella formula lavoro e frugalit:/fcroem quaeramus aratro I
qui satis est mensis (il pane bisogna procurarselo col sudore del proprio lavoro e
non sfruttando il lavoro altrui, cfr. 8, 117-118 parce et messoribusUlisI qui saturant
urbem circo scaenaeque vacantem, e la misura deve essere quella sufficiente al bisogno, e non di pi). Espressiva, dunque, in 14, 159-160 l'antitesi fra il possidere del
latifondista odierno che fa lavorare gli altri (cfr. culti...agri) e Varare dell'antica
massa di piccoli proprietari, che conduceva personalmente l'aratro, cfr. 2, 73-74
(citato sopra). Vedi anche Canali, op. cit. pp. 40-41.
31. Cfr. D.S. Avalle, L'et dell'oro nella 'Commedia*di Dante, Letture Classen-
105
Et della Repubblicaromana(storia)
1 A) piccolezza
(w. 288-289).
: parva. ..teda
L'elemento/modestia
delle abitazionicompareanchenel passo ideologicamenteparallelo(gipi volte citato)di 14, 161 ss.: al v. 167 troviamo definita casa l'abitazionein cui vive la numerosaf umilia(cfr. turla casain questiobarn),in cui ancoraregnafelicementeil mosmaiorum*2;
ne sorgesu un appezzamentominuscolodi terreno(cfr.v. 163,vix iugera
bina; v. 166, glaebula; v. 172, nunc modushic agri nostronon sufficit
(cfr.saturabat,
horto),che pure in gradodi soddisfareabbondantemente
v. 166)i bisognidei numerosiabitanti;e l'ammonimentodei vecchiItalici
di un tempo (nei w. 179 ss.) cominciapropriocon un perentoriovivite
contenticasulis...33.
si IV, Ravenna 1973, ora in Modelli semiologici neUa Commedia di Dante, Milano
1975, p. 85 s.; per il pacifico rapporto con gli animali feroci nell'et dell'oro, vedi
Piatone, Polit. 27\d-272b. Sul motivo, intrecciato col tema del vegetarismo, cfr.
Perelli, art. cit. p. 164 e Gatz, op. cit. p. 122 e 171 ss.
32. Qui siamo gi dopo i Punica proelia (w. 161-162), poich si parla appunto dei
veterani di quelle guerre e della loro ricompensa per le ferite riportatevi; ma siamo
subito dopo, alle soglie - evidentemente - del processo di corruzione che presto
comincer. Si ricordi che in Livio 39, 6, 7 (verisimilmente basato su Pisone fr. 34 P.)
l'inizio della luxuria peregrina fatto risalire al 187 a.C, data del trionfo asiatico di
Manlio Vulsone (cfr. C. Lena, V* Italia dei mores romani nelle Origines di Catone, Athenaeum 62, 1984, pp. 21-22).
33. Nella pane precedente della satira XIV (w. 86-95) non era mancato un breve
sviluppo sul tema del lusso relativo alle abitazioni (alta... culmina viUarum...marmoribus), giunto al giorno d'oggi a dimensioni veramente maniacali.
106
Franco Bellandi
34. Cfr., gi nell'et regia, la mitica Lucrezia: nocte sera deditam lanae inter
lucubrantes an e ili a s in medio aedium sedentem inveniunt, come la vede Livio in
1, 57, 9. Sul tema della filatura come compito tipicamente matronale, cfr. C.
Petrocelli, La stola e il silenzio, Palermo 1989, p. 99 ss.; ma al tempo di Giovenale il
lavoro della lana riservato alle sole schiave libert (cfr. 6, 497; 11, 69), quando con sarcastico paradosso - non prerogativa attribuita ai maschi effeminati (2, 5457).
35. Coerentemente all'ideale di frugalit propugnato, lo schiavo - visto come una
sorta di oggetto di lusso - deve essere presente in piccole dosi; si ricordi che in
questo passo (14, 161-162) si esalta la frugalit dei veterani delle guerre puniche,
oltre che delle guerre con Pirro, e quindi siamo proprio alla fine di quel terzo sec.
a.C. (o inizi II) che sta per vedere Pinizio dell'espansione a oriente di Roma (cfr. n.
32); essa avr quelle note conseguenze sul costume che i vecchi Italici di 14, 179 ss.
stigmatizzano con parole (peregrina ignotaque nobis I ad scelus atque nefas, quaecumque esty purpura duat) che Giovenale ha gi pronunciato in prima persona
nell'excursuscentrale della sat. VI (cfr. w. 294 ss., in part. 298 ss.: puma peregrinos
obscaena pecunia mores/ intulit et turpi f regerunt saecula luxu I divitiae molles).
L'unica differenza fra i due passi che in 14, 179 ss. il discorso incentrato sul
107
La vicinanza del duce cartaginese uYUrbs svolge esattamente la stessa funzione delle ferae attorno alla spelunca primordiale (cfr. proximus in v. 290
e vicinarum in v. 6): si introduce, ora in modo esplicito, l'elemento/timore del nemico (qui umano, l ferino).
Si tratta del famoso motivo del metus hostilis, tema tradizionale ripreso efficacemente da Sallustio (Iug. 41, 2) e da Livio, per tacere di altri, e divenuto
presto un luogo comune36. La paura del nemico la sola capace di retinere
in bonis artibus civitatem. Nell'et dell'oro giovenaliana (sia in quella propriamente mitica, che in quella storica) la pax non deve avere parte:
fra i longae pacis m ala (cfr. i passi - ideologicamente affini - di Tacito,
richiamati in Nardo, op. cit., p. 14, . 24) c' soprattutto il predominio che
la luxuria acquisisce, rovinando i costumi. un vero e proprio paradosso
(la guerra e l'insicurezza fra i tratti caratterizzanti di un'et aurea), se si
pensa che la guerra l'elemento-principe delle rappresentazioni delle
et negative (bronzo, per es., in Esiodo e Arato, e soprattutto ferro)37.
108
Franco Bellandi
ha per Giovenale qualit positive (sia pure espresse iperbolicamente) che egli vorrebbe restaurate nella donna moderna: per
es. la cura personale dei figli (v. 9). La donna ricca di oggi non
vuole partorire e abortisce (w. 592-601); solo la povera costretta a generare e ad allevare la prole, zpartus subire discrmen
e omnes nutricis tolerare labores, spinta a ci dalla condizione
modesta (fortuna urguente)39. Soltanto la sana povert (Ybumilis fortuna di v. 287), dunque, pu costringere al corretto comportamento la donna che, altrimenti, seguendo la sua natura,
facilmente si corrompe. E se Yuxor montana scarmigliata e
poco attraente, per Giovenale non forse pi horrida (v. 10)
l'impiastricciata donna moderna foeda aspectu (v. 461), la cui
facies egli non esita a definire ulcus (v. 473)39bls?
Giovenale non Ovidio, che con franchezza dichiara la sua
ripulsione per le immundae Sabinae di una volta (Am. 1, 8, 39
ss.) e che decisamente preferisce il cultus del suo tempo40.
Anche il primordiale nutrimento a base di ghiande (cfr. v. 10:
stas sono probabilmente l'effetto del suo assiduo lavorare la lana, ma le mani della
donna dell'elegia han da essere tenerae (cfr. Ovid. Fast. 4, 773-774).
39. La moglie ideale di 14, 167-168, ligia ai dettami del mos maiorum, f ta ia.cebat (cfr., all'inverso, quanto accade al giorno d'oggi: sed iacet aurato vix ulla
puerpera lecto in 6, 594, col tema del letto lussuoso contrapposto al rozzo giaciglio
primordiale di 6, 5-7 e alla modesta casa di 14, 167) e annoverava fra i suoi figli
almeno trs infantes e un numero imprecisato di altri, pi grandi, gi in grado di
lavorare la terra (w. 168-171). Come la donna primordiale, essa non si rifiutava alle
fatiche dell'allevamento personale dei figli; anche su questo tema colpisce l'affinit
ideologica fra Giovenale e Tacito: in Dial 28, 4 Messalla rimpiange il buon tempo
antico (pridem) in cui suus cuique filius, ex casta parente natus, non in cellula emptae nutricis, sed gremio ac sinu matris educabatur, cuiuspraepua laus erat
tuen domum et inservire liberis, cfr. Agr. 4, 2 e, soprattutto, Germ. 20, 1 sua
quemque mater uberibus alit> nec ancillis aut nutricibus delegantur (dove ritroviamo l'uso di uberaf cfr. n. 21, trattandosi delle encomiabili ma selvagge Germane in contrapposizione al gremium ac sinus delle Romane). Doveva tratursi di
un tema polemico alla moda (cfr. Favolino in Gellio 12, 1, 1, su cui Bond, art. cit. p.
432).
39bis. Del resto, il valore moralmente positivo di questo particolare tipo di horror
esplicitamente affermato in passi come 10, 298 s. (sanctos licei horrida mores I
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111
44. Gi Canali, op. cit. p. 4, rilevava la contraddittoriet fra 11, 100 ss. (elogio, sia
pure con qualche ambiguit, cfr. Viansino, op. cit. p. 435, del tunc rudis et Graias
mirari nesaus artes ... miles, che magnorum artificumfrange bat poetila I utphalens
gauderet equus) e il quadro negativo della volgarit del miles contemporaneo nella
sat. XVI, al quale questo idealizzato soldato di una volta finisce, in fondo, per assomigliare: si tratta di una conseguenza della continua e talora incontrollata tendenza all'iperbole nell'antitesi tunc/nunc. Cos, in 13, 53-59 si giunge a dire, con tono
che l'antitesi con 60 ss. (nunc si depositum...) costringe a ritenere positivo, che al
tempo dell'et dell'oro improbitas ilio fuit admirabilis aevol credebant quo grande
nefas et morte piandum/ si iuvenis vetulo non adsurrexerat et si I barbato cuicumqu puer..., la cui strumentale esagerazione (dovuta alle esigenze dell'antitesi contestuale) messa esplicitamente in evidenza da un passo come, per es., 14, 15 ss.
argomenta razionalmente contro chi, come Rutilo, infierisce sui servi duo propter
lintea: certo il furto di due tovaglioli modicus error almeno quanto l'infrazione
costituita dal non alzarsi in segno di rispetto di fronte al pi anziano (magari di soli
4 anni: 13, 58) e nessuno creder che Giovenale rimpianga davvero (ossia alla lettera) il tempo in cui tanta severit asserita vigente.
45. L'etica diatribica che arrivaa Giovenale non quella del cinismo estremistico,
ma quella filtrata da Orazio e dal Seneca oraziano di ep. 5, col rigore ascetico
dell1autarkem addolcito in direzione della metntes (cfr. A. La Penna, Vintellettuale emarginato nell'antichit, Maia 42, 1990, p. 3 ss.); cos, l'impostazione severamente stoico-cinica della programmatica sat. X (almeno nella cornice) poi
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14-15, Pudicitiae... vestigia, e 24 primos... moechos\ fatta risalire gi all'Et dell'Argento (che, comunque, Giovenale con un
felicissimo tocco di ironica coerenza provvede a fare - si badi sempre precedente alla nefasta apparizione dei Graeci, w. 1617, che contribuiranno a fare di un processo all'inizio solo accennato una frana travolgente: cfr. 3, 109-112, sulla irrefrenabile libido sessuale dei Graeculi> incapaci di rispettare alcunch).
La Storia smentisce il Mito? la valenza universale del Mito ammette un'eccezione, concedendo un'oasi di conservata pudictia al privilegiato ceppo latino?
In realt, una lettura pi attenta dei due passi svela chiaramente come in entrambi si voglia esprimere, diversamente ma
con piena congruenza, lo stesso concetto negativo: non esiste
alcuna possibilit per l'essere umano, in nessuna epoca, mitica
storica, di una pudicitia naturale e spontanea. In effetti, nel
primo caso, ironia e tendenza all'iperbole spingono Giovenale a
ridurre al massimo la durata della sua pudica Et dell'Oro (nonostante il din del v. 2) ed anzi a suggerirne decisamente, fra le
righe, la natura puramente fantastica, astratta, utopica. Osserviamo infatti da quale tipo di umanit costituita la felice generazione pudica del tempo di Saturno:
quippe aliter tune orbe novo caeloque recenti
vivebant homines, qui rupto robore nati
compositive luto, nullos habuere parentes.
(w. 11-13)
Naturalmente in rupto robore nati e compositi... luto c' allusione a miti celebri e certamente Giovenale sfrutta questi dati mitici per proiettare la sua umanit pudica in un passato talmente
lontano e favoloso che il tunc finisce per perdersi in una dimensione temporale irraggiungibile46. Aliter vivebant> infatti,
solo coloro che non erano nati da accoppiamento sessuale (i due
46. La nascita dagli alberi motivo antichissimo che Giovenale desume, per, da
Virgilio Aen. 8, 314 (gens...virum truncis et duro robore nata); esso allude alla spontanea autoctonia, mentre la menzione del mito di Prometeo (cfr. 14, 34-35 ...iuvenes quibus arte benigna I et meliore luto finxit praecordia Titan) deriva probabilmente lo spunto da Ovidio Met. 1, 82 s.; come in Ovidio, qui si vuoi lasciare
aperta la scelta fra due possibili alternative (piena spontaneit autoctona creazione ad opera di un demiurgo): ma quel che importa a Giovenale in questo contesto
(diverso 15, 147 ss., dove la scelta si fatta esplicita in direzione di un conditor)
che, in ambedue le ipotesi, non compaiono genitori umani. Rispetto a Giov. 15,
114
Franco Bellandi
143-147 e a Ovidio Met. 1, 76-88, nel proemio della Sat. VI di Giovenale non c'
alcun cenno alla scintilla di divinit presente nell'uomo: il motivo sar da ricercarsi nell'influenza lucreziana predominante in questo proemio.
47. Non coglie la sfumatura sottilmente ironica Singleton, art. cit. p. 153, quando
proprio nel dato della mancanza di genitori di questa umanit primitiva vede un
altro dei suoi segnali contro il mito dell'et aurea e con un certo patetismo scrive:
Juvenal is writing for a Roman audience and I need hardly stress th importance of
th parental tie for such an audience. No example could more obviously have been
selected to alienate th reader's sympathy from th way of life here depicted. E
la sat. XIV, col suo feroce attacco ai cattivi genitori di oggi, non scritta per il
medesimo pubblico? Cfr. la n. di Courtney ad l. : (they) had no parents to corrupt
them.
48. Notare la posizione di alto rilievo che i due termini-chiave uxor e marito
hanno nel complesso periodo iniziale di 10 w. (il pi lungo fra tutti gli esordi di
Giovenale): in clausola entrambi, esattamente a met (v. 5) l'uno e in fondo (v. 10)
l'altro.
115
abbastanza relativamente lento. Si potrebbe anche dire, dunque, a voler essere pedanti, che per Giovenale l'Et dell'Argento (coi suoi primi adulteri) comincia gi con la generazione successiva alla prima. Ma extra figuram tutto ci equivale a dire
che, in fondo, la Pudicitia ha cominciato a decadere con l'arrivo
stesso della riproduzione per via sessuale e, quindi, fuori del
mito, da sempre, con la nascita dell'essere umano stesso, quale almeno lo conosciamo oggi: la Fedelt coniugale (perch di
questo essenzialmente si tratta, quando si parla di pudicitia in
questo contesto)49 si proietta, dunque, in un passato cos iperbolicamente lontano e favoloso (e, comunque, cos breve: lo
spazio di una sola generazione, la prima) da porsi praticamente
come inesistente50.
Il proemio finisce, dunque, per affermare la innata, ineliminabile, tendenziale peccaminosit dell'essere umano: e ci ,
del resto, evidente nel modo stesso in cui Giovenale caratterizza
questo preteso periodo di originaria pudicizia: anche nello stato
di natura, questa pudicizia primordiale non ha nulla di naturale, se intendiamo con questo termine qualcosa di spontaneo,
49. Come dimostra anche la precisa ed enfatizzata definizione in termini istituzionali del rapporto fra i membri della coppia primordiale (vedi n. prec. e p. 114,
per il rivelatore confronto con Lucrezio), la Pudicitia precisamente la divinit che
presiedeva nel mondo romano (per il voluto anacronismo, cfr. n. 28 su Lar) alla
fedelt coniugale delle matrone (non si tratta dei pi generici Verecundia Pudor):
originariamente (cfr. Livio 10, 23, 3) il culto di Pudicitia era riservato addirittura
alle matronae univirae e, naturalmente, nel corso della satira Giovenale non mancher di sfruttare sarcasticamentequesto tema delPunivirato: nel modo pi chiaro nei w. 53-54 229-230.
50. Sia Anderson, art. cit. p. 75, che Singleton, art. cit. p. 152, sottolineano il
carattere di provvisoriet che l'uso di moran conferisce al soggiorno di Pudicitia
fra gli umani: sarebbe un modo di suggerire che si tratta, in fondo, di un ideale
astratto. Gli spunti principali utilizzati da Giovenale per questo quadretto iniziale
sono molteplici (Virgilio/Properzio/Ovidio e Lucrezio, innanzi tutto), ma l'enfasi
sulla divinit di Pudicizia e sulla pregnanza simbolica di tale suo soggiorno fra gli
uomini, del suo lasciarsi vedere dai mortali (v. 2 visa), deve probabilmente qualcosa alla traduzione aratea di Cicerone (in Arato/Cicerone, infatti, si da notevole
risalto al concetto di tbeoxenia e anche alla gradualit del processo di allontanamento della Vergine dalla terra: cfr. in Giovenale 6, 14-15 e 19 paulatim), mentre
qualche suggestione pu provenire anche dal Catullo del finale del e. 64 (che oltre
tutto - rispetto alla tradizione esiodea e aratea- enfatizza molto l'aspetto eroticosessuale della depravazione contemporanea, insistendo proprio sulla presenza di
questo fattore di dissoluzione nella vita familiare, cfr. w. 401-404, rispetto al felice
passato in cui le domus erano castae, v. 384).
116
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117
53.
Nel modo pi chiaro possibile ci affermato in 6, 327, nel celebre tum /emi-
na simplex!
54. In 1, 81 ss. la colpevole concupiscenza carnale insita nell'uomo sin dalle
sue origini prime, sin da quando gli esseri umani sorsero per la prima volta da terra
(questa volta con ricorso ad un mito diverso dai saxa di Deucalione) e ...manbus
nuda s ostendit Pyrrha puellas. Si noti come in questa che stata definita una scena
da nudatio mimarum (J. Gerard, op. cit. p. 22, . 4, - se si preferisce - una scena
in cui Pirra svolge il ruolo di entremetteuse, cfr. Marache art. cit., p. 475) gli
uomini e le donne non sono qualificati con riferimento ai loro ruoli istituzionali
di uxoreslmanti (cfr. 6, 5 e 10), ma semplicemente come mareslpueUae. La bont
originaria dell'essere umano affermata da Giovenale solo in 15, 131 ss. ma a
parte l'intrico di contraddizioni in cui si mette (cfr. n. 18, sul problematico rapporto
con 15, 106 ss.) - non si tratta, in fondo, che di un espediente per incupire drasticamente - per contrasto - la perversione degli Egiziani, colpevoli di cannibalismo.
Sulla natura originaria dell'essere umano Seneca esprime pareri molto differenti
(cfr. M. Bellincioni, Educazione alla sapientia in Seneca, Brescia 1978): uno dei
passi in cui, forse, pi si avvicina a questo concetto della bont dei primitivi ep.
90, 40. Ma si noti: in Giovenale il mutuus adfectus - che per natura, per dono del
conditor, lega gli esseri umani fra loro - li spinge a cercare e concedere aiuto per
abbandonare la selva originaria coi suoi pericoli naturali e costituirsi in comunit e
soprattutto per difendersi; ma questa difesa none dall'aggressione delle sole fiere, bens dagli attacchi gi militarmente organizzati (armis...tuba...turrbus) degli
altri uomini (sul tema, cfr. Perelli, art. cit. p. 164 s.). Al contrario, in Seneca ep. 90,
41 arma cessabant incruentaeque h umano sanguine manus odium omne in feras
verterant.
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Colpisce un fatto: due volte troviamo la versione mitologicoletteraria nella sua forma alla greca (in 6, 1-24 e, ancor pi
marcatamente, in 13, 38-52) e tutte e due le volte possiamo riscontrare come le venature d'ironia che danno una tonalit
ambigua al passo sono strettamente connesse ad una volont di
caratterizzazione negativa - quanto meno riduttiva - del destinatario diretto del discorso.
Nella sat. VI l'evocazione del Mito delle Et con il racconto
della progressiva scomparsa di Pudiatia (w. 1-20) rivela alla
fine - in una sorta di epimythion (w. 21-24), non privo di un
suo effetto-sorpresa - di essere funzionale al tentativo di dissuadere dalle progettate nozze un non meglio identificato Postumo
(vv. 25-27), il quale - proprio per via di un tale dissennato progetto - palesa il suo stato di delirante follia (w. 28-37). Com'
stato notato, l'atteggiamento di Giovenale verso il suo destinatario decisamente acidulo: l'ironia non affatto benevola
affettuosa, mostra bens delle punte asprigne che sconfinano talora in un aperto sarcasmo. Il satirico si fa beffe della simplicitas
del suo personaggio, la sua ironia - al di l forse delle sue stesse
intenzioni - pi scoptica che veramente maieutica55. La presenza di un destinatario, dunque, portata alla luce in un secondo momento con un effetto quasi aprosdochetico, svela di aver
avuto parte determinante nell'organizzazione tematica e formale del discorso, che si scopre ora (solo ora) a lui diretto: si
capisce adesso che nei w. 1-20 Giovenale ha raccontato una
favola a un puer; ma si tratta, in realt, di un puer adulto, cui la
vita con le sue esperienze dovrebbe aver gi insegnato concretamente quanto il poeta si premura di apprendergli attraverso il
velo del racconto mitologico; soprattutto, il destinatario dovrebbe poi comportarsi nella vita come suggerisce il senso sim55. Gi in Etica diatrtbica cit., p. 7, . 14, lo notavo; successivamente ha insistito
sulle analogie - in questo senso - fra il Trebio della sat. V e Postumo, W.S. Smith
Jr., Husband vs. Wife inJuvenaVs sixtb satire, Class. World 83, 1980, p. 323 ss.
La caratterizzazione acidula di Postumo sarebbe ancora maggiore se egli fosse
identificabile - come alcuni sostengono - con l'Ursidio che appare in v. 38 ss.; in
realt, assai pi probabile che Ursidio sia distinto da Postumo e sia introdotto - in
un'obiezione - da Postumo stesso, a giustificazione del suo comportamento: ma ci
non toglie che i due personaggi presentino delle imbarazzanti analogie e che il poeta
si rivolga a entrambi con un tono alquanto aggressivo. Della questione, che in ogni
caso testimonia della poco salda organizzazione strutturale della satira (cfr. n. 11),
mi occuper pi diffusamente in altra sede.
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57. Postumo appare con esplicita chiarezza come destinatario della satira solo nei
w. 21-37 (citato due volte, dopo la dieresi bucolica, al vocativo); dopo di che (con
buona pace di Smith Jr. art. cit., che cerca di dare unit alla satira attorno al perno di
questo evanescente personaggio), non viene pi apostrofato fino al v. 377, dove
abbiamo la sorpresa di ritrovarlo ma senza pi alcuno statuto di personaggio privilegiato (e si ricordi che per Anderson, art. cit. p. 276, . 17, forse non si tratterebbe
nemmeno pi dello stesso personaggio dell'inizio! idea bizzarra che, comunque,
testimonia in qualche modo del disagio degli interpreti). Nel mezzo (e di nuovo
dopo i w. 377-378) la satira si muove per quadri senza destinatario rivolgendosi
ad altri (Ursidio, appunto, cfr. n. 55, Lentulo al v. 80), a una seconda persona
indeterminata, il cui status oscilla a seconda delle esigenze fra quello del fidanzato
ancora in cerca della futura moglie e quello del marito, sposato da pi meno
tempo.
58. Cfr. il caso particolarmente evidente della sat. IX (su cui vedi art. cit. Boll.
Studi Latini 20, 1990, p. 92).
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60. Cfr. E. Manni, La leggenda dell'et dell'oro nella politica dei Cesan, Atene e
Roma, s. Ili, 6, 1938, p. 108 ss.
61 . La satira VI quanto meno degli ultimi anni del regno di Traiano, dato che nei
w. 407 ss. si allude a fatti databili al 113-115 d.C; nell'et imperiale Pudicitia era
entrata a far parte delle divinit connesse alla casata del sovrano (cfr. Val. Max. 6, 1
praef.: tu [Pudicitia]y Palatii columen, augustos pnates sanctissimumque Iuliae
<gentisf>genialem torum adsidua statione clbras);per l'identificazione Pudicitia =
Plotina, cfr. G. Radke, s. v. Pudicitia, in RE XXIII (1959), col. 1945, che attira
l'attenzione su una statua della Pudicitia Augusta dedicata all'imperatrice(CIL Vili
993) e su alcune monete di Plotina in cui appare l'iscrizione ara Pudic (cfr. H.
Temporini, Die Frauen am Hofe Trajans. Ein Beitrag zur Stellung der Augustae im
Pnncipat, Berlin-New York 1978, p. 100 ss.; 110 ss.). Monetazione in onore di
Plotina attestata dal 112 d.C. e Adriano coni monete in suo onore nel 117-118,
all'esordio del suo regno, al quale insistenti voci dicevano che era arrivato proprio
grazie all'esplicito favore della moglie di Traiano (cfr. Temporini, op. cit. p. 120
ss.); sulle dicerie intercorse a proposito dei rapporti di Plotina con Adriano (Cassio
Dione 69, 1, 2, cfr. 10, 3, parla senza mezzi termini di
cfr. R. Syme,
),
Tacito, tr. it. Brescia 1967, p. 328. Su tutta la questione, vedi anche L. Zusi, Plotina
e Giovenale, in Sodalitas. Scritti in onore di A. Guanno, Napoli 1984-1985, IH p.
1095 ss., che per allarga troppo lo spettro delle possibili allusioni malevole a Plotina in Giovenale e poi - incoerentemente, a mio avviso (cfr. sotto, n. 65) - le connette (p. 1116) con una sua fiducia verso Adriano.
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turalmente, la sua critica resta con prudenza su un piano di abbastanza generico moralismo (anche se la sat. XVI, per es., ha
punte che difficilmente potrebbero essere sganciate dalla responsabilit diretta del potere politico65).
Ma la stessa insistenza ossessiva con cui Giovenale manifesta rimpianto per l'aurea aetas - identificandola nel concreto
della storia di Roma con l'et in cui asserito vigente il mos
maiorum - che finisce inesorabilmente per assumere un'implicita valenza di critica politica. vero, infatti, che si pu fare un
uso pienamente di regime anche della critica pi feroce al
costume e alla societ, ma in questo caso occorre che il moralista - se spietato verso i sudditi - possa esaltare appoggiare
chi quei sudditi vuoi raddrizzare sulla via della riforma morale e del recupero del mos maiorum; era stato appunto questo il
caso degli intellettuali augustei pi impegnati nel disegno di restaurazione morale voluto dal sovrano: da Virgilio, che nelle
Georgiche (cfr. sopra, n. 28) e poi mi9Enide (6, 791 ss.; 8, 314
65. Cfr. quanto ho scrtto in Dizionario, cit., p. 1044. Senza voler esasperare la
portata politica della satira sugli intollerabili privilegi dei militari (argomento assai delicato, come ognun vede; cfr. M.E. Clark, Juvenal, Satire 16: Fragmentary
Justice, Min. CI. Stud. 13, 1988, p. 113 ss.), difficilmente il sarcasmo di un passo
come 16, 58 ss. (ipsius certe du ci s hoc referre videtur ut...) non finisce per tirare in
ballo Adriano (cfr. Garzetti op. cit. p. 436: certo che la cura dell'esercito fu tra le
principali di Adriano; e Grard, op. cit. pp. 340-341); anzi, quel termine di dux
(gi adoperato per Domiziano in 4, 145) riverberaironia sulla tanto sospetta du eis
indulgentia di 7, 21. A me sembra indiscutibile che anche 7, 90 ss. non possa essere
letto senza rintracciarviuna critica abbastanza chiara (fra le righe) al potere politico
dell'attualit (ibid., p. 1043). A proposito della discussa interpretazione del proemio
della sat. VII (per me ironico verso Adriano e il suo atteggiamento verso la cultura e
gli intellettuali), cfr. Dial. d'Archeol. 8, 1974-1975, p. 384 ss.; recentemente S.H.
Braund, Beyond Anger: a Study of JuvenaVs Third Book of Satires, Cambridge
1988, p. 35 e . 26 (a p. 209) - riprendendo l'interpretazione di R. Marache, ora
riconfermata in Juvnal-peintre de la socit de son temps, in Aufstieg und Niedergang der rmischen Welt II 33.1, Berlin-New York 1989, p. 606 ss. - tornato
a'interpretazione edulcorata di tale proemio come diplomatico espediente per
evitare di offendere il sovrano, come conventional captatio benevolentiae nei suoi
riguardi; in ogni modo, a p. 207 (n. 9) Braund contesta giustamente (come gi avevo
fatto ibid., p. 400, . 31) l'assurda interpretazione iper-positiva di Anderson: th
'lapses' into pessimism are too long and substained to be properly described as
such. Quanto a 15, 110 ss. - col suo apparente ottimismo sulle condizioni della
cultura al giorno d'oggi - se non ironico (vedi soprattutto l'iperbole del v. 112 e
cfr. n. 18), certo affermazione dettata solo dal desiderio di dare la massima enfasi
all'antitesi con l'orribile selvatichezza degli Egiziani.
125
66. Lo spieiato pessimismo del giudizio morale in Carm. 3, 6, per es., ha toni
apocalittici di sapore pre-giovenaliano (vedi la sarcasticadescrizione dei fecunda
culpae saecuh nei w. 17 ss., incentrata proprio sulla rovina della pudkitia nella
famiglia romana, in dittico con l'antitetico quadro dell'antica, felice et seguace del
mos maiorum nei w. 33 ss.); e Tode si conclude con una sentenza cupamente desolata che non sembra lasciarescampo: aetas parentum, peioravis, tulit I nos nequioresy
mox daturos/progeniem vitiosiorem (w. 46-48); ma tanta negativit si pone solo
come il dato che reclama l'intervento soterico del principe e si collega - ora pi,
ora meno esplicitamente - al suo progetto di moralizzazione del costume e di restauro dell'antica religiosit: cfr. 3, 6, 2-4 (donec templa refeceris...). un pessimismo, dunque, che apre la strada ad un possibile rnnovellarsi dell'et dell'oro, gi in
atto secondo Carm. Saec. v. 57 ss. e legato in modo inscindibile alla presenza divinamente attiva di Caesar (cfr. 4, 5, 17 ss. 4, 15; cfr. V. D'Agostino, La fantastica
descrizione dell'et del ferro negli scrittori antichi^Riv. Studi Class. 17, 1969, p.
11 s.; Kubusch op. cit. p. 148 ss.).
67. Sull'uso che del mito delle Et fa Ovidio e sul suo atteggiamento nei confronti del presente augusteo, ora criticato abbastanza duramente, ora ironizzato
come et dell'oro in senso ben diverso da quello tradizionale (Ars 2, 275 ss.), ora
esaluto come et splendida in cui l'antica rustidtas stau sconfitta, vedi K. Galinski, Some Aspects ofOvid's Golden Age, Grazer Beitr. 10, 1981, p. 193 ss. (che
giustamente fa rilevare - di fronte a certe tirate ovidiane piuttosto aspre contro la
plutocrazia del suo tempo, interpreute talora in chiave anti-augustea come
his
th
behavior
of
of
was
criticai
himself
ruling class, p. 198, n.
very
Augustus
15). Vedi anche Kubusch, op. cit. p. 185 ss.
68. Vedi la felice formulazione che di questa caratteristicaideologica del poeta ha
dato L. Canali, op. cit.: in una civilt prevalentemente urbana e internazionale in
sviluppo sulla base di una fiorente economia di scambi, Giovenale rappresenta,solo
ideologicamente e quindi con l'astrattezza propria dell'assenza di concrete media-
126
Franco Bellandi
127
me illum
questi ha certamente torto (non rede suadetis,familires, qui non patimini
doctiorem omnibus credere, qui habet triginta legiones) la dice lunga - nella sua
frivolezza di battuta - su quanto si pensava della realt di fatto del principato, al di
l di ogni mistificazione ufficiale; anche se nella Vita Hadriani non mancano oscillazioni nella valutazione del rapporto del sovrano con gli intellettuali (dovute probabilmente alla giustapposizione di fonti contraddittorie, cfr. H.W. Benario, A
Commentary on th Vita Hadriani in th Historia Augusta, Ann Arbor (Michigan)
1980, p. 10 s. a proposito di 15, 10/16, 8), certo Adriano non ebbe un approccio
augusteo con la cultura e i suoi operatori.
71. Sul fatto che il mecenatismo di tipo augusteo (decisamente idealizzato da
Giovenale sulla scorta di Orazio) definitivamente superato dai tempi, Giovenale
ha le idee molto chiare (cfr. F. Bellandi, Dial. d'Archeol. cit., p. 402 ss.; sul
in Oralit scritturaspettacoproblema pi in generale, vedi A. La Penna, // letterato
lo, Torino 1983, p. 140 ss.; L'intellettuale emarginato nell'antichit, in Maia 42,
1990, p. 3 ss.); non questa, probabilmente, l'ultima ragione per cui egli si trova a
e sente di dover abbandisagio nei panni cui pure aspirerebbe del vates egregius
donare i toni alti dell'indignano per una dimensione privatae pi dimessa (almeno programmaticamente)della comunicazione letteraria(cfr. n. 59). Proprio il confronto con Orazio-poeta augusteo pu aiutare forse a chiarire meglio quel che
intendiamo. Per agire con credibilit il ruolo del vates occorre avere sentirsi
un'investitura: POrazio delle Odi Romane o, pi in generale, della poesia civile
ha la coscienza di essere il portavoce del potere, di collaborare autorevolmente
con i suoi manifesti da intellettuale-creatore di consenso ad un progetto di ambiziosa politica culturale; con la consapevolezza dell'importanza di questo ruolo, tutt'altro che marginale, Orazio pu legittimamente - e con buona immedesimazione
Musarum sacerdos (Carm. 3, 1,
psicologica presentarsi talora in atteggiamento di
e del rappor3), che solennemente ammaestrail suo popolo; il tema dell'investitura
in
Carm.
chiaro
3, 4 (special
Caesar
con
del
to privilegiato
particolarmente
poeta
mente v. 9 ss. e 37 ss.; cfr. P. Brisson, Horace: Pouvoir potique et pouvoir politial contrario, ha di
que, in Prsence d'Horace, Tours 1988, p. 51 ss.). Giovenale,
fronte un regime col quale non in consonanza e che, comunque, non richiede pi
a
si
agli intellettuali una collaborazione di questo tipo; dunque, quando egli atteggia
un
rabbiosamente
ad
in
disagio
vates indignatus, parla prima persona
esprimere
societ n, tanto meno, dalla
soggettivo che non sente condiviso n dalla massa della
sua lite politica: egli resta, perci, un vates senza investitura, un vates da sala di
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Franco Bellandi
recitazione, una sorta di degradata Cassandra (cfr. F. Bellandi, Poetica dell'indignano e sublime-satirico in Giovenale, Ann. Scuola Norm. Sup. Pisa s. Ili, 3, 1973,
p. 88 ss.).
72. La componente ideologica italico-romana essenziale per Ottaviano nella
fase della lotta contro l'orientale Antonio e resta un perno della cultura augustea anche dopo la conquista definitiva del potere (cfr. A. La Penna, Orazio e Videologia del principato, Torino 1963, p. 56 ss.; in part. pp. 58-59, sull'Italia come sede
dell'et aurea e simbolo etico, rifugio delle virt prische).