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Sommario
Nota introduttiva
15
21
24
100 Epitaffio
30
Seikilos
1000
Vipone di Borgogna
1198
Sederunt principes
34
40
Protin
1230
Carmina Burana
Anonimi profani
1363
Guillaume de Machaut
1450
Guillaume Dufay
1461 Requiem
57
62
66
Heinrich Isaac
1562
51
Johannes Ockeghem
46
72
77
Claudio Monteverdi
1597
Giovanni Gabrieli
82
6 Offerta musicale
87
1607 LOrfeo
90
Claudio Monteverdi
1610
Claudio Monteverdi
Fiori musicali
Girolamo Frescobaldi
1648 Jephte
1664
Oratorio di Natale
Heinrich Schtz
118
124
128
132
1689
Didone ed Enea
Henry Purcell
1700
La follia
Arcangelo Corelli
1708 Passacaglia
113
Francesco Cavalli
1654 Lamento
107
Giacomo Carissimi
1649 Il Giasone
101
Claudio Monteverdi
1635
96
137
142
148
153
1711
Rinaldo
156
1712
Lestro armonico
Antonio Vivaldi
1717
Musica sullacqua
161
167
Sommario 7
1720
Ciaccona 172
1720
Concerto brandeburghese n. 5
1722
1727
178
183
188
1734
LOlimpiade 194
Antonio Vivaldi
1736
Stabat Mater
1739
Domenico Scarlatti
1741
Variazioni Goldberg
1742
Il Messia
199
204
210
214
221
1744
224
1749 Zoroastre
229
Jean-Philippe Rameau
1749
1762
Orfeo ed Euridice
1762
1781
Quartetti op. 33
1783
234
239
245
251
256
8 Offerta musicale
1785
1786
1787
Don Giovanni
1788
261
266
271
277
282
287
1795
Sinfonia n. 104
290
1797
1798
La Creazione
1802
1803
Le creature di Prometeo
1803
1805
1805
1806
Quartetto op. 59 n. 1
1808
Sinfonia n. 5 op. 67
1808
295
302
307
312
317
323
328
333
340
346
Sommario 9
1814
Fidelio
351
357
360
Gioachino Rossini
1819
1820
Niccol Paganini
365
372
378
1822
Franz Schubert
1823
1823
1824
1824
Franz Schubert
1825
1826
Franz Schubert
1827
Franz Schubert
385
390
396
402
408
414
421
426
433
1827
Die Winterreise
436
Franz Schubert
1829
Guglielmo Tell
Gioachino Rossini
442
10 Offerta musicale
1830
Symphonie fantastique
Hector Berlioz
1831
Norma
Vincenzo Bellini
1834
Carnaval op. 9
Robert Schumann
1839
24 Prludes op. 28
Fryderyk Chopin
1839
Annes de plerinage
Franz Liszt
1841
Sinfonia n. 3 Scozzese
Felix Mendelssohn
1846 Barcarola
448
453
458
464
470
476
482
Fryderyk Chopin
1850
Lohengrin
Richard Wagner
1853
La traviata
Giuseppe Verdi
1853
Franz Liszt
488
493
499
505
1858
508
Johannes Brahms
1864
Johannes Brahms
1865
Tristano e Isotta
Richard Wagner
515
521
527
Johannes Brahms
1874
Messa da Requiem
Giuseppe Verdi
1874
Sinfonia n. 4 Romantica
Anton Bruckner
532
538
Sommario 11
1874
La Moldava
543
Bedich Smetana
Modest Musorgskij
1874
Quadri di unesposizione
Modest Musorgskij
1875
Carmen
Georges Bizet
1876
Richard Wagner
549
555
561
568
575
581
1878
584
Johannes Brahms
1885
Sinfonia n. 4 op. 98
Johannes Brahms
1887 Otello
596
Giuseppe Verdi
1889
Don Juan
Richard Strauss
1890
Csar Franck
1893
1893
Antonn Dvok
1896
La bohme
Giacomo Puccini
1901
Jeux deau
Maurice Ravel
590
Claude Debussy
601
606
612
618
624
631
637
12 Offerta musicale
1902
Sinfonia n. 5
Gustav Mahler
642
649
Claude Debussy
655
1905
Salome
658
Richard Strauss
1905
La Mer
Claude Debussy
1908
Gustav Mahler
1908
Quartetto n. 2 op. 10
Arnold Schnberg
1911
Allegro barbaro
Bla Bartk
675
680
686
691
Arnold Schnberg
1913
Igor Stravinskij
1914
Charles Ives
1920 Pulcinella
669
Richard Strauss
663
696
703
709
Igor Stravinskij
1921
Sergej Prokofev
1923
5 Klavierstcke op. 23
Arnold Schnberg
715
721
727
1925
Wozzeck
730
Alban Berg
Sommario 13
1928
Quartetto n. 4
Bla Bartk
1928 Bolro
Maurice Ravel
1930
Sinfonia di salmi
Igor Stravinskij
1935
Alban Berg
George Gershwin
1936
Variazioni op. 27
Anton Webern
1938
Aleksandr Nevskij
Sergej Prokofev
1942
Dmitrij ostakovi
737
743
747
752
758
764
770
777
785
Benjamin Britten
1951
Music of Changes
John Cage
1954
Pierre Boulez
790
796
801
1955
Variazioni Goldberg
804
Glenn Gould
1956
Karlheinz Stockhausen
1957
Agon
Igor Stravinskij
1960
Dmitrij ostakovi
1962
War Requiem
Benjamin Britten
810
816
822
828
14 Offerta musicale
1968
Sinfonia
Luciano Berio
Le Grand Macabre
Gyrgy Ligeti
1985 Prometeo
845
850
Luigi Nono
1992
Olivier Messiaen
839
Philip Glass
1978
834
855
861
Luciano Berio
2007
Tierkreis
Karlheinz Stockhausen
866
871
885
Nota introduttiva
Nel 1747, dopo essere stato protagonista di uno storico incontro nella reggia
di Potsdam, Johann Sebastian Bach invia al re Federico ii di Prussia una sua
raccolta di musiche passate alla storia come Offerta musicale. Non solo un
omaggio allo squisito ospite e datore di lavoro del figlio Carl Philipp Emanuel, clavicembalista di corte. Vuole essere anche la testimonianza della propria bravura nello scrivere musica di ogni genere. Due fughe e nove canoni
alla maniera antica sono esempi di scienza della costruzione. La Sonata per
flauto, violino e clavicembalo si abbandona al piacere corrente dello stile galante. Le musiche sono molto diverse fra loro, ma stanno benissimo insieme,
perch hanno in comune la melodia che il re aveva proposto a Bach per improvvisare allistante musiche piacevoli e complesse. Quel tema (modesto,
anzi banale) permette a Bach di legare il passato e il presente. Col senno di
poi, sappiamo che Bach prevede anche il futuro. Perch la sua Offerta musicale tuttora viva e in repertorio. E contribuisce a suggerire nuova musica.
Non dimentichiamo che nel 1935, proprio orchestrando la fuga pi complessa, il Ricercare a sei voci, Anton Webern crea timbri che danno colore al bianco e nero della partitura originale, oltre che tutta la musica del Novecento.
Per laccostamento dei singoli brani curioso, per non dire bizzarro. Dimostra ancora una volta la forza della musica di sottrarsi al tempo che passa e
agli uomini che lo vivono. Forse perch spesso nasce per caso, con lautore
obbligato a inventare suoni sulla fantasia di un attimo, spremendo la sapienza
del suo artigianato. Inoltre, e a differenza delle altre arti, la musica non fissata per sempre allo sguardo o al tatto, ma lasciata libera di vibrare nellaria,
indirizzata allorgano delludito, il pi sensibile e selettivo. Pare ci sia unevoluzione biologica, darwiniana che permette alla musica di rinnovarsi di continuo, interagendo con se stessa e con quanto le sta accanto, la precede e la segue.
Il lungo amore per Bach e per ogni tipo di musica, il caso appena citato e
i tanti altri che troveremo hanno suggerito di compilare una storia che un
mosaico di 144 tessere, 144 composizioni distribuite dalla preistoria ai giorni nostri. Dalla descrizione di ciascuna tessera si ricavano discendenze e
ascendenze con altre musiche, disperdendosi dal particolare al generale.
Cio non si parte dalla sintesi per poi scoprire il dettaglio. Non una storia
16 Offerta musicale
della musica come corollario delle vicende economiche, sociali, ideali con
cui spesso si raccontano e sinterpretano le vicende passate. Concede poco
alla biografia degli autori, nella convinzione che il racconto delle vicende
personali non aiuti molto a comprendere i loro singoli capolavori. Preferisce
rispettare la naturale discontinuit che esiste fra lopera, il suo tempo e il suo
ideatore, come succede in tutte le arti, e nella musica in particolare.
Lordine cronologico serve come orientamento generico e non traccia un
percorso. Piuttosto segnala che la vicinanza anagrafica spesso distanza di
stile. Conferma la difficolt di adattare la musica e la sua storia a convenzioni
che funzionano bene in altre discipline, correnti di pensiero, eventi politici.
Perch la musica fatta di vibrazioni che vivono nellattimo. Non soltanto
una griglia di note tracciate su carta. diversa dalle immagini fissate per
sempre da pittori, scultori, architetti; dai testi di poeti e narratori. In musica
non basta che ci sia un autore che pensa e scrive. La sua scrittura difficile e
ambigua. I segni che locchio vede tracciati in partitura si devono sempre
trasformare in suoni per lorecchio che ascolta. C bisogno di interpreti,
strumenti, ambienti; ascoltatori competenti, in chiesa, a teatro, in sala da
concerto, nel salotto di casa; tanta pratica e tanta pazienza. Anche limprovvisazione, in musica, richiede abilit nel muovere le dita sullo strumento, uso
degli occhi per capire i colleghi, uso del cervello per inventare suoni non banali, senza perdersi nel tempo.
Infatti, la musica non unarte intuitiva e semplice. una scienza complessa e sfuggente, come dicono gli antichi, che cercano proprio nella musica
la chiave per sciogliere i misteri delle stelle e scoprire un ordine nel caos del
firmamento. E viceversa. I risultati sono quelli che sono. Per, anche per noi
moderni, la natura e lincerto percorso della Via Lattea restano analogie
perfette per capire la musica e la sua vita. Ci sono stelle di prima grandezza,
che aggregano uninfinit di astri minori e li riuniscono in costellazioni, dove
passano comete, ruotano pianeti, girano asteroidi, fra polveri galattiche e
nebulose lontane. Intorno, gli spazi vuoti diventano un tessuto connettivo
che definiamo silenzio. Con il tempo che scorre ripetitivo e incombente,
perch il Sole batte il ritmo dei giorni e lo Zodiaco scandisce i mesi dellanno
con i suoi dodici segni, che sono senza forma eppure in obbligatoria coincidenza con gli intervalli della musica dOccidente: sette note diatoniche pi
cinque note cromatiche, i sette tasti bianchi pi i cinque tasti neri della moderna tastiera meccanica o elettrica.
Inoltre, cercare percorsi nella Via Lattea siderea e nella Galassia musicale
come navigare nella rete informatica del terzo millennio. Si parte da un
qualsiasi nodo e si costruisce una storia a piacere, che ha le discontinuit del
mosaico piuttosto che le continuit dellaffresco, sapendo che le fratture fra le
singole tessere si accentuano o spariscono in funzione della distanza del pun-
Nota introduttiva 17
to dosservazione. Questa Offerta musicale diventa cos una rete di 144 nodi o
note o macchie, corrispondenti ad altrettante composizioni musicali. La scelta di ciascun nodo non del tutto arbitraria. Oltre agli amori personali, valgono alcuni criteri funzionali. Conta la numerologia, che in musica essenziale.
Comanda il numero 12, quante sono appunto le costellazioni dello Zodiaco e
quante sono le note della scala cromatica di Bach e della serie dodecafonica di
Schnberg. Moltiplicato per se stesso, 12 produce 144, cio musica al quadrato. Il nuovo numero diventa vincolo razionale e arbitrario per scegliere migliaia di nodi sonori sparsi su tre millenni, utili per formare legami, non serrati ma
fluidi. Pi che nodi, sono macchie di un presente che si sovrappongono alle
macchie del passato, interagendo e stravolgendosi a vicenda; pronte ad assorbire e cambiare le nuove macchie che arriveranno dal futuro.
Ognuna delle 144 composizioni scelta non solo perch vive nella sua
epoca e contribuisce a modificarla, ma perch supera lesame del tempo ed
tuttora in repertorio, disponibile a un ascolto libero e immediato, a casa, in
rete. parte di un sistema di stelle fisse e segna una tappa in un percorso,
per definizione, vago e confuso. Come la Via Lattea nella sfera celeste, questa
Offerta musicale raccoglie stelle vicine e lontane, con sfere gravitazionali
fatte di tanti oggetti sonori di peso diverso, su orbite regolari o casuali. Cos
basta solo un accenno per creare un mondo intero attorno a composizioni
altrimenti destinate allelenco delle opere minori nelle vaste biografie di
grandi autori; e per stimolare quel fantasioso e rapido divagare attorno a un
tema favorito che consente la moderna informazione diffusa. Il rapporto con
gli autori si ristabilisce nellindice, dal quale ripartire per ritrovare dove le
loro musiche vivono, prima e dopo lanagrafe certificata.
Per com pensata, Offerta musicale non pu dunque avere n capo n
coda. Inizia con Pitagora che guarda le stelle e finisce, anzi riprende, con
Stockhausen che si scioglie nello Zodiaco. Pi che tappe di un percorso in
fila indiana, o punti di una spirale, anzi scale di un frattale, le composizioni
scelte diventano poli di convergenza e diffusione di linee spezzate in un
campo dalle dimensioni illimitate. Si forma un groviglio geometrico, che ben
rappresenta le complessit dellarte musicale. Le composizioni sono autonome, per consentire letture discontinue. Sono da immaginare come tessere
squadrate di un antico mosaico bizantino e macchie diffuse di una moderna
tela di Jackson Pollock o di Robert Rauschenberg. Suggeriscono connessioni
con ci che sta intorno, ma non impongono mappe definitive. Si rivolgono a
chi ascolta e fa musica, in casa o fuori.
Offerta musicale raggiunge il suo scopo se la lettura sinterrompe per
iniziare un nuovo ascolto e per cercare verifiche immediate, su uno strumento musicale, su un disco, in rete. Sempre in rete, oltre ai suoni e ai video di
YouTube, si potr sostare per scovare notizie su biografie, correnti di pensie-
18 Offerta musicale
ro, eventi politici e sociali, composizioni che in questa storia mancano, per
volont o per caso. Alla fine di ciascuna delle 12x12 composizioni sono
proposti ascolti e letture, per approfondire e soprattutto per divagare. La
necessaria familiarit con un minimo di terminologia musicale specifica dovrebbe essere assimilabile direttamente dal testo, anche con laiuto dellelenco posto alla fine del volume. Gli indici servono per ritrovare personaggi e
autori, opere e termini musicali, ma sono anche bussole analogiche in una
navigazione che simmagina non finisca mai.
E.B.
Nota bibliografica
Per approfondire e divagare, alla fine di ciascuna delle 144 note sono proposti da due a
quattro ascolti e altrettante letture, di regola specifici e coerenti con le affermazioni, talvolta alternativi. Vanno a integrare la navigazione che al lettore si suggerisce di fare fra i
suoni e i testi reperibili nelluniverso Internet. La selezione privilegia opere recenti, meglio se uscite negli ultimi ventanni e tuttora facili da reperire in originale o ristampa. Le
registrazioni pi antiche e storiche sono segnalate nei moderni riversamenti in cd. Per i
testi scritti data la precedenza ai volumi in lingua italiana, originali o tradotti. Prevale
linglese se loriginale scritto in altre lingue. Sono tuttavia consigliati alcuni testi in tedesco, quando non sono disponibili in traduzione italiana o inglese. Testi di carattere pi
generale sono indicati nelle introduzioni alle dodici serie. Le maggiori enciclopedie e le
storie della musica utilizzate nella stesura delle singole note sono elencate di seguito.
Enciclopedie
Wikipedia Enciclopedia on line
Grove Music on line
A. Lanza (a cura di), Enciclopedia della Musica, Garzanti, Milano 2012
F. Finscher (a cura di), Die Musik in Geschichte und Gegenwart, 28 voll., BrenreiterMetzler, Kassel-Stuttgart 1994-2007
J.-J. Nattiez (a cura di), Enciclopedia della musica, Einaudi, Torino 2001-2005
OFFERTA MUSICALE
Serie I.
Inventare la scrittura, liberarsi dalle parole
La musica parte della Natura e fiorisce in ogni civilt. ovunque arte magica di timbri e ritmi, soprattutto in Oriente. Diventa anche scienza associata ad aritmetica, fisica e geometria nel pensiero greco, e quindi nellintero
mondo occidentale, dove resta centrale il problema di organizzare in modo
razionale il flusso delle melodie e la loro armonica sovrapposizione. La difficolt di scrivere il canto ne rende incerta la trasmissione, affidata alla pratica
orale e appoggiata su testi religiosi. Attorno allanno Mille, linvenzione di
un metodo per intonare e annotare le melodie consente di moltiplicarle e di
inventare la polifonia. Accanto ai temi religiosi, fioriscono quelli profani del
divertimento e dellamore. Finalmente, nel Cinquecento lartigianato di fabbri e falegnami riesce a costruire strumenti intonati e affidabili, che si integrano con le voci, ma riescono anche a cantare da soli. La musica trova un
linguaggio tutto suo, senza essere obbligata a usare le parole.
0 Le sfere della musica Pitagora, Keplero, Stockhausen
100 Epitaffio Seikilos
1000 Victimae paschali laudes Vipone di Borgogna
1198 Sederunt principes Protin
1230 Carmina Burana Anonimi profani
1363 Messe de Nostre Dame Guillaume de Machaut
1450 Missa LHomme arm Guillaume Dufay
1461Requiem Johannes Ockeghem
1500 Innsbruck, ich muss dich lassen Heinrich Isaac
1562 Missa Papae Marcelli Giovanni Pierluigi da Palestrina
1594 Ecco mormorar londe Claudio Monteverdi
1597 Sonata pian e forte Giovanni Gabrieli
Emotiva e misteriosa, com per sua natura, la musica da sempre considerata unarte superiore. Anzi: il vero punto dincontro fra arte e scienza.
Ancora nel ventesimo secolo, il musicista Karlheinz Stockhausen convinto assertore delle origini cosmiche del sistema sonoro, mentre il fisico Albert Einstein si diletta a produrre musica suonando il violino. Quattro secoli fa, nel pieno del razionalismo secentesco, Giovanni Keplero scopre le
leggi che regolano il moto dei pianeti e sviluppa in Harmonices mundi
(1619) un modello che, grazie alla musica, spiega lastronomia e laritmetica, le cosmologie degli antichi Pitagora e Tolomeo, le rivoluzioni dei moderni Copernico e Galileo. Fonte primaria di Keplero sono i testi scritti pi
di mille anni prima da Severino Boezio, a sua volta erede di Platone che,
quasi altri mille anni addietro, sposa le tesi di Pitagora, continuatore dei
primordi mesopotamici, egiziani, cinesi. Per tutti, la musica esprime le
leggi del cosmo e della matematica, il punto dincontro fra empirismo
sperimentale e speculazione numerica. Il non allineamento fra teoria e realt attribuito ai limiti della tecnologia e allinadeguatezza delle misurazioni. Quando serve, si ricorre alla potenza del mito, che tutto risolve.
Nessuno dubita delle fondamenta trascendenti della musica, tanto meno
del suo potere fisico e taumaturgico. La lira di Anfione costruisce le mura di
Tebe, le trombe di Giosu abbattono quelle di Gerico, il canto di Orfeo
vince la morte e quello delle sirene tenta (invano) di sedurre Ulisse. Tutti,
filosofi e musicanti, approfittano dellinsita ambiguit della musica per spiegare le contraddizioni fra carne e spirito, fra orgia e catarsi, fra apollineo e
dionisiaco. E ne traggono la morale che il flauto peccaminoso di Pan non
pu che perdere la sfida con larpa sublime di Apollo. Nella sua repubblica
ideale, il saggio Platone prescrive cautela nelluso della musica, arte sospetta
e scienza sfuggente. Il suo degno allievo Aristotele discetta di fisica e di aritmetica, e ricava indirizzi che per due millenni regolano e complicano levo-
luzione della musica occidentale, dal canto gregoriano medioevale fino alla
dodecafonia nel Novecento.
Gli antichi sentono la musica come metafora della Creazione, perch rispetta le armoniose proporzioni con cui vedono muoversi le sfere nel cosmo.
Immaginano che esista un sistema di suoni puri, esprimibile con note musicali proporzionate fra loro e ordinabili in insiemi (scale) al contempo logici e segreti, in analogia con la meravigliosa serie degli aritmetici numeri
naturali. Anche in musica si parte con il numero 1, la lunghezza arbitraria di
una corda presa come riferimento. La vibrazione di quella corda ha una sua
frequenza e produce un suono ben definito, una nota, la nota fondamentale. Se si cambia la lunghezza della corda permutando i rapporti fra i primi
numeri interi, si generano le altre note critiche della scala musicale. Il numero
2 dimezza la lunghezza della corda, perci la nuova vibrazione ha frequenza
doppia (2:1) rispetto alla fondamentale e produce una nota molto pi acuta,
lottava. Fondamentale e ottava sono note perfettamente compatibili fra
loro, si possono eseguire insieme, possono cio formare un accordo senza
disturbare lorecchio perch sono consonanti.
Con il numero 3 si crea una nuova nota: la corda fondamentale, se vibra
per 2/3 della sua lunghezza, produce la quinta, meno acuta dellottava. Il
numero 4, associato al precedente 3, corrisponde alla frazione di corda 3/4
della corda intera e alla nuova nota detta quarta, poco pi bassa della
quinta. Nel magico intervallo dellottava, la fisica delle vibrazioni e i numeri
dellaritmetica inseriscono cos altre due note, naturali e consonanti. Se chiamiamo do la nota fondamentale, sono fa la quarta e sol la quinta.
Lottava, cio il seguente do acuto non solo il punto di arrivo della prima
serie di note in scala, ma anche il punto di partenza di un nuovo ciclo. Divisa per quattro, la corda di partenza ha una frequenza di vibrazione ancora
pi alta e produce una nuova ottava do, pi acuta, un altro spazio entro
il quale introdurre nuove quarte e nuove quinte.
Si potrebbe continuare allinfinito, ma la realt fisica non lo consente. La
voce umana spazia soltanto entro un paio di ottave, gli strumenti musicali
moderni ne coprono sette-otto, pi in l si entra negli ultrasuoni che lorecchio non percepisce pi. Inoltre, il suono reale si stacca presto dalla teoria
numerica: gi la nota estrema della terza ottava non consonante con la
fondamentale da cui tutto parte. Analoga situazione si ha con gli armonici,
le vibrazioni secondarie che accompagnano la vibrazione fondamentale, ne
fissano il carattere (colore o timbro) e consentono di riconoscere le
sorgenti sonore, cio i singoli strumenti. Gli armonici pi vicini rispettano le
proporzioni numeriche; gli altri se ne allontanano sempre pi.
Ma non basta mantenersi entro due o tre ottave per creare buona musica.
Ancora in epoca preistorica si capisce che, permutando le sole tre note per-
fette (do, fa, sol), non si ricavano vere melodie, cio note disposte non
pi in scala ma in successione variata e riconoscibile. Nellampio spazio di
ogni singola ottava vanno inserite altre note, cos da costruire scale con un
numero maggiore di intervalli (cio gradini, pioli, note). Il metodo numerico
di costruzione, per, si arresta a 4. I rapporti che nascono dalle permutazioni
con i numeri successivi (5, 6) producono suoni non pi perfetti, ma stonature e dissonanze. Le prime soluzioni empiriche si hanno nella Cina preistorica,
dove lintervallo fra nota fondamentale e ottava diviso in cinque subintervalli o toni compatibili e (quasi) uguali fra loro. Nasce cos una scala pentatonica, fatta di cinque note: do, re, mi, sol, la. Fra mi e sol
lintervallo assai pi largo, un tono e mezzo. Altrettanto ampio lo spazio
che separa il la finale dal nuovo do con cui inizia la scala superiore, scandita
allo stesso modo e altrettanto irregolare. Pur con infiniti aggiustamenti che
tengono conto della pratica esecutiva e trascurano la speculazione teorica, la
scala pentatonica si diffonde in tutto il mondo antico, dalla Cina al Mediterraneo e allAfrica. Permane in talune tradizioni popolari: tuttora vive in Europa, con estensione alla moderna musica di consumo e al jazz. Resta un
elemento peculiare della musica extra colta, extra occidentale, esotica.
Nella scala pentatonica tuttavia vistosa lassenza dellintervallo perfetto
di quarta, cio della nota fa. Lo inseriscono gli assiro-babilonesi, circa
nel terzo millennio avanti Cristo, inventando il concetto di semitono. Una
nuova nota, fa, inserita mezzo tono dopo il mi e un tono intero prima del
sol. Una settima nota, si, entra come tono intero dopo il la e mezzo tono
prima del do da cui parte la scala superiore. Nasce cos la scala eptatonica,
tuttora familiare, fatta di cinque toni interi pi due semitoni, sette note totali. Come se, in una comune scala a mano per uso domestico con cinque
pioli sinserissero altri due pioli alti la met, uno in quarta e laltro in ultima
(settima) posizione. Non a caso, nella teoria e nella pratica musicale moderna, lultimo piolo della scala (il si) diventa il passo (quasi) obbligato per salire in altezza sulla medesima scala o passare (modulare) in orizzontale su una
scala diversa e contigua. Secondo le regole della cosiddetta armonia tonale.
Si attribuisce a Pitagora, nel vi secolo avanti Cristo, laggiustamento e la
teorizzazione di un metodo per stabilire i gradini critici della scala musicale
eptatonica detta naturale. una forzata analogia con quanto succede nel
cosmo: il Sole, la Luna e i cinque pianeti allora conosciuti (Saturno, Giove,
Marte, Venere, Mercurio) ruotano attorno alla Terra in proporzione con gli
intervalli che separano le sette note. In un certo senso, la musica che stabilisce le distanze nel firmamento.
Pitagora tuttavia ben consapevole che quei gradini non sono regolari: gli
intervalli do-fa e sol-do sono diversi e ampi; quello fa-sol pure diverso dagli
altri e molto pi stretto. Sa che non c denominatore comune in grado di fis-
sare rapporti perfetti. Quali note, e relativi rapporti (toni), inserire negli intervalli do-fa e sol-do resta il problema che accompagna la teoria della musica
fino ai nostri giorni, soprattutto in Occidente. Qui il fascino dei rapporti numerici, la geometria delle sequenze, le sovrapposizioni delle singole note focalizzano lattenzione su melodia e armonia. Il resto del mondo rimane invece
pentatonico e favorisce le altre caratteristiche della musica, cio il suono specifico di ciascuno strumento (gli armonici che determinano il timbro) e la sua
scansione (ritmo) da improvvisare nellattimo fuggente. Al contrario, lEuropa si occupa molto di pi della dimensione orizzontale e verticale del suono,
da riportare su assi cartesiani: durata delle note in ascissa (x) e loro altezza in
ordinata (y). Si stabiliscono regole per la disposizione delle note in orizzontale
(melodie) e delle loro sovrapposizioni in verticale (accordi), con risultati
(armonie) gradevoli (consonanze) o sgradevoli (dissonanze). Nascono
i modi gregoriani nel Medioevo, la polifonia nel Rinascimento, larmonia
tonale fra Settecento e Ottocento, la dodecafonia nel Novecento. Forse la
sintesi fra le musiche dOccidente e dOriente arriva nel crogiolo americano,
quando il sistema europeo portato dagli emigranti bianchi incontra le note blu
e i ritmi asimmetrici degli schiavi neri per diventare blues e jazz nel Novecento
e portare, forse, nel terzo millennio, alla fusione globale. Perch lorecchio
moderno, ben educato, sopporta meglio, anzi apprezza quella che un tempo
era considerata dissonanza e cacofonia o semplice banalit.
Dopo Pitagora, in Occidente, studiano soluzioni aritmetiche il poliedrico
Archita da Taranto, lastronomo Tolomeo e lenciclopedico Aristosseno, che
fissano princpi di teoria musicale senza molto badare alla pratica. Per avvicinarsi al reale occorre estendere il concetto di consonanze perfette e accogliere limperfezione, scendere al compromesso. Il suono assoluto delle sfere
celesti accetta le prime frange dimpurit, di rumore della Terra. In pieno xvi
secolo, Gioseffo Zarlino, direttore della musica (maestro di cappella) nella basilica di San Marco a Venezia, estende i numeri di Pitagora (e di Archita)
da 4 a 6 e con le relative frazioni completa la scala naturale. Accetta come
consonanti anche le note che hanno i rapporti 4:5 e 5:6, cio mi (terza
maggiore) e mi bemolle (terza minore) assieme a 3:5 che la (sesta). Le note re (seconda) e si (settima), che mancano alle fatidiche sette note, hanno con la fondamentale un rapporto pi complesso (8:9 e
8:15); incompatibile, dissonante. Due secoli dopo, Jean-Philippe Rameau
basa su princpi matematici la sua teoria della musica, che condiziona lultimo quarto del millennio appena concluso e che definiamo tonale perch
attribuisce a una specifica nota (tono), chiamata tonica, il valore di
cardine dellintera architettura musicale.
Restano dissonanti, nella teoria e nella pratica, le note fra loro adiacenti,
che formano lintervallo di seconda. Per quanto naturali e ricavati con arit-
metica perfetta, i gradini della scala musicale sono irregolari e pieni dinciampi, come la serie dei numeri interi dalla quale nascono. Nei 25 secoli che separano le geometrie musicali di Pitagora e di Rameau, i musici pratici danno il
loro contributo empirico alla soluzione del problema teorico di normalizzare
la scala, con la fantasia e la flessibilit che vedremo. Inventano gli aggiustamenti necessari, i temperamenti, ma il rapporto esoterico fra numeri interi e
note musicali rimane un classico esempio di biforcazione fra teoria e realt.
Tutti sono consapevoli del ruolo speciale che la musica riveste. Infatti,
lunica arte che non si contrappone alla scienza, proprio perch ne fa parte.
Nelle sette branche del sapere antico, Platone (e con lui il precursore Archita
e il successore tardo latino Marziano Capella) colloca la musica nel Quadrivium, assieme a geometria, aritmetica e astronomia, ben separata dal Trivium
di grammatica, retorica e dialettica. La musica vive sul tempo che scorre.
Misura il vuoto, cio il silenzio. larte che sfugge al tatto e poco concede
alla vista. Che d sostanza alla parola, al Verbo che il Vangelo di Giovanni
pone allinizio di tutte le cose. Che non si sa bene come classificare. Il metodico Severino Boezio, vissuto alla fine dellimpero romano, elabora il pensiero di filosofi e matematici greci per distinguere tre tipi di musiche: la instrumentalis, che produciamo con il nostro corpo e con strumenti artificiali, che
ha ben poco valore speculativo; la humana, che sta dentro di noi, a suo modo
misteriosa; la mundana, ossia il suono che accompagna il movimento delle
cose celesti, troppo lontano perch lo si possa percepire, ineffabile sfera
dellarmonia perfetta, della consonanza assoluta, della meccanica celeste.
In Occidente, musica sempre scienza e arte, da riservare a pochi sapienti, gelosi delle proprie speculazioni. Molto teorici, anzi teorizzatori, e poco
pratici, Pitagora, Platone e Boezio trovano seguaci per un altro buon millennio, anche oltre Keplero. I cui tempi, i primi decenni del Seicento, coincidono con la fine dei numeri e dellastronomia quali miti fondanti della musica.
I nuovi strumenti a tastiera e intonazione fissa impongono soluzioni (e compromessi) alleterno problema della scala naturale. La musica instrumentalis vince su tutti i fronti, vagamente legandosi alla musica humana. La musica mundana confinata alla filosofia. Come dire che la pratica prende il
sopravvento sulla grammatica, il sentimento sulla ragione. A fine Rinascimento, lespressivit del parlar cantando dissolve la geometria della polifonia. Il linguaggio del suono sbiadisce quello della parola. Il merito certo
dei progressi della scrittura, della stampa della musica su carta, e del fatto
che, finalmente, si riesce a misurare laltezza delle note e i tempi (durate,
ritmi, inflessioni) delle melodie. Con le nuove tecnologie artigianali che lavorano legni e metalli, si costruiscono strumenti musicali capaci di produrre
suoni sicuri per timbro, volume e intonazione. Finalmente la musica trova un
suo linguaggio e pu fare a meno della sintassi e della retorica delle parole.
Persiste tuttavia la difficolt dellautore di scrivere e trasmettere la musica che ha in testa, e di conseguenza di farla leggere, eseguire, interpretare con
segni tracciati sulla carta. Da qui il ruolo essenziale e demiurgico lasciato
allesecutore, che trasforma in suono vero la musica pensata in astratto. Alle
prese con il problema di muovere bene labbra e dita senza perdere il passo
con chi canta e suona accanto a lui, lesecutore si arrangia, cambia, improvvisa, ricrea. Lautore comincia a non sopportarlo, perch si sente un architetto creatore in balia di muratori maldestri. La dialettica resta latente fintanto
che le due figure coincidono: chi compone un cantore, che scrive su misura per se stesso e per i suoi colleghi di coro. Oppure un organista o liutista
che improvvisa sullo strumento di cui maestro senza lasciare traccia scritta.
Quando per, nel Cinquecento, la diffusione della musica a mezzo stampa e
lo sviluppo del virtuosismo esecutivo tolgono al creatore il controllo sul risultato finale e gli impediscono lesecuzione diretta, il problema diventa non
solo pratico, ma anche teorico. Chi fa la musica? Cos la musica?
Dal Seicento in poi i teorici (filosofi, matematici, didatti, autori) provano
a limitare le libert degli esecutori (cantanti e strumentisti, cori e orchestre)
con sistemi di scrittura sempre pi analitici e vincolanti. I risultati sono modesti e di regola aumentano i gradi di libert. Soltanto nella seconda met del
Novecento la musica elettronica fissata su nastro dallautore non lascia spazio allalea dellinterpretazione. Ne mentore Stockhausen. Che per, per
tutta la vita, cerca un appassionato dialogo con le stelle dello zodiaco, osservando dal suo astro natale Sirio il cielo che si muove, nel trionfo del geocentrico Tolomeo sugli eliocentrici Keplero e Galileo e sul relativista Einstein.
Ascolti
12x12 A Musical Zodiac, Capilla Flamenca/Het Collectief, EtCetera 2012
G. Holst, The Planets, C. Dutoit, Orchestre Symphonique De Montral, Decca 1987
Letture
A. Di Benedetto, Allorigine fu vibrazione, Nexus, Due Carrare 2008
A. Frova, Armonia celeste e dodecafonia. Musica e scienza attraverso i secoli, Rizzoli, Milano 2006
J.J. Nattiez, Il combattimento di Crono e Orfeo, Einaudi, Torino 2004
L. Azzaroni, Canone infinito. Lineamenti di teoria della musica, clueb, Bologna 2001
100Epitaffio
Seikilos
Il testo musicale pi antico Il primo flauto Ur e Babilonia Rapporti fra vibrazioni Diesis e bemolle Diabolus
in musica Europa e resto del mondo I tetracordi di
Aristosseno La scala eptatonica I modi greci Il disinteresse dei romani Il canto delle comunit cristiane
Sono una lapide: Seikilos mi ha collocata qui come segno durevole di un
ricordo immortale. Cos recita liscrizione, in greco antico. Segue il testo di
un breve canto: Splendi, finch vivi / non esser triste / la vita davvero
troppo breve / e il tempo prende pegno. Alle parole si accompagna una
scritta musicale notata secondo i canoni dellantica teoria greca e trascrivibile senza ambiguit in notazione moderna. Si tratta di una quarantina di note
che resta nellambito del modo frigio, cui la tradizione greca attribuisce virt
consolatorie. La melodia rispetta il metro dei versi, articolata in quattro parti, due salti ascendenti e relative code discendenti, su intervalli di facile intonazione. Con eleganza schubertiana e ripetitivo minimalismo, trasmette un
senso di sereno congedo. Non previsto alcun accompagnamento e non
definita la durata assoluta, allora impossibile da scrivere.
Il cosiddetto Epitaffio di Seikilos il primo brano musicale completo che
ci resta e che riusciamo a trasformare in suono. inciso su una pietra trovata nel 1883, non lontano dallantica Efeso, in Turchia, e ora esposta nel
Museo nazionale di Copenaghen. La datazione incerta, circa lanno 100
d.C., retrodatabile di due o tre secoli. Sulla musica greca possediamo soltanto una quarantina di notazioni precedenti, che sono per frammenti indecifrabili. Un papiro del ii secolo prima di Cristo associa ad alcuni versi dellOreste di Euripide una parte strumentale accanto al testo per il coro. Non
sappiamo niente sulla dinamica. Nulla dei tempi e dei ritmi con cui gli aedi
intonano i loro versi accompagnandosi con lire e cetre. Di sicuro a teatro e
nei luoghi pubblici le grandi arpe integrano i numerosi strumenti a percussione e a fiato, ma non c modo per ricostruirne leffetto sonoro.
Infatti, sono muti i numerosi reperti che documentano antiche cerimonie
sacre e profane in cui cantano, suonano e ballano tutti i popoli antichi, perfino i romani, pur meno musicali degli altri. Il primo musicista di cui conosciamo il nome una donna: Enheduanna, sacerdotessa a Ur dei caldei attorno al 2300 a.C. Tante figure dipinte dagli egizi mostrano cantori e suonatori.
Ci sono vivaci musiche strumentali in Cina e India in millenni lontani. Il
100Epitaffio31
100Epitaffio33
Ascolti
Pugnate, Musica Romana, Emmuty Records 2009
Musique de lAntiquit grecque, Annie Blis, Ensemble Krylos, Krylos 1996
Letture
S. Hagel, Ancient Greek Music: a New Technical History, Cambridge University Press,
Cambridge 2010
T.J. Mathiesen, Apollos Lyre: Greek Music and Music Theory in Antiquity and the Middle
Ages, University of Nebraska Press, Lincoln 1999
Le prime musiche dautore Inni cristiani Severino Boezio, Aristide Quintiliano, Venanzio Fortunato Canto
ambrosiano, gallicano, mozarabico, romano Canto gregoriano Intonare e scrivere la musica: Oddone da Cluny e
Guido dArezzo Tropo e sequenza Corruzione e rinascita del gregoriano
La pi antica melodia firmata tuttora in uso appartiene alla liturgia cristiana cattolica. Sintitola Victimae paschali laudes e si canta nelle cerimonie del
giorno di Pasqua. semplice e piana, come la sua origine gregoriana vuole.
Si articola per segmenti melodici ben distinti, seppur legati fra loro, e che
seguono lo svolgersi di un testo di otto strofe irregolari, con due o quattro
versi. I segmenti musicali sono cinque, disposti secondo lo schema abbcdcde: primo segmento, secondo subito ripetuto, terzo e quarto intersecati,
quinto che chiude. Si canta a una voce sola, oppure in maniera antifonale,
cio con due voci singole (o due cori allunisono, cio cantando le stesse
note) che intonano ciascuna un segmento, alternandosi. La melodia elementare, priva di accompagnamento. Il testo, in latino medioevale, invita a
lodare il sacrificio pasquale: Ges diventa agnello, Maria scopre il sepolcro
vuoto, il figlio pianto per morto invece risorto.
Per la prima volta nella storia, un brano musicale non pi anonimo ma
attribuito a un autore, sia pure non individuato con certezza. Un manoscritto dellxi secolo assegna il testo di Victimae paschali laudes a Wipo (latinizzato Vipone) di Borgogna, che attorno al 1030 chierico e istitutore alle corti
imperiali di Corrado ii il Salico e del successore Enrico iii. Altre fonti rimandano al cantore e teorico Notker Balbulus (ix secolo), monaco benedettino
nel convento svizzero di San Gallo, o al contemporaneo Adamo di San Vittore, canonico nellomonima abbazia di Parigi. Poco chiara anche lorigine
della melodia in s, forse di Wipo stesso, forse aggiunta alle parole attingendo a un repertorio consolidato e non frutto di personale creazione. Sono
questioni musicologiche serie, che nulla tolgono allimportanza di stabilire la
paternit di una musica.
Da sempre, infatti, la Chiesa scoraggia lindividualit a favore dellanonimato, allinterno di un disegno di centralizzazione e di controllo della diaspora dei riti scoperchiata dalleditto di Milano (313) col quale limperatore
Costantino concede libert di culto al cristianesimo. Fra le tante espressioni
di fede uscite dalla clandestinit, il canto sacro una commistione delle comuni radici ebraiche, greche e romane, con le varianti elaborate nei luoghi
di periferia e nei centri del potere. La libert favorisce lo sviluppo di nuovi
riti liturgici locali con i relativi canti, che prendono il nome di gallicani in
Gallia e mozarabici in Spagna, anglicani in Inghilterra, ambrosiani e romani
a Milano e Roma, bizantini, siriaci, copti a Costantinopoli, Antiochia, Alessandria. Si compongono anche nuovi testi poetici, a integrare quelli presi
dalle Scritture (i salmi): sono gli inni cristiani, ispirati ai modelli omerici,
delfici, pindarici, oltre che al canto dOriente. Li troviamo negli inni ebraici
riscritti in lingua siriaca (inizi del iv secolo), in quelli latini di santIlario di
Poitiers (prima met del iv secolo) e nei famosi Aeterne rerum conditor, Jam
surgit hora tertia, Deus creator optime, Veni redemptor gentium, i quattro inni
che santAgostino attribuisce a santAmbrogio vescovo di Milano (e forse
autore di altri nove inni).
SantAgostino autorevole e competente, non solo come padre della Chiesa e cerniera con la tradizione pitagorica e platonica. anche autore del diffuso trattato De musica (circa 390), molto influente sulla pratica del tempo e
successiva. Al suo pensiero si rif De institutione musicae (circa 500) di Severino Boezio che a sua volta, magari passando dal trattato Sulla musica (iii secolo) di Aristide Quintiliano, chiude il cerchio col passato greco e apre quello
col futuro gregoriano. La contemporanea scissione dellimpero romano fra
Occidente e Oriente, la scomparsa del primo sotto lazione delle grandi migrazioni (cio invasioni barbariche) e larroccamento del secondo in difesa
dellesistente portano ovvie conseguenze politiche, con forte impatto sui costumi, le arti, e la musica in particolare. In tutto il mondo cristiano, soprattutto nelle periferie libere e multietniche, nascono nuove forme di poesia religiosa con vocazione musicale, come gli inni latini Vexilla regis e Pange lingua
(569) di Venanzio Fortunato, un veneto passato in Gallia e diventato vescovo
della gallicana Poitiers. Nel vii secolo si diffonde la pratica di drammatizzare
le feste, in particolare quelle pasquali e natalizie, con cerimonie fastose in
chiesa e allaperto che mobilitano celebranti e monaci, chierici e cantori. Assai
diffusa pure la musica nei conventi, intesa come ausilio alla preghiera e come
alternativa al silenzio devozionale, con pratiche che di rado coincidono con
quelle diocesane, a loro volta non sempre coerenti con quelle romane.
Mentre la Chiesa di Costantinopoli lascia ampia autonomia alle proprie
comunit lontane, quella di Roma tenta subito di centralizzare. Non ne ha la
forza per almeno tre secoli, dalla caduta dellimpero romano dOccidente
(476) fino al raggiungimento di uno stabile rapporto di dare e avere con la
dinastia carolingia ormai consolidata in Gallia. Il robusto legame fra potere
temporale e spirituale nasce con la legittimazione di re Pipino il Breve nel
751 e si conferma quando Leone iii, a Roma, nella notte di Natale dellanno
ritmi, scatti. I maestri cantori delle comunit centrali e periferiche aggiungono abbellimenti (vocalizzi, melismi) alla spoglia melodia, in particolare sulle
parole Amen e Alleluja, che sono le clausole finali dei testi liturgici. Il
vocalizzo diventa una via di fuga dalla schiavit del verbo, il giubilo allelujatico un grido liberatorio e senza parole. Per meglio ricordare queste fioriture decorative, sempre pi lunghe e articolate, necessario il supporto di
altri testi scritti, che prima sono soltanto parole isolate e poi diventano versi
poetici compiuti, a loro volta autonomi dalla tradizione biblica e dai precetti romani. Come dire che le parole nascono dalla musica. questa la forma
primitiva e pi semplice del nuovo genere chiamato tropo. A sua volta, il
tropo diventa sequenza quando allarticolata formulazione melodica si
aggiunge un testo poetico nuovo e importante. Com appunto il caso di
Victimae paschali laudes.
Ben presto il percorso melodico delle sequenze diventa tanto complicato
da non poter essere ricordato con il semplice aiuto delle parole dei testi vecchi e nuovi. Ai cantori non bastano pi gli infiniti esercizi di memorizzazione. Serve una scrittura musicale che integri la trasmissione orale. I primi
esempi si trovano su manoscritti dellviii secolo in cui segni chiamati neumi (in greco gesto, ossia il movimento della mano del maestro di canto
per scandire il tempo) e collocati sopra le parole da cantare indicano gli andamenti della melodia, verso lalto e verso il basso, senza specificare per gli
intervalli. Pi tardi i neumi vengono disposti su righi, per fissare le altezze
relative delle note. I righi aumentano di numero, fino a quattro nella pratica
liturgica gregoriana, fino a cinque nel sistema moderno. Nel x secolo Oddone da Cluny codifica luso delle lettere (c, d, e, f, g, a, h) per identificare le
sette note della scala musicale, un metodo ancora in uso nel mondo anglosassone. In Italia, il monaco Guido dArezzo suggerisce luso delle sillabe
iniziali dei sette versi del popolarissimo Inno di san Giovanni per intonare le
stesse sette note: ut (in seguito do), re, mi, fa, sol, la, si, tuttora in uso nei
paesi latini. Sempre Guido, autore degli scritti Micrologus de disciplina artis
musicae (circa 1026), Aliae regulae (1030) ed Epistola ad Michaelem de ignoto cantu (1030-33), inventa una tecnica, detta solmisazione, valido ausilio
mnemonico per passare da uno a un altro degli otto modi gregoriani. La linea
melodica pu cos essere scritta su pergamena e facilmente letta, ricordata,
cantata. Resta vaga la determinazione della durata e del ritmo, cio del fluire
del tempo, anche se lintroduzione dei neumi consente una ricostruzione
accettabile della pratica musicale in chiese e conventi allinizio del secondo
millennio. Quando poi, verso il xv secolo, la notazione moderna sostituisce
quella neumatica, si semplifica la lettura della musica, ma si perdono molte
sfumature legate alla pratica e alla trasmissione orale. Sfumature che molti
considerano essenziali e che sono perse per sempre.
Ascolti
Chant ii, Monks of Santo Domingo de Silos, emi Angel 1995
50 Essential Gregorian Chants, Denon Records 2010
Letture
R.L. Crocker, An Introduction to Gregorian Chant, Yale University Press, New Haven
2000
J.W. McKinnon, The Advent Project: the Later-seventh-century Creation of the Roman
Mass Proper, University of California Press, Berkeley 2000
Fonemi distribuiti su parole stirate Voci che si sovrappongono sul cantus firmus Le polifonie di Notre-Dame Vox
organalis, tenor, organum, duplum, triplum, quadruplum
Melismi e contrappunti Dialettica alternanza fra consonanza e dissonanza Fissit ripetitiva che ispira i minimalisti del Novecento
Che il disinteresse dei musici per i significati della parola abbia radici salde
e profonde ben documentato dallorganum quadruplum (a quattro voci)
Sederunt principes di magister Protin (Perotinus), composto a Parigi attorno
al 1198 e destinato alle cerimonie del 26 dicembre in onore di santo Stefano
nella cattedrale di Notre-Dame. Sono almeno una dozzina di minuti di musica assoluta, che pu durare ben oltre inserendo ulteriori segmenti (clausulae) o semplicemente rallentando la velocit di esecuzione. Per tutto
questo tempo, il breve testo (ventidue parole su due versetti del salmo 119)
stirato sulle note lunghissime del cantus firmus, la melodia principale
che tutto sostiene, affidata alla voce grave, mentre le altre tre voci cantano
fonemi asemantici. Lo sforzo di Protin tutto concentrato sul meccanismo
musicale. La durata abnorme (per quel tempo) di Sederunt principes viene
dallo sfruttamento della legge fisico-matematica che regola la presenza simultanea di suoni diversi. Muovendosi e cantando melodie differenti, le
quattro voci fanno sovrapporre note che producono dissonanze e consonanze. Ai tempi di Protin valgono ancora i criteri numerici descritti nel primo
capitolo (Le sfere della musica) e sono accettati come consonanti solo gli
intervalli di quinta, quarta e ottava. Sono dissonanti tutti gli altri. Proprio
perch sgradite allorecchio, le dissonanze trasmettono un senso di precariet che, pi a lungo persiste, pi genera voglia di tornare al tranquillo stato di
consonanza.
Protin costruisce il suo pezzo partendo con le quattro voci che intonano
note consonanti. Alla voce pi bassa affida il cantus firmus, sul quale ogni
altra voce si muove: una melodia desunta dal canto gregoriano ma resa irriconoscibile perch ciascuna nota tenuta per una durata abnorme. A ciascuna delle altre tre voci Protin fa cantare differenti segmenti melodici. Le
dissonanze che nascono dagli incroci e il nuovo artificio detto hoquetus
(singhiozzo, una pausa improvvisa) rendono dinamico un quadro musicale
comunque dominato dalle scansioni ritmiche che ogni voce deve rispettare.
di divagazione e le si ricongiunge su un intervallo consonante. Da l il processo si replica fino a nuova consonanza. Questa tecnica prende il nome di
organum purum o duplum, perch le voci sono due. praticata fin
oltre il xii secolo e diventa triplum e quadruplum quando si aggiungono una terza (xi secolo) e una quarta voce (xii secolo), esaurendo la gamma
dei registri naturali di soprano, alto, tenore, basso. Nella pratica, stabilito il
tenor, si scrivono in successione prima il duplum, quindi il triplum e infine
il quadruplum per completare il quadro senza badare pi di tanto ai rapporti reciproci.
Si raffina nel tempo lornamentazione, cio linserimento di note di breve
durata. Nel duplum diventano centinaia le note melismatiche appoggiate su
ununica nota del cantus firmus. Quando il numero delle voci si moltiplica
fino a quattro, sorge la necessit di dare punti di riferimento ai singoli cantori. Una prima soluzione arriva con lintroduzione del rivoluzionario principio di misura del tempo musicale detto modo ritmico, introdotto verso
il 1150, descritto nel 1240 in De mensurabili musica di Johannes de Garlandia e rimasto in uso per quasi due secoli. Prende a modello la metrica quantitativa della poesia greca e stabilisce sei modi diversi per organizzare la durata del suono, permutando sequenze di due o tre note lunghe o brevi. Non
ovviamente il concetto di ritmo che abbiamo oggi. La misura del tempo
resta aperta perch le durate sono orientate pi dalle capacit tecniche dei
cantori che dagli accenti della frase, dalla quantit delle sillabe, dal senso
delle parole. Parole peraltro che la sovrapposizione alle altre rende incomprensibili. Poco importa ad autori e cantori, interessati solo agli incastri
musicali: vogliono stupire luditorio, formato dai potenti del clero e della
terra da una parte, dallaltra da semplici fedeli presenti alla cerimonia e stupiti dalla bravura dei solisti, che fermano il canto collettivo per dar spazio ai
loro virtuosismi canori. La musica sacra diventa spettacolo, non pi solo
un ausilio per la preghiera.
Non meno di 50 manoscritti diffusi nei maggiori centri monastici documentano la pratica polifonica fra il ix e il xiii secolo. Il termine organum
compare per la prima volta nellanonimo Musica enchiriadis (Manuale di
musica, circa 890) che insegna come improvvisare varianti al canto gregoriano. Cento anni dopo, con i suoi circa 150 organa a due voci, il Tropario di
Winchester (circa 1000) testimonia la nascita della scuola inglese. La scrittura su righi, secondo la notazione di Guido dArezzo, consente di leggere
laltezza delle note nelle composizioni a due voci contenute nel Codex calixtinus (1150) in uso a Santiago de Compostela. tuttavia la Scuola di NotreDame di Parigi, nata attorno al 1160 assieme alla costruzione della nuova
cattedrale, ad assumere presto un ruolo dominante rispetto agli altri centri
in Inghilterra, Aquitania e Spagna, con Italia e Germania ancora assenti. Il
Ascolti
Perotin, The Hilliard Ensemble, ecm 1988
Lonin/Protin, Sacred Music from Notre-Dame Cathedral, Tonus Peregrinus, Naxos
2005
Letture
R. Flotzinger, Von Leonin zu Perotin: Der musikalische Paradigmenwechsel in Paris um
1210, Lang, Bern 2007
R. Flotzinger, Leoninus Musicus und der Magnus Liber Organi, Brenreiter, Kassel 2003
presenza, fra i Carmina moralia, di materiali appartenenti alla contemporanea scuola parigina di Notre-Dame.
I nomi degli autori non sono riportati. Si tratta di chierici vaganti che,
non sopportando il rigido insegnamento dei conventi e ancor meno la corruzione e lamoralit della chiesa ufficiale, passano da un luogo allaltro cercando maestri veri. Chiamati anche goliardi (perch inclini ai peccati di gola, o
perch seguaci del biblico Golia) sono condannati dalle gerarchie ecclesiastiche ma benvoluti dal popolino e dalle corti alternative. A loro si devono
molte innovazioni. Assieme a saltimbanchi, giocolieri, strumentisti, si presentano nelle feste in piazza delle crescenti comunit urbane per divertire e
commuovere i nuovi borghesi con tecniche collaudate da secoli in chiese e
castelli. I chierici vaganti sono comunque degli intellettuali. Conoscono aedi
e poeti classici. Come gli autori dei testi delle coeve sequenze chiesastiche, si
ispirano alla poesia antica. Il canto profano medioevale nasce da Omero e
Virgilio, Saffo e Orazio, Anacreonte e Catullo, magari con influssi arabi importati dalla moresca Spagna. Usano differenti accenti, per omaggiare i gusti
del pubblico che da sempre stanno alla base del successo. I cantori profani,
rispetto a quelli sacri, hanno il vantaggio della libert nella scelta dei testi e,
come gli antichi, possono usare strumenti per accompagnare la loro arte
vocale. Cetre, vielle, ghironde, flauti, zufoli, tamburi, campanelli sono supporti correnti, documentati da testi letterari e da iconografia dogni tipo,
graditi nei luoghi profani e proibiti in chiesa. Consentono dintuire il suono
che si ascolta nelle corti e negli spazi cittadini di tutta Europa.
Fra i Carmina Burana troviamo brani di molti trovieri francesi e Minnesnger tedeschi, ossia di allievi dei trovatori dOccitania e Provenza, i
primi e pi famosi cantori profani di cui ci sono stati tramandati opere e
nomi. I documenti pi antichi provengono dai circuiti aristocratici e raffinati della corte di Aquitania, che non a caso ha sede non lontano da Limoges,
dove prospera il convento di San Marziale. Qui nasce la tradizione dei trovatori, con i loro temi dellamor cortese, dellalba che divide gli amanti, del
lamento per la lontananza, assieme alle storie delle spedizioni in Terra Santa
e delle lotte contro i mori che pulsano nelle chansons de geste.
Le forme poetiche e musicali sono assai simili a sequenze e inni religiosi
del tempo, anche se si chiamano chanson, aube, sirventes, plant,
ballade, jeu parti. Fra le undici chanson attribuite al primo trovatore
noto come tale, Guglielmo ix, duca dAquitania e conte di Poitiers, lunica
che ci pervenuta con notazione musicale Pos de chantar (circa 1100).
Subito diffusa in tutta la Linguadoca, larte dei trovatori ha la massima fioritura nelle cinque generazioni che si susseguono fra 1080 e 1350, con lamore impossibile per la principessa di Tripoli di Juafr Rudel, le invettive di
Marcabru, le danze primaverili Calenda maya di Rambaud de Vaquyeras, il
convento di Beuren fino al 1803 e va poi alla biblioteca di Monaco di Baviera. Il filologo Johann Andreas Schmeller cura una prima edizione nel 1847,
appunto con il titolo tutto nuovo Carmina Burana. Gli studi e le edizioni si
susseguono, ma la vera fortuna viene nel 1937, quando esce Carmina Burana
di Carl Orff, che usa alcuni testi e li mette in musica seguendo unidea tutta
sua della tradizione e dello spirito nella Germania del Medioevo, con precise
e involontarie sintonie con i gusti e la politica del tempo.
Ascolti
Carmina Burana, Ren Clemencic, Clemencic Consort, Harmonia Mundi 1990
Proensa, P. Hillier, S. Stubbs, A. Lawrence-King, E. Headley, ecm 1989
A Feather of the Breath of God, Gothic Voices, Hyperion 1988
H. von Bingen, Canticles of Ecstasy, Sequentia, Deutsche Harmonia Mundi 1993
Letture
E. Aubrey, The Music of the Troubadours, Indiana University Press, Bloomington 1996
P. Rossi, Carmina Burana, Bompiani, Milano 1989
B. Bischoff, Carmina Burana: Faksimile-Ausgabe der Handschrift der Carmina Burana und
der Fragmenta Burana, Prestel, Mnchen 1967
cede spedita al servizio del significato teologico dei testi. Il finale e accessorio Ite missa est un nuovo e delizioso omaggio allo stile di mothetus che
dal Duecento in poi sostituisce lorganum e subito ottiene fortuna spettacolare, perch rinuncia alle funzioni liturgiche e si lancia sui temi profani e
amorosi.
La variet delle soluzioni, e della relativa terminologia, fa della Messe de
Nostre Dame un punto darrivo di oltre tre secoli di innovazioni nellarte del
canto polifonico, non solo da chiesa. Sul piano musicale, la novit importante limpiego della polifonia in un sistema integrato di armonia e ritmo che
tiene conto anche di quanto succede fuori da chiese e conventi. Resta la
scrittura a quattro voci inventata da Protin 150 anni prima, ma resa pi
varia da innovazioni ritmiche e inserzioni profane. Nel Duecento cresce
losmosi fra la musica per le cerimonie sacre e quella per lintrattenimento
nelle corti. In entrambi i casi, il livello intellettuale molto alto, inaccessibile ai normali ascoltatori, sia nobili sia popolani: le finezze della polifonia di
Notre-Dame sono riservate a chierici e cantori di chiese e conventi; come
chanson e sirventes sono destinate ai colti regnanti e ai loro coltissimi trovatori/trovieri. Nelle scritture post-gregoriane trovano sempre pi spazio elementi danzanti e popolareschi, testi e temi moderni, ritmi e rumori ripresi da
piazze e strade. Lintegrazione fra sacro e profano lenta, diffusa dalla trasmissione orale di un lungo lavorio sperimentale imperniato soprattutto sui
metodi per definire e notare le durate, i tempi, i ritmi, cio il respiro delle
melodie. La teoria segue e interpreta, con nuovi termini e nuove regole.
Nel xiii secolo, gli antichi neumi sono sostituiti da nuovi segni (note), la
cui durata divisibile allinfinito per tre o per due. Allunit di durata detta
longa se ne aggiunge una di durata maggiore (maxima o duplex longa) e una di durata minore (semibrevis). I rapporti reciproci possono
essere 1:3 (perfetti) o 1:2 (imperfetti). La stessa operazione, fatta sulle pause,
misura la durata del silenzio fra le note. Nella pratica moderna, le note pi
lunghe sono cadute in disuso. Come unit di base individuata la semibreve (1/1), la cui durata divisibile in minima (1/2), semiminima (1/4),
croma (1/8), semicroma (1/16), biscroma (1/32), semibiscroma
(1/64). Per dare variet alla scansione binaria possono essere introdotti elementi ternari, individuati da termini e segni grafici particolari: le secche note
col punto (puntate), le fluide terzine. Una sequenza di durate diventa
un ritmo. Si individuano sei ritmi di base: lunga-breve (trocheo), brevelunga (giambo), lunga-breve-breve (dattilo), breve-breve-lunga (anapesto), lunga-lunga (spondeo), breve-breve (pirrico). Si ha cos una
qualit di notazione ben superiore a quella dei precedenti modi ritmici.
Cambia anche il concetto di consonanza, che ammette lintervallo di terza,
mentre considerato ancora dissonante quello di sesta. quindi accettato
Ascolti
G. de Machaut, Messe de Nostre Dame, A. Parrott, Taverner Consort, Taverner Choir, emi
1984
Lancaster and Valois. French and English Music, c13501420, C. Page, Gothic Voices,
Hyperion 1992
The Art of Courtly Love, D. Munrow, The Early Music Consort of London, emi 1973
The Second Circle. Love Songs of Francesco Landini, Anonymous 4, Harmonia Mundi
2001
Letture
E.E. Leach, Guillaume de Machaut: Secretary, Poet, Musician, Cornell University Press,
Ithaca 2011
R. Strohm, The Rise of European Music, Cambridge University Press, Cambridge 1993
D. Leech-Wilkinson, Machauts Mass: an introduction, Oxford University Press, Oxford
1990
ogni parte della sua Missa sine nomine scritta nel 1423 per un matrimonio
in casa Malatesta. Identico principio (e diversa melodia) regge le messe italiane citate sopra e ancor pi quelle scritte dopo il rientro di Dufay a Cambrai. Un caso esemplare la ballata profana Se la face hay pale che anima la
messa con lo stesso titolo. ancora Dufay che per primo utilizza le possibilit combinatorie di LHomme arm nella nuova messa omonima (circa
1450): la melodia si trova una volta nel Kyrie, due nel Gloria, tre nel
Credo, due nel Sanctus, tre nellAgnus dove si presenta perfino a
rovescio. Che sia il nobile uomo armato tornato vittorioso dalla crociata?
Le potenzialit della melodia polifonica perfetta non sfuggono a Johannes Ockeghem, in giovent forse allievo, in maturit certo amico di Dufay,
che lo ospita in casa per alcune settimane nel 1449. La Missa LHomme arm
di Ockeghem databile al 1450 e ha notevoli affinit con quella di Dufay.
Luniformit di scrittura non solo questione di stile, ma deriva anche dalla corrispondenza fra i due autori amici. Scrive una Missa LHomme arm
anche Antoine Busnois, il contemporaneo di Ockeghem e con lui esponente di punta della cosiddetta seconda generazione di scuola franco-fiamminga (Binchois e Dufay fanno parte della prima).
La fortuna di LHomme arm come fonte di polifonie rinascimentali
clamorosa. Sono almeno 35 le messe conosciute che hanno LHomme arm
come proprio dna. Si ricordano i francesi Loyset Compre e Pierre de la
Rue, gli spagnoli Cristbal de Morales e Francisco Guerrero, il tedesco
Ludwig Senfl, il fiammingo Johannes Tinctoris, gli italiani Giovanni Pierluigi da Palestrina e Giacomo Carissimi (1611, in pieno Seicento, pur con
qualche dubbio di attribuzione). Il grande Josquin Desprs non solo compone una messa, ma usa LHomme arm per il canone profano a quattro
voci Et sic de singulis. Innumerevoli, poi, sono le versioni strumentali originali o trascritte per liuto, virginale, organo. Nel Novecento inoltrato, non
lo dimentica il tedesco Johann Nepomuk David nella sua Fantasia super
LHomme arm per organo (1929). Interviene in modo radicale Peter
Maxwell Davies in Missa super LHomme arm. Prima (1968) riprende la
melodia e la rielabora con vari specchi stilistici, compresi spunti di indeterminazione, parodie di dilettantesche esecuzioni moderne in stile antico con
eccesso di ornamentazione, accenni di fox-trot su pianoforte scordato. Poi
(1971) ne fa un lavoro teatrale, aggiungendo una voce maschile (in abito da
monaca) o femminile (in abito da monaco) che declama in latino lepisodio
evangelico di Pietro che rinnega Cristo ed accompagnata da un gruppo di
percussioni aggiunto allorganico strumentale identico a quello del Pierrot
lunaire di Schnberg. un tipico collage postmoderno, simbolo della gran
voglia di ritrovare il passato che anima molte correnti davanguardia di fine
Novecento.
Ascolti
G. Dufay, Missa LHomme arm. Motets, The Hilliard Ensemble, emi 1987
A. Busnois, Antoine Busnois: LHomme arm, Cantica Symphonia, Glossa 2009
J. Dunstable, Dunstable: Motets, P. Hillier, The Hilliard Ensemble, Virgin Veritas 2000
Letture
A. Kirkman, The Cultural Life of the Early Polyphonic Mass: Medieval Context to Modern
Revival, Cambridge University Press, Cambridge 2010
R.H. Hoppin, Medieval Music, W.W. Norton & Company, New York 1978
1461Requiem
Johannes Ockeghem
Nel Requiem la logica della musica anticipa la disposizione ecclesiastica Lunit del progetto polifonico Lenigmatico Ockeghem Josquin Desprs a Ferrara
Per la prima volta, circa a met Quattrocento, la successione dei testi di una
composizione dispirazione religiosa organizzata non dal dettato della liturgia ma dalla logica della musica. Quando Johannes Ockeghem compone
il primo Requiem, non esiste uno schema testuale consolidato dalluso e approvato dalla Chiesa. Lo definir il Concilio di Trento, un secolo dopo.
Ockeghem parte da una tradizione fiamminga che prevede la sequenza di
Introitus, Kyrie, Graduale, Tractus e Offertorium. Il testo Si
ambulem usato come graduale e il testo Sicut cervus come tractus, che i
padri conciliari sostituiranno con Requiem aeternam e Absolve me Domine. Non sappiamo se lesclusione dei successivi Agnus Dei, Benedictus, Lux aeterna, Libera me sia dovuta alla scelta di Ockeghem o alla
perdita del manoscritto. Di sicuro le parti musicate del Requiem hanno una
logica musicale interna che ne regola la disposizione. Non utilizzato nemmeno il principio della melodia portante introdotto da Guillaume Dufay
qualche decennio prima. Lo spostamento del cantus firmus gregoriano dalla
voce di tenor basso al superior acuto conferisce un colore omogeneo allintero ciclo. Non solo il suono diventa pi luminoso, ma le voci basse sono liberate dal ruolo di fondamento e possono muoversi con unautonomia altrimenti impensabile. La valorizzazione del basso ha il suo momento magico
nellOffertorium, in cui la voce del baritono emerge con la sua melodia
dolcissima sulla morbida fissit dellacuto. Altrove, soprattutto in Introitus e Kyrie, le voci alte si muovono in duetto, esaltando la tecnica del
canone mentre laggiunta di ornamentazioni attenua la fissit del cantus firmus. Duetti che diventano terzetti alla futura maniera teatrale e poi si trasferiscono alle due voci basse prima di fondersi in quartetto e poi spezzarsi
ancora. Magistrale la conoscenza che Ockeghem ha dellars nova e dellars
antiqua, ma ancor pi sorprendente luso della pi recente tecnica del canone e del falso bordone. Lintegrazione di procedure antiche e moderne
diventa il motore della costruzione musicale.
LIntroitus ha un che di arcaico, con melodia affidata alla voce superiore mentre altre due voci si limitano a sobrie imitazioni. Molto pi elaborato,
anzi avveniristico, il Kyrie, con i vuoti e i pieni dovuti alla rarefazione
1461Requiem63
delle voci e al loro cambio di registro, con grande attenzione per il fluire
delle dissonanze, dei canoni, delle doppie polifonie su due livelli distinti che
alla fine si sovrappongono in una sontuosa tessitura a quattro, mentre cresce
il ruolo per la parte del basso. Si percepisce una dinamica nuova, che nasce
dalla successione ordinata di dissonanze preparate con cautela e risolte con
opportune consonanze, prefigurazione della moderna armonia tonale. La
polifonia non pi lineare aggiunta di voci nuove a voci preesistenti, ma
progetto polifonico nella mente dellautore da cui discendono i dettagli di
melodie e armonie, indipendenti dalle parole, attenti a valori espressivi e
timbrici che appartengono soltanto alla sfera del suono.
Con questattenzione per il risultato sonoro della sua musica, Ockeghem
conquista anche i non musicisti del suo tempo: Erasmo da Rotterdam compiange la sua morte, e cos poeti come Guillaume Crtin e Jean Molinet. Il
testo che questultimo scrive, Nymphes des bois, invitando a piangere Ockeghem, subito messo in musica da Josquin Desprs in un breve pezzo a sei
voci, cinque delle quali intrecciano in polifonia il testo francese di Molinet
mentre la sesta voce, il tenor, sostiene le altre con il cantus firmus sulle parole latine del Requiem. Un canto ovviamente triste e malinconico, eppure
espressivo e dolce. La sua modernit splende nella trascrizione per voce sola
e strumenti del contemporaneo Giacomo Manzoni (Omaggio a Josquin,
1985). Come dire che il messaggio di Ockeghem non appassito. Nella sua
musica non c soltanto tecnica, ma anche cuore.
Eppure, ai suoi tempi e nei molti secoli a venire, Ockeghem esaltato
solo come un magistrale architetto che costruisce la sua musica con la scienza e lintelletto. Incredibile la variet stilistica della sua scrittura, al punto
che la pur misurata produzione, se non ci fosse la firma sul manoscritto,
potrebbe essere attribuita a non meno di quattro autori diversi. Gli si riconosce una straordinaria abilit nellinvenzione di complicatissimi contrappunti e diabolici canoni, in cui tutte le voci sono autonome ma dipendenti,
con una che fa da riferimento (cantus firmus su melodia sacra o profana) e le
altre che inseguono, integrano, prevalgono. Ockeghem inventa enigmi, si
impone vincoli, incastra intervalli, concede permutazioni, lascia ambiguit,
crea ossimori, e risolve tutto con eleganza suprema. Stupisce i contemporanei un suo mottetto a 36 voci, che per non ci pervenuto. La Missa prolationum una vera e propria antologia di scrittura a canone. La Missa cuiuvis
toni un esercizio di permutazione dei modi ecclesiastici, perch pu essere
cantata in ciascuno degli otto modi possibili. La Missa quarti toni procede
dallintervallo di quarta discendente mi-la.
Ockeghem scrive meno musica degli altri, perch impegnato in attivit
amministrative e diplomatiche per i reali di Francia. Le prime notizie sul suo
conto lo danno nel 1443 cantore adulto nella cattedrale di Anversa. Grazie
alla sua bellissima voce di basso reclutato (1446?) nella cappella della corte ducale dei Borbone a Moulins e quindi (dal 1451 alla morte) in quella
reale di Tours. Qui serve i re di Francia Carlo vii, Luigi xi e Carlo viii, che
gli affidano incarichi di crescente responsabilit. Diviene loro tesoriere,
ambasciatore, uomo di fiducia e dimmagine, impegni che lo portano in
Spagna, a Parigi e in varie citt francesi, a risolvere questioni legali e patrimoniali. Anche per questo accumularsi di attivit amministrative la sua
produzione musicale rimane limitata, almeno per le consuetudini del tempo:
una decina di messe, alcuni mottetti, pochi altri pezzi sacri fra cui il Requiem, una ventina di chanson profane. Le date esatte di composizione non
si conoscono, ma probabile che siano concentrate negli anni cinquanta e
sessanta. Restano inoltre molti dubbi di attribuzione. Lo stesso Requiem
non ha destinazione e forma ben definite. Solo la data sembra ormai fissata
al 1461 con probabile esecuzione al funerale di Carlo vii (e forse ripresa per
quello di Luigi xi nel 1483). dunque questa la prima trasposizione polifonica del rito dei defunti, e non quella (ora perduta) che Guillaume Dufay
scrive poco prima di morire, nel 1474.
in quegli anni che la fama di Ockeghem si diffonde in tutta Europa,
ben oltre la ristretta cerchia dei musicisti di professione. Le sue composizioni sono inserite in un numero sempre maggiore di manoscritti antologici di
composizioni polifoniche. Molte innovazioni sono presto adottate da contemporanei e successori. Il pi importante teorico della musica del Quattrocento, il fiammingo Johannes Tinctoris, studia a fondo la produzione di
Ockeghem e la porta a esempio nei suoi trattati. Tra le righe, esalta quello
che oggi si definisce approccio strutturale alla composizione, cio uno sfruttamento del materiale sonoro che permette di architettare edifici imponenti partendo da dettagli. Al musicista bastano un intervallo, un accordo, un
suono. Lapproccio subito ripreso ed elaborato dagli immediati successori. Jacob Obrecht, suo allievo, singegna a integrare numerose chanson di
diversi autori nella propria Missa diversorum tenorum; nella Missa Sub tuum
praesidium, ad aggiungere una voce a ogni sezione successiva: Kyrie a 3,
Gloria a 4, Credo a 5, Sanctus a 6, Agnus a 7 voci; in Missa Fortuna desperata elabora a modo suo una melodia gi utilizzata, a Ferrara, da
Josquin Desprs.
In tema di manipolazioni del materiale melodico di base, non ha rivali
Desprs, che addirittura sembra credere poco al valore intrinseco dellispirazione musicale e punta molto sul gioco combinatorio. Non si spiega altrimenti il suo gusto nel costruire le melodie in modo talmente meccanico da renderle casuali. Per esempio, la sua celebrata Missa Hercules Dux Ferrariae (circa
1480) costruita su una melodia le cui note sono desunte dalle vocali del
nome del dedicatario: e-u-e-u-e-a-i, e corrispondenti a re-ut-re-ut-re-fa-mi-re.
1461Requiem65
Ascolti
Josquin, Missa Hercules Dux Ferrariae/Motets, P. Hillier, The Hilliard Ensemble, Virgin
Veritas 2004
J. Ockeghem, Requiem; Missa Mi-Mi, The Hilliard Ensemble, Virgin Veritas 2000
J. Desprez, Motets & Chansons, The Hilliard Ensemble, emi 1995
Letture
F. Fitch, Johannes Ockeghem: Masses and models, Honor Champion, Paris 1997
M. Picker, Johannes Ockeghem and Jacob Obrecht: A Guide to Research, Garland Pub.,
New York 1988
La pi famosa canzone del Cinquecento La stampa musicale Isaac alle corti di Lorenzo il Magnifico e dellimperatore Massimiliano Isaac, Senfl e il Lied luterano I
franco-fiamminghi Obrecht, Brumel, Willaert, de Rore, de
Wert a Milano, Venezia, Ferrara, Roma, Mantova Le
frottole degli italiani Cara e Tromboncino Polifonie spagnole Onomatopee francesi
Innsbruck ti devo lasciare / le mie strade portano / verso luoghi sconosciuti. / La mia felicit svanita / e non la so ritrovare / dal fondo della mia
disperazione. Questa la prima strofa. Nelle altre due sentiamo il lamento
per lamata che resta sola e la speranza del ritorno. Le parole poggiano su
una melodia che ha leleganza della semplicit popolare: un disegno che
sale e che subito scende e si sospende, prima di ripetere e variare per chiudere. Intervalli facili da intonare, nessuna scossa nel ritmo. Sembra un futuro Lied romantico, o una passata chanson di trovatore cortese con precisa radice gregoriana. Diventa la pi famosa canzone del Cinquecento e un
modello per i secoli futuri nella doppia versione a quattro voci: in un caso
la melodia affidata al tenor, nellaltro al soprano con tre voci che si limitano ad accompagnare con lievi imitazioni polifoniche e soffici armonie.
Nel primo caso si rinnova lo stile germanico del Tenorlied, nellaltro si
nobilita quello della frottola, una variante popolaresca della canzone
italiana.
La grande diffusione inizia nel 1520, grazie alla stampa. Il pioniere
Ottaviano Petrucci, che nel 1490 apre bottega a Venezia, e nel 1501 pubblica Harmonice Musices Odhecaton, il primo libro in cui le note sono stampate con caratteri mobili. Le fasi della produzione prevedono tre passate di
torchio: prima i righi musicali, poi le parole, infine le note. Petrucci pubblica una cinquantina di volumi, fra cui tre raccolte di messe di Josquin Desprs, oltre a lavori di Jacob Obrecht e Johannes Ockeghem. Il suo esempio
seguito da Andrea Antico, dai fratelli Scotto, dalla famiglia Gardano, che
fanno di Venezia una capitale della stampa musicale europea. A Parigi
attivissimo Pierre Attaingnant, che aumenta il numero dei caratteri per
stampare con una passata sola e risparmiare sui costi. Ad Amsterdam e in
vari centri tedeschi la concorrenza agguerrita. Cresce in modo esponenziale la disponibilit di testi musicali e il mercato si allarga a dismisura
grazie ai molti dilettanti che cantano con amici entro le mura di casa, nelle
capitali e nei centri minori. Gli stessi autori ne tengono conto, semplificano
la scrittura, tolgono le complessit ritmiche, esaltano la cantabilit delle
melodie.
Innsbruck, ich muss dich lassen diventa la canzone nazionale tedesca
quando accolta nellantologia Frische deutsche Liedlein, pubblicata nel
1539, a oltre ventanni dalla morte dellautore. La scrive il fiammingo Heinrich Isaac attorno al 1500 mentre al servizio dellimperatore errabondo
Massimiliano i dAsburgo che provvisoriamente stabilisce la sua corte appunto a Innsbruck. Nella capitale del Tirolo (e del Sacro Romano Impero),
il compositore giunge nel 1497 con il nome di Arrigo Tedesco, meritato
grazie alla dozzina danni trascorsi a Firenze. Nella capitale toscana era arrivato nel 1484, chiamato da Lorenzo il Magnifico. Assieme al principe rinascimentale e a tanti altri musici di minore fama, ha gi scritto una gran
quantit di canti carnascialeschi, frottole, villotte e ballate, continuando
lintegrazione fra rigore fiammingo e leggerezza italiana inventata da Guillaume Dufay mezzo secolo prima. Sua la musica per Quis dabit capiti meo
aquam?, il lamento in morte di Lorenzo (1492) in cui il canto si scioglie nel
silenzio, sulle parole di Angelo Poliziano che invocano la pace. Dopo
Innsbruck, Isaac serve la diocesi di Costanza, che lo incarica di compilare un
repertorio di mottetti polifonici per tutto lanno liturgico, il Choralis Constantinus impostato nel 1508 e lasciato incompleto alle cure dellallievo
Ludwig Senfl: gli oltre 300 brani distribuiti in tre volumi, forti della loro
vena schietta e popolaresca, avranno un ruolo enorme nella prossima nascita della musica luterana e del futuro Lied tedesco. Vi troviamo anche la
melodia Christ ist erstanden, popolare in tutta la Baviera, diffusa nella Germania protestante, e amata da Lutero. Sappiamo che non di Isaac, ma che
una nuova versione di Victimae paschali laudes. Nel 1906 Anton Webern
pubblica unedizione moderna del Choralis Constantinus come parte della
sua tesi di dottorato in musicologia allUniversit di Vienna. La melodia di
Innsbruck, ich muss dich lassen resta nella memoria collettiva, tanto che Bach
la riprende in varie occasioni, compresa la cantata sacra In allen meinen
Taten bwv 97 del 1732.
Nel 1512 Isaac torna nellamata Firenze e chiude una carriera esemplare,
possibile solo grazie alla straordinaria crescita delleconomia italiana e ai
suoi ricchi banchieri, trasformati in signori regnanti. Ma non solo Firenze
che ospita una corte sfarzosa. Non inferiore quella dei papi a Roma, degli
Este a Ferrara, degli Sforza a Milano, dei Gonzaga a Mantova, dei dogi a
Venezia. Aumenta la competizione fra i signori italiani per sfoggiare il proprio complesso musicale (corale e strumentale) di corte (la cappella).
Mancano cantori locali, perci sono costretti a rivolgersi allestero. Imitan-
Ascolti
Music at the Court of Emperor Maximilian i, N. Harnoncourt, Concentus Musicus Wien,
Archiv 2003
N. Gombert, Nicolas Gombert: Magnificats 1-4, P. Phillips, The Tallis Scholars, Gimell
2002
C. Janequin, Les cris de Paris. Chansons de Janequin & Sermisy, Ensemble Clment
Janequin/D. Visse, Harmonia Mundi 2005
Letture
M. Picker, Henricus Isaac: A Guide to Research, Garland Pub., New York 1991
A.W. Atlas, Renaissance Music: Music in Western Europe, 1400-1600, W.W. Norton &
Company, New York 1998
che si potesse et la mi mandasse qu (10 marzo). Il 13 marzo, Carlo Borromeo, in attesa delle nuove messe di Ruffo, ne commissiona unaltra a Nicola
Vicentino, pure attivo a Milano. I documenti si fermano qui. Non sappiamo
quali musiche siano eseguite in quel 28 aprile. Palestrina non mai citato,
tanto meno con la Papae Marcelli o altre messe.
Gli studiosi moderni collocano la Missa Papae Marcelli nel periodo 156263 o addirittura prima, senza per giungere allanno 1555, quello del brevissimo pontificato di Marcello ii, durato ventidue giorni, dal 9 al 30 aprile.
Venerd Santo 12 aprile, papa Marcello ha per occasione di rimproverare
ai cantori della Cappella Sistina (e fra questi Palestrina) il contegno poco
dignitoso e il fatto che non si riesce a capire le parole del loro canto. probabile che sia stato quellammonimento a indurre Palestrina a scrivere
qualche anno dopo (magari in concomitanza con il dibattito sulla musica al
Concilio di Trento, nel 1562) la famosa messa. Col che cade la tesi di una
composizione affrettata perch stesa su misura per laudizione decisiva.
Dagli indizi prima esposti risulta che i cardinali ascoltano almeno una messa
di Ruffo e forse una di Vicentino. Ai due milanesi sarebbe dunque da attribuire il merito di aver salvato la musica sacra. Ma non pare proprio che
quellaudizione sia decisiva. Nelle varie sessioni in cui si articola il concilio
tridentino, mai si mette in dubbio la presenza dalla musica in chiesa. Circolano tante raccomandazioni, per rimediare al lassismo ecclesiale del Quattrocento: far capire le parole, evitare contaminazioni profane, ridurre e
unificare il repertorio, tornare allantico canto gregoriano, bandire esibizioni virtuosistiche, separare liturgia da ornamentazione. Mancano le imposizioni tassative, difficili da far rispettare. I padri conciliari cercano piuttosto
una risposta efficace a Martin Lutero, che incoraggia il canto dei fedeli
nella chiesa riformata.
Appassionato di musica, grande estimatore di Josquin, ottimo cantore e
buon flautista, Lutero considera la musica come la pi preziosa fra le arti e,
per la sua posizione nel Quadrivium, in vitale relazione con la teologia. Fin
dallinizio della sua Riforma vuole che in chiesa cantino sia una cappella
musicale ben addestrata sia lintero pubblico dei fedeli. Usa melodie in parte antiche e in parte create da lui stesso o dai suoi seguaci musicisti (Hans
Leo Hassler, Ludwig Senfl) applicate a testi biblici o moderni per rigorosamente in lingua tedesca. Crea un repertorio popolare e coinvolgente. Sua la
melodia cardine della Riforma, Ein feste Burg ist unser Gott, composta attorno al 1526, lanno in cui esce la Deutsche Messe, il messale tedesco in cui i
Lieder sostituiscono i canti latini della liturgia romana. Il Kirchenlied, ossia
corale luterano, sempre a quattro voci, non polifonico in senso stretto ma
armonico in senso nuovo; in esso le voci si muovono per sostenere il canto
della melodia, subordinate al pulsare alternato di dissonanza e consonanza.
si afferma in tutta Italia e subito in Europa: in Spagna con una frotta di musicisti educati a Roma; in Inghilterra a mezzo stampa; in Germania grazie
alla fucina veneziana. Il successo tale che il modello, rinominato stile antico, passa diritto sui testi di scuola. Il pi importante dei quali Gradus ad
Parnassum dellaustriaco Johann Joseph Fux pubblicato nel 1725 e rimasto
in uso fino a Ottocento inoltrato , studiato da Bach, Haydn, Mozart, Beethoven. Fux disegna tuttavia una prospettiva limitativa (in senso conservatore, formalistico) del reale contenuto innovativo e rivoluzionario della polifonia di Palestrina. Da qui (nellOttocento) il distorto ritorno allantico dei
circoli reazionari ceciliani organizzati dal bavarese Franz Xaver Witt con il
supporto di Pio ix e (nel Novecento) la reazione antimodernista che si coagula nellopera teatrale Palestrina (1917) di Hans Pfitzner.
Ascolti
L. Senfl, Ludwig Senfl: Werke fr Martin Luther und die Reformation, Ensemble Officium, Cristophorus 2009
G. da Palestrina, Palestrina: Masses and Motets, P. Ledger/D. Wilkocks, Choir of Kings
College, emi 2008
O. di Lasso, Lassus: Requiem, Magnificat, Motets, B. Turner, Pro Cantione Antiqua,
Deutsche Harmonia Mundi 1992
Letture
M. Della Sciucca, Giovanni Pierluigi da Palestrina, LEpos, Palermo 2009
L. Garbini, Breve storia della musica sacra. Dal canto sinagogale a Stockhausen, il Saggiatore, Milano 2012
pensoso, su testo di Petrarca una perfetta traduzione musicale delle emozioni letterarie: note lente per linizio assorto, la tensione che sale con le
note cromatiche, la voglia di fuga con i passi che accelerano, il furore interno
e la calma esterna grazie alla sovrapposizione di un ritmo lento a uno vivace.
Tutte le corti italiane ne sono contagiate: Ferrara, Bologna, Milano; soprattutto Mantova, che Guglielmo Gonzaga trasforma in un laboratorio
musicale ospitando Nicola Vicentino, Jaches de Wert, Alessandro Striggio,
Vincenzo Galilei, Francisco Guerrero, Claudio Merulo. Venezia il centro
di stampa dei madrigali italiani e il luogo di residenza di insigni autori. Emerge il maestro di cappella Adrian Willaert, che in Musica nova (1559) unisce
il sacro e il profano (mottetto e madrigale) in una scrittura che non ammette
complicazioni polifoniche e punta sugli intrecci melodici animati da unarmonia che abbandona il gregoriano per oscillare fra due soli modi, il minore
e il maggiore. Con questi principi scrivono gli allievi Cipriano de Rore, Andrea Gabrieli e, soprattutto, Gioseffo Zarlino. La diffusione e la popolarit
del genere madrigale sono tali da consentire alla cantante e liutista Maddalena Casulana di essere la prima donna a pubblicare a stampa musiche proprie: Il primo libro di madrigali (Venezia, 1568).
La velocit delle comunicazioni musicali del Cinquecento trasferisce subito nel resto dEuropa lamore italiano per il madrigale. Da Venezia si
espande a nord. Alla corte imperiale di Monaco di Baviera chiude la sua
carriera Orlando di Lasso, autore di circa 800 madrigali. Hans Leo Hassler,
uno dei cantori della Riforma di Lutero, studia a Venezia con Gabrieli e
scrive madrigali in tedesco ad Augusta, Norimberga, Ulm, Dresda. Sono
oltre 1100 i madrigali di Philippe de Monte, fiammingo a lungo attivo in
Italia prima di diventare maestro di cappella di Massimiliano ii e Rodolfo ii
a Vienna e Praga. In Polonia soggiorna per qualche tempo anche Marenzio.
Terreno fertilissimo trova il madrigale in Inghilterra. Nella seconda met del
Cinquecento, Londra supera Parigi come numero di abitanti, ha una classe
borghese ricca, colta e con una lunga tradizione di canto polifonico di gioie
e pene damore. Quando nel 1562 vi arriva il bolognese Alfonso Ferrabosco,
il tempo maturo per la fioritura del madrigale inglese. Il suo allievo Thomas
Morley traduce Marenzio, stabilisce un metodo didattico, crea una scuola,
compone di suo pugno. Ha enorme successo lantologia Musica transalpina
(1589) con madrigali di Ferrabosco e Marenzio su testi inglesi. La raccolta
The Triumph of Oriana (1602) presenta i pi bei nomi della scuola locale: 25
pezzi di 23 autori, fra cui John Wilbye, Thomas Weelkes, Thomas Tomkins
assieme al curatore Morley. AllItalia guarda John Dowland quando affida le
struggenti malinconie di Flow my Tears e di Lacrimae al canto, allo strumento, alla danza. Siamo allapice della musica elisabettiana, nel tempo di Shakespeare. Anche Parigi ha un vasto mercato per la musica stampata, ma il
nese Orazio Vecchi, due esempi di comedia harmonica che versione musicale (madrigalesca) della commedia dellarte, zeppa dinflessioni dialettali,
con maschere e canzonature. Il breve ciclo della commedia madrigalesca si
chiude con La pazzia senile (1598) e La prudenza giovanile (1628) del bolognese Adriano Banchieri. Riapre subito, in altra forma, nel teatro vero, nei
vertiginosi pezzi dassieme (concertati) dellopera buffa dei secoli successivi, fino al tempo nostro, fino a Dario Fo.
La terza via va tutta verso la rappresentazione. La traccia Monteverdi,
che abbandona quasi di colpo la sua iniziale pratica polifonica per seguire
quella monodica. Le voci si riducono a quella che canta, le altre si coagulano
in un accompagnamento fatto soltanto di accordi, diventato una stenografia
chiamata basso continuo o basso numerato perch semplici cifre suggeriscono le armonie senza entrare nel dettaglio delle connessioni melodiche.
La pratica semplice e si diffonde tanto in fretta che gi nel 1607 il trattato
Del sonare sopra l basso di Agostino Agazzari detta regole che restano valide
per almeno 150 anni. Per un momento pare che la parola riprenda a sovrastare la musica, che per trova spazi altrove, lontano dalla parola e dalla
voce, nella ormai matura famiglia degli strumenti musicali.
Ascolti
C. Monteverdi, Madrigali, A. Rooley, E. Kirby, The Consort of Musicke, Virgin 2004
C. Gesualdo, O dolorosa gioia, R. Alessandrini, Concerto Italiano, Opus 111 2000
O. Vecchi, LAmfiparnaso (Madrigal Comedy), S. Vartolo, Cappella Musicale di S. Petronio di Bologna, Naxos 1996
Letture
I. Fenlon, Music and Culture in Late Renaissance in Italy, Oxford University Press, Oxford 2002
P. Fabbri, Monteverdi, edt, Torino 1985
Antifona strumentale Il doppio coro di San Marco Willaert a Venezia I cori spezzati Zarlino maestro di cappella e teorico Le scale diatoniche in modo maggiore e minore Andrea Gabrieli Giovanni Gabrieli Cori concertanti Gli eredi Stravinskij, Maderna e Nono
La meritata fama riservata alla Sonata a otto in duodecimi toni alla quarta
bassa di Giovanni Gabrieli nasce dai due aggettivi piano e forte. Per la
prima volta troviamo stampate quelle indicazioni agogiche che diventano
parte della storia della musica occidentale moderna. In verit, scorrendo la
partitura, i due aggettivi sono ininfluenti per una corretta esecuzione. Pi
che una causa, sono una conseguenza della scrittura. Come accade spesso
nella musica di Gabrieli, sono previsti due cori distinti di soli strumenti. Un
coro espone la prima parte, in puro stile di mottetto o madrigale, a quattro
voci. Gli subentra laltro coro, pure a quattro voci, che elabora il materiale
appena esposto e ne aggiunge di nuovo. Quando i cori sono separati, Gabrieli prescrive il piano. Il forte si ha quando i due cori si uniscono, le voci diventano otto, e la sonorit naturalmente raddoppia. Quando i due cori si separano ancora per lelaborazione successiva, torna il piano. Una nuova sovrapposizione ricostruisce il forte. Schematizzando la sequenza p-p-f-p-p-f-...
Curiosa anche la distribuzione numerica: il piano compare nove volte
con il primo coro e otto volte con il secondo; sette sono le sezioni combinate
in forte. Variabili sono le durate dei singoli segmenti, con tendenza a diminuire. Dopo lampia proposta del primo coro (13 battute) seguono la proporzionata risposta del secondo coro (12 battute) e lincontro sul forte (6
battute). Inizia un serrato dialogo in eco sempre pi ravvicinato, che da tre
battute passa a due fino allemozionante sequenza 1 contro 1 che precede
la solenne sintesi finale.
Meglio non si potrebbe fare per valorizzare la naturale stereofonia che
nasce dalle due cantorie sopraelevate che, nella basilica di San Marco, affiancano i celebranti da un lato e le autorit civili dallaltro, con gli spettatori diluiti nella navata centrale. un vantaggio architettonico che Adrian Willaert,
predecessore dei Gabrieli, ha ben presente quando diventa maestro di cappella a Venezia nel 1527 e scrive i suoi mottetti e madrigali a cori divisi,
spezzati (o battenti). In s la tecnica non nuova, perch gi nel 1474 il
pittore Zanobi Machiavelli, fra le figure della sua Incoronazione della Vergine,
dipinge due gruppi di musici contrapposti, uno robusto con fiati e percussioni, laltro lieve con liuti e violini. Si conoscono anche esperimenti policorali
alla corte di Ferrara, ma di sicuro Willaert il vero padre della policoralit
veneziana, stile che subito si diffonde in tutta Europa. Willaert propone una
musica a blocchi contrapposti, fatta per essere ascoltata dal vivo piuttosto che
letta in privato, adatta a celebrare la Serenissima Repubblica di Venezia nel
momento del suo fasto maggiore. Funzionale alla strategia compositiva di
Willaert anche la scelta di semplificare il linguaggio, riducendo i modi della
tradizione gregoriana e rinascimentale al solo modo diatonico, nella variante
di maggiore e minore teorizzata poi da Gioseffo Zarlino. Nella storia della
musica un punto di svolta. La dialettica fra modo maggiore e modo minore
ha una forza elementare che scardina gli equilibri formali dellantica polifonia e che subito conquista gli ascoltatori: non pi imitazioni sottili, ma echi
stentorei.
Sperimentato come sappiamo nel laboratorio del madrigale, questo modo di scrivere passa alla musica cerimoniale su larga scala appunto grazie a
Venezia e agli eredi di Willaert. Tre sono questi eredi, il secondo anello della
catena che rende la scuola veneziana dominante dal Seicento fino ai giorni
nostri, fino a Luigi Nono e a Bruno Maderna. Il pi anziano Andrea Gabrieli, veneziano per nascita e cosmopolita per spirito, organista in San
Marco ai tempi di Willaert, viaggiatore in Baviera, Austria e Boemia con
Orlando di Lasso, attento a quanto accade nel resto dEuropa, maestro che
chiama nella sua citt allievi (soprattutto tedeschi) destinati a memorabili
carriere. La sua Battaglia polifonica mostra la familiarit con il francese
Clment Janequin. I suoi Psalmi davidici (1583) reggono bene il confronto
con i celebri omonimi di Lasso. Mottetti e madrigali, con la loro elegante
semplicit e la costante vocazione strumentale, esaltano la tecnica dei cori
spezzati e assorbono la linfa dei circoli musicali che contano.
Il secondo erede di Willaert il frate Gioseffo Zarlino, che gli succede
come maestro di cappella a San Marco dopo la parentesi di Cipriano de
Rore. Anche Zarlino prolifico autore di musiche nei generi canonici, ma
ancora pi importante come teorizzatore della rivoluzione musicale in corso.
I suoi trattati Istituzioni harmoniche (1558), Dimostrationi harmoniche
(1571) e Supplementi musicali (1588) costruiscono su basi strettamente matematiche (e non pi cosmologiche) i modi maggiore e minore, anticipando le scoperte della fisica acustica e della teoria armonica che, dal Settecento in poi, diventeranno il fondamento dellarmonia tonale moderna. Il
punto di partenza di Zarlino sono le scale naturali attribuite a Pitagora e ad
Archita. Accetta i suoni impuri di terza e sesta. Aggiunge le note che mancano e fissa la moderna scala diatonica nei suoi due modi. Nel modo maggiore la scala delle sette note colloca due semitoni (s) in terza e settima posizio-
ne, dopo due e tre toni interi (t): ttsttts. Nel modo minore la sequenza
tsttstt. Ossia: se la nota di partenza (fondamentale) do, il corrispondente
modo maggiore la scala do-re-mi-fa-sol-la-si- do. Se la nota fondamentale
la, si ha il relativo modo minore con la scala la-si-do-re-mi-fa-sol-la. Con
questo criterio si possono costruire scale maggiori e minori partendo da una
nota qualsiasi, purch sia rispettata la relativa sequenza di toni e semitoni.
Basta inserire semitoni nei punti opportuni e sono pronte nuove scale, maggiori e minori. Si pu passare da una scala allaltra utilizzando la posizione
dominante (per ragioni acustiche e fisiche) della quinta nota sol e quella sensibile della settima nota si che, grazie al semitono, scivola verso
lottava superiore. Diventa quindi pi facile modulare da una tonalit
allaltra. Il discorso musicale si arricchisce in modo esponenziale. Con molte
avvertenze, per, che ancora una volta ci ricordano la contigua distanza, in
musica, fra scienza e arte, fra pratica e speculazione. Neppure Zarlino riesce
a sciogliere il nodo di sempre. Come osserva gi due millenni prima Archita,
la fisica acustica e lorecchio sensibile (suo naturale strumento di misura)
non permettono la produzione di un semitono per aritmetica divisione in
due parti uguali di un tono intero. In una scala ascendente suona bene un
intervallo di semitono pi ampio (diesis) della met esatta. Un semitono pi
corto (bemolle) suona bene in una scala discendente. Il problema resta
soltanto teorico fin tanto che la musica si esegue con voci e strumenti a intonazione variabile (archi, ottoni), perch basta un minimo aggiustamento
dellintervallo da parte dellesecutore e tutto va a posto. Esplode e crea nuove dispute teorico-pratiche quando si ha a che fare con gli emergenti strumenti a intonazione fissa, organi, clavicembali, virginali, spinette, arpe. il
problema del temperamento, fonte di diatribe lungo tutto il Seicento. Risolto empiricamente sul piano artistico con Il clavicembalo ben temperato
(1722-42) di Bach, resta latente sul piano teorico fino al Novecento, quando
riesplode con la dodecafonia di Schnberg.
Completa la terna veneziana Giovanni Gabrieli, nipote di Andrea e organista al servizio della cappella di San Marco. Cura la pubblicazione postuma
dei capolavori vocali dello zio e nel 1597 fa stampare dal concittadino Bartolomeo Magni la rivoluzionaria collezione Sacrae symphonie nella quale,
accanto a mottetti concertati per voci e strumenti, inserisce 14 canzoni e due
sonate (una a Pian e forte) per soli strumenti. linizio della musica orchestrale. Non si tratta di una novit in assoluto. Non mancano precedenti testimonianze dirette e sono abbondanti quelle indirette, come nel gi citato dipinto di Machiavelli. Famosa anche lincisione che mostra il gran numero
di strumentisti che fanno parte della cappella musicale di Orlando di Lasso
a Monaco di Baviera, nella seconda met del Cinquecento. Sappiamo che
attorno al 1520 sono attivi gruppi di fiati nelle cattedrali spagnole. Gi nel
Ascolti
G. Gabrieli, The Glory of Gabrieli, V. Negri, The Texas Boys Choir of Fort Worth/E.
Power Biggs/Gregg Smith Singers/The Edward Tarr Brass Ensemble, Sony 2006
G. Gabrieli, Music for San Rocco, Paul McCreesh, Gabrieli Consort & Players, Archiv
1996
Letture
E. Selfridge-Field, Venetian Instrumental Music from Gabrieli to Vivaldi, Dover Publ.,
Mineola 1994
M. Praetorius, Syntagma musicum 1615-1619, anastatica, Brenreiter, Kassel 2001
Serie II.
Il teatro dopera e lo strumento da concerto
1607LOrfeo
Claudio Monteverdi
Linizio del teatro musicale Ritorno al mito fondante Il
recitar cantando della Camerata fiorentina Radici medioevali e rinascimentali LArianna e altre opere perdute a
Mantova e Venezia Dafne di Schtz in Germania Il
modello viene da Roma Il ritorno di Monteverdi allopera
Nuove musiche per Orfeo
una favola pastorale in un prologo e cinque atti lopera che tutti consideriamo linizio del teatro musicale. Sparge semi che permettono una fioritura
immediata. In primo luogo ci sono i semi musicali, con ben allineati i numeri canonici. Apre un pezzo strumentale, per creare silenzio in sala con la
forza di una fanfara e poi sedurre il pubblico con i colori di tanti strumenti.
Claudio Monteverdi lo definisce Toccata, ed un omaggio al genere organistico che allora fiorisce. Lorganico impegnato vasto, dettagliato con
cura: arpe, fiati, ottoni, archi, liuti, chitarroni. Assieme allazione ha inizio
il nuovo stile di canto monodico, dove ciascun protagonista canta da solo,
su discreto accompagnamento strumentale, cos che le parole si capiscono
bene, e con loro gli eventi e le emozioni. Il canto si distingue subito in due
tipi: il primo tipo (recitativo) un parlato intonato, un recitar cantando
che racconta lo svolgersi dellazione; gli sinnesta il secondo tipo (arioso),
assai pi melodico, che di regola commenta la situazione ed esprime le
emozioni.
Troveremo il binomio recitativo e aria in tutto il teatro dopera successivo, fino ai nostri giorni, con parziale esclusione di Richard Wagner e dei
suoi seguaci. Talvolta il canto di uno sintreccia con quello di un altro, e abbiamo i primi casi di duetti operistici, come quando al tragico annuncio
della messaggera si sovrappongono i singhiozzi di Orfeo. La polifonia madrigalesca appena accennata nei cori di pastori, ninfe e spiriti infernali. Tanti
intermezzi strumentali danzati diluiscono la presenza delle voci singole o
associate in coro.
Il soggetto assicura la partecipazione di un uditorio colto. Il librettista
Alessandro Striggio (figlio dellomonimo compositore) cesella i suoi versi
sulleterno mito di Orfeo ripreso dalle Metamorfosi di Ovidio: lamore che
prova a vincere la morte, il canto che scioglie i cuori delle divinit infernali,
la debolezza umana che tutto vanifica. Orfeo non si fida delle promesse divine e si volta. Euridice ripiomba nellAde.
1607LOrfeo91
Le regole del tempo impongono il lieto fine. Rispetto alloriginale di Ovidio, Orfeo non sbranato dalle furie ma sale allOlimpo, sia pure condannato alla malinconia. Tornare alla Grecia antica e ideale, al mondo del mito che
sublima il mondo vero, un auspicio della pi avanzata cultura del tempo.
La voglia di finezza intellettuale si unisce alla ricerca di nuova semplicit. In
molti circoli cresce il fastidio per le astruserie polifoniche in musica, con le
note che infrangono le parole. Riprende la voglia di ornare le parole con la
musica, e non il contrario. Sono i temi dibattuti dagli intellettuali che a fine
Cinquecento si riuniscono nei saloni nobili del conte Giovanni Bardi a Firenze. La mente Vincenzo Galilei, teorico di musica, liutista e compositore,
oltre che padre di Galileo. Nel suo Dialogo della musica antica e della moderna (1581), in polemica con il veneziano e suo maestro Gioseffo Zarlino, sostiene la necessit di tornare alla purezza classica della Grecia antica, alla
superiorit della parola e del sentimento sulla scienza dellarmonia, con la
melodia che vince la polifonia. Non crede che il suono fisico sia riducibile a
rapporto fra numeri interi. Abbina la sperimentazione alla speculazione,
come insegna a fare al famoso figlio.
Accanto al polivalente Galilei e al poeta Ottavio Rinuccini stanno anche
Jacopo Peri, Giulio Caccini, Emilio de Cavalieri, compositori e cantori.
Sono gli artisti che passano alla storia come Camerata fiorentina. Auspicano il ritorno al passato musicale, ma i loro princpi nascono da errori e forzature generate dal mentore grecista Girolamo Mei. Sanno poco di monodie
(monos od) e di ritmi della Grecia antica. Puntano tutto sulla declamazione
di una sola voce appoggiata su accordi elementari che garantiscono un funzionale binario armonico. Nasce cos quella specie di stenografia musicale
che gi Caccini, il suo inventore, denomina basso continuo e che per
quasi due secoli si incontra in ogni tipo di composizione, vocale e strumentale, sacra e profana, in tutta Europa. solo una linea di basso, affidata di
regola al liuto, con aggiunte alcune cifre arabe a suggerire, a eventuali altri
strumenti, gli intervalli da usare. Laccompagnamento si riduce a una serie di
accordi, connessi fra loro in maniera flessibile e discontinua, che permettono
rapidi passaggi (modulazioni) da una tonalit a unaltra, cio bruschi cambiamenti di umore, fatti di salti da un tono allaltro con semplice inserimento di dissonanze, cromatismi, abbellimenti, improvvisazioni. Il bilanciato
rapporto fra le voci, che lanima della polifonia, cede il passo alla discontinuit dellarmonia e allimmediatezza dellemozione.
Il primo risultato un recitare intonato, appunto un recitar cantando,
salmodiante alla maniera gregoriana che rispetta gli alti ideali di chi scrive e
canta, ma che di rado scalda i cuori di chi ascolta. Per evitare la sublime
noia servono scene, costumi, dramma, quindi azione. In verit, nella stessa
Firenze e nello stesso tempo, la quadratura esiste. Il 6 ottobre 1600, per le
1607LOrfeo93
Ascolti
C. Monteverdi, LOrfeo, J.E. Gardiner, The Monteverdi Choir, Archiv 1987
C. Monteverdi, Il lamento dArianna, M. Bernard, R. Jacobs/H. Mller-Molinari/Concerto Vocale, Harmonia Mundi 2007
1607LOrfeo95
Letture
J. Whenham, Claudio Monteverdi: Orfeo, Cambridge University Press, Cambridge 1986
N. Pirrotta, Scelte poetiche di musicisti. Teatro, poesia e musica da Willaert a Malipiero,
Marsilio, Venezia 1987
C. Gallico, Monteverdi. Poesia musicale, teatro e musica sacra, Einaudi, Torino 1979
N. Pirrotta, E. Povoledo, Li due Orfei. Da Poliziano a Monteverdi, Einaudi, Torino 1975
Fusione di stili sacri e profani Cori, voci soliste, strumenti Omaggio alla polifonia rinascimentale Largo impiego
del basso continuo Sonata sopra Sancta Maria Culto mariano Magnificat Policoralit romana di Benevoli e Allegri Da Mantova allEuropa Influssi su Pergolesi, Bach, Schubert, Bruckner, Petrassi, Berio, Penderecki
Il coro che canta le parole sante Domine ad adjuvandum me, la prima delle dieci sezioni in cui articolata la prima parte del Vespero della Beata
Vergine di Claudio Monteverdi, sostenuto dagli squilli di ottoni della
Toccata con cui apre lopera profana Orfeo. Il terzo numero (Nigra sum)
unaria per voce sola (tenore) accompagnata da basso continuo in schietto
stile operistico. Il quinto numero (Pulchra es) un duetto per due soprani,
il settimo (Duo Seraphim) un terzetto per alto e due tenori, il nono (Audi Caelum) un lungo duetto fra un primo e un secondo tenore in eco che
alla fine sintegra con coro a sei voci e strumenti, sempre con basso continuo
e sempre alla maniera teatrale. Dunque nelle parti con numeri dispari (i, iii,
v, vii, ix), il linguaggio dellantica musica sacra assorbe il meglio di quello
della nuova musica profana, a suo modo continuando quel rapporto di dare
e avere che esiste da sempre. Anzi il rapporto ancora pi intimo. Il testo
in latino, ma la scrittura quella del madrigale a una, due, tre, sei voci che si
afferma agli inizi del Seicento, quando di colpo tramonta la polifonia e la
nuova poetica del recitar cantando comporta il declamato di voci sole. il
frutto della lunga sperimentazione, che Monteverdi inizia gi nei primi tre
libri di madrigali (1587, 1590, 1592), consolida con il Quarto (1603) e il Quinto (1605), e trasferisce al teatro dellOrfeo (1607).
Nel Vespero, se le parti con numeri dispari rappresentano il presente (profano e monodico), le parti pari (ii, iv, vi, viii, x) riassumono al meglio il passato (sacro e polifonico) su testo di salmi famosi. La serie inizia con il salmo 109,
Dixit Dominus, per coro a sei parti vocali (due soprani, contralto, due tenori, basso) e sei parti strumentali affidate a fiati o archi o entrambi. il modello
pi arcaico, con il coro che procede per imitazioni e gli strumenti che si limitano a raddoppiare le sei parti vocali. Ben pi articolata la scrittura del quarto numero, il salmo 112, Laudate, pueri, Dominum. Otto voci si dividono
in due cori di quattro con sontuoso sostegno strumentale. Nel dialogo fra i due
cori si inseriscono passaggi a voce sola che alleggeriscono la tessitura e intro-
titolo, imposta lintera seconda parte del Vespero su temi mariani. Per segnare il distacco con la prima parte, ne rovescia la prospettiva. Non inizia con il
consueto brano vocale con raddoppio strumentale, ma con il suo inverso,
cio con un brano strumentale cui si sovrappone la voce. Il titolo dice tutto:
Sonata sopra Sancta Maria (xi). In quegli anni, il termine sonata ha gi una
connotazione strumentale, sonar come alternativa a cantar. Il repertorio
consolidato, come dimostrano la Sonata pian e forte (1597) di Giovanni
Gabrieli e i tanti casi di pezzi per strumenti a fiato, corda e tastiera distribuiti in tutti i Paesi e lungo il Seicento. La sonata non invece una forma ancora ben codificata. In genere riproduce la struttura delle composizioni vocali,
soprattutto madrigalesche. Infatti, la Sonata sopra Sancta Maria di Monteverdi assai libera nella forma, procede per brevi sezioni distinte in cui le nove
parti strumentali (sullormai immancabile basso continuo) alternano passaggi di solida polifonia a decorativi esercizi di bravura, gli ottoni sono costretti a imitare lagilit dei violini e tutti sono obbligati a non perdersi nellintrico ritmico. Quasi allimprovviso, proprio perch tanto ben preparata, sbuca
la voce acuta del soprano con le parole Sancta Maria ora pro nobis. Il
canto torna altre dieci volte, come un antico falso bordone per indirizzare e
animare lindipendente tessuto strumentale.
Dopo la Sonata, il Vespero presenta due nuovi pezzi vocali, su testi non
pi del salterio, ma della tradizione cristiana dellUfficio della beata Vergine
Maria. Il primo linno Ave maris stella (XII), attribuito a Venanzio Fortunato o a Paolo Diacono (vi secolo) cantato su melodie gregoriane prima del
ix secolo. Monteverdi rispetta la divisione del testo in sette versi, per ogni
volta altera la scrittura musicale: primo e ultimo verso sono in polifonia
classica; gli altri usano varie combinazioni di voci soliste e strumenti. Con il
suo consueto amore per la simmetria, fra secondo, terzo, quarto e quinto
verso, Monteverdi inserisce quattro ritornelli solo strumentali, il primo
esempio conosciuto di tema con tre variazioni per orchestra.
Il Magnificat (XIII) finale la sintesi non solo del Vespero ma dellintero
cosmo monteverdiano. Le parole con cui Maria, nel Vangelo di Luca, ringrazia lOnnipotente, sono distribuite su 13 numeri musicali. Monteverdi non
solo sublima le soluzioni tecniche dei brani precedenti ma, con il termine
concertante, che definisce il Vespero, indica ora una scrittura che prevede
cori doppi e semplici, assoli di voci e di strumenti, intrecci di ogni sorta.
Inserisce anche citazioni dirette dallopera LOrfeo e da raccolte di madrigali, a testimoniare il superamento (in musica) della separazione fra sacro e
profano. Comunque, non si propone di fare del suo Vespero un lavoro di uso
corrente, anche se rispetta in buona misura le regole della liturgia delle ore.
Monteverdi vuole mostrare la sua bravura, raccogliere il meglio di s per
dedicarlo a papa Paolo v, nella speranza di ricevere un importante incarico
a Roma e uscire da una Mantova che comincia a stargli stretta. Nel 1613 gli
arriva invece la chiamata a San Marco a Venezia.
Pubblicato nel 1610, il Vespero di Monteverdi ha un impatto immediato
e indelebile. La fusione fra la tradizione polifonica romana di Palestrina e
quella policorale veneziana dei Gabrieli e di Willaert diventa il modello per
le generazioni future. Lo stesso Monteverdi elabora lo stile concertante del
Magnificat in nuove versioni del testo mariano nella raccolta Selva morale e
spirituale del 1638. A Venezia trova devoti seguaci nei suoi successori a San
Marco, entrambi autori operistici di grande successo: Francesco Cavalli
scrive un Vespero a otto voci (1656) e il prolifico Giovanni Legrenzi ne sviluppa la dimensione grandiosa con Te Deum per la conquista di Patrasso
(1687) e la Messa da Requiem (1688). La tradizione continua nel Settecento,
con Vivaldi che firma un famoso Magnificat (1715) accanto a un gran volume
di musica sacra.
A Roma lo stile concertante trova terreno fertilissimo. Le messe di Gregorio Allegri e Orazio Benevoli, di scuola palestriniana, vi prendono spunto
per mobilitare risorse sempre pi grandiose, disposte nei punti pi disparati
di chiese e luoghi per celebrare i fasti del papa. Per secoli stata attribuita a
Benevoli la Missa salisburgensis, eseguita nel 1682 per celebrare i 1100 anni
della diocesi di Salisburgo e considerata la messa che chiede il maggior numero di esecutori della storia intera. Ha 53 parti vocali e strumentali, riunite
in sei cori diversi dai quali spuntano solisti, con trombe e timpani distribuiti
nella cattedrale per garantire una vera stereofonia. Di recente (1976) la Missa salisburgensis stata per attribuita al boemo Heinrich Ignaz von Biber, o
allassistente Andreas Hofer. Come in tutti i maggiori centri cattolici dEuropa, la tradizione del vespero resta viva a Salisburgo fino ai nostri giorni.
Non a caso fra i capolavori del giovane Mozart troviamo i Vesperae de Dominica K 321 e i Vesperae solemnes de confessore K 339.
Da Roma, la monumentalit policorale monteverdiana passa a Firenze e
da qui a Parigi grazie a Jean Baptiste Lully, autore di una mirabile serie di
Grands motets per soli, coro e orchestra e iniziatore di una scuola che a fine
Seicento porta al trionfale Te Deum di Marc-Antoine Charpentier. In Germania lo stile arriva direttamente da Venezia. Cos come fa con il teatro
dellOrfeo, il tedesco Heinrich Schtz porta a Dresda lintera bottega tecnica
veneta, scrive subito una collezione di Salmi davidici (1619) e fonda una
tradizione che attraverso Bach arriva a oggi, con tappe critiche in Sinfonia di
salmi (1930) di Stravinskij e Chichester Psalms (1964) di Bernstein.
Fra i testi sacri, il Magnificat ha particolare fortuna, per il doppio legame
che mantiene fra Nuovo e Antico Testamento, fra gli inni cristiani alla Madonna e i salmi ebraici di re Davide. Lo musicano, prima di Bach, il fiammingo Josquin Desprs, gli spagnoli Antonio de Cabezn e Toms Luis de Vic-
Ascolti
C. Monteverdi, Vespero della Beata Vergine 1610, A. Parrott, Taverner Consort, Choir &
Players, emi 2000
C. Monteverdi, Selva morale e spirituale, 3 Voll., H. Christophers, The Sixteen, Coro
2010-2012
Letture
J. Whenham, Monteverdi. Vespers (1610), Cambridge University Press, Cambridge 1997
J. Roche, North Italian Church Music in the Age of Monteverdi, Oxford University Press,
Oxford 1984
Le onomatopee del violino Liuteria cremonese Madrigale rappresentativo Prima e seconda pratica Canto
solistico e canto polifonico Teatro da camera Cantata
sacra e profana Aria con da capo Ultimi madrigali inglesi Madrigali del Novecento
Scalpitare di cavalli, urla di battaglia, concitazione di duello, mulinare darmi, cozzare di acciai. E poi: odio che si scopre amore, furia che diventa dolore, dolcezza delladdio, mentre la vita di lei se ne va e a lui resta il pianto.
lepisodio forse pi famoso della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso.
Chiusi nelle loro armature, Tancredi e Clorinda non si riconoscono, si sfidano. Lei si converte in punto di morte, sussurrando: Sapre il cielo; io vado
in pace. Perfetta per una rappresentazione dopera con scene adeguate e
grande orchestra, la vicenda suggerisce invece a Claudio Monteverdi unassoluta economia di mezzi: un narratore, un soprano, un tenore, archi e basso
continuo. Il risultato mirabile, proprio perch frutto dintuizione e di padronanza dei mezzi musicali.
Stupiscono gli effetti che Monteverdi spreme dai violini. Li tratta come
uno sperimentatore davanguardia dellultimo Novecento. Accordi veementi, pizzicati furiosi, percussioni col legno dellarchetto si alternano a note
legate e sprazzi melodici, a improvvisi silenzi. Monteverdi conosce bene le
risorse degli strumenti ad arco nel momento in cui larte dei liutai cremonesi raggiunge la perfezione. Viole da gamba e da braccio, violini, liuti e chitarroni sono ormai fonti sonore solide e affidabili. Gli artigiani italiani lavorano
per secoli nel selezionare legni, vernici e proporzioni per irrobustire e stabilizzare le incerte emissioni dellantica viella usata da giullari e intrattenitori
nelle corti europee del Medioevo e le varianti di origine araba arrivate attraverso la Spagna moresca e la Francia rinascimentale.
A met Cinquecento il bresciano Gasparo da Sal fissa i primi parametri
dei moderni strumenti ad arco. Nel Seicento, a Cremona risponde Andrea
Amati che, assieme a figli e nipoti, porta la liuteria cittadina a livelli di eccellenza mantenuti per tutto il secolo successivo, anche grazie agli allievi e
concorrenti della famiglia Guarneri, alla bottega del solitario Antonio Stradivari. Monteverdi, nato e cresciuto a Cremona, respira fin da bambino quel
fervore artigianale e non a caso si afferma giovanissimo come eccellente
violista. Fin dai suoi primi lavori vocali presta grande attenzione allaccom-
appunto nellOttavo libro (1638) che riunisce, sotto il titolo Madrigali guerrieri et amorosi, ricerche stilistiche durate un ventennio. Il vertice espressivo
della raccolta ovviamente Il combattimento di Tancredi e Clorinda, con ripartizione dei ruoli: i due contendenti duellano da una parte, gli strumenti
accompagnano con pizzicati e tremoli dallaltra, il narratore in centro partecipa da cronista.
Nei sette madrigali che precedono, con testi anche di Petrarca e Rinuccini,
si accentua il messaggio che solo la fiera lotta permette di conquistare lamore.
Lamore, tuttavia, porta dolore e malinconia, non soltanto quando lamato
muore. la tesi dei nove madrigali amorosi che formano la seconda parte
dellottavo libro, su parole di anonimi, di Guarini, Marino e nuovamente di
Petrarca. Corona la raccolta Il ballo delle ingrate, scritto nel 1608 a Mantova
per il matrimonio di Francesco Gonzaga e ripreso a Vienna nel 1628.
chiaro il costante interesse di Monteverdi per il teatro musicale. Gli oltre
trentanni che passano fra LOrfeo (1607) e Il ritorno di Ulisse in patria (1640)
vedono Monteverdi impegnato in almeno altri sei progetti per Mantova e
Venezia, la cui musica per perduta. Sia Il combattimento di Tancredi e Clorinda sia il Lamento dArianna (recuperato dallArianna) aprono le porte al
genere tutto nuovo della cantata da camera o da concerto, con voce accompagnata soltanto da basso continuo o da variabile complesso strumentale, comunque teatrale e drammatica nello spirito e nella forma. Il primo che
pubblica una raccolta di Cantade et arie a solo con basso continuo (1610)
Alessandro Grandi, oggi dimenticato ma allievo di Giovanni Gabrieli e assistente di Monteverdi a San Marco. La fortuna immediata, in particolare a
Roma, dove Giacomo Carissimi sforna cantate a centinaia, in parallelo alla
vasta produzione nel nuovo genere delloratorio. Il testo pu essere sacro o
profano, legato a una storia biblica o a una vicenda mitologica. Lo stacco assicurato dai recitativi consente di variare la qualit emotiva delle arie, creare
contrasti, catturare lattenzione degli ascoltatori, durare per tempi considerevoli, anche fuori dalle scene teatrali. La formula musicale prevede una sequenza di arie intervallate da brevi recitativi e sostenute da un elementare
basso continuo.
Al napoletano Alessandro Scarlatti, allievo di Carissimi a Roma e autore
di non meno di 800 cantate a voce sola, si deve linvenzione dellaria col da
capo, che far la fortuna del teatro musicale allitaliana nei secoli a venire.
Il principio semplice: una melodia esposta ed elaborata in forma lineare
nella prima parte; nella seconda compare una nuova melodia; nella terza
torna la prima melodia, per lasciando al cantante la libert di improvvisare
e aggiungere le varianti ornamentali che pi gli aggradano. Si soddisfa cos
la voglia di primedonne (femmine) e castrati (maschi) di esibire, appunto nel
da capo, la loro bravura a un pubblico sempre pi ricettivo. Scarlatti e
a cantare polifonie vocali senza accompagnamento, sia il raffinato madrigale sia i popolareschi glee, carol e catch destinati a esecuzioni familiari e
conviviali. La restaurazione monarchica permette lemergere di Henry
Purcell, autore di oltre 500 fra song, catch, ode, anthem per le pi varie
occasioni civili e private, sacre e profane, comunque ben radicate nella tradizione madrigalistica inglese. Hndel ne tiene conto nei lavori che dedica
al suo protettore duca di Chandos, in particolare nella grande Ode a santa
Cecilia. Purtroppo, agisce anche come un ciclone che scardina e sommerge,
unico caso (dopo la conquista romana e quella vichinga) di riuscita invasione dal continente delle isole britanniche. Pur travolta dalle pratiche italiane
e tedesche, larte inglese del canto non sparisce, tanto che la Madrigal Society, fondata nel 1741, tuttora in vita. Sebbene autori locali di rilievo europeo compaiono soltanto a inizio Novecento, con le numerose festival cantatas di Vaughan Williams e, pi tardi, con le finezze di Britten.
Il Novecento continentale continua a innestare nuovi rami al tronco originale della cantata seicentesca, mantenendo tuttavia lo spirito iniziale dellazione drammatica senza scene e fatta di sola musica. Nascono grandi affreschi come i Gurrelieder (1911) di Schnberg, profumi popolari nei Cervi fatati (1930) di Bartk, recuperi medioevali nei Carmina Burana (1935) di
Orff, origini cinematografiche in Aleksandr Nevskij (1938) di Prokofev,
concentrazione nelle due estreme cantate (1939, 1943) di Webern, assunti
patriottici nel Canto delle foreste (1948) di ostakovi, impegno civile nel
Canto sospeso (1957) di Nono, sperimentalismo in Momente (1968) di
Stockhausen. Levoluzione della cantata non si arresta, anche se talvolta ritrova il piacere del madrigale da cui tutto parte, con Nonsense Madrigals
(1993) di Gyrgy Ligeti e Madrigals, Books i-iv (1965-1969), di Georg
Crumb, per citare autori e lavori tanto diversi fra loro per stile e organico,
ma che hanno in comune il fascino del nome antico.
Ascolti
C. Monteverdi, Il combattimento di Tancredi e Clorinda, R. Alessandrini, Concerto italiano, Naive 1998
C. Monteverdi, Madrigali guerrieri et amorosi, A. Rooley, The Consort of Musicke, Virgin
1999
A. Scarlatti, Cantatas, vol. iii, N. McGegan, Arcadian Academy, B. Asawa, Deutsche
Harmonia Mundi 2000
J. Dowland, Sweet Stay Awhile, C. Daniels, D. Miller, emi 2000
Letture
G. Tomlinson, Monteverdi and the End of the Renaissance, University of California Press,
Berkeley 1987
M. Talbot (a cura di), Aspects of the Secular Cantata in Late Baroque Italy, Ashgate, Farnham
2009
C. Johnson, R. Courtnall, The Art of Violin Making, Robert Hale, London 1999
P. Mioli, A voce sola. Studio sulla cantata italiana del xvii secolo, spes, Firenze 1988
Girolamo Frescobaldi
Messe per organo Lo strumento della chiesa Eccelso
artigianato organario Tastiera unica in Italia Tastiere
multiple e pedaliera estesa oltralpe Maestri dellimprovvisazione Cabezn Cavazzoni Frescobaldi Froberger
Ai tempi di Frescobaldi lorgano uno strumento particolarmente evoluto. La sua origine si perde nella notte dei tempi. Il principio quello della
colonna daria che produce il suono vibrando in un tubo. Il progenitore lo
zufolo di Pan, con canne intonate e ordinate per altezza. Nel caso dellorgano, lafflusso dellaria nelle singole canne comandato da una tastiera.
cos gi nei primitivi strumenti degli antichi greci e romani. Cose pi elaborate si trovano in Cina, Corea, Giappone e Arabia nel corso del primo millennio d.C. Ben noto il caso dellimperatore di Bisanzio che nel 767 dona
un organo al re carolingio Pipino il Breve. Nell807, dallArabia arriva un
organo anche a Carlo Magno (che non lo sa suonare).
Nei primi organi completi, costruiti dopo lanno Mille, una serie di canne in grado di produrre tutte le note comprese in un intervallo di quattro
ottave. Gi nel xiv secolo, alla serie principale si affiancano numerose altre
serie di canne, fra loro proporzionate in altezza (1:2, 2:3, 3:4 ecc.) in modo
da accordarsi per ottave, quinte, quarte e altri intervalli consonanti, superiori e inferiori. Sono i registri, cio gruppi di canne che possono suonare
insieme o separate, variando cos la forza e la qualit del suono. Ai registri a
canne classiche (ad anima), dette labiali perch il suono nasce dallimpatto dellaria sul labbro superiore delle fenditure, si aggiungono i registri
ad ancia (in cui vibra una lametta metallica) e tanti altri modi di produzione del suono entro i contenitori pi vari. Negli organi semplici, una sola
tastiera pu comandare numerosi registri e consentire una gran tavolozza di
timbri. Aumentando il numero dei registri (dunque delle canne), cresce la
voglia di effetti pi emozionanti, e si aggiungono altre tastiere indipendenti
per le due mani e pedaliere da muovere con i piedi. Nato come strumento
profano, dal secondo millennio in poi lorgano diventa sempre pi monopolio delle chiese, probabilmente per questioni economiche. I costi di costruzione si moltiplicano e solo le comunit pi ricche li possono sostenere,
tanto che la magnificenza dellorgano certifica la ricchezza dei parrocchiani.
Si capisce che Venezia benestante anche dal fatto che, a fine Cinquecento,
sono censiti non meno di cento organi nelle chiese dei vari sestieri.
Gli artigiani del Medioevo risolvono man mano i problemi tecnologici
legati alla costruzione delle canne, alla loro intonazione, alla fluidica dellaria, al controllo tramite tastiere, pedaliera, selettore di registri. Si scelgono i
materiali migliori, legni e metalli nobili, dallargento al piombo al rame e
loro leghe. Lo sviluppo tumultuoso. Nascono scuole organarie in tutta
Europa, spesso molto diverse fra loro. La sistemazione dellorgano allinterno delle chiese e la necessit di avere le botteghe vicine selezionano i costruttori per aree geografiche, per cui, per la prima volta in musica, si pu parlare
di scuole musicali nazionali. Gli organari dei Paesi nordici puntano su ampiezza e variet, danno spazio a ogni tipo e numero di canne e ance. Gi a
tedesca, italiana. Pur nella babele della scrittura e nelle varianti locali dellorganaria, il linguaggio della musica strumentale nellEuropa del Cinquecento
assai omogeneo. Nazionale resta soltanto (e non sempre) la terminologia. I
tiento (pubblicati nel 1557 e 1578) dello spagnolo Antonio de Cabezn, organista di Carlo v e di Filippo ii, non sono diversi dai ricercari sviluppati in
Italia dallinventore Cavazzoni nei due libri (1542 e 1543) che hanno ispirato
i tre (1567-1608) di Merulo e i due (1593 e 1605) di Andrea Gabrieli: sono
sempre varianti di mottetti e madrigali in stile imitativo e severo, in cui le
parti vocali diventano strumentali. Lo spirito dei pezzi raccolti dallo stampatore francese Jacques Moderne in Musicque de joye (1550) non lontano da
quello dellinglese Mullimer Book (1545-70) compilato da Thomas Mullimer, nel quale spicca lintenso In nomine di John Taverner, assieme a 18
pezzi di Thomas Tallis, due di Christopher Tye e un centinaio di altri scritti
da autori minori o anonimi. Toccate allitaliana e chanson alla francese sono
ovunque utili contenitori scritti per musica improvvisata. Simile la musica
raccolta nei volumi El maestro (1536) di Luis de Miln e Los seys libros del
Delphin (1538) di Luys de Narvez, che nel Cinquecento spagnolo sono i
due massimi virtuosi nella breve stagione della vihuela, uno strumento simile allantico liuto e alla moderna chitarra.
Comuni sono anche i nuovi generi che nascono dalla specificit dei mezzi strumentali. La pratica di ripetere e rinforzare le note con trilli e disegni
ornamentali, che viene dalla necessit di sostituire con uno sciame di notine
le note lunghe che gli strumenti a pizzico non riescono a sostenere, subito
adottata sulle tastiere. Lintroduzione di note veloci allontana dalla melodia
originale (gregoriana) e scatena la voglia di virtuosismo, dimprovvisazione,
di variazione. La libert dellartista si esprime nelle toccate, termine che ha
doppia etimologia: litaliano toccare (lo strumento), lo spagnolo tocar (suonare). Il desiderio di modificare e arricchire una bella melodia porta alla
nascita di un genere nuovo e destinato a rivoluzionare la musica strumentale:
il tema con variazioni. Il meccanismo semplice ed efficace. Si sceglie una
melodia nota e comunque facile da ricordare, si ripete una volta per aiutare
la memoria, si comincia a variare. Di regola le prime variazioni si limitano ad
aggiungere fili ornamentali al tema, che resta ben riconoscibile. Procedendo,
i fili ornamentali diventano tessuto pi fitto, assorbono il tema, che nel frattempo pure in parte cambiato. I veloci passi di bravura possono alternarsi
con rallentamenti espressivi. Dopo un certo numero di variazioni torna riconoscibile la melodia iniziale, con un finale virtuosistico o contrappuntistico,
a conferma della bravura dellinterprete improvvisatore prima ancora che
compositore. Uno dei primi casi si ha in Spagna dove Narvez dedica alla
vihuela la prima serie di variazioni a stampa, sulla melodia popolare Guardme
las vacas.
riuniti in suite di quattro-sei unit e con variabile composizione. Bach li ricopia di proprio pugno, per studiare, capire, imitare. Ne troviamo tracce
chiare nel Clavicembalo ben temperato, ma lomaggio pi evidente al gran
maestro Frescobaldi sta nel Ricercare a sei voci dellOfferta musicale. Che
non a caso strumentato da Anton Webern, altro grande ammiratore dellascetica concisione di molti Fiori musicali. In pieno Novecento, Musica ricercata xi (1953) sintitola lomaggio a Frescobaldi di Gyrgy Ligeti. Un altro
ungherese, Gyrgy Kurtg, trascrive sue toccate per pianoforte a pi mani
(1988), come prima di lui (1930) fa Bla Bartk.
Ascolti
G. Frescobaldi, Complete Edition, R. Loreggian, Ensemble ConSerto Musico, Modo
Antiquo, B. Hoffmann, Brilliant 2011
The Organ in the Renaissance and the Baroque, G. Leonhardt, Sony 2012
A. de Cabezn, Complete tientos and Variations, G. Wilson, Naxos 2012
Das Buxheimer Orgelbuch, J. Payne, Naxos 2009
Letture
P.F. Williams, A New History of the Organ from the Greeks to the Present Day, Indiana
University Press, Bloomington 1980
C. Gallico, Girolamo Frescobaldi. Laffetto, lordito, le metamorfosi, Sansoni, Firenze 1986
W. Apel, Storia della musica per organo e altri strumenti da tasto fino al 1700, 3 voll., Sansoni, Firenze 1985
1648Jephte
Giacomo Carissimi
Dramma spirituale in musica senza azione e senza scena
Stile monteverdiano Sacre rappresentazioni medioevali
La scuola fiorentina di Corteccia e de Cavalieri Loratorio di Filippo Neri Carissimi Diffusione a Venezia e
Napoli Kerll in Germania Charpentier in Francia
Leroe esiliato Jephte richiamato dai suoi concittadini per respingere i nemici che sono alle porte. Per vincere, Jephte promette di sacrificare a Dio la
prima persona che gli verr incontro uscendo dalla sua casa quando rientrer vittorioso. Tocca allunica figlia, colpevole di buttarglisi festante fra le
braccia. Non c piet. Lasciati alla figlia due mesi per piangere un fato
crudele, il voto sar adempiuto. Questo lepisodio che la Bibbia narra nel
libro dei Giudici e che ispira il primo grande oratorio della musica occidentale, composto da Giacomo Carissimi probabilmente prima del 1649 e destinato alle funzioni dei venerd di Quaresima della Compagnia del Crocefisso
che si svolgono presso la chiesa di San Marcello al Corso a Roma.
La partitura breve. Circa 25 minuti di musica scandita in 18 numeri, con
interventi di narratori, popolani in coro e protagonisti a solo, che in media
durano meno di un minuto ciascuno. Fanno eccezione lo sconvolgimento di
Jephte quando incontra la figlia e la rassegnazione della figlia allinsipienza
del padre e allindifferenza di Dio. Sono urla che si tramutano in pianto,
sono due volte tre minuti che entrano nella storia del dolore in musica nei
primi anni del melodramma. A Jephte e alla figlia sono riservate le emozioni
individuali, che si esprimono nelle melodie e nel lamento. Protagonista il
narratore, che usa la tecnica del recitativo accompagnato da basso continuo.
Rallenta e accelera, alza e abbassa il tono della voce, secondo la situazione
che racconta. Su un altro livello il coro, pensato alla maniera dellantico
teatro greco: osserva dallesterno e commenta, e trova nel complesso intreccio policorale conclusivo una perfetta traduzione tascabile della grandiosa
polifonia romana degli eredi di Palestrina.
chiara la lezione di Claudio Monteverdi. I cantabili di padre e figlia
sono paralleli a quelli degli sfortunati amanti dellOrfeo. Analoghi sono gli
eloqui dei narratori, in Jephte come nel Combattimento di Tancredi e Clorinda, di cui Carissimi mantiene la sobria ambientazione cameristica. Costanti
restano i riferimenti ai numerosi casi di drammatizzazione, in pieno Medioevo, di storie mirabili riprese dallAntico e dal Nuovo Testamento, dallagio-
grafia. Sempre vivo lo spirito delle laudi drammatiche e delle sacre rappresentazioni, anche se non si possono pretendere legami specifici con gli antecedenti diffusi in tutta Europa: linglese Quem quaeritis testimoniato dal
vescovo di Winchester (970), il tedesco Ordo virtutum (1151) di Hildegard
von Bingen, il francese Ludus Danielis (xii secolo), litaliano Il pianto di Maria (xiv secolo) di Jacopone da Todi. Accanto a queste forme pie, fioriscono
anche le varianti satiriche, se non apertamente blasfeme, gradite a un pubblico popolare, tollerate (e talvolta organizzate) dalle autorit religiose: le
oscene ftes des fous in tutta la Francia, in Inghilterra e nellEuropa del Nord
e la corrispondente italiana asinaria festa sono manifestazioni spontanee che
hanno luogo nel tempo di Natale in chiesa e in piazza, con danze e canti su
ritmi fissi e melodie ripetitive di regola decorate da fioriture improvvisate. Si
tramandano per tradizione orale, perch nessuno osa scriverle e pubblicarle.
Pi raffinate e ormai ben documentate sono le storie delle Passioni secondo Giovanni (1527) e Matteo (1532) musicate a Firenze dallaretino Francesco Corteccia. Il passo decisivo si ha nel febbraio del 1600, quando alloratorio di Santa Maria in Vallicella a Roma va in scena La rappresentazione di
anima e di corpo, primo caso di applicazione del canto monodico in un ambito sacro ancora dominato dalla polifonia. La scrive Emilio de Cavalieri,
romano di formazione ma a lungo (1588-99) al servizio dei Medici a Firenze,
dove frequenta la Camerata dei Bardi, partecipa alla stesura dello spettacolo
La pellegrina, contribuisce alla nascita della monodia e del teatro musicale,
definisce oratorio la propria Ascensione di Nostro Signore, cura le coreografie
dei suoi balli e non manca di scrivere madrigali e lamentazioni di Geremia.
Nella Rappresentazione di anima e di corpo mantiene pagine in stile di mottetto/madrigale, ma elabora lunghe parti a voci sole in cui numerose figure
allegoriche espongono verit di fede con canto fiorito e risposte in eco su
accompagnamento strumentale. Con le tecniche genialmente elaborate da
Monteverdi sia nellOrfeo (1607) che nel Vespero (1610).
I 35 cardinali che a Roma assistono soddisfatti alle due esecuzioni della
Rappresentazione di anima e di corpo, comprendono limportanza dellevento e assicurano il consenso al canto monodico e al suo accompagnamento
strumentale. Si apre unepoca tutta nuova per la musica sacra. In chiesa
come nel chiostro o nella piazza antistante, si potranno cantare e mettere in
scena liturgie e sacre scritture alternando solisti e cori, organi e strumenti.
Cose che gi succedono nella Venezia dei Gabrieli ma che con il sigillo romano si diffondono in tutta Europa. Roma si rivela terreno sempre pi
fertile. Non solo diventa lincubatore del melodramma, avvizzito nellarea
veneto-lombarda dopo il botto dellOrfeo, ma fa anche nascere il genere
tutto nuovo delloratorio. Il nome viene dalliniziativa del sacerdote fiorentino Filippo Neri che, a met Cinquecento, d nuova vita alla consuetu-
1648Jephte115
dine, iniziata gi nel 1517 nelloratorio della Vallicella, di riunire periodicamente laici e religiosi per ascoltare sermoni e cantare laudi. Partecipano e
contribuiscono al successo anche i maggiori musicisti del tempo, compresi
i maestri cantori Palestrina e Animuccia, che scrivono laudi e dialoghi su
testi biblici, applicando il nuovo stile monodico fiorentino, di cui appunto
de Cavalieri campione. Il processo lento, ma in circa cinquantanni
nelloratorio scompare la polifonia, si accentua il dramma, il narratore (detto anche storico) descrive la scena, il canto dei protagonisti sempre pi
fiorito, il coro commenta e trae la morale. Si cristallizza una struttura musicale in due parti, da eseguire prima e dopo il sermone centrale. Varia la
destinazione: se il pubblico popolare, come nei circoli di Filippo Neri, si
canta in italiano; se ad assistere il patriziato, come nel concorrente oratorio
del Crocefisso, le parole sono latine. Comune la vocazione di uscire dalle
rigide liturgie della chiesa ufficiale ed esprimere la propria religiosit in
ambienti annessi (appunto gli oratori, i chiostri) e in palazzi privati. Il dramma musicale in lingua volgare SantAlessio di Stefano Landi, rappresentato
a palazzo Barberini nel 1631, segna un progresso decisivo nella storia sia
delloratorio sia del teatro musicale.
Attorno al 1639, la Confraternita del Crocefisso accoglie come collaboratore Giacomo Carissimi, che dal 1630 insegnante al pontificio Collegio
Germanico-Ungaro dei gesuiti. Non conosciamo i particolari del suo agire.
Non ha lasciato scritti teorici. Non siamo sicuri di quanti oratori abbia scritto. Soltanto 14 hanno accettabile autenticit; diventano 33 latini e 2 italiani,
forse pi, se sincludono le attribuzioni incerte, disperse in un immenso catalogo che include oltre 200 mottetti, un numero ancor maggiore di cantate
italiane, otto messe complete. Impossibile una datazione precisa, perch i
manoscritti originali spariscono con lo scioglimento dellordine dei gesuiti
nel 1773 e mancano edizioni a stampa, proibite da una strana disposizione
di papa Clemente x. La fama solida, diffusa dagli allievi, dai manoscritti,
dai passaparola. Venezia offre a Carissimi, che non accetta, lonore di succedere a Monteverdi alla direzione della cappella di San Marco nel 1643. Il
teorico Athanasius Kircher include nel suo monumentale trattato Musurgia
universalis (1650) il coro finale di Jephte come modello di nuovo stile.
Carissimi non un innovatore, ma un geniale architetto del materiale
elaborato da predecessori e contemporanei. Attento alla scelta degli episodi,
mantiene alta la tensione attribuendo un ruolo epico alla narrazione, che
spesso affidata non a uno storico ben identificato ma ai protagonisti stessi e
agli interventi del coro. Arricchisce le parti dei solisti di canto con duetti,
terzetti, spunti concertanti strumentali. Talvolta introduce un brano orchestrale che chiama sinfonia. Riesce sempre a esprimere affetti e passioni.
Rende emozionanti le storie di Abramo e Isacco, di Baldassarre, Job, Giona,
Ezechia, Daniele, Salomone, Jephte, gli episodi del diluvio universale. Scatena limmaginario dellascoltatore con il ritmo del racconto e la variet
della musica, trasformando in vantaggio la mancanza di scene e di movimenti. Converte una modesta pratica locale in un genere praticato in tutta Europa, destinato a durare fino ai nostri giorni.
Il successo dello stile oratoriale di Carissimi immediato. La fama
dellautore tale che da Roma si diffonde nelle citt italiane: Venezia, Bologna, Napoli. Loratorio diventa un genere musicale a s stante. Si affianca al
melodramma teatrale, col quale stabilisce un proficuo rapporto di dare e
avere. Tutti gli operisti da allora in poi alternano la produzione per le scene
teatrali a quella degli oratori in forma di concerto. Soprattutto allestero,
dove la fama di Carissimi arriva direttamente dal suo insegnamento al Collegio Germanico-Ungaro. Fra gli allievi, figura di spicco il tedesco Johann
Kaspar Kerll, che perfeziona la sua abilit di organista con Frescobaldi e poi
attivo a Monaco di Baviera (1656-74) e a Vienna (1674-93) soprattutto
come autore di messe e Magnificat. Kerll indirizza la nascente scuola tedesca
meridionale anche perch ha fra i suoi allievi lorganista Johann Pachelbel
e il teorico compositore Johann Joseph Fux, entrambi destinati a influire
sullarte di Johann Sebastian Bach. La vasta produzione di Kerll si innesta
bene sul terreno preparato pi a Nord da Heinrich Schtz ma bruciato dai
disastri della Guerra dei trentanni (1618-48). A fine Seicento la tradizione
pronta per il salto decisivo di Bach e Hndel.
Altro importante allievo diretto di Carissimi il francese Marc Antoine
Charpentier che vive a Roma fra 1650 e 1652. Tornato a Parigi, ha la sfortuna di trovare le sue ambizioni operistiche bloccate dal monopolista Lully. Si
concentra sulla musica sacra, integra gli spartani organici romani con lopulenza di quelli francesi e ottiene un duraturo successo con il suo famoso Te
Deum. Allo stile italofrancese di Charpentier si convertono lo stesso Lully,
con la serie dei Grands motets, e gli altri musicisti attivi alla corte del Re Sole:
Michel Richard Delalande con il suo Te Deum e Franois Couperin, la cui
Messe de morts un modello per tutto il Settecento, fino al romanticismo
monumentale di Hector Berlioz nellOttocento. Per il genere oratorio non
attecchisce in Francia. addirittura assente in Inghilterra, tarpato anche
dalla rivoluzione repubblicana.
Continua invece la fortuna delloratorio in Italia, soprattutto a Roma e
Napoli, dove domina Alessandro Scarlatti, che ne scrive almeno 35 sui soggetti tradizionali ma applicando i principi drammatici e le tecniche vocali
che garantiscono il successo dei suoi 65 melodrammi per il teatro. A fine
Seicento, loratorio un genere consolidato, soprattutto nella versione con
testo in volgare, pi adatto del latino a essere compreso dal pubblico cui
destinato. La lingua del testo il solo elemento nazionale di una forma mu-
1648Jephte117
sicale davvero internazionale, fissa nella scelta dei soggetti e dei protagonisti,
nelle alternanze di recitativi, arie e cori. In pieno Settecento, tutti gli operisti
italiani scrivono oratori, con punte di eccellenza in Caldara (Maddalena ai
piedi di Cristo, 1700 circa), Vivaldi (Juditha triumphans, 1716) e Hasse (I
pellegrini al sepolcro di Nostro Signore, 1742). Trasferito in Inghilterra, Hndel reinventa lintero genere e ne assicura la continuit nei secoli a venire.
Ascolti
G. Carissimi, Jephthah/The Judgement Of Solomon/Jonah, P. McCreesh, Gabrieli Consort and Players, Meridian 1995
E. de Cavalieri, Rappresentazione di anima e di corpo, H.M. Linde, Linde-Consort, emi
1993
M.A. Charpentier, Te Deum, W. Christie, Les Arts Florissants, Harmonia Mundi 1989
Letture
G. Dixon, Carissimi, Oxford University Press, Oxford 1986
H.E. Smither, A History of the Oratorio, 3 voll., unc Press, Chapel Hill 1973-1987
1649 Il Giasone
Francesco Cavalli
Lopera veneziana del Seicento Il castrato come primadonna I teatri di Venezia Facile diffusione in Italia
Resistenza in Francia Pronta accettazione in Germania
Il pomo doro a Vienna Loblio nel Settecento La
rinascita nel Novecento
Sono tante e tutte buone le ragioni che fanno del Giasone di Francesco Cavalli, rappresentato per la prima volta al teatro San Cassiano di Venezia il 5
gennaio 1649, il pi popolare e diffuso melodramma dellintero Seicento,
con propaggini nel Settecento e rinascita a fine Novecento. Vincente la sua
natura di patchwork, di gran miscuglio in cui tutto si regge alla perfezione. Si
potrebbe definire opera eroicomica, fusione di tragedia greca e commedia
veneziana, con lesotica Tauride trasferita fra le calli di Venezia. Il sublime
librettista Giacinto Andrea Cicognini riesce a combinare almeno tre piani
narrativi differenti. Il primo, ma solo un pretesto, crea il contorno dellimpresa di Giasone che, assieme al compare Ercole e ai suoi argonauti, viaggia
verso lignoto alla ricerca del vello doro. Il secondo piano, quello che conta,
occupato dalle disavventure amorose delleroe, costretto dal fato ad abbandonare la fidanzata (e madre di due suoi figli) Isifile, presto irretito dalla
maga Medea che lui alla fine abbandona (con due gemelli) per tornare dal
primo amore, non senza essersi impadronito en passant del vello doro. Sul
terzo piano si muove una nutrita serie di comprimari che alleggerisce eroismi
e drammi con i lazzi e i frizzi della commedia dellarte.
Il Giasone lopera che afferma Venezia come capitale del melodramma,
dopo che il percorso, avviato a Firenze dalle due Euridice (1600) di Caccini e
Peri, e continuato a Mantova con LOrfeo (1607) di Monteverdi, matura con
ibride commistioni di favole boscherecce e oratori sacri. Lutilizzo a Roma,
nel 1632, di una grande sala annessa al nuovo palazzo Barberini, capace di
oltre tremila posti, inizia la nuova epoca del teatro musicale aperto al pubblico. Per loccasione ripreso con grande sfarzo il dramma sacro SantAlessio
di Stefano Landi, il cui librettista il prelato Giulio Rospigliosi, animatore
della vita musicale romana di quegli anni, promosso cardinale e infine (1667)
eletto papa con il nome di Clemente ix. Almeno per la nuova esecuzione del
1634, larchitetto Lorenzo Bernini firma lallestimento scenico.
Anche se il soggetto sacro, alla maniera delloratorio, il SantAlessio
un moderno melodramma, diviso in tre atti, ciascuno preceduto da una sin-
ziano. Gli originali teatranti della commedia dellarte sono ormai compagnie
di cantanti bravissimi, che con i loro gorgheggi estasiano il pubblico e riempiono le sale. Il ginepraio della vicenda valorizza macchine teatrali sempre
pi efficaci. Al teatro Novissimo, larchitetto Giacomo Torelli inventa marchingegni che permettono cambi di scena in pochi secondi. Si consolidano i
clich del teatro dopera di tutti i tempi successivi: il lamento (di Giasone, di
Medea, di Isifile), laria del furore e quella dellamore, il dramma che diventa farsa, linverosimile come specchio della realt. Si consolida anche un
modo di operare del tutto nuovo. Il melodramma unimpresa che fa profitti con la vendita di biglietti e abbonamenti a pubblici dogni sorta. Assecondare i gusti correnti per riempire le sale la regola del gioco: innovare per
sorprendere, sbracare per invitare, strapagare primedonne, allestire con
sfarzo ma con locchio al numero delle repliche per ammortizzare i costi,
scene belle ma facili da smontare e rimontare altrove. Le economie delloperazione sono chiare: guadagnano sempre i proprietari dei teatri, spesso e
molto i cantanti, poco ma sempre gli orchestrali, gli autori, le maestranze.
Tutti i rischi sono a carico degli impresari, che di regola vanno in bancarotta,
di solito non pagano e si trasferiscono altrove. la logica mercantile di Cavalli e di tutte le sue opere, di Giasone in particolare. Per questo corretto
affermare che la pi importante rivoluzione musicale del Seicento, lopera in
musica, nasce a Venezia, nel 1635.
Ormai solida nelle sue strutture, lopera veneziana pronta per lesportazione. Che funziona bene nella penisola italiana, soprattutto negli stati in
cui meno presente il controllo principesco e pi morbido il governo locale.
Dove vige il principio del libero mercato e della concorrenza, con pi compagnie di canto gestite da impresari che si battono per conquistare pubblico
e denaro in cambio di musica e spettacolo. Funziona a intermittenza nelle
citt pontificie (Bologna e Roma), dove chi comanda un papa elettivo, per
cui a un Barberini amico dellopera pu seguire un Colonna che allopera
(oltre che ai Barberini) ostile. Funziona a Napoli, Palermo e Milano, dove
comanda il re di Spagna, che lontano. Va bene in Toscana, in Emilia, in
Piemonte, dove regnano principi che non hanno risorse per mantenere un
teatro di corte e si rivolgono agli impresari per organizzare una stagione locale nei tempi lasciati liberi dal carnevale di Venezia e dalle stagioni dei
centri maggiori.
Pi difficile attraversare le Alpi, conquistare le capitali Parigi e Vienna,
Londra e Madrid, i grandi centri di lingua tedesca. La prima opera veneziana
che arriva a Parigi, nel 1645, La finta pazza di Sacrati, portata da una compagnia italiana invitata dal cardinale Mazarino, nellambito del suo progetto
di italianizzare la vita culturale francese. Non ha successo cos come, lanno
dopo, non piace LEgisto di Cavalli, gi trionfante dal 1643 prima a Venezia
za e la scarsa innovazione fa avvizzire la tradizione locale e trionfare il melodramma italiano. In Italia, a Venezia come a Milano, Roma, Napoli, Palermo,
il melodramma gi tuttaltra cosa, diviso fra serio e buffo, rodato dalle repliche, pronto a conquistare il mondo grazie a formule sempre nuove, fino
ai nostri giorni. Al punto che Il Giasone di Cavalli levento della stagione
2010 dellopera di Chicago e la sua protagonista Medea non solo ispira compositori di Settecento e Ottocento, ma anche del Novecento inoltrato, come
Lamia (1974) di Jacob Druckman. Mentre il mito della citt natale del teatro
dopera continua con Le streghe di Venezia (2006) di Philip Glass.
Ascolti
F. Cavalli, La Calisto, R. Jacobs, Concerto Vocale, Harmonia Mundi 2006 (dvd)
C. Monteverdi, Lincoronazione di Poppea, J.E. Gardiner, The English Baroque Soloists,
Archiv 1996
Letture
L. Arruga, Il teatro dopera italiano. Una storia, Feltrinelli, Milano 2009
E. Rosand, Opera in Seventeenth Century Venice: The Creation of a Genre, University of
California Press, Berkeley 1991
1654Lamento
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ropa, che fanno di lui il maggiore ambasciatore della musica strumentale del
Seicento. I tempi e i modi dei viaggi non sono chiari, ma i risultati artistici s.
Nei Paesi Bassi, Froberger viene in contatto con la fiorente organaria
nordica, assai diversa da quella italiana perch punta sulla grandiosit della
struttura e sulla ricchezza dei colori. Accanto alle tradizionali canne ad anima ci sono tanti registri ad ancia (cromorni, trombe, dulciane), tubi chiusi e
carillon, controllati da tastiere multiple e ampie pedaliere. A fine Cinquecento, tutte le maggiori citt olandesi hanno organi grandiosi, a cominciare da
Amsterdam, dove esercita il maggiore improvvisatore e autore del tempo, Jan
Pieterszoon Sweelinck, allievo di Gioseffo Zarlino a Venezia, ultimo esponente della grande tradizione polifonica fiamminga, fedele interprete delle
indicazioni luterane per una musica che accompagni il canto dei fedeli e ne
allieti lo spirito. Ancora oggi, le armonizzazioni di corale di Sweelinck sono
di uso corrente e le celeberrime variazioni su Mein junges Leben hat ein End
sono un modello per la fortunata Partita auff die Mayerin dello stesso Froberger e per tante successive generazioni di organisti, Bach compreso.
Nelle Fiandre, Froberger si trova nel cuore dellarte di costruire il clavicembalo. Lo strumento segnalato per la prima volta nel 1397 e attorno al
1440 in uso alla corte dei duchi di Borgogna in una configurazione assai
simile a quella dei secoli successivi: un bel mobile decorato che racchiude
una tavola armonica sulla quale sono tese le corde da pizzicare con becchi
azionati da tasti. Lo sviluppo rapido e, come nel caso dellorgano, prende
vie nazionali. In Italia, il clavicembalo resta leggero nel peso, cerca timbri
raffinati, si limita a una sola tastiera. Nelle Fiandre e in tutto il Nord, assume
dimensioni, peso e sonorit maggiori, con seconda tastiera e vasta scelta di
registri. Da Amsterdam, i cembalari industriali Ruckers esportano in tutta
Europa, in concorrenza con i tanti artigiani italiani.
Passato a Parigi, il musicista errante Froberger conosce la recente scuola
cembalistica locale, che nasce sempre dalla polifonia delle voci (come in
Italia e nelle Fiandre) per molto attenta al repertorio per liuto, strumento
che nella Francia del Cinquecento ha grande fortuna nellaccompagnamento
delle danze popolari e di corte: allemande, sarabande, gagliarde, correnti,
gighe. Tipico dei parigini Couperin, Clerambault, DAnglebert e Champion
de Chambonnires lordinamento in sequenza codificata (ordre o suite) di danze diverse per ritmo e passo. Da loro, Froberger apprende anche
luso di ricordare un amico scomparso con un lamento funebre (tombeau),
come fa Desprs per Ockeghem a fine Quattrocento. Ne scrive subito uno,
in memoria dellamico liutista Fleury detto Blancheroche caduto ubriaco
dalle scale di casa sua. Arrivato a Londra, assieme a un compianto per far
passare la propria malinconia, Froberger compone una lamentazione per
essere stato rapinato dai pirati durante lattraversamento della Manica. Il
soggiorno londinese lo mette in contatto con unaltra tradizione locale, legata a uno strumento a tastiera ancora diverso. Il virginale una variante di
cembalo di dimensioni minori, in forma quadrata e di facile uso, destinato
alladdestramento delle fanciulle di buona famiglia (da qui lorigine del nome, che per altri fanno derivare dal latino virga, il saltarello che regge il
plettro che pizzica la corda). uno strumento che ha fortuna solo in Inghilterra e per il quale, fra met Cinquecento e inizio Seicento, nasce un ricco
repertorio di danze e fantasie raccolte nella magnifica antologia Fitzwilliam
Virginal Book con firme di Byrd, Farnaby, Morley, Bull, Gibbons.
Lesperienza dei tanti viaggi e dei tanti contatti di Froberger riunita in
sei libri a stampa, i pi importanti dei quali pubblicati postumi. Vi troviamo
numerosi contributi ai generi antichi del ricercare e della toccata alla maniera di Frescobaldi. Quel che conta la collezione di una trentina di suite
nelle quali codifica la sequenza di danze (allemanda, corrente, sarabanda,
giga) immediatamente ripresa da tutti i compositori di musica clavicembalistica per lintero secolo a venire. I casi pi noti sono ovviamente Bach e
Hndel, oltre al francese Franois Couperin (che le chiama ordre). Le fantasie di Froberger diventano un modello per i maggiori organisti dellultimo
Seicento, da Dietrich Buxtehude a Johann Pachelbel. Ne riprende il taglio
libero Carl Philipp Emanuel Bach, figlio di Johann Sebastian, quando a
met Settecento vuole staccarsi dalle gabbie del passato e aprire nuove strade per esprimere gli eterni affetti. Linflusso arriva diretto fino a Mozart, che
copia di proprio pugno molte pagine di Froberger.
Grande futuro ha anche il gusto di Froberger per il descrittivismo musicale, inventando onomatopee e accorgimenti strumentali e vocali a imitazione di
suoni della natura e di storie umane. Si sente nelle Biblische Historien (1700)
in cui Johann Kuhnau, predecessore di Bach a Lipsia, simpegna a tradurre in
note per tastiera sei episodi dellAntico Testamento raccontati da un narratore,
mentre il clavicembalista suona. un primo caso di melologo, genere adottato nel Settecento da Jean-Jacques Rousseau (Pygmalion, 1770), Georg Benda
(Medea, 1775), Gaetano Pugnani (Werther, 1796). NellOttocento troviamo
Beethoven (Fidelio, 1814) seguito da Schumann (Manfred, 1852), Liszt (Leonore, 1858) e Richard Strauss (Enoch Arden, 1897). Nel Novecento, a modo
loro, applicano il principio del melologo anche Schnberg (Pierrot lunaire,
1912; A Survivor from Warsaw, 1947) e Stravinskij (Persphone, 1934).
Il passaggio di Froberger in Francia rinforza lautonoma e la persistente
tradizione francese di mettere in musica i suoni della natura, in particolare
degli uccelli. La linea parte dal rinascimentale Clment Janequin con le sue
deliziose imitazioni in polifonia Le Chant des oiseaux, Le Chant du rossignol
e in tante altre chanson pubblicate nella prima met del Cinquecento. Il
canto dei volatili ispira Couperin (Les Abeilles, 1713) e Rameau (Le Rappel
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des oiseaux, 1724; La Poule, 1727). Diventa vera ornitologia in pieno Novecento con Olivier Messiaen, da Quatuor pour la fin du temps (1941) a Catalogue doiseaux (1955) a clairs sur lAu-del (1991). Tutti questi autori tendono ad attribuire alle loro composizioni musicali titoli che rimandano a
eventi e figure esterne. Le corrispondenze sono talvolta esplicite, grazie a
onomatopee. Pi spesso sono vaghe analogie emotive e concettuali. Comunque stabiliscono la solida base sulla quale si erger la tradizione squisitamente francese della musica a programma. Ci sar lo sviluppo clamoroso della
Symphonie fantastique di Berlioz, verranno i poemi sinfonici di Liszt, Smetana, Richard Strauss, le impressioni paesaggistiche di Debussy e Ravel, equamente divise fra solitario pianoforte e grande orchestra sinfonica.
Nei paesi di lingua tedesca, la suite alla maniera di Froberger si sviluppa
come sequenza ordinata di forme astratte, di regola danze dal diverso carattere, alternando passi vivaci a passi lenti senza altre intenzioni descrittive
extra musicali. Sono cos le suite (circa 1683) per clavicembalo di Johann
Pachelbel. Nello stesso periodo, nascono la ventina di suite e i tanti pezzi
singoli per clavicembalo di Dietrich Buxtehude. Lievita la produzione per
clavicembalo (e organo) di tanti autori minori. Maturano i tempi per la sintesi finale del genere, con lesperienza universale di Bach.
Ascolti
J.J. Froberger, Works For Harpsichord, G. Leonhardt, Deutsche Harmonia Mundi 2009
Fitzwilliam Virginal Book, J. Marville, Aeon 2008
J. Kuhnau, Musicalische Vorstellung einiger biblischer Historien, G. Leonhardt, Das Alte
Werk 1998
Letture
C. Hogwood (a cura di), The Keyboard in Baroque Europe, Cambridge University Press,
Cambridge 2003
D. Morrier (a cura di), J.J. Froberger: musicien europen. Colloque organis par la ville et
lEcole Nationale de Musique de Montbliar, Montbliar, 2-4 novembre 1990, Klincksieck,
Paris 1998
J. Dehmel, Toccata und Praeludium in der Orgelmusik von Merulo bis Bach, Brenreiter,
Kassel 1989
H. Siedentopf, Johann Jakob Froberger: Leben und Werk, Stuttgarter Verlagskontor,
Stuttgart 1977
re i moti dellanima e gli affetti del cuore, senza perdere il lume dellintelletto e il senso delle cose.
Meglio di ogni altro, il percorso dello stile del pratico Schtz esprime lo
spirito del tempo in unEuropa travagliata come non mai. Ciascuna sua tappa
sinserisce negli anni in cui nasce. Su base stilistica, quindi abbastanza facile ricostruire il suono che nei cori dellOratorio di Natale (Weihnachtshistoria)
il solo testo stampato nel 1664 si limita a suggerire. Sappiamo che la composizione eseguita nel Natale del 1660, cio una dozzina di anni dopo la firma
della pace di Vestfalia che mette fine alla tremenda Guerra dei trentanni. La
corte di Dresda ha modo di recuperare risorse e concedere pi voci e pi
strumenti al suo maestro di cappella Schtz. Il primo risultato sono i tre libri
di Symphonie sacrae (1650) in cui il musicista riprende i sontuosi organici
conosciuti nel triennio di studio (1609-12) con Giovanni Gabrieli a Venezia
e collaudati nei preziosi Salmi davidici (1619), che sono il primo e pi importante risultato riportato a Dresda dopo lapprendistato italiano. Pur separate
da trentanni, le due raccolte hanno in comune lo stile concertante veneziano:
cori spezzati e dialoganti, interventi di solisti, echi e sovrapposizioni strumentali, alternanza fra blocchi sonori di diversa consistenza, polifonia subordinata a una dinamica armonica che gravita fra modi maggiori e minori, abbandono definitivo del gregoriano, monodia appoggiata su moderno basso
continuo. La formula coerente con la voglia dei signori di Dresda di imitare
lo sfarzo dei dogi e con il ruolo di maestro di musica di una comunit civile
(e non religiosa) che a Schtz affidato. In questo senso si capisce anche il
tentativo del musicista di importare la tradizione fiorentino-mantovana della
rappresentazione musicale, scrivendo per la corte di Dresda, nel 1627, una
sua versione della Dafne sul testo originale di Rinuccini tradotto in tedesco.
Lesperimento non ha seguito, non per difetti musicali (la musica comunque
perduta) ma per ristrettezze da tempo di guerra.
In quei cruciali trentanni, lo stile di Schtz si asciuga. Lobbligo di economizzare risorse lo porta a lavorare sui fondamentali della musica per trovare i valori espressivi che vuole. Cerca di nuovo idee in Italia. Nel 1628
torna a Venezia per incontrare lamico Monteverdi. Nel 1632 chiede di ricevere mottetti e madrigali di Gesualdo da Venosa. Il sofferto cromatismo, il
secco melodizzare nello stile concitato a voce sola, lintricata eppur trasparente polifonia dei 150 salmi a cappella (1628), i 40 mottetti (1625), i Kleine
geistliche Konzerte (1636, 1639) ne sono puntuale testimonianza. Schtz
conosce lattivit romana anche grazie agli studenti tedeschi che rimpatriano
dopo gli studi con Carissimi al Collegio Germanico. Capisce che la formula
delloratorio si adatta meglio del teatro alla Germania devastata di allora, sia
nelle metropoli Dresda, Amburgo, Lipsia, Monaco sia nei tanti centri minori visitati nei viaggi che punteggiano la sua lunga vita. Scene e costumi pos-
Ascolti
Heinrich Schtz Edition, Brilliant 2012
H. Schtz, Christmas Vespers, P. McCreesh, Gabrieli Consort & Players, Archiv 1999
Letture
E. Rothmund, Heinrich Schtz (1585-1672): Kulturpatriotismus und deutsche weltliche
Vokalmusik, P. Lang, Bern 2004
B. Smallman, Schtz, Oxford University Press, Oxford 2000
M. Heinemann, Heinrich Schtz, Rowohlt, Berlin 1994
Musica per un ballerino re di Francia Caterina de Medici introduce le coreografie fiorentine a Parigi Baltazarini
porta Monteverdi Arbeau formalizza la danza Il cardinale Mazarino prova a importare lopera veneziana
Trionfa Lully con lopra-ballet Nasce lopra-lyrique
Inizia il genere delle musiche di scena
Manca pi di un secolo alla Rivoluzione francese, ma le tensioni fra borghesia e nobilt sono forti gi ai tempi del Re Sole Luigi xiv, a fine Seicento. Le capisce bene un commediografo accorto come Molire. Ne approfitta al volo un ballerino ambizioso come Lully. Dalla collaborazione fra i
due nasce una pietra miliare nella storia della musica, e del balletto in
particolare. Il borghese gentiluomo (Le Bourgeois gentilhomme), commedia
con musica e ballo, va in scena nel castello di Chambord il 14 ottobre 1670.
Il suo protagonista, il mercante Jourdain, crede ancora che esista unaristocrazia e ne vuole far parte, commettendo gaffe immaginabili. Finisce beffato con una falsa festa per il matrimonio della figlia con un finto principe
turco che invece il vero innamorato, piccolo borghese e povero in canna.
Le musiche di Jean Baptiste Lully sono in realt preludi e intermezzi ballabili secondo la tradizione fiorentina di fine Cinquecento, quella della Camerata, con Galilei, Caccini e Peri che scrivono musiche interpolando i
testi delle favole pastorali di Rinuccini e Tasso. Peraltro Lully nasce a Firenze col nome di Giovanni Battista Lulli e si trasferisce a Parigi a 14 anni,
nel 1652. Sa ballare e capisce subito che il nuovo re Luigi xiv ama la danza
e lo spettacolo.
Quello che per lunga tradizione la corte parigina apprezza non il balletto greco dei testi antichi e tanto meno quello delle origini sciamaniche
studiate dagli antropologi moderni. invece un distillato del ballo popolare da sempre praticato in piazze e cortili, e descritto da cronache che si
perdono nel Medioevo. Si danza a palazzo, fra una portata e laltra nei
banchetti importanti; si danza a teatro, fra le scene di una rappresentazione;
per strada, assieme ai lazzi e frizzi di una festa di carnevale. Entrando nei
castelli dei principi rinascimentali, lallegra anarchia della danza paesana
trova canovacci che variano di luogo in luogo. NellItalia del Quattrocento
si hanno le prime forme di balletto inteso come successione ordinata di
danze diverse. Il salto di qualit avviene per in Francia, grazie al lombardo
zione Lully, al quale lamico Re Sole concede il diritto in esclusiva di rappresentare opere liriche in Francia. Le sedici tragdie-lyrique che Lully
mette in scena fra 1672 e 1688, lanno della morte, sono una pi ricercata
dellaltra e fondano il teatro musicale francese che troviamo nei secoli successivi, fieramente nazionale e ostile ai tentativi di colonizzazione da parte di
italiani e tedeschi. Lully si appoggia a una tradizione teatrale e letteraria
molto evoluta, che il suo librettista di fiducia Philippe Quinault riesce a tradurre in magnifici versi per musica. Sono soggetti classici e cavallereschi,
linguisticamente eleganti, rigorosi nella scansione drammatica, fantasiosi
negli intrecci amorosi, con improvvisi colpi di scena e fughe nel meraviglioso.
Inoltre Lully inventa nuove forme musicali. Fanno subito scuola le ouverture. La loro struttura tripartita si apre con una sezione pomposa e ben
ritmata, come per annunciare: Silenzio in sala, arriva il re, comincia lo spettacolo. Louverture prosegue con un vivace episodio contrappuntistico;
chiude riprendendo la sezione iniziale. Lazione teatrale suggerisce i modi
con cui si articolano le arie solistiche, i recitativi di rado sono secchi (accompagnati dal solo clavicembalo) e di regola diventano ariosi (con strumenti dellorchestra), linterazione con il coro che talvolta partecipa, talaltra commenta dallesterno continua. Intermezzi strumentali fatti di variazioni (ciaccone) e di ritmi ballabili garantiscono ampi spazi alla danza.
Lesigente pubblico di Parigi e Versailles sedotto da Cadmus et Hermione
(1673), Alceste (1674), Thse (1675), Roland (1685) e soprattutto da Armide
(1686). Titoli che sono tutto un programma.
Dispotico quanto il suo re, Lully approfitta del suo monopolio e non
concede spazio a concorrenti. Di fatto tarpa le ali alle ambizioni teatrali di
Marc Antoine Charpentier: il valente allievo di Carissimi ripiega sulla musica
sacra e compone quel Te Deum diventato famoso come sigla dei programmi
televisivi in Eurovisione. Un altro talento del tempo, Michel Richard Delalande, resta lontano dal teatro, scrive musica sacra ma si fa accettare a Versailles per le sue sontuose musiche strumentali di accompagnamento ai ricevimenti di corte, rifornendo con musiche da ballo e divertimenti il complesso dei 24 Violons du roi appositamente creato fin dal 1618, embrione
dellorchestra moderna. Le sue Symphonies pour les soupers du Roi, cio
colonne sonore per occasioni conviviali, sono gli antecedenti francesi delle
Tafelmusik in cui, nel Settecento, eccelle in Germania Georg Philipp Telemann. Cose che scrive anche Lully, per non essere da meno alle orecchie
del re. Peraltro con risultati eccellenti.
Rallenta (anche per mancanza di nuovi testi importanti) ma non si interrompe la produzione di musiche per il teatro di parola, che poi laltro aspetto del Borghese gentiluomo di Lully. In s non una novit: la Camerata lavora sulle musiche di scena. Gi nel 1585, Andrea Gabrieli compone quattro
Ascolti
J.B. Lully, Lully-Molire: Comdies-ballets, M. Minkowski, Les musiciens du Louvre,
Erato 2002
J.B. Lully, Lorchestre du Roi Soleil, J. Savall, Le Concert des Nations, Alia Vox 1999
Letture
A. Testa, Storia della danza e del balletto, Gremese Editore, Roma 2005
M. Spitzer, N. Zaslaw, The Birth of the Orchestra: History of an Institution, 1650-1815,
Oxford University Press, Oxford 2004
B. Louvat-Molozay, Thtre et musique. Dramaturgie de linsertion musicale dans le
thtre franais (1550-1680), Champion, Paris 2002
Masque of Lord Hayes (1607), ma il campione il commediografo Ben Jonson, lautore di Volpone (1607) e di Lalchimista (1610), che firma anche
Masque of the Queen (1609), diventato riferimento obbligato per tutto il secolo, compresi gli altri 24 che di lui sono accertati, spesso con scene e costumi di Inigo Jones, sempre per il diletto di cortigiani, nobili e borghesi. Il
masque ha il suo apogeo nel 1634 con la rappresentazione, alla presenza di
re Carlo i e con un gran corteo preparatorio e la mobilitazione di 61 esecutori, del Trionfo della pace, musiche dellora dimenticato William Lawes. La
guerra civile scoppiata nel 1642 cambia lo scenario vero, politico e sociale. Il
re viene decapitato (1649), i puritani, guidati da Oliver Cromwell, intervengono anche in campo musicale. Soffre soprattutto la musica da chiesa, privata del gusto polifonico e madrigalistico di taglio italiano felicemente importato nel Cinquecento. In et elisabettiana scompaiono lamore per il virginale e il suo repertorio fiorito. I teatri vengono chiusi. C tolleranza solo per la
musica profana, meglio se praticata in privato.
La restaurazione del 1660 conta fra i sopravvissuti (musicali) il solo Matthew Locke, che riesce comunque a prefigurare, nel difficile 1653, il teatro
musicale inglese con il masque mitologico Cupid and Death, rappresentato in
privato in occasione della visita dellambasciatore del Portogallo; e a consolidarlo, due anni dopo, partecipando alla stesura di The Siege of Rhodes, la
cui musica perduta. Locke sispira a Shakespeare (riscritto) per Macbeth
(1663) e La tempesta (1674), torna alla mitologia classica con The Masque of
Orpheus (1673) mentre chiarissimo linflusso della tragdie-lyrique di Lully
nel suo capolavoro Psych (1675). Lo stile di vita alla corte di Versailles viene
importato a Londra dal re restaurato Carlo ii, sovrano gaudente e amante
della musica, gi ospite di Luigi xiv negli anni dellesilio puritano. Per la sua
corte nasce Venere e Adone (Venus and Adonis), melodramma a pieno titolo
(ha solo parti musicali) e non pi masque (non ci sono parti recitate), firmato
da John Blow e rappresentato nel 1683. il primo caso di adattamento al
gusto inglese del teatro musicale che ormai da decenni diffuso in Europa.
Il soggetto mitologico, la struttura rispetta il modello italiano con arie solistiche, cori, intermezzi alla maniera di Lully pi gli indispensabili tocchi locali nella scelta dei passi di danza. Il successo enorme. Ovviamente non
sfugge a Purcell, ventiquattrenne e gi sulla cresta dellonda.
Didone ed Enea segue il modello di Venere e Adone di Blow nellimpostazione generale, nel taglio di molte scene, nella concisione. Poco si pu dire
della sua strumentazione, perch il manoscritto originale andato perduto e
la partitura pi antica che conosciamo databile a Settecento inoltrato, un
paio di decenni dopo la morte dellautore. Probabile che anche Didone sia
pensata per una rappresentazione a corte, magari anche avvenuta, ma di cui
non abbiamo traccia. Di sicuro non ripresa subito dopo lassaggio nel col-
Ascolti
H. Purcell, Dido and Aeneas, C. Hogwood, The Academy of Ancient Music, LOiseauLyre, Paris 1992
H. Purcell, Theatre Music, C. Hogwood, The Academy of Ancient Music, Decca 2004
The Complete Odes and Welcome Songs of Henry Purcell, R. King, New College Choir
Oxford, Hyperion 1993
Letture
P. Holman, Henry Purcell, Oxford University Press, Oxford 1994
M. Burden (a cura di), The Purcell Companion, Amadeus Press, Portland 1995
C. Price (a cura di), Purcell Studies, Cambridge University Press, Cambridge 1995
1700 La follia
Arcangelo Corelli
Ornare per variare un tema popolaresco Improvvisazioni
Sonate a tre e a due, da camera e da chiesa Corelli La
scuola violinistica romana Geminiani Locatelli Somis
Leclair La scuola veneta Vivaldi Tartini Le follie
di Bach, Salieri, Beethoven, Rachmaninov, Henze
Pi che una melodia una formula: 22 note in tutto, con la fondamentale (re)
ripetuta otto volte, lultima delle quali tenuta per una durata tripla, a dare
senso di conclusione e arrivare al numero perfetto di 24, cio 3 note per
ciascuna delle 8 battute. Il piano ritmo ternario di ogni battuta di regola
animato da una sincope. Limportanza della fondamentale accentuata dalle
altre note, tutte come aggrappate a essa, perch si allontanano e si avvicinano
per semitoni e toni interi, senza salti, con una densit cromatica che accentua
il carattere drammatico della tonalit di re minore. Com nella natura della
follia musicale, la formula si ripete. Nella celeberrima applicazione di
Arcangelo Corelli, ritroviamo la follia per 24 volte, la prima nella versione di
base, le successive in fantasiose varianti che ne alterano laspetto ma non la
sostanza. La melodia, ossia il tema, emerge fra i disegni ornamentali sempre
pi fitti del violino solista, che si stagliano sul sostegno discreto del basso
continuo. Il tema si trasforma presto in eco fra due parti distanti. E quando
il violino si svincola, per seguire propri percorsi espressivi o avventure acrobatiche, la formula affermata dal basso con vigore ancora maggiore. Fra
tema e ornamentazione i ruoli si scambiano spesso. Nasce una primordiale
dialettica, che porta alla naturale sintesi finale, cio riconduce lintera costruzione alla formula di avvio. Il risultato una straordinaria coincidenza fra
unit e diversit. Che poi principio della variazione, il genere musicale
nato nel Cinquecento in parallelo allo sviluppo della tecnologia costruttiva
degli strumenti musicali. In musica, variare non significa togliere per strutturare, ma aggiungere per abbellire, per fare del superfluo decorativo il fulcro dellordine supremo.
Aggiungere abbellimenti alle melodie pi diffuse da sempre un motore
dello sviluppo della musica occidentale. Lo troviamo nei melismi dellAlto
Medioevo e in tutte le varianti vocali che seguono. Quando finalmente, appunto a fine Quattrocento, la musica pu abbandonare la parola e affidarsi
alle note neutre degli strumenti, linserimento di note accessorie e brevi fra
quelle fondamentali diventa unesigenza strutturale, non solo ornamentale.
Nel caso degli strumenti a pizzico (liuto, chitarra, clavicembalo) la durata del
suono dipende dalla natura fisica della corda vibrante. Non pu essere prolungata se non ripetendo la stessa nota per il tempo necessario, oppure aggiungendo note vicine che la sostengano. Si diffonde la pratica dellarpeggio,
che trasforma un accordo statico in una dinamica e ripetuta sequenza delle
sue note: ottimo sistema per accompagnare in modo variato una melodia
cantata o suonata. Il problema fisico diventa subito opportunit artistica,
perch il compositore/esecutore scopre quanto gli inserimenti di note di
passaggio consentano di variare e rendere pi interessante una base melodica banalizzata dalluso. Infatti, la tecnica della diminuzione (trasformazione di una nota lunga in uno sciame di notine) e della variazione (uso di un
canovaccio melodico per costruire unarchitettura molto pi vasta e del
tutto nuova) conquista subito anche uno strumento come lorgano, che non
ha problemi meccanici nel tenere le note lunghe.
Il genere della variazione cresce vertiginosamente nel Cinquecento, soprattutto grazie alla diffusa pratica dellimprovvisazione, che funziona
cos: allo strumentista virtuoso si suggerisce una melodia conosciuta da tutti
e lui inventa seduta stante un percorso musicale che esibisce le sue abilit di
compositore e di esecutore. Fin dallinizio, sono grandi improvvisatori i liutisti e i tastieristi. Echi delle celebri invenzioni estemporanee di Girolamo
Frescobaldi si rintracciano nei testi stampati, nelle toccate e soprattutto
nelle variazioni su melodie popolari, come La monacha, La Girolmeta, appunto La follia (nel Primo libro di toccate, 1615). La follia una melodia che
nasce in Portogallo come danza popolaresca sul ritmo lento della sarabanda,
unaltra danza dalla curiosa origine centroamericana, diffusasi in Europa a
partire dal 1539. In Spagna, il teorico Diego Ortiz nel 1553 la prende a modello nel suo Trattato delle variazioni e il grande organista Antonio de Cabezn la impiega in un suo capolavoro, con lo strano titolo di Diferencias
sobre la pavana italiana (1557). La versione classica per chitarra compare nel
trattato Instruccin de msica sobre la guitarra espaola (1675) di Gaspar
Sanz. In Francia arriva come Folies dEspagne: Lully la inserisce nelle sue
omonime musiche di scena (1672) e il virtuoso di viola da gamba Marin
Marais nel suo secondo libro di Pices de viole (1701).
In Italia il successo immediato e non si contano le elaborazioni che
nascono lungo lintero Seicento. Il punto di arrivo comunque la versione
firmata da Arcangelo Corelli, non solo per la genialit delle soluzioni tecniche ma anche per il ruolo che lautore le attribuisce. La follia la dodicesima e ultima composizione che troviamo nellunica raccolta di sonate a
due per violino e basso continuo di Corelli, lop. v, pubblicata nel 1700. La
quale op. v uno snodo essenziale nella storia della sonata strumentale,
poich sancisce il passaggio dallantica sonata a tre per due strumenti me-
lodici e basso continuo alla moderna sonata a due. il caso di fare qualche
passo indietro.
Le precedenti sonate di Corelli sono raccolte in quattro volumi, ciascuno
con 12 pezzi (op. i-iv, 1681-1691). Sono tutte sonate a tre e sono il punto
di arrivo di un genere cresciuto lungo tutto il Seicento attorno alla rivoluzione tecnica del basso continuo, sviluppata ai primi del secolo anche da Claudio Monteverdi. Allinizio il basso continuo accompagna la voce. Subito
entrano gli strumenti melodici ad arco, ormai efficienti e agili: violini e viole,
sostenuti da un organo o da un clavicembalo. Nella culla veneziana nasce la
sonata, strumentale per definizione, estensione del principio cinquecentesco del sonare collaudato dai Gabrieli. La sonata si distingue dal non
meno nuovo genere concerto, che mobilita un folto gruppo di archi solisti e
accompagnanti, perch riferita a lavori per piccole formazioni di uno o due
violini, pi basso continuo accompagnante. Se destinata alle funzioni pubbliche in chiesa, deve essere seriosa e riservata, accompagnata dallorgano.
Diventa allegra e danzante, sostenuta dal cembalo, se pensata per i divertimenti nelle camere private. La prima raccolta importante di sonate strumentali sintitola Canzoni, overo Sonate concertate per chiesa e camera a 2, et a 3,
op. 12 (1635), ed firmata dal cremonese Tarquinio Merula. La struttura in
quattro movimenti (Largo-Allegro-Lento-Allegro) delle sonate da chiesa,
oppure in tre movimenti (Allegro-Lento-Allegro) delle sonate da camera si
cristallizza nelle raccolte di sonate op. 2 (1655) e op. 4 (1656) di Giovanni
Legrenzi, di scuola veneta, collaboratore e successore di Monteverdi a San
Marco. La tradizione strumentale veneta prolifera anche a Bologna, grazie
alle sonate e ai concerti grossi del veronese Giuseppe Torelli, attivo per qualche anno ad Anstadt, Berlino e Vienna (1696-1701). DallEmilia alla Romagna il passo breve.
Imbevuto di cultura musicale bolognese e ferrarese, insediandosi a Roma
nel 1675, il romagnolo Corelli trapianta la grande tradizione violinistica
padana su un terreno di grande fertilit musicale. in piena fioritura la
stagione delloratorio di Carissimi e cos quella dellopera teatrale. La scuola policorale vaticana mantiene intatto il suo prestigio. Nobili e cardinali
sono generosi mecenati. Prima violinista, poi maestro della cappella di corte
della regina Cristina di Svezia in esilio, Corelli fonda una scuola destinata a
dominare la scena musicale europea per tutto il Settecento. Scrive soltanto
musica strumentale. La solidit formale delle sue sonate a tre da chiesa (op.
i e op. iv) e da camera (op. ii e op. iii) trova la sintesi nelle 12 sonate a due
(op. v). Di queste, le prime sei sono da chiesa perch hanno quattro severi
movimenti nella consolidata successione Largo-Allegro-Adagio-Allegro.
Seguono cinque sonate da camera, in cui la medesima sequenza dinamica
prende nomi diversi: un Preludio in apertura precede tre danze che alter-
nano scansioni veloci e lente. In fondo ci sono cinque suite, secondo il modello codificato dal tedesco Froberger. Il posto della dodicesima sonata
lasciato alle variazioni sul tema della Follia, un gesto di rottura che nello
stesso tempo porta continuit con il passato e apre porte verso il futuro.
Sonata e variazione sono certificate ormai come genere caratteristico della
musica strumentale.
La fortuna della Follia e dellintera op. v di Corelli, ossia della formula
della sonata a due, immediata e internazionale. Lasciato libero di muoversi sul discreto accompagnamento del basso, il violino solista pu esibire
tutte le sue qualit espressive e soprattutto virtuosistiche, imitando e amplificando vocalizzi e gorgheggi che, nel teatro dopera, fanno trionfare primedonne e castrati. La qualit della costruzione dei liutai cremonesi raggiunge
vertici assoluti. Sono i tempi di Stradivari, di Guarneri del Ges, dellantica
famiglia Amati. Corelli inventa nuovi colpi darco e contenitori formali adeguati. Addestra allievi che partono per il mondo.
Francesco Geminiani sinsedia a Londra dal 1714 e vi rimane per il resto
della vita, pur con lunghi viaggi e soggiorni nei Paesi Bassi, a Parigi, a Dublino: ottiene grandi onori come virtuoso di violino, con uno stile aggressivo e
teatrale che il collega Giuseppe Tartini definisce addirittura furibondo. Il
rispetto per il gran maestro Corelli si legge nella sua trascrizione (1726) per
orchestra della parte accompagnante delle ormai mitiche sonate op. v, con
La follia preminente. Soprattutto nelle sonate da camera e nei concerti orchestrali, Geminiani rimane legato (come lamico Hndel) al modello secentesco, e non a quello veneziano e pi moderno di Vivaldi e del suo degno
allievo Tartini. Negli ultimi anni si dedica allinsegnamento e alla teoria. Il
suo trattato The Art of Playing on the Violin (1751) studiato in tutta Europa. Assieme a quello di Leopold Mozart (1756) e ai Principes de violon (1761)
di Joseph-Barnab Saint-Sevin detto LAbb le fils, completa il trittico su cui
si formano gli stili violinistici del Settecento in Italia, Francia, Germania.
Un altro allievo di Corelli, il bergamasco Pietro Antonio Locatelli, si
stabilisce nel 1729 ad Amsterdam dopo aver girato lEuropa come concertista. Nella capitale olandese fa faville, scrive una memorabile serie di concerti fra cui spicca Il pianto di Arianna (op. 7 n. 6, 1741), notevole per lapplicazione al violino delle tecniche (recitativo, arioso, aria) applicate nelle
cantate vocali. Si dice che Locatelli suoni come un demonio. I 24 capricci ad
libitum per violino solo annessi ai 12 concerti intitolati Larte del violino op.
3 (1733), espandono in maniera straordinaria i registri e sono la naturale
anticipazione delle follie virtuosistiche di Niccol Paganini nel secolo successivo. Da Corelli impara il torinese Giovanni Battista Somis. Tornato da
Roma, Somis fonda una sua scuola nella citt natale dove, fra gli altri, educa
il francese Jean Marie Leclair che, vox populi, pare suoni come un angelo.
Tornato a Parigi (1722), Leclair si esibisce a corte assieme allamico Locatelli, scrive concerti e sonate fra cui un Tombeau per Luigi xiii tuttora in repertorio, d vita a una scuola violinistica che ha nellAbb le fils il suo teorico.
A suo modo autonoma rispetto a quella romana la scuola violinistica
veneziana, che ha ovviamente in Vivaldi il suo campione. Meno portata al
virtuosismo puro e al fronzolo decorativo, punta sui valori strutturali e sui
segni nitidi. Il tema della Follia continua a pervadere il mondo musicale,
anche a Venezia, dove appena cinque anni dopo la pubblicazione dellop. v
di Corelli, Antonio Vivaldi porta un contributo decisivo. Infatti, chiude la
sua prima raccolta a stampa, la dozzina di Sonate a due op. 1 per violino e
basso continuo, con una serie di variazioni sulla Follia che imitazione e
sviluppo a un tempo. Con due varianti della Follia (1713 e 1723) contribuisce Alessandro Scarlatti, napoletano di scuola romana. Forte della lezione
italiana, ma trasferita in Inghilterra, la versione di Hndel diventa quarto
tempo, Sarabanda, nella suite n. 7 in sol minore per clavicembalo (1720),
la stessa che ha come finale lancor pi famosa Passacaglia: concisa, solenne
eppure malinconica, trova fortuna, in una gonfiata versione orchestrale, come colonna sonora del film Barry Lyndon (1975) di Stanley Kubrick.
Non si sottrae Johann Sebastian Bach, che inserisce La follia assieme ad
altri temi popolari nella burlesca Cantata paesana bwv 212 (1742). Ricava
una serie di dodici variazioni per pianoforte il figlio Carl Philipp Emanuel
(1778). Luigi Boccherini ne fa un trio nel Quintetto op. 40 n. 1 (1785). Mozart la cita nel Don Giovanni nellaria Fin chhan del vino calda la testa e
Antonio Salieri elabora la sua nemesi in 26 variazioni per orchestra nel 1815.
In teatro, Luigi Cherubini la inserisce nellouverture di LHtellerie portugaise (1798) e nel balletto di Gli Abenceragi (1813). Non cala linteresse
nellOttocento. Berlioz ne fa tema di variazioni per chitarra (1820) assieme
ai chitarristi di professione Mauro Giuliani (1811) e Fernando Sor (1822).
Liszt la varia sul pianoforte nella Rapsodia spagnola (1863), libera e fantasiosa, come suggerisce il titolo. Nel Novecento, ecco Sergej Rachmaninov (Variazioni su un tema di Corelli per pianoforte, 1931) e Hans Werner Henze
(Aria de la folia espaola per orchestra, 1977). Fra le tante citazioni criptate,
imperdibile lAndante della Quinta sinfonia di Beethoven.
Ascolti
A. Corelli, Opera omnia, P.J. Belder, Musica Amphion, Brilliant 2005
La Folia 1490-1701, J. Savall, Alia Vox 1999
P.A. Locatelli, Larte del violino, N. Kraemer, E. Wallfisch/The Raglan Baroque Players,
Hyperion 2010
Letture
P. Allsop, Arcangelo Corelli: New Orpheus of Our Times, Oxford University Press, Oxford 1999
D. Schoenbaum, The Violin: A Social History of the Worlds Most Versatile Instrument,
W.W. Norton & Company, New York 2012
R. Hudson, Passacaglio Passacaglia and Ciaccona: From Guitar Music to Italian Keyboard
Variations in the 17th Century, umi Research Press, Ann Arbor 1981
D.D. Boyden, The History of Violin Playing from Its Origins to 1761, Clarendon Press,
Oxford 1990
1708Passacaglia
1708Passacaglia149
(il tema, o soggetto) in modo autonomo. E quando tutte le voci (da due a
cinque) sono comparse, inizia il divertimento, ossia il momento del libero
gioco fra il tema stesso e le sue varianti. Si pu continuare sul tema in versione originale o modificata: rovesciata, invertita, accelerata, rallentata secondo
tecniche di manipolazione combinatoria di note e di ritmi limitate solo dalla
fantasia dellautore. Possono entrare nuovi temi, magari gi anticipati nellesposizione. Possono intervenire altre sezioni di divertimento prima dellelaborazione conclusiva e prima dellinevitabile stretta finale. Sono cose che
puntualmente troviamo nel Thema fugatum della Passacaglia di Bach. Il
tema originale riesposto su un nuovo disegno di accompagnamento, che fa
da controsoggetto. Arriva la seconda voce. Riprende la polifonia e c un
nuovo divertimento prima della conclusione. Il costante, ostinato ricorrere del tema fondamentale mantiene stretto il legame con la prima parte e
consente alla Passacaglia una straordinaria unit nella diversit.
La sezione fugata ancora abbastanza acerba, lontana dalla fantasiosa
geometria che verr. In s, il genere fuga non ancora ben definito. Il termine compare nel Medioevo e nel Rinascimento. Scrivono messe ad fugam,
basate su imitazioni vocali e ricercari strumentali, sia Desprs (1514) sia
Palestrina (1563). La fuga assume una sua fisionomia nel Seicento, legandosi sempre pi allorgano. Ha pi fortuna oltralpe che in Italia. Il francese
Jehan Titelouze inserisce fughe e ricercari nel suo Hymnes de lglise (1623)
e inizia una tradizione che arriva fino al Premier livre dorgue (1699) di Nicholas de Grigny. In Germania, Samuel Scheidt inserisce una fuga nella sua
Tabulatura nova (1624) e nel Nord scrivono polifonie organistiche gli allievi
tedeschi dellolandese Jan Pieterszoon Sweelinck, Heinrich Scheidemann e
Nicolaus Bruhns (quello che suona il violino con le mani e si accompagna
pigiando con i piedi i pedali dellorgano). Johann Krieger teorizza il ruolo di
ricercari, preludi e fughe in Anmutige Clavier-bung (1699), trattato che
culmina nellillustrazione di una fuga quadrupla in cui quattro temi sono
elaborati in modo autonomo e quindi riuniti in una quinta fuga, che tutto
accoglie. A Lubecca, Dietrich Buxtehude non scrive esplicitamente fughe,
ma lavori in cui sono liberamente combinati i princpi della toccata e della
variazione, riuniti in un agglomerato complesso e fantasioso. Nella meridionale Norimberga, Johann Pachelbel scrive un centinaio di fughe sul Magnificat e dispone le sue suite per clavicembalo (1683) in modi che anticipano il
Clavicembalo ben temperato di Bach. Nel 1775 Carl Philipp Emanuel Bach
testimonia che suo padre aveva studiato Froberger, Kerll, Pachelbel e soprattutto Johann Caspar Ferdinand Fischer, lautore di Ariadne Musica (1702),
una serie di preludi e fughe in 20 delle 24 tonalit maggiori e minori.
La Passacaglia comunque una composizione giovanile. Sembra la matura sintesi di una lunga tradizione, ma in realt il frutto della scoperta im-
provvisa di un ventenne, a conclusione di una complessa formazione musicale. Uno schizzo biografico pu aiutare a capire. Bach nasce a Eisenach,
nella Germania centrale, e porta un cognome che da tre secoli domina la
vita musicale in Turingia e Sassonia. Per i legami artistici con la famiglia
sono esili, quasi inesistenti. Ben altri sono i maestri. Figlio di un violinista,
Bach rimane orfano a dieci anni e dal 1694 ospitato nella vicina cittadina
di Ohrdruf dal fratello maggiore Johann Christoph, organista e allievo di
Pachelbel. Per il giovane Bach il primo contatto con la scuola organistica
della Germania meridionale (e cattolica), dove appunto Pachelbel, titolare
dellorgano della chiesa di San Sebaldo a Norimberga, assorbe lo stile italiano appreso dagli allievi di Girolamo Frescobaldi. Bach copia di proprio
pugno vari testi di Pachelbel, forse anche la bella Passacaglia in re maggiore
che, con il titolo (non corretto) di Canone, gli d immortalit. Scrive elaborazioni di corali e partite per due violini. Cerca la semplicit armonica e la
dolcezza melodica della scuola italiana. Impara da piccolo a leggere e aggiornarsi sulla musica di tutti i Paesi.
Attorno al 1700 Bach lascia la povera casa del fratello perch accolto
come cantore nella chiesa di San Michele di Lneburg, cittadina lontana da
casa, nel profondo Nord tedesco, di fede e tradizione luterana. Canta nel
coro e simpadronisce dello stile organistico della cosiddetta scuola settentrionale, di Sweelinck e allievi. Rispetto alla scuola meridionale di Pachelbel,
quella nordica presta maggiore attenzione alle elaborazioni polifoniche e
alla variet dei timbri, favorita dalla disponibilit di strumenti pi grandi e
complessi. Mentre gli organari di scuola meridionale (cio italiana) nel Seicento puntano pi sulla purezza dei timbri di poche canne labiali, di regola
gestite da una sola tastiera e da una pedaliera ridotta, quelli di scuola nordica creano strumenti con migliaia di canne, centinaia di registri distribuiti su
almeno due tastiere che spesso diventano tre e talvolta perfino quattro, pi
un estesissimo pedale. Aumenta a dismisura la variet dei timbri, perch alle
canne tradizionali si aggiungono tante ance che imitano vari strumenti a
fiato allora in uso. Nascono pure registri che imitano gli archi, viole soprattutto. La disposizione spaziale consente effetti stereofonici e di piano e forte.
Gli organisti sfruttano tante risorse elaborando sempre pi complessi modi
per introdurre la funzione religiosa (preludi) e per terminarla in grande
polifonia (fughe). Nel corso della funzione, lorgano anticipa (preludio
corale) e accompagna il coro dei fedeli, fiorisce e varia la piana melodia
originale.
Il quindicenne Bach simpadronisce delle nuove tecniche, guidato forse
da Georg Bhm, organista a Lneburg dal 1698, a sua volta sensibile agli
stili francesi e italiani appresi durante un suo precedente soggiorno nella
vicina e cosmopolita Amburgo. Bach dunque ben preparato quando, un
1708Passacaglia151
paio di anni dopo, rientra nei luoghi natali nella Germania centrale. Infatti,
trova subito un posto ben remunerato come organista ad Arnstadt. Ma non
gli basta. Chiede e ottiene il permesso di recarsi ancora a Nord, per visitare
Dietrich Buxtehude, lorganista e compositore che ha trasformato la citt
portuale di Lubecca in un centro di eccellenza musicale. Famose sono le sue
Abendmusik, incontri vespertini in chiesa in cui sintonano cantate sacre
nello stile italiano alternate a brani per organo e strumenti vari alla maniera
nordica. Bach studia a fondo lo stile di Buxtehude, in particolare lo affascina
la sua Passacaglia in re minore, che procede secondo uno schema rigido e
ripetitivo, eppure inventa in ogni pagina una scrittura nuova.
Il soggiorno a Lubecca dura tre mesi pi del consentito. Di ritorno ad
Arnstadt, Bach mette a frutto le esperienze maturate. In pochi anni nasce la
stragrande maggioranza delle sue composizioni libere per organo, una ventina di preludi (fantasie) e fughe. Sono lavori ancora oggi famosi, come la
Toccata, Adagio e Fuga in do maggiore bwv 564, quel formidabile esercizio di
pedale che il Preludio e fuga in la minore bwv 543, il ritorno alla modalit
medioevale della Toccata e fuga in re minore Dorica bwv 538. Forse non
autentica, ma di allora la celeberrima Toccata e fuga in re minore bwv 565.
Reclutato nel 1708 come organista dal duca Wilhelm Ernst della vicina e
importante citt di Weimar, Bach abbandona i pezzi liberi e si concentra sui
pezzi organistici funzionali alle celebrazioni in chiesa, cio sullelaborazione
dei corali luterani, il sottile esercizio di mantenere riconoscibile la melodia
cambiando per i connotati dellarmonia con arditi accostamenti di dissonanze e consonanze. Nasce la raccolta di piccoli corali (Orgelbchlein, incompiuta: solo 46 dei 164 brani programmati sono completati). Lidea di
replicare i Fiori musicali di Frescobaldi, scrivendo corali per ogni festivit
religiosa, usando melodie popolari facili da suonare da ogni organista su ogni
organo, buoni per comunit piccole e grandi. Sgorgano senza freni anche
corali di lunga durata e grandi ambizioni, figli della tradizione nordica: Bach
li metter in ordine ventanni dopo, alcuni come terza parte del colossale
progetto didattico intitolato Clavierbung (1739), altri nel codice manoscritto denominato Autografo di Lipsia (1744-47).
A Weimar, Bach si distingue e fa carriera. Il duca gli chiede di scrivere
cantate complete, non solo farciture dorgano. Lui si adegua di buon grado.
Il nucleo originale delle sue oltre duecento cantate sacre e profane nasce
appunto dal 1708. Come sempre vorace lettore delle partiture che il mercato
musicale del Settecento mette a disposizione in tutta Europa, Bach studia
musiche italiane e francesi, per archi soli e gruppi orchestrali. Evapora linteresse per lorgano. Bach se ne occupa solo di passaggio nel resto della vita,
con la straordinaria eccezione del Preludio e (tripla) fuga in mi bemolle maggiore bwv 552, composto attorno al 1739 per incastonare i corali della Cla-
vierbung recuperati fra le carte giovanili e organizzati in due serie: 10 grandi corali per le funzioni solenni del calendario liturgico, 11 piccoli corali per
quelle normali. Modelli evidenti sono ancora una volta i Fiori musicali dellitaliano Frescobaldi e le due messe per organo (per le parrocchie e per i conventi, 1691) del francese Franois Couperin.
Rispetto al corale per organo, a suo modo pi stabile il rapporto di Bach
con la formula individuata nella Passacaglia. Che di sicuro un (abnorme)
preludio con (embrionale) fuga a cinque voci. Ma anche un fecondo ibrido
di variazioni e contrappunti, destinato a sviluppi impensati nella maturit
dello stesso Bach, con le Variazioni Goldberg per clavicembalo, le Variazioni
canoniche per organo, lArte della fuga per strumenti virtuali. Il principio
continua a vivere per tutto lOttocento: basta pensare alle Variazioni Diabelli di Beethoven, alle variazioni e fuga di Schumann, al finale della Quarta
sinfonia di Brahms. E nel Novecento, Anton Webern esordisce proprio con
una Passacaglia op. 1.
Ascolti
J.S. Bach, The Organ Works, H. Walcha, Archiv 2001
Organ Masters Before Bach, H. Walcha, dg 2002
Letture
C. Wolff, M. Zepf, The Organs of J.S. Bach, University of Illinois Press, Champaign 2012
C. Wolff, Johann Sebastian Bach. La scienza della musica, Bompiani, Milano 2004
A. Basso, Frau Musika. La vita e le opere di J.S. Bach, 2 voll., edt, Torino 1979-1983
H. Keller, The Organ Works of Bach: A contribution to Their History, Form, Interpretation
and Performance, C.F. Peters, New York 1967
Serie III.
Il temperamento e larmonia
1711 Rinaldo
43 volte fino al fatale collasso del sistema nel 1728. Il teatro di Haymarket
trova spazio per tutti gli italiani, maggiori e minori. Hndel arriva al momento giusto e con Rinaldo propone il prodotto vincente. Il successo si ripete con la pastorale arcadica Il pastor fido (1712), il dramma mitologico
Teseo (1713) e quello storico Lucio Cornelio Silla (1713), lepica cavalleresca
di Amadigi di Gaula (1715). Il favore londinese per lopera italiana continua
e nel 1719 alcuni nobili e benestanti fondano la Royal Academy of Music
che si occupa della gestione del teatro. Hndel ne diventa direttore artistico. Per quasi un decennio recluta cantanti e organizza spettacoli, con fare
frenetico e piglio dittatoriale. Scrive 14 opere, fra novit e pasticci. Sono
lavori molto omogenei fra loro, perch non cambia la formula generale fissata in Rinaldo: ouverture pi qualche altro brano strumentale talvolta
ballabile, una trentina di arie con relativi recitativi, da tre a cinque pezzi
dassieme (duetti, terzetti, quartetti). Fra i titoli: Radamisto (1720), Floridante (1721), Giulio Cesare in Egitto (1724), Tamerlano (1724), Rodelinda
(1725), Alessandro (1726), Tolomeo (1728).
La sequenza di successi artistici e di catastrofi finanziarie di quegli anni
storia fra le pi affascinanti dellimpresariato operistico di tutti i tempi. Ricchissima laneddotica sulle omeriche liti fra cantanti maschi e femmine, fra i
soprani naturali Faustina Bordoni e Francesca Cuzzoni, fra i castrati Senesino e Farinelli. Acerrima la rivalit con le compagnie italiane guidate prima
da Giovanni Bononcini e poi da Nicola Porpora. Le polemiche e le ripicche
arrivano al ridicolo. Se ne rende conto il poeta satirico John Gay che mette
in scena The Beggars Opera (1728), con musiche dellaltrimenti seriosissimo
Johann Christoph Pepusch, tedesco immigrato e pure lui autore di opere
allitaliana. Lo spettacolo satira esilarante dellopera seria: non pi palazzi
popolati da divinit ed eroi ma taverne e suburre frequentate da furfanti e
donnine, personaggi loschi per simpatici. Il teatro aulico e il gorgheggio
delle voci bianche sono sommersi dalle risate. Messo alla gogna, il pubblico
nobile e borghese dellopera italiana si dissolve. LAcademy presto smantellata. Hndel scioglie la sua compagnia.
Passata la buriana, anche perch The Beggars Opera non ha seguito, una
rinnovata Academy riprende lattivit nel dicembre del 1729. Hndel, diventato Handel, scrive sette nuove opere, pi sobrie rispetto alle precedenti,
non certo innovative nella formula. Fra queste: Lotario (1729), Ezio (1731),
Orlando (1733). Una nuova crisi finanziaria (1733) porta alla ristrutturazione dellAcademy per meglio competere con la rivale Opera of the Nobility,
che ha unottima compagnia di canto guidata dal napoletano Porpora. Col
risultato che entrambe le istituzioni falliscono nel 1738. Sono sei le nuove
opere scritte da Handel per queste ultime stagioni, fra le quali Ariodante
(1735), Alcina (1735), Berenice (1737). Caparbiamente convinto della bont
Ascolti
G.F. Hndel, Rinaldo, C. Hogwood, The Academy of Ancient Music, Decca 2000
G.F. Hndel, Ariodante, M. Minkowski, Les Musiciens du Louvre, Archiv 1999
R. Keiser, Croesus, R. Jacobs, Akademie fr alte Musik, Harmonia Mundi 2000
Letture
R. Strohm, Essay on Hndel and Italian Opera, Cambridge University Press, Cambridge
2008
W. Dean, Hndels Operas 1726-1741, The Boydell Press, Woodbridge 2006
Variet di solisti in concerto Tutti e concertino Concerto grosso di Corelli Le quattro stagioni Musica descrittiva Il conservatorio della Piet di Venezia I conservatori di Napoli I concerti per violino solista e orchestra
Il recupero di Vivaldi nel Novecento
Senso dellordine e spirito di geometria regolano la disposizione dei dodici
concerti strumentali pubblicati ad Amsterdam nel 1712 col titolo Lestro armonico op. 3 e con la firma del veneziano Antonio Vivaldi. Il magico numero
dodici come scomposto nei suoi fattori primi. Diviso per due, distingue i
concerti in due gruppi (simmetrici) di sei. Diviso per tre individua quattro
terne di concerti con numero decrescente di solisti: i violini che si staccano
dalla massa orchestrale sono tre volte quattro, tre volte tre, tre volte due, e
tre volte uno. Il rigore della disposizione trova una variante nel decimo concerto, perch ai quattro violini si aggiunge un violoncello, per dare forza e
autonomia nel registro basso al suono dei solisti. La variet nasce anche
dalla disposizione e dal numero delle singole parti (movimenti) di ciascun
concerto. Otto volte i movimenti sono tre, nella tradizionale disposizione
Allegro-Adagio-Allegro. Due volte sono quattro, con uno lento che introduce. Diventano cinque in due casi: nel primo un ulteriore movimento lento
divide gli Allegro finali, e nel secondo, un aggiunto Allegro tutto precede. Allinterno dei singoli movimenti, siano essi veloci o lenti, vige una sola
regola: creare echi, dialoghi, contrasti. Il resto esercizio di fantasia, in totale libert. Ci possono essere sezioni di grande complessit polifonica, come
nella celeberrima fuga del decimo concerto (quello con quattro violini e
violoncello solisti) oppure ubriacante virtuosismo di un unico violino nei
tanti momenti veloci. O ancora un delicato dialogo a due, sostenuto dal discreto basso continuo, a imitazione dei duetti vocali che si ascoltano allopera. Innumerevoli sono i trucchi teatrali disseminati in partitura, le sospensioni drammatiche, i vocalizzi esasperati, le melodie lacrimevoli, il dialogo
concitato.
Quello che pi conta e stupisce, nellEstro armonico, tuttavia la variet
delle tecniche strumentali. Mai prima stata stampata unantologia tanto
completa delle magie violinistiche praticate allinizio del Settecento. Vivaldi
riesce a riassumere larte dellItalia intera. Sono ben presenti le scuole dei
precursori, il veneziano Giovanni Legrenzi e il bolognese Giuseppe Torelli.
Ancora pi evidente la lezione di Arcangelo Corelli, che Vivaldi non conosce di persona ma benissimo attraverso la capillare rete di comunicazione
che la musica intesse da sempre, nel Medioevo come nel Settecento. Le
prime composizioni stampate di Vivaldi, le Sonate a tre op. 1 (1709) e Sonate a due op. 2 (1712), sono impostate sul modello delle sonate op. i-v di
Corelli. Lestro armonico ha come piattaforma i dodici concerti grossi di
Corelli, pubblicati solo nel 1714 come op. vi, per ampiamente diffusi gi a
fine Seicento, grazie ai manoscritti e ai musici itineranti, oltre che alla fama
delle esecuzioni romane.
Negli ultimi decenni del Seicento, al servizio di nobili e prelati, Corelli
dirige un complesso orchestrale formato da una ventina di strumenti, che
nelle occasioni importanti supera gli 80 elementi, con 39 violini, 10 viole, 17
violoni (violoncelli), 10 contrabbassi, 2 trombe, un liuto, almeno un clavicembalo e un organo. Si capisce limpatto sonoro che nasce quando un
gruppo di quattro violini, due viole, un violone, due contrabbassi e una tastiera (il concertino) si stacca dallinsieme (tutti) per creare eco, dialogo
e contrasto. Il principio del concerto grosso era stato fissato attorno al 1670
dal romano Alessandro Stradella. Corelli contribuisce portando i modelli
della scuola bolognese e la sua superiore tecnica violinistica. La forma resta
quella della sonata, da quattro a sei movimenti, alternando seriosit religiose
a divertimenti profani, con vario impiego di motivi popolari quali imitazioni
di pifferi e cornamuse. Ignote sono le date di composizione di ciascuno di
questi concerti grossi di Corelli. Pochi indizi suggeriscono che il pi famoso
della serie, il concerto n. 8 Per la notte di Natale sia scritto per il cardinale
Ottoboni nel 1690.
NellEstro armonico, Vivaldi continuatore e innovatore a un tempo.
Rispetta lo stile di Corelli nei concerti a quattro violini, quando i solisti si
raggruppano nel concertino che si stacca dal tutti per buttarsi nel gioco
concertante. I due concerti per due violini rimandano alla sonata a tre di
scuola romana, con basso continuo arricchito dal passaggio allorchestra.
Molto pi innovativi nella forma sono per i quattro concerti con un solo
violino, perch i differenti piani sonori sono esaltati e i ruoli meglio definiti.
Segnano linizio di una nuova era. Non a caso i dodici concerti della raccolta successiva, La stravaganza op. 4 (1712-13), sono tutti per un violino solista. Ed cos nella dozzina raccolta nel Cimento dellarmonia e dellinvenzione op. 8 (1725), che ha in prima posizione i celebrati concerti delle
Quattro stagioni, la cui fortuna poggia tanto sulla magnificenza della scrittura musicale quanto sulla suggestione della componente descrittiva. La
relazione fra note e situazioni esplicita. Ogni parte di ogni movimento di
ciascun concerto associata a quanto puntualmente descritto nei quattro
sonetti allegati alla partitura. Il passo festoso, il cinguettare del violino soli-
sta, il fluire dellorchestra, la svolta drammatica e il ritorno dellordine illustrano larrivo della primavera con gli uccelli che volano, lacqua che scorre,
i lampi e i tuoni dellimprovviso temporale che si scioglie nel sereno. Seguono sonno di pastore, latrato di cane, zufolo di zampogna, danza di ninfe. In
estate scalda il sole, cantano cuc e cardellino, piange il pastorello, ronzano
mosconi, grandina dal cielo. In autunno la vendemmia fa ubriacare e cantare, la caccia terrorizza la selvaggina con schioppi e cani. Dinverno neve e
gelo fan battere denti e piedi, ci si scalda attorno al fuoco e si pattina sul
ghiaccio mentre i venti freddi si battono fra loro. Meno dettagliate (manca
il corrispondente sonetto esplicativo) sono le situazioni descritte nei concerti che, nellop. 8, seguono il quartetto delle stagioni: La tempesta di mare
(n. 5), Il piacere (n. 6), La caccia (n. 10). Associati a concerti non pubblicati
in raccolte dellepoca sono anche titoli di tipo pi emotivo: Lamoroso, Alla
rustica, Madrigalesco, Sinfonia al Santo Sepolcro, Linquietudine, Il sospetto,
Il riposo.
Vivaldi non di sicuro il primo ad associare note musicali a suoni della
natura e a tentare una sintesi fra udito e vista, magari con il tramite della
poesia. In Francia fanno scuola Le Chant des oiseaux e La Chasse au cerf
(oltre che La Guerre) del polifonista cinquecentesco Clment Janequin, e si
consolida una tradizione che nel Seicento coinvolge Lully e Charpentier, nel
Settecento anche Couperin e Rameau e arriva a noi con Ravel, Debussy,
Messiaen. In Italia, le buffe polifonie di Banchieri, il Capriccio sopra il Cucho
di Frescobaldi, i lamenti di Arianna e della ninfa, il cozzare delle armi nel
Combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi sono subito ripresi a
teatro, assieme a tutti gli artifici strumentali che consentono di portare in
scena lampi e tuoni di temporali, eruzioni e terremoti della terra, ardori e
passioni del cuore. In Inghilterra, Henry Purcell fa (musicalmente) battere i
denti dal freddo e ubriacare i protagonisti di King Arthur e The Fairy Queen.
In Germania, fantasiose onomatopee strumentali illustrano le sonate del
violinista Heinrich von Biber e le storie bibliche del cembalista Johann
Kuhnau, predecessore di Bach al cantorato di Lipsia. Lo stesso Bach non si
sottrae, con il terremoto della Passione secondo san Matteo, i suoni della natura nella Contesa fra Febo e Pan, le onomatopee nella Cantata per il nuovo
borgomastro.
Sorprende sempre la quantit di effetti speciali che, nelle Quattro stagioni, Vivaldi riesce a realizzare con le uniche risorse di un violino principale
sostenuto da pochi altri archi (violini, viole, violoncelli) con basso continuo
affidato al clavicembalo. Solo in pochi altri casi Vivaldi inserisce un flauto,
con o senza lausilio di altri fiati (oboe, fagotto) in concerti dotati di titolo
illustrativo: unaltra Tempesta di mare (op. 10 n. 1), La notte (op. 11 n. 2), Il
gardellino (op. 10 n. 3). Anche se fortunata, la musica descrittiva tuttavia
stra di Dresda, autore di revisioni dei concerti di Vivaldi in cui ai soli archi si
aggiunge una fitta schiera di altri strumenti, soprattutto a fiato. Anche cos
nasce la moderna orchestra sinfonica. Fondata nel 1548, la Staatskapelle di
Dresda comunque la pi antica istituzione sinfonica tuttora in attivit.
Ascolti
A. Vivaldi, Lestro armonico, C. Hogwood, Larte dellarco, Chandos 2002
A. Vivaldi, Concertos & sonatas op. 1-12, I Musici, Newton Classics 2011
A. Vivaldi, Ultimate Vivaldi: The Essential Masterpieces, Decca 2007
A. Vivaldi, Concerti con molti istromenti, R. King, Kings Consort, Hyperion 1998
Letture
H.C. Robbins Landon, Vivaldi: Voice of the Baroque, University of Chicago Press, Chicago 1996
C. Fertonani, Antonio Vivaldi. La simbologia musicale nei concerti a programma, Studio
Tesi, Pordenone 1992
H.C. Robbins Landon, J.J. Norwich, Five Centuries of Music in Venice, Thames and
Hudson, London 1991
Almeno fino a quando non vengono mobilitati organici strumentali importanti. Fra i primi casi ben documentati leggiamo di liuti e arpe, talvolta assieme a pifferi e cornetti, che allietano le corti italiane del Cinquecento. In
Germania hanno fortuna Il banchetto musicale (1613) di Johann Hermann
Schein e la copiosa produzione di Heinrich von Biber per la mensa del principe arcivescovo di Salisburgo. Necessario preludio alla gloriosa e immensa
terna delle Tafelmusik di Georg Philipp Telemann, la cui prima edizione a
stampa (1733) sottoscritta anche da Hndel. A met Seicento, in Francia,
il Re Sole apprezza la bella serie di dodici Symphonies pour les soupers du Roi
che Michel-Richard Delalande (rivale e successore di Lully) gli propone recuperando pagine da precedenti lavori teatrali riordinate in forma di suiteouverture di pronto consumo.
Assai diffusa nella Londra del tempo, la pratica della musica per convivio
ben nota a Hndel anche dalle sue precedenti esperienze in Italia e Germania. Si capisce da ogni foglio della partitura di Water Music. In molti casi si
scoprono autentici plagi, perfino in pagine amatissime e che la tradizione fa
rientrare nello stile personale di Hndel. Certo, la pratica di riutilizzare proprie musiche precedenti e quella di attingere a produzioni altrui non nuova: lestetica di allora la ammette e addirittura la incoraggia, perch la interpreta come omaggio ai maestri del presente e del passato. Alle pagine manifestamente copiate si affiancano quelle che appartengono allo spirito del
tempo, al linguaggio comune, ai riverberi della memoria. La corsa spigliata
(veneziana, vivaldiana) degli archi nei passaggi veloci e lespressivit (romana, corelliana) in quelli lenti, i dialoghi in eco con flauti e oboi (alla tedesca,
come in Keiser e Telemann), gli squilli di tromba e i rulli di tamburi (francesi, alla Lully e Delalande) sono nella penna di tutti i musicisti del tempo. In
pi, Hndel mostra un perfetto senso del colore. In ciascuna tessera di quel
mosaico policromo e casuale che Water Music riesce a inventare il dettaglio
che lo rende indimenticabile.
Quale sia la circostanza specifica, a questo punto, ha minore interesse. Di
sicuro Water Music non nasce per la festa sul Tamigi del 17 luglio 1717 (ripetuta due giorni dopo), descritta dallunica fonte diretta che ci stata tramandata. Su di essa costruita la leggenda ripresa dai biografi successivi: si racconta di una festa fluviale organizzata per onorare il nuovo re e offrire allamico Hndel loccasione di riguadagnare le simpatie perse sei anni prima.
Infatti, nel 1711, Hndel aveva promesso al suo datore di lavoro di allora, il
principe di Hannover, di tornare presto dalla gita a Londra ma non si fece
pi vedere. Solo che nel 1716 il principe tedesco divenne re dInghilterra,
dando vita a una dinastia che annovera fra i suoi discendenti gli attuali regnanti. La pace fra sovrano e musicista sarebbe stata siglata appunto, secondo lopinione comune, in occasione di quella festa sul Tamigi in cui, alla
barca del re e della sua corte, se ne sarebbe affiancata una con 50 musicisti
impegnati a suonare musiche composte in onore del nuovo sovrano. La festa
si sarebbe poi completata con una lunga cena a palazzo (fino alla quattro del
mattino), sempre allietata dalla musica.
Nulla di tutto ci ben documentato, neppure la presenza del re. Forse
nemmeno quella di Hndel. Messa cos, la storia spiega la corrente distinzione fra brani scritti per laria aperta, da suonare sullacqua con gran dispiego
di trombe e corni, e brani da suonare nel chiuso del palazzo, con organico
pi moderato e sonorit meno assordanti. Infatti, nelle esecuzioni moderne
si segue il principio di articolare Water Music in tre sequenze (suite) diverse,
secondo la lezione novecentesca: quella in fa maggiore, con corni e ottoni,
per leffetto esterno; le altre due (una con fiati in legno, laltra per soli archi)
come musica da tappezzeria per la sala del banchetto. Ogni combinazione
funziona, anche perch lautore per tanti anni continua ad aggiungere, togliere e cambiare.
Funziona almeno fino al 1748, quando Hndel accetta (malvolentieri) la
proposta di scrivere nuove musiche per laccompagnamento dei fuochi artificiali programmati dalla corte inglese per celebrare la firma della pace di
Aix-la-Chapelle (Aquisgrana) che pone fine alla sfortunata guerra di successione austriaca. Ne esce una nuova suite, Musica per i reali fuochi dartificio (Music for the Royal Fireworks), in soli cinque brani, pi compatta e
omogenea (per ovvie ragioni) di Water Music e ancora pi grandiosa. La
corte chiede pompa e Hndel non lesina. Mobilita 9 trombe, 9 corni, 24
oboi, 12 fagotti, 3 coppie di timpani, tanti tamburi, archi a volont. Costruisce la sua pi ampia ouverture alla francese e trasferisce sugli strumenti
tutte le tecniche di moderna polifonia che collauda nei cori degli oratori, in
particolare nel gi allora celeberrimo Halleluja del Messia: tanti piani
diversi (ottoni, strumentini, archi) che si sovrappongono come fossero orchestre distinte e creano combinazioni timbriche che temperano (ed esaltano) i voluti incontri dissonanti. un altro trionfo clamoroso e intramontabile della musica strumentale di Hndel, cui per egli non d seguito. Preferisce concentrarsi sulla prediletta musica vocale, che non pi lopera
italiana del Seicento, ma il nuovo genere che gli sta dando uninsperata fama, loratorio allinglese.
Proprio per attirare ancor pi il popolino, negli anni quaranta Hndel
scrive una serie di concerti per organo e orchestra da inserire fra un atto e
laltro degli oratori. Sono altri lavori di enorme successo, pubblicati in due
serie di sei: subito (1738) come op. 4, postumi (1761) come op. 7, tuttora
godibilissimi anche se ci sono pervenuti completi solo nelle sezioni orchestrali. La parte del solista presenta ampie sezioni aperte, spazi che Hndel
lascia a se stesso, per improvvisare, com abituato a fare fin da bambino e
come, in fondo, continua a fare per il resto della vita. Nelle stesse rappresentazioni teatrali che Hndel dirige dal cembalo accompagnando le voci con il
basso continuo, spesso si lancia in lunghe improvvisazioni, per far riposare i
cantanti, per deliziare il pubblico.
La maestria di Hndel sulla tastiera ben documentata dalla sua enorme
produzione dei pezzi pi vari, per virtuosismi e per didattica, spesso raggruppati in serie di suite pubblicate fra 1720 e 1750 e poi a lungo ristampate. Il finale della quarta suite ha un successo folgorante, con il sottotitolo
apocrifo Il fabbro armonioso. Tutte le suite rispettano i principi codificati da
Froberger nel Seicento e mostrano straordinaria bravura nel cesellare i dettagli. Ma altrove la letteratura per tastiera scopre nuove vie. Bach, in Germania, ha gi in mente le Variazioni Goldberg. In Francia la scuola dei Couperin
trova un degno erede in Jean-Philippe Rameau. Perfino nellisolata corte di
Madrid, si afferma un nuovo modo di suonare grazie a Domenico Scarlatti,
lo stesso che Hndel incontra trentanni prima a Napoli, a casa del padre
Alessandro, operista.
Pure fuori dal tempo sono i concerti grossi per soli archi op. 6 che Hndel
allestisce in velocit (la leggenda dice in sole quattro settimane) nel 1739 cedendo alle forti pressioni delleditore Walsh, gratificato dal successo dei
precedenti, lop. 3 del 1734. I diciotto nuovi lavori rimandano nel titolo e
nella scrittura ai primi del Settecento e alla scuola romana di Arcangelo Corelli: concertino di solisti in assetto variabile che dialoga col tutti orchestrale
cui appartengono. Ancora una volta meravigliano linvenzione di echi e di
dettagli nella scrittura violinistica, gli ammiccamenti popolareggianti mescolati a episodi di alta polifonia. Emerge pure la nostalgia per il passato che fa
coppia con la pigrizia di chi non vuol buttare vecchi appunti giovanili. Chiuso nel suo mondo, Hndel non si cura del nuovo stile di concerto che dilaga
in tutta Europa inventato da Vivaldi e ben presente anche a Londra grazie a
Francesco Geminiani, allievo diretto di Corelli, violinista di primordine,
autore in proprio e anche trascrittore di spartiti handeliani in una bella serie
di concerti per (un) violino solista e archi. Pure linglese Thomas Augustin
Arne (ricordato soprattutto per aver firmato linno patriottico Rule, Britannia! del 1740) trasferisce allorchestra e a un solista molti pezzi per cembalo
di Hndel, con levidente obiettivo di utilizzare il nome del riverito maestro
per assicurare le proprie fortune. A Londra, infatti, la piazza del concertismo
strumentale sempre pi attiva, mentre conosce inesorabile declino lopera
italiana, con i suoi costi stratosferici e le infinite bizze dei cantanti. Una piazza che riserva sempre un posto donore a quella Water Music il cui valore
lautore non ha mai davvero capito.
Anche il concetto di musica da tappezzeria non si adatta alluomo Hndel
e a tanti altri che vengono dopo di lui. Bisogna aspettare il Novecento di
Satie perch sia nobilitato con tutta lironia del caso. E che si trasformi addirittura in un genere a parte, serioso e meditativo: la musica dambiente che
trionfa con Music for Airports (1978) di Brian Eno e permette alla gente che
passa di trovare sintonia con lambiente che resta.
Ascolti
G.F. Hndel, Orchestral Work, T. Pinnock, English Concert, Archiv 1999
G.F. Hndel, Organ Concertos, R. Egarr, Academy of Ancient Music, Harmonia Mundi
2009
Telemann Edition, P.J. Belder, Amphion, Brilliant 2011
Letture
C. Hogwood, Handel, Thames and Hudson, London 2007
C .Hogwood, Water Music and Music for the Royal Fireworks, Cambridge University
Press, Cambridge 2005
C. Hogwood, R. Luckett (a cura di), Music in Eighteenth Century England, Cambridge
University Press, Cambridge 1983
1720 Ciaccona
Tutto si gioca sui confini fra il reale e il virtuale, fra finta geometria e concreta fantasia, nella grande Ciaccona che conclude la Seconda partita per
violino solo di Johann Sebastian Bach. Lanalisi minuziosa non conferma
limpressione di magistrale architettura su rigorose geometrie che d il
semplice ascolto. La forma incredibilmente libera. In primo luogo, non
rispetta il principio che vuole la ciaccona come una serie di variazioni su
un tema che continua ad apparire, di solito inalterato e al basso, per tutta
la durata del pezzo, fissando lo schema armonico. Bach subito modifica gli
intervalli del tema e usa armonie differenti quasi in ogni tornata di variazioni, tant che la sua Ciaccona si articola in tre sezioni ( a-b-a): la
centrale in tonalit maggiore e le laterali in minore. Le tre sezioni non sono
simmetriche. La prima conta 131 unit di misura (battute), la seconda 76,
la terza 49. Ogni sezione si apre con il tema fondamentale, che per ogni
volta suona diverso: forte e affermativo allinizio, dolcemente lirico al
centro, quindi pi ornato, ancora modificato nelle otto battute che concludono.
Il tema si riconosce altre volte, nella lunga composizione, ma arduo
trovare una formula che ne razionalizzi la presenza: spesso compare rovesciato, altre volte con scansione pi lenta (aumentato) e altre pi veloce
(diminuito), oltre che di regola alterato. Non poi lunico tema. Ce ne sono
almeno altri tre, secondari e distribuiti con criteri funzionali non predeterminabili. Non meno liberi sono i princpi con cui Bach cambia ritmo, introduce arpeggi, modifica velocit, improvvisa cadenze. Pi che unantica
ciaccona, un moderno tema con (34) variazioni. Chi cerca comunque
coerenza e geometria pu trovare elementi validi (mai definitivi) per sostenere la propria tesi. Senza dimenticare che le limitate risorse polifoniche del
violino non consentono di rispettare le regole canoniche della ciaccona.
Nelle trascrizioni e con gli accompagnamenti a firma di artisti illustri (Schumann, Brahms) la Ciaccona di Bach pare pi equilibrata, pi coerente.
Ma perde la vera grandezza, che le viene dallessere pensata per violino
solo, senza basso; perde il fascino della sua forma, che illusione di geome-
1720Ciaccona173
tria, perch lordine perfetto del segno si confonde continuamente col disordine dello sfondo, e viceversa. Fa eccezione Ferruccio Busoni, che nella
sua elaborazione non cerca completamenti, ma estende al pianoforte moderno la ricerca timbrica che fa vivere il violino di Bach.
La Ciaccona rompe ovviamente ogni equilibrio della partita cui appartiene perch pesa (per durata e quantit di note) pi dei precedenti
quattro movimenti messi assieme, che sono come schiacciati dal confronto,
inevitabile, col finale. Eppure, presi come subunit, gli altri quattro movimenti sono pi che pregevoli, tali da formare una partita a suo modo autonoma, almeno sulla carta. Hanno tutti ritmi di danza. LAllemanda dapertura ha piglio deciso, ma il suo fisiologico ritmo puntato ammorbidito
da terzine e cromatismi che le fanno perdere loriginale passo teutonico e
assumere una cosmopolita eleganza classica. Altre sequenze di terzine ingentiliscono i ritmi di una Corrente alla francese intesa come fusione fra
metri diversi. La Sarabanda, nobile danza di origine spagnola, ha un inconsueto tono affermativo, rifugge da patetismi e si sviluppa in forma regolare: prima parte di otto battute, seconda di otto pi otto, epilogo di quattro. La Giga paneuropea, vivace e scritta in punta di penna, potrebbe
chiudere la partita. Ma solo ipotesi teorica. Non col senno di poi che ci
aspettiamo, a questo punto, la vera conclusione. E non soltanto lautografo in bella grafia che Bach ci ha lasciato che impedisce la vita autonoma del
resto della partita dalla monumentale Ciaccona. Ci sono obiettive ragioni
di natura musicale. Il quarto tempo si collega ritmicamente al secondo e al
primo, porta la tensione a un livello ancora pi alto, si guarda bene dal risolverla e pertanto introduce un forte senso di attesa. La Sarabanda si
rivela un vero e proprio studio preparatorio della Ciaccona: il tema
quasi identico. Cos bene introdotta, la Ciaccona effettivamente corona
lintera Seconda partita e stabilisce una pietra miliare nella storia della musica per violino. Come unaltra Follia chiude in gloria la raccolta fondante
di Arcangelo Corelli.
La Seconda partita inserita in un bellissimo autografo di Bach che porta il titolo Sei Solo a Violino senza Basso accompagnato. Oggi la raccolta
diventata popolare come Sei sonate e partite per violino solo. La denominazione moderna, che peraltro riprende quanto lo stesso Bach scrive come
intestazione di ciascun pezzo, pi chiara e funzionale. Stabilisce subito
che esistono due precisi modelli ispiratori e che entrambi sono italiani.
Scrivendo questi lavori, attorno al 1718-20, Bach ha bene presente la sonata violinistica seicentesca di Corelli, nelle sue note varianti da chiesa (seriosa e complessa, nella sequenza Adagio-Allegro-Adagio-Allegro) e da camera (libera successione di danze brillanti e profane). Tiene conto anche dello
stile violinistico di Vivaldi, pi moderno. Tratta entrambi i maestri italiani
1720Ciaccona175
ginale, ma anche nelle sue mutazioni e inversioni contrappuntistiche. Sembra scritta per i tanti tasti dellorgano. Suona perfetta sulle quattro corde del
violino. Il primo tempo, Grave, con melodia assai ornamentata e poggiata
su salde basi armoniche, ha funzioni di preludio alla Fuga.Il terzo movimento un tipico Adagio di concerto solistico allitaliana, con tanto di
accompagnamento per note ribattute e geniale effetto di secondo violino.
LAllegro, con i suoi forte e piano, richiama ancora una volta i princpi del
concerto grosso.
Bach non il primo a scrivere ampi lavori per violino solo. Nel primo
Seicento si segnalano il Capriccio stravagante (1624) di Carlo Farina e nellultimo le impegnative sonate (1696) del tedesco Johann Paul von Westhoff.
Sono parallele e indipendenti le Invenzioni a violino solo di Francesco Bonporti. Di sicuro lesperienza bachiana con il violino senza accompagnamento
ha impatto immediato sulla didattica e sulla produzione artistica nei secoli a
seguire, con punte di eccellenza nei 24 Capricci (1820) di Paganini, nelle 6
Sonate (1923) di Ysae, nella monumentale Sonata (1944) che Bartk scrive
su commissione del celebre virtuoso Yehudi Menuhin.
Negli stessi anni passati alla direzione della cappella musicale di Kthen,
Bach applica lesperienza del violino senza basso anche al violoncello, componendo una sestina di suite che combinano in un solo modello il principio
della sonata (da chiesa) e della partita (da camera). La natura fisica del violoncello non permette fughe e nemmeno contrappunti di ampio respiro,
tuttavia i preludi che aprono ciascuna suite hanno unarchitettura elaborata
e le danze che seguono alternano vivacit e meditazione. Bach valorizza ogni
risorsa tecnica ed espressiva del violoncello e di fatto lo designa come moderno sostituto della gloriosa antenata viola da gamba. Della quale non
mancano i cultori, attivi almeno fino alla Rivoluzione francese. Alla corte di
Versailles la tradizione ancora vivissima, anzi trova nei cinque libri di Pices
de viole (1686-1725) di Marin Marais il punto di arrivo di un percorso che
ha tappe importanti in Monsieur de Saint-Colombe e Antoine Forqueray,
oltre che in Lully e Rameau. Lo stesso Bach impiega numerose volte la viola
da gamba nellaccompagnamento di arie vocali in cantate e passioni, le dedica tre eccellenti sonate accompagnate da basso continuo. Qualche interprete prova a utilizzarla nelle suite bachiane, in alternativa al violoncello, magari in unaltra variante della viola, detta pomposa. Ma il suono ricco di armonici, fortemente colorato della viola da gamba sfuma le sottigliezze della
scrittura, che invece il suono secco del violoncello esalta. Che il motivo del
successo di questultimo strumento negli anni successivi, soprattutto come
membro della moderna compagine orchestrale.
Il contributo di Bach alla musica strumentale da camera si completa con
la serie di 6 Sonate per violino accompagnato. Anche qui i segni dellevolu-
zione sono evidenti. I movimenti sono sempre tre, nella sequenza ormai
classica Allegro-Adagio-Allegro, senza espliciti riferimenti a danze. Nelle
prime quattro sonate, laccompagnamento un tipico basso continuo. Nelle
ultime due il clavicembalo diventa concertante, ossia interlocutore vero di
un violino che resta protagonista ma non pi dominante come un tempo.
Nasce cos la sonata moderna e sparisce lantica idea della suite. La mutazione epocale. Bach assorbe lo spirito del tempo e lo rilancia verso il futuro. Il
tastierista Bach dimostra di conoscere benissimo la tecnica degli strumenti
ad arco, e del violino in particolare; non solo quella italiana e francese, ma
anche quella tedesca, non meno vivace.
Illuminante lincontro di Bach a Weimar con il coetaneo violinista Johann Georg Pisendel, gi allievo in Italia di Giuseppe Torelli e poi (1712) di
Vivaldi. Pisendel uno dei primi a scrivere sonate per violino solo, compresa una complessa ciaccona, ispirandosi al pioniere Heinrich Ignaz Franz von
Biber, attivo a Salisburgo, eclettico autore del ciclo violinistico Rosenkranz
Sonaten ispirato alle stazioni del Calvario (circa 1674), di una curiosa Battalia
(1673) per vari archi e basso continuo, e (forse) della colossale Missa salisburgensis gi attribuita a Orazio Benevoli (1682?). Contemporaneo di Biber il
gi citato Westhoff, concertista di grido, presente fino al 1705 alla corte di
Weimar, dove forse incontra il giovane Bach. Esiste insomma in Germania
una scuola violinistica, se non proprio alternativa, certamente integrativa
rispetto alla dominante italiana.
A sua volta, diventato prima violinista e poi maestro di cappella alla corte di Dresda (1712-55), Pisendel trasforma la capitale della Sassonia in un
centro di diffusione della musica italiana in Germania. Ha modo di rivaleggiare con il fiorentino Francesco Maria Veracini, altro e inquieto virtuoso
itinerante nelle capitali dEuropa, autore di concerti e sonate. Pisendel chiede e ottiene da Vivaldi e da Albinoni un buon numero di concerti solistici a
propria misura. Importa anche i moderni concerti di Giuseppe Tartini, ma
soprattutto diffonde i modelli di Bach, con il quale mantiene saldi contatti
durante tutti gli anni di Lipsia. Dallincontro fra Bach e Pisendel nasce, appunto negli anni venti, quello stile concertistico galante e classico che dalla
Germania dilagher in tutta lEuropa del Settecento, grazie ai concerti per
violino e per lalternativo flauto firmati dagli allievi di Pisendel: Johann Joachim Quantz, i fratelli Benda e i tanti della famiglia Graun. Grazie a loro e a
Carl Philipp Emanuel e Johann Christian, figli del grande Bach, germina
anche un nuovo modo di intendere la musica da camera, valorizzando il
clavicembalo che, nella nuova sonata, diventa il motore del discorso musicale, decretando la scomparsa della stenografia del basso continuo.
1720Ciaccona177
Ascolti
J.S. Bach, Sonatas & Partitas for Violin, H. Szeryng, dg 1997
J.S. Bach, Chamber Music, Musica Antiqua Kln, Archiv 2010
Bach Edition, Brilliant Classics 2006
Letture
M. Boyd (a cura di), J.S. Bach Companion, Oxford University Press, Oxford 1999
H.T. David, A. Mendel, C. Wolff, The New Bach Reader, W.W. Norton & Company, New
York 1998
H. Vogt, Johann Sebastian Bachs Kammermusik, Amadeus Press, Portland 1989
A. Ross, Listen to This, Farrar, Strass and Giroux, New York 2010
(dunque corelliano) il Sesto, giocato sugli archi bassi, con viole e violoncelli ma senza violini. Pure in stile corelliano il Terzo, con parti distinte per
tre gruppi di violini, tre di viole e tre di violoncelli. Un violino solo impazza
nel Quarto, cui due amabili flauti diritti danno un magico tocco pastorale.
La tromba trionfa nello stentoreo Secondo, che ci ricorda le prime sperimentazioni di Giuseppe Torelli a Bologna e gli entusiasmi di Antonio Vivaldi a Venezia. Senza dimenticare il Primo dei sei Concerti brandeburghesi
che, con il suo organico variegato di archi e fiati e con i suoi passi danzanti,
ci segnala quanto Bach conosca bene non solo la scuola italiana (in Italia)
ma anche le sue evoluzioni oltre confine, in Francia con Lully, in Inghilterra con Hndel.
Lomaggio allo stile francese ancora pi evidente in unaltra raccolta
bachiana di quegli anni, le quattro Suite-Ouverture per orchestra. La struttura formale comune. Apre una robusta ouverture in stile operistico francese
(appunto alla maniera prima di Lully e poi di Rameau), con pomposo incedere puntato allinizio, fugato centrale, ripresa della pompa cerimoniale alla
fine. Segue una serie di danze, alla maniera delle suite per cembalo inventata
dal tedesco cosmopolita Froberger nel secolo precedente, la cui sequenza
sempre diversa. La bourre presente in tutte le quattro Suite-Ouverture.
Cambiano le altre danze, tutte galanti: minuetti, gighe, musette, correnti,
gavotte. Resta il principio dellalternanza fra episodio lento ed episodio veloce. Pure assai variata la composizione dei gruppi solisti che contrastano
e integrano il tutti. Nella Prima ouverture, come nel Primo concerto brandeburghese, il concertino una robusta miscela di archi e fiati. La Seconda un
bellesempio di concerto moderno per flauto e orchestra. Nella Terza il forte
impatto di trombe e timpani equilibra la sublime elegia, per soli archi e su
letto dinaudite dissonanze, che ha reso immortale lAir (secondo movimento). Nella Quarta, le stesse danze sono sempre ripetute, ma con timbri
diversi e dunque contrastanti.
Con questi lavori orchestrali, Bach perfettamente inserito nel suo tempo. Tutte le corti tedesche fanno a gara nel far eseguire dalle proprie cappelle musicali suite di danze alla maniera francese composte espressamente
dai loro maestri: sopravvivono almeno 153 delle oltre 600 suite che Georg
Philipp Telemann scrive per Amburgo, e se ne contano a dozzine di quelle
di Johann Friedrich Fasch (a Lipsia), Gottfried Heinrich Stlzel (a Praga e
Gotha), Johann Christian Graupner (a Darmstadt). La superiorit dei lavori di Bach, e dunque la loro permanenza nel repertorio odierno, scaturisce
ovviamente dalla genialit dellartista, ma anche dalla minuziosa preparazione dellartigiano. Fin dai primi anni trascorsi al servizio del principe di
Weimar, Bach studia con grande attenzione la musica dei predecessori e dei
contemporanei. Lo dimostrano le trascrizioni per clavicembalo realizzate
fra 1708 e 1713 di tutta una serie di concerti di autori della scuola veneziana:
Giovanni Legrenzi, Alessandro e Benedetto Marcello, ovviamente Antonio
Vivaldi. Le limitazioni funzionali dello strumento a tastiera obbligano Bach
a studiare i meccanismi del concerto allitaliana, i rapporti di sonorit fra
concertino e tutti, gli incastri dei ritmi e gli artifici delle armonie.
Passato al servizio del principe di Kthen nel 1717, Bach mette a frutto
la sua esperienza e scrive una serie di concerti originali (in buona parte
perduti) che prevede come solisti soprattutto flauti, oboi e violini, dai quali attinge nel 1721 quando ha loccasione di farsi notare dal principe elettore del Brandeburgo. Inviati alla maniera di curricula e con la malcelata
speranza di ricavarne unofferta dimpiego, non risulta che i sei Concerti
brandeburghesi siano stati apprezzati dal dedicatario. Quando, due anni
dopo, riesce a farsi assumere come Kantor dalla comunit di Lipsia, Bach
porta con s anche un nutrito pacco di concerti orchestrali manoscritti e
continua a comporne di nuovi. Fin dallinizio della sua presenza nella nuova citt direttore del Collegium Musicum, una formazione strumentale
fondata nel 1703 da Telemann che si riunisce in una birreria di Lipsia per
eseguire musiche strumentali. Sappiamo poco della sua attivit in tale veste
nei primi anni (1723-28): soltanto che la prima delle quattro Suite-Ouverture di allora. Probabilmente perch impegnato a scrivere le cantate sacre
per tutte le festivit cittadine religiose e civili dellanno, Bach non ha tempo
per dedicarsi a nuova musica strumentale. Completato nel 1728 il ciclo
delle cantate, Bach torna al repertorio concertistico: inizia nel 1729 a scrivere le altre tre Ouverture per orchestra assieme a non meno di 24 concerti
per solisti e orchestra.
Con rinnovata lena, Bach rinfresca cose precedenti, compone tre nuovi
concerti per violino (celeberrimi e destinati a servire da modello per tutto il
Settecento, compreso quelli per due violini) e soprattutto un gran numero di
pezzi in cui solista il clavicembalo. Il concerto per quattro clavicembali
una trascrizione di quello per quattro violini di Vivaldi, decimo della collezione Lestro armonico. Gli altri sono originali oppure trascrizioni da diversi
organici: tre per tre clavicembali, tre per due, undici per uno. Di questi ultimi, tre (in re minore, mi maggiore, re maggiore) hanno successo immediato.
I figli e i numerosi allievi li portano con s nelle corti in cui lavorano, Berlino,
Amburgo, Dresda. Ne riproducono e innovano limpianto di base in funzione dei gusti locali e delle proprie idee. Li trasformano in un genere europeo
e universale. Si scrivono concerti per clavicembalo e orchestra a Parigi, a
Londra, perfino a Milano. Da Carl Philipp Emanuel e Johann Christian Bach
il testimone passa a Haydn e Mozart. Da questi arriva a Beethoven e a tutta
la generazione romantica, fino a Novecento inoltrato, con il Concerto per
pianoforte e orchestra di Witold Lutosawski a chiudere il secondo millennio.
Ascolti
J.S. Bach, Brandenburg Concertos, Suites, T. Pinnock, English Concert, Archive 2001
J.S. Bach, Concertos, T. Pinnock, English Concert, Archive 2001
Letture
P. Schleuning, Die Brandenburghischen Konzerte, Brenreiter, Kassel 2003
S. Rampe, Bachs Orchestermusik, Brenreiter, Kassel 2000
M. Boyd, Bach: Brandenburg Concertos, Cambridge University Press, Cambridge 1993
stacca, si allarga e si stringe, per ricongiungersi alla fine. Abbiamo una fuga
a 2 sole voci, 11 fughe a 3 voci, 10 a 4, 2 a 5. Alcune fughe scoppiettano
energia e altre distillano espressione, talvolta guardano al ricercare dellantico Frescobaldi, pi spesso anticipano la dialettica del futuro Beethoven.
In tutte emergono lattenzione per il risultato e il rispetto per lascolto e per
lesecuzione, oltre che per le regole della scrittura. Bach conosce bene il suo
ruolo. Deve capire il presente e non disconoscere il passato. Infatti, padroneggia la formula del preludio e fuga per averla addomesticata nei suoi
anni giovanili di organista, con i mirabolanti 26 esempi scritti negli anni di
Weimar e prima ancora, fra 1708 e 1717, codificando una tradizione incerta che risale ai nordici Buxtehude e Bruhns e al bavarese Pachelbel, col
tramite di Froberger in tutta Europa e, sullo sfondo, i maestri Sweelinck ad
Amsterdam e Frescobaldi a Roma. Il principio resta far precedere un brano
musicale libero a uno strutturato, appunto un fantasioso preludio a una
fuga con regole stabilite. Regole che peraltro Bach il primo a fissare, ma
senza elencare princpi astratti, proponendo piuttosto una libreria di esercizi svolti.
La mancanza di sistematicit risalta anche nel legame musicale flebile,
per non dire inesistente, fra preludio e fuga. Affinit di ritmi e melodie appaiono pi casuali che volute. Pure la contiguit fra le singole coppie segue
solo il principio dellalternanza fra modo maggiore e minore. Il concetto di
maggiore e minore in s un fatto rivoluzionario, elaborato nel corso del
Seicento. Supera il sistema antico degli otto modi ecclesiastici usato fino a
tutto il Cinquecento con la (errata) convinzione di rispettare i modi degli
antichi greci. Per unarticolata serie di ragioni, di ordine pratico, linteresse
dei compositori si concentra sui modi ionio ed eolio, ridefiniti do maggiore
e la minore, dalla nota con cui inizia la scala di sette note prescelta. La polarizzazione fra maggiore e minore ha vari vantaggi tecnici (e dunque espressivi), fra cui la facilit con cui si pu passare (modulare) da una scala (tonalit) allaltra utilizzando i semitoni (diesis e bemolle). La modulazione da una
tonalit allaltra arricchisce in modo esponenziale il bagaglio delle risorse
disponibili al musicista per stupire e commuovere lascoltatore. Consente di
navigare lungo lintero spettro armonico, con percorsi regolati dai caratteri
comuni di ciascuna scala: un centro di gravit (la fondamentale o tonica, il
do, nella scala/tonalit di do maggiore), un secondo polo di attrazione (la
quinta o dominante, il sol), e un terzo (la quarta o sottodominante, il fa), con
la punta estrema (la settima o sensibile, il si) a favorire il passaggio (appunto
la modulazione) da una scala a unaltra. Il Trait de lharmonie che il francese Jean-Philippe Rameau pubblica nel 1722 ben riassume i progressi dellarmonia del tempo, ne stabilisce le gerarchie e fissa le basi di quella futura,
valida anche nei nostri giorni.
Manca solo la quadratura del cerchio, invano cercata da Pitagora e Archita, da Aristosseno e Zarlino. Sappiamo che gli armonici della scala naturale
non seguono una progressione lineare, aritmetica; anzi che la loro sequenza
irrazionale. Nel secolo della ragione, di Keplero e Galileo, di Cartesio e
Newton, lo sforzo dei teorici musicali addomesticare gli intervalli e inventare un sistema ricorsivo in cui su ogni ottava se ne possa innestare unaltra
identica, pi in alto o pi in basso. Cercano uninfinita, e dunque perfetta,
ghirlanda di cerchi adiacenti che si chiude in un cerchio pi grande che tutto comprende. Per far questo diventa indispensabile dividere lottava in
parti uguali, rendere omogenei i diversissimi dodici semitoni. il problema
del temperamento, che non pu ovviamente avere soluzioni matematiche ma
solo di compromesso e di buon senso. Bach, consapevole come pochi della
natura del problema, nella sua avventurosa navigazione fra tutte le tonalit
maggiori e minori delle dodici tonalit, tempera il titolo con laggettivo
ben, che ovviamente esclude ogni scelta assoluta e lascia aperta la via allorecchio dellesecutore (e dellaccordatore).
La gradinata ascendente per semitoni delle dodici tonalit, evidente al
lettore, sfugge (di solito) allascoltatore e allo stesso esecutore. Com giusto
che sia, perch scrivere in tutte le 24 tonalit maggiori e minori una precisa
scelta di omogeneit. Bach dimostra che si pu scrivere ottima musica tenendo conto, ma non facendosi condizionare, della tecnica e della teoria. Considera la griglia del Clavicembalo ben temperato un gioco divertente, anzi una
sfida intellettuale. Lidea gli viene attorno al 1715 quando vede la ristampa
della raccolta Ariadne Musica pubblicata nel 1702 dalloggi dimenticato Johann Caspar Ferdinand Fischer. Si tratta di 19 piccoli preludi e fughe in altrettante tonalit maggiori e minori destinate a una tastiera accordata secondo le pi recenti regole di temperamento. Quali siano quelle regole, non lo
sappiamo. In tanti, a fine Seicento, propongono formule per temperare la
fisica della natura con la ragione del calcolo. Si cerca la soluzione al problema di ripartire in modo razionale gli intervalli fra le sette note in cui si divide
lottava musicale, e ancor pi trovare un modo per regolare il semitono, per
trovare un equilibrio fra il diesis che cresce (un semitono pi della nota precedente) e il bemolle che cala (un semitono meno della nota seguente). Il
tedesco Andreas Werckmeister, nel 1691 propone nel suo trattato Musikalische Temperatur di rendere equivalenti diesis e bemolle, aggiustando in modo empirico (eufonico, a orecchio) i relativi intervalli. un modo, uno dei
tanti, per affrontare lannosa questione degli strumenti a suono fisso (a tastiera), cui non basta un lieve aggiustamento della posizione del dito sulla corda
(come negli strumenti ad arco) per risolvere nella pratica concreta il problema (teorico) dei rapporti aritmetici fra suoni consonanti. Il perfezionamento
delle tecniche costruttive di organo e, soprattutto, di clavicembalo, proprio
dagli allievi e dai figli di Bach per far lavorare altri studenti e per stimolare la
propria fantasia. Mozart scopre il Clavicembalo ben temperato nel 1782,
grazie allamico barone Gottfried van Swieten e se ne entusiasma, al punto
da trascrivere sei preludi e fughe per quartetto darchi. Haydn ha una copia
personale e Muzio Clementi possiede lautografo del secondo volume. Beethoven lo impara a Bonn con il suo primo maestro Christian Gottlob Neefe
e a Vienna con Johann Georg Albrechtsberger. Il resto storia, moltiplicata
dalle infinite edizioni a stampa. Carl Czerny, allievo diretto di Beethoven e a
sua volta attivissimo didatta, obbliga tutti i suoi allievi, Liszt compreso, a
studiare a fondo il Clavicembalo ben temperato, del quale cura nel 1834 unedizione a stampa, integrata con sue innumerevoli osservazioni. Fryderyk
Chopin conosce quelle pagine fin da ragazzo e le porta con s (unico testo
musicale) nel triste inverno di Palma di Maiorca in cui completa i suoi 24
preludi (senza fughe) in ogni tonalit maggiore e minore. Tutto il pianismo
ottocentesco lo reinventa, da Liszt a Schumann a Brahms a Busoni. E ha
nuova vita nel Novecento, con due raccolte che ne riprendono il triplo connotato di gioco combinatorio, esercizio didattico, palestra di fantasia: gli
interludi che connettono dodici fughe in Ludus tonalis (1942) di Paul Hindemith e la serie completa di 24 Preludi e fughe (1951) di Dmitrij ostakovi.
Rovescia la prospettiva il minimalista americano La Monte Young: in The
Well-Tuned Piano (1961) accorda il pianoforte in modo particolare per consentire improvvisazioni in un sistema non pi temperato. Loriginale resta
comunque nel repertorio di chi, per professione o diletto, sulle tastiere di un
antico cembalo o di un pianoforte moderno, di un delicato clavicordo o di
un possente organo, lo suona in parte o per intero, rispettando lordine originale o permutando i binomi a piacere.
Ascolti
Gustav Leonhardt Plays Bach, G. Leonhardt, Sony 2010
J.S. Bach, The Well Tempered Clavier, S. Richter, rca 1992
J.S. Bach, Das Wohltemperierte Klavier, R. Kirkpatrick, Archiv 2001
The Complete 1950s Bach Recordings on Archiv, R. Kirkpatrick, Archiv 2004
Letture
A. Drr, Johann Sebastian Bach das Wohltemperierte Klavier, Brenreiter, Kassel 1998
R.W. Duffin, How Equal Temperament Ruined Harmony, W.W. Norton & Company,
New York 2007
Tre vite per una Passione Loriginale ritardata Telemann, Keiser, Kuhnau Le cantate sacre di Bach Oratorio di Natale La Passione secondo san Giovanni
Luscita dal repertorio La riscoperta di Mendelssohn La
ricerca del suono settecentesco nel secondo Novecento
Sono almeno tre le vite della Passione secondo san Matteo (Matthuspassion)
di Bach. La prima appartiene al passato e nasce nel Settecento. La seconda
quella moderna, figlia dellOttocento. La terza quella ri-passata da met
Novecento in poi. Sono vite assai diverse. Nessuna quella vera, tutte sono
legittime. Sono fatte della sostanza della musica, vibrazioni che si muovono
nel vento. Hanno in comune solo il testo. Un testo, per inciso, che fissa soltanto una delle versioni pensate dallautore, che non la prima. una traccia
utile per ricordare e capire, ma che non dice tutto. Il primo manoscritto che
ci tramandato quello predisposto per una ripresa della Passione nel 1736
e utilizzato almeno unaltra volta attorno al 1742. Sono andate perdute le
carte della prima esecuzione assoluta, che probabilmente ha luogo il Venerd
Santo (11 aprile) del 1727. Smarrite sono anche quelle della nuova esecuzione del 1729. Il confronto con altri manoscritti del tempo mostra numerose
varianti e conferma la pratica di Bach di non considerare mai concluse le sue
opere. Limpianto generale resta tuttavia inalterato.
La partitura che conosciamo presenta oltre cento numeri musicali, disposti in modo da alternare e integrare recitativi, arie per voci sole bianche e
adulte, corali semplici e cori complessi con presenza di orchestra, ripartiti in
due gruppi ora distinti ora integrati. La storia della Passione narrata da un
evangelista. Cristo e altri personaggi intervengono come individui o sono
rappresentati dal coro. Il testo evangelico serve da trama. I singoli passi sono
scelti dal librettista, che di suo aggiunge una serie dinterventi poetici che
spiegano e commentano gli episodi e le loro conseguenze. La musica ha il
compito di espandere i valori drammatici ed espressivi. Il modello diffuso
e collaudato. Lo stesso Bach lo adotta nel 1724, appena insediato come direttore della musica sacra a Lipsia, nella Passione secondo san Giovanni (Johannespassion) consolidando una pratica da poco introdotta dal suo predecessore Johann Kuhnau.
Nel 1721, con la sua Passione secondo san Marco (Markuspassion), Kuhnau
inaugura la pratica di eseguire una Passione in musica su grande scala in oc-
casione dei vespri del Venerd Santo a Lipsia, ogni anno, alternando le due
chiese principali della citt. una consuetudine in uso da qualche tempo in
numerose altre citt tedesche, che la conservatrice municipalit di Lipsia accoglie invece con un certo ritardo. Serve tempo per accettare in chiesa la
commistione di testi sacri e profani, cio la compresenza di antiche scritture
e nuova poesia, che la vera innovazione della moderna Passione in musica.
Inizia nel 1700 ad Amburgo, la capitale tedesca dellopera lirica, in Germania, grazie al teologo e poeta Erdmann Neumeister, ed accolta con entusiasmo nella capitale dellopera lirica. La vita musicale in citt guidata da
Reinhard Keiser (il demiurgo di Hndel), che combina nella sua Passione
secondo san Marco (1700 circa) il modulo delloperistica aria con da capo alla
severa struttura del Lied spirituale impostato nel Seicento da Heinrich
Schtz. Il quale Schtz, con le sue passioni secondo Matteo, Luca e Giovanni (1623-66), innova la scrittura polifonica esclusivamente vocale della Riforma luterana cinquecentesca aggiungendo la variet di colori orchestrali con
cui i (controriformisti cattolici) veneziani Gabrieli e Monteverdi adornano i
loro cori vivaci e spezzati, sacri e profani.
Da Amburgo la formula si diffonde in tutta la Germania. Inizia a scrivere
le sue 49 passioni il prolifico Telemann che, dopo fruttuosi soggiorni a Lipsia,
Eisenach, Francoforte, sinsedia ad Amburgo nel 1721 come maestro di cappella a tutto campo. Lo stesso Bach copia, attorno al 1711, a Weimar, La
Passione secondo san Marco di Keiser e aggiunge parti di suo pugno in vista di
unesecuzione che non documentata. Succedendo a Kuhnau al cantorato di
Lipsia, Bach simpegna a organizzare tutte le attivit musicali pubbliche, religiose e civili, a comporre le musiche necessarie, a dirigere e educare gli esecutori. La vocazione innata di Bach per linsegnamento e lesperienza accumulata gli consentono di migliorare il gi efficiente complesso vocale e strumentale lasciato da Telemann prima e da Kuhnau dopo. Abbandona, per oltre un
quinquennio, la musica strumentale (orchestra, clavicembalo, organo) e si
dedica alla musica vocale. Secondo testimoni del tempo (non del tutto attendibili) completa ben cinque cicli di cantate per tutte le feste religiose dellanno, calibrate in funzione della solennit: dunque organici ampi e durate
estese per gli appuntamenti importanti, mezzi spartani per le domeniche
correnti. Ogni cantata ha un testo personalizzato alla ricorrenza, appunto con
il metodo Neumeister di intervallare passi biblici a poesia moderna. Dallormai classica collezione poetica Geistliche Kantaten (cinque annate, 1700-52)
proprio di Neumeister, Bach ricava il testo di almeno cinque cantate.
Ci sono tramandate circa 200 cantate sacre bachiane, alcune sono state
ritrovate di recente, altre (non molte) tuttora perdute. Il totale stimato in
300, comunque non si arriva alle 1800 firmate dallamico Telemann soprattutto per Amburgo, o alle 2000 di Johann Gottlieb Graun per Berlino. Le
cantate di Bach sono tutte assai diverse fra loro, anche se losservazione attenta rivela i comuni modelli ispiratori. Accanto al moderno troviamo lantico, cio quello che si rif alle prime esperienze della chiesa luterana, con
le letture bibliche alternate a semplici corali a quattro voci su melodie della
tradizione medioevale o di nuova composizione, facili da intonare e sempre
in lingua tedesca. Il primo musico di Lutero Johann Walter; da lui il testimone passa nel Seicento a Heinrich Schtz e Samuel Scheidt, quindi a Johann Pachelbel. Nella Lubecca di fine secolo, Dietrich Buxtehude organizza le Abendmusik, incontri vespertini in cui il sermone del pastore inserito fra il canto dei fedeli e il suono dellorgano. Dalla visita a Lubecca nel
1704 sappiamo che Bach riceve unemozione indimenticabile, che puntualmente troviamo in tutta la sua produzione vocale. Con la breve eccezione
degli anni di Kthen (1717-23), Bach scrive cantate sacre senza soluzione di
continuit dagli inizi della sua carriera fino agli anni trenta, per mestiere pi
che per vocazione. Anche nelle cantate, come nelle composizioni strumentali (predilette perch astratte, razionali, libere), Bach assorbe lo spirito del
suo tempo, cio il canto italiano, il timbro francese, il rigore tedesco. Le
cantate sono un costante diario di studio, apprendimento, invenzione. Che
porta alla sintesi finale della Messa in si minore, anchessa tante volte riveduta, con gli ultimi aggiustamenti introdotti un anno prima della morte.
La numerazione corrente delle cantate, che non tiene conto della cronologia, non aiuta a capire lorigine e levoluzione dellintera collezione. Complica tutto la frequenza con cui Bach introduce revisioni e recupera molte, se
non tutte, delle cose scritte in giovent, nel periodo di Weimar e anche prima. Solo un recente e certosino lavoro di scienza musicologica ha messo
ordine, ma il caleidoscopio rimane. Forse la sintesi del mondo delle cantate
si trova nellOratorio di Natale (Weihnachtsoratorium), un ciclo di sei cantate
per le sei festivit del periodo natalizio. Ciascuna rappresenta il diverso carattere delle sei giornate, dal trionfale giorno della nascita allepifania del
Signore. Forse la prospettiva migliore di quel mondo si ha osservando le
passioni, le due principali. La prima, appoggiata sul Vangelo di san Giovanni ed eseguita il 7 aprile 1725, opera pi misurata, si direbbe teologica se
ci non fosse ovvia conseguenza della scelta del testo (libretto di autore
sconosciuto). Di sicuro molto ponderata la musica, disposta su un piano di
simmetrie speculari che comunque trasmettono lidea di un ordine superiore. Non che la pi famosa (e pi intensa) Passione secondo san Matteo sia
meno ordinata. solo resa pi complessa dalle relazioni multiple che emergono dallanalisi sulla carta. Inoltre la melodia del corale fondante, O Lamm
Gottes, unschuldig (si sente come cantus firmus nel gran coro iniziale, poi
torna altre cinque volte in diverse situazioni), porta quel senso di unit che
labbondanza didee e materiali potrebbe far perdere.
prese integrali, ma restano in uso parti della Passione secondo san Matteo,
anche fuori Lipsia. Molte pagine sono nel repertorio della Sing-Akademie di
Berlino, diretta per oltre trentanni da Carl Friedrich Zelter, appassionato
collezionista di manoscritti bachiani e mentore musicale di Goethe. Grazie
a Zelter cresce lentusiasmo per Bach dellallievo Mendelssohn, che decide
di festeggiare il (falso) centenario della prima esecuzione della Passione secondo san Matteo dirigendo la famosa ripresa di Berlino, l11 marzo 1829.
questa ripresa che d alla Passione una nuova vita, la seconda, e che
cristallizza la leggenda del Bach dimenticato per un secolo. Il recupero di
popolarit immediato. NellOttocento, la Passione secondo san Matteo rivaleggia con il mai tramontato Messia di Hndel. In sinergia con questo, induce un possente sviluppo della musica corale sacra, che coinvolge Schumann, Brahms, Liszt, Franck. Le nuove interpretazioni aggiustano certo i
timbri alle voci e alle orchestre moderne, tendono a valorizzare lespressivit
delle arie e la forza drammatica dei cori, cio pi la filigrana (operistica) che
linchiostro (sacro) della partitura. La nuova vita rinasce perch cambia il
contesto. La Passione non pi musica da chiesa, ma da sala da concerto,
con pubblico diverso e concezione stilistica del tutto nuova. Cambiano un
po i timbri, perch le voci e gli strumenti dellorchestra moderna sono diversi da quelli originali. Resta invariato il testo, che gi Bach modifica tante
volte senza lasciarne uno veramente definitivo. Ormai la musica conta ben
pi delle parole.
Esiste anche una terza vita per la grande Passione rinata a met Novecento, in (apparente) reazione ai cambiamenti timbrici che gli organici e gli
strumenti moderni inevitabilmente comportano. Si vuole riscoprire il suono
e lo spirito delle esecuzioni originali e settecentesche, recuperare lantico e
sfuggire il progresso. Tornano voci bianche, piccoli cori e orchestre ridotte,
strumenti dantiquariato. Pi delle rivendicazioni di autenticit, seducono i
colori eterei e gli accenti surreali di queste nuove letture, che hanno il fascino
delleterna ricerca del tempo perduto, pur essendo ben radicate nel presente,
non meno delle parallele interpretazioni con i modi e i mezzi della modernit.
Cercano il tempo perduto anche gli autori davanguardia che nellultimo
secolo rendono omaggio alla lezione del grande Bach. Il polacco Penderecki
si affida allunico evangelista non presente nel catalogo di Bach, con la sua
Passio secundum Lucam (1966). Su frammenti del testo di Luca, integrato
dalla poesia Tenebrae di Paul Celan, si appoggia anche il tedesco Wolfgang
Rihm rivisitando una tradizione che scende al Settecento passando attraverso Novecento e Ottocento: Deus Passus per soli, coro e orchestra, composto nel 2000 per ricordare il 250 anniversario della morte di Bach.
Ascolti
J.S. Bach, Matthus Passion, N. Harnoncourt, Warner 2008
J.S. Bach, St. John Passion, M. Suzuki, Bach Collegium Japan, Bis 1999
J.S. Bach, Kantatenwerk, H. Rilling, Bachakademie, Hanssler 2011
Letture
D.R. Melamed, Hearing Bachs Passions, Oxford University Press, Oxford 2005
J. Butt, Bachs Dialogue with Modernity, Cambridge University Press, Cambridge 2012
A. Drr, The Cantatas of J.S. Bach, Oxford University Press, Oxford 2006
L. Prautzsch, Die verborgene Symbolsprache Johann Sebastian Bachs, Merseburger, Berlin
2004
W. Mellers, Bach and the Dance of God, Travis & Emery, London 2007
1734 LOlimpiade
Antonio Vivaldi
Sinfonie dopera Alessandro Scarlatti operista Recitativo che racconta Aria che esprime Lo spettacolo veneziano ridimensionato La vivacit napoletana che vince
Vivaldi non solo a Venezia Bononcini e Porpora a Londra
Hasse, Caldara e Lotti negli imperi centrali I libretti di
Metastasio Il terreno pronto per Mozart e Haydn
1734LOlimpiade195
1741 con discreto successo anche in altri centri italiani e tedeschi, sparita
durante la Seconda guerra mondiale. Al pubblico borghese piacciono opere
pi leggere e cantanti pi vivaci, appunto alla maniera di Scarlatti e dei suoi
allievi/emuli Giovanni Bononcini e Nicola Porpora (rispettivamente socio e
rivale di Hndel a Londra), che fanno del teatro veneziano San Giovanni
Grisostomo un formidabile polo di attrazione e di profitto. I vizi e gli eccessi di quel mondo sono ben descritti nel libello satirico Il teatro alla moda che
Benedetto Marcello pubblica nel 1720, prendendosi gioco anche di se stesso.
Chi a Venezia affronta la concorrenza napoletana Vivaldi. Debutta
come operista nel 1713 e per il resto della vita, un po come Hndel a Londra, si occupa di teatro a tutto campo: compositore, direttore artistico, impresario. La produzione e i risultati sono alterni, per Vivaldi si fa conoscere
con una trentina di opere non solo a Venezia e nei principali centri della
Serenissima, ma anche a Firenze, Ferrara, Milano, Torino e Napoli con frequenti puntate nelle vicine capitali Vienna e Monaco. Ha un rapporto speciale con il piccolo teatro veneziano di SantAngelo, del quale (ri)diventa
impresario. Nella stagione 1733-34 organizza una linea di resistenza veneziana allegemonia forestiera, che ha appunto nellOlimpiade la punta di diamante. Di fatto, LOlimpiade un melodramma alla Scarlatti. Alla sinfonia
seguono tre atti con 35 (10+15+10) brevi scene, ciascuna con un recitativo
che connette le parti cantate: 21 arie, 1 duetto, 2 cori. Sono le consuetudini
del tempo, che permettono di dare la necessaria visibilit alle primedonne,
affidando loro tre-quattro arie importanti. In confronto alle opere precedenti, Vivaldi concede maggiore attenzione ai castrati, per i quali scrive almeno
quattro arie aperte al virtuosismo sfrenato. Sono contralti (cio castrati) i due
eroi, amici quando c da competere con gli avversari (di regola in guerra,
qui ai giochi ginnici) e rivali quando in mezzo c la donna. Lintreccio
ovviamente assai articolato, con scambio di persone e precipitare verso il
dramma, prima del lieto fine intonato dal coro Viva il figlio delinquente,
a esaltare nello stesso tempo la magnanimit del padre truffato che salva la
testa dellerede e la dabbenaggine di questo che trionfa da impostore.
Ai meriti del musicista vanno comunque aggiunti quelli del librettista
Pietro Trapasso, detto Metastasio. Il quale assorbe da ragazzo il meglio della
cultura classica ed esordisce diciottenne, nel 1717, con una raccolta di poesie. subito reclutato come paroliere dai maggiori compositori del tempo,
Scarlatti fra i primi. Piacciono i suoi versi brevi e scorrevoli, la scelta raffinata di parole di uso comune, il ritmo vario ma sciolto, le rime sicure ma non
banali, i temi di sempre ambientati in luoghi classici ma con i modi moderni.
Metastasio conosce la musica perch allievo di Porpora (dice di mettere lui
stesso in musica i suoi versi, prima di pubblicarli). Accanto alla tragedia antica ama la drammaturgia seicentesca, soprattutto dei francesi Racine e
1734LOlimpiade197
Ascolti
A. Vivaldi, LOlimpiade, R. Alessandrini, Concerto Italiano, Naive 2006
The Vivaldi Album, C. Bartoli, G. Antonini, Il Giardino Armonico, Decca 1999
A. Vivaldi, Opera Ouvertures, F.M. Sardelli, Modo Antiquo, Brilliant 2010
Letture
M. Talbot, The Vivaldi Compendium, Boydell Press, Woodbridge 2011
M.T. Muraro (a cura di), Metastasio e il mondo musicale, Olschki, Firenze 1986
scorsi come abate dellordine dei frati minori, inserisce lo Stabat Mater in
due suoi lavori maggiori. Nelloratorio Christus (1862-67, revisione 1873)
opta per una versione corale a grande orchestra sinfonica con citazione finale che rimanda a Palestrina. Nella Via Crucis per soli, coro e organo (187879), la melodia della lauda antica risuona tre volte sulle parole dei primi
versi e una quarta volta viene affidata al solo organo (o pianoforte), in quello stile arcaico e processionale che sta alle radici della preghiera. Ancora pi
lontano dallintimit di Pergolesi lo Stabat Mater che Charles Gounod
scrive nel 1867: coro a sei voci, grande orchestra sinfonica e grande organo.
Non da meno Antonn Dvok che nella sua op. 58 non trascura solisti e
orchestra, ma lascia grande spazio al coro e ricompone il testo (sempre latino) in modo originale. Giuseppe Verdi inserisce con grande consapevolezza
stilistica uno Stabat Mater nei suoi estremi Quattro pezzi sacri (1888): un affresco per coro e orchestra che guarda al rigore rinascimentale, non alla
scena ottocentesca.
Nel Novecento, il mito di Pergolesi resta vivissimo (Pulcinella di Stravinskij, 1920) e non si perde il fascino dello Stabat Mater. Ne fa uno dei
propri capolavori Karol Szymanowski (1926), in lingua polacca, con musica
che unisce i modi gregoriani e il canto popolare, sempre con profluvio di
mezzi vocali e strumentali. Lo spirito ironico ai limiti dellirriverenza, combinato a una fede profonda, anima lo Stabat Mater per soprano, coro e orchestra di Francis Poulenc (1950). Sia lamericano Lennox Berkeley (op. 28 per
sei voci e orchestra da camera, 1949) che il tedesco Giselher Klebe (op.46
per soli, coro, grande orchestra, 1964) mantengono i timbri tradizionali,
mentre il polacco Krzysztof Penderecki (1962) scatena folate materiche e
lestone Arvo Prt (1986) si ferma estatico sulle risonanze acute del campanello piccolo, il tintinnabulum.
Inizia il secondo millennio largentino Luis Bacalov, di religione ebraica,
che ottiene notoriet come autore di canzonette, di colonne sonore (Il Vangelo secondo Matteo, Le mani sulla citt, Quin sabe?, La citt delle donne, Il
postino premio Oscar 1995), della curiosa Misa tango (2000) con inserti di
tango e milonga accanto a canzoni pop e ricordi gregoriani nella scrittura
della messa cattolica. Ma che anche autore di un emozionante oratorio
laico in cui la Madonna, che piange il figlio crocifisso della tradizione cristiana, rinasce moltiplicata nelle tante madri argentine che, in lacrime nella
Plaza de Mayo di Buenos Aires, chiedono giustizia per i loro figli massacrati
dalla dittatura. Sintitola Estaba la Madre, scritto su commissione dellOpera
di Roma nel 2004 e subito ripreso in tutto il mondo. E di sicuro Bacalov non
sar lultimo ad aggiungersi alla serie degli oltre 400 musicisti che nei secoli
hanno legato il loro nome allo Stabat Mater e il cui elenco si pu trovare sul
sito www.stabatmater.info/composers.html.
Ascolti
Pergolesi Collection, C. Abbado, Orchestra Mozart, Archiv 2009
A. Scarlatti, Messa per il SS. Natale, R. Alessandrini, Concerto Italiano, Naive 2008
G. Rossini, Stabat Mater, A. Pappano, Santa Cecilia, emi 2010
Letture
F. Degrada (a cura di), Studi pergolesiani i, La Nuova Italia, Scandicci 1986
F. Degrada (a cura di), Studi pergolesiani ii, La Nuova Italia, Scandicci 1988
del re. Nella capitale ritrova anche Carlo Broschi detto Farinelli, il castrato
per il quale lintera Europa (compresa la Londra di Hndel) ha fatto follie e
che, ritiratosi dalle scene, per undici anni (1735-46) ha il compito di alleviare le malinconie del re Filippo v cantandogli ogni sera quattro arie con la
dolcezza ammirata in teatro tanto tempo prima.
Con questa biografia, difficile sostenere che Domenico Scarlatti sia un
esiliato a Madrid. Emerge invece come uno degli autori pi eclettici e cosmopoliti del suo tempo, attento osservatore e assimilatore del tanto che si ritrova intorno. Soffre, come tutti, il rapido tramonto della produzione teatrale e
la scarsa circolazione di quella sacra. Ma la sua musica per clavicembalo,
appunto le sonate, ha eco vasta e crescente. Merito della sua curiosit, che
diventa variet di fonti dispirazione. Si sente lorigine italiana, non solo nel
rigore formale che gli trasmette il padre, ma anche nelleccentrica invenzione
del precursore romano Bernardo Pasquini, lautore della Toccata con lo
scherzo del cucco (1698 circa) che tuttora piace. La tradizione tedesca gli arriva dalla familiarit con Hndel, ottimo cembalista addestrato a Halle e
Amburgo. Forse a Londra, ma non solo, conosce la tradizione virginalistica
inglese. Mancano molti riscontri biografici, ma evidente che Scarlatti padroneggia lo stile clavicembalistico dei francesi del suo tempo. Dalle residenze degli ultimi decenni, Portogallo prima, Spagna dopo, assimila pizzicati di
chitarre e schiocchi di nacchere, che si aggiungono alle cadenze del flamenco
e al melodizzare arabo moresco.
Sono gli elementi di dettaglio quelli con cui Scarlatti anima il percorso
fra i due poli gravitazionali del sistema tonale moderno codificato da Rameau solo nel 1722, ma da decenni adottato nella cultura materiale dei
musicisti di professione. Il discorso musicale viaggia per sua natura dal
polo fissato dalla nota fondamentale della scala musicale prescelta (la tonica, quella che determina la tonalit dellimpianto) verso il quinto grado (la
dominante, la nota acusticamente pi compatibile con la fondamentale). Si
parte dal riposo della consonanza fondamentale per arrivare al riposo provvisorio della dominante, spinti dalle dissonanze dei passaggi intermedi, di
regola generati dallintervallo estremo del settimo grado. Il teorico che
conia i nuovi termini (fondamentale-quinta-settima, cio tonica-dominante-sensibile) appunto Rameau, aggiornando (e ampliando) princpi inventati fin dal xii secolo da Protin alla Scuola di Notre-Dame e applicati dai
tanti successori. Come tutti i suoi grandi contemporanei, Domenico Scarlatti sa bene che quello che conta il percorso, non la linea di partenza e di
arrivo. Esprime la sua fantasia inventando rotte sempre pi rischiose e
raffinate per evitare lovvio dei passaggi diretti e stupire lascoltatore con
eleganti virate (modulazioni) che indicano mete inconsuete per poi, con
non minore disinvoltura, tornare sulla retta via, subito smarrita, salvo tro-
Grande fortuna ha anche la terza e ultima collezione per cembalo di Rameau, pubblicata nel 1728, ancora pi orientata verso il lato descrittivo, con
inclusa la celeberrima La Poule, assieme ai ritratti esotici Les Sauvages e
LEgiptienne, alle ironie di LIndifferante, alle acrobazie tecniche di Les Triolets e alla ripetuta prova di forza delle variazioni alla maniera di ciaccona di
Gavotte avec doubles. Nella nuova raccolta Rameau sembra pi che mai impegnato ad applicare le sue teorie armoniche. Sono pi frequenti le progressioni, le modulazioni, le dissonanze. Un brano specifico (LEnharmonique)
sperimenta una conseguenza inevitabile della sua teoria, lenarmonia, ossia
la doppia lettura (e dunque funzione) di un singolo accordo, lequivalenza
acustica di diesis e bemolle. In un certo senso il buco nero nel sistema razionale, lambiguit delle certezze. Linventore il primo a coglierne la portata. Spetter a Wagner e successori, oltre un secolo dopo, spingere alle
estreme conseguenze e dichiarare defunto il sistema tonale.
Speculare rispetto a Domenico Scarlatti, il cinquantenne Rameau abbandona il clavicembalo e si dedica interamente al teatro dopera. Forse
non crede pi nello strumento. Comunque i suoi pi famosi lavori per tastiera hanno un fondo teatrale, che lui non manca di sfruttare, trasformandone molti in inserti orchestrali e addirittura scene complete del suo teatro
delle meraviglie. Scarlatti, invece, nei suoi ultimi anni resta fedele al clavicembalo, anche se probabilmente gran parte delle sue produzioni realizzata in giovent e solo riordinata e integrata nel trentennio madrileno.
Mancano gli autografi e i tentativi di stabilire una cronologia hanno dato
risultati incerti. Pu anche darsi che Scarlatti abbia gi ben presenti le qualit del fortepiano inventato da Bartolomeo Cristofori nella Firenze di fine
Seicento, probabilmente collaudato durante lapprendistato fiorentino e
ritrovato a Madrid. Lanalisi stilistica e il senno di poi rendono lipotesi
credibile. Lassoluta adattabilit di ogni sonata al pianoforte moderno ne
prova ulteriore. Sicuro che la prima raccolta a stampa esce a Londra nel
1739, con titolo italiano (Essercizi per gravicembalo), pubblicata da quel
Thomas Roseingrave che Scarlatti incontra a Venezia nel 1709 e forse di
nuovo a Londra nel 1719. Ben preparata da una precedente e ampia circolazione dei manoscritti, ledizione londinese ha immediato successo. ristampata a Parigi. Lo stile di Scarlatti si diffonde in tutta Europa. Influenza
il Bach del secondo Clavicembalo ben temperato e delle Variazioni Goldberg.
Ispira Carl Philipp Emanuel Bach e Muzio Clementi. Arriva a Mozart e
Beethoven. Il bravissimo didatta Carl Czerny lo trasmette a Liszt. Incanta
Chopin, Schumann, Brahms. Escono nuove edizioni di altre sonate. Dal
gioioso zibaldone di mezzo migliaio di frammenti musicali uguali nella
forma ma diversi nel dettaglio, nasce la moderna musica per pianoforte.
Ascolti
D. Scarlatti, Lintegral de clavecin i-xii, S. Ross, Erato 2005
D. Scarlatti, Sonatas, W. Horowitz, Sony 2003
J.P. Rameau, Pices de clavecin, C. Rousset, LOiseau Lyre 1991
F. Couperin, Ordres de clavecin, M. Borgstede, Brilliant 2006
Letture
R. Pagano, Scarlatti: Alessandro e Domenico, due vite in una, Mondadori, Milano 1981
R. Kirkpatrick, Domenico Scarlatti, Princeton University Press, Princeton 1983
Ascolti
J.S. Bach, Goldberg Variations, T.D. Pinnock, Archiv 1985
J.S. Bach, Goldberg Variations, M. Perahia, Sony 2000
J.S. Bach, Musical Offering, G. Leonhardt Ensemble, Sony 1997
Letture
J. Ldtke, Bach und die Nachwelt, 4 voll., Laaber Verlag, Laaber 2005
P. Williams, Goldberg Variations, Cambridge University Press, Cambridge 2001
R.G. Gaines, Evening in the Palace of Reason, Harper, New York 2005
1742 Il Messia
e lo ricava trasformando una specie di masque sacro scritto nel 1718 per il
duca di Chandos. Laccoglienza eccellente. Il successo si ripete anche
nella stagione successiva, con due nuovi oratori, Deborah e Athalia. Per
Handel continua a credere nellopera italiana e non sfrutta subito la nuova
opportunit. Lo bloccano anche problemi di salute. Quattro anni dopo, il
deteriorarsi dellinteresse del pubblico per lopera e la conseguente crisi
finanziaria fanno capire a Handel che lo spettacolo oratoriale, senza scene
e costumi, senza cantanti primedonne, costa meno e richiama pi pubblico
pagante. In parallelo al tramonto dellopera, la grande stagione delloratorio allinglese inizia con The Triumph of Time and Truth (1737), rifacimento
dellitaliano Il trionfo del Tempo e della Verit scritto per Roma trentanni
prima.
Nel 1739 segue Saul, presentato al Covent Garden con intenti ambiziosi e ancora un po operistici, evidenti nella grande orchestra mobilitata e nel
mantenimento dellaria solistica con da capo. Il nuovo stile si manifesta
appieno per in Israel in Egypt. Come al solito, Handel si affida al suo archivio e non ha scrupoli a utilizzare musiche altrui: non solo pagine del
noto Alessandro Stradella, ma anche un Magnificat di Dionigi Erba e un Te
Deum di Francesco Urio, entrambi autori minori (e dunque poco identificabili) del Seicento italiano. Si ingegna anche a integrare lofferta mettendosi a disposizione come solista in concerti per organo e orchestra inseriti
negli intervalli delle rappresentazioni. Oltre che il soggetto (di regola biblico) e la lingua inglese, piacciono i grandi cori, assenti nelle opere italiane.
Il sagace Handel si affretta a inserirli in gran numero nei nuovi lavori, a
partire appunto da Israel in Egypt. Il coro spesso protagonista, talvolta
antagonista dei personaggi individuali, di regola presenza immanente e risolutiva.
I due nuovi oratori non hanno per il successo sperato. Per un paio danni Handel si dedica ad altro. Riscrive concerti grossi alla maniera seicentesca
di Corelli e abbozza i concerti per organo. Si concede alla musica doccasione con lOde for St. Cecilias Day su testo di John Dryden gi usato da Purcell.
Nel 1741, anno in cui scrive, di corsa e senza molta convinzione, il Messia che
gli garantisce limmortalit, consuma il suo ultimo atto damore per lopera
italiana, Deidamia, subito dimenticata e mai pi davvero riscoperta. Invece
ha un successo clamoroso il nuovo oratorio, presentato per la prima volta il
13 aprile 1742 a Dublino con 7 solisti di canto reclutati sul posto, un coro di
16 ragazzi e 16 adulti, una piccola orchestra. La ripresa londinese, con scrittura vocale aggiornata e quella strumentale ampliata, va tanto bene da convincere Handel a concentrarsi sulloratorio e a comporne altri undici, circa
uno allanno fino al 1751. Samson (1743) e Solomon (1749) hanno la maggiore fortuna.
Il decollo del Messia non per immediato. Ci sono solo sette riprese
fino a quando, nel 1750, Handel simpegna a dirigerlo per beneficenza ogni
anno. Quando muore, nel 1759, le riprese sono ben 56 e comincia la diffusione fuori dallarea inglese. Prima opera importante di Handel che riesce
ad attraversare la Manica, Il Messia esordisce in Germania nel 1772 ad
Amburgo, prima in lingua inglese e poco dopo nella traduzione tedesca del
locale direttore musicale Carl Philipp Emanuel Bach. Mozart lo ascolta nel
1777 a Mannheim, sulla via per Parigi, ma non ci fa molto caso. Invece
Goethe impressionato da unesecuzione a Weimar nel 1780. La vera
esplosione della sua fortuna si ha a Londra il 29 maggio del 1784 quando
nella cattedrale di Westminster, con il patrocinio del re, si festeggia (erroneamente) il centenario della nascita di Handel con una cerimonia che
prevede unesecuzione monumentale del Messia, mobilitando ben 276 coristi e almeno 250 strumentisti. Seguono due repliche imposte a furor di
popolo. Continua e si diffonde la tradizione dellesecuzione annuale (di
regola a Natale, anche se Pasqua sarebbe pi indicata), nasce la Handel
Society, vengono avviati progetti di edizione completa di tutte le opere,
escono le prime biografie.
Dallinterazione fra tradizione corale inglese e adottiva passione handeliana si sviluppano i periodici incontri semicompetitivi fra formazioni semiprofessionali che durano secoli. Il pi famoso il Three Choirs Festival, che
tuttora si tiene ogni anno a rotazione nelle cattedrali di Hereford, Gloucester, Worcester. Dalla fondazione (1719), tempio della tradizione handeliana e polo di attrazione delle maggiori opere corali di Haydn e Beethoven,
Bach (sia pure solo dal 1870), Mozart e Mendelssohn (il cui Elijah fino al
1930 eseguito ogni anno). Nel Novecento anche autori britannici emergono con lavori sinfonico-corali fra il sacro e il profano, spesso innovativi: la
nostalgia per i valori del cattolicesimo in Edward Elgar (The Dream of Gerontius, 1900), il laicismo multiconfessionale di Frederick Delius (Requiem,
1922), il modernismo arricchito con inserti jazz di William Walton (Belshazzars Feast, 1931), la sintesi di una lunga vita artistica di Ralph Vaughan
Williams (The Pilgrims Progress, 1951) e infine Benjamin Britten (War Requiem, 1962) che merita un discorso a parte.
Da sempre convinti di aver a che fare con la musica di un connazionale,
i tedeschi hanno grande ammirazione per Il Messia, ma non puntano tanto
sul volume sonoro, quanto sulla sostanza della partitura. Fioccano gli aggiornamenti di altri autori, mossi dallintento di dare un robusto sostegno
strumentale alla dirompente scrittura vocale. Nella sola Germania, Il Messia
eseguito almeno quattro volte nella versione di Johann Adam Hiller: Berlino 1786 su testo italiano per oltre 500 esecutori fra voci e strumenti; Lipsia
1786 e 1788; Breslavia 1788. Le ascolta il barone olandese Gottfried van
Swieten, gi contagiato dalla passione handeliana durante il suo servizio diplomatico a Londra. Stabilitosi a Vienna, Swieten fonda unassociazione per
il recupero e la diffusione di musiche antiche. Condivide lopinione di Hiller
che la musica di Handel debba essere aggiornata ai gusti del tempo. Attorno
al 1787 convince Mozart a dirigere i concerti in casa sua e a riorchestrare
prima la cantata Acis and Galatea (1788) e poi il Messia (1789).
Gli interventi di Mozart non sono mai radicali. Qualche taglio, permutazione di poche arie, ridistribuzione di alcune parti. Mozart riserva maggiore
attenzione ai timbri: concede altro spazio agli oboi, introduce i flauti e i
suoni profondi di clarinetti, fagotti e ottoni, sostituisce la tromba con il corno
(ma solo perch non ha buoni trombettisti a disposizione); raddoppia le
parti vocali dei bassi con i sonori tromboni per rendere ancor pi drammatici e possenti i cori. Ne esce un suono molto pi denso, anzi pastoso, cos vicino a quello delle ultime composizioni mozartiane: lestrema terna sinfonica, Il flauto magico, naturalmente il Requiem. Un suono morbido, mai roboante, che piace moltissimo al raffinato pubblico viennese presente alla prima
esecuzione il 6 marzo 1790. Pur con innumerevoli varianti, la versione di
Mozart diventa un riferimento costante per le esecuzioni del Messia nei paesi di lingua tedesca, e pi in generale nellEuropa continentale. Si sente bene
negli oratori La Creazione (1789) e Le stagioni (1799) di Haydn, nel Cristo al
monte degli ulivi (1803) di Beethoven, perfino in Paulus (1836) ed Elijah
(1846) di Mendelssohn, nel Requiem tedesco (1868) di Brahms, per citare i
casi pi famosi.
I britannici e i cugini americani preferiscono competere sui volumi. Da
loro viene la voglia di fare di ogni nuova esecuzione del Messia una prova di
forza mobilitando il maggior numero di partecipanti allannuale rito handeliano. Nel 1869 la Handel and Haydn Society di Boston fa cantare lHalleluja
da almeno 10000 voci accompagnate da 500 strumenti, mentre nel 1881 a
New York, Walter Damrosch dirige lintero oratorio con un coro di 1200
adulti, 1300 ragazze e 250 ragazzi sostenuti da unorchestra di 250 strumenti. Le due guerre del Novecento e il depresso intervallo che le separa, riducono ogni voglia di gigantismo. Lo mostrano i documenti fonografici lasciati da interpreti specializzati come Thomas Beecham e Malcolm Sargent,
fatti baronetti (anche) per meriti handeliani, o i sempre tradizionali ma ancora pi sobri Georg Solti e Colin Davis. Si capisce pure la voglia di tornare
alle origini che, come nel caso della bachiana Passione secondo san Matteo,
porta nellultimo mezzo secolo al recupero degli organici e degli (immaginari) timbri originali. Quello che nella scienza della biologia un assurdo tentativo di trascrizione inversa di un organismo vivente, nellarte della musica
un miracolo che funziona, purch non alteri il piacere dellascolto e il mistero del messaggio che trasmette.
Ascolti
G.F. Handel, Messiah, T. Pinnock, Academy of Ancient Music, Archiv 1990
G.F. Handel, Oratorios, C. Hogwood, Academy of Ancient Music, Decca 2005
Letture
R. Smith, Handels Oratorios, Cambridge University Press, Cambridge 1995
D. Burrows, Messiah, Cambridge University Press, Cambridge 1991
Serie IV.
Let classica
Sonata-Fantasia Dialettica musicale Carl Philipp Emanuel Bach Musica da camera Clavicordo e fortepiano
Larte di suonare la tastiera Storie della musica Riviste
e istituzioni Musica dellIlluminismo
Capita, anche spesso, che le rivoluzioni pi incisive abbiano un aspetto di
normale continuit col passato che sconvolgono. Tutto sembra regolare e
invece tutto cambia. Come succede nella raccolta stampata nel 1744 a Norimberga con il titolo Sei Sonate per clavicembalo dedicate da Carl Philipp
Emanuel Bach a Carlo Eugenio duca del Wrttemberg (Wrttembergische
Sonaten), suo allievo. Non sono innovativi n il titolo n il numero (sei) delle
composizioni, ciascuna articolata in tre movimenti ben distinti, di regola
disposti nella sequenza Allegro moderato-Adagio-Allegro. Le irregolarit si
scoprono osservando le sequenze con maggiore attenzione. Non tanto nei
movimenti conclusivi, che scorrono su veloci e spigliati ritmi di danza. Molto di pi nei movimenti centrali, che sono sempre lenti e cercano nuovi
modi per esprimere emozioni e affetti. Non una novit, ma di rado la ricerca di espressione in una musica destinata a un solo strumento, senza supporto di parole, stata perseguita con altrettanta convinzione, negli anni e nei
secoli passati. Neppure nei movimenti centrali, tuttavia, le tecniche musicali
sono nuove: tonalit minori, melodie discendenti che si intrecciano su un
letto di dissonanze, sincopi che scuotono, fermate estatiche, sussulti improvvisi, bassi severi. Le vere sorprese si hanno nei primi movimenti. Nella loro
semplicit celano unirrefrenabile voglia di liberazione. Salta il meccanismo
della sonata bipartita (aabb) in voga fin dal Seicento, perch lunghi arpeggi
e fantasiose fioriture inducono modulazioni verso tonalit lontane, rompono
simmetrie consolidate e ordini precostituiti. Si fanno strada altre melodie,
alternative, concorrenti, conflittuali. Spuntano ritmi, idee balzane, raccoglimenti e schiamazzi. Succede con mezzi tecnici elementari, perch manca
quella ricerca di virtuosismo esecutivo che invece ben presente nelle fantasie e nelle improvvisazioni di liutisti, virginalisti, organisti, clavicembalisti
delle stagioni passate. Si sente che la musica cambiata.
Perfino il nome sonata, tanto familiare, diventa ora un contenitore di
cose diverse. Intanto non si riferisce a una cosa unica, alla maniera allora
usata da Domenico Scarlatti. Il concetto secentesco da camera e da chiesa
della sonata romana di Corelli superato, come sparisce quello di suite di
parte della propria vita. Manca del tutto lapplicazione della scienza polifonica necessaria a padroneggiare le complessit del contrappunto in generale
e delle fughe in particolare. Ci sono ragioni di spicciola tecnica esecutiva,
prima ancora che di estetica o di stile. Anche il figlio un ottimo insegnante,
ma il mutare dei tempi gli porta differenti allievi. Che non sono pi (e soltanto) aspiranti musicisti di professione, ma (soprattutto) nobili amatori
desiderosi di esprimersi con larte del suono, poco propensi a districare i
nodi del contrappunto e invece ansiosi di seguire il battito del proprio cuore
(o di scandire i passi dei balli altrui). Scrivere musica espressiva diventa la
nuova regola del gioco, del quale Carl Philipp Emanuel subito maestro,
anche a rischio di essere accusato di banalit e di tradimento del padre. Il
quale padre peraltro ben consapevole delloperazione, di cui senza dubbio pioniere. Basta ricordare le sue continue raccomandazioni di suonare
sempre con grande espressione. E basta risentire, sotto questa prospettiva, anche e soltanto la celeberrima Air della terza Suite-Ouverture per
orchestra.
I nuovi allievi vengono da ceti sociali in forte espansione, grazie ai cambiamenti politici ed economici maturati nel primo Settecento. La pace di
Vestfalia (1648) mette fine alla Guerra dei trentanni, per frammenta la
Germania in un centinaio di stati e staterelli, ciascuno con la propria corte e
aristocrazia. Nel corso di un cinquantennio, leconomia di pace arricchisce
la borghesia mercantile e cittadina, e alimenta la voglia di arte e di musica.
Fioriscono istituzioni musicali attorno a gruppi strumentali che diventano
orchestre, al servizio delle corti e delle comunit cittadine. Lo stesso Johann
Sebastian Bach dirige a Lipsia, negli anni trenta, il Collegium Musicum che
propone concerti solistici riservati a un pubblico borghese. Cresce pertanto
la domanda di musici di professione e si amplia a dismisura il numero di
dilettanti nobili o borghesi che vogliono imparare a suonare, per conto proprio e assieme ad amici. Nasce la musica strumentale da camera, con lo
stesso spirito con cui, nel Rinascimento, ci si riuniva nelle case private per
cantare frottole e madrigali.
Accanto al sonoro e impegnativo clavicembalo, ha un breve momento di
fortuna il clavicordo. uno strumento di piccole dimensioni e di suono flebile, le cui corde non sono pizzicate da becchi come nel clavicembalo e
neppure percosse da martelli come nellemergente fortepiano, ma sono
sfiorate da tangenti, piccole lamine metalliche poste al capo interno dei tasti
e capaci di variare lintensit del suono in funzione del tocco delle dita sul
capo esterno, cio sulla tastiera. Variante tedesca dellantico virginale inglese, strumento intimo, destinato a pochi uditori, adatto a esprimere le emozioni di chi suona. Sul clavicordo Carl Philipp Emanuel Bach inventa lintimismo musicale, fase estrema dello stile galante e primo passo verso il Ro-
Emanuel Bach ben consapevole dello spirito del tempo. La corte di Berlino
gli va stretta, non sopporta che Federico ii lo consideri un banale accompagnatore e gli preferisca il flautista Quantz. Accetta il posto di direttore della
musica ad Amburgo succedendo al suo padrino di battesimo Telemann. Il
nuovo ruolo gli impone di tornare allantico, di scrivere cantate per le festivit civili e passioni per quelle religiose, oltre che musiche strumentali per
pubblici concerti. Sforna una gran quantit di concerti per fortepiano e orchestra, sulle orme del padre al Collegium Musicum lipsiense. Spiana la
strada al fratello minore Johann Christian e soprattutto ai suoi grandi ammiratori Haydn e Mozart. Continua a scrivere senza sosta anche musica per
sola tastiera, sempre affettiva e sentimentale, sempre dedicata a competenti
e amatori, in forma sia di libera fantasia sia di formale sonata. Osserva il
mondo che cambia. Conosce bene la generazione di fortepianisti che, inaspettata, nasce in unItalia dominata dallopera e ormai refrattaria alla pratica strumentale, anche perch gli fa visita ad Amburgo uno dei suoi maggiori
esponenti, Baldassarre Galuppi. Gli sono familiari le sonate di Domenico
Scarlatti. Segue le evoluzioni della musica a Parigi grazie ai rapporti epistolari con Diderot. in Carl Philipp Emanuel Bach che troviamo il vero anello di congiunzione fra le due anime del Settecento, la musica della ragione e
quella del sentimento.
Ascolti
C.P.E. Bach, Preussische und Wrttembergische Sonaten, P.J. Belder, Brilliant 2012
C.P.E. Bach, Sonatas & Rondos, M. Pletnev, dg 2010
Letture
P.G. Downs, Classical Music, W.W. Norton & Company, New York 1992
P. Rattalino, Storia del pianoforte, il Saggiatore, Milano 1982
1749Zoroastre
Jean-Philippe Rameau
Catastrofi teatrali Rameau operista Armonia e orchestra Simboli massoni Querelle des bouffons La serva
padrona Rousseau e Le Devin du village Influssi su
Gluck, Cherubini, Mozart
Nel primo atto il terremoto squassa la citt. Nel secondo crollano le mura
delle carceri. Nel terzo un altro terremoto fa incendiare la capitale. Nel quarto si piomba nel regno delle tenebre. Nel quinto una folgore distrugge i seguaci del male e il bene appare su una nube dorata. In scena brulicano
masse di cittadini e montanari, guerrieri e sacerdoti. Questi, e molti altri,
sono gli eventi chiesti dal libretto che il fido Louis de Cahusac predispone
per la musica di Jean-Philippe Rameau nella tragdie-lyrique Zoroastre, rappresentata per la prima volta allOpra di Parigi il 5 dicembre 1749. Non
sono una novit, perch le meraviglie in scena da sempre fanno parte del
teatro musicale francese. Ne fa largo uso Jean Baptiste Lully, a fine Seicento.
Non sono da meno i suoi successori. Il prolifico Andr Campra, oggi meglio
ricordato come autore di musica sacra, impressiona debuttando con LEurope galante (1697), unopra-ballet che porta in scena musiche e costumi di
Francia, Italia, Spagna e Turchia (!). Campra scrive una ventina di altre
opere distribuite con regolarit fino al 1735, sui comuni temi classici che
sfruttano ogni occasione per impressionare nobili e borghesi, come le grandi
tempeste e i naufragi che punteggiano lIdomne del 1712, revisionato nel
1732. Ottiene la massima fortuna con Les Ftes vnitiennes (1710), tipica
opera aperta ante litteram: scene e arie sono inserite o tagliate in funzione del
gradimento del pubblico in sala. A loro volta, nei primi decenni del Settecento, Andr-Cardinal Destouches (Omphale, 1701; Callirho, 1712) e MichelRichard Delalande scrivono luno 11 laltro 19 lavori teatrali, e fanno ballare
Luigi xv nella loro comune opra-ballet Les lments (1721) dove si rappresenta come dal caos nascano terra e acqua, aria e fuoco, con accompagnamento di minuetti e siciliane, capricci e ciaccone, cinguettio di usignoli e
canto di nereidi. In questa tradizione di grande spettacolo di musica, balletto e scenografia sinserisce perfettamente il cinquantenne Rameau quando
corona il sogno di approdare al teatro musicale, dopo trentanni passati a
fare lorganista in chiese di Digione e Parigi, a dirigere lorchestra privata di
un notabile, a scrivere musica per clavicembalo, a stabilire le regole della
composizione nel fondamentale Trait de lharmonie rduit ses principes
1749Zoroastre231
diverte con i suoi due personaggi tratti dalla vita di tutti i giorni: una servetta petulante riesce a farsi sposare dal ricco signore inventandosi un pretendente militare. musica briosa e leggera, ricca di melodia, essenziale nella
strumentazione, vivace nel ritmo, tutta giocata su veloce alternanza di parlato e di cantato (arie e duetti) con le parole chiare ed eleganti del librettista
Gennaro Antonio Federico, specializzato nel nuovo genere dellopera buffa
napoletana che ha in Li zite ngalera (1722) di Leonardo Vinci il suo modello
perfetto.
Da Napoli, il successo della Serva padrona dilaga in tutta Italia, arriva in
Germania e, ormai ben collaudato, approda a Parigi. La semplicit della
trama, la finezza delle melodie, limmediatezza della comunicazione conquistano la frazione del pubblico parigino saturo dei lambiccamenti e delle
farraginosit dellopra-lyrique. Nasce una vivace polemica, la querelle des
bouffons appunto, che vede schierata dalla parte italiana unaccesa fazione
capitanata dal filosofo Jean-Jacques Rousseau, partigiano del ritorno alla
semplicit primitiva e della teoria del buon selvaggio, anche autore di un
intermezzo comico didascalico, Le Devin du village (1752), scritto di getto
sul modello pergolesiano. Lanno dopo, sempre Rousseau attacca Rameau
con il pamphlet Lettre sur la musique franaise e rimane fedele allo spirito
filoitaliano redigendo le voci musicali dellEncyclopdie. Sono con lui altri
enciclopedisti, fra cui Diderot e dAlembert, la regina di Francia, molti borghesi. Rameau sostenuto dal re in persona oltre che dallaristocrazia conservatrice. La querelle dura un paio danni, poi si sgonfia. Lanziano Rameau,
sia pur amareggiato, non smette di scrivere nuove opere e ritoccare le precedenti. Non riesce a completare Les Borades, che sar messa in scena per la
prima volta soltanto nel 1982. Una nuova versione di Zoroastre ottiene nel
1753 un grande successo ed quella che ricompare nel repertorio moderno.
Il teatro di Rameau sopravvive fino alla fine del Settecento e ha profondo
influsso sugli autori delle generazioni successive, da Gluck a Cherubini. Lo
stesso giovane Mozart, che passa a Parigi col padre nel 1772 e vi risiede per
mesi assieme alla madre nel 1778, ha modo di assistere alla rappresentazione
di Castor et Pollux. Non si sa se conosca Zoroastre, ma lassonanza col nome
Sarastro, il mito delliniziazione, il conflitto fra bene e male, fra tenebra e
luce, insomma le tematiche massoniche fanno sospettare un legame neanche
tanto sotterraneo con Il flauto magico (1791). A sua volta, La serva padrona
continua il suo percorso trionfale. lunica opera mai dimenticata nel teatro
musicale di tutti i tempi. Nel Settecento fa germinare il teatro buffo di Piccinni, Paisiello, Cimarosa, ovviamente di Mozart e Rossini. Resta viva anche
quando lopera napoletana sfiorisce nellOttocento. Si rinnova e ispira nuovi
autori nel revival neoclassico del Novecento, Stravinskij per Pulcinella
(1920), ad esempio.
1749Zoroastre233
Ascolti
J.-P. Rameau, Zoroastre, C. Rousset, Les Talens Lyriques, Opus Arte 2008
J.-P. Rameau, Ouvertures from Operas, C. Rousset, Les Talens Lyriques 1997
Letture
A. DelDonna, P. Polzonetti (a cura di), The Cambridge Companion to Eighteenth Century
Opera, Cambridge University Press, Cambridge 2009
G. Morelli, Il morbo di Rameau, il Mulino, Bologna 1989
C. Girdlestone, Jean-Philippe Rameau: His Life and Work, Cassel & Co., London 1957
Fin quando non svelato, un enigma resta soltanto un groviglio di confusione e oscurit. E Larte della fuga (Die Kunst der Fuge) di Bach tuttora un
enigma irrisolto, nonostante un quarto di millennio di esegesi e interpretazioni. Non ne conosciamo il suono, cio la sostanza fisica, perch lautore
non lha mai voluto definire. Non destinata a esecuzione vocale, perch
manca qualsiasi testo dappoggio. Non pu che essere strumentale, per
aperta alle scelte dellinterprete: organo con pedale, doppia tastiera e quattro
mani, cinque archi solisti, complesso strumentale, orchestra piccola (o grande)? Vaghissima la costruzione: aggregato di tessere policrome in un mosaico casuale e non ragionato, cartone di un affresco incompiuto. Non un
testamento abbozzato a fine vita ma un insieme di appunti raccolti lungo un
decennio, anzi fin dalla fanciullezza, meditati a lungo e annotati con cura.
Comunque non c un testo definitivo, perch Larte della fuga incompiuta
per definizione.
Esiste un primo manoscritto, databile circa al 1742, con dieci fughe
(denominate contrappunti) e due canoni. Ledizione a stampa del 1751,
postuma, presenta varie modifiche allautografo e aggiunge due canoni, una
fuga completa e una incompleta, pi una variante del Contrappunto x e
una trascrizione per due strumenti a tastiera del Contrappunto a specchio
xiii. In pi troviamo una fantasia sul corale Wenn wir in hchsten Nten
sein. In mancanza di specifiche indicazioni di Bach, probabile che questi
inserimenti siano scelte autonome del curatore editoriale, linsegne teorico
e intellettuale illuminista Friedrich Wilhelm Marpurg. Lidea originale,
immaginiamo, un graduale passaggio dal semplice al complesso, ma la
coerente disposizione dei numeri iniziali porta al labirinto didee di quelli
finali. Bach parte da un omaggio al passato. Il tema che serve da fondamento per lintera Arte della fuga ha il passo severo dello stile antico, come in
Palestrina. Le tecniche polifoniche dei primi contrappunti rendono omaggio a Frescobaldi e Froberger: sono elaborazioni lineari del tema (i, ii) e del
suo rovescio (iii, iv). Con il Contrappunto v il tema cambia, anche se
resta ben riconoscibile e la tecnica di elaborazione accoglie artifici che ri-
mandano ai fiamminghi Ockeghem e Desprs: al tema originale si aggiungono e si sovrappongono sue varianti di diritto e di rovescio, distorte e
speculari, con durate aumentate e diminuite. Bach non dimentica il presente e rende un esplicito omaggio allo stile francese delle ouverture teatrali
alla maniera di Lully, con ritmo puntato e incedere pomposo (vi). La sezione centrale dellArte della fuga comunque un omaggio allo stile galante e
al gusto del divertimento, oltre che al virtuosismo spinto. Vezzosi e brillanti sono quasi tutti i contrappunti, con un momento magico nel ix, tanto
gaio e spumeggiante da parere una danza sullaia. La logica si aggroviglia
quando entrano nuovi soggetti e pi complicati artifici. I contrappunti-fughe a specchio (x, xii) possono essere eseguiti sia dallinizio alla fine sia
dalla fine allinizio, senza perdere sostanza e interesse. Ne esistono (nella
versione stampata) varianti per due tastiere, per con simmetrie distorte per
far posto al divertimento degli esecutori.
Sempre nella sezione centrale stanno i canoni, che sono quattro: due
nellautografo del 1742 pi due nello stampato del 1751. Nessuno studioso
stato in grado di assegnare loro un posto ragionevole nellimpianto dellArte della fuga. Perfino il loro ruolo funzionale incerto. Mentre quello ideale
(forse) pi chiaro. Il canone uno dei generi polifonici pi antichi e severi.
Bach lo sa bene e non perde occasione per ricordarlo. Luso che ne fa nelle
contemporanee Variazioni Goldberg ne testimonianza evidente. Ancora
pi esplicite sono le Variazioni canoniche sul corale Vom Himmel hoch, da
komm ich her, che meritano un discorso a parte. Perch si tratta dellultima
composizione per organo di Bach e lultima completata, in assoluto. La scrive nel 1747 come saggio di ammissione allassociazione fondata nel 1738 dal
medico, matematico, scrittore e teorico musicale Lorenz Christoph Mizler
con lo scopo di riunire personalit interessate a studiare la scienza della
musica. Durata fino al 1754, la societ conta fra i suoi membri musicisti del
calibro di Hndel e Telemann, di Gottfried Heinrich Stlzel e di Carl Heinrich Graun.
Mizler conosce Bach a Lipsia negli anni trenta e forse ne allievo. probabile che la latente passione di Bach per i numeri, e dunque lidea delle
pratiche combinatorie dellArte della fuga, sia esplosa proprio grazie ai contatti con Mizler. Si spiega cos la frequenza con cui il canone compare fra le
ultime composizioni di Bach: il Canon triplex del 1747 (sempre per Mizler)
accanto alla serie inserita nelle Variazioni Goldberg, agli infiniti passaggi canonici che troviamo nelle grandiose rielaborazioni dei corali giovanili riuniti
(in vista di pubblicazione) nel cosiddetto Autografo di Lipsia (dopo il 1740)
e nella terza parte del Clavierbung (1739). Per questultimo, Bach torna
dopo una lunga pausa al genere del preludio e fuga per organo, e lo fa con il
disegno architettonico pi ambizioso mai concepito: un ampio preludio
Bach il solo, fra i musicisti maggiori e minori di met Settecento, a occuparsi di musica in questo modo. Conosce benissimo il suo tempo perch
pi di ogni altro aggiornato su quanto succede in tutta Europa. Sa di Domenico Scarlatti a Madrid, di Pergolesi a Napoli, di Fux e Caldara a Vienna,
di Hasse a Dresda, di Rameau a Parigi, perfino di Hndel a Londra. Continua a fare il suo mestiere di Kantor a Lipsia e, libero da obblighi contingenti, ragiona sulla struttura della musica e sperimenta lungo la linea dombra
che separa larte dalla scienza. Ritrova nella polifonia il fondamento del linguaggio musicale e imposta un futuro: le speculazioni del Medioevo, le ragioni del Seicento, le luci del Settecento generano un impasto che lievita fra
gli individui dellOttocento e fiorisce nel Novecento irrazionale.
Limpatto dellArte della fuga subito forte. Non (ancora) sul grande
pubblico e neppure fra i partigiani dellinnocenza creativa, ma fra i grandi
della musica s. Subito ne viene stampata una nuova edizione, perch la
prima esaurita. Le tirature non sono alte, vero. Manca limmediato successo commerciale. Tuttavia le copie si diffondono nei maggiori centri
musicali e sono naturale oggetto di studio. A fine Settecento, a Londra,
Larte della fuga ispira Muzio Clementi. A Bonn e a Vienna, guidato da
Neefe e da Albrechtsberger, la studia Beethoven, ricavandone idee per i
suoi tanti contrappunti, in particolare quelli degli ultimi quartetti. A Parigi,
nel 1801 esce a stampa una nuova edizione, assieme al Clavicembalo ben
temperato. Ancora a Vienna, Carl Czerny, allievo di Beethoven e maestro di
Franz Liszt, ne prepara una versione per pianoforte. In Germania, Johannes Brahms si ispira al Contrappunto xiii per costruire il finale della sua
prima sonata per violoncello e pianoforte (1865). In Francia, Saint-Sans
tiene nel suo repertorio di concertista una versione (da lui completata)
dellultima fuga.
Nel Novecento arriva perfino il successo di pubblico, in sala da concerto,
grazie alla versione per orchestra di Wolfgang Graeser e alle varianti praticate da famosi direttori, cembalisti, organisti, complessi da camera. A Ferruccio Busoni si deve il pi ambizioso tentativo di completare lultima fuga,
la Fantasia contrappuntistica (1910) per due pianoforti. Igor Stravinskij rielabora per orchestra le Variazioni canoniche. Anton Webern frammenta in
microsegmenti, cio a modo suo, il Ricercare a 6 dellOfferta musicale. Bastano questi casi a illustrare il ruolo che le riflessioni dellultimo Bach, nellapparente isolamento di Lipsia, hanno avuto nella costruzione della musica del
futuro.
Ascolti
J.S. Bach, The Art of Fugue, Emerson Quartet, dg 2003
F. Busoni, Fantasia contrappuntistica, J. Ogdon, Continuum 1992
Letture
H.E. Dentler, LArte della fuga di Johann Sebastian Bach, Skira, Milano 2000
P. Schleuning, Johann Sebastian Bachs Kunst der Fuge, dtv-Brenreiter, MnchenKassel 1993
H.H. Eggebrecht, Bachs Kunst der Fuge, Piper, Mnchen 1983
Grazie alla musica rinasce la vita, racconta il mito di Orfeo. Solo la debolezza umana riporta lamore nellAde e condanna al tormento chi sopravvive. Il
finale tragico nellantica versione greca, fatta soltanto di parole e trasmessa
dal matematico e astronomo Eratostene: Euridice torna da Plutone, Orfeo
sbranato dalle Baccanti. Quando nel 1608 fonda il teatro musicale aggiungendo musica alle parole del mito di Orfeo, Claudio Monteverdi sceglie la
soluzione addolcita che il suo librettista Alessandro Striggio riprende da
Ovidio e Virgilio: rispedisce anche lui Euridice agli inferi, ma dona la vita al
musicista, portandolo sul monte Olimpo a consolarsi con il canto e a insegnare ai ragazzi (non alle ragazze) larte della musica. A met Settecento,
quand il momento di riformare un teatro musicale che perde lo spirito
originario, il mito esemplare resta, ma il finale diventa ancora pi dolce e la
musica compie un doppio miracolo: Euridice rinasce una seconda volta,
Orfeo viene perdonato, la coppia contenta si gode la vita. La ricerca della
felicit tanto cara agli illuministi trova il suo coronamento sulle scene dopera e un nuovo capitolo pu cominciare.
Nel libretto di Ranieri de Calzabigi la scelta del lieto fine funziona benissimo come trama narrativa che passa dalle tenebre alla luce. Quando si alza
il sipario, Euridice gi morta e tutti piangono assieme a Orfeo. Intermezzi
per danza separano le scene in cui il musico prima si lamenta, poi agisce:
incontra Caronte, si infila nellAde, affronta le Furie, convince Plutone, trova Euridice, la guida verso la luce, getta linfelice sguardo allindietro, perde
lamata, canta laria pi famosa (Che far senza Euridice), commuove gli
di con una musica nuova, ritrova Euridice, assieme tornano alla luce e alla
felicit. La musica si adegua al meccanismo drammatico: apre una pomposa
quanto generica ouverture, al balletto si aggiunge un coro sempre pi presente, inizia la serie di arie per Orfeo inteso come eroe del melodramma
settecentesco, dunque castrato. Si sente che il suo canto attento al senso
delle parole, che labuso dei gorgheggi limitato, che le improvvisazioni
sono abolite. Conta di pi il rapporto col coro: fa scuola il dialogo drammatico nel secondo atto fra il coro delle Furie sostenuto dagli ottoni e la flebile
voce di Orfeo appoggiata sulla sola arpa. Il numero minimo di cantanti solisti accelera i tempi narrativi. Il perfezionamento delle tecniche costruttive
degli strumenti consente maggiore controllo su intonazione e valorizzazione
dei timbri. Pertanto il canto trova uneco concertante con flauti, clarinetti,
oboi, perfino ottoni.
In fondo, anche nel suo lavoro pi famoso, Gluck si mantiene fedele alle
proprie origini di operista allitaliana, nel senso cosmopolita che vale per i
decenni centrali del Settecento. Scrive, infatti, una trentina di melodrammi
prima di quel fatidico 1762 in cui a Vienna debutta Orfeo ed Euridice. Nato
nella provincia tedesca, autodidatta in musica e studente di filosofia allUniversit di Praga, musico da camera del principe Lobkowitz a Vienna, nel
1735 Gluck trova la strada di operista alla scuola di Giovanni Battista Sammartini a Milano. La sua prima opera (Artaserse, 1741) nasce su libretto di
Metastasio. Nei quattro anni successivi scrive per i teatri di Torino e Venezia,
alla maniera degli ammirati Vivaldi e Caldara. A Londra dal 1745, conosce
Hndel e ne riprende lo stile operistico, ma le condizioni di mercato sono
cambiate e i suoi due melodrammi non hanno successo. Si aggrega a una
compagnia operistica di giro, con la quale attraversa la Germania. Tenta la
fortuna a Dresda, allora dominata dal divino sassone Johann Adolf Hasse.
Il quale Hasse, nativo di Amburgo e allievo del locale operista impresario
Keiser, dal 1724 apprende larte dellopera napoletana da Porpora e da Alessandro Scarlatti. Quattro anni dopo fa parte della compagnia che conquista
la piazza di Venezia, diventa direttore del conservatorio degli Incurabili e
costringe lo stesso Vivaldi ad aggiornare il suo linguaggio. Sposa la celebre
cantante Faustina Bordoni, gi stella di Hndel a Londra e nel 1733 si stabilisce alla corte di Dresda, dove resta trentanni e impone il melodramma
italiano, che promuove anche in tutta Europa grazie ai frequenti soggiorni a
Londra, Monaco, Parigi, oltre che nelle capitali italiane. Nel 1764 si trasferisce a Vienna e diventa compositore ufficiale della corte imperiale, della
quale Metastasio poeta cesareo. Il tedesco Hasse si afferma come il pi
famoso esponente della scuola operistica italiana a met Settecento, degno
erede dei napoletani Scarlatti, Porpora e Pergolesi, dei veneziani Legrenzi e
Vivaldi, del londinese Hndel. Vero cosmopolita, sa cogliere i cambiamenti
di umore del pubblico, semplifica le trame, alleggerisce le forzature virtuosistiche, si appoggia ai versi classici di Metastasio, del quale mette in musica
ben 26 dei suoi 28 libretti. La straordinaria fortuna di allora tramonta presto
ma Didone abbandonata (1742) e Piramo e Tisbe (1768) si rappresentano
tuttora e non mancano registrazioni integrali o parziali di Artaserse (tre versioni: 1730, 1740, 1760), Cleofide (1731), LOlimpiade (1756). Hasse non si
limita al teatro: ai suoi circa 100 melodrammi va aggiunta una gran quantit
di lavori sacri nei generi pi vari, dagli oratori alle messe ai salmi e ai vesperi.
cista Gluck discutono in dettaglio il rapporto fra parole e note, fra azione
drammatica e dimensione sonora.
Gluck capisce la portata del progetto e si adegua volentieri, forte dellesperienza maturata nei luoghi che contano. Prosciuga la scrittura e fa tesoro
dei luoghi comuni che sanno arrivare al cuore degli ascoltatori. Sa che leccesso di virtuosismo stanca il pubblico, come verifica nella Londra posthandeliana. Valorizza gli strumenti a fiato che in quegli anni vengono perfezionati e resi affidabili. Salta il recitativo secco, per voce sola e clavicembalo, e
lo sostituisce con quello accompagnato dallorchestra. Larpa suggerisce la
cetra di Orfeo. Resta comunque una buona continuit col passato. Laria di
Amore del primo atto non manca di ripetizioni e fioriture. Il protagonista
ancora un castrato, nello specifico leccellente Gaetano Guadagni specializzatosi a Londra anche nel teatro di Shakespeare.
Le tante innovazioni non hanno effetto immediato e tutto continua come
prima. Gluck parte per Bologna, dove si rappresenta una sua nuova opera su
libretto di Metastasio. Visita Venezia, va a Parma per ascoltare Catone in
Utica ancora di Metastasio e musica di Johann Christian Bach. Salta il viaggio
a Parigi per nuovi progetti. Torna a Vienna per una ripresa di Orfeo e per una
nuova opera, che solo in parte assorbe la riforma: La Rencontre imprvue
(1764) un curioso collage di arie che diventa (anche nella versione parigina
intitolata I pellegrini alla Mecca) il lavoro pi popolare di Gluck, fiero concorrente sulle scene europee di fine Settecento del mozartiano Ratto dal
serraglio che a esso sispira, non ultimo per le turcherie di ambientazione e
di musica. A Vienna continua il dominio dellopera allitaliana e proprio nel
1764 soffia vento di restaurazione. Cambiano i poteri a corte, si riducono le
risorse, Durazzo deve dimettersi, da Dresda arriva il vecchio Hasse. Gluck
non ha successo con il nuovo balletto Semiramide (1765) con coreografie di
Angiolini. Non vanno bene le nuove cose dimpianto metastasiano e lui viaggia per alcune riprese estere di Orfeo.
Soltanto attorno al 1766 Gluck riallaccia la collaborazione con Calzabigi
e nasce Alceste, lopera che riprende in modo deciso lo spirito della riforma.
Le scelte sono pi radicali che in Orfeo. In una celebre prefazione alla partitura a stampa, Gluck (ma il testo probabilmente scritto da Calzabigi) teorizza la necessit di unouverture che anticipi i contenuti del dramma, condanna i capricci dei cantanti e la debolezza degli autori, auspica emozioni
forti ma sobrie, vuole rispetto per forme e simmetrie, esige integrazione fra
voci e orchestra, soprattutto coerenza fra musica e poesia. Sono i princpi
che applica in Alceste: grande ouverture, cori tanto efficaci quanto elementari, melodie pulite al punto da sembrare popolari, tanti colori per lorchestra. La prima rappresentazione (Vienna, 1767) accolta bene, ma non tanto
da stimolare repliche immediate. Passano altri tre anni prima che Gluck e
Ascolti
C.W. Gluck, Orfeo ed Euridice, J.E. Gardiner, Monteverdi Choir, Philips 1991
C.W. Gluck, Alceste, Gardiner, Monteverdi Choir, Philips 2002
C.W. Gluck, Les Plerins de la Mecque, J.E. Gardiner, Lyon Opera, Erato 1991
Letture
P. Howard, Gluck, Oxford University Press, Oxford 1995
P. Gallarati, Gluck e Mozart, Einaudi, Torino 1975
Descrittivismo orchestrale Nascita della sinfonia Sammartini a Milano Mannheim Stamitz Il Concert Spirituel di Parigi C.P.E. Bach ad Amburgo J.C. Bach a
Londra Haydn ad Eisenstadt Sturm und Drang Stagioni dopera
Un breve crescendo (sei battute), nellAdagio che precede il primo movimento, suggerisce il sorgere del sole nella Sinfonia n. 6 detta Le Matin. Nella
successiva Sinfonia n. 7, il sottotitolo Le Midi viene dal passaggio posto fra
primo e secondo movimento, affidato al violino solo in dialogo col resto
dellorchestra, memore dei modi con cui Vivaldi rappresenta la canicola
dellestate nellomonimo concerto delle Quattro stagioni. Il picchiettare degli archi, le fulminee discese del violino solo, il tuono degli ottoni e il titolo
autografo La tempesta portano un nubifragio serale nel finale della Sinfonia n. 8 Le Soir. Probabile che sia lo stesso Haydn a dare i titoli alla terna
sinfonica con la quale esordisce nel 1761 da direttore delleccellente orchestra personale del ricchissimo principe Anton Esterhzy nella sua residenza
di campagna di Eisenstadt, a sud di Vienna.
La pratica di dare un titolo descrittivo a un lavoro strumentale di uso
frequente da quando, nel Seicento, la musica in grado di comunicare con
il suo linguaggio autonomo, rinunciando al supporto delle parole. Di rado
per, anzi quasi mai, il solo ascolto riesce a cogliere il senso extramusicale
che pu aver ispirato il compositore. Non succede nel Vivaldi delle Quattro
stagioni per esempio: senza i sonetti disposti nei punti critici, sfuggirebbero
le implicazioni descrittive, ma rimarrebbe gradevolissimo lascolto. Succede
ancor meno con i titoli che accompagnano (30 volte su 104) le sinfonie di
Haydn. Sono invece evidenti, gi in questa terna giovanile, le soluzioni musicali che portano alla nascita del linguaggio sinfonico moderno e al distacco
dalle forme del passato. Distacco che molto graduale. Nella sinfonia Le
Matin si nota ancora la distinzione fra il tutti e concertino, alla maniera del
concerto grosso secentesco di Corelli: violino, violoncello e violone (contrabbasso) fanno da concertino di solisti; il tutti dellorchestra sostenuto
dal basso continuo del clavicembalo. Funziona cos nei movimenti veloci
posti agli estremi, e anche nel cantabile secondo movimento. Il Minuetto
diventa una presenza stabile, in terza posizione. Nella sinfonia Le Midi pesa
il modello sviluppato da Vivaldi a inizio Settecento, con due violini solisti nel
del boemo Johann Stamitz, diventa il punto di riferimento della nuova musica strumentale. Forte di una cinquantina di elementi scritturati da tutta
Europa e con eccellenti strumentisti nella crescente sezione dei fiati, ha tecnica e disciplina incomparabile ed alimentata da un gruppo di autori di
grande rilievo. Lo stesso direttore Stamitz scrive su misura per la propria
orchestra ben 67 sinfonie in cui il modello milanese si cristallizza nella struttura classica che conosciamo. In particolare, il primo movimento organizzato in tre parti (a-b-a). La sempre pi articolata sezione centrale di sviluppo (b) viene dopo lesposizione (a) di un materiale contrastante e prima
del riepilogo (b, riesposizione o ripresa) che chiude. I timbri caratteristici dei tanti strumenti, i crescendi che spaziano da impalpabili pianissimo a
fragorosi fortissimo, le continue modulazioni a tonalit lontane, il ritmo veloce, la precisione dellesecuzione incantano il pubblico del luogo e i tanti
visitatori richiamati dalleccezionalit degli eventi. Si forma un repertorio
sterminato di sinfonie scritte dagli stessi strumentisti dellorchestra: Ignaz
Holzbauer (almeno 160 sinfonie), Franz Xaver Richter (pi di 100), Karl
Joseph Toeschi (circa 90), Christian Cannabich (circa 80). Mozart abbagliato dalla bravura dellinsieme quando, ragazzo, nel 1763 e quando ventenne, passa per Mannheim e vi si ferma per quattro mesi, nellinverno 1777-78.
Spera di aggregarsi, non trova spazio, deve continuare verso Parigi.
Stamitz e Sammartini sono attivi pure a Parigi, omogenei alla tradizione
del Concert Spirituel, una stagione di concerti inaugurata nel 1725 con lidea
di offrire musica a pagamento a un pubblico di piccola aristocrazia e facoltosa borghesia, senza dipendere dalla corte. La formula della sinfonia funziona. Porta al successo immediato anche quella rivisitazione del concerto
grosso che la sinfonia concertante, un ibrido che mette in luce sia labilit dei singoli esecutori sia la forza dellinsieme. Fra i solisti cominciano a
prevalere gli strumenti a fiato, forti dei recenti miglioramenti costruttivi:
flauto, oboe, fagotto, corno si aggiungono in modo stabile ai tradizionali
violini, viola, violoncello. Proveniente da Milano, Johann Christian Bach
introduce i nuovi generi a Londra (scrive una sessantina di sinfonie, una
dozzina per doppia orchestra, 15 concertanti) inserendoli nei programmi
delle stagioni di concerti pubblici a pagamento che, fra 1765 e 1781, organizza con il collega tedesco Karl Friedrich Abel. Ancora una volta incantando il giovane Mozart, per quindici mesi residente a Londra col padre fra il
1765 e il 1766, dopo essere stato conquistato a Parigi dal Concert Spirituel.
Trasferito da Berlino ad Amburgo, scrive sinfonie pure Carl Philipp
Emanuel Bach, il fratello maggiore di Johann Christian. A Vienna il modello
italiano arriva attorno agli anni cinquanta, in forma di manoscritti dallItalia
o di parti stampate a Parigi. Lo adottano in tanti, compreso il giovane
Haydn, che tuttavia sempre negher di aver imparato da Sammartini, salvo
Lorchestra di Haydn ha una base con due oboi, un fagotto e due corni
oltre a quattro sezioni di archi (due di violini, una di viole, una di violoncelli e bassi). Talvolta ha un flauto e magari altri due corni (n. 31 e n. 72, 1767)
da spingere verso lacuto per imitare squilli di tromba, come quando celebra
la visita dellimperatrice Maria Teresa (n. 48, 1773). Di rado chiede una
tromba vera, ma ce ne sono due nella sinfonia n. 56 (1774). Gran fortuna ha
subito la sinfonia Imperiale (n. 53, 1775) con ampio organico sostenuto dai
timpani. Gli altri fiati in legno sono sostituiti con due corni inglesi per dare
severit alla sinfonia detta Il filosofo (n. 22, 1764). Il laboratorio sinfonico
continua con la sperimentazione sulle tonalit, che si spingono oltre quelle
normali (do, re, fa, sol) per toccare il lontano fa diesis minore della Sinfonia
degli addii. Particolare importanza ha la scelta del modo minore, applicato
tutte le volte che Haydn cerca di forzare le emozioni. Contiamo sette sinfonie
in tonalit minore scritte in quel periodo, fra le quali appunto la Sinfonia
degli addii (n. 45), la Funebre (n. 44, 1772), La Passione (n. 49, 1768).
Le drammatiche sinfonie in modo minore collocano Haydn, assieme a
Carl Philipp Emanuel Bach, fra i primi artisti che hanno lo spirito dello
Sturm und Drang. Infatti, sono i musicisti che anticipano lomonima corrente preromantica, non i letterati Johann Wolfgang Goethe (I dolori del giovane
Werther, 1774), Maximilian Klinger (Wirrwarr, 1776), Friedrich Schiller (I
masnadieri, 1781). Lattenzione di Haydn per la sinfonia, tuttavia, sfuma nel
1773, quando esplode la passione per il teatro musicale del suo signore Anton Esterhzy. Un nuovo teatro per marionette si aggiunge a quello dopera,
attivo nel nuovo castello di Esterhza da ormai cinque anni con stabile compagnia di canto e regolari rappresentazioni dirette da Haydn di lavori di
Gluck, Cimarosa, Piccinni, Paisiello. Forse spinto dal principe, forse seguendo il suo estro, Haydn si dedica allopera italiana, compone lavori di eccellente fattura su libretti di Goldoni. Continuano la sua produzione da camera
e la sacra, ma soffre quella sinfonica. Anzi, le successive sinfonie di Haydn
nascono per altre orchestre (tedesche, francesi, inglesi) ingolosite dal successo di pubblico ottenuto eseguendo i lavori precedenti, arrivati manoscritti o
a stampa fin dai primi anni settanta.
Pur essendo solo putativo, Haydn ormai considerato il padre della sinfonia classica. Suggerisce innovazioni alla formula praticata dalla seconda
generazione di compositori della scuola di Mannheim, capitanata da Karl
Ditters von Dittersdorf. Spiana la via allallievo e poi suo concorrente Ignaz
Pleyel. Ispira Boccherini, violoncellista a Madrid dopo essersi fatto le ossa
con Sammartini, che in trentanni (1769-99) scrive una trentina di sinfonie,
fra le quali ha gran successo La casa del diavolo, nella tragica tonalit di re
minore e con finale in forma di ciaccona alla maniera di Gluck. soprattutto Haydn a diventare successore di se stesso con le nove sinfonie scritte per
Parigi negli anni ottanta e le dodici per Londra, negli anni novanta. La ricaduta su Mozart e Beethoven immediata, con influenza decisiva che attraversa lOttocento e arriva fino a tutto il Novecento, con gli omaggi della
sinfonia desordio (Classica) di Sergej Prokofev.
Ascolti
F.J. Haydn, Symphonies 6-8, R. Goodman, The Hanover Band, Helios 1991
F.J. Haydn, Symphonies, A. Dorati, Philharmonia Hungarica, Decca 2009
K. Ditters von Dittersdorf, 6 Symphonies after Ovidios, Shepherd, Cantilena, Condos
1992
Haydn Edition, Brilliant 2008
Letture
C. Rosen, Le forme sonata, Feltrinelli, Milano 1986
H.C. Robbins Landon, Haydn. Vita e opere, Rusconi, Milano 1988
Il primo movimento del Quartetto in si minore op. 33 n. 1 di Haydn costruito su un unico motivo, che non neppure una vera e propria melodia.
Il secondo motivo, cio laltro polo dialogico, soltanto una sua variante,
che rischiara lambiguit dellattacco in si minore passando a un conclamato re maggiore. Non arrivano altri motivi. Per lintera durata di questo
Allegro moderato, il discorso musicale procede attorno al suo unico tema, si muove da un ambito armonico a un altro, cambia registri e strumenti,
gioca sui dettagli e mantiene una rotta sicura. Si riconoscono bene le tre
sezioni ormai canoniche di un primo movimento esposizione, sviluppo,
ripresa (aba) ma la scrittura di Haydn talmente agile e variata che la
conclusione arriva quasi allimprovviso. Il secondo movimento sintitola
Scherzo, con lidea di vivacizzare il manierato minuetto con il piglio deciso di una danza rusticana. Seguono un movimento lento Andante e un
vivacissimo Presto. Sembra un normale quartetto per archi, scritto secondo modelli allora popolari. Invece le innovazioni sono tante, proposte e
sviluppate negli altri cinque quartetti che Haydn fa pubblicare a due diversi editori nella primavera del 1782. Il compositore ha ragione quando offre
i nuovi lavori sostenendo che sono scritti in un modo alquanto nuovo e
assai speciale.
Nei Quartetti op. 33, il primo tempo costruito su una sola idea e sulle
sue potenzialit armoniche e ritmiche, non melodiche. Come succede in
parte nella serie di quartetti precedenti, pubblicata nel 1772 come op. 20.
Inoltre, e per la prima volta in quartetto, il minuetto tradizionale sostituito
da uno scherzo, secondo una pratica che Haydn gi sperimenta in altra musica da camera e per orchestra. Da qui il sottotitolo Gli scherzi che di regola
accompagna lop. 33. I movimenti lenti hanno cantabilit distesa ma di rado
scadono nel patetico. Sono frequenti gli accenti di provenienza operistica,
per ricordare che in quegli anni Haydn scrive molte opere buffe, alla maniera italiana, per il teatro del castello del principe Anton Esterhzy. Vivaci e
pieni di brio sono i finali, esempi concreti del carattere umoristico che si attribuisce a tutta la musica di Haydn.
Ancora pi radicali sono le innovazioni rispetto alle prime esperienze,
risalenti al 1757, quando Haydn fa stampare come op. 1 una serie di sei lavori per due violini, viola e violoncello, che non chiama ancora quartetti ma
divertimenti. Il successo immediato e subito esce una nuova serie (op. 2)
e unaltra (op. 4) che per sono riduzioni per i soli quattro strumenti del
quartetto di cinque sinfonie e un divertimento per orchestra, sempre di
Haydn. Diversa la vicenda dellop. 3, ora attribuita al monaco Romanus
Hoffstetter, vero autore del celebre Quartetto della serenata, a lungo creduto
il primo capolavoro della letteratura quartettistica, con firma di Haydn.
Qualche diritto alla paternit del genere quartetto pu essere rivendicato da
Franz Xaver Richter: un suo quartetto sarebbe stato eseguito nellinverno
1756-57, stando alla testimonianza di un altro quartettista della prima ora
come Karl Ditters von Dittersdorf. Nellattivissimo ambiente editoriale parigino escono, fra 1761 e 1770, sempre in gruppi di sei, i quartetti op. 2, op.
8 e op. 9 di Luigi Boccherini.
In quei tempi la terminologia confusa e poco distingue fra le musiche
con strumento a fiato per laria aperta di giorno (divertimento e cassazione) e di notte (serenata e notturno), e quelle per soli archi fra le mura
domestiche (appunto quartetto). Il genere quartetto ha subito maggiore
prestigio e fortuna perch la sua combinazione strumentale efficace: i quattro archi sono molto diffusi e coprono per intero le parti di soprano, contralto, tenore e basso della scrittura a quattro voci teorizzata da Rameau e praticata da Johann Sebastian Bach. I quattro archi riassumono tutte le possibilit armoniche e melodiche (mancano soltanto quelle timbriche) della musica
strumentale e permettono cos, a met Settecento, la nascita della moderna
musica da camera. Diventa possibile adattare, e portare dentro un salotto
borghese, le sinfonie scritte per le orchestre dei saloni aristocratici e dei
grandi spazi pubblici. Aggiungendo pochi altri archi, integrando con qualche strumento a fiato (flauto, oboe, fagotto, corno, clarinetto) secondo la
disponibilit, si arricchisce il timbro. Si formano quintetti, sestetti, ottetti
con gli organici pi vari, maggiore numero (da cinque a dieci) di movimenti,
fantasiosa nomenclatura. Sono serenate e divertimenti per archi e fiati da
suonare in casa; cassazioni per soli fiati destinate a piazze, strade e cortili,
feste, cerimonie e banchetti. Si sviluppa velocissimo un mercato di musica
per complessi di dilettanti pi o meno bravi, residenti non solo nelle capitali dotate dimportanti orchestre stabili, ma anche in periferia, per la gioia
degli stampatori di musica parigini, londinesi, olandesi, tedeschi (con gli
italiani ormai marginali). Si tratta spesso di trascrizioni di brani favoriti di
opere teatrali, ma anche di lavori originali, talvolta di notevole valore.
mento, che non pi un minuetto: il ritmo pi marcato, un minimo di accelerazione, la maggiore escursione dinamica suggeriscono il nuovo titolo
Scherzo e inaugurano una tradizione che andr da Beethoven ad Anton
Bruckner. Varia e funzionale la scelta dei finali, sempre vivacissimi e costruiti ora come rond in cinque sezioni abaca (n. 2, 3, 4), ora come tema con
variazioni (n. 5 e 6), oltre che come sonata tripartita aba (n. 1).
La nuova veste del quartetto piace anche allarciduca russo Paolo
Petrovi, destinato a diventare zar, in visita a Vienna (1782). Haydn gli gira
la dedica dellop. 33 e inizia una serie di commissioni russe che non solo
coinvolger lui stesso ma anche il miglior Beethoven. Sul piano artistico,
dallop. 33 Mozart a ricevere limpatto pi forte. Gli si aprono orizzonti
sconosciuti. Decide di riprendere un genere che anche lui trascura da quasi
dieci anni e di rinnovare il proprio linguaggio proprio sulla piattaforma stilistica di Haydn. Limpresa si rivela molto pi ardua del previsto e Mozart
impiega almeno tre anni per portarla a termine. Pubblicher i suoi primi
veri quartetti nel 1785, giustamente dedicandoli al demiurgo Haydn.
Ascolti
F.J. Haydn, String Quartets op. 33, Quatuor Mosaiques, Nave Astree 2000
F.J. Haydn, Complete String Quartets, Angeles Quartet, Decca 2012
G. Boccherini, Quartets op. 32, Esterhzy Quartet, Warner 2006
Letture
P. Griffiths, The String Quartet: A History, Thames and Hudson, London 1985
R. Stowell, Companion to the String Quartet, Cambridge University Press, Cambridge
2003
J. Keller, Chamber Music, Oxford University Press, Oxford 2010
Turcherie musicali La dinamica del pianoforte Cristofori Un secolo di sviluppo tecnologico Mozart pianista
Sonate Il confronto con Clementi Pianoforte e orchestra Primi concerti pubblici a Vienna Preludio a
Beethoven
Sfilano con passo cadenzato, come vuole la regola militare. Accentuano la
scansione con colpi di tamburo e di grancassa. Alleggeriscono il rigore con
squilli di fanfara, trilli di ottavini, assoli di flauti. Provocano frizioni metalliche di alabarde e scimitarre, tintinnare di campanelli e sonagliere. Hanno un
suono inconfondibile, i giannizzeri: militari dellimpero ottomano scelti per
scortare le autorit e assicurare lordine pubblico nelle citt occupate. Quando passano, fanno un rumore che nellEuropa del Settecento familiare,
anzi gradevole dopo che il pericolo reale dinvasione turca sventato in
modo definitivo con il fallimento dellassedio di Vienna nel 1683. Da cento
anni c coesistenza. Le turcherie fanno parte dello spettacolo, portano
quel tocco di esotismo che affascina la cultura razionale dellet dei lumi, da
Vienna a Parigi, da Berlino a Londra. Danno sapore ai formalismi che il
tempo delle galanterie e del ritorno alla classicit tende a cristallizzare.
La pi bella traduzione musicale di quel suono fra lesotico e il cosmopolita sta nellouverture per Il ratto dal serraglio, lopera teatrale che d immediato successo a Mozart impiantato come libero artista a Vienna, capitale di
frontiera con limpero turco. Pur senza la variopinta tavolozza dellorchestra, quel suono risplende anche sulla tastiera bianconera del nuovo strumento col forte e col piano, che sta vincendo la sua cinquantennale guerra
con il vecchio clavicembalo. Succede nel celeberrimo finale della Sonata in
la maggiore K 331 che Mozart scrive a Vienna nel 1783 (e non a Parigi nel
1778 come a lungo si pensato). Gi il sottotitolo (originale) Rond alla
turca segnala la fonte dispirazione. La musica ne traduce perfettamente lo
spirito, con quel tanto dironia che distingue una banale trascrizione da una
fine reinvenzione. A un primo episodio leggero (pifferi?) ne segue un secondo pi robusto (ottoni?). Dopo la ripetizione di entrambi gli episodi, ecco il
terzo: una vivace doppia improvvisazione per solista (ottavino?) su un basso
che si limita a scandire il passo. Tornano i due episodi iniziali e una festosa
coda a colpi di tamburo congeda la banda. Il costume turco serve a dare
colore al classico modello del rond, fissato in musica fin dal Seicento e
re, finito in parit incerta: Mozart sembra faticare ad ammettere che la tecnica esecutiva del rivale migliore della sua. Attorno al 1783 nasce la famosa
quaterna K 330-333. A spiccare appunto la K 331, che per non una sonata classica. Mantiene i tre movimenti, con rond finale e minuetto centrale. Il primo movimento per un tema con variazioni, che riassume lesperienza maturata nel genere, vive di contrasti fra modo maggiore e minore, ma
ancor pi di mutazioni timbriche che fanno pensare al suono delle varie famiglie orchestrali. Come appunto succede nel festoso finale alla turca.
Le altre tre sonate hanno un primo movimento di tipo tradizionale, ancora galante e classico, con due temi disposti sui poli della scala musicale moderna, secondo la teoria armonica elaborata da Rameau e la pratica musicale
messa a punto da Carl Philipp Emanuel Bach. In quel 1783 Mozart scopre
che si pu far fortuna organizzando concerti pubblici in cui esibirsi come
solista e direttore. Riduce il suo impegno sul fortepiano solo, anche se le sue
ultime cinque sonate (K 457, 533, 545, 570, 576) e quattro serie di variazioni
(K 455, 500, 573, 613), disposte fra 1784 e 1791, mostrano una ricerca sulla
timbrica e sullarmonia del nuovo strumento che scavalcano il futuro immediato (Haydn, Beethoven) e portano direttamente a Schubert e, pi in l, agli
impressionisti francesi di primo Novecento. Nello stesso tempo c come un
ritorno al passato polifonico per superare la formula che vuole la mano destra che canta e quella sinistra che accompagna (K 533/494 e K 576). Levoluzione della sonata segue invece altri percorsi, grazie al pianista/musicista
Haydn, al pianista/affarista Clementi e ai loro tanti e variegati allievi. Fra i
quali giganteggia Beethoven.
Ascolti
W.A. Mozart, Piano sonatas, M. Perahia, Sony 1992
W.A. Mozart, Complete Piano Sonatas, M. Uchida, Philips 1991
M. Clementi, Piano Sonatas, N. Demidenko, Hyperion 2010
Letture
H.C. Robbins Landon, The Mozart Compendium, Schirmer, London 1990
S. Sadie, Mozart. Gli anni salisburghesi. 1756-1781, Bompiani, Milano 2006
R. Gutman, Mozart, Secker and Marburg, Harvest Book, London 1999
P. Rattalino, Da Clementi a Pollini, Ricordi-Giunti, Milano-Firenze 1983
Dissonanze striscianti Dedica a Haydn Sei pezzi sperimentali e differenti Frutto di una lunga, e laboriosa fatica Difficolt a trovare nuovi sviluppi I quartetti per
il re violoncellista Eredit per Haydn e Beethoven
I quattro strumenti entrano nellordine che va dal basso allacuto. Il violoncello ribatte un do grave. Si sovrappone prima la viola, poi il secondo violino,
infine il primo violino, ciascuno con note tenute, diverse fra loro e che comunque non appartengono alla scala di do maggiore che dovrebbe fare da
impianto a tutto il movimento. Sono note che suggeriscono altre scale, altri
modi. Si aggiungono nuove note e nuovi accordi, nessuno dei quali risolutivo. Il disegno si complica quando anche il violoncello esce dalla sua fissit
ripetitiva e si unisce agli altri strumenti nel sofferto arrampicarsi su una
strada in salita. Si procede a tentoni, con movimenti lenti e incerti, con urti
continui, cio dissonanze che generano altre dissonanze, mentre non si vede
la meta, cio la luce tranquillizzante della consonanza. Non sono per dissonanze secche che fanno sobbalzare lascoltatore e ne destano lattenzione,
alla maniera di Haydn. Sono dissonanze striscianti, a loro modo ovattate da
una dinamica che preferisce il piano, cresce fino al forte, evita il fortissimo;
dissonanze ammorbidite da una scrittura che quasi nasconde le note stridenti in registri strumentali distanti. Ne esce quel senso di sospensione emotiva
che segna tutta la produzione del Mozart viennese.
Il nirvana informale dura 22 battute, da un minuto e mezzo a poco pi
di due minuti, secondo gli interpreti. Si arresta su una pausa senza tempo,
su unaltra ancora. Finalmente scatta il primo movimento vero e proprio, un
Allegro, in affermativo do maggiore, che ha lormai consueta articolazione in tre sezioni distinte, cio esposizione-sviluppo-ripresa con una breve
coda aggiunta. Per lintroduzione lenta non passata invano. Seguendo
linsegnamento di Haydn, il materiale dellAdagio serve come base per la
costruzione dellAllegro, che monotematico perch le sue due melodie
principali hanno origine comune. Gli incisi cromatici che prima circolano
esitanti, ora sono affermativi e generano nuove melodie. Le note basse e ribattute del violoncello scorrono in tutti i registri dei quattro strumenti. Sono la cellula che unifica lintero organismo. Troviamo quella cellula anche
nei movimenti successivi, a rendere la struttura pi compatta, anzi circolare,
alla maniera di future architetture ottocentesche. La cura del timbro sem-
pre assoluta, certificata dal gioco in eco fra primo violino e violoncello di un
Andante cantabile costruito con il principio opposto rispetto allAllegro: disegno semplice, senza sviluppi, con materiale melodico perfino sovrabbondante. Il Minuetto riprende le tensioni armoniche del
primo tempo e il trio introduce accenti di passione. Il finale non ha la sfrenata allegria di Haydn, ma una gaiezza trattenuta. Mozart si mantiene fedele al sottile filo di ambiguit che mette in ogni sua produzione matura, non
solo nel quartetto.
Il Quartetto in do maggiore K 465 corona la serie dei sei quartetti di Mozart pubblicati a Vienna nel 1785 come op. 10. Sono il frutto di una lunga,
e laboriosa fatica, ammette lautore nella famosa dedica a Haydn, maestro
riconosciuto. Prima di imbattersi nei sei quartetti che Haydn pubblica nel
1782 come op. 33, Mozart non mostra particolare interesse per il genere. Gli
undici divertimenti/quartetti che scrive fra 1770 e 1773 seguono gli esempi
pionieristici della scuola milanese prima e di quella viennese poi. Sfogliando
le nuove pagine dellop. 33 di Haydn, Mozart scopre che melodie, ritmi e
timbri possono scorrere sui quattro strumenti trattati alla pari, secondo un
disegno che insieme fantasioso e razionale. Inizia subito a prendere appunti. Non sa ancora che la realizzazione del progetto richieder ben tre anni,
anche se la sua intenzione non innovare ma solo capire. I sei quartetti sono,
infatti, ottime imitazioni, perch architettura complessiva, articolazione
interna, scrittura e durata sono haydniane in senso assoluto. La mano di Mozart si riconosce nel modo con cui sono trattati melodia, armonia e timbro,
cio gli elementi del materiale sonoro che hanno maggiori implicazioni sui
contenuti emotivi. Infatti, molto pi che nella forma, i sei quartetti si differenziano fra loro nel carattere. Ciascuno merita infatti una lettura speciale.
Proprio perch il pi vicino nel tempo ai modelli di Haydn, il primo
quartetto (K 387) il pi attento ai valori formali. Le 3+3 note con cui parte
lAllegro vivace assai sono la cellula base dellintero quartetto. Generano
il secondo tema, le relazioni armoniche, gli incisi utili per la densa elaborazione del primo movimento. Servono a costruire un Minuetto, che gi
uno Scherzo. Fanno dellAndante cantabile una ricca serie di variazioni
su una melodia principale che associa controcanti sparsi fra le voci medie e
basse. Rendono il Molto allegro finale una delle pi geniali costruzioni
polifoniche di Mozart, che per spirito e tecnica anticipa il finale della Sinfonia Jupiter K 551.
Il secondo quartetto della serie (K 421), lunico in tonalit minore, uno
dei lavori pi dolorosi di Mozart, anche se concede pochi appigli a chi
cerca contenuti extramusicali. Lartista si esprime con un pudore che filtra
appena dallarchitettura classica. Il pathos del primo movimento, breve e
intenso, viene dai salti del primo tema e dallagitazione del secondo. un
motto di tre note ripetute che risuona anche nei movimenti successivi. Quelle tre note diventano il ritmo che rende inquieta la vena preromantica dellAndante. Il motto incombente fa del Minuetto quasi uno Scherzo
romantico-beethoveniano. Chiude un tema con quattro variazioni e coda, su
una melodia malinconica al ritmo di siciliana, una danza dolce e triste. Lemozione culmina con tre ripetizioni finali, in un tragico re minore. evidente lanalogia con il Quartetto La morte e la fanciulla (1824) di Franz Schubert, pure in re minore e percorso dal suo inciso famoso, il Tema della
morte.
Il terzo quartetto (K 428) ha il pregio della concisione e della linearit,
con qualche presagio romantico nella melodia piccola e sognante del movimento lento, i cui quieti cromatismi sono leggibili come anticipazione/legittimazione di Tristano e Isotta di Wagner. il quartetto pi leggero della
serie, senza la carica drammatica del precedente o la complessit strutturale
dei successivi. Contano (forse) i tempi di realizzazione: poche settimane
dopo il K 421, comunque prima del luglio 1783. Tanta velocit subito
compensata dalla straordinaria lentezza di elaborazione del quartetto successivo (K 458), che ha una storia di abbozzi, varianti e limature distribuita
su ben due anni. La stesura inizia nella primavera o nellestate del 1783 e finisce solo nella seconda met del 1784, dopo vari tentativi andati a vuoto.
tuttavia il quartetto pi popolare, forse solo per il bel sottotitolo (apocrifo)
La caccia, tradizionale corollario della fanfara con cui attaccano i violini e del
generale clima di aria aperta che si respira nel primo movimento. Il Menuetto, a differenza degli altri della serie, ha una regolare frase di otto battute con accenti che gli danno una gustosa asimmetria (5+3); il trio centrale
ancora pi lieve, immaginato per i salotti e non per le aie. La melodia, risparmiata nel primo tempo, dilaga negli ultimi due. Lampio Adagio torna
allantico, con il primo violino che canta una melodia sentimentale, mentre
gli altri strumenti lo accompagnano quieti. Il finale Allegro assai ha ben
tre temi distinti: i primi due, popolareschi, sono appannaggio dei violini; il
terzo, melodico, si distribuisce su tutti gli strumenti. Lo sviluppo breve, la
coda succinta, il carattere gaio e festoso. I lunghi tempi di composizione
sono tanto ben dissimulati che solo la moderna musicologia, analizzando la
carta dellautografo, riuscita a portarli allo scoperto.
Le cose non vanno meglio con il quinto quartetto (K 464), finito il 10
gennaio 1785, il pi duro in assoluto, almeno a giudicare dalla massa di correzioni e varianti. forse il meno popolare della serie ma anche quello che
Beethoven ama di pi: copia di proprio pugno lintero finale e varie volte ne
riprende la tecnica di costruzione. A destare la sua ammirazione forse il
finale monotematico, fondato su un breve motivo cromatico discendente e
su una sua permutazione; non c melodia e lesposizione diventa subito
sviluppo. Il motivo passa in tutti i registri di tutti gli strumenti, con varianti
e metamorfosi continue. il principio che Beethoven adotter in molti suoi
lavori maturi, compresa la Quinta sinfonia. Nella costruzione musicale il
tocco mozartiano ben presente anche negli altri movimenti. LAllegro
iniziale un dialogo continuo fra gli strumenti, con un geniale sviluppo in
polifonia a quattro voci che ammorbidisce le spigolature armoniche. Il contrappunto regge pure il successivo Menuetto, il cui trio ha laustera cantabilit che troveremo spesso in Beethoven. LAndante lunico movimento
lento costruito in forma di variazioni tradizionali, su un tema cantabile e
sempre riconoscibile, pur con armonie diverse e timbri che mutano passando da uno strumento allaltro fino a chiudere col piglio militaresco del violoncello che suona come un tamburo.
Il sesto e ultimo quartetto (K 465) Delle dissonanze viene completato
quattro giorni dopo il quinto, il 14 gennaio 1785, ma il lavoro preparatorio
inizia lanno precedente. Mozart si convince di aver imparato i segreti della
scrittura quartettistica. Ogni pagina trasmette un senso di soddisfazione per
il magistero raggiunto. I risultati di tanta fatica gratificano tutti. Mozart per
primo, che dimostra di essere capace di grande umilt e di lunga concentrazione su un progetto ostico. Ma anche Haydn, consacrato maestro di un
genio che non suo allievo diretto. E anche il padre Leopold, lusingato da
Haydn che afferma, dopo aver eseguito i tre ultimi quartetti assieme a Johann Baptist Vanhal, Karl Ditters von Dittersdorf e lautore alla viola, in una
memorabile serata in casa Mozart, il 12 febbraio 1785: Le dico, davanti a
Dio, da uomo onesto, che Suo figlio il pi grande compositore che io conosca di persona e di nome; ha gusto e unenorme tecnica compositiva.
Infine rende felici gli esecutori e gli ascoltatori contemporanei e posteri che
hanno fatto di questi sei quartetti altrettanti capisaldi della letteratura cameristica di ogni tempo.
La sperimentazione davvero finita. Mozart decide di non andare oltre.
Dopo il K 465, troviamo solo un quartetto isolato (K 499) scritto per un
editore nel 1786 e tre (K 575, 579, 580) fatti su misura per Federico Guglielmo ii, re di Prussia e violoncellista dilettante, unico e dubbio frutto della
sfortunata visita alla corte di Berlino nel 1789. Probabile che la commissione
regale e il relativo compenso siano stati inventati e che Mozart non abbia mai
incontrato il re. Tuttavia questultima terna, pur bella e interessante, un
passo indietro, con la facile parte di violoncello che sovrasta quella degli altri
strumenti e mina il principio stesso del quartetto. Nettamente migliore
Luigi Boccherini, che da ottimo violoncellista scrive lavori assai equilibrati.
Inoltre, solo il Quartetto K 575 originale, gli altri sono adattamenti di appunti assai precedenti. Pi che nel quartetto, la miglior musica da camera del
Mozart maturo si trova nei due quintetti con seconda viola K 593 e K 614
scritti nella primavera del 1791, poco prima di iniziare Il flauto magico K 620,
oltre che nel Quintetto per clarinetto e archi K 581 ispirato dallamico Anton
Stadler.
Continua invece a scrivere quartetti Haydn, perch cresce la domanda di
mecenati, esecutori, editori. Non gli sfugge la qualit dei lavori del suo allievo putativo e amico carissimo, tanto che riserva maggiore attenzione al timbro e alla melodia. Nota che le dissonanze dapertura del K 465, i minimi
incisi melodici stratificati su un fondo ritmico ostinato e misterioso generano
un colore sonoro mai udito prima. Limpatto si sente nel Caos orchestrale
che apre il suo oratorio La Creazione (1798). Pi tardi, Beethoven finisce col
riprendere in funzione espressiva, nei suoi grandi ultimi quartetti, proprio
quel tipo di sovrapposizione di materiali spigolosi. E quando si parla di preromanticismo in Mozart, una delle prime pagine strumentali che vengono in
mente proprio questo Adagio.
Ascolti
W.A. Mozart, Haydn Quartets, Guarneri, dg 2001
W.A. Mozart, Complete Quartets, Quartetto Italiano, Philips 1991
W.A. Mozart, Complete String Quintets, Grumiaux Trio, A. Gerecz, M. Lesueur, Philips
2002
Letture
M. Geck, Mozart, Rowohlt, Hamburg 2005
M. Solomon, Mozart, Harper Perennial, New York 1995
S. Cappelletto, La notte delle dissonanze, edt, Torino 2006
M. Mila, I quartetti di Mozart, Einaudi, Torino 2009
A. Tyson, Mozart Studies of the Autograph Score, Harvard University Press, Cambridge
1987
vive di dettagli e di emozioni, ma rispetta larchitettura consueta: dopo lesposizione delle struggenti melodie e la loro lunga elaborazione, torna la
ripresa del materiale dinizio, si crea spazio per una libera improvvisazione
del solista (cadenza) prima della coda che chiude. Tradizionale pure la
cantabile Romanze che serve da secondo movimento, per con inattesa
accelerazione centrale. Il rond finale (Allegro assai) schiarisce lintroversione dellintero lavoro.
In tre movimenti sono pure gli altri concerti che Mozart scrive per pianoforte e orchestra. Inizia presto, fra i nove e i quindici anni, fra Londra e
Salisburgo (1765-71), quando aggiunge parti orchestrali a sonate per fortepiano degli autori che pi lo impressionano: Johann Schobert a Parigi (K
39), Carl Philipp Emanuel Bach ad Amburgo (K 40), Johann Christian
Bach a Londra (K 107). Scrive il suo primo concerto originale (K 175, 1773)
quando rientra a Salisburgo dal secondo viaggio in Italia: la scuola milanese traspare nel taglio operistico delle melodie e nella sciolta scrittura strumentale, con la parte del solista che brillante, ma ben attenta ai valori
espressivi e drammatici. Forse perch il suo primo concerto, Mozart lo
esegue spesso in pubblico, anche a Mannheim nel 1778 e pi volte a Vienna. Nei successivi dieci anni scrive solo tre nuovi concerti per pianoforte, il
primo per s (K 238, 1776), il secondo per la contessa Antonia Ltzow (K
246, 1776), il terzo per la virtuosa francese Jeunehomme (K 271, 1777).
Riserva a s e alla sorella Nannerl lunico concerto per due pianoforti K 365
(1779), che poi esegue pi volte a Vienna con lallieva Barbara Auernhammer. Ha tuttavia ben presente i successi che in tutta Europa riscuotono i
concerti solistici per gli strumenti pi vari, con il violino che domina assieme al flauto.
Anche sotto la pressione del padre, negli anni salisburghesi Mozart compone una serie di concerti per violino destinati al virtuoso Antonio Brunetti,
e magari a se stesso. Datato aprile 1773, il K 207 il suo primo concerto solistico in assoluto (precede quello per pianoforte classificato come K 175).
Altri quattro seguono nel 1775, tutti scritti in modo magistrale, avendo a
modello i lavori dei maestri italiani, sia i consolidati Tartini e Geminiani, sia
i contemporanei Nardini e Boccherini. Il secondo (K 211) e il terzo (K 216),
pur brillanti, sono meno noti degli ultimi due. Il K 218 ha un delizioso tono
galante con indimenticabile melodia infinita nel secondo movimento. Il
K219 celeberrimo per il finale Alla turca, spiritato e fantasioso primo
assaggio delle turcherie mozartiane che hanno il culmine, a Vienna, nellopera Il ratto dal serraglio e nella Sonata per pianoforte K 331. Pi che nel curioso Concertone per due violini, oboe e violoncello (K190, 1774), lomaggio di
Mozart al genere favorito da Johann Christian Bach si ha con la Sinfonia
concertante per violino e viola (K 364, 1779), che alla meraviglia delle melo-
vori assoluti nascono per le due stagioni successive, 1785 (K 466, 467, 482)
e 1786 (K 488, 491, 503), pi ambiziosi nella forma e pi ricchi nella sostanza. Gli organici orchestrali si rafforzano, perch agli archi, oboi e corni si
aggiungono stabilmente flauti, trombe e timpani, come nel celeberrimo
Concerto in do maggiore K 467 nel quale la serenit dei movimenti laterali
inquadra la cantabilit dellAdagio e bilancia i rovelli del gemello in re
minore (K 466). Innovazione importante, forse inconsapevole, lintroduzione: alcuni minuti riservati alla sola orchestra, senza pianoforte. Segna uno
spartiacque importante la nascita del concerto per pianoforte e orchestra
alla maniera romantica e ottocentesca. Certifica che il pianoforte, lo strumento a tastiera, non fa parte dallorganico orchestrale. Il pubblico accorre
numeroso e Mozart sembra diventare ricco.
Per, quasi allimprovviso, lincantesimo svanisce. I sottoscrittori si dileguano e nel 1787 Mozart non riesce a organizzare la stagione. Le ragioni
sono tante. La guerra con la Turchia riduce le risorse disponibili per larte.
Le provocazioni antiaristocratiche dellopera Le nozze di Figaro irritano i
nobili sottoscrittori viennesi. Anche le innovazioni che Mozart introduce nel
suo modo di scrivere concerti hanno un ruolo. Le inquietudini del modo
minore (K 466, K 491), lintimismo cameristico dellAndante del K 482 e
dellintero K 488, le complessit sinfoniche estese al solista nel K 503 sconcertano il pubblico pagante, ormai abituato alle acrobazie dei nuovi virtuosi
della tastiera; acrobazie che Mozart non ama e forse non sa fare, a differenza
del suo allievo Johann Nepomuk Hummel, per esempio. Il lavoro successivo
(K 537), impostato nel 1787, presentato lanno seguente a Francoforte in
occasione delle celebrazioni per lincoronazione a imperatore di Leopoldo
ii. Lultimo (K 595), iniziato forse nel 1788, eseguito a Vienna solo il 4
marzo 1791. Nello stesso 1791 Mozart compone i suoi ultimi concerti, ma
per altri strumenti. Per il fratello massone Anton Stadler scrive in ottobre,
dopo Il flauto magico, il suo canto del cigno, quel Concerto in la maggiore K
622 che ha reso immortale il suono velato e profondo del clarinetto. Per
lamico dei tempi di Salisburgo, il virtuoso Joseph Leutgeb, mette mano a un
concerto per corno (K 412) forse gi impostato nel decennio precedente,
accanto alla terna K 417 (1783), K 447 (1787), K 495 (1786). Lo lascia per
incompiuto. Assieme al Requiem, sar completato nel 1792 dallallievo Franz
Xaver Sssmayr.
I grandi concerti per pianoforte di Mozart non escono tuttavia dal repertorio. Soprattutto il demonico K 466 diventa cavallo di battaglia del giovane
Beethoven nei suoi primi anni viennesi, quando fa il concertista a tempo
pieno e non ancora bloccato dalla sordit. Le cadenze che Beethoven scrive per il concerto sono ancora praticate dai solisti moderni. E Beethoven il
pi importante continuatore della pratica di far precedere lingresso del so-
Ascolti
W.A. Mozart, Piano Concertos K 466 and 491, A. Brendel, Mackerras, Philips 1999
W.A. Mozart, Complete Piano Concertos, M. Bilson, J.E. Gardiner, English Baroque,
Archiv 1984
C.P.E. Bach, 6 Concerti, A. Staier, Freiburger Barockorchester, Harmonia Mundi 2011
Letture
A. Poggi, E. Vallora, Mozart. Signori, il catalogo questo!, Einaudi, Torino 1991
P. Rattalino, Il concerto per pianoforte e orchestra, Ricordi-Giunti, Milano-Firenze 1988
Dramma giocoso in due atti: Mozart intitola cos lopera teatrale cui lavora con maggiore intensit. Consapevole di tentare la sintesi degli estremi,
cio dellopera buffa con lopera seria, gioca tutto sullambiguit di vicende
e personaggi. Disegna un protagonista del tutto nuovo nella storia dellopera. Il suo Don Giovanni cambia carattere quasi in ogni scena. Esordisce come assassino del padre (il Commendatore) della donna che vuol violentare
(Donna Anna). Procede come aristocratico seduttore di servette (Zerlina).
Diventa burlone della propria vecchia amante (Donna Elvira) facendosi sostituire dal servo (Leporello). perfetto padrone di casa quando organizza
il ricevimento in onore della statua del defunto commendatore. Chiude come eroe tragico nel momento in cui non si pente e sprofonda allinferno.
Attorno a Don Giovanni si muove una carnevalesca ruota di giochi e dinganni che porterebbe alla tragedia se la scena finale non rovesciasse il tavolo,
allinsegna del che bello, la vita continua. Punito il peccatore, ai superstiti
resta un triste destino: la vedova Elvira finisce in convento, Anna e Zerlina si
rassegnano al matrimonio con gli insipidi fidanzati Ottavio e Masetto, il
servo Leporello si cerca un nuovo padrone allosteria.
Facile individuare nei maschi i caratteri dellopera buffa e nelle femmine
quelli dellopera seria, con i miscugli sentimentali che danno variet. Mozart
bravissimo in entrambi i generi dopera, perch da un quarto di secolo li
divora la passione per ogni sorta di teatro. Esordisce a undici anni con lintermezzo serio in lingua latina Apollo et Hyacinthus K 38 (1767) e continua
due anni dopo con lopera buffa italiana La finta semplice K 51. Mozart affronta anche il nuovo genere del Singspiel tedesco, nel quale una serie di
numeri musicali cantati e suonati sinserisce fra i dialoghi parlati dei protagonisti in scena: Bastien und Bastienne K 50 (1768), con trama ripresa da
una storia francese. Dai viaggi in Italia ricava lopera seria Mitridate, re di
Ponto K 87 (Milano 1770), la festa teatrale Ascanio in Alba K 111 (Milano
1771) e soprattutto il dramma per musica Lucio Silla K 135 (1772), che ha un
imprevisto successo (26 rappresentazioni), al punto di ritardare il debutto
della nuova opera Sismano nel Mongol del quotatissimo Paisiello. Il diciottenne Mozart dimostra di aver assimilato lo stile italiano dei successori di
Hasse e Vivaldi, e di competere alla pari con la nuova generazione di operisti
italiani, dal napoletano Paisiello al milanesizzato Johann Christian Bach, al
buranese cosmopolita Galuppi.
Rientrato dallItalia, Mozart prova a ingraziarsi il nuovo arcivescovo di
Salisburgo con il dramma per musica Il re pastore, che passa quasi inosservato, ma la sua ouverture accoglie arie e cori e diventa Sinfonia K 102. Ha
successo volatile a Monaco di Baviera lopera buffa La finta giardiniera K 196
(1775), trasformata in Singspiel in lingua tedesca. Non gli va bene la ricerca
dimpiego a Parigi, nella primavera-estate del 1778: ottiene un isolato successo sinfonico (K 297), scrive un balletto (Les Petit riens, K 299b), una bella
sonata per fortepiano (K 310) e un brillante Concerto per flauto e arpa
(K299), ma non riceve commissioni teatrali. Ha comunque occasione di seguire da vicino la nuova diatriba fra i partigiani di Gluck e quelli di Piccinni,
cio fra il teatro musicale severo del primo e quello buffo del secondo. Riscopre la tragdie-lyrique di Rameau, conosciuta da bambino. Assiste alle rappresentazioni di Iphignie en Tauride di Gluck e Amadis de Gaule di Johann
Christian Bach. Frequenta anche il gran mondo della cultura parigina, in
pieno fermento illuministico e prerivoluzionario, con i risultati artistici che
matureranno fra meno di dieci anni a Vienna con Le nozze di Figaro e Don
Giovanni. Torna deluso alla routine di Salisburgo, passando per da Monaco
di Baviera dove si da poco trasferita la corte (e lorchestra) di Mannheim.
Rinnova i buoni rapporti con i regnanti e dedica loro limportante serie di
sonate per violino e fortepiano K 301-306. Non gli arrivano offerte di lavoro.
Gli investimenti sulla corte bavarese danno finalmente i frutti nel 1780,
con la commissione di una nuova opera, il dramma per musica in tre atti
Idomeneo, re di Creta, che va in scena con grande successo il 29 gennaio
1781. La storia metastasiana, anche se il libretto firmato da Giambattista
Varesco. Con i suoi protagonisti regali in un ambiente di antica mitologia,
lopera costruita alla maniera italiana, secondo i canoni fissati da Hasse e
rinnovati da Galuppi e Paisiello. una successione di recitativi e arie con
caratteri e umori ben definiti: amore, dolore, gelosia, furore. Sono pochi i
duetti. Le scene dassieme sono riservate ai finali datto. ben presente la
recente esperienza parigina, con balletti e colpi di teatro alla maniera di Rameau: lapparizione del mostro marino, lintervento della divinit dal cielo.
La riforma di Gluck si sente nel melodizzare sobrio e con pochi fronzoli
virtuosistici. Non mancano le innovazioni: dallouverture che anticipa i segmenti musicali che contano nel resto dellazione, alla caratterizzazione del
mondo marino, alla tensione drammatica che rompe le simmetrie di molte
arie, alla geniale conduzione del quartetto in cui ciascun personaggio si sen-
Ascolti
W.A. Mozart, Don Giovanni, C.M. Giulini, Philharmonia, emi 1997
W.A. Mozart, Complete Operas, Various Artists, Decca 2009
Letture
S. Kunze, Il teatro di Mozart, Marsilio, Venezia 1990
M. Mila, Lettura delle Nozze di Figaro, Einaudi, Torino 1979
M. Mila, Lettura del Don Giovanni, Rizzoli, Milano 2011
W. Mann, The Operas of Mozart, Cassell, London 1977
D. Heartz, Mozarts Operas, University of California Press, Berkeley 1992
della musica europea e con le letture del Mozart maturo nel meraviglioso
decennio finale vissuto a Vienna. Assieme al teatro musicale, la sinfonia il
genere che segna ogni anno del suo cammino artistico giovanile. Merita di
essere rivisitato dalle origini, quasi trentanni prima.
Mozart inizia molto presto lesperienza sinfonica, come sempre frutto
del suo girovagare. Scrive le sue prime due sinfonie (K 16, 19) a otto anni, a
Londra, nel 1764, ispirandosi ai modelli di Johann Christian Bach e di Karl
Friedrich Abel (del quale copia una sinfonia che a lungo gli stata attribuita,
K 18). Analoga la terza (K 22), composta per un concerto tenuto allAja
durante il viaggio di ritorno, assieme a una sinfonia in miniatura tuttora
eseguita e intitolata Galimathias Musicum, curioso aggregato di piccoli pezzi
farseschi, da eseguire in ordine casuale, in cui si sente la mano del padre
Leopold, presunto autore della contemporanea Kindersinfonie (la celeberrima Sinfonia dei giocattoli). Un anno dopo, a Vienna, Mozart scrive tre nuove
sinfonie (K 43, 51, 48) e dalla seconda ricava louverture per la sua prima
opera teatrale, La finta semplice (1768). Origine e destinazione teatrali hanno
anche le sinfonie scritte durante i tre viaggi in Italia, assimilando lo stile milanese di Sammartini: la K 74 in parte louverture dellopera Mitridate, re
di Ponto; la K 120 louverture della festa teatrale Ascanio in Alba (K 111,
1771) con aggiunta di un finale.
Altre sinfonie dello stesso periodo sono frammentarie e dincerta attribuzione, mentre sono sicure e davvero importanti le otto (K 114, 124, 128, 129,
130, 132, 133, 134) scritte nel 1772 per ingraziarsi il nuovo principe arcivescovo di Salisburgo. Forte linflusso del collega Michael Haydn, pure attivo
in citt fra 1766 e 1800, autore di 46 sinfonie, oltre che di buona musica sacra
e teatrale, in contatto con la scuola sinfonica viennese e col fratello maggiore
Franz Joseph. La scoperta del nuovo modello di Haydn senior si avverte
nellarchitettura dei primi tempi e nella sperimentazione timbrica di Mozart:
dialogano archi e fiati, crescono il numero (fino a quattro) e il ruolo dei corni. La bella scrittura per corno acuto su misura per leccellente Joseph
Leutgeb: per lui Mozart scrive pi tardi (1782-91) anche i magnifici concerti K 417, 447, 495, 412 per corno e orchestra, e il quintetto K 407.
Nei tre anni di stabile residenza a Salisburgo (1773-76) Mozart, oltre che
alla musica da chiesa e da camera, si dedica a serenate e divertimenti per
cerimonie e occasioni varie, generi alla moda che assorbono il principio
dellormai vetusta suite strumentale. Accanto a quattro altre serenate (K 185,
189, 203, 204) emerge la meravigliosa K 250, datata 1776 e detta Haffner
perch scritta in occasione del matrimonio del ricco commerciante omonimo: i suoi sette movimenti hanno la scrittura trasparente del Mozart maturo,
con una memorabile parte per violino solo. Da ciascuna di queste serenate,
Mozart ricava una sinfonia, riducendole alla dimensione magica dei quattro
nata dal padre per contribuire ai festeggiamenti per lelevazione a rango nobiliare degli amici commercianti Haffner a Salisburgo. Per una successiva
esecuzione a Vienna, Mozart aggiunge flauti e clarinetti e ricava la partitura
che oggi familiare. Sulla via del ritorno dallultimo viaggio a Salisburgo, per
un concerto estemporaneo nella citt di Linz inventa una nuova grande sinfonia, la K 425, che si distingue per il suo ampio adagio introduttivo.
Per un concerto a Praga (19 gennaio 1787) mette insieme velocemente la
Sinfonia K 504, senza minuetto, in soli tre movimenti, lultimo ripreso da un
progetto precedente. Nello stesso anno, accanto allopera Don Giovanni,
Mozart scrive una delle sue composizioni pi famose, la serenata Eine kleine
Nachtmusik K 525, senza destinazione conosciuta, per soli cinque archi
espandibili a piccola orchestra, indimenticabile in ogni sua parte, favolosa
miniatura di sinfonia classica in quattro tempi. Non hanno committenti noti
neppure le ultime tre sinfonie (K 543, 550, 551). Mozart le scrive in poco pi
di sei settimane, fra il luglio e lagosto del 1788, forse pensando a un ritorno
a Parigi o allemigrazione a Londra, magari assieme a Haydn.
Delle tre ultime sinfonie, la prima (K 543) lunica ad avere unintroduzione lenta: drammatica, scura, con rintocchi e passaggi di ottoni che suggeriscono cerimonie massoniche. Ovunque evidente lomaggio a Haydn:
larchitettura del primo movimento, il fantasioso tema con variazioni che il
secondo, la forza del minuetto, la vivacit del finale. Il tratto mozartiano
emerge nella ricchezza delle armonie e ancor pi nella fantasia con cui archi
e fiati si fondono e si confondono, con i clarinetti a dare quel tono caldo che
segna la sua ultima produzione. Sullonda della celeberrima melodia con cui
attacca il primo movimento della seconda sinfonia della terna (K 550) si
scatena il demonico mozartiano, nella fatale tonalit di sol minore e con
drammatico contrappunto sia nellesposizione sia nello sviluppo del primo
movimento. Ancor pi aggressivo luso delle dissonanze, strutturale nel
severissimo minuetto e addirittura rivoluzionario nel finale. Si sfiora lanarchia armonica con passaggi in cui stravolto il principio stesso di tonalit: la
presenza contemporanea di tutte le dodici note della scala cromatica anticipa il rifiuto della tonalit (atonalit) di Arnold Schnberg nei primi decenni del Novecento.
Distinte per scelte tonali (oscuro sol minore contro luminoso do maggiore) ma con il contrappunto in comune, le ultime due sinfonie di Mozart,
gemelle e divergenti, aprono orizzonti distinti per il futuro del linguaggio
sinfonico. Ne tiene conto subito Haydn, orientato dalla chiarezza e dai colori della K 551 Jupiter in molte delle dodici sinfonie scritte per la piazza di
Londra (1793-96). Poco dopo Beethoven si butta con foga su entrambi i
fronti, generando quella curiosa alternanza di caratteri che allinea da una
parte le sinfonie con numero pari e dallaltra quelle con numero dispari. Il
Ascolti
W.A. Mozart, Symphonies nos. 40 & 41, L. Bernstein, Vienna Philharmonic, dg 1990
W.A. Mozart, The Symphonies, T. Pinnock, English Concert, Archiv 2002
Letture
H.C. Robbins Landon, Mozart. Gli anni doro, Garzanti, Milano 1989
M. Mila, Mozart. Saggi 1941-1987, Einaudi, Torino 2006
V. Andreoli, Mozarterapia. La musica, la mente, la felicit, Metamorfosi, Milano 2010
Aiuto, aiuto implora il principe Tamino braccato da un mostruoso serpente in una landa desolata di un improbabile Egitto senza tempo. Lo salvano tre damigelle, si presenta il buffo uccellatore Papageno, appare la Regina
della notte Astrifiammante, che racconta la triste situazione della figlia Pamina sequestrata dal cattivo Sarastro. Tamino parte per la missione di salvataggio, con un flauto doro donato dalle damigelle, assieme a Papageno che
ha ricevuto un carillon. Entra nel tempio della Sapienza e scopre che Sarastro buono e protegge Pamina dalla madre che invece malvagia. Procede
nel bosco e con il suono di flauto magico e carillon richiama animali di tutti
i generi. Trova Pamina, sfuggita alle insidie del moro Monostato, ma per
coronare la sua felicit deve raggiungere la saggezza, superando tre prove
iniziatiche. La prima mantenere il silenzio, perfino quando lo invoca la fidanzata Pamina. Poi deve oltrepassare la barriera del fuoco, quindi quella
dellacqua della cascata. Nelle ultime due prove Pamina gli sta accanto e lo
aiuta il flauto magico. A sua volta Papageno incontra la sua Papagena. Un
ultimo tentativo di rivincita di Astrifiammante con Monostato respinto e
tutto finisce in gloria.
Un libretto del genere non ha precedenti nella grande tradizione operistica italofrancese. Il testo (in tedesco), lontano dallaulico, sceglie un tono
popolaresco perfino imbarazzante. Lo firma lamico impresario Emanuel
Schikaneder, forse vi collabora Mozart. I personaggi non sono gli eroi del
mondo classico-mitologico dellopera seria di Metastasio e nemmeno i popolani contemporanei dellopera buffa. Appartengono alla sfera onirica della
fiaba. La vicenda si muove su almeno due piani diversi. Quanto succede in
scena diventa anche unesplicita storia diniziazione secondo le regole della
comunit massonica, di cui Mozart fa parte dal 1784, associato a Zur
Wohlttigkeit, una delle tante logge fiorite a Vienna negli anni ottanta
sullonda delle riforme in senso illuministico volute dal nuovo imperatore
Giuseppe ii. Il rapporto di Mozart con la massoneria risale per a molto
prima. Forse i contatti risalgono ai viaggi giovanili a Parigi e Londra nel
1763-65. Di chiara ispirazione massonica sono le musiche di scena per Thamos, re dEgitto, iniziate nel 1772 e completate nel 1779. Linteresse per la
massoneria cresce durante i soggiorni a Mannheim e a Parigi (1778). Stabilitosi a Vienna, Mozart ha subito legami con gli ambienti massonici, le cui
prime implicazioni musicali si scoprono nellandante con moto del Quartetto K 428 (1783) e ancor pi negli ultimi tre quartetti della sestina dedicata
a Haydn (1784-85), che ritraggono due delle tre fasi della carriera massonica:
lAndante del K 464, la cerimonia diniziazione; il K 465, la promozione al
secondo grado. Del 1785 sono il Concerto per pianoforte K 467 il cui Andante celebra il conseguimento del terzo grado, un Lied (K 468) che festeggia lavvenuta iscrizione alla massoneria del padre e la cantata Die Maurerfreude K 471 per onorare il gran maestro di unaltra loggia viennese e la
marcia Maurerische Trauermusik K 477 che ricorda due fratelli deceduti.
Oltre al barone van Swieten e al collega Haydn, nellambiente della massoneria viennese Mozart incontra anche Emanuel Schikaneder, suo amico
dai tempi di Salisburgo e ora factotum del Theater auf der Wieden, nella
periferia viennese. Oggi definiremmo Schikaneder uno spirito alternativo
rispetto allufficialit del teatro di corte, capace per di allestire drammi di
Shakespeare e Goethe, e di mettere a segno travolgenti rappresentazioni del
Barbiere di Siviglia di Paisiello e di Una cosa rara di Martn y Soler. A lui e al
suo gruppo di autori e teatranti si deve la nascita del nuovo genere della
Zauberoper, fatto di opere fantastiche basate sulla voglia di mistero e di
esotismo portata a Vienna dal poeta alla moda Christian Martin Wieland
saccheggiando la traduzione in francese delle persiane Mille e una notte. Il
poeta e mineralogista Karl Ludwig Giesecke firma il testo di Oberon, re degli
elfi (1789). Lo stesso Schikaneder scrive quelli per La pietra filosofale e Il
derviscio benevolo, entrambe del 1790. Le relative musiche ci restano per
frammenti, senza indicazione dellautore, che certo non uno solo, anche se
molti tratti rimandano a Mozart.
Tutta di Mozart, completa e in un bel manoscritto, ci arrivata la partitura di Die Zauberflte (Il flauto magico). Lidea della nuova opera nasce nel
novembre 1790 grazie a Schikaneder. Mozart accetta volentieri la proposta
perch, dopo Cos fan tutte, non ha nuove commissioni dai teatri di corte di
Vienna e Praga. E perch verifica di persona, durante la sconsolata scorribanda del 1789, che in Germania sta trionfando il suo Il ratto dal serraglio,
presentato a Vienna quasi dieci anni prima. Il flauto magico un Singspiel,
un genere di teatro musicale che si diffonde proprio allora come risposta al
melodramma italiano. Nasce come versione tedesca delle ballad operas inglesi e ha il suo punto di partenza in The Devil to Pay (1731) di Charles Coffey,
derivato da The Beggars Opera che tre anni prima affonda a Londra lopera
italiana di Georg Friedrich Hndel, e rappresentato ad Amburgo nel 1740.
Rifatto con nuove musiche e in lingua tedesca come Der Teufel ist los (Lipsia
1766), diventa il primo di una serie di 14 Singspiel che fanno del compositore Johann Adam Hiller il vero padre del genere. Pu essere buffo o sentimentale, mai davvero drammatico. Non ha i recitativi secchi seguiti da arie con
da capo e gorgheggi improvvisati dellopera italiana. Invece, nel Singspiel,
brevi momenti parlati raccordano melodie strofiche e senza gorgheggi, facili da intonare e ricordare, un po come succede nei corali luterani. Chiede
organici leggeri e non pretende virtuosi di canto. adatto alle compagnie di
giro piuttosto che a quelle stanziali dei grandi teatri.
Dopo il giovanile Bastien und Bastienne (1768), Mozart prova il genere
del Singspiel con Zaide, impostato nel 1780 a Salisburgo, ma non completato perch la priorit diventa il melodramma italiano Idomeneo. Appena
stabilitosi a Vienna (1781), scrive Il ratto dal serraglio ed subito un grande
trionfo. uno dei pochi successi del genere, perch lidea di un teatro musicale tedesco a Vienna, sostenuta dallimperatore Giuseppe ii con listituzione nel 1778 di un teatro di Singspiel, tarda a decollare, anzi si spegne
nove anni dopo. Della settantina di lavori messi in scena, funzionano bene
solo le traduzioni da italiano, inglese e francese. La maggior fortuna tocca
a Zemire und Azor del francese Andr Grtry che, con 56 rappresentazioni
complessive, supera le 51 di Die Pilgrime von Mekka, traduzione tedesca
dal francese La Rencontre imprvue di Gluck, rappresentata in originale a
Vienna nel 1764 e subito ripresa nei maggiori centri europei. Scarso peso
hanno i Singspiel di autori locali, con leccezione di Doktor und Apotheker
di Ditters von Dittersdorf e del Ratto dal serraglio di Mozart, ripreso a
Vienna ogni anno da una a dodici volte per stagione, in totale 30 volte con
Mozart in vita.
La vicenda del Ratto perfetta per il genere, calibrata sui gusti viennesi e
sul corrente successo del Singspiel di Gluck. Il nobile Belmonte, assistito dal
servo Pedrillo, cerca di liberare la fidanzata Costanza, detenuta in un harem
turco. Grazie alle resistenze di Osmino, sovrintendente dellharem, il piano
fallisce. Il magnanimo pasci Selim rinuncia per alle sue mire su Costanza
e concede la libert al trio di infedeli pasticcioni. Funzionano lambientazione esotica, il gioco dei malintesi, la musica, che combina il colorismo delle
turcherie, la bellezza delle melodie, la forza di cori e dei pezzi dassieme.
Curiosa e a suo modo vincente la parte del pasci Selim, che si limita a
parlare e non canta mai, neppure nel gran finale del primo atto. In fondo
con lui, impedito al canto, che si confronta Costanza, cui invece spetta una
parte di grande impegno virtuosistico, allineato con lo stile dellopera seria
italiana, finora mai tentato da Mozart, neppure in Idomeneo. Le parti degli
altri personaggi sono quelle tipiche del Singspiel, semplici nella struttura,
facili da cantare, melodiose al punto giusto per conquistare il favore di un
sica (fra i tanti altri) anche da Gluck. una vicenda di amori e tradimenti
alla corte imperiale dellantica Roma vicina allassurdo, ma che la musica di
Mozart rende a suo modo surreale, soprattutto nella straordinaria scena finale in cui il raggirato imperatore Tito clemente perch non punisce le
nefandezze di chi gli sta intorno, consapevole di essere davvero solo. Sono
sentimenti che la musica infuocata di Mozart ci trasferisce ben oltre il bavaglio delle parole auliche.
La clemenza di Tito ha scarso seguito. Limperatrice la definisce una
porcheria tedesca in lingua italiana. Mozart trova il tempo per visitare la
loggia massonica di Praga ed eseguirvi la cantata Die Maurerfreude, prima di
rientrare in tutta fretta a Vienna per completare Il flauto magico, che va in
scena il 30 settembre, con successo clamoroso. Ci sono repliche quasi quotidiane, almeno 45 volte nella sessantina di sere che precedono la scomparsa
di Mozart. Il trionfo si diffonde in tutta larea germanica, in tutta Europa:
non solo laffermazione di un nuovo genere, ma la consacrazione del teatro
musicale tedesco. Il flauto magico influenza profondamente sia Fidelio di
Beethoven sia Il franco cacciatore e Oberon di Carl Maria von Weber, quindi
gli autori maggiori e minori dellOttocento tedesco fino a Richard Wagner e
Richard Strauss. Mentre non si arresta la fortuna dellopera italiana in tutta
Europa: a Vienna spopola Il barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini, come
a Parigi e Londra, Amburgo e Berlino, San Pietroburgo e Mosca.
Ascolti
W.A. Mozart, Die Zauberflte, C. Abbado, Mahler Chamber Orchestra, dg 2006
W.A. Mozart, La clemenza di Tito, J.E. Gardiner, English Baroque, Archiv 1992
Letture
J. Asmann, Die Zauberflte, Carl Hanser Verlag, Mnchen 2005
L. Bramani, Mozart massone e rivoluzionario, Bruno Mondadori, Milano 2005
H.C. Robbins Landon, 1791 Mozarts Last Year, Thames and Hudson, London 1988
G. Gruber, La fortuna di Mozart, Einaudi, Torino 1987
Serie V.
Dialettica musicale
I sottotitoli, apocrifi, con cui nota la Sinfonia n. 104 di Franz Joseph Haydn
sono tutti legittimi e appropriati alla sostanza musicale. Il meno conosciuto,
e pi diretto dal punto di vista musicale, La zampogna: viene dal suono
basso e tenuto che unifica i numerosi episodi del popolaresco rond finale,
dove una melodia di origine croata (!) si accoppia con una sonorit tipicamente scozzese. Il sottotitolo pi popolare, London, un omaggio alla citt
che pi di ogni altra celebra Haydn vivente. probabile che, quando scrive
il magnifico Adagio introduttivo a questa sua ultima sinfonia, Haydn abbia in mente il taglio con cui Hndel imposta, mezzo secolo prima, lapertura dei suoi maggiori melodrammi londinesi: incedere misterioso, frizioni
dissonanti, alternanza di pianissimo e fortissimo, rulli di timpani e fanfare di
ottoni accanto a sussurri di archi. Cos ben preparato, lAllegro che segue
un perfetto (alla maniera britannica) primo movimento di sinfonia classica.
La massima sofisticazione si ha nel secondo movimento Andante, che un
ibrido fra rond e tema con variazioni. I soli archi espongono il tema, gli
strumentini lo riespongono in modo minore, entra lintera orchestra in fortissimo, e poi: pausa generale, tema con altro timbro, nuova sospensione,
ancora scarto di volume sonoro, assoli di violini, ghirigori di fiati, crescendi e
diminuendi, conclusione radiosa. uno dei pi fantasiosi movimenti sinfonici di Haydn. Il Minuetto che segue apre la strada ai bruschi scherzi di
Beethoven, con il trio centrale che rimbalza i timbri fra archi e fiati. Il Finale: Allegro spiritoso associa i passi danzanti dei contadini croati con i soffi
nasali delle zampogne celtiche.
Merita rispetto anche Salomon, il terzo sottotitolo, attribuito a questa
sinfonia (che chiude al meglio la serie di dodici scritte da Haydn per i suoi
due soggiorni londinesi). Il violinista tedesco Johann Peter Salomon ha il
merito di aver voluto e organizzato la permanenza londinese di Haydn. Salomon nasce a Bonn, fa il concertista di violino in varie citt tedesche. Tramite Carl Philipp Emanuel conosce la musica di Johann Sebastian Bach e
diventa eccellente interprete delle sonate e partite per violino solo quando
Ascolti
F.J. Haydn, Symphonies 103 und 104, H. von Karajan, Berliner Philharmoniker, dg 1990
F.J. Haydn, London Symphonies, N. Harnoncourt, Concertgebouw Amsterdam, Warner
2008
La prise de la Bastille, W. Ehrhardt, Concerto Kln, Capriccio 2002
Revolution franaise, M. Plasson, M. Seminara, Capitol Toulouse, emi 1990
Letture
H.C. Robbins Landon, Haydn in England 1791-1795, Thames and Hudson, London
1978
M. Boyd (a cura di), Music and the French Revolution, Cambridge University Press, Cambridge 1992
repubblica di Weimar. Con Hitler al potere, diventa introduzione allufficiale canto nazista Das Horst-Wesse-Lied che mette nuove parole su una
melodia del lisztiano Peter Cornelius, a sua volta affine a unaria di Joseph
(1807) del compositore napoleonico Mhul. Nel 1945 gli alleati vincitori
della Seconda guerra mondiale ne proibiscono luso, ma nel 1952 il cancelliere Konrad Adenauer lo riprende per la democratica repubblica federale,
sia pure con le parole della terza strofa Einigkeit und Recht und Freiheit
(Unit, diritto, libert), buone anche per la Germania riunificata dopo la
caduta del muro nel 1989.
Se la popolarit e il sottotitolo Imperatore dellop. 76 n. 3 sono legati al
secondo movimento, gli altri tre ne costituiscono un degno contorno.
LAllegro iniziale uno dei pi ampi e complessi mai scritti da Haydn, con
respiro quasi sinfonico che viene da un forte e unico motivo, esposto in presa diretta, generatore di materiali sufficienti per organizzare ben due sezioni
di sviluppo nelle quali convivono episodi in contrappunto severo e momenti di festosit rustica. Il Minuetto punta sulleleganza della danza di palazzo. Il finale Presto ha funzione di sintesi dei movimenti precedenti, perch
ne riprende alcuni spunti e li ingloba in un turbine di note reso pi incisivo
dal prevalere del modo minore, in preparazione dellinevitabile apoteosi
conclusiva.
Assieme ad altri cinque, il quartetto Imperatore appartiene alla raccolta
op. 76, pubblicata nel 1797. la quarta e ultima serie di sei quartetti che
Haydn scrive nei dieci anni successivi allesperienza, anche per lui folgorante,
dei sei che Mozart gli dedica nel 1784. Haydn stesso presente allesecuzione
degli ultimi tre (K 458, 464, 465) in una mitica serata musicale in casa Mozart,
il 12 febbraio 1785. Serate del genere sono frequenti nelle capitali europee di
fine Settecento. Ci si riunisce fra amici nei palazzi di antichi nobili e di facoltosi borghesi per fare e ascoltare musica. La musica deve essere possibilmente nuova e firmata da un autore di prestigio scelto con cura e remunerato
bene. Spesso lautore partecipa allesecuzione, assieme al padrone di casa,
che nel caso del palazzo di Sanssouci a Potsdam il re di Prussia Federico
Guglielmo ii, violoncellista comera flautista il suo predecessore Federico ii.
Con poche eccezioni, non circolano formazioni stabili, professionali. La
scrittura ne tiene conto, e di norma non chiede virtuosismo. Come appunto
accade nel Quartetto dellImperatore. Di regola lautore concede al committente unesclusiva di sei mesi, prima di vendere i diritti a uno o pi editori che
poi diffondono il testo stampato al libero mercato. Mozart fa eccezione:
scrive i suoi sei quartetti senza avere un committente, per interesse astratto a
cimentarsi in un genere complesso.
Nei suoi ultimi anni, Haydn compone invece soltanto su commissione,
con il duplice obiettivo di ricevere denaro da un mecenate aristocratico (o
per pianoforte del 1793. Le varianti formali sono numerose anche nellop. 64.
Per esempio, le variazioni dellAdagio ma non troppo del n. 2, da un lato
si ispirano allantica passacaglia e dallaltro saranno riprese nel finale della
Quarta sinfonia di Brahms. Lo sviluppo del primo movimento del n. 6 si
appoggia allantico contrappunto, il minuetto riprende un motivo del Quartetto K 575 di Mozart e un altro tema, nel finale, vicino al Quintetto K 614.
Non c da stupirsi e nemmeno da cercare primogeniture: i due musicisti,
proprio in quel tempo, suonano spesso assieme le loro pi recenti creazioni.
Il grazioso sottotitolo Lallodola ha reso famoso il n. 5: viene dal motivo principale del primo movimento, che un capolavoro di scrittura per quartetto
e che culmina in uno spiritato moto perpetuo finale degno del miglior
Paganini.
Haydn scrive nel 1793 i sei quartetti op. 71 e op. 74 conoscendo le eccezionali qualit tecniche del violinista Salomon, i colori dellorchestra, la
quantit di pubblico nelle sale da concerto cui sono destinati. Cerca sonorit forti, sorprese appariscenti, come nelle sinfonie. Fa sempre precedere il
primo movimento da unintroduzione lenta, di solito breve, per dare slancio: sei accordi in fortissimo (op. 71 n. 1), quattro battute melodiche (op. 71
n. 2), colpo secco seguito da una pausa (op. 71 n. 3), due accordi per accennare il motto seguente (op. 74 n.1), unampia fanfara (op. 74 n. 2), unisono
dei quattro strumenti (op. 74 n. 3). Fiducioso nella tenuta formale dei primi
tempi, Haydn introduce novit nei secondi movimenti lenti. Ottiene risultati importanti nellAdagio cantabile dellop. 71 n. 2, grazie alla bella
melodia animata dai cambi di volume e speziata da dissonanze; e nel Largo
assai dellop. 74 n. 3, un inno metafisico con attriti armonici e modulazioni
lontane, con una densit di scrittura che affasciner Brahms un secolo dopo
e che Haydn riconosce subito, ricavandone una bella trascrizione per pianoforte. Il minuetto diventa stabilmente scherzo, conciso e spesso con accenti popolareschi. Sempre allinsegna della velocit, con grandi richieste di
virtuosismo individuale e di affiatamento collettivo sono i finali, molto ampi, ricchi di spunti melodici talvolta ripresi da movimenti precedenti (op. 74
n. 1 e n. 3).
Lultima sestina (op. 76, 1797) lapogeo del quartetto classico. Ciascun
quartetto ha il suo carattere, le sue bizzarrie. Il n. 1 attacca con un assolo di
violoncello seguito da quattro battute per viola sempre sola, poi da un duetto di secondo violino e violoncello e infine fra viola e primo violino. Nel
finale propone uno spericolato viaggio in lontane tonalit minori e maggiori, ispirando Schubert. Raro esempio di strutturalismo musicale il severo
n. 2, il cui primo movimento ruota attorno a un intervallo di quinta discendente (da cui il fortunato sottotitolo Delle quinte) sviluppato in polifonia e
con una severit dimpianto che ricorda il K 421 di Mozart, pure in re mi-
nore. Liniziale quinta discendente diventa ascendente nel sulfureo pseudominuetto costruito sul tema del precedente Andante. I misteri del re
minore si sciolgono solo nel finale, che passa in maggiore su ritmi ungheresi. Dopo lImperatore (n. 3), ecco il magnifico crescendo del primo movimento che d al n. 4 il sottotitolo Laurora, versione cameristica del mastodontico levar del sole nella Sinfonia delle Alpi (1915) di Richard Strauss.
subito bilanciato dal raro intimismo dellAdagio, dalle danze danubiane
del Minuetto, dalla frenesia motoria del Finale che elabora un canto
popolare inglese. Ha pure accenti ungheresi il finale del n. 5, ma il momento magico sta nel commovente Largo cantabile e mesto. Il n. 6 inizia con
un inaspettato tema con quattro variazioni, lultima delle quali in forma di
fuga, principio che sar presto raccolto da Beethoven e pi in l da Liszt,
Brahms, Reger. Continua con un Adagio in totale libert, un Menuetto
che ha la forza delle cose semplici, un Allegro spiritoso che una festa di
permutazioni e instabilit ritmiche, come nei novecenteschi Stravinskij e
Bartk.
Limpatto dellop. 76 tale che subito il mecenate principe Karl Alois
Lichnowski commissiona a Haydn una nuova serie di quartetti. Il compositore accetta, nonostante gli impegni nel genere sacro con il nuovo oratorio La
Creazione e con le messe. I tempi di composizione per si dilatano, perch il
successo della Creazione convince Haydn a scrivere il nuovo oratorio Le
stagioni. O forse perch lesperienza insegna che la sua opera cameristica,
appunto il quartetto per archi, giunta alla fine del ciclo di vita. I concorrenti Pleyel, Vanhal e Boccherini continuano a produrre quartetti in quantit
industriale, ma i clienti preferiscono andare a un concerto e sentire ottime
esecuzioni di musiche ormai fuori dalla loro portata di esecutori dilettanti.
Clienti che colgono la genialit della creazione di Haydn cos come la sentono realizzata da professionisti; e poco sopportano la modestia della routine
che i piccoli autori impongono loro, con la scusa di scrivere parti di facile
esecuzione.
Haydn intuisce che i suoi ultimi quartetti non sono pi musica da camera,
ma da concerto. Ne tiene conto nella nuova op. 77, ma non riesce ad andare
lontano. Completa solo due lavori (pubblicati nel 1802) che hanno la perfezione delle cose passate e la trasgressione che guarda al futuro: nel n. 1 la
marcia iniziale ripresa da Gustav Mahler cento anni dopo come attacco
della Sesta sinfonia, il minuetto-scherzo che modello per Beethoven, il
kolo croato che anticipa Bartk. E quella sintesi perfetta di quartetto
haydniano che lop. 77 n. 2, con impeccabile primo movimento monotematico; Minuetto che torna in seconda posizione alla maniera antica; Andante circolare e ripetitivo che riassume sonata, rond, variazione; vivace
Finale allungherese, capace di ispirare lormai contemporaneo Beetho-
Ascolti
F.J. Haydn, Kaiserquartett, Emerson String Quartet, dg 1989
F.J. Haydn, Piano Variations, J. Jand, Naxos 2006
Letture
J. Zeichner, Einigkeit und Recht und Freiheit, PapyRossa, Kln 2008
1798 La Creazione
ulivi nel 1801 avendo Haydn come esempio. Scrive oratori anche Felix
Mendelssohn (Paulus, 1836; Elijah, 1846), accanto a tanti altri autori minori. Per lantico genere musicale, inventato in Italia quasi tre secoli prima,
una luminosa estate di San Martino. Quello che mantiene vivo, ancora oggi,
linteresse per la Creazione la modernit delle sue scelte musicali, quelle
straordinarie pagine poste in apertura come Rappresentazione del caos e
che davvero generano i numeri successivi. Non con logica ordinatoria, come
vorrebbero il testo e lideologia e linterpretazione corrente; ma con libera
associazione dintuizioni musicali e con evidente orrore per le simmetrie.
Non ci sono strutture e forme che si ripetono, nella Creazione. Il caos continua anche nei numeri successivi al primo. Come nella serie dei numeri
naturali, lordine solo apparenza, sostenuta dalle parole e negata dalla sostanza musicale. E comunque sono le note in libert del caos che creano la
grande musica dellOttocento, e che sappiamo pi caotica ancora: i furori
beethoveniani, le ambiguit wagneriane, la dissoluzione tonale di fine secolo e poi la disgregazione formale che segna il Novecento. Con buona pace
dei suoi mentori letterari e filosofici, razionali e illuministi, forse anche di se
stesso, il musicista Haydn sembra dirci che dal caos primordiale non si giunge allOrdine; e che ogni fenomeno organizzato che ne discende solo effimero e aumenta la confusione.
Ascolti
F.J. Haydn, Die Schpfung, F.J. Karajan, Berliner Philharmoniker, dg 1992
F.J. Haydn, The Seasons, T. Beecham, Royal Philharmonic, emi 2005
F.J. Haydn, The Complete Mass, R. Hickox, Collegium Musicum 90, Chandos 2007
Letture
G. Feder, Die Schpfung, Brenreiter, Kassel 1999
H.C. Robbins Landon, Haydn: The Years of Creation, Thames and Hudson, London 1978
clavicembalistica. Beethoven fa largo uso anche del pedale una corda, che
consente di alleggerire il suono colpendo col martelletto una sola delle tre
corde che danno il suono pieno di ciascuna nota. Al suono pi forte che ottiene la meccanica pesante dei costruttori rard (francese) e Broadwood
(inglese), Beethoven preferisce quello flebile ma pi duttile della meccanica
leggera degli austrotedeschi Stein e Streicher. Vuole che lo strumento canti
come una voce umana e che sia linterprete a dosare le emozioni. Non diversamente pensano i virginalisti inglesi del Rinascimento e ancor pi il settecentesco clavicordista Carl Philipp Emanuel Bach, in questo degno erede del
sommo padre Johann Sebastian. Anche Mozart pensa cos, ma non dispone
ancora dello strumento adatto.
proprio la straordinaria capacit di far cantare il pianoforte che consente al giovane Beethoven di affermarsi nel gran mondo viennese. Scopre
questarte da solo, esercitandosi sulla tastiera nella nativa e semiprovinciale
Bonn. Lo guida un poco il padre cornista e di pi il modesto quanto competente cembalista e direttore dellorchestra di corte, Christian Gottlob
Neefe, formatosi alla scuola di Lipsia. Neefe gli fa studiare il Clavicembalo
ben temperato di Johann Sebastian e le sonate dellammiratissimo Carl Philipp Emanuel Bach. Beethoven si fa notare subito come autore, oltre che
come esecutore. A dodici anni pubblica le sue prime variazioni su un tema
dopera e a tredici tre sonate alla maniera di Bach figlio. Non gli riesce il
tentativo di perfezionarsi con Mozart a Vienna nel 1787. Rientra a Bonn,
suona la viola nellorchestra di corte e familiarizza con il corrente repertorio
operistico. Continua a scrivere variazioni per pianoforte fino a quando,
trasferito a Vienna nel novembre 1792, prende regolari lezioni da Franz
Joseph Haydn.
Haydn non pianista, ma al pianoforte dedica una serie di almeno 70 fra
sonate, variazioni e fantasie in cui applica i principi formali da lui stesso
sviluppati per quartetti e sinfonie. I movimenti delle sonate sono di regola
tre, senza minuetto (che talvolta sostituisce il pi frequente adagio nella
posizione centrale). Il primo in forma sonata monotematica e il terzo alla
rond, con il polifunzionale tema con variazioni che tutti pu sostituire. Il
taglio complessivo e la scrittura non virtuosistica sono ispirati dal modello di
Carl Philipp Emanuel Bach, peraltro sempre riconosciuto. Si distingue la
Sonata n. 33, composta nel 1771, nella quale la critica tonalit di re minore
esaltata da salti dinamici tra piano e forte che certificano il distacco dal suono
del clavicembalo. Una prima svolta stilistica si ha alla fine degli anni ottanta,
quando Haydn abbandona il clavicembalo, compra un pianoforte, incontra
signore abilissime anche a suonare il nuovo strumento. La seconda e ancor
pi importante svolta avviene durante il primo soggiorno londinese, frutto
di una doppia combinazione: laffettuosa e matura amicizia con Teresa Jan-
Ascolti
L. van Beethoven, Sonatas op. 27, 31.2, 53, M. Pollini, dg 2003
L. van Beethoven, Complete Piano Sonatas, W. Backhaus, Decca 1999
F.J. Haydn, 11 Piano Sonatas, A. Brendel, Philips 1996
Letture
M. Solomon, Beethoven, Marsilio, Venezia 1988
G. Stanley, Companion to Beethoven, Cambridge University Press, Cambridge 1999
G. Carli Ballola, Beethoven, Rusconi, Milano 1985
A. Werner Jensen, Ludwig van Beethoven, Musikfhrer, Reclam, Leipzig 2001
W. Kinderman, Beethoven, University of California Press, Berkeley 1995
B. Cooper, Beethoven and the Creative Process, Clarendon Press, Oxford 1992
L. Plantinga, Clementi, Feltrinelli, Milano 1980
Musiche per una coreografica neoclassica Noverre Angiolini Vigan Beethoven e il balletto Linguaggio
sinfonico Chi Prometeo: Napoleone o Beethoven? Vigan alla Scala di Milano Beethoven e le musiche di scena
In una notte buia e tempestosa, inseguito dai fulmini di Giove, il trafelato titano Prometeo riesce a raggiungere le due creature di argilla che ha da poco
modellato e a portare loro il fuoco della vita. Luomo e la donna che cos nascono non hanno per sentimenti. Prometeo allora conduce le creature
senzanima sul Parnaso, dove Apollo e le sue muse le educano alle rispettive
arti. Va tutto bene fino a quando Melpomene, musa della tragedia, in un eccesso di zelo, uccide Prometeo. Arriva Pan, che risuscita leroe con la sua
musica pastorale. Seguono scene di giubilo e di danza che coinvolgono tutti.
Chiude un articolato finale, con melodia che diventer tema per le variazioni
nel finale della sinfonia Eroica. questo il canovaccio per il quale Beethoven
scrive la sua prima musica per teatro. Non unopera ma un balletto-pantomima, in cui raccontano una storia soltanto le musiche e i gesti senza parole di
ballerini e attori. Queste regole sono applicate con enorme successo dal ballerino e coreografo Salvatore Vigan, appena diventato maestro di ballo alla
corte imperiale di Vienna e campione del nuovo modo di intendere la danza
elaborato circa mezzo secolo prima dal francese Jean-Georges Noverre.
Gi danzatore nelle fastose messe in scena operistiche di Rameau, Noverre si rende conto che, in unepoca di profondi cambiamenti stilistici e sociali com il secondo Settecento, non ha futuro la danza subordinata ai meccanismi farraginosi della tragdie-lyrique. Pensa che vada svincolata dalla parola e dal canto, che basti affidarsi al gesto e alla musica strumentale per
raccontare storie ed esprimere emozioni. Elabora il principio della danza
come azione, con un suo linguaggio teatrale fatto di movimenti sobri, sempre
eleganti e mai artificiosi. Ragiona in termini di anatomia e di geometria, non
di frammentate piroette. Chiede ai ballerini di non essere saltimbanchi ma
attori completi, che non parlano e sanno mimare la realt. Crea la pantomima e il balletto moderno, che diffonde nelle capitali europee. Dopo Parigi,
Strasburgo e Lione, Noverre vive a lungo a Londra e Stoccarda, nel 1776
diventa maestro di danza alla corte di Vienna. Torna a Parigi al seguito di
Maria Antonietta (1775), di nuovo a Londra (1785-93), si ritira nel 1795.
Le sue Lettres sur la danse et sur les ballets (Lione, 1760) diventano la Bibbia
della nuova arte coreutica, sono subito tradotte in inglese e tedesco, diffuse
fino in Russia, tuttora lette e ristampate. Del 2006 una nuova edizione, con
prefazione di Maurice Bjart.
Noverre fa parte del movimento riformatore del teatro musicale, che nelle
medesime citt di Parigi e Vienna ha come protagonista il musicista Gluck.
La collaborazione fra i due produce Alceste (Vienna 1767) e Ifigenia in Tauride (Parigi 1779). Le coreografie di Orfeo ed Euridice sono tuttavia firmate non
da Noverre, ma dallitaliano Gasparo Angiolini, suo storico rivale. Angiolini che organizza anche la messa in scena di Don Juan, ou Le Festin de pierre
(Vienna 1761), il primo balletto dazione del Settecento: senza proferire parole, va in scena lintera storia di Don Giovanni, come impostata da Molire
(in seguito ripresa da Da Ponte per Mozart), dallassassinio del commendatore allo sprofondare nellinferno con una serie di episodi intermedi distribuiti
su quattro atti. Mirabolanti effetti scenici accompagnano le recitazioni fatte
soltanto di gesti e danze, senza parole (pantomime), con il sostegno dei 31
numeri musicali scritti da Gluck, di un paio di minuti ciascuno, che diventano
tanto popolari da essere eseguiti a Vienna per oltre 40 anni, influenzando in
maniera decisiva sia Mozart sia Beethoven. Angiolini allievo e delfino del
viennese Franz Hilverding, impegnato a sua volta a diffondere il balletto
moderno a San Pietroburgo e Mosca (1758-64) prima di tornare nella nativa
Vienna per dirigere i balletti di corte. Quando Hilverding si ritira (1767),
Noverre ottiene il suo posto, con Angiolini che gli contesta la paternit del
balletto dazione. Inizia una nuova diatriba artistica fra italiani e francesi.
Di tutti erede Salvatore Vigan, che, tredicenne, entra in scena come
ballerino a Genova nel 1782. Nato a Napoli da famiglia di danzatori, studia
con il famoso violoncellista Boccherini (suo zio, perch fratello della madre), scrive poesie, recita in teatro di prosa. Dopo aver danzato anche a
Roma e Venezia, nel 1788 approda a Madrid e si perfeziona con Jean Dauberval, gi allievo di Noverre. Sposa una fascinosa danzatrice spagnola e con
lei si esibisce a Bordeaux, Londra, Venezia. Conquista Vienna anche grazie
alla sensualit della moglie (1793-95), quindi Praga, Dresda, Berlino, Amburgo e ancora Venezia. Nel 1799 diventa maestro di balletto al teatro di
corte viennese. Una delle sue prime decisioni lallestimento di un nuovo
balletto di cui egli stesso scrive il libretto ispirandosi alla tragedia Prometeo
incatenato di Eschilo rivisitata da illuministi francesi e anche dal neoclassico
italiano Vincenzo Monti (1797). Affida il compito di scrivere la musica al
trentenne Beethoven, che al momento si sta affermando come concertista,
ma ha scritto soltanto musica da camera e per pianoforte, e nulla per il teatro, salvo una dimenticata Musica per un balletto di cavalieri rappresentata a
Bonn nel 1791 nel palazzo del conte Ferdinand von Waldstein. Vigan dimostra coraggio e acume, Beethoven risponde benissimo alla sfida. In pochi
dedicata al cittadino Napoleone Bonaparte. Il balletto definito eroicoallegorico. Lazione descrive un eroe-demiurgo che rischia la vita per animare pupazzi di argilla. La musica classica nella forma ma attenta alle
nuove maniere (marce militari con timpani e fanfare), esportate fino a
Vienna dalla Francia rivoluzionaria. E c il finale, che pare una prova generale della monumentale sinfonia Eroica in origine dedicata al repubblicano
Primo console, subito diseredato quando si trasforma in imperatore e re.
Non dovrebbero esserci dubbi: Napoleone il Prometeo di Beethoven e di
Vigan.
Il coreografo italiano resta a Vienna altri due anni, torna in Italia, diventa
direttore del ballo alla Scala di Milano inanellando fra 1813 e 1821 una memorabile serie di successi, spesso su musiche sue, ma anche di Paisiello e
Rossini: Gli strelizzi (1809), Il noce di Benevento (1812), Otello (1818), La
vestale (1818), I titani (1819), Giovanna dArco (1821). Diventa cos il maestro della danza italiana, che trasforma il ballet daction di Noverre in una
sintesi fra pantomima dei singoli e movimento dellintero corpo di ballo,
integrando solisti e pas de deux con le evoluzioni di massa. Assieme allo scenografo Alessandro Sanquirico, Vigan realizza a Milano spettacoli che
competono con quelli di Parigi e fanno dire a Stendhal: La pi bella tragedia di Shakespeare produce su di me la met delleffetto di un balletto di
Vigan. Non ha successori immediati a Milano, ma i suoi spettacoli reggono
ancora per mezzo secolo e trasmettono allestero una tradizione che influenza lintero Ottocento, comprese Parigi e la lontana Russia, dove la presenza
di Hilverding e del suo allievo Angiolini e la fama di Noverre e di Vigan
nutrono una tradizione che avr il suo culmine nel ballet blanc di ajkovskij
e in quello fauve di Stravinskij, con tutti i passaggi intermedi e successivi che
vedremo.
Beethoven, invece, non torna sul balletto come genere specifico. A differenza di Mozart che scrive molta musica da ballo nel corso di tutta la sua
breve vita, le danze e controdanze che Beethoven confeziona per lintrattenimento in palazzi nobiliari si concentrano nellet giovanile e certo non
contribuiscono alla sua fama di autore. Non gli interessa la musica da ballo,
neppure stilizzata. Accenni di valzer, la danza di moda nei palazzi assieme
alla sua variante campagnola, Lndler, sincontrano spesso in sinfonie,
sonate, quartetti, trii, ma sono funzionali a disegni diversi. Pi importanti e
costanti sono i suoi interessi per la musica in teatro, ma senza parole. Beethoven studia con attenzione i tragici greci, conosce i francesi e gli spagnoli del
secolo doro, adora Shakespeare, ama Goethe, Schiller, assieme a tanti minori. Gli viene spontaneo dare il suo contributo, con la musica che conosce di
pi, quella per orchestra, e nella forma che ha imparato a padroneggiare
meglio, la sonata dialettica. Per il dramma Coriolano di Heinrich Joseph
von Collin scrive nel 1807 unouverture dalla forza inaudita, che nasce dai
violenti colpi di maglio iniziali e procede come primo movimento di sinfonia.
Per la tragedia Egmont di Goethe, Beethoven compone nel 1810 unaltra
ouverture, che sinfonica come poche, e la fa seguire da una pregevole sequenza di otto numeri musicali che illustrano le scene cruciali, con due
emozionanti Lieder, un Melodram (melologo) per voce recitante e orchestra. Corona e conclude una Sinfonia di vittoria che riporta alla fondante
ouverture iniziale, perch coincide con la sua stretta finale.
Le altre musiche di scena che Beethoven scrive negli ultimi anni non sono
capolavori. Vivono della sola ouverture le musiche per Le rovine di Atene op.
113 e Re Stefano op. 117 (entrambe del 1811), due drammi del prolifico,
reazionario e cosmopolita August von Kotzebue, cui Beethoven si rivolge nel
1812 chiedendo il libretto per unopera sulle gesta di Attila mai andata in
porto. Il genere della musica di scena continua tuttavia per tutto lOttocento
e ha il suo sbocco naturale nel Novecento quando diventa musica da film,
fissata dalla colonna sonora. A sua volta, il balletto trova nellOttocento la
sua stagione doro, anche per indiscusso merito della strana coppia Beethoven-Vigan.
Ascolti
L. van Beethoven, Le creature di Prometeo, Orpheus Chamber Orchestra, dg 1998
L. van Beethoven, Eroica Variations, A. Brendel, Decca 1985
C.W. Gluck, Don Juan, J.E. Gardiner, London Baroque Soloists, Apex 2006
Letture
M. Solomon, Beethoven Essays, Harvard University Press, Cambridge 1988
W. Riezler, Beethoven, Rusconi, Milano 1978
R. Martin, Beethovens Hair, Russell Martin, London 2000
L. Bottoni, Il teatro, il pantomimo e la rivoluzione, Olschki, Firenze 1990
sonate, non esita ad aggiungere lindicazione ad libitum alla parte del violino,
a segnalare il dominio del pianoforte. Sono passati i tempi in cui, su un cembalo confinato a basso continuo, svetta il violino di Corelli, Vivaldi, Locatelli, Tartini, Geminiani. Laffermazione del cembalo nella sonata per violino
inizia con Johann Sebastian Bach, attorno al 1720, e continua con i suoi figli
Carl Philipp Emanuel e, soprattutto, Johann Christian, il pi giovane e ai
suoi tempi il pi famoso, che passa alla storia come il Bach inglese per la
sua nota attivit a Londra. Direttamente da lui, fra gli otto e i dieci anni
(1764-66), Mozart apprende larte della sonata per violino accompagnato.
La sonata op. 47 segna la rottura di Beethoven con la tradizione classica,
ma appare pi un frutto del caso che una scelta meditata. Nasce come tipica
musica doccasione, composta in tutta fretta per un concerto viennese programmato per il 24 maggio del 1803 e con protagonisti lo stesso Beethoven
(al pianoforte) e il ventiquattrenne violinista George August Polgreen Bridgetower. Questultimo, di madre polacca e padre caraibico, esordisce come
violinista a dieci anni e presto conquista i favori del principe di Galles. I suoi
concerti parigini scatenano entusiasmi. Cos le sue esibizioni nel resto dEuropa. A Vienna incontra subito Beethoven e ne diventa amico e collaboratore. Bridgetower che ispira la grande sonata e la dedica (non proprio elegante) di Beethoven che si legge sul manoscritto: Sonata mulattica. Composta per il Mulatto Brischdauer, gran pazzo e compositore mulattico. A pochi
giorni dalla data del concerto, Beethoven non ha ancora scritto una nota.
Decide di utilizzare come finale quello della sonata op. 30 n. 1. Stende rapidamente lintera parte del violino. Imbastisce quella del pianoforte per il
solo primo movimento, mentre non ha il tempo di scrivere quella del secondo, che letteralmente improvvisa durante il concerto. Quella sera sono proprio le improvvisate variazioni del secondo movimento ad avere successo.
Suscitano invece sconcerto e perplessit le furie del primo movimento, in
linea con lo stile di un Beethoven che in quegli anni completa la Terza sinfonia Eroica e affronta la Quinta, la sonata Appassionata per pianoforte, i tre
quartetti per archi op. 59. Dopo tanto primo movimento, qualunque pagina
successiva avrebbe avuto difficolt a reggere, non solo il serafico Andante
con variazioni o la brillante tarantella che serve da finale alla Sonata a
Kreutzer. Per Beethoven, come suggeriscono i materiali comuni, scrive il
primo movimento basandosi sul terzo, che precedente, e d al tutto una
struttura circolare che va oltre le contingenze spicciole. E giustifica quel
senso di unitariet che la sonata comunque trasmette allascoltatore, segno
dei capolavori assoluti.
Bridgetower lascia Vienna, continua la sua vita bohmienne e muore dimenticato nel 1860, alla periferia di Londra. Beethoven resta, ma continua
ad accarezzare il mito di Parigi. Lo affascinano il gran mondo della capitale
francese, il teatro musicale, la vita concertistica, la scuola di violino e lammirazione sconfinata per il caposcuola Giovanni Battista Viotti. Piemontese di
nascita e formazione, Viotti allievo delleccellente concertista e autore di
pregevoli sonate Gaetano Pugnani, torinese e importatore della scuola violinistica italiana nella Parigi di met Settecento: infatti a sua volta allievo di
Tartini e di Giovanni Battista Somis, che impara da Corelli. Con il maestro
Pugnani, Viotti tiene concerti in tutta Europa, Russia compresa. Da solo,
stabile a Parigi fra 1784 e1792, trionfa al Concert Spirituel, impartisce lezioni e fonda un teatro, salvo fuggire a Londra in piena Rivoluzione. Muore in
miseria, rovinato dal vino, perch lo commercia, non perch lo beve. Resta il
massimo violinista del suo tempo, insigne compositore (29 concerti per violino, 1782-1824) e didatta, maestro di alcuni fra i maggiori virtuosi dellOttocento. Haydn e Salomon collaborano con lui a Londra. anche autore
(1781) di una melodia che Rouget de Lisle plagia nel 1792 trasformandola
nellinno guerresco diventato inno nazionale francese col nome La Marseillaise. Mozart ne trascrive un concerto dal violino al pianoforte, regolarmente catalogato come K 470a. Beethoven non conosce Viotti di persona ma ne
studia lo stile, impressionato dalla forza e dallampiezza delle melodie, dalla
naturale eleganza delle fioriture virtuosistiche; sente nella cantabilit strumentale, nelle vibrazioni delle corde sfiorate del suo violino il naturale complemento al martellato del proprio pianoforte. Scopre lo spiraglio verso il
sublime in musica da coniugare con il titanico che conosce bene. Un
primo risultato la Romanza op. 40 scritta nel 1800: una melodia, lunga,
cantabile, perfetta per una scena dopera neoclassica italofrancese alla maniera di Spontini o di Cherubini. Non affidata alla voce umana, ma al violino, lo strumento che meglio canta. Che anzi sembra riprodurre le magie di
un duetto, appunto, dopera. Attacca dolcissimo in assolo, con le corde
doppie che espandono e ammorbidiscono il canto, che lorchestra riprende
con colori diversi, ma sempre sottovoce, attenta a non disturbare. lirismo
puro, che raggiunge il pathos senza ricorrere alla dialettica degli opposti o
alla mediazione della parola.
Per violino e orchestra, il capolavoro assoluto di Beethoven il Concerto
op. 61, tanto limpido e sereno allascolto da far dubitare della reale consistenza dei drammi personali e delle pulsioni eroiche dellautore nei primi
anni dellOttocento. Rendono magico il primo movimento, i famosi colpi
del timpano allinizio, la bella preparazione orchestrale, lattacco straordinario del violino, le evoluzioni nei registri sopracuti, gli intarsi con gli strumenti a fiato, mentre continuano le discrete pulsazioni del timpano e dei
bassi. Il successivo Larghetto un tema con variazioni, con melodia
esposta dai soli archi e poi variata dolcemente dal violino solista mentre
clarinetto, corni, fagotti e resto degli archi ricordano il motivo originale.
Ascolti
L. van Beethoven, Violin Sonatas n. 9 & 10, G. Kremer, M. Argerich, dg 1994
L. van Beethoven, Complete Violin Sonaten, Perlman, Ashkenazy, Decca 2002
W. A. Mozart, Complete Violin Sonaten, Mutter, Orkis, dg 2006
Letture
H.C. Lahee, Famous Violinists of Today and Yesterday, The Echo Library, Teddington
2006
W.E. Studwell, The French Violin School, Lyre of Orpheus Press, Kingwill 2002
A. Poggi, E. Vallora, Beethoven. Signori, il catalogo questo!, Einaudi, Torino 1995
B. Cooper, The Beethoven Compendium, Thames and Hudson, London 1991
Z. Silvela, A New History of Violin Playing: The Vibrato and Lambert Massarts Revolutionary Discovery, Universal Publishers, Boca Raton 2001
complessa ancora. Introduce la terna delle variazioni finali che questa volta
ancorata alla bella melodia che Beethoven ha gi accarezzato e utilizzato
tante volte: in una giovanile controdanza, poi nel balletto Le creature di Prometeo (1801) e ancora in unimpegnativa serie di variazioni per pianoforte
(1802).
In apparenza lEroica nasce allinsegna della continuit, nei primi anni
dellOttocento, con le sinfonie di Haydn e di Mozart, impostata solo qualche
mese dopo il completamento delle prime due sinfonie di Beethoven, che
sembrano semplici eppure sono costruite con gran fatica. Il lungo tempo di
gestazione della Prima sinfonia un caso esemplare. Risalgono agli anni di
Bonn, prima dellarrivo a Vienna, gli abbozzi per una sinfonia in do maggiore
mai portata a termine. Il nuovo tentativo inizia attorno al 1795 e procede a
sbalzi per quattro anni. Nel frattempo Beethoven si crea una reputazione
invidiabile come esecutore, improvvisatore e compositore di musica per pianoforte. Qui il suo talento innato e linvenzione dilaga sotto le dita, su uno
strumento dalle risorse tecnico-artistiche ancora in massima parte inesplorate. Invece, quando scrive per strumenti e repertori consolidati, Beethoven
soffre il confronto con le grandi figure che lo precedono, Haydn e Mozart,
maestri di quartetti e sinfonie. I sei quartetti dellop. 18 hanno una gestazione
di oltre due anni, ma iniziata dopo e finita prima della sinfonia. Va ancor
meglio al Settimino per archi e fiati op. 20, imbastito in poco tempo nel 1799,
subito presentato in pubblico con successo travolgente. Tuttora molti critici
considerano il Settimino pi interessante e originale della Prima sinfonia.
Solo nel 1799 Beethoven affronta di petto il genere sinfonia e termina la
partitura della Prima, appunto in do maggiore. Non rivoluzionaria. Sono
escluse le stravaganze e le provocazioni che spesso si trovano nelle sonate per
pianoforte. La Prima segue di buon grado le regole dedotte da Haydn e da
Mozart. Di arrischiato c solo la dissonanza che cattura lattenzione creando
incertezza e attesa nellAdagio molto che introduce il primo tempo: levoluzione maestosa, appoggia su accordi solenni, prepara bene lo scatto folgorante del seguente Allegro con brio che assume perfino unurgenza
drammatica degna dellormai prossimo sinfonismo eroico. Si noti il rimbalzare su vari strumenti di un serrato gioco di proposte e risposte di brevi
cellule, spesso ridotte a un inciso ritmico o a una semplice macchia timbrica.
Dopo il lirismo di taglio bucolico del secondo tempo, nel Minuetto gi
pulsa il ritmo degli scherzi beethoveniani. Una nuova introduzione lenta
prepara lo slancio di un Allegro molto e vivace che porta allapoteosi finale, giovanile manifestazione della fiducia totale nelle virt catartiche della
musica che segna sempre larte di Beethoven.
La Seconda sinfonia cresce accanto alla Prima, in modo complementare,
assorbendo i caratteri lirici che non trovano posto nellimpianto serioso
dellaltra. Ovunque chiara la doppia lezione dei maestri. Da Mozart ripreso il gran materiale del primo tempo, animato dalla bella valorizzazione
degli impasti strumentali fra archi e fiati. A Haydn rimandano lintroduzione
lenta e il vivace scorrere di un finale che riassume i principali motivi dei
movimenti che precedono. Non manca il tocco originale di Beethoven,
nellefficace squadratura dello Scherzo e nel tono campagnolo del suo
trio, nella cantabilit alleggerita e ironica del tempo lento. Nulla lascia prevedere la svolta dellormai prossima Eroica, che pure rispetta i canonici
quattro movimenti, nella sequenza e nella forma tradizionali.
Aver saldi legami col passato non impedisce alla Terza di essere, questa
volta s, rivoluzionaria, anzi il capolavoro che segna la transizione fra Settecento e Ottocento, fra Illuminismo e Romanticismo. Sempre restando sul
piano puramente musicale, la Terza segna una rottura totale col passato anche prossimo. La sua durata sconvolge i contemporanei e sconcerta anche
noi: quasi unora, il doppio delle pi ampie sinfonie di Haydn e Mozart. E
ciascun movimento d il suo contributo alla monumentalit dellinsieme. Fra
laltro, gli schizzi che ci sono stati tramandati ritraggono un Beethoven deciso ad anteporre al primo movimento un ampio Adagio introduttivo, sostituito dai celeberrimi due accordi che subito zittiscono luditorio e portano
diretti al cuore della sinfonia. Non poca cosa linserimento di tre tromboni
nellorganico, che implica quasi un raddoppio degli archi per equilibrare gli
ottoni (ci sono anche quattro corni e due trombe).
Tanto impegno da parte dellartista ha una doppia motivazione, etica e
pratica. LEroica concepita come omaggio a Napoleone, che Beethoven
ammira come campione di libert, allinsegna della luce e del progresso contro
loscurantismo e la conservazione dei ceti aristocratici che dominano lEuropa
di allora. Ma non ci sono soltanto valori nobili e astratti. Si sa che Beethoven
spera di trasferirsi a Parigi, che considera (non a torto) capitale della cultura
mondiale. Tenta di farsi assumere dalla corte di Napoleone. Si muove su due
piani. Da un lato cerca supporto di diplomatici e militari francesi oltre che di
amici viennesi, in vista di un soggiorno parigino a lungo termine. Dallaltro
prepara un pacchetto musicale in grado di carpire linteresse imperiale. Ne
fanno parte la Sonata a Kreutzer, lopera Leonore, poi Fidelio, e soprattutto la
sinfonia Eroica, nella struttura musicale come nella tormentata vicenda di
dediche e di edizioni. Fra laltro, nessun dubbio sussiste sul fatto che per la
Marcia funebre Beethoven si ispiri alle musiche celebrative in voga nella
Parigi dei tempi della Rivoluzione e del Consolato, firmate da autori come
tienne-Nicolas Mhul (Chant du dpart) e Franois-Joseph Gossec (Marche
lugubre, Hymne ltre suprme, Le Chant du 14 juillet).
Fin dallinizio, Beethoven si premura di diffondere la voce che la nuova
sinfonia ispirata e dedicata a Bonaparte, anche se mantiene ottimi rapporti
suo stesso autore, che attribuisce a ciascun movimento un preciso fine descrittivo, dalle emozioni per la nascita della primavera, alla pace fra campi e
ruscelli, al rombo del temporale e alla riconciliazione fra terra e cielo. Con
mezzi solo strumentali, senza parole. Si comprende bene perch lEroica
tarda a trovare seguaci fra quanti continuano a scrivere sinfonie nel ventennio successivo, da Franz Berwald a Carl Maria von Weber, da Ludwig Spohr
a Franz Schubert, compreso tal Sigismund (von) Neukomm, autore nel 1818
di una Symphonie heroique op. 19. Per trovare un vero erede bisogna aspettare il francese Berlioz, e la sua Symphonie fantastique, un quarto di secolo
dopo, in un mondo culturale e sociale tutto differente, e non senza importanti fraintendimenti. Enorme poi limpatto della marcia funebre, non solo
su Berlioz, ma anche su Chopin, su Mahler. Mentre la tecnica strumentale,
dallespansione dellorganico alle invenzioni timbriche, lievita fino a noi. In
fondo ancor oggi alcuni contorni del capolavoro sono sfumati dalla vastit
delle implicazioni che nascono dalla sua natura e dalla sua storia.
Ascolti
L. van Beethoven, Eroica, O. Klemperer, Philharmonia Orchestra (1955), emi 1998
L. van Beethoven, Complete Symphonies, H. von Karajan, Berliner Philharmoniker
(1963), dg 1999
Letture
M. Geck, P. Schleuning, Geschrieben auf Bonaparte. Beethovens Eroica: Revolution,
Reaktion, Rezeption, Rowohlt, Hamburg 1989
T. Sipe, Beethoven: Eroica Symphony, Cambridge University Press, Cambridge 1998
primo. Si ripete una situazione che per Beethoven quasi una regola,
cio iniziare una serie di lavori con il pezzo pi attuale e regredire verso
la tradizione con gli altri, preoccupato di aver fatto passi troppo lunghi.
cos nella sestina di quartetti per archi op. 18 e nella terna, sempre di
quartetti, op. 59. Come non mancano altri esempi nel ciclo delle sonate,
nelle tre dellop. 2, nelle tre dellop. 10, nelle due dellop. 14 che seguono linnovativa Patetica op. 13.
Lop. 31 n. 3 punto fermo nellevoluzione dello stile beethoveniano, riassuntiva come poche altre e autentico zibaldone di idee musicali.
Il primo movimento attacca accumulando materiali, in un modo che
appare casuale e invece serve a costruire un primo nucleo tematico
senza melodia, su un ritmo elementare da variare e modificare secondo
criteri che oggi definiremmo strutturali. Il secondo tema arriva
allimprovviso, ed una melodia ampia, lineare, con una simmetria
tanto classica da apparire provocatoria. sostenuta da un galante basso albertino, la formula ripetitiva introdotta a met Settecento da
Domenico Alberti e adottata anche dai grandi Mozart e Haydn, oltre
che da tutti i minori. Il contrasto sconcertante, certo non drammatico,
non eroico-beethoveniano; piuttosto grottesco, umoristico, ironico.
Lo sviluppo regala visionarie catene di trilli, scatti nervosi, ricami decorativi, disimpegnato melodizzare. La natura sperimentale della sonata,
il suo voler essere quasi una parodia, trova conferma nello Scherzo
posto come inconsueto secondo movimento. Ha metro binario, linea
melodica e accompagnamento concepiti per trarre in inganno lascoltatore, che alla fine crede di ascoltare una marcia funebre a velocit doppia del normale. Il terzo movimento un Minuetto, la cui candida
eleganza ricorda la trascrizione pianistica di una musica pensata per
carillon. Nel Trio lo stile cambia, diventa quello di un Beethoven
proteso verso il futuro, intento ad esplorare il suono, a sperimentare
timbri: le potenzialit di queste poche battute saranno ben comprese da
Camille Saint-Sans, che ne ricaver le Variazioni su un tema di Beethoven op. 35 per due pianoforti (1874), opera fra le sue pi ironiche ed
efficaci. Chiude un Presto con fuoco, dalla dinamica travolgente, su
un ritmo di tarantella.
Nella Sonata in sol minore op. 31 n. 1, il movimento centrale sembra appartenere al passato, con melodia disposta su accompagnamento dinoccolato e fiorito. I tarli cromatici, linsistenza dei trilli, i tentativi di forzare i limiti
fisici del pianoforte confondono armonie e timbri. Si stabilisce un ponte
ideale con le ornamentazioni strutturali, caratteristiche delle ultime sonate di Beethoven. LAdagio grazioso perde tutti i suoi connotati settecenteschi per diventare inattesa illuminazione del futuro. Nel primo movimento
linnovazione timbrica evidente nel botta e risposta fra un segmento lineare e uno frastagliato. Nel terzo e ultimo, le fantasiose varianti di disposizione
e registrazione sono una prova generale delliridescente finale dellormai
prossima Sonata op. 53 Waldstein e su un impianto generale che, ventanni
dopo, far da modello per tanti finali di Schubert.
La Sonata in re minore op. 31 n. 2 celeberrima anche per il sottotitolo
La tempesta, che nasce da un episodio curioso. Leggiti La tempesta di Shakespeare! sibila Beethoven ad Anton Schindler che gli chiede che significato si nasconda in questa rivoluzionaria sonata. Non sapremo mai se la risposta di Beethoven abbia un senso profondo o sia solo una battuta infastidita
per zittire uno scocciatore. Forse non vera. Schindler, come biografo di
Beethoven, inaffidabile, anzi falso. Si millanta amico intimo e invece nefasto. Un paio di esempi per tutti: distrugge la maggior parte dei quaderni di
conversazione sui quali deve scrivere chi vuole comunicare con il sordo
Beethoven perch li giudica politicamente compromettenti e privi dinteresse; contraff molti dei pochi che restano con lunico scopo di esaltare il suo
ruolo di confidente e appunto di amico.
Lopinabile testimonianza di Schindler porta lattenzione sulle letture di
Beethoven, profondo conoscitore e ammiratore di Shakespeare, al punto di
progettare unopera tratta da Macbeth. Confessa (a un vero amico, Carl Friedrich Amenda) di essersi ispirato alla scena della cripta di Romeo e Giulietta
per scrivere il movimento lento del Quartetto op. 18 n. 1. Consiglia Shakespeare anche allamica Teresa Malfatti e nei suoi diari lo segnala pi volte fra
i suoi autori preferiti, assieme a Schiller e Goethe, Omero e Plutarco, Ovidio
e Plinio, Pedro Caldern de la Barca e Vittorio Alfieri, oltre a Ossian, Klopstock, Schlegel. Cita anche alcuni (pochi) minori tedeschi di fine Settecento,
ora dimenticati, ma chiaro che Beethoven non tipo da letteratura di consumo e che la sua concezione prometeica, eroica dellopera darte travalica
la dimensione musicale e ha una portata universale. Molte delle testimonianze citate risalgono agli ultimi anni di vita di Beethoven (lincontro con
Schindler avviene non prima del 1822), nel pieno della grande maturit (la
cosiddetta terza maniera, 1817-27), quando le intemperanze giovanili
(prima maniera, 1790-1802) e le tensioni del periodo eroico (seconda
maniera, 1803-15) si sciolgono in una sintesi astratta e smaterializzata.
Proprio per questo, lepisodio riferito da Schindler, sia pure falso, suggerisce di ascoltare la Sonata in re minore op. 31 n. 2 immaginandosi in unisola di suoni misteriosi e di strumenti irreali, popolata da personaggi fantastici
che sbucano allimprovviso, imprimono brusche svolte allazione, dissipano
la sublime informalit con la loro logica apparente. Siamo nel primo movimento: le ambiguit di poche armonie confuse dal pedale di un Largo, che
introduce e ritorna, sono frantumate dalla perentoriet percussiva e dai fre-
miti ossessivi dellAllegro, che il corpo principale. La suggestione continua nellAdagio, con evocazione di corni e campane lontane, a preparare
un canto che ha la forza e la soavit di una ballata antica. E infine, nellAllegretto, la formula astrattamente musicale del rond alla moto perpetuo fa sognare a occhi aperti passi vellutati di elfi, galoppi vertiginosi di spiriti, scie lucenti di magiche entit celesti.
La Sonata op. 31 n. 2, scritta nel 1802, apre il periodo eroico del pianismo beethoveniano che continua con la citata op. 53 Waldstein (1803-04),
altro cantiere di sperimentazione dei timbri del pianoforte. Qui arriviamo
alla linea dombra che divide il suono dal rumore. Inizia in pianissimo e sul
martellare costante della mano sinistra si appoggia la gragnuola di note ribattute della mano destra, appena interrotta da un paio di squilli nellacuto. Si
direbbe sovrapposizione di grancassa, tamburello e ottavino, quasi una
musica turca. Il volume cresce fino al forte, scende fino al piano, si ferma.
Riprende allo stesso modo, percussivo e furioso, con diversa disposizione
pianistica. Sviluppa linciso acuto (quello dellottavino), si arresta di nuovo
e allimprovviso spunta un breve corale, subito spazzato via dallossessione
del rumore. Via cos fino alla fine. Resta il principio tripartito della sonata
(esposizione, sviluppo, ripresa) ma il turbinare di timbri e di armonie tale
da non lasciare spazio agli equilibri classici di Haydn e tanto meno alla melodia di Mozart. Beethoven sente sotto le dita un nuovo strumento e ne vuol
cavare musica nuova. Non c secondo movimento lento e neppure scherzominuetto. Una breve introduzione, che suggerisce richiami di corni e ancora
rulli di tamburo, porta a una nuova sperimentazione timbrica, questa volta
non sulla percussione ma sulla melodia e sui mille modi di adornarla. Ritroviamo la melodia nel registro grave e in quello acuto, semplice e raddoppiata, in pianissimo e fortissimo, ripetuta tante volte, accompagnata da arpeggi
e trilli che talvolta la intersecano per sminuzzare frammenti pi sottili. Un
inno alla leggerezza, un ponte verso il futuro, che permette laltro e bellissimo sottotitolo di Aurora.
Dopo il ritorno haydniano con la Sonata op. 54, gli equilibri classici sono
scardinati di nuovo dallAppassionata (1804-05), con il conseguente problema di darle un seguito. Beethoven prende tempo. Lascia calare la tensione e
prova a recuperare il passato classico, a rifugiarsi nel privato. I lavori per
pianoforte sono pi rarefatti e intimi. La forma incerta. La svolta stilistica
decisa. La Sonata op. 78 (1809) ha due brevi movimenti e i caratteri della
fantasia. Lop. 79 (1809) una sonatina, gradevolmente classica e di facile
esecuzione. Pi impegnativa lop. 81a, conosciuta come Gli addii, scritta
come saluto per lamico mecenate arciduca Rodolfo che deve partire. La
musica descrive: il corno del postiglione che annuncia la partenza (Adagio), le emozioni del distacco (Allegro), la struggente lontananza (An-
Ascolti
L. van Beethoven, Sonata op. 57, S. Richter, rca 1993
C.H.V. Alkan, Grande sonate Les quatre ges. Sonatine. Le festin dEsope, M.A. Hamelin,
Hyperion 1995
Letture
A. Schiff, Le sonate per pianoforte di Beethoven e il loro significato, il Saggiatore, Milano
2012
C. Rosen, Beethovens Piano Sonatas, Yale University Press, New Haven 2002
K. Drake, The Beethoven Sonatas and the Creative Experience, Indiana University Press,
Bloomington 1994
J. Kaiser, Beethovens 32 Klaviersonaten und ihre Interpreten, Fischer, Frankfurt 1979
come op. 18, frutto di una gestazione durata almeno cinque anni. Nel 1795
il primo a chiedere quartetti a Beethoven infatti un altro nobile, il conte
ungherese Anton Georg Apponyi, gi committente dei quartetti op. 76 e op.
77 di Franz Joseph Haydn. Offre un compenso generoso, senza il consueto
diritto esclusivo di esecuzione, rinunciando alla dedica. Per due volte Beethoven rifiuta e accontenta Apponyi dedicandogli prima un gran trio (op. 3)
e poi un quintetto (op. 4), entrambi per archi. Le resistenze di Beethoven
sono comprensibili. Arrivato a Vienna un anno dopo la morte di Mozart,
comincia a farsi notare proprio negli anni in cui escono i grandi capolavori
per orchestra e per quartetto di Haydn. Pur consapevole dei propri mezzi,
perfino arrogante, il giovane Beethoven prova un po di timore nellaffrontare i generi strumentali pi nobili, sinfonia e appunto quartetto. Prende
tempo. Consolida la sua fama di pianista pubblicando una serie di sonate per
pianoforte. Si cimenta in generi di minor prestigio come trii, quintetti, sonate per violino e pianoforte. Studia contrappunto, schizza fughe per quartetto
darchi.
Tre anni dopo Apponyi, il principe Joseph Franz von Lobkowitz a
chiedere quartetti. Beethoven accetta e per un paio di anni (1798-1800) si
concentra sul nuovo progetto. Siccome due anni sono un periodo lungo, non
stupisce che siano diversi il taglio e lo stile dei singoli lavori, che pure sono
riuniti dallunico numero dopera 18, pubblicati per in due distinti quaderni di tre. Semmai sorprende che nella prima terna dellop. 18 la linea stilistica non sia evolutiva ma involutiva, cio che il primo quartetto in ordine di
composizione (n. 3, 1798) sia il pi originale e avanzato. La solida piattaforma tematica del suo primo movimento nasce da Haydn e il lirismo del secondo rivela la familiarit con Mozart. Lestro del giovane Beethoven si rivela
nelle asimmetrie del terzo tempo, che non pi un Minuetto e non ancora
uno Scherzo. Ed esplode nel finale, che scatta velocissimo, sul ritmo danzante di giga e propone una serie inaspettata di contrasti dinamici, di timbri
inediti, di moderno contrappunto, chiudendo con un pianissimo che lascia a
bocca aperta. Ecco perch Haydn o Mozart non potrebbero aver scritto
questo quartetto mentre gli altri dellop. 18 forse s. La prova si ha nel cauto
Quartetto in sol maggiore op. 18 n. 2, composto assieme allop. 18 n. 1 e
terminato qualche tempo dopo, nellautunno del 1799. Qui lomaggio a
Haydn evidente nel primo movimento (incisi melodici brevi, simmetrici,
intervallati da accenti o da pause), nello scherzo e nel finale; mentre il secondo movimento cerca duetti operistici mozartiani. Non meno rispettoso della
tradizione il Primo quartetto dellop. 18, completato nel giugno 1799. Beethoven lo rivede poco prima della stampa: lima le asperit pi evidenti, attenua gli slanci ritmici, addolcisce i timbri. E cos assicura la totale continuit
col passato.
breve sospensione induce un aggiustamento armonico, un accenno di contrappunto, un nuovo alternarsi di piano e di forte, antifonale. Poi lo sforzato
del violoncello impone chiarezza e modula verso il luminoso si bemolle
maggiore dellAllegretto quasi allegro, che il finale vero e proprio. La
transizione dalla Malinconia allAllegretto perfetta, tanto naturale da
sembrare obbligata. Eppure si passa da un allucinato sperimentalismo a una
danza popolaresca, un po gioviale e quasi banale, ma tanto struggente ed
espressiva.
Sono passaggi come questo che rendono unici e indimenticabili molti
quartetti di Beethoven, soprattutto gli ultimi. Qui, nel giovanile Quartetto
op. 18 n. 6, per m una folgorante anticipazione che coglie un po tutti
impreparati, compreso lautore. Lintuizione ha poco seguito. Ununica breve riapparizione della Malinconia interrompe il moto perpetuo dellAllegretto finale, che ha il primo violino come protagonista e che chiude
con un virtuosistico Prestissimo. Gli altri movimenti restano nellambito
della tradizione. Il problema di trovare un soddisfacente equilibrio complessivo fra le quattro parti del genere quartetto resta invece irrisolto nel Quartetto op. 18 n. 5, lultimo in ordine di composizione. Beethoven esita ad accettare nuove commissioni di quartetto per altri quattro anni e accontenta il
conte russo Rasumovskji solo nel 1805, con le scelte radicali dellop. 59.
Beethoven inserisce nel classico linguaggio della musica da camera lo stile
eroico che in quel tempo sperimenta con orchestra e pianoforte. Il risultato il Quartetto op. 59 n. 1.
Anche il secondo quartetto dellop. 59 allineato con lo stile del Beethoven eroico o di seconda maniera. Liniziale Allegro gi fuori
dalla logica stretta della forma sonata classica. Non ci sono vere e proprie
melodie, ma pulsazioni, incisi, frammenti, sfoghi lirici presto dissolti,
drammatizzati da pause e scatti dinamici. La contestazione della tradizione
ancora pi esplicita nellultimo movimento, che trae la sua forza dallambiguit studiata delle relazioni armoniche, pur mantenendo la consueta
forma di rond, con una brillante coda in chiusura. Meno aggressivi sono i
movimenti centrali. Il secondo, Molto adagio, nella sua meravigliosa
semplicit rientra nellineffabile beethoveniano; un pezzo scritto contemplando le stelle del firmamento, come avrebbe confessato Beethoven
a Karl Holz, violinista del quartetto Schuppanzigh e dunque primo interprete in pubblico del Quartetto nel gennaio del 1809. Il testimone dubbio: Beethoven non ama parlare delle proprie fonti dispirazione e spesso
risponde stizzito alle domande dirette. Probabilmente non c alcun rapporto con le stelle. Il terzo tempo un robusto ma lineare Scherzo tripartito con il bel trio sul tema russo come sezione centrale: il canto tradizionale Gloria a Dio nei cieli, gloria affidato alla voce chiara del violino, priva-
to di ogni connotazione cerimoniale e trasformato in spunto leggero, svettante sul rapido disegno di accompagnamento. proprio lopposto di
quanto far Modest Musorgskij oltre mezzo secolo dopo utilizzando lo
stesso motivo per costruire la grandiosa scena dellincoronazione della sua
opera Boris Godunov. Altre concessioni alle richieste e ai gusti (certamente
classici e non rivoluzionari) del conte russo Rasumovskji non ci sono.
Il terzo e ultimo quartetto della terna op. 59 termina con un grandioso
fugato. Non una fuga vera e propria: talvolta lintenzione sopravanza la
capacit di realizzazione. Si vede bene linfluenza del Clavicembalo ben temperato di Johann Sebastian Bach, frequentato e amato da Beethoven per
tutta la vita. Lequilibrio formale migliorabile. Il Quartetto op. 59 n. 3
solo un esperimento, per cruciale. Per la prima volta Beethoven scopre che
il contrappunto ha sostanza drammatica e liberatoria a un tempo; e che pu
scaricare le tensioni accumulate nei movimenti precedenti con i meccanismi
della forma sonata. I frutti di questa intuizione matureranno molto pi tardi,
e saranno dirompenti: nel finale della Sonata per pianoforte op. 106 Hammerklavier, nella Grande fuga per quartetto darchi op. 133, nelle Variazioni
su un tema di Diabelli op. 120.
Soluzioni che troveremo nei lavori dellultima maturit beethoveniana
abbondano anche nei tre movimenti precedenti dellop. 59 n. 3. La catena di
dissonanze che precede il primo movimento pu essere vista come un embrione della monumentale introduzione alla Sonata per pianoforte op. 111,
lultima dellintera serie. Le correlazioni fra diversi princpi melodici, che
rendono difficile distinguere fra primo e secondo (e terzo, e quarto...) tema,
si ritrovano in molti quartetti dellultima stagione. Un pizzicato di violoncello che coordina ma anche separa, incisi collaterali ora immobili o visionari o
perfino prolissi danno a melodia e timbro del secondo movimento un sapore
avveniristico, preschubertiano. Il terzo movimento non un aspro Scherzo, come succede negli altri lavori della terna op. 59, ma un Minuetto
visionario e fuori dal tempo, certo non classico.
Hanno ragione i critici che vedono nel Quartetto in do maggiore op. 59 n.
3 una minore chiarezza formale e una visibile polivalenza di contenuto. Chi
invece ama le situazioni ambigue, in cui le certezze del passato sono confuse
dalle nebbie del futuro, trova il lavoro affascinante. E lo considera il vero
ponte fra la seconda e la terza maniera di Beethoven (sempre che a tale
distinzione si riconosca un senso reale). La terna op. 59 anche la piattaforma per il futuro, non immediato per. Servono vari decenni alle nuove generazioni per assimilare il linguaggio di questo Beethoven. Schubert scrive i
suoi capolavori negli anni venti, Mendelssohn e Schumann negli anni quaranta, Brahms e Dvok nella seconda met dellOttocento. E per riprendere i fili dei quartetti di Beethoven che verranno negli anni venti dellOttocen-
Ascolti
L. van Beethoven, The Middle Quartets, The Budapest String Quartet (1940-60), Bridge
2000
L. van Beethoven, Complete Quartets, Quartetto Italiano (1967-75), Philips 1996
Letture
L. Magnani, Goethe, Beethoven e il demonico, Einaudi, Torino 1976
J. Kerman, The Beethoven Quartets, Oxford University Press, Oxford 1978
L. Lockwood, Beethoven: The Music and the Life, W.W. Norton & Company, New York
2003
Sol, sol, sol, mi bemolle: tre note veloci ripetute, la quarta nota invece lunga,
tenuta, pi bassa, seguita da una pausa; un ritmo secco, aggressivo, attorno
al quale tutto nasce e cresce. il celeberrimo attacco della Quinta sinfonia
di Beethoven. Non c la tradizionale introduzione lenta, neppure i due colpi secchi che aprono la Terza sinfonia Eroica. A ben vedere non c neppure
la normale esposizione di una consolidata forma sonata. Siamo gi al centro
dello sviluppo, cio dellazione sinfonica. Il segnale che subito esplode
non ha bisogno di preparazione, perch una forza elementare, unonda di
suono che travolge e assimila quanto trova sulla strada. Spazza gli argini e
non consente respiro. Le melodie che ne potrebbero addolcire lurto sono a
loro volta sbriciolate. La sua onnipresenza, nelle regioni acute di flauti e
violini come in quelle gravi di violoncelli e contrabbassi, oltre che in quelle
centrali di tutti gli strumenti dellorchestra, fa saltare limpianto formale di
questo straordinario primo tempo. Impianto che in verit esiste, ben tracciato, in partitura.
LAllegro con brio si articola nelle consuete quattro parti (3+1), in pratica uguali per durata, circa due minuti ciascuna. La prima parte, appunto
lesposizione, ha 124 battute e va ripetuta, come in ogni primo movimento di
sinfonia classica. Le seconda (sviluppo, appunto) porta direttamente alla
terza, che la ripresa variata della prima parte. Equivalente alle sezioni precedenti (128 battute) ma pi estesa della consuetudine classica la quarta
sezione, la coda. Si pu parlare di sonata bitematica, perch si sente presto un
embrione di melodia in netto contrasto con lazione ritmica del motto iniziale, che comunque resta ben presente nel basso. Quella melodia, che torna
spesso nel corso di tutte le sezioni del primo movimento, proprio per la sua
concisione derivata dal motto. Cos lintero movimento diventa monotematico, alla maniera di Haydn. Tanta concentrazione tematica non si trova in
nessuna delle 104 sinfonie del maestro riconosciuto, anzi non si trova in
nessun lavoro precedente, sinfonico e non. Se si vuole cercare nel passato, gli
unici antecedenti si rintracciano nei giochi combinatori del Clavicembalo ben
temperato di Bach, quando un tema secco e appena accennato basta per costruire unarchitettura tutta nuova. Leggere il primo movimento della Quinta
sinfonia come una fuga di ritmi e di armonie, alla fine, aiuta quindi a capire.
Il rispetto per il passato ben evidente nel secondo movimento, tanto
dolce e sereno quanto il primo veemente. Lo garantiscono la formula del
tema con variazioni che rimanda prima a Haydn, poi a Bach e infine ai virginalisti inglesi e al Rinascimento, le evoluzioni ornamentali sul sempre ben
riconoscibile tema e le increspature sincopate, che a loro volta nascondono
lorigine antica nella cinquecentesca Follia. Il tema emerge chiaramente in
tutte le sei variazioni, che non sono soltanto melodiche ma timbriche e dinamiche: iniziano viole e violoncelli, seguono flauti e clarinetti, esplodono
fortissimi di ottoni, tornano i pianissimi di tutti, in un flusso di emozioni che
evita ogni rischio di sublime noia. Si coglie bene il fatto che Beethoven sta
sviluppando tecniche di scrittura orchestrale per il movimento lento, elaborate in quegli anni (1804-07) e applicate nelle contigue sinfonie Quarta e
Sesta, che sono tanto diverse nellapparenza quanto vicine nella sostanza.
Non a caso la Quarta sinfonia impostata e completata nellautunno del
1806, quando da due anni Beethoven sta lavorando alla Quinta, che termina
un anno dopo, nellautunno del 1807. C una ragione pratica: la Quarta gli
richiesta da uno dei suoi mecenati e, per incassare la commissione, Beethoven accantona il progetto principale e scrive una sinfonia che, attraverso la
Seconda pi che la Prima, riallaccia i rapporti con Haydn e forse ancor pi
con Mozart. La Quarta ha una magnifica, espressiva e forse dolente introduzione lenta che pare aprire a un dramma sinfonico. Invece schizza via un
Allegro vivace, omaggio spudorato alla scrittura orchestrale dei maestri di
fine Settecento. La contiguit con la Quinta si nota perch nellAdagio
lampia melodia sostenuta da una nervosa e ripetuta cellula ritmica affidata
a fiati e timpani. Lacquisita familiarit con il genere sinfonia si esprime al
meglio con il tradizionale Scherzo e con lumorismo haydniano del finale
Allegro ma non troppo.
Contemporanea e tutta diversa la Sesta sinfonia Pastorale, composta
subito dopo la Quarta e completata nel maggio del 1808, assieme alla Quinta.
I movimenti non sono pi quattro, ma cinque, tutti estranei alle consuetudini del tempo. Per la prima e ultima volta Beethoven si consegna alla musica
descrittiva, porta la vita campestre in partitura, simmerge nella Natura, ritrova i fili di una tradizione antica e quelli del recente oratorio Le stagioni di
Haydn. In verit le onomatopee sono poche: imitazioni di quaglia, cuc e
usignolo nel secondo movimento intitolato Scena al ruscello; lampi, tuoni
e folate di vento nel Temporale che fa da quarto. Il resto pura sperimentazione sui timbri orchestrali e sulle trame che permettono lintegrazione fra
melodie senza che si accendano contrasti. Infatti, manca la dialettica di for-
Ascolti
L. van Beethoven, Symphonies nr. 5 & 7, Kleiber, C. Wiener Philharmoniker, dg 1995
P.I. Tchaikovsky, 1812, Dorati, London/Minneapolis Symphony Orchestra, Decca 2007
Letture
R. Layton (a cura di), A Companion to the Symphony, Simon and Schuster, London 1993
M. Geck, Von Beethoven bis Mahler: die Musik des deutschen Idealismus, J.B. Metzler,
Stuttgart 1993
S. Kunze (a cura di), Ludwig van Beethoven: Die Werke im Spiegel seiner Zeit, Laaber,
Kln 1987
banda militare. Del tema lirico simpossessa subito il solista, che rinuncia a
ogni contrasto con lorchestra; semmai ne ammorbidisce i toni marziali con
scintillanti giochi di arpeggi e trilli ogni volta che torna il motivo dapertura.
Non c vera dialettica neppure nellampia sezione di sviluppo, ma solo severa integrazione di timbri in un intenso passaggio in tonalit minore. La riesposizione segue le simmetrie classiche e soltanto nella lunga coda ritroviamo
un minimo di piglio eroico che la cadenza lasciata allimprovvisazione del
solista pu esaltare o temperare.
Il solista tiene in pugno il materiale espressivo anche nel Largo centrale e lo dispiega con la forza interiore che soltanto una preghiera possiede.
Lorchestra accompagna sottovoce, spesso lascia emergere la voce scura del
clarinetto per integrare i timbri gravi del pianoforte, altre volte si riserva il
ruolo di incidere con inaspettati fortissimi la trasfigurata staticit del canto.
Ancora una volta non c dialettica vera, ma solamente sequenza di stati danimo, che una coda di ampie proporzioni, ripetitiva, ipnotica riassume. La
tensione si scioglie nel terzo movimento, concepito come classico Rond,
incentrato su un vivace tema di danza che coordina una serie di strofe ora
vivaci ora riservate, comunque rese brillanti dallinsuperabile (in quei tempi)
qualit dellinventiva pianistica di Beethoven. Non a caso, la parte del pianoforte fissata sulla carta soltanto pochi giorni prima della pubblicazione. Di
regola, infatti, Beethoven scrive nel dettaglio le parti da distribuire agli strumentisti dellorchestra, mentre si concede il diritto di improvvisare la sua
parte di solista. Cos succede le numerose volte che suona in pubblico, sempre con grande successo, questo suo concerto impostato gi nel 1795 e pubblicato solo nel 1800, dopo vari collaudi a Vienna e altre citt dellimpero.
Negli stessi mesi, anche se sembra passare un tempo infinito, fra 1798 e
1800, Beethoven realizza il suo Terzo concerto, che presenta per la prima
volta soltanto nel 1803, a Vienna. il primo vero concerto romantico per
pianoforte e orchestra. Si sente dallampia introduzione per sola orchestra
che prepara, come nel Concerto K 466 di Mozart, lingresso del solista. La
scelta di un impianto tonale di do minore accentua la carica emotiva delle
ampie melodie, cos diverse dal carattere affermativo di quelle del Primo
concerto (in do maggiore, solare per antica tradizione). Nellampio sviluppo
del primo tempo, il dialogo fra pianoforte e orchestra diventa presto dialettica vera, appena attenuata da improvvisi squarci lirici. Nel Largo centrale domina il lirismo, con il canto che si distribuisce fra le carezze del solista
sulle corde del pianoforte e i timbri sfiorati o soffiati nellorchestra, con una
fantasia che avr imitatori per tutto lOttocento. Il festoso Rond finale
compensa la sofferta drammaticit delliniziale Allegro con brio, anche
perch cambia la tonalit: dal do minore si passa al do maggiore, come nella
Quinta sinfonia.
Dopo il Terzo, il nuovo concerto segna un punto di arrivo e, per Beethoven, di non ritorno. Il Classicismo della prima terna viene archiviato. E laristocratica eleganza del Quarto cede il passo al vigore del Quinto, non a caso
conosciuto come Imperatore. Si percepisce fin dal riscaldamento delle dita
del pianista nellampia cadenza che, invece di chiudere, apre; fin dallimponente preparazione dellorchestra che subito segue; dal confronto violento
fra la tastiera dellindividuo e la massa che si scatena nellimmenso primo
movimento. Lintensit dialettica esaltata dalla timidezza quasi spaurita
con cui si affaccia il tema secondario, salvo trasformarsi in possente marcia
trionfale quando trova la voce dei corni. il movimento di concerto pi
ampio di Beethoven, quasi 20 minuti. Chiede uno sforzo enorme non solo al
solista, ma allorchestra tutta. Si capisce perch il secondo tempo si adagi
nella dimensione estatica, nella pura contemplazione, senza scosse, senza
gerarchie fra solista e orchestra. Anzi: il momento magico si ha nella seconda
parte, quando gli strumenti dellorchestra cantano e dialogano fra loro mentre il pianoforte trasforma un banale disegno di accompagnamento in una
fissit sognante che ripete le stesse note, argentine, morbide, minimaliste. Il
risveglio improvviso, ma non brutale. Senza interruzione, si passa al Rond finale, inno trionfale al virtuosismo del solista che ora lorchestra sostiene e non contrasta.
Il Quinto concerto composto nel 1809, nel pieno della nuova guerra
napoleonica che porta le truppe francesi a occupare Vienna e i nobili protettori di Beethoven a fuggire, lasciando il musicista solo, barricato nella cantina del fratello, a comporre proteggendo con dei cuscini le orecchie malate
dal rombo dei cannoni. il momento in cui tramonta il suo sogno di trasferirsi a Parigi, alla corte dellimperatore, in cui matura la decisione di restare
a Vienna. Finisce la stagione eroica di Beethoven, si direbbe proprio con
il primo movimento del Quinto concerto. Finisce definitivamente anche la
carriera di Beethoven pianista. A differenza dei primi quattro concerti, qui
non Beethoven a sedere al pianoforte per la prima esecuzione. Al Gewandhaus di Lipsia, il 28 novembre 1811, tocca al virtuoso locale Friedrich
Schneider, mentre la prima viennese (12 febbraio 1812) affidata allallievo
Carl Czerny. Non solo il progredire della sordit che ferma Beethoven.
anche la concorrenza di pianisti tecnicamente ormai pi agguerriti di lui e
anche pi attenti ai gusti del pubblico.
Il rivale Daniel Steibelt sfrutta la sua abilit nelleseguire tremoli e la
suggestione di titoli extramusicali: Lorage (Terzo concerto, 1799), la chasse
(Quinto, 1802), Grand concerto militaire dans le genre grec (Settimo, 1816)
con aggregata banda che risponde da fondo sala. Lultimo concerto di Steibelt (Ottavo, 1820) prevede un Coro bacchico finale, a imitazione (forse)
della Fantasia in do minore op. 80 (1808) di Beethoven, scritta per pianofor-
te e orchestra con aggiunta del coro che canta la melodia della futura Nona
sinfonia. Questo inconsueto organico vocale e strumentale sar ripreso nel
monumentale Concerto per pianoforte, orchestra e coro maschile di Ferruccio
Busoni (1904).
Sempre a programma il Konzertstck op. 79 (1821) di Carl Maria von
Weber, ispirato dalle palpitazioni di una castellana per lamato partito per le
crociate. Di Weber sono tuttora in repertorio pure i due precedenti concerti
per pianoforte (1810 e 1812) mentre sono scomparsi gli otto concerti (180533) di Johann Nepomuk Hummel, allievo diretto di Mozart. I sette (17991822) di John Field interessano solo perch anticipano Chopin. Assieme a
Schumann e al poeta Heinrich Heine, Chopin ha grande stima di Friedrich
Kalkbrenner (cinque concerti, 1823-35), considerato il miglior concertista
europeo nel tempo beethoveniano e prima dellavvento di Liszt. Altri leoni
della tastiera del tempo sono Ignaz Moscheles e Sigismond Thalberg, che per
tutta la prima met dellOttocento fissano lo standard del concerto per pianoforte e orchestra, fino a quando londa lunga di Beethoven sommerge tutti.
Dopo il Quinto, Beethoven non scrive altri concerti per pianoforte e, non
essendo pi concertista lui stesso, non ne assicura la circolazione per almeno
un ventennio. Trova il suo campione in Liszt, che trionfa in tutta Europa
proprio con lImperatore. Tuttavia leleganza sublime del Quarto a ispirare
i massimi capolavori che seguiranno: il Concerto in la minore di Schumann,
i due di Brahms, anche quelli di ajkovskij, di Grieg, di Rachmaninov, con
le naturali propaggini nel Novecento.
Ascolti
L. van Beethoven, Concerto n. 4, Triplo concerto, H. von Karajan, Berliner Philharmoniker, emi 2005
L. van Beethoven, Klavierkonzerte, M. Pollini, C. Abbado, Berliner Philharmoniker, dg
1995
Letture
L. Plantinga, Beethovens Concertos: History, Style, Performances, W.W. Norton & Company, New York 1999
C. Rosen, Music and Sentiment, Yale University Press, New Haven 2010
1814Fidelio
La vocazione di Beethoven a esprimere i drammi con i soli strumenti dellorchestra si capisce bene ascoltando, a teatro, un brano sinfonico ovviamente
fuori contesto. Capita spesso che, prima della scena finale del secondo e ultimo atto dellopera Fidelio, sia eseguita louverture Leonora. La pratica
introdotta a fine Ottocento da Gustav Mahler, con lobiettivo primario di
sfruttare uno dei brani sinfonici pi efficaci mai scritti da Beethoven. vero
che toglie ritmo allazione perch ripete gli squilli delle trombe che annunciano larrivo del liberatore e ritarda il doveroso lieto fine. Per ricapitola il
senso etico, e non solo musicale, che sta alla base dellopera tutta. Louverture Leonora n. 3 articolata in due parti. Lampia introduzione esprime perfettamente loppressione fisica e morale dellinnocente prigioniero Florestano, con il suo canto disperato che troviamo alla fine del primo atto. Nel
successivo Allegro, un bellissimo motivo emerge dal nulla, ascende vigoroso e si scontra con il tema del dolore del prigioniero per costruire una
delle pi forti dialettiche musicali mai concepite. Il segnale che la lotta finita e che il bene trionfa sul male giunge quando, da lontano, fuori scena,
squilla la fanfara che prelude allesplodere della gioia per la vita riconquistata. Leonora dunque la sintesi stessa dellopera e della sua travagliata gestazione, durata almeno dieci anni, e anche di pi se si considera nel suo insieme
il rapporto che Beethoven ha con il teatro musicale.
Sappiamo che, per un paio di stagioni (1790-92), Beethoven suona la
viola nellorchestra del teatro di corte di Bonn e familiarizza con il repertorio corrente, che in massima parte quello italiano nella versione moderna
di Paisiello e Cimarosa, i due autori che pi contano nel melodramma di
fine Settecento. Entrambi si formano alla scuola napoletana di Durante e
Piccinni, assimilano lo stile veneziano di Vivaldi e Hasse, si affermano con
opere serie e buffe su libretti di Metastasio e di Goldoni, prima in Italia e
subito dopo in Europa. Il pugliese Paisiello chiamato nel 1775 da Caterina ii a San Pietroburgo, dove scrive fra laltro una nuova Serva padrona
(1781) ampliando il testo e lorganico orchestrale di Pergolesi, Il barbiere di
Siviglia (1782) da Beaumarchais che apre la strada a Mozart e Rossini, Il
mondo della luna (1782) sul libretto di Goldoni musicato da Galuppi nel
1750 e da Haydn nel 1777. Sulla via del ritorno, Paisiello soggiorna a Vienna (1784) e, una volta a Napoli, scrive il suo capolavoro Nina, ossia La
pazza per amore (1789) subito diffuso in tutta Europa e rimasto sempre in
repertorio grazie alle sue morbide melodie e alla delicatezza della trama.
Chiamato a Parigi, con Proserpine (1803, sul testo di Quinault gi usato da
Lully) assorbe lo stile dellopra-lyrique e diventa uno dei favoriti della
corte napoleonica, salvo pagarne lo scotto al tempo della restaurazione
borbonica e morire in disgrazia a Napoli. A sua volta, il campano Cimarosa
si afferma a Roma nel 1779 con Litaliana in Londra e a Napoli nel 1786 con
Limpresario in angustie. Nel 1787 parte per San Pietroburgo e, al rientro,
si ferma a Vienna, dove compone nel 1792 il suo capolavoro, Il matrimonio
segreto. Le opere di Cimarosa e Paisiello sono la base dellormai prossimo
fenomeno Rossini.
Nei ranghi dellorchestra, Beethoven impara anche a conoscere il teatro
di Mozart, apprezza quello italiano (giudica immorale il libretto di Don Giovanni, per ne sente la lezione musicale nel quartetto del secondo atto di
Fidelio) e ancor pi quello tedesco del Ratto dal serraglio e del Flauto magico.
Arrivato a Vienna, pensa subito di scrivere opere e si rivolge a Emanuel
Schikaneder, il demiurgo del Flauto magico mozartiano, per avere un libretto. Ottiene Il fuoco di Vesta (Vestas Feuer), un soggetto classico mitologico
coerente con lo spirito del tempo e con il recente impegno sul balletto Le
creature di Prometeo. Per sei mesi prende appunti, scrive qualche frammento
(1803), chiede variazioni al testo, abbandona perch scopre un filone meno
affettato e pi drammatico. Infatti, proprio in quel tempo approda a Vienna
linnovativo stile operistico parigino del quale, come gi Lully due secoli
prima, il fiorentino Cherubini la figura preminente. Fra laltro allievo a
Bologna di quel Giuseppe Sarti che ha successo a Vienna ai tempi di Mozart
e Haydn, oltre che a San Pietroburgo. Dopo una stagione a Londra, nel 1788
Cherubini si stabilisce a Parigi su suggerimento dellamico Viotti. Si presenta con Dmophoon, adattando lo stile dellopera italiana al teatro musicale
francotedesco riformato da Gluck. Il vero successo arriva con Lodoska
(1791), concepita nello stile dellopra-comique in cui i numeri musicali
(arie, duetti, cori) sono connessi da dialoghi parlati che consentono di raccapezzarsi fra gli intrecci e le situazioni pi farraginose. In Lodoska il valoroso
Floreski si traveste da donna per salvare lamata Lodoska sequestrata dal
cattivo Durlisky. Quando tutto sembra perduto, sopraggiunge il salvifico
intervento dei tartari. Addirittura trionfale laccoglienza di Medea (1797),
perfetto esempio di opera neoclassica in cui la purezza delle strutture formali esalta lintensit delle passioni dei protagonisti, come succede nella mozartiana Clemenza di Tito (1791).
leggera, variante dellouverture (Leonora n. 1). Per quasi otto anni Beethoven non ha progetti teatrali. Mancano le occasioni, perch il costante stato
di guerra prosciuga le casse imperiali e distrugge fortune di nobili e borghesi. I gusti del pubblico cercano evasione nellopera buffa. I grandi ideali
sfumano sotto la pressione delle contingenze spicciole. Beethoven deve fare
i conti con la crescente sordit, le finanze in sofferenza, la delusione per il
crollo degli ideali rivoluzionari e per limpraticabilit del trasferimento a
Parigi.
La caduta di Napoleone in Russia (1812) e a Lipsia (1814) porta nuove
speranze e risorse a Vienna. Beethoven rimette mano alla partitura di Leonore, ancora una volta in modo radicale, per ridurre e concentrare. Cambia
il titolo, che diventa Fidelio. Nei due nuovi atti, delloriginale intreccio
parlato/cantato di opra-comique francese e Singspiel tedesco resta ben
poco, e confinato al primo atto. Quasi sparisce il gioco dei travestimenti
sullequivoco che spinge Marcellina a corteggiare Leonore travestita da Fidelio. Con lingresso del truce don Pizarro (fine del primo atto), il tono comico scompare e lascia il passo al dramma totale. Il canto virtuosistico in
stile italiano diventa integrazione vocale ai disegni strumentali. Non mancano le melodie spiegate, a cui seguono i modelli del Flauto magico di Mozart,
piuttosto che quelli di Cimarosa e Paisiello, e dello stesso Cherubini. Asciutta espressione germanica si direbbe, non sentimentalismo francoitaliano. Il
coro compare solo due volte, a dar voce ai prigionieri nel primo atto e alla
gioia di tutti nel finale. Nuova anche louverture, slegata sia dalle tre precedenti sia dallazione teatrale: molto pi breve (circa otto minuti), con altro
titolo, in una tonalit diversa (mi maggiore) per far s che ancor pi risalti la
luce del do maggiore con cui lopera finisce. Inoltre, mentre entrambe le
precedenti stesure dellopera intera (Leonore) ambientano il finale nel sotterraneo, la nuova versione (Fidelio) porta tutti a gioire allaria aperta, nel
cortile del palazzo. Si crea cos un problema serio, per la tecnologia teatrale
di allora: il cambio di scene, ovviamente macchinoso. Anche per questo
motivo Mahler concede un quarto dora di tempo agli attrezzisti e altrettanto di ottima musica agli spettatori inserendo come bonus, prima dellultima
scena di Fidelio, louverture Leonora n. 3. Poco importa se interrompe unazione, che in verit comunque scarsa, per non dire inesistente. un colpo
di genio, una sintesi a priori inserita a posteriori, allinsaputa dellautore,
come giusto che sia.
Rappresentata per la prima volta al Krntnertortheater il 23 maggio
1814, Fidelio ha finalmente un grande successo e da allora sempre in repertorio, sia pure con articolate valutazioni critiche. Di sicuro non unopera
teatrale in senso stretto, coerente nello stile musicale e nellazione drammatica. La storia quella che . Il parlato alla Singspiel del primo atto diverso
dai recitativi accompagnati che precedono le grandi arie e i duetti del secondo. Il canto fiorito di Fidelio (non ancora Leonore) ben diverso da quello
emozionato di Leonore (non pi Fidelio). Cos come linerzia sconsolata di
Florestano mal si concilia con il suo ruolo di eroe positivo. la musica che
risolve tutto, dipingendo le emozioni e i drammi senza necessit di parole,
con le sole forze del suo linguaggio emotivo e misterioso. Se ne accorgono
subito non solo il pubblico in sala, ma anche i compositori delle generazioni
successive: Berlioz in primo luogo, ma anche Weber, Schumann, Wagner.
Ovviamente ne tiene conto Mahler, che pure non scrive opere teatrali, per
la sua Ottava sinfonia la scena finale del Faust di Goethe. E lo stesso Beethoven, che riprende a pensare al teatro musicale, progetta un Macbeth, un
Faust. A sua volta, Mendelssohn il primo che capisce il ruolo delle ouverture di Leonore/Fidelio e per primo le dirige tutte e quattro insieme, in
concerto, nel 1840.
Ascolti
L. van Beethoven, Fidelio, L. Bernstein, Wiener Philharmoniker/Wiener Staatsopernchor, dg 1990
L. van Beethoven, Leonore, J.E. Gardiner, Orchestre Rvolutionnaire et Romantique, dg
1997
L. van Beethoven, Ouvertren: Overtures, H. von Karajan, Berliner Philharmoniker, dg
1989
Letture
M. Wassermair, Es sucht der Bruder seine Brder, Optimus Verlag, Wien 2010
J. Herdman, Beethoven, Werk und Wirkung, Bhler, Kln 2003
P. Robinson (a cura di), Ludwig van Beethoven: Fidelio, Cambridge University Press,
Cambridge 1996
Serie VI.
Prima et romantica
lordito. Il crescere della confusione scandito dal passo di marcia dellorchestra, dalle pause che punteggiano dialoghi surreali, con Figaro che finge di
mettere ordine e la tecnica musicale del canone che tutto sospende prima che
la gazzarra riesploda per far calare il sipario. Il secondo atto, pi breve, si
sviluppa sullo stesso schema, incorpora un sontuoso temporale per sola orchestra e culmina con un nuovo e magnifico pezzo dassieme in cui tutto si
aggiusta: i giovani Rosina e Almaviva coronano il loro amore, i vecchi Bartolo e Basilio restano scornati, Figaro emerge come il vero factotum dellopera.
Si sente che Rossini ha studiato a fondo lo stile operistico di Mozart, in
particolare il finale del secondo atto delle Nozze di Figaro. Se si va oltre il pur
magnifico schermo del libretto, si scopre che i meccanismi musicali hanno la
solidit e lefficienza delle migliori pagine polifoniche, esaltate dalle velocissime scansioni ritmiche con i colori della (piccola) orchestra a dare ulteriore
vivacit, compreso il canone usato al contrario, cio per creare sospensione
e non movimento.
Rossini arriva al suo capolavoro a venticinque anni, collaudato da una
memorabile serie di successi. Ha dodici anni quando scrive le Sei sonate per
violini, viola e contrabbasso sul modello di Haydn, tuttora in repertorio. Lesordio in scena, al teatro San Mois di Venezia, a soli diciotto con la farsa
La cambiale di matrimonio seguita, nel biennio 1811-12, da una serie di piccoli gioielli che gi nel titolo suggeriscono farsa e burla: Lequivoco stravagante, Linganno felice, La scala di seta, La pietra del paragone, Loccasione fa il
ladro, Il signor Bruschino. Nel 1813, a 21 anni, Rossini scrive i suoi primi capolavori. Litaliana in Algeri trionfa al teatro San Benedetto di Venezia grazie
a unarchitettura complessiva e a una variet di soluzioni di dettaglio che
anticipano la sintesi perfetta del Barbiere. unopera buffa, ambientata in un
luogo esotico, in unAlgeri che ancora appartiene allaltro mondo, covo di
pirati e di sequestratori di cristiani, per popolata di buontemponi e creduloni. Qui la scaltra Isabella, assistita dal fido Taddeo, fa buon gioco a prendere per la gola il sultano Mustaf, a convincerlo a giocare a pappataci, cio
a banchettar tacendo mentre lei salpa portandosi appresso lamato Lindoro.
NellItaliana in Algeri sono impagabili le arie (Languir per una bella,
Cruda sorte, Per lui che adoro, Le femmine dItalia) e le combinazioni di solisti (il duetto O che muso, che figura, il quintetto Ti presento la
mia man), i cori ( un boccon per Mustaf, Viva il grande kaimankan,
De pappataci savanza il coro). Per i suoi punti di forza sono i due finali
datto. Pi che la situazione in s e le parole che la descrivono, entusiasma
luso del suono. Le voci diventano strumenti e il loro canto onomatopee:
din, din / bum, bum / cra cra in Nella testa ho un campanello (finale i);
mangia e taci / pappataci (finale ii). Sono chiare le analogie con Il ratto dal
serraglio di Mozart non solo sul piano narrativo, anche su quello musicale.
Le turcherie sono esplicite, tanto che in partitura Rossini chiede una gran
banda turca, cio triangoli, tamburelli, grancassa, piatti, campanelli oltre ai
fiati (pifferi) dordinanza. Ancora pi sensibile la lezione mozartiana
nellimpiego di flauti, oboi, clarinetti, ottoni con sostanziale rivoluzione del
suono orchestrale a sostegno e integrazione delle voci. Tecniche che Rossini,
da sempre attento alla scrittura mozartiana e al Classicismo viennese, impara
nel suo fondamentale periodo di studio al conservatorio di Bologna.
A suo modo, Rossini compie unoperazione inversa rispetto a quella che
Mozart fa con lopera italiana del Settecento: porta Mozart allinterno dellopera italiana come si evoluta nel frattempo, cio nel ventennio a cavallo fra
Settecento e Ottocento. Come sappiamo, in quel tempo le scene europee sono
dominate da due italiani di scuola napoletana che esercitano un influsso decisivo sulla triade viennese Mozart-Haydn-Beethoven e, appunto, sullastro nascente Rossini. Il primo Paisiello, acclamato alle corti di Caterina di Russia e
di Vienna, autore di un centinaio di opere fra buffe e serie. Il suo Barbiere di
Siviglia (1782) non solo anticipa Mozart ma ancora in repertorio quando
Rossini si affaccia al teatro. In pi trionfano Nina, ossia La pazza per amore
(1795) e soprattutto La molinara (1790), la cui aria pi famosa Nel cuor pi
non mi sento immortale grazie anche alle variazioni di Beethoven per pianoforte e di Paganini per violino. Laltro Cimarosa, le cui opere sono rappresentate in tutta Europa, con trionfi a San Pietroburgo. Resta da sempre in repertorio Il matrimonio segreto (Vienna 1792), assieme a un altro grande classico Limpresario in angustie, che esordisce a Napoli (1786) e che a Weimar
(1791) si fregia della traduzione di Goethe. Lintermezzo Il maestro di cappella
(1786-93) una gradevolissima parodia, ancora attuale, dei vezzi del direttore
dorchestra. Gli Orazi e Curiazi (Venezia 1796) diventa lopera seria pi rappresentata in Europa nei primi trentanni dellOttocento. Altri suoi titoli mettono in musica situazioni che piaceranno a Rossini: Litaliana in Londra (intermezzo, Roma 1779); Le astuzie femminili (Napoli 1794), Semiramide (1799).
Paisiello e Cimarosa propongono un teatro musicale molto diverso da
quello che imperversa per i primi tre quarti del Settecento. Sia nelle loro
opere serie sia in quelle buffe continua a dominare la voce, ma si riducono
gli eccessi virtuosistici dei cantanti a vantaggio della fluidit del canto e dei
pezzi dassieme (duetti, terzetti, concertati con e senza coro). Si ammorbidiscono anche i caratteri: non soltanto eroi della mitologia e della storia classica (nel repertorio serio) e neppure popolani caciaroni (in quello buffo), ma
anche rappresentazioni del mondo reale, nel quale si mescolano aristocratici
e borghesi, filosofi e commercianti. Vincono le storie damore, meglio se
ostacolate da (finte) barriere sociali, che si sciolgono in lieto fine dopo lacrime e languori inframmezzati da siparietti comici e da drammatici colpi di
scena. Il matrimonio segreto di Cimarosa, dove le patetiche infelicit amoro-
teatrale per dare forza e variet alle ampie sezioni parlate. Scribe diventa
subito il tramite assoluto per chiunque voglia aver successo a Parigi: per oltre
50 anni fornir testi per i massimi musicisti del tempo, cominciando da Rossini, per il quale scrive proprio il libretto del Comte Ory (1828). Il successo
buono, ma non tale da invogliare il pigro compositore a procedere su
quella strada. Convinto che il suo futuro sia nel genere serio e drammatico,
prova a rinnovarsi con Guglielmo Tell.
Lopra-comique parigina prosegue invece il suo cammino trionfale, facendo tesoro degli accorgimenti messi a punto da Rossini, soprattutto nel
canto comico e ancor pi nella strumentazione. I maggiori successi sono Fra
Diavolo (1830) e Le Domino noir (1837) di Daniel Auber, che gi nel 1822
collabora con Scribe e fin dalle sue prime opere fa largo uso di soluzioni
rossiniane. Il successo garantito dai gusti del nuovo pubblico borghese che
affolla i teatri dopera di tutta Europa e gradisce bel canto e storie semplici
legate alla vita quotidiana, commedie con lieto fine accanto a drammi truculenti. Come sempre, la circolazione immediata e ogni novit di Parigi arriva
subito a Milano, Napoli, Londra, Vienna, San Pietroburgo. Cambia naturalmente anche lopera italiana. Nasce il nuovo genere della commedia lirica,
che ha i suoi primi capolavori in Lelisir damore (Milano, 1832) e Don Pasquale (Parigi, 1843) del bergamasco Gaetano Donizetti, in La sonnambula
(Milano, 1832) del catanese Vincenzo Bellini. A Parigi continua a chiamarsi
opra-lyrique e trova i suoi nuovi momenti magici prima con Faust (1859) di
Charles Gounod, quindi con Manon (1884) e Werther (Vienna 1892) di Jules
Massenet; con le gustose devianze fra serio e faceto delle operette Orphe
aux Enfers (1858) e La belle Hlne (1864) di Jacques Offenbach.
Ascolti
G. Rossini, Il barbiere di Siviglia, C. Abbado, London Symphony Orchestra (1972), dg
1998
G. Rossini, Litaliana in Algeri, C. Abbado, Wiener Philharmoniker, dg 1989
G. Paisiello, La molinara, F. Caracciolo, Archipel 2012
Letture
H. Weinstock, Rossini: A Biography, Limelight Editions, New York 1987
R. Osborne, Rossini, Dent, London 1986
J. Rosselli, The Opera Industry in Italy from Cimarosa to Verdi: The Role of the Impresario,
Cambridge University Press, Cambridge 1984
L. Rognoni, Gioacchino Rossini, Einaudi, Torino 1977
102 n. 2, si sente fin dalle prime battute, nellattacco del pianoforte, nella
risposta del violoncello, in quasi ogni momento dello sviluppo. La provocano gli incisi brevi e guizzanti, che sembrano inconciliabili, come in una toccata clavicembalistica di et bachiana. Con lAdagio con molto sentimento
daffetto che segue, inizia la serie dei grandi adagio dellultimo Beethoven. fatto da una melodia lunga che sembra breve perch frastagliata da
ornamentazioni arcaiche, che invece suonano modernissime. Non si sviluppa, non ha poli dialettici; cambia solo perch modula con armonie dissonanti e dolorose. Sembra svanire. Allora attacca un tema di fuga, prima timido e
incerto, poi sicuro, infine aspro. Le parti si muovono indipendenti, incuranti delle regole armoniche e del contrappunto classico. Nasce cos il fugato
beethoveniano, che da un lato ha le radici nella polifonia lineare del lontano
Rinascimento e dallaltro scavalca lOttocento romantico per anticipare lo
sperimentalismo delle avanguardie novecentesche.
Il superamento della forma musicale, intesa come logica di architetture
prestabilite e di modernizzazione del contrappunto, arriva al culmine nella
Sonata per pianoforte op. 106, che ha il respiro di una sinfonia per grande
orchestra e che tuttavia si mantiene pianistica, al punto da essere lunica a
portare lindicazione autografa fr das Hammerklavier, per pianoforte a
martelli. Perch Beethoven scriva questa precisazione non si sa. Certo non
per evitare esecuzioni sul clavicembalo, fisicamente impossibili. Neppure
sullesile fortepiano, ormai soppiantato dal ben pi robusto pianoforte. Forse Beethoven, notoriamente distratto e disordinato, non si pone neppure il
problema. Possibile che abbia in mente uno strumento specifico. In quel
tempo non ci sono pianoforti standard. Levoluzione della tecnica costruttiva
velocissima. Muzio Clementi promuove in tutta Europa il modello del suo
socio, il costruttore Broadwood, di base a Londra. A Parigi operano rard e
Pleyel, entrambi famosi costruttori di arpe. In Germania lautoctono Anton
Walter trasferito a Vienna e diventa Streicher. Ciascun pianoforte ha caratteristiche diverse. Gli rard, integrati dalla meccanica inglese, hanno suono
forte e rotondo: vanno bene per saloni grandi e sale da concerto, esigono
forza nelle dita e nelle braccia. I pianoforti Walter modificati da Streicher
sono pi agili, hanno suono pi delicato, richiedono agilit e non potenza.
Beethoven inizia con un Walter, passa (dal 1803) a un rard e torna (circa
1809) al nuovo Walter-Streicher. Le tre maniere creative di Beethoven
potrebbero cos ridursi ad altrettante maniere tecnologiche, con enfasi particolare sullultima, forse la pi importante.
Un altro indizio complica il quadro e non offre soluzioni. Nel 1816 il
geniale e bizzarro Johann Nepomuk Mlzel inventa il metronomo, congegno che serve per stabilire la velocit con cui si suonano le note, dando un
senso preciso alle vaghe indicazioni agogiche in uso allora (e ancora ora) con
la terminologia italiana adagio, moderato, allegro, vivace, presto, prestissimo. Con il suo tic-tac, il metronomo stabilisce quante note
si devono suonare nella prescelta unit di tempo. Beethoven ne presto
entusiasta e comincia a scrivere sui suoi testi i numeri di Mlzel. Uno dei
primi casi appunto la sonata Hammerklavier, composta fra il novembre
del 1817 e il marzo del 1819. Solo che le indicazioni autografe prescrivono
una velocit di esecuzione ai limiti dellimpossibile e obbligano gli interpreti a compromessi importanti in termini di forza e qualit del suono. Gi
difficili sulle meccaniche leggere dei pianoforti Walter-Streicher, i tempi
metronomici di Beethoven sono impraticabili sui robusti strumenti rard
dove, per, basta rallentare un poco per ottenere dosaggi di timbri e dinamiche capaci di rendere sinfoniche le corde della tastiera. una scelta che
fanno molti interpreti di ieri e di oggi, con risultati straordinari con il solo
limite di attribuire a Beethoven un errore materiale nel destreggiarsi con un
attrezzo nuovo. E che finiscono col riconoscere al prodotto artistico finito
una consistenza propria, indipendente (in buona parte) dalla volont del
suo autore.
La voglia di sperimentare su nuovi strumenti in un certo senso spiega la
disomogeneit dellultimo pianismo beethoveniano. Lo spessore orchestrale
e la spartizione di ruoli espressivi fra singoli movimenti della Hammerklavier
non compaiono in nessuno dei tre altri lavori che Beethoven definisce sonate, classificati con tre numeri dopera consecutivi e completati con singolare
regolarit, uno dopo laltro fra 1819 e 1822, in parallelo con la faticosa elaborazione di Missa solemnis e Nona sinfonia. Sono tre lavori brevi, assai diversi ma complementari. Pare, anzi, che sulle ceneri della sonata di stampo
classico prevalga lo spirito della bagatella, che associa fra loro pannelli di
diversa consistenza e variabile spessore musicale, spesso senza apparente o
reale legame unificante. Come succede nelle contemporanee Variazioni su un
tema di Diabelli, per esempio. Certo, nessuna delle tre ha la struttura in tre/
quattro movimenti di stampo classico cui Beethoven rimane fedele nelle 29
sonate per pianoforte composte in precedenza. Nella prima sonata della
terna, lop. 109, che anche lunico lavoro che riesce a terminare nel 1820,
linarrestabile urgenza espressiva dellop. 106 sembra del tutto svanita. La
voce del pianoforte muta registro. Mancano le brucianti tensioni, le impennate della seconda maniera; c invece tanta dolcezza, i sentimenti sono
espressi con candore e semplicit. Ritmi, procedimenti a corale, disegni di
accompagnamento portano diritto ai grandi romantici, a Schumann soprattutto, ma anche a Chopin, a Brahms. Nel secondo movimento un tema semplice variato quattro volte con antica sapienza polifonica piena di profezie
romantiche. Nelle ultime due variazioni diventa pulviscolo, sospeso su arpeggi e trilli, con una tecnica che contraddistingue lultimo pianismo di Be-
ethoven. Finisce con una breve ripresa del tema originale, modificato quel
tanto che basta a conferirgli una malinconia infinita.
La seconda delle tre sonate (op. 110, terminata il giorno di Natale del
1821) si allontana ancor pi dallarchitettura di tante sonate precedenti. Nel
primo movimento non c dialettica, anzi manca un vero e proprio secondo
tema, come manca la sezione di sviluppo, sostituita da semplici riproposte
dellunico soggetto. Pare una lunga e astratta meditazione, a bassa voce,
senza contrasti, senza polifonia, con accompagnamenti convenzionali pi
nellapparenza che nella sostanza, frammentata da arpeggi che ammorbidiscono transizioni armoniche ardite e nuove. Segue una specie di scherzo con
le parti laterali secche e perentorie (e con possibile citazione di un motivo
popolaresco dei sobborghi viennesi) e un trio centrale dalla scrittura rarefatta: due sole voci, un insieme di linee e di punti che spaziano sullintera tastiera. Pochi e robusti stacchi accordali portano ad alcune fra le pagine pi intense dellultimo Beethoven.
In questo Adagio ma non troppo la forma perde tutti i valori di simmetria voluti dal Classicismo, ripristina il preludiare improvvisatorio di antichi
lavori strumentali, i compositi recitativi che precedono nel Settecento le arie
vocali. Preparata da unampia introduzione che culmina con una serie di
singoli imploranti e intensi, appoggiata sulla mesta pulsazione degli accordi
ribattuti, la semplice melodia dellArioso dolente trasmette valori musicali che riassumono il senso vero dellultima stagione beethoveniana. Come gi
in altri lavori di quei tempi (op. 101, 102, 106), le solide regole della fuga
paiono a Beethoven il naturale tampone a tanta tensione espressiva. Qui
per, e in coerenza con lo spirito proprio della sonata tutta, la fuga non ha
contorni aspri e drammatici, ma si mantiene intima, perfino lirica. Le angosce dellArioso dolente si sciolgono a contatto con i razionali (e perci
certi, incorruttibili) valori dellantico contrappunto. Conclusa la prima elaborazione della fuga, il meditativo Arioso si riaffaccia per poche battute.
Perdendo le forze, dolente, scrive Beethoven subito dopo lindicazione
agogica Listesso tempo di Arioso. Ancora una volta risponde, e in modo
definitivo (lo confermano se non altro i 13 rintocchi che servono da transizione), una fuga, costruita sul tema precedente, per rovesciato. La nuova
fuga non dura molto. Con graduale accelerazione di passo e di emozione si
passa al crescendo finale, dove lidealistica fede di Beethoven nel trionfo dei
valori positivi sulle miserie e sui dolori del contingente trova in musica, sul
pianoforte, per lultima volta traduzione perfetta.
Lultima sonata per pianoforte in assoluto di Beethoven, lop. 111, sceglie unaltra struttura ancora, del tutto inedita. Non chiude, ma inizia con
una fuga. Anzi, attacca con un impressionante Maestoso che annuncia la
fuga sotto il profilo tematico, non solo emozionale. La dissonanza estrema
e pi ambigua, la settima diminuita, esplode tre volte in altrettante, diverse disposizioni. Ogni rintocco prolungato pi del precedente e la tensione
dellultimo si amplifica su un lungo ponte sincopato senza che mai si chiarisca la regione tonale di approdo. Finalmente appare la tonalit di do minore, dopo che il tessuto musicale si dissolve in rumore; ma lapprodo ha il
profilo rude di un tema di fuga, una fuga che per tarda a materializzarsi,
perch attraversata da altri incisi e segmenti, da velleit sonatistiche, da divagazioni e variazioni. Si giunge alla fine dellesposizione (o presunta tale)
senza che si capisca bene se e quando la fuga cominciata. La parte di sviluppo attacca ancora come una fuga, utilizzando pressappoco lo stesso tema, per con valori aumentati e intervalli modificati. A complicare le cose
interviene (e si sarebbe in fase di ricapitolazione sonatistica) di nuovo il tema nella versione originale, sovrapponendosi a quello aumentato, a fare una
doppia fuga, come nel finale dellop. 106. La forma a questo punto scoppia.
Beethoven si rifugia nel suono puro, inventa grumi di note e armonie, trova
spazi lirici, rievoca le settime diminuite dellintroduzione, risolve e termina
in pianissimo, in miracoloso, sereno, inaspettato do maggiore. Come nella
Quinta sinfonia.
Se il primo movimento dellop. 111 ricorda i sussulti titanici dellop. 106,
il secondo ricalca il finale dolcissimo dellop. 109. in forma di tema con
variazioni e c affinit fra i due temi. Anche i primi sviluppi sono simili.
Dalla terza variazione, per, si comincia a cogliere la sostanziale differenza e
il disegno astratto, strutturale che Beethoven ha in mente. La piccola sincope
del tema che sfugge al primo ascolto si rivela cellula generatrice di un processo di dissolvimento che investe ogni parametro del tessuto musicale. Le
sincopi diventano arabeschi evanescenti e questi si trasformano in trilli semplici, doppi, tripli, nel grave, nellacuto, nel sopracuto. Ancora una volta il
linguaggio musicale sparirebbe in una nebbia di polvere argentina e informe,
non fosse per quel tema timidissimo, per inconfondibile, che d continuit
e sicurezza, e chiude. Non c terzo (e quarto) tempo. Beethoven non prosegue. Si direbbe per scelta, come Schubert con lIncompiuta. Considera terminato il suo lungo rapporto non solo con il genere, ma con il nome stesso
di sonata.
Nei suoi ultimi cinque anni di vita scrive ancora musica per pianoforte,
ma si tratta del gran mosaico delle Variazioni su un tema di Diabelli (op. 120)
e di due raccolte di bagatelle (op. 119 e op. 126), frammenti di un ciclo senza bussola apparente. Anticipazione dei mosaici dei prossimi romantici, ancora con Schubert in prima fila, seguito da Schumann e Brahms, da Mendelssohn e da Chopin, oltre che dagli infiniti minori che trasformano le meditazioni interiori di Beethoven in lacrime e sospiri da salotto Biedermeier.
Non ci sono pi sonate. Anzi lultima vera sonata che scrive Beethoven non
Ascolti
L. van Beethoven, Piano Sonatas, E. Gilels, dg 2006, disc 9
L. van Beethoven, Die Spten Klaviersonaten, M. Pollini, dg 1997
Letture
S. Rumph, Beethoven after Napoleon: Political Romanticism in the Late Works, University
of California Press, Berkeley 2004
M. Cooper, Beethoven: The Last Decade 1817-1827, Oxford University Press, New York
1985
Ascolti
N. Paganini, 24 Capricci (op. 1) per violino solo, S. Mintz, dg 1982
N. Paganini, Paganini by Accardo: Complete Recordings, C. Dutoit, S. Accardo, London
Philharmonic Orchestra, dg 2000
Letture
E. Neill, Niccol Paganini, il cavaliere filarmonico, De Ferrari, Genova, 1990
B. Schwartz, Great Masters of the Violin, Simon and Schuster, New York, 1983
A mezzanotte, nellorrida gola del lupo, nella fitta foresta boema, un sinistro
coro di spettri anticipa i dodici rintocchi di una campana lontana. Linfame
Caspar stringe un patto con il demone Samiel, accoglie lo spaurito Max e gli
prepara le palle magiche da sparare al mattino nella gara di tiro a segno che
decider del suo amore. Mentre il numero delle palle cresce fino al fatidico
sette che il demone consente, attorno sibilano strumentini, soffiano ottoni,
rullano timpani sul frusciare degli archi e il pulsare dei bassi. Il variare dei
timbri e il crescendo dintensit segnano una svolta storica nel teatro musicale germanico. Frammentata e ricombinata con le voci di solisti e cori, la
grande orchestra protagonista assoluta nella scena madre che fa da finale
del secondo dei tre atti del Franco cacciatore (Der Freischtz) di Carl Maria
von Weber. La stessa orchestra, fin dallesordio, da sola, nella famosa ouverture, presenta i temi cruciali che illustrano ambienti e personaggi: il mormorio della foresta che sostiene il canto dei quattro corni, gli slanci appassionati dei violini, i morbidi colori dei fiati, i movimenti tellurici dei bassi, i passi
di danza e le melodie. Ossia: nel villaggio ai bordi della foresta, vince lamore di due anime semplici ostacolato dalle forze del male, fra balli in piazza e
cori di popolani e cacciatori. Lui (Max) ama lei (Agathe) ma per averla deve
vincere una gara di tiro a segno. Si fa convincere dal malvagio (Caspar) a rivolgersi al demone (Samiel) per sparare pallottole magiche. Il giorno della
gara sta per uccidere Agathe, ma lo salva il demone che dirige la palla sul
malvagio. Interviene leremita che assolve e consente il matrimonio nel tripudio generale.
Realt e fantasia, naturale e soprannaturale si mescolano in ogni scena,
con le cadenze di una fiaba dei fratelli Grimm o di un racconto di E.T.A.
Hoffmann, il poeta, filosofo e musicista al quale si deve la glorificazione
di Beethoven nel primo Ottocento e la teorizzazione del concetto di Romanticismo in musica. Poco importa che il libretto sia firmato da un mediocre epigono e sia tanto farraginoso da sfiorare lassurdo. Conta lemozione che la musica riesce a trasmettere e che coglie alla perfezione lo spirito del tempo. Piacciono le storie dincantesimi e di magie, ambientate in un
Medioevo mitico, con protagonisti semplici che vivono di passioni irrazionali e che vengono salvati nel momento fatale da interventi di potenti della terra
o di sacerdoti del cielo. Sono i temi del primo Romanticismo che hanno terreno fertile in una Germania protesa a trovare una sua identit nazionale e
superare la frammentazione ereditata dallormai lontana Guerra dei trentanni e dai recenti sconvolgimenti napoleonici. La letteratura cerca radici nel
passato contadino e feudale, riscrivendo testi popolari con la fantasia di
Achim von Arnim e Clemens Brentano (Des Knaben Wunderhorn, Il corno
magico del fanciullo, 1805-08), di Jacob e Wilhelm Grimm (Kinder und Hausmrchen, Le fiabe del focolare, 1812-22). Mentre Goethe non prova nemmeno
a contrabbandare come folklore le sue invenzioni narrative (Das Mrchen,
Fiaba, 1795). A sua volta, il poliedrico Hoffmann affianca ai suoi racconti
fiabeschi ben 13 fra opere e Singspiel. Ha subito estimatori e continuatori
della sua Undine (1814), su testo ricavato dal romanzo di Friedrich de la
Motte Fouqu, figlio del militarismo prussiano, arrivato alla letteratura e
allamore per le antiche saghe dei nibelunghi sotto il patrocinio di un antesignano del Romanticismo tedesco come Friedrich Schlegel. Soprattutto a
Berlino, eletta capitale morale di una Germania ancora virtuale, il nuovo patriottismo cresce attorno alla lingua, il tedesco. Non a caso, si deve ai fratelli
Grimm limpostazione del colossale lavoro linguistico sul vocabolario tedesco iniziato nel 1838 e terminato solo nel 1961. Ci si vuole sottrarre allegemonia letteraria e filosofica francese, a quella artistica e musicale italiana.
Weber fa parte dei circoli nazionalisti berlinesi e sincarica di contribuire
allo sviluppo di una musica tedesca ancora adolescente. vero che esiste e
fiorisce gi un teatro dopera in lingua tedesca, con capolavori come Il ratto
dal serraglio (1782) e Il flauto magico (1791) di Mozart ampiamente diffusi e
inquadrati nel genere Singspiel, con canto e recitazione integrati cos da
semplificare il rapporto col pubblico. Lo stesso Fidelio (1808-14) di Beethoven si muove nella medesima direzione, con le difficolt di decollo che conosciamo. Ma con Il franco cacciatore di Weber che si giunge alla maturit.
Presentato per la prima volta a Berlino il 18 giugno 1821, con il sottotitolo
di Opera romantica, ottiene un successo clamoroso ed subito replicato
nellintera Europa di lingua tedesca. La fortuna non viene solo dal luogo in
cui si svolge lazione e dalle parole che si dicono. Viene anche dal suono. I
quattro corni che cantano allinizio dellouverture, i colori gravi e pastosi
degli ottoni (e dei clarinetti) che assorbono i guizzi degli altri fiati e degli
archi rendono lorchestra di Weber assai diversa da quella ben pi leggera
delle opere italiane e francesi. Sono i timbri che si sentono nelle orchestre
sinfoniche beethoveniane e in quelle mature di Mozart e Haydn, che Weber
conosce bene, anche per averne applicato il principio nelle sue due sinfonie
giovanili, belle e dimenticate (1810, 1812). Complessi e pastosi, oltre che
numerosi, sono i cori, che si rifanno alla tradizione chiesastica luterana. Semplici e lineari, senza gorgheggi e fioriture, a imitazione del nascente canto
popolare, sono quasi tutte le arie cantate dai protagonisti, buoni o cattivi.
Con qualche eccezione, come la parte della cuginetta nnchen, che volentieri cede alle lusinghe del bel canto. Anche la vivacit degli strumentini ha
evidenti radici rossiniane. Cose che si spiegano bene con la familiarit che
Weber ha con lopera italiana, maturata facendo il direttore dei teatri di
Stoccarda, Praga, Berlino, Dresda.
Il franco cacciatore non la prima opera teatrale di Weber. A 14 anni scrive Das stumme Waldmdchen (La fanciulla muta del bosco, 1800) poi trasformata in Silvana (Francoforte, 1810), a 16 ha successo con Peter Schmoll
(1803). Sono lavori sempre in lingua tedesca e con la formula recitato-cantato del Singspiel, ma ancora privi di quel sapore gotico che ne assicurer il
trionfo ventanni dopo. Infatti, il dotatissimo Weber si dedica alla musica
strumentale, contribuendo alla diffusione del repertorio per clarinetto e alla
valorizzazione del personale talento di pianista: due concerti e un celebrato
Konzertstck con orchestra, quattro sonate e soprattutto un indimenticabile
Invito alla danza per pianoforte solo. Si crea una fama come direttore dorchestra sinfonico e teatrale in tutta la Germania. Fa il critico musicale. Torna
al teatro nel 1811 con lopera comica Abu Hassan, ripresa dalle Mille e una
notte, ma lesito incerto. Dieci anni dopo, il trionfo del Franco cacciatore
cambia la vita a lui e a tanti altri che gli stanno accanto e che gli succedono.
Domenico Barbaja, il mitico impresario della Scala di Milano e del San Carlo
di Napoli, arrivato a Vienna nel 1821 per dirigere anche il locale teatro della
Porta di Carinzia, individua in Weber lautore capace di rinvigorire il fiacco
repertorio dellopera tedesca. Gli commissiona una nuova grande opera,
Euryanthe, che trionfa alla prima, declina nelle poche repliche, esce dal repertorio. Ha troppe ambizioni e sconta tempi poco favorevoli.
A Vienna ormai comanda il solo Rossini, presente di persona al seguito di
Barbaja. Le diffidenze del pubblico aristocratico nei confronti dellopera
tedesca sono ancora forti. Il libretto di Euryanthe dellinesperta Helmina
von Chzy, autrice nel 1823 dellinfelice dramma Rosamunde, per il quale
Schubert, lo stesso anno, scrive bellissime musiche di scena. La storia un
assurdo intreccio di eventi, ambientati in un Medioevo lontano alla corte di
Francia, dove una coppia di cattivi mette in dubbio la fedelt coniugale
della protagonista, ma alla fine vince la verit. Le innovazioni musicali sono
premature. Weber abbandona il parlato del Singspiel e recupera i recitativi
accompagnati allitaliana, come gi fa il suo concorrente Louis Spohr (Jessonda, 1822). Usa per la prima volta, in modo sistematico e non ancora
equilibrato, il Leitmotiv, un segnale musicale che ricorre in orchestra ogni
volta che in scena compaiono un personaggio, unemozione, una situazione.
il principio di cui simpossessa Richard Wagner in tutte le sue opere, iniziando con Lohengrin (1850, quasi trentanni dopo), peraltro basato su una
storia molto simile a quella di Euryanthe.
Legato da fili multipli a Euryanthe Fierrabras, lultimo e sfortunato
tentativo teatrale di Franz Schubert. Comuni sono lambientazione medioevale e il soggetto cavalleresco. Comuni sono le dimensioni (oltre tre ore di
musica), il taglio delle scene, la tecnica del canto, il colore e la forza del
suono orchestrale, la voglia di svincolarsi dal modello rossiniano. Identica
la motivazione di inventare lopera tedesca e di seguire le indicazioni del
committente, il solito Barbaja, bravissimo a scoprire nuovi talenti non solo
in Italia (Rossini, Donizetti, Bellini, lemigrato Meyerbeer) ma anche allestero, appunto il giovane Schubert. Il quale Schubert ha gi una considerevole esperienza teatrale, frutto di una vocazione giovanile. A 14 anni, nel
1811, entusiasmato dalla Famiglia Schweizer, un Singspiel di Joseph Weigl
allora assai popolare, scrive il primo dei tre atti di Der Spiegelritter su un
racconto epico-fantastico di August von Kotzebue, un poeta e drammaturgo per il quale nel 1811 anche Beethoven compone musiche di scena. Due
anni dopo, guidato da Salieri e sempre su un testo di Kotzebue, Schubert
completa Il castello del diavolo, altro Singspiel fitto di prove iniziatiche in
luoghi improbabili a certificazione della fedelt in amore, animato dalla
purezza del canto e dalla classica trasparenza dellaccompagnamento
dellorchestra. Fra i quattro Singspiel del 1815, si nota Claudine von Villa
Bella, su testo di Goethe, gi messo in musica fra gli altri da Reichardt, la cui
opera uno dei pochi casi in cui il parlato conta pi del cantato. Con leccezione della Claudine di Schubert, naturalmente, anche se gran parte della
partitura andata distrutta nel 1848. Fra 1816 e 1819, Schubert si cimenta
con temi classici alla maniera di Gluck e Cherubini, salvo abbandonare il
recitato e organizzare una musica continua e solenne con lincompiuto oratorio scenico Lazarus (1820), prima testimonianza della sua capacit di costruire ampie strutture musicali, e non solo le brevi dimensioni del Lied e
dei pezzi staccati del Singspiel.
Il primo lavoro teatrale di Schubert che va in scena , nel 1820, Die Zwillingsbrder (I gemelli), una farsa sentimentale che ha discreto successo e
procura la commissione di un nuovo lavoro per il Theater an der Wien. Lo
stesso anno, in poche settimane, Schubert imbastisce Die Zauberharfe (Larpa magica), altra storia di magie e apparizioni, molto recitata e poco cantata,
forte nella bella ouverture, nei finali, in qualche coro e alcune arie, fiacca
nelle tante parti parlate, talvolta con incerto accompagnamento strumentale, alla maniera del melologo. Linsuccesso palese. Schubert non si rassegna. Scrive poche note per Sakuntala, affascinato dallesotismo della poesia
indiana di Klidsa, ma lentusiasmo per la ripresa di Fidelio e la novit del
sua volta ripreso da un poema cavalleresco medioevale e destinato a influenzare Schiller (Don Carlos), Mozart (Il flauto magico), Goethe (Faust). Il libretto originale in tedesco e per la prima londinese (1826) viene tradotto
in inglese, lingua che Weber non conosce. Il successo di Oberon trionfale.
Il ritorno allo stile originale del Singspiel (soltanto recitazione, non melologo) d risalto al valore dei singoli pezzi musicali, soprattutto alle finezze di
unorchestrazione smagliante nella famosa ouverture e con vertici di trasparenza in tutto il resto della partitura: le danze eteree di fate e folletti, la
tempesta, il lirismo degli amanti, la foga degli eroi. Senza dimenticare i colori del Flauto magico e le invenzioni melodiche degli italiani Cimarosa,
Paisiello e Rossini.
Weber si spegne a quarantanni, poche settimane dopo la prima di Oberon, ma il suo impatto sulla musica del tempo subito immenso. Il giovanissimo Felix Mendelssohn trova in Oberon molte idee per la sua non meno
straordinaria ouverture Sogno di una notte di mezzestate (1826). A Parigi e
con ricca orchestrazione, Berlioz trasforma in cantati i parlati del Franco
cacciatore (1841), volge in un caleidoscopio di timbri il bianconero pianistico di Invito alla danza e attinge a piene mani dalla tecnica di Weber la sua
produzione sinfonica. Ancora Berlioz riprende (sia pur con alterna fortuna) le impostazioni teatrali di Weber nella sua Damnation de Faust (1846),
che quasi un Singspiel, e nel grande affresco Les Troyens (con una weberiana tempesta,1858). In teatro, rendono omaggio a Weber lamico Meyerbeer e tutto il grand-opra francese che ne consegue. In Germania il
grand-opra arriva con Agnes von Hohenstaufen dellitaliano Spontini trasferito a Berlino. Ma lopera tedesca trova lerede naturale di Weber nel
rivale Heinrich Marschner con le opere romantiche Der Vampyr (1828),
Der Templer und die Jdin (1829), Hans Heiling (1833). Pi tardi, Wagner
assorbe tutto lassorbibile, in particolare da Hans Heiling, la cui storia
simile a quella di Lohengrin. Lo stesso melodramma italiano, da Donizetti
a Verdi e oltre, tiene conto dei suoni e dei panorami nordici evocati dal
Franco cacciatore e da Oberon. Ancora Weber fornisce al cosmopolita Michail Glinka gli strumenti per inventare lopera nazionale russa con Una
vita per lo zar (1836) e Russlan e Ludmilla (1842).
Declina invece il genere Singspiel, che si trasforma in una specie di dramma sentimentale-giocoso. Ne campione il berlinese Albert Lortzing: Zar
und Zimmermann (Zar e carpentiere, 1837), Der Wildschtz (1842), Undine
(1845). A suo modo una risposta alla Sonnambula di Bellini (1831), allElisir damore (1832) e a Don Pasquale (1843) di Donizetti. E un preludio alloperetta francese di Offenbach (Orphe aux Enfers, 1858) e allevoluzione
viennese di Franz von Supp (Cavalleria leggera, 1866; Boccaccio, 1879) e di
Johann Strauss jr (Il pipistrello, 1874; Una notte a Venezia, 1883).
Ascolti
C.M. von Weber, Der Freischtz, C. Kleiber, Staatskapelle Dresden, dg 1998
C.M. von Weber, Piano Concertos, Symphonies, Overtures, Brilliant 2002
F. Schubert, Fierrabras, C. Abbado, Chamber Orchestra of Europe, dg 1991
Letture
J. Warrack, German Opera from the Beginnings to Wagner, Cambridge University Press,
Cambridge 2006
D. Hartwig, Carl Maria von Weber, Bibliographisches Institut, Leipzig 1989
J. Warrack, Carl Maria von Weber, H. Hamilton, London 1968
Ascolti
F. Schubert, Trout Quintet/Wanderer Fantasy, S. Richter, emi 2010
F. Schubert, 9 Piano Sonatas/Moments Musicaux, R. Lupu, Decca 2006
F. Schubert, Tnze fr Klavier, M. Endres, Capriccio 2007
Letture
W. Drr, A. Krause (a cura di), Schubert-Handbuch, Brenreiter-Metzler, Kassel-Stuttgart
1997
B. Newbould, Schubert: The Music and the Man, Victor Gollancz, London 1997
W. Drr, A. Feil, W. Litschauer, Franz Schubert: Musikfhrer, Reclam, Leipzig 2002
Violino come Spirito santo Distanza dalla funzione liturgica Recupero della polifonia rinascimentale Le messe
di Mozart Le messe di Haydn La prima messa di Beethoven Messe e Requiem di Cherubini Schubert sacro
Allimprovviso, quasi in fondo alla partitura, dopo che per oltre due ore si
sono ascoltate tante voci da sole e in coro, accompagnate da grande orchestra, compare un violino solo. Viene dopo un breve praeludium strumentale,
quasi organistico alla maniera di Frescobaldi, destinato ad accompagnare il
momento dellElevazione nella liturgia della messa cattolica. Il suo canto
scende lentamente dal registro acuto, trova il parlato del baritono sulle parole Benedictus qui venit in nomine Domini, prosegue in un libero fantasticare sostenuto da intrecci di fiati e pizzicati di archi, sovrasta il progressivo
inserirsi degli altri solisti di canto, si concede nuovo spazio individuale prima
che entri il coro. Il violino mantiene il suo soffice volteggio quando tutte le
voci, rinforzate dalladdensamento orchestrale, sono assorte nella ripetizione estatica di in nomine Domini. La stessa parte del violino, proprio per
la sua vaporosa leggerezza, sembra voler fermare il tempo e perdersi nella
contemplazione dellassoluto.
uno dei momenti magici della Missa solemnis, non solo sul piano espressivo e sonoro ma anche su quello interpretativo e formale. Che i volteggi del
violino rappresentino la colomba dello Spirito santo chiaro. Beethoven
conosce bene i valori simbolici che ciascuna parte, frase, parola della messa
cattolica porta con s, dal momento della formalizzazione al Concilio di
Trento, dellistituzione nellalto Medioevo, dellideazione nella Chiesa dei
padri. Lintera Missa pervasa di traduzioni musicali di dottrina e teologia,
che Beethoven rilegge per a modo suo. La maest di Dio si manifesta nei
tanti passaggi in fortissimo a piena orchestra, gi nel Kyrie, soprattutto nel
Gloria. La sofferenza di Cristo sta in quelli di ascetico raccoglimento: nel
Credo, Et incarnatus trova la trasparenza madrigalistica di quattro voci
soliste sostenute dal fruscio degli strumentini; poco dopo, la dissolvenza in
pianissimo di et sepultus est si ferma su una pausa che apre alla vertiginosa
ascesa dalle voci corali senza accompagnamento (Et resurrexit) ed esplode
nel fortissimo di tutti (Et ascendit in caelum). Abbagliato al cospetto della
Divinit, luomo comune emerge nel finale, con la supplica intensa dellAgnus, quando cerca remissione dei peccati e, soprattutto, pace.
Nel testo sacro, come far con Schiller nella Nona sinfonia, Beethoven
isola, ferma, ripete le parole, cio i concetti, che fanno da fulcro alle sue leve
musicali. Insiste su Pater omnipotens, esalta Tu solus altissimus, amplifica Deo vero. Lascia scorrere le verit di fede, ma le accompagna ripetendo tante volte Credo. Quasi non si percepisce il valore semantico, tanta
la forza del discorso musicale, fatto di volumi sonori, fenomeni timbrici,
frizioni armoniche. Beethoven sa che non c narrazione nellordinarium e
accosta fra loro blocchi sonori non consecutivi, emozioni che nascono dal
dettaglio e crescono senza adiacenze. Inutili sono state, finora, le ricerche di
fili conduttori che leghino limmensa partitura.
Il lungo intervento del violino solo evoca per molti altri valori, lontani
dalla liturgia. Dura una dozzina di minuti, quanto un primo movimento di
concerto per violino e orchestra di taglio classico. Rispetto alle voci, il violino
si pone in posizione dominante pi che concertante. Vive di estasi liriche ma
anche di slanci melodici e di compiacimenti virtuosistici come unaria dopera teatrale. Non , come nel corrispondente modello della Messa in si minore
di Johann Sebastian Bach, unintegrazione che accompagna il canto; il
canto stesso, che non ha bisogno di parole, che anzi anima la stupefatta fissit ripetitiva delle voci. Segnala il distacco della musica rispetto alle esigenze della celebrazione. Non certo la prima volta. Anche la Messa in si minore di Bach ha una dimensione musicale inadatta al servizio religioso. Non
solo questione di durata (oltre due ore) o di organico dilatato. Come Beethoven, Bach vede nella messa un fondamento per mettere alla prova la propria
fantasia, per rendere un omaggio al Signore piuttosto che un servizio al celebrante e al fedele. Proprio perch tramonta presto la speranza di assunzione
alla corte della cattolica Dresda e abbandona il servizio nella luterana Lipsia,
Bach lavora pi di 15 anni (1733-49) al perfezionamento di un progetto che
non ha pi valenza pratica ma solo personale.
Sia Bach sia Beethoven si rifanno alla tradizione polifonica del Cinquecento di Giovanni da Palestrina, con radici in Rinascimento e Medioevo.
Non mancano le propaggini nella magniloquenza seicentesca romana di
Orazio Benevoli o salisburghese di Heinrich von Biber, nei calchi operistici
diffusi in tutta Europa dalla scuola napoletana di Alessandro Scarlatti e veneziana di Antonio Vivaldi. Fra i grandi di fine Settecento, solo Mozart tiene
conto delle esigenze pratiche, perch il suo vescovo, a Salisburgo, gli impone
una durata massima di 45 minuti in modo che la forza della musica non
scardini il senso della celebrazione. Infatti, la quindicina di messe che Mozart compone a Salisburgo fra 1768 e 1780 un capolavoro di sintesi e dinvenzione. Molte sintitolano appunto Missa brevis, altre hanno titolo accattivante, come la Messa dei passeri K 220 (1775-76) per i voli di violini nel
Sanctus, o la Piccolomini K 258 (1775). Non confondano i titoli Missa
op. 120 per pianoforte e la Nona sinfonia. Ne consegue un certo travaso stilistico fra composizioni per organici tanto diversi e anche frammentazione
nellimpianto della messa stessa. Lo stacco evidente fra la relativa omogeneit delle prime tre parti e la meravigliosa disomogeneit delle ultime.
Fin dallinizio Beethoven vuole innovare limpianto della messa e, pi che
in altre circostanze, si rivolge al passato. Studia di nuovo non solo Palestrina
e Bach, ma anche il teorico Zarlino e lammiratissimo Hndel. I risultati si
sentono nella fitta coralit dellultima parte della messa, nella scrittura a
cappella, nel recupero dei modi medioevali, nei frequenti passaggi in contrappunto stretto e in particolare nelle grandi fughe che chiudono Gloria
e Credo. Non c spazio per sfoggi di bravura individuale e i solisti sono
di regola impegnati come coro leggero. Assume invece enorme importanza
lorchestra, che ha sempre respiro sinfonico e spesso tende a sommergere le
voci. Rappresenta la modernit e talvolta la rivoluzione della partitura. Acquista progressivamente peso ed esplode nel finale Agnus Dei. Linvocazione alla pace diventa un grido, mentre gli inattesi interventi di timpano e
di trombe ricordano i sempre incombenti spettri della guerra.
La prima esecuzione ha luogo a San Pietroburgo il 7 aprile 1824 su iniziativa del principe Galitzin, che di l a poco commissiona a Beethoven una
nuova serie di quartetti per archi. Un mese dopo, a Vienna, lesecuzione
solo parziale, nel famoso concerto del 7 maggio che vede la prima assoluta
della Nona sinfonia. Poich la censura proibisce lesecuzione di musica su
testi sacri fuori dalle chiese, la Missa solemnis presentata come terna di
inni distinti. Il successo grande, trainato da quello della Nona. Non sono
frequenti tuttavia le riprese, almeno fino allesecuzione completa nel 1844,
al sedicesimo festival musicale del Reno, a Colonia. Tanto che Clara Schumann e Johannes Brahms si recano a Colonia il 1 aprile 1855 per ascoltarla,
con grande impressione per entrambi. Nei primi decenni prevalgono le
esecuzioni parziali. Per un concerto a Berlino, Spontini associa il Credo di
Bach con Kyrie e Gloria di Beethoven. Un raro caso di esecuzione durante una celebrazione eucaristica si ha nel 1870 a San Francisco, quando
sono gi innumerevoli le esecuzioni in sala da concerto. La tendenza della
musica dispirazione sacra a uscire dalla chiesa ormai un fatto acquisito. Si
costruiscono nuove sale da concerto con lo stesso scrupolo con cui, nel Medioevo, si edificano cattedrali.
Lo stesso Schubert si adegua. La sua Messa in mi bemolle maggiore D 950,
scritta a met 1828 su richiesta di un amico direttore di coro, segue il principio della Missa solemnis beethoveniana di adattare il testo alla musica, favorendo i valori emotivi e spirituali dellindividuo creatore e trascurando le
necessit pratiche della cerimonia collettiva. Cos larticolazione delle masse
corali e strumentali nel Kyrie segue la logica di un primo movimento di
sinfonia. La crescita di tensione del Gloria, che si scioglie in una grandiosa fuga, ha i caratteri di un Lied strofico e drammatico. Nel Credo, rulli di
timpano e squilli di trombe, sussulti di armonie e di volumi agitano una
scrittura musicale tormentata, anche da incertezze confessionali: Schubert
scarta, infatti, le frasi Et in unam sanctam et apostolicam Ecclesiam e Et
expecto resurrectionem. Del Sanctus si ammira la potenza del Cielo e
lumilt della Terra, tradotte in contrasto fra ottoni e archi, fra coro e solisti,
fra Osanna e Benedictus. Nel finale Agnus Dei, lomaggio alla musica
si esprime nella citazione di un soggetto ripreso dal Clavicembalo ben temperato di Bach e di un altro inciso dal proprio Lied Der Doppelgnger (l sta
anche un uomo e ha lo sguardo fisso in alto e si torce le mani in preda al
dolore). La musica chiude estatica e rassegnata con linvocazione del peccatore: Dona nobis pacem.
Il concetto di solenne continua a legarsi alle messe darte, che non sono
per mai liturgiche. Ha spesso a che vedere con eventi politici, come nella
nuova Missa solemnis scritta nel 1825 da Cherubini per lincoronazione di
Carlo x. Oppure con ragioni intime, come nella Petite messe solennelle scritta nel 1863 dallanziano Rossini come per congedarsi dalla propria vita, e la
cui rivoluzionaria scrittura cameristica (12 voci di cui 4 soliste, 2 pianoforti
e armonium) scavalca le dolcezze romantiche e irrompe nel ruvido Novecento. Sono mistiche e sentite, ma non liturgiche, le messe solenni che Franz
Liszt scrive durante la parentesi vaticana del 1864-68, e forse anche le tre che
Anton Bruckner compone fra 1864 e 1868, prima di immergersi nella monomania sinfonica.
Ascolti
L. van Beethoven, Missa solemnis, op. 123, N. Harnoncourt, Chamber Orchestra Europe, Teldec 1993
L. van Beethoven, Large Choral Works, dg 1997
L. Cherubini, Masses, Overtures, Motets, R. Muti, Bayerischer Rundfunk Orchester, emi
2010
Letture
W. Drabkin, Beethoven: Missa solemnis, Cambridge University Press, Cambridge 1991
G. Pestelli (a cura di), Beethoven, il Mulino, Bologna 1995
1834 e dura almeno 18 anni, cerca di spremere dalla tastiera le dense sonorit delle sue future partiture orchestrali. In parte, lo spirito delle Diabelli si
ritrova in Brahms: forse pi nelle Variazioni e fuga su un tema di Hndel op.
24 (1861) che nelle Variazioni su un tema di Paganini op. 35 (1863), concentrate sul trasferimento del vibrato del violino sul martellato del pianoforte.
In entrambi i casi tuttavia ben riconoscibile la fisionomia del tema di partenza, grazie al sistematico pulsare del basso che fa da denominatore comune, come nellantica passacaglia.
Resta sospeso invece proprio il lavorio allinterno del tema che intriga
Beethoven nei tre anni di elaborazione delle Diabelli. Bisogna aspettare il
nuovo secolo perch lintuizione sia ripresa e in parte sviluppata: dalla Seconda scuola di Vienna di Schnberg, Webern e Berg; dai neoclassici Stravinskij e Hindemith; dallindipendente Bartk. Anche se resta in tutti il rispetto per il tema in s e la volont di non disperderne la riconoscibilit, intesa come punto di ancoraggio del disegno musicale complessivo. Forse i
frutti maggiori li colgono i postseriali del secondo Novecento. Per esempio:
Mantra per due pianoforti ed elettronica di Stockhausen, Variazioni canoniche per orchestra di Nono, Notations di Boulez.
Variazioni di variazioni, sviluppi integrali e aggregazioni per frammenti
restano passioni costanti di Beethoven. Lo dimostra lultima raccolta che
dedica al pianoforte, completando nel 1824 una collezione che intitola Bagatelle op. 126, sei brevi pezzi concepiti fin dallinizio come ciclo unitario, con
studiata sequenza di carattere e toni. Forse cos anche nella precedente
serie di undici bagatelle, pubblicata nel 1823 come op. 119 raccogliendo
frammenti scritti dal 1791 in poi; e nella serie di sette op. 33 (1803). Il disegno unitario si sente assai meno nelle numerose altre bagatelle disseminate
da Beethoven lungo lintero arco della sua vita, compresa la pi famosa, Per
Elisa, completata a pi riprese fra 1808 e 1822, pubblicata postuma, forse
composta per Teresa Malfatti, un suo impossibile amore. Il tutto a dimostrare linteresse costante di Beethoven per lidea improvvisa e non strutturata,
che solo in un secondo tempo, per volont o per caso, genera la struttura che
sta intorno. Siamo agli albori del pezzo di genere, breve e informale, meglio se raccolto in ciclo, come trionfer per lintero Ottocento romantico,
firmato da tutti i compositori-pianisti. Sono gli Improvvisi e i Momenti musicali di Schubert che aprono la via ai Preludi di Chopin, ai cicli di Schumann, alle Romanze senza parole di Mendelssohn, ai Klavierstcke di
Brahms, via via fino a Novecento inoltrato.
Ascolti
L. van Beethoven, Rudolf Serkin Plays Beethoven: Diabelli Variations, Op. 120 / Piano
Sonata No. 30 in E Major, Op. 109, R. Serkin (1954), Music & Arts Program 2007
L. van Beethoven, Piano Variations, J. Ogdon/E. Gilels, emi 2004
Aa.Vv., Diabelli Variations, M. Chen, Bridge Records 2006
Letture
W. Mellers, Beethoven and the Voice of God, Faber and Faber, London 1983
M. Salomon, Lultimo Beethoven. Musica, pensiero, immaginazione, Carocci, Roma 2010
W. Kindermann, Beethovens Diabelli Variations, Oxford University Press, Oxford 1987
Abbracciatevi milioni Schiller rivoluzionario Beethoven libertario Commissione che viene da Londra Le
tensioni del primo movimento, la forza del secondo, il
canto del terzo Le voci nel finale Il testo adattato alle
esigenze della musica La diffusione universale Inno
olimpico della Germania divisa Inno dellEuropa unita
Amici, basta con questi suoni; intoniamo invece qualcosa di pi piacevole e
gioioso. Con queste parole, il baritono solista interrompe gli strumenti
dellorchestra, coinvolge il coro nellesclamazione Gioia e si appoggia sui
versi di Friedrich Schiller Freude, schne Gtterfunken, Tochter aus Elisium (Gioia, bella scintilla divina, figlia dellElisio) per cantare la gran melodia che subito passa alla storia e che nel 1985 diventa linno dellUnione Europea. La seconda strofa tocca a un coro scuro (tre voci, senza soprani) sostenuto da piena orchestra con trombe e timpani. Gli strumenti si riducono a
fiati e bassi quando i quattro solisti vocali (soprano, contralto, tenore, bassobaritono) intonano la terza strofa, per poi lasciare spazio al coro (quarta
strofa) e tornare in primo piano nella quinta strofa, che il coro ripete aumentando la massa sonora fino al tremendo fortissimo sulle parole vor Gott
(Davanti a Dio). Solo larmonia ci dice che non siamo alla fine. A sorpresa
irrompe col passo di marcia una banda turca di fiati in legno e in ottone,
triangoli, piatti e grancassa a preparare un assolo di tenore minacciato da
falcate vocali che sembrano non tenere conto dei limiti fisici delle corde in
gola, spinto nellacuto per sovrastare lentrata del coro. Siamo alla sesta strofa.
Un lungo e drammatico intermezzo solo strumentale fa da cesura al nuovo intervento del coro a pieno organico e in fortissimo che ripete la prima
strofa cadenzando la melodia, cos da rendere ancor pi drammatica la pausa che precede linvocazione cruciale: Seyd umschlugen, Millionen! / diesen Kuss der ganzen Welt! / Brder berm Sternenzelt muss / ein lieber
Vater wohnen (Abbracciatevi, milioni. Questo bacio vada a tutta la terra.
Fratelli! Sopra le stelle deve vivere un caro Padre). Il tonante Andante
maestoso si trasforma in Adagio ma non troppo, ma devoto sulle nuove
parole Ihr strzt nieder, Millionen? / Ahnest du ein Schpfer, Welt? / Such
ihn berm Sternenzelt! / ber Sternen muss er wohnen (Vinchinate, milioni? Mondo, intuisci che esiste un Creatore? Cercatelo oltre le stelle! Oltre
le stelle Lui deve abitare). Ora pu iniziare il percorso conclusivo: una ripre-
sa della melodia adattata nel ritmo per costruire un fugato corale, intercalata
dalle esclamazioni Freude; la combinazione di tutte le risorse (solisti, coro,
orchestra) per una nuova rivisitazione musicale della prima strofa; un ammorbidimento (Poco adagio) sulle parole Alle Menschen werden Brder,
/ wo dein sanfter Flgel weilt (Tutti gli uomini saranno fratelli, dove veglia
la tua ala amorosa). Quindi tocca a: stretta finale, in prestissimo e fortissimo,
ultimo intervento dei solisti, reintegro della banda, maestosa chiusura sulla
parola chiave Gtterfunken.
ovvio che, nel finale della Nona sinfonia, il testo ha un ruolo essenziale.
Scritta da Schiller nel 1785 e accorciata nel 1803, figlia di ideali massonici e
libertari, lode Alla gioia affascina subito Beethoven, tanto che gi nel 1793
vuole metterla in musica. Proprio in quellanno Schiller e i suoi drammi sono
banditi dallimpero asburgico perch ritenuti sovversivi e filofrancesi. lo
stesso giovane Beethoven, in piena ascesa presso la nobilt viennese, a scrivere al suo editore (di Bonn) che non il caso di esporre la sua ammirazione
per un poeta gratificato nel 1792 con il titolo di citoyen franais dalla
Convenzione nazionale della Rivoluzione. Conosce il pensiero di Schiller fin
dalladolescenza, a Bonn, quando assiste alle rappresentazioni (1782-83) dei
Masnadieri e di Fiesco nel teatro di cui direttore musicale il suo maestro
Neefe. Inoltre frequenta (dal 1787) il circolo letterario Lesegesellschaft,
sostenitore delle idee schilleriane, oltre che della grande Rivoluzione. Pi
che le parole in s, affascinano Beethoven i valori che lode esprime: fratellanza universale, fede in un Padre celeste, fiducia nella scintilla divina che
porta la gioia. La maturazione dura trentanni e diventa la soluzione al problema di come impostare un lavoro monumentale commissionato nel 1817
dalla Royal Philharmonic Society di Londra, che chiede due nuove sinfonie
e la presenza di Beethoven a Londra nellottobre del 1818 per la prima esecuzione. Lui accetta, negozia il compenso e i rimborsi per il viaggio. Non
riesce per a mantenere limpegno, assorbito com dalle ultime sonate per
pianoforte, dalle Variazioni Diabelli, nonch dalla Missa solemnis. Inizia a
lavorare davvero alla Nona solo sei anni dopo, nella primavera del 1823.
Come sempre, cerca lispirazione nel suo passato e nel mare di appunti messi su carta con scrupolosa diligenza e nel disordine totale. Imposta nellordine i primi tre movimenti, che sono coerenti con il suo passato sinfonico, sia
pure su scala dilatata.
Nel primo movimento il contrasto fra nuclei tematici scandito dalle
ambiguit tonali dellattacco e diventa una monumentale rappresentazione
del caos, specchio della nostra condizione umana. Lo Scherzo amplifica a
dismisura la divaricazione fra le sezioni estreme (affannate) e quelle interne
(cantabili) in una complessa variante a cinque parti (ababa) della tripartizione classica (aba). LAdagio trasferisce ai colori dellorchestra il bianconero
dello concettuale gi nella sua Seconda, che chiude con lode Resurrezione di
Friedrich Klopstock, contemporaneo di Schiller.
Nel frattempo, la Nona conquista il mondo intero e diventa la sinfonia
(forse) pi amata di Beethoven, buona per celebrazioni singole o ricorrenti.
simbolo di fratellanza nella Germania divisa, riunita per i giochi olimpici,
e nellEuropa unita per le feste comandate. In Giappone la portano i prigionieri tedeschi catturati nella Prima guerra mondiale e ora risuona a ogni
capodanno. Diventa musicoterapia al cinema, colonna sonora adatta ad
accompagnare il criminale psicopatico dellArancia meccanica di Stanley
Kubrick.
Ascolti
L. van Beethoven, Symphony No. 9, W. Furtwngler, Bayreuth Festival Orchestra, emi
1999
G. Mahler, Symphony No. 2, L. Bernstein, New York Philharmonic Orchestra, dg 1990
Letture
M. Mila, Lettura della Nona sinfonia, Einaudi, Torino 1977
H. Sachs, The Ninth: Beethoven and The World in 1824, Random House, New York 2010
D. Hildebrandt, Die Neunte: Schiller, Beethoven und die Geschichte eines musikalischen
Welterfolgs, dtv, Mnchen 2009
natura). Conclude un Allegro moderato, impostato su ritmi allungherese, ricordo dei soggiorni schubertiani in campagna, quale istitutore musicale
delle figlie del principe Esterhzy. Echi di marce militari e di danze contadine si alternano a passaggi densi e talvolta drammatici.
In quel magico 1824 viennese, che anche quello della Nona sinfonia di
Beethoven, Schubert trova il suo linguaggio strumentale e lo applica al quartetto per archi, un genere che conosce benissimo, fin da bambino, quando fa
musica da camera in famiglia, nella modesta casa del padre maestro di scuola. Franz suona la viola (o il violino), suo padre il violoncello e i fratelli completano lorganico. Schubert comincia allora a scrivere cose sue, con ovvia
discendenza dai modelli di Haydn e Mozart e magari del giovane Beethoven
(quello dellop. 18, non dellop. 59). Sono una quindicina i quartetti che
completa o abbozza fra 1811 e 1814. Non poco e di sicuro un segnale
preciso dinteresse per un genere che allora sembra avviato al declino. Sono,
infatti, gli anni in cui lo stesso Beethoven tace e i maggiori cultori del genere
sono George Onslow e Louis Spohr.
A un certo punto (estate 1816) anche Schubert smette di scrivere quartetti, lascia in sospeso tante partiture e, forse deluso dai risultati, si dedica ad
altro. Torna al quartetto solo nel dicembre del 1820 con un pezzo quasi rivoluzionario. lAllegro assai in do minore che Otto Erich Deutsch, nel suo
catalogo tematico delle opere di Schubert, classifica come D 703. Rispetto
alle esperienze precedenti una svolta decisiva. I legami con la tradizione
settecentesca sono ormai superati. Anche le pi mature sperimentazioni
beethoveniane dellet centrale (op. 59, 74, 95) non sono pi punti di riferimento obbligati. Larchitettura non ha analogie con antecedenti e contemporanei. Lorganizzazione tripartita esposizione-sviluppo-ripresa della classica
forma sonata in apparenza rispettata, per ne mancano i presupposti,
perch non esiste dialettica. Tutta una serie di motivi fa da corona alla lunga
melodia principale, amplia lambito espressivo, ma non crea contrasti. Dinamica e coerenza interna sono assicurate dalla coordinazione, entro un efficace impianto armonico, di alcune cellule elementari ricorrenti per tutto il lavoro: il cupo tremolo che apre il movimento, le brusche folate ascendenti, il
pulsare di ritmi ostinati anche nei momenti di maggiore distensione lirica.
Ne esce un affresco denso di suggestioni, in cui il pessimismo di Schubert
appare, inconfondibile, al di l delle sordine che qui come altrove sono
poste ai sentimenti pi personali.
Questo Allegro assai avrebbe dovuto essere il primo movimento di un
quartetto di vaste proporzioni. Perch Schubert si sia fermato dopo aver
scritto una quarantina di battute del successivo Adagio, non dato sapere. Forse per le conseguenze di una vita sregolata. O forse la carica innovativa dellAllegro assai ha bisogno di sedimentarsi prima di essere trasfusa
negli altri movimenti. Per altri tre anni Schubert non scrive quartetti. un
momento di difficolt. La lista delle opere iniziate e non completate in
quellarco di tempo comprende la famosa Ottava sinfonia detta Incompiuta.
Il segno che la crisi creativa superata si trova in una lettera scritta allamico
Leopold Kupelwieser il 31 marzo 1824: In fatto di Lieder non ho scritto
gran che di nuovo, ma in compenso mi sono esercitato in numerosi lavori
strumentali: ho scritto due Quartetti... e un Ottetto, e ho in mente di scrivere un altro Quartetto. Voglio cosi prepararmi a comporre una grande Sinfonia.... La sinfonia probabilmente quella in do maggiore ora nota come La
grande e numerata come n. 9 (o n. 10), oppure unaltra (n. 7, o n. 9), forse
mai conclusa e il cui manoscritto comunque perduto. I due quartetti terminati sono lop. 29 n. 1 e La morte e la fanciulla, che dovrebbe essere pubblicata come op. 29 n. 2 e invece esce postuma nel 1831. Quello annunciato
terminato alla fine di giugno del 1826 per ultimare la terna editoriale
classica come op. 29 n. 3. Invece deve attendere il 1856 per essere stampata
come op. 161.
Lop. 161 dunque lultimo quartetto per archi di Schubert, ma non
mai diventata popolare, nonostante il fascino che le viene dalla cronologia.
Molto lungo, il pi lungo quartetto di Schubert, difficile da eseguire e comunque poco vistoso. Spesso procede solo per allusioni e non manca di
trasmettere un qualcosa che gi postromantico, con i brividi dellespressionismo novecentesco. Ci sono tanti tremoli in partitura, talvolta per dare ai
quattro strumenti un respiro orchestrale, talvolta per avvolgere e confondere il canto, per inventare timbri. Loscillazione sistematica fra i modi maggiore e minore rende ancora pi sfuggenti gli equilibri armonici tradizionali.
Larchitettura della forma sonata di volta in volta rivisitata, innovata, accantonata. Il Quartetto in sol maggiore dunque uno dei pi liberi scritti da
Schubert. Il primo movimento, per esempio, si regge su un tema assai conciso, quasi un motto. Gli si oppone una melodia ampia, ripetuta e assaporata pi volte, senza molto badare al rispetto delle simmetrie. Lo sviluppo ha
drammaticit inconsueta in Schubert e procede in modo istintivo. La ripresa
nasce allimprovviso, variata rispetto allesposizione iniziale. Parrebbe un
disegno stravagante; forse lo davvero. Lanalisi fatta con carta e matita lo
conferma. Invece lascolto trasmette altre cose: che ogni battuta nasce
dallaltra per intima necessit; che i segmenti si associano in un disegno
complessivo che ha una sua profonda compattezza. Risultato delleccellente
elaborazione del tema principale, del ruolo unificante (dal punto di vista
timbrico) dei ripetuti tremoli, della fantasia con cui Schubert utilizza lartificio del rapido passaggio da minore a maggiore in funzione di chiaroscuro.
Il violoncello, che nel primo movimento ha tanto spazio espressivo, diventa protagonista nel secondo, Andante un poco moto: espone la melo-
dia, intesse controcanti, e cos determina il timbro caldo di tanta parte del
movimento. Lintenso lirismo introdotto dal violoncello per contrastato
da una sezione drammatica, che torna due volte, secondo il classico schema
ababa. E con la sezione drammatica tornano i tremoli, i salti di registro, le
modulazioni improvvise che sincontrano nello sviluppo del primo movimento. Tanto densa la scrittura dellAndante, cosi leggera quella
dello Scherzo. un continuo scorrere di veloci note ribattute, distribuite
su tutti gli strumenti, in pianissimo, separate da pause o da scarne figure di
raccordo. Il quartetto termina con un vivacissimo Allegro assai: pare una
tarantella, ricorda altre grandi conclusioni schubertiane (il Quartetto in re
minore, la Sonata per pianoforte in do minore D 958), procede con sbalorditiva capacit dinvenzione e di elaborazione, scorre in un baleno, anche se
uno dei pi estesi finali di Schubert. Sembra voler dimenticare il colore
scuro che rende tanto suggestivi i primi due movimenti, che prelude al
denso tessuto dellestremo Quintetto op. 163 con due violoncelli, e che apre
le porte al suono cameristico di Schumann e di Brahms. Il finale invece
(assieme allo Scherzo) porta verso altre direzioni, verso lo stile lieve e
postclassico di Mendelssohn. Il timbro si rischiara, ma il quartetto perde
quellunit di suono e di concezione che resta la vera forza del ben pi famoso e popolare Quartetto in re minore La morte e la fanciulla che lo precede di due anni.
Nei due anni che gli restano da vivere, Schubert non compone altri quartetti. Sa che Beethoven ha ricominciato a scriverne (nellestate del 1826 finisce lop. 131 e inizia la 135) e forse sente Schuppanzigh eseguire le op. 127 e
130 da poco terminate. Probabile che, prima di riprendere a trattare il gran
genere, Schubert decida di aspettare e di studiare bene le novit introdotte
dal suo maestro virtuale. Per capire se e come continuare, consapevole com
di essersi staccato proprio dai modelli beethoveniani nei suoi ultimi tre lavori. Mentre non pu sapere che le future generazioni ottocentesche di tedeschi e francesi si appoggeranno proprio al suo esempio per creare il quartetto per archi del secondo e del tardo Romanticismo. E neppure che lamericano George Crumb citer proprio La morte e la fanciulla, assieme al gregoriano Dies irae e allinfernale tritono, nella trenodia alla tragedia del Vietnam
che Black Angels (1970) per quartetto amplificato con i quattro esecutori
impegnati anche con vari strumenti a percussione.
Ascolti
F. Schubert, Death and the Maiden, Takcs Quartet, Hyperion 2006
F. Schubert, Complete String Quartets, Auryn Quartett, cpo 1999
F. Schubert, Rosamunde, C. Abbado, Chamber Orchestra of Europe, dg 1991
Letture
S. Sablich, Laltro Schubert, edt, Torino 2002
B. Newbould (a cura di), Schubert Studies, Ashgate, Aldershot 1998
ti dissonanti, il tema della viola subito ripreso in polifonia, come nei quartetti futuri. Dopo un nervoso Allegro assai vivace, un Larghetto espressivo
di otto battute introduce lAllegro agitato conclusivo, pagina fra le pi
straordinarie di Beethoven per quartetto darchi. Lappassionata melodia
trova sulla sua corsa brividi improvvisi e fremiti misteriosi che ne intaccano
le certezze positive e il contagioso entusiasmo. Poi, quasi per non essere
preso troppo sul serio, Beethoven aggiunge un folgorante Allegro, brusco,
inaspettato.
Col senno di poi si scopre che: la conclusione del primo movimento
dellop. 95 apre le porte agli aforismi del Quartetto op. 131; che il fugato del
secondo movimento una prova generale dellattacco dellop. 133; che
lAllegro agitato richiama lAlla marcia dellop. 132; e infine che lo
straordinario finale la filigrana del meraviglioso Allegro appassionato
che conclude ancora lop. 132. Lo stesso Beethoven non riesce subito a capire la portata delle sue intuizioni nellop. 95, a met 1810. Forse sconvolto
dagli orizzonti espressivi che gli si spalancano quasi allimprovviso, si ritrae.
Aspetta quattro anni prima di far eseguire e di pubblicare lop. 95. La prima
esecuzione ha luogo solo nel maggio del 1814 a cura del quartetto Schuppanzigh. La stampa del 1816. Il sottotitolo Serioso attribuito al quartetto
op. 95 direttamente da Beethoven.
Passano ben dodici anni. Nel 1822, il principe russo e dilettante violoncellista Nikolaj Borisovi Galitzin da Pietroburgo gli chiede un, deux ou
trois nouveaux quatuors. Ma limpegno con la Nona sinfonia e con la
Missa solemnis lo assorbe troppo e il progetto di un quartetto non progredisce. Viene ripreso nel maggio 1824 e portato a termine nel febbraio 1825,
quando a buon punto la composizione il Quartetto op. 132, a sua volta
completato in luglio. Inizia cos la grandiosa ultima stagione del quartetto
di Beethoven. Primo della serie, il Quartetto op. 127 quello che pi di ogni
altro mantiene legami espliciti con i precedenti. Resta larticolazione in
quattro movimenti e larchitettura generale non ancora stravolta. Il finale
recupera, con le dovute innovazioni, la violenza dei contrasti caratteristica
dei finali dei quartetti Rasumovskji op. 59 e delleroica seconda maniera
in generale. C perfino una correlazione tematica con lop. 59: un tema
russo appare come fugace citazione nel finale, omaggio unico, e non si sa
fino a che punto volontario, al committente principe Galitzin. Legami stilistici ancora pi chiari si hanno col quartetto precedente, lop. 95: la vocazione al contrappunto, le affinit tematiche fra i due scherzi, il tono generale che assieme lirico e brusco. Il lirismo del Quartetto op. 127 nuovo,
perch nasce dallesigenza di unire il principio della sonata con quello
della polifonia. Attorno alla cantabilit del tema si svolgono le stupefacenti
variazioni dellAdagio ma non troppo e molto cantabile. Dopo la canta-
mostrare che esiste ancora un legame con il passato. Per questo il meno
popolare della serie, comunque il pi misterioso, il pi lungo, il pi compatto e, nello stesso tempo, il pi articolato. Ha sette movimenti distinti e
numerati. Il primo parte come densa fuga neoarcaica, assorbe altre tecniche
(il canone, il contrappunto libero), sviluppa relazioni armoniche latenti,
introduce poli dialettici di origine sonatistica. Il secondo tempo una specie di sonata senza sezione di sviluppo. Non ha tensioni drammatiche o
sussulti ritmici. C solo intreccio, fluido per, senza nodi. Viene quindi un
Allegro, minimo e in forma ancora pi libera. Si distinguono due parti,
che ricordano Johann Sebastian Bach: un veloce accenno di toccata e un
breve preludio. LAndante che segue il momento centrale e pi lungo.
Lop. 131 non per un tutto omogeneo. La tecnica delle variazioni consente di rispettare la temporanea insofferenza per le architetture dilatate.
Cos lAndante risulta diviso in almeno otto segmenti ulteriori. Il tema
una di quelle trasfigurazioni di danza paesana che spesso sincontrano
nellultimo Beethoven. Le variazioni sono sei. Nessuna altera limpianto
armonico del tema, ma ciascuna ne stravolge i connotati melodici. Lapproccio sempre diverso; ricorda quello delle pianistiche Variazioni su un
tema di Diabelli, ma non altrettanto radicale. La generale vocazione alla
polifonia della terza variazione diventa elaborazione canonica della fuga
che apre il Quartetto. La melodia che nasce sulle note ripetute, punteggiata
dal cupo inciso del violoncello, un capolavoro di scrittura per archi. Il
tema ricompare timidamente in una vaporosa cornice di trilli, come gi era
successo nelle Sonate per pianoforte op. 109 e 111. Il quinto movimento
dellop. 131 un Presto, quasi sinfonico, vivacissimo, con doppio trio
centrale e numerose riprese e varianti dellinciso principale. Gli si pu paragonare solo lo Scherzo della Nona sinfonia, che per assai meno lieve.
Il breve Adagio quasi un poco andante (sesto movimento) allinea con
sovrano equilibrio cellule regolari di quattro battute e trova le intensit
emotive della Cavatina dellop. 130, ma meno teatrali. Eppure anche
questo meraviglioso Adagio, nella monumentale struttura dellop. 131,
finisce col figurare da semplice elemento di raccordo in preparazione del
finale, che la degna conclusione di tanto capolavoro. Dopo i numerosi
recuperi (arcaici, polifonici, classici), Beethoven sembra qui ritrovare se
stesso, quello delleroica seconda maniera in unestrema ansia di sintesi
dinfiniti contrasti. I movimenti sono tanti e ciascuno ha carattere proprio.
Il Quartetto op. 131 il pi frammentato e libero dellintera serie. Ma c di
pi. Scompare linterruzione fra un movimento e laltro, la vocazione al
contrappunto segna il Quartetto dallinizio alla fine, le modulazioni rispettano una logica globale e non di singolo movimento, i ritmi mantengono
ovunque unimprevedibile omogeneit, la dinamica e il timbro restano en-
tro una fascia delimitata. Sono i segni della volont di assorbire i tanti
frammenti in unarchitettura unitaria. Non conosciamo i pilastri di
quellarchitettura segreta. Forse neanche Beethoven li ha in mente, proprio
come capita a un artista che intuisce (e realizza) un modo nuovo di organizzare le sue creazioni.
Dopo le tante intemperanze dei quartetti precedenti, lop. 135 sembra
mostrare i tradizionali quattro movimenti e le antiche simmetrie. La sostanza
ben altro. Nel primo movimento la libert delle soluzioni adottate, il ricorso
al contrappunto e la mancanza di contrasto segnalano che il principio di sonata ha ormai subito una frantumazione irreversibile. Il secondo movimento
uno Scherzo fantastico, con strane asimmetrie di ritmo, improvvisi salti
del primo violino, cavernosi interventi del violoncello, accompagnamenti
ostinati, conclusione brusca e imprevedibile. Segue uno dei pi intimi adagi
di Beethoven: a bassa voce, il primo violino canta una sola melodia, interrotta
da una misteriosa sezione centrale, ripresa con lievi variazioni fino alla poetica conclusione. Il finale porta la dicitura La grave decisione ed preceduto
da una frase a domanda e risposta: Deve essere? Deve proprio essere? Ebbene sia!. Domanda e risposta sono tradotte in musica in modo singolare. Il
movimento inizia con un Grave pensoso e incerto, su una cellula di tre
note. la domanda che si ripete pi volte con ansia crescente. Spariti i dubbi,
giunge la risposta: la cellula della domanda, rovesciata, da interrogativa diventa affermativa, perentoria. A questo punto arriva lAllegro, che si snoda
con serenit e sicurezza fino al pianissimo conclusivo, non senza che la struggente domanda iniziale ricompaia.
Resta ai contemporanei il dubbio sullopportunit stessa di scrivere ancora quartetti. Beethoven sa di essere isolato. Tolti i giovani Schubert a
Vienna e Donizetti a Milano, e il vecchio Cherubini a Parigi, nessun altro
grande scrive quartetti per archi. cambiato il mercato. Le difficolt della
scrittura, anche in Haydn e Mozart, scoraggiano i dilettanti. Nessuno di
loro conosce e capisce lo stile di questultimo Beethoven. Gli esecutori professionali trovano ancora poco pubblico pagante e lo stesso quartetto
Schuppanzigh scansa lop. 131 (eseguita solo postuma dal rivale quartetto
Schmidt). I nuovi autori devono tener conto della crescente diffusione del
pianoforte e della sua voglia di musica dintrattenimento. Ci prova il ventenne Mendelssohn. Il suo Quartetto op. 13 (1827) capisce lop. 132 ma non
insiste. Bisogna aspettare un incerto Schumann e un pi determinato
Brahms per veder rifiorire il genere tutto. Ma i semi sparsi dallultima serie
di Beethoven daranno frutti soltanto nel Novecento di Schnberg, Bartk,
ostakovi.
Ascolti
L. van Beethoven, Late String Quartets, Busch Quartet (1932-41), emi 2008
L. van Beethoven, Beethoven: The Late String Quartets, Alban Berg Quartet, emi 2005
L. Cherubini, The String Quartets Nos. 1-6, Melos Quartet, Brilliant 2009
Letture
D.K.L. Chua, The Galitzin Quartets of Beethoven: Opp. 127, 132, 130, Princeton University Press, Princeton 1995
H. Loos (a cura di), Beethoven und die Nachwelt, Beethoven-Haus, Bonn 1986
R. Winter, R.L. Martin (a cura di), The Beethoven Quartet Companion, University of
California Press, Berkeley 1994
Mozart, con il tema con variazioni della Seconda che spicca per condotta
melodica e colore strumentale. Nella Terza (1815) cresce linflusso di Mozart, in particolare dellamatissima K 550 (di cui Schubert copia per studio
lintero Minuetto). Le due successive accennano a Beethoven, con una
curiosa inversione di numerazione: lo stesso Schubert definisce Tragica la sua
Quarta e prova a ritrovare la forza della Quinta di Beethoven; nella propria
Quinta cerca invece la serenit della Quarta del maestro, pur restando sempre ancorato a Mozart e Haydn. Non deve essere molto soddisfatto del risultato, tanto che nel 1817 scrive allamico Joseph von Spaun, allora direttore
dellorchestra di amatori nella quale Schubert suona regolarmente la viola
fra 1817 e 1821: Chi pu scrivere qualcosa dopo Beethoven?. Infatti, per
la sua Sesta sinfonia (1817, anchessa in do maggiore e dunque detta La piccola per distinguerla dalla Grande) attinge a piene mani allo stile operistico
di Rossini, che proprio in quellanno conquista Vienna e che uno Schubert
estasiato dalla sinfonia del Barbiere di Siviglia imita nelle sue due Ouverture
nello stile italiano (1817). La Sesta lunica delle sue sinfonie che Schubert
riesce a far eseguire in pubblico, e solo nel 1828, lanno estremo.
Resta il problema Beethoven. Sembra sia la dialettica delle pur amate
Eroica, Quinta e Settima a turbare il giovane Schubert e a suggerirgli una
lunga pausa di riflessione. Almeno tre abbozzi di nuove sinfonie si registrano
fra 1817 e 1822, ma nessuno trova una conclusione, sia pure parziale. Schubert cerca vie alternative, lontane dagli scontri frontali. I due movimenti
dellIncompiuta aprono una strada nuova. Il primo costruito attorno al
cupo passaggio di violoncelli e contrabbassi, con cui la sinfonia inizia. Sono
otto battute che tornano nei momenti critici: dividono il primo tema (delloboe) dal secondo (affidato ai violini), dominano da sole lintera sezione
centrale, quella di norma riservata allo sviluppo dei temi esposti in precedenza, sincaricano di preparare la coda e la conclusione. il filo dArianna che
permette lorientamento alle altre mirabili melodie sciolte nei mille rivoli di
varianti timbriche cui le sottopone la furia dissociante di Schubert. Nel secondo movimento il processo si ripete e si esalta. Rallenta il passo, non la
dinamica. Le due pagine di partitura e gli schizzi per lo Scherzo non chiariscono i motivi che portano Schubert a non completare la Sinfonia in si
minore. Forse non si sente ancora pronto per tracciare un percorso alternativo a quella di Beethoven, del quale scrive gi nel 1816 di non apprezzare le
bizzarrie. E non lo convincono le scelte, pure a-beethoveniane e postmozartiane, compiute nelle due sinfonie scritte velocemente nellinverno
1806-07 dal pur stimato Carl Maria von Weber.
Forse lascolto della Nona di Beethoven, il 7 maggio 1824, che induce
Schubert a sviluppare il suo nuovo concetto di sinfonia. Non per imitare, ma
per cambiare. Non gli interessa lintervento delle voci nella Nona, si tiene
lontano dalle tensioni del suo primo tempo e dalle irruenze dello Scherzo,
ma resta affascinato dallesteso lirismo dellAdagio, di cui coglie il riferimento circolare dei temi precedenti allInno alla gioia. Forse il canto dei
corni, allinizio (e alla fine) della Sinfonia in do maggiore La grande una
costola dellinno beethoveniano. Di sicuro, e non meno della Nona, lultima
sinfonia di Schubert influisce in modo importante sulla musica dellOttocento e oltre. Per con un ritardo di almeno un decennio. Proposta nel 1829
allorchestra della Gesellschaft der Musikfreunde di Vienna, viene respinta
perch considerata ineseguibile. Dieci anni dopo, Schumann la ritrova, sepolta fra le carte conservate dal fratello Ferdinand Schubert e ne scrive una
recensione entusiastica sulla sua rivista musicale. Mendelssohn che dirige
la prima esecuzione assoluta, il 21 marzo 1839 al Gewandhaus di Lipsia.
Lesito folgorante e duraturo, almeno nel cuore della Germania. Eseguita
almeno altre 13 volte a Lipsia, Potsdam, Zwickau, Berlino e Dresda nei successivi sette anni, La grande influenza direttamente la scrittura dei suoi scopritori, la Primavera (1841) e la Renana (1850) di Schumann, la Scozzese
(1842) di Mendelssohn.
La grande impiega pi tempo a diffondersi nel resto dEuropa. Nel 1839
a Vienna non si va oltre i primi due movimenti. Mendelssohn prova a eseguirla a Londra nel 1842, ma lorchestra non accetta di suonare il finale. Nel 1844
a Parigi soltanto provata e poi rifiutata dallorchestra diretta da Habeneck.
Solo nel 1881 viene coronata a Londra la prima esecuzione integrale delle
sinfonie (compresa lIncompiuta). Non ha per eredi diretti. In Francia raccolgono il testimone loperista Charles Gounod e un giovanissimo Georges
Bizet, con la sua magistrale sinfonia desordio (1855). La Gran Bretagna
conosce uno dei suoi periodi musicalmente pi sterili e forse bisogna andare
nella Svezia di Franz Berwald e nella Danimarca di Niels Gade per trovare
sinfonie interessanti. Le ultime due sinfonie di Schubert tardano ad arrivare
anche a Vienna, dove tuttavia lIncompiuta eseguita per la prima volta il 17
dicembre 1865, oltre quarantanni dopo la composizione. Allimprovviso il
terreno ridiventa fertilissimo: permette a Brahms di uscire dallombra di
Beethoven, esalta Bruckner, legittima la voglia di semplicit monumentale di
Mahler. Grazie a Schubert, riscoperto con colpevole ritardo, la sinfonia classica vive una nuova primavera proprio nella sua culla dorigine, appunto
Vienna.
Ascolti
F. Schubert, Symphonies Nos. 8 & 9, G. Wand, Berliner Philharmoniker, rca 1995
F. Schubert, Schubert: The Symphonies, C. Abbado, Chamber Orchestra of Europe, dg
2010
G. Bizet, Symphony in C/LArlesienne Suites 1 & 2, N. Marriner, Academy of St. Martin
in the Fields, emi 2000
Letture
M. J.E. Brown, Schubert Symphonies, bbc Books, London 1970
B. Newbold, Schubert and the Symphony: A New Perspective, Toccata Press, London 1992
tro archi aggiunge altrettanti strumenti a fiato e pone la prima pietra della
moderna orchestra da camera. Nello stesso tempo la disponibilit di nuovi
strumenti favorisce la voglia di autori e di editori dinserire timbri nuovi in
una musica da camera destinata sempre meno allesecuzione dilettantesca
fra le mura domestiche e sempre pi al professionismo nelle sale da concerto.
Nel caso degli strumenti a fiato, gi nel Settecento lo sviluppo della tecnica costruttiva ne consente il sistematico impiego accanto agli archi in orchestra e induce la voglia di provare colori nuovi pure nella scala minore
della musica da camera. Nascono le prime formazioni per soli fiati, spesso
costituite da valenti esecutori di scuola boema emigrati nelle maggiori capitali europee. Si formano le bande in citt e paesi che non hanno orchestre e
teatri, magari suonando soltanto in spazi aperti sulla pubblica piazza. Hanno successo le trascrizioni di opere alla moda e gli autori pi importanti
scrivono cose originali per soli fiati. In una cassazione (una variante di serenata e di divertimento) giovanile di Haydn, il severo Brahms trova il tema
per le sue famose variazioni per orchestra. Mozart scrive capolavori assoluti come la Serenata Posthorn K 320 e la Serenata K 388. Beethoven simpegna in un Ottetto del 1792, che ha quasi ambizioni sinfoniche. Con i suoi
sette movimenti, la durata che sfiora lora, lOttetto di Schubert subito diventa popolarissimo. Le parti di tutti gli strumenti sono belle e non difficili,
tanto da gratificare sia professionisti sia dilettanti (bravi). Il ridotto numero
di esecutori non pone insuperabili problemi organizzativi e ascoltare una
sinfonia in casa diventa possibile. Per complessi simili scrivono i contemporanei Louis Spohr (Nonetto, 1813) e Anton Reicha (Grande symphonie de
Salon, 1827).
Nei primi decenni dellOttocento migliorano estensione e precisione in
molti strumenti a fiato. Verso il 1832, lintroduzione dei pistoni apre nuovi
orizzonti agli ottoni, in particolare al corno, gradito per il suo timbro caldo
e avvolgente anche nei piccoli complessi. Fra 1832 e 1847 il tedesco Theobald Boehm introduce un modello di flauto traverso tuttora in uso. Con
tecnologie ispirate da Boehm, nel 1839 il francese Hyacinthe Klos perfeziona il clarinetto. Progressiva e lineare per tutto il secolo anche levoluzione
di oboe e fagotto. Il repertorio per bande di strumenti a fiato continua ad
arricchirsi: serenate di ajkovskij e Dvok, Settimino di Saint-Sans, Piccola sinfonia per strumenti a fiato di Gounod, Suite e Serenata op. 7 di Richard
Strauss, Settimino di Rimskij-Korsakov. Non si ferma nel Novecento, anche
grazie al curioso Nonetto di Bohuslav Martin e al Septuor (1953) di Igor
Stravinskij. Lintegrazione dei fiati nelle forme cameristiche degli archi ha i
suoi momenti magici con il clarinetto a fare da quinto elemento: inizia con il
Quintetto K 581 (1789) di Mozart, cresce con lop. 34 (1815) di Weber e
culmina con lop. 115 (1892) di Brahms.
maggior rilievo negli anni quaranta, cio nel periodo di transizione fra primo
e secondo Romanticismo, si legge bene proprio in questa musica da camera.
Il secondo trio di Schumann (op. 80, 1849) il punto di sintesi e coincide con
linizio dellesperienza di Brahms. Ma Brahms richiede un discorso a parte:
con quel suo essere un ibrido fra concerto pubblico di professionisti e pratica domestica di ammirevoli dilettanti, con quella voglia di orchestra sempre
ben presente, coinvolge tutta la musica da camera del secondo Ottocento.
Ascolti
F. Schubert, Streichquintett, M. Rostropovich, Emerson String Quartet, dg 1992
F. Schubert, Trout Quintet/Wanderer Fantasy, S. Richter, Borodin Quartet, emi 2010
L. van Beethoven, Piano Trios, Beaux Arts Trio, Philips 2001
Letture
C.H. Gibbs (a cura di), The Cambridge Companion to Schubert, Cambridge University
Press, Cambridge 1997
R. Erickson (a cura di), Schuberts Vienna, Yale University Press, New Haven 1997
Serie VII.
Seconda et romantica
Viandante nel gelo Disperato e romantico Mller Ironia dintellettuale Finta poesia popolare Il primo ciclo
di Lieder Die schne Mllerin come parodia della
Molinara di Paisiello Schubert, liederista adolescente
Scelte poetiche Il rapporto col testo Il prevalere del
pianoforte Schumann, Brahms, Wolf, Mahler Lied nel
Novecento
Nella sua ultima stazione, Die Winterreise (Il viaggio in inverno) mostra un
viandante disperato che invidia un ambulante accovacciato nel gelo di una
notte precoce. Molto pi delle parole, la musica che esprime quellossimoro di angoscia e consolazione che propone lestremo e pi intenso ciclo di
Lieder di Franz Schubert. La sonorit vitrea, la melodia assente, larmonia
vuota. La voce si limita a parlare. Il pianoforte diventa una ghironda da
mendicante di strada: mano sinistra ferma su un basso fisso, di bordone;
mano destra che replica uno stanco motivo da organetto. Fissit ripetitiva,
nella quale il viandante svanisce, continua il suo viaggio nella notte, in fuga
dallamore traditore, dalla vita amara, soprattutto dal buio dentro di s. Non
c fine al suo eterno vagare, da triste Aroldo byroniano, da wagneriano
olandese volante, da vero disperato romantico.
Der Leiermann lultimo della seconda serie di Lieder del ciclo Die
Winterreise, quella in cui pi forte si sente langosciata afasia del viandante
giunto nel mezzo del nulla, solo con i suoi fantasmi. Il viandante vede ovunque presagi funesti: la posta che non arriva (Lied n. 13), i capelli che la
brina incanutisce (14), una cornacchia diventata amica (15), la speranza
come dautunno sugli alberi le foglie (16), latrati di cani e rumore di catene
in un paese ostile (17), un mattino tempestoso (18), una luce ingannevole
(19), il cartello che manda a un vicolo senza ritorno (20), un cimitero che
rifiuta lestremo riposo perch inospitale come una locanda con tutto esaurito (21), una velleitaria professione di coraggio (22), gli occhi dellamata
che tramontano col sole (23), il mendicante e la sua ghironda, metafora
della Morte con la sua falce.
lo stesso Schubert che stabilisce la sequenza di queste immagini, trovando e riordinando nuovi versi scoperti nel secondo volume della raccolta
Poesie dalle carte lasciate da un cornista errante di Wilhelm Mller, pubblicata nel 1824 con dedica a Carl Maria von Weber. Schubert ha da poco termi-
nato di mettere in musica la prima serie di dodici poemi del ciclo, anticipata
su un almanacco di poesia del 1823 con il titolo Wanderlieder von Wilhelm
Mller. Die Winterreise (Canti di viaggio di Wilhelm Mller. Il viaggio dinverno). In questa prima serie c un minimo di sensazione di movimento,
anche se le immagini non sono diverse. Il saluto alla notte (1) d inizio a un
cammino orientato da una banderuola (2) nel vento che gela le lacrime (3) e
nella neve che nasconde i fiori (4). Un tiglio ricorda i giochi dellinfanzia
lontana (5), mentre linverno trasforma le lacrime in neve (6) e il gelo ferma
il canto del ruscello (7). Incombono memorie di un passato felice (8) accanto a fuochi fatui cimiteriali (9), illusione di riposo (10), sogno di colori primaverili (11), solitudine infinita (12).
La sola lettura del testo, senza la musica, rivela un fondo dironia. Mller
un intellettuale completo, laureato a Berlino, frequentatore dei circoli nazionalisti tedeschi, gran conoscitore dellItalia, traduttore dallinglese di
Christopher Marlowe, professore di greco e di latino. Nella sua breve vita,
trova anche il tempo di scrivere poesie, che calcano talmente il tono cimiteriale e protoromantico del mitico Ossian da apparire una sottile parodia. A
loro volta, lessico e prosodia di Mller mostrano adesione convinta a quella
voglia di costruire una (finta) poesia popolare tedesca che accomuna gli
amici Achim von Arnim, Clemens Brentano, Ludwig Tieck. Schubert ha un
approccio diverso. Non conosce Mller di persona, per considera i temi
della sua poesia adatti a supportare la propria fantasia musicale. Gli piacciono i legami sintattici e fonetici, prima ancora che narrativi, con cui Mller
riesce a collegare fra loro le singole poesiole e ricavarne un ciclo unitario. Ne
affascinato gi nel 1823, quando scopre sulla scrivania di un amico il primo
volume di Poesie di Mller e si mette subito a scrivere la musica per il suo
primo ciclo di Lieder, che intitola Die schne Mllerin (La bella molinara).
Anche questo ciclo poetico ha una storia curiosa. Nasce come parodia
per uso domestico dellopera La molinara di Giovanni Paisiello, che esordisce a Napoli nel 1788 e subito dopo spopola nei teatri tedeschi con il titolo
Die schne Mllerin. Nel 1816 un gruppo di intellettuali nazionalisti e buontemponi berlinesi compone un Liederspiel, variante del Singspiel. Ciascuno contribuisce come sa. Mller sincarica della parte poetica, rifacendosi a
una (finta) poesia popolare, secondo canoni gi collaudati da Goethe quando scrive di viandanti e mulini (1799) e Arnim e Brentano nella raccolta Des
Knaben Wunderhorn da poco pubblicata (1805-08). Rivisti e integrati, nel
1821 i versi di Mller finiscono nel volume che attira lattenzione di Schubert
e diventano le parole per i capolavori musicali che conosciamo.
Die schne Mllerin di Schubert non il primo ciclo di Lieder in assoluto. La priorit spetta alla raccolta An die ferne Geliebte (Allamata lontana)
op. 98 di Beethoven, su testi del medico e poeta dilettante Alois Jeitteles,
mare, il cinguettio degli uccelli, il soffio del vento, il picchiettare della pioggia. Col passare degli anni e laccumulo dei titoli, Schubert trova proprio nel
pianoforte le risorse per esaltare le ambiguit dei sentimenti e sottrarsi alla
banalit delle parole. Cresce lindifferenza per la qualit intrinseca del testo.
Non si spiega altrimenti laccostamento di una settantina di verseggiatori
manifestamente inadeguati alla quindicina di poeti davvero grandi, e da lui
stesso ben riconosciuti. Sono la melodia del canto e il timbro del pianoforte
che danno immortalit alle parole di Schober in An die Musik, di Craigher
in Die junge Nonne, di Mayrhofer in Sehnsucht, di Schmidt von Lbeck in
Der Wanderer, di Claudius in Der Tod und das Mdchen. Per non dire dei
tanti casi in cui anche le intuizioni del sublime Goethe sono illuminate ed
espanse: i tre Gesnge des Harfners, per esempio; lo stesso Erlknig che
prende vita (anzi morte) pi dalle scariche ribattute della mano destra e dagli
scarti della sinistra che dallineffabile voce che segue i versi notarili; o il monumentale Gesang der Geister ber den Wassern per quattro tenori, quattro
bassi, due parti di viole e violoncelli pi contrabbasso. Anche le auliche parole di Friedrich Schiller in Gruppe aus dem Tartarus trovano peso vero nelle
interiezioni pianistiche che Schubert sa inventare attorno alla voce che si limita a declamare.
Schubert non Verdi e non osa obbligare il poeta amico a scrivere il testo
in funzione della musica. Umile e schivo, preferisce lavorare con la propria
fantasia, tiene fisse le parole e usa la musica per dar loro emozioni e significati, lima le melodie, accentua i ritmi, rivoluziona larmonia. Il Gesang der
Geister ber den Wassern, dalliniziale voce e pianoforte del 1816, per addizioni successive, arriva al folto organico definitivo nel 1821. Il celeberrimo,
e cos spontaneo, Die Forelle presenta non meno di cinque versioni differenti (1816-21). Il primato spetta alle sei versioni di Geistes Grss, in cui
poche o tante note diverse di Schubert animano le medesime parole di Goethe. Solo nellestremo 1828 Schubert si permette di intervenire sul testo,
con un collage di versi di Mller e di Helmina von Chzy a costruire la storia
(sempre triste) di un pastore su una roccia che soffia nella sua zampogna (in
realt un clarinetto) il dolore per il perduto amore. Per la prima volta si applica il principio della musica che d forma alla poesia, che si rende indipendente dalle parole. Si realizza quello stimolo verso lassoluto che appartiene
solo alla musica, secondo la visione dei suoi teorici e filosofi romantici
Wilhelm Heinrich Wackenroder ed E.T.A. Hoffmann.
La svolta che porta Schubert ad allontanare sempre pi la parola dalla
musica si ha nel 1823, con la scoperta del ciclo poetico Die schne Mllerin,
una storia di emozioni che va oltre i singoli versi e le singole strofe. Racconta
di un giovane garzone che giunge festoso al mulino, sinnamora della bella
mugnaia, si dispera perch il cacciatore gliela porta via, finisce suicida but-
tandosi nella roggia. La musica che avvolge i 20 numeri individua un percorso che tocca le grandi emozioni della vita con passaggi ben scanditi: entusiasmo (1-3), amore (4-13), gelosia e tormento (14-17), morte (18-20). Prima
sullo sfondo, poi sempre pi interlocutore privilegiato, il ruscello (cio il
pianoforte) diventa vero protagonista quando accoglie il garzone triste per
lamore che la vita gli ha negato. Come il primo numero esalta la gioia del
girovagare (Das Wandern) cos lultimo (Des Baches Wiegenlied) sussurra un
canto funebre che in verit una ninna nanna, nel segno di uno schubertiano
eterno ritorno.
Completati nellautunno del 1823 e subito pubblicati in cinque fascicoli
distinti, i 20 Lieder di Die schne Mllerin hanno un successo tale da consentire a Schubert di ripianare tutti i suoi debiti e di festeggiare con gli amici. La
stampa frammentata favorisce lapprezzamento dei singoli ma non dellintera collana. Infatti, la prima esecuzione pubblica completa si ha solo nel 1853.
Schubert resta affascinato dal concetto di ciclo, rallenta la composizione di
Lieder singoli, cerca nuovi stimoli, che ritrova solo con Mller, nei momenti
distinti che generano le due parti di Die Winterreise. Subito dopo, nellestremo 1828, stringe un rapporto magico con Ludwig Rellstab e Heinrich Heine,
poeti coetanei e dunque giovanissimi. Imposta due nuovi cicli, assai pi
leggeri nel tema letterario e forse pi pesanti su quello musicale. Non riesce
a terminarli e sono pubblicati postumi, sotto il titolo comune e fuorviante
Schwanengesang (Canto del cigno), apposto dalleditore, ma che contiene
melodie indimenticabili: Stndchen, Der Atlas, Die Stadt ecc.
Il testimone passa a Schumann, ma solo in parte. Resta il principio del
ciclo nei capolavori assoluti Liederkreis e Dichterliebe (1840), su testi di un
Heine ormai affermato accanto a Frauenliebe und Frauenleben di Adelbert
von Chamisso. Per torna il dominio della parola con la musica (sempre
bellissima) che fa un rispettoso passo indietro, anche se (spesso) sintesi/
epilogo del testo cantato. Il giovane Brahms allievo perfetto nel ciclo Die
schne Magelone (iniziato nel 1861, finito nel 1869) scritto sulle parole neomediovevali di Ludwig Tieck, per si fa incantare dalla poesia popolare
davvero falsa di Anton Wilhelm von Zuccalmaglio. Lo salva la propria sostanza musicale che ancora una volta ottiene successo grazie alla semplicit,
allattenzione per i dettagli e al retaggio della tradizione. Johann Carl
Gottfried Loewe si fa conoscere per le 368 ballate che scrive per la sua bella
voce di baritono. Cercano innovazioni armoniche Liszt e Wagner. Sia pure
in lingua russa, come conferma il titolo stesso, i Canti e danze della morte
(1874) di Musorgskij riprendono il senso profondo dellultimo Schubert.
Sono solo quattro pezzi, intensissimi, sconvolgenti: una Ninna nanna per un
bambino che muore, la Serenata della Morte che aspetta una donna alla finestra, la danza (Trepak) di un ubriaco assiderato, il Feldmaresciallo che barcol-
Ascolti
F. Schubert,Winterreise, T. Quasthoff, C. Spencer, Sony 1998
F. Schubert, Lieder, D. Fischer-Dieskau, G. Moore, dg 2010
R. Schumann, Lieder, D. Fischer-Dieskau, C. Eschenbach, dg 2008
Letture
D. Fischer-Dieskau, Auf den Spuren der Schubert-Lieder. Werden-Wesen-Wirkung, dtv,
Mnchen 1976
S. Youens, Schubert, Mller, and Die schne Mllerin, Cambridge University Press, Cambridge 1997
J. Reed, The Schubert Song Companion, Manchester University Press, New York 1997
Gioachino Rossini
Tentativo di rinnovamento Natura, politica, amore
Rifacimenti per Parigi di opere napoletane Rossini serio
Tancredi Limpresario Barbaja Otello e il quinquennio a Napoli Vienna Semiramide per Venezia
Le Comte Ory per Parigi Grand-opra Auber,
Meyerbeer, Halvy Donizetti e Verdi Wagner
Ascolti
G. Rossini, Guglielmo Tell (William Tell), R. Chailly, National Philharmonic Orchestra,
Decca 1990
G. Rossini, Il viaggio a Reims, C. Abbado, Chamber Orchestra of Europe, dg 1985
Letture
A. Gerard, The Urbanization of Opera: Music Theatre in Paris in the Nineteenth Century,
University of Chicago Press, Chicago 1998
P. Gossett, Dive e maestri. Lopera italiana messa in scena, il Saggiatore, Milano 2009
D. Charlton, The Cambridge Companion to Grand Opera, Cambridge University Press,
Cambridge 2003
nel 1863 e completa nel 1890. Per il teatro di Berlioz e soprattutto la sua
narrativa orchestrale, il concetto di ide fixe avranno con Richard Wagner
uno sviluppo straordinario, con il nuovo nome di Leitmotiv.
Entra nellimmaginario romantico anche il tipo di donna che regge i destini del giovane artista Berlioz, secondo la prospettiva delluomo (maschilista) che non riesce a trovare con lei un rapporto equilibrato, che non si limiti al binomio angelo/strega. appena il caso di ricordare che la femme fatale
dellarte ha una sua corrispondenza reale in Harriet Smithson, attrice irlandese specializzata in ruoli shakespeariani, di cui Berlioz sinnamora follemente non a caso nel 1828, lanno dinizio della composizione della Fantastique. Se sinnamora della persona o, col suo tramite, dei personaggi che porta
in scena, non dato sapere. Di sicuro una relazione piena di tradimenti
reciproci e di turbolenze che non si placano dopo il matrimonio avvenuto nel
1833, ma (forse) soltanto con la scomparsa di lei nel 1854.
Ascolti
H. Berlioz, Symphonie Fantastique, C. Munch, Boston Symphony Orchestra (1954), rca
2006
H. Berlioz, Berlioz Edition, C. Davis, London Symphony Orchestra, Philips 2003
Letture
O. Visentini, Berlioz e il suo tempo, Libreria Musicale Italiana, Lucca 2010
D. Cairns, Berlioz, Penguin Books, London 1999
H. Berlioz, Mmoires, Flammarion, Paris 1991
H. Barraud, Berlioz, Rusconi, Milano 1981
1831Norma
Vincenzo Bellini
Casta diva Cavatina Cabaletta La vestale Medea La sonnambula Il giovane Bellini I puritani Donizetti Lucia di Lammermoor Elisir damore Don Pasquale Grand-opra italiano
lo precede. Si cristallizza cos uno dei luoghi classici del melodramma ottocentesco: introduzione (recitativo accompagnato da orchestra), grande aria
di esordio di un protagonista (cavatina), irruzione di fatti nuovi (altro recitativo), aria di bravura (cabaletta) per stringere lazione, esaltare il virtuosismo vocale, scatenare gli applausi in sala, cambiare scena.
Con lo stesso principio, nella scena precedente si presenta il tenore Pollione: in dialogo confessa al compagno Flavio il suo nuovo amore per lapprendista vestale Adalgisa, racconta in una lunga cavatina un suo incubo
recente (Meco allaltar di Venere: Norma abbandonata che si vendica di
Adalgisa), osserva i nemici che si radunano, esplode con unorgogliosa cabaletta (Me protegge, me difende / un poter maggior di loro), fugge. Segue
il coro dei Galli oppressi e inizia linvocazione alla Luna. Diverso, ma riconducibile allo stesso schema, lingresso di Adalgisa. Lamica e rivale si presenta con un recitativo, accenna una cavatina (Deh! Proteggimi, o Dio!),
ascolta Pollione che irrompe con una nuova aria (Va, crudele, e al Dio
spietato). I due iniziano un dialogo che si trasforma in duetto con le voci
che prima si alternano e soltanto nelle ultime battute si uniscono in dolci
consonanze (lui Il tuo Dio sfidar sapr, lei S, fedel a te sar). Il lungo
finale un perfetto esempio di accumulo di tensione nel melodramma allitaliana. Inizia con il recitativo di Norma che si strugge per i figli suoi (e di
Pollione). Continua con un duetto in cui lamica Adalgisa, arrivata nel frattempo, si dichiara innamorata. Norma sinfuria quando scopre che si infatuata di Pollione, che accorre a formare un terzetto con le due donne rivali.
Alle tre voci si aggiunge il coro. Sullacme della complicazione emotiva cala
il sipario del lungo primo atto. Il conciso secondo atto un crescendo sublime di colpi di scena teatrali e di meraviglie musicali. Con unindimenticabile sequenza di recitativi, arie, duetti e cori, Bellini ci racconta della disperata
Norma che esita a uccidere i figli e finisce con laffidarli ad Adalgisa, con la
quale si spiega e riconcilia. Il volubile Pollione torna da Norma e con lei sale
sul rogo purificatore che a loro non risparmia il rigido Oroveso. La prima
alla Scala (26 dicembre 1831) un trionfo, anche grazie alle protagoniste
femminili Giuditta Pasta (Norma) e Giulia Grisi (Adalgisa).
Il finale di Norma dunque tragico. Non arriva il fulmine di Vesta che
assolve la peccatrice per amore e consente il glorioso lieto fine alla Vestale, il
melodramma con il quale Gaspare Spontini nel 1807 conquista i favori della
corte napoleonica a Parigi e stabilisce il modello anche per La sacerdotessa
dIrminsul (sempre su libretto di Felice Romani, Trieste, 1820) e La vestale
(Milano, 1823) con musica di Giovanni Pacini, che negli anni venti in Italia
il vero erede di un Rossini passato allestero. Ma non neppure la tragedia
assoluta di un altro suo modello, Medea (1797) di Cherubini, dove la maga
furiosa di gelosia uccide davvero i figli avuti dal fedifrago Giasone e scom-
pare braccata dalle Furie, infiammata da una musica sempre aspra, alla fine
addirittura violenta. Bellini costruisce invece una tragedia lirica, con le emozioni forti addolcite dal fluire di un canto avvolto e mai disturbato dai colori
dellorchestra, ornato di trine molto pi leggere che in Rossini, animato da
scarti di armonie che servono a prolungarne la vita. A suo modo, Norma un
idillio musicale applicato a una storia tragica. Nello stesso senso La sonnambula, lopera che immediatamente precede (Milano 1831), un idillio musicale applicato a una commedia pastorale. Lui, Elvino, il solito tenore geloso e credulone, subito pronto a credere alle maldicenze sulla fedelt dellamata. Lei, Amina, come sempre pura ma, in questo caso, soffre di sonnambulismo e dunque si trova esposta a pettegolezzi. Si salva cantando unaria
che ancora una volta passa alla storia: sintitola Ah, non credea mirarti....
Le parole che dice (sempre di Felice Romani) potrebbero applicarsi anche
alla condizione di Norma e di altre figure (femminili) drammatiche. Quel
che canta una melodia lunga, lunga, lunga (come dir Verdi) che vive di
mutazioni armoniche e che potrebbe durare allinfinito, con legge darwiniana e applicazione wagneriana. Non ha valenze teatrali, solo invenzione
musicale, che esprime una situazione altrimenti inesprimibile. Ferma lazione e apre a ogni sviluppo, compreso il lieto fine, che (in musica) si risolve in
un concertato.
La sonnambula lunica, fra le poche (sette) opere di Bellini, che appartiene al genere della commedia. Fin dallesordio Bellini cerca soggetti drammatici. Gi assistito dallesperto librettista Romani, affronta con Il pirata (trionfo
alla Scala nel 1827) i temi classici del melodramma italiano: amore contrastato in una torbida Sicilia angioina; duello fra rivali in politica e in amore; uno
ucciso, laltro giustiziato, lei impazzisce. La vena lirica del giovane Bellini fa
la differenza rispetto alla truculenza dei rivali Pacini e Donizetti, garantendo
il successo alla Straniera e ancor pi al soggetto shakespeariano I Capuleti e i
Montecchi (1830) con la parte di Romeo scritta su misura per le doti del soprano Giuditta Grisi, sorella maggiore di Giulia. La collaborazione con Romani si chiude con la tragedia lirica Beatrice di Tenda (Venezia 1833), ambientata alla fosca corte quattrocentesca dei Visconti, costruita sulle rivalit fra
donne e pensata per la voce del soprano Giuditta. Ha invece lieto fine lultima
opera di Bellini, I puritani: gli amanti si ricongiungono quando si scioglie il
conflitto fra repubblicani e realisti nellInghilterra del Seicento. scritta per
Parigi, dove Bellini arriva chiamato dallattento Rossini. Linfluenza del
grand-opra locale si percepisce nella grandiosit dei mezzi scenici richiesti e
nella cura della strumentazione per grande orchestra. Resta limpianto del
melodramma italiano, con la consueta sequenza di arie, duetti, terzetti, cori e
concertati distribuiti su un vorticoso susseguirsi di colpi di scena, ficcati nel
farraginoso libretto dallinesperto esule italiano Carlo Pepoli, rimaneggiato
pubblico che apprezza il carattere forte e asciutto del suo teatro, soprattutto
quello drammatico organizzato dal librettista Salvatore Cammarano. Come
gi Rossini, Donizetti adatta precedenti lavori italiani ai gusti parigini, e riesce ad assaporare i successi viennesi di Maria di Rohan (1843) e Dom Sbastien (1845) prima che la pazzia lo condanni al manicomio.
La grande stagione del melodramma italiano neoclassico e postmetastasiano continua con Saverio Mercadante (Il bravo, 1839; La vestale, 1840) e
Giovanni Pacini (Saffo, 1840; Medea, 1843). Ma nel 1842 irrompe Verdi, con
soggetti pi moderni e altra musica. Con il successo planetario di Nabucco
inizia unera nuova.
Ascolti
V. Bellini, Norma, M. Callas, T. Serafin, Orchestra e Coro del Teatro alla Scala (1954), emi
1998
G. Donizetti, Lucia di Lammermoor, R. Bonynge, L. Pavarotti, J. Sutherland, Chorus and
Orchestra of the Royal Opera House, Covent Garden, Decca 2011
Maria Callas, The Complete Studio Recordings 1949-1969, emi 2007
Letture
J. Rosselli, Bellini, Ricordi, Milano 1995
F. Bellotto (a cura di), Lopera teatrale di Gaetano Donizetti. Atti del Convegno internazionale di studio, Comune di Bergamo, Assessorato allo spettacolo, Bergamo 1993
R. Celletti, Storia del bel canto, La Nuova Italia, Scandicci 1986
W. Ashbrook, Donizetti and His Operas, Cambridge University Press, Cambridge 1982
Robert Schumann
Personaggi e fantasmi Jean Paul Sphinxes Artisti e
filistei E.T.A. Hoffmann Innere Stimme Studi
sinfonici in forma di variazione Musica di consumo per
pianoforte Romanze senza parole Pezzi lirici Intermezzi e Fantasie
met spartito, ma rimane muta, pilastro virtuale di un lavoro che vuole apparire
improvvisato. Un tema di Clara Wieck incombe sugli otto pannelli di Kreisleriana. Si percepisce unit dintenti nella collezione di Novelletten, che sperimenta nuove vie per allargare le dimensioni delle microstrutture. Ha un filo,
non esplicito ma avvertibile allascolto, la collezione Kinderszenen op. 15,
scene infantili col sapore della fiaba e con il calore domestico dei racconti dei
fratelli Grimm. Nel polittico Carnevale di Vienna op. 26 (1839) trova insospettate ironie e si diverte a citare la Marsigliese nella capitale della Restaurazione.
In questi lavori Schumann applica in modo implicito lantico principio
della variazione. In altri capolavori del tempo, la scelta pi evidente. Lop. 1,
Variazioni Abegg, fatta di una classica serie di tre variazioni pi un episodio
Cantabile e un ampio Finale alla fantasia, nati da una melodia ben definita, sia pure costruita con un artificio che trasforma le lettere del cognome
di un amore di allora in note musicali: nella notazione tedesca la parola
Abegg corrisponde alle note latine la-si bemolle-mi-sol-sol. Sintitola Studi
sinfonici in forma di variazioni anche la composizione pi impegnativa di
quel tempo, lop. 13, non a caso una delle pi sofferte di Schumann; impostata nel 1834 rimaneggiata pi volte, con varie edizioni a stampa, nessuna
definitiva. Agli esecutori resta ampia scelta su quale testo proporre in pubblico: frequente la stesura del 1853 con inserite, ad libitum, tutte o soltanto
alcune delle cinque variazioni espunte dalla versione del 1838. Laggettivo
sinfoniche che accompagna le varie versioni ci dice, come nellamato
Schubert, che queste variazioni superano la loro contingenza pianistica e
forse anche la vocazione orchestrale a trovare la musica assoluta. Sinfonia
come pitagorica musica delle sfere.
Sono gli anni in cui fiorisce la letteratura pianistica di consumo, nelle
varianti della fantasia su favorite melodie dopera destinate ai professionisti, e nei ballabili e pezzi di genere per un numero sempre crescente di bravi
dilettanti sfornati da ottime scuole. Migliora la tecnica costruttiva dello strumento. Il pianoforte da sala da concerto ha maggiore potenza e omogeneit
di suono. Quello verticale riduce i costi e diventa necessario mobile da salotto borghese. Per tutti gli anni quaranta, Liszt gira centri piccoli e grandi
portando rivisitazioni pianistiche di Lieder di Schubert e scene dopera di
Mozart, Bellini, Donizetti, Auber. Le musiche destinate al mercato crescono
a dismisura, alimentate soprattutto da autori minori, qualcuno baciato dalla
fortuna, come la polacca Tekla Bdarzewska, autrice della Prire dune vierge
(1854), un tempo immancabile nel repertorio delle fanciulle di buona famiglia. Nemmeno i grandi autori disdegnano queste musiche. Felix Mendelssohn, pur occupato a fondare e dirigere il conservatorio di Lipsia (e dunque
a plasmare la musica del secondo Ottocento tedesco), prolifico autore di
Romanze senza parole: 35 pezzi ripartiti in sei quaderni pubblicati fra 1830 e
1845, cui vanno aggiunti due altri quaderni postumi. Alcune Romanze hanno
titoli accattivanti, autentici o apocrifi: Barcarola, La filatrice, Marcia funebre,
Canto di primavera. La difficolt media, talvolta alta, per non banalizzare e
non per stupire. In tutte domina il canto, ma la rinuncia alle parole afferma
la prevalenza della musica sulla poesia. In fondo, anche un liederista convinto come Schumann molto spesso lascia al solo pianoforte le battute conclusive, quando la voce ha smesso di cantare.
Lo stesso Schumann non dimentica il suo naturale istinto pedagogico e
compila la bella collezione Album per la giovent, 43 pezzi schizzati nel corso
degli anni e pubblicati nel 1848 come op. 68, molti con titoli simpatici, tutti
abbastanza facili da suonare e subito entrati nel repertorio di ogni bravo principiante di pianoforte. I grandi progetti sinfonico-corali e teatrali, la musica da
camera e la follia galoppante non allontanano dal pianoforte il maturo Schumann, che trova il tempo di completare ancora la deliziosa raccolta di pezzi di
genere Scene della foresta op. 82 (1849) e gli allucinati Canti del mattino op.
133 (1853), scritti in manicomio dopo una visita del giovane Johannes Brahms.
Tutta la musica pianistica di Schumann, lultima in particolare, intima,
protagonista del suo tempo e preludio a un futuro ancora luminoso. Ne
raccoglie leredit Musorgskij, nella lontana Russia, con quellaffascinante
mosaico che Quadri di unesposizione. Pi fedeli al modello di Schumann
sono i Pezzi lirici riuniti nei dieci quaderni che fra 1867 e 1901 pubblica
Edvard Grieg, norvegese per nascita e residenza, ma germanico di scuola per
essersi formato al conservatorio di Lipsia. Negli anni estremi, a fine Ottocento, ne riprende lo spirito Brahms, con i quattro cicli di fantasie e intermezzi
op. 116, 117, 118 e 119 (1892-93) che sono il suo addio allamato pianoforte,
lo strumento della sua vita. Dopo le intemperanze delle sonate giovanili e la
densit delle variazioni negli anni centrali, il pianismo dellestremo Brahms
diventa meditazione interiore. Salvo far riesplodere inattesi ardori nellultima Rapsodia (op. 119 n. 4) che chiude il ciclo nel segno del passato.
Ascolti
R. Schumann, Carnaval Op. 9, A. Benedetti Michelangeli, emi 1975
R. Schumann, The Masterwork, dg 2010
E. Grieg, Lyric Pieces, E. Gilels, dg 1997
Letture
J. Daverio, Robert Schumann: Herald of a New Poetic Age, Oxford University Press,
Oxford-New York 1997
Ascolti
F. Chopin, Prludes, Op. 28, M. Pollini, dg 1990
The Chopin Collection, A. Rubinstein, rca 1991
J. Field, The Piano Concertos, M. Bamert, J. ORourke, Mozart London Players, Chandos
2008
Letture
F. Liszt, Vita di Chopin, Passigli, Firenze 1991
J. Samson, Chopin, Oxford University Press, Oxford/New York 1998
P. Rattalino, Fryderyk Chopin. Ritratto dautore, edt, Torino 1991
A. Walker (a cura di) Frdric Chopin: Profiles of the Man and the Musician, Barrie and
Rockliff, London 1966
La natura svizzera Larte italiana Il giovane Liszt Proselitismo a Weimar Riscritture di lavori propri e altrui
Misticismo a Roma Studi trascendentali Parafrasi da
Paganini Virtuosismo pianistico a tutti i livelli
Uno per tutti, tutti per uno sta scritto sul frontespizio dello spartito con
cui Liszt inizia il suo infinito viaggio di pellegrino di arte e letteratura, oltre
che di funambolo della tastiera. La prima tappa ad Altdorf, sul lago di
Lucerna, davanti alla Chapelle de Guillaume Tell. Un sussurro si alza dal
profondo, leco lo rinforza, diventa chiamata collettiva, forte e tranquilla. La
musica evoca, non conclude. La seconda tappa sulle rive del piccolo Lac
de Wallenstadt, sempre in Svizzera, fra il lago grande di Zurigo e la valle del
Reno, luogo per meditare alcune righe dellamato Byron, stare in contatto
con la natura, rinnovare quel pianismo acquatico che Liszt assorbe dagli
accompagnamenti ai Lieder inventati da Schubert. Dopo il piffero del pastore in piena campagna (Pastorale), tornano i giochi dacqua di Au bord
dune source: veloce scorrere di note acute e insistito frusciare di dissonanze per inventare timbri iridescenti a illustrare i versi di Friedrich Schiller: In
un fresco sussurro / iniziano i giochi / della giovane Natura. Sempre il romantico Byron fornisce lepigrafe per Orage, che furioso sibilare di note
singole, mulinare di terze, martellare di ottave per tradurre sulla tastiera la
forza di un uragano.
Che voglio? Chi sono? Cosa chiedo alla Natura? Sono le domande che
Liszt annota sullo spartito di Valle dObermann, il sesto e pi ampio (una
ventina di minuti) dei nove quadri musicali che formano il primo quaderno
di Annes de plerinage, diario musicale compilato durante la fuga damore
con Marie dAgoult in Svizzera. Il titolo della raccolta e molte singole citazioni derivano da Childe Harolds Pilgrimage di Byron, un testo sacro per i
romantici di prima generazione, cui il ventenne Liszt appartiene. Le domande esistenziali sono riprese dalla Lettera n. 53 (su un totale di 99) del romanzo epistolare Oberman (Parigi 1804) di tienne Pivert de Senancour. Dalle
insoddisfazioni e inquietudini del malinconico romanziere parigino esiliatosi nella natura svizzera, nasce un affresco pianistico del tutto imprevisto,
anzi assurdo. Si snoda come libera fantasia su un unico motivo che mantiene
la voce calda del registro centrale; intorno cambiano solo larmonia e la qualit dellaccompagnamento. Il tono resta sommesso. Non ci sono effetti
plateali. La rinuncia alle trine ornamentali, le lunghe pause esaltano la meditazione dellasceta che, allimprovviso, scopriamo esserci in Liszt. Valle
dObermann diventa una singolare sintesi a priori. Meditata a lungo nel
1835, a 24 anni, e poi rivista, ben riassume le vocazioni e le contraddizioni di
uno dei massimi innovatori nella storia della musica occidentale, intrecciandole come non mai nella storia la vita e larte.
il tempo in cui Liszt si afferma come insuperabile concertista di pianoforte. Lo educa a Vienna Carl Czerny, che gli instilla lamore per Beethoven
e Schubert. Dal 1822 continua gli studi a Parigi e, dopo una prima serie di
tourne concertistiche, vi risiede dal 1828 dominandone la vita musicale e i
salotti mondani. Ma non riesce (non vuole) smussare le congenite inquietudini esistenziali, che sinfiammano con le letture di Chateaubriand, Lamennais, Hugo, appunto Senancour. Sempre in bilico fra esibizione pubblica e
mistica interiore, nel 1848 Liszt lascia il concertismo attivo e la mondanit
per ritirarsi a fare il maestro di cappella alla corte provinciale di Weimar, gi
citt di Goethe. Qui crea una scuola di pianisti e compositori. Fra i suoi
nuovi allievi diretti o putativi troviamo il francese Saint-Sans, il russo Borodin, il boemo Smetana. Aiuta Bruckner, anche sul piano finanziario.
Protegge e sostiene lamico Berlioz e il giovane futuro genero Wagner. Inventa il nuovo genere orchestrale del poema sinfonico. Cerca ovunque
linnovazione. Si fa nemici potenti. Scappa in Vaticano per coronare la sua
vocazione mistica, prende gli ordini francescani, diventa abate, simmerge
nella produzione sacra. Vive ramingo i suoi ultimi anni ma sempre creativo e attento a quanto di nuovo la musica riesce a portare. Continua a scrivere musica per pianoforte, ascetica per, lontana dal funambolismo giovanile, fuori dalle forme consuete e dallarmonia corrente, addirittura senza tonalit, oltre lOttocento, perfino oltre le sospensioni di Debussy e i rigori di
Schnberg.
Di tutto questo Valle dObermann appunto una strabiliante sintesi
a priori, che trasforma anche il resto del primo quaderno di Annes de plerinage. Dopo un leggero tampone idilliaco (Eglogue) tornano inquietudine e malessere in Le Mal du pays, intraducibile anche nel titolo, vicino al
senso del vocabolo tedesco Sehnsucht, con limitata corrispondenza allitaliano nostalgia. Il finale Les Cloches de Genve non fa suonare campane ma
assapora i suoni notturni della citt che si specchia nel lago, con straordinaria
capacit di nascondere e lasciare affiorare la melodia fra le trame dellaccompagnamento.
Mentre il primo quaderno di Annes de Plerinage interamente dedicato alla Svizzera, il secondo frutto del successivo viaggio in Italia, a Milano,
Firenze, Roma, Napoli. Al rapporto con la natura svizzera, pur filtrato dalla
letteratura, subentra quello con la grande arte italiana. Sposalizio il tito-
Ascolti
F. Liszt, Annes de plerinage, L. Berman, dg 2002
F. Liszt, The Complete Piano Music, L. Howard, Hyperion 2011
Letture
C.H. Gibbs, D. Gooley (a cura di), Franz Liszt and His World, Princeton University Press,
Princeton 2006
P. Rattalino, Liszt, o Il giardino di Armida, edt, Torino 1993
A. Walker, Franz Liszt, 3 voll., Alfred A. Knopf Books, New York 1983, 1988, 1996
R. Dalmonte, Franz Liszt. La vita, lopera, i testi musicati, Feltrinelli, Milano 1983
Circolarit non dialettica Un tema per quattro movimenti consecutivi Le Ebridi Lorchestra nel mare
Sogno di una notte di mezzestate Musiche di scena
Beethoven Hoffmann Berlioz Mendelssohn Sinfonie Italiana e La Riforma Schumann Renana
Liszt, Faust e Dante Brahms, ouverture Accademica e Tragica
Uno dei tentativi meglio riusciti di forzare le gabbie della sinfonia classica e
beethoveniana la Terza sinfonia di Mendelssohn. La rottura si ha cambiando la forma e utilizzando in modo diverso labbondante materiale tematico.
In apparenza resta la struttura in quattro movimenti, con lo Scherzo collocato in seconda posizione e lAdagio in terza. La preparazione del primo
movimento con un Andante con moto in s normale, ma in questa sinfonia inconsueta la dimensione. Non conta solo la durata (quasi quattro minuti), ma anche la quantit e la qualit della sostanza. Di fatto, lintero lavoro ha qui le sue radici, in particolare nelliniziale motivo ascendente, che ha
un suo primo sviluppo gi nella lunga introduzione. Non ci sono altre melodie ma solo spunti che sintrecciano al motivo principale, ne ampliano timbro e spessore, senza mai generare contrasti. Dallo stesso motivo nasce il
tema principale del seguente Allegro un poco agitato, che ci si aspetta
organizzato in classica forma sonata. Invece il secondo tema solo un momento di luce in un quadro dominato dalle fosche tensioni che si sprigionano
dal nucleo tematico principale. Dopo la ripresa variata, in chiusura del primo movimento torna lAndante con moto iniziale, ad affermare il senso di
circolarit non dialettica che informa lintera sinfonia. Il Vivace non troppo (secondo movimento) un perfetto esempio di orchestrazione leggera e
brillante di un motivo popolaresco, che acquista spessore passando dal clarinetto solo agli altri fiati e infine agli archi dellintera orchestra. Pure
lAdagio lavora sullaumento della dimensione sonora di un solo motivo
derivato da quello iniziale. Il finale attacca come fosse uno scherzo, muta in
contrappunto, ricorda il taglio del secondo movimento, torna al fugato, sfocia in una sezione tutta diversa che serve da sintesi finale: con il titolo Allegro maestoso compare una nuova versione del motivo iniziale, vestito da
corale e condotto dagli ottoni (quattro corni e due trombe) su rullo dei
timpani a chiudere in gloria.
inalterabile, perfino ossessivo nel suo infinito ripetersi se non fosse addolcito
e variato dalle sempre diverse combinazioni timbriche. Danno peso e profondit le lunghe note che pure attraversano ogni sezione dellorchestra. Si sovrappone la gran melodia che fa da secondo soggetto, ampia, articolata,
quasi infinita. Il suono si gonfia, i motivi si accavallano, nascono echi e fragori, torna la calma, ci si perde nel mistero. Cos come restano misteriose le vie
che suggeriscono a Mendelssohn la traduzione in orchestra del soffio del
vento e del rumore delle onde. Mentre sono chiare le risorse che permettono
al giovane tedesco di diventare il nuovo genio del descrittivismo musicale.
Tradurre in musica i suoni della natura si fa da sempre: con la voce,
nellantichit e nel Rinascimento polifonico; con gli strumenti da quando
diventano affidabili e precisi, cio dal Cinquecento in poi. Luso dellorchestra pi recente, ma solo perch lento il consolidarsi degli organici e
della perizia degli esecutori. Funziona bene a partire dal Seicento, come dimostrano le tante tempeste che si sentono in teatro e le variabili di stagione
che Vivaldi e i suoi seguaci portano in sala da concerto. Pi difficile trovare un vocabolario musicale per le emozioni delluomo. Per tutto il Settecento ci si prova con gli stati danimo (flemma e ira, odio e amore), lavorando su
sbalzi di volume, scarti ritmici, incroci melodici, frizioni armoniche. Si arriva
cos alle suggestioni della Sinfonia Pastorale di Ludwig van Beethoven. Lorchestra moderna di primo Ottocento, grazie ai migliorati strumenti a fiato e
al crescere del volume degli ottoni, consente di spingersi oltre, fino a tentare
di raccontare una storia con le sole note musicali, senza le parole.
La magia di Mendelssohn orchestratore segna una svolta decisiva, che
ha tuttavia origini precise, ben oltre il suo indiscutibile e precocissimo talento. Fin troppo facile trovare nellouverture di Oberon di Weber il modello e il suono dellouverture per il Sogno di una notte di mezzestate che
Mendelssohn scrive a soli 17 anni, nello stesso 1826 in cui lopera va in
scena. Comune il fruscio degli archi in apertura, le sonorit calde dei corni, il rincorrersi di strumentini e di archi. Originale labilit di Mendelssohn nel tradurre in musica il volteggiare degli elfi, il raglio di Bottom con
la testa dasino, i diversi piani su cui si svolge la surreale azione di un capolavoro del teatro di tutti i tempi. Non sorprende che, nel 1842, il re di Prussia Federico Guglielmo iv imponga a Mendelssohn di scrivere altre musiche
per accompagnare la messa in scena della commedia fiabesca di Shakespeare nella reggia di Potsdam (14 ottobre 1842). Alla ormai famosa ouverture
si aggiungono altri dodici brani con arie solistiche e coro. La fortuna tale
che subito viene predisposta una suite sinfonica dei brani pi popolari:
letereo Scherzo, il dolce Notturno, la felicissima Marcia nuziale. La
musica per il teatro di parola diventa il riferimento di un genere musicale di
antichissima tradizione.
Ascolti
F. Mendelssohn, Symphony n. 3, C. von Dohnnyi, Cleveland Orchestra, Telarc 2002
F. Mendelssohn, 5 Symphonies; 7 Overtures, C. Abbado, London Symphony Orchestra,
Universal 2002
R. Schumann, The Four Symphonies, H. von Karajan, dg 1990
Letture
P. Mercer-Taylor, The Life of Mendelssohn, Cambridge University Press, Cambridge 2000
E. Werner, Mendelssohn. La vita e lopera in una nuova prospettiva, Rusconi, Milano 1984
1846Barcarola
Fryderyk Chopin
Trilli e sciami di note Ambiguit di armonie La gabbia
del metro ondulante La tensione che sale La spuma che
scioglie La forma che sfugge 4 ballate 4 scherzi 21
notturni 14 valzer 7 polacche Skrjabin in Russia
Debussy in Francia
Le prime due battute servono per familiarizzare le dita del pianista con i
tasti neri (tutti) richiesti dallinconsueta tonalit di fa diesis maggiore. Le
seconde due battute fissano il ritmo lieve, sul tempo cullante di 6/8. Nelle
due che seguono si alza un canto sommesso e dolce. La musica e il titolo
Barcarola suggeriscono linevitabile quadretto di genere: il remo che spinge
la gondola nella laguna veneziana, il gondoliere che canta sottovoce per non
disturbare i due innamorati, lincanto di un momento magico. Bastano invece poche altre battute perch si aprano dimensioni sonore che sovrastano
ogni artefatto visivo e ogni allusione letteraria. La melodia resta frastagliata
in unit binarie ma si riaggrega con fili armonici, si avvolge di cromatismi, si
rafforza nel suono e si confonde col basso che accompagna, appunto come
il battere del remo che alza spume dalle onde e le lascia ricadere in gocce
cristalline. Il canto si appoggia su tre accordi immobili e riprende diverso. Si
ferma ancora, su una nota sempre tenuta ma mossa da trilli semplici e doppi.
Ritrova il filo iniziale e lo trasforma in un nuovo motivo dai contorni talmente sfumati da fare del canto una variante del ritmo di voga. Il riverbero degli
armonici e la densit degli accordi sfumano verso lalto, restano sospesi
mentre torna leco delle gocce cristalline che cadono, sul piano immobile
che le accoglie.
La sottile tensione di questo passaggio si scioglie nel filo di note per la
mano destra, con un deciso cambio di modo e di tonalit (la maggiore), un
diverso ritmo di voga al basso, un altro disegno accompagnante e un nuovo
canto scandito dai sempre differenti spruzzi cristallini che si disperdono
nellaria. Ancora una volta larmonia resta inquieta, spuntano regioni tonali
lontane. Attorno crescono picchi sonori scanditi da altri trilli. La melodia
frammentata nella prima parte della Barcarola riprende, anzi continua in
una nuova veste; diventa un inciso che porta il ritmo di voga nella regione
acuta, con la forza delle ottave addolcita da terze e seste. La tensione si accumula e poi si arresta su un fondale piatto e una superficie increspata da
dissonanze.
trovano un momento di convergenza nel pirotecnico finale d. Torna la tripartizione aba nel Terzo (op. 39, 1839), ma la brutale violenza delle doppie
ottave con cui attacca e conclude ha furori romantici senza precedenti. Il
Quarto (op. 54, 1842) lascia i ritmi accesi, smussa i contorni delle sue consuete tre sezioni, cerca la melodia spiegata, si avvicina allo spirito dei notturni, che un po il cuore dellintera arte di Chopin.
Disposti in modo regolare fra 1831 e 1846, raccolti e pubblicati in terne
e coppie, i 18 (pi 3 postumi) notturni sono lapoteosi del pianoforte romantico. Il genere viene inventato ai primi dellOttocento dal dublinese John
Field, allievo di Clementi e padre della scuola pianistica russa grazie al lungo
soggiorno a San Pietroburgo e Mosca fra 1803 e 1837. Lidea in s semplice: un canto languido alla mano destra, un sussurro accompagnante alla sinistra, armonie soffici ma ambigue per evocare le suggestioni e i fantasmi
che popolano le notti della poesia sentimentale. Chopin abbraccia lidea
durante i suoi studi a Varsavia e la trasforma in qualcosa di completamente
nuovo. Rende flessibile larchitettura, piega le consuetudini del passato alla
propria fantasia, inventa nuove forme. Estende le melodie con sottili giochi
timbrici, pause piene di arabeschi, polifonie virtuali. Le ruvide dissonanze
nascoste fra tanti velluti diventano una barriera al sentimentalismo. Tutte
conquiste che Chopin ottiene con gradualit. I primi notturni (le terne op.
9 e op. 15, 1830-33) sono i pi semplici. La maturit genera i due capolavori dellop. 27 (1835). Nel primo troviamo il miracolo di una melodia sdoppiata in dialogo fra due voci simili ma distinte, che il disegno accompagnante alla fine volge in corale eroico, alla maniera di una stretta vocale del miglior Rossini serio. Il secondo notturno, in re bemolle maggiore, un dolcissimo duetto damore in stile belliniano, sostenuto da un accompagnamento
che nelle fissit del passo arpeggiante scioglie la variet dellarmonia, le
magie del contrappunto e del controcanto. Dopo le infinite variazioni al
canto strumentale nelle successive coppie op. 32 (1837) e op. 37 (1838), le
profondit della notte romantica si sentono nel drammatico Notturno in do
minore op. 48 n. 1 (1841). I silenzi spaziano le singole note di un canto appassionato. Il minaccioso basso incombe, prevale, domina lacme centrale,
si aggroviglia al canto quando raddoppia la velocit e i misteriosi interstizi
iniziali si riempiono col martellamento che esorcizza il vuoto. Anche nellop.
48 n. 2 la sezione centrale cresce dalle poche note che precedono lesposizione della dolce melodia principale, ma non c dramma, soltanto meditazione. Negli ultimi quattro notturni (op. 55 e op. 62, 1844 e 1847) le tensioni restano, ma sono come sublimate da un superiore senso dellordine: motivi pi brevi, meno trine, colori omogenei in mosaici che preferiscono le
sfumature del grigio e anticipano le trasparenze dellancora lontano impressionismo francese.
Ascolti
F. Chopin, 4 Balladen, Barcarolle, Fantasie, K. Zimerman, dg 1990
F. Chopin, Complete Edition, Artisti vari, dg 2009
A. Skrjabin, Complete Piano Sonatas, M. Hamelin, Hyperion 1995
Letture
J. Samson (a cura di), The Cambridge Companion to Chopin, Cambridge 2004
G. Belotti, Chopin, edt, Torino 1984
P. Rattalino, Fryderyk Chopin. Ritratto dautore, edt, Torino 1991
1850Lohengrin
Richard Wagner
Violini divisi Cavalieri del Graal Parigi rifiuta Rienzi
Il vascello fantasma Tannhuser Lohengrin
Rinuncia ai numeri chiusi Leitmotiv Glinka Smetana Catalani Puccini
Non si capisce bene dove stia la melodia nella musica che precede lapertura
del sipario e linizio dellazione in Lohengrin di Wagner. Sta nei violini, ovviamente, perch suonano solo loro e il resto della grande orchestra muto.
Per i violini, come sempre, sono tanti e non suonano insieme, neppure divisi nelle due sezioni (primi e secondi) dellorchestra romantica e moderna.
Questa volta il compositore vuole che i gruppi siano pi piccoli e numerosi.
Vuole che ci sia un nucleo di quattro violini solisti accanto a quattro folti
gruppi di altri violini. Sui registri acuti dei pi acuti strumenti dellorchestra
Wagner spalma gli intervalli di una melodia appena accennata e dispersa su
un brusio di suoni che ha la duplice e opposta funzione di sviare ed evocare.
La melodia assume tratti pi definiti quando passa ai fiati. Gli eterei violini
soli sono assorbiti dai quattro gruppi di violini multipli, mentre gli altri archi
danno ora consistenza al basso. Infine entrano gli ottoni e il luccichio iniziale diventa forza sovrannaturale. Come quando una luce lontana si avvicina e
abbaglia. Dura solo un momento. Presto il vigore si attenua, la luce si affievolisce, tornano i violini divisi e con loro torna il silenzio, il buio. Il sipario si
pu alzare.
lo stesso Wagner che definisce questo meraviglioso brano orchestrale
come la rappresentazione del potere del Graal, il mitico calice dellultima
cena in cui, si dice, Giuseppe di Arimatea raccoglie il sangue che sgorga
dalle ferite di Ges sul Calvario. Wagner ne fa il motivo conduttore non solo
di Lohengrin ma di una vicenda personale e musicale che arriva fino allestrema esperienza di Parsifal; crede nel potere magico della sua musica e del
mito che la ispira. Un mito che costruisce mescolando storia e leggenda, attingendo alle saghe medioevali per le vicende del suo teatro musicale. In
Lohengrin la parte storica ambientata nel ix secolo nel Brabante, attuale
Belgio e allora frontiera occidentale del decadente impero carolingio, minacciato dalle trib ungare allesterno e dalle faide di potere allinterno. La
parte magica nasce dalle letture del poema Parzival scritto attorno al 1210 da
Wolfram von Eschenbach e che Wagner, librettista di se stesso, condensa nel
racconto del terzo atto, quando il misterioso salvatore rivela la sua natura di
cavaliere del Santo Graal: lui, Lohengrin, uno degli eroi riuniti attorno al
calice divino dal padre Parzival in un castello del lontano Monsalvat, pronti
a intervenire ovunque le forze del male minaccino lonore e la verit.
Nellopera, Lohengrin compare con armatura splendente e su una barca
trainata da un cigno alla corte di Brabante, dove linnocenza della principessa Elsa sottoposta al giudizio di Dio. Vince il duello con linfame accusatore e pretendente al trono. Accetta di rimanere e di sposare Elsa, purch lei
non gli chieda di svelare la sua identit. Il primo atto finisce in gloria ma le
macchinazioni proseguono nel secondo. Nel terzo e ultimo atto, dopo il fastoso matrimonio con celeberrima marcia nuziale, Elsa non resiste e pone la
domanda fatale. Leroe si rivela, ma deve tornare nel Monsalvat. Deus ex
machina grazie al potere del Graal, Lohengrin risolve il problema politico ma
rinuncia al sogno, suo e di Elsa, di vivere un amore intenso e privato. Il sipario cala mentre in orchestra rifulge il suono che tanto stupisce nel preludio.
Proprio perch carico di tanta suggestione, il motivo del Graal usato
con parsimonia da Wagner nel corso dellazione teatrale. Si sentono pi spesso altri motivi che servono a definire con la musica personaggi e situazioni: i
puri Elsa e Lohengrin, i perfidi Telramund e Ortrud, il cigno, il giudizio di
Dio, la domanda fatale, il salvifico Graal. Sono segnali che arrivano dallorchestra, pensati per essere riconosciuti e ricordati. Danno continuit alla vicenda e permettono di collegare le diverse scene con tecniche soltanto musicali. Formano uno dei primi sistemi coerenti di motivi conduttori (Leitmotiv), su cui Wagner imposta la sua teoria dellopera darte totale e realizza i
lavori teatrali futuri. Proprio perch sono un richiamo al passato e un presagio al futuro, i Leitmotiv armonizzano il flusso dellazione e diluiscono limpatto dei colpi di scena, che invece sono il sale del melodramma allitaliana e
del grand-opra francese, cio di quel teatro musicale dal quale il giovane
Wagner viene respinto e che sempre pi vuole rinnovare. In realt, trascurando i primi esperimenti Die Feen (da Carlo Gozzi, 1833) e Das Liebesverbot
(opera comica, 1836), il primo successo gli arriva con Rienzi, lultimo dei
tribuni, rappresentato nel 1842 a Dresda, che gli vale la nomina a maestro di
cappella del teatro locale. il risultato del fascino esercitato su Wagner
dalloperismo cosmopolita parigino, dominato dagli italiani Rossini, Bellini,
Donizetti, dai francesi Auber e Halvy, e soprattutto dal tedesco, educato in
Italia e infine francesizzato, Meyerbeer. Ma un fascino che Wagner vive da
emarginato nei due anni trascorsi a Parigi alla ricerca del successo che non
arriva. Il rifiuto dellOpra al suo Rienzi diventa unoffesa incancellabile,
inasprita dalla fortuna a Dresda. Wagner inizia a cercare nelle saghe nordiche
lalternativa alle storie latine.
In fuga dai creditori, nel 1839 Wagner ha unavventura in mare che gli
suggerisce lambientazione della prima opera che (per lui) conta, Lolandese
Ascolti
R. Wagner, Lohengrin, C. Abbado, Wiener Philharmoniker, dg 1995
R. Wagner, Tannhuser, G. Sinopoli, Philharmonia Orchestra, dg 1989
R. Wagner, Der fliegende Hollnder, W. Sawallisch, Bayreuth Festival Orchestra-Bayreuth
Festival Chorus, Opera doro 2008
Letture
J. Khler, Richard Wagner: The Last of Titans, Yale University Press, New Haven 2004
C. Dahlhaus, I drammi musicali di Richard Wagner, Marsilio, Venezia 1998
T.S. Grey, Wagners Musical Prose, Cambridge University Press, Cambridge 1995
1853 La traviata
Giuseppe Verdi
Velocit dazione Caratteri dei personaggi Melodie nel
dramma Dumas Il giovane Verdi Nabucco Gli
anni di galera Forza dei libretti Rigoletto Il trovatore La traviata Violetta Les Vpres siciliennes
Simon Boccanegra Dramma individuale e ingranaggi
del potere
rati ma non ingombranti, con ampi preludi a primo e terzo atto che mostrano contiguit con gli archi di Lohengrin (1850) di Richard Wagner e con il
colorismo dellopera francese. Non a caso lidea di Traviata nasce dalla familiarit di Verdi con il gran mondo di Parigi, sempre pi capitale della musica
e dello spettacolo in Europa.
La storia ripresa da un fatto di cronaca in cui coinvolto personalmente Alexandre Dumas figlio che, come il padre, un uomo di mondo con la
penna facile. Il suo romanzo La signora delle camelie esce nel 1848 ed trasformato in dramma teatrale di grande successo nel 1852. Verdi forse legge
il romanzo, certamente vede lo spettacolo e si appassiona al soggetto. Lo
attira la figura della donna traviata che sa provare amore prima di perdere la
vita. Vuole anche cambiare gli ambienti del suo teatro musicale, uscire da
quelle stesse convenzioni melodrammatiche che gli hanno assicurato successo e fortuna. Sono passati giusto dieci anni dal vero e trionfale esordio alla
Scala di Milano con Nabucco, una contorta vicenda di ambiente biblico con
amori contrastati e lotte di potere, scambio di persone e interventi soprannaturali, con il giovane Verdi maestro nel riprendere e asciugare le convenzioni del teatro musicale del tempo. Nabucco concitato alla maniera di
Donizetti, lirico sul modello di Bellini, incisivo come il miglior Rossini serio.
In Abigaille, la schiava che si millanta regina, Verdi disegna la sua prima
grande eroina drammatica affidandole una parte piena di forza e di agilit
che esplode nella scena Ben io tinvenni, una classica sequenza recitativoaria-tempo di mezzo-cabaletta. Trova nel coro un protagonista vero che si
aggiunge ai solisti, e gli fa cantare il celeberrimo Va pensiero, tanto emozionante perch pura melodia, senza fronzoli, mossa soltanto dal basso cadenzato e dal graduale aumento del volume sonoro. Nel ruolo di Abigaille
canta Giuseppina Strepponi, la futura seconda moglie di Verdi nel 1859.
Nabucco viene dopo il moderato successo di Oberto, conte di San Bonifacio
(1839) e il fiasco di Un giorno di regno (1840). Segna la svolta dopo un anno
di depressione. Il suo trionfo milanese (57 repliche nel solo 1842) dilaga nei
teatri di tutto il mondo: Vienna e Lisbona (1843), Barcellona, Berlino, Stoccarda (1844), Parigi, Amburgo, Marsiglia, Algeri (1845), Budapest, Costantinopoli (1846). E ancora LAvana (1848), New York (1849), Buenos Aires
(1850). Fioccano le nuove commissioni dalla Scala. Verdi cavalca il successo
con I lombardi alla prima crociata (1843), in cui punta sul coro (O Signore,
dal tetto natio) e sul tema politico-patriottico che piace al pubblico. Seguono
quelli che lo stesso Verdi definisce gli anni di galera perch i ritmi del sistema teatrale richiedono opere nuove a getto continuo, con inevitabili compromessi su tempi di elaborazione e qualit dispirazione. Fra 1844 e 1850 scrive
ben undici opere nuove: una produttivit comparabile a quella del giovane
Rossini e del maturo Donizetti, oltre che dei concorrenti diretti Saverio Mer-
cadante (in tutto circa 60), Giovanni Pacini (circa 90), i fratelli Luigi (30) e
Federico (19) Ricci, che assieme firmano il loro maggiore successo, Crispino e
la comare (1850). Col tramite del nuovo e fidato librettista Francesco Maria
Piave, Verdi affronta la grande letteratura del tempo. In Ernani (Venezia
1844), lomonimo dramma di Victor Hugo rivestito con melodie di taglio
originale, elaborati duetti, una straordinaria parte per baritono che prelude a
futuri personaggi di Rigoletto, Traviata e Don Carlos. Da Friedrich Schiller
deriva Giovanna dArco, che va in scena nel 1844, ha successo ma segna anche
una rottura con la Scala durata un quarto di secolo: Verdi, sempre pi sicuro
di s, non sopporta i maneggi dellimpresario Bartolomeo Merelli, il successore di Domenico Barbaja. Lopera seguente per Roma, anche se ambienta
la sua tragedia politico-familiare a Venezia (I due Foscari, 1844). A Napoli,
Alzira (1845), tratta da un dramma di Voltaire, non convince. Cade anche
Attila (Venezia 1846). Il primo incontro con Shakespeare avviene con Macbeth (Firenze 1847) ed premiato per lazione ben pi stringata. Domina
Lady Macbeth, altra figura femminile cardinale nel dramma verdiano con una
magistrale rivisitazione di quel luogo del melodramma che la scena della
pazzia, anzi dellallucinazione. Crescono le commissioni dallestero. Per Londra, nel 1847, Verdi scrive I masnadieri, che il librettista Scipione Maffei ricava dallomonimo dramma di Schiller. Soggiorna per la prima volta a Parigi
nello stesso 1847 per curare la versione francese, intitolata Jrusalem, dei
Lombardi alla prima crociata. Pur fra tanti malintesi, stabilisce un rapporto
con la capitale e con la cultura francese che lo segna per sempre.
Tornato in Italia, scrive con la mano sinistra Il corsaro (Trieste 1848) e d
il suo ultimo contributo ai temi patriottici e risorgimentali con La battaglia
di Legnano (Roma 1849). Ottiene migliori risultati con Luisa Miller (Napoli
1849) ispirata alla tragedia Intrigo e amore di Schiller. Qui lambientazione
borghese, senza politiche e giochi di potere, con il coro in sottofondo, concentra lattenzione sulle emozioni di Luisa, un tipico soprano lirico-drammatico. Laria pi famosa (Quando le sere, al placido), ben inserita in una
grande scena coronata dallimmancabile pezzo di bravura (cabaletta), per
affidata al languido tenore Rodolfo. Grazie ai suoi ben congegnati duetti,
terzetti, quartetti, quintetti e concertati di fine atto, con la velocit dazione
e la finezza dellorchestrazione, Luisa Miller anticipa le soluzioni tecniche
del Verdi maturo. A suo modo prelude al dramma borghese di Violetta anche ladultera ma redenta Lina, moglie del pastore luterano Stiffelio, nellopera omonima adattata da una commedia francese. Stiffelio sfortunato alla
prima di Trieste (1850), appena stimato nella nuova versione con titolo
Aroldo (Rimini 1857), rivalutato solo a fine Novecento. Si arriva cos alla
cosiddetta trilogia popolare (o romantica) che rende Verdi il pi famoso operista del tempo, in Italia come in Europa.
plausi; non mancano duetti e concertati; i cori di armigeri, gitani e popolani sono distribuiti nei punti chiave per introdurre, spiegare, commentare.
Solo pochi mesi dopo aver scatenato tanto fragore, Verdi termina il progetto tanto diverso della Traviata. Mantiene limpianto tradizionale che alterna arie e cabalette, cori e concertati. Sposta per lequilibrio sulla dimensione intima e porta alla ribalta una protagonista femminile diversa dal
consueto: un soprano lirico-drammatico non pi (non soltanto) di forza e
agilit. Cura i timbri dellorchestra, in particolare dei violini, cui affida abili
integrazioni col canto. Ha presente il principio del motivo conduttore, gi
sviluppato da Weber e in parte sfruttato da Wagner. Per il melodramma
italiano sono tutte operazioni rivoluzionarie, che non mancano di sconcertare chi assiste alla prima veneziana. solo quando Verdi ingaggia le voci
adatte che La traviata decolla e conquista il mondo. Peraltro, il problema di
trovare la vera Violetta assilla ancor oggi i direttori artistici dei maggiori
teatri dopera.
La fortuna della trilogia porta nuova fama e buona ricchezza. Verdi pu
rallentare la febbrile attivit degli anni di galera e scegliere con calma soggetti e committenti. Nel 1855 accetta di mettere in musica un libretto che gli
propone Eugne Scribe per lOpra di Parigi. Ne esce Les Vpres siciliennes,
concepiti come grand-opra alla maniera di Meyerbeer e Halvy, con dispiegamento di masse corali, grande orchestra subito impegnata in unampia
ouverture, balletto (Le quattro stagioni) di rigore nel terzo atto, severo De
profundis come finale del quarto, trionfale concertato per voci e coro a chiudere il quinto (e ultimo). I numerosi solisti di canto sono impegnati in tanti
assoli e pezzi dassieme su un arco temporale che raggiunge le cinque ore. Pur
con tanta mobilitazione, lopera ha poca fortuna a Parigi. Va meglio la versione italiana, ridotta, presentata pochi mesi dopo a Venezia e da allora rimasta
in repertorio. Per Venezia, Verdi scrive la nuova opera Simon Boccanegra
(1857), storia tragica e inverosimile di un corsaro diventato doge nella Genova del Trecento. Il fiasco della prima viene dal libretto macchinoso scritto da
Piave quasi sotto dettatura di Verdi, dal canto che procede per lunghi declamati e poca melodia, dalla cupa strumentazione. Solo una profonda revisione
nel 1881 ottiene finalmente un po di successo alla Scala di Milano ma Simon
Boccanegra stenta a restare in repertorio. Lo stesso Verdi consapevole che
non pu diventare davvero popolare ( triste, perch deve essere triste).
Mantiene per il fascino delle opere di transizione. Mostra un Verdi impegnato a intrecciare i sentimenti individuali con le forze crudeli del potere, appena
esplorate in giovent e riprese con maggiore consapevolezza nella maturit.
Sono i temi che reggono i grandi capolavori che seguiranno, da Un ballo in
maschera (1859) a Otello (1883), passando da Forza del destino (1862), Don
Carlos (1867) e Aida (1871).
Ascolti
G. Verdi, La traviata, C. Kleiber, Bayerisches Staatsorchester, dg 1990
G. Verdi, Rigoletto, C.M. Giulini, Wiener Staatsopernchor, Wiener Philharmoniker, dg
1999
G. Verdi, Il trovatore, H. von Karajan, Wiener Philharmoniker, dg 2005
G. Verdi, Verdi Edition. The Complete Operas, Decca 2009
Letture
J. Budden, Le opere di Verdi, 3 voll., edt, Torino 1985-88
E. Sala, Il valzer delle camelie. Echi di Parigi nella Traviata, edt, Torino 2008
M. Mila, Larte di Verdi, Einaudi, Torino 1980
Enciclopedia del pianismo romantico Omaggi a Beethoven e Schumann Movimento unico in forma sonata
Scomponibile in quattro movimenti Calco della Wanderer di Schubert Le sonate di Schumann Le sonate di
Chopin Il pezzo unico di Liszt Brahms: sonate, variazioni, Klavierstcke Compositori non pianisti
La Sonata in si minore di Liszt oggi amata e popolare. I maggiori concertisti lhanno in repertorio. Critici e studiosi non mancano di ricordare che,
terminata nel 1853, per anagrafe, stile e contenuti sta al centro dellOttocento pianistico romantico; che ha fatto epoca e che distingue (ora) la
musica che lha preceduta (il passato) da quella che lha seguita (il futuro)
o che lha ignorata (il presente). Eppure i suoi primi passi sono difficili. Nel
giugno del 1853, il ventenne e ancora sconosciuto Brahms si addormenta
sulla sedia proprio mentre Liszt sta suonando con gran trasporto le battute pi emozionanti della sonata appena composta. Qualche mese dopo,
larrivo della partitura stampata manda su tutte le furie Clara Wieck:
musica orrenda... e sono costretta anche a ringraziare. Gi, perch la Sonata in si minore porta la dedica a suo marito, da poco internato al manicomio di Endenich. Liszt, sempre leale e generoso, intende cos ringraziare
Schumann per avergli dedicato, quindici anni prima, la Fantasia op. 17.
Anche in sala da concerto, la Sonata fatica a decollare: troppo difficile,
complicata, lunga, strana. Passano quasi cinquantanni prima che le sue
ragioni comincino a farsi valere. Ora sappiamo che una vera e propria
enciclopedia del pianismo romantico. E come tale, in essa si pu cercare e
trovare di tutto.
C un evidente omaggio allo stile di Schumann. Per esempio nellAn
dante sostenuto in fa diesis maggiore che serve da momento lirico centrale; e ancora nelle poche battute in Pianissimo, dolce con grazia che bilanciano il Grandioso a piene mani posto a chiusura della prima parte.
Numerosi altri tributi a Schumann sono forse involontari, perch patrimonio tecnico ormai consolidato. Allo stesso modo riportano al Beethoven
dellultima maniera (e in particolare della Sonata op. 111, che Liszt suona
spesso), e sono lossatura della composizione, i due incisi posti come Allegro energico dopo linsolito avvio con rintocchi gravi separati e seguiti
da un enigmatico motivo discendente (cromatico e prewagneriano).
Sullinsieme si stampa il sigillo linguistico lisztiano, con il suo inconfondibile campionario di tecniche e di colori pianistici.
Sono dettagli in parte noti e in parte nuovi, tuttavia accessori rispetto
alla grandiosit dellimpianto complessivo. la struttura della Sonata in si
minore che fa la differenza e la rende unica. Mai il passato classico (la forma
sonata) cos magistralmente fuso con un futuro tanto lontano (lo strutturalismo novecentesco). Come la Fantasia op. 17 di Schumann e molti lavori
dellultimo Beethoven, la Sonata di Liszt costruita per elaborazione ed
espansione di minime cellule di base. Qui, per, il gioco combinatorio pi
ricco e articolato, tanto da rendere lanalisi un esercizio intellettuale fra i pi
affascinanti dellintera storia della musica. A prima vista, la Sonata potrebbe
essere intesa come unenorme architettura tripartita aba libera da costrizioni formali, con altrettante macchie sonore disposte in modo casuale secondo
un vago criterio di accostamento di tre aree timbriche e dinamiche, omogenee nelle sfumature interne e compatibili nei contorni esterni.
Osservando con pi attenzione, si scopre per che la Sonata rispetta molte regole classiche. Poche battute di Lento assai definiscono una specie di
cellula germinale. Nella prima sezione (a: Allegro energico) esposto un
tema (beethoveniano) fatto di due incisi distinti e complementari. la
prima elaborazione. Da un ponte virtuosistico sbocca un secondo tema
(Grandioso), tutto lisztiano e magnificamente plateale. La nuova e pi
lunga sezione di collegamento porta a una cadenza dopo la quale, su un nuovo tema (Andante sostenuto in fa diesis maggiore), inizia la sezione centrale di sviluppo (b), coronata da un robusto fugato. Con la ripresa (a), tornano
i temi di partenza, nelle versioni originali o poco modificate. Dopo un terrificante scoppio di virtuosismo, la Sonata termina con una coda in tempo
lento (Andante sostenuto) e con sonorit rarefatte, al limite del silenzio.
Portando lanalisi ancora oltre, esiste un terzo livello di organizzazione,
coerente con una struttura articolata in quattro movimenti. Si riconosce
nella prima parte un Allegro di sonata con ridotta sezione di sviluppo.
LAndante sostenuto diventa movimento lento. Il fugato funge da Scherzo sul quale sinnesta direttamente il finale mentre lAndante sostenuto,
che torna per chiudere, conferma la concezione ciclica dellintera Sonata. In
fondo la Fantasia Wanderer (1822) di Franz Schubert, che Liszt ama moltissimo, ha questo tipo di architettura.
La molteplicit delle letture possibili della Sonata in si minore testimonia
la difficolt che il glorioso genere incontra a met Ottocento, quando cerca
di rinnovarsi. Nel decennio che dedica alla sola musica per pianoforte (182939), Schumann ha ben presente quanto sia complicato il rapporto con il
passato classico di Mozart e Beethoven. Cerca vie nuove al genere della sonata, senza arrivare a soluzioni innovative nelle due classificate come op. 11
(1835) e op. 22 (1833-36). Prova a rompere gli schemi con lop. 14 (1836)
che intitola Concerto senza orchestra perch ritiene che tutti i materiali musicali, timbri compresi, si possano concentrare sulla tastiera. Ottiene risultati
assai convincenti nella grande Fantasia op. 17 (1836), che per non sintitola
Sonata: ha tre soli movimenti disposti in modo inconsueto (lAdagio fa da
finale), gli unici ampi e articolati, degni di essere confrontati con gli ultimi
esperimenti sonatistici di Beethoven, anzi di Schubert. Lamico e coetaneo
Mendelssohn scrive sonate per pianoforte che si allontanano ancora meno
dalla tradizione ma non entrano nel repertorio concertistico.
Anche Chopin compone sonate, ma in tempi diversi e con altre intenzioni, sempre mantenendo larticolazione in quattro movimenti. La prima (op.
4, 1828) giovanile e segue le mode dei pianisti virtuosi del tempo. La seconda (op. 35, 1839) invece centrale e rivoluzionaria. Un paio di battute in
grave per introdurre un conciso Doppio movimento tripartito e un rapido
Scherzo martellato sono i primi due movimenti. Serve da movimento lento una Marcia funebre passata alla storia non meno di quella celeberrima
dellEroica di Beethoven: il pianoforte di Chopin imita tamburi coperti, lamenti di tromboni, passi cadenzati, inni di commilitoni. Nessun legame con
la tradizione ha il finale, un sussurrato frusciare di dita, senza melodia e
senza scosse, informale puro, presagio di un futuro angoscioso. La Terza sonata (op. 58, 1844) di Chopin appartiene agli ultimi anni ed quasi un contraltare rispetto alla ricerca di nuove forme che leggiamo in altri lavori del
tempo: Quarta ballata, Polacca Fantasia, Barcarola. Come la Berceuse si appoggia alla classicit delle variazioni, la Terza sonata ritrova le regole della
classicit: primo movimento con distinto confronto fra due temi, spiritato
Scherzo, esteso Adagio in stile duetto operistico belliniano, velocit siderali da staccare nel Rond conclusivo. Per un approccio davvero innovativo alla sonata per pianoforte bisogna aspettare, nel 1853, il contributo di
un altro contemporaneo, appunto Liszt.
Infatti, la Sonata in si minore una geniale trasposizione, in musica, del
principio delle scatole cinesi. Tanto geniale che capita talvolta di non andare
oltre la prima scatola, quella pi esterna, fatta di abbaglianti invenzioni timbriche e di appassionanti acrobazie, custode del contributo musicale pi
personale di Liszt pianista. Sfuggono cos le preziose scatole interne, che
sono pura tecnica musicale, soprattutto larchitettura a simmetria centrale,
apprezzata e replicata fin dal primo Novecento da Arnold Schnberg, che
ne riprende i principi nella sua Sinfonia da camera (1906), e da molti altri
dopo di lui. Fuori dalla musica ci sono altri significati? Dopo tutto, Liszt
uno degli inventori della musica a programma. La ricerca di cose metamusicali appare legittima. per resa difficile dallassoluta mancanza, nella Sonata, di addentellati biografici. Sul frontespizio, accanto alla dedica, sta scritto
solo: Completata il 21 febbraio 1853. Il resto fatto di note, con le tradizionali indicazioni agogiche. La fantasia di esegeti e biografi si comunque
scatenata. Ecco tre ipotesi recenti, nessuna definitiva. La sonata la versione
musicale della leggenda di Faust, con temi specifici attribuiti alle figure di
Mefistofele, Faust, Margherita. Tratta del divino e del diabolico. Si basa
sulla Bibbia e sul Paradiso perduto di Milton. unallegoria del Giardino
dellEden, descrive la caduta delluomo, ha temi dellOnnipotente, di Lucifero, del Serpente, di Adamo ed Eva.
Negli stessi anni, esordisce con tre sonate il ventenne Brahms, pianista
valente per ancora fuori dai giri musicali che contano. Anche lui cerca nella
fiaba e nella letteratura popolare spunti per rinnovare il genere. LAndante,
secondo movimento della Sonata op. 1 (1852), fatto di tre variazioni su un
antico canto di Minnesnger. Nel finale, lo stesso Brahms ammette di essersi
ispirato a una ballata scozzese di Robert Burns. Da un altro poeta cantore
duecentesco, il conte Kraft von Toggenburg, riprende la melodia per le tre
variazioni dellAndante con espressione, secondo movimento della Sonata
op. 2. E ancora: tre versi romantici (un amore al chiaro di luna) del modesto poeta Otto Inkermann sono lepigrafe dellAndante espressivo della
Sonata op. 5. Distribuiti in altre pagine, troviamo gli accenti popolareschi e
i passaggi in stile corale che saranno una costante del linguaggio di Brahms
in tutte le sue espressioni ed epoche. Il segno che pi emerge in questi lavori giovanili tuttavia quello di Beethoven e della sonata classica. La concezione titanica dellHammerklavier pervade il primo movimento dellop. 1, il
Tema del destino della Quinta sinfonia spunta nello Scherzo dellop. 1
e nellIntermezzo dellop. 5. Ovunque il contrasto fra temi mascolini e
femminini il motore dellazione musicale. Costante la disposizione dei
movimenti nella sequenza canonica Allegro-Adagio-Scherzo-Finale, con
laggiunta di un quinto tempo (Intermezzo) nellop. 5. Larticolazione interna tuttavia assai libera, supera lessenzialit beethoveniana e cerca in
Schumann (ancora la Fantasia op. 17) e in Mendelssohn le vie di scampo
impossibili nella forma classica. Lancora acerbo Brahms che scrive queste
sonate fra 1852 e 1853 sente anche i richiami virtuosistici di Liszt, pi per
nel senso muscolare di forza e di perorazione eroica (finale dellop. 5, per
esempio) che di ricerca di leggerezza e di sperimentazione timbrica. Il suo
pianoforte ama le sonorit dense, la scrittura fitta, sta nel registro centrale,
evita trine e svolazzi.
Lincontro di Brahms con Schumann (1853) porta a un cambiamento
radicale. Il maestro, in uno dei pochi momenti di lucidit (o di estremo delirio) concesso dalla follia galoppante, vaticina al giovane un futuro da successore di Beethoven e legge nel suo pianismo una spiccata vocazione orchestrale. Brahms, sconvolto, abbandona larchitettura dialettica della sonata e si
Ascolti
F. Liszt, Piano Sonata in B minor etc., V. Horowitz, emi 2005
J. Brahms, Works for Solo Piano, J. Katchen, Decca 1997
Letture
E. Hanslick, Il bello musicale, Martello, Milano 1971
P. Rattalino, La sonata romantica e altri saggi sulla letteratura del pianoforte, il Saggiatore,
Milano 1985
A. Walker, Reflections on Liszt, Cornell University Press, Ithaca 2005
C. H. Gibbs, D. Gooley (a cura di), Franz Liszt and His World, Princeton University
Press, Princeton 2006
Serie VIII.
Nazionalismi
Pianoforte timido, solitario, temerario Vuoti e pieni orchestrali Invenzioni formali Nato come sinfonia Concerto dopo Beethoven Chopin Mendelssohn Schumann Liszt Totentanz Saint-Sans ajkovskij
Secondo concerto di Brahms Rachmaninov Busoni
Il pianoforte ha un ruolo molto particolare nel Primo concerto per pianoforte e orchestra di Brahms. Non il solista attorno al quale ruota tutto e che
riduce lorchestra a semplice supporto accompagnante. Non fa neppure
parte dellorchestra stessa, perch usa tutte le sue risorse timbriche per differenziarsi. Evita di porsi come stabile polo dialettico. Talvolta diventa protagonista, spesso canta da solo, altre volte si limita ad ascoltare. Tutto il
complesso materiale melodico del primo movimento, non a caso definito
Maestoso, presentato dalla sola orchestra nel corso di una lunghissima
introduzione (circa quattro minuti). In fortissimo, sostenuti da rullo di timpani e da lunghe note di bassi, violini e violoncelli proclamano subito il tema
principale, con il suo contorno netto e limperioso slancio verso lalto, con la
pronta ricaduta che garantisce la simmetria. Dopo laffermativa ripetizione,
entra un secondo motivo, speculare. Nel senso che si limita a pochi intervalli, esposti timidamente in piano per esaltare il contrasto con la foga del precedente. Un terzo motivo mantiene laccento espressivo prima che il ritorno
di quello tempestoso chiuda lintroduzione orchestrale e finalmente lasci
spazio al pianoforte.
Il solista attacca timido, su una variante dei motivi lirici e solo dopo minuziosa preparazione alza la voce e affronta laggressivo primo tema. Una
lunga transizione con orchestra porta al momento in cui il pianoforte, in
completa solitudine, elabora il delicato secondo motivo, prima come corale
e poi affiancato dai controcanti che ne sfumano il contorno e alleggeriscono
il peso. Quasi allimprovviso ci si ritrova nellintimit di un salotto familiare,
a fare musica da camera, con delicate intromissioni di flauti, oboi, clarinetti.
La dolcezza del pianoforte incontra leco boschivo dei corni. Lidillio ha un
brusco risveglio quando allimprovviso esplodono le temerarie doppie ottave del solista, martellate, scoperte, rischiosissime. Sono cose lisztiane, inaspettate in Brahms, che lasciano stupefatti quando singoli accordi del pianoforte si scontrano con il rombo della grande orchestra nel momento di
massima tensione. Esaltando i meccanismi che abbiamo imparato a ricono-
Gottschalk al suo esordio a Parigi, pronto per la sua inebriante carriera oltre
Atlantico. Gi nel 1835 lop. 11 diventa pezzo dobbligo per diplomarsi al
conservatorio di Parigi. A met Ottocento, il virtuoso lisztiano Carl Tausig
ne conferma la fortuna. Per lintero Novecento cavallo di battaglia dei
concertisti pi famosi. Tuttora la forza dei passaggi di bravura ha il potere di
conquistare, mentre la dolcezza delle tante melodie illumina sia il tempestoso Allegro maestoso (primo movimento) sia la delicata Romance (secondo), con il finale Rond a fare il pieno di passi popolareschi spiccati in
ubriacante velocit.
Negli anni trenta, solo Mendelssohn riesce a inserire il solista nei ranghi
dellorchestra, soprattutto nel primo (op. 25, 1831) dei suoi due concerti,
grazie a una scrittura concertante che rimanda ai modelli sempre vivi di Beethoven (Quarto concerto) e di Mozart (K 466, 467, 491, 595). Fa tesoro anche
delle esperienze formali e narrative di Weber, che nel gi citato Konzertstck
usa un tema ricorrente e le sue metamorfosi per esprimere le emozioni della
castellana che trema per la sorte dellamato crociato, lo piange morto, gioisce
per il suo ritorno. Senza entrare nel narrativo e senza stravolgere larchitettura classica, Mendelssohn connette fra loro le tre parti del suo primo concerto
e chiude con una gioiosa ripresa della seria melodia con cui parte.
Il problema di come rinnovare, dopo il ciclone Beethoven, larchitettura
del primo movimento del concerto per pianoforte, condiziona Robert Schumann, che esita ad aggiungere lorchestra al suo amatissimo strumento.
Prova con unopzione intermedia (op. 14, 1836), una sonata abbastanza
tradizionale per pianoforte solo, che intitola Concerto senza orchestra. Archivia cos lancora diffusa pratica dellorchestra ad libitum, cio con partitura scritta ma irrilevante per la sostanza artistica. Anticipa il concetto di moderna orchestra virtuale, cio con partitura non scritta perch lasciata libera
alla fantasia di chi ascolta. In verit pochi lo seguono, tranne il bizzarro
Charles Valentin Alkan, autore di un monumentale (50 minuti buoni) Concerto per pianoforte solo, collocato subito dopo una sua Sinfonia, sempre per
pianoforte solo, nella collezione di 12 Studi trascendentali op. 39 (1857).
Schumann trova una soluzione parziale nel 1841, aggiungendo una parte
orchestrale a una Fantasia per pianoforte dedicata alla concertista Clara
Wieck da poco diventata sua moglie. Per almeno dieci anni progetta un
concerto, ne abbozza almeno quattro versioni e giunge a un primo compromesso allinsegna della libert, cio della fantasia. Tralascia le convenzioni
classiche. Come in Carnaval, gioca sulle permutazioni di poche note (dedotte dal nome di Clara), inventa un disegno nuovo, in cui il pianoforte in
primo piano, ma non si oppone allorchestra e non ne fa parte. Piuttosto, il
pianoforte integra e accompagna singoli strumenti in frequenti spazi che
sono pi da musica da camera che da sala da concerto. Il caso pi indicativo
lassolo di clarinetto che sbuca improvviso come una voce di Lied e si appoggia sulle discrete note del solista. Quattro anni dopo, finalmente, Schumann decide di farne un concerto completo e aggiunge due movimenti alla
Fantasia, in s conclusa. Il collante un artificio ingegnoso. Il tema principale della Fantasia serve per costruire il nuovo Intermezzo (secondo movimento), dove genera una variante sulla quale sinnesta lAllegro vivace finale. Presentato per la prima volta da Clara a Dresda il 4 dicembre 1845 e
subito ripetuto nelle capitali dEuropa, il concerto di Schumann diventa un
caposaldo del repertorio concertistico e tale rimane tuttora. un esempio
fondamentale, ma non risolve il problema di trovare un vero dialogo fra
pianoforte e orchestra.
Il tentativo generoso di Henry Litolff di collegarsi a Beethoven con i suoi
cinque concerto-sinfonia (1844-55) non regge il confronto con le soluzioni
innovative che Liszt propone in due concerti distinti per impostazione ma
complementari nella sostanza. Il primo, in mi bemolle maggiore, terminato
nel 1856, inizia con una pirotecnica esibizione di forza e di mira del solista. Il
mulinare delle braccia necessario per opporsi con sonore doppie ottave al
fragore dellorchestra uno spettacolo visivo oltre che unemozione acustica.
Per soltanto un modo per rompere il ghiaccio e fissare un riferimento sicuro. Subito si passa al lirismo, al dialogo delicato, alle invenzioni che portano il
primo e breve Allegro maestoso a sciogliersi direttamente nel Quasi adagio, a sua volta articolato in un ampio interludio orchestrale, una parte per
solo pianoforte, uninattesa esposizione di nuovo materiale melodico. Tutto
ripetuto pi volte in modo da essere riconosciuto quando ricompare nellAllegro animato che chiude il lavoro riprendendo i motivi precedenti in
un clamoroso esercizio di bravura sia del solista sia dellorchestra. Prima per
sinserisce un delizioso Allegretto vivace, dove le scorribande sulla tastiera
sono accompagnate dal tintinnio del triangolo, gradevole a molti, insopportabile ad altri, fra i quali lostile critico Eduard Hanslick che peraltro conia la
felice espressione di Concerto per triangolo e orchestra. Tanto brillante,
scarmigliato e rapsodico il Primo concerto di Liszt, quanto compatto e coordinato appare il Secondo, completato nel 1857. Non ci sono le distinzioni
nette fra singoli movimenti, ma un continuo fluire di distinti episodi musicali
fra loro connessi, come nella Sonata in si minore per pianoforte solo. Per
larticolazione suggerisce i tre momenti classici Allegro-Adagio-Allegro, saldati fra loro da transizioni talmente importanti da sembrare strutturali. Non
c un singolo elemento (come il passaggio per doppie ottave del primo concerto) che incolla i diversi pannelli, ma un binomio di materiali melodici che
ricompaiono mutati in ciascun segmento primario o secondario. E si riconoscono i caratteri del concerto beethoveniano nella filigrana che permette le
inserzioni corsare di un pianoforte mai come ora integrato allorchestra.
grande virtuoso Anton Rubintejn, per il quale il concerto pensato, lo ritiene ineseguibile. Ci riesce invece Hans von Blow: la sua memorabile
prima esecuzione a Boston (1875) apre la strada a un successo trionfale che
dura tuttora. A Blow giova lessere allievo di Liszt (come pianista) e familiare con lorchestra di Wagner (come direttore): la buona riuscita del concerto, allora come oggi, legata al perfetto coordinamento fra solista e direttore, in particolare nel critico e rapsodico primo movimento. Infatti, nemmeno laver trovato gi nel testo scritto un buon equilibrio nel cruciale primo movimento aiuta la (scarsa) fortuna del Secondo concerto di ajkovskij
(op. 44, 1882).
Lo stesso Brahms fatica a risolvere il problema del primo movimento:
eroico o lirico, rapsodico o geometrico, neo o postbeethoveniano? La genesi
del Concerto op. 15 tortuosa. Inizialmente concepito come sinfonia, diventa sonata per due pianoforti, infine assume la configurazione attuale, in
cui il peso della storia emerge in ogni battuta: la lunga introduzione orchestrale alla maniera del Terzo di Beethoven, il tono cameristico alla Schumann,
le doppie ottave alla Liszt, il corale alla Mendelssohn. Di suo, il venticinquenne Brahms mette il lirismo caldo delle melodie e, soprattutto, unelaborazione continua del materiale che pone ogni sua riproposizione sotto una
luce diversa. Gli serviranno altri ventanni per affinare il metodo e trovare, si
direbbe finalmente, la sintesi perfetta nel suo Secondo concerto per pianoforte
(op. 83, 1881). Il cui primo movimento mantiene unenorme libert formale,
concede molto spazio individuale al pianista, trova quel magico equilibrio
dassieme che deriva dalla profonda familiarit acquisita da Brahms col linguaggio sinfonico. Tuttavia, nel Secondo concerto, il momento pi emozionante si ha quando, in apertura del terzo movimento (Andante), canta il
violoncello, il pianista lo accompagna e torna quel sapore cameristico che
Brahms eredita da Schumann e dalla grande tradizione tedesca. Il secondo
movimento (Allegro appassionato) un monumentale scherzo, alla maniera del rivale sinfonico Bruckner. Il finale (Allegretto grazioso) pura
nostalgia per il rond del passato classico.
Il Secondo concerto di Brahms ha successo immediato. Nei quattro mesi
successivi alla prima esecuzione (9 novembre 1881) lautore lo esegue in non
meno di 20 citt tedesche, svizzere, austriache, olandesi. Entra subito nel
repertorio dei grandi concertisti. Diventa un riferimento per i celeberrimi
concerti Secondo (1901) e Terzo (1909) del russo cosmopolita, pianista e
compositore Sergej Rachmaninov. Chi meglio ne raccoglie lo spirito forse
Ferruccio Busoni, con il suo immenso Concerto per pianoforte, orchestra e
coro maschile op. 39 (1904). A suo modo quadra il cerchio che vuole legati il
pianoforte e lorchestra, il concerto e la sinfonia, il solista e il tutti, Beethoven
e i suoi eredi.
Ascolti
J. Brahms, Piano Concerto No. 1, L. Bernstein, G. Gould, Sony 1998
J. Brahms, Klavierkonzert No. 2, C. Abbado, M. Pollini, Berliner Philharmoniker, dg
1997
J. Brahms, Complete Works, dg 2009
Letture
J. Swafford, Johannes Brahms: A Biography, Alfred A. Knopf Inc., New York 1997
M. MacDonald, Brahms, Schirmer, New York 1990
C.M. Schmidt, Johannes Brahms, Philipp Reclam, Stuttgart 1994
M. Musgrave, The Music of Brahms, Routledge & Kegan Paul, London 1985
Uno nella sostanza e trino nella forma Ispirato da Schubert Complessi da camera Quartetti professionisti stabili Mendelssohn, Schumann, Brahms Il trio con pianoforte Quartetti e quintetti con pianoforte Ramificazioni
nel Novecento
LAllegro non troppo del Quintetto op. 34 uno dei pi ambiziosi primi
movimenti di Brahms. Appare diviso nelle classiche tre sezioni: esposizione
di due poli tematici contrastanti elaborati nella centrale sezione di sviluppo
e ripresi in quella finale. In realt assai pi complesso. Gi il primo polo
molto articolato: anticipato da pianoforte, violino e violoncello, sospeso da
uninserzione nervosa, affermato in fortissimo da tutti. Per subito si trasforma in un episodio di carattere opposto (dolce espressivo) che serve da transizione verso il secondo polo. Una nuova melodia, cantata a bassa voce, si
espande sinuosa su pi strumenti, genera una variante e un brusco terzo tema con cui la prima parte del movimento termina. Le due aree armoniche
sulle quali sono collocati i poli (fa minore e do diesis minore) sono la fonte
del contrasto dialettico voluto da Brahms, ma la fluidit dei passaggi melodici ne confonde i contorni e smussa gli spigoli, perch ogni segmento nasce
dal precedente e genera il successivo. In cima sta linciso iniziale, che tutto
fa ruotare. La sezione di sviluppo pu allora diventare molto stringata, perch lelaborazione del materiale gi iniziata nellesposizione. Non campo
per battaglie tematiche beethoveniane. orizzonte infinito per sfumature
armoniche che rendono liberatorio lirrompere del tema dinizio, cio il
momento della ripresa, con nuova elaborazione prima della sintesi finale, a
garanzia dellunit della costruzione tutta.
Essere uno nella sostanza e trino nella forma, rende questo Allegro non
troppo il vero punto di svolta del linguaggio musicale brahmsiano. una
conquista faticosa, nel caso specifico e anche in generale. La versione finale,
per pianoforte e quartetto darchi, lapprodo di un progetto durato almeno
tre anni. Non ha successo la versione che subito precede, in forma di sonata
per due pianoforti, eseguita in pubblico il 17 aprile 1864 a Baden-Baden
dallautore e dal pianista di scuola lisztiana Carl Tausig. Qualche mese dopo,
Clara Wieck vedova Schumann studia il testo assieme al direttore dorchestra Hermann Levi. Scrive allamico Brahms: un lavoro tanto pieno didee da chiedere unorchestra intera. Al pianoforte, la maggior parte delle
idee si perdono... Per favore, rivedilo ancora una volta. Clara sa che lorigine risale a due anni prima, quando riceve il manoscritto di un quintetto con
secondo violoncello ispirato a Brahms dallo straordinario Quintetto di Franz
Schubert, appena riscoperto e pubblicato. Lo legge e ne entusiasta. Esprime solo qualche riserva sulla scrittura. Cauto anche lamico violinista Joseph Joachim, che propone numerose varianti strumentali. Come nel caso
del primo concerto per pianoforte e orchestra, finisce che il pianista Brahms
porta tutto su due tastiere. Lui stesso non convinto del risultato. Distrugge
loriginale per soli archi, non si fida di trasferire il gran materiale allorganico
orchestrale e prova una soluzione intermedia, in un nuovo genere di musica
da camera con taglio sinfonico e presenza del moderno pianoforte. Come
sempre, Brahms si volge al passato. Come sempre trova molti problemi, lasciati in eredit da Ludwig van Beethoven.
In un quadro di grande incertezza su forme e significati della musica, a
met Ottocento, il genere della musica da camera cerca nuova identit e
nuovo pubblico. Soffre in particolare la sua espressione pi prestigiosa, il
quartetto per archi, la cui fortuna si affievolisce gi ai tempi di Beethoven.
Puntando su esecuzioni professionali in sala da concerto, i grandi autori
(Haydn e Mozart prima, ancor pi Beethoven poi) prosciugano il fiorente
mercato dei dilettanti e della loro musica fatta in casa. In parallelo crescono
le attese degli interpreti e di un pubblico dintenditori abituato ad ascoltare
pi che a suonare. Seguendo lesempio del mitico quartetto Schuppanzigh,
si diffondono i complessi stabili, professionisti e itineranti sulla scia dei virtuosi di violino e pianoforte. Nei decenni centrali del secolo operano con
successo il quartetto di Ferdinand David e quello di Louis Spohr. Dilaga
anche la pratica del violinista di passaggio che si integra con altri tre artisti
stanziali, cio residenti nelle citt pi importanti. Fa cos, per tutta la sua
lunga carriera, il famoso Joseph Joachim, che ha quartetti semistabili a Berlino, Londra e Parigi, dove si fa accompagnare da pianisti locali nelle occasioni in cui si esibisce da solista. Nelle grandi capitali, accanto alle societ
orchestrali e corali, nascono le Societ del Quartetto con autonome e ben
frequentate stagioni di musica da camera.
In parallelo rifiorisce linteresse per il genere quartetto che il ciclone Beethoven di fatto arresta negli anni venti. Lunico erede diretto Mendelssohn,
che per ammette di non capire gli ultimi quartetti di Beethoven e che nei
suoi cinque lavori sispira a quelli dellet di mezzo, e forse ancor pi a quelli che Mozart dedica a Haydn. Il primo che trova il bandolo Schumann,
quando abbandona la monomania pianistica e, spinto dalla moglie Clara e
dallamico Mendelssohn, nel 1842 si dedica a tempo pieno alla musica da
camera. Agisce con metodo. Affrontando appunto il quartetto per archi,
Schumann tiene conto dellesperienza dellamico, soprattutto della sua ma-
periodo (1856-61) sono i primi abbozzi del terzo e ultimo quartetto con
pianoforte, pubblicato oltre dieci anni dopo (op. 60, 1875), reso pi conciso
e introverso dalle successive revisioni. Continuano a scrivere quartetti con
pianoforte il boemo Dvok (op. 23, 1875; op. 87, 1889), i francesi SaintSans (op. 41, 1875) e Faur (op. 15, 1876; op. 45, 1887). Il ventenne tedesco
Richard Strauss nel 1884 vince un concorso di composizione proprio con un
quartetto con pianoforte. Per, dopo Brahms, linteresse per questa formazione sfuma. Nel Novecento, uno dei pochi che lo considera Aaron Copland (1951). Invece cresce lattenzione per il quintetto con pianoforte.
I primi a combinare i quattro archi tradizionali con il moderno pianoforte sono, a fine Settecento, Jan Ladislav Dussek e Luigi Boccherini. Beethoven non osa contaminare il classico quartetto darchi e affida ai fiati il suo
unico e giovanile quintetto con pianoforte (op. 16, 1795), ispirato da un
precedente mozartiano (K 452, 1784). Hummel (1802) e Schubert (Della
trota, 1819) sostituiscono il secondo violino con un contrabbasso, per bilanciare linvadenza del pianoforte. La nuova combinazione fatica per a decollare. Le cose cambiano con Schumann. Dopo aver sperimentato il quartetto,
ritiene che la musica da camera per soli archi non regga la concorrenza del
pianoforte, strumento ormai presente in tutti i saloni dellimpoverita aristocrazia e dellarricchita borghesia. Nellautunno del 1842 Schumann affronta,
per primo, il quintetto con pianoforte con lop. 44. Valorizza il gioco concertante e la naturale dialettica fra suoni di corde sfiorate e di corde percosse.
Integra i timbri scomponendo gli archi e trasformandoli in solisti, con lunghe parti per violino e per violoncello che il pianoforte discretamente accompagna. Interviene anche sulla forma: accanto alla tradizionale suddivisione
in quattro movimenti distinti, forte il senso di unitariet portato dal tema
principale del primo movimento, che diventa base per la melodia del secondo e torna come sintesi finale nel quarto.
Quando, ventanni dopo, Brahms affronta il quintetto con pianoforte,
cerca di andare oltre lesempio di Schumann e concentra sul primo movimento lo sforzo di unificare larchitettura musicale con lelaborazione continua di una cellula strutturale. In tutto il suo Quintetto traspare la voglia di
superare le limitazioni dellorganico e di afferrare il linguaggio sinfonico che
ancora gli sfugge. Si sente che Brahms ha lorchestra in mente, come osserva
correttamente Clara. Il secondo movimento, pur dominato dalla ninna nanna del pianoforte, trova negli archi passaggi e spessori che paiono pensati per
fiati, ora in legno, ora in ottone. Sonorit massicce e contrapposizioni fra
pianoforte e archi reggono lo Scherzo, nel quale spuntano anche cose
contrappuntistiche. Nel Finale, Brahms riscatta il suo legame con la musica zigana. Il sapore popolaresco si gusta nei ritmi accesi, nelle intromissioni
di bande, nellimprevedibilit delle soluzioni. Poco dopo, Brahms scrive le
collezioni di Danze ungheresi per pianoforte a quattro mani che gli daranno
fama internazionale, non meno dei tanto ammirati valzer di Johann Strauss.
Il quintetto con pianoforte, dopo Brahms ha rapida diffusione. Lamico
Dvok, nel suo Secondo quintetto (op. 81, 1887), applica lo stile serioso nei
primi due movimenti e, negli ultimi due, sostituisce il tocco ungaro-zigano
con quello boemo delle danze nazionali furiant e dumka. NellUngheria
asburgica il quintetto con pianoforte accolto dal tradizionalista Ern
Dohnnyi (1895 e 1914) e dal giovane innovatore Bartk (1904). La rinascita
della musica da camera francese nel secondo Ottocento produce ottimi risultati anche nel quintetto con pianoforte. Come sempre succede, Saint-Sans
in prima linea (1855), seguito da Franck (1882) e Faur (1905 e 1921). Il
quintetto ha fortuna in Russia con Borodin, che nel 1862 si lega direttamente
a Schumann e inaugura una tradizione che porta ai romantici Anton Rubintejn
(1876) e Anton Arenskij (1911). Assieme al finlandese Sibelius (1890) emergono gli inglesi Bridge (1912) ed Elgar (1918). Perfino nellItalia del melodramma scrivono quintetti con pianoforte Giuseppe Martucci (1878), Giovanni Sgambati (1886) e Ottorino Respighi (1902). In Germania simpegnano
Max Reger (1898 e 1902) e Hans Pfitzner (1908), con un valido contributo del
direttore dorchestra Wilhelm Furtwngler (1935). Lesordio di Anton Webern un primo tempo di quintetto rimasto incompiuto (1907). Nel Novecento, tuttavia, linteresse in parte sfuma. Resiste in Unione Sovietica con Dmitrij
ostakovi (1940), Sofija Gubajdulina (1957), Alfred Schnittke (1972-75).
Dagli Stati Uniti, al poststrutturalismo di Elliott Carter (1997) si affianca il
minimalismo di Morton Feldman (Piano and String Quartet, 1985). Il quintetto con pianoforte entra nel terzo millennio con linglese Thomas Ads (2000).
Ascolti
J. Brahms, Piano Quintet in F minor, op. 34, A. Rubintejn, Guarneri Quartet, rca 1967
D. ostakovi, Sting Quartet No. 3, Two Pieces for String Octet, Piano Quintet, S. Richter,
Borodin Quartet, Melodiya 1997
Letture
W. Sandberger, Brahms Handbuch, Metzler-Brenreiter, Stuttgart-Kassel 2009
B. Smallman, The Piano Quartet and Quintet: Style, Structure, and Scoring, Oxford University Press, New York 1994
C. Rostand, Johannes Brahms, Fayard, Paris 1978
arrivo proprio lesordio del terzo e ultimo atto di Tristano e Isotta. Bastano
pochi strumenti, non lintera orchestra, solo un violoncello e un corno inglese, per mettere in scena il vuoto, la desolazione della fine, quando tutto
perduto.
Lazione vera si esaurisce alla fine del secondo atto. Re Marke torna dalla
caccia e scopre che la moglie Isotta ha trascorso una notte damore assieme
al suo fido cavaliere Tristano. La coppia in realt innocente, perch vittima
del filtro damore che di nascosto lancella Brangania ha dato loro da bere,
alla fine del primo atto, durante il viaggio per mare che porta Isotta in sposa
al vecchio re. Le di scorta Tristano, colui che le ha ucciso il fidanzato. Isotta vuole vendetta. Chiede a Brangania un veleno per lui. Arriva invece il filtro
damore per entrambi, che agisce per tutto il secondo atto, interrotto dalla
lancia della guardia di re Marke che colpisce lincolpevole Tristano. Nel
terzo atto c solo spazio per il rimpianto, per lattesa delladdio. Il pastore
smette di zufolare e chiede se Tristano sveglio. Lo scudiero Kurvenald annuisce. Tristano ferito, forse ancora preda del filtro, invoca Isotta. Sopraggiunge invece Marke, che si scusa, addolorato. Infine compare lei, troppo
tardi per farlo rivivere, in tempo per seguirlo nella tomba innalzando il pi
bel canto damore dellintera storia della musica. Che cosa dice non importante. Come lo dice invece s.
Il canto finale di Isotta, famoso come Morte di Isotta, a suo modo un
pezzo chiuso alla maniera italiana, anzi belliniana. Non diverso da una
scena finale di un melodramma del maturo Donizetti o del giovane Verdi.
Isotta entra, scopre lamato defunto, si dispera, si ricompone, si getta nel
lamento estremo, muore. Wagner non pu (per sua teoria) mettere cesure e
numeri fra questi diversi momenti drammatici (e musicali), ma la filigrana
evidente in partitura. Usa larmonia e il timbro per mantenere la continuit
del racconto e dellemozione che ne deriva. Il suono dellorchestra guida la
voce, anticipa lespressione e sostiene il respiro. Il ricordo della passione vive
pi nella musica, meno nelle parole. La linea del canto tesa, lineare, senza
abbellimenti e spazi virtuosistici. Melodia pura. Lorchestra procede per
ondate, accumula tensioni che lascia dissolvere mentre le successive incombono, si aggregano, si confondono. Pi che un discorso compiuto un sovrapporsi di tumulti danimo. La narrazione procede per macchie sonore,
disposte in modo quasi casuale e con i vaghi segnali dei Leitmotiv a fare da
incerto tessuto connettivo.
il risultato che Wagner ottiene svuotando il ruolo funzionale dellarmonia tonale. Con il cromatismo esasperato, cio con linserimento in soprannumero di note estranee alle tonalit di partenza, intermedie, di arrivo,
svuota il concetto di modulazione su cui si basa la costruzione musicale
classica, da Rameau e Bach fino ai giorni suoi. La scelta consapevole. Tri-
tonalit, cio il cromatismo sfrenato che emerge nei suoi lavori di quegli
anni: il Grand galop chromatique del 1838 e le ambiguit tonali e formali
della Sonata in si minore risalgono al 1853. Secondo Liszt, ogni nuova composizione dovrebbe avere almeno un accordo nuovo. Blow segue la regola
nel suo esercizio di composizione per orchestra intitolato Nirvana. Inventa
laccordo del Tristano. Wagner se ne impossessa e costruisce un proprio
nirvana partendo da una base (armonicamente) inconsistente sulla quale ricama una variazione continua che la mancanza di regole e di sistematicit
rende infinita. il sogno di totale anarchia musicale che si esalta in quellonirica fuga dal tempo e dalla realt che limmenso duetto del secondo atto,
quasi unora, interrotto dallirruzione di re Marke e dalla spada di Melot che
colpisce Tristano. Gli antefatti sono narrati nella traversata del mare del
primo atto, dove troviamo anche i motivi conduttori che danno un minimo
di coerenza al delirio cromatico del flusso musicale, insieme alla storia forte
di un amore costruito sulla pozione magica, finito con la morte di Tristano e
il sacrificio redentore di Isotta.
Il suono di Tristano sconcerta e ammalia il pubblico e ancor pi la comunit musicale dellEuropa tutta. La provocazione wagneriana attecchisce e
divide. Molti, i pi, serrano le regole dellarmonia tonale, recuperano le
forme classiche nel segno della musica assoluta. Reagiscono sparando, con il
critico viennese Eduard Hanslick, su un bersaglio sbagliato, cio su Wagner
teorico della contaminazione della musica pura con le altre arti dello spettacolo, cio sul filosofo e sul letterato, non sul musicista che violenta il sistema tonale. Vedono in Brahms il campione, improvvisamente descritto come
cauto e conservatore. Sul versante opposto, i wagneriani fanno tesoro
delle innovazioni armoniche, anzi mettono ordine alla valanga di novit nel
fiume delle note estranee. Paradossalmente in Francia che maturano i frutti migliori, su un terreno arato da Berlioz con la supervisione di Liszt. Diventa un obbligo rendere omaggio ai luoghi wagneriani, prima a Monaco poi a
Bayreuth. Lo scanzonato Emmanuel Chabrier torna da un pellegrinaggio
con il gustosissimo Souvenirs de Mnich, riscrittura diatonica su un pianoforte a quattro mani delle principali melodie di Tristano. Elegante e serio come
al solito, il lisztiano Saint-Sans costruisce il suo capolavoro Samson et Dalila (1877) con un sobrio impiego di armonie wagneriane in un contesto di
grand-opra. Non diverso latteggiamento di Gounod, Massenet, Bizet. I
risultati maggiori arriveranno a fine secolo, grazie a Chausson e Franck, non
in teatro, per, ma in sala da concerto con poemi sinfonici, sinfonie e musica
da camera. Non meno significativo limpatto di Tristano (e di Lohengrin) in
Italia. Ne terr conto perfino Verdi in Otello (1883) e Falstaff (1893). Ancor
pi Ponchielli (La gioconda, 1876), seguito dallesordiente Puccini di Le
Villi (1884) e dal convinto Catalani (Loreley, 1890; La Wally, 1892). In terre
Ascolti
R. Wagner, Tristan und Isolde, C. Kleiber, Staatskapelle Dresden, dg 2005
R. Wagner, Tristan und Isolde, W. Furtwngler, Philharmonia Orchestra, emi 2008
R. Wagner, Die Meistersinger von Nrnberg, H. von Karajan, Staatskapelle Dresden, emi
1999
Letture
A. Gros (a cura di), Richard Wagner: Tristan und Isolde, Cambridge University Press,
Cambridge 2011
L. Dreyfus, Wagner and the Erotic Impulse, Harvard University Press, Cambridge 2010
E. Chafe, The Tragic and the Ecstatic: The Musical Revolution of Wagners Tristan und
Isolde, Oxford University Press, New York 2005
M. Bortolotto, Wagner loscuro, Adelphi, Milano 2008
A. Guarnieri Corazzol, Tristano, mio Tristano, il Mulino, Bologna 1988
rit teutonica si manifesta anche quando le voci sono solo femminili, come
in Psalm xiii (op. 27, 1859) e nei 3 Geistliche Chre (op. 37, 1859-62). Linteresse per la musica dispirazione religiosa dunque forte in Brahms, educato alla confessione luterana nella nativa Amburgo e poi residente nella
cattolica Vienna per gran parte della vita, ma di fatto agnostico e sempre
lontano dalla chiesa ufficiale. Conosce bene la musica corale del suo tempo.
Insediandosi a Vienna, dirige il Requiem fr Mignon op. 98b di Schumann,
assieme a lavori corali di Beethoven e Bach. Per molti versi, la concezione del
suo Requiem tedesco simile a quella della cantata Actus tragicus (bwv 104,
1708) del ventiduenne Bach. Lanalogia nasce anche dal fatto che entrambi
si scelgono i testi da mettere in musica, attingendo liberamente dalle sacre
scritture tradotte in tedesco da Martin Lutero. Brahms seleziona una dozzina di passi da Antico e Nuovo Testamento e li ricompone in sette nuovi
segmenti poetici secondo criteri difficili da definire. Comune solo la ricerca di testi che esprimono fiducia nella misericordia di Dio, nel passaggio
dalla sofferenza alla pace. Mentre manca ogni timore per le punizioni conseguenti al Giudizio universale.
Lassenza di una liturgia luterana per le cerimonie funebri concede a
Brahms massima libert nellorganizzare il discorso musicale, ma nello stesso
tempo lo obbliga a trovare un filo che leghi i diversi momenti della gran
partitura. Un filo c, forse, in una cellula di tre note ascendenti derivata dal
corale Wer nur den lieben Gott di Georg Neumark (1642) che torna in ogni
sezione del Requiem, ma discreta al punto da essere poco avvertibile allascolto. Nella sua versione finale, il Requiem ha struttura a simmetria centrale abcdcba. Prima e ultima parte (a e a) sono meditative e scorrono senza
sussulti. Drammatiche sono invece le parti b e b, che terminano con altrettante fughe in tipico stile bachiano. I due solisti (baritono e soprano) emergono ciascuno dal coro nelle parti c e c che fanno da cornice al lirismo
della parte centrale d. Il progetto iniziale per diverso. La prima esecuzione nella cattedrale di Brema, il Venerd Santo del 1868, ha sei parti. La settima parte, con soprano solista, composta nel 1868 e inserita in quinta posizione (c) per equilibrare lassolo di baritono (c) e lintera struttura. La versione finale eseguita il 18 febbraio 1869 al Gewandhaus di Lipsia. Una
prima esecuzione parziale, con le sole prime tre parti, avviene a Vienna nel
1867 e prima ancora ci sono audizioni private per amici.
La costruzione del Requiem lunga e laboriosa non soltanto per le scelte
individuali di Brahms ma anche per mancanza di una specifica tradizione.
Dopo la favolosa stagione bachiana, la musica sacra luterana conosce un
grave declino. LIlluminismo che il re Federico ii porta a Berlino e in Prussia, le poche risorse disponibili negli altri centri della Germania riformata,
le guerre napoleoniche, il conservatorismo delle gerarchie ecclesiastiche, il
prevalere del gusto operistico e strumentale innescano una spirale involutiva che dura un secolo intero. Resta la tradizione del canto corale in chiesa e
nel privato delle Singverein. Anzi, proprio da questo privato nasce il Lied
che nellOttocento romantico fa grandi la parola e la musica tedesca. La
tradizione musicale luterana continua, ma con nomi che oggi si ricordano
appena. Uno di questi Johann Friedrich Reichardt. Incoraggiato dal concittadino Immanuel Kant a dedicarsi alla musica, maestro di cappella di
Federico ii, ma pure cosmopolita attivo a Venezia, Parigi, Londra e Vienna, collaboratore musicale di Goethe, fra i padri del Lied e del Singspiel,
teorico e critico, autore prolifico in tutti i generi, ammirato da Mozart e
Haydn, autore di una Passione (1783) allora celebrata e ora dimenticata. Un
altro Carl Friedrich Zelter, anche lui autore di Lieder e cantate sacre, dal
1800 direttore della Singakademie di Berlino, mentore musicale di Goethe,
maestro di Meyerbeer e soprattutto di Mendelssohn, cui istilla la passione
per la musica di Bach.
Spinto da Zelter, l11 marzo 1829 Mendelssohn dirige a Berlino la Passione secondo san Matteo. Inizia una nuova era per la musica riformata. Mendelssohn stesso recupera il genere delloratorio con due grandi lavori, Paulus
(1836) ed Elijah (1846), pi un incompiuto Christus, impostati sulla tradizione di Bach e Hndel. Trasmette la passione per Bach allamico Schumann,
che negli anni quaranta integra la scrittura contrappuntistica in musica da
camera e per pianoforte, compone gli oratori Il paradiso e la peri (1843) e Il
pellegrinaggio della rosa (1851). Importanti per Brahms sono le sperimentazioni di Schumann nel genere del Requiem, trascurato dai compositori di
fede luterana fin dai tempi di Schtz e del giovanissimo Bach. Pi che lestremo Requiem (op. 148, 1852), cattolico e sul testo canonico in latino, affascina Brahms il breve Requiem per Mignon (op. 98 b, 1849) che Schumann
compone su versi tedeschi non liturgici ma tratti dal Wilhelm Meister di
Goethe, dolcissimo nelle parole e con scrittura musicale dove solisti, coro e
orchestra sintrecciano con trasparenza assoluta.
Forse da queste pagine ha origine lidea del Requiem tedesco, con labbozzo di quella che diventer la seconda parte, la pi agitata. Quando si
concentra sulla composizione delle altre parti (1865-67), Brahms trova nei
timbri scuri e nei tempi distesi i fattori unificanti della partitura. Nella prima
parte, per esempio, sono esclusi i violini. Ovunque protagonista il rintocco
del timpano, che nella seconda parte si congiunge con i grumi delle arpe per
scandire una marcia funebre (sia pure in tempo ternario) premahleriana.
Anche quando il ritmo suggerisce un valzer moderato, il timbro resta grigio.
Hanno sempre spazio gli ottoni gravi. Sono assenti gli assoli strumentali e
rari i momenti di trasparenza. Spesso la musica non sembra seguire il senso
delle parole, come quando la liberatoria gioia declamata dal coro si ritrova
Ascolti
J. Brahms, Ein deutsches Requiem, C.M. Giulini, Wiener Philharmoniker, dg 1995
J. Brahms, Alto Rhapsody/Symphony No. 2, C. Abbado, Berliner Philharmoniker,
1990
J. Brahms, Liebeslieder-Walzer, W. Sawallisch, dg 1990
dg
Letture
F. Bussi, Tutti i Lieder di Johannes Brahms per voce e pianoforte, Libreria Musicale Italiana, Lucca 2007
A. Poggi, E. Vallora, Brahms. Signori, il catalogo questo!, Einaudi, Torino 1997
L. Botstein (a cura di), The Complete Brahms: A Guide to the Musical Works, W.W. Norton & Company, New York 1999
Il giorno del Giudizio Coro protagonista Sacerdoti inquisitori Requiem nella storia Mozart Cherubini
Berlioz Danza macabra Libera me Musica sacra
in Francia e Italia Petite messe solennelle Cristiani
ortodossi Requiem laici Varianti sperimentali e pop
Trasmettono un senso di vuoto e una gran paura le note in pianissimo dei
soli archi e i sussurri del coro, al confine del silenzio. Le parole ripetute con
ossessione, Requiem aeternam dona eis, Domine, appaiono una minaccia,
pi che uninvocazione. Le voci si alzano in un severo Te decet hymnus, a
cappella, alla maniera dei polifonisti del Cinquecento. Torna il filo di voce di
Requiem aeternam. Poi lintera orchestra si schiera per sostenere i quattro
solisti vocali che si presentano con Kyrie eleison, Christe eleison; infine
sintegra il coro. Il suono si gonfia fino al fortissimo per ripiegare ansioso
sulle sonorit minime. Nella prima parte, Introito (Requiem), la preparazione al momento tremendo perfetta. Ora la grande orchestra, rinforzata
dai botti della grancassa, deve esplodere per sostenere un coro che urla
lannuncio del Giudizio: Dies irae, dies illa, sono le parole che danno il
titolo al celeberrimo inno duecentesco gi attribuito a Tommaso da Celano
ed entrato a far parte dei testi canonici della messa cattolica dei defunti fin
dal Concilio di Trento.
Il Dies irae la seconda e pi ampia parte della Messa da Requiem.
Dellinno medioevale, Verdi mette in musica tutte le 20 stanze di tre versi
ciascuna (per le ultime due hanno due soli versi), raggruppandone alcune
in nove segmenti musicali distinti, che distribuisce fra il coro a quattro voci
e le quattro voci soliste, a loro volta combinate in vario modo. Il coro protagonista assoluto, perch presente in ben sei segmenti. Quattro trombe
apocalittiche fuori scena infiammano il corale Tuba mirum e lasciano un
abbacinato basso solista a intonare Mors stupebit in eco con la grancassa.
Su Liber scriptus la voce sola e femminile del mezzosoprano irrompe
sconvolta quasi in recitativo e procede con un ampio cantabile, drammatico.
una scena operistica di rara efficacia, anche perch intercalata da trombe
in sordina e da un coro che non smette di ricordare che tempo di irae. Il
seguente Quid sum miser diventa una cabaletta accompagnata dai fagotti,
poi un duetto con tenore e infine un terzetto con debutto del soprano. Lo
squarcio di serenit rotto dal Rex tremendae majestatis del coro, severa
voce della legge divina anche quando soffoca linvocazione Salva me del
disperato quartetto solista. Si rinnova cos il terribile confronto fra Radames
e i sacerdoti inquisitori, nel terzo atto di Aida (1871). Senza coro, Recordare, Jesu pie un dolcissimo duetto fra soprano e mezzosoprano alla maniera di Bellini. Il tenore lirico allitaliana ha il suo momento di gloria in Ingemisco. Il basso si confronta con lintera orchestra nel drammatico Confutatis maledictis prima che irrompa la valanga corale che riporta la violenza
del Dies irae. Resta spazio per una disperata richiesta di pace: in Lacrimosa dies illa i quattro solisti si aggregano al coro in un canto frastagliato e
doloroso, trovano un miracoloso momento di sospensione polifonica palestriniana (Pie Jesu, a cappella), si sciolgono lentamente nel silenzio assieme a coro e orchestra.
Limmenso Dies irae dura almeno 40 minuti, circa met dellintera
Messa da Requiem di Verdi, di cui il fulcro espressivo, come peraltro succede nei secoli precedenti. Il testo compare in vari messali del Quattrocento ma
non nei Requiem musicali pi antichi, di Dufay e Ockeghem, Lasso e Palestrina. Lo troviamo per la prima volta nel Requiem che Antoine Brumel scrive
durante il suo servizio a Ferrara (1505-10). Nel 1570 il messale di Pio v lo
inserisce formalmente nella liturgia cattolica dei defunti, secondo i princpi
del Concilio di Trento. Campeggia nelle Missa pro defunctis (1717) di Alessandro Scarlatti ed importante nel Requiem scritto nel 1771 da Michael
Haydn a Salisburgo per linfluenza che esercita su Mozart. Anche se realizzato in massima parte da Franz Xaver Sssmayr, il Dies irae dellincompiuto Requiem mozartiano (1791) diventa subito talmente popolare da essere eseguito, nella traduzione in tedesco dellamico musicista Ferdinand
Hiller, alle esequie di Beethoven a Vienna e di Chopin a Parigi. Il Dies irae
domina i due Requiem di Cherubini (1817 e 1836). Incombe con suoni tellurici nella Grande Messe des morts (op. 5, 1837) che Berlioz scrive su commissione del ministro degli Interni francese per commemorare i caduti della
rivoluzione del 1830. Berlioz ne fa il suo lavoro sinfonico corale pi spettacolare, con orchestra dallorganico smisurato, tante percussioni, coro adeguato, quattro bande di ottoni fuori scena disposte nei punti cardinali e che
proprio nel Dies irae preparano in stereofonia lintervento di un coro che
deve riempire ogni spazio disponibile, al chiuso come allaperto.
Il Dies irae ha anche vita musicale propria, gi in Giovanni Legrenzi
(op. 9, 1667) e in Johann Christian Bach (1757). La melodia di taglio gregoriano che accompagna il testo assume un significato di memento mori e
compare in numerose composizioni strumentali dispirazione non religiosa,
come nella Symphonie fantastique di Berlioz, nella fantasia per pianoforte e
orchestra Totentanz di Liszt, nel poema sinfonico Danse macabre di SaintSans, nella Rapsodia su un tema di Paganini di Rachmaninov. Continua ad
che derivano dai pochi mezzi impegnati a fare della Petite messe solennelle
di Rossini una perfetta anticipazione di essenzialit novecentesca, dalla Messe des pauvres (1895) di Satie, alla Missa per coro e doppio quintetto di fiati
(1947) di Stravinskij.
Sempre in Francia, gli operisti del secondo Ottocento trovano spunti
drammatici nella tradizione delloratorio sacro. LEnfance du Christ (1854)
di Berlioz prelude a Tobie (1865) di Gounod, a Oratorium pro nocte Nativitatis Christi (1858) e Le Dluge (1875) di Saint-Sans, a Marie-Magdeleine
(1873), e La Terre promise (1890) di Jules Massenet. per il non operista
Franck che ottiene i risultati pi duraturi con Rdemption (1874) e Les Batitudes (1879). Sono anche i tempi in cui Louis Niedermeyer fonda la sua
scuola di musica sacra (1853), tuttora attiva, che vanta fra i suoi primi insegnanti anche Faur e Saint-Sans. Rinascono gli interessi per la musica medioevale. Il benedettino Prosper Guranger, superiore generale della rinata
abbazia di Solesmes, a met Ottocento, fa trascrivere in notazione moderna
i manoscritti medioevali del monastero di San Gallo e inventa una scuola di
paleologia musicale destinata a restaurare il canto gregoriano e a influenzare
in modo importante il linguaggio della musica del Novecento.
Nel meridione cattolico della Germania, attorno alle Singverein si diffondono i princpi conservatori propugnati in Vaticano. Franz Xaver Witt fonda
nel 1868 a Ratisbona la Deutsche Ccilienverein che cerca una musica religiosa semplice e pratica, vuol tornare allantica purezza del canto con sole
voci, condanna gli artifici di Mozart e Haydn, respinge tutto il repertorio
romantico, affascina molti autori di medio livello a cavallo fra Ottocento e
Novecento, forma la base dellopera Palestrina (1917) di Hans Pfitzner. Non
meno conservatori ma non altrettanto radicali sono i musicisti cattolici
dellimpero austroungarico. Laustriaco Bruckner, prima di dedicarsi solo
alla sinfonia, debutta a Linz con tre messe, recupera la tecnica veneziana dei
cori spezzati sostenuti dai soli fiati nella sua messa per la consacrazione del
duomo e usa un tema di Palestrina per la doppia fuga. Ventanni dopo,
Bruckner compone un Te Deum che ha la forza della Messa da Requiem di
Verdi e i colori scuri del Requiem tedesco di Brahms. Per il ricettivo mercato
corale inglese, il boemo Dvok scrive un importante Requiem (1890).
La confessione ortodossa diffida della musica nuova, per trova un autore attento in ajkovskij, che simpegna su Liturgia di san Giovanni Crisostomo (op. 40, 1878) e Veglia notturna (op. 52, 1882) puntualmente seguito da
Rachmaninov (1910 e 1915). Nel Novecento, ancora pi importante il
contributo di Stravinskij, distribuito lungo tutta la sua lunga carriera e con
una crescente tendenza a superare le singole confessioni cristiane. Il punto
di sintesi dellintera esperienza precedente, di quella di Verdi e Brahms in
particolare, si ha nel 1962, con il War Requiem di Britten. Dopo ancora ven-
gono Ligeti (1965) e Penderecki (1984). Andrew Lloyd Webber, gi campione del musical di Broadway, nel 1985 scrive il suo Requiem in stile tradizionale, ma riesce a far diventare il segmento Pie Jesu un successo planetario
come canzone pop.
Ascolti
G. Verdi, Messa da Requiem, R. Muti, Orchestra e Coro del Teatro alla Scala, emi 1987
G. Verdi, Quattro Pezzi sacri, R. Muti, Berliner Philharmoniker, emi 1983
G. Rossini, Petite messe solennelle, R. Chailly, Orchestra e Coro del Teatro Comunale di
Bologna, Decca 1994
Letture
M. Girardi, P.L. Petrobelli (a cura di), Messa per Rossini. La storia, il testo, la musica,
Istituto di Studi Verdiani-Ricordi, Parma-Milano 1988
D. Rosen, Verdi: Requiem, Cambridge University Press, Cambridge 1995
Bruckner il progressivo Segmenti intercambiabili Baricentro sul finale La formazione di Bruckner Wagner
Discontinuit Terna omogenea: Quarta, Settima, Ottava Quinta e Sesta Sinfonia ciclica
Nona incompiuta Sibelius e Mahler Hindemith e
ostakovi
Un brusio indistinto, un canto che si leva. Non il mitico attacco della storica Nona sinfonia di Beethoven. Non neppure linizio dellOro del Reno,
prima giornata del prossimo Anello del nibelungo di Richard Wagner.
lavvio della Quarta sinfonia di Bruckner, iniziata nel 1874 e, di fatto, mai
terminata, neppure quindici anni dopo, in quel 1889 che segna la sua quarta
versione, sempre a cura dellincertissimo autore; che forse pensa a una quinta versione, mentre alle prese con la sofferta gestione della Nona sinfonia
che la morte lascia incompiuta. Bruckner uno dei pochi autori che, per
esigenze proprie o su consiglio altrui, rimette continuamente mano a suoi
lavori precedenti, anche se gi pubblicati, eseguiti, apprezzati. Di regola taglia, spesso aggiunge intere sezioni. Cambia strumentazione e armonia.
Tollera perfino che altri (allievi, direttori, editori) intervengano sulle proprie
partiture, che peraltro sono frutto di un lavoro certosino durato anni. Anticipa di un secolo buono il principio moderno di work in progress, di opera
aperta, dove tutto si tiene e tutto si modifica, in una concezione unitaria del
proprio lavoro, con le conquiste del presente che consentono di cambiare il
passato per costruire il futuro. Il candore e lumilt dellartista hanno in
questo caso un ruolo importante, ma conta assai la tecnica di scrittura adottata. il modo con cui sono costruite che permette alle sinfonie di Bruckner
di subire tante mutazioni e di mantenere la natura originaria. Il caso della
Quarta esemplare.
La sua fisionomia gi scolpita nel 1874, nei quattro movimenti classici
adottati in tutte le sinfonie di Bruckner. Il canto iniziale passa dal corno ad
altri fiati e agli archi, cambiando i timbri e aumentando il volume. La melodia si espande, diventa uninvocazione e infine un appello fragoroso a piena
orchestra che il collante vero del primo movimento e dellintera sinfonia.
Attorno si dispongono segmenti e temi dal diverso spessore, pensati pi per
alleggerire che per contrastare la forza del corale sparato dalla massa degli
ottoni sostenuta dal rullo dei timpani. Fra questi segmenti, finisce col preva-
opere italiane e francesi che dominano le stagioni teatrali a Linz. Va a Monaco per ascoltare la prima di Tristano e Isotta di Wagner e a Budapest per
loratorio La leggenda della santa Elisabetta di Liszt. A Vienna conosce Berlioz, che dirige la propria Damnation de Faust. Ottimo improvvisatore, tiene
concerti in Germania e arriva fino a Londra per lesposizione universale del
1871. Ha ben presente la situazione di stallo del genere sinfonia quando,
attorno al 1865, decide di dedicargli il suo sforzo creativo maggiore, abbandonando la produzione sacra che nel precedente decennio lo vede scrivere
tre messe per soli, coro e orchestra (o organo). Forse la scoperta dellIncompiuta di Schubert, recuperata ed eseguita per la prima volta in quellanno,
che lo spinge al passo decisivo.
Di sicuro Bruckner consapevole che va rinnovato il modello classico di
Haydn e Mozart e del Beethoven ante Nona. Le sue prime tre sinfonie (inclusa quella numerata come Zero) guardano alle sperimentazioni di Liszt,
pi sotto laspetto dellorganizzazione rapsodica del materiale che su quello
del programma extramusicale. Lo ispira il modo con cui il corale luterano
conferisce un senso unitario alla Riforma (Quinta sinfonia) di Mendelssohn
e Renana (Terza) di Schumann. Negli arcaismi modali e rinascimentali della
propria musica sacra, Bruckner scopre unaltra preziosa miniera di risorse
per costruire sinfonie. Ammira la dilatazione della forma e il superamento
della dialettica sinfonica nellIncompiuta e nella Grande di Schubert. Subito
valorizza (nel senso che espande) la dimensione temporale. Superare la durata di almeno unora diventa regola. Nella Seconda sinfonia, aiutano le lunghe pause che Bruckner dissemina in partitura. Infatti, nel 1873 il direttore
Otto Dessoff rifiuta di dirigere la Seconda perch troppo lunga, anche se gli
dedicata. La dirige (con successo) lo stesso Bruckner e gira la dedica a
Liszt, che nel frattempo gli risolve contingenti problemi finanziari.
Wagner arriva da lontano, con effetto duraturo e progressivo, ma non
totalizzante. Il nuovo linguaggio armonico, il cromatismo estenuato, la tonalit allargata, il rombo degli ottoni sono ben presenti gi nelle prime sinfonie
di Bruckner, mediate anche dalle analisi giovanili di Tannhuser. Sono evidenti, ma non eccezionali, nella versione finale della Terza, quando Bruckner
toglie le citazioni esplicite da Tristano introdotte nella prima stesura (1873)
per accattivarsi la simpatia di Wagner stesso. Lincontro fra i due, a Bayreuth,
mentre sono in corso i lavori per la costruzione del nuovo teatro, passato
alla storia. Wagner apre la prima pagina della partitura della Terza ed esclama: Bruckner, la tromba!. Prende tempo. Dopo solo qualche ora, Wagner
richiama Bruckner e lo abbraccia commosso, profondendosi in complimenti e ringraziamenti. Wagner va a Vienna qualche mese pi tardi e impone
alla Filarmonica lesecuzione della Terza. La sinfonia piace, Bruckner felice, per il suo nome si lega in modo definitivo a Wagner e diventa bersaglio
fisso della violenta reazione della fazione avversa, capeggiata dal critico (gi
amico) Hanslick e dal collega (sempre ostile) Brahms. Diventata Wagner
Symphonie, la Terza rimane tale ancora oggi, eseguita nella terza versione
(1889). Con la forza dei suoi contrasti e le inquietudini che nascono dalla
scelta del fatale impianto in do minore, la pi drammatica fra le prime
sinfonie di Bruckner, bilanciando il carattere quasi pastorale, certo pi rilassato, della Quarta.
Attraverso le sue tante versioni (dopo la prima del 1874, altre sei nel
1878, 1880, 1887-88, pi una riorchestrazione predisposta da Mahler), la
Quarta sinfonia si configura come la sintesi del mondo sinfonico di Bruckner.
Finisce con lintegrarsi con Settima e Ottava, che appartengono al periodo
dellultima revisione, a loro volta ripensate. La Settima, completata nel 1883
sotto la sofferenza per la morte di Wagner, con un imponente Adagio che
fa da marcia funebre per il maestro, in buona parte riscritta nel 1890. LOttava, impostata nel 1884, trova una prima conclusione nel 1887 e una successiva nel 1890. Le tre sinfonie condividono il suono, le scelte armoniche, la
forma. Immutabile larticolazione in quattro movimenti, con il solo Scherzo che mantiene netta la formula classica aba. Gli altri movimenti seguono
il principio della costruzione per divagazione, cogliendo ogni spunto di un
magro materiale melodico per immaginare varianti. Come spesso fa Schubert, e quasi mai Wagner, Bruckner passa in modo netto, quasi discontinuo
da un segmento allaltro delle sue costruzioni musicali. Ci gli consente di
aggiungere, sostituire e togliere pannelli interi, di alterare larmonia, di cambiare lorchestrazione. Si accumulano le diverse versioni, che diventano
apocrife quando ci mettono le mani revisori, editori, interpreti.
La terna Quarta-Settima-Ottava, con la sua popolarit, lascia in penombra le altre due sinfonie centrali di Bruckner, la Quinta e la Sesta, nessuna
rimodulata dopo le versioni iniziali, rispettivamente del 1875 e 1878. Eppure sono importanti, perch rispecchiano i valori che, in quellultimo squarcio
di Romanticismo, si cercano nel genere sinfonico. La Quinta si avventura
nella dimensione tragica e rimugina sulla Nona di Beethoven, non solo nel
consueto attacco (linvocazione che emerge dal rumore), ma anche nel finale
che inizia riprendendo i temi principali dei movimenti precedenti e li unisce
ai (pochi) nuovi per il coronamento della struttura ciclica. La Sesta assai pi
lirica, sia nel primo sia nel secondo movimento, ha sempre il baricentro spostato sul finale, si polarizza sul divagare melodico alla Schubert e tiene conto
delle sperimentazioni della Scozzese di Mendelssohn; pi di altre sinfonie di
Bruckner cerca lequilibrio formale della sonata classica. Difficile dire se la
terna Quarta-Settima-Ottava abbia un influsso diretto sulla musica del tempo, perch ogni sinfonia eseguita di rado e stampata tardi. Per sono evidenti le affinit con il linguaggio sinfonico di Franck, che nel 1889 scrive il
Ascolti
A. Bruckner, Symphony No. 4, G. Wand, Berliner Philharmoniker, rca 2000
A. Bruckner, Complete Symphonies, H. von Karajan, dg 1990
Letture
D. Gault, The New Bruckner: Compositional Development and the Dynamics of Revision,
Ashgate, Farnham 2011
J. Williamson (a cura di), The Cambridge Companion to Bruckner, Cambridge University
Press, Cambridge 2004
S. Martinotti, Bruckner, edt, Torino 2003
D. Watson, Bruckner, Dent & Sons, London 1975
1874 La Moldava
Bedich Smetana
Rond classico a scopo descrittivo Musica per la natura
Il poema sinfonico Liszt da Berlioz Hanslick e la
musica assoluta Il teatro nazionale di Smetana Epopea
sinfonica boema Russi Franck e Saint-Sans Richard
Strauss
Le prime note sgorgano da due flauti, su zampillante pizzicato di arpa e violini. Due clarinetti aggiungono una nuova fonte, che intreccia il suo flusso
con la prima. Il tintinnare del triangolo alleggerisce il fondo dei corni e lo
scorrere degli archi. Pu partire la gran melodia dei violini con oboi e fagotti, che si appoggia sui tanti rivoli dai quali nasce. Inizia il corso di un fiume
musicale e fisico insieme. Sulla partitura si legge lindicazione dellautore, il
boemo Smetana: Le sorgenti della Moldava. Lorchestra vuole rappresentare nei dettagli il percorso geografico e ideale del fiume nazionale. Dopo le
sorgenti, il fiume sinoltra nel bosco e incontra cacciatori che si chiamano con
corni e tromboni. Lambisce un villaggio, dove allegri contadini festeggiano
un matrimonio. Si arresta e forma un laghetto popolato da elfi e ondine che
volteggiano al chiar di luna su eterei armonici di violini e delicati soffi di
flauti. Riprende la corsa, spumeggia nelle Rapide di San Giovanni. Ormai
nel pieno della sua forza, passa davanti al castello di Vyehrad dal quale riceve un saluto sovrano, attraversa la capitale Praga e procede maestoso verso la
confluenza con lElba, fiume simbolo della grande terra di Germania, non
meno del Reno.
Osservata con criteri solo musicali, la partitura si presenta come un classico rond, alla maniera di Mozart e Haydn, abacada, con breve introduzione e ampia conclusione. I ritornelli a elaborano la melodia principale,
che ogni volta aumenta di spessore grazie allimpiego di sempre maggiori
risorse strumentali. Le strofe b, c, d, e sono rispettivamente La caccia,
La festa contadina, Il lago fatato, Le rapide. Lultima comparsa del
ritornello a ingloba il saluto di Vyehrad e serve da magniloquente finale.
Lorchestra ha grande organico, entro le dimensioni comuni a met Ottocento. La scrittura, pur brillante e talvolta virtuosistica (Le rapide), non
cerca effetti speciali e forzature onomatopeiche. Il lavoro si apprezza anche
come musica assoluta, senza badare a componenti esterne. Tuttavia le descrizioni extramusicali sono parte integrante del lavoro, e vanno rispettate.
Non una novit, anzi c una lunga tradizione, risalente ai primordi stessi
della musica. E Smetana vive nel tempo in cui alla musica si chiede non solo
di descrivere fenomeni naturali ed emozioni personali, ma di narrare una
storia e di elaborare concetti. Non bastano le suggestioni pastorali di Beethoven e i paesaggi italiani e scozzesi di Mendelssohn. Serve la musica a
programma di Berlioz e di Liszt. Lorchestra moderna di pieno Ottocento,
grazie ai migliorati strumenti a fiato e al crescente volume degli ottoni, consente di spingersi oltre, fino a tentare di raccontare una storia con le sole
risorse musicali. Il pioniere Berlioz, nella Symphonie fantastique, ripercorre
le allucinazioni di un artista stordito da oppio e amore; in Aroldo in Italia
segue il vagabondare delleroe di Byron in un Abruzzo agreste e misterioso;
condensa in una sinfonia drammatica con voci e coro la vicenda shakespeariana di Romeo e Giulietta.
Liszt va oltre, perch vuole trasferire in musica concetti etici e filosofici,
non solo letterari. Per i suoi innovativi affreschi orchestrali, conia il nuovo
termine poema sinfonico, ben pi ambizioso di musica descrittiva o a
programma in uso da secoli. Non fornisce dettagliate spiegazioni in partitura. Nel famoso Les Prludes (1848), Liszt si limita a citare pochi versi di
Alphonse de Lamartine per suggerire che la vita fatta di eterni preludi.
Fissa un lessico musicale, che prevede ampia libert di articolazione del
materiale con episodi distinti ma connessi fra loro, meglio se disposti attorno a un tema ricorrente e ben riconoscibile. Allo stesso modo si regola
quando traduce in musica poemi di Hugo (Ce quon entend sur la montagne,
1849; Mazeppa, 1851), Byron (Tasso, 1849-54), Shakespeare (Hamlet,
1858), Schiller (Die Ideale, 1857), Wilhelm von Kaulbach (Hunnenschlacht,
1857). Altre volte Liszt ricorre ai miti di sempre (Prometheus, 1856;
Orpheus, 1856), a meditazioni (Hrode funbre, 1850), a patriottismi (Hungaria, 1856).
Sono una dozzina i poemi sinfonici che Liszt compone e riscrive fra 1848
e 1857, dopo aver abbandonato la carriera di pianista funambolico per ritirarsi a Weimar come maestro di cappella e insegnante. Hanno valore diseguale, per contribuiscono in modo decisivo allevoluzione dellorchestra
moderna. Grazie anche ai consigli di Berlioz, che nel frattempo compila un
fondamentale Trattato di orchestrazione e strumentazione, Liszt scrive partiture con la stessa fantasia istrionica con cui sa dominare la tastiera. Ne tiene
gran conto Wagner, che proprio in quegli anni sviluppa i princpi della sua
opera darte totale, inaugurando con Lohengrin una nuova stagione nellopera nazionale tedesca.
Su scala pi larga, Liszt applica il principio di legare la musica strumentale a Goethe e Dante. Dopo averci lavorato per tre anni e pensato per
molto di pi, nel 1857 presenta a Weimar una Sinfonia Faust per tenore,
coro e orchestra. Sono tre quadri caratteristici dedicati ai protagonisti Faust,
con lopera romantica a sfondo fiabesco, alla maniera dei tedeschi Weber,
Marschner, Wagner. Ne scrive altre sei nei successivi 15 anni, con Dalibor
(1868) e Libue (1881), ancora nel repertorio internazionale.
Dopo oltre ventanni dinterruzione, Smetana riprende a scrivere poemi
sinfonici, non pi singoli ma riuniti in un ciclo di sei, La mia patria, a formare una grandiosa epopea in omaggio alla patria boema. Il primo lavoro
ha carattere storico. Accompagnandosi con larpa, il mitico aedo Lumir
evoca i passati splendori del castello di Vyehrad, sede dei re di Boemia e
ora in rovina, come lintero paese. Unampia preparazione lenta lascia
emergere il motivo che sovrasta il successivo infiammarsi della grande orchestra e torna quando tutto decade. il motivo di Vyehrad che torna
alla fine del secondo poema, La Moldava, accompagnando il maestoso fluire del fiume. Il terzo poema del ciclo racconta un mito da intendere come
metafora della Boemia oppressa che sa vendicarsi: lamazzone rka, tradita in amore, fa uccidere dalle sue compagne tutti i maschi che le capitano
attorno. Il quarto poema torna alla natura: Dai prati e dai boschi della Boemia si svolge come sequenza di quattro quadri distinti per colori e qualit
di scrittura (il secondo inizia addirittura con unesposizione di fuga a quattro voci), che hanno per in comune il carattere pastorale e il ritmo di polka. La storia patria domina gli ultimi due poemi. Nel quinto, Tbor, attorno
alla fortezza omonima, i seguaci del predicatore e patriota Jan Hus, bruciato per eresia nel 1415, intonano con voce sempre pi ferma il corale nazionale Voi che siete i combattenti di Dio. Chiude Blank, la montagna sacra
in cui riposano le anime degli eroi boemi che lorchestra di Smetana celebra
volgendo in positivo, con espansioni di archi e profusione di ottoni, il lamento di Lumir da cui tutto scaturisce. Iniziato nel 1874 e completato nel
1879, il ciclo esagonale presentato per intero nel 1881 e da allora una
specie di inno nazionale boemo, oltre che un capolavoro di orchestrazione
gradito in ogni paese.
Nel frattempo il poema sinfonico, con la sua libert formale, diventa
perfetto contenitore per i temi nazionalpopolari elaborati dal Gruppo dei
cinque, costituito nel 1863 con lobiettivo di svincolare la Russia dalla colonizzazione musicale occidentale. I primi titoli sono Tamara (1867-82) di
Balakirev e Una notte sul Monte Calvo (1867) di Musorgskij. Il cultore pi
convinto Rimskij-Korsakov, anche se non usa il termine poema sinfonico:
Sadko (1867-92) un quadro musicale che nel 1896 confluisce nellopera
teatrale omonima. Sono definite suite sinfoniche sia Antar (1868-1903), nata
come seconda sinfonia, sia il capolavoro assoluto Shhrazade (1888), ispirato ai racconti delle Mille e una notte. Usa un titolo che sinonimo di libert
per Capriccio spagnolo (1887). A sua volta Borodin intitola Nelle steppe
dellAsia centrale (1880) il suo schizzo sinfonico che intende celebrare la
Ascolti
B. Smetana, M Vlast, R. Kubelk, Czech Philharmonic Orchestra, Supraphon 1998
F. Liszt, Complete Symphonic Poems, B. Haitink, London Philharmonic Orchestra, Decca
2010
C. Saint-Sans, Concertos, Tone Poems, Organ Symphony, Decca 2004
Letture
G. Erismann, La Musique dans les pays tchques, Fayard, Paris 2001
G. Clapham, Smetana, J.M. Dent, London 1972
B. Large, Smetana, Duckworth, London 1970
Modest Musorgskij
Campanoni nella Piazza rossa Il dramma di Pukin La
musica di Musorgskij La Russia arretrata e colonizzata
Italiani e francesi Il canto popolare Glinka
Dargomyskij Il Gruppo dei cinque Boris Godunov
Kovncina Il principe Igor Rimskij-Korsakov
ostakovi
meno popolare Cui, che resta ingegnere per tutta la vita e produce tanta
musica ora dimenticata: ben dieci opere teatrali, tutte sparite dal repertorio
salvo forse Il prigioniero del Caucaso (1885) e La figlia del capitano (1909) su
soggetti di Pukin. Fra i tanti pezzi di genere sopravvive lesotica Orientale
(1893) per violino e pianoforte. Musorgskij annega nellalcol, Balakirev entra
in depressione, Borodin gratificato dalla scienza. Soltanto Rimskij-Korsakov, il pi giovane, trova impiego stabile da musicista come insegnante al
conservatorio di Pietroburgo fondato da poco (1862).
Larretratezza della Russia di met Ottocento ha radici antiche, politiche e
sociali prima ancora che culturali. Solo a inizio Settecento, lo zar Pietro il
Grande impone la modernizzazione al suo impero chiuso e feudale, da sempre
esposto alle scorribande dei tartari da oriente, alle invasioni di templari e polacchi da occidente, alle minacce di turchi in meridione e con lunica certezza
dei mari ghiacciati a settentrione. Fonda la nuova capitale San Pietroburgo sul
mar Baltico, con viali e palazzi modellati su Parigi e Londra, con canali alla
maniera di Venezia. Dal 1730, le zarine che gli succedono, Anna e Caterina ii,
importano cultura, sviluppano un teatro di corte, invitano artisti di valore.
Arrivano danzatori e coreografi francesi, maestri di violino e di clavicembalo
tedeschi e inglesi, soprattutto cantanti e operisti italiani. La prima rappresentazione dopera curata da una compagnia italiana nel 1731 in un teatro
provvisorio eretto nel palazzo moscovita del Cremlino. Il nuovo teatro imperiale di San Pietroburgo ospita nel 1736 la prima opera buffa, La forza dellamore e dellodio, scritta dal napoletano Francesco Araja, subito nominato
maestro di cappella, autore di Cefalo e Procri (1755), la prima opera su libretto in lingua russa. Da met Settecento, San Pietroburgo una delle piazze
musicali pi importanti dEuropa. Vi risiedono e scrivono opere serie e buffe
gli italiani Galuppi e Sarti, Paisiello e Cimarosa. Passa anche Clementi, a promuovere presso la nobilt russa la vendita dei pianoforti prodotti in Inghilterra dalla fabbrica di cui socio. Si ferma lirlandese John Field, allievo di Clementi e modello per Chopin. Nei suoi trentanni di permanenza a San Pietroburgo e Mosca (1803-37) come insegnante e concertista, Field fonda una
scuola pianistica russa che d subito risultati strabilianti e che esiste tuttora.
La vita musicale in Russia comunque riservata a due poli. Al teatro
imperiale si rappresentano gli spettacoli per laristocrazia di corte. Nei palazzi di San Pietroburgo e di Mosca, le uniche grandi citt, orchestrine, pianisti
e cantanti intrattengono le feste e i banchetti. Nel resto dellimmenso impero
i contadini, ancora servi della gleba, trovano consolazione alla loro miseria
con il solo canto popolare, che ricchissimo. Infatti, il folklore russo nasce
dalla sovrapposizione di canti bizantini locali, modi gregoriani permeati da
occidente, melopee arabe, timbri e ritmi portati dai conquistatori asiatici,
memorie tribali autoctone.
pi intenso il ricorso alla melodia popolare, ai modi arcaici, ai colori orientali, ai ritmi esotici. Si diluiscono i rapporti con il melodramma italiano e si
stringono quelli con lopera fantastica e nazionale tedesca, dal Flauto magico
al Franco cacciatore. Ma sono cose ancora premature per Pietroburgo. Glinka
abbandona lopera e riprende a viaggiare. Nei 15 anni che gli restano scrive
una sola cosa importante su temi russi, Kamarinskaja (1848) per orchestra.
Nellammirazione di Glinka cresce Aleksandr Dargomyskij, ancora pi
convinto che la musica nazionale russa debba appoggiarsi sul declamato popolare e sulla nuova letteratura. Pi che nella fiaba triste dellondina Russalka
(1856), con la breve opera in tre atti Il convitato di pietra (1869) Dargomyskij
segue il criterio di applicare la musica, parola per parola, al dramma in versi
di Pukin ispirato alla vicenda di Don Giovanni. Non riesce a terminare, ma
il faticoso lavoro di composizione seguito passo passo dagli innovatori del
Gruppo dei cinque. Assieme a Borodin, il pi entusiasta Musorgskij che
abbandona i progetti in corso e nel 1868 inizia a lavorare a Boris Godunov, in
parte rimaneggiando il testo (incompiuto) di Pukin. Una prima stesura in
sette scene non accettata dal teatro imperiale. Con leliminazione della maledizione davanti a San Basilio e laggiunta di due nuove scene ambientate in
Polonia e di altri personaggi (fra cui il gesuita Rangoni e la donna Marina),
una versione con nove scene divise fra prologo e quattro atti esordisce nel
1874 a Pietroburgo con ripresa a Mosca. Si programma una ventina di rappresentazioni con lautore ancora in vita, ma il grande successo viene grazie
alla versione postuma, tuttora regina del repertorio, curata dallamico e collega Rimskij-Korsakov.
Dal 1872 al 1881 Musorgskij lavora a un altro progetto teatrale, Kovncina, una fosca vicenda in cui il boiardo principe Kovanskij trama mentre si
scontrano reazionari e riformisti nella Russia di Pietro il Grande. La vita
sregolata e i tanti dubbi artistici non gli consentono di andare oltre uno
spartito incompleto per canto e pianoforte. Ancora una volta Rimskij-Korsakov si occupa di completare la partitura, strumenta a modo suo, tempera
le armonie, taglia numerose scene. Lopera rappresentata nel 1886 ma
sorgono subito dispute sulla legittimit delloperazione. Nel 1913, su commissione dei Ballets russes di Diaghilev, Stravinskij riapre alcuni tagli e riscrive il finale. Nel 1959 ostakovi prepara una nuova versione che, con altre
varianti, ora la preferita in teatro.
Lo stesso Rimskij-Korsakov sincarica di completare Il principe Igor, cui
Borodin lavora per ventanni nel tempo libero che gli lasciano le ricerche di
chimica organica allAccademia di San Pietroburgo. Come per Boris, lidea
nasce durante la gestazione del Convitato di pietra di Dargomyskij. Attorno
alla vicenda del principe medioevale Igor, catturato e blandito dagli invasori
polovesi, fioriscono melodie e danze della madre Russia e dei popoli orien-
tali che si sovrappongono nei secoli. Il principe Igor va in scena postumo nel
1890, completato da Glazunov e Rimskij-Korsakov e da allora resta un caposaldo dellopera nazionale. Trova il suo grande successo internazionale nel
1951, a Broadway, rivisitato nel musical Kismet con la famosa melodia delle
Danze polovesiane trasformata nella canzone Stranger in Paradise, con la
voce di Bing Crosby.
Rimskij-Korsakov non tuttavia solo un rifacitore di teatro altrui. Accanto a una straordinaria produzione sinfonica, scrive una ventina di lavorisintesi del teatro musicale russo di fine Ottocento, che vive di fiaba e letteratura, canto popolare e cultura accademica, orgoglio nazionale e curiosit
cosmopolita, sensibilit sociale e satira del potere. Molti titoli sono gi un
programma: le favole La fanciulla di neve (1882) e Sadko (1898), soprattutto
le ironie dello Zar Saltan (1900) e del Gallo doro (1906), ispirate da racconti
dellimmancabile Pukin. Tutte le sue partiture hanno unorchestrazione
sfolgorante; per mai densa, alla maniera germanica; neppure intensa, alla
francese; invece leggera e nitida in tutti i suoi infiniti colori, talvolta beffarda,
sempre sorprendente. Non a caso ne fanno subito tesoro il maggiore allievo,
Stravinskij, e poco dopo il giovane ostakovi, allievo putativo. Ma non sempre lorchestra di Rimskij-Korsakov si adatta ai suoni severi e drammatici che
Musorgskij ha in mente per i suoi drammi. Forse funziona meglio il pessimismo cosmico dei rifacimenti che realizza nel 1960 il maturo ostakovi. E si
capisce anche perch negli ultimi decenni si ascolti sempre pi spesso la
versione originale di Boris Godunov, cupa e senza sole, preparata da un Musorgskij visionario e innovatore, innocente come il personaggio che chiude la
sua opera maggiore piangendo sulle rovine della patria distrutta.
Ascolti
M. Musorgskij, Boris Godunov (1869 & 1872 Versions), V. Gergiev, Kirov Opera & Orchestra, Philips 1999
M. Mussorgsky, Khovanshchina, C. Abbado, Wiener Staatsoper, dg 1990
Letture
R. Taruskin, Musorgsky: Eight Essays and an Epilogue, Princeton University Press, Princeton 1997
M. Frolova-Walker, Russian Music and Nationalism. From Glinka to Stalin, Yale University Press, New Haven 2007
M. Musorgskij, Musica e verit nellepistolario commentato da Andrej Nikolaevic RimskijKorsakov, a cura di F. DAmico, il Saggiatore, Milano 1981
Passeggiata Personaggi e immagini Come in Schumann Rubinstein e la scuola pianistica russa Islamey
Quadri di unesposizione Wood e i Proms Ravel
Altri trascrittori Horowitz e Richter
Procede con passo variabile, talvolta leggero, talvolta pesante. Si concede
piccole pause. Riprende il cammino con spirito diverso, ma sullo stesso percorso. La melodia che coordina il capolavoro pianistico di Modest Musorgskij non a caso sintitola Passeggiata. Accompagna il visitatore mentre
passa da una tappa allaltra visitando una mostra monografica di schizzi e
dipinti dellappena defunto architetto Viktor Hartmann (Gartmann). La
Passeggiata torna sette volte, variata ma ben riconoscibile. Restano immutati il ritmo e la melodia, cambiano le armonie e la densit della scrittura,
dunque il timbro. Non ha espliciti rapporti con il materiale musicale che
Musorgskij usa per evocare le singole immagini esposte. Tuttavia la Passeggiata serve da preparazione a ciascuno, a sua volta ne modifica la percezione.
Le immagini visive sono pure assai eterogenee, nellordine: il goffo e
contorto muoversi del gobbo in Gnomo; il canto sconsolato di un menestrello sulle rovine di un Vecchio castello; il gioco di bambini nei giardini
delle Tuileries; il pesante incedere del Bydo, carro polacco con grandi
ruote e trascinato da buoi; il Balletto dei pulcini nei loro gusci, che non ha
bisogno di ulteriori chiarimenti; i Due ebrei polacchi Samuel Goldenberg
e Schmule, il primo ricco e borioso, il secondo povero e lamentoso; il litigio
di massaie al Mercato di Limoges; lagghiacciante Catacombe che lautore qualifica, sul manoscritto, con la frase Lo spirito del defunto Hartmann mi conduce verso i teschi e li invoca: i teschi silluminano dolcemente
dallinterno; la passeggiata (ora intitolata Con mortuis in lingua mortua)
che porta allabitazione della strega nazionale russa Baba Yaga, una Capanna con zampe di gallina; la massiccia e imponente Grande porta di Kiev
che Hartmann progetta in stile rinascimentale russo.
Quadri di unesposizione lunico importante lavoro pianistico di Musorgskij, fra laltro legato a un fatto contingente, la morte dellamico Hartmann. Questi membro di quel piccolo gruppo dintellettuali che nella seconda met dellOttocento cerca di sprovincializzare la cultura russa e di
sottrarla allegemonia occidentale inventando valori nazionali attinti da
unimmensa tradizione artigianale. Diplomatosi alla Scuola delle belle arti di
San Pietroburgo nel 1861, vive in Francia, Italia, Germania. Torna in patria
e stabilisce forti rapporti damicizia e collaborazione con il Gruppo dei cinque musicisti, anche loro alla ricerca di unidentit nazionale russa, libera
dalla colonizzazione occidentale. La pi efficace e duratura testimonianza di
quellamicizia si ha quando Hartmann muore improvvisamente allet di 39
anni, il 23 luglio 1873. Il mentore Stasov detta un appassionato elogio funebre e organizza una mostra di acquerelli, schizzi e progetti dellamico scomparso. Musorgskij visita la mostra e ne ricava lispirazione per una composizione originale. Nel giro di pochi mesi pronta una raccolta di pezzi pianistici, appunto i Quadri di unesposizione, un originale incrocio fra suite e tema con variazioni.
Viene naturale ricondurre lintero lavoro allesempio di Schumann e dei
suoi cicli pianistici. La musica legata alle immagini disegnate da Hartmann
ha i caratteri di Kinderszenen e di Carnaval, con le componenti descrittive
che si uniscono a quelle metaforiche, interpretative. Le troviamo nei quadri
veri e propri: nelle contorsioni dello gnomo, nello strimpellare del trovatore
liutista sulle rovine del vecchio castello, nel battibecco fra massaie al mercato di Limoges, nelle oscurit misteriose delle catacombe, nelle allucinazioni
di Baba Yaga e infine nei pilastri monumentali e nelle campane della torre
della Grande porta di Kiev. Il descrittivismo lordito di questo grande
arazzo ma la trama sono le varianti sul tema della Passeggiata, costruite
appunto alla maniera degli Studi sinfonici di Schumann. Con la differenza
che il tema della passeggiata sempre ben riconoscibile e ha un carattere
russo che ovviamente manca nel tema di Schumann. E ci sono i personaggi,
come in Carnaval.
Anche il filo-occidentale Anton Rubintejn, stimato come fanciullo prodigio da Chopin e Liszt a Parigi, da Mendelssohn e Meyerbeer a Berlino,
sispira a Schumann, in particolare nella sua vasta produzione di sonate,
concerti e pezzi vari per pianoforte. Tant che, rientrato in Russia dalla
Germania, nel 1860 fonda il conservatorio di San Pietroburgo, da subito
fucina di compositori, violinisti e soprattutto pianisti dalla tecnica impeccabile che fissano livelli di qualit che valgono tuttora. Lidea di Rubintejn
di mantenere la continuit con la tradizione germanica e di usare melodie
russe per arricchire il sapore nazionale. Musorgskij, con il suo gruppo, non
daccordo. Crede che la musica russa debba essere diversa nella struttura
musicale, senza fronzoli e senza affettazioni, aspra nella sua voglia di verit
e di espressione. Non vuole che le scale pentatoniche, esatoniche, irregolari
come i ritmi e i colori della musica popolare russa siano semplici elementi
esotici in una struttura formale e armonica regolata da convenzioni straniere. Nellanno in cui finalmente vede rappresentato Boris Godunov, Musorgskij scrive quasi di getto questo capolavoro destinato a cambiare la
storia, non solo quella del pianoforte. Non importa se quanto ha in mente
appare barbarie ai raffinati ambasciatori del levigato pianismo in voga a
met Ottocento in tutta Europa e insegnato ai conservatori di San Pietroburgo e Mosca.
Nel Gruppo dei cinque il pianista pi dotato Balakirev, capace di scrivere quel travolgente pezzo di bravura che la fantasia orientale Islamey
(1869), ancora oggi alla portata di pochi. Come Schumann e a differenza di
Rubintejn, Musorgskij non un pianista virtuoso, anche se padroneggia
bene la tastiera. Esordisce, infatti, da dilettante, come intrattenitore nei salotti della piccola nobilt di cui fa parte, con un repertorio di pezzi di genere
importati dalla Germania e dimprovvisazioni su temi da opere italiane. Si
forma con lezioni private, senza la disciplina di un conservatorio che ancora
non c, guidato soltanto dalla sua fantasia e con una tensione espressiva
concentrata sul teatro, sulla letteratura di Pukin e Gogol, sul canto popolare. Di sicuro Musorgskij usa il pianoforte come mezzo immediato per
mettere su carta idee musicali, con le armonie corrette ma con il timbro ancora sospeso, curandosi poco delle specificit dello strumento, della fatica e
dei rischi che chiede allesecutore senza dargli una contropartita spettacolare. Il suo unico ciclo pianistico nasce per caso.
Forse consapevole delle difficolt di esecuzione e interpretazione, o della
provvisoriet della stesura, certamente distratto da altre cose, Musorgskij
lascia il manoscritto di Quadri di unesposizione nel cassetto. Lo ritrova
Rimskij-Korsakov fra le tante carte postume e lo fa pubblicare con poche
integrazioni nel 1886. Si accorge subito che la scrittura densa e angolosa
delloriginale chiama ad alta voce la strumentazione per grande orchestra,
che affida al suo allievo Mikail Tushmalov. Questa versione sinfonica eseguita per la prima volta nel 1891 in occasione del decennale della morte di
Musorgskij. Per altri ventanni, un minimo di circolazione alloriginale pianistico, in Russia e nel resto dEuropa, assicurato da concertisti minori.
Arriva anche a Londra e desta lattenzione di Henry Wood, animatore e direttore dei locali Promenade Concerts o Proms, una stagione in abbonamento che dal 1834 propone un programma misto di musica leggera e sinfonica
a un pubblico popolare. Wood ne assume la guida dopo una bella carriera
come direttore di opere teatrali e non senza aver reso omaggio ai luoghi
wagneriani di Bayreuth e Monaco di Baviera.
Sotto la conduzione di Wood, dal 1895 al 1944, le stagioni dei Proms riportano Londra nel ristretto cerchio delle capitali musicali mondiali con un
enorme repertorio tradizionale e una gran quantit di musiche nuove. Primeggia la nuova generazione di autori inglesi, in particolare Elgar, Delius,
Vaughan Williams, Britten. Wood riserva subito grande attenzione a Bruckner
e Mahler, Richard Strauss e Sibelius. Fresche dinchiostro, arrivano partiture
di Reger, Schnberg, Debussy, Ravel, Rachmaninov, Stravinskij, Bartk, Hindemith seguite da un pubblico attento, che arriva a sfiorare le diecimila unit
quando la sede dei Proms si trasferisce allenorme Royal Albert Hall (1941).
Sul podio salgono giovani direttori destinati a un grande futuro: Adrian
Boult, Malcolm Sargent, Thomas Beecham. Wood anche autore in proprio:
la sua Fantasia on British Sea Songs (1905) scritta in occasione del centenario
della battaglia di Trafalgar, fino al 2007 eseguita ogni anno in occasione
dellevento Last Night of the Proms. Wood ha una predilezione per la musica
russa e le sue interpretazioni di ajkovskij diventano mitiche: dirige la prima
inglese di Eugenio Onieghin (1892) e propone lintera produzione sinfonica
distribuita in diverse stagioni. La sua passione si estende a Rimskij-Korsakov,
Skrjabin, Glazunov. Scopre subito il giovane ostakovi.
Non sorprende che Wood colga le potenzialit sinfoniche dei Quadri di
Musorgskij, ascoltate da un pianista russo di passaggio. Decide di orchestrarli (1915). Il risultato tale che Serge Koussevitzky, gran capo della Boston Symphony, incarica Ravel di scrivere una nuova versione, in esclusiva
per lui. La scelta perfetta. Come Musorgskij, Ravel non un virtuoso della
tastiera. Usa il pianoforte come strumento di lavoro e calibra le difficolt
tecniche dei pezzi in funzione delle superiori abilit degli amici cui sono
destinati. Ravel compone sempre in termini di musica assoluta, grazie a una
sensibilit timbrica straordinaria. Possiede una specie di orecchio virtuale
per il volume e il colore timbrico delle note, che prova sul bianco e nero del
pianoforte. Proprio scrivendo uno dei suoi pezzi pianistici di pi difficile
esecuzione, la raccolta Miroirs (1905), Ravel si rende conto che la semplice
destinazione al pianoforte limita le potenzialit timbriche della sua invenzione musicale. Decide di strumentare due dei cinque pezzi che formano la
raccolta, Une Barque sur locan e Alborada del gracioso: il suo primo, vero
contatto con la grande orchestra. In seguito ripete loperazione con le altre
sue raccolte pianistiche Ma mre loye (1911) e Le Tombeau de Couperin
(1919). Per la tavolozza timbrica dellorchestra pensato il grande balletto
Daphnis et Chlo (1912).
Per tutto questo, diventa straordinaria la nuova versione di Ravel di Quadri di unesposizione, un capolavoro dentro il capolavoro, premiato da ininterrotta popolarit. Ravel scopre nellaspra scrittura di Musorgskij un caleidoscopio di colori nascosto in un ascetico bianco e nero. La prima Passeggiata squilla con la tromba e continua con varianti affidate a corni e legni
alternati (seconda), a tutti i bassi clarinetti, violoncelli, contrabbassi pi
tromba (terza), fiati argentini (quarta), violini sopracuti (quinta). Il moto
sgangherato di Gnomo per clarinetti, fagotti, archi bassi. Due fagotti
accompagnano e un sassofono canta nel Vecchio castello. Legni giocano
come i bambini nei giardini delle Tuileries. La tuba solista spinge il lento
Ascolti
M. Mussorgsky, Pictures at an Exhibition, S. Richter, PolyGram 1990
M. Mussorgsky, Pictures at an Exhibition, V. Horowitz, rca 1990
M. Mussorgsky, (M. Ravel), Pictures at an Exhibition, F. Reiner, Chicago Symphony Orchestra, rca 2004
Letture
R.P. Bolton, For Victor, Smashwords, Los Gatos 2011
F. Maes, A History of Russian Music: From Kamarinskaya to Baby Yar, California University Press, Berkeley 2002
J. Klein, Mussorgskys Pictures at an Exhibition: A Comparative Analysis of Several Orchestrations, Stanford University Press, Palo Alto 1980
1875Carmen
Georges Bizet
Nietzsche scopre Carmen Una donna libera Musica
per il libretto Bizet e il teatro Offenbach e loperetta
Gounod e lopera leggera Gli insuccessi di Bizet Meilhac
e Halvy Fortuna postuma di Carmen Saint-Sans,
Massenet, Delibes Fine del grand-opra francese Verismo italiano Teatri e opere nazionali
Questa musica mi sembra perfetta. Avanza leggera, duttile, cortese. Sa essere maligna, raffinata, fatale, rimanendo sempre popolare. ricca, precisa.
Costruisce, organizza, giunge al suo termine: cos fa da antitesi al polipo
nella musica, nella melodia infinita. E altrove: Quello che dico di Bizet
non devi prenderlo sul serio, cos come io sono. Bizet non affatto per me.
Ma quale ironica antitesi a Richard Wagner fa grandissimo effetto. Le affermazioni di Friedrich Nietzsche non sono casuali. Il filosofo tedesco
anche capace musicista, autore di composizioni vocali e ottimo pianista.
Scrive queste cose non (solo) per astio nei confronti del rinnegato amico
Wagner, ma perch convinto del valore dellopera di Bizet. Scopre Carmen
nel 1881 e la vede in teatro per almeno 20 volte a Genova e a Torino. Lo
entusiasmano la velocit dellazione e la discontinuit del discorso musicale.
Capisce la portata delloperazione teatrale e anche il senso della musica. Gli
piacciono il cinismo di Bizet e la tecnica drammatica dei librettisti, Henri
Meilhac e Ludovic Halvy, che rivoltano il pur eccellente racconto di Prosper Mrime da cui tutto inizia. Nietzsche intuisce, probabilmente, il processo creativo che sta alla base di una delle opere teatrali pi rappresentate
e amate.
La vicenda facile da riassumere. Il provinciale sergente della finanza
don Jos sedotto dalla sigaraia zingara Carmen. Per lei abbandona i legami
familiari (la madre lontana, la vicina fidanzata Micaela), finisce in galera,
diserta e si aggrega a una banda di contrabbandieri, perde il senno per gelosia. Don Jos torna in citt, non sopporta il nuovo legame di Carmen con il
torero Escamillo. La uccide allingresso dellarena, proprio quando il rivale
abbatte il toro in una trionfale corrida. Non una storia damore. Carmen
una donna libera, che bada ai suoi interessi e al suo mestiere. Don Jos un
illuso che non capisce e che si perde. Sono speculari rispetto ai due protagonisti le figure di Micaela e di Escamillo, che i bravi librettisti innestano sulla
trama originale di Mrime. Sivigliani di citt e contrabbandieri di montagna
Grolstein (1867). Per, in Francia, loperetta vive solo gli anni del Secondo
impero e muore con lavvento della terza repubblica. Offenbach uno dei
primi a tenerne conto. Si dedica allopera fantastica e imposta il suo capolavoro, Les Contes dHoffmann, ispirato ai personaggi del sulfureo teorico del
primo Romanticismo. Lopera resta incompiuta (1880), ma la Barcarola
del quarto atto, recuperata da unoperetta precedente, la consegna al repertorio dei teatri di tutto il mondo, al di l delle diatribe musicologiche sui
modi in cui completata e rappresentata.
Loperetta continua felicemente nella Vienna imperiale, dove la importa
il cosmopolita Franz von Supp, che riproduce una trentina di volte il modello di Offenbach, con punte di eccellenza in Cavalleria leggera (1866) e
Boccaccio (1879). Subito Johann Strauss jr ne fa il contenitore ideale per i
valzer che lo rendono famoso e ne ricava capolavori: Il pipistrello (1874),
Una notte a Venezia (1883), Lo zingaro barone (1885), Sangue viennese
(1899). Non pi parigina, loperetta diventa viennese e con Franz Lehr
scavalca lOttocento (La vedova allegra, 1905) e sopravvive al disfacimento
dellimpero (Il paese del sorriso, 1929). In parallelo, sempre sulla lezione di
Offenbach, loperetta cresce vigorosa a Londra, grazie allaccoppiata fra il
librettista William Gilbert e il musicista Arthur Sullivan: oltre 75 commedie
musicali dalla comicit britannica, apprezzate tanto da George Bernard
Shaw e Oscar Wilde quanto dal popolino britannico, esportate in tutto il
mondo con The Mikado (1885) campione dincassi. Il musical americano del
Novecento, Jerome Kern (Show Boat, 1927) e George Gershwin (Porgy and
Bess, 1935), prende le mosse da qui.
Nella sua frenetica e assai disordinata ricerca di successo, Bizet prova
anche loperetta, senza molta fortuna. Scrive per il teatro di Offenbach Le
Docteur Miracle (1857), Malbrough sen va-t-en guerre (1867) e Sol-si-r-pifpan (1872, perduta, forse distrutta) che vanno in scena ma non restano in
repertorio. Bizet non trascura lancora vivo genere del grand-opra, dove la
concorrenza tuttavia fortissima. Nel 1863, pur contrastato e incompreso,
Berlioz presenta al Thtre Lyrique il suo colossale Les Troyens. Lultimo
capolavoro di Giacomo Meyerbeer, LAfricaine, debutta allOpra nel 1865.
Bizet ci prova con Ivan iv (1865) che lOpra respinge. Restano incompiuti
numerosi altri progetti a fondo storico accarezzati fra 1862 e 1871. Diventa
amico e collaboratore di Charles Gounod, che propone un modello di teatro
pi leggero e intimista, senza clamorosi colpi di scena e attento ai sentimenti dei personaggi, appoggiato su storie note di grandi letterati (Goethe,
Shakespeare) adattate da sapienti librettisti (Scribe su tutti) ai gusti di un
pubblico poco raffinato. Il suo Faust, rifiutato dallOpra perch non abbastanza spettacolare, esordisce in sordina nel 1859 al Thtre Lyrique e inizia
il suo cammino trionfale con la ripresa nel 1862, che lo porta subito nei
tutti favorevoli. Incerta e divisa la critica. Il dissenso verte sullorchestrazione che sembra soverchiare le voci, sulla sua autonomia rispetto allormai
prevalente modello wagneriano, soprattutto sulla rappresentazione della
protagonista e sul realismo quasi brutale, con finale assassinio in scena. Sono
queste, invece, le qualit che esaltano Nietzsche e il pubblico di tutto il mondo. Decollata in modo incerto a Parigi, Carmen trionfa nellottobre dello
stesso anno a Vienna e inizia la sua corsa nei massimi teatri lirici. Bizet, per,
scompare nel giugno dello stesso 1875 e la trasformazione dei dialoghi parlati in recitativi con musica predisposta dallamico Ernest Guiraud. Si
ammorbidiscono cos la brutalit della vicenda e loriginale distacco fra
musica e parola. Carmen si riavvicina allopera tradizionale, ma non perde la
qualit straordinaria del suo linguaggio orchestrale.
Limpatto sul modo di scrivere musica per il teatro enorme. Finisce il
grand-opra e anche il melodramma lirico proposto da Gounod si orienta a
un maggiore realismo. La bravura di Bizet nel combinare una storia dura di
amore e di coltello con una musica trasparente, fatta di suoni cristallini e di
leggerezza ironica, si riversa in Manon (1884) e Werther (1886), i capolavori
dellammiratore Massenet. Continua, vitalizzato da Carmen, il gusto francese per lambientazione esotica. Un caso esemplare Samson et Dalila (1877)
di Camille Saint-Sans, in cui tutto si tiene. La storia si basa sul tipico triangolo fra tenore forzuto (Sansone), soprano sensuale (Dalila), baritono cattivo
(Sommo sacerdote). I classici tre atti sono veloci. Lambientazione biblica e
il netto taglio delle scene sono figlie del Verdi lontano (Nabucco, 1842) e di
quello vicino (Aida, 1871). Le danze sono trasformate in baccanale. Lefficace orchestrazione e il moderato uso del Leitmotiv rendono il dovuto omaggio a Wagner e Liszt. Tutta francese leleganza di un canto mai frammentato e nemmeno continuo, con la conturbante aria della seduzione (Mon
cur souvre ta voix) posta al centro del secondo atto, cio dellintera
partitura. Opera eclettica e davvero cosmopolita, ha la sua prima rappresentazione a Weimar e raggiunge il successo in patria solo dopo quello internazionale. Ancor pi esotico Lakm (1883), il capolavoro operistico di Lo
Delibes, gi fortunato autore dei balletti Copplia e Sylvia. Ricavata da un
racconto di Pierre Loti, ambientata nellIndia coloniale, la delicata storia
dellamore impossibile fra la figlia del bramino e lufficiale inglese termina
col suicidio di lei e si traduce in un memorabile intarsio di musica e canto che
ha i suoi momenti deliziosi nel Duetto dei fiori e nei gorgheggi per soprano leggero nellAria dei campanelli.
Anche il prolifico Jules Massenet guarda allesotico dOriente con Le Roi
de Lahore (1877) e Thas (1894), ma non dimentica la sensibilit parigina per
la musica di Spagna (Le Cid 1885); addirittura rivisita il suo tradizionale
naturalismo francese alla luce del verismo italiano (La Navarraise, 1894). Il
favore del pubblico verso il veloce teatro dazione orienta una generazione
intera di musicisti a comporre drammi realisti, in particolare fra gli italiani
che cercano distacco dal teatro di Verdi: i capisaldi della scuola verista Cavalleria rusticana (1890) di Pietro Mascagni, Pagliacci (1892) di Ruggero
Leoncavallo, LArlesiana (1897) di Francesco Cilea finiscono con omicidi e
suicidi per amore, sempre in scena. il terreno da cui germoglia il nuovo
melodramma di Giacomo Puccini.
Levoluzione e la fortuna del teatro dopera nel secondo Ottocento sono
favorite anche dalla disponibilit di teatri nuovi e moderni. Nelle capitali si
costruiscono: Boloj a Mosca (1856), Coln a Buenos Aires (1857), Covent
Garden a Londra (1858), Mariinskij a San Pietroburgo (1859), Palais Garnier a Parigi (1861-75), Staatsoper a Vienna (1869), Operahz a Budapest
(1875-84), Teatro Nazionale a Praga (1883), Metropolitan Opera a New
York (1883). Ciascun teatro, soprattutto se lontano dalle capitali di sempre,
ospita il repertorio internazionale, ma tende a privilegiare gli autori locali. In
Russia non ci sono solo lopera nazionale di Musorgskij e Rimskij-Korsakov
e quella ormai internazionale degli italiani e dei francesi. Hanno un ruolo
importante anche le opere ibride di Anton Rubintejn (Demon, 1875) e
soprattutto di un ajkovskij, capace di una sintesi perfetta fra i diversi linguaggi con Eugenio Onieghin (1879) e La dama di picche (1890), che entrano
subito nel circuito internazionale. Le pulsioni irredentiste della Boemia trovano a Praga la musica nazionalpopolare di La sposa venduta (1866), Dalibor
(1868), Libue (1881) di Smetana cui si aggiunge Rusalka (1901) di Dvok.
In Polonia il teatro nazionale di Stanislaw Moniuszko (Halka, 1860; Paria,
1869) ruota attorno alla scuola europea di Mendelssohn e quella russa di
Musorgskij e Rimskij-Korsakov. In Inghilterra come nellimpero austroungarico trionfa loperetta. In Italia dilaga il verismo e accanto cresce la stella di
Puccini. In Germania il peso di Wagner di fatto annichilisce il teatro: serve
Richard Strauss (Salome, 1905) per ricominciare. La Francia ha in Massenet
il segno della continuit, in Debussy (Pellas et Mlisande, 1902) la rottura e
linnovazione.
Ascolti
G. Bizet, Carmen, T. Beecham, Chur & Orchestre National de la Radiodiffusion
Franaise, emi 2000
J. Offenbach, Anne Sofie von Otter sings Offenbach, A.S. von Otter, M. Minkowski, dg
2002
J. Strauss ii, Die Fledermaus, C. Kleiber, Bayerisches Staatsorchester, dg 2004
Letture
W. Dean, Bizet, edt, Torino 1980
S. McClary, Georges Bizet: Carmen, Cambridge University Press, Cambridge 1992
S. Kracauer, Orpheus in Paris: Offenbach and the Paris of His Time, Vienna House, New
York 1972
C. Crittenden, Johann Strauss and Vienna: Operetta and the Politics of Popular Culture,
Cambridge University Press, Cambridge 2006
C. Williams, Gilbert and Sullivan: Gender, Genre, Parody, Columbia University Press,
New York 2012
Un mi bemolle grave Canto del Medioevo Anello spezzato Prima il testo, poi la musica Oro del Reno e La
valchiria Le discontinuit di Tristano e Maestri
cantori Sigfrido e Crepuscolo degli di La conversione di Parsifal Chiusura circolare su Lohengrin
Eterno ritorno e minimalismo novecentesco
Come in un organum di primo Duecento della parigina Scuola di NotreDame, dietro alla musica sta un numero, in questo caso il 4. Si parte per
da 1, perch un suono profondo e immobile, quasi infinito, sostiene lintera
costruzione. un mi bemolle grave di 4 contrabbassi raddoppiato allottava superiore da altri 4. Dopo 4 battute, sulle stesse note, si aggiungono 3
fagotti. Passano altre 8 battute di completa immobilit e, uno per volta, si
sovrappongono 8 corni, con altrettanti richiami (sempre di 4 battute) che
salgono verso lalto, fatti con le note successive della scala naturale della
tonalit di mi bemolle maggiore. Il fluire degli archi (prima violoncelli, poi
viole, poi violini), lintervento di flauti, clarinetti e oboi portano variet e
chiarore. Il suono si frammenta, diventa formicolio ma nulla si muove: resta
il principio ordinatore dei segmenti di 4 battute, larmonia ferma sulle
note importanti della tonalit dimpianto, altri ottoni rafforzano il grave
bordone di mi bemolle iniziale, sempre continuo, immobile. Il ritorno al
meraviglioso e pulviscolare Sederunt principes (anno 1198) del medioevale
Protin non potrebbe essere pi esplicito.
Apre con questo preludio Loro del Reno (Das Rheingold), atto unico in
quattro quadri che Richard Wagner pone allinizio della tetralogia Lanello
del nibelungo (Der Ring des Nibelungen), la sua pi ambiziosa e complessa
costruzione teatrale. Tornando agli albori, con il precedente delle sistemazioni teoriche e pratiche sviluppate dal Rinascimento in poi, Wagner vuole
rinnovare le radici sotterranee della musica occidentale e legittimare cos
quanto, della sua concezione del linguaggio dei suoni, appare alla luce del
sole. Loperazione continua con il canto che, nellOro del Reno, come in
tutte le altre opere mature di Wagner, prende a modello lo stile degli antichi
cantori tedeschi, i Minnesnger del Trecento e i Meistersnger del Cinquecento. Ciascuno canta la sua melodia, di regola lunga, non fiorita da abbellimenti, non interrotta dagli altri personaggi che, pazienti, attendono il loro
turno. Sono esclusi i pezzi dassieme, che ricordano il melodramma italiano
e il deprecato grand-opra francese. Sono rari i duetti, pur tanto efficaci sul
piano drammatico. Per Wagner importante che si capisca quel che si dice
in scena, contano la parola e il suo significato. Si torna alla pratica della
Camerata fiorentina che, a fine Cinquecento e prima della rivoluzione operistica dellOrfeo di Claudio Monteverdi, vede nel recitarcantando il ritorno alla purezza del teatro greco e il fondamento della moderna arte della
rappresentazione. Il rispetto per il testo torna a determinare la scrittura
musicale per il semplice fatto che qui teorico, poeta e musicista coincidono,
perch Wagner si occupa di tutto. Ma lo fa in modo diacronico. E questo
risolve ogni problema di coerenza, allinsegna della libert di contraddirsi
connaturata a ogni artista che si rispetti.
Infatti, sono almeno quattro i personaggi che riconosciamo nelluomo
Wagner. La biografia ci tramanda un figuro scaltro e profittatore, megalomane e dissipatore, incapace di veri affetti e destinato a morire solo. Come
teorico dellopera darte totale, Wagner concentra la sua attivit negli anni
dellesilio svizzero, quindi dopo il completamento di Tannhuser e Lohengrin, prima di Tristano e Isotta. Lesperienza barricadiera a fianco dellanarchico Bakunin e larresto dellattivit compositiva per assoluta mancanza
di commissioni di nuove opere gli ispirano i trattati Larte e la rivoluzione
(1849), Lopera darte dellavvenire (1850), Opera e dramma (1850-51), oltre allo scellerato libello Il giudaismo nella musica (1850). La parziale attenuazione del fuoco polemico viene con la scoperta nel 1854 del Mondo
come volont e rappresentazione di Arthur Schopenhauer, che gli serve a
superare il tema della redenzione grazie al sacrificio delleterno femminino
(Senta, Elisabetta, Elsa alle prese con lOlandese, Tannhuser, Lohengrin)
e lo convince che la morte di entrambi gli amorosi lunico rimedio per
lamore contrastato (Isotta e Tristano, Sieglinde e Siegmund, Brnnhilde e
Siegfried). Poi cavalca lottimismo pangermanico con una nuova Musica
dellavvenire (1860) e Arte e politica tedesca (1867). Non ha teorie per la
conversione mistica degli ultimi anni, cui appena accenna nella fluviale
autobiografia La mia vita (uscita postuma nel 1911). Come poeta, Wagner
sempre il librettista di se stesso. Usa una lingua che guarda al passato,
volutamente arcaica, antimoderna. Non scava nella tradizione altotedesca
per dare una poesia e una cultura nazionale a uno stato ancora diviso, come
mezzo secolo prima di lui fanno Goethe, Herder, Schlegel, Novalis, Tieck.
Rifiuta il presente e vuole essere lerede unico dei cantori anonimi che
hanno forgiato lo spirito dei popoli nordici, cos lontano da quello dei latini (francesi e italiani). Nei suoi versi prende a modello le leggende
dellEdda, la storia dei nibelunghi, le trame del Walhalla, la purezza degli
eroi, i misteri delle foreste infinite, dei ghiacci e dei vulcani della lontana
Islanda.
del tutto il rapporto interattivo, per esempio, di Verdi con i suoi librettisti
Piave e Boito, di Bizet con il duo Meilhac-Halvy. In questo caso, il musicista
non osa contestare il poeta. Prima viene il testo, poi la musica. Anche nella
cronologia. Finito e pubblicato a stampa il poema/libretto, Wagner scrive
musica per oltre ventanni quasi senza alterare il testo originale. Inizia la
composizione nel 1853, partendo dal libretto pi recente, Loro del Reno.
Fra il 1854 e il marzo del 1856 completa La valchiria. Scrive subito i primi
due atti di Sigfrido ma sinterrompe per dedicare i due anni successivi a Tristano e Isotta. Per altri cinque anni si occupa di unopera nuova, I maestri
cantori di Norimberga. Riprende Sigfrido solo nel 1864 per terminarlo sette
anni dopo. Quando affronta Il crepuscolo degli di, nel 1871, si ritrova a
mettere in musica il libretto completato per primo, ben ventanni prima, in
un tempo tutto diverso, quando la scelta di evitare i luoghi del melodramma
italiano e del grand-opra francese non ancora radicale. C un quasi concertato nel terzo atto e molti passaggi suggeriscono pezzi chiusi alla maniera dellopera italofrancese. Sincontrano perfino le aborrite arie e romanze. Il poeta Wagner interviene solo in modo marginale. Anzi, cambiando
alcune parole di Brnnhilde davanti al rogo, amplifica le ambiguit sul significato ultimo dellintera operazione.
Il musicista Wagner risolve invece da par suo, in modo geniale. Rispetta
il senso del discorso e la natura delle parole attribuendo loro un declamato
melodico assai lineare, che spesso riecheggia modi medioevali e che non eccede in cromatismi, appunto come immagina si esprimessero i mitici cantori
delle saghe remote. Conservatore con le voci, Wagner per rivoluzionario
con gli strumenti dellorchestra, cui affida la narrazione della storia e le emozioni dei protagonisti. La chiave di volta il principio del motivo conduttore
o Leitmotiv. Wagner sa di non esserne linventore e riconosce a Weber (e in
parte a Berlioz) la giusta priorit. Per il primo a sfruttarlo con caparbia
sistematicit. Lo collauda nellOlandese volante, in Tannhuser, in Lohengrin. Ne fa la chiave di tutte le opere successive, partendo proprio dallAnello del nibelungo, fin dal suo prologo. Lorganum sul mi bemolle grave con cui
inizia Loro del Reno la cellula staminale di tutto quanto seguir. Rappresenta il fondo primordiale del fiume sacro, le correnti che si muovono, la
luce che traspare, la spuma delle onde, la vita delle ondine. Genera incisi,
timbri e ritmi che a loro volta mutano in cellule autonome, rappresentative
di luoghi, situazioni e personaggi di un processo temporale che diventa narrazione. La musica ci insegna a riconoscere il nano Alberich e il gigante
Fafner, il dio Wotan e leroe Siegfried, Brnnhilde guerriera e Brnnhilde
amorosa. E ci sono i temi delloro, della lancia, della spada e tantissimi altri.
Riconoscere i singoli Leitmotiv un esercizio di fantasia. Wagner non ci ha
lasciato un glossario, e i suoi esegeti concordano tutti su una base di 60, ma
za. Realizza, alla fine della vita, forse inconsapevole, lopera darte totale, in
cui musica, parola e gesto sono un tuttuno. Ne risente il ritmo, che rallenta.
Lazione si trasforma in ipnosi. Ci si prepara alla musica infinita, alla ripetizione che torna, alleterna ghirlanda brillante che avr tanti cultori nel Novecento, tranne in Europa.
Ascolti
R. Wagner, Der Ring des Nibelungen, G. Solti, Wiener Philharmoniker, Decca 1997
R. Wagner, Der Ring des Nibelungen, P. Boulez, Orchester der Bayreuther Festspiele, dg
2005
R. Wagner, Parsifal, H. von Karajan, Berliner Philharmoniker, dg 1984
Letture
G. Fournier-Facio, A. Gamba, Linizio e la fine del mondo. Nuova guida allascolto del
Ring di Wagner, il Saggiatore, Milano 2013
J.J. Nattiez, Wagner androgino. Saggio sullinterpretazione, Einaudi, Torino 1997
R. Donington, Wagners Ring and Its Symbols: The Music and the Myth, Faber and
Faber, London 1974
J.S. Bolen, Ring of Power. The Abandoned Child, the Authoritarian Father, and the Disempowered Feminine: A Jungian Understanding of Wagners Ring Cycle, HarperSanFrancisco, New York 1993
D. Cooke, I Saw the World End: A Study of Wagners Ring, Oxford University Press,
Oxford 1979
S. Friedlnder, J. Rsen (a cura di), Richard Wagner im Dritten Reich, C.H. Beck, Mnchen 2000
J. Khler, Wagners Hitler: The Prophet and His Disciple, Polity Press, Oxford 2000
M.A. Weiner, Richard Wagner and the Anti-Semitic Imagination, University of Nebraska
Press, Lincoln 1997
P. Burbidge, R. Sutton, The Wagner Companion, Faber and Faber, London 1979
sconcerta gli appassionati del balletto. La musica quasi inverte il ruolo con
la coreografia. la grande orchestra sinfonica che conduce le danze, con
la massa dei suoi ottoni, luso del pizzicato, la presenza del sassofono; per
senza appesantimenti, con diffuso umorismo e spirito boulevardier che
assorbono le ambiguit armoniche wagneriane profuse da Delibes in ogni
pagina. Non a caso il suo capolavoro, lopera Lakm (1883), in bilico
costante fra dramma e commedia, fra esotismo indiano e spirito parigino.
Quanto charme, che ricchezza di melodie, ritmo, armonie. Mi ha fatto
vergognare. Avessi conosciuto prima questa musica, mai avrei scritto Il lago
dei cigni scrive ajkovskij dopo aver studiato la partitura di Sylvia. Infatti,
i due balletti sono contemporanei e frutto di un medesimo approccio al genere. Musique dabord, prima la musica, pensano entrambi i musicisti.
Accingendosi a scrivere il suo balletto desordio, ajkovskij esamina con
attenzione i successi del tempo. Non apprezza la musica degli specialisti in
balletto attivi in Russia. Il pi famoso laustriaco Lon Minkus, che dal
1863 risiede a San Pietroburgo, violinista in orchestra, collabora con il
matre de ballet Arthur Saint-Lon e con il balletto imperiale. Di passaggio a
Parigi, assieme al giovane Delibes scrive La Source (1866), un caposaldo del
repertorio di allora. Predecessore di Minkus litaliano Cesare Pugni, compositore favorito dal coreografo-capo Perrot e per un decennio (1849-59)
maestro di ballo alla corte russa. Perrot e Pugni firmano insieme oltre 300
balletti, fra cui sopravvive La Esmeralda (1844). Pigro e alcolizzato, il musicista Pugni mantiene la posizione quando Perrot rientra in patria e, proveniente da Parigi, gli subentra Saint-Lon, gi compagno delltoile Fanny
Cerrito e prossimo coreografo di Copplia. Per, nel 1862 a San Pietroburgo
sinsedia un altro coreografo francese di valore, Marius Petipa, figlio darte,
ottimo ballerino, partner di Carlotta Grisi. Per quarantanni Petipa domina
il balletto russo e trasforma San Pietroburgo nella sua nuova capitale. Debutta con La figlia del faraone (1862) su musiche di Pugni, ma presto allontana
il musicista perch inaffidabile e lo sostituisce con il solido, paziente e disponibile Minkus, assieme al quale miete consensi con una produzione sterminata che ha i vertici in Don Chisciotte (1869) e La Bayadre (1877), oltre che
in un fortunato arrangiamento di Giselle.
Con Petipa, il coreografo che comanda in teatro, mentre il musicista
esegue, aggiusta, cambia le partiture in funzione dei passi di danza. Non
certo il punto di vista di ajkovskij, che scrive Il lago dei cigni senza coordinarsi con il praghese Julius Reisinger, ottimo ballerino, coreografo a Lipsia,
approdato a Mosca nel 1873 come direttore di ballo al Boloj. La mancata
collaborazione fra coreografo e musicista condiziona il debutto del Lago dei
cigni. La scrittura musicale chiede molto a unorchestra preparata in fretta.
Le poche prove rendono avventurosa la messa in scena. Non un successo,
lets russes, nel 1909. La sede della nuova compagnia diventa Parigi, la metropoli della Belle poque che di colpo e grazie al genio organizzativo e artistico dei russi si ritrova capitale della danza, ruolo sottrattole per oltre
mezzo secolo da San Pietroburgo (e Mosca), con i soldi degli zar e la bravura delle compagnie di ballo.
Ascolti
P.I. Tchaikovsky, Swan Lake, V. Gergiev, Mariinsky Ballet, Decca 2007 (dvd)
P.I. ajkovskij, Leonard Slatkin Conducts Tchaikovsky Ballets, L. Slatkin, Saint Louis
Symphony Chorus, rca 2012
A. Adam, Giselle: Complete Ballet, A. Fistoulari, London Symphony Orchestra, Philips
1996
Letture
D. Brown, ajkovskij, il Saggiatore, Milano 2012
R.J. Wiley, Tchaikovsky, Oxford University Press, Oxford 2009
A. Orlova, ajkovskij. Un autoritratto, edt, Torino 1993
D. Brown, Tchaikovsky: A Biographical and Critical Study, Victor Gollancz, London 19781996
Serie IX.
Le svolte di fine Ottocento
nano nel conservatorio di Vienna e si esaltano in quello di Lipsia. A soli dodici anni, Mendelssohn lo porta a Londra, per suonare, sotto la sua direzione, il Concerto op. 61 di Beethoven. Suona nellorchestra del Gewandhaus di
Lipsia accanto a Ferdinand David, altro mito del tempo, a sua volta erede
della tradizione tedesca di Louis Spohr, ispiratore e primo interprete del
Concerto in mi minore di Mendelssohn, curatore di edizioni moderne dei
settecentisti Veracini e Locatelli, autore di concerti, capo di un famoso quartetto darchi.
Nel 1848 Joachim entra entusiasta nella cerchia di Liszt a Weimar, ma si
dissocia nel 1852, attirato dallorbita di Robert e Clara Schumann. In casa
Schumann conosce Brahms, ventenne e reduce da una tourne con il violinista ungaro-gitano Ede Remnyi, altra figura leggendaria: barricadiere a
Vienna nel 1848 e pertanto esiliato, violinista di strada in America, solista
della regina Vittoria e poi (riabilitato) dellimperatore Francesco Giuseppe,
concertista anche in Cina e Giappone, morto sul palco a San Francisco nel
1898. Fra Brahms e Joachim sinstaura unamicizia che dura per tutta la vita,
cementata da concerti comuni, pubblici e privati, da una fitta corrispondenza con Clara Schumann sempre coinvolta. Joachim inizia a scrivere il suo
Concerto nello stile ungherese nel 1854, impiega sette anni per completarlo,
lo dedica a Brahms che gli dirige lorchestra in numerose occasioni e consiglia di eseguirlo pi spesso e di scriverne altri. Lamico critico Hanslick si
spertica in lodi. A fine Ottocento quel concerto considerato un pilastro del
repertorio violinistico, mentre oggi dimenticato. Il primo importante progetto comune di Brahms e Joachim arriva solo 25 anni dopo, appunto con il
Concerto op. 77. Nel frattempo, la frenetica attivit concertistica di Joachim
convince altri musicisti a scrivere nuovi lavori. Uno di questi Max Bruch,
il cui Primo concerto (op. 26, 1866), lirico, appassionato, mendelssohniano
con finale che anticipa Brahms, diventa un cavallo di battaglia di Joachim,
che chiede e ottiene un adattamento dallautore nel 1867. Piace anche a Sarasate, che incanta Bruch con la sua interpretazione e lo induce a scrivere
subito per lui un Secondo concerto (op. 44, 1877).
Spagnolo di nascita ma allievo del conservatorio di Parigi, Sarasate rappresenta nel secondo Ottocento la risposta della scuola violinistica francese
a quella ungarotedesca di Joachim. Il suo maestro, Jean-Delphin Alard, subentra dal 1843 alla cattedra di violino di Pierre de Baillot, gi allievo di
Giovanni Battista Viotti e collega di Rodolphe Kreutzer e Pierre Rode, cio
del gruppo che ispira i capolavori violinistici di Beethoven e imposta la tecnica di Spohr, a sua volta maestro di Joachim. Non longilineo come Paganini,
dunque limitato nellestensione delle arcate, ma insuperabile nella qualit
del suono e nella precisione dellintonazione, Sarasate conquista subito le
capitali Londra e Parigi. Alternando due preziosi violini Stradivari, presenta
un repertorio fatto di brevi lavori di propria composizione, adatti a valorizzare le sue qualit e a conquistare il pubblico. Fra le tante fantasie su temi da
opere famose di Verdi, Rossini, Massenet, emerge quella su Carmen di Bizet
che, assieme a Serenata andalusa, Introduzione e tarantella, le tante danze
spagnole, le immancabili arie zigane, tuttora un banco di prova per ogni
violinista.
Sarasate per grande ispiratore e interprete di musiche altrui. Non ha
ancora 15 anni quando Saint-Sans scrive per lui il Primo concerto (op. 20,
1859), e poi gli rinnova la fiducia con il pirotecnico Introduzione e rond
capriccioso (op. 28, 1863) e il Terzo concerto (op. 61, 1880). Allintimo amico
Bizet, Sarasate trasmette lamore per i suoni di Spagna dai quali nasce Carmen. duard Lalo gli dedica la Sinfonia spagnola (1875), brillante contributo
alla voglia di libera rapsodia e di esotismo manierato allora in voga. Qui il
nome sinfonia da intendere in senso etimologico, perch in realt si tratta
di un concerto per violino e orchestra in cinque movimenti senza interruzione, che attacca misterioso, prosegue su ritmi di seguidilla e pizzicato da
chitarra, con un magnifico notturno al quarto posto e una danza generale
alla fine. Sarasate porta la Sinfonia spagnola in trionfo in tutta Europa e trasferisce il modello a Bruch, che risponde con una Fantasia scozzese (op. 46,
1880). Lo schema identico. Inizia grave, evoca danze, imita zampogne,
chiude con fanfare di guerra. Bruch utilizza diversi motivi scozzesi appresi
sui libri ben prima di visitare la Scozia, in particolare il canto Hey Tuttie
Tattie che si dice abbia accompagnato la vittoria di Robert the Bruce contro
i nemici inglesi nel 1314. Anche se i motivi non sono facili da riconoscere, le
frequenti scale pentatoniche danno quel sapore esotico che tutti cercano. La
fantasia pensata per Sarasate, che nicchia. La dedica passa a Joachim, che
collabora alla stesura finale, ma non soddisfa lautore alla prima di Liverpool
(1881). Bruch si rivolge ancora a Sarasate, che ci ripensa e la porta al trionfo
londinese del 1884.
A Parigi, nel 1876, la Sinfonia spagnola incanta anche ajkovskij, che
decide di cimentarsi con il concerto per violino. Assieme al giovane Iosif
Kotek, violinista ucraino allievo di Joachim, scrive velocemente un capolavoro assoluto (Concerto per violino op. 35, 1878). A differenza di Brahms,
ajkovskij affida al violino tutte le grandi melodie e libera il solista da ogni
costrizione formale che, dopo una breve preparazione orchestrale, attacca
con un assolo dolce e improvvisatorio, svetta nel rapsodico primo movimento (Allegro moderato), assapora il canto nel secondo (Canzonetta), diventa pirotecnico nel finale. Kotek non si sente di presentare il concerto in
pubblico e ajkovskij lo offre a Leopold Auer, che si adombra per non essere stato coinvolto nella stesura finale e lo dichiara ineseguibile.
Auer un altro grande violinista di quellepoca. Anchegli ungherese,
lunico vero erede di Sarasate a Parigi. Finiti gli studi, Ysae diventa primo
violino nellorchestra di Benjamin Bilse, da una secessione della quale nel
1882 nasce lOrchestra filarmonica di Berlino. Lo nota Anton Rubintejn,
che subito lo vuole come compagno di tourne. Ysae si stabilisce a Parigi
e nel 1886 ispira a Franck la pi famosa sonata per violino e pianoforte di
fine Ottocento, quella che probabilmente contiene la petite phrase che serve
da colonna sonora di Un amore di Swann nella Ricerca del tempo perduto di
Marcel Proust. Di sicuro non il famoso e brillante Ysae che suggerisce a
Proust la figura triste e sfortunata dellautore della sonata di Vinteuil. Scrivono per Ysae anche Saint-Sans (Valse caprice, 1886), Debussy (Quartetto, 1893), Chausson (Pome, 1896), che apprezzano il suo modo di suonare
espressivo, perfettamente intonato, elegante e misurato. Ysae ha un repertorio vasto, comprese le Sonate e Partite di Bach per violino solo che fanno
da modello per le proprie e assai fortunate 6 Sonate op. 27 (1923), ciascuna
dedicata a un amico violinista.
A sua volta Joachim resta attivissimo in Germania e Inghilterra fino al
1907, sia come solista sia come anima del suo quartetto, attivo dal 1869 pur
con diverse formazioni. Dopo la frattura che avviene quando Brahms sembra prendere le parti della moglie nella causa di divorzio di Joachim, il
forte legame fra i due si rinnova nel 1889 con il Doppio concerto per violino
e violoncello op. 102. Nel nuovo lavoro, Brahms inserisce il tema fa-la-mi,
che nella notazione tedesca f-a-e, acronimo di Frei aber einsam (libero ma
solo), il motto di Joachim. Ha lo stesso significato dato, nel lontano 1853,
alla sonata per violino e pianoforte dedicata a Joachim e scritta insieme agli
amici Robert Schumann e Albert Dietrich. Alla prima del Doppio concerto
(Colonia 1889), Brahms dirige lorchestra; sono solisti Joachim e il violoncellista Robert Haussmann, collaboratore di entrambi in musica da camera.
Clara Schumann, sempre critica, legge la partitura e trova poco brillanti le
parti solistiche. cos tutto lultimo Brahms, compreso quello che scrive le
ultime due Sonate per violino e pianoforte op. 100 e op. 108 per il brillante
Joachim. La malinconia si accentua nellestrema coppia di sonate op. 120,
pensate per il clarinettista Richard Mhlfeld, e vela il Quintetto op. 115
eseguito per la prima volta nel 1891 da Mhlfeld assieme al Quartetto Joachim: qui lomaggio si estende a Joachim grazie ai frequenti dialoghi fra
clarinetto e primo violino, in particolare a met del terzo tempo; e non
manca il tocco ungherese (episodio centrale del secondo movimento), con
il clarinetto che si trasforma in violino zigano e gli archi che diventano
cimbalom.
Ascolti
J. Brahms, P.I. Tchaikovsky, Violin Concertos, J. Heifetz, F. Reiner, Chicago Symphony
Orchestra, rca 1993
M. Bruch, H. Vieuxtemps, Concerto No. 1, Scottish Fantasy Concerto No. 5, J. Heifetz,
M. Sargent, New Symphony Orchestra of London, rca 1995
C. Saint-Sans, H. Wieniawski, Violin Concerto No. 3 Violin Concerto No. 2, I. Perlman,
D. Barenboim, Orchestre de Paris, dg 1983
Letture
W. Kolneder, The Amadeus Book of the Violin: Construction, History, and Music, Amadeus Press, Portland 1998
D. Schoenbaum, The Violin: A Social History of the Worlds Most Versatile Instrument,
W.W. Norton & Company, New York 2012
Bruckner. Dire che apprezza i sapori netti delle cose semplici pu sembrare
riduttivo, ma coglie nel segno.
Senza essere un intellettuale in senso stretto, Brahms conosce bene quanto circola intorno alla musica, per si mantiene artigiano. Il che non significa
facilit di scrittura e mancanza di tormenti creativi. Tuttaltro. Pochi contemporanei vivono le evoluzioni e contraddizioni tecniche del secondo Ottocento con maggiore coscienza di Brahms: leredit dei grandi classici da
rinverdire, larmonia tonale picconata dai cromatismi wagneriani, lautonomia dellarchitettura musicale sempre messa in discussione, per non parlare
appunto della contaminazione con altre arti. Va aggiunto il suo carattere
schivo e di sicuro turbato dalle umili origini, dagli studi irregolari, dal drammatico incontro con Robert Schumann e Clara Wieck. Tutte cose che frenano gli slanci giovanili, che lo convincono a prendere le cose da lontano, avvicinandosi con cautela e fatica ai generi musicali consacrati da una tradizione che sente propria. La storia quasi ventennale della composizione della sua
Prima sinfonia spiega bene le inquietudini di Brahms e la consapevolezza che
ha dei propri limiti.
Sappiamo che il giovane Brahms non studia composizione e orchestrazione in conservatorio e con maestri famosi. Che solo un ottimo pianista, con
tante idee, quando il 30 settembre del 1853, il suo coetaneo ma gi famoso
violinista Joachim gli presenta Schumann. Questi, giunto ormai alla fine
della sua tormentata vita, roso da un male che lo sta portando in manicomio,
tanto impressionato dal giovane amburghese da scrivere, in un momento
di lucidit (o, a scelta, di follia) sulla sua importante rivista Neue Zeitschrift
fr Musik, che Brahms luomo dellavvenire, cio lerede di Beethoven.
Molti biografi vedono in ci un grande aiuto ai primi passi da compositore
di Brahms, e forse davvero cos. Certo che la profezia di Schumann condiziona in modo forte il suo futuro di uomo e di autore, mentre il rapporto
psicoanalitico di dipendenza fra lautoproclamato padre artistico e il giovane
pieno di talento proprio attende ancora una convincente sistemazione.
In ogni caso, il ventenne Brahms si sente subito spronato a realizzare
grandi cose, in primo luogo una sinfonia che continui le vie aperte da Beethoven. I primi abbozzi per una sinfonia in re minore risalgono al 1854, ma
paiono inadeguati e sono parzialmente riciclati nel Concerto in re minore per
pianoforte (op. 15, 1856-58). Il progetto sinfonico accarezzato ancora per
qualche anno, senza esiti concreti. Brahms ripiega su meno impegnative serenate alla maniera mozartiana (op. 11, 1857; op. 16, 1858). Mentre esce
tanta, e bellissima, musica da camera e vocale. Nel 1862 pronto un primo
movimento sinfonico, che la vedova Schumann giudica interessante anche se
un po severo. Brahms si ferma di nuovo e, otto anni dopo, scrive sconsolato
al direttore dorchestra Hermann Levi: Non riuscir mai a scrivere una
dalla stessa forza che riesce a generare. I tanti spunti melodici che nascono
dal tema principale emergono a fatica dalla trama di sviluppi e controcanti.
Difetto di strumentazione, ossia povert di timbri, verrebbe da concludere,
in sintonia con chi si dichiara perplesso sul valore assoluto del primo esperimento sinfonico di Brahms. la stessa critica che si fa alle sinfonie di Schumann, ricordando che Mahler le riorchestra per renderle trasparenti e impreziosirne il valore.
La prima esecuzione della Prima sinfonia avviene il 4 novembre 1876 a
Karlsruhe sotto la direzione di Felix Otto Dessoff. Condotte dal direttore
Levi, dal violinista Joachim e dallo stesso autore, ci sono riprese a Mannheim,
Monaco, Vienna, Lipsia, con rapida esportazione in Inghilterra e crescente
successo. Brahms sinserisce cos nel movimento che riprende il gusto di
scrivere sinfonie. In Europa come oltre Atlantico si consolidano gli organismi sinfonici con le loro stagioni e i fedeli abbonati intenditori. Ogni capitale, Italia esclusa, ha o sta per avere una sua grande orchestra stabile, con
appropriata sede: Gewandhaus di Lipsia (fondata nel 1743), Royal Philharmonic Society di Londra (1813), Socit des Concerts du Conservatoire de
Paris (1828), Wiener Philharmoniker (1842), New York Philharmonic
(1848), Boston Symphony Orchestra (1881), Berliner Philharmoniker
(1882), Orchestra filarmonica di San Pietroburgo (1882), Amsterdam Concertgebouw (1888), Chicago Symphony Orchestra (1891). La domanda di
nuovi lavori per orchestra, sinfonie e poemi simpenna. Dopo i magri anni
centrali nei quali operano pochi autori minori, sperimenta il solito Liszt e
provano altre vie Bruckner e ajkovskij, finalmente arriva il fluviale trentennio di fine Ottocento, quando scrivono per grande orchestra anche gli italiani Giovanni Sgambati e Giuseppe Martucci.
Se Brahms vede la Prima sinfonia come la fine di uno strazio ventennale,
non ha particolari problemi con le tre successive. La freschezza della sostanza e la velocit di composizione della Seconda (op. 73, 1877) mostrano un
approccio sereno al genere antico, trasformato in serenata bucolica. La Terza
(op. 90, 1883) recupera il piglio dialettico nel primo movimento e quello
drammatico nellultimo, ma ha il suo momento magico nel terzo, che non
il solito Scherzo ma un Intermezzo che lega bene con il lirismo del secondo. E per la prima volta in Brahms, proprio nella Terza, si percepisce un
legame musicale trasversale. Esposto allinizio, accennato nei movimenti
centrali ed espanso nel finale, un motivo di tre note (fa-la-fa), che nella
notazione tedesca corrispondono a f-a-f, ossia alle iniziali del motto personale di Brahms: Frei aber froh (libero ma felice); giusto il contrario del motto
dellamico Joachim, f-a-e, Frei aber einsam (libero ma solo). Non certo un
Leitmotiv alla maniera wagneriana, ma di sicuro un segnale di attenzione
verso il principio ciclico allora diffuso in tutta Europa.
Ascolti
J. Brahms, The Four Symphonies, C.M. Giulini, Wiener Philharmoniker, Newton Classics
2011
J. Brahms, Symphonie No. 4, C. Kleiber, Wiener Philharmoniker, dg 1998
A. Webern, Passacaglia, Symphony etc., C. von Dohnnyi, The Cleveland Orchestra,
Decca 1998
Letture
A.P. Brown, The Second Golden Age of the Viennese Symphony: Brahms, Bruckner,
Dvok, Mahler and Selected Contemporaries, Indiana University Press, Bloomington
2003
W. Frisch, Brahms: The Four Symphonies, Yale University Press, New Haven 2003
R. Pascall (a cura di), Brahms: Biographical, Documentary and Analytical Studies, Cambridge University Press, Cambridge 1983
1887Otello
Giuseppe Verdi
Lo squillo del tenore La musica che porta Otello nellabisso Verdi dopo la trilogia La forza del destino
Don Carlos Aida Contestazioni scapigliate Mefistofele Boito operista Catalani e Ponchielli Rifacimenti Ritorno a Shakespeare Boito librettista Otello Falstaff
1887Otello597
rende ambiguo il grande duetto damore che corona il primo atto. Nel secondo atto, sempre lorchestra che lega il continuo fluttuare delle situazioni:
linno blasfemo e le viscide diplomazie di Jago, il candore di Desdemona, la
dabbenaggine di Cassio, la follia di Otello. Netti ma non discontinui sono
anche i passaggi del terzo atto. Nel quarto, diventa sublime il senso di fatalit
immanente che incombe su Desdemona in preghiera e su Otello che sacrifica
lei e uccide se stesso, in preda a una follia che ha radici nella tragedia greca.
Il percorso della tragedia, nei suoi quattro atti, ben scandito dal libretto
che Arrigo Boito ricava da Shakespeare. Pi che il lessico arcaico e le imbarazzanti metafore di Boito, contano la brevit delle frasi, le secche interiezioni, i dialoghi veloci che il genio musicale di Verdi addomestica e cavalca. Un
tessuto finissimo di timbri e di melodie, di sussurri e di pause di unorchestra
trasparente come non mai avvolge e accompagna lazione dallinizio alla fine,
ben oltre la logica di una narrazione letteraria. A Verdi non servono sprazzi
di Leitmotiv. Sa ottenere la plastica continuit dellaffresco, non la dissociazione del mosaico; vuole la dissolvenza dellanalogico, non la scansione del
digitale. Inutile cercare temi di Otello e di Desdemona, di Jago e Cassio,
dellamore e della gelosia. Lunico riferimento circolare evidente quello del
bacio, appassionato nel finale del primo atto, disperato nel finale del quarto.
Le voci dei protagonisti accennano cavatine, ariosi, arie, cabalette, duetti,
quartetti, concertati che non sono pi i pezzi chiusi del melodramma tradizionale, e neppure le immobili melodie infinite wagneriane.
Otello dunque una partitura rivoluzionaria. Non ci fossero 16 anni a distanziarla dalla precedente Aida, si direbbe che una rottura netta con il passato. Aida, infatti, si mantiene fedele alla storia personale di Verdi e del teatro
musicale del tempo con le innovazioni del caso, ma in totale continuit. Con
La forza del destino e Don Carlos rientra anzi nella trilogia internazionale degli
anni sessanta che conferma il prestigio conquistato negli anni cinquanta con la
trilogia italiana (e romantica) Trovatore, Rigoletto, Traviata. per il teatro
imperiale di San Pietroburgo che nel 1862, in cambio di un onorario altissimo,
Verdi compone la nuova opera La forza del destino. Si rinnovano i fasti settecenteschi dellopera italiana in Russia. Esaltata dalle assurdit narrative del libretto, la musica ha un fortissimo impatto drammatico sia nel canto sia nel
robusto accompagnamento orchestrale. Il giovane Musorgskij ne coglie il valore, che non scorda in Boris Godunov. La sinfonia, inserita in occasione della
prima scaligera (1869), aggiunge nuova fortuna a questa opera verdiana che
non esce mai dal repertorio, nonostante la fama di menagramo che le attribuiscono i numerosi incidenti che registra la storia delle sue rappresentazioni.
Limpianto da grand-opra francese della Forza del destino si amplia ancor pi nellopera seguente, Don Carlos, composta nel 1867 per lOpra di
Parigi. Sono sempre cinque atti, con ambienti regali, movimenti di masse,
balletti sfarzosi, storie damore che sintrecciano con trame politiche sullo
sfondo (anzi, sul primo piano) di conflitti fra Stato e Chiesa. Lintreccio
degno del pi fantasioso Scribe: il giovane Don Carlos, amico del sovversivo
Duca di Posa, innamorato della futura matrigna destinata in sposa al padre
e re Filippo ii, a sua volta sottomesso al volere del Grande Inquisitore. Don
Carlos processato, condannato, ma sottratto al patibolo dal finale intervento di un deus ex machina, il nonno, limperatore defunto Carlo v. La musica
supera notevolmente il miglior Meyerbeer. I personaggi sono individuati con
poche note entro scene sempre memorabili dove sono continui i passaggi
dallintimo allo spettacolare. Per lo stesso Verdi capisce di aver messo troppa carne al fuoco e per le riprese italiane interviene prima con alcune modifiche (1872), poi con il taglio del primo atto (Don Carlo, 1884) e infine con
un parziale ripristino senza balletti (1886).
Il lungo soggiorno parigino per lallestimento di Don Carlos consente a
Verdi di respirare il clima teatrale della Parigi di allora, di cogliere le beffarde
ironie delle operette di Offenbach e soprattutto lintimismo con cui la nuova
opra-lyrique (il Faust di Gounod) sta soppiantando la magniloquenza del
grand-opra. Ne tiene conto nella nuova opera, Aida. La scrive su commissione del vicer dEgitto, disposto a pagare una cifra astronomica per dar lustro
al nuovo teatro dopera costruito al Cairo. Il successo di Aida (24 dicembre
1871) trionfale, si ripete alla Scala (8 febbraio 1872) e quindi nei teatri di
tutto il mondo. Lo spettacolo assicurato dalla grande parata trionfale di
Radams alla fine del secondo atto e dalle infinite opportunit di elaborare
scene e costumi secondo unidea dei tempi faraonici illustrata dalle figurine
Liebig (che nascono nel 1872). Salvo vaghi tocchi di esotismo, assorbiti a Parigi, la musica di Verdi mantiene il canovaccio del legame amoroso sottoposto
alla violenza del potere politico e sacerdotale, cerca sempre il lirismo e di rado
lestroversione. Prima ancora di combattere, il prode Radams dedica la futura vittoria alla schiava Aida e con lei si fa seppellire vivo dopo aver ignorato
lamore della figlia del faraone Amneris, le trame del potenziale suocero Amonasro che ha appena sconfitto, lo spietato verdetto della casta. Il duetto finale
(O cieli azzurri) lirismo puro, un rassegnato addio, un inno alla morte per
amore. Forse, quasi sessantenne, Verdi vuol chiudere qui la sua vita di autore.
Ha gi in mente la Messa da Requiem, in memoria di Alessandro Manzoni.
Dallapparente ritiro in campagna e mentre segue le riprese di opere proprie, Verdi continua per a seguire con attenzione quanto succede in teatro.
Non crede che gli italiani possano amare la musica strumentale, per scrive,
nei ritagli di tempo, un quartetto per archi che sta alla pari con quelli che in
quegli anni scrivono Brahms, ajkovskij, Dvok, Faur. Lo disturbano le
manovre della cosiddetta nuova scuola italiana, che vuole rinnovare il melodramma emancipandolo appunto dalla sua eredit incombente. Non gli
1887Otello599
piace il capofila, il padovano Boito, allievo del conservatorio di Venezia, saggista e polemista, sostenitore della diffusione in Italia della musica strumentale e delle societ di concerto su modello tedesco, ma soprattutto sospettato
di velleit wagneriane. Mefistofele (1868) di Boito, assieme allovvia ispirazione germanofila da Faust di Goethe, assorbe molte soluzioni orchestrali che
arrivano da Tannhuser, oltre che dal modo di disporre le voci proprio del
grand-opra francese di Meyerbeer e Halvy. Ne sono esempio il grande
prologo e il monumentale finale. Non mancano gli omaggi alla tradizione
melodrammatica italiana (le romanze Dai campi, dai prati, Laltra notte in
fondo al mare), ma evidente in Boito unoperazione intellettualistica che
vuol rendere provinciale la capacit di comunicazione diretta di Verdi.
Boito non ha immediato successo come operista. Lesito della prima di
Mefistofele, alla Scala di Milano (1868), catastrofico. Funziona solo una
revisione del 1875 per Bologna, che rimane in repertorio fino ai nostri giorni.
Il tentativo successivo, Nerone, impostato nel 1862 ma rimane incompiuto
ed rappresentato postumo nel 1924 alla Scala con la direzione di Arturo
Toscanini che ne firma anche lorchestrazione (assieme al ricusato Antonio
Smareglia e al modesto Vincenzo Tommasini). Lentusiastica prima accoglienza postuma di Nerone non si ripete nelle stagioni successive. Consapevole delle sue non eccelse qualit di compositore, Boito diventa librettista,
non pi solo di se stesso, ma anche degli amici. Inizia nel 1865 collaborando
con Franco Faccio, che per preferisce dedicarsi alla direzione dorchestra e
sar sul podio per la prima dellOtello di Verdi. Scrive il testo per La falce
(1875), opera desordio di Alfredo Catalani. Con La gioconda (1876) porta
ad Amilcare Ponchielli una storia che ha le truculenze di Eugne Scribe e
lampia articolazione del grand-opra, e suggerisce una partitura in cui i
tradizionali pezzi chiusi non sono staccati luno dallaltro, ma legati da un
collante melodico-strumentale con una scrittura orchestrale molto curata, in
senso wagneriano. Come testimonia la musica da balletto La danza delle
ore, subito popolarissima.
Forte di queste esperienze e con studiata prudenza, Boito riesce a ricucire i rapporti con Verdi. Collabora alla ristrutturazione di Simon Boccanegra
(1881) e soprattutto convince lanziano maestro a scrivere una nuova opera.
importante la scelta dellargomento. Verdi da sempre sensibile al grande
teatro in prosa e a quello di Shakespeare in particolare. Oltre al compiuto
Macbeth, pensa di mettere in musica anche La tempesta e Romeo e Giulietta
e schizza numerose scene per Re Lear senza per arrivare in fondo. Sfoglia
la partitura di Hamlet di Thomas ed esclama: Povero Shakespeare, come ti
hanno trattato male. Per decenni ha timore di fare altrettanto. Boito ha il
merito di convincerlo a mettere in musica Otello. Verdi accetta perch sa di
avere risorse musicali molto pi potenti che nei giovanili anni di galera.
Ascolti
G. Verdi, Otello, H. von Karajan, Berliner Philharmoniker, dg (dvd) 2001
G. Verdi, Simon Boccanegra, C. Abbado, Coro e Orchestra del Teatro alla Scala, dg 1997
G. Verdi, Falstaff, A. Toscanini, nbc Symphony, rca 2000
Letture
G. Wills, Verdis Shakespeare: Men of the Theater, Viking, New York 2011
M. Mila, Verdi, Rizzoli, Milano 2012
J.A. Hepokoski, Giuseppe Verdi: Otello, Cambridge University Press, Cambridge 1993
Richard Strauss
Don Giovanni crepuscolare Poema sinfonico in chiave
antigermanica Slavi e francesi Il recupero classico di
Strauss Morte e trasfigurazione Programma a posteriori Till Eulenspiegel Cos parl Zarathustra
Una vita deroe Apprendista stregone Quadretti
romani Saghe nordiche
Lattacco cambia la storia della musica. Stordisce e incanta, forte e aggressivo, lanciato verso il cielo dalla piena orchestra, in fortissimo trionfale. il
motto di Don Juan, il Don Giovanni riportato alla dizione spagnola del
dramma secentesco di Tirso de Molina. Subito lo bilancia un Idillio subdolo e delicato, il primo cammeo femminile. Riprende, incisivo, il motto del
seduttore, per attenuato. Sincunea un altro idillio, e poi un terzo e un
quarto, con il tema di Don Juan, sempre pi variato e sempre meno aggressivo, che taglia e cuce in un affascinante gioco di vuoti e di pieni, in un delirio
di timbri distillato da un organico orchestrale importante ma non abnorme.
Scorrono Maria, Clara, Anna, Isabella con i loro caratteri differenti ma sempre femminili; donne che nel poema (e nella partitura) prevalgono su Don
Juan perch alla fine ne sbriciolano la sicurezza iniziale in un carnevalesco e
delirante apice sonoro. La pausa che segue pare interminabile. La musica
riprende e si dissolve nel pianissimo che accompagna la definitiva uscita di
scena di un eroe sempre pi malinconico e crepuscolare, che vive la conquista della donna solo come una sfida con se stesso e con lignoto, anzi come
una velata pulsione al suicidio. Sempre pi insoddisfatto e deluso, Don Juan
cerca la morte in duello e la ottiene.
Un diluvio di applausi sommerge lautore, dal podio direttoriale, alla
prima esecuzione l11 novembre 1889 a Weimar, la citt di Goethe e di Liszt.
Da quel giorno il successo si propaga in tutto il mondo, nelle sale pi importanti, con i massimi direttori. Per il genere del poema sinfonico linizio di
una nuova vita: il venticinquenne Richard Strauss riporta nellalveo germanico un patrimonio musicale irrinunciabile e da almeno un decennio usurpato dalle scuole nazionali, soprattutto slave.
Il poema sinfonico inventato a Weimar dal vero cosmopolita Liszt. Per
il boemo Smetana con il ciclo La mia patria, i russi Balakirev (Tamara), Borodin (Nelle steppe dellAsia centrale), Glazunov (Stenka Razin, 1885) ne
fanno lo strumento per fuggire dalla tradizione classica occidentale, cio
realizzare ma che non riuscito a terminare perch ora si rivelano fuori della portata di qualsiasi essere umano. Lora della fine si avvicina. Lanima lascia il corpo, per trovare nella gloriosa dimensione eterna quanto non ha
potuto realizzare su questa terra.
Puntualmente la musica di Morte e trasfigurazione segue la traccia che
propone il compositore. Si parte dal silenzio. Appena si percepiscono le
pulsazioni aritmiche di violini e viole alternate a timpani, il respiro di legni
nel registro basso. Compare il sospiro del flauto su un letto di arpeggi. Il
respiro diventa pi pesante perch si aggiungono ottoni. Un nuovo sogno ha
la voce delloboe prima di passare a un dolcissimo assolo di violino. Il risveglio viene allimprovviso con una serie di colpi secchi, a piena orchestra.
Dalla lunga frizione fra tanti diversi strumenti emerge finalmente linciso che
rappresenta la volont del morente di resistere al fato. Subito si affianca un
nuovo motivo, di segno opposto, per esaltare la dialettica e rendere ancora
pi incisiva lapparizione del gran tema dellideale supremo, in ascendente
splendore di ottoni. I motivi dolci appena accennati nel sogno iniziale si
trasformano nel ricordo di un passato vero, dai primi passi fino alle prove
forti della formazione e dellamore. Che sono anche momenti di fibrillazione
acuta, come urlano le aritmie che i tromboni, dalle postazioni in palcoscenico, sparano direttamente sul pubblico in sala. Tornano i dolori virili, torna il
grande disegno che il progetto della vita intera, reso finalmente possibile
dalla trasfigurazione. La straordinaria partitura termina con la rutilante apoteosi che ancora oggi lascia a bocca aperta e che resta un momento magico
dellintera letteratura per grande orchestra.
Ma davvero cos forte il legame fra discorso narrativo e discorso musicale? La risposta precisa: la musica precede la parola. Il poema che sta
alla base di Morte e trasfigurazione certamente successivo al completamento della partitura. predisposto dallamico violinista e compositore di sicura
fede wagneriana Alexander Ritter su richiesta dello stesso Strauss, che vuole
una parafrasi in versi delle sue idee. Soltanto quando il manoscritto musicale completo, Ritter compila il testo inserito nel programma di sala della
prima esecuzione (Eisenach, 21 giugno 1890: direzione dellautore, enorme
successo). Una seconda versione di quel testo, pi ampia, preparata per
ledizione a stampa. A sua volta la partitura quasi completa nellautunno
dellanno precedente, al tempo della prima esecuzione del Don Juan, di cui
contemporanea, non conseguente. Infatti, Strauss inizia a scrivere entrambi questi suoi capolavori gi nel 1888, dopo il primo assaggio nel genere
della musica a programma con la fantasia sinfonica Aus Italien. Se di sicuro
non c rapporto fra i versi di Ritter e le note in partitura, non si sa nemmeno
fino a che punto Strauss si lasci guidare dalla storia che ha in mente piuttosto
che dalla sua ferratissima tecnica musicale.
Ascolti
R. Strauss, Don Quixote Don Juan, F. Reiner, Chicago Symphony, rca 1996
Richard Strauss Edition, H. von Karajan, R. Kempe, Staatskapelle Dresden, Brilliant
2012, 35 cd
J. Sibelius, Tone Poems, N. Jrvi, Gteborgs Symfoniker, dg 2005
Luoghi
Q. Principe, Strauss. La musica nello specchio di Eros, Bompiani, Milano 2004
C. Youmans, Richard Strausss Orchestral Music and the German Intellectual Tradition,
Indiana University Press, Bloomington 2005
N. Del Mar, Richard Strauss: A Critical Commentary on His Life and Works, 3 voll., Cornell University Press, Ithaca 1986
M. Kennedy, Richard Strauss, J.M. Dent & Sons, London 1976
porta il suo nome, un ingegnoso meccanismo che sostituisce con aria compressa i tiranti (catenacciature) che, negli organi meccanici classici, collegano i tasti alle valvole responsabili del passaggio dellaria che vibra nelle
canne. Distribuita da una miriade di tubi, laria compressa alleggerisce il
tocco dellorganista e consente di attivare un numero molto alto di canne
disposte anche a distanza considerevole dalla tastiera.
I nuovi strumenti hanno dimensioni impensabili, funzionali alla voglia di
grandiosit delle cerimonie religiose. La leva Barker si diffonde soprattutto
nelle chiese e nelle cattedrali francesi e inglesi, pur con qualche diffidenza
anche in Germania. La complessa tecnologia costruttiva e lo scarso interesse
per il repertorio organistico nel paese del melodramma condannano al declino i gi prestigiosi organari italiani. Altra innovazione importante si ha a
met secolo con lintroduzione di persiane e pannelli che si possono chiudere o aprire, cos da attenuare o liberare il volume del suono e passare di
continuo da pianissimo a fortissimo. Cambiano la distribuzione e la pressione
dellaria che entra nelle canne, a loro volta adattate per addolcire la pronuncia. Sintroducono nuovi registri, soprattutto a imitazione degli archi. Il numero delle tastiere da tre arriva a cinque, i registri superano il centinaio, le
canne vanno anche oltre settemila. A fine Ottocento arriva lelettricit e la
trasmissione da pneumatica diventa prima elettro-pneumatica e infine soltanto elettrica, eliminando del tutto il problema della forza da applicare sui
tasti. Il nuovo organo un perfetto surrogato della grande orchestra.
La tecnologia organaria va di pari passo con levoluzione della musica.
Dopo un declino durato circa un secolo, rinasce linteresse per lorgano in
s, conseguenza della riscoperta di Bach. Scrivono lavori originali Schumann
e Mendelssohn, attenti a unire i princpi espressivi dellOttocento con le razionalit del Settecento. In piena crisi mistica, fuggito da Weimar e tramutatosi in abate francescano, Liszt vive a Roma (1861-69) e scrive una serie
magistrale di composizioni organistiche, combinando lo stile bachiano con
le armonie cromatiche che inventa in proprio e trasferisce allamico Richard
Wagner. Lelenco di questi lavori sfiora il centinaio di numeri e ha due momenti cruciali. La Fantasia e fuga sul nome bach un esplicito omaggio al
grande predecessore, uno dei primi casi in cui il tema ricavato dalle corrispondenti note si bemolle-la-do-si, che Bach usa nellArte della fuga. Curiosa
pure lorigine dellenorme (oltre 30 minuti di musica) Fantasia e fuga sul
corale Ad nos, ad salutarem undam, che non il solito corale luterano, ma
una melodia tratta dal grand-opra Les Huguenots di Meyerbeer.
Negli stessi anni, sul grande organo del convento di Sankt Florian (Linz),
costruito nel 1774 ma rinnovato nel 1836, Bruckner si fa le ossa come organista improvvisatore e contribuisce anche alle numerose modifiche tecniche
e timbriche introdotte in quegli anni allo strumento, quasi senza soluzione di
Ascolti
C. Franck, Complete Organ Works, M.C. Alain, Wea Apex Classics 2006
Aa. Vv., Romantic Organ Works, P. Hurford, Decca 2000
Letture
R.J. Stove, Csar Franck: His Life and Times, Scarecrow Press, Lanham 2012
O. Ochse, Organists and Organ Players in Nineteenth Century France and Belgium, Indiana University Press, Bloomington 2000
L.L. Archbold, W.J. Peterson, French Organ Music: From the Revolution to Franck and
Widor, University of Rochester Press, Rochester 1995
D. Fenner, Cavaill-Coll and the French Romantic Tradition, Yale University Press, New
Haven 1999
che hanno un concetto diverso dello scrivere per orchestra. Il linguaggio sinfonico si sposta e germoglia al Nord. Trova terreno fertile nelle isole britanniche. A fine Ottocento, infatti, la vita musicale inglese molto attiva e sensibile alle novit che arrivano dal continente. Continua la diffusione della musica
di Mendelssohn e, dagli anni ottanta, di quella di Dvok. Persiste la tradizione, di marca handeliana, dei festival corali a Winchester, Hartford e Birmingham. A Londra vivacissima lattivit concertistica al Crystal Palace con la
direzione di August Manns e ai Promenade Concerts di Henry Wood. Sono
frequenti le tourne dei maggiori solisti, fra cui Sarasate e Joachim, che si
esibisce con e senza il suo quartetto. Il livello delle scuole di musica sempre
alto. Sono fattori che finalmente risvegliano la creativit locale. Le Variazioni
Enigma (1899) di Elgar sono il primo risultato importante. Costruite attorno
a una permutazione di note come nei cicli pianistici di Schumann e orchestrate alla maniera delle sinfonie di Brahms, ammiccano alla musica a programma
di Liszt con lidea (non del tutto esplicita) di fare di ciascuna variazione il ritratto di misteriosi amici criptando le iniziali dei loro nomi e cognomi. Elgar
compone anche due sinfonie che portano, nel primo decennio del Novecento,
unattenzione per la tradizione e un gusto per i dettagli tipicamente inglese.
Per la sua abilit di orchestratore rifulge nella serie di marce imperiali e funebri, per festival e incoronazioni, in uno stile che ci rammenta il titolo comune delle cinque pi famose: Pomp and Circumstance (1901-30).
Da Elgar nasce un modo davvero inglese di scrivere per grande orchestra,
che nel Novecento ha il suo punto di forza nelle nove sinfonie di Ralph
Vaughan Williams, distribuite con regolarit dal 1909 al 1957 e intrecciate con
quanto i maggiori autori del tempo esprimono nel genere. La Prima (A Sea
Symphony, 1909), chiede voci, alla maniera di Mahler, e ha suoni che derivano
dal folklore marinaro. La Seconda (London, 1914) assorbe sia limpressionismo
francese di Debussy che i poemi sinfonici slavi. Nella Terza (A Pastoral Symphony, 1922) la tragedia della guerra sul fronte francese sublimata dallinnocenza di un canto udito nelle trincee. Dramma e dissonanza si estendono alla
Quarta (1934). La voglia di pace domina la Quinta, scritta durante la guerra e
dedicata allamico Sibelius. La paura che la nuova pace si regga sulla minaccia
atomica si sente nelle asprezze e desolazioni della Sesta (1948). La Settima
(1952) detta Antartica perch ricavata dalle musiche scritte per un documentario sul fatale viaggio del capitano Scott fra orsi e ghiacci alla conquista del
Polo Sud. Dopo la gioiosa Ottava (1953-55), con la Nona e ultima (1957)
lultraottantenne compositore guarda alle stelle dal circolo magico di Stonehenge, e ritrova i fili melodici dellinizio del suo percorso, la Sea Symphony.
Molte sinfonie di Vaughan Williams sono tuttora nei repertori britannici,
ma in particolare una composizione per soli archi ha da sempre circolazione
internazionale. la Fantasia su un tema di Thomas Tallis, composta nel 1910
Ascolti
P.I. Tchaikovsky, Symphony No. 6, V. Gergiev, Wiener Philharmoniker, Philips 2005
P.I. Tchaikovsky, Complete Symphonies, M. Jansons, Oslo Philharmonic Orchestra,
Chandos 2008
R. Vaughan Williams, Symphonies 1-9, A. Boult, London Philharmonic Orchestra, Decca
2004
J. Sibelius, The Complete Symphonies, C. Davis, Boston Symphony Orchestra, Philips
1995
A. Scriabin, Symphonies, R. Muti, Philadelphia Orchestra, Brilliant 2005
Letture
A. Servire, Jean Sibelius. Le Style dans loeuvre symphonique, Delatour France, Sampzon
2011
M. Kennedy, The Works of Ralph Vaughan Williams, Oxford University Press, Oxford
1994
D. Brown, Tchaikovsky: A Biographical and Critical Study, Victor Gollancz, London 19781992
Indiani dAmerica e contadini boemi Danze slave e danze ungheresi Brahms e Dvok Dvok in Inghilterra
Musica nel Nuovo mondo Gottschalk Foster Spiritual e blues Ragtime Metropolitan Opera Grandi
orchestre sinfoniche Oratorio Society Dvok a New
York Nona sinfonia Radici di Gershwin
Tradizione vuole che la pi affascinante melodia della sua Nona e ultima
sinfonia sia ispirata alleuropeo Dvok da una ninna nanna che una mamma
indiana dAmerica sussurra alla sua piccola creatura. Oppure che sia la traduzione musicale del Song of Hiawatha, il poema di Henry Wadsworth
Longfellow dedicato a un mitico condottiero irochese e dal quale Dvok
medita di ricavare unopera lirica. Su un fondo di fiati gravi (clarinetti, fagotti, corni, trombe, trombone, tuba), con rullo di timpani prima della cesura
degli archi, si alza il canto del corno inglese, a suggerire un ambiente bucolico, in questo caso una prateria battuta dal vento, con nubi che si addensano
e qualche tuono lontano. Altri strumenti riprendono il canto. Passaggi morbidi introducono un paio di nuove idee, pi vivaci e leggere, mentre il motivo iniziale vive in filigrana e ancor pi si addolcisce, per poi finire. Il sapore
esotico della melodia viene dallessere scritta in una scala di cinque note
(pentatonica), che per definizione arcaica, rimasta in uso in limitate aree di
musica popolare e in civilt lontane. Tant che la melodia indiana della
sinfonia ha un perfetto equivalente in un canto tradizionale diffuso nelle
comunit agricole delle valli del Danubio e della Moldava, che ovviamente
Dvok conosce fin dalla nascita.
Infatti, il colore boemo che rende famoso Dvok nellEuropa di fine
Ottocento, iniziando con la prima serie di Danze slave op. 46 (1878) la cui
diffusione garantita da Fritz Simrock, leditore esclusivo di Johannes
Brahms. Il contatto procurato proprio da Brahms, che scopre la musica di
Dvok grazie allamico critico Hanslick e ne apprezza il tono popolaresco.
Le Danze slave hanno il medesimo tono che tante volte, nei LiebesliederWalzer (1874, 1877) come nelle Danze ungheresi (1852-69), Brahms stesso
inserisce nelle proprie composizioni, per diluire il rigore delle forme e alleggerire il peso dei contenuti. Di sicuro la scrittura sinfonica di Brahms condiziona quella di Dvok. Al punto che, dopo aver studiato la Prima sinfonia
di Brahms, Dvok cambia stile. Non contano pi le cinque sinfonie prece-
denti (1865-70), ancora incerte se seguire le nuove forme lisztiane e le armonie wagneriane. Ora diventa importante ritrovare i moduli classici, che sono
pi quelli olimpici di Haydn e Mozart che quelli eroici di Beethoven. Anche
fra gli esempi del maestro putativo Brahms, Dvok finisce col favorire il
modo leggero della Seconda sinfonia, piuttosto che quello corrusco della
Prima. Si coglie bene nel suono pastorale e nei passi di valzer che tanto spesso attenuano i contrasti nei primi movimenti delle sue successive quattro
sinfonie. Le cantilene popolaresche portano espressioni e languori ai movimenti lenti. Lalternanza di ritmi binari e ternari, tipica della danza boema
furiant, rende vivaci gli scherzi. La naturale vocazione di Dvok alla retorica trionfa nei finali.
Proprio per queste sue caratteristiche, la Sesta sinfonia (op. 60, 1880)
conferma la notoriet di Dvok in Europa, soprattutto in Inghilterra, grazie
a uneccellente direzione di Hans Richter a Londra nel 1882. Da allora fioccano le commissioni. La Royal Philharmonic Society gli chiede nuove sinfonie e ottiene Settima (op. 70, 1885) e Ottava (op. 88, 1888). Nascono anche
grandi affreschi destinati ai festival sinfonico-corali che da sempre, fin dai
tempi di Hndel, sono popolari in Inghilterra. Al festival di Leeds, dopo aver
diretto nel 1884 con enorme successo lo Stabat Mater (op. 58, 1877), nel
1886 Dvok presenta il nuovo oratorio Sancta Ludmila (op. 71, 1886). A
Birmingham trionfa con il Requiem (op. 89, 1890). Nel mondo musicale
britannico, il boemo Dvok ormai considerato lerede naturale di due
stranieri gi ben assimilati, litalogermanico Hndel e il tedesco Mendelssohn. La sua fama arriva oltre Atlantico. Nel 1891 Dvok accetta un ricco
contratto come direttore del National Conservatory of Music di New York,
ponendo come condizione che siano favoriti gli allievi indigenti e ammessi i
neri. Listituzione privata, fondata nel 1885 e finanziata da Jeannette Thurber, moglie di un magnate della distribuzione alimentare, allieva del conservatorio di Parigi e decisa a dotare il Nuovo mondo di un sistema di educazione musicale di livello europeo, assente in un Paese non ancora del tutto
uscito dal suo passato di colonia.
Sono i coloni fuggiaschi dalle miserie e dai conflitti politico-religiosi
dEuropa che portano per primi la musica nel Nuovo mondo. Accanto ai
canti devozionali delle tante confessioni, presso le classi sociali pi facoltose nelle nuove citt sulla costa atlantica attecchisce anche il repertorio
profano. Nelle case ricche di New York, Boston, Filadelfia, Charleston,
New Orleans gi nel Settecento si fa musica da camera. Il presidente Thomas Jefferson buon violinista e possiede una fornita biblioteca di classici.
Benjamin Franklin inventa addirittura, nel 1761, una variante del bizzarro
strumento glassharmonica, utilizzato da Gluck, Mozart, Beethoven. Nella
prima met dellOttocento, il continuo flusso di emigranti, anche musicisti,
malinconia. Sono note che non accettano la divisione razionale in toni e semitoni della scala temperata europea: terze, quinte e settime calanti servono
per ammorbidire gli intervalli, tornare a scale naturali su base pentatonica,
usate nella musica tribale africana. La voce umana, le corde di violino e di
banjo, i glissandi di trombe e tromboni sanno trovare lintonazione giusta per
le note blu. Ne tiene conto il competente Dvok, non tanto quando deve
rispettare le regole della grande orchestra nella Sinfonia Dal Nuovo mondo,
ma nel suo ultimo quartetto per soli archi (op. 96, 1893) detto Americano
perch in molti passaggi il suono che sintuisce quello delle ambigue note
blu, non quello delle asettiche, europee note bianconere, eptatoniche.
Si trova un compromesso per il pianoforte, che ha accordatura fissa: la
suggestione delle note blu si crea accostando note in accordi che paiono
dissonanti allorecchio europeo, ma che sono nuova musica. A fine Ottocento nasce il ragtime, che esalta sul pianoforte le ambivalenze dei ritmi e delle
armonie (mano destra) con la regolarit della pulsazione che sostiene. Nel
Novecento subentra il jazz. Dalle languide e sentimentali melodie di Foster
germina il song americano. Un nuovo genere denominato musical diventa
contenitore onnicomprensivo, variante locale di opera, operetta, balletto e
Singspiel alleuropea. Pronto a trasferirsi sullo schermo cinematografico
quando compare la colonna sonora. Dove trova spazio anche lo stile classico
che Dvok e gli altri emigranti europei portano in America. Il miglioramento dei trasporti marittimi favorisce le tourne di solisti europei. Fra 1856 e
1858 trionfa il pianista tedesco Sigismond Thalberg, anche in coppia con il
violinista belga Henri Vieuxtemps. Fortunate e lucrative sono le tourne
americane di Anton Rubintejn (1872-73). Hans von Blow nel 1875 sceglie
Boston per eseguire in prima assoluta il Primo concerto per pianoforte di
ajkovskij, gi giudicato ineseguibile da Rubintejn.
Quando sinsedia a New York, Dvok trova comunque una vita musicale di alto profilo. Dal 1883 il teatro lirico ha sede nellappena costruito Metropolitan Opera, che parte con una poco fortunata stagione dopera italiana, subito virata su quella tedesca dal nuovo direttore, lungherese Anton
Seidl, gi assistente di Wagner a Bayreuth. Prontamente rifatto dopo lincendio del 1892, il Metropolitan diventa un riferimento mondiale. Molto intensa anche lattivit concertistica pubblica. Un concerto diretto da ajkovskij,
invitato per loccasione, nel 1891 inaugura una nuova grande sala, poi battezzata Carnegie Hall in omaggio al re dellacciaio Andrew Carnegie che ne
paga la costruzione. pensata per dare una sede adeguata alle istituzioni
musicali ideate e dirette da Leopold Damrosch, polacco di nascita, ottimo
violinista e grande amico di Liszt. Damrosch emigra in America nel 1871 e
due anni dopo fonda la Oratorio Society of New York con lo scopo di diffondere la musica sinfonica corale. Memorabili sono i concerti che organizza
pare negli anni venti, sopraffatto dalla crisi di Wall Street e dalla concorrenza della Juilliard School. Nessuno degli allievi americani di Dvok diventa
famoso. Tranne uno, che solo putativo: il quasi autodidatta George Gershwin racconta di essersi appassionato alla musica ascoltando da ragazzo lHumoreske op. 101 appunto di Dvok, che la compone ispirandosi a Swanee
River di Foster. Cos un primo anello si chiude: quello dellOttocento musicale americano, sul quale si allacciano tutte le collane del Novecento, le pi
importanti e innovative.
Ascolti
A. Dvok, Symphony No. 9 From the New World, L. Bernstein, New York Philharmonic, Sony 1998
A. Dvok, The Symphonies, I. Kertsz, London Symphony Orchestra, Decca 1992
A. Dvok, American Quartet, Emerson String Quartet, dg 1995
Letture
R. Crawford, Americas Musical Life: A History, W.W. Norton & Company, New York
2001
J.C. Tibbets (a cura di), Dvok in America, 1892-1895, Amadeus Press, Portland 1993
C. Hamm, Music in the New World, W.W. Norton & Company, New York 1983
J. Clapham, Dvok, David & Charles, Newton Abbot 1979
1896 La bohme
Giacomo Puccini
Che gelida manina Accenni e frammenti Da Catalani a Wagner Il verismo di Mascagni: Cavalleria rusticana Pagliacci di Leoncavallo Manon Lescaut di
Puccini Cilea e Giordano La bohme Tosca
Madama Butterfly La fanciulla del West Musica
per DAnnunzio: Pizzetti, Malipiero, Casella Il trittico
Turandot Eredi americani
zimarra, affidata a un comprimario, il filosofo Colline. Velocit di frammenti ci che vuole il musicista Puccini quando imposta la sceneggiatura con il
drammaturgo Giuseppe Giacosa e le singole frasi con il poeta Luigi Illica.
Puccini sa che la lingua non deve essere aulica, ma popolare, adatta a raccontare la storia di due anime semplici, che nulla possono contro la miseria e la
malattia che impedisce ogni felicit. Sa che la delicatezza dellamore e il
mutare dellanimo sono pi facili da rappresentare con il suono degli strumenti. Del principio wagneriano del Leitmotiv valorizza le qualit di suggestione, piuttosto che quelle di connotazione. Ecco allora salire, dalla buca
dellorchestra, una mirabile serie dincisi, sempre brevissimi: trasportano
sulla scena emozioni e turbamenti, non si legano a specifici personaggi, sempre portano ricordi in una storia che vive nellinverno e nellattesa di una
primavera che mai verr.
Puccini, toscano di Lucca e musicista per tradizione familiare, nasce
wagneriano. Al conservatorio di Milano, da Amilcare Ponchielli impara a
conoscere bene Lohengrin, Tristano, Maestri cantori. Appena diplomato,
partecipa al concorso per unopera che lesordiente editore Sonzogno organizza per sottrarre nuovi talenti al concorrente Ricordi. Puccini scrive in
velocit i due atti delle Villi. Il soggetto, che pi romantico non si pu,
quello del balletto Giselle di Adam. Ne scrive la versione italiana Ferdinando
Fontana, che appartiene alla Scapigliatura letteraria milanese di Emilio Praga e Carlo Dossi, per definizione attenta al Romanticismo tedesco di E.T.A.
Hoffmann e dei fratelli Grimm. In musica, oltre a Boito e Ponchielli, guardano oltralpe anche il direttore Franco Faccio e il compositore Alfredo Catalani. Il giovane e scapestrato Puccini fa parte di quel mondo e il suo esordio
ha le armonie e i timbri di Wagner. Lopera prima Le Villi non vince il premio
Sonzogno ma Puccini entra fra gli autori di Casa Ricordi. Esordisce al teatro
Dal Verme (1884) con un successo che cresce nelle versioni successive per
Torino, la Scala (1885), di nuovo Dal Verme (1889). Arriva subito il contratto per una seconda opera, Edgar. Il librettista ancora Fontana, con soggetto gotico-romantico da Alfred de Musset: azione farraginosa, musica raccogliticcia, accoglienza tiepida (Teatro alla Scala di Milano 1889). I numerosi
rimaneggiamenti successivi non migliorano la fortuna di Edgar e neppure
quella delle Villi. Negli anni novanta circola in Italia un vento diverso. Non
hanno grande accoglienza le opere scapigliate e neoromantiche di Alfredo
Catalani: i colori nordici di Loreley (Torino 1890) e La Wally (Teatro alla
Scala 1892) resistono per qualche tempo nel repertorio internazionale grazie
alla stima e alla dedizione di direttori come Mahler e Toscanini. Esplode
invece il fenomeno del verismo.
La seconda edizione del concorso indetto da Sonzogno vinta da Cavalleria rusticana di Mascagni, altro giovane toscano (livornese), pure allievo del
conservatorio di Milano, collega e amico di Puccini. La prima rappresentazione (Roma 1890) un trionfo. Non ci sono eleganze francesi e scapigliature milanesi. Il libretto ricavato dalla coppia Giovanni Targioni-Tozzetti e
Guido Menasci dallomonima novella di Giovanni Verga. Anche la musica
cambia. Basta con nebbie nordiche e preziosismi wagneriani. Tutto avviene
alla luce del sole, con montaggio cinematografico dinquadrature scandite da
ritmo bruciante. Non servono recitativi per spiegare, tantomeno pause per
capire. Sono pezzi chiusi, saldati a fuoco. Un atto unico, poco pi di unora,
e il dramma si compie: in un paesino siciliano, nel mattino di Pasqua, il contadino Turiddu trascura la fidanzata Santuzza e continua la tresca con lex
amante Lola, ora moglie del carrettiere Alfio, che scopre la relazione e uccide Turiddu in duello. La concisione assoluta, ma tutti hanno spazio, con
eccellenti colpi melodici messi a segno: di pi il protagonista Turiddu (O
Lola, Mamma, quel vino generoso), ma anche Santuzza (Voi lo sapete,
o mamma), Alfio (Il cavallo scalpita) e Lola (Fior di giaggiolo). Perfino
lorchestra ha il suo momento magico in un Intermezzo che consente ai
cantanti di respirare e agli ascoltatori di raccapezzarsi. Da Roma, Cavalleria
dilaga nei teatri di tutta Italia, va allestero, in un anno conquista Londra,
Berlino, Chicago, New York, fa il giro del mondo.
Nel giro di due anni si affianca Pagliacci del napoletano Ruggero Leoncavallo, altro esempio di sintesi musicale applicata alla cronaca nera. In un
paesino calabro arriva una compagnia teatrale girovaga per rappresentare la
storia di Colombina che tradisce il marito Pagliaccio con Arlecchino. Un
prologo (Si pu?) consente allattore Tonio di spiegare che sotto le vesti
dei pagliacci pulsano sentimenti veri. Il primo atto svela i triangoli della vita.
Tonio insidia Nedda, la moglie del capocomico Canio che invece gli preferisce il contadino Silvio. Per vendetta Tonio informa il marito, che vorrebbe
passare a via di fatto, ma lo spettacolo deve andare in scena (Vesti la giubba... Ridi pagliaccio). Nel secondo atto, la finzione diventa realt. Pagliaccio/Canio (No, Pagliaccio non son) uccide davvero la moglie Colombina/
Nedda, e con lei lamante in teatro Arlecchino/Beppe e quello nella vita
Silvio, nel frattempo salito sul palco per fermare la strage. Al pubblico attonito, Pagliaccio/Canio comunica che la commedia finita. La struttura
formale appare dilatata, ma i tempi e i ritmi non sono molto diversi. Se possibile, lazione ancora pi tumultuosa che in Cavalleria, con il canto che si
trasforma in urlo e lorchestra che spara segnali. Toscanini dirige la prima
esecuzione (teatro dal Verme, Milano 1892) ed un nuovo trionfo planetario. Nella pratica teatrale, laffinit di stile e di durata fa di Cavalleria e Pagliacci un binomio naturale, da rappresentare nella stessa serata.
Puccini non si lancia nellimitazione. Diluisce i colori wagneriani e accoglie quelli francesi. La sua nuova opera, Manon Lescaut (1893), torna al
Luigi Manzotti firma le coreografie per il ballo Excelsior che debutta nel
1881 alla Scala, batte ogni primato dincassi e dilaga in tutto il mondo esaltando il trionfo della tecnica di fine Ottocento: la pila di Volta e lelettricit
di Edison, il traforo del Monginevro e lapertura del canale di Suez, la vittoria della luce sulle tenebre.
Il verismo italiano ha un curioso seguito in Francia con La Navarraise
(1894) di Massenet ma non attecchisce altrove. Prova a riprenderne le fila
appunto Puccini, dopo averne sedimentato il linguaggio e ritagliatosi il tempo necessario (con la scusa della pigrizia). La bohme, che va in scena quattro
anni dopo Manon Lescaut, sintesi del passato proprio e altrui. Ritroviamo
luoghi e personaggi della Parigi bohmienne descritta dai poeti, quella naturalista dei romanzieri. C anche lItalia musicale, che ha sempre il punto di
riferimento nel Verdi recente di Otello (1887) e Falstaff (1891) e in quello
passato e mai dimenticato della trilogia romantica Rigoletto, Traviata, Trovatore. Non manca il Wagner ultimo di Parsifal (1883) pi tutta la scuola francese di fine secolo e il verismo italiano. In pi, quellessere fatta di melodie
solo accennate, senza parole, che rende straordinaria la partitura di Bohme.
La perfetta combinazione di tanti ingredienti non solo fa vincere a Puccini
la sfida che un anno dopo gli lancia Leoncavallo con identico titolo, ma gli
assegna anche una fama planetaria mai tramontata.
Puccini capisce tutto, ma non insiste. Lopera successiva, Tosca (Roma
1900) torna un po indietro. Mantiene qualche tono verista, ma guarda al
miglior Verdi drammatico. La forza e la truculenza della storia del francese
Victorien Sardou la fa apparire quasi grand-opra, con un amore tragico
ambientato nella Roma papalina del 1800: la cantante Floria Tosca causa la
cattura del pittore sovversivo Mario Cavaradossi, pugnala il capo della polizia Scarpia, assiste alla fucilazione dellamato, si uccide gettandosi da Castel
SantAngelo. Lo spettacolo ha il punto forte nel gran Te Deum con piena
orchestra e cori da tutte le parti che, nel finale del primo atto, celebra la
presunta sconfitta di Napoleone a Marengo. Il canto trionfa in tre grandi arie
(Recondita armonia, Vissi darte, vissi damore, E lucevan le stelle)
che frenano il passo drammatico di ciascuno dei tre atti, ma incantano per
felicit melodica e assicurano un altro successo travolgente. Procede spedita
anche la composizione di una nuova opera, Madama Butterfly (1903), ambientata in Giappone, triste vicenda di sopruso coloniale, con il vacuo americano Pinkerton che porta al suicidio lingenua geisha Cio-Cio-San, colpevole di credere nellamore. Ben costruita su una fitta e leggera trama di rimandi musicali, veloce e senza stasi solistiche, Butterfly cade alla prima milanese e deve essere riscritta per restare in repertorio.
Nei successivi sette anni, Puccini cerca con calma altri soggetti. Non riesce a sintonizzarsi con la letteratura decadente di Gabriele DAnnunzio, che
incanta Alberto Franchetti (La figlia di Iorio, 1906), Ildebrando Pizzetti (La
nave, 1908) e Gian Francesco Malipiero (Sogno dun tramonto dautunno,
1913), con estensione in Francia a Debussy. Il silenzio di Puccini si rompe
negli Stati Uniti, dove un dramma di David Belasco, lideatore di Madama
Butterfly, gli suggerisce La fanciulla del West (1910). Qui, finalmente, la
donna non si sacrifica e non muore, ma prende il fucile e trasforma in uomo
vero il banditello amor suo. Il progetto di unoperetta diventa opera leggera
con La rondine (1917). Nei tre atti unici che formano Il trittico, Puccini riannoda fili precedenti, propri e altrui. Il primo a essere composto, Il tabarro
(1912), ha lo stile e i colori del grand-guignol alla francese e tinte espressioniste alla tedesca. In Suor Angelica (1917) tornano le tristezze della condizione femminile. Per fortuna Gianni Schicchi (1918) vive di una scherzosa allegria rinascimentale, unica in Puccini.
Resta incompiuta lultima opera, Turandot, scelta in relazione ai gusti del
pubblico, che resta ammaliato dallesotico orientale: la stessa Cina di Turandot (Busoni, 1917), lIndia di Savitri (Holst, 1916), della Leggenda di Sakuntala (Alfano, 1921), di Padmvat (Roussel, 1923). Puccini scrive in velocit
gran parte della partitura nel 1921 ma si blocca sul finale: non riesce a trovare una soluzione musicale a un libretto che prevede un lieto fine in cui la
crudele regina Turandot sposa il principe Calaf, dopo che la servetta Li si
toglie la vita per non rivelare il segreto che le avrebbe consentito di mandarlo a morte. Fino a quel punto la musica bellissima. Mancano accordi e
melodie per il bacio catartico che dovrebbe trasformare la sanguinaria Turandot in moglie dolcissima. Scomparso Puccini nel 1924, il completamento
postumo di Franco Alfano, appunto trionfale, non convince. Una proposta
viene nel 2001 da Luciano Berio che dilata i tempi, elabora un lungo spazio
di sola orchestra per sedimentare, espiare e consentire agli sposi Turandot e
Calaf di iniziare una nuova vita, pur senza dimenticare.
Proprio per il suo muoversi fra tante correnti a cavallo di due secoli,
Puccini traccia vie importanti per il teatro musicale del Novecento. Non
tanto per gli italiani, che cercano di superare il verismo con La fiamma (Respighi, 1934) e Nerone (Mascagni, 1935), di dimenticare lOttocento con
parole proprie e musiche diatoniche nel Torneo notturno (Malipiero, 1931).
Ne tengono conto pi gli stranieri. Negli Stati Uniti fioriscono sui suoi modelli Amelia al ballo (1936) e La medium (1946) di Giancarlo Menotti e poi
Vanessa (1958) di Samuel Barber. DallAmerica rientra nella patria inglese
Benjamin Britten e, con Peter Grimes (1945), inizia una parabola teatrale
sempre in bilico fra tradizione e modernit, come in Puccini. I veri eredi
sono, forse, a Broadway i grandi musical degli anni trenta e quaranta: Showboat, Porgy and Bess, Oklahoma!, firmati Jerome Kern, George Gershwin,
Richard Rodgers.
Ascolti
G. Puccini, La bohme, H. von Karajan, Berliner Philharmoniker, Decca 1990
G. Puccini, The Great Opera Collection, Decca 2008
G. Mascagni/R. Leoncavallo, Cavalleria rusticana Pagliacci, G. Prtre, Orchestra e Coro
del Teatro alla Scala, dg (dvd) 2005
Testi
J. Budden, Puccini: His Life and Works, Oxford University Press, New York 2002
D. Martino, Catastrofi sentimentali. Puccini e la sindrome pucciniana, edt, Torino 1993
W. Ashbrook, The Operas of Puccini, Cornell University Press, Ithaca 1985
C. Osborne, The Complete Operas of Puccini: A Critical Guide, Da Capo Press, New York
1989
Maurice Ravel
Sovrapposizione di segmenti politonali Classicismo e illusionismo Musica acquatica alla Liszt Il pianismo
francese del secondo Ottocento Arpeggi e ornamentazioni Vies, il pianista di Ravel Satie Albniz e Granados Jeux deau Sonatine Miroirs Gaspard
de la nuit Ma mre lOye Le Tombeau de Couperin Neoclassicismo
La filigrana che traspare dalla carta la stessa di una sonata classica di Haydn
e di Mozart. fatta di un primo tema, di un secondo, di una sezione che li
sviluppa, di una ripresa che li espone di nuovo con minime variazioni, di una
coda che chiude rapida. Nello sviluppo centrale non c dialettica, nemmeno
quella diluita del giovane Beethoven. Tutti i passaggi sono elementari. Un
tema affidato alla mano destra, laltro alla sinistra. Puntuale, li separa un
passaggio di collegamento, leggero e trasparente, per cambiare limpianto
tonale. Che in verit non tonale in senso stretto: la scala di mi maggiore si
riduce da eptatonica a pentatonica perch sono sottratti i due semitoni; oppure si amplia a dieci note per aggiunta di tre note estranee. Col risultato di
rendere esotico e antico il secondo tema, di appoggiare su una gragnuola di
dissonanze il suo placido canto, di garantire incessante variet cromatica ai
passaggi di collegamento.
Il testo scritto sulla carta mostra come ci sia una chiara distinzione fra i
ruoli delle due mani: la sinistra accompagna nel registro grave, la destra
volteggia in quello acuto. Per ci sono frequenti scavalcamenti e intricate
sovrapposizioni in cui luna corre sui tasti bianchi e laltra percuote quelli
neri. Talvolta corrono entrambe, ma con ritmo diverso, mentre il canto
affidato al solo mignolo della destra. La tecnica ha evidenti ascendenze
lisztiane. Il riferimento a Au bord dune source e a Les Jeux deaux la Villa
dEste dai volumi primo e terzo degli Annes de plerinage sono espliciti.
Per, in Jeux deau, i meccanismi sono assai pi sottili, proprio perch
passato mezzo secolo e le risorse disponibili sono maggiori. Cambia larmonia, in primo luogo. La tonalit allargata che Franz Liszt sperimenta nei suoi
ultimi anni, e mantiene intima nella Bagatella senza tonalit (1885), con
Maurice Ravel diventa estroversa sovrapposizione politonale, cio di differenti scale musicali. Lo consente il pianoforte moderno, diventato pi sonoro nei volumi e omogeneo nei registri per oggettivo miglioramento dei mate-
del tempo. Piace il suo modo entusiasta di vivere la musica. Non un pianista di professione ma usa la tastiera per appuntare idee destinate ad altri
colori strumentali, allorchestra. Sono cos i suoi dieci Pices pittoresques
(1880-81), in apparenza ispirati ai cicli romantici, in realt schizzi a punta
secca, in attesa di veste completa. La sua irruente vitalit trova compimento
nellorchestrale rapsodia Espaa (1883), risultato di un vero soggiorno in
Spagna e di tante invenzioni proprie. Ravel, arrivato a Parigi da un paese dei
Pirenei, compagno di studi del pianista catalano Vies, resta incantato dalla
personalit di Chabrier, tanto da dedicargli un cammeo nel dittico la manire de... (1913) che riprende una rivisitazione fatta dellamato autore di un
brano del Faust di Gounod. Laltro cammeo dedicato, non a caso, al russo
Borodin con un valzerino che imita Chopin.
Diciottenne, nel 1893 Ravel incontra Erik Satie, altro personaggio curiosissimo e destinato a influire su un trentennio di vita musicale parigina, direttamente e per interposta persona. Bollato come indolente al conservatorio
di Parigi, povero in canna e costretto a trasferirsi nel sobborgo periferico di
Arcueil, modesto pianista nel caf cabaret Le Chat noir, Satie ha il merito di
intuire valori che diventeranno propri della musica del primo Novecento:
nuova semplicit, vaghezza della forma, profondit di contenuti, contaminazione asciutta di note musicali e pensiero esoterico. Teorizza, per esperienza
professionale, la musica da tappezzeria, banale, kitsch. Applica il principio
della ripetizione infinita, del nonsenso strutturale. Inverte il concetto di dissonanza con quello di consonanza. Getta i semi che germoglieranno come
dadaismo, surrealismo, minimalismo. Il suo costante amore per un Medioevo gotico e misterioso lo porta a intrecciare modi antichi con cromatismi
moderni (Ogives, 1886). Cerca la noia come valore primario nella piatta
terna di movimenti lenti, sempre ieratici e beffardi intitolata Gymnopdies
(1889). Seguono le Gnossiennes (1893), con titolo misterioso, annotazioni
criptiche per disegni immobili e arie orientali prive di senso. I titoli provocatori e lassurdit della scrittura colpiscono autori alla ricerca di novit e di
affrancamento dal passato. Satie trova un interprete attento e fedele in Vies.
A differenza di Ravel, Vies un pianista straordinario, che si dedica
allesecuzione e non alla creazione. Appartiene alla generazione di pianisti
compositori spagnoli che si affermano a fine Ottocento e portano una ventata di vero folklore iberico. Il pi anziano Isaac Albniz, un fanciullo
prodigio. Prima dei ventanni studia al conservatorio di Parigi con Antoine
Franois Marmontel, maestro anche di Bizet e Debussy. Da concertista, gira
lEuropa e le Americhe (Buenos Aires, Cuba, New York, San Francisco).
Riprende gli studi ai conservatori di Lipsia e Bruxelles. Torna in Spagna nel
1882 per ampliare il repertorio. Fa massacranti tourne europee. Dal 1893
risiede a Parigi, smette di girovagare, stringe amicizia con musicisti locali, si
dedica alla composizione valorizzando i temi spagnoli in lavori teatrali e soprattutto pianistici. Il suo pezzo tuttora pi famoso, Asturias, collocato come
preludio alla suite per pianoforte Chants dEspagne op. 232 (1892) rimaneggiata per il nuovo ciclo Suite espagnole (1912, postumo), un esempio di
flamenco rivisitato: le sezioni laterali sono ossessive ribattiture da chitarra e
la parte centrale ha memorie arabe. Non a caso Asturias ha trovato fortuna
nella trascrizione per chitarra (dalloriginale pianistico) di Andrs Segovia e
in vari adattamenti pop. Il capolavoro di Albniz tuttavia la collana pianistica Iberia (1905-09), dodici schizzi divisi in quattro quaderni, ciascuno
dedicato a eventi e luoghi di Spagna, concentrati su unAndalusia dove lantica litania cristiana incontra la melopea araba, con la mediazione del virtuosismo pianistico lisztiano e comunque mitizzata, cio coerente con limmaginario parigino e cosmopolita.
un altro pianista spagnolo residente per breve tempo (1887-89) a Parigi, Enrique Granados, che fa conoscere il dodicenne Vies al coetaneo Ravel. Finiti gli studi, Granados torna a Barcellona e si dedica alla composizione. La quinta delle sue Dodici danze spagnole (1893), Andaluza, gli d rinomanza mondiale. subito ammirata da Saint-Sans e da Grieg, e ancora
oggi da pianisti e ascoltatori di ogni ordine e grado. La formula quella che
funziona quando si traduce la chitarra sul pianoforte: accompagnamento
ribattuto di una melodia dolce che fluttua fra maggiore e minore in ambito
pentatonico e dunque popolaresco. Pi consistente la scrittura del suo
capolavoro, ispirato a incisioni di Goya e appunto intitolato Goyescas (190911): sei quadri conseguenti che rappresentano una storia di amore e di morte con lividi tratti in bianco e nero, attenuati alla fine dal surreale ritorno in
forma di spettro dellinnamorato tradito e ucciso in duello dal rivale.
Vies e Ravel si formano in mezzo a tanti stimoli esterni e assieme inventano un repertorio pianistico originale. Alla straordinaria abilit esecutiva
delluno corrisponde, nellaltro, unincredibile capacit di intuire il potenziale inespresso, virtuale della musica che ascolta e che crea. Il primo lavoro
pianistico importante di Ravel, Pavane pour une enfante defunte (1899),
sente il peso del passato e il corrente gusto per il lamento. Innovazione pura
invece Jeux deau. La sovrapposizione di ritmi e di melodie con basi armoniche diverse, dove canto e accompagnamento stridono, fa s che per la prima volta il rumore entri nella musica per pianoforte. Non cacofonia, per.
il rumore dellacqua pura che zampilla in una fontana monumentale,
pensata e realizzata da un architetto, dove il suono cambia in continuazione
e nessuna volont umana lo pu fissare perch regolato dalla forza del vento
e dal calore del sole. La differenza fra Liszt e Ravel, nelle composizioni che
(quasi) hanno lo stesso titolo, sta appunto qui. Per il primo, lacqua simbolo daltro: visione, lavacro, purificazione, redenzione. Per laltro osserva-
Ascolti
M. Ravel, Jeux deau, M. Argerich, dg 2000
M. Ravel, Piano Works, V. Perlemuter, Nimbus Records 1996
I. Albeniz, Iberia Navarra Suite Espaola, A. de Larrocha, Decca 1988
E. Granados, Goyescas, A. de Larrocha, emi 1992
Letture
R. Howat, Reflections: The Piano Music of Maurice Ravel, Amadeus Press, Portland 2012
E. Restagno, Ravel e lanima delle cose, il Saggiatore, Milano 2009
R. Howat, The Art of French Piano Music: Debussy, Ravel, Faur, Chabrier, Yale University Press, New Haven 2009
A. Guarnieri-Corazzol, Erik Satie tra ricerca e provocazione, Marsilio, Venezia 1979
laud affranto al capezzale dellamata che muore. Altri due personaggi fluttuano in questa storia senza luogo e senza tempo, zeppa di vaghezze e di allusioni. Sono il bambino Yniold, che il padre Golaud usa come spia del comportamento della coppia, e il nonno Arkl, re di questonirico regno stretto fra
foresta e mare. Luno il doppio speculare dellaltro. Un vecchio saggio rassegnato alla morte vicina, un fanciullo che non pu capire e men che meno
pu conoscere il futuro. Usano tutti il medesimo linguaggio moderno, quasi
infantile, comunque lontano dagli arcaismi aulici che creano oscurit in molti testi simbolisti di fine Ottocento. Sono invece le sospensioni e le pause, le
frasi interrotte e le parole sotto tono che danno ambiguit e mistero a colloqui
incessanti il cui senso si lascia solo intuire. Vuole cos Maurice Maeterlinck
nel testo teatrale Pellas et Mlisande, che nel 1892 conferma sulle scene di
Parigi un successo iniziato con La Princesse Maleine (1890), continuato con
LIntruse (1890) e Les Aveugles (1891). la base che vuole Debussy per costruire un teatro musicale diverso da tutto quello che vede intorno a s.
In Debussy, la ricerca di un modo alternativo di combinare parole e musica sulla scena parte da lontano, fin dalla cantata LEnfant prodigue (1884)
con cui conquista il Prix de Rome e il privilegio di soggiornare a Villa Medici fra 1885 e 1887. Il suo primo capolavoro sintitola La Damoiselle lue
(1888), un pome-lyrique per coro femminile e orchestra che nasce dalla
passione per la letteratura e le arti figurative. Il testo del pittore e poeta
inglese Dante Gabriel Rossetti, uno dei fondatori del movimento preraffaellita, del simbolismo e decadentismo nellarte, del ritorno al linguaggio del
Medioevo, del trionfo di una sensualit senza tempo. Fin da bambino, la
pittura affascina Debussy, che negli anni della formazione frequenta i maggiori artisti che stanno a Parigi. Adora lo splendore dei colori pastello, il
tratto nitido, la ricchezza di dettaglio dei preraffaelliti. Studia larte della
luce e della composizione degli impressionisti. Di alcuni pittori diventa amico personale, di altri conosce bene le opere: Rodin, Degas, Renoir, ToulouseLautrec, Sisley, Gauguin, Munch, Whistler. Prova subito a tradurre nella sua
musica quanto di non accademico vede in questi giochi di colore e di parole.
Al conservatorio studia approfonditamente anche la musica del suo tempo.
Non gli piace il formalismo classico di Saint-Sans. Apprezza i toni morbidi
di Faur. Analizza lo scatenato cromatismo di Franck. Lo divertono gli spericolati salti da un accordo allaltro di Chabrier. Lo incuriosiscono i grumi
armonici e i passaggi neogotici di Satie. Segue con estrema attenzione ci che
succede al teatro dopera, forte di convinzioni ben radicate. Non si ritrova
con i meccanismi drammatici di Verdi e Massenet, neppure con quelli lirici
di Gounod e Bizet; tanto meno con il verismo italiano di Cavalleria rusticana
e Pagliacci. Due volte pellegrino a Bayreuth (1888 e 1889), assiste a Parsifal,
Tristano e Isotta, I maestri cantori di Norimberga, imparando cosa si deve
e concertati, senza melodie, sempre piatta, solo con minime inflessioni. Spesso le voci si fermano, altre volte si ferma lorchestra e lascia scoperta la voce
che sussurra. Gli stessi strumenti dellorchestra di rado suonano assieme;
invece si aggregano in piccoli gruppi che presto si sciolgono, assaporando il
silenzio. Lme humaine est trs silencieuse. Lme humaine aime sen aller seule conclude sconfortato il vecchio Arkl, mentre Mlisande spira, il
medico certifica e il fratricida-uxoricida Golaud singhiozza.
Non ci sono eroi positivi wagneriani, e ancor meno adrenaline verdiane.
Mancano cori e balletti. Entrano risonanze balinesi e liturgie gregoriane. La
rappresentazione dura quasi tre ore. I critici conservatori stroncano. I giovani compositori, fra cui Ravel, plaudono. Il pubblico diviso, ma alla fine
resta ammaliato dalla novit. Le repliche sono subito 14 e superano il centinaio nei successivi dieci anni. Si rappresenta allestero: prima (1907) a Bruxelles, subito dopo a Francoforte, a New York, alla Scala di Milano con direzione di Toscanini (1908). Non ha il successo dellopera verista italiana, ma
influenza i maggiori compositori del tempo, sia pure con percorsi misteriosi,
intricati, lenti com nella natura di Pellas.
Lo stesso Debussy continua a lavorare sulla partitura anche dopo la prima esecuzione e dopo ledizione a stampa. Prepara una revisione completa
nel 1905, che continua ad annotare, aggiungendo dettagli, fino al fatale 1918.
Lavora con molta intensit a una nuova opera, ispirata al racconto La caduta
di Casa Usher dellamatissimo Edgar Allan Poe. Del racconto lo affascinano,
come sempre, latmosfera lugubre, il senso della fine, langoscia che viene
dalle ambiguit delle situazioni e dei personaggi. Per non riesce a trovare la
chiave giusta e abbandona il progetto attorno al 1905, dopo aver scoperto la
potenzialit illusionista del pianoforte. Torna al teatro nel 1911, stimolato da
Gabriele DAnnunzio, che arriva a Parigi per sfuggire ai creditori, voglioso
di far rivivere la letteratura medioevale francese. In tempi relativamente
brevi, Debussy scrive le musiche di scena per lambizioso mistero in cinque
atti Le Martyre de saint Sbastien, con la ballerina Ida Rubintejn che interpreta il ruolo di san Sebastiano. Lo spettacolo un fiasco, mai pi ripreso.
La musica riorganizzata in frammenti sinfonici e come tale eseguita e incisa.
Abbandonato ogni altro suo progetto teatrale, salvo i ritocchi a Pellas, Debussy si concentra sul pianoforte e sulla musica da camera.
Il testo di Maeterlinck, con i suoi incubi e le sue claustrofobie, continua ad
affascinare altri musicisti. Nel 1903, su suggerimento del mondano Richard
Strauss e senza sapere del contemporaneo lavoro di Debussy, il severo Schnberg
ne ricava un turgido e sensuale poema sinfonico per grande orchestra, ancora
legato al tardo Romanticismo di Brahms, che assorbe anche il principio wagneriano del Leitmotiv e sposa il nascente espressionismo, inteso come drammatico
intervento dellartista sul mondo che lo circonda, come ribellione dello spirito
alla realt delle cose. Tre anni prima, Schnberg collauda un linguaggio simile
nella ridotta formazione del sestetto darchi. Verklrte Nacht un poema sinfonico tascabile su una storia allucinata ma a lieto fine del poeta simbolistaespressionista Richard Dehmel. Ancora una volta, funziona lintreccio fra costruttivismo strutturale alla Brahms e dispersione armonica alla Wagner. Comune solo il timbro orchestrale scuro nellaltro popolare lavoro ispirato al Pellas,
la musica di scena scritta nel 1905 dal finlandese Sibelius e trasformata in suite
per piccola orchestra, uno dei suoi lavori pi popolari.
Non meno interessante leredit lasciata dalluso che Debussy fa della
parola. Il suo esempio di tralasciare lintervento dei librettisti presto seguito
da Richard Strauss che, nella sua Salome (1905), applica la musica alla lettera
del testo di Oscar Wilde (pur tradotto dal francese al tedesco) e in parte continua con i libretti di Hugo von Hofmannsthal. Far cos anche Berg con i
testi di Bchner per Wozzeck e di Wedekind per Lulu. Senza dimenticare Die
Soldaten (1965), dove le parole settecentesche di Jakob Lenz si associano alla
musica dodecafonica di Bernd Alois Zimmerman. E tenendo conto che recenti interpretazioni di Pellas et Mlisande ne fanno un solido precursore
dellantico (giapponese) e del moderno (europeo) teatro della crudelt e delle
paure. Nel teatro del primo Novecento, lerede diretto tuttavia Bartk, con
Il castello del principe Barbabl, composto nel 1911 ma rappresentato solo nel
1918, a guerra finita. ricavato da Ariane et Barbe-bleue di Maeterlinck, gi
messo in musica da Dukas nel 1907. La storia della nuova moglie Giuditta che
non ascolta limplorazione di Barbabl a non vivere con lui e scopre uno alla
volta gli orribili segreti delle sette porte suggerisce a Bartk una musica ancor
pi livida e misteriosa di Debussy, pi drammatica e brutale di quella che
Richard Strauss scrive per Salome (1905) ed Elektra (1909).
Ascolti
C. Debussy, Pellas et Mlisande, C. Abbado, Wiener Philharmoniker, dg 1992
A. Schnberg, Pelleas und Melisande, op. 5 variationen op. 31, P. Boulez, Chicago Symphony Orchestra, London Symphony Orchestra, Wea Apex Classics 2007
B. Bartk, Duke Bluebeards Castle, I. Kertsz, London Symphony Orchestra, Decca 1999
Letture
P. Roberts, Claude Debussy, Phaidon, New York 2008
J.M. Nectoux, Faur. Le voci del chiaroscuro, edt, Torino 2004
A. Boucourechliev, Debussy. La Rvolution subtile, Fayard, Paris 1998
E. Lockspeiser, Debussy. La vita e lopera, Rusconi, Milano 1983
1902 Sinfonia n. 5
Gustav Mahler
Radici nel Classicismo viennese Locchio del ciclone:
Adagietto per archi e arpa Le fiabe di Des Knaben
Wunderhorn Il titano Resurrezione Terza e
Quarta sinfonia La svolta della Quinta Sesta
come Tragica Settima come Canto della notte
Ottava dei Mille Nona alla burlesca Successo
come punizione
Lattacco della tromba sola una citazione letterale dal secondo movimento
della Sinfonia n. 100 Militare di Haydn e per tutto il primo movimento imperversa il tema del destino della Quinta sinfonia di Beethoven. Lintera
Quinta sinfonia di Mahler percorsa dai ritmi di valzer e di Lndler che
danno immortalit a Schubert. Non manca il contrappunto sinfonico alla
Brahms. La batteria degli ottoni (6 corni, 4 trombe, 2 tromboni, un basso
tuba) apporta i timbri di Bruckner. Anche la struttura, pur sterminata (almeno 75 minuti di musica), si riconduce alla forma sinfonia. Mahler la articola
in cinque movimenti disposti in tre parti: 1+2, 3, 4+5. Il primo movimento pu essere letto, sia pure su scala colossale, come un classico Adagio
introduttivo, alla maniera delle ultime sinfonie di Haydn, di Mozart (K 543)
e di Beethoven (Prima, Seconda, Settima). Al Beethoven dellEroica rimanda
il taglio da marcia funebre, col tema del destino che sintreccia con lo squillo della tromba haydniana. Ben preparato dalla lunga Trauermarsch
(marcia funebre), il movimento successivo (Strmisch bewegt) sinnesta
direttamente e diventa un (sempre colossale: 20 minuti) primo movimento
in forma sonata, con tanti temi che si scontrano, danno vita a una tempesta
di suoni, convergono in unesaltata sintesi finale, non senza aver recuperato
pi volte materiali della precedente Marcia funebre, per segnalare la necessaria continuit. I cromatismi wagneriani si sposano con bruckneriani
corali di ottoni.
Le tempeste si placano nello Scherzo (seconda parte), scandito da lievi
passi di danza nelle sezioni laterali che diventano dolcezze schubertiane in
quella centrale. Gli ultimi due movimenti formano la terza parte. Il lirismo,
finora latente, fiorisce nellAdagietto per soli archi e arpa, quasi unoasi di
silenzio, un occhio nel ciclone, un indimenticabile momento di pace e di
malinconia. uno dei brani pi famosi della letteratura sinfonica. La tempesta torna ovviamente nel finale, ma il fragore degli ottoni, il picchiettare dei
fiati, le folate degli archi sono incardinati nella salda struttura del rond
classico. Come la Quinta di Beethoven, che inizia con un tragico do minore
e termina in un solare do maggiore, la Quinta di Mahler apre in un disperato
do diesis minore e finisce in un trionfante re maggiore.
Che la Quinta sinfonia di Mahler trovi le sue radici nella sinfonia classica
viennese dunque ovvio. Si percepisce al primo ascolto, ed ci che pi
infastidisce chi non ama lo stravolgimento dei contenitori e il debordare dei
contenuti. Per c molto altro ancora, che viene dal Romanticismo europeo
e dalla voglia di usare la musica per raccontare passioni. Il passaggio dalle
tenebre alla luce un tema che in musica ha radici lontane, ben oltre Berlioz
e Mozart, oltre Rameau. Lo stesso Mahler, dieci anni prima, se ne ispira per
la sua Seconda sinfonia (1894), intitolata Resurrezione. Ancora una volta la
musica parte dal registro cupo di una marcia con tamburi coperti, si rischiara con strumentazione leggera, inserisce un delicato intervento per voce
femminile, si ferma estatica su un coro a cappella che intona i versi del poeta
illuminista Friedrich Klopstock prima dellesplosione del tutti finale sulle
parole S, risorger. La speranza illusione evidente perch langoscia
continua a serpeggiare, qui come in tutta la produzione di Mahler, anche in
quella giovanile. Laffresco desordio, la cantata Das klagende Lied
(1880), una fiaba in nero che racconta di un fratricidio e della catastrofe
che ne consegue. La quasi normale Prima sinfonia (1888), detta Il titano
perch ispirata dallomonimo romanzo di Jean Paul Richter di schumanniana memoria, ha un momento magico nel quarto dei suoi cinque movimenti.
Mette in musica lillustrazione fiabesca Il funerale del cacciatore: attorno
al corteo dei cacciatori che piangono il collega defunto, ballano felici gli
animali del bosco. Lantica filastrocca Fra Martino la marcia funebre degli
uni; uno scoppiettante valzer accompagna le danze degli altri.
La voglia di tradurre in musica i contrasti estremi presente in tutta la
produzione di Mahler. Spiega la sua necessit di mobilitare sempre maggiori
risorse strumentali. Non gli bastano i colori dellorchestra di Berlioz. Neppure le tecniche di narrazione musicale che Liszt elabora nel poema sinfonico,
i cui princpi peraltro Mahler segue in quasi tutte le sue sinfonie. I temi letterari e filosofici gli paiono troppo vaghi. uno dei primi a scoprire che, sempre in musica, il vero contrasto non pu che nascere a livello di culture, fra
quella alta della citt e quella bassa della campagna, fra lascito accademico e tradizione popolare. Memore delle sue origini modeste in un villaggio
boemo, consapevole delle competenze acquisite al conservatorio di Vienna,
Mahler accosta senza ritegno il raffinato al volgare, il valzer di corte al
Lndler da cortile, larpa per danzare a palazzo al piffero per ballare sullaia.
Non ha problemi neppure con la poesia: Klopstock e Nietzsche stanno benissimo assieme agli anonimi parolieri della civilt contadina. Lillustrazione
Il funerale del cacciatore tratta da Des Knaben Wunderhorn (Il corno magico
del fanciullo), una collezione di fiabe popolari raccolte (e ovviamente riscritte) e pubblicate fra 1805 e 1808 da Achim von Arnim e Clemens Brentano,
entrambi grandi aristocratici e finissimi intellettuali, abili inventori della
cultura popolare tedesca, non meno dei fratelli Grimm.
Due brevi inserti, uno da Cos parl Zarathustra di Nietzsche e laltro da
Des Knaben Wunderhorn, stemperano lestatico canto del corno del postiglione, le danze da osteria e i suoni della natura della Terza sinfonia (1896),
la pi lunga, con i suoi oltre 90 minuti di durata. Limpiego della poesia popolare trova posto anche nella Quarta sinfonia (1900), la pi sobria per organico e la pi breve come durata (meno di unora). Tre movimenti sono solo
strumentali: il primo in stile sinfonico schubertiano; il secondo con un violino scordato per apparire diverso; il terzo come ampio e meditativo Adagio. Il quarto e ultimo movimento chiede il canto del soprano, fra lironico
e il disperato, sulle parole di un bambino che descrive una Vita celestiale
fiabesca e surreale, e che per Mahler pura voglia dillusione e parodia del
meraviglioso. Si chiude cos il lungo rapporto con Des Knaben Wunderhorn,
iniziato con la Prima sinfonia e intersecato con altri 21 Lieder indipendenti,
dalle chiare nostalgie schubertiane, nati per voce e pianoforte e subito trasferiti allorchestra.
La Quinta sinfonia segna una svolta. Sparisce la voce e sfuma il tono popolaresco. Lattenzione si concentra sul timbro e sullarmonia. Lorganico
orchestrale si gonfia e assorbe le esperienze crescenti di Mahler come direttore dorchestra fra i pi stimati del suo tempo e come direttore musicale
dellOpera di Vienna, dove sono famose le sue ossessioni per i dettagli e per
il rispetto dei testi. La prima esecuzione della Quinta, a Colonia, il 18 ottobre
1904, un avvenimento. Il pubblico reagisce entusiasta al quarto movimento, Adagietto, che deve essere subito replicato. Mahler incoraggiato a
scrivere una nuova sinfonia, ma non cambia il suo registro emotivo, depresso
e pessimista, premonitore di future sventure personali che puntualmente
accadono: perdita della figlia primogenita, diagnosi di fatale malformazione
cardiaca, fatica di vivere con la bellissima moglie Alma, giovane, intelligente
e vivace. A Vienna i suoi ritmi di lavoro sono frenetici: dirige la stagione di
concerti e quella dellOpera, sempre sotto attacco per le scelte artistiche e
per la razza semita, e dedica i mesi estivi alla composizione, isolandosi in una
capanna nei boschi di Carinzia e Tirolo. Diventa uno dei pochi casi in cui le
vicende della vita di un compositore hanno impatto diretto sulla musica che
scrive. I fantasmi che turbano la sua mente si trasferiscono in partiture sempre pi complesse. nello spirito del tempo.
Sono gli anni in cui a Vienna nasce la psicoanalisi. Mahler frequenta
Sigmund Freud, gli racconta di un trauma infantile dal quale sarebbe nata la
Mahler ha gi impostato due nuovi lavori sinfonici che tuttavia prevedono il ritorno delle voci umane accanto a orchestre smisurate: unOttava
sinfonia con tanti solisti e tanti cori, e una sinfonia di Lieder per soprano
e tenore intitolata Il canto della terra. Ha anche in tasca un doppio contratto
che, a New York, lo lega come direttore della Metropolitan Opera e della
New York Symphony Orchestra. Ha in mente lincubo della Nona sinfonia,
quello che blocca Beethoven, Schubert, Bruckner e non consente loro di
andare oltre, cio di abbozzare o completarne una decima. Scrive velocemente la sua sinfonia pi monumentale, appunto lOttava, per sette solisti
nei diversi registri, coro di fanciulli, doppio coro a quattro voci adulte miste,
grande orchestra con nutrita sezione di percussioni, organo romantico a
sostegno. Limmensa mobilitazione, che lascia alla composizione il simpatico sottotitolo di Sinfonia dei Mille (esecutori), rende omaggio a due testi
distinti e forse complementari. Uno linno Veni Creator Spiritus; laltro il
finale del secondo Faust. Per la prima mezzora, la musica per linno del
carolingio Rabano Mauro distribuisce su un impianto di sonata la forza dei
cori adulti, la dolcezza delle voci bianche, il lirismo dei solisti, la suggestione
del grande organo. Il ben pi ampio testo di Goethe occupa lintera seconda
parte, dura unora e si articola alla maniera di una cantata che passa dalle
visioni terrene iniziali al coro mistico finale attraverso le testimonianze di
numerose figure allegoriche affidate a solisti e cori: mistici e penitenti, peccatrici e samaritane, anacoreti cresciuti e fanciulli innocenti. Sacro vero e
virtuale sono riuniti in un affresco che si connette con la giovanile esperienza di Das klagende Lied e finisce col condizionare lintero secolo successivo,
partendo dai colossali Gurrelieder dellamico Schnberg, impostati nel
1901, rimasti bloccati per quasi un decennio, ripresi e completati nel 1911
sullonda emotiva dellOttava sinfonia di Mahler. Il mito di Faust continua
a percorrere vie musicali parallele e trasversali del Novecento, con nuove
parole scelte dai compositori stessi: lontano da Goethe come nel caso di
Busoni (Doktor Faust, incompiuto, 1924), collaborando con il nuovo romanziere Michel Butor come in Pousseur (Votre Faust, 1968), espungendo
da Thomas Mann come fa Giacomo Manzoni (Doctor Faustus, 1989), assieme a un anonimo del Cinquecento con Alfred Schnittke (Historia von D.
Johann Fausten, 1995).
Alla prima esecuzione dellOttava (Monaco, 12 settembre 1910), la sala
colma e sono presenti personaggi di spicco, come i musicisti Schnberg,
Casella e Richard Strauss, gli scrittori Thomas Mann e Stefan Zweig, il regista Max Reinhardt. Le acclamazioni del pubblico commuovono Mahler, che
per continua a considerarsi incompreso e a scrivere musiche per un futuro
che comunque gli appare cupo. Ha gi pronta la Nona sinfonia, impostata
nellestate del 1909 e completata allinizio dellanno successivo, soltanto
Mentre i critici continuano a dubitare della sua arte, il grande pubblico gli
resta sempre fedele, perfino ammaliato quando, nel 1971, Luchino Visconti
sceglie lAdagietto della Quinta come colonna sonora del suo film Morte
a Venezia.
Ascolti
G. Mahler, Symphonie No. 5, C. Abbado, Berliner Philharmoniker, dg 1993
G. Mahler, The Complete Symphonies, K. Tennstedt, London Philharmonic Orchestra,
emi 1998
A. Schnberg, Gurrelieder, C. Abbado, Wiener Philharmoniker, dg 1995
Letture
B. Sponheuer, W. Steinbeck (a cura di), Mahler Handbuch, Metzler, Stuttgart 2010
Q. Principe, Mahler, Rusconi, Milano 1983
J. Barham (a cura di), The Cambridge Companion to Mahler, Cambridge University Press,
Cambridge 2007
primi lavori per pianoforte sono quadretti di genere, semifacili: valzer, preludi, mazurke. Ha fortuna la Petite suite (1889) per pianoforte a quattro mani,
in particolare il secondo numero, En bateau. Lascia nel cassetto per 15
anni la Suite bergamasque (iniziata nel 1890), che pure contiene un delizioso
e fortunatissimo Clair de lune: gli spiace accodarsi ai tanti che cercano il
rinnovamento recuperando il passato dei clavicembalisti settecenteschi. Nel
1901 pubblica la suite pi seriosa e breve Pour le piano (scritta nel 1894),
levigata e nitida, alla maniera di Rameau, certificata dai titoli Prlude,
Sarabande, Toccata.
Nelle tre estati (1880, 1881, 1882) in cui fa da istitutore musicale presso
la famiglia di Nadeda von Meck, la corrispondente e mecenate di ajkovskij,
segue con attenzione levolversi della musica russa. Non gli interessa lo stile
tardoromantico, lisztiano e virtuosistico esibito dalla scuola dei fratelli Anton e Nikolai Rubintejn, compreso lastro nascente Rachmaninov. Si tiene
lontano pure dalle escandescenze pirotecniche, informali, ipercromatiche
con le quali il primo Skrjabin elabora la lezione di Chopin con una sulfurea
collana di studi, preludi, sonate. Finalmente, nel 1902, lascolto di Jeux deau
del venticinquenne Ravel fa scoccare la scintilla nel quasi quarantenne, e per
altre cose ben affermato, Debussy. Si apre la strada allultima, straordinaria
stagione del pianoforte.
La conversione di Debussy al pianoforte in ogni caso anche merito
dello stile di Ricardo Vies, il primo interprete di Jeux deau, elegante e sensibile, preciso eppure ricco di mezze tinte, mai meccanico e tanto meno
estroverso. Il pianista catalano di sicuro suggerisce la seconda Estampe,
piena di sapori andalusi autentici che per Debussy inventa, dato che mai
mette piede in Spagna. Sintitola La Soire dans Grenade: su un ritmo
nonchalamment gracieux, sincrociano passi di habanera e tango, assieme a
gesti di flamenco per bucare il languido torpore dellinsieme e le dissolvenze
che legano immagini solo accennate. Il gusto per lesotico da sempre nelle
corde di Debussy, collaudato tante volte in altri strumenti e anche sul pianoforte nella curiosa anticipazione di sonorit arabomoresche su ritmo ispanico di habanera che troviamo nella suite Lindaraja (1901) per due pianoforti.
Infatti, la terna di Estampes si completa con Pagodes ed un trionfo di
scale orientali e pentatoniche, colori dorchestra balinese (gamelan), vibrazioni poliritmiche di gong e tamburi.
La prima esecuzione pubblica di Estampes affidata a Vies (9 gennaio
1904), con bis di Jardins sous la pluie. Il successo induce la replica immediata. Debussy annota le nuove idee in Dun cahier desquisses (1903), affida
a Vies i primi risultati Masques e LIsle joyeuse (1904), ritrova la magia del
trittico nel primo (1905) e nel secondo (1907) quaderno di Images. Qui per
sincrocia con Miroirs di Ravel: nomi analoghi, soggetti identici. Vies lavora
con entrambi i compositori, ma forse riferisce al pi amico Ravel. Per qualche anno c imbarazzante sovrapposizione di titoli e immagini. Comune
leterno rapporto con lacqua: Reflets dans leau (Images i, 1) e Poissons
dor (Images ii, 3) di Debussy parigliano con Une Barque sur locan
(Miroirs, 3) di Ravel. Come Cloches travers les feuilles (Images ii, 1) si
apparenta con La Valle des cloches (Miroirs, 5). E il Debussy di Hommage Rameau e di Mouvements (Images i, 2 e 3) si lega al neoclavicembalismo della Sonatine (1903-05) di Ravel. Il rapporto si rovescia quando
sintrecciano Noctuelles e Oiseaux tristes (Miroirs, 1 e 2) con i diversi
esotismi di Et la lune descend sur le temple qui fut e la stampa giapponese
di Poissons dor (Images ii, 2 e 3).
Il percorso parallelo continua quando entrambi scrivono per bambini,
Debussy per la propria giovane figlia Chouchou e Ravel per i figli degli amici Godebski. In Childrens Corner (1908), Debussy organizza una serie di
caricature musicali, con la lingua inglese a far da tampone a un delizioso
esercizio di semplificazione di complicati giochi timbrici disposti in totale
libert. Sono gli esercizi del Dr. Gradus che vuol arrivare al Parnaso del severo didatta Muzio Clementi: la ninna nanna dellelefantino, la serenata per
la bambola, la neve che danza, il pastorello alle prese con pecorine e imprevedibili eventi atmosferici, il balletto del pupazzo nero che arriva dallAmerica. In Ma mre lOye per pianoforte a quattro mani, Ravel ricostruisce lidea della suite settecentesca attorno alle fiabe di sempre, Pollicino e Cappuccetto rosso, La bella e la bestia, La bella addormentata, Limperatrice delle
pagode. Lintersezione fra Ravel e Debussy si chiude qui. Il primo rivela le sue
filigrane orizzontali e si tuffa nel ricordo dellantico, e attorno al dramma
della Grande guerra sublima let delloro francese con Le Tombeau de
Couperin. Debussy accentua i suoi interessi per la verticalit, per la sovrapposizione dei suoni e per la creazione di timbri nuovi sullormai antico pianoforte. Frammenta ancora di pi la struttura dei suoi lavori pianistici, dimentica ogni architettura, comprime la durata a pochi minuti, quanto serve
per rendere concreta unidea di suono. Anche i titoli, esplicativi dispirazioni e impressioni, vengono dopo che il fenomeno acustico realizzato.
Infatti, in entrambe le raccolte di 12 Prludes (i, 1910; ii, 1913), i titoli sono
posti alla fine dello spartito, dopo che la musica finita, preceduti da tre puntini di sospensione a segnare un pudico distacco. La relazione fra suono e immagine, fra musiche e parole flebile quando si lega a segni antichi (Danseuses de Delphe, Canopes), a musicanti del tempo (Minstrels, La Danse
de Puck), a immagini sfocate (La puerta del vino, Les collines dAnacapri), a fisicit soffuse (Des pas sur la neige, Ce qua vu le vent douest,
Bruyres, Le Vent dans la plaine, Feuilles mortes, Nuages), visioni
fiabesche (La Cathdrale engloutie, La Fille aux cheveux de lin, Les Fes
Ascolti
C. Debussy, Images 1&2, A. Benedetti Michelangeli, dg 1986
C. Debussy, The Complete Works for Piano, W. Gieseking, emi 1997
E. Satie, Gymnopdies etc., A. Ciccolini, emi 2000
Letture
P. Roberts, Images: The Piano Music of Claude Debussy, Amadeus Press, Portland 1996
S. Trezise (a cura di), The Cambridge Companion to Debussy, Cambridge University Press,
Cambridge 2003
Serie X.
Impressioni, espressioni, ritorni
1905Salome
Richard Strauss
Danza dei sette veli Grande orchestra a teatro Incerto
esordio Melologhi Wilde e Moreau Salome per
Sarah Bernhardt Lesempio di Pellas Trionfo planetario Elektra Monodrammi di Schnberg Zemlinsky Berg
La sintesi perfetta dellopera intera sta nei nove minuti della sua scena pi
famosa, la Danza dei sette veli. Salome si muove, si spoglia per eccitare
Erode e per estorcergli il tremendo regalo che ha in mente. Ci sono tutti i
caratteri e le emozioni di una storia terribile, che la musica fa deflagrare pi
ancora del testo, in s esplosivo. Nei suoni dellorchestra, pur variati e distorti, si riconoscono i motivi del tetrarca Erode e della moglie Erodiade, della
giovane figliastra Salome invaghita dellintegralista Jochanaan; si percepiscono i temi del potere, della lascivia, della seduzione accumulati nelle pagine precedenti. Lintera opera adotta il principio wagneriano del Leitmotiv,
per in modo sempre conciso e polivalente, meno meccanico e pi sfumato
delloriginale. Nella Danza dei sette veli domina il tema di Salome, non
limpido come allinizio, neppure ridotto a verticalit ossessiva come nella
scena finale. Il gioco delle ambiguit sonore produce il turgido binomio
esotismo-erotismo. Tamburelli, iterazioni di oboi e svolazzi di fiati evocano i
timbri che accompagnano le danze del ventre del lontano Oriente. I violini
accennano valzer peccaminosi, le trombe squillano voglie animali, i bassi di
archi e ottoni con timpani e grancassa battono laccelerazione e la foga del
desiderio nel vicino Occidente. Nessuno parla mentre la tensione cresce.
Neppure Salome che, nel vortice della danza, si scioglie dei suoi veli e sente
avvicinarsi la turpe vendetta per un capriccio che limprigionato Jochanaan
non le ha concesso. Nei pochi attimi di distensione lirica, la musica porta la
premonizione del momento finale: Salome che bacia estasiata le labbra della
testa mozzata di Jochanaan. Il resto fantasia orchestrale pura, orgia di suoni accostati con la magia di un orchestratore sommo.
La Danza dei sette veli ha un valore riassuntivo voluto da Strauss, che
la scrive dopo che tutte le altre parti di Salome sono compiute. il punto di
arrivo e di ripartenza di almeno dieci anni dedicati a raffinare la scienza
dellorchestrazione con la celeberrima serie di poemi sinfonici, da Don Juan
(1889) a Una vita deroe (1898). Particolare affinit timbrica si ha con Cos
parl Zarathustra (1896) e ancor pi con Till Eulenspiegel (1895), dove il
burlesco si confonde col macabro e il peso di unorchestra immensa si alleggerisce con il raffinato impiego delle pause e della sgargiante batteria di
percussioni intonabili o semplicemente rumorose. Sono le risorse che
Strauss da sempre vuole dedicare a una nuova forma di teatro musicale. Si
rende conto che i due massimi capolavori di Richard Wagner, Tristano e
Parsifal, hanno portato lopera tedesca in un vicolo cieco. In Germania e
Austria, infatti, lunico erede dello stile wagneriano Humperdinck, con
Hnsel e Gretel, una fiaba per ragazzi, zeppa di buone intenzioni e con insopportabile lieto fine. Paradossalmente, il modello wagneriano va meglio in
Francia, con Pellas et Mlisande di Debussy. Meglio ancora in Italia, con La
Wally di Catalani e Le Villi di Puccini.
Strauss decide di applicare allopera le risorse della grande orchestra
quando nel pieno della sua esperienza sinfonica. Per non trova subito il
registro giusto. Non hanno successo i tre atti del dramma medioevale in stile
wagneriano Guntram (1894), in cui un menestrello e un aristocratico si contendono una donna santificata. I passi musicali migliori finiscono nel poema
Cos parl Zarathustra. Nel 1896, mentre impegnato in Don Chisciotte,
Strauss riprende il genere del melologo, dove la voce parla, ma non canta:
scrive Enoch Arden per recitante e pianoforte, tratto dallomonimo poema
(1864) del vittoriano Lord Alfred Tennyson nella versione tedesca (1886) di
Adolf Strodtmann. Glielo commissiona il famoso attore Ernst von Possart,
direttore del teatro di Monaco, suo amico e protettore. Ne esce un lavoro di
grande impegno (circa unora), con un solo attore che d voce a personaggi
diversi, si alterna e sovrappone a un pianoforte che evoca i fragori del gran
coda in concerto e le delicatezze del verticale in salotto, per esaltare i luoghi
topici di una storia fatta di sofferenze, sacrifici, privazioni e buoni sentimenti. Due anni dopo, Strauss scrive per Possart un secondo melologo, conciso
e simbolista, sognante e allucinato: Das Schloss am Meer su testo di Ludwig
Uhland, il poeta romantico gi ben noto a Franz Schubert (Die Forelle,
Frhlingsglaube). Possart convince a collaborare con lui anche il compositore Max von Schillings, che in Das Hexenlied (1903) prescrive una recitazione
cadenzata sui ritmi della musica, aprendo cos la strada a Schnberg, che
introduce in Pierrot lunaire (1912) anche lintonazione.
Un nuovo tentativo in teatro ha esiti migliori. Nel formato compatto
dellatto unico, con taglio farsesco e consueta ambientazione medioevale, la
nuova opera Feuersnot viene diretta, nella prima esecuzione, da Mahler a
Vienna (1902) con ripresa a Berlino. Non va molto lontano. Le parodie di
Wagner sono poco gradite e cos il tema sessuale che regge il libretto: la vergine Dietmut si concede al mago Kunrad per ridare al suo popolo il gusto di
saltare attraverso il cerchio di fuoco durante la festa del paese. Poco dopo,
Strauss reputa il soggetto in sintonia con la sua voglia di impressionare il
pubblico e di innovare lopera. Decide di mettere in musica Salome, un dramma che Oscar Wilde scrive in lingua francese nel 1891 abbagliato dal famoso
quadro LApparition di Gustave Moreau. Salome di Wilde ha gi una travagliata storia di scandali e censure. Lispiratrice Sarah Bernhardt ha paura
delle critiche dei benpensanti e rinuncia alla parte. A Londra la rappresentazione bloccata perch vanno in scena personaggi biblici. La prima parigina
(1896) desta polemiche ma, con la regia di Max Reinhardt, Salome ben accolta a Berlino (1902). La storia forte. Erode attratto dalla giovane Salome,
figlia della moglie Erodiade. Rinchiuso in una cisterna, Jochanaan (Giovanni
Battista) predica lavvento di Dio e maledice Erodiade. Sfuggendo alle attenzioni di Erode, Salome fa liberare il prigioniero e gli chiede di baciare la sua
bocca e di essere posseduta allistante. Lui rifiuta e torna in prigione. Tornata
a corte, lei balla per Erode la danza dei sette veli e come ricompensa chiede
la testa di Jochanaan. Erode ha paura di uccidere uno che ha visto Dio, ma
cede. Salome pu finalmente baciare le labbra del profeta, la cui testa le
servita su un piatto dargento. Erode la fa uccidere dai soldati.
Seguendo lesempio di Debussy con Pellas et Mlisande di Maeterlinck,
Strauss usa direttamente il testo di Wilde, pur tradotto in tedesco, senza
passare da un libretto per musica. Esalta cos ancor pi la forza delle parole.
Per lunghi momenti addirittura abbandona il canto, si spinge al parlato, al
melologo. Mancano le melodie, sostituite da interiezioni, urla, frasi smozzicate. Si sente linfluenza dellopera verista italiana, che in quel tempo domina
i teatri del mondo. Combinata con il rutilante suono orchestrale, la nuova
vocalit ha sul pubblico un effetto travolgente. La grande scena finale trasforma linterprete di Salome in geniale quanto macabra parodia negativa di
eroina wagneriana. La prima rappresentazione, alla Hofoper di Dresda (9
dicembre 1905), suscita scandalo e ammirazione. La censura impedisce limmediata ripresa a Vienna, voluta da Mahler. In Austria debutta a Graz
(1906), diretta dallautore e alla presenza di Mahler, Schnberg, Berg, Puccini, forse Hitler. A Londra bloccata dalla censura fino al 1907. Nello
stesso anno sono sospese le repliche a New York, dopo un debutto che
scandalizza. A Parigi, presente il Kaiser Guglielmo ii di Germania, il presidente della Repubblica francese Armand Fallires conferisce a Strauss la
Legion dhonneur. Sono in contemporanea le prime esecuzioni italiane, dirette dallautore al teatro Regio di Torino e da Toscanini alla Scala di Milano.
Si contano non meno di 50 teatri che nel giro di due anni mettono in scena
Salome, tuttora una delle opere pi rappresentate nel mondo intero.
Il successo di Salome convince Strauss a continuare sulla strada della
drammaturgia spinta, con la nuova corrente espressionista che, un po in
tutte le arti, soppianta la precedente simbolista. Tuttavia, con Elektra, la
formula cambia. Il testo ora un vero libretto dopera. Il letterato Hugo von
bandona per un altro uomo (mimo-mostro) ma poi torna, lui la perdona, lei
fugge ancora, anzi gli scaglia un macigno che poi il mimo-mostro. la variante di un vissuto personale: nel 1908 Mathilde von Zemlinsky, sorella di
Alexander e moglie di Schnberg, fugge col pittore Richard Gerstl, si pente
e viene perdonata. Nella vita vera Gerstl si uccide, il matrimonio riconciliato
non pi lo stesso e finisce in divorzio.
Pure lamico, maestro e cognato Zemlinsky coglie lo spirito del tempo in
una citt come Vienna che, quasi allimprovviso, si ritrova al centro della vita
intellettuale dEuropa, grazie alle personalit che vi operano: Freud, Hofmannsthal, Schnitzler, Kraus, Musil, Kokoschka, Schiele, Klimt, Loos. Zemlinsky
scrive musica preziosa su testi tradotti in tedesco del belga Maeterlinck (Sechs
Gesnge op. 13), dellindiano Tagore (Lyrische Symphonie, 1923), soprattutto
dellinglese Wilde con le opere Eine florentinische Tragdie (1915-16) e Der
Zwerg (1919-21). Sono lavori molto originali che, non meno di quelli di
Schnberg, consentono di capire la progressiva transizione dallo stile ancora
romantico di Brahms a quello modernista del primo Novecento. Trascurata
per tutto il secolo scorso, nel nuovo millennio la musica di Zemlinsky entrata stabilmente nel corrente repertorio teatrale e concertistico. Con il suo linguaggio postwagneriano, straussiano e sempre espressionista ottiene subito
fortuna Der ferne Klang (1911) di Franz Schreker, del quale Alban Berg prepara la riduzione per canto e pianoforte, censurata dal nazismo e solo recentemente reinserita nella programmazione teatrale. Da sempre apprezzate e
subito influenti sul teatro davanguardia del Novecento sono le due opere
teatrali che Berg elabora vivendo quella straordinaria stagione: Wozzek (1925)
e lincompiuta Lulu (1935).
Ascolti
R. Strauss, Salome, K. Bhm, Wiener Philharmoniker, dg 2007
R. Strauss, Elektra, G. Solti, Wiener Philharmoniker, Decca 2007
A. Schnberg, Erwartung, Die glckliche Hand, H. Scherchen, Bavarian Radio Symphony
Orchestra, Orfeo 1995
Letture
D. Puffett, Richard Strauss: Salome, Cambridge University Press, Cambridge 1989
C. Osborne, The Complete Operas of Richard Strauss, Trafalgar Square Publ., London
1988
1905 La Mer
Claude Debussy
Scintille e sospensioni Architettura sfumata Il cammino orchestrale di Debussy Prlude laprs midi dun
faune Nocturnes La Mer e la sezione aurea
Images per orchestra La melodia di timbri di Schnberg
Il colorismo di Skrjabin Vaughan Williams Rapsodie
espagnole di Ravel Ibert Messiaen Divisionisti postseriali Ligeti
interpretazioni. Losservazione pi ovvia che limpianto sia una trasposizione della sonata in tre movimenti, con il primo tripartito, il secondo in forma
di Scherzo e lultimo come grande Rond. Non c dialettica esplicita,
ma laccostamento di macchie timbrico-armoniche diverse e ricorrenti ha un
che di sistematico, dunque di strutturale che porta a riconoscere in De
laube a midi la ben nota formula introduzione-esposizione-sviluppo-riesposizione-coda. La dissezione analitica dellintera partitura porta poi a
isolare un paio di cellule melodiche che dai primi due schizzi tornano nel
finale Dialogue, a riprodurre quel concetto ciclico che fa della sinfonia
dellultimo Ottocento francese (Saint-Sans, Franck, Chausson) la creativa
evoluzione della sinfonia tedesca. Sono interpretazioni abbastanza coerenti
col passato di Debussy, che scrive La Mer a 43 anni, con ormai una pi che
ventennale esperienza compositiva nei generi consacrati dalla tradizione.
Finiti gli obblighi di scuola e dopo aver pubblicato i primi lavori per
pianoforte, Debussy ottiene un buon successo con il suo unico Quartetto
(1893, dedicato al quartetto Ysae) che mescola esotismi balinesi con melodizzare russo (alla Borodin) e ricorsi ciclici alla francese. accolto assai
meglio il suo primo lavoro importante per orchestra, un poema sinfonico
mascherato sotto il titolo Prlude laprs midi dun faune, eseguito per la
prima volta il 22 dicembre 1894 e nato come melologo. Un fauno zufola nel
flauto alla maniera di Pan, corteggia distratto le ninfe che gli volteggiano
intorno, riprende a suonare da solo, si addormenta cullato dal fondo orchestrale. Debussy appare indolente e ignaro del lungo poema del simbolista
Stphane Mallarm per il quale la musica avrebbe dovuto fare da colonna
sonora. La forma normale, come sempre tripartita, con un centrale cambio di passo quando arrivano le ninfe. Nuovi sono invece il suono languido
e vellutato, i metri che cambiano, le scale pentatoniche che sintrecciano a
quelle cromatiche, lintervallo critico del tritono che assicura lambiguit
tonale. Invenzioni che servono per attenuare i contorni, e passare dalla descrizione allimpressione, non rilevamento oggettivo ma sguardo attento,
meglio se un po sfocato.
Il cosiddetto impressionismo musicale nasce da questo Prlude, tanto
lontano dal poema letterario che lo ispira quanto dalla forma musicale che lo
regge. Il pigro Debussy impiega quattro anni per scriverlo (1891-94) e altrettanti gliene servono per il passo successivo, non pi legato alla letteratura e
nemmeno alla forma musicale. Ancora una volta un trittico che, sotto il
titolo riassuntivo di Nocturnes, raccoglie tre impressioni visive diverse, ispirate da dipinti non di un francese, ma dellangloamericano James Whistler.
Il primo notturno, Nuages, un trionfo del vago in musica suggerito
dallimmagine delle nubi che scorrono in cielo. Nel secondo, Ftes, i balli
e i canti di una giornata di festa suonano vivaci ma lontani. Non ci sono pa-
role per lultimo brano, Sirnes, nel senso che il coro femminile intona
soltanto la vocale a, di sicuro per esaltare il mistero del canto che ammalia
i naviganti, ma anche per segnalare lindifferenza dellautore alla semantica
del testo. Passando da un notturno allaltro, la forma si complica e frammenta. Il semplice disegno tripartito di Nuages sfumato dallarmonia che
sempre evita la risoluzione sulla tonica e rende ogni equilibrio instabile.
Pure in tre parti disposta Ftes, ma ciascuna sezione divisa in altri tre
segmenti, con simmetrie confuse dal sovrapporsi di marce per i militari della
Guardia nazionale a cavallo e di ballabili per il popolino nel Bois de Boulogne: una bella idea che Ives riprende in Three Places in New England (1914).
Chiude il trittico la pi complessa e informale Sirnes: cinque parti consecutive, evolutive, senza ritorni che non siano i pochi cenni melodici sussurrati dalle fanciulle del mare, o i segnali che affiorano fra spume di fiati e ondeggiare di archi.
In Nocturnes sono evidenti i presagi del futuro trittico La Mer, nel quale il
primo quadro (De laube a midi sur la mer) , infatti, suddiviso in cinque
parti, ben distinte fra loro dai segni che Debussy scrive in partitura. Solo che
neppure questa partizione autografa aiuta a capire la vera natura del primo
capitolo e dellintero nuovo trittico. Saltata lipotesi di una forma sonata, di
un rond con strofe e ritornelli, di una sinfonia nella sinfonia, ecco lidea di
un gioco numerico, costruito sulle magiche proporzioni della sezione aurea,
antiche come la somma dei quadrati sul triangolo di Pitagora. Tipica sintesi a
posteriori che ha la ventura di far quadrare i conti senza forzare la realt delle cose.
Nel frattempo Debussy scopre il pianoforte. Applica al bianco e nero
della tastiera i princpi formali collaudati con i colori dellorchestra. Scopre
che lesotismo della scala pentatonica e le risonanze delle corde che vibrano
funzionano non solo per il lontano Oriente cinese e giapponese, ma anche
per la vicina Spagna e per il suo retaggio zingaro e moresco. Il primo risultato affidato al pianoforte di La Soire dans Grenade (Estampes 2, 1903)
ma diventa apoteosi quando interviene lintera tavolozza di colori strumentali. Succede in Ibria (1905-08), il secondo quadro di un trittico meditato a lungo e pubblicato nel 1913 con il titolo Images per orchestra. La numerologia vince ancora una volta, perch Ibria articolato in tre parti, indipendenti e consecutive, anzi circadiane. Inizia dal pomeriggio (Par les rues
et par les chemins), trascolora nella notte (Les Parfums de la nuit),
esplode in una domenica solare (Le Matin dun jour de fte). Il trittico
spagnolo diventa il centro di un altro trittico, pi grande. Attorno a Ibria
sono disposte altre due immagini colorate da melodie popolari e nazionali.
La prima (Gigues, 1910-12) celebra lInghilterra, citando il popolare inno
dellantico regno di Northumbria The Keel Row e il ritmo della giga, una
danza dorigine inglese. La terza e ultima immagine un omaggio alla Francia (Rondes de printemps, 1905-09) con le filastrocche Nous nirons plus
au bois e Dodo, lenfant do, come in Jardins sous la pluie, terzo numero
dellaltro trittico, Estampes per pianoforte, di quasi dieci anni prima.
Dopo Images, Debussy non scrive altra musica per sola orchestra. Si occupa di pianoforte e di teatro, ma solo danzato, perch non riesce a sviluppare nessuno dei progetti dopera che ha in mente, primo fra tutti La caduta
di Casa Usher di Edgar Allan Poe. Linfluenza che il suo modo di scrivere per
orchestra ha sulla musica del Novecento enorme e immediata, anche se si
articola lungo direttrici diverse. Il concetto dello schizzo sinfonico, che tiene
conto anche degli sviluppi introdotti da Richard Strauss, si alimenta con
Pellas und Mlisande di Schnberg e con Die Seejungfrau di Zemlinsky,
entrambi datati 1905, ancora tonali e in bilico fra Brahms e Wagner. La raffinata selezione timbrica di Debussy non secondaria al concetto di
Klangfarbenmelodie (melodia di timbri), cio la distribuzione delle singole note di una melodia su diversi strumenti che Schnberg codifica nei suoi
rivoluzionari 5 Stcke op. 16 per orchestra (1909), in particolare nel terzo.
Linteresse per la dimensione timbrica della grande orchestra ha in Russia un
cultore spiritato in Skrjabin, che mobilita unimmensa tavolozza di colori
strumentali su armonie statiche per i suoi esperimenti esoterici, anzi misticoerotici: Il poema divino (1905), che teosofia in musica; Il poema dellestasi
(1908), con il suo accordo mistico di sei note differenti e la melodia propulsiva della tromba; Prometeo, o Il poema del fuoco (1910), con pianoforte,
organo, coro muto e tastiera per variare luci e colori, in omaggio al mitico
titano che regala alluomo energia e calore.
Ruolo essenziale ha Debussy nella rinascita della musica orchestrale in
Inghilterra. Il giovane Ralph Vaughan Williams, allievo di Ravel a Parigi nel
1908, si fa incantare da La Mer e scrive il suo primo lavoro importante, A Sea
Symphony (1909), con voci che si aggiungono allorchestra, come nel Canto
della terra di Mahler. Inoltre, Vaughan Williams applica latemporalismo e i
modi medioevali di Debussy al capolavoro Fantasia on a Theme by Thomas
Tallis (1910), per complesso di archi disposti in stereofonia di soli e di tutti,
cos da dare al suono il volume della grande orchestra. Limportanza del
trimestre di studio con Ravel si sente bene anche nelle sue musiche di scena
per la commedia Le vespe (1909), che vede Vaughan Williams intento pi a
sperimentare impasti timbrici che a caratterizzare il teatro di Aristofane. On
Hearing the First Cuckoo in Spring (1912) di Frederick Delius impressionismo al quadrato. La suite The Planets (1916) di Gustav Holst coniuga le
sottigliezze timbriche di Debussy con il rutilante linguaggio di Strauss. Negli
Stati Uniti, la fantasia di colori e di armonie di Debussy ispira le sinfonie e
ancor pi Three Places in New England (1914) di Ives.
Con la Spagna continua un prezioso rapporto di dare e avere, soprattutto grazie a Manuel de Falla, presente a Parigi fra 1907 e 1914, amico personale di Stravinskij, Ravel e Debussy, lui pure protagonista della vita musicale del tempo. Quando esplode la guerra torna a Madrid e porta con s tutti
i sapori dellimpressionismo francese coniugandoli con gli autentici colori
spagnoli che conosce dalla nascita. Scrive i balletti capolavoro El amor brujo
(1915), El sombrero de tres picos (1917) e pi tardi la deliziosa quasi opera
El retablo de maese Pedro (1923). Suggerita ancora nel 1909 dallimmancabile Ricardo Vies, si conclude la lunga gestazione di Noches en los jardines
de Espaa (1916), tre notturni trasformati in impressioni sinfoniche per
piccola orchestra e pudico pianoforte. Soprattutto il primo tempo, En el
Generalife, emoziona per i colori che de Falla sa dare alla calda notte andalusa e per il magico gioco timbrico di un pianoforte che imita la chitarra
e dialoga con gli strumenti che sbucano dallorchestra. Noches entra subito
nel repertorio dei grandi solisti. La sua delicata scrittura suggerisce luso
concertante della chitarra vera. Spunta un altro clamoroso successo nella
musica di tutti i tempi, grazie alle melodie, alle trasparenze e ai languori di
Spagna: il Concierto de Aranjuez (1939) di Joaqun Rodrigo, con il suo
celebre Adagio che strega Dalida e Mina, Miles Davis assieme a Chick
Corea e Carlos Santana. Non mancano gli echi nel settore classico. Il magro
repertorio per chitarra si rinnova grazie allapostolato del grande interprete
Andrs Segovia che si fa scrivere il Concierto del Sur (1940) dallamico messicano Manuel Ponce e il Concerto-Fantasia (1951) dal brasiliano Heitor
Villa-Lobos.
In Francia resta forte il rapporto dialettico di Debussy con Ravel, anche
lui autore di un affresco sinfonico dedicato al folklore iberico. La Rapsodie
espagnole (1908) di Ravel una festa di ritmi e di colori orchestrali, in quattro
tempi che sono tutto un programma: un incantato Prlude la nuit, poi
Malaguea con squilli di tromba e sussurri di corno inglese, una Habanera sensuale, la Feria scoppiettante. Risalendo il Novecento, Escales
(1922) di Jacques Ibert e LAscension (1933) di Olivier Messiaen trovano i
colori di un nuovo impressionismo per grande orchestra. In Italia diventano
maestri del nuovo stile orchestrale Ottorino Respighi (allievo di RimskijKorsakov a San Pietroburgo) e Alfredo Casella (formatosi a Parigi), perfino
il neomedioevale Gian Francesco Malipiero. Superato il secondo conflitto,
un diverso concetto di impressionismo porta idee a Boulez e Stockhausen, e
poi a Berio, Ligeti (il pi bravo, con Atmosphres, 1961), Rihm, Sciarrino,
Takemitsu (A Flock Descends into the Pentagonal Garden, 1977) in uninestricabile ghirlanda di fiori e colori.
Ascolti
C. Debussy, The Sea, C. Munch, Boston Symphony, rca 1957
C. Debussy, The Debussy Edition, dg 2012
Letture
R. Howat, Debussy in Proportion: A Musical Analysis, Cambridge University Press, Cambridge 1983
S. Trezise, Debussy: La Mer, Cambridge University Press, Cambridge 1995
canta per piccole frasi, assistita dai pochi strumenti che la partitura richiede.
La voce alternata e sovrapposta al disegno dei violini che torna tante volte
e conduce alla fine, come in un lungo Adagio schubertiano, a met fra
musica da sinfonia e musica da camera. Segue il trittico di terzo, quarto e
quinto movimento. Quello che in una sinfonia sarebbe uno Scherzo in tre
parti, nel Canto della terra diventa una successione di tre Lieder distinti e con
testi di diversi autori. Restano i tempi veloci nelle parti laterali affidate al
tenore: prima il rimpianto del tempo della giovinezza (n. 3, Von der Jugend), poi la speranza della rinascita in primavera dellubriaco che si consola col vino (n. 5, Der Trunkene im Frhling). Nel centro del trittico (n.
4, Von der Schnheit) il contralto esalta la bellezza. Il finale una specie
di sinfonia nella sinfonia. La dimensione abnorme (dura 30 minuti), quasi
quanto i tempi precedenti messi assieme. La parte vocale, destinata al solo
contralto, la pi esposta. Per il tema, fin dallinizio affidato alloboe, che
torna nei momenti cruciali, per ricordare lunit di concezione dellimmenso
finale. Si scopre che questo tema derivato dalla breve serie di tre note con
cui lintera sinfonia inizia e che, col senno di poi, si riconosce come generatore di altri frammenti delle parti successive. un omaggio che Mahler fa al
principio della sinfonia ciclica francese, pi ancora che a quello del Leitmotiv operistico tedesco.
Lanalogia con limpianto sinfonico tradizionale tuttavia una forzatura.
Il canto della terra costruito per poter essere letto in tanti modi. Cambia la
prospettiva se lo si divide in due parti di durata quasi uguale, luna con i
primi cinque Lieder e laltra con labnorme sesto. La prima parte diventa un
organismo unitario a simmetria centrale. Al centro sta il breve inno alla giovinezza, per tenore. Accanto, la voce androgina del contralto ricorda prima
Der Einsame im Herbst e poi decanta Von der Schnheit. Sui lati esterni ecco il doppio inno al vino: Das Trinklied vom Jammer der Erde da cui
tutto parte, e Der Trunkene im Frhling che chiude circolarmente una
cinquina fitta di legami musicali spesso celati e talvolta rivelati. La seconda
parte, Der Abschied (Il congedo), cio il sesto Lied, procede secondo un
disegno di macchie sonore successive, libere per colore e intensit, con il
passaggio dalluna allaltra segnato dal motivo delloboe. Il canto frammentato dagli inserti strumentali che possono durare pochi secondi o alcuni minuti, come nel caso dellampia marcia funebre che separa e collega due diverse poesie di due diversi autori. Anzi, una chiave di lettura potrebbe considerare il Lied come una monumentale serie di variazioni su una marcia
funebre, specchio oscuro dellallegra marcia paesana che regge Von der
Jugend. Comunque sia, Mahler non mobilita mai lintera orchestra, piuttosto aggrega timbri per elaborare e variare dettagli che nascono dalle immagini evocate dal testo poetico.
Leggere Il canto della terra in funzione del testo un altro modo di cercare e di capire. Mahler fra i primi a scrivere musica su versi tratti dalla
raccolta Die chinesische Flte, un centinaio di liriche di poeti cinesi vissuti fra
viii e xiii secolo pubblicata in lingua tedesca con grande successo nel 1907
dal letterato e poeta Hans Bethge. Non sono traduzioni dalloriginale
(Bethge non conosce le lingue cinesi) ma da precedenti versioni inglesi, francesi e tedesche riscritte in versi moderni. Il filo fra la poesia cinese e la musica di Mahler non va dunque cercato nella corrispondenza fra parole e note,
quanto fra immagine poetica e sua traduzione in suono. Il musicista ne ben
consapevole, tanto che sceglie con molta cura sette poemi di quattro poeti
diversi, che taglia e incastra senza porsi problemi di rispetto delle fonti. Der
Abschied una combinazione di due poesie di due autori differenti sul tema
delladdio fra due amici. Con Mahler diventa un passaggio di consegne, siglato da un brindisi, fra la vita delluno che si spegne e quella dellaltro che
fiorisce. Di Mahler la disposizione dei testi in due parti fra loro speculari:
la prima descrive le gioie e le ansie della vita sulla terra, consolabili col vino;
la seconda celebra il distacco, amaro eppure sereno, tentando qualche risposta (musicale) alle domande comparse nella prima parte. Si spiegano i fragori vitalistici, a piena orchestra e a tutto canto dei primi cinque Lieder, e le
frammentazioni in aggregati strumentali cameristici con vocalit ridotta al
parlato nel sesto e ultimo.
A proposito di rapporto col testo, Mahler ha idee chiare fin dallinizio
della sua carriera di compositore. Per i suoi primi Lieder (1880-83) si scrive
da solo le parole. Cos fa per laffresco sinfonico Das klagende Lied (1880) e
per il primo ciclo con orchestra Lieder eines fahrenden Gesellen (1885). Mentre scrive la Prima sinfonia (1889), scopre la raccolta di poesia popolare Des
Knaben Wunderhorn: quei testi limpidi e non ricercati gli suggeriscono una
prima serie di nove Lieder per voce e pianoforte (1888-91). Poco dopo inizia
una seconda serie di dodici Lieder, questa volta con accompagnamento orchestrale e in perfetta sintonia e integrazione con le prime quattro sinfonie. La
sostituzione del pianoforte con lorchestra per sostenere il canto non in s
una novit. anzi una specialit francese, con Berlioz che scrive Les Nuits
dt (1856) su testo di Thophile Gautier, seguito fra gli altri da Chausson con
Pome de lamour et de la mer (1893) e Chanson perptuelle (1898). Mahler
vuole per che voce e strumenti si integrino alla perfezione, con taglio melodico raccordato con la prima stagione romantica di Schubert e Schumann,
forse anche con quella conseguente di Brahms. Tiene conto del cromatismo
imperante ma sta lontano dalle sperimentazioni postwagneriane che negli
stessi anni occupano il collega di conservatorio e amico fraterno Hugo Wolf.
Mahler non segue Wolf neppure nella scelta artistica di scavare nel verso
per svelare le note insite nelle parole, di trovare con la musica i valori che la
poesia da sola non riesce a esprimere. Infatti, Wolf abbandona presto i pur
amati Schubert e Schumann, non d spazio al disdegnato Brahms, adora la
libert armonica di Wagner. Partendo da frammenti poetici di Mrike
(1888), Eichendorff (1889) e Goethe (1890), crea cicli di Lieder che hanno
la dimensione dellaffresco. Con il medesimo spirito e con musica ancor pi
secca e precisa, alla ricerca dellassoluto, Wolf sceglie testi semplici e popolareggianti per le nuove raccolte Spanisches Liederbuch (1891) e Italienisches
Liederbuch (1892, 1896). Nei pochi anni che gli concede laggravarsi della
malattia mentale, riesce anche a portare in scena lopera Der Corregidor
(1895), ironica e surreale, con musica pre-espressionista su storia semiautobiografica di un triangolo amoroso che ispirer ventanni dopo El sombrero
de tres picos di Manuel de Falla.
La concisione dei disegni melodici, lefficacia dei passaggi dissonanti,
lattenzione per i valori del testo di Wolf convincono Mahler a cercare stimoli nella letteratura alta e non solo in quella bassa, popolare. Per non si
lascia incantare dagli ultimi romantici tanto amati dallamico. Non segue
neppure i francesi Faur e Debussy, affascinati dal decadentismo di Verlaine,
Rimbaud, Mallarm. Sta lontano anche dai simbolisti tedeschi George e
Dehmel, che invece seducono il giovane Schnberg. Trova lalternativa nei
classici del Settecento. Il finale della Seconda sinfonia (1894) impostato su
parole dellilluminista Klopstock. Nella Terza sinfonia (1896), accanto a versi di Des Knaben Wunderhorn, compaiono alcune frasi da Cos parl Zarathustra di Nietzsche. Fra 1901 e 1902 scrive cinque Lieder scegliendo i testi fra
la vasta produzione del settecentesco Friedrich Rckert, i Rckertlieder,
appunto. Non c un piano organico. Mahler cerca le immagini che la poesia
evoca: il profumo dellaria, i dubbi sullamore, i fremiti della notte. Nel famoso Ich bin der Welt abhanden gekommen confessa anche la speranza di
essere finalmente diventato un vero artista, cio un incompreso. Nonostante
il rispetto per il poeta, Mahler non si preoccupa di mantenere il metro e
lintegrit del testo, che adatta alle soluzioni musicali che di volta in volta
inventa. Le risorse orchestrali sono calibrate secondo princpi qualitativi pi
che quantitativi, come succeder nel Canto della terra: la voce non si confronta con volumi sinfonici, ma con timbri isolati e ben individuati di gruppi
strumentali ristretti, in una molteplicit di combinazioni che travalica le
possibilit fisiche di qualsiasi complesso da camera.
Sempre assediato da presagi funesti, nello stesso periodo (1901-04)
Mahler sceglie ancora Klopstock, affascinato dal dolore supremo del poeta
per la perdita dei figli e dal voluto tono sommesso dei versi. Kindertotenlieder
(Canti dei bambini morti) sintitola una cinquina di Lieder allinsegna del
tragico, per voce intrecciata a pochi strumenti espunti da una grande orchestra. Il canto sempre lineare, talvolta ha tono di filastrocca, spesso diventa
Ascolti
G. Mahler, Das Lied von der Erde, B. Walter, Wiener Philharmoniker, Decca 1952
G. Mahler, Janet Baker Sings Mahler, J. Barbirolli, J. Baker, New Philharmonia Orchestra,
emi 1999
A. von Zemlinsky, Lyrische Symphonie, C. Eschenbach, Orchestre de Paris, Capriccio
2006
Letture
G. Fournier-Facio (a cura di), Gustav Mahler. Il mio tempo verr, il Saggiatore, Milano,
2010
D. Mitchell, A. Nicholson (a cura di), The Mahler Companion, Oxford University Press,
New York 1999
S.E. Hefling, Mahler: Das Lied von der Erde, Cambridge University Press, Cambridge
2000
francese del tempo, non solo nei tre quartetti per archi, ma anche in quelli
con pianoforte.
Dopo Brahms, la scuola tedesca procede con i contrappunti neobachiani
di Max Reger, che nei suoi cinque quartetti (1889-1911) tiene conto anche
delle innovazioni orchestrali e delle dilatazioni formali introdotte dai poemi
sinfonici di Richard Strauss e dalle sinfonie di Mahler. Programmatico e
autobiografico Voces intimae (1909) del finlandese Sibelius. Legato alla
riscoperta degli ultimi quartetti di Beethoven, ma con gi presenti elementi
ricavati dallo studio del canto popolare danubiano, lesordio quartettistico
(op. 7, 1908) di Bartk. Lo stesso Schnberg vede nel quartetto il genere col
quale esordire. Ne imposta alcuni nel 1895 ma il primo lavoro completo del
1897. Lo scrive sotto la supervisione di Zemlinsky, di un paio danni pi
anziano, allievo del conservatorio di Vienna, direttore dorchestra e compositore, futuro cognato e amico per la vita. Prima di allora, Schnberg autodidatta, violoncellista dilettante e impiegato di banca. Zemlinsky presenta il
manoscritto al suo mentore Brahms, che lo approva. Eseguito in pubblico
solo nel 1900, il lavoro resta manoscritto fino al 1966. Nel frattempo nasce il
primo capolavoro di Schnberg, il sestetto per archi Verklrte Nacht, un
poema sinfonico da camera, che applica il principio wagneriano della modulazione infinita a una costruzione sonatistica brahmsiana sostenuta da una
narrazione: nel buio della notte, un uomo e una donna sincontrano, lei
confessa di avere in grembo il figlio di un altro, lui la perdona, entrambi si
avviano verso la luce. Dopo un paio di altri progetti abbandonati, nel 1905
pronto il primo quartetto ufficiale (n. 1 op. 7), costruito alla maniera della
Sonata in si minore per pianoforte di Liszt: un unico grande organismo in cui
per si riconoscono i quattro movimenti canonici, per disposizione e per
dinamica, non pi per armonia. Il titolo dellop. 7 di Schnberg dice che la
tonalit dimpianto re minore, ma la scrittura talmente fitta di note estranee da sfiorare la completa atonalit. Medesima struttura ha la Sinfonia da
camera op. 9 per 15 strumenti solisti (1906), curiosa restrizione ai minimi
termini di una grande orchestra.
La rottura definitiva di Schnberg con larmonia tonale avviene con il
Secondo quartetto (op. 10), ma in modo graduale, seguendo tempi che sono
sia artistici sia personali. I primi due movimenti, soltanto strumentali, stanno
ancora nel perimetro della tonalit allargata. Nelliniziale Mig vale ancora limpianto in fa diesis minore, sia pure allargato e confuso dalla quantit di note estranee inserite secondo limperante bulimia cromatica. Resta la
disposizione di sonata, con ben cinque idee melodiche, subito sviluppate,
intrecciate, riprese senza strappi apparenti e con diffusa voglia di lirismo.
Segue uno Sehr rasch, uno scherzo impostato in re minore, come sempre
vivace e contrastato, in tre parti, con quella centrale che cita e deforma il
con tutte le dodici note della scala cromatica trattate in modo equivalente,
senza toniche, dominanti, settime e relative gerarchie. Ben distanziati dai
primi, Terzo (1927) e Quarto (1936) quartetto seguono il nuovo stile. Nel
frattempo, Schnberg esplora il caos dellatonalit e gli incubi di un espressionismo, inteso come drammatico intervento dellartista sul mondo che lo
circonda, come ribellione dello spirito alla realt delle cose. Nascono i terribili monodrammi teatrali Erwartung (1909) e Die glckliche Hand (1913), le
sperimentazioni sui colori del pianoforte in 3 Klavierstcke op. 11 (1909) e
dellorchestra in 5 Stcke op. 16 (1909). Cresciuto autodidatta, Schnberg
teorizza le sue scelte con il Trattato darmonia (1911, dedicato a Mahler).
Trova due allievi eccezionali in Alban Berg e Anton Webern. Entrambi iniziano, come il loro maestro, nel rispetto della forma classica. Il lirico Berg si
presenta con la Sonata op. 1 per pianoforte in un solo movimento. Il razionale Webern con la Passacaglia op. 1 dal contrappunto bachiano. Procedono
coerenti con le evoluzioni stilistiche di Schnberg, ma in modo diverso. Il
primo passa dalliniziale concisione alla complessit dellaffresco. Il secondo
persegue la poetica del frammento. Tutti cambiano il corso della musica del
Novecento. Minore eco ha linserimento della voce nellorganico del quartetto per archi. Si deve aspettare Trostlied (1994) di Niccol Castiglioni.
Ascolti
A. Schnberg, A. Berg, A. Webern, String Quartets, LaSalle Quartet, Brilliant 2009
C. Debussy, M. Ravel, String Quartets, Quartetto Italiano, Philips 2002
G. Verdi, J. Sibelius, String Quartets, Juilliard String Quartet, Sony 1992
Letture
C. Rosen, Schoenberg, Mondadori, Milano 1984
A. Schnberg, Funzioni strutturali dellarmonia, il Saggiatore, Milano 2009
A. Schnberg, Manuale di armonia, il Saggiatore, Milano 2008
Nella sua concisione, lAllegro barbaro fotografa bene uno dei numerosi
orizzonti esplorati nei primi decenni del Novecento da chi cerca un futuro
per la musica per pianoforte e non solo. Il pianismo di Bartk sembra volere
una rottura secca con il passato romantico tedesco e con il presente impressionista francese, ma non proprio cos. La difficolt di esecuzione del
pezzo alta, ma non trascendentale. Nasce dalla tecnica lisztiana, che Bartk
padroneggia bene perch la apprende alla rigorosa accademia di Budapest
studiando con un allievo del fondatore Liszt. Bartk talmente virtuoso da
tentare la carriera di concertista, presentandosi al concorso parigino intitolato ad Anton Rubintejn del 1905, vinto dal fenomenale Wilhelm Backhaus,
di scuola tedesca, destinato a diventare uno dei massimi interpreti del Novecento. Si presenta anche alla sezione di composizione dello stesso concorso,
che premia litaliano Attilio Brugnoli. Prova a imboccare la via del concertista che esegue musiche proprie, come fanno con successo il russo Rachmaninov e il connazionale ungherese Ern von Dohnnyi: si propone con una
Rapsodia op. 1 e uno Scherzo op. 2 (1904), ma non entusiasma n impresari
n pubblico.
Nel 1907 Bartk finisce con laccettare un incarico dinsegnamento nella
sua scuola di origine, abbandona le velleit di concertista e si dedica alla
composizione. Inizia una serie di ricognizioni sulla musica popolare. Spesso
in compagnia dellamico Zoltn Kodly, con un rudimentale apparecchio di
registrazione e tanta carta pentagrammata, con un metodo scientifico che lo
pone fra i fondatori della moderna etnomusicologia, Bartk raccoglie, trascrive, ordina, studia canti vocali e danze strumentali delle popolazioni
contadine, dunque stanziali, della valle del Danubio. Scopre che la loro
musica molto differente da quella degli zigani, nomadi per definizione, che
considerata ungherese per tutto lOttocento, da Schubert a Liszt a
Brahms. Trova radici lontane, che derivano dai modi del Medioevo gregoriano e dal canto liturgico ortodosso. Scopre scale arabe e genericamente orientali, arrivate nei tanti secoli di dominio turco. I complessi strumentali che
accompagnano i balli di paese si rivelano una miniera di nuovi timbri e
dinfinite varianti ritmiche. Lesotico, per Bartk, concreta pratica musicale, non fantasia di artista come di regola accade nellOttocento. Senza mai
abbandonarsi a citazioni dirette, Bartk fa delle tecniche della musica popolare lelemento distintivo della sua prevalente attivit di compositore.
pianista, pertanto affida al suo strumento le prime applicazioni. Il passaggio
al nuovo stile graduale, richiede pi di cinque anni e dimostra la completa
conoscenza che Bartk ha della musica del suo tempo. Gli inizi lisztiani
evolvono verso i meditativi Klavierstcke brahmsiani. Entrano sfumature
impressioniste: il virtuosismo di Ravel che poggia sulla filigrana classica,
lillusionismo di Debussy che fatto dinvenzioni timbriche. Sono gli stessi
elementi che affascinano il non pianista Schnberg nella sua faticosa ricerca
di distacco dallultimo Romanticismo.
Schnberg esordisce come autore per tastiera con 3 Klavierstcke op. 11
(1909), scritti in quel critico tempo che vede la piena atonalit del Secondo
quartetto op. 10, le allucinazioni del monodramma Erwartung op. 17, linvenzione della melodia di timbri dei 5 Orchesterstcke op. 16. Il costruttivismo brahmsiano perfino esasperato nella minuzia di dettagli dellop. 11,
grazie ai quali cresce il primo pezzo. Lattenzione ai valori timbrici chiede di
tenere abbassati, con la mano sinistra, alcuni tasti senza far scattare i martelletti e dunque senza percuotere le corde: cos restano alzati gli smorzatori e
le corde relative possono vibrare per simpatia con quelle davvero colpite, su
altri tasti, dalle dita della mano destra. La voglia di virtuosismo del terzo
pezzo nasce nella testa dellautore, non dalle dita dellinterprete, nel senso
che il risultato sonoro non proporzionato allaltissima difficolt di esecuzione. Il secondo pezzo il pi dilatato e armonicamente sperimentale. Se ne
accorge Ferruccio Busoni, cui Schnberg manda il manoscritto per un parere: apprezza molto, in parte riscrive, per farne una versione da concerto, che
per non esegue in pubblico. Lautore se ne dispiace, ma il rapporto con
Busoni si mantiene strettissimo.
Forte e duratura sui giovani innovatori di primo Novecento , infatti,
linfluenza di Busoni, litaliano che sinsedia come didatta a Berlino nel 1894,
dopo essere stato fanciullo prodigio apprezzato da Liszt e Brahms, allievo
del conservatorio di Lipsia, insegnante in Finlandia, Russia, Stati Uniti. Busoni uno dei massimi concertisti del suo tempo con un repertorio enorme,
centrato su Liszt e sulla tradizione tedesca, in particolare bachiana. Di Bach
favoloso interprete, revisore (la Bach-Busoni Ausgabe), trascrittore (mitica
la sua versione pianistica della Ciaccona per violino solo, 1893), reinventore (Fantasia contrappuntistica per due pianoforti, a completamento
dellArte della fuga, 1910). Continua la sua attivit di concertista che lo vede,
fra laltro, solista nel Quinto concerto di Beethoven a New York con Mahler
direttore. Attento alla musica etnica, nel 1910 compone una Fantasia indiana
per pianoforte e orchestra basata su melodie raccolte negli accampamenti di
pellirossa. Il suo Saggio di una nuova estetica musicale (1907) indica soluzioni ai problemi del tempo: equivalenza dei dodici suoni, suddivisione dellottava in pi di dodici intervalli, libert nella disposizione formale, trasparenza
del disegno; ma anche rispetto per il passato, e dunque esigenza di una
nuova classicit. La sua produzione originale rispecchia le teorie, in una serie
di gemme pianistiche, sonatine, elegie, variazioni. Si capisce la stima di
Schnberg. Pure Bartk apprezza in Busoni le tante aperture verso il nuovo,
lattenzione per il contrappunto e il costante richiamo allequilibrio dellarchitettura. Gli rende omaggio nelle giovanili Elegie op. 8b e non si distacca
il ventenne russo Sergej Prokofev scrive la sua Toccata op. 11, macchina
implacabile che mai si arresta, si carica di massa sonora, resta nei registri
gravi e nel modo minore, trova un minimo sprazzo di luce solo nellaccordo
finale. In tempo di guerra, sia pure in una Spagna non belligerante, Manuel
de Falla scrive El amor brujo (1915), il balletto dal quale ricava la versione
pianistica spettacolare e percussiva della Danza rituale del fuoco portata in
trionfo dal mulinare delle braccia del suo massimo interprete, Arthur Rubinstein. Nel frattempo, le percussioni sui ritmi barbari dei balletti russi di
Diaghilev e Stravinskij travolgono la Parigi musicale della Belle poque ben
prima dello scoppio della Grande guerra. Finita la quale, le pulsioni motorie
e percussive sul pianoforte non si arrestano, piuttosto sintegrano con altre
ricerche di nuove sonorit. I 3 Studi op. 18 (1918) di Bartk quasi dimenticano il taglio folklorico dellop. 14, ritrovano virtuosismi di Liszt, iridescenze di Debussy e Ravel, distillati di Schnberg. Stravinskij guarda oltre oceano
con Ragtime (1918) e Piano-Rag-Music (1919), inventa un fenomenale suono
orchestrale sul pianoforte con Trois mouvements de Petruka (1921) commissionati ed eseguiti tante volte da Arthur Rubinstein: prima una Danse russe, poi lintermezzo Chz Petruka, infine La Semaine grasse, strepitosa e pirotecnica, polifonica e politonale.
Rubinstein non incide su disco i Trois mouvements ufficialmente per non
rischiare di irritare Stravinskij, data lintroduzione di alcune varianti per
migliorarne leseguibilit. per evidente il ruolo che linterprete esercita
sullautore e limportanza che il neonato sistema di riproduzione meccanica
su disco svolge nel fermare la memoria dellesecuzione. Fra laltro emerge
evidente la non puntuale corrispondenza fra le intenzioni dellautore e il risultato dellesecuzione. Forse non sono molto affidabili le registrazioni su
vari supporti di Brahms e di Busoni al pianoforte, di Joachim e Sarasate al
violino, dei tanti altri che lo fanno prima dellavvento del disco di gommalacca utilizzabile su due lati, rotante a 78 giri al minuto e capiente circa otto
minuti (1910) e prima della presa del suono con microfono (1920). Il miglioramento della tecnologia rapido, con salto di qualit nel 1950 grazie allintroduzione del supporto in vinile, con velocit di rotazione 45 e 33, 1/3 giri
al minuto, ed estensione della durata a circa 30 minuti per facciata. Diventa
sensato comparare lesecuzione di uno stesso brano da parte dellautore e dei
suoi interpreti, sempre che le abilit esecutive siano adeguate. Ravel e Stravinskij non sono concertisti di pianoforte, e come tali preferiscono non incidere. Stravinskij dirige tutte le sue composizioni e le incide su disco, ma non
un vero direttore e fanno meglio i professionisti Pierre Monteux, Eugene
Ormandy, Serge Koussevitzky, Leopold Stokowski. Invece, sono eccellenti
pianisti sia Bartk sia Prokofev, che ci hanno lasciato ampie testimonianze.
Entrambi, nelle loro esecuzioni, sono per molti aspetti assai pi morbidi e
flessibili di quanto non prescriva il testo scritto, applicato in modo impeccabile da interpreti fedeli come Gyrgy Sndor e Sviatoslav Richter. Anche il
mitico virtuoso Sergej Rachmaninov spesso superato, nellincisione di suoi
lavori, dal tedesco Walter Gieseking e dal compatriota Vladimir Horowitz.
Si pu tentare una conclusione: in musica il testo scritto sulla carta essenziale, per il risultato vero il suono che vibra nellaria, e che nasce dallinterpretazione.
Ascolti
B. Bartk, Bartk Plays Bartk 1929-1941, Pearl 1998
B. Bartk, Complete Solo Piano Music, G. Sandor, Vox 2003
Prokofiev Plays Prokofiev, Delta 1995
Letture
M. Mila, Larte di Bla Bartk, Einaudi, Torino 1996
M. Gillies (a cura di), The Bartk Companion, Faber and Faber, London 1993
nello Strauss viennese, Sul bel Danubio blu (1867) compreso. Forse perch
esterno al mondo della capitale asburgica, il tedesco di Baviera intuisce che
il declino del valzer a inizio Novecento si pu leggere come sintomo pi generale della crisi di una cultura, di un impero. Trova la corrispondenza nello
svanire della bellezza della Marescialla e aggiunge alla partitura quel sapore
amaro che tempera il taglio di commedia libertina settecentesca. La nostalgia
del passato non soltanto per la giovinezza perduta, anche per un candore
musicale che manca sempre pi. Per lesasperazione espressionista iniziata
con Salome e continuata con Elektra, Strauss non vede futuro. Con un improvviso colpo secco, guarda indietro e si sposta di lato. Quasi riscopre il
Wagner di Tristano, magari mediato dal furbo Puccini, comunque spruzzato
con sapienti dosi di ironia. Semplifica il suo linguaggio armonico, abbandona lurlo e cerca la melodia, insiste nel colorismo orchestrale. Si concede
tempi pi lunghi con tre atti che superano la durata di tre ore. Costruisce uno
spazio teatrale tutto suo, lontano dalle sperimentazioni davanguardia e difficile da imitare.
Non ci sono dubbi che Strauss colga lo spirito del tempo e sappia intuire
i gusti del pubblico. Rappresentato per la prima volta a Dresda il 26 gennaio
1911, Il cavaliere della rosa ha subito enorme successo. replicato 50 volte.
Un mese dopo trionfa alla Scala di Milano con la direzione di Tullio Serafin.
L8 aprile manda in visibilio lOpera di Vienna e il 14 novembre il Costanzi
di Roma. Nel giro di pochi anni entra nel repertorio dei maggiori teatri dopera e ne tuttora un caposaldo, nonostante richieda grandi mezzi strumentali, scenici, vocali. La parte della Marescialla un punto di arrivo nella
carriera di ogni soprano drammatico, da equilibrare con il canto pi leggero
del soprano lirico Sophie. Lefebico Octavian canta con la voce femminile di
mezzosoprano donna, ma immaginato come un castrato di settecentesca
ignominia. Il ruolo maschile pi importante non un tenore eroico wagneriano, ma un basso buffo, il dileggiato Ochs. Coordinare le voci con le lussureggianti orchestre in buca e in scena una sfida che solo un grande direttore pu sostenere. Infatti, la lista lunga: esordio con Ernst von Schuch, poi
Serafin, Beecham, Krauss, Toscanini, Erich e Carlos Kleiber, Bhm, Karajan,
Solti, Thielemann.
Con Il cavaliere della rosa, Strauss trova anche il bandolo per proseguire.
Stimolato da Hofmannsthal, non trascura la modernit ma punta sempre pi
a integrare la musica con la rappresentazione. Lopera successiva, Arianna a
Nasso (Ariadne auf Naxos), anticipa di quasi dieci anni linvenzione del teatro nel teatro di Pirandello, che solo di parola e non ha le complicazioni
della musica. Ha una gestazione lunga, figlia di un progetto troppo ambizioso: rappresentare la commedia Il borghese gentiluomo di Molire con appropriate musiche di scena e finale opera semiseria su soggetto mitologico. Le
sul ruolo reciproco di musica e poesia. Innamorata sia del musicista Flamand
sia del poeta Olivier, la Contessa padrona di casa non riesce a scegliere nella
vita e nellarte. Lo dice allo specchio, che riflette il suo dilemma e mostra
alla Marescialla il tempo che passa. Mentre la musica ricorda il dilemma di
Strauss: Wagner e Mozart sempre pi lontani, come i valzer dellaltro
Strauss.
Ascolti
R. Strauss, Der Rosenkavalier, H. von Karajan, Philharmonia Chorus & Orchestra, emi
2001
R. Strauss, Ariadne auf Naxos, H. von Karajan, Philharmonia Orchestra, emi 1999
R. Strauss, Die Frau ohne Schatten, G. Solti, Wiener Philharmoniker, Decca 1992
Letture
J.E. Jones, Der Rosenkavalier: Genesis, Modelling and New Aesthetic Paths, ProQuest,
Ann Arbor 2009
M. Bortolotto, La serpe in seno. Sulla musica di Richard Strauss, Adelphi, Milano 2007
Arnold Schnberg
Voce che parla intonata 21 pezzi a controllo numerico
Giraud Con Kokoschka e Kandinskij Declamare sulla
musica Aforismi architettati Sprechgesang Altre voci
recitanti in Schnberg Berg e Webern Weill Stravinskij Boulez
articola in 3 parti di 7 pezzi ciascuno, che moltiplicati fanno 21, in un organismo programmato per vedere la luce nellanno 12 del nuovo secolo. I
pezzi della collana (21) sono linverso del numero dopera (12) che lautore
le attribuisce. Le lettere del nome Pierrot sono 7 e sono 7 gli esecutori: direttore, voce, 5 strumentisti. Il numero 3 compare ovunque. Lanalisi del rapporto fra numeri, note e intervalli pu andare oltre e aggiungere nuovi valori a un brano musicale che ha avuto un impatto immenso nella storia della
musica. Di sicuro si aprono nuovi orizzonti nel rapporto fra musica e testo,
che lo stesso Schnberg sviluppa in un suo famoso saggio del 1912. Emerge
con chiarezza che il suono della parola conta pi del suo significato. Una
volta stabilito un quadro di riferimento, la responsabilit dellespressione
cade per intero sulla musica, che per definizione emotiva e misteriosa, oltre
che astratta e razionale. Nel ciclo Pierrot lunaire contano pertanto i titoli, che
danno significato al testo e alla costruzione musicale che ne consegue.
I titoli sulla partitura sono ovviamente collegati a quelli del testo poetico
che li ispira. Non sempre, per. I versi non sono nella lingua originale, il
francese (1884) del belga Albert Giraud, ma tradotti in tedesco (1893) dal
poeta e drammaturgo Otto Erich Hartleben. Nessuno dei due letterati sarebbe oggi ricordato se non ci fosse la messa in musica di Schnberg. Giraud
un minore del circolo simbolista e Hartleben un giornalista e scrittore
sassone ben inserito nellintellettualit berlinese del tempo. La traduzione di
Hartleben migliora la lingua delloriginale e ne esalta laspetto onirico e surreale, la carica erotica e sanguinolenta. Modifica versi e titoli, affascina uno
Schnberg pi che mai attento ai fermenti modernisti che circolano nella
Vienna dinizio Novecento. Schnberg stesso pittore, educato dal rivale in
amore Gerstl. amico di Oskar Kokoschka e Vassilij Kandinskij, coi quali
fa parte di Der Blaue Reiter, un gruppo attivo a Vienna dal 1911 al 1914 che
riunisce artisti alla ricerca del nuovo secondo le vie pi disparate, accomunati dalla voglia di scomporre e semplificare senza preoccuparsi dellaspetto
fisico del prodotto finale: simbolisti, espressionisti, primitivisti, cubisti.
Presenta sue tele alla mostra collettiva organizzata nel 1911 a Monaco e portata poi in una decina di citt tedesche e scandinave. Nella triplice veste di
pittore, compositore e teorico, Schnberg collabora allAlmanach che il
gruppo pubblica nel 1912 con una tiratura di 1100 copie e che raccoglie 140
immagini di Picasso, Rousseau, Van Gogh, Czanne, Gauguin, ma anche
tanta arte povera russa e africana, disegni di bambini, dipinti cinesi, calligrafie giapponesi. Accanto a spartiti musicali di Schnberg e dei suoi allievi
Berg e Webern, ci sono anche 14 importanti saggi teorici su arte figurativa e
musica. Fra i saggi notevole il contributo del russo Skrjabin sul proprio
recente Prometeo, o Il poema del fuoco, per grande orchestra, con laccordo
mistico ultradissonante e lesperimento di combinazione di musica e colori.
A sua volta, Schnberg scrive il saggio Il rapporto con il testo, in cui sostiene
che il testo poetico solo un pretesto per la composizione musicale e finisce
con lavere una relazione trascurabile con il risultato finale. La tesi applicata con coerenza in tutta la sua vasta produzione con voci, passata e futura,
con Pierrot lunaire eletto a momento fondamentale.
Declamare versi e frasi senza cantare ma con sfondo musicale non una
novit in s. Esiste un genere, il melologo, inaugurato con Pygmalion (Lione
1770) di Jean-Jacques Rousseau e ripreso con enorme successo nel dramma
misto con musica Medea, nel duodramma con musica Ariadne auf Naxos
(1775), in unaltra versione di Pygmalion (1779) del boemo Georg Anton
Benda. Piace anche a Mozart, che progetta un melologo su Semiramide, ma
non lo realizza. Molti passaggi di Medea di Cherubini adottano quella tecnica e altrettanto fa Beethoven nella prima scena del secondo atto di Fidelio,
accompagnando con la musica il dialogo di Rocco e Fidelio/Leonora che
scendono nel sotterraneo dov incarcerato Florestano. Il melologo sincrocia con il genere della musica di scena, dove di regola la musica non si sovrappone alla recitazione, ma la precede e la segue. Casi particolari sono
Egmont di Beethoven per Goethe e Llio, ou Le Retour la vie di Berlioz. Lo
valorizzano molti operisti francesi dellOttocento, compreso Bizet nella prima versione di Carmen. In Germania usano il melologo Mendelssohn in
Antigone e in Edipo a Colono di Sofocle, Schumann in Manfred di Byron,
Liszt in Lenore (1858). Richard Strauss, su richiesta dellamico attore Ernst
von Possart, scrive prima il lungo Enoch Arden (1896) e due anni dopo il
conciso Das Schloss am Meer per recitante e pianoforte. Lallora influente e
conservatore Max von Schillings compone per Possart Das Hexenlied (1903)
e prescrive una recitazione cadenzata sui ritmi della musica, aprendo cos la
strada a Schnberg che, in Pierrot lunaire, chiede anche lintonazione.
A sua volta, Pierrot lunaire nasce su richiesta diretta dellattrice-cantante
Albertine Zehme, specializzata in melologhi che presenta come intrattenimento da cabaret intellettuale appoggiandosi sulle musiche pi varie, con
preferenza per Chopin. La Zehme suggerisce a Schnberg il Pierrot lunaire
di Giraud-Hartleben. Schnberg si entusiasma. Su 50 pezzi disponibili ne
sceglie 21 e li organizza in tre parti uguali: nella prima Pierrot elucubra su
amore, sesso e religione; nella seconda in preda agli incubi; nella terza
reinventa il passato tornandosene a casa. In poche settimane Schnberg
compone un capolavoro rivoluzionario. I versi surrealisti e dissociati, limmagine di una maschera della commedia dellarte che parla alla luna, i gradi
di libert consentiti dal definitivo abbandono dei vincoli tonali, lesperienza
del canto da camera (i Lieder) e da teatro (i monodrammi Erwartung, Die
glckliche Hand), tanti altri oggetti musicali accumulati in quasi ventanni di
attivit compositiva confluiscono in modo naturale nei 21 aforismi di Pierrot
lunaire. Pi in particolare, dalla teoria della melodia dei timbri derivata dagli
impressionisti francesi e collaudata in proprio nei 5 Orchesterstcke op. 16
(1909), Schnberg elabora un affascinante gioco combinatorio di timbri fra
la voce e gli otto strumenti singoli. Non meno importante il rapporto con
la forma: pur nella loro concisione (sempre pi di 50 secondi e meno di 3
minuti), ciascun pezzo ben equilibrato, perfino articolato in disegni complessi (passacaglia, canone e fuga, contrappunto lineare) o semplicissimi
(duetto fra voce e flauto, voce e pianoforte). Del tutto nuova la scrittura
vocale, col suo modo di procedere per sillabe (non parole) staccate fra loro,
intonate ma non legate, distinte dalle note degli strumenti solo per specificit timbrica, che prende il nome di Sprechgesang, canto parlato.
La sintesi tale che per quasi un decennio Schnberg si ferma: vuole
raccogliere le idee e trovare una nuova strada dopo aver dato un contributo
essenziale alla distruzione dei ponti con larmonia del passato e aver compiuto sforzi disperati per mantenere i princpi della forma e il valore del contrappunto. La sua svolta dodecafonica degli anni venti sar la risposta obbligata. In s lo Sprechgesang un modo di usare la voce che ha un suo spazio
anche in dodecafonia. presente in tante opere successive di Schnberg,
affidato a una voce recitante nellOde to Napoleon Bonaparte da Byron
(1942) e Un sopravvissuto di Varsavia (1947), a un coro parlante in Kol nidre
(1938), incluso negli affreschi incompiuti Die Jacobsleiter (oratorio, 1923) e
Moses und Aron (opera, 1936). Fra i suoi allievi, Berg che ne fa ampio uso
nelle sue due opere Wozzeck (1925) e Lulu, questultima lasciata incompiuta
alla morte dellautore nel 1935 e rappresentata parzialmente nel 1937. Webern ottiene miracoli di sintesi nei tanti Lieder e nelle estreme due Cantate
(1938-43).
Linglese William Walton, ancora ventenne, con Faade (Londra 1923)
provoca uno scandalo memorabile facendo recitare poesie di Edith Sitwell
mentre sei strumentisti si producono in musiche che critici e spettatori giudicano provocatorie. Ma le successive riprese parziali e in particolare le
versioni per orchestra e balletto fanno di Faade una popolare partitura del
Novecento. Hanns Eisler mette il melologo al servizio della nuova semplicit delle sue canzoni destinate allutopia di una musica non consumistica rivolta alle masse proletarie. Non sono allievi diretti di Schnberg, ma ne
colgono il messaggio gli autori che fanno musica da cabaret nei tremendi e
disincantati anni della repubblica di Weimar: Paul Dessau e Kurt Weill. In
Francia Milhaud sta fra il surreale e il canzonatorio quando, in Machines
agricoles (1919) fa leggere-cantare a un soprano la pubblicit di macchine
agricole su sfondo (ripetitivo) di quartetto darchi. Poulenc adotta la tecnica
del melologo intonato con LHistoire de Babar (1940), per voci infantili e
orchestra. Capiscono le potenzialit drammatiche Honegger con Amphion
Ascolti
A. Schnberg, Pierrot lunaire, P. Boulez, Ensemble Intercontemporain, dg 1998
A. Schnberg, Die Jakobsleiter, K. Nagano, Deutsches Symphonie Orchester Berlin,
Harmonia Mundi 2004
S. Prokofiev, Peter and the Wolf, R. Benigni, C. Abbado, Chamber Orchestra of Europe,
dg (dvd) 2007
Letture
Arnold Schnberg, Stile e pensiero. Scritti su musica e societ, il Saggiatore, Milano 2008
C. Dahlhaus, Schoenberg and the New Music, Cambridge University Press, Cambridge
1990
G. Manzoni, Arnold Schnberg. Luomo, lopera, i testi musicati, Feltrinelli, Milano 1975
A. Schnberg, Analisi e pratica musicale. Scritti 1909-1950, Einaudi, Torino 1974
e una ritrosa Sarah Bernhardt. Non sa ancora (o forse gi intuisce) che la sua
sar la pi mirabile carriera musicale del Novecento. Di sicuro ringrazia in
pubblico e in cuor suo la lezione di Rimskij-Korsakov: senza i suoi insegnamenti, lenorme partitura non avrebbe lo smalto e il colore che ancora oggi
meravigliano. Tutto parte dallo straordinario uso delle risorse di unorchestra smisurata, ma che solo in via eccezionale usata come massa durto, per
sferrare clamorosi colpi di maglio, anzi di teatro. La regola prevede luso di
piccoli e mutevolissimi gruppi strumentali, non cameristici soltanto perch
sono presenti ottoni e percussioni. Gli sbalzi di volume sono marcatissimi.
Macchie sonore si aggregano e si scompongono senza apparente logica evolutiva, allinsegna di un dinamismo statico che sar presto una costante
della musica di Stravinskij. il continuo susseguirsi di sorprese timbriche e
di varianti ritmiche a fare da cemento a questa musica, che nasce subordinata ai tempi e ai passi della scena, che pu apparire prolissa, eppure incanta, anche quando eseguita per intero in sala da concerto, senza ballo e
senza scene.
Al successo contribuisce il forte radicamento russo, sia della storia sia
della musica. Il libretto segue unantica fiaba: il futuro zar Ivan, inseguendo
il magico uccello di fuoco, trova la sua principessa nel giardino del cattivo
semidio Katscei, che lo cattura e minaccia di trasformarlo in una statua di
sale, come gi fatto con tanti altri. Torna luccello di fuoco, rompe lincantesimo, fa sparire Katscei, rende tutti felici. Russa la musica, nel materiale
melodico e nella qualit del suono, comprese le numerose frizioni armoniche
conseguenti alladozione di scale modali di origine popolare. A suo modo
un circolo che si chiude mentre si riapre. Rimskij-Korsakov il pi cosmopolita e, in un certo senso, il pi accademico nel Gruppo dei cinque, che nel
secondo Ottocento combatte la sudditanza della musica russa nei confronti
di quella tedesca e occidentale in senso lato. Da lui, lallievo Stravinskij apprende uno stile orchestrale internazionale, che applica per tutta la vita a
un autentico substrato russo. E cos trasforma, nel giro di pochi anni, lintera musica occidentale, diventando lui stesso il pi eclettico fra tutti i grandi
autori del Novecento.
Assai pi internazionale la successiva partitura, Petruka. Restano
danze e melodie russe, si aggiungono valzer alla viennese, ballabili da salotto, canti dosteria, motivi dorganetto. La musica funziona perfettamente
sulla scena ma ha origine indipendente dalla coreografia. Si sviluppa attorno a un Concerto-Burlesca per pianoforte e orchestra che Stravinskij scrive
nellautunno del 1910. Diaghilev chiede di farne la base di un balletto per
la successiva stagione. Il Concerto-Burlesca diventa la seconda delle quattro
scene del lavoro finale. Il soggetto mescola caratteri da fiaba russa con
personaggi della commedia dellarte italiana. Nella prima scena, durante gli
eccessi del carnevale, fra maschere e musicanti di strada, si fa largo Ciarlatano con il suo teatrino di marionette. Per incanto, le marionette prendono
vita e la loro storia diventa vera. Petruka/Pulcinella ama Ballerina/Colombina che per gli preferisce il ricco Moro/Arlecchino. Nel secondo quadro,
il povero Petruka, reduce dalla delusione damore, si ritrova sbattuto
nella propria squallida abitazione dal padrone Ciarlatano. Nella sfarzosa
casa del Moro (terzo quadro), Ballerina danza, irrompe Petruka, sfida il
Moro e muore in duello. Nel finale, di nuovo allesterno e in mezzo al baccano del carnevale, Petruka ridiventa burattino inanimato, ma resta vivo
il suo spirito, pronto a tormentare lex padrone Ciarlatano. La rappresentazione al Thtre du Chtelet (13 giugno 1911) accolta molto bene, con
Pierre Monteux che dirige, Nijinsky nel ruolo di Petruka, coreografie di
Fokine e scene di Benois. Piace anche al pianista Arthur Rubinstein, che
commissiona a Stravinskij una versione virtuosistica per pianoforte pagandogli un onorario superiore a quello stabilito da Diaghilev per lintera
partitura.
Ancora una volta la tavolozza timbrica di Stravinskij incantevole perch ingloba campanelli, celesta (a quattro mani), pianoforte, xilofono,
grancassa, piatti, triangolo, tam-tam, tamburo basco, tamburo militare, da
aggiungere al tradizionale organico moltiplicato. Le scene di strada, cio i
quadri laterali, sono esilaranti per la loro frenesia motoria. Non sono da
meno i momenti di rarefazione sonora, come quando Ballerina danza per la
prima volta nellappartamento del Moro accompagnata da una cornetta
sostenuta dal tamburo militare; e quando, subito dopo, danza un valzerino
col Moro accompagnata da un flauto che si aggiunge alla cornetta, con il
fagotto a sostituire il tamburo mentre si aggregano arpe, piatti, grancassa,
violoncelli e contrabbassi. Stravinskij cura la mistura timbrica non meno
che nellUccello di fuoco, ma in Petruka inventa nuovi effetti sovrapponendo segmenti melodici con ritmi e tonalit differenti, cos da creare politonalit e poliritmie, cio piani musicali indipendenti e incompatibili fra loro,
almeno secondo le regole dellarmonia tradizionale. Negli anni in cui
Schnberg rompe la tonalit allargando in orizzontale il numero delle note
fino al fatidico numero di dodici, Stravinskij accatasta in verticale, su piani
diversi, sequenze di note che si mantengono entro le rispettive e regolari
scale octa- epta- esa- penta- toniche. Il motore ritmico nelle scene di massa,
quando allaperto impazza il carnevale (scene i e iv), la selezione timbrica
nelle scene da camera (ii e iii) confondono la soglia fra musica e rumore, fra
organizzazione e caos.
In apparenza, il confine fra musica e caos superato nella successiva Sagra della primavera. La pensano cos i tanti che schiamazzano alla prima
rappresentazione e trasformano la serata in uno scandalo storico. il 29
maggio 1913, al Thtre des Champs-lyses. Lo spettacolo una provocazione continua. Le scene e i costumi del pittore, antropologo, archeologo,
poeta e pacifista Nikolaj Roerich rappresentano una Russia nellet della
pietra. Lazione disposta in due parti. Nella prima (LAdoration de la
terre) il risveglio della terra in primavera si festeggia con giochi e danze di
adolescenti, gare fra trib rivali, processioni di anziani. Nella seconda (Le
Sacrifice) si seleziona una fanciulla, la si glorifica, si evocano gli antenati,
inizia la cerimonia propiziatoria, parte la danza fatale e il sacrificio si consuma. In primavera, per dare i frutti dellestate, la terra esige sangue giovane.
La crudezza del rito pagano della fertilit esaltata dalle coreografie di Nijinsky, successore di un Fokine uscito dalla compagnia per dissidi con Diaghilev. Diretta da un ottimo Monteux, la musica di Stravinskij rende tutto
esplosivo. Le urla e gli schiamazzi, forse di fazioni avverse, iniziano allapertura del sipario e durano fino alla fine. In realt, il putiferio accade solo alla
prima. Nel corso delle repliche il successo monta fino a diventare trionfo,
sostenuto da un pubblico nuovo e meno prevenuto di quello tradizionale,
capace di cogliere i valori squisitamente musicali che vanno oltre le provocazioni di facciata.
Pur nelle sue infinite contraddizioni, nel 1931 Stravinskij scrive che la
Sagra est une uvre architectonique et non anecdotique. Sa di averci lavorato per oltre tre anni, seguendo un progetto in cui la dimensione finale nasce
da un accurato equilibrio di particelle elementari. In un famoso saggio del
1953, Pierre Boulez, forte della sua preparazione matematica, spiega come la
Sagra sia un magnifico esempio di sviluppo di minime cellule ritmiche secondo processi combinatori che generano le macrostrutture e le rendono coerenti fra loro. Anche al semplice ascolto, si percepisce levoluzione di Stravinskij:
prima laccostamento di macchie di colore dellUccello di fuoco, poi la politonalit di Petruka, quindi la ruvida pulsazione ritmica della Sagra della primavera. Tranne il famoso assolo iniziale del fagotto, mai pi ripreso, la melodia
esclusa dalla partitura. Al massimo un segmento in un disegno ritmico
continuamente spezzato. Soltanto lassolo del fagotto (una melodia polacca)
cita in modo diretto canti popolari russi o stranieri. Il sapore popolare
dato dallimpiego sistematico di scale esotico-arcaiche che ordinano da cinque a otto note. Emergono altri valori, appunto architettonici. Le due parti
sono speculari, precedute da unintroduzione lenta e seguite luna da sei e
laltra da cinque sezioni che alternano volumi e dinamiche pur nella costante
mutazione dei metri. Si scopre il percorso complementare delle due sezioni,
anche sotto laspetto emotivo: la prima una corsa verso la gioia, la seconda
verso labisso. In ogni caso, sono i valori della musica che determinano il fascino del lavoro. Stravinskij si avvicina sempre pi al principio della musica
al quadrato che segner lormai prossimo periodo neoclassico.
Limpatto della Sagra della primavera sulla musica del tempo deflagrante. Rende immediatamente obsoleto il poema danzato Jeux di Claude Debussy, commissionato dai Ballets russes e rappresentato pochi giorni prima.
Il pur fortunato Le Festin de laraigne (1912) di Albert Roussel sopravvive
solo come suite sinfonica. Appartiene a un gusto passato anche il sontuoso
balletto Daphnis et Chlo, la novit assoluta della stagione del 1912. Lo firma Maurice Ravel su incarico di Diaghilev, che vuole arricchire il repertorio
con prestigiosi autori locali, e non solo con promettenti giovani russi. Daphnis un capolavoro di arte orchestrale applicata a una tenue storia damore
fra pastorelli in unArcadia felice turbata dal solito cattivo ma anche dallarrivo dei pirati. La ricchezza di timbri e di armonie attenua le complicazioni
ritmiche, ben evidenti ai ballerini, in difficolt sui passi. Come La sagra
della primavera (e tutti i balletti di Stravinskij), Daphnis et Chlo musica da
balletto che regge bene lesecuzione integrale in sala da concerto, anche se
preferita una suite ricavata nel 1923. Le due partiture hanno un modo
opposto di interpretare i ruoli della statica e della dinamica e relative interazioni. Comune tuttavia la vocazione di mantenere, anzi rinnovare, i valori
della musica per la musica, senza cercare artifici narrativi. Infatti, Ravel
uno dei primi, assieme a Stravinskij, a praticare il principio del ritorno al
passato classico.
Per la stagione 1914, Diaghilev propone in cartellone anche un balletto
del tedesco Richard Strauss, Josephslegende, per lo scoppio della guerra
sconvolge tutti i piani. La compagnia si trasferisce nella neutrale Spagna e da
l si sposta nelle Americhe, con logica di sopravvivenza. Anche la musica
deve sopravvivere e non ci sono tempi e modi per metabolizzare lirruzione
della Sagra della primavera. Forse il solo Bartk, fra i grandi, ne tiene subito
conto con i suoi balletti Il principe di legno (1917) e ancor pi Il mandarino
meraviglioso (1919), geniale e personale incrocio fra espressionismo
schnberghiano, impressionismo francese ed energia primordiale stravinskiana. Finita la guerra, siamo gi nel pieno della restaurazione neoclassica. E il magma organizzato della Sagra sar ripreso, trentanni dopo, sulle
macerie lasciate dalla Seconda guerra, dalle avanguardie di Darmstadt, da
Boulez, Stockhausen, Nono.
Ascolti
I. Stravinskij, Petruka, Le Sacre du Printemps, P. Boulez, The Cleveland Orchestra, dg
1992
I. Stravinskij, Works of Igor Stravinsky, Stravinskij, Sony 2007
Letture
S. Walsh, Stravinsky: A Creative Spring. Russia and France, 1882-1934, Jonathan Cape,
London 1999
S. Walsh, Stravinsky: The Second Exile. France and America 1934-1971, Pimlico, London
2007
P.C. van den Toorn, The Music of Igor Stravinsky, Yale University Press, New Haven 1983
S.C. Berg, Le Sacre du Printemps: Seven Productions from Nijinsky to Martha Graham, umi
Research Press, Ann Arbor 1988
omogeneit dei timbri. Le melodie semplici e familiari fungono da riferimento sicuro nel caos organizzato che si viene a creare. Il piccolo Charles decide
di studiare musica. Assistito dal padre, si esercita in contrappunto, diventa
buon organista, scrive lavori corali di taglio arcaico-romantico. Entra nellesclusiva universit di Yale, nella classe di Horatio Parker, esponente di una
generazione di musicisti americani che si formata in Europa e vuole trasferirne gli insegnamenti nel Nuovo mondo.
Parker appartiene alla cosiddetta Scuola del New England, primo caso di
gruppo omogeneo di compositori americani di formazione europea dopo
lesperienza individuale del pianista Gottschalk, mezzo secolo prima. La
scuola inizia con George Whitefield Chadwick, nato nelle campagne del
Massachusetts e passato in Europa negli anni settanta per studiare con il
mendelssohniano Carl Reinecke al conservatorio di Lipsia e con il wagneriano Joseph Rheinberger in quello di Monaco. Rientrato a Boston nel 1880,
Chadwick inizia unintensa attivit didattica che lo porta a dirigere dal 1897
al 1930 il locale New England Conservatory of Music. Autore prolifico,
Chadwick si muove in un primo tempo sulla scia dei romantici tedeschi e
degli operisti francesi, salvo aggiungere un tocco di esotismo e di modernismo americani a una produzione che mantiene titoli, forme e contenuti del
secondo Romanticismo europeo. Il newyorkese Edward MacDowell dal
1877 studia al conservatorio di Parigi, dove apprezzato da Liszt. Continua
a Francoforte, resta in Germania fino al 1887 e nel 1896 ottiene una cattedra
alla Columbia University. Scrive molto per pianoforte e restano tuttora in
repertorio i suoi due concerti (1885 e 1890), in stile schumanniano. Il colore
locale, indiano, si sente nella Suite orchestrale del 1897 e la facilit melodica
di Foster si trova spesso nella sua produzione corale. A sua volta Parker,
mandato dal maestro Chadwick a studiare a Monaco, torna nel 1885, fa
lorganista e insegna a New York e Boston, nel 1893 diventa professore a
Yale e vi rimane per il resto della vita. Nella sua produzione, mantiene forte
linfluenza tedesca e wagneriana in particolare, ma pi degli altri attento
alle nuove correnti europee dellimpressionismo. Ha fortuna in vita con loratorio Hora Novissima (1893) e lopera Mona (1910). Oggi si ricorda, per,
soltanto perch maestro di Ives.
Con Parker, Ives impara la disciplina delle forme classiche che a suo modo
rispetta. Approfondisce le potenzialit del cromatismo wagneriano applicato
alla timbrica impressionista francese. Coglie le scale pentatoniche e i ritmi
complessi che arrivano dallAfrica con le voci degli schiavi liberati. Cerca un
linguaggio nuovo, davvero americano, valorizzando linnodia della tradizione chiesastica portata nel Seicento dai Padri pellegrini e quella profana
scaturita nei tempi difficili delle Guerre di indipendenza e di secessione. Il
continuo riferirsi a momenti di vita collettiva o individuale, in un passato o in
con il trittico di balletti Billy the Kid (1938), Rodeo (1942) e Appalachian
Spring (1944), e le tre sinfonie (1924-46). Il suo evidente patriottismo non gli
evita linquisizione da parte della commissione per le attivit antiamericane
del senatore Joseph McCarthy nellimmediato dopoguerra. Sono anche gli
anni in cui Copland cambia nuovamente stile e adotta la dodecafonia e il
serialismo inventati da Schnberg e radicalizzati dalle nuove generazioni
europee.
Attento allo spirito americano di Ives il gruppo di musicisti che negli
Stati Uniti gravita attorno al capofila Copland nella cosiddetta Commando
Unit degli anni trenta: Roger Sessions (9 sinfonie), Roy Harris (14 sinfonie),
Virgil Thomson (Four Saints in Three Acts, opera, con Gertrude Stein, 1928)
e Walter Piston (The Incredible Flutist, balletto, 1938). Su un altro versante,
sono meno radicali nella ricerca di nuovi suoni, ma pi aperti alla musica che
segna il tempo americano fra le due guerre, i song e i musical di George
Gershwin, Jerome Kern e Cole Porter, le melodie di Irving Berlin (White
Christmas su tutte), il jazz con la trombetta di Louis Armstrong e la voce di
Bessie Smith.
Ascolti
C. Ives, Three Places in New England etc., D. Zinman, Baltimore Symphony Orchestra &
Chorus, Decca 2004
C. Ives, Symphonies Nos. 2 & 3, L. Bernstein, New York Philharmonic Orchestra, Sony
1998
E. Varse, Arcana; Amriques; Ionisation; Offrandes; Density 21.5; Octandre; Intgrales, P.
Boulez, Ensemble Intercontemporain, New York Philharmonic Orchestra, Sony 1991
Letture
J. Horowitz, Classical Music in America: A History of Its Rise and Fall, W.W. Norton &
Company, New York 2005
J. Swafford, Charles Ives: A Life with Music, W.W. Norton & Company, New York 1996
S. Feder, Charles Ives: My Fathers Song. A Psychoanalytic Biography, Yale University
Press, New Haven 1992
D. Nicholls, American Experimental Music 1890-1940, Cambridge University Press,
Cambridge 1991
1920Pulcinella
Igor Stravinskij
Pergolesi reinventato Diaghilev in tempo di guerra
Satie, Picasso, Cocteau Parade Musica da tappezzeria Futurismo Scarlatti rifatto Gruppo dei sei de
Falla Histoire du soldat Da Mavra ad Apollon
Musagte Prokofev e Diaghilev
to romantico. Pure i rovelli intellettuali cedono il passo a ironie e provocazioni. Cocteau in prima fila: con gli aforismi di Le Coq et lArlequin, un
pamphlet pubblicato nel 1918, predica una musica semplice e diretta, che
parta dal quotidiano e si rivolga al futuro, contraria ai misticismi wagneriani,
favorevole ai suoni del cabaret e del circo, ai nuovi generi che arrivano
dallAmerica: ragtime, jazz, musical.
Le idee di Cocteau aggregano alcuni musicisti sui ventanni: Georges
Auric, Louis Durey, Arthur Honegger, Darius Milhaud, Francis Poulenc,
Germaine Tailleferre. Sul modello del Gruppo dei cinque, che nella Russia
dellOttocento vuole svincolarsi dallegemonia tedesca, si definiscono il
Gruppo dei sei e vogliono liberare la musica francese anche dalle ambiguit dellimpressionismo. Assez des nuages il loro motto. Insieme scrivono il balletto Les Maris de la Tour Eiffel, dieci numeri musicali a sostegno
della storia dadaista di una festa di matrimonio ambientata su una piattafoma della torre, con un generale dellesercito che tromboneggia un discorso, un leone che mangia un invitato, un bambino del futuro che uccide
tutti i presenti, senza poi impedire loro di partire per la Costa azzurra. Il
balletto va in scena con successo contrastato al Thtre des Champslyses il 18 giugno 1920 a cura della compagna Ballets sudois, concorrente dei Ballets russes. I Sei scrivono ancora alcune cose insieme, ma nel
1923 di fatto si sciolgono per seguire inclinazioni personali e differenti.
Honegger il pi tradizionalista e si dedica alla musica delle macchine
(con il celeberrimo poema sinfonico Pacific 231, inno alla locomotiva) per
poi virare verso un sinfonismo che riallaccia i rapporti con la tradizione
tedesca. Tailleferre e Durey si ritirano nella musica vocale e da camera.
Auric diventa uno dei maggiori autori di colonne sonore per il grande cinema francese degli anni trenta e anche per quello americano di Hollywood. Milhaud il pi eclettico e prolifico di tutti. Reduce da due anni di
soggiorno in Brasile al seguito di Paul Claudel, porta il folklore brasiliano
in Saudades do Brasil (1920) per pianoforte e ancor pi nel balletto-pantomima surrealista Le Buf sur le toit (1920) con parte visiva di Cocteau e
Raoul Dufy. Diaghilev lo recluta per Le Train bleu (1924) con scene di Picasso. La sua fluviale produzione arriva agli anni settanta e tocca tutti i
generi musicali del tempo, allinsegna delle politonalit che negli anni
venti danno fortuna al balletto La Cration du monde (1923), alle opere Les
Malheures dOrphe (1924) e Le pauvre matelot (1926). Poulenc parte da
un piglio scanzonato e iconoclasta che gli procura la commissione del fortunato e sempre surrealista Les Biches (1924) per i Ballets russes. Scrive a
getto continuo musiche di ogni tipo fino agli anni sessanta, mutando alla
fine in autore profondo e riflessivo con le opere Dialogues des Carmlites
(1957) e La Voix humaine (1959, su testo di Cocteau), che sono ben lonta-
ne dalle ironie e dalla comicit di Les Mamelles de Tirsias (1947) su libretto surreale di Guillaume Apollinaire.
Linstancabile Diaghilev continua a reclutare nuovi talenti. Nel 1919 mette in scena El sombrero de tres picos di Manuel de Falla, gustoso spezzatino di
ingredienti spagnoli in salsa parigina. Incarica Ottorino Respighi di orchestrare alcuni pezzi pianistici del Rossini postoperista e ne esce La Boutique
fantasque, che debutta a Londra nel 1919, con coreografia di Massine che
miscela tarantella e can can. Da Gian Francesco Malipiero arriva una Cimarosiana che apre la via a una moda tutta italiana di recuperare il proprio
passato strumentale: Rossiniana (1925) di Respighi, Scarlattiana (1926, con
pianoforte solista) e Paganiniana (1942) di Casella, Tartiniana prima (1951) e
Tartiniana seconda (1956) di Dallapiccola, Vivaldiana (1952) e Gabrieliana
(1971) ancora di Malipiero. Non sempre, per, a Diaghilev le cose vanno
bene. Nel febbraio 1920, a casa di Misia Sert, presente Poulenc, Ravel esegue
al pianoforte una prima versione del poema coreografico La Valse. Diaghilev
dice che non musica da balletto. In silenzio Ravel, raccolte le carte, se ne va.
I due non collaboreranno pi. Anzi, nel 1925 Ravel rifiuta di stringere la
mano dellimpresario, che lo sfida a duello. Non se ne fa niente.
A sua volta Stravinskij segue con molto interesse le evoluzioni del mondo musicale parigino, che in fondo lui stesso ha contribuito a creare ancor
prima della guerra. Dopo il sisma della Sagra della primavera, si ritira in
Svizzera e inventa sviluppi per la voglia di ordine che da sempre ha in s.
Nel 1914 compie un viaggio in Russia per cercare nuovi elementi di canto
popolare e ne ricava Les Noces per voci, percussioni e quattro pianoforti,
aspra ancor pi della Sagra. Immagina un teatro povero con Histoire du
soldat (1917), fiaba sconsolata del neoarcaico scrittore svizzero CharlesFerdinand Ramuz, per narratore e piccolo complesso strumentale da far
girare nelle piazze di paesi e citt. Stravinskij cubista e dadaista prima
ancora di incontrare Picasso e il gruppo di nuovi artisti reclutati da Diaghilev. Riscrivere Pergolesi (finto o vero) gli viene naturale. Senza dover inventare melodie, pu divertirsi nellinserire ritmi, sbalzare incisi, perfino applicare con perfida ironia la tecnica della Klangfarbenmelodie del serioso
Schnberg per valorizzare e distorcere melodie altrui spezzettandole su
strumenti scelti da lui. Pulcinella assai ben accolto il 15 maggio del 1920
allOpra di Parigi a cura dei Ballets russes, con la direzione di Ernest Ansermet, coreografie di Massine e allestimento di Picasso. La fortuna tale
che ne derivano una Suite per orchestra (1922) e, su richiesta di famosi solisti, anche le Suite italienne per violino (1925, 1933) e per violoncello
(1933) accompagnati da pianoforte.
La collaborazione di Stravinskij con i Ballets russes continua senza interruzioni per tutti gli anni venti, fino alla scomparsa (1929) di Diaghilev: Mavra
e Renard (1922), Les Noces (1923), Le Chant du rossignol (1925), Oedipus rex
(1927), Apollon Musagte (1928) sono le tappe di un percorso stilistico che
stempera il primitivismo russo, percorre il neoclassicismo, arriva perfino a
recuperare valori romantici. I Ballets russes non sopravvivono a Diaghilev,
nonostante gli sforzi dei suoi successori Boris Kochno e Serge Lifar. Negli
anni trenta anche il ruolo di Parigi come capitale della musica e della cultura
si sfarina. Colpiscono la depressione economica e lesodo degli artisti. Il coreografo Balanchine fra 1924 e 1929 mette in scena gli spettacoli pi innovativi della compagnia di Diaghilev; nel 1933 fa coppia con Kochno nellallestimento a Parigi dei Sette peccati capitali, lultima collaborazione fra Bertolt
Brecht e Kurt Weill; accetta nello stesso anno di trasferirsi a New York per
rifondare il balletto americano. Trover un terreno molto fertile, in buona
misura gi dissodato prima da Isadora Duncan e poi da Martha Graham, che
sono le madri del balletto moderno, realista, socialmente impegnato, senza
scarpette e senza tut.
Nel 1936 anche Sergej Prokofev rientra nellUnione Sovietica, lasciata
nel 1917 per recarsi prima negli Stati Uniti e poi stabilirsi nel 1920 in Francia,
dove entra subito nel gran mondo musicale. Nella capitale francese ritrova
Diaghilev, gi suo committente a Londra nel 1914 per i balletti desordio Ala
e Lolli e Chout, che non vanno in scena anche a causa dello scoppio della
guerra. La collaborazione riprende subito con un rinnovato Chout, storia di
un buffone che gabella altri sette buffoni, ispirata da una fiaba della classica
raccolta di Aleksandr Afanasev e allestita con spettacolari coreografie di
Massine. La prima rappresentazione (1921) accolta con grande favore dal
pubblico, da Ravel e da Stravinskij. Per i Ballets russes, Prokofev scrive
ancora Pas dacier (1927), un balletto che glorifica lo sforzo sovietico di sviluppare la siderurgia nazionale, con ballerini stacanovisti organizzati da
Massine e musica martellante, oltre che efficiente diretta, da Roger Dsormire. Il compositore dirige anche la prima di Le Fils prodigue (1929), lultimo balletto per Diaghilev, su un soggetto edificante di Kochno e coreografie
di Balanchine. Proprio con questo lavoro, Balanchine debutta nel 1933 a
New York con lAmerican Ballet. Per lOpra di Parigi e con le coreografie
di Lifar, Prokofev firma Sul Dnieper (1930) ma non resiste al richiamo del
teatro Kirov (gi Mariinskij) di Leningrado (gi San Pietroburgo), che gli
commissiona Romeo e Giulietta, e del cinema sovietico che gli chiede la colonna sonora per Il tenente Kij. Stravinskij fa la scelta opposta: quando
scoppia la guerra, attraversa lAtlantico e inizia una nuova stagione creativa,
ritrovando Balanchine a New York e in California. Si avvicinano i tempi
della conversione alla dodecafonia di Schnberg.
Ascolti
I. Stravinsky, Pulcinella, E.P. Salonen, London Sinfonietta, Sony 1991
O. Respighi, La Boutique fantasque (da G. Rossini Impressioni brasiliane), C. Dutoit,
Montral Symphony Orchestra, Decca 1999
E. Satie, Parade, A. Dorati, London Symphony Orchestra, Philips 1994
Letture
I. Stravinskij, R. Craft, Ricordi e commenti, Adelphi, Milano, 2008
V. Fdorovski, LHistoire secrte des Ballets russes, Rocher, Mnchen 2002
S. Walsh, Stravinsky: A Creative Spring. Russia and France, 1882-1934, University of California Press, Berkeley 2002
desco di Brahms, Anton Rubintejn e ajkovskij, rivisitato invece con grande successo internazionale da Rachmaninov nel suo Secondo concerto (1901),
con quella melodia del secondo movimento passata alla storia grazie a radio,
televisione e cinema (Quando la moglie in vacanza, Breve incontro).
Prokofev non disdegna la cantabilit e sa bene che il virtuosismo sfrenato di
Rachmaninov unaltra chiave di successo, come mostra il suo successivo e
ancor pi difficile Terzo concerto (1909). Prokofev stesso un pianista
straordinario, cresciuto al conservatorio di San Pietroburgo. Ma non un
romantico. Da buon modernista, maschera i suoi sentimenti sotto una fitta
coltre di percussioni e iterazioni meccaniche, di sarcasmi e ironie, pi ancora nella musica degli esordi che in quella della maturit.
Nel 1914 Prokofev si presenta al concorso pianistico intitolato ad Anton
Rubintejn non con un pezzo di repertorio, ma proprio con il suo Primo
concerto (cos la giuria non capir fino a che punto suono correttamente).
Vince. Poco dopo inizia la sua prima tourne nelle capitali dEuropa. Entra
nel circuito dei concertisti-compositori che ricevono doppia remunerazione
dalle societ di concerto diffuse nelle capitali del mondo, sostenute da
folle di abbonati e da ricchi mecenati. Il suo cavallo di battaglia diventa il
Secondo concerto, per pianoforte, completato nel 1913 in una forma ancora
una volta strana. Il primo movimento unimprovvisazione tripartita (Andantino-Allegretto-Andantino) dominata da un furioso assolo di pianoforte
che occupa circa la met della durata intera. Il secondo movimento una
follia: per quasi tre minuti il pianista impegnato in un moto perpetuo che
obbliga a muovere tutte le dita a velocit forsennata, a prendersi rischi che
lorchestra si guarda bene dal coprire, anzi esalta. Segue un Intermezzo
fatto di varianti su un tema di marcia, picchiate sulla tastiera prima ancora
che suonate. Il martellamento, il mulinare delle braccia, il tiro al bersaglio
proseguono nel finale Allegro tempestoso; diventano preludio allimprovvisa distensione che ha il tono di un canto popolare russo; si gonfiano e si
arrestano di nuovo; obbligano il pianista a trovare un suono che sovrasti lo
spiegamento dellintera massa orchestrale.
Diaghilev ascolta Prokofev suonare il suo Secondo concerto a Londra e lo
recluta immediatamente per i suoi Ballets russes. Scoppia la guerra. Diaghilev
va in territorio neutro. Prokofev torna in Russia, parteggia per la rivoluzione
e nel 1918 ottiene dal nuovo governo lautorizzazione a lasciare il Paese. Sbarca in California e per due anni gira gli Stati Uniti come concertista, incrociando il compatriota Rachmaninov che dalla nuova Unione Sovietica invece
scappato. Suonano musiche diverse, ma hanno entrambi successo. Il mercato
ampio e vario, c posto per tutti. Perfino per il non pianista e tanto meno
virtuoso Manuel de Falla, autore degli affascinanti tre schizzi di Noches en los
jardines de Espaa (1916) con dedica a Ricardo Vies e che tuttora incantano.
suo Primo concerto per pianoforte e lo presenta in pubblico nel 1927 sotto la
direzione di Wilhelm Furtwngler. La difficile parte orchestrale e la necessit di lunghe prove ne impediscono la diffusione. Bartk ne tiene conto e
annota: Scrivendo qualche anno dopo, 1930-1931, il mio Secondo concerto,
ho voluto creare unopera contrastante con la prima: meno irta di difficolt
per lorchestra e con temi pi accattivanti. Cos si spiega il carattere popolare e agevole di gran parte dei temi di questo concerto. Infatti, il Secondo
concerto rispetta gli equilibri dei tre movimenti classici: quelli estremi sono
veloci e spumeggianti, su ritmi e incisi che rimandano al folklore danubiano;
quello centrale pure tripartito perch una velocissima sezione Presto
sinserisce in un meditativo Adagio scritto come severa musica notturna.
Presentato a Francoforte nel 1933, il Secondo concerto ha discreta fortuna.
Avendo una (seconda) moglie allieva e pianista, anche Bartk scrive una
composizione per coppia familiare. La funzionale Sonata per due pianoforti
e percussione (1937) mantiene la disposizione consueta: Assai lento-Allegro
troppo-Lento ma non troppo-Allegro non troppo. La scrittura pianistica
accordale e martellante, priva di lirismi anche nellallucinato Lento centrale. Le percussioni hanno doppia funzione: quelle intonabili (timpani, xilofono) portano temi nuovi; quelle con suono indeterminato, non intonabili
(piatti, triangolo, tam-tam e casse varie) interferiscono con i timbri dei pianoforti e aggiungono complessit ritmiche. Il limpido neoclassicismo di
Bartk e la sua attenzione per la musica popolare ungherese sono evidenti,
ma gli effetti timbrici non sono lontani dagli esperimenti con il rumore di
Edgar Varse e con il pianoforte preparato di John Cage.
In vista di una tourne negli Stati Uniti nel 1928 e consapevole della
grande domanda, anche Ravel decide di scrivere musica per pianoforte e
orchestra. Dopo lunga meditazione, completa soltanto nel 1931 il suo Concerto in sol che vuol essere un concerto nel senso pi esatto del termine,
scritto nello spirito di quelli di Mozart o di Saint-Sans ma che assorbe
tanti elementi dalla musica del Novecento. Si sentono colori di Spagna, punture stravinskiane, tratti jazzistici, folklorismi diffusi con un pianoforte che
svolazza leggero nel rapsodico Allegramente iniziale, e che invece diventa
serioso nella lunga e incantevole melodia di un centrale Adagio assai spoglio di colori e gonfio di tristezza. Bastano le poche battute del finale Presto, il suo tono da musical e da circo per ristabilire il carattere gaio e brillante che gli assicura un posto stabile nel repertorio concertistico fin dalla
prima esecuzione del 14 gennaio 1932, a Parigi, con Marguerite Long alla
tastiera e Ravel sul podio.
A eccezione del non concertista Ravel, i pianisti-compositori del tempo
(Prokofev, Stravinskij, Bartk) preferiscono mantenere lesclusiva dellesecuzione dei propri lavori, per evidenti ragioni commerciali. A loro volta, i
grandi pianisti sono concentrati sul repertorio romantico e trascurano quello moderno. Per una ragione specifica fa eccezione Paul Wittgenstein, fratello del filosofo Ludwig. Ferito in guerra, con il braccio destro amputato,
cerca di costruire un repertorio per la mano che gli rimasta. Ricco di famiglia, nel 1929 commissiona un lavoro per sola mano sinistra a Ravel, che
accetta volentieri e, in parallelo con il Concerto in sol, scrive un lavoro per la
sola mano sinistra (Concerto per pianoforte per la mano sinistra). un unico
movimento, pur diviso in tre parti, con effetti orchestrali grandiosi e scrittura solistica congegnata in modo da apparire eseguita da due mani. Non
mancano effetti jazz e turgori romantici, momenti dialettici e spazi improvvisatori. Perplesso per i rischi eccessivi che comporta, Wittgenstein lo presenta a Vienna il 5 gennaio 1932 con poca fortuna. Ancora meno contento
della commissione fatta a Prokofev. Wittgenstein paga la somma pattuita
ma non esegue mai la partitura che riceve nel 1931 e che agli antipodi di
quella di Ravel, tanto leggera e decorativa questa quanto faticosa e complessa laltra. Lo stesso Prokofev non inserisce nel suo repertorio il Quarto
concerto, eseguito per la prima volta soltanto nel 1956, postumo. Presenta
tuttavia in prima assoluta il suo quinto e ultimo concerto per pianoforte il 31
ottobre 1932 a Berlino, con Furtwngler che dirige, Paul Hindemith che
suona la viola in orchestra, Stravinskij e Arnold Schnberg seduti in platea.
Trasparente in tutti i suoi cinque movimenti, il Quinto concerto si stacca
dalle provocazioni e dai sarcasmi del Terzo e approda alla poetica della
nuova semplicit che segner lormai prossimo ritorno di Prokofev in
Unione Sovietica.
Wittgenstein continua a commissionare lavori per la mano sinistra che gli
rimane. Rifiuta Klaviermusik op. 29 (1924) di Hindemith. Ottiene soddisfazioni da Erich Korngold (Concerto, 1924), Richard Strauss (Parergon, 1925;
Panathenenzug, 1927), e da altri. Resta concertista apprezzato in Europa
finch lavvento del nazismo lo obbliga a emigrare negli Stati Uniti. Qui il
rifugiato inglese Benjamin Britten scrive per lui Diversions (1942), mentre
continua il generale interesse degli americani per il concerto per pianoforte
con entrambe le mani. Negli anni trenta, Gershwin scrive il Concerto in fa
(1925), pi impegnativo rispetto a Rapsodia in blu, e Rachmaninov, dopo
anni di silenzio, ritrova estro creativo con la brillante Rapsodia su tema di
Paganini (1934) e il Quarto concerto (1941), la cui leggerezza neoclassica
tanto diversa dallo spessore tardoromantico di Secondo e Terzo. Pure
Schnberg scrive un importante Concerto op. 42 (1942). Un altro profugo,
Bartk, chiude la sua carriera a New York con il Terzo concerto (1945), insieme il pi classico e drammatico della sua terna, con unindimenticabile
musica notturna posta al centro di una bilanciatissima architettura tripartita. Nel dopoguerra, alla continuit con la tradizione di tanti autori nativi
americani, Stravinskij risponde con Movements (1959), un omaggio alla dodecafonia della scuola di Schnberg dincerta fortuna.
Nel secondo dopoguerra si stempera ovunque linteresse per il concerto
pianistico tradizionale e la sperimentazione trova poche vie nuove. John
Cage provoca con il suo Concerto (1951) per pianoforte preparato, che prescrive linserimento, fra le corde, di vari oggetti di metallo e di gomma con
lobiettivo di distorcere il suono e di introdurre elementi aleatori nellinterpretazione. Pi tardi, nella ricerca davanguardia, i risultati pi interessanti
sono dellitaliano Luciano Berio: Concerto (1974, per due pianoforti), Points
on the Curve to Find (1974), Echoing Curves (1988-89). Sintesi dellintero
Novecento il Concerto (1988) che il polacco Witold Lutosawski scrive su
misura per il virtuoso connazionale Krystian Zimerman.
Ascolti
S. Prokofiev, The Five Piano Concertos, V. Ashkenazy, A. Previn, London Symphony
Orchestra, Decca 1997
G. Gershwin, Rhapsody in Blue Piano Concerto in F An American in Paris, A. Previn,
Pittsburgh Symphony Orchestra, Philips 1990
B. Bartk, The 3 Piano Concertos, G. Sndor, A. Fischer, Hungarian State Orchestra,
Sony 1991
Letture
H. Robinson, Sergei Prokofiev: A Biography, Robert Hale, London 1987
P. Rattalino, Prokofiev, la vita, la poetica, lo stile, Zecchini, Varese 2003
germanico e gran bachiano Busoni, che da Berlino predica libert dalle regole e nello stesso tempo teorizza chiarezza di forme e di relazioni, un neoclassicismo che non sia semplice ritorno al passato. Soffre la vita nelle disfatte capitali degli imperi centrali, di Berlino e Vienna, dove da sempre di
casa. Non gradisce la voglia iconoclasta di partire dalle rovine, come cerca di
fare il giovane Hindemith da Francoforte, instancabile martellatore di ritmi
elementari e melodie diatoniche su feroci dissonanze, per esprimere il disastro politico e sociale della Germania sconfitta e pronta ad avvitarsi nella
repubblica di Weimar. Conosce le idee sulluso integrale dei dodici suoni
cromatici che a Vienna, un paio danni prima di lui, il teorico e compositore
Matthias Hauer elabora e applica in un gran numero di lavori nei generi pi
vari, e le teorizza in Zwlftontechnik (1926). il tempo in cui Alois Hba a
Praga prova a scrivere sonate per pianoforte e quartetti per archi usando
scale microtonali (quarti, sesti di tono), senza per trovare seguito immediato. Nella loro ricerca di nubi sonore ne faranno uso Krzysztof Penderecki
(Trenodia, 1961), Harry Partch, Sofija Gubajdulina.
Schnberg segue con interesse levoluzione della vita musicale di Parigi,
compresa lirruzione del primo Stravinskij, che non gli piace. Invece di espandere le sette note diatoniche fino alle dodici del totale cromatico come vorrebbe lui, Stravinskij le riduce alle cinque e sei delle scale antiche o orientali.
Schnberg non condivide neppure la rottura dei princpi tonali per semplice
sovrapposizione di scale diverse (politonalit). Vede il dissolversi del divisionismo impressionista di Debussy e Ravel, ma non crede che funzioni un
semplice ritorno, sia pure aggiornato, al passato settecentesco che entrambi
propugnano, luno con le sonate da camera e laltro con il pianistico Le Tombeau de Couperin. Men che meno sopporta le garrule provocazioni di Jean
Cocteau e del suo Gruppo dei sei, con i loro banali modi da caf chantant o
music hall. Schnberg non vuole distruggere il passato, vuole continuare, in
coerenza con i suoi maestri di sempre, anche di quelli vissuti nellOttocento
romantico e austrotedesco. Cocciuto e determinato, cerca un metodo nuovo.
La guerra blocca Schnberg. Deve svolgere il servizio militare. Dal 1918
organizza a Vienna concerti di musiche nuove. attivissimo come insegnante,
ma non trova sbocchi creativi originali. Soltanto nel 1921 riprende le sue ricerche sul pianoforte, lo strumento neutro. Sono passati oltre dieci anni dagli
innovativi 3 Klavierstcke op. 11 (1909) e 6 kleine Klavierstcke op. 19 (1911),
che sentono molti influssi di Debussy e che nella loro aforistica concisione
cercano nel timbro una fuga dallespressionismo e dallatonalit. La soluzione
viene dallo studio del pensiero del filosofo, chimico, matematico, teologo,
veggente settecentesco svedese Emanuel Swedenborg. Da sempre sensibile
allocculto, Schnberg trova, nelluniverso di corrispondenze binomiali di
Swedenborg, uno specchio dello spazio musicale, dove non c, in assoluto,
Ascolti
A. Schnberg, The Piano Music, M. Pollini, dg 1990
A. Schnberg, Serenade op. 24/Variations op. 31 Bach Orchestrations, R. Craft, Philharmonia Orchestra, Naxos 2006
Letture
E. Haimo, Schoenbergs Serial Odyssey: The Evolution of His Twelve-tone Method, 19141928, Oxford University Press, Oxford 1990
Serie XI.
Svolte a met Novecento
1925Wozzeck
Alban Berg
Geometrie drammatiche Bchner Distorsioni da
Mahler e Schnberg Superamento del monodramma
Successo mondiale ostakovi e Lady Macbeth Die
Dreigroschenoper Lulu Die Soldaten
Studiare la partitura di Wozzeck pu diventare un esercizio di analisi matematica. Strutture, forme e segni dellopera sono disposti secondo una logica
numerica che rispetta la natura di disciplina scientifica da sempre riconosciuta alla musica. Lopera consiste in tre grandi insiemi che raccolgono
ciascuno cinque gruppi di oggetti con diversa natura e denominazione. Il
terzo e ultimo insieme ha al suo interno un macrosottoinsieme, definito
epilogo: riassume i precedenti sottoinsiemi soltanto strumentali (interludi) che a loro volta connettono i gruppi precedenti che contengono le
voci dei protagonisti. Detto altrimenti: i tre atti dellopera hanno ciascuno
cinque scene a loro volta articolate in quadri disegnati e dimensionati in
modi differenti. I brevi interludi per sola orchestra che separano/connettono le singole scene, formano una loro sequenza che culmina nellampio
epilogo dove il dramma si chiude, senza parole, ancora prima della straziante scena finale. Non c la continuit dellopera wagneriana perch ciascuna
scena ben distinta dalle altre. Mancano anche i consueti numeri chiusi
dellopera italiana: recitativi, arie, duetti, terzetti, concertati. I tre atti sono
concepiti come i tre movimenti di un concerto classico o come le tre parti di
un primo movimento di sinfonia romantica con esposizione-sviluppo-ripresa. Le singole scene sono selezionate e disposte in modo da rispettare ben
identificate forme della tradizione strumentale, cameristica pi che sinfonica. Le voci sono equiparate agli strumenti.
La prima scena del primo atto una suite con taglio settecentesco. La
seconda scena una rapsodia su tre accordi. La terza combina marcia militare e ninna nanna. La quarta unimpegnativa passacaglia con 21 variazioni. Latto chiude con un rond. La corrispondenza narrativa assoluta.
La frammentazione della musica nella prima scena legata ai caratteri e ai
diversi atteggiamenti dei due personaggi in scena. Il tronfio Capitano filosofeggia sul nulla, ma rimprovera lattendente Wozzeck per limmoralit
del concubinato con Marie, che ha un figlio illegittimo; Wozzeck scarica
ogni sua colpa sulla povert (scena 1). Linquieta rapsodia segna le prime
allucinazioni di Wozzeck, che raccoglie legna in un bosco minaccioso (2).
Passa una banda militare; la vicina Margaret rimbrotta Marie che ammicca
ai soldati mentre prova ad addormentare il figlio (3). Il Medico sadico
strapazza la cavia umana Wozzeck perch non rispetta la terapia sperimentale cui lo sottopone, ma felice di scoprire che si manifestano i voluti
primi effetti di schizofrenia (4). Marie cede ai corteggiamenti del Tamburmaggiore (5).
La musica del secondo atto impostata come una sinfonia classica, per
in cinque movimenti. Il primo in forma sonata, con esposizione di due
temi, loro sviluppo e ripresa. Dopo linconsueto inserimento (secondo movimento) di una fantasia e tripla fuga, continua con un tempo lento (Largo) e un rituale Scherzo, per chiudere con un Rond marziale. Il
racconto procede con altrettante scene. Marie ammira gli orecchini regalati
dal Tamburmaggiore, ma arriva Wozzeck, che chiede spiegazioni e non
convinto se ne va lasciandola in preda ai rimorsi (1). Dopo aver battibeccato fra loro, Dottore e Capitano insinuano al malcapitato Wozzeck il sospetto dellinfedelt di Marie (2). Lei ammette la relazione adultera e lui medita
vendetta (3). Veder Marie ballare col Tamburmaggiore rafforza le pulsioni
omicide di Wozzeck (4). In caserma, il Tamburmaggiore pesta Wozzeck,
sempre pi vittima di allucinazioni (5).
Il terzo atto costruito come sequenza di 5 + 1 invenzioni, intese come
libera elaborazione di un materiale musicale ben individuato, allantica maniera di Bach. Nellordine scorrono le invenzioni: su un tema con sette variazioni e fuga (1), sulla nota si (2), su un ritmo (3), su un accordo di sei
note (4), sulla tonalit di re minore (5), su un perpetuum mobile (6). La sequenza narrativa coerente. Marie cerca conforto nella Bibbia. Al sorgere
di una luna insanguinata, Wozzeck accoltella Marie sulla riva di un laghetto.
Nella taverna in cui finisce, una prostituta scopre tracce di sangue addosso
a Wozzeck. Per gettare nel lago larma del delitto, Wozzeck affoga e i suoi
aguzzini, il Dottore e il Capitano, sentono i suoi gemiti disperati e scappano.
Dopo lultimo interludio (Epilogo) soltanto strumentale, compare il figlio
di Marie che resta solo sul cavalluccio di legno mentre i suoi compagni di
gioco corrono a vedere il luogo della tragedia.
La novit e la coerenza del progetto musicale e teatrale fanno di Wozzeck
lopera che pi di ogni altra rappresenta il tempo disperato dellarte e della
societ nei Paesi usciti sconfitti e rivoluzionati dalla catastrofe della Grande
guerra. Lidea nasce nel 1913, quindi in pieno espressionismo, proprio durante il periodo in cui Schnberg convince Berg ad abbracciare latonalit,
emancipare le dissonanze, uscire dalle regole armoniche ottocentesche,
senza tuttavia rinunciare allequilibrio delle forme di sempre, quelle del contrappunto in particolare. Anche se non ancora rappresentati, Berg conosce i
monodrammi Erwartung e Die glckliche Hand di Schnberg, di cui ammira
personaggi e nello stesso tempo aggiunge corrispondenze e simmetrie ancora pi sottili che in Wozzeck. Ladozione della dodecafonia non ha la sistematicit di Schnberg e Webern. Berg preferisce lasciarsi ampi margini di libert. Come nel contemporaneo Concerto per violino e nella precedente Lyrische
Suite, costruisce meravigliosi squarci cantabili, torna alla sicurezza della tonalit. Come in Wozzeck, le singole scene musicali sono costruite seguendo i
modelli della musica strumentale da camera, talvolta addirittura della tradizione operistica italiana, con inserti di jazz e ragtime. La scelta delle parole e
delle frasi nasce assieme alla musica e allinterno di un progetto complessivo
che trova nellinterludio sinfonico del secondo atto il centro da cui sirradiano le simmetrie di suoni e di azioni di tutta lopera. Estendendo la metafora
al secolo intero, Lulu diventa il centro ideale di un gigantesco palindromo,
con agli estremi appunto Wozzeck e Die Soldaten (1965), lopera di Bernd
Alois Zimmermann che ritrova le radici letterarie oltre Wedekind, oltre
Bchner, fino a Jakob Lenz, magari con la mediazione dellonnipresente
Goethe.
Ascolti
A. Berg, Wozzeck, C. Abbado, Wiener Philharmoniker, dg 1990
A. Berg, Lulu, P. Boulez, Orchestre de lOpra de Paris, dg 2000
K. Weill, The Three Penny Opera, J. Mauceri, Berlin Radio Symphony Orchestra, Decca
2000
Letture
G. Seminara, Alban Berg, Lepos, Palermo 2012
A. Pople (a cura di), The Cambridge Companion to Berg, Cambridge University Press,
Cambridge 1997
1928 Quartetto n. 4
Bla Bartk
Simmetrie latenti Fra ultimo Beethoven e mondo popolare Lyrische Suite Il quartetto Kolisch Schnberg
Musica per archi, celesta e percussione Quinto e
Sesto quartetto Ligeti Barber Prokofev ostakovi
Leggendo il testo del Quarto quartetto di Bla Bartk, chiaro che la musica
sirradia dal terzo movimento, quello centrale, che ha il sapore pi antico e
lineare. Mantiene il tono meditativo e misterioso delle tipiche musiche notturne di Bartk. Espone senza sofisticazioni incisi pentatonici di origine popolare, melodie diatoniche di armonia tonale, morbide consonanze. Si sviluppa come un ampio movimento lento (circa sei minuti) fatto dinterazioni deboli fra particelle equilibrate. Estende il suo principio interno di simmetria ai
due movimenti che lo circondano (secondo e quarto) e contrastano: accomunati dal fattore 2, durano la met e raddoppiano la velocit; hanno scrittura
opposta, non pi continua ma spezzata. Il secondo movimento, tutto in sordina, percorso da trilli e vibrati, da percussioni e arpeggi. La scala pentatonica fitta di cromatismi, le note nei registri estremi sono ansiogene. Il quarto movimento interamente pizzicato, con le corde sollecitate al punto da
toccare il legno degli strumenti e produrre un addizionale effetto di percussione. I due movimenti esterni (primo e quinto) hanno una dinamica intermedia di Allegro e ritrovano lampia durata del Non troppo lento centrale
(terzo), assieme allanima pentatonica. Per rinunciano ai ricordi tonali e
consonanti, anzi creano tensione con rudi grappoli di note e stridenti incroci
di melodie cromatiche. Da un accordo dissonante e dalla nota do (non intesa
come tonica), il primo movimento ricava materiale sufficiente per un ampio
sviluppo estraneo alla forma sonata classica. Lo stesso materiale, integrato
con spunti usati nei tre movimenti successivi, serve per costruire il finale Allegro molto, che accentua le simmetrie latenti e usa gli inserti percussivi per
dare un tono popolaresco a un lavoro di eccezionale scienza architettonica.
Se dalla lettura si passa allascolto, il suono esalta una prospettiva diversa.
Da circolare, il disegno del quartetto diventa lineare: accumula forza dopo il
lento avvio, si sbriciola nei fruscii del secondo tempo, trova lequilibrio nel
terzo, si spezzetta in altro modo nel quarto, diventa meccanismo ben oliato
nel finale quinto. Non ci sono contraddizioni. il risultato del gioco di simmetrie e permutazioni di cui Bartk maestro, come tutti i neoclassici compositori di musica. Alla fine degli anni venti, dopo la giovanile fase tardoro-
atonali, anche se spesso si servono di segmenti parziali delle serie dodecafoniche usate nelle perle adiacenti, con un fitto intreccio di legami interni ed
esterni. Linsieme dei primi quattro movimenti inizia dodecafonico e finisce
libero, quello degli ultimi due inizia libero e finisce dodecafonico, cos da
ricongiungersi con il tessuto da cui tutto ha origine.
Oltre alla dichiarata numerologia strutturale che emerge dallanalisi di
dettaglio, altri valori e soprattutto lascolto fanno della Lyrische Suite una
pietra miliare nella storia della musica. Gi il titolo illumina. Il lirismo sta in
primo piano, ovunque, anche quando le dissonanze sono pi forti e le melodie assorbono note che paiono estranee. Suite sinonimo di libert e il nome
dei sei movimenti ne una conferma. Lenfasi sullespressione: Allegretto
gioviale (i), Andante amoroso (ii), Allegro misterioso (iii), Adagio
appassionato (iv), Presto delirando (v), Largo tenebroso (vi). Il Trio
estatico, che sta al centro del terzo movimento, ha una forza espressiva tale
da apparire come la sorgente emotiva dellintero lavoro.
Nasce subito il sospetto che dietro a tanta forma geometrica esista un
analogico programma personale. La conferma arriva postuma, mezzo secolo dopo la composizione, quando si scopre che la Lyrische Suite ispirata
dallamore per la moglie di un amico. Ci sono didascalie esplicite, metafore
musicali, simbolismi numerici, citazioni da Tristano e Isotta di Wagner che
vanno ben oltre i meccanismi dellincipiente dodecafonia e della consolidata
atonalit. In Berg, in quegli ultimi anni venti, torna il desiderio di esprimere
sentimenti personali, fino ad allora soffocato dal bisogno di ricostruire sulle
rovine della guerra. A suo modo, quanto realizza il lontano e antitetico
Leo Janek in un altro capolavoro di allora, il Secondo quartetto Lettere
intime (1928) scritto di getto sullonda delle oltre settecento lettere damore
inviate (senza risposta) a Kamila Stsslov, molto pi giovane e pure lei sposata. Anche in questo caso manca il rapporto con la forma classica, perch
tumultuosi stati danimo si accostano con la forza delle emozioni e con il
cambiare dei materiali musicali. Riesce a tenersi lontano da coinvolgimenti
affettivi il capofila Schnberg che, sulla scia della Lyrische Suite dellallievo e
tre lustri dopo la propria op. 10, scrive un nuovo quartetto (op. 30, n. 3,
1927) che di sicuro dodecafonico, ma ha dimensione ritmica stravinskiana
e rispetta una disposizione ottocentesca nei suoi quattro movimenti: Moderato, Tema con variazioni, Intermezzo, Rond.
Il florilegio di nuovi quartetti per archi non soltanto merito dei compositori. A richiederlo sono la vita musicale del tempo, la forza delle societ di
musica da camera, la generosit delle fondazioni, pubbliche e private. Negli
anni fra le due guerre, essenziale il ruolo della mecenate americana Elizabeth Sprague Coolidge che commissiona ai maggiori autori del tempo una
serie memorabile di quartetti e di varia musica da camera. Un banchiere elve-
In quel tempo, la tradizione del quartetto fiorisce negli Stati Uniti. Non
solo merito del nativo Samuel Barber, educato a Parigi da Nadia Boulanger,
il cui Adagio per orchestra darchi (tratto dal Quartetto op. 11, 1936) ottiene fama in sala da concerto anche sotto la bacchetta di Toscanini, viene
suonato al funerale di Einstein e prende lOscar al cinema (Platoon di Oliver
Stone, 1986). Contano gli esuli dallEuropa. Schnberg, rifugiatosi in California, imposta il suo ultimo quartetto dodecafonico (1936) e nello stesso
tempo allenta il rigore metodologico in capolavori (non quartettistici) come
il Concerto per pianoforte e orchestra op. 42 (1942) e recupera il melologo,
dove musica e parole sono applicate alla tragedia di A Survivor from Warsaw
(1947). Oltre a Schnberg, Hindemith continua a scrivere quartetti con stili
diversi: le frizioni dei primi cinque, composti ancora in Germania (1915-23)
mutano in lirismi negli ultimi due (1943 e 1945), scritti durante lesilio americano. Ancora residente a Parigi, Prokofev accetta una commissione della
Library of Congress di Washington per il suo Primo quartetto (op. 50, 1931).
Scrive il Secondo (op. 92, 1941) dopo il ritorno in Unione Sovietica: sfollato
nel Caucaso a seguito dellinvasione nazista, inserisce un gran numero di
melodie popolari locali. In parallelo, fra 1938 e 1944, un altro russo,
ostakovi, riprende il legame con la tradizione del quartetto, partendo da
pi lontano, dagli ultimi lavori di Beethoven.
Ascolti
B. Bartk, The 6 String Quartets, Takcs Quartet, Decca 1998
L. Janacek, String Quartets Nos. 1 & 2, Skampa Quartet, Supraphon 2001
A. Berg, Lyric Suite, Alban Berg Quartett, emi 2007
Letture
M. Gillies, Bartk Remembered, W.W. Norton & Company, New York 1991
E. Antokoletz, The Music of Bla Bartk: A Study of Tonality and Progression in TwentiethCentury Music, University of California Press, Berkeley 1984
J. Ujfalussy, Bla Bartk, Corvina Press, Budapest 1971
1928Bolro
Maurice Ravel
Cellula ritmica ripetuta 170 volte Accelerazioni di volumi sonori Magie orchestrali Ravel e Diaghilev Ravel
e Toscanini I tempi di Bolro Il ruolo del direttore
Il ruolo dellincisione discografica Bolro di Leningrado
Per costruire la sua composizione pi famosa, Ravel parte dal ritmo. Sceglie
il passo di bolero, una danza in tempo di 3/4 diffusa in Spagna dalla fine del
Settecento, ballata in piazza e scandita da tamburi e nacchere. Lo imposta su
due battute, la prima con la caratteristica doppia terzina che increspa due
accenti, la seconda con quadrupla terzina a variare laccento debole finale.
Ne fa una cellula binaria che ripete inalterata per 170 volte, fino alla fine. Su
quel ritmo, Ravel appoggia una prima melodia (tema), facile da intonare (e
da ricordare) e con accenti sfalsati rispetto al ritmo di base. La melodia
fatta di 2 segmenti di 8 battute, per un totale di 16 cui vanno aggiunte 2 altre
battute di pausa. Le 18 battute complessive sono ripetute una prima volta in
modo identico. Entra la seconda melodia (controtema), identica per scansione ritmica e struttura temporale, ma diversa per tipo di scala: invece del
diatonico do maggiore della prima melodia, la seconda introduce alcune
note estranee che la trasportano nel modo frigio dellarcaica tradizione chiesastica europea e nello stesso tempo le danno il tocco esotico di una melopea
araba o di un blues afroamericano. La differenza fra le due melodie sottile,
il comune ritmo sottostante porta a confonderle e a dare uno dei primi segnali di ambiguit in una partitura costruita con geometrica precisione.
Anche la seconda melodia ripetuta. Il ciclo riprende con la prima melodia.
Il numero magico 18 si ripete 18 volte, 9 volte la doppia proposizione del
tema, 9 volte la doppia del controtema.
Se limpalcatura ritmica e melodica resta immota, attorno cambia tutto,
perch Bolro un geniale esercizio di variazioni di timbri e di suoni. Ogni
volta che appare, ciascuna melodia affidata a uno strumento diverso. Prima
a legni delicati (flauto e clarinetto, fagotto e clarinetto in mi bemolle) poi a
soffi antichi (oboe damore), ottoni attenuati (tromba con sordina), suoni
moderni (sassofoni), timbri cristallini (ottavino, celesta), ottoni gravi (trombone). Poi entrano varie combinazioni strumentali, intere famiglie orchestrali in
frenetico crescendo di colori. Terminate le 18 battute della loro parte solistica,
gli strumenti rinforzano a turno il tamburo, che continua a ribattere il ritmo
principale, ben riconoscibile grazie alla specificit del timbro. Nel primo giro,
no. Addirittura maggiore il trionfo quando Ravel, pochi mesi dopo, dirige
Bolro in forma di concerto.
Bolro diretto da Toscanini esalta il pubblico di New York il 4 novembre
1929 e quello dellOpra di Parigi il 4 maggio 1930. Seduto in platea, Ravel non
apprezza e nasce un incidente. Secondo lautore, i tempi del direttore sono
troppo veloci. Il direttore ribatte che tempi pi lenti fanno perdere efficacia.
Ravel intima a Toscanini di non dirigere pi Bolro, ma non viene ascoltato.
Lincisione di Toscanini (1939) dura 13 28. Molto pi veloce Leopold
Stokowski nel 1940, che si avvicina ai 12. Assistito e controllato da Ravel, Pedro de Freitas Branco supera i 18. I direttori storici e moderni stanno attorno
ai 15: Willem Mengelberg (1930), Fritz Reiner, Herbert von Karajan, Claudio
Abbado, Riccardo Muti. Lo stesso compositore, dirigendo lorchestra dei
Concerts Lamoureux nel gennaio 1930, si avvicina a Toscanini con un tempo
di 15 50, diverso dallauspicato 17 e con una scansione che non rispetta la
rigida prescrizione di mantenere lo stesso passo, senza accelerare e tanto meno
rallentare. La sua interpretazione e la sua intenzione comunque non fanno
molta fede. Ravel sa di non essere un buon pianista e non tiene concerti da
solista. Infatti, si fida dellamico Ricardo Vies. Non neppure un bravo direttore, anche se ci prova tante volte, con risultati deludenti. indubbia la sua
intuizione timbrica per lorchestra, per la gestione del podio richiede altro
polso. Con molto puntiglio difende le sue idee originali di autore, raramente
accetta le deviazioni operate da interpreti, peraltro gradite al pubblico.
Ravel vive i tempi in cui i direttori dorchestra riescono a conquistare un
prestigio e un potere inimmaginabili nel secolo precedente. I grandi direttori
dellOttocento, da Weber a Mendelssohn, da Blow a Nikisch allo stesso
Mahler, restano nel dominio del mito e della memoria individuale, universi
purtroppo evanescenti. Non c ancora la registrazione fonografica, che negli
anni venti cambia il mercato della musica. La presa del suono con un microfono e lintroduzione del disco a 78 giri consentono un netto miglioramento
della fedelt della riproduzione e della durata che, sulle due facciate del disco,
arriva attorno agli otto minuti. I giradischi diffondono la musica riprodotta
nelle case private. Negli stessi anni nasce il fenomeno della radio e la musica
tutta, sia quella leggera sia quella classica, ne diventa protagonista. Sono possibili i confronti fra interpretazioni diverse di una stessa composizione e i diversi volumi di vendita dei relativi dischi misurano il livello di gradimento. Negli
anni trenta, il successo planetario di Bolro passa anche attraverso non meno
di 30 incisioni di altrettanti direttori. quella di Toscanini che vende di pi.
Fra le due guerre la leggenda del maestro diventa fenomeno concreto e
misurabile, appunto grazie a disco e radio. La concorrenza fra direttori aspra,
spesso portata fuori dal mondo dellarte. Lintransigenza dittatoriale di Toscanini in sala da concerto (e dincisione) si accompagna al suo manifesto antifa-
Ascolti
M. Ravel, Bolro etc., P. Boulez, Berliner Philharmoniker, dg 1994
I. Stravinsky, Les Noces, Oedipus Rex, V. Gergev, Mariinsky Soloists, Orchestra and Chorus, Mariinsky 2010
Letture
D. Mawer, The Ballets of Ravel: Creation and Interpretation, Ashgate, Farnham 2006
B. Ivry, Maurice Ravel: A Life, Welcome Rain Publishers, New York 2000
Semantica biblica e autonomia musicale Pezzo da concerto Musica sacra francese nel primo Novecento Messiaen
allorgano LItalia da Verdi a Ghedini Requiem laici:
Weill, Delius, Britten Janek Messa predodecafonica
Tre momenti distinti nascono dallincrocio di tre testi biblici con tre forme
sinfoniche in assoluta indipendenza fra messaggio religioso e tecnica musicale. I valori espressivi della Sinfonia di salmi vanno cercati soltanto nella
lettera delle parole (latine) scelte da Stravinskij attingendo ad alcuni versi
del salmo 38 (primo momento) e del salmo 39 (secondo), e allintero salmo
150 (terzo). Si passa dalla preghiera (Exaudi orationem meam, Domine),
allatto di fede (Expectans expectavi Dominum), alla gioia (Alleluia,
Laudate Eum in sono tubae). La bella sequenza di atteggiamenti spirituali
certo frutto della riscoperta dei valori religiosi che fra 1926 e 1939 trasformano Igor Stravinskij in un ortodosso osservante. Invece, inutile cercare
esplicite correlazioni semantiche col testo musicale. Le forme sonore seguono criteri autonomi. Forse solo il colore scuro porta un senso di austera severit chiesastica alla partitura. Stravinskij sceglie di non utilizzare violini e
viole, cos lorchestra ha i suoni gravi di ottoni e di bassi, alleggeriti da taglienti incisi di fiati in legno, pianoforte e percussioni. Restano ben distinti
anche i tre movimenti musicali, disposti tuttavia con criteri originali e con
durata delluno quasi doppia rispetto a quella del brano che precede: 3, 6,
12 minuti.
Il primo movimento inizia con unintroduzione solo orchestrale e procede per bruschi stacchi verticali alternati a veloci arpeggi orizzontali. Le voci
del coro entrano a blocchi, sostenute da controcanti strumentali, ripetuti e
minimi, ostinati. La formula ritmica rimane inalterata, si alza solo il volume
sonoro, da pianissimo a fortissimo. Il secondo movimento una doppia fuga:
la prima fuga, con tema molto lungo e complessa elaborazione a quattro
voci, chiede solo strumenti a fiato; la seconda affidata al coro, sostenuto da
strumenti che ripresentano il tema della fuga precedente in un groviglio di
polifonie prerinascimentali. Il terzo movimento fatto di numerose sezioni
assai contrastate e legate dal filo di una nota bassa, che evoca il silenzio e
stacca le ripetizioni ostinate. Sulle parole che dicono Osanna, Stravinskij
costruisce una musica che non trionfale ma estatica. Le varie sezioni motorie non sono giubilanti, semmai meccaniche. Torna un fugato, assai pi
semplice di quello centrale. Chiude un lungo episodio in cui ogni movimento pare sospeso, in contemplazione dellassoluto.
Lo stile della Sinfonia di salmi simile a quello dellopera teatrale Oedipus
Rex, scritta da Stravinskij nel 1927 sul testo greco di Sofocle adattato da Jean
Cocteau e tradotto in latino dal futuro cardinale Jean Danilou: comune la
dimensione ieratica, lassenza del moto pur nella turbolenza degli incisi, la
ricerca del passato, la quadratura neoclassica. Questo modo di scrivere musica e la presenza di un testo biblico conferiscono una componente religiosa
a un lavoro che nella sostanza, oltre che nel titolo, una sinfonia, nel senso
etimologico di musica eseguita assieme. Nasce come pezzo da concerto,
commissionato dallamico, direttore e mecenate Koussevitzky per celebrare
il cinquantesimo anniversario di fondazione dellorchestra sinfonica di Boston, senza che sia prevista una specifica ispirazione sacra. Stravinskij non
pensa comunque a un utilizzo in cerimonie religiose e tratta il testo in modo
non confessionale, buono per ebrei, ortodossi, cattolici romani e cristiani
riformati. Piuttosto, Stravinskij mostra un qualche fastidio per il modo in cui
la musica sacra si continua a scrivere ed eseguire, soprattutto nella Francia
che elegge a sua nuova patria dopo gli sconvolgimenti della rivoluzione russa.
La Francia , infatti, lunico grande Paese occidentale in cui la musica
sacra ha sviluppi importanti fra le due guerre. erede di una tradizione
antica, rinnovata sul piano mistico dal fascino intellettuale di Jacques Maritain e Paul Claudel. Nelle grandi cattedrali gotiche e moderne, le cantorie
sono rivitalizzate dal canto gregoriano riscoperto dalla scuola dei benedettini di Solesmes. Funzionano ancora le tecnologie organarie di Aristide Cavaill-Coll, valorizzate nellOttocento da Franck. Nel Novecento, CharlesMarie Widor, successore di Franck allorgano romantico di Saint-Sulpice e
alla cattedra in conservatorio, scrive gran parte delle sue sinfonie per organo. Widor maestro di Marcel Dupr, che compone Symphonie-Passion
(1924) e Le Chemin de la Croix (1931), loratorio La France au Calvaire
(1953), lavori che trovano la loro dimensione dallinnesto di modi medioevali nel cromatismo tardoromantico. Altro allievo di Widor Charles
Tournemire, che firma LOrgue mystique (1927-32), pratico repertorio duso
per tutte le funzioni religiose dellanno, versione moderna e cattolica del
bachiano e luterano Orgelbchlein. Dupr e Tournemire sono i maestri di
Oliver Messiaen, una delle pi eclettiche e influenti figure della musica del
Novecento: dal 1931 al 1992 organista alla chiesa della Trinit di Parigi, attivissimo insegnante, da sempre fautore di fusione fra fede cattolica e sperimentalismo estremo.
Uno dei primi cicli musicali di Messiaen su temi religiosi appunto lorganistico Le Banquet cleste (1928) seguito da LAscension (1933, con precedente versione orchestrale), i nove momenti di La Nativit du Seigneur
(1936) e i sette di Les Corps glorieux (1939). Pur fra gli assaggi di musica
concreta ed elettronica, assieme allesplorazione della musica indiana e del
canto degli uccelli, anche dopo la parentesi bellica Messiaen continua a coltivare le sue origini organistiche con Messe de la Pentecte (1950), Mditation
sur le mystre de la Saint Trinit (1969), Livre du Saint-Sacrement (1984). Le
percezioni teologiche si trasferiscono anche al pianoforte: Vingt regards sur
lenfant-Jsus (1944), Visions de lAmen (1943). Progressivamente Messiaen
mobilita risorse maggiori: lorchestra con LAscension (1932), La Transfiguration de notre Seigneur Jsus-Christ per coro a dieci voci, percussioni, grande orchestra (1966-69), per chiudere con lopera-oratorio Saint Franois
dAssise (1975-83). I materiali si accumulano mentre cresce let e cambiano
le prospettive, per restano le armonie statiche, il libero mosaico in cui trovano posto modi gregoriani, cromatismi wagneriani, suoni della natura.
Messiaen non cerca sintesi assolute. Anche le connessioni con i valori teologici sono vaghe. Gli interessa trasmettere il senso del tempo che scorre e lo
sguardo sullinfinito.
Di sicuro Messiaen non sopporta i neoclassicismi di Cocteau (e dunque
di Stravinskij) e tanto meno le frivolezze che ispirano il Gruppo dei sei nella
Parigi degli anni venti. Per i tempi sono cambiati anche per loro. Il pi
giovane e scanzonato, Poulenc, d voce a una religiosit sobria e contadina
con Litanies la Vierge Noire de Rocamadour (1936) e Messe en sol (1937);
religiosit che distilla nei suoi ultimi anni in Stabat Mater (1950), Gloria
(1959), Sept rpons des tnbres (1962) e porta in scena con lopera Les Dialogues des Carmlites (1957). Il pi conservatore dei Sei, Honegger, anticipa
tutti con il salmo drammatico Le Roi David (1921) e si conferma attento ai
temi religiosi in Jeanne dArc au bcher (1935), su testo di Paul Claudel. A
Claudel, del quale assistente durante la missione diplomatica in Brasile, si
appoggia il prolifico Milhaud per le prime delle sue tante composizioni corali dispirazione sacra. Fuori dalle correnti, perfino lagnostico Roussel, nel
1928, mette in musica il Salmo 80.
In Italia, dopo gli estremi Quattro pezzi sacri di Verdi e le giovanili esperienze di Puccini (Messa di gloria, 1880) e Mascagni (Messa di requiem, 1887;
Messa di gloria, 1888), e con il massimo esponente don Lorenzo Perosi bloccato da problemi psichiatrici, la tradizione religiosa fatica a continuare a livelli alti. Non aiuta il regolamento per la musica sacra del 1884 che esclude
dalle chiese clavicembali, pianoforti e percussioni (ma ammette, perch biblici, flauti, trombe e timpani). Ildebrando Pizzetti porta il suo contributo
con una Messa da Requiem (1922), Gian Francesco Malipiero con La Passione (1935) e Missa pro mortuis (1938), Alfredo Casella con Missa solemnis pro
pace (1944). La generazione successiva debutta con Salmo ix (1934-36) e
Magnificat (1939-40) di Goffredo Petrassi, prosegue con Messa da Requiem
(1943) di Bruno Bettinelli, con La Messa del Venerd Santo (1929) e il Credo
di Perugia (1962) di Giorgio Federico Ghedini. Pur nella differenza di accenti, unifica autori tanto diversi il desiderio di dimenticare il fardello operistico
dellOttocento e di trovare nel Rinascimento i valori per ricostruire la musica sacra italiana.
Nelle aree degli sconfitti imperi centrali, la crisi sociale ed economica
prima, il sostanziale ateismo nazista poi, tolgono risorse sia alle comunit
protestanti del Nord sia a quelle cattoliche del Sud. Uno dei pochi che mantiene il prestigio della musica per la chiesa Hugo Distler, organista a Lubecca e docente a Berlino. Cerca un difficile recupero della coralit polifonica
di Schtz e Bach stagionata con melismi medioevali e pentatonalit arcaica:
Choralpassion op. 7 (1932), Die Weihnachtsgeschichte op. 10 (1933), soprattutto pezzi corali per uso pratico scritti fra 1933 e 1942 e tuttora in repertorio, fra cui un Totentanz. Fuori dalla chiesa conta il Berliner Requiem (1928)
di Kurt Weill su testo di Bertolt Brecht, una cantata per tenore, baritono,
coro maschile e fiati che nulla ha a che vedere con la religione e il passato
gregoriano. Invece contigua alle canzoni di protesta e da cabaret di quegli
anni. Assieme al Requiem (1916) dellinglese Frederick Delius, il Berliner
Requiem di Weill rientra nei gridi di dolore ispirati dalla Grande guerra, che
confluiranno nel War Requiem di Britten.
In Polonia, il cattolicesimo polacco onorato da Karol Szymanowski con
Stabat Mater (1926), Veni Creator (1930), Litanie alla Vergine Maria (1933).
A differenza dellamico Bartk, lungherese Kodly scrive musica su testi
sacri con intenti nazionalpopolari, come il patriottico Psalmus hungaricus
(1923) e la Missa brevis (1948), per in sala da concerto si ascoltano pi
spesso lavori sinfonici Danze di Galanta (1933) e Variazioni del pavone
(1939), frutto delle giovanili ricerche sulla musica popolare. Importante per
i suoi riferimenti alla tradizione contadina morava la Missa glagolitica
(1926) di Janek, cos chiamata perch ritraduce il testo latino nella pi
antica delle lingue slave, quella introdotta nel nono secolo dai monaci Metodio e Cirillo, evangelizzatori dellOriente europeo. Come nelle sue opere
teatrali, il panteista Janek abbina la sua musica ai ritmi e ai toni della parlata popolare, senza complicazioni bachiane e senza emozioni beethoveniane. Salvo riprendere da loro luso di inserire uno strumento solista poco
prima della fine del lavoro: invece del violino impiega un organo e ne fa uno
dei pi affascinanti pezzi del repertorio moderno. Latea Unione Sovietica
non lascia spazio allevoluzione musicale della chiesa ortodossa.
Ben in linea col suo tempo, Stravinskij non d seguito immediato alla
Sinfonia di salmi. Raffina il suo neoclassicismo e scrive musica strumentale
alla maniera di Haydn, Mozart e del giovane Beethoven, con Dumbarton
Oaks (1938), Sinfonia in do (1940), Sinfonia in tre movimenti (1945) ed Ebo-
Ascolti
I. Stravinsky, Symphony of Psalms, etc., R. Craft, Philharmonia Orchestra, Naxos 2006
L. Janek, Missa glagolitica, R. Kubelik, Chor & Symphonieorchester des Bayerischen
Rundfunk, dg 2002
K. Weill, Das Berliner Requiem, P. Hillier, I solisti del vento, Glossa 2010
Letture
G. Vinay, Stravinsky neoclassico. Linvenzione della memoria nel 900 musicale, Marsilio,
Venezia 1987
Canto funebre e melodia popolaresca Due binomi accostati Langelo Manon Il violinista Krasner Kammerkonzert Riferimenti Lalo, Szymanowski, Glazunov
Kochanski con Prokofev e Stravinskij Violini e violoncelli del secondo Novecento
Due melodie tonali sinseriscono nel tessuto di rigorosa atonalit e dodecafonia del Concerto per violino e orchestra di Alban Berg. Hanno un rilievo
tale da condizionare il senso dellintero lavoro, tanto da apparire come
chiave interpretativa metamusicale. La prima melodia il motivo popolare
A Vgale afn Zweschgn-Bam, diffuso in Carinzia, dove Berg soggiorna a
lungo nei suoi ultimi anni. La seconda melodia Es ist genug (1662) di Johann Rudolf Ahle, utilizzata da Bach nella cantata sacra O Ewigkeit, du
Donnerwort bwv 60 (1723). Con accorto rispetto del principio di simmetria,
la prima melodia sinserisce nella seconda sezione della prima parte del
concerto, laltra domina il finale della seconda parte. Gli inserimenti sono
naturali, perch la serie dodecafonica su cui si basa lintero lavoro costruita in modo da consentire parziali interpretazioni tonali: una sequenza ascendente di otto intervalli sempre di terza (sol-si bemolle-re-fa diesis-la-do-misol diesis-si), seguita da quattro toni interi pure ascendenti (si-do diesis-re
diesis-fa). Le prime nove note possono essere lette come gli accordi perfetti
di quattro tonalit (sol minore, re maggiore, la minore, mi maggiore) che
hanno come tonica le quattro note corrispondenti alle quattro corde del
violino (sol, re, la, mi). come dire che lintero concerto e la serie che lo
sostiene sono concepiti per il violino e non per un altro strumento. La sequenza di terze tipica del melodizzare del canto popolare in generale e
della canzone scelta in particolare. Infatti, lintegrazione fra serie dodecafonica e melodia carinziana perfetta. Le quattro note per toni interi, ultimo
segmento della serie, corrispondono esattamente alle prime quattro note del
corale bachiano.
Fin dallinizio, progettando la serie dodecafonica, Berg ha dunque chiari
in mente larchitettura e il materiale con cui costruire il nuovo lavoro: un
violino solista, un canto popolaresco, un lamento funebre, una diffusa ambiguit tonale-atonale a rendere fluida la geometria dimpianto. Infatti, il
concerto si articola in due movimenti distinti, ciascuno diviso in due sezioni
e con inversione di dinamica: Andante, Allegretto e Allegro, Adagio. Il
modello formale (ma anche espressivo) che prevede due movimenti lenti
laterali e due veloci centrali ripreso dalla Nona sinfonia di Gustav Mahler.
Clarinetti e arpa accompagnano il solista, che sembra accordare lo strumento sulle sue quattro corde vuote prima di esporre in tutta evidenza la serie
dodecafonica nella versione originale (ascendente) e subito dopo nella derivata (discendente). Il gioco di permutazioni per segmenti di serie prosegue
per tutto lAndante ma entusiasma il finissimo incrocio di suoni in unorchestra trattata come trasparente complesso cameristico applicando in modo strutturale i principi della Klangfarbenmelodie teorizzata da Schnberg.
Il passaggio allAllegretto segnato dal ritmo di danza del Lndler popolare e appare come scherzo classico con doppio trio e coda riassuntiva, cio
abcbad. Il corno intona la canzonetta carinziana, avendo cura (prescrive la
partitura) di non essere troppo viennese. Il solista riprende la melodia, la
ricama, la varia e distorce, come si fa con un segmento di serie.
Una pausa divide il primo binomio dal secondo. Il nuovo tempo veloce
che apre la seconda parte non ha valore semantico. Allegro una mera
indicazione dinamica. La sostanza invece drammatica. Berg costruisce il
momento di massima tensione espressiva con i mezzi asettici della dodecafonia, dunque con frizioni di piani sonori divergenti e con linee spezzate
disposte su registri e volumi estremi, esaltate dalla trasparenza della scrittura. Lineare larticolazione in tre sezioni, con al centro il violino solista
impegnato in un complesso canone a quattro voci. Proprio alla fine della
ripresa di questo triste Allegro entra la citazione del corale di Bach, ma
solo con le prime quattro note per toni interi che portano allintervallo
proibito di quarta maggiore, il tritono che divide in due la scala cromatica e che da sempre considerato diabolus in musica, difficile da intonare,
impervio da trattare nel sistema armonico tonale. La citazione letterale bachiana, con larmonizzazione originale ai fiati, apre lultimo Adagio del
concerto: una meditazione lugubre sul senso della fine. Che non la propria
e inaspettata fine: Berg muore pochi mesi dopo per la fatale puntura dinsetto che provoca la setticemia, quando la partitura ormai completata.
invece la scomparsa di Manon, diciottenne figlia di Alma Mahler e di Walter Gropius, che avviene nellaprile, a suggerire linserimento del corale di
Bach alla fine del concerto e a conferirgli il famoso sottotitolo Alla memoria
di un angelo. Forse la figura di Manon suggerisce anche la gaia conclusione
della prima parte, la spensierata giovent che danza sulla melodia carinziana dellAllegretto, momento di contrasto con langoscia del presente.
Forse i ricordi di Berg vanno pi lontano, allacerba e trascurata propria
figlia Mizzi. Magari accenna al presente e nascosto amore per Hanna Fuchs
che ispira la Lyrische Suite. C la cabala dei numeri, che vuole la prima
parte ordinata dal 23 (il numero di Alban) e la seconda dal 28 (di Hanna).
torio fin dal 1932 dal fanciullo prodigio Yehudi Menuhin. A Kochanski va
anche il merito di aver convinto Stravinskij a creare quattro capolavori: la
Suite italiana dal balletto Pulcinella (1926), il Duo concertante (1932) e il
Divertimento (1932) per violino e pianoforte; soprattutto lo spigoloso Concerto per violino e orchestra (1931).
Nei tempi successivi, si mantengono nel pieno rispetto della grande tradizione romantica i concerti per violino di Barber (1939), Walton (1939) e
Korngold (1943). Nel secondo dopoguerra ottiene grande fortuna Offertorium (1980) per violino e orchestra di Sofija Gubajdulina, che recupera i
valori ottocenteschi della fantasia e della rapsodia con le dissociazioni timbriche dei tempi moderni. Vive di minimalismo neovivaldiano e neoromantico, per con livide risonanze espressioniste, il Concerto (1986) di Philip
Glass. Nel nuovo millennio, non manca lapporto del prolifico Wolfgang
Rihm, con le trasparenze del violino e della piccola orchestra che lo integra
in Lichtes Spiel (2010).
Anche i sommi violoncellisti che dominano il Novecento (Pablo Casals,
Gregor Piatigorsky, Pierre Fournier, Mstislav Rostropovi) chiedono di ampliare il loro magro repertorio, rimasto fermo agli ottocenteschi concerti di
Lalo (1876), Saint-Sans (1872 e 1902), Dvok (1895), alle Variazioni su un
tema rococ (1877) di ajkovskij e al Don Chisciotte (1897) di Richard
Strauss. In tanti rispondono volentieri con lavori che restano in repertorio.
Si mantengono allincirca nella formula consueta del concerto classico Elgar
(1919), Hindemith (1916 e 1940), Honegger (1929), Barber (1945), Walton
(1956), ostakovi (1959 e 1966), Ligeti (1966), Lutosawski (1970), Penderecki (1972 e 1982). Un po si discostano il giovane Hindemith (Kammermusik n. 3, 1925), il maturo Britten (Sinfonia concertante, 1945), lestremo
Prokofev (Sinfonia concerto, 1951). Con Schelomo (1916) e Voice in the
Wilderness (1936), poemi sinfonici con violoncello obbligato, Ernest Bloch
riprende la tradizione inaugurata dal luterano Max Bruch (Kol Nidrei, 1881)
di tradurre in note moderne storie e tradizioni ebraiche. Dutilleux (Tout un
monde lointain, 1970) e Berio (Il ritorno degli snovidenia, 1977) puntano
sullinnovazione timbrica e la libert formale quando Morton Feldman (Cello and Orchestra, 1972) si affida alle estenuazioni minimali.
A sua volta il clarinettista swing Benny Goodman ottiene da Bartk il
capolavoro Contrasts (1938), da suonare assieme allautore pianista e allamico violinista Jzsef Szigeti, e un eccellente concerto da Copland (1949).
Goodman suona anche Ebony Concerto (1945), commissionato a Stravinskij
da un altro clarinettista, il jazzista Woody Herman.
Ascolti
A. Berg, Violin Concertos, I. Perlman, S. Ozawa, Boston Symphony Orchestra, dg 1996
A. Berg, Chamber Concerto, P. Zukerman, D. Barenboim, P. Boulez, Ensemble Intercontemporain, dg 1996
S. Prokofiev, Violin Concertos Nos. 1 & 2, I. Stern, E. Ormandy, Philadelphia Orchestra,
Sony 1990
Letture
R. Stowell (a cura di), The Cambridge Companion to the Violin, Cambridge University
Press, Cambridge 1992
George Gershwin
Scala pentatonica e note blu Storia di neri emarginati
Kern e Show Boat Ziegfeld e Broadway Gershwin in
Europa Song e musical, opera e cabaret Peter Grimes
West Side Story Musical pucciniano Weill a Broadway Lloyd Webber
e uragani. Sono tre atti di circa unora luno, disposti con sapienti scelte
sceniche dal librettista Ira Gershwin (fratello di George) e da DuBose
Heyward, lautore del romanzo Porgy (1925) da cui tutto parte.
Gershwin legge subito il romanzo di Heyward e trova il soggetto giusto
per tentare quel salto di qualit che ha in mente da tempo. gi ricco e famoso come pianista e autore di song. Composta a 21 anni e subito portata
al successo di Broadway nel 1920 da Al Jolson, la canzone Swanee la prima
di una serie fenomenale di melodie che fanno la fortuna della trentina di
musical che Gershwin scrive per Broadway fra 1917 e 1935, con momenti
trionfali in Lady, Be Good (1924), Oh, Kay! (1928), Funny Face (1928).
Vende bene anche Rialto Ripples Rag (1917) per pianoforte, ispirato ai ragtime di Scott Joplin, di cui egli stesso diventa maestro: scansione immutabile del basso alla mano sinistra, sincopi e melodie alla destra. Paul Whiteman, capo di una big band di jazz, sente suonare Gershwin. Nasce Rapsody
in Blue (1924) per pianoforte e orchestra, ed successo storico. Gershwin,
istintivo e autodidatta, si fa aiutare nellorchestrazione da Ferde Grof,
larrangiatore di Whiteman che diventa a sua volta popolare con Grand
Canyon Suite (1931), incisa da Arturo Toscanini e trasformata in cortometraggio da Walt Disney. Pur criticata da molti, la versione per orchestra
sinfonica di Rapsody in Blue curata nel 1940 da Grof che si ascolta tuttora
in sala da concerto.
Nel 1925 il primo approccio di Gershwin con il romanziere Heyward per
ottenere i diritti di adattamento di Porgy in opera lirica sfuma perch in
corso un adattamento teatrale che va in scena con successo nel 1927. Gershwin riprova, ma bloccato dallaccordo siglato da Heyward con un altro
musicista, Jerome Kern, autore di Show Boat, un musical di tipo nuovo che
debutta e trionfa proprio nel 1927. In questi anni Kern il musicista di maggior spicco di Broadway. Ricco di famiglia, ha una formazione classica a New
York e nel primo decennio del Novecento si perfeziona in Germania. A
Londra segue con attenzione il teatro musicale leggero del tempo, dominato
dalla coppia William S. Gilbert e Arthur Sullivan. Per anni fa il pendolare fra
Londra e New York e contribuisce a trasferire i successi del West End londinese sui palcoscenici di Broadway, combinando lo stile raffinato inglese
con la vivace nuova musica dintrattenimento americana, sia nella versione
bianca delle melodie di Stephen Foster sia (anzi soprattutto) in quella
nera di blues, ragtime, jazz.
Lungo una quindicina danni, Kern scrive musiche per commedie musicali senza trama e senza impegno, fatte di stereotipi da commedia dellarte
alternati con balletti in abiti succinti, alla maniera dei can can delle operette
di Offenbach nel parigino Secondo impero. Nel 1926, Kern legge il nuovo
romanzo Show Boat di Edna Ferber, si appassiona alla vicenda di amori
tragici in mezzo a segregazioni razziali e decide di farne un musical sul modello dellopera italiana. Propone il progetto a Florenz Ziegfeld, il maggiore
impresario di Broadway perch importa nel 1907 a New York il modello
delle Folies Bergre di Parigi. Al libretto provvede il giovane Oscar Hammerstein ii. Storia, allestimento e soprattutto canti (Ol man river e Cant
Help Lovin Dat Man) e danze avvincono il pubblico e fanno di Show
Boat uno dei massimi successi di Broadway: due anni consecutivi di rappresentazioni e infinite riprese in tutta la nazione, con rapida esportazione anche in Europa. Ripetere il successo con Porgy diventa lobiettivo di Kern.
Gershwin abbozza, cerca nuove opportunit e continua a scrivere solo
canzoni e commedie musicali di successo. Vuole comunque migliorare la
propria tecnica di autodidatta e nel 1928 incontra Maurice Ravel in tourne
americana. Gli chiede lezioni di composizione e orchestrazione. Ravel declina, ammirato (e spaventato) dal talento naturale dellamericano e stupefatto dal denaro che ricava dalla sua musica leggera. Ravel per lo indirizza a Nadia Boulanger, insigne didatta a Parigi e gi maestra di vari americani, fra cui Copland. Gershwin arriva a Parigi in marzo, ma anche la
Boulanger non lo accetta come allievo, per non ingabbiarne listinto. Resta
in Europa per circa tre mesi e ha occasione di immergersi nella vivacissima
vita musicale del tempo. Nella capitale francese conosce Milhaud, Stravinskij, Prokofev. Passa anche da Berlino, dove apprezza il teatro di cabaret e in particolare Die Dreigroschenoper (Lopera da tre soldi) di BrechtWeill. Incontra anche Schnberg e Berg, del quale ammira subito Wozzeck
e Lyrische Suite, nellinterpretazione del quartetto Kolisch. Scrive il poema
sinfonico Un americano a Parigi (An American in Paris) mescolando avanguardia europea con ingredienti afroamericani. Torna a New York con
tante nuove idee.
Nel frattempo, il successo di Show Boat e le necessit di aggiustamenti
impediscono a Kern di realizzare il suo Porgy and Bess. Al terzo tentativo, nel
1933 Gershwin ottiene da Heyward lautorizzazione ad attuare il progetto
che insegue ormai da cinque anni. Fin dallinizio vuol farne unopera nera,
con lo stesso spirito che il nero mago del ragtime Scott Joplin aveva in mente
per la sua incompiuta Treemonisha (1910). Si prepara con molto scrupolo.
Non gli basta lesperienza vissuta accanto a comunit nere quando, da giovane figlio dimmigrati ebrei ucraini, cresce nel quartiere povero di Brooklyn.
Neppure soddisfatto per aver presentato in teatro un breve dramma in stile
afroamericano nel 1922, Blue Monday. Nellestate del 1934, Gershwin passa
alcune settimane nei dintorni di Charleston, per conoscere meglio lambiente
in cui Porgy si svolge. Ira scrive i testi, lui compone rapidamente la musica.
Un anno dopo c il debutto, prima a Boston (30 settembre 1935) e poi a
Broadway (10 ottobre). Ci sono 124 recite, tante per una produzione dopera,
sulla trama e sulla coerenza dello spettacolo, fra singole canzoni e parti ballate. Il musical americano diventa una variante ammodernata dellopera verista italiana, nella versione raffinata e compiaciuta di Puccini. Firmato
Rodgers & Hammerstein nel 1943 esce Oklahoma!, il maggior successo di
Broadway di tutti i tempi: 2281 repliche nei primi cinque anni. Seguono
Carousel (1945), South Pacific (1949), The King and I (1951), The Sound of
Music (1959), altrettanti campioni dincasso, che diventano film di successo
e vendono milioni di dischi a lunga durata nel nuovo formato a 33 giri, con
capienza che sfiora unora intera. Il duo Rodgers & Hammerstein produce
anche Annie Get Your Gun (1946), altro clamoroso successo, per con testi
e musiche dellimmigrato russo Irving Berlin, autore di canzoni popolarissime (White Christmas) e del quasi inno nazionale God Bless America.
Fuggito alle persecuzioni naziste e alle disperazioni berlinesi, Kurt Weill,
lautore della musica di Die Dreigroschenoper, cavalca la voglia di romanticismo di Broadway con Lady in the Dark (1941, Ira Gershwin librettista), One
Touch of Venus (1943), Street Scene (1947), Down in the Valley (1949), Lost
in the Stars (1949). Cos, mentre la beffarda Moritat di Mackie Messer
entra nel repertorio di Louis Armstrong, e restano in voga le melodie degli
anni tedeschi Alabama Song e Surabaya Johnny, Weill conquista anche lAmerica di Broadway, con Speak Low e September Song. Il profugo tedesco
allievo di Busoni compete con Cole Porter e Irving Berlin, Kern e Gershwin.
La morte precoce gli impedisce il confronto con il nuovo mago del teatro
musicale leggero, linglese Andrew Lloyd Webber.
Figlio di musicisti, con impeccabile formazione classica, Lloyd Webber
conquista prima il West End di Londra e poi Broadway a New York (e infine
il mondo intero) con una mirabile sequenza di musical: Jesus Christ Superstar
(1970), Evita (1976), Cats (1981), The Phantom of the Opera (1986), Phantom (2010), grazie a eccellenti melodie originali o sapientemente rielaborate,
come il corale della bachiana Passione secondo san Giovanni.
Ascolti
G. Gershwin, Porgy and Bess, S. Rattle, London Philharmonic Orchestra, emi 1989
G. Gershwin, Gershwin Plays Gershwin: The Piano Rolls, Nonesuch 1993
J. Kern, Showboat, J. McGlinn, London Sinfonietta, emi 2006
R. Rodgers, O. Hammerstein ii, Classic Musicals: Original Motion Picture Soundtracks,
Angel 2001
Letture
G.H. Block, Enchanted Evenings: The Broadway Musical from Show Boat to Sondheim,
Oxford University Press, New York 1997
J. Peyser, The Memory of All That. The Life of George Gershwin, Hal Leonard, Milwaukee
2007
W. Schneider (a cura di), The Gershwin Style: New Looks at the Music of George Gershwin,
Oxford University Press, New York 1999
nelle Variazioni op. 27, fluide e conseguenti anche se i tempi e i modi della
realizzazione contraddicono ogni presupposto strutturale. Webern scrive
prima il terzo movimento, continua con il primo, chiude con il secondo, che
sta alla base del tutto. Ama citare una metafora di Goethe: larte come un
albero in natura, in centro sta un tronco le cui radici nascoste sono speculari
ai rami visibili, alle loro foglie, ai loro fiori. Il moderno concetto di frattale
aiuta a leggere le Variazioni op. 27 come tre percezioni analogiche di altrettante realt digitali differenti. Succede cos anche nel Quartetto op. 28
(1938), nelle Variazioni per orchestra op. 30 (1940), nelle due cantate per
solista, coro e orchestra op. 29 (1939) e op. 31 (1943).
Webern sviluppa queste sue ultime sperimentazioni in totale isolamento.
Schnberg fugge allavvento del nazismo nel 1933. Il collega Berg muore nel
1935. Rimasto solo in una Vienna incorporata nel Terzo Reich, affascinato
dallespansionismo pangermanico, ma sempre emarginato dalla nomea di
artista degenerato, Webern non ha interlocutori e scrive sempre meno. Sfollato nel salisburghese, viene ucciso per errore da un militare americano a
guerra ormai finita, nel settembre 1945. Trova il suo mentore in Ren Leibowitz, polacco trasferito a Parigi, compositore, direttore dorchestra, pubblicista, autore del libro Schnberg et son cole (1947) che ha subito grande
influenza sulle nuove generazioni cresciute sotto lincubo della guerra. Proprio perch ascetico e radicale, Webern diventa il modello per chi vuole
rompere tutti i ponti con il passato. Il giovane Boulez ne esalta la figura nei
numerosi articoli che pubblica su riviste davanguardia, arrivando alleccesso di insultare il fondatore della dodecafonia. Intitola Schnberg morto un
testo del 1951, che non un necrologio ma un processo postumo. Condanna
la ricerca di continuit con la tradizione tonale perseguita dal maestro; la sua
dodecafonia intesa come evoluzione e non come rottura, quando, secondo
Boulez e la sua cerchia, la nuova musica non pu che nascere da zero e guardare solo al futuro. lo spirito del tempo. Calata la cortina di ferro, iniziato
il tempo della guerra fredda, anche in Unione Sovietica, il commissario politico Andrej danov e il musicista integrato Tikhon Khrennikov accusano
ostakovi e Prokofev di scrivere musica incoerente con le necessit del
popolo che dicono di rappresentare.
Sul piano della composizione musicale, la mancanza di passato (tardopieno- pre-romantico, neoclassico, nazionale, popolare) e lastratta digitalizzazione della serie dodecafonica di Webern suggeriscono a Boulez la tempesta di note e le acrobazie ritmiche della sua Seconda sonata per pianoforte
(1948). Tuttavia spetta al maestro di Boulez, Messiaen, il merito di individuare la chiave per uno sviluppo vero della lezione di Webern, in particolare
quella delle Variazioni op. 27. Nella raccolta pianistica Mode de valeurs et
dintensits, Messiaen fa precedere il testo musicale da una tabella in cui
Ascolti
A. Webern, Variations op. 27, in Maurizio Pollini Edition, M. Pollini, dg 2001
A. Webern, Complete Works opp. 1-31, P. Boulez, Sony 1991
K. Stockhausen, Klavierstcke i-xiv, E. Corver, Stockhausen-Verlag 2000
Letture
A. Webern, Il cammino verso la nuova musica, se, Milano 2006
K. Bailey, The Life of Webern, Cambridge University Press, Cambridge 1998
W. Kolneder, Webern, Rusconi, Milano 1996
trionfale che si riannoda alliniziale Canto di Aleksandr Nevskij, a suggerire la continuit delle gesta delleroe.
Quando scrive la cantata Aleksandr Nevskij, Prokofev vive da tre anni a
Mosca. Il rientro da Parigi una libera scelta. La partenza del 1918 non una
fuga dal bolscevismo, ma un espatrio autorizzato dal governo rivoluzionario.
Nel dopoguerra Prokofev risiede a Parigi per mantiene regolari rapporti
con la madre patria. Nel 1929 trascorre alcuni mesi in Unione Sovietica per
visitare amici, ricevere onori, presentare musiche sue. Crede di sapere cosa
lo aspetti nel 1935, quando decide di rientrare. Sa bene che, nellantico Paese diventato nuovo, agli artisti richiesto di contribuire alleducazione del
popolo, evitando formalismi moderni e legami col passato. Appena arrivato
a Mosca, mette il suo talento al servizio della missione politica. Si appoggia
alla tradizione favolistica popolare e scrive quel capolavoro di equilibrio fra
innovazione e conservazione che il melologo Pierino e il lupo, con un narratore che racconta una bella storia e una piccola orchestra che sostiene con
simpatica ironia. Curioso come sempre per i nuovi mezzi di comunicazione,
Prokofev accetta di collaborare con il regista cinematografico Sergej
jzentejn e di scrivere la colonna sonora per il film sulla storia del principe
Aleksandr, detto Nevskij perch vince gli svedesi sul fiume Neva e batte nel
1242 la cavalleria teutone sul ghiaccio di primavera del lago Peipus.
Non la prima volta che Prokofev scrive per il cinema. Nel 1933 compone la colonna sonora per uno dei primi film sonori sovietici, Il tenente Kij
del regista Aleksandr Fajncimmer. conquistato dalla storia che il linguista
Jurij Tynjanov scrive con lo stile di Aleksandr Pukin e Nikolaj Gogol mettendo alla berlina la stupidit della burocrazia russa antica e moderna. Segue
incuriosito le riprese a Leningrado, studia caratteri e movimenti dei personaggi, prende appunti. Scrive 16 brevi quadri musicali, semplici ma non
banali, zeppi di eleganze e ironie. Lanno dopo ne ricava una suite sinfonica
in quattro tempi, subito accolta con grande favore. un approccio opposto
a quello, tutto teorico, di Schnberg, che prima scrive un trittico sinfonico e
poi prova ad applicarlo a un film che ancora non c. Nel 1927 inizia e nel
1930 termina Musica daccompagnamento cinematografico per orchestra, tre
momenti musicali in cerca di un regista cinematografico che li usi come
sfondo per altrettante situazioni topiche e generiche, buone anche per film
muti: minaccia, paura, catastrofe. Impiega la nuova tecnica dodecafonica.
Lesperimento non ha sviluppi immediati, perch la dodecafonia approda a
una vera colonna sonora soltanto negli anni cinquanta, per accompagnare
film dellorrore e dellangoscia, come preconizza Schnberg.
La musica da film nasce tuttavia prima della colonna sonora. Fin dagli
albori previsto che la proiezione di un film muto, a corto o lungo metraggio,
sia accompagnata dalla musica. Di regola basta un pianoforte verticale posto
sotto lo schermo, con il pianista che osserva lazione e muove le dita secondo
definite categorie espressive, peraltro gi riassunte nel melologo Enoch Arden di Richard Strauss. Anche il giovane ostakovi si paga gli studi al conservatorio suonando nei cinema di San Pietroburgo. Nelle sale pi ricche
pu suonare perfino unorchestrina. A Parigi, Saint-Sans uno dei primi a
intuire le potenzialit della musica da film e gi nel 1908 scrive un sonoro di
18 minuti per LAssassinat du Duc de Guise, interpretato da attori della
Comdie-Franaise, primo successo internazionale del cinema francese.
Non da meno Erik Satie, che nel 1924 firma la musica per il balletto dadaista Relche di Francis Picabia che prevede anche lintermezzo Entracte,
un filmato surreale di una ventina di minuti girato da Ren Clair.
Lavvento del cinema sonoro (1929) calamita linteresse di alcuni reduci
del Gruppo dei sei (Auric, Tailleferre, Honegger, Milhaud) e segna una svolta nella cinematografia francese fra le due guerre. In Italia si distingue subito
la musica ritmicamente vivace, melodica e tonale di Nino Rota, che dal 1933
compone un centinaio di colonne sonore per i maggiori registi italiani. La
nuova tecnologia rende il cinema ancora pi popolare e convince i governi
dittatoriali europei a sfruttarla con obiettivi propagandistici. Si distingue
lUnione Sovietica, che mobilita i suoi migliori talenti. Uno dei primi appunto Prokofev. Il tenente Kij ha subito successo, sia come colonna sonora
sia come suite sinfonica in quattro movimenti. Ottima anche laccoglienza
al cinema del film Aleksandr Nevskij con la sua importante colonna sonora
fatta di 18 numeri dai quali sono derivati i 7 della cantata sinfonica. Trionfa
in sala da concerto pure la cantata, eseguita per la prima volta alla Filarmonica di Mosca il 17 maggio 1939, diretta dallo stesso Prokofev in una serata
dedicata al sessantesimo compleanno di Stalin. Film e cantata spariscono
dalla circolazione poche settimane dopo, quando viene firmato il patto di
non aggressione fra Hitler e Stalin. Tornano come inni alla grande guerra
patriottica nel 1941, quando i tedeschi ridiventano nemici, come prima della
Rivoluzione dottobre, come nel lontano Medioevo.
Finita la guerra, dissolti i temi propagandistici, archiviate le tecniche di
montaggio e di ripresa, resta viva la musica intensa e talvolta fracassona di
Aleksandr Nevskij. Il suo valore sta nella capacit di Prokofev di raccontare
situazioni e personaggi con un linguaggio diretto e universale, forte di una
consolidata esperienza teatrale e ancor pidelle sue radici russe, mai dimenticate durante i viaggi in America, la residenza in Francia, i concerti in Europa, la difficile vita in Unione Sovietica. Non banale cosmopolitismo quello
che rende Aleksandr Nevskij una delle pi importanti musiche dedicate al
cinema secondo una prospettiva classica, non commerciale. un solido
punto di partenza per il tanto che viene dopo, in Unione Sovietica e ancor
pi nel resto del mondo.
Ascolti
S. Prokofiev, Aleksandr Newski, etc., C. Abbado, London/Chicago Symphony Orchestra,
dg 1995
D. Shostakovich, The Film Album, R. Chailly, Royal Concertgebouw Orchestra, Decca
1999
N. Rota, Film Music, G. Gelmetti, Orchestre Philharmonique de Monte-Carlo, Capitol
1992
Letture
G. Morelli, Prima la musica, poi il cinema. Quasi una sonata: Bresson, Kubrick, Fellini,
Gal, Marsilio, Venezia 2011
M. Cooke, A History of Film Music, Cambridge University Press, Cambridge 2008
S. Prokofev, Diario. Viaggio in Bolscevisia, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1991
questa volta dedicato alla festa del lavoro del Primo maggio, preceduto da
due movimenti solo strumentali.
La Quarta sinfonia (1936) va oltre: aumentano la dimensione e limpegno.
Interviene per il caso dellopera Lady Macbeth del distretto di Mzensk,
stroncata sulla Pravda da un articolo anonimo ma di sicuro voluto da Stalin.
ostakovi teme per la sua vita e ritira la Quarta sinfonia, gi programmata
per la prima esecuzione a Mosca. Scrive velocemente una nuova sinfonia, la
Quinta, e la fa precedere dalla famosa dichiarazione: Risposta a una giusta
critica. Ottiene il risultato voluto. Lautocritica non richiesta, ma suggerita
da un consigliere influente, porta al rientro ufficiale del presunto dissidente
ostakovi nella cultura degli ultimi anni trenta, quando Stalin elimina fisicamente chi non gli piace. In realt, la Quinta non tanto diversa dalle sinfonie precedenti, tanto meno dalla Quarta. Sono soltanto sfoltite le ricerche
sul suono, gli agglomerati poliritmici, le dissonanze pi sfacciate. Per la
conclusione positiva, piena di fanfare e colpi di piatti, a dare quel senso di
sano ottimismo che il dirigismo etico-sovietico di allora gradisce e impone.
Non serve, nella Quinta, la presenza del coro e delle parole. Funziona meglio
la naturale ambiguit semantica della musica pura, solo strumentale. Ha lo
stesso spirito la Sesta sinfonia (1939), pi breve, forse perch immaginata con
un finale corale mai composto sul poema Lenin di Vladimir Majakovskij.
Inizia la strana storia della Settima.
Appunti per la nuova sinfonia risalgono alla fine degli anni trenta, a seguito dellinteresse di ostakovi per la scrittura della Sinfonia di salmi di
Stravinskij, portavoce del senso di angoscia tanto diffuso nellUnione Sovietica di quei tempi. Gli schizzi per il gran crescendo della Settima risalgono
alla primavera del 1941, prima dellinvasione tedesca. Lassedio parziale di
Leningrado va dal 9 settembre al 5 dicembre, lasciando aperta solo la strada
sui ghiacci del lago Ladoga. Insieme ad altri artisti e allintera orchestra filarmonica, ostakovi fatto sfollare in ottobre dalla citt. Porta con s il primo
movimento completo e termina gli altri tre il 27 dicembre a Kujbyev (Samara), la citt sul Volga dove ora risiede e dove la sinfonia eseguita per la
prima volta il 5 marzo 1942. Ripresa a Mosca il 29 marzo, la Settima ha un
successo di pubblico tale da convincere la macchina della propaganda stalinista a trasformarla nel simbolo universale della resistenza al nazismo. Lautore scrive un testo esplicativo appropriato. Il microfilm della partitura
inviato in Occidente via Teheran. In una Londra devastata, Henry Wood la
presenta il 22 giugno alla bbc. Negli Stati Uniti, il 19 luglio, con la nbc Symphony Orchestra, Toscanini precede i colleghi Ormandy, Stokowski, Mitropoulos, Koussevitzky, Monteux. La popolarit diventa immensa quando, il
20 luglio, la rivista Time dedica la copertina a unimmagine di ostakovi con
lelmetto da pompiere in testa. Nel giro di un anno sono ben 62 le esecuzio-
1945 e 2000. Dalla Germania di Hitler fugge il caposcuola Hindemith: abbandonati i radicalismi giovanili, si orienta verso il rafforzamento della tonalit e del contrappunto assieme al ritrovato lirismo nella sinfonia Mathis der
Maler (del 1934, ricavata dallopera omonima) e nelle successive Sinfonia in
mi bemolle (1940), Symphonia Serena (1946), e soprattutto Die Harmonie der
Welt (1951), nuovo omaggio a Keplero e alla musica delle sfere.
Come Hindemith, Stravinskij si rifugia negli Stati Uniti, dove trova un
ambiente ricchissimo di risorse musicali: non meno di 28 orchestre di valore internazionale, altre 76 sostenute dai singoli Stati, almeno mille attive in
scuole e universit. La produzione locale di sinfonie commisurata alla
domanda. Sono tanti i seguaci del principio di costruire sinfonie partendo
da piccoli dettagli, come fa il finlandese Sibelius, che in America, per tutto
il Novecento, considerato il vero erede del Beethoven sinfonico. Il commissionante Koussevitzky attende invano per anni da Sibelius unOttava
sinfonia, da aggiungere alla trionfante Settima. Sono attivi autori di sinfonie
gli americani reduci dallinsegnamento parigino di Nadia Boulanger, in bilico fra impressionismo alla francese e sonorit jazz, con tanta voglia di libert. Nella sua Terza sinfonia (1945) Copland si ispira a ostakovi, dopo
essere stato neoclassico nella Prima (1928) e popolaresco nella Short Symphony (1933), ormai pronto per la finale conversione dodecafonica degli
anni cinquanta. Fra le 14 sinfonie di Roy Harris emergono quelle dedicate
alla battaglia di Gettysburg (Sesta, 1944) e ad Abraham Lincoln (Decima,
1960). Tenta di americanizzare la sua esperienza francese Walter Piston
nelle sue otto sinfonie (1937-65). Con nove sinfonie (1927-78) Roger Sessions parte dal neoclassicismo stravinskiano e finisce liberamente atonale,
anzi dodecafonico, nellinterpretazione lirica di Alban Berg. Non mancano
i radicali, come George Antheil che gi negli anni venti, in Europa, scrive
una Jazz Symphony (1925) e volge al patriottico con la Symphony 1942
(1942). Pure William Schuman incrocia jazz, contrappunto e neoclassicismo nelle sue otto sinfonie (1941-75). Oggi deve la sua popolarit soprattutto a George Washington Bridge (1950) per banda, omaggio allimponente
ponte di New York.
Appena sbarcato in America, Stravinskij muove le acque e scrive sinfonie
nel suo modo scarno, sempre pi neoclassico e antiromantico: Sinfonia in do
(1940) e Sinfonia in tre movimenti (1942-45), la prima giocosa con citazioni
di Rossini e ajkovskij, la seconda seriosa e contrastata, con i semi della
prossima conversione alla dodecafonia. Emerge nel frattempo il giovane
Leonard Bernstein, allievo prediletto non solo di Koussevitzky nella direzione dorchestra ma anche di Copland nella composizione, autore di sinfonie
che tutto tengono, alla maniera di Mahler e di ostakovi: il biblico di Jeremiah (n. 1, 1942), il poetico criptico di The Age of Anxiety (n. 2, 1949), le-
braismo di Kaddish (n. 3, 1963). Nel vicino Messico, per con forti legami
con i circoli davanguardia europei e statunitensi, Carlos Chvez scrive sinfonie con forte componente etnica e ideologica socialista: India (n. 2, 1936),
Proletaria (con coro, 1934), Romantica (n. 4, 1953).
In Europa, i regimi totalitari e la guerra lasciano pochi margini. In Italia
solo il neorinascimentale Malipiero continua a scrivere sinfonie di valore
internazionale: undici numerate pi altre tre non classificate, ognuna con un
titolo programmatico e in totale libert formale, scritte fra 1906 e 1971. In
Francia, spentosi Albert Roussel con i lasciti impressionisti delle sue raffinate quattro sinfonie, eleganti e cicliche, emozionali e controllate (1906,
1921, 1930, 1934), la tradizione continua con i due maggiori esponenti del
dissolto Gruppo dei sei. Il politonale Milhaud, dopo le sei miniature del
1917-23, produce dodici sinfonie di varia forma e contenuto (1939-61).
Sempre seriose e ben costruite, in tre movimenti e senza Scherzo sono le
cinque sinfonie di Arthur Honegger: la Prima (1930) aggressiva e dissonante; la Seconda (1941) per soli archi con tanto contrappunto; la Terza (1946)
detta Liturgica, legata alla fine della guerra, con il tema del Dies irae elaborato alla maniera della Leningrado di ostakovi; leggera la Quarta, Deliciae Basiliensis (1946); la Quinta Di tre re (1950) tanto cupa e negativa
quanto positivo lo sferragliare della locomotiva Pacific 231 dellormai
lontano 1923. Finita la guerra, esonda Turangalila-symphonie di Messiaen:
dura almeno 80 minuti; ha enorme orchestra con tante percussioni, pianoforte, onde Martenot; i quattro movimenti programmati allorigine diventano dieci; tornano il mito di Tristano e Isotta e il tema di amore e di morte,
come dice il titolo (in sanscrito) e come conferma lautore. Nasce come
commissione di Koussevitzky, ha una controversa prima a Boston diretta
dallassistente Leonard Bernstein, resta in repertorio grazie allamore di alcuni grandi della bacchetta.
Ralph Vaughan Williams continua a scrivere sinfonie nel dopoguerra inglese, affiancato inizialmente da Britten (Sinfonia da Requiem, 1940; Spring
Symphony, 1949), quindi dal neoapocalittico e postmahleriano Havergal
Brian (32 sinfonie, 1919-68) e dal radicale poi ricombinante Michael Tippett
(quattro sinfonie, 1945-77). Peter Maxwell Davies (quattro sinfonie, 197697) riprende i fili della tradizione novecentesca britannica, anche attraverso
la dialettica beethoveniana e il sempre presente Sibelius. Nella Germania federale si afferma Hans Werner Henze (dieci sinfonie, 1945-2000) e desta
molto interesse la Terza sinfonia (1977) di Wolfgang Rihm, per soprano, baritono, coro e orchestra su testi di Friedrich Nietzsche e Arthur Rimbaud.
Per il maggior contributo viene da oltre la cortina di ferro. Anche grazie al
successo propagandistico della Settima di ostakovi, i governi comunisti
incoraggiano la diffusione del genere sinfonico pi popolare. Nella sola Ce-
coslovacchia, fra 1945 e 1975, vengono composte non meno di 500 nuove
sinfonie, ma nessuna sopravvive nel terzo millennio. Nella Repubblica Democratica Tedesca la forte politicizzazione non lascia traccia sinfonica. Invece
il polacco Witold Lutosawski, con radici in Hindemith e Stravinskij che affondano anche nellimpressionismo francese e si ramificano in dodecafonia e
in moderna aleatoriet, d consistenza alle sue quattro sinfonie (1947, 1968,
1983, 1992). Accanto a Lutosawski si forma una moderna scuola sinfonica
polacca che porta, fra laltro, al successo planetario allinsegna della nuova
semplicit della Terza sinfonia (1976) di Henryk Grecki. Iniziata con laggressiva Trenodia per le vittime di Hiroshima (1960), la fortuna di Krzysztof
Penderecki continua con il costante ritorno ai maestri ostakovi e Mahler,
fino a Bruckner e Wagner, secondo un percorso distribuito (finora) su otto
sinfonie (1973-2008).
Linflazione sinfonica del secondo dopoguerra si fa sentire anche in Unione Sovietica, coinvolgendo i massimi e i minimi calibri. Fra i massimi, nelle
sue ultime tre sinfonie (Quinta, 1944; Sesta, 1947; Settima, 1952), Prokofev
mantiene un equilibrato rapporto fra tradizione, realismo socialista, cauta
sperimentazione. Invece, ostakovi sconfessa (anche a parole, quando let
e le mutate condizioni politiche lo consentono) linterpretazione trionfalistica della sua Settima. La vede come musica pura. I suoi programmi metamusicali condannano la brutalit della dittatura, sia di Hitler sia di Stalin. Il
suo rifiuto del trionfalismo postbellico si legge nelle otto sinfonie che scrive
dopo la Settima. LOttava (1943) una cupa e angosciosa, autentica sinfonia
di guerra. La Nona (1945) un fugace sprazzo di leggerezza. Nella Decima
(1953) si pu leggere il dramma del rapporto con Stalin. Undicesima (1957)
e Dodicesima (1961) sono un cauto e nostalgico ricordo delle illusioni create
dalle rivoluzioni del 1905 e del 1917. Seguono le meditazioni funeree sulleccidio di Babi Yar (Tredicesima, 1962), il ciclo di Lieder sul tema della morte
(Quattordicesima, 1969), laddio alla vita temperato da varie citazioni, fra le
quali louverture di Guglielmo Tell di Rossini e lannuncio di morte dal finale della Valchiria di Wagner (Quindicesima, 1971).
Ascolti
D. Shostakovich, Symphony No. 7 Leningrad, V. Gergiev, Mariinsky Orchestra, Mariinsky 2012
D. Shostakovich, Complete Symphonies, K. Kondrashin, Moscow Philharmonic Orchestra, Melodiya 2008
B. Bartk, Concerto for Orchestra, F. Reiner, Chicago Symphony Orchestra, rca 1956
Letture
L.E. Fay, Shostakovich: A Life, Oxford University Press, New York 2000
F. Pulcini, ostakovi, edt, Torino, 2008
B. Schwarz, Music and Musical Life in Soviet Russia: 1917-1970, Berrie & Jenkins, London 1972
Benjamin Britten
Interiezioni strumentali Declamato vocale Il protagonista balbetta Il mondo intorno canta Interludi marini
Le radici negli anni venti Il teatro musicale di Britten
Henze Dallapiccola Die Soldaten Nono, Maderna,
Berio
Il protagonista Peter Grimes canta da solo. Anzi non canta, piuttosto borbotta, impreca, delira, urla, appoggiando le parole su frammenti di melodie
marinare britanniche. solo con la sua voce. Non lo sostiene alcuno strumento dellorchestra. Piuttosto lo contrasta e lo seduce un coro lontano, la
voce delle sirene, il mare che lo chiama per nome. solo con le sue sventure
e la sua testa malata. Non sa reggere i compromessi imposti da una piccola
comunit di pescatori sul mare del Nord. Ha paura di se stesso, si sente colpevole per le morti accidentali dei suoi garzoni, gli pesa lincapacit di costruirsi una casa decente, magari con la vedova Ellen. Non ha la forza per
scappare. Sa soltanto reagire in malo modo. Ora perduto sulla spiaggia,
reduce dalla nuova disavventura in mare. Vaga senza meta e senza riferimenti. Un sussurro strumentale chiude questa forte scena della pazzia, variante
al maschile del classico pezzo di bravura affidato alle eroine fin dalla nascita
dellopera. Appare Ellen, lunica amica che non abbandona Grimes e che
cerca di fargli recuperare il senno. Per, anche Ellen finisce col condividere
la soluzione dellaltro amico, il capitano Balstrode: Peter deve prendere il
mare con la sua barca disgraziata e con essa sparire. Al villaggio nessuno
bader al suicidio di un pescatore reietto e disperato. La barca affonda e
cala il sipario.
La scena pi drammatica dellintera opera fatta con minimi mezzi musicali, che si assottigliano dallinizio alla fine della terribile vicenda di Peter
Grimes. Gi nellesordio (il Prologo che precede i tre atti del dramma) la
voce poggia su semplici interiezioni orchestrali quando Grimes si difende
dallaccusa di aver provocato la morte del suo apprendista. Segue il primo (e
ultimo) duetto con Ellen, con due voci sole, senza accompagnamento. Poco
dopo, soltanto minimi punti strumentali sostengono la vicenda della morte
in mare dellapprendista, raccontata da Grimes al comprensivo capitano
Balstrode. Quando Grimes, nella seconda scena del primo atto, zittisce gli
avventori del pub invocando le stelle dellOrsa e delle Pleiadi, il suo fantasticare nel vuoto sostenuto da un esile filo strumentale. Nella seconda scena
del secondo atto, il silenzio avvolge le sue illusioni di ricchezza e di matrimonio con Ellen, mentre il nuovo garzone John ascolta zitto e spaventato. Grimes davvero un uomo solo, nella musica come nella storia che scorre in
scena. Forse soltanto il povero ragazzo John, tolto dallorfanotrofio per diventare lennesima vittima del manesco pescatore, pi solo di Grimes: non
apre bocca, gira impaurito, presago della morte che lo attende, tanto accidentale quanto inevitabile.
Ben diversa la musica che descrive gli abitanti del villaggio, gli altri
protagonisti. Cantano spesso in coro, si scambiano melodie di schietto sapore popolare, con ritmi e suoni ben selezionati da unorchestra di normali
dimensioni. Con voci e strumenti, Britten pu permettersi vari esercizi di
stile, ritorni al passato e omaggi al presente, come nella scena della taverna,
in chiusura del primo atto, dove una complessa fuga coinvolge tutti (Grimes
escluso). Proprio perch rende spumeggianti le parti corali e diventa virtuale nei monologhi di Grimes, lorchestra limmagine del vero antagonista, il
mare. Ne esalta la forza e il mistero quando tacciono le voci, nei sei interludi
marini che separano scene e atti. Allinterno del comune contenitore marino,
i titoli di quattro interludi (Alba, Tempesta, Mattina di un giorno di
festa, Chiaro di luna) indicano altrettanti omaggi allimpressionismo di
Debussy. La musica non da meno, appena pi aspra, meno sinuosa. Il
quinto interludio, Passacaglia, ricorda il passato pi lontano dellamato
Purcell, di cui Britten si sente continuatore, dopo un quarto di millennio di
colonizzazione continentale della (musicalmente) sterile Inghilterra. Non
un caso se la composizione sinfonica pi famosa di Britten, The Young Persons Guide to the Orchestra (1946), una serie di variazioni con fuga finale
sul tema di una musica di scena di Purcell. Come sono da gustare, in Peter
Grimes, i riferimenti alla tradizione corale e strumentale della perduta civilt
musicale elisabettiana.
In Peter Grimes troviamo tuttavia tanti elementi propri del tempo di
Britten. La storia, in primo luogo. Come Wozzeck e Lulu di Berg, come
Jenfa e Kta Kabanov di Janek, come Lady Macbeth di ostakovi, il
pescatore Grimes alle prese con un ambiente che opprime e piega la sua
(debole) natura. Un pescatore vero di nome Grimes agisce negli stessi luoghi
nel primo decennio dellOttocento ed descritto come malfattore pazzoide
nel racconto The Borough (1810) di George Crabbe, un poeta narratore realista ammirato da Walter Scott e George Byron. Britten affascinato dal
personaggio, per, al contrario di Crabbe, ne fa un emarginato dal fondo
buono, sia pure pieno di problemi. Gli fa cantare in scena parole che sceglie
con cura e che affida alla penna del librettista Montagu Slater, in un rapporto che ricorda quello fra il musicista Verdi e il librettista Piave. Il pescatore
Grimes di Britten ha contro di s una societ malata: un giudice trombone e
un prete ubriacone, una tenutaria con due ragazze di vita, una dama tossicodipendente e un farmacista spacciatore. Sono questi i sordidi personaggi che
rendono simpatico il sanguinario Mackie Messer della Dreigroschenoper di
Brecht-Weill, nella taverna di Wozzeck, nelle strade di Porgy and Bess. Laccorta disposizione di scene, arie e concertati mostra completa assimilazione
del teatro dopera italiano, dellultimo Verdi e dellintero Puccini, in particolare nella figura di Ellen. Dallarea tedesca emergono i concisi motivi conduttori (Leitmotiv), appena accennati per, anzi, spesso ridotti a lampi timbrici.
Con tanti ingredienti cos ben disposti, non sorprende il clamoroso successo della prima rappresentazione, a Londra, solo un paio di mesi dopo la
fine della guerra. Britten si afferma come il maggiore compositore dopera
inglese dopo Purcell e produce altre 13 opere. La sua musica cambia poco,
continua la fiducia nella parola e nei personaggi di Guy de Maupassant,
Herman Melville, Henry James, Thomas Mann. Affiorano temi diversi in
varie circostanze: tragedia antica nel Ratto di Lucrezia (The Rape of Lucretia,
1946); triangolo amoroso tutto maschile su una nave da guerra in Billy Budd
(1951); eventi soprannaturali in Il giro di vite (The Turn of the Screw, 1954);
dimensione televisiva in Owen Wingrave (1971); fascino delladolescente che
distrugge un uomo maturo in Morte a Venezia (The Death in Venice, 1973).
Nel teatro dopera del Novecento, Britten porta un repertorio importante, analogo per volume e per omogeneit interna a quello di Richard Strauss.
Per, come Strauss, Britten non costruisce una scuola. Ha vicino il connazionale poliedrico Michael Tippett, la cui musica fatica ad attraversare la Manica: sia lopera desordio The Midsummer Marriage (1952) sia lultima The
Knot Garden (1970). Nel continente, solo il tedesco Hans Werner Henze
crede ancora, con lui, nella storia e nella parola. Non meno prolifico (oltre 30
titoli, 1948-2010), eclettico nelluso di dodecafonia e atonalit mescolate a
musica leggera e jazz, Henze mette a segno buoni successi con Boulevard Solitude (1951), Knig Hirsch (1956), Der Prinz von Homburg (1960), Elegie fr
junge Liebende (1961), Der junge Lord (1965). Suscita molto interesse la sua
rivisitazione del teatro greco e delle Baccanti di Euripide in Die Bassariden
(1966), costruita come sinfonia in quattro movimenti. Seguono la favola Pollicino (1980) e i drammi Das verratene Meer (1990), Phaedra (2007), Gisela!
(2010). Oltreatlantico, emergono affinit con Britten nel verismo ancora romantico di Giancarlo Menotti (The Consul, 1950; The Saint of Bleecker Street,
1954) e Samuel Barber (Vanessa, 1958; Antony and Cleopatra, 1966), peraltro
entrambi pi sensibili alla tradizione pucciniana.
Ben diverse sono le scelte di unaltra corrente operistica che, pur partendo dallimmancabile Wozzeck, vuole rendersi autonoma dalla parola e dalla
tradizione drammatica per concentrarsi su un teatro di emozioni in cui la
ricerca sulla sintassi musicale ha un ruolo preminente. Litaliano Luigi Dal-
Bchner e dunque la musica di Berg. Tornando direttamente a Lenz, Zimmermann chiude con il passato un cerchio che tutto contiene. A sua volta,
nel 1979, Wolfgang Rihm costruisce sulla schizofrenia descritta da Bchner
lopera da camera Jakob Lenz, uno dei drammi musicali pi intensi del nostro tempo. Emarginazione, degradazione, pazzia, fuga dalla realt e istigazione al suicidio paiono i valori dominanti nel teatro musicale del Novecento
e nei luoghi che fanno da sfondo: il Giappone di Butterfly, la Bretagna senza
tempo di Mlisande, la Moravia agraria di Kta Kabanov, la Germania
militarista di Maria/Lulu/Marie. Sono sempre le donne a fare una brutta fine, tranne che nellInghilterra marinara e omofoba di Peter Grimes.
Ascolti
B. Britten, Peter Grimes, B. Britten, Royal Opera House Chorus & Orchestra Convent
Garden, Decca 2001
D. Shostakovich, Lady Macbeth of Mtsensk, M. Rostropovich, London Philharmonic
Orchestra, emi 2009
B.A. Zimmermann, Die Soldaten, M. Gielen, Grzenich-Orchester Kln, Wergo 2008
Letture
C. Seymour, The Operas of Benjamin Britten: Expression and Evasion, Boydell Press,
Rochester 2007
M. Cooke (a cura di), The Cambridge Companion to Benjamin Britten, Cambridge University Press, Cambridge 1999
rice Ravel in LEnfant et les sortilges (1925) e in Tzigane (1924) per violino
e pianoforte. Cowell il primo ad agire sulle corde con mani e spazzole.
Cage pi metodico e definisce con precisione, in apposite tabelle, quali
sono gli oggetti da utilizzare (metalli, legni, gomme, cartoni) e in che punto
vanno collocati. Lapproccio allobiettivo finale graduale. Nel primo lavoro, Baccanale (1940), dodici note del pianoforte danno un effetto di percussione grazie agli inserti di gomma. Si continua con le otto viti di Totem
Ancestor (1942) e con una trentina di altri lavori con pianoforte singolo,
doppio, associato a strumenti. Un punto di arrivo la collezione Sonatas
and Interludes, un ciclo di 20 (16+4) brevi pezzi, scritto nel 1947-48, con
complicata preparazione di 45 note, dettata da una sequenza di stati danimo definita dalla filosofia indiana. Altro punto fermo il Concerto per pianoforte preparato e orchestra da camera (1951). In tutti questi lavori, la novit una scrittura pianistica che, alla vista, appare del tutto normale, anzi
iperclassica, quasi mozartiana; invece, allascolto, produce un intrico di
suoni distorti e suoni normali. Grazie al pianoforte preparato, lamericano
Cage riesce cos a trasformare il pianoforte in un vero strumento a percussione, anzi in un pratico intonarumori, secondo la visione dei futuristi italiani Russolo e Balilla Pratella. Il risultato casuale solo in apparenza, perch in realt fissato dalla geometria della preparazione dello strumento,
voluta dallautore. Non c flessibilit timbrica, non ci sono margini di libert per lesecutore. Lautore sempre il protagonista.
Molti dei lavori per pianoforte preparato sono scritti per il ballerino, coreografo e compagno di vita Merce Cunningham, che Cage conosce nel 1938.
Resta forte il rapporto con le arti visive. Altri brani sono ispirati dalle sculture mobili di Alexander Calder, dalle creazioni surreali di Marcel Duchamp,
dalla mania per il dettaglio di Jasper Johns. Lesperienza col pianoforte solo
si completa nel 1954 con 3446.776 e 3157.9864, lavori che gi nel titolo
definiscono la durata cronometrica e confermano lossessione genetica per
laccurata misura del tempo. quanto succede nel celeberrimo e non meno
provocatorio 433 (1952), nel quale per la preparazione dello strumento
irrilevante, dato che il pianista si limita a chiudere e a riaprire tre volte lo
strumento senza fargli emettere alcun suono. Qui i ruoli sinvertono: sono il
pianoforte e il suo interprete che ascoltano muti il suono dellambiente che li
circonda. Mentre il pubblico deve imparare a inventarsi un modo di ascoltare tutto personale. Il principio identico a quello proposto un anno prima
dal vate della Pop Art Robert Rauschenberg con White Paintings: due righe
orizzontali dividono una tela bianca in tre parti uguali, osservando le quali si
pu contemplare il mutare della luce del giorno.
La scoperta di I Ching apre a un nuovo tipo di casualit immanente e il
pianoforte di Music of Changes unimmediata applicazione. Nello stesso
tempo, Cage rende variabile la sorgente sonora, mantiene il metodo ma rende aleatorio il timbro: non pi il suono familiare del pianoforte, ma limprevedibilit assoluta del contenuto di dodici emittenti radiofoniche indipendenti. Imaginary Landscape No. 4 (1951) chiede dodici apparecchi radio
manovrati ciascuno da due esecutori: uno cambia la sintonizzazione, laltro
cambia il volume. Le prescrizioni di una partitura generata col metodo I
Ching sono scandite da un direttore a capo di unorchestra di 12 apparecchi
radio e 24 esecutori, pi uninfinit dignari produttori dei suoni che provengono dalletere. Sciolto il controllo sul materiale, Cage prova a sciogliere
quello sul metodo di composizione, spersonalizzando il ruolo dellautore e
scaricando le maggiori responsabilit creative sullesecutore/interprete. Le
indicazioni diventano pi vaghe, le discipline meno stringenti. Nasce la notazione grafica, in cui non esiste pi il tradizionale pentagramma, sostituito
da segni e disegni che suggeriscono azioni musicali liberamente interpretabili dagli esecutori. I primi risultati sono un nuovo concerto per pianoforte
(non preparato) e orchestra (1958) e una serie di Variations che inizia nel
1958 e prosegue con altri sette numeri fino al 1968: punti, righe, angoli sono
disposti su fogli trasparenti da sovrapporre fra loro a suggerire reazioni musicali a un gruppo non identificato di strumenti e di esecutori. La libert di
azione tale che cambia il concetto stesso di concerto. Il pubblico non si limita ad ascoltare ma partecipa allevento, cio allhappening, il termine coniato nel 1957 da Allan Kaprow per descrivere un incontro-spettacolo organizzato nellallevamento di polli del pittore scultore della Pop Art George
Segal mobilitando le arti pi varie, che hanno in comune il solo fatto di
sparire nel momento in cui nascono.
Il messaggio di Cage arriva forte e chiaro in unEuropa che, dalla fine
della guerra, lavora sui termini opposti della serializzazione integrale, cio il
congelamento di tutti i parametri musicali e la ricostruzione a partire da essi.
Boulez, nella giovanile veste di teorico, inizia subito un contatto epistolare
con Cage ma fatica a prevederne le conseguenze. Lo strutturalista francese si
rende conto che le sue matrici formato 12 x 12, generative dei suoni parametrati del proprio Structures per due pianoforti, iniziato nel 1951 e mai terminato, in paradossale coincidenza con le tabelle I Ching del libertario americano. A sua volta, il tedesco Stockhausen con i Klavierstcke i-xi esplora la
via che porta a risultati casuali per eccesso di razionalit. Lultimo di questa
serie propone 19 frammenti che linterprete pu eseguire nellordine che pi
piace. Quando i due europei si convincono che Cage e la sua scuola arrivano
agli stessi risultati per via opposta, cio intuitiva, orientano la loro ricerca
verso altri lidi, anche se mantengono e sviluppano il concetto di opera aperta
e di work in progress. Nel caso di Stockhausen, i progetti pi grandi (Licht) si
chiudono dopo decenni. I lavori di Boulez restano in pratica sempre aperti.
parte volutamente imprecisa (indefinita) affidata alla sensibilit (improvvisatoria) degli interpreti, assistiti dalle parole del folle poeta Friedrich Hlderlin disperse in partitura, parole che si possono leggere ma che non si
devono ripetere.
Ascolti
J. Cage, Music of Changes, D. Tudor, wdr 1956
J. Cage, Sonatas and Interludes for Prepared Piano, B. Berman, Naxos 1999
B. Maderna, Serenata per un satellite, M. Ceccanti, Contempoartensemble, Arts Music
2005
Letture
B. Haskins, John Cage, Reaktion Books, London 2012
P. Boulez, J. Cage, Corrispondenza e documenti, Archinto, Milano 2006
M. Nyman, Experimental Music: Cage and Beyond, Cambridge University Press, Cambridge 1999
J. Cage, Silenzio. Antologia da Silence a A Year from Monday, Feltrinelli, Milano 1981
il gamelan balinese, la xylorimba il balafon africano, la chitarra il koto giapponese, flauto e viola la tradizione europea, claves, maracas e campanelli il
colore sudamericano, pi gong con tamburo piccolo, tam-tam e triangolo a
rappresentare il mondo intero. Boulez precisa che non ci sono relazioni etniche nella scelta degli strumenti, ma solo volont di integrare e disperdere il
suono della voce nella comune dimensione del rumore e della percussione.
Ruolo essenziale, nel processo, appunto riservato al flauto, che si attorciglia
alla voce umana in un memorabile duetto (terzo movimento). Come in Pierrot
lunaire di Arnold Schnberg, lorganico cambia in ogni movimento e vuole
tutti gli esecutori soltanto nellultimo.
Le scelte timbriche individuano comunque i referenti storici di questo
lavoro in s rivoluzionario. Il colore esotico suggerisce subito Debussy, sinfonico e pianistico, vitreo e dolce nello stesso tempo. I tintinnii delle percussioni intonate, le scansioni ritmiche complesse rimandano a Messiaen, in particolare a quello pi recente della Turangalila-symphonie. Evidente lomaggio
al periodo espressionista del caposcuola Schnberg, quello delle sperimentazioni sul suono della voce e sugli incroci fra parlato e cantato, dei grandi
salti di volume e di valore espressivo. Comune a Webern la scelta di togliere ogni funzione semantica al testo, in s piuttosto criptico: tre poesie tratte
dalla raccolta Le Marteau sans matre di Char, pubblicata nel 1934, coerente
con i princpi surrealistici di Andr Breton e Henri Michaux, a suo modo
funzionale anche alla volont di Boulez di mantenere un legame con la grande tradizione poetica francese di fine Ottocento, in particolare con Mallarm.
Limpatto del significato del testo comunque limitato, perch la musica
scompone le parole in fonemi che tolgono qualunque ruolo narrativo. I cinque movimenti senza voce elaborano figure musicali presenti nelle relative
parti cantate, per senza diretta contiguit e neppure percettibili relazioni
espressive.
Esplicito il riferimento a Webern e alla sua scelta di lavorare con punti
sonori piuttosto che con frasi musicali, in estrema economia di mezzi e totale razionalit di metodo. Vale soprattutto sul piano microscopico, cio sul
modo di realizzare i tre cicli e i singoli movimenti che li formano e i sottomovimenti in cui si possono ripartire. Qui la ricerca delle trame sintattiche diventa assai pi complessa. Il primo ciclo comprende un Avant (1) e un
Aprs (7), strumentali alla poesia LArtisanat furieux (3) affidata soltanto a voce e flauto. Da una serie base di 12 suoni, Boulez ricava 5 insiemi di 5
note. Le moltiplica e ottiene 25 gruppi che associa e ricombina per ricavare
sequenze da scrivere e rielaborare in partitura. Nel secondo ciclo, la poesia
Bourreaux de solitude (6) preceduta e seguita da tre Commentaire (2,
4, 8). Alle complessit di costruzione del primo ciclo, la musica aggiunge il
principio di legare ogni nota a una specifica durata e a una specifica intensi-
sfiora lora. Come sempre, i tempi di composizione sono lunghi. Una prima
versione pronta nel 1962, una riscrittura nel 1980.
Nel 1958 a Darmstadt arriva John Cage, invitato da Boulez che da tempo
ha con lui un vivace scambio epistolare. Con una serie di lezioni, seminari,
esecuzioni, happening, lamericano sconcerta tutti i razionalisti convenuti,
che scoprono lesistenza di altre vie nel futuro della musica. Non convincono
molto i risultati concreti, ma le sue argomentazioni filosofiche di origine
orientale fanno larga breccia sugli assiomi dellincompleta matematica occidentale. Boulez capisce al volo e pu sostenere (a ragione) che lui stesso,
appunto in Le Marteau sans matre ma anche in altri lavori, lascia ampi spazi
per lindeterminato; spazi riconducibili a dettagli essenziali di una struttura
resiliente. Negli anni successivi resta lindeterminazione (guidata) non pi
originata dalle macinazioni digitali, ma da un karma che a Boulez impone di
espandere elementi microscopici per contraddire la dimensione globale
senza nulla concedere al minimale.
La tecnica di Le Marteau sans matre circola nelle partiture di colleghi e
allievi, sopravvive nel tempo. Sulla valorizzazione delle note singole, intese
come atomo isolato in uno spazio a cinque dimensioni (altezza, registro,
durata, dinamica, timbro), e soprattutto sullindipendenza di testo e musica
impostato Momente (1969) per soprano, quattro cori e strumenti di
Stockhausen. Il flauto in molti casi prevale sulla voce perch lo strumento
che per fisiologia pi gli si avvicina. Ne coglie subito le implicazioni Luciano
Berio, che nel 1958 inizia la sua cinquantennale serie di esplorazioni del suono intitolata Sequenze proprio con il flauto, stimolato dalla bravura del flautista Severino Gazzelloni che di Marteau interprete fedele. Laltro aspetto
che ispira Berio il rapporto col testo. Boulez ammette che il ruolo delle
parole di Char ambiguo. Sono fonemi, non significati. Berio diventa ancora
pi radicale quando, sempre nel 1958, lavora sulle parole originali e tradotte
in altre lingue di un capitolo dellUlisse di Joyce per farne il mirabile pezzo
elettronico Thema (Omaggio a Joyce). Nel 1961 si spinge oltre con Visage per
voce femminile e suoni elettronici. Nel 1966, in Sequenza iii, Berio affida alla
sola voce il compito di ripensare la sua natura e il modo per convivere con un
passato tanto ingombrante. Stockhausen procede con la serializzazione integrale dei parametri sonori, pur applicandola con molta libert, in Gruppen
(1957) per tre orchestre distanti fra loro con aleatoriet distribuita su tre direttori. Maderna diffida dei meccanismi della composizione automatica.
Nono mette la sua musica al servizio di ideali sociali e politici.
Stravinskij, ormai convertito al linguaggio dodecafonico, segue con molto
interesse lesecuzione di Le Marteau sans matre diretta da Boulez a Los Angeles nel marzo del 1957 e ne tiene conto in Threni (1962), Variazioni (1964),
Requiem Canticles (1966). Le permutazioni timbriche tornano nellOriente
Ascolti
P. Boulez, Le Marteau sans matre, P. Boulez, Ensemble Intercontemporain, dg 2012
P. Boulez, Pli selon pli, P. Boulez, bbc Symphony Orchestra, Erato 1992
K. Stockhausen, Momente, K. Stockhausen, Chor des wdr, Ensemble Musique Vivante,
dg 1976
Letture
P. Boulez, Punti di riferimento, Einaudi, Torino 1984
P. Boulez, Pensare la musica oggi, Einaudi, Torino 1979
P. Boulez, Per volont e per caso. Conversazioni con Celstin Delige, Einaudi, Torino 1977
P. Boulez, Note di apprendistato, Einaudi, Torino 2007
Serie XII.
Ritorno alle sfere celesti
pagina scritta e che lautore non ha mai il controllo totale dellopera che
compone, mentre linterprete ha comunque lultima parola. Come un autore
di musica elettronica, Gould ascolta, taglia e cuce i nastri magnetici appena
registrati per trovare nella somma dei dettagli la sintesi assoluta. Maniaco e
pignolo, si fida soltanto di pochi tecnici del suono e del suo pianoforte, un
po vecchiotto, per dotato di un suono pi metallico e secco del normale.
Laccordatura di quel pianoforte unoperazione delicatissima, possibile
soltanto con una persona di fiducia sotto stretta osservazione. In fondo, il
principio non diverso da quanto, proprio in quegli anni, fa John Cage per
il suo pianoforte preparato. il suono che si piega alla peculiare tecnica
individuale di Gould e che permette il miracolo di trasparenze dei risultati,
in Bach come in Schnberg.
Ascolti
J.S. Bach, Bach: The Goldberg Variations (1955 Performance), G. Gould, Sony 2007
G. Gould, The Complete Original Jacket Collection, Sony 2007
Letture
G. Gould, Lala del turbine intelligente, Adelphi, Milano 1993
K. Hafner, Glenn Gould e la ricerca del pianoforte perfetto, Einaudi, Torino 2009
R. Diem Tigani, Custodi del suono. Un secolo e mezzo di storia della riproduzione sonora,
Zecchini, Varese 2012
J.J. Nattiez, Il combattimento di Crono e Orfeo. Saggi di semiologia musicale applicata,
Einaudi, Torino 2004
case private. Si diffonde lidea che i nuovi mezzi tecnologici non vadano
bene soltanto per riprodurre, diffondere e conservare la musica, ma possano
essere usati per creare musica diversa e nuova; e anche per sottrarsi alle mediazioni degli interpreti. Proprio negli anni trenta-quaranta, il bizzarro
americano Conlon Nancarrow tenta di risolvere per via meccanica la manifesta incapacit degli esecutori di sciogliere i suoi assurdi nodi ritmici. Lo fa
incidendo a mano le tracce sui rulli di carta della pianola meccanica. Lintroduzione della registrazione su nastro magnetico semplifica le cose e nel 1948
lingegnere acustico e musicista Pierre Schaeffer inaugura lo studio di fonologia della radio francese. Lidea di registrare i suoni della vita concreta, da
elaborare con macchine elettroniche e poi mescolare con generatori di suoni
artificiali liberando la fantasia dallobbligo di scrivere note e dallalea di
farli eseguire (interpretare) da altri. La Symphonie pour un homme seul
(1950) di Schaeffer e del suo collaboratore Pierre Henry la prima realizzazione completa del progetto. Un anno dopo pronta la prima opera teatrale
con musica concreta, non a caso intitolata Orpheus.
Il laboratorio di Schaeffer interessa subito allo sperimentale Messiaen,
che per non approfondisce, impegnato com nella composizione di Turangalila-symphonie e poi assorbito dalle ricerche sul canto degli uccelli. Ne
sono invece entusiasti due allievi di Messiaen, il francese Boulez e il tedesco
Stockhausen. Pi che registrare e incollare suoni e rumori esistenti in natura,
i due vedono la possibilit di creare suoni puri, ottenuti per sovrapposizione
e combinazione di onde sinusoidali generate da precisi algoritmi e dunque
sottratte allirrazionalit della natura. Trovano terreno fertile a Colonia, dove
fin dal 1950, attivo un laboratorio di musica elettronica diretto dal musicista e musicologo Herbert Eimert.
Si realizza un sogno nato con le applicazioni dellelettricit nellOttocento, con linvenzione della registrazione su fonografo a rullo (Edison, 1877)
e del triodo (De Forest, 1906), che permette di regolare la corrente in un
tubo sotto vuoto e dunque di amplificare o attenuare la vibrazione di una
qualunque fonte sonora, anche artificiale. Busoni, gi nel Saggio di una nuova estetica musicale (1907), pensa al suono elettrico in vista della musica del
futuro. Nel suo Manifesto tecnico della musica futurista (1911), Balilla Pratella fissa lobiettivo di far entrare la musica nel regno vittorioso dellelettricit. Attorno al 1920 il russo Lon Theremin costruisce il primo generatore
elettronico di suoni intonabili, che nel 1929 lamericano Laurens Hammond
perfeziona e trasforma in organo domestico. Nel 1928 Maurice Martenot
presenta lo strumento che porta il suo nome e che trova adepti nei francesi
Jolivet e, soprattutto, Messiaen. Americano, ma protagonista della vita intellettuale parigina degli anni venti, da sempre cultore della musica sperimentale, George Antheil fra i primi a impostare unopera teatrale (Mr. Bloom
sky, assieme a Otto Luening (allievo di Busoni), elabora nel 1952 due pezzi in
cui il flautista dialoga con se stesso registrato e mescolato con altri suoni su
nastro magnetico in Fantasy in Space e Low Speed. Ai lavori di Ussachevsky e
Luening dedicato il primo concerto di musica elettronica, organizzato il 28
ottobre 1952 al Museum of Modern Art di New York. Due anni dopo esce
anche Dserts per complesso da camera e nastro magnetico di Edgard Varse,
diretto da Maderna e con la regia del suono di Stockhausen per la prima
esecuzione ad Amburgo. Varse firma anche Pome lectronique su commissione della Philips e diffuso ai visitatori del padiglione disegnato da Le Corbusier per lEsposizione universale di Bruxelles del 1958.
In Europa, lo studio di fonologia di Parigi continua a lavorare nellambito della musica concreta, sotto la direzione di Schaeffer e Henry. Invece lo
studio di Colonia, diretto da Eimert e frequentato per tutti gli anni cinquanta da Stockhausen e dal gruppo di Darmstadt, sindirizza sullelaborazione
di suoni generati da sorgenti musicali tradizionali (voci, strumenti) e artificiali in combinazione fra loro. Gesang der Jnglinge un primo punto di
arrivo. La sua fortuna sta nel dolce lirismo che mantiene il canto e nel timbro
etereo della voce bianca, innaturale come il suono elettronico che lo avvolge.
Contribuisce larchitettura a suo modo classica, quasi alla maniera di rond,
con la voce che appare e scompare, e lattenzione che deriva dallattesa di
uno scioglimento narrativo delle parole che affiorano per frammenti. Lavora
allo studio di Colonia anche lesule ungherese Gyrgy Ligeti, che rovescia i
ruoli e usa il suono elettronico per imitare la voce (che non c) in Artikulation (1958), necessario preludio alla trasformazione del timbro orchestrale
in suono elettronico del suggestivo Atmosphres (1961).
Lattenzione per le risorse timbriche della voce massima in Thema
(Omaggio a Joyce) (1958) di Luciano Berio. Il rapporto col testo soltanto
musicale. Lundicesimo capitolo dellUlisse di James Joyce costruito secondo
i princpi di polifonia rinascimentale della fuga per canonem. Berio riporta
lartificio letterario di Joyce al suo alveo musicale. Utilizza il testo nella versione originale inglese e nelle traduzioni in lingua italiana e francese. Lo fa leggere alla cantante Cathy Berberian. Registra su nastro, scompone consonanti,
vocali, sillabe in frammenti che sovrappone e ricompone con gli apparecchi
elettronici ma senza aggiungere suoni artificiali. Alla fine non pi possibile
distinguere fra parola e suono, tra suono e rumore, tra poesia e musica, ma
dove ancora una volta diveniamo consapevoli della natura relativa di queste
distinzioni e dei caratteri espressivi delle proprie cangianti funzioni.
Negli anni cinquanta cresce il numero degli studi di fonologia e hanno
particolare importanza quelli della Philips a Eindhoven, della bbc a Londra,
del direttore dorchestra Hermann Scherchen a Gravesano, della rai a Milano fondato nel 1955 da Berio e Maderna. Luigi Nono coglie lopportunit di
Ascolti
Forbidden Planets: Music from The Pioneers of Electronic Sound, Chrome Dreams 2009
K. Stockhausen, Complete Edition, Stockhausen Verlag 2013
L. Berio, B. Maderna, I. Xenakis, M. Kagel, Moments: Homage to Joyce, Continuo, OrientOccident, Transition 1, Philips 1970
Letture
P. Manning, Electronic and Computer Music, Oxford University Press, New York 2004
R. Doati, A. Vidolin, Nuova Atlantide. Il continente della musica elettronica 1900-1986,
Ed. La Biennale di Venezia-eri, Venezia-Roma 1986
1957Agon
Igor Stravinskij
La conversione dodecafonica di Stravinskij Il balletto
astratto di Balanchine La scuola seriale americana: Copland, Sessions, Babbitt In memoriam Dylan Thomas
Canticum sacrum Serialit come polo necessario
della lingua arcaica Modo per tornare a scrivere musica
religiosa Una nuova religiosit dalloriente dEuropa
Ascolti
I. Stravinsky, Canticum Sacrum, Agon, Requiem Canticles, M. Gielen, swr Sinfonieorchester Baden-Baden und Freiburg, swr Vokalensemble Stuttgart, Hnssler Classic 2008
Balanchine Ballets, emi 2011
Letture
J. Passler (a cura di), Confronting Stravinsky: Man, Musician, and Modernist, University
of California Press, Berkeley 1986
N. Goldner, Balanchine Variations, University Press of Florida, Gainesville 2008
R. Gottlieb, George Balanchine: The Ballet Maker, HarperCollins, New York 2004
R. Craft, Stravinsky: the Chronicle of a Friendship, 1948-1971, Albert A. Knopf, New York
1972
Quartetto come confessione personale Nostalgia dellOttocento romantico I modelli di Mozart, Haydn e Beethoven Le memorie della guerra Il senso della fine Berio,
Nono, Stockhausen, Scelsi, Ferneyhough, Rihm, Glass,
Reich, Carter, Rochberg, Ads, Kurtg
d-(e)-s-c-h, nella notazione alfabetica tedesca, corrispondono alle note re-mi
presto invecchiato di ostakovi, appartengono al passato. Il movimento finale (Moderato) ancora una volta severo, inizia da un passaggio del
violoncello dellAdagio e si pone come sintesi dei quattro movimenti che
lo precedono.
I seguenti quattro quartetti seguono a intervalli regolari, tanto diversi
nella forma quanto omogenei nella sostanza, intrecciati con espliciti momenti affettivi e personali. Tutti hanno un che di sinistro. Il Quarto (1949) ha in
seconda posizione un valzer triste e in quarta (e ultima) una danza macabra
su temi ebraici, immagine dei terribili balli forzati a Treblinka, davanti alle
fosse ancora vuote, prima dellesecuzione. Il Quinto (1953) cita lavori precedenti e presenta la formula dsch che torna anche nel Sesto (1957), oltre che
nella Decima sinfonia. Il Settimo (1960) il pi breve, ha solo tre movimenti,
molto contrastati. LOttavo il punto di arrivo di un percorso artistico e
umano che il contatto con la tragedia di Dresda risveglia e congela. Le
citazioni si affollano, e hanno una patina grigia. Continua la memoria del
passato e la voglia di silenzio nei sette quartetti successivi.
Nel Nono quartetto (1964) louverture di Guglielmo Tell di Rossini lega
motivi klezmer, ricordi di Boris Godunov di Musorgskij, polka grottesca,
echi jazz. Nel Decimo (1964) campeggia una passacaglia con otto variazioni.
LUndicesimo (1966) una suite in miniatura in sette movimenti, con violoncello che prevale perch la dedica va al titolare dello strumento nel quartetto
Beethoven. Dodicesimo (1968) e Tredicesimo (1970) segnano un parziale avvicinamento alla dodecafonia senza che ci sia abbandono della tonalit, come succede nella Sonata per violino e pianoforte op. 134 e nella Quattordicesima sinfonia op. 135. Il Quattordicesimo quartetto (1974) ricorda ancora
Lady Macbeth, ma anche la popolare Leggenda valacca dellitaliano Gaetano
Braga, citata in un bel racconto di echov. Infine il Quindicesimo (1974)
costruito a immagine del sesto e ultimo di Bartk, cio come successione di
sei Adagio, ciascuno temperato da altre denominazioni (Elegia, Serenata, Intermezzo, Notturno, Marcia funebre, Epilogo) che tuttavia non vogliono scalfire la monotonia: musica di Passione, non meno
delle Sette ultime parole di Haydn.
I quartetti di ostakovi, soprattutto lOttavo, entrano nel repertorio
delle maggiori formazioni del tempo, non solo in quelle sovietiche Beethoven e Borodin. Sono apprezzati in Occidente, stimolano altri autori a riprendere un genere trascurato negli anni quaranta e cinquanta. Mantenendosi
entro lambito tonale, dopo una pausa durata trentanni, Britten scrive nel
1974 il suo terzo e ultimo quartetto, ispirato dalla visita dellamico ostakovi
ad Aldeburgh nello stesso anno. Lungherese Ligeti, cambia registro dopo la
fuga in Occidente, e nel 1968 scrive un secondo quartetto in cinque movimenti, fra loro ben distinti e funzionali alla volont di sperimentare senza
rompere col passato dei classici e dei contemporanei, con Bartk e Berg in
particolare: primo tempo frammentato, secondo lirico, terzo pizzicato, quarto contrastato (Presto furioso, brutale, tumultuoso), quinto che riassume
(Allegro con delicatezza). Per quartetto, scrive cose importanti anche il
polacco Lutosawski. Prima, con Five Songs (1957) e Muzyka aobna (1958),
abbandona il filone nazionalpopolare e sviluppa la sua personale dodecafonia concentrata non sulla serie completa ma su singoli intervalli. Negli anni
sessanta lo affascina lalea. In Jeux vnitiens per piccola orchestra affida al
direttore il compito di stabilire quanto a lungo i singoli orchestrali possono
suonare la loro parte, definita in ogni dettaglio ma indipendente da quella
dei colleghi. precisa la scrittura, aleatorio il risultato. Succede cos anche
nel suo Quartetto (1964), con la cruciale differenza che non esiste un direttore che sincronizza.
Rinasce linteresse per il quartetto anche presso i radicali della Scuola di
Darmstadt, nonostante il loro teorico Boulez nel 1951 lo definisca un relitto
del passato. In Sincronie (1964), Berio traduce nel linguaggio del quartetto
le complicazioni ritmiche e le spazialit delle quattro orchestre di Gruppen
di Stockhausen. Pi tardi, Luciano Berio torna alla pi classica delle formazioni cameristiche con lesplorazione di silenzi e suoni tenui di Notturno
(1993). Il cultore della musica statistica Iannis Xenakis scrive quartetti: inizia
con st/4 (1962) e chiude con la terna Tetras, Tetora, Ergma (1983, 1990,
1994). Luigi Nono combina il suono dei quattro archi con tanti silenzi e
rende omaggio a Verdi, Beethoven e Machaut oltre che al poeta Friedrich
Hlderlin nel raffinato Fragmente Stille, An Diotima (1979-80). Lallievo
Helmut Lachenmann lo segue con Gran Torso (1988), Reigen seliger Geister
(1989), Grido (2002). Ritrova colori impressionisti il francese Henri Dutilleux (Ainsi la Nuit, 1977) e linglese Thomas Ads che in Arcadiana (1994)
accoglie antichi valori di idilliaco descrittivismo del mito di Venezia. Sispira
alla mistica orientale litaliano Giacinto Scelsi (Secondo quartetto, 1961;
Quinto, 1985). Di un altro autore inglese, Brian Ferneyhough, si notano le
complessit di scrittura e concezione di Sonatas, String Quartets 1-6, Dum
transisset i-iv (2007), Exordium (2009).
Il 26 giugno 1995, ad Amsterdam, durante il festival di Olanda, Stockhausen realizza un suo sogno: porta i quattro esecutori in cielo, imbarcandoli su
altrettanti elicotteri per eseguire il suo Helicopter Quartett con le pale che
fanno da metronomo e assicurano il rumore di fondo mentre microfoni e
trasmettitori mandano il suono del Quartetto Arditti agli amplificatori che
diffondono la musica agli spettatori a terra. Radicale ma sempre attento alla
grande tradizione europea, anche classico-romantica, negli Stati Uniti, Black
Angels (1970) di George Crumb diventa il battesimo pubblico per il Kronos
Quartet, che a sua volta stimola un gran numero di nuovi lavori sperimenta-
li. Il minimalista Morton Feldman firma nel 1983 il pi lungo quartetto mai
scritto: cinque-sei ore di accenni ai limiti del silenzio. Attenti cultori del genere sono anche i ripetitivi cinque quartetti (1966-1991) di Philip Glass accanto a Different Trains (1988), Triple Quartet (1998) e wtc 9/11 (2011) di
Steve Reich. Restano fedeli alla tradizione seriale e bartokiana i cinque
quartetti di Elliott Carter. Procede in senso inverso George Rochberg, che a
fine anni sessanta abbandona il rigore seriale dei suoi primi lavori per ritrovare espressivit nel sistema tonale, creandosi la nomea di neoromantico
conservatore con i suoi ultimi quartetti (n. 3-7, 1964-89). Officium breve
(1989) di Kurtg pare gi una sintesi assoluta, una radice quadrata dellasciuttezza weberniana. Crede ancora profondamente nel presente e nel futuro del genere tutto il prolifico tedesco Wolfgang Rihm nei 13 lavori che
scrive fra 1966 e 2011.
Ascolti
D. Shostakovich, Complete Quartets, Borodin Quartet, Melodiya 2008
L. Nono, Fragmente Stille, an Diotima for String Quartet, LaSalle Quartet, dg 1993
S. Reich, Different Trains, The Smith Quartet, Signum 2005
Letture
E. Johns, Intimate Voices: The Twentieth-Century String Quartet, 2 voll., University of
Rochester Press, Rochester 2009
J. McCalla, Twentieth-Century Chamber Music, Routledge, London 2003
K. Meyer, Dmitri Schostakowitsch: Sein Leben, sein Werk, seine Zeit, Atlantis MusikbuchVerlag-Schott Musik International, Zrich-Mainz 1998
Benjamin Britten
Parole della liturgia e versi della guerra Requiem laici nel
Novecento: Delius, Weill, Britten, Zimmermann Ritorno
alla musica sacra nel secondo Novecento: Messiaen,
Schnittke, Prt, Ligeti, Penderecki Nuova semplicit di
Tavener e vena lirica di Lloyd Webber
Le tante forze mobilitate sono impegnate insieme soltanto nellultima sezione della grande partitura, Libera me, Domine. Mentre tenore e baritono
continuano il loro triste duetto, sinseriscono i cori di voci bianche e di
adulti con soprano solista, lorchestra sinfonica rinforza quella da camera,
assieme a organo, campane e altre percussioni. Tutti invocano In paradisum, cercano una pace che potrebbe anche non venire, perch le ultime
parole (appunto Requiem aeternam, requiescant in pace) si perdono nel
buio di un pianissimo riservato ai cori, che sfuma in un silenzio spettrale e su
una lontana eco di campane. una conclusione a grande effetto, che giunge
dopo oltre unora di accurata preparazione e di precise intersezioni di diversi piani sonori. Le voci soliste di tenore e baritono si appoggiano a un filo
strumentale ricavato da un complesso cameristico formato da quartetto
darchi, strumentini (ottavino e flauto, clarinetto e corno inglese, fagotto),
un corno, unarpa, un contrabbasso e un piccolo insieme di percussioni.
Invece coro misto e soprano solista sono sostenuti da una grande orchestra
sinfonica, con folto gruppo di ottoni e percussioni. Il coro di voci bianche
va collocato in posizione lontana assieme a un harmonium o un piccolo organo. Il grande organo compare solo nel Libera me conclusivo. I materiali sono scelti da un repertorio completo di cose del presente e del passato
proprio o altrui.
Per scrivere il suo pi importante lavoro sinfonico-corale, Benjamin
Britten utilizza molte esperienze precedenti. NellOffertorium riprende il
proprio Canticle: Abraham and Isaac (1952). La scrittura delle parti per
voci bianche richiama i timbri di A Ceremony of Carols op. 28 (1942) e Missa brevis op. 63 (1959), con analogo organico e spiccata propensione a seguire gli antichi modi frigio e lidio. Nelle parti per coro misto, sono evidenti anche i recuperi della scrittura a cappella di Hymn to St. Cecilia (1942) su
testo di W.H. Auden. I solisti maschili usano lo stile di canto espressivo e
lineare ben collaudato da Britten nelle opere teatrali. Lattenzione per lavanguardia del tempo si rivela nel parlato del coro, come in certo
riferite ovviamente a scariche di fucilerie e rombi di cannone. Microstrutture timbriche ricorrenti servono a tenere insieme le singole sezioni, in particolare quelle pi articolate, come il Dies irae, dove le sei strofe latine sono
intercalate da tre strofe di Owen; e nel finale, con il lungo dialogo oltretomba fra i due nemici/amici che entra fra il Libera me per soprano, coro e
orchestra e lecumenico In paradisum. Ancora pi sottile il legame armonico garantito dallintervallo do-fa diesis, davvero onnipresente, nelle
parti corali come in quelle solistiche. la dissonanza per antonomasia nella
musica occidentale, il tritono, il diabolus in musica, difficile da intonare e da
integrare nellarmonia tonale, quello che Schnberg cerca di neutralizzare
con la serialit e la dodecafonia. Britten lo usa come polo della sua costruzione armonica, che resta comunque tonale, con accenni modali che vengono dalle nostalgie per il passato elisabettiano e per il canto popolare delle
isole britanniche.
La prima esecuzione del War Requiem avviene il 30 maggio 1962 con
lautore che dirige il gruppo da camera e Meredith Davies a capo degli altri.
I solisti sono il tenore inglese Peter Pears e il baritono tedesco Dietrich Fischer-Dieskau. Il soprano russo Galina Vinevskaja, moglie del violoncellista
Mstislav Rostropovi avrebbe dovuto rappresentare laltro popolo coinvolto
nel conflitto fratricida, ma il governo sovietico nega lautorizzazione e al suo
posto canta linglese Heather Harper. Il successo popolare immediato,
anche nelle repliche a Londra. Conquista i critici conservatori, lascia perplessi quelli modernisti, indifferenti e talvolta ostili i compositori davanguardia. Ne invece entusiasta Dmitrij ostakovi, che si fa subito mandare
la partitura e approfitta di un viaggio a Londra per incontrare Britten. Sinstaura un rapporto damicizia personale, favorito dalle comuni vedute artistiche. Entrambi scrivono lavori su misura per le straordinarie qualit del
comune amico Rostropovi. Si scambiano dediche. Se molte scelte del sovietico gi si sentono nelle partiture dellinglese, forte limpatto di War Requiem sul decennio creativo finale di ostakovi. Il tono delle sue ultime
composizioni da camera sincupisce, negli Adagio del quindicesimo e ultimo quartetto, nelle tristezze dellestrema sonata per viola e pianoforte.
Addirittura sbriciola la struttura delle sinfonie: la Tredicesima ricorda il
massacro nazista di Babi Yar; la Quattordicesima un ciclo di Lieder dedicato a Britten su testi cimiteriali di Federico Garca Lorca, Guillaume Apollinaire, Rainer Maria Rilke; la Quindicesima, una meditazione sul tema della
morte, non seconda ai Canti e danze di Musorgskij e tanto vicina alla disperazione del War Requiem di Britten.
ostakovi, ateo e immerso nellufficialit del regime, non scrive musica
dispirazione religiosa. Per allEst non mancano credenti e dissidenti anche
prima del crollo del muro di Berlino. In Unione Sovietica, Alfred Schnittke
non ha paura di comporre un Requiem nel 1975 che esclude gli archi ed
esalta la percussione di strumenti con suono intonato e indeterminato. Nei
Paesi baltici annessi allUnione Sovietica, sul versante ortodosso, si muove
lestone Arvo Prt con esplicito ritorno ai modi gregoriani in Passio Domini
Nostri Jesu Christi secundum Joannem (1962), Stabat Mater (1985), Berliner
Messe (1992). Nella cattolica Polonia, scrivere musica sacra segno di resistenza, esibito con le dovute cautele da Krzysztof Penderecki nel Requiem
polacco (1983, riveduto nel 1993 e nel 2005) oltre che in tanti altri lavori
dispirazione religiosa come Passio secundum Lucam (1966) e loratorio Dies
Irae (1967). Lesule ungherese Ligeti dimostra quanto i testi sacri siano compatibili con le sperimentazioni musicali estreme nel suo intenso Requiem
(1965) per soprano, mezzosoprano, due cori misti e orchestra.
Un altro protagonista dellavanguardia secondo la Scuola di Darmstadt,
Bernd Alois Zimmermann lascia come testamento un Requiem fr einen jungen Dichter (1969). Servono oltre 300 esecutori. Attori, solisti di canto, orchestra sinfonica, complesso jazz, organo, amplificatori e altoparlanti sono mobilitati in un gran collage di musiche proprie e ampie citazioni musicali di Wagner, Beethoven, Lennon-McCartney accostate a parole di Mao Zedong,
Stalin, Hitler, Giovanni xxiii, James Joyce, Ezra Pound, Albert Camus. Pare
la naturale conclusione della tragedia Die Soldaten. Forse vuol essere il lamento funebre per la perduta egemonia musicale tedesca. Come la trinit di poeti (Vladimir Majakovskij, Sergej Esenin, Konrad Bayer) che ispira il titolo,
Zimmermann muore suicida qualche mese dopo la prima. Resta viva la tradizione inglese, grazie alla nuova semplicit diatonica e neomedioevale di John
Tavener (Celtic Requiem, 1970; Liturgy of St. John Chrysostom, 1977; Requiem, 2008).
Il cosmopolita di religione ebraica Leonard Bernstein scrive gli ecumenici Chichester Psalms (1965). un intreccio di sei salmi per soli, coro e grande
orchestra, destinato ai riti anglicani dellomonima cattedrale inglese per
scritto avendo in mente lauditorium sinfonico e un pubblico sensibile a un
suono non davanguardia ma di moderno Romanticismo, con gradevoli innesti dal musical West Side Story (1957). A sua volta, il geniale eclettico Andrew Lloyd Webber, alla dimensione rock di Jesus Christ Superstar (1970) e
dei tanti suoi musical per West End e Broadway, sa aggiungere un Requiem
(1985) di grande rigore e dotato della vena lirica che porta la melodia Pie
Jesu in cima alle graduatorie dei successi pop.
Ascolti
B. Britten, War Requiem, B. Britten, Melos Ensemble of London, London Symphony
Orchestra & Chorus, Decca 1990
A. Lloyd Webber, Requiem, L. Maazel, English Chamber Orchestra, Decca 1995
Letture
M. Cook, Britten: War Requiem, Cambridge University Press, Cambridge 1996
P.E. Rupprecht, Brittens Musical Language, Cambridge University Press, Cambridge
2001
P. Evans, The Music of Benjamin Britten, Oxford University Press, Oxford 1996
1968Sinfonia
Luciano Berio
Arte della citazione Voci come strumenti Elaborazione
elettronica della voce umana in Berio e Stockhausen Lo
sperimentalismo di Maderna e limpegno di Nono Grida
di citt e cori multietnici in Berio Il ritorno alla sinfonia
vocale classica di Glass
Con il suo ritmo cullante e la bella melodia, il tema che regge lo Scherzo
della Seconda sinfonia di Mahler la citazione che subito e meglio si riconosce, nel terzo movimento di Sinfonia di Luciano Berio. una specie di fiume
carsico che affiora e scompare attorno a tante altre citazioni di musiche antiche e moderne. Alcune citazioni bucano la fitta rete di voci e di strumenti e si
riconoscono bene: i valzer del Cavaliere della rosa di Strauss, il Secondo concerto brandeburghese di Bach, La Valse di Ravel, La sagra della primavera di
Stravinskij, Wozzeck che annega nellopera omonima di Berg, Jeux de vagues
di Debussy, la Pastorale di Beethoven, altro Mahler, assieme a Schnberg,
Webern, anche Boulez, Pousseur, Berio stesso, e altri ancora. Il virtuosismo
della scrittura orchestrale assoluto. I numerosi piani sonori si sovrappongono e sintersecano senza perdere le loro qualit. La scelta di registri e di colori tale che la memoria torna sulle cose del passato per costruire un presente
vivo, anzi proiettato sul futuro. Il flusso sinuoso della musica di Mahler accompagna. Le dissonanze non disturbano, piuttosto spingono a procedere,
come incita il testo, nei pochi casi in cui le parole sono lasciate intere: Keep
going, keep going. Non disturbano neppure le contraddizioni lessicali,
quando invece le parole dicono di fermarsi. Berio sa ritrovare il senso della
narrazione sonora, perch la conclusione arriva per via musicale, prima ancora che parli la voce maschile di un annunciatore radiofonico. Che dice: Keep
going, going on, page after page. But now its over, we had our chance, and
indeed a second chance of resurrection, or almost. We must collect our force.
The unexpected is always upon us, in our rooms, in the street, at the doors,
on the stage. Sono parole da The Unnamable (1953) di Samuel Beckett, ricomposte nel loro esprimere il senso della vita che finisce e magari ricomincia
in altro modo, come vuole la sinfonia della resurrezione di Mahler e il corale
Mein junges Leben hat ein End di Bach.
Negli altri quattro movimenti di Sinfonia, la voce mantiene il ruolo che
Berio le affida, fin dallinizio della sua esperienza di autore: strumento di
emissione sonora, indipendente dal senso che esprime in ambiti diversi dalla
macro e riduce drasticamente quella a livello micro. Ritrova gli equilibri architettonici soltanto con mezzi musicali, senza ricorrere a tabelle e algoritmi.
Rinuncia allelettronica. Continua la ricerca sui fondamenti del suono di
voci e strumenti. Accetta tanto i volumi della grande orchestra che i distillati timbrici dei complessi cameristici. Tiene conto dei conflitti del presente (la
guerra del Vietnam, la segregazione razziale), ma non ne fa un riferimento
assoluto. Musique dabord, sostiene il coerente Berio.
Infatti, fin dagli esordi, Berio lavora sulla sostanza della musica e non si
lascia ingabbiare dalle formule. Viene da una famiglia con profonde radici
musicali, si diploma al conservatorio di Milano. Nel 1951 continua gli studi
a Tanglewood, negli Stati Uniti, con Dallapiccola che lo introduce alla dodecafonia. Tornato in Europa, entra a far parte del circolo di Darmstadt ma
resta distante dal radicalismo combinatorio. Nel 1955 fonda con Maderna lo
studio di fonologia della rai di Milano perch gli interessa la manipolazione
del suono naturale con il mezzo artificiale, non il contrario. La sua composizione pi famosa diventa Thema (Omaggio a Joyce), che voce intrecciata
con se stessa, ma non contaminata da sinusoidi. Ospita per mesi Cage nella
sua casa di Milano, per diffida della sua aleatoriet estrema.
Negli stessi tempi, il collega Stockhausen continua a scrivere musica
elettroacustica (Kontakte, 1960; Mixtur, 1964; Mikrophonie i & ii, 1964 e
1965; Telemusik, 1966; Hymnen, 1967) ma si occupa anche dellorchestra
sinfonica tradizionale, pur ripensandone la dimensione spaziale. Lavora
sulle sue grandi geometrie di triangoli e quadrati. Sispira al profilo di montagne svizzere per impostare le variazioni dinamiche di Gruppen, finora la
sua opera pi ambiziosa. Scarta lidea originale di usare lelettronica, per
divide unorchestra di 109 elementi in tre gruppi, disposti ai vertici di un
triangolo equilatero, affidate a tre direttori che in qualche modo coordinano
una partitura costruita seconda rigorosi princpi dodecafonici e seriali, lavorando su una serie a simmetria sghemba dalla quale estrarre i gruppi di note
(da qui il nome) che scorrono nello spazio. Il fortuito aggregarsi e dissolversi del suono investe il pubblico al centro. Su presupposti analoghi si basa il
quadrato di Carr (1960): 4 orchestre con 4 direttori e 4 cori di almeno 12
elementi e ben spaziati fra loro, tutti impegnati nelleseguire 101 segmenti di
durata variabile fra 1,5 e 90 secondi su 4 diversi livelli sonori applicati a 8
categorie di suono da rovesciare sul pubblico. A mezzo secolo di distanza,
pare il trionfo del sogno di Ives, quando fa scorrere due bande indipendenti
in marcia contrapposta in Three Places in New England e quando fa affiorare
echi dosteria e di musica domestica nel silenzio di Central Park in the Dark.
Berio d il suo contributo alla scissione quadratica dellorchestra e alla
moltiplicazione delle complessit ritmiche con Tempi concertati (1959) per
quattro solisti e quattro orchestre. A sua volta Maderna, gi autore di vari
Ascolti
L. Berio, Sinfonia, P. Boulez, Orchestre National de France, Apex 2001
B. Maderna, Quadrivium Aura Biogramma, G. Sinopoli, Sinfonieorchester des Norddeutschen Rundfunks, dg 2005
Letture
L. Berio, C musica & musica, Feltrinelli, Milano 2013, libro + dvd
L. Berio, Intervista sulla musica, Laterza, Bari 2011
E. Restagno (a cura di), Berio, edt, Torino 1995
D. Osmond-Smith, Suonare le parole. Guida allascolto di Sinfonia di Luciano Berio, Einaudi, Torino 1994
M. Bortolotto, Fase seconda. Studi sulla Nuova musica, Einaudi, Torino 1976
dei timbri certamente verticale, per cambia anche la dimensione orizzontale, non tanto la melodia quanto il ritmo. Philip Glass altera il ritmo con una
tecnica che elabora ormai da una decina di anni, seguendo il suo chiodo
fisso di creare strutture ritmiche dalle quali far nascere larchitettura complessiva dellopera: Un gruppo musicale o una battuta diciamo di cinque note, ripetuto pi e pi volte; poi seguito da una battuta di sei note
(anche questo ripetuto), poi di sette, poi di otto, e cos via. Una figura semplice pu espandersi e centrarsi in molti modi diversi e mantenere la stessa
configurazione melodica generale, ma per aggiunta o sottrazione di una
nota assume un andamento ritmico molto diverso.
Uno dei primi a sperimentare la sovrapposizione casuale di ritmi precisi
Ligeti: in Pome symphonique (1962) fa partire 100 metronomi tarati in modo
differente che creano una nube di battiti caotici su base razionale. La nube
destinata a diradarsi, non appena si esauriscono le cariche e il moto meccanico dei singoli metronomi si ferma, con lultimo che riporta il silenzio. Per via
indipendente, a met anni sessanta, nasce in California il minimalismo musicale. In C (1964) di Terry Riley considerato il punto di partenza. Il titolo
viene dalla nota do (c nella notazione alfabetica anglosassone) che un esecutore deve ripetere continuamente e con la stessa frequenza per tutta la durata
della composizione, che indeterminata, anche se tre quarti dora una dimensione accettabile. Lo strumento su cui ripetere la nota non prescritto: di
solito una tastiera o una percussione intonabile, come la marimba. Non
sono definiti n il tipo n il numero degli altri strumenti: tre dozzine pu andar bene, per si pu dividere e moltiplicare a piacere. Le pulsazioni metronomiche del do servono da unit di misura per le 53 frasi musicali, con durata variabile da 0,5 a 32 battiti, stabilite dallautore. Ciascun esecutore pu
scegliere qualunque frase, ripeterla a piacimento, sostituirla con altre, meglio
se rispettando lordine disposto in partitura. La libert delle scelte dellinterprete limitata soltanto dalle intese variabili che sinstaurano con gli altri
colleghi e con il direttore. Tuttavia, il meccanismo insito nel sistema armonico, le sia pur vaghe indicazioni della flessibile partitura, soprattutto il rapporto interattivo che sinstaura nel gruppo degli esecutori fanno convergere
verso uninevitabile conclusione e determinano un percorso lineare e non del
tutto governato dal caso. Si parte da un accordo di do maggiore, che resta
presente con la sua nota fondamentale mentre le altre voci aggregano segmenti che portano su altre tonalit fin quando le energie degli interpreti e la forza
dei meccanismi musicali suggeriscono di allinearsi sulla via che porta alla fine.
I mezzi impiegati sono tradizionali, i meccanismi esecutivi semplici, le
difficolt nulle, il peso della tradizione accademica inesistente. Tutto si mantiene al livello minimo. Lunica, ma essenziale, componente critica il
tempo, cio la durata. Lapproccio minimalista consente di superare lin-
compatibilit fra istante e infinito, fra punto e linea. Sparita ogni dialettica,
la musica appare come metafora dellimmobilit che pur si muove, nellassenza di ogni forma. Il distacco con la tradizione musicale europea netto.
La contiguit con le prospettive orientali evidente. I disegni parageometrici e ripetitivi dei tappeti persiani diventano modelli, come in Why Patterns?
(1978) di Morton Feldman, dove per quasi mezzora flauto, pianoforte e
percussioni annodano in modo soffice e casuale brevi filamenti sempre
uguali. Per c anche la negazione del principio di casualit e irrazionalit
propugnato da Cage e la sua scuola. Secondo Riley e soprattutto secondo
Reich, il ritmo ripetuto, le poche note sempre uguali di melodie elementari
sono le fondamenta profonde della musica soul, echi dei canti di lavoro
nelle piantagioni e degli ancor pi lontani tamburi dAfrica. La manipolazione elettronica della voce di Its Gonna Rain (1965) e il ruvido percussionismo di Drumming (1971) di Reich riescono a dare alla ripetizione un tratto
drammatico del tutto inaspettato. Conta il fatto che Reich studi Webern con
Berio e nello stesso tempo ascolti entusiasta il free jazz di John Coltrane e
Miles Davis, come si percepisce in Music for Mallet Instruments, Voices and
Organ (1973). Le ripetizioni del quartetto darchi dal vivo e delle voci registrate diventano evocative, oltre che angosciose quando, in Different Trains
(1988), Reich accosta le sue emozioni (provate) in America di un bambino
infelice sul treno che lo sballotta fra i genitori divisi, alle emozioni (intuite)
di un suo coetaneo in Germania sul treno che lo porta allo sterminio.
Il potenziale drammatico e teatrale della tecnica ripetitiva e minimalista
valorizzato da Philip Glass, che ha un ineccepibile percorso di studi in
conservatorio negli Stati Uniti e alla scuola parigina di Nadia Boulanger. Il
suonatore di sitar Ravi Shankar lo introduce al mondo della musica indiana.
Da Riley e Reich, Glass trova conferma che grandi strutture musicali si possono costruire per addizioni successive di minimi frammenti. I primi lavori
ripetitivi di Glass sono strumentali: Music in Fifths per due pianoforti
(1969), Music with Changing Parts (1970), Music in Twelve Parts (1974). Il
salto nel teatro avviene nel 1976 con la commissione da parte del festival di
Avignone di Einstein on the Beach, da realizzare assieme al regista teatrale
Robert Wilson, a sua volta reduce dalle performance minimaliste sulle figure di Freud e Stalin. La personalit multiforme di Einstein serve da collante
(subliminale) per suoni e immagini sceniche che sfumano luna nellaltra
senza soluzione di continuit, in una dimensione infinita. Sintuisce che il
grande fisico tedesco cambia la storia e che il ricciuto dilettante che si ostina
a esercitarsi sul violino anche il padre putativo di una minaccia nucleare,
che forse si avvera negli ultimi minuti dello spettacolo. Soltanto alcuni rapidi passi di balletto hanno funzione intercalare e sono realizzati da unaltra
protagonista dellavanguardia americana degli anni sessanta e settanta.
ra del giovane Mahatma Gandhi in Africa, connessa alla poetica di Rabindranath Tagore e allimpegno di Martin Luther King jr. Il primo trittico operistico di Glass si completa con Akhnaten, omaggio al faraone che cambia la
religione del suo tempo, cos come Einstein cambia la scienza e Gandhi la
politica. Con Akhnaten inizia a cambiare anche la musica di Glass, sempre
minimalista e ancora ripetitiva, per con rinnovata attenzione alle forme del
passato, in particolare delle antiche ciaccone e passacaglie, anchesse ricorsive. Torna il gusto per lintreccio narrativo, con le azioni ben definite di
amore e guerra, con Nefertiti e lerede Tutankhamon, i sacerdoti politeisti
prima sconfitti dal faraone monoteista e poi vittoriosi con laiuto degli invasori, mentre il regno crolla e del palazzo restano le rovine. La marcia della
piccola orchestra senza violini che si sente nel Preludio al primo atto diventa festosa nella scena dellincoronazione e funebre nel finale, con un
senso di continuit circolare che ricorda vagamente i Leitmotiv romantici e
wagneriani. Una citazione da Einstein on the Beach serve da ulteriore legame
nellanello dei tre personaggi che cambiano il loro mondo.
Il rientro di Glass nel dominio della classicit si evolve a cavallo del millennio con una lunga serie di lavori sinfonici, da camera, pianistici, vocali,
teatrali, con punte di eccellenza nei due concerti per violino (1987 e 2010).
Resta, anzi cresce, la passione per il teatro musicale, con un nuovo trittico
(1991-96) dedicato a Jean Cocteau come omaggio al Gruppo dei sei e al
proprio maestro Darius Milhaud. E una nuova collezione di opere ispirate a
personaggi che cambiano la storia: Cristoforo Colombo (The Voyage, 1990),
Vasco de Gama (White Raven, 1991), Galileo Galilei (2001), Giovanni Keplero (Kepler, 2009), Walt Disney (The Perfect American, 2013). C professione antimilitarista in Waiting for the Barbarians (2005) e sollievo patriottico
per la fine della Guerra di secessione in Appomattox (2007).
In parallelo al teatro di Glass, si sviluppa quello di John Adams, sempre
minimalista, ma ancora pi orientato alla facilit della comunicazione. Criticata inizialmente per la sua voluta banalit, lopera in tre atti Nixon in China
(1987), ispirata alla visita del 1972 del presidente americano a quello cinese
Mao Zedong, segna una svolta importante nel teatro musicale moderno e
mostra uninsospettata tenuta nel tempo. Sulla scia di quel successo, Adams
mantiene desta lattenzione internazionale con The Death of Klinghoffer
(1991), lopera-oratorio El Nio (2000), la favola indiana The Flowering Tree
(2006) e soprattutto Doctor Atomic (2005), specie di applicazione pratica
delle suggestioni di Einstein on the Beach. Protagonista il padre vero della
bomba atomica, il fisico Robert Oppenheimer con i suoi mentori Leslie Groves (il generale efficiente) e Edward Teller (il falco della scienza); il libretto
di Peter Sellars incolla testi di John Donne, Charles Baudelaire, Thomas
Mann (Doctor Faustus); le coreografie aeree sono ancora di Lucinda Childs.
Ascolti
P. Glass, Einstein on the Beach, R. Wilson, The Philip Glass Ensemble, Nonesuch 1993
J. Adams, Nixon in China, E. de Waart, Orchestra of St. Lukes, Nonesuch 1988
Letture
K.R. Schwartz, Minimalists, Phaidon Press, London 1996
P. Glass, La mia musica, Edizioni Socrates, Roma 1993
zanotte in punto, arriva la fine del mondo: nel palazzo del principe Go-Go
risuona terribile e distorto il basso del finale dellEroica di Beethoven con
sovrapposti un ritmo di cha-cha-cha e un altro di ragtime assieme a una fanfara. Tutti muoiono, salvo rialzarsi un po intontiti (ultimo quadro, stesso
luogo del primo) e chiedersi se sono passati ad altra vita o se il cattivissimo
Gran Macabro Nekrotzar soltanto un ciarlatano. La domanda non ha risposta e il carnevale ricomincia con una grande passacaglia a parodiare il finale Tutto nel mondo burla del Falstaff di Verdi.
Lesondazione sonora del Grand Macabre suscita scandalo e curiosit. Per
tutti inattesa limprovvisa conversione di Ligeti da severo manipolatore di
grigi orchestrali a debordante distributore di schiamazzi. Il linguaggio osceno sta agli antipodi dellermetismo e del surreale che tanto piace ai compositori del secondo dopoguerra. Manca del tutto limpegno politico e la denuncia sociale. Lopera ha successo di pubblico e resta in repertorio anche
nel nuovo millennio, sia pure con qualche necessaria limatura degli eccessi
pi evidenti, che Ligeti applica nel 1996. Segna una rottura col passato, apre
nuove strade. Il teatro musicale del tempo sente ancora fortissimo il legame
con il Wozzeck di Berg e con la sua propaggine neoespressionista Die Soldaten di Zimmermann e neoromantica delle opere di successo di Henze.
In Italia, Nono corona il suo percorso nel teatro dellimpegno con Al gran
sole carico damore (1974). Berio esplora, con la consueta attenzione, materiali parateatrali collaborando con lamico Edoardo Sanguineti in Laborintus
ii (1965) e Passaggio (1963). Nel 1970 completa Opera, rivista nel 1977:
mette in scena il tema di una catastrofe immanente che parte dal naufragio
del Titanic per legarsi ai drammi dei malati terminali e alla storia di Euridice
condannata a rimanere negli Inferi. Il discorso musicale in apparenza casuale, ma in realt circolare e fitto dincroci obbligati. Il titolo, che potrebbe
essere semplicemente il plurale del latino opus, nella sua genericit segnala la
sostanza intellettuale di un progetto elaborato assieme a Umberto Eco e
Furio Colombo. La forma mantiene un alto grado di variabilit, che tuttavia
non scalfisce il valore etico anche nei successivi lavori teatrali di Berio. La
vera storia (1981), su libretto di Italo Calvino, rilegge con prospettive multiple i luoghi canonici del melodramma romantico verdiano. Un re in ascolto,
su libretto dello stesso Berio stimolato da unidea di Calvino (1984), non ha
una sequenza narrativa ma evoca un quadro di tragica solitudine in un mondo di comunicazione mediata: il protagonista un re isolato dal suo popolo,
che origlia dialoghi, confonde il suo regno con quello di Prospero nella
Tempesta di Shakespeare, impazzisce. Outis (libretto di Berio e del grecista
Dario del Corno, 1996) fatto di percorsi a ritroso e di memorie ingannevoli
di personaggi antichi (Omero e Catullo) e moderni (Melville, Joyce, Brecht,
Auden) che si nascondono dietro la famosa frase di Ulisse: Il mio nome
Ascolti
G. Ligeti, Le Grand Macabre, E.P. Salonen, Philharmonia Orchestra and Chorus, Sony
1999
K. Stockhausen, Licht in Stockhausen Complete Edition, Stockhausen Verlag 2013
Letture
G. Steinitz, Gyrgy Ligeti: Music of the Imagination, Northeastern University Press, Boston 2003
G. Ligeti, Gyrgy Ligeti in Conversation with Peter Varnai, Josef Hausler, Claude Samuel,
and Himself, Eulemburg Books, London 1983
1985Prometeo
Luigi Nono
Al centro di un arcipelago labirintico Elettronica e strumenti dal vivo e tuttintorno Neopolifonia veneziana
Convergenze inattese: Nono e Feldman Musica in cammino Kurtg sinfonico, Stockhausen elettronico
Ascolti
L. Nono, Prometeo, Tragedia dellascolto, K. Ryan, P. Hirsch, Ensemble Recherche/swr
Symphonieorchester Baden-Baden und Freiburg, Col legno 2007
M. Feldman, Rothko Chapel/Why Patterns?, The California ear Unit, uc Berkeley Chamber Chorus, New Albion Records 2009
Letture
M. Mila, L. Nono, Nulla di oscuro tra noi. Lettere 1952-1988, il Saggiatore, Milano 2010
L. Nono, La nostalgia del futuro. Scritti scelti 1948-1986, il Saggiatore, Milano 2007
M. Ramazzotti, Luigi Nono, LEpos, Palermo 2007
E. Restagno (a cura di), Nono, edt, Torino 1987
Persistenze mistiche Ornitologia musicale Opera-oratorio: Saint Franois Lorgano a fine millennio Eredi
di Messiaen: Grisey, Murail, Benjamin, Maxwell Davies
Apparition du Christ Glorieux il primo degli undici squarci o lampi o
illuminazioni o flash o clair sullAldil che ci presenta lultima partitura per
orchestra completata da Olivier Messiaen. La visione del Salvatore nella sua
gloria impegna solo un quarto delle enormi risorse orchestrali mobilitate.
Sono 35 strumenti a fiato che rappresentano la gloria e il potere celeste con
la forza degli ottoni e i colori degli strumentini, in una processione di blocchi
accordali che si spostano lenti da una dissonanza allaltra. Il secondo lampo
un baluginare di grumi timbrici che sbucano da piccoli complessi distinti,
ma omogenei: La constellation du Sagittaire, il segno centrale dello zodiaco, quello cui appartiene lautore (nato il 10 dicembre). Assieme ai fiati,
risuonano campane; accanto agli archi, sei flauti intonano canti di altrettanti
uccelli presenti in diverse parti del mondo. In forma di rond.
La terza illuminazione legata al solo Oiseau-Lyre, doppiamente musicale, con la forma che pu assumere la coda, perfetta imitazione della lira antica, e la voce capace di emettere infiniti suoni e canti, per sedurre e risplendere nella Citt celeste. A modo suo un uccello dellaltro mondo, che
Messiaen ammira e ascolta incantato durante un viaggio del 1988 in Australia, in un bosco di eucalipti e in una giornata di sole radioso. Sono tanti gli
uccelli che cantano con la voce di strumentini e xilofono sul festoso fondale
di gong, campane e archi quando, nel passo dellApocalisse che fa da titolo al
quarto flash (Les lus marqus du sceau), lAngelo pone il sigillo sulla
fronte degli eletti. Soltanto violini, viole e violoncelli svolgono una lenta
melodia ascendente su un bordone fisso, in estatica contemplazione del vivere nellamore: Demeurer dans lamour, il quinto clair, uno dei pi
lunghi, oltre dieci minuti.
Nel sesto clair (Les Sept anges aux sept trompettes) tre colpi improvvisi di grancassa spazzano via gli archi, introducono e scandiscono un severo
corale di corni, tromboni e fagotti, ripetuto con fare ossessivo e sostenuto da
gong gravi e tam-tam, con schiocchi di frusta a punteggiare. Un trillo acuto
dei violini, un disegno discendente degli strumentini, limprovvisa irruzione
del corno wagneriano di Sigfrido, il canto del merlo per flauto solo, un cinguettio di xilofono, uneco del passato: il settimo flash, uno dei pi leggeri,
Messiaen non certo il primo musicista a occuparsi del canto degli uccelli. Gi nel Rinascimento scrivono polifonie vocali il francese Janequin e
imitazioni strumentali litaliano Pasquini e tanti altri, ripresi nel Novecento
da Respighi nei Pini di Roma e nella suite Gli uccelli. John Cage, improvvisatosi ornitologo, intitola Bird Cage (1972) un collage di suoni elettronici,
parole incomprensibili e cinguettii, e pubblica come For the Birds un libro
fatto di una lunga conversazione con un critico. Messiaen per il pi sistematico e fedele ornitologo musicista. Accoglie felice il suggerimento di
Dukas di ascoltare il canto degli uccelli, che considera i primi musicisti al
mondo. Negli anni cinquanta, lornitologia diventa suo interesse primario.
Dopo Le Merle noir (1951) per flauto e pianoforte, costruito come prova di
ammissione per gli allievi al conservatorio, nel 1953 scrive Rveil des oiseaux
per orchestra, trascrizioni di canti di uccelli ascoltati tra mezzanotte e mezzogiorno nel massiccio dello Jura francese. Assieme alla moglie, la pianista e
allieva Yvonne Loriod, gira il mondo per ascoltare uccelli dAfrica, America,
Australia, e per raccoglierne, catalogarne, svilupparne le voci. I titoli sono
espliciti: Oiseaux exotiques (1955-56) per pianoforte e orchestra da camera,
La Chouette hulotte (Lallocco, 1956), Catalogue doiseaux (1956-58) e La
Fauvette des Jardins (Il beccafico, 1970-72) per pianoforte, Un Vitrail et des
oiseaux (1986) per pianoforte e orchestra, Petites esquisses doiseaux (198587) per uno e due pianoforti.
Il canto degli uccelli ormai entra sempre nelle composizioni di Messiaen,
anche in quelle con differente impostazione. Uno dei primi esempi la grande Turangalila-symphonie (1946-48). Lo ritroviamo anche nelle pagine sinfoniche che seguono: Rveil des oiseaux (1953) per pianoforte e piccola orchestra, Chronochromie (1960) per grande orchestra, dove 18 uccelli cantano in
libero contrappunto, al levar del sole. Quel canto entra anche negli affreschi
dedicati a temi religiosi, come in Couleurs de la Cit cleste per gruppo di
fiati e percussioni (1963). Questultima opera pensata come un brano per
tre tromboni e tre xilofoni, cui Messiaen aggiunge in seguito altri strumenti
a fiato, percussioni e pianoforte, sostituisce i tre xilofoni con uno solo, una
xilomarimba e una marimba, seguendo il principio sinestetico di combinare
materiali diversi, musicali e no. Grande ammiratore della tecnica pianistica,
della voglia di misticismo trascendente e della teoria dei colori di Skrjabin,
Messiaen tiene conto dellaspetto degli oggetti naturali e metafisici che mette in musica. Il colore delle piume, il rosso dei deserti dello Utah, il luccicare
delle stelle su spazi infiniti danno senso alla grande partitura per sola orchestra intitolata Des canyons aux toiles... (1971-74) commissionata per le celebrazioni del bicentenario dellindipendenza e della nascita degli Stati Uniti
dAmerica. Cantano uccelli nuovi, scoperti in America durante una lunga
perlustrazione nel Far West.
di Serge Baudo e subito seguita da un solenne concerto pubblico nella cattedrale di Chartres con il presidente de Gaulle tra il pubblico. Inizia poco
dopo la composizione di La Transfiguration de Notre Seigneur Jsus-Christ
(1969) che chiede coro misto di 100 elementi divisi in 10 voci, grande orchestra e 7 solisti strumentali per un totale di almeno 200 esecutori. Si articola
in 14 movimenti suddivisi in due gruppi di sette, per una durata di circa 100
minuti; una lunga meditazione su un testo ricavato dal Vangelo secondo
Matteo e dalla Summa Theologiae di Tommaso dAquino.
Accanto alleclettico contributo di Messiaen, la musica dispirazione religiosa trova nuovo slancio nellultimo quarto del Novecento, in particolare
nei paesi dellEuropa orientale che stanno uscendo dal sistema sovietico. Del
russo Alfred Schnittke, la Seconda sinfonia una messa senza parole e la
Quarta un florilegio di canti cattolici, ebraici, ortodossi riuniti anche sotto il
segno di Mahler e ostakovi. In The Canticle of the Sun (1997), Sofija Gubajdulina incontra la dimensione francescana e la visione mistica di Messiaen, valorizzata dalla nuova semplicit della scrittura e dallinconsueto organico di coro, percussioni e violoncello.
Pure la sessantennale presenza di Messiaen sullorgano della chiesa della
Trinit contribuisce a mantenere linteresse per il millenario strumento, per
il quale scrivono lo svedese Hambraeus (Livre dorgue, 1981; Missa pro organo: in memoriam Olivier Messiaen, 1992), lungherese Ligeti (Ricercare:
Omaggio a Girolamo Frescobaldi, 1953), lo svizzero Holliger (5 Stcke, con
nastro magnetico, 1980), gli italiani Sciarrino (Arabesque, 1971), Clementi
(Manualiter, 1973; Sigla, 1977), Berio (Fa-Si, 1975).
La variet e personalit degli stili degli allievi testimonia la qualit didattiche di Messiaen al conservatorio di Parigi. Troviamo non solo gli strutturalismi di Boulez, Stockhausen e Xenakis, ma anche la tragica nevrosi che impedisce a Jean Barraqu di terminare molte sue folgoranti intuizioni, salvo la
complicatissima Sonate per pianoforte (1952). E ancora: le tecnologie informatiche che alterano lo spettro sonoro degli strumenti consueti in Grard
Grisey (Les Espaces acoustiques, 1985); i nuovi timbri che generano i movimenti tellurici di Tristan Murail (Gondwana, 1980); i distillati di Gyrgy
Kurtg, anche quando si applicano alla grande orchestra e ripropongono il
mantra del ricordo di amici scomparsi (Stele, 1994); il neofoklorismo greco
di Mikis Theodorakis (Zorba, 1964) e quello parascozzese di Peter Maxwell
Davies (An Orkney Wedding, 1985); il nuovo divisionismo britannico di
George Benjamin (Three Inventions, 1995). Anche attraverso i polimorfismi
di questi autori, le idee musicali di Messiaen circolano per tutto il secondo
Novecento e danno tuttora uno squarcio di futuro che ormai presente,
quando non gi passato.
Ascolti
O. Messiaen, clairs sur lAu-del..., S. Rattle, Berliner Philharmoniker, emi 2007
O. Messiaen, Quatuor pour la fin du temps, G. Shaham, P. Meyer, J. Wang, M.W. Chung,
dg 2000
Letture
R. Scholl (a cura di), Messiaen Studies, Cambridge University Press, New York 2011
P. Hill (a cura di), Olivier Messiaen. Dai canyon alle stelle, il Saggiatore, Milano 2008
Ripensare strumenti antichissimi Nuovi suoni dagli strumenti di sempre Espansione dal solo al gruppo, da Sequenze a Chemins Applicazioni e varianti: Ferneyhough e Sciarrino
Le dita della mano destra tamburellano sulla cassa dello strumento. Quelle
della mano sinistra scorrono sulle corde. Colpi sul legno sincontrano con
vibrazioni sulle corde, secondo le pulsazioni variabili della musica tradizionale cingalese. unalternanza di ritmi e rumori che diventa perfino contrappunto. I primi suoni normali dello strumento irrompono come furiosi
pizzicati sulle corde di entrambe le mani. Entra larchetto e dalle corde
sfiorate spunta una melodia, che si fa largo fra punture, glissandi, accelerazioni. La melodia si trasforma senza che se ne perda la memoria, quando
dalliniziale lirismo seriale alla maniera di Alban Berg si passa a ricordare il
grande passato del violoncello: le suite di Bach il repertorio romantico, le
contaminazioni zigane, klezmer, jazz del Novecento. Torna il contrappunto
fra dita sul legno e dita sulle corde vuote. Serve a segnalare che le regole
formali sono sempre in vigore, che non siamo in avanguardia destrutturata
ma in classica forma di rond, sia pure asimmetrica e zeppa di frammentazioni, con un ritornello che coordina pi strofe. Nella Sequenza xiv, una
strofa una memoria di passata elettronica, con le distorsioni e i sibili dei
primi esperimenti allo studio di fonologia della rai di Milano, nei lontani
anni cinquanta. Altre sezioni sono momenti di virtuosismo puro, ludico; che
non fine a se stesso soltanto perch capace di creare musica, confondere
suono e rumore, tornare nel silenzio da dove proviene.
La sostanza dellultima sequenza, che Berio scrive nel 2002, la stessa che
anima un progetto iniziato da quasi mezzo secolo, e perseguito con incredibile coerenza e costanza pur nel continuo mutare della sensibilit personale
e del mondo circostante. Nel 1958, in piena euforia per il nuovo mezzo
elettronico e per laleatoriet calcolata, Berio decide di ristudiare gli strumenti tradizionali della musica occidentale. Tiene conto delluso che se ne fa
negli ultimi 3-400 anni, ma considera la loro natura di oggetti in grado di
emettere anche altri suoni, non soltanto note intonate; cio rumori e percussioni di altezza indefinita, che arricchiscono la tavolozza timbrica e ritmica.
Ogni strumento tradizionale, suggerisce Berio, ha in s un patrimonio di
suoni che va compreso e valorizzato. Non indispensabile arraffare da altre
fonti, ambientali o artificiali. Basta squarciare il velo dellabitudine, e la musica concreta gi l, letteralmente a portata di mano. E non c contenitore
migliore della medioevale sequenza per denominare una successione di
eventi musicali fra loro adiacenti e non sempre conseguenti.
La Sequenza i per flauto solo nasce nel 1958, complice lamicizia di Berio
con Severino Gazzelloni, il grande virtuoso e appassionato interprete di
musica contemporanea. La sfida inventare una scrittura polifonica per uno
strumento soltanto melodico come il flauto, che non pu emettere accordi,
come fanno gli strumenti a tastiera e, in modo pi limitato, quelli ad arco.
necessario suggerire contrappunti virtuali, lavorando su frammenti sospesi,
associazioni timbriche, ritmi spezzati, pause, silenzi, modi di emissione. Sono in buona parte tecniche note, utilizzate in tanto repertorio davanguardia
per fini timbrici o per provocazione, con Density 21.5 (1936) di Varse a fare
da naturale antecedente. Berio riesce a inserirle in un discorso compiuto di
natura soltanto musicale, secondo un senso dellordine che trasforma un
dettaglio in supporto strutturale (e viceversa).
Con tutte le varianti e specificit del caso, magari puntando pi sulla dinamica orizzontale della melodia che sulla statica verticale di timbro, e armonia, le sequenze successive mantengono gli stessi princpi. Sono distribuite
in maniera irregolare nel tempo e nella destinazione, per coprono lintero
spettro degli strumenti intonabili, escludendo quindi le percussioni. Dopo il
flauto, Berio esplora larpa (Sequenza ii, 1963) forzandone la trascurata dimensione del volume: due distinti livelli di sonorit (accordi in fortissimo e
mezzo forte) accompagnano la melodia (in piano). La Sequenza iii (1966) per
voce femminile una delle pi famose, scritta su misura per le abilit vocali
di Cathy Berberian. Berio molto preciso nel descrivere 15 modi dimpiego
delle risorse disponibili nellorgano di fonazione umano: non solo le tradizionali corde vocali, ma anche denti, lingua, labbra. Sono ben 44 le prescrizioni dinamico-espressive da rispettare per dare presenza scenica e polifonia
a una voce sola. Sequenza iii il punto di arrivo delle sperimentazioni di
montaggio di nastri registrati (Thema. Omaggio a Joyce, 1958) e dinterazione
con il suono artificiale (Visage, 1961); punto di partenza per la prossima
Sinfonia (1968) e per tante applicazioni nel teatro del decennio successivo.
Ogni eccesso di volume e di velocit, di turbolenza timbrica e gestuale
indispensabile per rendere il senso della Sequenza iv (1966) per pianoforte,
lo strumento gi sottoposto a tante sperimentazioni nel corso del Novecento,
soprattutto da parte dellamico John Cage. Quando scrive lesilarante Sequenza v (1966) per trombone, pi che al teatro e alla sala da concerto, Berio
pensa al circo equestre e al clown triste Grock che interroga se stesso attraverso il suo strumento. La Sequenza vi (1967) per viola descritta da Berio
come un pezzo difficilissimo (quasi un impudente omaggio ai Capricci di
tile la sua curiosit per lintero universo sonoro, compresa laltra musica
cio il pop, il jazz, il rock, il folk, la canzonetta. Dalla sua bravura nellintuire il futuro partono anche gli eclettisti dellultimo ventennio che provano a
superare millenarie barriere fra Occidente e Oriente, fra musica colta e
musica di consumo. Uri Caine rivisita Mahler (Urlicht, 1998), Bach (Goldberg
Variations, 2000), Beethoven (Diabelli Variations, 2003), Mozart (Plays Mozart, 2007). John Zorn incolla e improvvisa su ogni cosa sonora, da Morricone (The Big Gundown, 1985) a Schnberg (Chimeras, 2010). Lamericano
Michael Daugherty, allievo diretto di Berio, oltre che di Boulez e Ligeti, non
teme le canzonette, ritrova la tonalit e il sentimentale: Metropolis Symphony
(1988-93), Dead Elvis (1993), lopera Jackie O (1997), Deus ex Machina
(2007) per pianoforte e orchestra. Si torna alla libera improvvisazione, si
perde la scrittura. Rimane la memoria, comera prima di Guido dArezzo,
del canto gregoriano, dei romani e dei greci, come voleva Platone.
Ascolti
L. Berio, Sequenzas i-xiv for solo instruments, Naxos 2006
B. Ferneyhough, Solo Works, Elision, Etcetera 1998
Letture
A.I. De Benedictis (a cura di), Luciano Berio: Nuove Prospettive. Atti del Convegno, Siena,
Accademia Chigiana, 28-31 ottobre 2008, Olshki, Firenze 2012
A.C. Highton, Performing Interpretation: Berios Un re in ascolto, University of Wisconsin Press, Madison 1994
2007Tierkreis
Karlheinz Stockhausen
Carillon: musica come movimento meccanico Zodiaco
specchio della propria musica Razionalit numerica e irrazionalit inventiva Flusso del tempo fra attimo ed
eternit Ritorno alla musica delle sfere.
Ascolti
K. Stockhausen, Tierkreis, Laborintus, Daphno 2008
G. Crumb, Makrokosmos i & ii, M. Leng Tan, Mode 2004
B. Bartk, Mikrokosmos for Children, D. Rnki, Warner 1992
Letture
R. Maconie, Other Planets: The Music of Karlheinz Stockhausen, Scarecrow Press, Lanham 2005
K. Stockhausen, Towards a Cosmic Music, Element Books, Shaftesbury 1989
Barython 1781
Basso (armonico) 1000, 1450, 1461,
1610, 1664, 1689, 1720, 1720b, 1736,
1741, 1749, 1781, 1783, 1795, 1802,
1805, 1820, 1823, 1824, 1827b, 1850,
1976, 1978
Basso (voce) 1198, 1363, 1461, 1649,
1664, 1727, 1798, 1824, 1831, 1874,
1874b, 1911b
Basso albertino 1783, 1805b
Basso continuo 1594, 1607, 1610, 1624,
1648, 1649, 1664, 1700, 1727, 1742,
1762, 1783, 1920
Basso ostinato 1689, 1708, 1720, 1736,
1805, 1890, 1925, 1930
Battuta 1363
Belcanto 1820, 1829, 1831
Bemolle 100
Big band 1935b
Bipartito 1739, 1744, 1920
Biscroma 1363
Bitematico 1781, 1802, 1808, 1911
Blue notes 0, 1893b, 1921, 1925, 1935b
Blues 0, 1893b, 1928b, 1935b, 1938
Bolero (danza) 1877, 1928b, 1942
Bordone 1450, 1461, 1562, 1610, 1689,
1827b, 1876, 1992
Bourre (danza) 1720b
Bransle (danza) 1957
Breve 1363
Cabaletta 1831, 1850, 1853, 1874
Cabaret 1925, 1928b, 1930, 1935b, 1962
Caccia 1450, 1594, 1708
Cadenza 1712, 1720b, 1786, 1803, 1808,
1819, 1853, 1853b
Caf-chantant 1928b
Camerata fiorentina 1607, 1648, 1670,
1876
Campana 1805, 1821, 1830, 1839,
1874d, 1874e, 1911, 1957, 1962, 1992
Catch 1624
Catenacciatura 1890
Cavatina 1816, 1825, 1830, 1885, 1897
Cembalo Clavicembalo
Centone Pasticcio
Cetra 1230, 1762
Cha-cha-cha (danza) 1978
Chanson 1230, 1363, 1450, 1461, 1500,
1594, 1597, 1635, 1827b
Chitarra 1597, 1635, 1700, 1739, 1781,
1820, 1830, 1874e, 1878, 1901, 1902,
1905, 1923, 1954, 1957, 1962, 2002
Chitarrone 1607, 1624, 1635, 1955
Ciaccona 1670, 1689, 1711, 1720, 1739,
1742, 1749, 1762, 1820, 1878, 1885,
1942, 1976, 1978
Clarinetto 1597, 1742, 1761, 1781,
1785, 1788, 1806, 1808, 1816, 1821,
1826, 1827, 1878, 1883, 1912, 1992,
2002
Clarinetto basso 1905, 1912, 1942, 2002
Clausola 1000, 1198
Clavicembalo 1597, 1654, 1670, 1700,
1708, 1711, 1712, 1720, 1722, 1739,
1741, 1749, 1783, 1786, 1802, 1819,
1890, 1901, 1955
Clavicordo 1597, 1635, 1722, 1744,
1755, 1802
Cluster 1902b, 1951
Coda 1783
Collage 1450, 1711, 1741, 1762, 1826,
1962, 1968, 1978, 1985
Colonna sonora 1700, 1803, 1824, 1878,
1893, 1902b, 1905, 1912, 1928, 1938,
1951, 1956, 1957, 1960, 1978
Coloratura 1734, 1911
Colore Timbro
Comedia harmonica 1594
Comdie-ballet 1670, 1749
Commedia madrigalesca 1594
Concert Spirituel 1712, 1788, 1796
Impromptu Improvviso
Improvvisazione 1607, 1700, 1712,
1717, 1720, 1921
Improvviso 1821, 1823b, 1901
Inciso 1720, 1739, 1785, 1795, 1805,
1806, 1808, 1819, 1821, 1824b, 1825,
1841, 1846, 1853, 1864, 1876, 1889,
1890, 1896, 1911, 1920, 1921, 1928,
1930, 1942, 1955, 1960, 1962
Informale 1785, 1805, 1819, 1823, 1839,
1846, 1853b, 1889, 1903, 1905, 1914,
1928b, 1942, 1968, 1992
Inno 1000, 1230, 1936b
Intavolatura 1597, 1635
Interludio 1978, 1985
Intermezzo (strumentale) 1607, 1670,
1689, 1734, 1761, 1853b, 1897
Intermezzo (teatrale) 1749, 1787, 1816,
1858
Intervallo 0, 100, 1806, 1893b
Intonazione 0
Isoritmico 1363
Jazz 0, 1500, 1642, 1720, 1874e, 1893b,
1901, 1914, 1920, 1921, 1925, 1928b,
1935b, 1938, 1942, 1945, 1960, 1962,
1976, 1978, 2002
Jeu parti 1230
Lai 1363
Lamentazione 1654
Lndler (danza) 1803, 1822, 1824b,
1902b, 1935
Piatti 1816
Piffero 1500, 1712, 1717, 1783, 1816,
1839b
Pirrico 1363
Piva 1742
Pizzicato 1624, 1806, 1820, 1823, 1826,
1877, 1912, 1928, 2002
Plant 1230
Plantation song 1893b
Plettro 1654, 1783
Poema sinfonico 1607, 1654, 1830,
1839b, 1841, 1858, 1865, 1874c, 1889,
1908b, 1935b
Polacca 1874d, 1960
Policoralit veneziana 1597, 1610, 1700,
1962
Polifonia 1198, 1363, 1450, 1500, 1562,
1597, 1607, 1610, 1648, 1654, 1664,
1689, 1717, 1742, 1749b, 1785, 1819,
1824b, 1839b, 1864, 1868, 1923,
1930, 1951, 1956, 1962, 1992
Poliritmia 1913
Politonalit 1901, 1911, 1913, 1914,
1920, 1921, 1935b, 1942, 1957, 1992
Polka Polacca
Ponte modulante 1744, 1825
Pop music 1450, 1500, 1956
Pot-pourri 1823b
Preludio 1635, 1670, 1708, 1720, 1823b,
1824b, 1839, 1903, 1925
Preludio corale 1708
Preludio e fuga 1708, 1722, 1742, 1749b,
1901
Progressione 1739, 1816
Puntillismo 1957
Puy 1230
Quadrivium 0, 1562
Quarta (intervallo) 0, 100, 1198, 1597,
1635, 1722, 1796
Quarta maggiore Tritono
Arcadiana 1960
Piano quintet 1864
Powder Her Face 1689, 1978
The Tempest 1978
Adler, Guido (1855-1941) 1936
Adorno, Theodor Wiesengrund (19031969) 1938, 1957
La musica per film 1938
Filosofia della musica moderna 1957
Agazzari, Agostino (1578-1640) 1562,
1594, 1736
Del suonare sopral basso 1594
Stabat Mater 1736
Agostino dIppona (354-430)
De musica 1000
Agoult, Marie d (1805- 1876) 1839,
1865
Ahle, Johann Rudolf (1625-1673)
Es ist genug 1935
Aho, Kalevi (1949-)
Canti e danze 1827b
Alard, Jean (1815-1888) 1878
Albniz, Isaac (1860-1909) 1901, 1928b
Asturias 1901
Chants dEspagne 1901
Iberia 1901, 1928b
Suite espagnole 1901
Alberti, Domenico (ca. 1710-1740)
1783, 1805
Orchestra
Concerti brandenburghesi bwv
1046-1051, 1712, 1720b
n. 2 bwv 1047, 1720b, 1968
n. 4 bwv 1049, 1720b, 1741
n. 5 bwv 1050, 1720b
Suite-Ouverture bwv 1066-1069,
1720b
n. 2 bwv 1067, 1720b, 1741
n. 3 bwv 1068, 1720b, 1744
Da camera
Offerta musicale bwv 1079, 1635,
1741, 1749b
Partita per vl solo n. 2 bwv 1004
Ciaccona 1720a, 1878, 1911,
2002
Partita per vl solo n. 3 bwv 1006,
1720a
Partite per vl solo 1729, 1878
Sonata a tre per fl, vl e clav 1741,
1749
Sonata per vl solo bwv 1005 1720a
6 Sonate per vl 1720a
Clavicembalo
Aria variata alla maniera italiana
bwv 989, 1741
Canon triplex bwv 1076, 1749b
Capriccio sopra la lontananza del fratello dilettissimo bwv 992, 1741
Clavierbung 1708, 1741, 1749b
Concerto secondo il gusto italiano
1741
Il clavicembalo ben temperato vol. i
bwv 846-869, 1597, 1635, 1708,
1722, 1741, 1744, 1749b, 1806,
1808a, 1819, 1820, 1823a, 1839,
1874
Il clavicembalo ben temperato vol. ii
bwv 870-893, 1739, 1788
Invenzioni e Sinfonie 1722, 1741,
1744
Structures 1951
Schnberg morto 1936
Sur incises 1936
Boult, Adrian (1889-1963) 1874
Bour, Ernest (1913-2001) 1968, 1985
Bourdelot, Pierre (1610-1685)
Histoire de la musique et de ses effets depuis son origine jusqu present 1744
Boyce, William (1711-1779)
Cathedral Music 1744
Braga, Gaetano (1829-1907)
Leggenda valacca 1960
Brahms, Johannes (1833-1897) 1708,
1722, 1739, 1741, 1742, 1749b, 1786,
1788, 1797, 1802, 1803b, 1805b, 1806,
1808a, 1808b, 1814, 1819, 1820, 1822,
1823a, 1823b, 1824a, 1824b, 1825,
1826, 1827a, 1827b, 1834, 1841, 1853b,
1858, 1864, 1865, 1868, 1874a, 1874b,
1874c, 1876, 1878, 1885, 1887, 1890,
1893a, 1893b, 1902a, 1902b, 1905b,
1908a, 1908b, 1911a, 1911, 1914, 1921,
1923, 1942, 1955, 1960, 1968
Orchestra
Sinfonie 1826
n. 1 1853b, 1876, 1885, 1914
n. 2 1788, 1874b, 1885
n. 3 1788, 1874b, 1885
n. 4 1708, 1788, 1885
Variazioni Haydn 1885
Serenate 1-2 1885
Concerti per pf 1808
n. 1 1786, 1853a, 1858, 1885
n. 2 1786, 1858
per vl 1878
doppio 1878
Da camera
Sestetti per archi n. 1-2 1864
Quintetto con cl op. 115 1827a,
1878, 1885
Quintetti per archin. 1-2 1864
Lieder 1853a
Die schne Magelone 1827a, 1868
Zigeunerlieder 1868
Liebeslieder-Walzer 1868, 1893b
Bramante, Donato (1440-1514) 1500
Brecht, Bertolt (1898-1956) 1670, 1920,
1925, 1930, 1935b, 1938, 1945, 1962,
1976, 1978
Brentano, Clemens (1778-1842) 1821,
1827b, 1874d, 1902b, 1925
Des Knaben Wunderhorn 1821, 1902b
Brian, Havergal (1876-1972) 1942
Brianza, Carlotta (1867-1930) 1877
Bridge, Frank (1879-1941)
Quintetto con pf. 1864
Bridgetower, George August Polgreen
(1778-1860) 1804
Britten, Benjamin (1913-1976)
1624, 1689, 1742, 1744, 1868,
1874a, 1874e, 1902b, 1921, 1928,
1935a, 1935b, 1942, 1945, 1960,
1962, 1978
A Ceremony of Carols 1962
Canticle: Abraham and Isaac 1962
Billy Budd 1945
Guida allorchestra per i giovani, variazioni e fuga su un tema di Purcell 1689,
1945
Hymn to St. Cecilia 1962
Il ratto di Lucrezia 1945
Interludi marini 1945
Missa brevis 1962
Morte a Venezia 1945
Owen Wingrave 1945
Peter Grimes 1896, 1935b, 1945
Quartetto n. 3 1960
Sinfonia concertante 1935a
Sinfonia da requiem 1874a, 1942, 1962
Spring Symphony 1942
Turn of the Screw 1945
War Requiem 1868, 1874a, 1930, 1962
Psych 1874c
Quartetto 1908b
Quintetto con pf 1864
Rdemption 1874a, 1890
Requiem 1874a
Sinfonia in re minore 1788, 1874b,
1890, 1893a, 1908b
Sonata Sonata in la maggiore per violino e pianoforte 1803b, 1878, 1890,
1908b
Trii 1864
Variazioni sinfoniche 1858
Franklin, Benjamin (1706-1790) 1893
Franco (Francone) da Colonia (sec. xiii)
Ars cantus mensurabilis 1363
Freitas Branco, Lus de (1890-1955) 1928
Frescobaldi, Girolamo (1583-1643)
1635, 1648, 1654, 1700, 1708, 1712,
1722, 1739, 1741, 1839, 1992, 1749,
1823a, 1839, 1890, 1992
Capriccio sopra il Cucho 1712
Fiori musicali 1635, 1708
La follia 1700
La Girolmeta 1700
La monacha 1700
Primo libro di toccate 1700
Ricercari e canzoni franzese 1635
Freud, Sigmund (1856-1939) 1902,
1905a, 1976
Friedrich von Husen (ca. 1150-1191)
Mn herze und mn lp 1230
Froberger, Johann Jacob (1616-1667)
1635, 1654, 1700, 1708, 1717, 1720,
1722, 1739, 1744, 1749
Lamento 1654
Fuchs, Hanna (1896-1964) 1925, 1935a
Furtwngler, Wilhelm (1886-1954)
1864, 1921, 1923, 1928b, 1955
Sinfonie 1942
Fux, Johann Joseph (1660-1741) 1562,
1648, 1736, 1749
Il pensieroso 1839
Canzonetta del Salvator Rosa
1839b
Sonetti del Petrarca 1839b
Aprs une lecture du Dante: Fantasia quasi sonata 1839b, 1874c
Anglus! 1839b
Les Jeux deaux la Villa dEste
1839b, 1901
Aux cyprs de la Villa dEste
(Thrnodie i e ii) 1839b
Sunt lacrymae rerum 1839b
Marche funbre 1839b
Sursum cordam 1839b
Bagatella senza tonalit 1839b, 1901
Ce quon entend sur la montagne
1874c
Christus 1736
Concerti per pf
n. 1 1786, 1808b, 1858
n. 2 1808b, 1858
Die Ideale 1874c
Fantasia e fuga sul nome bach 1890
Grand galop chromatique 1865
Graner Messe 1874a
Hamlet 1874c
Harmonies potiques et religieuses
1594, 1839b
Hrode funbre 1874c
Hungaria 1874c
Hunnenschlacht 1874c
Il lamento 1839b
La leggenda della santa Elisabetta
1874b
La leggerezza 1839b
La lugubre gondola 1839b
Leonore 1654
Les Prludes 1874c
Magnificat 1610, 1874c
Marcia di Rkczi 1830, 1874c
Mephisto walzer 1874c
Magnificat 1610
Meerestille und glckliche Fahrt 1841
Paulus 1742, 1798, 1868
Quartetti con pf 1864
Quartetti 1825
Romanze senza parole 1823b, 1834, 1846
Barcarole 1834
Canto di primavera 1834
La filatrice 1834
Marcia funebre 1834
Ruy Blas 1841
Sinfonie n. 1-5 1841
n. 2 Lobgesang 1624, 1824a, 1841
n. 3 Scozzese 1788, 1826, 1841,
1874b
n. 4 Italiana 1788, 1841
n. 5 La Riforma 1841, 1874b
Sogno di una notte di mezzestate 1670,
1689, 1821, 1841, 1874b
Sonata per clarinetto 1827
Trii op. 49 e 66 1827, 1864
Variations srieuses 1823b
Mengelberg, Willem (1871-1951)
1902b, 1928b
Menotti, Giancarlo (1911-2007) 1896, 1945
Amelia al ballo 1896
La medium 1896
The Consul 1945
The Saint of Bleecker Street 1945
Menuhin, Yehudi (1916-1996) 1935
Mercadante, Saverio (1795-1870) 1734,
1831
Il bravo 1831
Medea 1831
La vestale 1831
Merelli, Bartolomeo (1794-1879) 1853a
Mrrime, Prosper (1803-1870) 1895
Merula, Tarquinio (1595-1665)
Canzoni, overo Sonate concertate per
chiesa e camera a 2, et a 3 1700
Merulo, Claudio (1533-1604) 1594, 1635
Il Nazareno 1890
La Passione di Cristo secondo san Marco
1890
Messe 1890
Missa Pontificalis 1890
Oratori 1874
Requiem 1874
Transitus animae 1890
Protin (Perotinus, ca 1160-1230) 1198,
1363, 1562, 1597, 1739, 1876, 1928
Sederunt principes 1198, 1594, 1876, 1928
Magnus liber organi 1198
Viderunt omnes 1198
Perrault, Charles (1628-1703) 1877, 1901
Perrot, Jules (1810-1892) 1877
Pestalozzi, Johann Heinrich (1746-1827)
1744
Petipa, Marius (1818-1910) 1877
Petrarca, Francesco (1304-1374) 1363,
1450, 1594, 1624, 1839b, 1923
Petrassi, Goffredo (1904-2003) 1610,
1930
Magnificat 1610, 1930
Salmo ix 1930
Petrucci, Ottaviano (1466-1539)
Harmonice Musices Odhecaton 1500
Petrus de Cruce (1260-1300)
Tractatus de tonis 1363
Pfitzner, Hans (1869-1949) 1562, 1827,
1864, 1874a, 1923
Palestrina 1562, 1874
Quartetti 1864
Quintetto con pf 1864
Philippe de Nemours (1160-1236)
Christi veritas 1198
Philippe de Vitry (1291-1361) 1363
Ars Nova 1363
In arboris 1363
Roman de Fauvel 1363
Piave, Francesco Maria (1810-1876)
1734, 1853a, 1876, 1945
Tosca 1896
Turandot 1896, 1968
Messa 1890, 1930
Te Deum 1896
Pugnani, Gaetano (1731-1798) 1654,
1803b
Werther 1654
Pugni, Cesare (1802-1870)
Esmeralda 1877
La figlia del faraone 1877
Purcell, Henry (1659-1695) 1670, 1689,
1711, 1712, 1742, 1841, 1945
Abdelazer or The Moors Revenge 1689
Chacony 1689
Didone e Enea (Dido and Aeneas)
1689
Dioclesian 1689
Fantasia upon One Note 1689
Hail, bright Caecilia 1689, 1742
King Arthur 1689, 1711, 1712
The Fairy Queen 1689, 1711, 1712
Welcome to All Pleasures 1689
Pukin, Aleksandr (1799-1837)
1874d, 1938
Quem quaeritis (sec. ix) 1000
Quantz, Johann Joaquim (1697-1773)
1744, 1786
Concerti per fl 1786
Versuch einer Adveisung die Flte traversiere su spielen 1744
Quartetto Amar (1921-1929) 1928a
Quartetto Arditti (1974-) 1960
Quartetto Beethoven (1923-1990) 1960
Quartetto Borodin (1945-) 1960
Quartetto Busch (1920-1951) 1928a
Quartetto Ceco/Boemo (1891-1934) 1908b
Quartetto Fiorentino 1908b
Quartetto Flonzaley (1908-1928) 1928a
Quartetto Helmesberger (1849-1870)
1908b
n. 12 D 703 1824b
n. 14 La morte e fanciulla 1785,
1822, 1824b
n. 15 op. 161 1824b
Quintetto della trota 1822, 1827a,
1864
Quintetto D 956 (op. 163) 1824b,
1825, 1827a
Rosmunde, principessa di Cipro 1821,
1822, 1824b, 1841
Sakuntala 1821
Schfers Klagelied 1822
Schwanengesang 1827a, 1827b
Sinfonie
n. 1-6 1808, 1926
n. 8 Incompiuta 1788, 1808, 1819,
1822, 1824, 1826, 1874b
n. 9 La grande 1808, 1822, 1824b,
1826, 1827a, 1841, 1874b
Sonate per pf
op. 42 1822
op. 53 1822
op. 78 1822
D 958 1822, 1824b
D 960 1822
Sonatine op. 137 1803
Stabat mater 1736
Todt 1827
Trii op. 99 e 100 1827a
Valses nobles op. 77 1822, 1834
Variazioni su Trockne Blumen 1824
Schuch, Ernst von (1846-1914) 1911
Schulz, Johann Abraham Peter (17471800) 1827b
Schtz, Heinrich (1585-1672) 1000,
1562, 1607, 1610, 1642, 1648, 1664,
1727, 1742, 1744, 1827, 1868, 1930
Christ ist erstanden 1000
Dafne 1607, 1649, 1664
Kleiner geistlichen Konzerte 1664
Lieder 1664, 1827
Alzira 1853a
Amleto 1877
Attila 1853a
Aroldo 1853a
Ernani 1853a
Giovanna dArco 1853a
Don Carlos 1829, 1877
Falstaff 1865, 1874, 1887, 1896,
1911
Giulietta e Romeo 1887
I due Foscari 1853a
I lombardi alla prima crociata 1853a
I masnadieri 1853a
Macbeth 1853a
Nabucco 1853a, 1887
Oberto 1853a
Otello 1853a, 1865, 1887, 1896
Il corsaro 1853a
Il trovatore 1853a, 1887, 1896
I vespri siciliani 1829 1853, 1928
Jerusalem 1853
La battaglia di Legnano 1853
La forza del destino 1853, 1887
La tempesta 1887
La traviata 1850, 1853, 1887, 1896
Luisa Miller 1853
Re Lear 1887
Rigoletto 1853a, 1887
Simon Boccanegra 1853a, 1887
Stiffelio 1853a
Un ballo in maschera 1853a
Un giorno di regno 1853a, 1887
Orchestra
Messa da Requiem 1868, 1874a,
1887
Stabat Mater 1000, 1736
Quartetto 1908
Verga, Giovanni (1840-1922) 1896
Verlaine, Paul (1844-1896) 1901, 1908
Viardot-Garcia, Pauline (1821-1910)
1762
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Ristampa
Anno
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2013201420152016