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ITALIA REGIONE DEUROPA

La citt italiana: continuit e cambiamento. Silvia Gaddoni


La storia dellinsediamento in Europa Occidentale rivela una forte continuit. La prima fase di
urbanizzazione, dopo gli Etruschi, risale allepoca romana, in cui iniziano a formarsi le citt che si
consolideranno con il Medioevo quando, tra il XI e XIV sec Ita e Europa conoscono espansione di
insediamenti urbani e nascita di altri. Coincide in Ita con lepoca dei comuni, dove si afferma il
modello di citt agglomerata con un nucleo centrale+antico che coincide oggi con il centro storico.
Tutte le citt maggiori si affacciano sul Mediterraneo, Italia comprende gi citt come Amalfi,
Palermo, Venezia, Roma. Le citt medievali non superano mediamente i 10 000 abitanti costretti
nelle cinta murarie; delle eccezioni sono per Parigi, Milano, Venezia e Firenze che devono il carico
demografico a funzioni manifatturiere e commerciali e al ruolo di capitali politiche. Si riconosce gi
il modello urbano gerarchico regionale (Milano capitale regionale di citt minori) e quello reticolare
(Venezia, Firenze, Genova che intrecciano relazioni commerciali). Si afferma la frattura tra centronord, competitive sul piano economico e politico-istituzionale con i liberi comuni, e mezzogiorno,
in cui un precoce sviluppo urbano (Gaeta, Amalfi, Napoli) viene soffocato dal permanere di
strutture feudali. Nel Rinascimento si afferma la nuova posizione scientifica dellurbanistica; si
sviluppa pienamente in Italia nel XV e XVI sec, appare limportanza della prospettiva, la forma
urbis geometrica corredata di opere difensive bastionate trova corrispondenza nel Cinquecento nella
necessit di difesa dalle armi da fuoco; si passa dalla citt medievale espressione di esigenze sociali
collettive e di un gusto collettivo allo studio scientifico e cosciente delle esigenze di carattere
pratico rinascimentali. Gi nel XV sec lurbanizzazione europea non ha + come centro il
Mediterraneo perch si impongono Genova e Milano accanto a Venezia, ponendosi allo stesso
livello di Parigi in quanto a popolazione; le citt settentrionali consolidano il loro ruolo
nellOttocento con lo sviluppo dellindustria grazie alle loro migliori infrastrutture come canali che
le collegano ai porti, fiumi navigabili e poi la ferrovia. Dopo lUnit nel 1861 lItalia ancora
frammentata e le opere di creazione di infrastrutture non servono ad accorciare il divario nord-sud;
Milano, Torino e Genova si affermano come il Traingolo industriale e meta di migrazioni dal sud
negli anni 50 e 60 del 900. La crescita impetuosa delle citt dagli anni 50 fino agli anni 70 porta
a fenomeno di congestione urbana delle maggiori agglomerazioni; a nulla serve il Piano 80, mai
applicato, programmato per riequilibrare la crescita urbana. Dagli anni 70 si assiste alla contro
urbanizzazione: trainata da una peculiare riorganizzazione produttiva del territorio, la dinamica
diffusiva di popolazione e insediamento, che spinge la popolazione a lasciare la citt e il suo
degrado per spostarsi in aree periferiche con una migliore qualit di vita. Gradualmente
allabbandono di attivit produttive ad alta intensit di manodopera si contrappone la crescita di
attivit terziarie e quaternarie; emergono Milano, Roma, Torino, Firenze, Bologna.
Sono distinguibili alcuni grandi assetti insediativi in Italia; con la contro urbanizzazione, le
maggiori perdite di popolazione registrate dalle citt riguardano i capoluoghi a favore
dellurbanizzazione di arre + lontane dal core urbano. I motivi sono: economici, territoriali, politici,
sociali, ambientali (logiche di mercato, politiche territoriali di decongestionamento, qualit vita).
Tutti i grandi comuni italiani (+ di 250 000 persone) tranne Messina accusano questo spopolamento.
Roma registra un calo di residenti del 6,8% a favore delle corone periferiche. Nel Mezzogiorno

oltre a spostamenti in aree periferiche delle province c ancora mobilit verso le altre regioni Ita.
Ne consegue una divisione delle citt in sei gruppi:
1- Citt metropolitane \le aquile: Milano, Roma, Venezia, Veron, Torino, Bologna, Firenze con

alto potere eco, di benessere, a livello delle realt europee + avanzate;


2- Citt dello sviluppo\i falchi: citt medie dellIta settentrionale come Aosta, Belluno,

Bergamo, Como, ma anche Ancona, Pisa, Siena con alto sviluppo eco, di benessere e di
attivit culturali spesso unite tra loro come nel quadrilatero Varese-Como-Lecco-Bergamo.
3- Centri produttivi\i pellicani: citt prevalentemente Toscane e dellemilia Romagna, come

Arezzo, Prato, Rimini, Modena, con forte caratterizzazione industriale e + alto tasso tasso di
attivit della popolazione, ma ancorate al settore manifatturiero.
4- Citt del benessere maturo\i gabbiani: citt del centro-nord e marittime come La Spezia,

Savona, genova, Livorno, Grosseto, Pescara, Campobasso, Lecce con economia solida ma
statica e invecchiamento della popolazione.
5- I poli della rincorsa\le rondini: citt meridionali che tentano un allineamento con i valori

medi italiani e una realt dinamica: LAquila, Caserta, Bari.


6- Le citt arretrate\le anatre: restanti citt del mezzogiorno che rimangono arretrate sotto tutti i

fronti come Napoli, Palermo, Reggio Calabria.


Due modelli di integrazione nel contesto europeo per quanto riguarda la distribuzione di
funzioni internazionali: quello ad assi, tipico delle citt del centro-nord, che coinvolge centri di
varie dimensioni, che vede protagonisti lasse padano settentrionale, quello emiliano-romagnolo
e quello tirrenico dalla fascia lotoranea ligure fino a Firenze; quello che vede le funzioni
distribuite maggiormente nei centri principali che attuano una sorta di polarizzazione e che
prevale nel Lazio, nelle regioni del sud e nelle isole. Nel contesto europeo solo Milano e Roma
sono citt internazionali di primo livello per dotazione di funzioni internazionali; Torino si
prsenta come una realt urbana forte, Blogna e Napoli con potenzialit di sviluppo, Genova
debole.
Le politiche urbane non possono prescindere da una visione del sistema urbano inquadrato in
quello + ampio europeo. Sono state emanate alcune Comunicazioni della Commissione che
hanno come obiettivo un sistema urbano equilibrato e policentrico con nuove relazioni cittcampagna; pari accessibilit alle infrastrutture e alla conoscenza; gestione oculata e sviluppo del
patrimonio naturale e culturale. Nel 2004 unaltra comunicazione metteva laccento su gestione
urbana sostenibile, trasporti pubblici puliti, edilizia sostenibile, uso del suolo sostenibile,
progetti di riqualificazione. Questa Strategia Tematica sullambiente urbano, prevede dei fondi
di aiuto. Nel 1994 il Programma di Iniziativa Comunitaria Urban ha coinvolto 118 citt tra cui
16 italiane, concentrando i suoi sforzi sulla rivitalizzazione economica e occupazionale e sociale
in aree fortemente degradate, a progetti di riqualificazione degli spazi urbani dismessi. Ha
interessato dei quartieri genovesi e romani, e baresi; mediamente al sud il progetto non ha
portato a risultati apprezzabili. E stato anche creato il progetto Urbact Culture, che d
importanza alle attivit culturali e alle industrie creative come strategia di rigenerazione urbana,
prendendo a modello Lille, capitale della cultura 2004.

Attualmente il modello insediativo prevalente in Ita e Europa la citt diffusa,con un paesaggio


fatto di un continuum insediativo che rende difficile distinguere ci che urbano da ci che non
lo . Lespansione delledificato nella periferia spinge a considerare alcuni fattori come il
consumo di suoli agricoli e di beni naturali ad alto valore ambientale o compromissione di
risorse finite o scarse, dipendenza dalla mobilit su gomma, congestione sistema stradale,
degrado di porzioni significative del tessuto urbano, segregazione sociale, inquinamento estetico
per la banalizzazione del territorio suburbano. A fronte di questi problemi si suggerisce un
modello giudiziosamente compatto fondato su una rete di centri urbani di diverse dimensioni, di
media densit, dai confini sufficientemente definiti, in cui la centralit si faccia portatrice di
valori plurimi con un recupero del centro storico tutelando il perturbano con una pianificazione
darea vasta.

La cultura turistica del Bel Paese. I nuovi scenari internazionali. Dallari e


Zabbini
Le prime manifestazioni del fenomeno turistico risalgono allImpero Romano e il Medioevo
dette luogo a un sistema di pellegrinaggi che aveva tre mete principali: Gerusalemme, Roma,
Santiago di Compostela. Dalla fine del XVI sec si sviluppano itinerari privati con finalit
educative, soprattutto per la formazione di giovani aristocratici accompagnati da un tutor, che
danno luogo al Gran Tour: circuito dellEuropa Occidentale comprendente i maggiori centri
culturali di Itali, Francia e Germania. Raggiunge il punto di massimo sviluppo nel XVIII secolo.
Dopo la lunga pausa del turismo di massa, nella societ postmoderna il turismo nella sua
dimensione culturale e di esplorazione ha recuperato una rinnovata centralit.
Nel XVI sec si nota il passaggio dal viaggio fatto per motivi religiosi al viagio culturale. Il
motivo il Rinascimento Europeo, che stimol la curiosit e riusc a promuovere alcuni ideali
che davano rilievo al viaggio. In Italia tra 600 e 700 litinerario si costitu seguendo le vie di
comunicazione + agevoli: il Moncenisio (confine Francia) e il Brennero (confine Austria)
essendo i valichi principali costituivano linizio e la fine dellitinerario quando non si arrivava
da Genova via mare. Dal Brennero si raggiungeva Venezia, Verona, Padova, Ferrara e Bologna,
poi Firenze e Roma, per toccare Napoli e poi risalire, da Parma raggiungere Milano,m poi
Torino e da l il Moncenisio. I viaggiatori tenevano un diario non per descrivere le cose viste ma
le sensazioni da esse suscitate. Si pu distinguere un Tour Classico, con attenzione al
Rinascimento e allet romana, incentrato su Roma, Tivoli, Albano, Frascati, la via Appia da
Roma a Napoli, lAnfiteatro a Verona, Ercolano, Pompei e che disdegnava invece tutto ci che
era stato prodotto dal Medioevo; e un Tour Romantico, che riflette la ricerca di paesaggi
drammatici, che ha ridisegnato i percorsi seguiti dando rilievo a citt medievali interne ora
diventate + attraenti della costa classicamente seguita.
Secondo molti studiosi lavvento del treno ha segnato il declino del Gran Tour perch ha
introdotto la velocit in un viaggio che esaltava la dimensione della lentezza, e ha legato il
visitatore al percorso dei binari e a un rapporto + mediato col territorio. Ma la composizione
sociale dei turisti e la durata del Gran Tour sono variate prima dellavvento della ferrovia, la
quale ha segnato comunque una svolta per laver permesso di viaggiare a un grande numero di
persone, aprendo le porte al turismo di massa. Lo spirito del Gran Tour torna oggi in forme

moderne nel desiderio di personalizzazione del viaggio e nella creazione di itinerari tematici,
sportivi, culturali, enogastronimici etc.
La complessit del turismo deriva dalla sua natura trasversale e ampio impatto sui territorio in
diverse direzioni. I movimenti turistici avvengono ovunque nel mondo e hanno un ruolo
importante nella pianificazione territoriale di molte regioni. I comuni italiani con una
attrattiva\pretesto turistico sono pari al 38% del totale e nel 1998 hanno assorbito 220 milioni di
presenze turistiche; vi operano 20 000 ristoranti e 26 000 alberghi. A seconda del livello di
aggregazione con altri comuni si hanno nuclei, magneti e distretti turistici.
Secondo lOrganizzazione mondiale del Turismo, (WTO World Tourism Organization, ora
Agenzia delle Nazioni Unite), per turismo si intende il movimento di persone che si spostano
dal luogo di residenza a un altro luogo, dove si fermano x tempo libero o x affari x almeno una
notte ->la definizione stessa fa trasparire la difficolt non solo di specificare cosa sia il turismo,
ma anche della misurazione del fenomeno. Nel 2005 si stima che 800 milioni di persone
abbiano viaggiato a livello mondiale x turismo. Africa, Asia e Pacifico hanno registrato le
maggiori crescite. Si prevede un continuo aumento della domanda, nonostante i timori del
terrorismo, laviaria, la crisi. Nel frattempo il turismo riceve sempre + attenzioni dei governo
con investimenti per migliorare le infrastrutture, lo sviluppo del mercato domestico, la
cooperazione interregionale. Nel 2004 i dati riportano che lEuropa assorbe il 54% del turismo
mondiale. In Italia distinguiamo i flussi internazionali e quelli domestici. I primi evidenziano la
capacit di attrazione e internazionalizzazione del paese, mentre i secondi evidenziano il livello
e la qualit di vita del paese. Le mete predilette da entrambi i flussi sono quelle balneari e
lacuali, seguite da mete in montagna e collina con le localit termali, mentre le citt darte
accolgono un terzo dei turisti internazionali ma meno di un quinto degli italiani. Calcolando
alberghi, campeggi, bed & breakfast, alloggi in affitto etc in Italia si contano 4 350 500 posti
letto, posizionandoci soprattutto per lospitalit alberghiera ai vertici a livello mondiale.
Tuttavia solo l1% degli alberghi a 5stelle, e solo l11% a 4; quasi il 90% del comparto
ricettivo di media o bassa qualit. Nel 2006 il PIL prodotto dal turismo in Italia stato pari al
10,8% del PIL totale nazionale: un valore che triplica quello del sistema moda italiano e quello
agroalimentare. In Italia il ruolo centrale del territorio nelle politiche turistiche stato
formalmente riconosciuto nel 2001 con la legge quadro, che ha definito lSTL sistema turistico
locale per valorizzare appunto il territorio e la dimensione locale. Spetta alle regioni mettere a
punto i propri sistema turistici locali in base al paesaggio, alle esigenze e alle peculiarit di ogni
territorio. Certamente il concetto di rete quello che risponde meglio alla fisionomia richiesta a
un STL; la legge stata recepita lentamente e accolta in qualche modo solo da otto regioni.
Poich sono previsti finanziamenti, in atto anche un fenomeno di reverse policy ossia sono
stati definiti STL anche dove non ci sono per ottenerne i finanziamenti.

LItalia protetta: la conservazione della natura e la politica dei parchi.


Cencini
Le aree protette sono sottoposte a un particolare regime di tutela e di gestione volto a proteggere
un patrimonio naturale e culturale di notevole valore. In epoca romana erano diffusi i boschi

sacri, pi tardi le riserve di caccia private dei feudatari. La filosofia di conservazione della
natura emersa nel 700-800 quando molti botanici presero coscienza degli effetti devastanti
dello sfruttamento delle colonie. USA nel 1872 creano il primo parco nazionale di Yellowstone
nel Wyoming. Oggi 12% della superficie terrestre riconosciuta come protetta. Nei primi parchi
si voleva isolare la natura, oggi si passati alla conservazione attiva che prevede anche
lintervento delluomo x ricostruire quello che ha distrutto (reintegrare ambienti vegetali,
ripopolare comunit faunistiche impoverite..). Con laffermarsi dellidea di sviluppo sostenibile
si iniziato a considerare le arre protette come parte integrante della realt territoriale e
socioeconomica di un paese.
LItalia ha un enorme patrimonio naturale per conformazione orografica, posizione geografica,
che spiegano la variet di ecosistemi e paesaggi. LItalia stata tra i primi paesi europei a
dotarsi di parchi con quello del Gran Paradiso e dAbruzzo negli anni 20: il primo nasce nel
1922 su una precedente riserva reale di caccia, il secondo nasce lanno dopo progettato da alcuni
studiosi e realizzato da un ente privato. Entrambi sono affidati a un apposito ente autonomo. Nel
1934 e 1935 sono istituiti i parchi nazionali del Circeo e dello Stelvio. Nel 1922 viene
promulgata in Italia la prima legge sulla protezione del paesaggio, modificata nel 1939 con
quella sulla protezione delle bellezze naturali tuttora in atto. Durante la guerra e anche nel
dopoguerra lambiente e la natura vissero anni di crisi per lavanzare indiscriminato dei
bracconieri, la speculazione edilizia, costruzione di impianti di risalita e costruzione di ville di
ricchi. Negli anni 70 con la congestione delle citt e la ventata ecologica i temi della tutela
ambientale acquisirono rinnovato rilievo, tuttavia spesso i progetti di istituzione di parchi
restarono solo sulla carta, come accadde per gli 86 parchi e riserve proposti dal Progetto 80 nel
1971. Dalla met degli anni 70 vennero istituite le regioni e pass a loro la competenza sulla
protezione della natura, portando allistituzione di 60 parchi regionali e riserve. Alcune regioni,
tra cui la Lombardia, diedero il via a un sistema di aree protette con quasi 20 anni di anticipo
rispetto alla legislazione nazionale. La novit di questi parchi stava nel coordinare la tutela
ambientale con un loro uso sociale e con lo sviluppo compatibile delle popolazioni locali.
Nel 1980 si pone lobiettivo di proteggere il 10% del territorio nazionale (a quel tempo l1,5%
era protetto, notevolmente indietro rispetto a Germania, Inghilterra, Francia). Nel 1987 nasce il
Ministero dellAmbiente.
Nel 1991 la legge quadro sui parchi e le aree protette ha portato allistituzione di 10 nuovi
parchi Gargano, Gran Sasso, Vesuvio.. e soprattutto ha portato allapprovazione di una
normativa generale, unitaria e organica, che ha dato i principi fondamentali per la istituzione e
la gestione delle aree protette con lo scopo di creare un sistema integrato di parchi nazionali,
naturali, riserve marine e terrestri; prevista la cooperazione tra stato e regioni, indennizzi e
incentivi per la limitazione duso delle aree private, il divieto di caccia, una estesa
partecipazione delle comunit locali e una forte autonomia regionale. A oggi stato raggiunto
lobiettivo del 10% degli anni 80, suddiviso in 24 parchi nazionali, 24 aree marine protette, 133
parchi regionali, 335 riserve naturali regionali. Le regioni + protette sono Abruzzo, Campania,
Calabria; le meno protette sono il Friuli, la Liguria, Sardegna e Molise. Le pi grandi superfici
protette sono il parco del Pollino in Calabria e Basilicata seguito dal Cilento.

I parchi nazionali sono aree di eccezionale importanza e complessit naturalistica, con


particolari ecosistemi, regolati autonomamente dallente stesso del parco, con un territorio
ampio e variegato nel quale si riscontra una significativa presenza umana.
I parchi regionali sono aree di notevole estensione nel quale trovano posto sia la conservazione
che gli scopi ricreativi e didattici del tempo libero. Anchessi sono sottoposti a particolari piani
di tutela e sviluppo.
Le riserve naturali e i rifugi faunistici sono aree di estensione limitata a volte identificabili con
un solo biotopo, pregevoli sul piano scientifico e paesaggistico, rappresentative di aspetti di
determinati territori. Un es sono le riserve naturali integrali in cui laccesso ai visitatori vietato
e lecosistema viene lasciato allevoluzione naturale; le riserve naturali orientate, nelle quali
luomo fa degli interventi mirati; le riserve biogenetiche dove si intende conservare particolari
caratteristiche genetiche delle specie, in estinzione o per riprodurle; le riserve faunistiche.
Parchi marini: proteggono in modo integrato tratti di mare e di costa; sono oggi in Italia 23 e
tutelano 565 km di coste.
Nel 1989 nasce la Federparchi, una associazione che riunisce oltre 150 organismi di gestione di
parchi nazionali, regionali, aree marine protette e riserve naturali regionali e statali. Rappresenta
i parchi nel rapporto con lo stato, le regioni, lUnione Europea e con ogni altro soggetto
pubblico o privato.
Oggi il parco non deve + solo conservare ma anche proporre piani di sviluppo per la
valorizzazione delle comunit locali. La stessa legge quadro del 91 fa proprio questo principio
che vede i parchi come occasione di sviluppo, sia a scopo sportivo, didattico, culturale nel
rispetto dellambiente. Una ricerca del 1991 conferma che listituzione del Parco dAbruzzo a
livello socioeconomico aveva apportato notevoli benefici nelloccupazione e negli standard di
benessere abitativi dei comuni limitrofi. Lesistenza di un effetto parco confermata anche dai
nuovi investimenti e dallaumento di nuove attivit. Considerando il personale dei parchi, i
ricercatori, le organizzazioni non governative,lindotto nel commercio, lartigianato e il turismo
di arriva a calcolare che 50-60 000 persone siano occupate nel settore.
In Italia buona parte delle aree protette contigua\include aree rurali; spetta al piano del parco la
valutazione dellimpatto sul territorio. Le tipologie di agricoltura praticabili nelle aree protette
(biologica, tradizionale o estensiva) sono caratterizzate dallimpiego di quantit minime o
inesistenti di pesticidi e altre sost chimiche. Si privilegiano le specie autoctone, si cerca di
ripristinare lequilibrio negli ambienti degradati e sensibilizzare gli operatori. I prodotti agricoli
coltivati in unarea protetta, tramite diverse certificazioni, possono ottenere un valore aggiunto
sul mercato. Questi vengono sponsorizzati nel Salone del gusto di Torino e nellAtlante dei
prodotti tipici finanziato dal Ministero dellambiente, il quale indica oltre 475 specialit
tradizionali.
A livello mondiale lecoturismo in costante crescita; in Italia nel 2004 sono state registrate 118
milioni di presenze nei comuni dei parchi nazionali; si combina la riscoperta di tradizioni,
culture locali, sport come escursionismo con il bisogno di stare nella natura. A volte per, come
nel Parco dellArcipelago della Maddalena istituito dal 1994, difficile operare una vera tutela a

causa del turismo di massa che da anni invade la zona: in questo caso la crescita economica ha
scavalcato la tutela delle risorse naturali.
Rete Natura 2000 un progetto del 1992 che coinvolge tutti i paesi dellUnione Europea e che
si propone di svincolare la conservazione della natura dalla logica improntata solo alla
designazione di aree circoscritte, creando invece dei corridoi ecologici che trascendano i confini
statali (grandi catene montuose, sistema idrografico, siepi, filari di alberi) per creare un sistema
interconnesso di aree naturali. Ogni stato membro deve individuare nei propri confini queste
aree per il progetto; la normativa europea fornisce linee guida per lindividuazione dei siti. Le
liste dei siti vengono discusse e approvate nei Seminari biogeografici. I siti Natura 2000 sono
disciplinati dalla normativa comunitaria che, in virt del principio di sussidiariet, lascia allle
singole autorit locali la conduzione delle aree.
La Direttiva Habitat del 1997 affida alle regioni e alle province lindividuazione e la gestione
dei siti; in Italia sono presenti circa il 65% degli habitat elencati nella direttiva europea. Rete
Natura 2000 occupa quasi il 17 % del territorio nazionale contro il 10% occupato dalle aree
protette ufficiali.

Distretti industriali e sistemi produttivi locali. Tradizione e Innovazione.


Grandi, Mariotti
Lindustrializzazione italiana stata in buona parte portata avanti da mprese medio piccole. Con
il Piano Marshall si creata una forte concentrazione della grande industria e della produzione
pesante nel Triangolo industriale (To-Ge-Mi) e un generalizzato depauperamento delle capacit
artigianali del Mezzogiorno dovuto sia ai flussi migratori che alle scelte politiche per la nascita
dei grandi poli industriali. Le scelte liberiste dellepoca miravano a sostenere uno sviluppo eco
in grado di competere a livello internazionale, con potenziamento delle dimensioni produttive e
adeguamento tecnologico.
Nel 1950 nasce la Cassa per il Mezzogiorno con lobiettivo di creare con un intervento
straordinario linfrastrutturazione del territorio meridionale; tuttavia non si parlava anche di
industrializzazione del sud, perch si credeva, erroneamente, che il miglioramento della rete dei
trasporti e dei servizi avrebbe da solo incentivato lintervento di operatori privati. Alla fine degli
anni 50 si abbraccia lidea che lindustrializzazione del sud dipenda dallintroduzione di forme
superiori di produzione attraverso la localizzazione industriale, per aumentare sia la produttivit
sia loccupazione delle zone sottosviluppate -> nascono quindi i principali poli petrolchimici di
Augusta, Milazzo, Gela, gli stabilimenti automobilistici, e i principali porti industriali di Bari,
Brindisi, Taranto Ma era proprio lintegrazione funzionale con la grande industria
settentrionale ed europea a provocare buona parte dellinefficacia di questo strumento nella
promozione della crescita delle regioni meridionali. Viene quindi lasciato spazio al nuovo
Progetto Ottanta, che riconosceva che i problemi della societ italiana erano dati dai forti
disequilibri di sviluppo; avrebbe dovuto presentare delle ipotesi programmatiche di sviluppo +
equilibrato ma di fatto non ha mai trovato applicazione pratica per lampiezza del disegno
complessivo, la scarsa stabilit del quadro politico.
I distretti industriali sono forme di organizzazione della produzione e del lavoro a partire dagli
anni 70, momento in cui nascono forme di decentralizzazione della produzione. Si passava

quindi dalla grande impresa allazienda di piccole dimensioni, spesso a conduzione familiare.
La nascita dei distretti industriali in Italia stata favorita da tre elementi: laumento della
domanda di nuovi tipi di beni di consumo (beni x la persona e x la casa);
lincapacit\indisponibilit degli altri paesi a rispondere a questi bisogni; la persistenza in Italia
di ampie aree artigianali che fornivano molta manodopera a basso costo, cui va aggiunta la
crescita di imprenditorialit tra il 53 e il 63. Nel sud per si ha una strage di artigianato e
piccola industria, mentre questo nel centro-nord si trasforma in piccole imprese manifatturiere.
Prende quindi forma il modello di eccellenza del distretto industriale: un certo numero di
imprese, di uno stesso settore produttivo o di settori complementari, localizzate in uno stesso
luogo oer sfruttare la contiguit territoriale come mezzo per intessere scambi o relazioni,
sfruttare vantaggi competitivi specifici dellarea, sfruttare istituzioni e scuole locali che
favoriscono una certa specializzazione. Appaiono per primi in Veneto, Toscana, Emilia
Romagna -> chiamate Terza Italia (distretti industriali nel nordest e centro). Negli ultimi 30 anni
le scelte localizzative delle piccole e medie imprese hanno seguito questo modello di
aggregazione.
Nel 1999 una legge tenta di semplificare lindividuazione dei distretti introducendo una nuova
tipologia di area, il Sistema Produttivo Locale, che non permette + esclusivamente alle piccole
imprese di rientrare nella categoria di distretto industriale. Permane per una grossa differenza
tra nord e sud, specialmente nei termini di distretti a sviluppo endogeno e quelli a sviluppo
esogeno.
La struttura occupazionale italiana ha un numero di addetti per impresa molto basso (3,8 contro
una media europea di 5,4). Unulteriore peculiarit italiana la specializzazione dellindustria
manifatturiera, basata su settori tradizionali maturi (pellame, tessile e abbigliamento, mobilio);
dal 1981 si avuto un aumento delloccupazione del terziario, con un contemporaneo calo degli
occupati nel manifatturiero, a indicare la tendenza verso la terziarizzazione. Rispetto alla media
europea, le piccole imprese italiane danno comunque lavoro a un numero maggiore di persone,
anche se in condizioni di minor produttivit, redditivit e retribuzione del lavoro. Da un lato la
piccola industria offre flessibilit e capacit di adattamento agli andamenti altalenanti del
mercato, ma dallaltra mostra la sua eccessivia semplicit strutturale e organizzativa. Francia e
Spagna si sono ispirate al modello dei distretti.
In Francia sono state individuate 348 zone dimpiego di solito concentrate attorno a un polo
produttivo di vecchia industrializzazione. Lobiettivo era di costituire gruppi di imprese per la
promozione di uno o + progetti comuni; la cooperazione tra imprese nella promozione
dellexport, delle innovazioni, del trasferimento delle conoscenze, della comunicazione e della
notoriet; partenariato finalizzato a connettere le imprese con gli attori pubblici locali. Questa
formulazione imprenditoriale top down porta per a problemi legati alle dinamiche interne del
distretto come mancata fiducia e cooperazione tra imprese.
Dagli anni 2000 lattenzione si sposta dai distretti produttivi industriali ai cluster dinnovazione
cui seguono interventi come la creazione di poli di competitivit, distretti digitali, distretti
tecnologici.
Nel 2000 lUnione Europea lancia la Strategia di Lisbona con lobiettivo ambizioso di
trasformare leconomia europea entro il 2010 in quella + competitiva del mondo,

concentrandosi sulla realizzazione di una societ della conoscenza, misurabile con il 3% del PIL
speso per la ricerca e lo sviluppo. Nel 2005 sono stati per rivisti gli orientamenti
riposizionando le priorit sulla crescita e sulloccupazione.
La teorizzazione dei cluster di innovazione avvenuta attraverso losservazione del fenomeno
di aggregazione di imprese ad alta tecnologia nella Silicon Valley; in un cluster di innovazione
un grappolo di imprese intesse relazioni e vantaggi competitivi grazie alla capacit di fare
relazione anche a distanza, attraverso la diffusa adozione di tecnologie di informazione e
telecomunicazione.
Nel 1997 la legge sul finanziamento dei distretti industriali ha messo laccento sullinnovazione
e lo sviluppo tecnologico.
Il metadistretto industriale o distretto tematico unarea con filiere produttive in cui ai rapporti
di vicinanza fisica tra imprese, si sostituiscono i rapporti di rete e una crescente interazione tra
imprese produttive e centri di ricerca e attivit di servizio.
Il distretto tecnologico si consolidato negli anni 2000 e indica la coesistenza nella stessa area
geografica del distretto industriale esteso anche al sistema terziario, finanziario, e di una
adeguata concentrazione di attivit di ricerca e sviluppo in cui si sviluppano e testano modi
innovativi di fare impresa. I primi distretti tecnologici approvati in Italia sono il Veneto
Nanotech e Torino Wireless.
Emerge quindi un allargamento dei distretti in termini territoriali, a causa delle
telecomunicazioni e della delocalizzazione ma anche dalla dimensione tecnologica che per
raggiungere masse critiche di eccellenza necessita di un bacino + ampio. Con lingresso di
colossi come Cina e India in settori tipici del Made in Italy per molte piccole aziende sono
andate in sofferenza; al loro posto sono emerse le medie imprese e le aggregazioni di grandi
imprese come per esempio i consorzi.

Le risorse culturali e la crescita del territorio. Friel, Trimarchi


Il patrimonio e le attivit culturali occupano nel contesto italiano una posizione di privilegiata. Il
settore culturale risulta gestito in gran parte dallo stato o dagli enti di livello sub centrale.
Unaltra porzione in propriet di privati, e una notevole quantit di edifici e di beni appartiene
alla Chiesa Cattolica, ma anche in questi casi il settore pubblico risulta sempre coinvolto con
politiche di sostegno e regolamentazione. Si caratterizza anche per la separazione tra patrimonio
culturale e spettacolo e la sovrapposizione tra fonti di intervento e di spesa, andata
concentrandosi nei ministeri direttamente competenti e nelle regioni, che provoca una potenziale
eterogeneit delle valutazioni, lincertezza sui tempi complessivi delle erogazioni,
lindefinitezza delle modalit di controllo. Nel campo del patrimonio culturale, una serie di
riforme sono rimaste sul tavolo lasciando in vigore un provvedimento normativo e organico del
1939 che per ormai inadeguato per la situazione attuale. Alcuni settori, come la musica, sono
stati oggetto di provvedimenti organici, ma altri come il cinema e il teatro di prosa sono stati
disciplinati in modo incompleto.

A fine anni 90 larte e la cultura vengono inquadrate nel contesto delleconomia immateriale,
pertanto vengono sottoposte ad alcuni provvedimenti che intendono velocizzare le procedure
amministrative, accrescere lo spazio di intervento del settore privato dando spazio alla
promozione e non + solo alla conservazione, dare maggiore spazio alle regioni e agli enti locali.
Sul piano istituzionale il cambiamento + rilevante stato quello di unificare il governo dellarte
e della cultura nellambito di un unico ministero (Ministero per i Beni e le Attivit culturali nel
1998). La serie dei provvedimenti Bassanini negli stessi anni distingue tra lattivit di tutela e
conservazione, che rimane di competenza statale, e quella di promozione e valorizzazione, che
passa gradualmente alla competenza regionale, locale e quando possibili dei privati. Nel 2004
entra in vigore il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, che di fatto raccoglie
semplicemente la normativa del settore senza un effettivo riordino legislativo.
Il concetto di bene culturale sta subendo una evoluzione interpretativa, in cui non + solo
testimonianza del passato, ma ha anche il valore di un processo che coinvolge il territorio in
tutte le sue componenti fisiche, umane, sociali e economiche. La classificazione + comune di
bene culturale vi comprende le componenti tangibili e intangibili (monumenti, opere darte,
paesaggi, biblioteche, ma anche spettacoli teatrali, concerti, pratiche tradizionali, patrimonio
orale); recentemente si affianca anche il patrimonio culturale materiale, costituito da oggetti
di design, di artigianato, prodotti della moda e dellenogastronomia, in cui la componente
tangibile si confonde con quella intangibile. A seconda degli effetti territoriali generati, si pu
operare unaltra suddivisione dei beni culturali in: monumenti, musei e gallerie, paesaggi,
eventi, diversit culturale, capitale umano e intellettuale, infrastrutture culturali del territorio
(cinema, teatri, biblioteche). Serve quindi una prospettiva multidisciplinare, che trova una trama
nella geografia umana. Secondo unaltra prospettiva, il bene culturale ha tre caratteristiche:
lidentit, la valenza formativa e il processo di trasmissione informativa.
Solo negli anni + recenti si iniziato a fare attenzione alla relazione tra domanda e offerta,
preoccupandosi di creare progetti di tutela coordinati alla valorizzazione del territorio coordinati
in un quadro organico di competenze e di funzioni delle amministrazioni e degli operatori.
La vera unicit dellItalia a livello culturale il prodigioso continuum tra le opere alte e il
tessuto connettivo delle citt che le ospitano; nel 2006 contava 195 musei statali, 41 siti
registrati nella lista del Patrimonio dellUmanit dellUNESCO. Il 40% del patrimonio di
propriet statale si trova al centro, il 35% nel sud e nelle isole e il nordest e nordovest ospitano il
15% e 10%. Nel 2006 si sono svolte un milione quasi di eventi di performing arts tra cui
concerti, spettacoli, attivit cinematografica. Segnali di cooperazione tra regioni, province e
comuni sono le citycard, i sistemi museali, i circuiti teatrali.
Il settore dello spettacolo dal vivo appare irrigidito anche per responsabilit che vanno ascritte
agli stessi produttori, che mostrano di preferire la garanzia alla flessibilit, e di mirare a
minimizzare la riduzione dei fondi di finanziamento pubblico piuttosto che mirare a
massimizzarli. Il pubblico dello spettacolo dal vivo affrontato di norma come un blocco
omogeneo di individui, accomunati da simili caratteristiche socio-demografiche, gusti e
preferenze compatti, sufficiente erudizione culturale. Di fatto non ci si preoccupa
delleterogeneit di un potenziale pubblico + esteso, si snobbano le opportunit di un suo
allargamento. Al contrario, il disagio finanziario del settore culturale, ha spinto molti operatori

di altri ambiti a scegliere direzioni pi commerciali che portano alla creazione di prodotti
culturali snaturati e poco apprezzabili. La scoperta del proprio mercato fatto da spettatori attuali
ma anche da spettatori potenziali, potrebbe spingere il settore pubblico a rivedere gli obiettivi e i
criteri della propria azione di sostegno e potrebbe spingere le imprese private a creare una certa
complicit con il settore dello spettacolo, in unottica di reciproco beneficio.
Giovanissimi, adolescenti, ceti meno abbienti, residenti in periferia etc sono le fasce + escluse
dallaccesso alla cultura per la mancanza di una strategia di accesso, per mancata conoscenza di
una domanda potenziale, per mancanza di incentivi in merito allaccesso e alla partecipazione
da parte di politiche statali e locali. Si registra quindi una bassa spesa procapite. Ci si aspetta
che il fruitore sia gi erudito e venga gi preparato personalmente alla visita di un bene
culturale, al quale si interessato privatamente con cataloghi, libri etc, di fatto tagliando fuori il
settore di persone non erudite in materia che potrebbe semplicemente essere incuriosito. La
competizione spesso ha appiattito la diversificazione del prodotto, per es con i programmi
televisivi di entertainment dove nella guerra dellaudience si abbassa leterogeneit dei
programmi.
Il turismo culturale pu essere considerato una esternalit economica derivante dalla
conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico con ricadute economiche sui servizi di
supporto al bene culturale in s, che contribuisce a sua volta a creare turismo. Strutture recettive,
tappe enogastronomiche, caffetterie, bookshop, servizi multimediali
Sono quindi non solo attrattiva turistica ma vera e propria risorsa economica; nel 2005 le citt di
interesse storico hanno registrato oltre 29 milioni di arrivi, un terzo del totale degli arrivi. I
vantaggi derivanti da una integrazione tra turismo e cultura sono quindi molteplici: permette ad
esempio una progressiva destagionalizzazione dei periodi di fruizione turistica e porta a una
differenziazione territoriale dei flussi, in una dimensione policentrica dove abbiano rilievo
anche i centri minori e le piccole citt darte.

Gli spazi agricoli e dellallevamento in Italia tra permanenze e discontinuit.


Gavinelli
Le campagne italiane si collocano a met strada tra un percorso atlantico, simile a quello delle
regioni del centro e nord Europa, e un modello mediterraneo caratteristico del sud europeo. Nel
primo predominano le monoculture su grandi superfici, elevate quantit di prodotti, grandi
allevamenti, ridotta presenza di agricoltori sui campi grazie a macchine innovative. Il secondo
impegna di + gli agricoltori per ottenere prodotti su superfici di dimensioni generalmente
ridotte, a volte localizzate sui fianchi terrazzati dei rilievi, dove la meccanizzazione resta
difficile. Gli spazi rurali sono frutto della molteplicit delle morfologie fisiche e naturali
presenti sul nostro territorio e di differenti percorsi storici e sociali, della Politica Agricola
Comunitaria, della diffusione del fenomeno urbano e della crisi del mondo rurale tradizionale.
Nel XXI secolo, gli spazi rurali italiani si distinguono per una crescente frammentariet,
unampia riorganizzazione delle loro strutture agricole o zootecniche e per nuovi rapporti
funzionali tra i diversi territori e paesaggi. Sono determinate dallinterazione tra processi di
cambiamento a scala globale e specificit locali.

Nel sistema economico italiano, il settore primario ormai il meno importante in termini
monetari e occupazionali perch rappresenta solo il 2,4% del PIL e solo il 5,2% dei posti di
lavoro (con variazioni regionali del massimo del 7% in Basilicata e minimo 1,5% in Lazio e
Lombardia). La diminuzione degli occupati nel settore, linvecchiamento della popolazione
rurale e la diffusione del lavoro part time determinano oggi un sottoutilizzo della superficie
produttiva. Il lavoro a tempo pieno riguarda infatti solo un decimo delle imprese agricole
italiane, questo perch rientrano nella categoria di imprese agricole anche quelle che eseguono
solo semplici lavori di falciatura, si concentrano su produzioni marginali o si limitano a un
raccolto manuale di cereali.
Dal 1959 con la riforma agraria la grande propriet fondiaria stata sensibilmente ridotta per
lasciare spazio alle piccole e medie imprese e per sostenere la conduzione diretta o familiare:
questa forma resta ancora oggi quella prevalente di sfruttamento (95%). Molto netto il calo
delle aziende che usano manodopera mista (familiare e non). Nel 2000 sono state censite 2 593
000 aziende su un territorio di 19 milioni di ettari di Superficie Agricola Totale, costituita da
seminativi, colture permanenti, prati e pascoli, aree improduttive, bosco. In Italia presente una
grande variet di zone boschive: bosco di leccio, faggeti e conifere in area alpina e prealpina;
zone di brughiera e lungo i corsi fluviali in Pianura Padana; nelle aree di pianura e alle quote +
basse della catena appenninica centro meridionale prevale la macchia mediterranea; lungo le
coste i boschi di leccio, di pino, le querce, i lauri e i cipressi. Negli ultimi 20 anni le superfici
boschive sono aumentate di 500 000 ettari per lo spopolamento delle aree montuose che
favorisce una rinaturalizzazione delle terre prima coltivate e per le politiche locali di
valorizzazione del bosco. Tra il 1990 e il 2002 stata registrata una contrazione del numero
delle imprese, che stata + forte al nord; ci sono quindi meno aziende piccole e poco redditizie
ma pi superficie agricola a loro disposizione. Nel nord ovest e nel nord est troviamo infatti
meno aziende ma di dimensioni + grandi per meglio affrontare i costi della meccanizzazione,
dellinnovazione culturale e della concorrenza internazionale; sono queste le aziende agricole
tra le + moderne di Europa,capaci di grandi investimenti, specializzate per filiere produttive, che
fanno ampio ricorso a meccanizzazione, pesticidi e fertilizzanti. Per questi agricoltori ne deriva
ladozione di comportamenti simili a quelli degli imprenditori industriali e di stili di vita simili a
quelli urbani. Un secondo gruppo di aziende segue linee di sviluppo + sostenibili, tempi di
produzione + lenti, e sono le agricolture elitarie biologiche che non usano fertilizzanti
chimici, pesticidi etc. La maggioranza della aziende ancora strutturata in modo tradizionale,
non si apre allinnovazione tecnologica, orienta le proprie risorse verso cicli produttivi ripetitivi;
si tratta di aziende non omologate al mercato, poco competitive e che mostrano segni di
marginalit. Il clima, la morfologia del territorio, gli eventi naturali, la disponibilit di capitale
da investire, la carenza di infrastrutture creditizie per i piccoli produttori, la presenza o meno di
una rete idrica artificiale per lirrigazione costituiscono dei fattori di rilievo per lo sviluppo di
determinate colture in determinate aree. Tra gli elementi di fragilit dellallevamento e
dellagricoltura va sottolineata lassenza di un disegno di sviluppo coordinato nel settore; altri
elementi di fragilit sono la limitata dimensione delle aziende,linadeguatezza dei servizi, la
debole integrazione con la distribuzione commerciale e lindustria alimentare, linvecchiamento
della popolazione agricola e labbandono dei terreni + marginali. La diffusione di
meccanizzazione e tecnologie non riesce ad attenuare le grandi differenze tra regioni italiane e
tra Italia e le eccellenze europee dellagricoltura (Francia, Germania..).

LItalia si distingue per una forte specializzazione nellorticoltura e nelle colture legnose
mediterranee (agrumi, vite, ulivo); solo Francia e Spagna sono in grado di competere con lItalia
in questi settori. Lorticoltura si sviluppata soprattutto in funzione dei mercati urbani e per
questo tende a localizzarsi attorno ai grandi centri metropolitani del paese (Pianura PadanoVeneta, Agro Romano e Pontino..) anche se poi presente un po ovunque in tutte le regioni
italiane. Nelle zone montuose + marginali prevalgono invece le patate e lorticoltura si limita
allautoconsumo. La produzione vinicola segnata da squilibri qualitativi e da unattenzione
non sempre adeguata alla commercializzazione, nonostante le manifestazioni che tentano di
ampliare i mercati come Vinitaly di Verona, le Cantine Aperte in Piemonte. NellItalia
centrosettentrionale esistono veri e propri distretti vitivinicoli (Langhe, Monferrato, Oltrep
pavese, Valpolicella..) i cui vini sono stati pionieri dellottenimento di riconoscimenti di qualit
come la Denominazione di Origine Controllata e Garantita. Nel sud da alcuni anni si registrano
importanti esperienze di vinificazione di qualit, con la creazione di produzioni di nicchia
(Basilicata e Molise anche se spesso restano dei vini da taglio). La vigna nel secondo
dopoguerra non solo rimasta in vari settori collinari (Langhe, Monferrato, Chianti..) ma anche
valicato i limiti esigui delle terrazze e si estesa in pianura, dove disposta in filari + ampi che
permettono la meccanizzazione. Gli agrumi trovano invece condizioni climatiche ideali nel sud,
in Sicilia e Calabria; sono presenti anche in micro regioni del nord nei laghi prealpini e in
Liguria. Lolivicoltura, con 500 000 t annue di olio, si concentra in Puglia, Calabria, Toscana e
Liguria con una offerta di alta qualit. I cereali (grano mais avena e orzo) sono una delle
principali fonti di alimentazione ma lo spazio a loro dedicato si ridotto; le rese sono + modeste
nel sud e + elevate nella Pianura Padana; solo la risicoltura (Novarese, Vervellese, Lomellina,
Pavese e Lodigiano) ancora vivace grazie alle sovvenzioni della PAC. La zootecnia e
lallevamento sono parzialmente legati allattivit agricola; i problemi del settore sono la
concorrenza di altri partner UE, le crisi cicliche di sovrapproduzione penalizzate dallUE,
dimensione ridotta delle aziende, invecchiamento degli addetti. Nel 2000, 670 000 aziende
erano coinvolte nellallevamento. In Pianura Padana prevale lallevamento di bovini con criteri
moderni per la produzione di latte e derivati caseari; su tutto il territorio si allevano suini e
volatili da cortile; nel centro, in Sicilia e in Sardegna ci sono gli allevamenti tradizionali +
poveri, quelli di caprini, ovini ed equini. Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna
possiedono circa i due terzi del capitale nazionale di bovini e porcini, e attorno ad essi si
sviluppa il sistema agricolo per le colture foraggiere. Il settore zootecnico non basta a soddisfare
la domanda di carne perci si ricorre a importazioni dallestero.
Nel tempo sono nati distretti agroalimentari, piccole aree dove il settore primario da un lato
favorisce la localizzazione di produzioni di macchinari o fertilizzanti, e dallaltro con la sua
produzione, rifornisce le imprese per la trasformazione industriale dei prodotti primari (es
Campania che sostiene con i pomodori lindustria delle conserve alimentari, Parma e Reggio
Emilia dove allevamento fornisce latte per il Parmigiano Reggiano e carni suine per il prosciutto
crudo). LItalia del food and beverage fornisce una offerta variegata e vede le prime quattro
regioni, tutte nel nord, rappresentare pi del 60% del fatturato totale ospitando la pi importante
food valley in Europa.
La PAC ha pesantemente influenzato la gestione e lo sviluppo degli spazi rurali degli stati
membri: privilegiando un modello produttivo intensivo, ad alto impatto ambientale, e la

competitivit delle imprese, ha portato a problemi come degrado del terreno, uso di pesticidi e
veleni, ricorso a concimi chimici, accumulo di eccedenze agroalimentari e animali, aumento
della domanda idrica.
Con lapprovazione del Piano Mac Sharry, alla fine degli anni 90 si prendevano le distanze
dalle prime fasi della PAC andando nella direzione di una ridefinizione politica, economica e
geografica degli spazi rurali; della valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale; della
tutela dei paesaggi colturali. Adotta quindi una visione territoriale (storica, geografica,
culturale..) nella quale non sono + presenti solo le componenti produttive dellagricoltura e
dellallevamento. Non si sovvenziona + indiscriminatamente la produzione agricola o
zootecnica delle imprese in base a parametri solo quantitativi, ma privilegia piuttosto un aiuto
ad personam agli agricoltori e allevatori, valutando caso per caso, non assorbe + le eccedenze di
prodotti, ha abbassato le sovvenzioni e attenuato le barriere protezionistiche nei confronti delle
merci importate dai paesi extracomunitari. Gli agricoltori quindi non hanno interesse
nellaumentare la quantit delle loro produzioni, ma si concentrano sulla qualit: chi privilegia
pratiche sostenibili e produzioni biologiche viene invece finanziato direttamente. Le
sovvenzioni UE servono quindi a diffondere il valore estetico, ecologico ed etico degli ambienti
rurali. La campagna perde quindi la sua prima funzione produttiva agricola e si trasforma in
spazio naturale destinato alla ricreazione e al soddisfacimento del bisogno di aria pura, di
riposo, di alimentazione sana; si accompagna quindi una rifunzionalizzazione del patrimonio
rurale. Piccoli centri storici, cascine e fattorie vengono rivalorizzate. La principale evoluzione
riguarda certamente la specializzazione delle colture, favorita dalla PAC, le cui ricadute
territoriali sono varie e anche non positive: lespansione urbana incontrollata, la delineazione di
politiche per il suo contenimento (es creazione del Parco Agricolo Sud Milano) per conservare e
valorizzare il paesaggio agricolo.
Le nuove problematiche del mondo rurale italiano sono quindi legate alla difficolt di gestione
delle risorse; in questo contesto si inseriscono anche fenomeni come lurbanizzazione della
campagna (rururbanizzazione) e lespansione delle aree metropolitane. Lagricoltura ottiene
nuovi ruoli: preservare lintegrit dei paesaggi rurali, offrire spazi per il tempo libero,
promuovere leducazione ambientale. Si crea una nuova relazione tra citt e campagna, che
devono ora affrontare questi problemi su scala regionale in sinergia.

La popolazione. Dagradi
Negli ultimi 30 anni in Italia si verificata lultima fase della transizione demografica,
contraddistinta da una bassa mortalit pareggiata da una bassa natalit. Allabbassamento della
natalit ha contribuito certamente la legge del 1971 che liberalizzava la diffusione di
anticoncezionali e quella sullaborto. Oggi il tasso di natalit in Italia del 9,4 su 1000, tra i +
bassi a livello mondiale. Le storiche regioni con saldo negativo sono Liguria e Friuli Venezia
Giulia, cui se ne sono aggiunte altre; il divario nord-sud si sta accorciando, sebbene le regioni a
+ elevata natalit restino Campania, Sicilia e Puglia. Ma prima dellamalgama sociale portato
dai flussi migratori e dai mass media, il divario era notevole: la Campania con il 24,3 per 1000
aveva una natalit quasi doppia di quella del Friuli e della Liguria. La morte invece non ha mai
presentato un grosso divario tra le diverse regioni; il tasso di mortalit semplicemente
cresciuto negli anni per via dellinvecchiamento della popolazione, frutto semplicemente della

diminuzione del numero di bambini. Se il movimento demografico risulta positivo, seppur con
solamente un incremento dello 0,6% nel 2003, grazie alleccedenza degli immigrati sugli
emigrati, che provengono da paesi islamici tradizionalmente molto prolifici e sono in et fertile.
Il calo della natalit non per legato allaumento della rottura del nucleo familiare
tradizionale: in Italia il tasso di divorzi di 8 ogni 100 matrimoni, mentre la Francia registra 35
divorzi ogni 100 matrimoni e la Gran Bretagna 44 ogni 100. La nuzialit come in tutta Europa
diminuita, e si anche ritardata let al matrimonio: 29 anni per gli uomini e 26 anni per le
donne. Una caratteristica particolare italiana la tardiva coabitazione dei giovani di oltre 30anni
con i genitori: nel 2002 il 60% dei giovani di 25-29 anni vivevano ancora coi genitori (contro il
21% della Francia), per completare gli studi e come riflesso della diffusione del lavoro
femminile, per consolidare la propria posizione professionale; questo dato per riflette anche la
precariet dei giovani e linsufficienza dello stato sociale.
I quozienti specifici di fecondit secondo le classi det delle madri al momento del parto sono
usati per valutare la natalit: Dal secondo dopoguerra si registrato un aumento delle nascite
nelle madri delle classi + giovani e un calo della fecondit di quelle sopra ai 30anni. Nel
ventennio di fine secolo, lindice di fecondit delle classi di madri dai 20 ai 24 anni si
raddoppiato, mentre quello della classe dai 40 ai 44 anni si dimezzato. Si sceglie quindi di
procreare allinizio della vita matrimoniale e poi di applicare un rigido controllo delle nascite,
questo anche dimostrato dallaumento dellaborto tra le classi di donne cinquantenni (e da un
calo dellaborto tra le pi giovani). Lindice sintetico di fecondit, ovvero il numero di figli per
donna, si ottiene sommando i quozienti specifici di fecondit (ovvero il numero di nati di una
specifica classe di et di madre diviso il numero di donne di quellet) e dividendo la somma per
mille. Il rapporto di nati maschi-femmine di 105 a 100, quindi occorre che una donna metta al
mondo 2,05 figli (o meglio, 2,1 figli per donna perch alcune donne moriranno prima di
raggiungere let riproduttiva) perch si possa rimpiazzare la generazione precedente. Il numero
di figli per donna, che ha toccato il picco di 2,4 durante il baby boom degli anni 60, ha toccato
l1,19 nel 1995 come minimo storico per attestarsi all1,28 nel 2003. La legislazione sullaborto
del 1978 di fatto fa rientrare laborto tra i metodi di riduzione delle nascite. Laumento
dellabortivit degli ultimi anni ha interessato tutto il territorio italiano, probabilmente a causa
dellaumento dellet media al parto che il primo fattore di rischio per una gravidanza.
In Italia le cause esogene di morte (germi patogeni nellorganismo) sono decisamente crollate,
emergono invece le cause endogene (dovute al logoramento interno dellorganismo). I decessi
per malattie infettive si sono ridotti a un decimo di quelli del 1951 grazie ai progressi nelligiene
e nei vaccini. Oggi il 38% dei decessi avviene per problemi al sistema circolatorio, e il 33% per
tumori. I valori + bassi di mortalit dovuti a queste ultime due cause si riscontrano le
mezzogiorno, grazie alla diffusione della dieta mediterranea. In Liguria il dato statistico del
primato di morti per tumori va imputato allalta percentuale di popolazione vecchia. In Italia
vengono erogate + di 21 milioni di pensioni. LAIDS nel 2005 ha provocato un tasso di
mortalit di 3 ogni mille abitanti, con punte massime in Lombardia e Lazio e punte minime al
sud.
Tra i 50 milioni di persone di + di 14 anni si registrano 12milioni di fumatori. Un caso
particolare laumento della diffusione del pap test: laumento legato al livello di istruzione e

di occupazione e cresce allaumentare del titolo di studio e del godimento di un posto di lavoro
stabile. Ci sono notevoli differenze del livello di salute tra persone di classi differenti.
Una famiglia su 4 oggi composta da una persona sola, spesso una donna vedova. Nel 2002 per
la prima volta i decessi di donne hanno superato quelli di uomini, a causa dellelevata mortalit
nelle classi + anziane. Lantico regime demografico, durato fino alla met dellOttocento,
contraddistinto da una elevata mortalit bilanciata da una altrettanto alta natalit, sfociato nella
seconda fase fino al secolo successivo in cui la mortalit si ridotta sempre+ ma la natalit
rimasta a un livello + alto creando un aumento della popolazione toccando il culmine con il
baby boom degli anni 60. Dopo, la natalit andata diminuendo fino allo stadio finale in cui la
mortalit non pu essere ulteriormente compressa a causa dellelevata percentuale di anziani e
la bassa natalit porta quindi a una crescita zero. Da ci deriva il progressivo invecchiamento
della popolazione con conseguenti problemi a livello di previdenza sociale. Lindice di
vecchiaia il rapporto tra gli ultra65enni e i giovani sotto ai 15anni: in Italia lindice salito da
38 nel 1961 allattuale 132 (Liguria: 241, Campania: 76).
Col calo della mortalit aumenta la speranza di vita: nel settecento questa era di 30 anni, oggi
di 77anni per gli uomini e 83 anni per le donne, in netto contrasto coi paesi in via di sviluppo
dove si registrano 35-45 anni x arretratezza e cause alimentari. Si pu parlare di un gradiente di
mortalit sociale in relazione alla professione: un professore, rispetto a un manovale, ha in Italia
la possibilit di vivere 7 anni in +.
Nel 2003 si registrato un saldo migratorio positivo di 407 000 persone. LItalia dal 1973
diventata un paese di immigrati, dal paese di emigrati che era: gli incentivi dellinversione sono
stati una economia in espansione che necessitava di manodopera, la breve distanza da paesi a
forte pressione demografica come quelli del nord africa, la facile permeabilit delle frontiere.
Sono arrivati per primi i tunisini, impiegati nellindustria della pesca nel sud, poi gli iugoslavi,
nei cantieri del Friuli, e poi le donne dalle Filippine impiegate nella cura domestica.
Limmigrazione nel nstr paese predominata dalla ricerca di lavoro, vi prevale quindi una
componente maschile di giovane et. La legge Turco-Napolitano del 1998 prevede la
programmazione dei flussi in base al fabbisogno economico e demografico delle regioni, il
controllo degli ingressi, la politica dellintegrazione per permettere agli immigrati un buon
inserimento nella societ. La legge Bossi-Fini del 2002 lega il principio del soggiorno legato al
possesso di un contratto di lavoro, introducendo il contratto di soggiorno, che deve essere
sottoscritto dal lavoratore e dal datore di lavoro. Il 15% degli immigrati continua comunque a
lavorare in nero. Lombardia e Lazio ospitano le maggiori quote di immigrati, nei quali le
componenti predominanti sono rumena, marocchina, albanese, cinese, filippina. Si addensano
nelle grandi citt industriali e nelle grandi metropoli dove si concentra la richiesta di lavoro
domestico. Da qualche anno si stanno diffondendo piccole imprese guidate dagli immigrati
come negozi di alimentari, imprese di pulizie. Quasi la met formata da cristiani, il 33% da
musulmani, il 2,4% da induisti e 1,9% buddhisti. I laureati immigrati sono il 12% degli italiani
contro il 7% degli italiani, ma le loro risorse professionali sono sottoutilizzate.
Le migrazioni interne si spiegano come conseguenze degli squilibri regionali in quanto si passa
da zone + deboli a zone + forti economicamente. A volte si tratta di colonizzazioni organizzate
per portare contadini da zone ad alta pressione demografica a zone di bonifica (ex in Maremma

nel periodo fascista). Le montagne nella fine dellOttocento sono state interessate dallo
spopolamento per le condizioni + favorevoli dellagricoltura in pianura. A ci va aggiunto il
richiamo di manodopera delle industrie. Negli anni 70 emersa la capacit di attrazione
dellItalia di Mezzo che comprende Triveneto, Emilia e Toscana, che hanno conosciuto uno
sviluppo economico diffuso che ha portato una attrazione ben distribuita in grado di superare
per vitalit il triangolo industriale. Nellultimo decennio il nordest ha avuto un guadagno netto
di popolazione dal resto del paese. Nel 2003 i trasferimenti interni hanno coinvolto 1 300 000
persone. La quantit di flussi sud-nord doppia rispetto a quelli nord-sud.
Negli anni 50 lItalia vedeva il 42% degli attivi occupati in agricoltura, il 32% nellindustria e
il 26% nel terziario. Negli anni 80 si diffonde una nuova classe di piccoli imprenditori e
nellultimo decennio la percentuale di attivi impegnati in agricoltura del 5%. La popolazione
femminile prevalentemente impiegata nel terziario. Crescono i servizi intermedi per il sistema
produttivo e anche le attivit del terziario avanzato o quaternario. Nel 2000, con un PIL x
abitante di 20 000 euro, lItalia rientra tra i paesi ricchi; ci sono forti differenze regionali: in
Pianura Padana raggiunge i 35 000 euro procapite, ma in alcune province del sud arriva solo ai
12 000 (livello dei paesi emergenti). Questo esprime il livello economico; la percentuale di
utilizzatori di internet pu essere un buon indice culturale; mentre il tasso di mortalit infantile
(morti nel primo anno di vita) pu essere un buon indice biologico. La media aritmetica dei tra
indici costituisce un Indice di Sviluppo Umano, con forti differenze regionali: le regioni del
nord hanno indici tra lo 0,8 e lo 0,9 e allaltro estremo Liguria, Molise e Sardegna e le regioni
del mezzogiorno hanno indici tra 0,3 e 0,5. Il 10% delle famiglie italiane possiede il 45% della
ricchezza totale. Nel 2003 la percentuale di famiglie povere dell11,8%. I poveri in giacca e
cravatta sono persone che vivono la povert come vulnerabilit sociale dovuta a riduzione del
salario, licenziamento, divorzio, decesso della persona di riferimento in famiglia, indebitamento.

Il ruolo dellitalia nellEuropa senza frontiere. Sartini


I confini dellItalia sono stati favoriti dalla naturale presenza di frontiere naturali come il mare e
la catena alpina che la salda al continente europeo. Al momento della proclamazione el 1861
lItalia aveva una superficie di 248 000kmq; attualmente 301 000kmq in seguito alle annessioni
di territori dopo la prima guerra mondiale.
Nel 1863 vengono stabiliti gli attuali confini con la Svizzera: dal Passo di Resia al Brennero, dal
Brennero alla sella di Dobbiaco e lungo le alpi carniche. LItalia dopo la prima guerra mondiale
aveva rivendicato il confine al Brennero come frontiera naturale, comportando lannessione del
Sud Tirolo, a popolazione tedesca, nonostante venne garantita la tutela di questa popolazione e
di quella ladina negli anni del fascismo venne vietato linsegnamento del tedesco e il suo uso nei
toponimi locali, imponeva litalianizzazione dei nomi germanici, e sopprimeva partiti, giornali e
associazioni tedesche. Alla fine della seconda guerra mondiale venne lasciato allItalia e non
restituito allAustria per mantenere la posizione strategica dellItalia nel Mediterraneo e per
usarla come protezione in caso di un nuovo pericolo pangermanista. In cambio gli italiani
dovettero concedere alla minoranza tedesca unampia autonomia amministrativa e garantire la
tutela dei loro diritti linguistici e culturali con il bilinguismo. Nel 1977 sono entarti in vigore gli
accordi firmati dallItalia e dalla Repubblica Federale Jugoslava relativi al confine che avrebbe
separato il territorio libero di trieste dalla Jugoslavia.

Nel 1974 stata estesa lampiezza del mare territoriale italiano a 12 miglia nautiche. Con una
Convenzione nel 1986 Italia e Francia hanno delimitato il mare territoriale nellare delle Bocche
di Bonifacio, lo stretto internazionale tra Sardegna e Corsica, ma non hanno ancora chiuso un
trattato per definire il confine tra Mentone e larcipelago toscano. Dal 1978 effettivo il confine
con la Spagna tra Minorca e la Sardegna; nel 1977 stato stabilito anche il confine marittimo
con la Grecia. Dal 2006 lItalia ha creato una propria zona di protezione ecologica.
Lart 5 della carta costituzionale del 1948 dice che la Repubblica promuove e riconosce le
autonomie locali; sono distinte le regioni ordinarie da quelle a statuto speciale (Sicilia,
Sardegna, Trentino Alto Adige, Valle dAosta, Friuli). Lart 131 e 132 contengono lelenco delle
20 regioni e stabiliscono che previa iniziativa di consigli regionali che interessino due terzi della
popolazione coinvolta, e tramite referendum della popolazione stessa coinvolta, possibile
formare nuove regioni con almeno un milione di abitanti. Con la riforma del Titolo V della
Costituzione nel 2001 viene lasciato pi potere alla regioni (prima la competenza residuale era
lasciata allo stato, ora la competenza residuale della regione).
Nel 1985 Francia, Germania e Benelux firmano lAccordo di Schengen con lintento di
sopprimere i controlli doganali e di polizia alle frontiere interne e di trasferirli a quelle esterne.
Nel 1990 lo firma anche lItalia. Nellarea Schengen possono circolare liberamente i cittadini
comunitari e anche quelli extracomunitari in possesso di regolare permesso di soggiorno in uno
dei paesi comunitari. Nessuno dei dieci nuovi paesi membri entrer a breve termine nello spazio
Schengen, delimitato con il confine italo-sloveno, e quello marittimo territoriale con Tunisia,
Libia, Algeria. La prevenzione di traffici illegali pu diventare + efficace se in collaborazione
con i paesi dellaltra sponda. A questo scopo, lUE ha approvato il Programma Transfrontaliero
Adriatico che copre le province costiere italiane, e il territorio dei paesi non comunitari della
costa orientale (Croazia, Bosnia, Serbia-Montenegro, Albania); nel 2006 la Conferenza di
Venezia sancisce la nascita della euroregione adriatica, con lobiettivo di uno sviluppo
economico nel rispetto dellambiente e realizzare proficui scambi culturali. I collegamenti tra
paesi UE prevedono infrastrutture ferroviarie, stradarie, valichi. Due programmi MEDOCC e
ARCHIMED prevedono degli spazi di cooperazione transnazionale coinvolgendo anche paesi
come Grecia, Malta, Cipro, Turchia ed Egitto, Spagna, Francia, Gibilterra.
LUE si pone lobiettivo di formare una grande rete europea nellambito di una politica
comunitaria dei trasporti (Ten-T); nel 1996 vengono individuati 14 progetti, tre dei quali
coinvolgenti lItalia: treno ad alta velocit Berlino-Napoli; tunnel ferroviario tra Innsbruck e
Fortezza per alleggerire il traffico del Brennero; la TAV Lione-Torino-Trieste, dal 2003
prolungata fino a Budapest. E stato gi completato lampliamento di Malpensa. I progetti sono
poi diventati 29, per promuovere una mobilit + sostenibile e ridurre il trasporto su gomma, e
prevedono investimenti a lungo termine con un rilevante impatto ambientale che deve essere
compensato da una elevata qualit.

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