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MARCELLO BARBANERA
Benevento, arco
di Traiano.
ellet moderna, il pensiero dellinvecchiamento e della morte sistematicamente rimosso attraverso una incessante attivit persuasiva di rimedi per combattere la decadenza fisica. Lintento suggerire, capziosamente, lidea di una giovinezza eterna: di conseguenza si ha difficolt ad accettare lirresistibile decadenza umana e delle cose.
Il crollo di alcuni tratti delle mura aureliane a Roma negli anni passati oppure, pi recentemente,
quello della domus dei gladiatori a Pompei, entrambi dovuti a infiltrazioni dacqua, hanno creato
sconcerto, smarrimento: non si accetta che le rovine romane, nella loro (del tutto presunta) intangibilit possano essere soggette a trasformazione e decadenza. Un romano, dopo il crollo delle mura aureliane, comment su un blog: Lo vedo come un triste presagio, proprio quelle mura
che i nostri padri avevano issato per proteggerci dai barbari. In questi casi, di norma, limportante trovare un capro espiatorio su cui gettare la colpa dellattentato alla nostra memoria, base della nostra storia, salvo assistere compiacenti o inebetiti alla continua manipolazione di questultima. A nessuno viene in mente di dire, o forse nessuno ha il coraggio di farlo, che anche i
monumenti vanno incontro a una irresistibile decadenza. Pertanto si reagisce con quello che oggi definiremmo un accanimento terapeutico del restauro. vero che lItalia basti soltanto ricordare la nomina di Raffaello a Commissario alle antichit pontificie, da parte di Leone X nel
1515 il paese dove ha potuto svilupparsi la pi antica e articolata cultura della conservazione.
Non va tuttavia dimenticato che, nel caso delle architetture romane, merito della loro durata
stata la trasformazione in altro: chiesa, carcere, fortezza, palazzo signorile, luogo di spettacolo
ecc. I nostri predecessori, quindi, non si sono accaniti nel riportare il monumento antico a unidea
astratta, in cui non si serba pi traccia delle sue storie, ma invece di togliere, hanno aggiunto, perci anche conservato. Lesemplificazione migliore di questa premessa lo squallore delle immagini del mausoleo di Augusto dopo lintervento voluto da Mussolini: la rimozione del celebre Auditorium rivel un edificio cadaverico, destinato irrimediabilmente a diventare il fantasma di una
romanit posticcia.
La storia del restauro e della presentazione dei resti di edifici romani nelle citt moderne in chiave ideologica naturalmente precede e segue lepoca del ventennio fascista. In questo saggio rivolger lattenzione ad alcuni contesti fuori di Roma, in un arco cronologico che va dallUnit
al dopoguerra, cio dal momento in cui la cura dei monumenti divenne oggetto di una istituzione centralizzata, la Direzione Generale delle Antichit, che si adoper per creare la diffusione del concetto di tutela. I monumenti considerati sono stati scelti ovviamente soltanto come
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Templi spesso trasformati in edifici di culto cristiano, ponti semicrollati o pericolanti, acquedotti rovinati, archi onorari rappezzati e assediati da unedilizia civile spesso di pessima qualit, porte urbiche di norma risistemate in epoca medievale, rinascimentale o nel Settecento, anfiteatri e
teatri inagibili, usati come cava di materiale lapideo o adattati a usi moderni, monumenti funerari fatiscenti, formano il panorama un po desolante dellarchitettura romana in Italia che, dallUnit in poi, sotto il motto di rinverdire le glorie del passato, si tenta di redimere quando va
bene da seppur discutibili interventi operati dagli addetti alle antichit degli stati preunitari oppure dallincuria totale.
Da tempio pagano a chiesa cristiana e altro
Il tempio di Minerva ad Assisi
Quando Goethe, il 26 ottobre 1786, sullimbrunire, giunse ad Assisi, da buon classicista disdegn
la basilica del santo e si fece subito accompagnare alledificio romano noto come tempio di Minerva, che conosceva dai disegni di Andrea Palladio e dalle Nachrichten von Italien di Johann Jacob
Volkmann. Annot: Ecco, innanzi ai miei occhi, quellinsigne lavoro, il primo completo monumento chio mai vedessi. un tempio di proporzioni modeste, come si conveniva a una citt tanto piccola; ma cos perfetto, cos felicemente ideato, che potrebbe rifulgere in qualsiasi luogo ...
Probabilmente, in antico non esistevano le case che ora sorgono dirimpetto al tempio e impediscono la vista ... Quanti gradini rimangono ancora interrati, non saprei con precisione; eccetto
pochi, son tutti completamente sotto il suolo e soffocati dal selciato.
In Umbria si riscontrano numerosi esempi della trasformazione di edifici romani in luoghi di
culto cristiano: la chiesa di San Silvestro a Villa San Silvestro presso Cascia sorge sullimpianto
di un tempio italico del III secolo a.C.; la chiesetta di San Damiano nel foro di Carsulae fu probabilmente edificata nellXI secolo sul luogo di un edificio forse del II secolo; la chiesa dedicata alla Madonna della neve nel foro dellantica Bevagna impostata sulla cella di un tempio
pseudoperiptero; la cripta di San Benedetto a Norcia poggia su strutture di una basilica forense del I secolo a.C. e SantIsacco o SantAnsano fu edificata sul basamento di un tempio posto
nel foro della citt.
Il tempio di Assisi fu prima trasformato in chiesa, poi usato come sede dellassemblea comunale.
Si tratta di un esempio in cui possibile ricostruire le fasi delledificio in et postantica con una
certa agevolezza. La vicinanza della basilica di San Francesco ha consentito di avere una documentazione iconografica precocissima per questo monumento, riprodotto sullo sfondo dellaffresco dellOmaggio delluomo semplice di Giotto, che precede quella del XVI secolo, rimessa in luce
di recente, in un arco di fronte alledificio e attribuita a Raffaellino del Colle.
Il tempio, esastilo corinzio, in antis, eretto probabilmente nel terzo quarto del I secolo a.C., dominava il piazzale sottostante, nel quale si vuole riconoscere larea del foro. La denominazione comune deriva da una ricostruzione erudita, basata su uniscrizione, perduta (CIL XI, 5376), che
menziona unofferta a Minerva da parte di un tale Propertius Haegius. Ciononostante finora non si
pu dire che le attribuzioni a Eracle, sulla base di una iscrizione votiva ritrovata nelle vicinanze,
o ai Dioscuri, su considerazioni di carattere topografico, siano state corroborate da argomentazioni solide.
Rispetto agli esempi citati, il tempio di Minerva uno degli edifici templari romani meglio conservati al di fuori di Roma: come nel caso del Pantheon, anche il tempio assisiate deve la sua conservazione alla continuit duso, almeno a partire dal V secolo, in seguito allemanazione delle leggi teodosiane. La trasformazione avvenne gi nellalto Medioevo: non occorsero lavori che avrebbero compromesso la configurazione delledificio, ma la semplice adibizione della cella a chiesa,
dedicata a San Donato. Un documento del 24 maggio 1212 ci informa che la propriet del tem-
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Giotto (attr.),
Omaggio delluomo
semplice, affresco con
il cosiddetto tempio
di Minerva sullo
sfondo della scena
(Assisi, San Francesco).
pio era nel frattempo passata ai benedettini del monte Subasio. I monaci, con linnalzamento di
pareti infra columnas, ricavarono stanze e botteghe, da cui traevano proventi. Il documento citato
comprova che essi concessero il tempio in enfiteusi al podest per stabilirvi la sede del comune:
nel piano superiore fu ricavata la sala per le adunanze, il piano inferiore venne adibito a carcere,
come tra laltro si vede nellaffresco giottesco. A met del XV secolo di nuovo documentato come sede ecclesiale e nel 1539, durante una visita ad Assisi, Paolo III concesse ai priori della citt
di trasformare il tempio in una chiesa dedicata alla Vergine. Ledificio rimase di propriet ecclesiastica anche dopo lUnit, ma la confraternita del Sacramento, che ne aveva il possesso, non era
in grado di assumersi le spese dei restauri. Il pittore ed erudito perugino Mariano Guardabassi,
appassionato alla cura dei monumenti della propria regione, gi nel 1879 propose alcune opere
di restauro. Nel 1897 la Direzione regionale per la conservazione dei monumenti di Marche e
Umbria fece presente alla Direzione Generale delle Antichit e Belle Arti che il pronao del tempio aveva necessit di restauri profondi. Gli interventi si sono susseguiti dalla prima met dellOttocento fino agli anni ottanta e novanta del secolo scorso, allo scopo di consolidare statica-
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Assisi, tempio
di Minerva
nel 1898 circa.
Assisi, tempio
di Minerva dopo
i recenti restauri.
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dellarco. Il progetto comunale, comunque, riprese anche lidea dellisolamento del monumento tramite una cancellata in ferro che lo circondasse, questa volta con una maggiore distanza: 80 centimetri allesterno e 40 allinterno onde non convenga di troppo diminuire la luce che per ora serve di transito a chi entra in Citt. Il cancello, di semplici barre dritte, terminanti a punta di lancia, alto non meno di 2 metri, avrebbe dovuto poggiare su un basolato di
pietra vesuviana, largo un metro, concepito come un tappeto intorno allarco: Ci non deformer per niente larchitettura ed impedir che vi si avvicinino oggetti o persone. Per salvaguardare la cornice dellarco dalle acque piovane si previde una tettoia in lastre di piombo
fissate con lamine di ferro.
Benevento, arco di
Traiano nella seconda
met dellOttocento
(foto R. Moscioni).
Giovanni Battista
Piranesi, Arco di
Traiano a Benevento,
incisione, seconda
met del XVIII secolo
(da Vedute di Roma
1839, t. II, tav. 26).
i lati, ma alla distanza di pochi metri vi erano ancora si sottolinea nella relazione ignobili muraglie. La moderna copertura in travertino lasciava filtrare lacqua che penetrava fin sotto larchivolto, creando ingenti danni.
Larco venne cos a trovarsi al centro di un incrocio di numerose strade: nella parte interna, l dove vi era la piccola piazza semicircolare fatta costruire dal governo pontificio, si immettevano
quattro vie: via dellArco di Traiano, via Pontile, via SantAgostino e vico storto allArco di Traiano; allesterno si dipartivano due tratti della via del Pomerio, il primo che saliva verso la demolita porta Somma e laltro verso lantica porta Rettore.
Trovandosi comunque in unarea decentrata della citt, larco non godeva di protezione particolare, anzi era meta della giovent locale, di cui uno dei passatempi preferiti era scagliare pietre
cercando di colpire le figure dei rilievi. Il basamento inferiore, conservato soltanto nella parte inglobata negli edifici moderni, successivamente demoliti, registrava, come accade sovente ai monumenti antichi, la testimonianza di quella umanit varia che sente lurgenza di segnalare ai posteri il proprio passaggio, incidendo il suo nome. Del cornicione che sormontava lattico superiore rimanevano pochi pezzi e per sostenere e collegare i frammenti di marmo ormai senza legante fu costruito un muretto di un metro circa, facendo perdere il piombo al pilastro esterno sinistro, di lato alliscrizione.
Subito dopo lUnit le autorit comunali di Benevento, considerate le condizioni in cui versava larco, ritennero necessario sottoporlo a restauro. Sembr prioritario conferire unenfasi
maggiore al monumento, sottolineandone la grandiosit tramite lampliamento della piazzetta
antistante poich non la stessa tanto grande che losservatore potesse abbracciare tutto il monumento con un sol colpo docchio. Data la scarsit dei fondi, lintervento fu rimandato a
tempi migliori, mentre si eseguirono i lavori ritenuti improcrastinabili per la conservazione
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Benevento, progetto
per lallargamento
della piazza Arco
di Traiano, 1888
(Roma, Archivio
Centrale dello Stato).
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Benevento, arco
di Traiano nella
sistemazione attuale.
Benevento, interventi
di restauro nellarco
di Traiano, 1888
(Roma, Archivio
Centrale dello Stato).
Come si pu desumere da questi intenti, il progetto differiva da quello pontificio nelle dimensioni pi che nelle forme: si voleva ampliare la piazza e chiudere il monumento con una cancellata.
Naturalmente, estendendo larea di risparmio attorno al monumento, occorreva demolire una
piccola casa che di lato allarco a sinistra, demolire altre ignobilissime costruzioni che sono sul
lato opposto e nello interno occupare due piccoli giardini e demolire altre case che pur trovasi in
cattivissimo stato.
Il progetto di isolamento dellarco di Traiano fu poi portato a termine nel Novecento: larea stata urbanizzata nel dopoguerra e larco costituisce il fulcro di una prospettiva dalla moderna via
Traiano, al centro di unisola pedonale sistemata a giardini.
Il cosiddetto arco di Augusto a Rimini: da porta urbica ad arco trionfale
Il cosiddetto arco di Augusto a Rimini ha avuto la sventura, tra tanti monumenti romani, di trovarsi nella regione di origine di Mussolini e, perci, di essere collegato con il fondatore dellimpero. Queste circostanze offrirono il pretesto allamministrazione comunale della citt per celebrare un proprio bimillenario della nascita di Augusto e per progettare una locale via dellimpero, fortunatamente mai realizzata.
Eretta come porta urbica nella cinta muraria romana, al termine della via Flaminia, la costruzione fu rimaneggiata nella parte superiore prima del X secolo e, pertanto, non si conosce laspetto
originario. Nel X secolo, accanto al monumento fu costruita la chiesa dei Santi Bartolomeo e Genesio, nonch numerosi edifici minori che inglobarono anche la cinta muraria, ormai priva di funzione difensiva.
Modello architettonico per Leon Battista Alberti, che ne riprodusse lo schema e alcuni particolari nella facciata del tempio Malatestiano, il monumento si salv dalla spoliazione di marmi antichi richiesti da Sigismondo Malatesta per ledificazione del tempio, cui furono sacrificati numerosi edifici romani e medievali. Interventi di restauro sono documentati nel corso del tempo: nel
1541, per festeggiare il passaggio di Paolo III, furono rimosse la terra e le costruzioni che ostruivano larco verso la citt e al 1787 data labbattimento della porta urbica medievale e la sistemazione urbanistica a opera dellarchitetto Carlo Giuseppe Fossati. Il primo rilievo esatto e la prima
proposta di ricostruzione non fantasiosa si devono a Maurizio Brighenti nel 1825; un quadro di
Felice Orlandi, conservato nella biblioteca civica Piancastelli di Forl, riproduce la ricostruzione
del Brighenti: vi compariva solo il monumento, senza il contesto attorno, riprodotto in isolamento come un arco trionfale.
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Rimini, cosiddetto
arco di Augusto
nel 1887.
Nella prima met degli anni trenta, uno dei migliori soprintendenti archeologhi italiani, Salvatore Aurigemma, avvi un documentato programma di restauro. Il progetto per cadde in un contesto culturale denso di implicazioni ideologiche: la celebrazione del bimillenario della nascita di Augusto.Alle autorit fasciste riminesi non parve dunque vero appropriarsi del restauro dellarco, forti delle origini romagnole del duce, facendone il centro di una celebrazione augustea di provincia.
Il monumento era collocato in un nodo vitale, un passaggio obbligato tra il centro della citt e il
popolare borgo San Giovanni. Aurigemma era ben consapevole che non si trattava di un arco
trionfale, ma di una porta urbica e, come tale, difesa da torri laterali unite alla cinta muraria. Resti delle torri, con rimaneggiamenti e sovrapposizioni di et medievale, erano ancora visibili e il
soprintendente intendeva valorizzarle. Le autorit locali ritenevano invece poco consono presentare una testimonianza della maest augustea circondata da decadenti edifici di epoca barbarica.
Fu invitato lo stesso Mussolini a supervisionare i lavori. In presenza di Aurigemma il duce approv il progetto della soprintendenza, salvo rimangiarsi la parola il giorno dopo e autorizzare labbattimento degli edifici circostanti: il monumento venne isolato come se fosse un arco trionfale,
esaltando cos Augusto e lideologia imperiale fascista. La demolizione dei torrioni provoc accenti di fanatismo e fu sostenuta con entusiasmo: Col Fascismo le idee sono diventate colpi di
piccone! Non si usa pi dire: Bisogna progettare questo o studiare questaltro; si d addirittura il
colpo di piccone, il quale fissa il fatto compiuto e incontrovertibile; poi si procede con le formule migliori. Se poi il colpo di piccone il Duce a darlo, anche per le discussioni di poi si taglia corto. Cos avvenuto per lisolamento dellArco. La costruzione, isolata dal suo contesto, sarebbe
cos diventata un feticcio architettonico al centro di uno spazio artificiale, punto focale di una via
dellimpero in formato provinciale.
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Rimini, cosiddetto
arco di Augusto,
nella sistemazione
del dopoguerra.
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A nulla valsero le prese di posizione di alcuni membri del Consiglio Superiore delle Antichit che
sposarono il punto di vista del soprintendente, cui fece invece da controcanto il parere opposto
del grande officiatore delle celebrazioni augustee romane, Giulio Quirino Giglioli. Giglioli dichiar: Il Duce ha voluto, col gesto compiuto nella sua terra di liberare larco trionfale augusteo
dalle umili costruzioni che lo aduggiavano, simboleggiare che quanto di misero, di modesto offuscava in Italia lo splendore della grandezza imperiale, sparito allalba dellimpero fascista e che
il fondatore del nuovo impero riprende e continua le pi gloriose tradizioni di Roma antica.
Alle proteste del soprintendente giunse un inequivocabile segnale del potere politico, quando una
mattina, sullattico dellarco, comparve uno striscione fatto apporre dai pompieri che sentenziava: Il Duce ha sempre ragione.
Non paghi dellopera di demolizione e isolamento, le autorit cittadine concepirono un ambizioso progetto urbanistico, fortunatamente mai realizzato per mancanza di finanziamenti, che prevedeva lampliamento del corso e lapertura di una strada fino allo stadio, tramite tre punti focali: la piazza Giulio Cesare, dove il condottiero romano arring i soldati dopo il passaggio del Rubicone; larco trionfale di Augusto, fondatore dellimpero; infine lo stadio, luogo di celebrazione
dei trionfi del nuovo impero.
Nel rovescio della sorte, nel 1944 gli ex alleati tedeschi in ritirata cercarono di distruggere il monumento, solo per fiaccare il morale degli abitanti, data la sua irrilevanza strategica.
Nessuno dei piani urbanistici successivi ha provato a modificare seriamente la situazione creata nel
1938: ledificazione della zona continuata, secondo il progetto fascista, sospeso solo nel 1961 a
causa di importanti ritrovamenti archeologici, che furono anche alla base dello studio fondamentale di Guido Achille Mansuelli dedicato al monumento.
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linterno dellanfiteatro e lultima giostra fu organizzata nel 1716, in onore della visita del principe elettore di Baviera. A questo tipo di spettacolo per se ne erano sostituiti altri: vi si esibivano compagnie di comici, ballerini, saltimbanchi. Carlo Goldoni assistette a uno spettacolo nellArena e descrisse il teatrino di legno allestitovi, le file di sedie per il pubblico facoltoso e il popolo che sedeva sui gradini. Stampe della fine del Settecento documentano anche la caccia ai tori, analogamente a quanto avveniva allinterno del mausoleo di Augusto.
Alcuni restauri furono eseguiti durante lepoca napoleonica, ma dal 1820 che il comune decise
di sfrattare le abitazione dallArena, concedendo soltanto un numero ridotto di arcovoli a uso di
magazzino. Vi fu unopposizione decisa da parte di tutta lumanit che occupava le arcate ormai
da tempo: carrozzieri, fabbri, falegnami, maniscalchi, venditori di ferramenta, osti, rivenditori di
legna e carbone.
La configurazione che la piazza oggi presenta cominci a profilarsi proprio durante il congresso
di Verona nel 1822. Dopo la soppressione dellospedale della Bra nel 1819, si decise di demolire quattordici numeri civici e di porre mano allopera principale costituita dallabbassamento del
livello della Bra prassi comune a tanti monumenti romani e, di conseguenza, delle quote delle strade che vi conducevano, per recuperare le proporzioni originarie con labbassamento del
piano della piazza.
Rimini, cosiddetto
arco di Augusto
nella sistemazione
attuale.
Il risultato dello sventramento visibile ancora oggi: larco estraneo al contesto urbano e ha
perduto la sua funzione: collocato al centro di un giardino, privo degli elementi che lo connettevano alla sua funzione originaria e alla citt, stato derubricato a rovina artificiale, come quelle
che nel XVIII secolo popolavano i parchi delle dimore principesche.
Continuit duso dei luoghi di spettacolo: lanfiteatro e il teatro di Verona
Il 20 novembre 1868 alcuni cittadini veronesi si rivolsero al ministero delle Pubbliche Costruzioni, allora a Firenze, informandolo che Il vetusto Monumento Romano lArena, lustro e decoro
di questa nostra citt di Verona, per previsibile deliberazione del patrio Consiglio sta per essere
deturpata nella sua magnificenza. Si intende farvi erigere nel mezzo della vasta platea un Teatro
ad uso di diurne rappresentazioni. Non era la prima volta che allinterno dellanfiteatro si costruiva un teatro: alcuni anni prima uno era stato demolito per presentare nella sua integrit ai
vicini e lontani questo colossale edificio.
Lappello dei veronesi ci immette nel vivo della storia degli usi dellanfiteatro romano pi famoso in Italia dopo il Colosseo, una storia documentata almeno dal X secolo, epoca cui data la pi
antica rappresentazione grafica dellArena nella Iconografia Rateriana.
Nel XII secolo, con la costruzione della nuova cinta urbana che va da Castelvecchio allodierno
ponte Aleardi, lanfiteatro fu svincolato dalla funzione di baluardo cui lo costringeva la vicinanza
alle mura antiche. Di conseguenza, tra ledificio e le mura venne a crearsi uno spazio vuoto, provvidenziale per la conservazione del monumento. Se nel XIII secolo da un lato si registra limpegno del comune per la conservazione di questultimo, dallaltro non cessano le attivit di spoglio.
Nel XIV secolo lArena ormai nettamente divisa in due parti: linterno, in gran parte interrato, forma una piazza ellittica; allesterno, con la chiusura dei fornici, vengono ricavati circa settanta covoli o arcovoli, adibiti in parte ad alcove per meretrici, in parte a botteghe, situazione
che perdur per tutto lOttocento.
A partire dal XVI secolo, oltre allinteresse manifestato da architetti e artisti, cominci a profilarsi lidea di un restauro. Michel de Montaigne annot nel Viaggio in Italia nel 1580: La Signoria devolve alcune delle ammende inflitte ai condannati per ripararne certe parti ... La nobilt locale se ne serve ancora per tornei e altri divertimenti pubblici.
Alla fine del Cinquecento si provvide alla ricostruzione delle arcate crollate sul lato di piazza Bra.
Nel Seicento documentato ancora lallestimento di giostre cavalleresche, mentre la Bra era usata come foro Boario o Campo Marzio. Nel 1710 Ottavio Alecchi inizi i primi lavori di scavo al-
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Verona, Arena
e piazza Bra nel 1901
e nella sistemazione
attuale.
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Verona, lArena
durante una recente
messa in scena
dellAida.
Dopo lUnit, Antonio Pompei elabor il progetto di restauro pi complesso per lanfiteatro. Nel
1872 e nel 1877 egli pubblic importanti saggi sullArena, in cui present i disegni per ricostituirne laspetto originario. Un progetto controverso, per la verit, che suscit la perplessit di alcuni addetti ai lavori. Lispettore ai monumenti Pietro Paolo Martinati espresse una critica fondata al progetto di Pompei, con le seguenti argomentazioni: [Oggi] la religione [dellantico] diventa superstizione, lantico non si ristaura, si rifabbrica ... Quasi tutti i monumenti antichi passando attraverso i secoli sono stati in qualche modo trascinati nella vita delle generazioni che si
sono succedute ... La loro completa restituzione allantica forma non potrebbe operarsi senza distruggere tutto quello che in queste varie vicende ebbero cambiato ed aggiunto, che quanto dire senza lacerare e distruggere pagine e documenti di storia. La posizione di Martinati accentuava la necessit di rispettare quello che oggi definiremmo palinsesto monumentale, in unepoca
in cui molto spesso autorit politiche e teorici del restauro erano pi propensi a liberare i monumenti antichi dalle cosiddette imposizioni barbariche, per riportarle a uno stato originario artificiale. Una pratica che, con enfasi maggiore, fu applicata durante il fascismo.
Se limpiego dellArena per messe in scena teatrali risaliva almeno al XVIII secolo, pi recente la
sua destinazione a luogo di spettacoli musicali, preludio alluso futuro che lavrebbe resa famosa
nel mondo. Il 24 novembre 1822 vi fu allestito uno spettacolo in occasione del congresso di Verona, con il testo Sacra Alleanza, musicato da Gioacchino Rossini. Il primo spettacolo lirico vero e
proprio per sembra quello messo in cartellone dallimpresario Nunziante nellestate del 1856,
con la farsa in musica Il casino di campagna di Pietro Lenotti. Si tratt di messe in scena occasionali, che non interruppero n si sostituirono agli allestimenti teatrali, proseguiti almeno fino allepoca in cui data la lettera citata allinizio. I veronesi che si rivolsero al ministro erano disposti a
tollerare spettacoli equestri o simili, perch non ingombravano con strutture permanenti, mentre
unimpalcatura a modo di teatro entro lArena ... un connubio posticcio di vecchio e nuovo ...
La fragile baracca moderna, per quanto si facesse, non poteva non parere una specie di erba parassita che si inerpica su per il tronco di maestoso albero, e impediva di lasciare alla sua solitaria
grandezza il monumento. Grandezza cui ben si adattavano le mongolfiere che portavano in alto i
turisti per una veduta della citt a volo duccello, ascendenti proprio dallinterno dellanfiteatro.
Nel 1913 fu aperta ufficialmente la prima stagione lirica con lAida, continuando la tradizione
duso originario del monumento come luogo per spettacoli e quindi, implicitamente, assicurandone la cura e la continuit di vita.
Analogamente a molti altri monumenti romani della penisola, anche lArena nel dopoguerra fu sottoposta a restauri: tra il 1954 e il 1959 furono fatti sgomberare e restaurare gli arcovoli che erano
ancora occupati da magazzini e botteghe; i lavori sono proseguiti dopo lincendio del 1962 fino agli
anni settanta. LArena esempio perfetto dei problemi posti da edifici antichi che hanno mantenuto
una destinazione pubblica non musealizzata. Se da un lato luso continuo ne ha assicurato la conservazione, dallaltro stato causa di usura: dagli anni settanta gli spettacoli lirici e le manifestazioni hanno invaso la struttura. La soprintendenza archeologica ha dimostrato sensibilit nel considerare il
monumento non soltanto come una testimonianza architettonica intangibile, ma cercando di conciliare la tutela con il rispetto della funzione originaria: ha fatto spostare dallArena i parafernalia dello spettacolo in luoghi esterni alla costruzione, assicurando la prosecuzione degli allestimenti lirici.
A Verona merita un cenno anche larea del teatro romano, un complesso monumentale pluristratificato di propriet comunale. Si tratta di un contesto architettonico omogeneo, polifunzionale
che, oltre a essere tuttora usato per spettacoli, ospita il lapidario e il Museo Archeologico nellex
convento di San Girolamo, costruito in summa cavea.
Ledificio romano, fuso con le costruzioni architettoniche moderne, conservato nello stato di rovina,
mantiene ancora la sua funzione, senza rinuncia alla percezione del passaggio del tempo.
Verona, il teatro
romano nel 1908.
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ministero dei Lavori pubblici, deliber la demolizione di un notevole tratto di mura tra la via daccesso alla stazione ferroviaria e il cosiddetto Pailleron. Con questo nome, che ne rivela limpiego
come fienile, si indicava una delle torri delle mura, allepoca in condizioni fatiscenti come molte
altre lungo la cinta. Il basamento era quasi completamente privo delloriginario rivestimento in
conci di tufo, perci il nucleo interno della muratura andava disfacendosi. Lamministrazione comunale fu propensa a una tecnica di restauro mimetica, oggi naturalmente improponibile: scartato luso di conci provenienti dalle cave originali una forma di mimetismo gi avanzata , difficilmente rintracciabili, si consigli limpiego di materiali provenienti da demolizioni di opere romane, gi esposte alle intemperie e perci con la medesima gradazione di colore e con una superficie vissuta. In virt del suo pregio architettonico, della vicinanza alla stazione ferroviaria e
ai giardini pubblici, si propose di trasformare la torre in un museo di antichit romane, progetto
rimasto irrealizzato. Gravemente danneggiata da un incendio nel 1894, fu praticamente ricostruita da Alfredo d'Andrade, e come tale ancora visibile.
Si deliber che anche la porta Pretoria fosse liberata dalle costruzioni moderne per riportarla allantico splendore.
Aosta, resti del
cosiddetto Pailleron
prima dei restauri di
Alfredo DAndrade
anni ottanta
dellOttocento
(Roma, Archivio
Centrale dello Stato).
Aosta, proposta
di restauro di Alfredo
DAndrade per
il cosiddetto Pailleron,
25 settembre 1891
(Roma, Archivio
Centrale dello Stato).
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MARCELLO BARBANERA
A R C H I T E T T U R E RO M A N E I N I TA L I A N E L C O N T E S T O D E L L E C I T T M O D E R N E
Verona, cosiddetta
porta dei Leoni nella
sistemazione attuale.
Atri, piazza
della Cattedrale,
allestimento
(ora rimosso)
dei resti delle terme
romane dopo
lo scavo degli anni
ottanta del secolo
scorso.
173
Le teche sono un oggetto invasivo e richiedono una manutenzione continua: linterno, sottoposto a irraggiamento solare, produce leffetto serra, in cui favorita la crescita di vegetazione che,
fatalmente, attacca e danneggia le strutture esposte.
Dal punto di vista estetico leffetto palese: le teche, cos come il resto dellintervento, risentono del gusto architettonico dellepoca che, osservato oggi, appare irrimediabilmente datato e
stridente. Circa un decennio fa, la soprintendenza archeologica ha deciso di eliminare lintervento, basilarmente per problemi di manutenzione, e di ripristinare la pavimentazione cos comera. Qual il problema? La presentazione degli scavi recenti una questione di opportunit
oppure di segno architettonico, come nei musei con gli interventi di Carlo Scarpa o di Franco
Albini? La stratificazione delle architetture, qualora non visibile naturalmente, deve essere per
forza mostrata, mutando il secolare intreccio spontaneo degli insiemi architettonici e delle trame urbanistiche delle citt moderne? E qualora si decida di presentarla, come raccordarla al presente? una controversia insanabile: non ci pu essere una soluzione generale, piuttosto proposte caso per caso. Forse meglio lasciare tutto com, limitandosi a presentare bene ci che abbiamo ereditato: gi un compito enorme.