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La teologia delle religioni e i suoi principali nodi teologici.


Considerazioni metodologiche e teoretiche
(Marcello Di Tora)

Articolo pubblicato (con qualche modifica) sulla Rivista della Facolt Teologica di Sicilia
Ho Theolgos, anno XXVII (2009), pp. 3-40

Nel vivace dibattito attuale su come configurare adeguatamente un rapporto cristianesimoreligioni che da un lato favorisca le condizioni per un fruttuoso incontro e dialogo con le religioni
mondiali, e dallaltro mantenga fermo il dato centrale della fede cristiana in Ges Cristo come
unico e universale mediatore tra Dio e gli uomini, entrano in gioco alcune questioni
epistemologiche e metodologiche che richiedono un approfondimento teoretico. In questo
contributo mi propongo di svolgere alcune considerazioni sui nodi principali attorno ai quali si
aggroviglia la riflessione. Infatti, dalla differente risposta alle questioni centrali che la teologia
delle religioni pone a tema e dalle differenti calibrature di alcuni principi epistemologici che si
diramano le diverse linee di tendenza di questa scienza teologica, con le loro rispettive varianti.

1. La teologia delle religioni: temi, indirizzi e bilancio (provvisorio) di una disciplina

P. F. Knitter ha scritto che tutta la storia della teologia delle religioni che nasce dallesigenza
di tenere insieme le due verit della fede cristiana della 1Tm 2,4-6, apparentemente inconciliabili1
pu essere rappresentata con limmagine dellago di una simbolica bilancia che si sposta
alzandosi e abbassandosi alternativamente pendendo ora a favore delluniversalit dellamore di
Dio che si estende a tutti gli uomini, ora a favore della particolarit di questo amore che si realizza
attraverso la singolarit di Ges Cristo e della sua comunit2. Ora con lago che punta verso la
particolarit di Cristo, con la fase storica dellesclusivismo ecclesiologico, che si estende dagli

Della stessa opinione C. Geffr, Il mistero del pluralismo religioso nellunico progetto di Dio. Fondamento biblico e
teologico (abbr. GM), in M. Crociata (ed.), Teologia delle religioni. La questione del metodo [abb. CM], Citt Nuova
Facolt Teologica di Sicilia, Roma 2006, 230; M. Dhavamony, Teologia delle religioni. Riflessione sistematica per una
comprensione cristiana delle religioni, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1997, 40; J. Dupuis, Verso una teologia
cristiana del pluralismo religioso (Biblioteca di teologia contemporanea 95) (abb. DuV), Queriniana, Brescia 1997,
281. Anche lenciclica Redemptoris missio (= RM) n. 9 di Giovanni Paolo II e la Dichiarazione Dominus Iesus (= DI) n.
20 della Congregazione per la Dottrina della Fede (= CDF) sembrano avallare lipotesi di una dicotomia. In realt, come
vedremo meglio in seguito, la vera aporia sta nellapparente contraddizione tra due verit di fede: lunico piano divino
di salvezza, al cui centro vi Ges Cristo, e la presenza attiva dello Spirito Santo nelle diverse tradizioni religiose
dellumanit che ovviamente pare spingere per un decentramento dellunit del disegno salvifico (M. Di Tora, La
teologia delle religioni. Bilanci e prospettive alla luce della Dominus Iesus, in Sapienza, 58 [2005] 1-51 (qui 45 n.
156).
2
P. F. Knitter, Introduzione alle teologie delle religioni (Giornale di teologia 315), Queriniana, Brescia 2005 (abbr.
Kn), 30, 47,. 135, 164, 176, 215, 220, 224, 302, 343-344, 397, 419.

2
inizi della chiesa fino alla prima met degli anni Trenta del XX secolo; ora con lago
maggiormente bilanciato a motivo del riconoscendo delluniversale volont salvifica di Dio, con i
prolegomeni di una vera e propria teologia inclusivista di matrice cristocentrica la quale, agli inizi
del Novecento, comincia a interessarsi non pi semplicemente della salvezza degli infedeli, ma
delle religioni non cristiane in quanto tali e del loro ruolo nel disegno salvifico di Dio3; ora, infine,
intorno agli anni Settanta, con lago sbilanciato tutto a favore delluniversalit della presenza di
Dio nelle altre religioni con il pluralismo teocentrico4. Il problema avvertito oggi sta nella tensione
fra il bisogno di rispettare, amare e dialogare con gli altri credenti da un lato, e le tradizionali
pretese cristiane che Ges sia il solo-e-unico Figlio di Dio e Salvatore dellaltro5. Questa tensione
si scarica tutta nel vero nodo cui la teologia delle religioni deve far fronte, e cio su come Ges
salva, vale a dire: il modo in cui entra nella vita delle persone e le mette in contatto con Dio6.
Dalla differente soluzione al modo di intendere la figura di Cristo si originano e si diversificano i
diversi paradigmi e modelli che la storiografia conosce7.
3

I. Morali, Salus infidelium: sondaggio storico su un tema classico, in Associazione Teologia Italiana, La salvezza
degli altri. Soteriologia e religioni, a cura di M. Gronchi, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2004, 23- 50. in questo
periodo che nasce la teologia delle religioni, intesa come disciplina che si occupa delle religioni in quanto tali e della
loro collocazione nel disegno salvifico di Dio, anche se la sua apparizione formale si registrer solo agli inizi degli anni
Settanta su iniziativa di J. Hick, R. Panikkar e successivamente di P. F. Knitter, promotori della cosiddetta teologia
pluralista delle religioni. In campo cattolico, la prima dizione appare nel titolo di un saggio di V. Boublk, pubblicato a
Roma nel 1973, in contemporanea con il volume God and the Universe of Faiths di J. Hick, pubblicato a New York, e
con larticolo The Category of Growth in Comparative Religion. A Critical-Self-Examination, di R. Panikkar,
pubblicato nellArward Theological Review (cf. Kn, 230, 255).
4
Se la tripartizione dei paradigmi pi diffusi stata proposta inizialmente dallanglicano A. Race nel 1983, soprattutto
il modello pluralista a farne largo uso per caratterizzare le posizioni ad esso precedenti e per distinguersi da esse.
Recentemente, P. F. Knitter ne ha proposto una riformulazione: della Sostituzione per lesclusivismo i cui esponenti,
dellevangelismo americano, sono detti conservatori , del Compimento per linclusivismo con i suoi esponenti
liberali e della Reciprocit per il pluralismo, i cui sostenitori sono chiamati mutualisti (cf. Kn, 302, 428, 315, ecc.). A
questi tre orientamenti classici ne aggiunge un quarto, detto dellAccettazione, il quale, valorizzando maggiormente
lirriducibile differenza tra le religioni, promuovendo la politica del buon vicinato, sposta continuamente lago tra i
poli delluniversalit e della particolarit (cf. Kn, 419). Il modello dellaccettazione, in realt, pare una variante
dellinclusivismo perch sottolinea che tutta la salvezza soltanto per mezzo di Ges Cristo (cf. Kn, 398). Ultimamente,
G. Gde ha proposto un ulteriore parametro interpretativo del rapporto cristianesimo-religioni, ma che tuttavia non
pretende di costituire un ulteriore criterio di classificazione, bens unermeneutica cristiana delle religioni: si tratta
dellinteriorismo (G. Gde, Adorano con noi il Dio unico [Lumen gentium 16]. Per una comprensione cristiana della
fede islamica [abb. GAd], Borla, Roma 2008, 31).
5
Kn, 302; cf. 301.
6
Ibid., 306.
7
Sulla distinzione tra paradigmi e modelli, si veda DuV, 242-243. Le ragioni per le quali la tripartizione resta tuttora
insuperabilmente valida, malgrado da pi parti se ne invochi con forza il superamento, sono tre. In primo luogo, perch
rappresenta una guida approssimativa per cogliere quello che si sta sviluppando come un multiforme dibattito
teologico (J. Farrugia, La sfida del pluralismo religioso contemporaneo alla teologia cristiana nel contesto
anglosassone, in M. Crociata [ed.], Teologia delle religioni. Bilanci e prospettive [abb. CT], Paoline, Milano 2001, 87;
M. Crociata, La teologia delle religioni tra specializzazioni metodologiche, teologia fondamentale e dogmatica, in CM,
283). In secondo luogo, perch ancora nessuno ha proposto alternative davvero valide. In terzo luogo, e mi sembra
largomento decisivo, perch come ha gi mostrato P. Schmidt-Leukel cit. in GAd, 31-32, 36-37, 100-102 i tre
paradigmi sono completi e quindi escludono ogni altra possibilit. Infatti, rispetto alla verit cristiana le religioni posso
essere: 1) o false (da qui lesclusivismo); 2) o paritariamente vere (ed ecco il pluralismo); 3) o, infine, parzialmente vere
(inclusivismo). Linteriorismo di G. Gde, che, come detto, non si presenta come un quarto modello di classificazione
giacch si propone di valorizzare pienamente la verit insuperabile delle religioni, prendendo cos le distanze
dallinclusivismo, (cf GAd, 15, 25, 32, 79-112), pu valere solo per lebraismo. Solo dellebraismo, infatti, la fede
cristiana riconosce lispirazione delle Scritture, tanto da accoglierle nel proprio canone. Ma i testi sacri (in senso
descrittivo e fenomenologico) delle altre religioni non sono ispirati (cf. Dei verbum [= DV] 11; Commissione Teologica
Internazionale, Il cristianesimo e le religioni [= CTI], LEV, Citt del Vaticano 1997, 88-92; DI 8). Dunque il rapporto

3
Negli ultimi anni alcune figure di punta della corrente inclusivista, come J. Dupuis e C. Geffr,
hanno elaborato quello che G. Gde chiama nuovo inclusivismo8. Questa corrente di pensiero
cerca di superare le tensioni richiamante da P. F. Knitter per conciliare il cristocentrismo inclusivo
con le migliori intenzioni della posizione pluralista di valorizzare le religioni non cristiane, ma senza
per questo sacrificare la singolarit dellevento cristologico, che non negoziabile per la teologia
cristiana9. Ma lesito del ripensamento del messaggio cristiano da parte dei teologi gesuita e
domenicano, al fine di rilanciare il dialogo con le religioni, non stato quello sperato. Da un lato, il
saggio Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso di J. Dupuis stata oggetto di un
Notificazione (2001) da parte della CDF; dallaltro, critiche serrate non sono state risparmiate anche
alla linea di C. Geffr10, fatte salve, certo, sia a Dupuis sia a Geffr le migliori intenzioni nel
salvaguardare il cuore della fede cristiana in Cristo salvatore e rivelatore del Volto del Padre.
Se il punto davvero cruciale della teologica delle religioni oggi costituito dalla questione
cristologia, attorno ad essa si avvitano tutti gli altri temi che costituiscono loggetto di studio di
questa disciplina: il ruolo dello Spirito, la qualit teologia dei semi di bene nelle religioni nonch
la loro capacit di mediare la salvezza, il rapporto delle religioni con la Chiesa ed il Regno; infine,
sotto il profilo apologetico-fondamentale, la questione veritativa11. Al fine di sollecitare la ricerca e
una pi approfondita intelligenza della fede, mi propongo di illustrare i principali temi dibattuti.

2. Il condizionamento del dialogo nella ricerca teologica

Chiesa-Israele non pu costituire il modello per definire il suo rapporto con le altre religioni, come auspicherebbe anche
C. Geffr (cf. GM, 228).
8
G. Gde, Il nuovo inclusivismo e linteriorismo. Rilfessioni epistemologiche e metodologiche in teologia delle
religioni, in Ho Theolgos [= HTh], 24 (2006), 241-242, 244. J. Dupuis, dal canto suo, definisce la sua posizione nei
termini di un pluralismo inclusivo o di inclusivismo pluralista, che trova la sua espressione nei termini di una
cristologia trinitaria (Il cristianesimo e le religioni. Dallo scontro allincontro [Giornale di teologia 283] (abb. DuS) ,
Queriniana, Brescia 20022, 180, 188, 182, 264). Anche C. Geffr, che accetta un cristocentrismo costitutivo [], non
esita a parlare di un pluralismo inclusivo (GM, 219). Il teologo francese aveva gi sviluppato il suo pensiero nei suoi
studi pi recenti: Verso una nuova teologia delle religioni, in R. Gibellini (ed.), Prospettive teologiche per il XXI
secolo, Queriniana, Brescia 2003, 353-372 e Le mystre du pluralisme religieux dans lunique dessein de Dieu.
Fondement biblique et thologique, in HTh, 22 (2004), 279-296. Le posizioni di J. Dupuis e C. Geff potrebbero essere
definite semi-pluraliste.
9
J. DuS, 180.
10
Cf. G Gde, Il nuovo inclusivismo, cit., 241-246; Id., Il primo passo metodologico. Una breve replica al
contributo di Claude Geffr, in CM, 239-245; G. Colzani, Per una teologia delle religioni. Note su questioni di metodo,
in ibid., 254.
11
Le problematiche poste dal fenomeno del pluralismo religioso non riguardano la teologia e non interpellano
direttamente i credenti, se non come cittadini di uno Stato. Infatti, le risposte alle questioni sollevate dalla presenza
degli immigrati sono di competenza della societ civile, la cui autonomia stata riconosciuta dalla Gaudium et spes (=
GS) 36, 59 e dallAd gentes (= AG) 12. Neanche il Vangelo pu offrire risposte assolute perch non un Codice civile
come il Corano nella shara islamica. E nella sfera pubblica, tra le forze politiche e nellopinione pubblica, tutte le
opinioni sono valide non in virt di una loro legittimazione divina, ma soltanto per la loro ragionevolezza nel
promuovere il bene comune; da questa dialettica democratica prendono forma le leggi dello Stato. Ma la presenza dei
seguaci di altre religioni nel tessuto sociale di un Paese solleva una serie di questioni religiose che interpellano, queste
s, la comunit credente e si riconducono a tre: dalla messa in discussione della propria identit nel supermercato delle
religioni (apologetica) alla costruzione di una rete di pacifici rapporti (relazionale), fino alla riflessione sul significato
che il pluralismo religioso occupa nel disegno salvifico realizzato in Cristo (dogmatica).

4
I maggiori paradigmi teologici, pur differenti nella soluzione che individuano per risolvere
i principali problemi che assillano la coscienza credente relativi al modo di come valutare
positivamente le religioni nel disegno salvifico di Dio, sono accomunati dallesigenza di creare le
condizioni pi adatte per favorire il dialogo con i seguaci delle altre religioni. Per questa ragione la
teologia delle religioni attuale una riflessione tutta piegata alle esigenze del dialogo
interreligioso. La sua credibilit viene misurata nella sua capacit di rispettare realmente le
religioni e di riconoscerne la validit salvifica e veritativa; sono queste le condizioni che vengono
individuate per promuovere un autentico dialogo interreligioso12. La subordinazione della teologia
al dialogo si traduce nellassunzione di cinque postulati che vengono comunemente posti come
punti di partenza dellimpianto epistemologico delle correnti teologiche attuali. Su ogni punto
andrebbe svolta unanalisi molto pi approfondita. Brevit mi impone di richiamarli soltanto per
evidenziarne la problematicit.
Il primo principio che viene stabilito quello del superamento della pretesa di superiorit
del messaggio cristiano. Diversi sono i fattori che ne sollecitano la rimozione; essi, molto pi
incisivi di quanto si pensi, sono sia di natura psicologica sia di matrice filosofico-culturale.
Partiamo da quelli psicologici. I cristiani che sono chiamati a dialogare presteranno ogni cura
nellevitare di urtare la suscettibilit dellaltro con argomenti che possano innescare la polemica ed
il conflitto. Essi saranno naturalmente portati, come su un piano inclinato, a mettere da parte quegli
aspetti della propria identit che possano risultare inaccettabili per laltro, o che possano essere
percepititi come offensivi atti di arroganza e forme di imperialismo religioso13. ricorrente
lopinione secondo la quale i cristiani non possono vantarsi di detenere il monopolio della verit14.
E pi volte, sia C. Geffr che P. F. Knitter, insistono sullequivalenza verit-imperialismo
religioso15. In termini positivi, nel dialogo ci si adopera per esprimere sempre pi apprezzamento
per i valori religiosi e spirituali del partner16; in una parola: ci si impegna a compiacerlo17.
12

Cf. Kn, 220-226. Dupuis parla espressamente di pressioni che ha subito la teologia nel mutare i suoi modelli
interpretativi (cf. DuS, 152).
13
Cf. Kn, 21, 70, 117, 217, 272, 296, 272, 336. Anche la posizione inclusivista, propria del Vaticano II (cf. G. Gde,
Interiorismo: unalternativa per la teologia delle religioni allesclusivismo, allinclusivismo e al pluralismo, in HTh, 20
[2002], 351) e dal Magistero successivo secondo la quale soltanto la religione cristiana assolutamente vera e
salvifica, mentre le altre religioni non raramente riflettono un raggio di quella Verit che illumina tutti gli uomini
(NAE 2) considerata sospetta di imperialismo.
14
Cf. GM, 228; Kn, 188-189; DuV, 439, 513.
15
Cf. GM, 216, 230, 231, 236; Kn, 272, 296.
16
Non deve sorprendere, quindi, se il tema veritativo stato quasi del tutto rimosso dalla riflessione attuale salvo
lodevoli eccezioni per essere soppiantato dallinteresse soteriologico (cf. G. Canobbio, Lemergere dellinteresse per
le religioni nella teologia cattolica del Novecento, in CT, 19, 55).
17
Scrive a chiare lettere G. Gde: chi insiste sullinsuperabile pretesa di verit del messaggio cristiano, oggi avverte
subito di essere considerato sospetto di un atteggiamento di superiorit e perci poco incline al dialogo e, quindi,
antipluiralista o perfino fondamentalista (Interiorismo.., cit., 348); viene sospettato di disprezzare i valori delle altre
religioni (cf. Kn, 19, 26, 306, 374), o, peggio ancora, di nascondere, dietro il paravento del dialogo, il subdolo
proposito di convertire e di rimpiazzare la religione dellaltro con quella cristiana, scambiando cos il dialogo per una
forma di missione evangelizzatrice o di proselitismo religioso che disattende i principi illuministici di libert di
coscienza (cf. Kn, 19, 26, 171-174, 178, 200). Da qui la pressione psicologica perch la propria identit si messa da
parte.

5
Gli altri fattori che mettono in crisi la pretesa veritativa del messaggio cristiano vanno
individuati anzitutto nel peso del pensiero filosofico post-metafisico delle nostre societ
postmoderne, refrattario ad ogni concetto di verit assolutamente valida per tutti. Valga per tutti la
dichiarazione di J. Haight secondo cui, a causa dellodierna coscienza pluralistica, non si pu
continuare ad affermare ancora [] che il cristianesimo sia la religione superiore o che Cristo sia
il centro assoluto al quale tutte le altre mediazioni storiche sono relative [] Nella cultura postmoderna impossibile pensare [] che una religione possa pretendere di essere il centro al quale
tutte le altre devono essere ricondotte18, come leggiamo invece in RM 6. Un altro
condizionamento culturale quello di ampi settori dellopinione pubblica, soprattutto negli
ambienti giovanili, nei quali diffusa lopinione secondo cui ogni pretesa di verit ha un sapore
abbastanza negativo, poich associata a dogma, a ideologia e intolleranza, spirito settario,
fanatismo 19. Da qui un altro fattore di pressione, di tipo storico, che associa la pretesa di verit alle
guerre di religione, al punto che ormai per il pregiudizio illuminista del nostro tempo, la parola
religione diventata sinonimo di irrazionalit e addirittura di assassinio20, specialmente se si
tratta delle religioni dette monoteiste. A fronte di questo scenario fosco, tutto ci che invece ha a
che vedere con il pluralismo, con il valore dellaltro e con la tolleranza rientra in un quadro pi
rassicurante e viene considerato positivamente.
I punti deboli di questa prima premessa sono facilmente individuabili. Anzitutto, perch
nessuno deve sentirsi offeso dalle convinzioni religiose dellaltro o dal fatto che le proprie
posizioni di fede non siano condivise, purch la testimonianza reciproca sia comunicata con
rispetto e umilt. Entrare in relazione con laltro significa anzitutto accettare la sua differenza e
rispettarla come segno della sua libert di coscienza e di religione. Per il cristiano, poi, la
superiorit sta nel dono ricevuto dallalto e accolto senza nessun alcun merito nella fede (cf. RM
10), non della propria persona. La regola del dialogo , quindi, non imporre e non rinunciare. Ma
la premessa dettata dalle teologie delle religioni anche paradossale perch si tratta di una
rinuncia asimmetrica, in quanto viene invocata unilateralmente solo per i cristiani, ma non per i
credenti delle altre religioni21. Tanto pi che nella quotidiana prassi del dialogo interreligioso,

18

R. Haight, Jesus the Symbol of God, Orbis Books, Maryknoll/New York 1999, 333. Le posizioni dello studioso
gesuita non potevano passare inosservate. Lesame di questo saggio, da parte della CDF, ha prodotto una Notificazione
(2004) nella quale a differenza di quella indirizzata al volume di Dupuis, che conteneva formulazioni ambigue e
spiegazioni insufficienti si ravvisano affermazioni contrarie alla verit di fede divina e cattolica appartenenti al
primo comma della Professio Fidei, riguardanti la preesistenza del Verbo, la divinit di Ges, la Trinit, il valore
salvifico della morte di Ges, lunicit e luniversalit della mediazione salvifica di Ges e della Chiesa, e la
risurrezione di Ges.
19
G. Gde, Da Erns Troeltsch a Hans Kng. Un itinerario teologico tedesco, in CT, 109, 112.
20
C. Taylor, Perch torna il bisogno di sacro, in Il Corriere della Sera, 15.1.2008, 41.
21
G. Gde, Interiorismocit., 354; cf. Kn, 155, 305. Questa s che ha tutto il sapore di essere una vera e propria forma
di intolleranza dei tolleranti. In realt, come osserva K. Berger, la teoria che vuole accantonare la propria identit e
perci dichiarare che tutte le religioni sono uguali viene confutata gi soltanto dal fato che nessun seguace serio di una
religione pu condividere tale affermazione non per cecit ideologica, ma per amore. Lamore rende prevenuti, ma

6
nessun seguace di altre religioni ha mai pensato che nel dialogo si debba accantonare le propria
identit per compiacere i cristiani o come condizione per entrare in dialogo22. Del resto, lo stesso
P. F. Knitter ad ammettere che ogni religione ha i suoi elementi irrinunciabili, e sedersi al tavolo
del dialogo lasciando fuori dalla porta qualsiasi pretesa di verit esclusiva o definitiva una
richiesta che (questa s) offende molte persone religiose perch parte di quelle convinzioni o
impegni che definiscono lidentit della persona religiosa. Metterli in discussione mettere in
discussione chi essa e vuole essere. Se vogliamo essere onesti su noi stessi, la maggior parte di
noi non in grado di arrivare a tanto23.
Il secondo principio che condiziona la teologia rappresentato dal postulato secondo il
quale il dialogo pu essere intrapreso solo a condizione che gli interlocutori si collochino su un
piano di parit. Si tratta di una premessa chiave per capire gli orientamenti attuali della teologia
delle religioni. Alla luce di questa premessa, perfino linclusivismo, malgrado la sua apertura alle
religioni, frutto della rinnovata stagione nei rapporti con i loro seguaci avviata con il Vaticano II, a
giudizio di G. Gde non potr, a lunga scadenza, figurare come unopzione veramente
soddisfacente. Con la sua persistente posizione di superiorit sulle altre tradizioni religiose,
linclusivismo pare poco adatto a svolgere un dialogo interreligioso par cum pari e a rendere
veramente giustizia alle grandi religioni mondiali e alla loro capacit umanizzatrice24. Ma questa
auspicata parit nel dialogo non la pari dignit degli interlocutori, che hanno il diritto di
esprimere le loro opinioni, di rispondere alla loro coscienza sulle tematiche relative alla religione e
di essere rispettati in tale esercizio della libert, bens la parit delle convinzioni di fede. quindi
sententia communis ritenere che la condizione che permette un dialogo interreligioso su un piano
di uguaglianza25 che esso sia una strada a doppio senso di marcia26, come la chiamano sia P.

lunico significato dellesistenza. Chi vuol dichiarare tutte uguali le religioni cieco quanto un uomo che volesse
dichiarare che tutte le donne sono uguali (Ges, Queriniana, Brescia 2006, 389).
22
la prima critica mossa da M. Borrmans al saggio di G. Gde (M. Borrmans, Come accogliere il libro di Gerharad
Gde Adorano con noi il Dio unico, HTh 26 [2008], 128). Negli incontri interreligiosi lipotesi di un negoziato sulle
rispettive identit religiose non mai stata posta in agenda, come conferma anche il primo Forum islamo-cattolico
tenuto in Vaticano dal 4 al 6 novembre 2008. In questo seminario, due delegazioni, cattolica e musulmana, formate
rispettivamente da una trentina di studiosi, si sono incontrate e poi ricevute in udienza da Benedetto XVI (cf.
LOsservatore Romano [= OR], 7.11.2008, 8) per discutere sui temi della Lettera aperta del 13 ottobre 2007,
sottoscritta da 138 musulmani (diventati in seguito 275) e indirizzata a tutti i leaders cristiani. Come si pu leggere
nella dichiarazione finale, bench si siano toccati tutti gli argomenti, i temi trattati riguardano sostanzialmente la dignit
umana e il rispetto reciproco (cf. OR del 7.11.2009, 7 e ripresa in ibid., l8 novembre 2008, 6). Per un resoconto dei
lavori, rimando in particolare al numero monografico di Se Comprendre, n. 8/10 (2008), 1-14
(www.comprendre.org).
23
Kn, 210; cf. 319-320, 329, 194, 458-459. Sotto questo profilo, va compreso quanto scrive anche Benedetto XVI nella
lettera indirizzata a M. Pera in occasione della pubblicazione del suo saggio Perch dobbiamo dirci cristiani. Il
liberalismo, lEuropa, letica, Mondadori, Milano 2008, 10-11. Approvando quanto scrive lo studioso liberale, il
pontefice scrive che un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non possibile, mentre urge tanto pi il
dialogo interculturale che approfondisce le conseguenze culturali della decisione religiosa di fondo. Se lo intendiamo
come negoziato, infatti, non pu esistere perch se un interlocutore perde la sua identit religiosa, allora non c
nessuno con cui confrontarsi.
24
GAd, 13.
25
GM, 218; cf. Kn, 222.

7
F. Knitter sia anche J. Dupuis; una strada in cui si d e si riceve. Per stabilirsi in termini
costruttivi, reali e autentici, la relazione che deve instaurarsi tra gli interlocutori deve essere di
reciprocit, cio una relazione una conversazione che ha luogo realmente in entrambi i sensi,
nella quale entrambe le parti parlano e ascoltano realmente e realmente sono disposte a imparare e
a cambiare27. Ognuno deve poter apprendere e arricchirsi con le verit degli altri. ci che
viene inteso con la categoria della complementarit tra le religioni. Ma ribaltando laccezione
con cui larricchimento reciproco viene tradizionalmente inteso in ambito cattolico, ossia la
possibilit di comprendere meglio la posizione dellaltro che produce come effetto anche una
maggiore consapevolezza identitaria , di aiutarsi a vicenda per superare eventuali pregiudizi o
malintesi, di perfezionare il proprio linguaggio teologico e perci crescere nella comprensione del
mistero in cui si crede con nuove categorie filosofico-culturali apprese eventualmente dalla
tradizione religiosa dellinterlocutore28, nella nuova concezione moderna riguarda la possibilit di
apprendere dallaltro qualcosa di realmente nuovo. Ma fino a che punto nuovo? Secondo la
radicale posizione pluralista, non soltanto ci che non stato detto nella propria tradizione,
cristianesimo incluso, ma anche verit che si oppongono a quanto gi conosciuto dalla propria
fede; dunque verit che possono perfino correggerla. Per linclusivismo (puro), che reputa la
rivelazione di Cristo completa e definitiva, deve essere esclusa la possibilit che si possano
apprendere verit che non siano gi contenute qualitativamente e quantitativamente contenute
nella rivelazione cristologica, fissata per iscritto nel canone biblico e custodita dalla Tradizione
ecclesiale (cf. DI 5-8)29. Certamente cresce la loro comprensione nel tempo (cf. DV 8, 23), ma non
nel senso di aggiungere al deposito della fede quanto ancora sconosciuto. Per i nuovi inclusivisti,
i cristiani possono apprendere realmente nuove verit, anche se queste non possono contraddire la
rivelazione di Cristo30. Per gli interioristi, infine, si tratta di riconoscere la verit presente nelle
religioni non come una verit parziale, come nellincluisivismo, ma come una verit

26

Kn, 208; cf. 212, 222-224. Al riguardo del Vaticano II, cos scrive lo studioso belga: bisogna domandarsi se il
dialogo con le altre religioni che il concilio intendeva favorire non presupponga il riconoscimento, al loro interno, di
valori umani autentici non ugualmente posseduti dal cristianesimo. Soltanto in tal caso il dialogo sarebbe praticabile e
avrebbe un senso. Esso infatti, per definizione, una strada a doppio senso in cui vi un dare e un ricevere (DuS,
135).
27
Kn, 221; cf. 211, 222, 305, 312-313.
28
Cf. RM 55-57, 52; Giovanni Paolo II, Fides et ratio (= FR), 72; Id., Ecclesia in Asia, 20-22, 31. Dal punto di vista
cristiano si pu apprezzarne il patrimonio di valori delle religioni tenendo conto di due criteri fondamentali: la
compatibilit con la conoscenza naturale di Dio e della legge morale, da un lato, e con la rivelazione cristiana,
dallaltro (cf. FR 8-9, 19, 25, 34, 36, 42-43, 48, 53, 67, 71, 72). Al di fuori di questi due parametri, naturale e
soprannaturale, non si dispone di nessun criterio per poter apprezzare o criticare qualunque aspetto dottrinale e
spirituale delle religioni.
29
Cf. A. Struma, Che cos una religione? La concezione di Tommaso dAquino di fronte alle domande moderne,
Cantagalli, Siena 2006, 43; M. Di Tora, op. cit., 36-38.
30
Cf. GM, 218, 228-229, 231, 234-235; DuS, 39-40, 264-306; DuV, 228-229, 238, 318-343, 521. Anche G. DCosta
ritiene che se lo Spirito va sicuramente al di l di Ges in estensione, non pu andare al di l di Ges in contenuto
(cit. in Kn 185; cf. 312).

8
insuperabilmente vera, sul modello di quanto i cristiani hanno operato nei confronti della Bibbia
ebraica31.
Il terzo ed il quarto tassello metodologico, che consentono agli studiosi di affrontare pi
adeguatamente il fenomeno del pluralismo religioso e il dialogo che si stabilir con i seguaci delle
religioni, riguarda la visione positiva delle religioni come vie di verit e di salvezza. Dopo il
Concilio, tutte le diverse correnti di teologia delle religioni si collocano in questorizzonte
culturale. La condizione che permette lo scambio reale e reciproco tra le religioni che gli
interlocutori si ascoltino per la reale novit che hanno da comunicare gli uni agli altri. Ne
consegue che coloro che si confrontano hanno pari diritto di parlare ed essere ascoltati sulla base
del loro valore intrinseco32. Ma per dire realmente qualcosa di speciale, originale e diverso,
altrimenti il dialogo non funzionerebbe, va presa sul serio lalterit delle tradizioni religione nella
loro differenza irriducibile33 rispetto al cristianesimo. Su questo punto insistono sia C. Geffr sia
J. Dupuis, che legittimano la pluralit e le differenze tra le religioni con la categoria di rivelazione
differenziata, sviluppata dal teologo domenicano e ripresa dallo studioso gesuita con lidea di una
storia della salvezza differenziata34. Le religioni, scrive C. Geffr, posseggono valori propri e ed
esperienze religiose che non sono state, e non saranno, tematizzate allinterno del cristianesimo
per il fatto stesso della sua particolarit storica35. Se i cristiani non detengono il monopolio della
verit36, aggiunge J. Dupuis, dobbiamo aspettarci che le religioni abbiano cose diverse e
nuove da dire a i cristiani: cose che questi non hanno ancora udito (e viceversa)37. Ebbene, se le
religioni posseggono valori religiosi propri, che cio non soltanto non trovano la loro
esplicitazione visibile nel cristianesimo38 ma nemmeno si lasciano facilmente armonizzare con
esso, ma vi si relazionano reciprocamente in condizione paritaria, o complementare, cos da
completarsi reciprocamente39, dobbiamo riconoscere il valore positivo delle religioni come vie di
verit e di salvezza40. Riprendendo il tema della presenza dello Spirito Santo nelle religioni,
accennata dal Vaticano II, ma sviluppata ampiamente da Giovanni Paolo II soprattutto nella RM, J.
Dupuis asserisce che i cristiani debbono riconoscere che nelle altre tradizioni religiose possono

31

Cf. GAd, 15, 19-22, 25-26, 69-128.


Kn, 222.
33
GM, 218; cf. 228, 232; DuS 172, 168, 225.
34
Cf. GM, 228 n. 9.
35
Ibid., 228.
36
DuV, 513; cf. 439; GM, 228.
37
Cf. DuV, 279, 264, 338-343.
38
GM, 232.
39
Cf. ibid.
40
Poggiandosi questa tesi, C. Geffr e J. Dupuis criticano la dottrina del compimento di H. De Lubac, J. Danilou e Y.
Congar, secondo la quale le religioni appaiono come preparazioni evangeliche lontane, o addentellati o germi
della sola vera religione rivelata, il cristianesimo. A giudizio degli esponenti del nuovo inclusivismo che pure
riconoscono che la dottrina del compimento sia la teologia sottostante alla Nostra aetate (=NAE), allAG e alla Lumen
gentium (= LG) questa dottrina non rispetterebbe abbastanza lalterit dei valori delle altre religioni, che Geffr
chiama cristici (cf. GM, 218, 229, 232; DuV, 178-191, 227, 277, 439, 521). Sul piano teologico essi ritengono che ci
significherebbe assegnare dei limiti nellagire di Dio.
32

9
esserci aspetti del mistero [di Dio] che la Bibbia, Nuovo Testamento incluso, non mettono
altrettanto in evidenza41. Se vero, come si preoccupa di precisare, che qualsiasi manifestazione
divina al di fuori di Ges Cristo non pu essere staccata o separata dal suo evento, di portata
universale, ciononostante le altre religioni possono contenere beni aggiuntivi e autonomi rispetto
allautorivelazione di Dio nel Figlio42 per una ragione teologica profonda sulla quale egli ritorna
continuamente: il Verbo di Dio rimane al di l di quanto ne possa manifestare e rivelare lessere
umano di Ges da lui personalmente assunto. Ges Cristo dunque nella sua umanit il
sacramento universale segno efficace del mistero della salvezza che Dio offre attraverso il
suo Verbo allintera umanit; ma il Dio che salva attraverso di lui rimane al di l dellessere umano
di Ges, nonostante la sua identit personale con il Verbo, anche una volta raggiunta la sua
gloria43. Pur non rappresentando delle economie parallele, i cristiani debbono per riconoscere
alle tradizioni religiose un ruolo permanente ed un significato specifico nel disegno di Dio per
lumanit, anche dopo levento Cristo, perch ogni religione ha la sua fonte originaria in una
automanifestazione di Dio agli esseri umani attraverso il suo Verbo; dunque il principio della
pluralit trova il suo fondamento primario nella sovrabbondante ricchezza e variet delle
automanifestazioni di Dio allumanit44.
Su questa linea, sia J. Dupuis sia C. Geffr si richiamano a quanto avevano gi sostenuto E.
Schillebeecks e C. Duquoc (cui Geffr si richiama esplicitamente45): nellintera storia dei rapporti
di Dio con lumanit, si trovano pi verit e grazia di quante non siano disponibili semplicemente
nella tradizione cristiana perch Ges non pu essere considerato un assoluto46.
Se per linflusso universale dello Spirito Dio parla ai profeti e ai sapienti, la cui esperienza
religiosa costituisce la fonte dei libri sacri di tali tradizioni religiose, e dunque parla nelle sacre
scritture delle nazioni le quali rappresentano, assieme allAntico e al Nuovo Testamento, varie
maniere e forme in cui Dio si rivolge agli esseri umani nel processo continuo dellautorivelazione
divina loro indirizzata47, giungiamo alla formulazione della principale tessera epistemologica che
costituisce il pi solido ed anche pi problematico punto di forza delle nuove correnti di
teologia delle religioni giacch viene considerata come la premessa migliore per intraprendere il
dialogo interreligioso. Il pluralismo religioso della storia dellumanit, e delle nostre societ in

41

DuV, 341; cf. DuS 240ss.


DuV, 521.
43
DuS, 300-301.
44
DuS, 305; cf. 168-169, 188ss.; DuV 264-266, 279-281, 286, 301-302, 338-343, 403, 426-433. Ma, annota K. Berger:
Ges non dice proprio nulla a proposito di una legittimazione delle altre religioni a essere vie di salvezza. Secondo la
visione biblica, una congettura del genere assolutamente esclusa (op. cit., 501). Pertanto, lopinione teologica di una
mediazione salvifica delle altre religioni viene scartata in base alla Scrittura (ibid., 498).
45
Cf. C. Geffr, De Babel Pentecte. Essai de thologia interreliogieuse (Cogitatio fidei 247), Les ditions du Cerf,
Paris 2006, 28.
46
Cf. E. Schillebeecks, Umanit. La storia di Dio, Queriniana, Brescia 1992, 219-220; C. Duquoc, Un Dio diverso,
Queriniana, Brescia 1985, 137; GM, 228; DuV, 404-406, 521; DuS, 332-334; Kn, 29.
47
DuV, 342; cf. 339.
42

10
particolare, ci rimanda ad un pluralismo di diritto perch ha un significato positivo per Dio.
Questo principio gi stato anticipato da E. Schillebeecks e C. Duquoc ormai largamente
condiviso dalla comunit accademica, sia pure con sfumature differenti per quanto riguarda le sue
ripercussioni sul versante cristologico. Nellambito dellampio ventaglio delle posizioni
inclusiviste, oggi viene rilanciato pur ammettendo (teoricamente) il giudizio negativo espresso
invece dalla DI 4, che viene puntualmente driblato con gli espedienti pi diversi. Lintenzione
positiva della teologia pluralistica, scrive G. Gde, di valorizzare tutte le religioni come vere
espressioni di una manifestazione divina48. E ancora: un dato irrinunciabile della teologia delle
religioni consiste nel riconoscimento del pluralismo religioso come di fatto si presenta nel mondo
attuale. Non si tratta pertanto di accettare soltanto per forza questo fatto considerato in fondo
deplorevole, ma di riconoscere il diritto di questo pluralismo e di scorgervi come Dio ha parlato
molte volte e in diversi modi (Eb 1,1) allumanit, senza per questo adottare lipotesi
pluralistica. Si tratta di comprendere che il pluralismo religioso dal punto di vista cristiano esprime
pure la volont salvifica di Dio49. Secondo C. Geffr, che interpreta DI 4 come un monito contro
il relativismo dei pluralisti, lecito interpretare teologicamente come un pluralismo che
corrisponde ad un misterioso progetto divino. Piuttosto che denunciare il pluralismo di principio o
de jure, preferibile riconoscere il mistero del pluralismo religioso50 come un pluralismo che
rinvia ad un misterioso volere di Dio 51. E J. Dupuis, gravato dallesigenza di evitare sia il
relativismo, sia lassolutismo, scrive: la pluralit deve essere presa sul serio ed accolta
positivamente non soltanto come un fatto, ma in linea di principio. necessario sottolineare che
essa ha un suo posto nel disegno di Dio per la salvezza dellumanit perch, prima di
rappresentare la ricerca di Dio da parte umana, le religioni sono vie attraverso cui Dio ha cercato
gli uomini lungo la storia dellumanit e si pongono in forma di relazionale rispetto alleventoCristo52. Posto il principio del pluralismo de jure, viene salvaguardato il postulato irrinunciabile
per le correnti teologiche attuali che porre le religioni, e perci il dialogo, su un piano di
eguaglianza53.
Non necessario spendere molte parole per comprendere tutta la problematicit di questa
posizione teologica che, di fatto, spiana la strada allidea che tutte le religioni si equivalgono
perch, se sono volute da Dio, tutte si collocano di diritto sullo stesso piano, con la conseguente
relativizzazione, o svilimento, della persona e dellopera di Ges Cristo e lo smarrimento dellunit
48

GAd, 14.
Ibid., 72.
50
GM, 220; cf. 230-232.
51
Cf. ibid., 219-220; E. Schillebeecks, op. cit., 215-217.
52
DupV, 271; cf. 312, 518-521, 340-341, 439-443; DuS, 312. Poich questa linea teologica sbilanciata verso il
pluralismo, Dupuis costretto ad aggiustarne il tiro sottolineando che le religioni non sono vie parallele di salvezza, ma
diversi aspetti complementari di una unica economia di salvezza voluta da Dio per lumanit (DuS, 340; cf. 446, 468;
DuV, 264-266, 279-281, 337, 341, 410, 522), cos da rimontare una prospettiva pi inclusvisita in modo che Ges resti
comunque al centro del piano divino di salvezza quale meta finale di ogni rapporto di Dio con lumanit.
53
GM, 218.
49

11
del disegno salvifico di Dio per lumanit. Torner in seguito su questo punto chiave. Per il
momento va registrato che i tutti i teologi che non sposano la teologia pluralista sono ben
consapevoli che, ammettere che le tradizioni religiose del mondo sono vie o cammini di
salvezza per i loro seguaci giacch rappresentano quelle vie tracciate da Dio stesso per
manifestarsi e comunicarsi allumanit54 per la salvezza degli uomini, significa stabilire una
forte tensione con lidea che levento Ges Cristo [] il centro, lapice, il culmine, la chiave
interpretativa dellintero processo storico-salvifico e, come tale, ha un significato salvifico
universale55. Per questa ragione i loro sforzi sono volti a riequilibrare la tendenza centrifuga oltre
il baricentro cristologico del pluralismo di diritto senza svendere il privilegio unico del
cristianesimo56. Questa tensione viene espressa tutta nelle sofferte parole di C. Geffr: il
compito difficile di una teologia delle religioni cercare di pensare la molteplicit delle vie verso
Dio senza compromettere lunicit della mediazione di Cristo57. Ma il compito si rende arduo
proprio perch le religioni sono realmente portate ad allontanarsi da Cristo. Anche J. Dupuis
consapevole della forte tensione che si viene a creare in cristologia. Egli infatti, pur ammettendo
che la pluralit religiosa trova il fondamento nella ricchezza e nellautomanifestazione di Dio
principio con il quale ritiene di poter combinare insieme le due convinzioni profonde:
luniversalit di Ges Cristo salvatore, da una parte, e, dallaltra, il valore salvifico e il significato
positivo delle altre tradizioni religiose nel piano divino per lumanit58 costretto a precisare
che non soltanto si tratta di un tentativo che rimane, comunque, provvisorio ed aperto ad ulteriore
perfezionamento, ma soprattutto che la teologia deve in ogni caso mantenere forte il senso del
mistero, della trascendenza non solo di Dio, ma anche del suo piano di salvezza [...e] non deve
pretendere di descrivere e precisare il come e in che modo (quomodo sit) della relazione
essenziale fra lazione universale del Verbo e dello Spirito e levento storico di Ges Cristo.
Come dire: postula la tesi, ma non sa spiegarla o giustificarla scientificamente, rifugiandosi quindi
nellapofatismo teologico59.
Tutto limpianto epistemologico delle posizioni attuali in teologia delle religioni si regge
sullultima tessera metodologica rappresentata da un certo revisionismo cristologico. I diversi
presupposti teoretici che abbiamo finora illustrato si infrangono puntualmente contro lunico vero
scoglio rappresentato dalle affermazioni dottrinali che i cristiani avanzano su Ges60. Infatti, sia il
superamento della pretesa veritativa cristiana che la rende definitiva, assoluta o insuperabile

54

DuS, 468.
Ibid., 467.
56
GM, 230.
57
Ivi (corsivo mio).
58
DuS, 305.
59
Ibid., 305-306; cf. 468.
60
Cf. Kn, 223
55

rispetto alle altre61 , sia il dialogo alla pari che deve svolgersi su un campo da gioco neutrale

12

in cui ciascun partecipante sia pronto ad imparare quanto qualunque altro62 , sia, soprattutto,
il ruolo positivo delle religioni nella storia dellumanit come portatrici di valori non riconducibili
al cristianesimo e il conseguente riconoscimento del pluralismo de jure che interpreta lesistenza
delle molte religioni non soltanto come dato di fatto, ma in linea di principio perch risultante
dalla volont di Dio e dunque espressione del modo in cui devono stare le cose63, rappresentano
quelle aperture nei confronti delle religioni tutte tese alla realizzazione di quellimperativo
etico64 che limpegno in un dialogo autentico con gli altri. Ma contro queste aperture, scrive P.
F. Knitter, si frappongono le concezioni tradizionali di Cristo e della chiesa. Da qui lesigenza di
un ripensamento della cristologa. Fin quando i cristiani non possono mai imparare nulla di
davvero importante ritorna il dogma della subordinazione della teologia alle esigenze del
dialogo non ci potr mai essere un dialogo reale e autentico65 perch cos non si rispettano le
regole di un campo da gioco neutrale66. Ebbene, la sensazione che questo campo neutrale del
dialogo non ci possa mai essere [] ha a che fare con le affermazioni che i cristiani avanzano su
Ges. Se essi partecipano al gioco del dialogo insistendo fin dallinizio che Ges lunico
Salvatore di tutta umanit e che il Verbo di Dio in lui la parola definitiva di Dio per ciascuno,
allora, per quanto dare-e-rievere possa aver logo nel corso del gioco, al momento del fischio
conclusivo o alla fine dello spareggio finale (escatologico) il cristianesimo non potr che
risultare vincitore67. Un dialogo intrapreso con queste premesse d piuttosto limpressione di
essere, con limmagine di H. Maurier, un dialogo tra un elefante e un topolino68. La sconcertante
conclusione cui si giunge quindi che Cristo il vero ostacolo al dialogo. Non resta, quindi, che
smantellare la cristologia, come nella posizione pluralista o, nella migliore delle ipotesi, picconarla
come nel nuovo inclusivismo, creando dei vuoti che sarebbero colmati facendo spazio69 o
accogliendo luso di termini metaforici si spreca la verit delle altre religioni70. Solo

61

Cf. ibid., 22, 314.


Ibid., 224.
63
Ibid., 47; cf. DuS, 468-470; GAd, 72-75.
64
Kn, 224.
65
Cf. ibid., 190, 201.
66
Ibid., 224.
67
Ibid., 223-224.
68
Cit. in ibid., 213.
69
Vedi la tesi di C. Duquoc, Lunico Cristo. La sinfonia differita, Queriniana, Brescia 2003.
70
Questo ragionamento produce scossoni anche nel campo del metodo in teologia delle religioni. Se si apre lo spazio
alla verit delle altre religioni, la teologia delle religioni rischia di perdere la sua identit di scientia fidei che si
costituisce per il metodo dellauditus fidei su cui interviene lintellectus fidei (cf. Optatam totius [= OT] 16; FR 6566). Ma se il suo punto di partenza una prasi di un dialogo interreligioso, sulla base della quale essa va in ricerca di
uninterpretazione cristiana della realt religiosa plurale che la circonda (DuS, 34), dunque inglobando il dialogo tra i
loci theologici, ne consegue che J. Dupuis e C. Geffr possano pensare di costituire una teologia interreligiosa, o
dialogica, come interazione della fede cristiana con altre fedi viventi (DuS, 180; cf. 34-35; DuV 514; GM, 237).
H. Waldenfels si esprime in termini ancora pi espliciti: una vera teologa religiosa deve essere pi una teologia con le
religioni che una teologia sulle religioni, cio una teologia che considera le religioni estranee non solo come oggetto,
ma piuttosto come soggetti della teologia (Teologia delle religioni, in Id. [ed.], Nuovo Dizionario delle religioni, San
62

13
linteriorismo, che si propone di salvaguardare insieme non soltanto la pretesa di verit del
messaggio cristiano, senza relativizzarla come nel nuovo inclusivismo, ma anche quella delle
religioni, costretto ad imboccare la strada del rapporto ermeneutico con le religioni.
Da una diversa calibratura dei ruoli da attribuire a Cristo e alle religioni, cos da affermare
limmagine del Figlio di Dio che ne affermi da un lato lo status eminente, ma senza tuttavia
deprimere quello delle altre guide religiose71, prendono forma e si dividono i diversi paradigmi
di teologia delle religioni e le loro numerose correnti interne.
Per i mutualisti la rivisitazione della cristologia si traduce in una messa in discussione
delluniversalit salvifica del mistero di Cristo a tutto vantaggio di un teocentrismo radicale
secondo cui tutte le religioni, compreso il cristianesimo, ruotano attorno al sole che la Realt
ultima delluniverso. Rinunciando alla interpretazione tradizionale della fede cristiana di Ges
come il solo-e-unico-Figlio di Dio Salvatore, collocano accanto a lui gli altri grandi personaggi
religiosi della storia, come Krisna, Buddha e Muhammad, i quali costituirebbero altri Verbi e
perci altrettanti soli-e-unici72. Di conseguenza, Cristo sarebbe una via normativa per i
cristiani, ma non la via costitutiva di salvezza per tutti gli uomini73, ossia la fonte da cui
scaturisce la salvezza per tutta lumanit. Scrive R. Haight: altre mediazioni della salvezza di Dio
stanno o possono stare alla pari di Ges Cristo74. Se i cristiani credono che il Verbo di Dio in
Ges sia assoluto o definitivo, aggiunge P. F. Knitter, questa pienezza li apre alla pienezza
di Dio che potrebbe trovarsi negli altri [] I cristiani hanno s incontrato veramente la pienezza
dellamore e della potenza salvifica di Dio in Ges Cristo; ma non possono sostenere che tale
pienezza si trovi soltanto in lui. Veramente ma non soltanto: questa formula pu fungere da
descrizione ultima [] della concezione di Ges propria del Modello della Reciprocit. In Ges
Dio ha parlato veramente con una pienezza, una definitivit e un capacit di sfida universale; ma
pu non averlo fatto soltanto in lui. Da cui il bisogno di rendere, e di ricevere, testimonianza.
questa la materia del dialogo75.
Per i semi-pluralisti il ripensamento della cristologia consiste in un ridimensionamento
della persona di Ges. Pur riconoscendogli il ruolo di mediatore costitutivo di salvezza, per il
principio condiviso con i pluralisti della parit esigita dal dialogo, e quindi della valorizzazione
delle religioni come vie di verit e di salvezza, che a sua volta comporta il superamento della
pretesa di superiorit della verit cristiana, va operata una relativizzazione della rivelazione del
Nuovo Testamento e una de-assolutizzazione del cristianesimo. Questa relativizzazione

Paolo, Cinisello Balsamo [MI] 1993, 975; cf. M. Fuss, Pellegrina fra pellegrini. La reciproca diaconia di teologia e
antropologia delle religioni, in CT, 283).
71
Kn, 240.
72
Cf. ibid., 305-306, 309-310, 316, 330, 397-398.
73
GM, 230.
74
R. Haight, op. cit., 422; cf. 399, 403.
75
Kn, 314.

14
giustificata teologicamente per due ragioni di fondo. Da un lato, perch la rivelazione
cristologica non esaurisce la pienezza di ricchezza del mistero di Dio e dunque una rivelazione
relativa a quella parte di verit di cui le religioni son portatrici; dallaltro, perch il cristianesimo,
come religione storica, porta in s i principi della limitazione. cos che la particolarit
dellevento Ges Cristo, in relazione alluniversalit del disegno salvifico di Dio, apre ai teologi
pi attenti nuove vie daccesso ad una teologia del pluralismo religioso capace di fare spazio a
diversi percorsi di salvezza76. Per gli inclusivisti (puri), invece, tenendo come riferimento
imprescindibile la testimonianza neotestamentaria, la fede espressa nei concili e ribadita dai
documenti magisteriali, Ges Cristo il salvatore unico e universale e la Parola decisiva del Padre.
unico perch accanto a lui non ce ne sono altri. universale perch egli salva non solo i cristiani,
ma tutti gli uomini di tutti i tempi (cf. DI 14)77. Inoltre, la sua rivelazione piena e definitiva.
Pertanto, contraria alla fede della Chiesa la tesi circa il carattere limitato, incompleto e
imperfetto della rivelazione di Ges Cristo, che sarebbe complementare a quella presente nelle
altre religioni. Anche se levento storico di Ges, le sue parole e le sue parole sono limitati in
quanto realt umane, tuttavia hanno come soggetto la Persona divina del Verbo incarnato, vero Dio
e vero uomo, e perci portano in s la definitivit e la completezza della rivelazione delle vie
salvifiche di Dio, anche se la profondit del mistero divino in se stesso rimane trascendente e
inesauribile (DI 6).
Infine, gli interioristi, che si propongono di salvaguardare insieme non soltanto la pretesa
veritativa del cristianesimo, e perci lunicit costitutiva di Cristo senza tuttavia relativizzarla
come nel nuovo inclusivismo , ma anche quella delle altre religioni, sono costretti ad imboccare
la strada dellermeneutica cristiana delle religioni78. Sulleffettiva validit del modello
interiorista, il cui banco di prova costituito dallo sforzo di tenere insieme sia la verit cristiana,
sia quella islamica che ha la peculiarit di collocarsi cronologicamente dopo levento Cristo, di
correggere linsegnamento evangelico negando tutti i misteri principali della fede, e di apportare la
Parola definitiva di Dio e la sua Legge il dibattito stato appena avviato79.

2.1. Valutazioni critiche


76

DuV, 404; cf. 379-383, 337-338, 402-406, 520-521; GM, 216, 228-230, 231-232, 233-235.
In termini positivi significa che nessun uomo, fosse il pi santo, era in grado di prendere su di s i peccati di tutti gli
uomini e di offrirsi in sacrificio per tutti. Lesistenza in Cristo della Persona divina del Figlio, che supera e nel
medesimo tempo abbraccia tutte le persone umane e lo costituisce Capo di tutta lumanit, rende possibile il suo
sacrificio redentore per tutti (Catechismo della Chiesa Cattolica [= CCC], LEV, Citt del Vaticano 1992, n. 616; cf. n.
605). E significa anche che il suo amore non esclude nessuno ma abbraccia tutti (cf. ibid., n. 478). questa la ragione
pi profonda che sradica ogni forma di fanatismo e fondamentalismo.
78
Cf. GAd, 31, 69-128.
79
Rimando in particolare, alle recensioni di M. Borrmans, Come accogliere, cit. e quella in Islamochirstiana, 34
(2008), 300-302 e di P. Gamberini, Adorano con noi il Dio unico, rispettivamente in HTh 26 (2008), 127-139 e 141148.
77

15
Nel corso delle considerazioni sui cinque presupposti teoretico-pratici che costituiscono
limpianto metodologico della correnti attuali di teologa della religioni, ho gi sollevato alcuni
rilievi critici. opportuno ora svolgere qualche considerazione al riguardo del loro fondamento,
rappresentato dalla subordinazione dei contenuti della fede, e perci della teologia, al dialogo.
Teologia e dialogo sono due momenti senzaltro connessi fra loro, come ricorda la CTI 3, perch
dalla valutazione teologica delle religioni dipender in grande misura il rapporto dei cristiani con
le varie religioni e con i loro seguaci, e il conseguente dialogo che, in diverse forme si stabilir con
esse. Questa relazione, aggiunge P. F. Knitter, sar di tipo esclusivistico, se non riconosce nelle
religioni nessun valore, o di compimento, o di reciprocit o di ermeneutica cristiana80. Ma teologia
e dialogo restano due fasi distinte e autonome, con proprie configurazioni epistemologiche.
Lo statuto epistemologico della teologia delle religioni gi stato delineato da M. Crociata,
nellambito delle ricerche della Facolt Teologica di Sicilia81. Basti qui rilevare che si tratta di una
disciplina teologico-normativa82 chiamata alla chiarificazione tutta interna della propria identit in
rapporto alle altre religioni per comprendere come loriginalit dellevento cristologico, nella sua
irriducibile verit di pienezza rivelatrice e salvifica [] rende intelligibile il pluralismo o, meglio,
ne raggiunge lintelligibilit83. Come disciplina teologica, il suo oggetto formale quod
linterpretazione teologica delle religioni le quali costituiscono il contesto o lo spazio nel quale si
situa la teologia delle religioni84 a partire dal punto di vista di Dio stesso e perci dal centro del
suo piano salvifico che Cristo. In questo senso, essa rilegge la pluralit delle religioni per
interpretarle sub luce evangelii 85. Stabilito loggetto, viene chiamato in causa il metodo teologico,
che gli deve corrispondere86, articolato secondo lauditus fidei e lintellectus fidei87. Lo strumento
del quale si serve, il suo oggetto formale quo, come ha sottolineato opportunamente G. Gde,
solo la rivelazione88. Quanto Dio dice del suo mistero89 e del suo disegno di salvezza accolto
80

Cf. Kn, 437.


Cf. M. Crociata, Per uno statuto della teologia delle religioni, in CT, 325-370; Id., Sullo statuto della teologia delle
religioni, in HTh, 21 (2003), pp. 115-120; Id., La teologia, cit., 279-299; GAd, 19-26.
82
Cf. M. Fuss, Riconoscere, conservare, promuovere. Il rapporto tra teologia e scienze delle religioni a 40 anni
dalla Nostra aetate, in CM, 106.
83
M. Crociata, La teologia, cit., 283. M. Gronchi ha scritto che la teologia delle religioni ha il compito di
comprendere il significato del pluralismo religioso nella sua relazione con lunicit e universalit della salvezza in
Cristo e quale ruolo occupa Cristo in rapporto alle religioni (Trattato su Ges Cristo Figlio di Dio Salvatore
[Nuovo corso di teologia sistematica 3], Queriniana, Brescia 2008, 956-957, 958).
84
Cf. M. Naro, Il metodo teologico e la teologia delle religioni, in CM, 20, 24, 31, 33; C. Geffr, De Babel , cit., 30.
85
Cf. M. Naro, op. cit., 13-34; Tommaso dAquino, Summa Theologiae (= S. Th.), I, q. 1, a. 6; II-II, q. 1, a. 8; q. 2, a. 5.
Sul dibattito relativo al genitivo della sua dizione, rimando a M. Naro, op. cit., 19-25; DuS, 34-35; M. Gronchi, op. cit.,
955; GM, 215-216, 237.
86
Cf. G. Colzani, op. cit., 255; M. Crociata, La teologia delle religioni, cit., 280-282; C. Caltagirone, La questione
del metodo in teologia delle religioni. Annotazioni e spunti riflessivi, in CM, 259-266.
87
Cf. M. Naro, op. cit., 15, 22-25.
88
Lunica base per valutare la pluralit religiosa e le altre religioni, e per riconoscere eventualmente ad esse verit,
potr essere costituita unicamente dalla verit della propria religione riconosciuta e accolta dalla fede che allo stesso
tempo sa giustificarsi davanti alla ragion critica (GAd, 38; cf. Kn, 25, 34ss.; 426ss.). Ammettere altre fonti, o quanto
meno dare loro lo stesso peso che diamo alla rivelazione, significa aprire il fianco ad una visione pluralista. lo stesso
81

16
dalla fede e costituisce quel punto di partenza normativo della teologia che non pu essere
rimosso o sottoposto al tribunale dellapprovazione dei credenti delle altre religioni, i quali
ovviamente partono da altri presupposti di fede.
Se la teologia lapprofondimento, nella fede, del rapporto Cristo-religioni, altra cosa il
dialogo interreligioso, che rappresenta il momento pratico, ad extra, con cui ci si relaziona con i
credenti delle altre religioni e si stabilisce con essi un rapporto umano di stima e di rispetto
reciproci basato su una serie di valori e virt umane che valgono per ogni tipo di confronto,
anche con gli atei , quali la capacit di ascolto, la disponibilit, la pazienza, la carit, il rispetto
per quel che laltro propone come condivisibile, ecc90. , questo, il dialogo della carit. Lanalisi
di queste qualit, che costituiscono le condizioni soggettive per entrare in relazione con laltro,
quella che pu essere chiamata la teologia (o antropologia) dellincontro tra le religioni. La
comunicazione vera e propria suppone come punto di partenza la condivisione di quei punti di
contatto tra le rispettive credenze che sono tali nella misura in cui sono compatibili con la propria
tradizione di fede i quali, quanto pi profondi qualitativamente e quantitativamente si
riveleranno, tanto pi consentiranno di rinsaldare i vincoli tra i credenti delle rispettive tradizioni
religiose91.
Malgrado il terreno comune delle analogie, approfondito nellambito degli scambi
teologici, gli interlocutori dovranno anche riconoscere che le differenze restano e si presentano

P. F. Knitter a confermare questa asserzione, quando scrive che tra il linguaggio neotestamentario su Ges come il
solo-e-unico e quello che parla di altri modi e salvatori [..] c un evidente conflitto. Ma, prosegue lo studioso, se
ammettiamo che vi siano due fonti di una teologia cristiana delle religioni la Bibbia e il dialogo con i credenti delle
altre religioni allora possiamo, o dobbiamo, domandarci se sia possibile intendere questo linguaggio del solo-eunico diversamente da come i cristiani hanno fatto in passato. Esiste infatti fra laltro uno spiacevole conflitto fra il
linguaggio biblico del solo-e-unico e ci di cui molti cristiani fanno esperienza nel dialogo. I cristiani incontrano
buddhisti, ebrei, induisti, musulmani e nativi americani, i quali non soltanto dicono di avere trovato nelle loro religioni
pace e felicit e un senso di unit col Divino, ma dimostrano inoltre nella maniera in cui vivono la loro vita che le cose
stanno proprio cos. Si tratta di persone felici, in pace, impegnate ad amarsi vicendevolmente e a migliorare il nostro
mondo. Esse sicuramente appaiono salvate (Kn, 128).
89
Cf. A. Olmi, La struttura del mistero di Dio, in Sacra Doctrina. Monografia, 53 (2008), 313-346.
90
Cf. S. Ubbiali, Il dialogo interreligioso e la teologia delle religioni. La questione contemporanea, in CM, 109-139;
M. L. Fitzgerald, Dialogo interreligioso. Il punto di vista cattolico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2007; A.
Bongiovanni, Il dialogo interreligioso. Orientamenti per la formazione, EMI, Bologna 2008. Spesso assistiamo, oggi,
ad una vera e propria patologia del dialogo, ad una sua controfigura: carente sincerit e univocit, mancanza di
interesse per il partner, per la sua fede e per le radici di tale fede nella storia, nonch concentramento ansioso sulla
salvaguardia della propria identit e sullaccrescimento del potere politico del proprio gruppo (C. W. Troll,
Distinguere per chiarire. Come orientarsi nel dialogo islamo-cristiano [Giornale di teologia 337], Queriniana, Brescia
209, 14).
91
questo linsegnamento sia dellEcclesiam suam (= ES) di Paolo VI sia del Vaticano II, che individuano un
ordinamento tra le religioni non cristiane dovuto al grado di partecipazione alla verit (A. Struma, op. cit., 52; cf. 8889; ES 11-112; LG 16; NAE 2). Il tema del dialogo interreligioso diventato centrale nella riflessione teologica
contemporanea. Per questo motivo in diverse Istituzioni accademiche le prolusioni spesso si concentrano sugli aspetti
teologici legati al dialogo (cf. A. Amato, La Dominus Iesus e le religioni, in OR, 24.11.2007, 4-5; questa relazione,
tenuta dallallora Arcivescovo segretario della CDF come prolusione dellAnno Accademico 2007-2008 dellIstituto
Teologico di Assisi stato pubblicata anche in Pro Dialogo, 126 (2007), 230-250; F. Arinze, Il dialogo con le
religioni parte della missione evangelizzatrice della Chiesa, in OR, 25.5.2008, 7 e pubblicata in Pro Dialogo 127128 [2008], 75-85; J.-L. Tauran, Il dialogo tra le religioni. Un rischio da correre, in OR, 28.11.2008, 7).

17

come dei fossati incolmabili92. questo il momento del dialogo della verit93. Anzich sminuire

la propria identit attraverso il negoziato e il compromesso come invece viene concepito il


dialogo in tutti gli ambiti della sfera civile , temendo che le differenze siano fonte di tensione, o
per rendere pi accettabile le proprie convinzioni religiose, i partners dovranno accettarsi nella
loro irriducibile alterit e volgere lattenzione, piuttosto, nella direzione di quanto insieme posso
operare in vista soprattutto sulla promozione comune della pace, della comprensione e della
collaborazione tra i popoli, fondate sullappartenenza dei credenti alla comune umanit e sulla
comune dignit, nonch sulla apertura di ogni persona umana alla dimensione ascetica e
spirituale94. quello che viene chiamato dialogo interculturale.
Dal punto di vista cristiano, il dialogo che non ha nulla a che vedere col proselitismo ,
essendo parte integrante dellunica missione evangelizzatrice della chiesa, bench sia distinto
dallannuncio che lesplicito invito ad aderire a Cristo95, loccasione, forse lunica, per far
conoscere al proprio interlocutore Ges Cristo, secondo la testimonianza del Nuovo Testamento e
la fede ecclesiale96.

2.2. Valorizzazione delle religioni


Tra i cinque postulati che vengono stabiliti per gettare le fondamenta della teologia delle
religioni, un approfondimento critico da riservare allapprezzamento aprioristicamente positivo
delle religioni, che sfocia nella considerazione del pluralismo di diritto che rende possibile lo
scambio paritario tra i partners del dialogo. I fattori che ne giustificano lassunzione sono tre.
Anzitutto ci si richiama allatteggiamento positivo con cui la NAE si rapportata nei confronti
delle religioni non cristiane. La teologia oggi si colloca nello spazio interreligioso sostenuta,
quindi, da questa visione pi positiva della salvezza al di fuori della Chiesa97. Con questo spirito

92

A differenza del dialogo ecumenico, che ha una solida e condivisa piattaforma di fede trinitaria e cristologica,
costituita dal battesimo, dalla Scrittura e dal Credo, nel dialogo interreligioso non c questa base comune, al di l del
riconoscimento generico della tensione religiosa propria di ogni persona umana (A. Amato, Dialogo interreligioso e
dialogo ecumenico. Puntualizzazioni alla luce della Dominus Iesus, in Rassegna di Teologia [= RdT], 46 [2005],
170). Per questa ragione il dialogo non pu costituire il criterio teologico-interpretativo-guida per la riflessione
speculativa concernente il rapporto con le religioni (I. Morali, De rationibus re-instituendi tractatum de Gratia. La
teologia della Grazia tra storia e prospettiva, in Sapienza, 54 [2001], 39).
93
Nella misura in cui il dialogo profondo laddove cio si stabilisce un rapporto di amicizia, in virt non solo del
principio che il dialogo aiuta a conoscersi, ma anche che se ci si consoce si dialoga meglio possono e devono essere
accettare, in tutta onest e verit non soltanto le convergenze, che sono la fonte principale per lapprezzamento di
quanto buono presente in esse, ma anche le differenze (cf. CTI 101). Sono queste, infatti, che permettono agli
interlocutori non solo di spiegarsi e chiarire le proprie convinzioni di fede, ma anche di comprendere meglio la
posizione dellaltro, spesso deformata da pregiudizi e malintesi, cos da rispettarla come espressione della sua libert di
coscienza.
94
A. Amato, La Dominus Iesus, cit.; 5; cf. Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso Congregazione per
levangelizzazione dei popoli, Dialogo e annuncio. Riflessioni e orientamenti sul dialogo interreligioso e lannuncio del
Vangelo di Ges Cristo (= DA), del 19 maggio 1991, nn. 43-44, 80; K. Fuad Allam, Le religioni e il destino del mondo,
in OR, 30.1.2008, 1.
95
Cf. RM 55; DI 2, 22; DA, 8-10, 38, 66-67, 75-77, 81-82.
96
Cf. DA, 76, 77, 79; M. Di Tora, op. cit., 48-50.
97
GM, 217; cf. Id., De Babel..., cit., 15-25, 28-36, 41-57.

18
di apertura verso le religioni, e sensibile ad un nuovo approccio metodologico, detto della
contestualizzazione, che d origine ad un modello di teologia detta ermeneutica, la teologia
stabilisce come proprio punto di partenza della propria ricerca la realt fenomenologica delle
religioni e le sue dinamiche, per reinterpretarle alla luce del messaggio cristiano98. In questa
operazione si avvale degli strumenti delle scienze delle religioni le quali le offrono il materiale
per una conoscenza oggettiva e approfondita del mondo delle religioni e delle loro esperienze
spirituali sia del dialogo interreligioso. Ma queste tre fasi dellapproccio contemporaneo alle
religioni sono condizionati da tre equivoci. Va rilevato, ancora una volta, un condizionamento
psicologico. Per il fatto stesso di partire dal mondo delle religioni la teologia stimolata ad
assumere un sentimento di empatia che inevitabilmente sbilancia la sua valutazione a favore di una
opzione, dettata dal cuore, che la loro valorizzazione come vie di verit e di salvezza. Qui si
inserisce un ulteriore equivoco, di natura teologica. La valutazione positiva delle religioni, infatti,
viene incoraggiata e sostenuta teoreticamente ricorrendo ad una interpretazione dellinsegnamento
conciliare sovraccaricata di ottimismo. In realt, se vero che rispetto alla diffusa ostilit del
passato il Vaticano II ha riconosciuto i doni di Dio presenti nelle religioni, che la chiesa si impegna
a scoprire, promuovere e recepire mediante il dialogo (RM 29), anche vero che il giudizio del
Concilio non tout court positivo. Dai documenti conciliari e postconciliari emerge chiaramente
che la verit presente nelle religioni parziale rispetto a quella pienezza che troviamo nella
rivelazione cristologica, come testimonia perfino la magna charta del dialogo, che la NAE, al n.
2. Dunque non tutto vero e santo. Ma pi esplicitamente il Concilio insegna che tutte le attivit
umane (GS 37; cf. AG 8-9), sono corrotte dal peccato. Di conseguenza, anche il bene disseminato
nelle religioni impastato con il male e con il peccato. Ecco perch nelle religioni storiche, che
risentono dellinflusso del maligno come dichiara non un vetusto manuale apologetico del
secolo scorso, ma LG16! , possiamo riscontrare non soltanto la verit (LG 16; AG 9; NAE 2), il
bene (LG 13.16; AG 9), la grazia (AG 9) e perfino di santit (NAE 2), ma anche lerrore (OT
16)99. Il magistero successivo di Paolo VI e Giovanni Paolo II sintetizzeranno questa linea
dellinsegnamento conciliare con lespressione secondo cui nelle religioni vi sono lacune,
insufficienze ed errori (RM 55; cf. LG 16; EN 53;CTI 85); la DI 21 menziona anche le
superstizioni (DI 21). Il giudizio sulle religioni, quindi, non pu essere aprioristicamente
positivo perch vanno piuttosto giudicate, con verit e pacatezza, nella loro ambiguit o
ambivalenza (cf. CTI 84).

98

Cf. DuS, 28-35; DuV, 23-31.


Si tratta di quel filone apologetico, delineato nella manualistica, che il Concilio ha ripreso in OT e nella Dignitatis
humanae (= DH). Si veda, al riguardo, G. Canobbio, op. cit., 20-27, 50-51. A motivo della presenza del peccato, anche
il bene presente nelle religioni, puntualizza il Concilio, non si trova, per cos dire, allo stato puro, ma mescolato con le
scorie del male. Anchesso, quindi, richiede unazione purificatrice, sanante, elevante e perfezionante da parte della
Chiesa (cf. AG 9).
99

19
Il secondo equivoco nellapproccio della teologia contemporanea alle religioni, come ho
gi segnalato altrove100, consiste in un certo condizionamento subto dalle scienze delle religioni
La teologia senzaltro debitrice nei confronti delle scienze umane per attingere adeguatamente
la conoscenza del dato religioso presente nella storia e nellesperienza umana101. Ma il rapporto si
tramuta spesso in dipendenza nella misura in cui ne assume anche il metodo empirico e descrittivo.
Le scienze delle religioni, infatti, non si esprimono su quale religione sia da considerare la
migliore102. Ma proprio questo il compito della teologia delle religioni la quale, in forza del suo
statuto epistemologico, chiamata a prendere posizione sulla verit e sulla falsit dei loro
contenuti (dottrinali, rituali ed etici), analizzati mediate il metodo comparativo103. E tuttavia, per le
ragioni del politically correct richiamate in precedenza, per cui ogni giudizio di valore
considerato negativamente, non soltanto in teologia ci si astiene dallesprimere valutazioni di
merito sulle religioni con la conseguenza che vengono prese in esame solo le ricchezze spirituali
delle religioni ma soprattutto si mutuano quelle categorie descrittive della fenomenologia delle
religioni come rivelazione, vie o percorsi di salvezza, tralasciando di filtrare questi dati
empirici con quel discernimento della fede che invece esige che si distingua, fra laltro, tra
credenza e fede termini correlativi di rivelazione ed esperienza religiosa , e tra rivelazione e
illuminazione (cf. DI 7).
Infine, come ho avuto modo di sottolineare in precedenza, va richiamato il limite
dellassunzione della prassi del dialogo tra i loci teologici perch in tal modo si corre il rischio di
far propria unimmagine falsata delle religioni, formulandone un giudizio globalmente positivo,
giacch nel dialogo interreligioso i loro seguaci non potranno che decantare solo quanto di buono e
di appetibile presente nelle loro tradizioni. Pertanto, sia uninterpretazione del Concilio
eccessivamente generosa, sia lassunzione del metodo delle scienze delle religioni, sia, infine, il
metodo della teologia dialogica costituiscono le cause principali di un vero vulnus alla
scientificit di questa disciplina.
Non pu essere tralasciata, infine, unultima considerazione. La valorizzazione aprioristica
delle religioni comporta un ultimo aspetto problematico. Disattendendo il metodo (deduttivo) del
Concilio, che parte dalla centralit del mistero di Cristo alla luce del quale interpreta i frammenti di
verit presenti nelle religioni come preparazione evangelica, perch non possono non avere
riferimento a Cristo (RM 29; cf. LG16; AG 3), la teologia pone invece in primo piano il valore
100

Cf. M. Di Tora, op. cit., 12-14.


M. Crociata, Per uno statuto.., cit., 359.
102
E. Ember M. E. Ember, Antropologia culturale, Il Mulino Prentice Hall International, Bologna 1998, 321.
103
Cf. M. Crociata, La teologiacit., 297-298. Per teologia delle religioni si intende uno studio sistematico delle
religioni non cristiane che mira a rapportare i loro contenuti essenziali alla verit rivelata del cristianesimo (H. W.
Brkle, Religioni [teologia delle], in J-Y. Lacoste (sotto la direzione di), Dizionario critico di teologia, Borla Citt
Nuova, Roma 2005, 1122). La teologia delle religioni scrive A. N. Terrin uno studio delle religioni tutto interno
alla teologia. Si tratta di portare un giudizio di valore sulle religioni a partire dalla propria fede cristiana, formata sulla
conoscenza della Bibbia e sulla tradizione della Chiesa (Introduzione allo studio comparato delle religioni,
Morcelliana, Brescia 19982, 26).
101

20

positivo delle religioni, cos da offuscare o da relativizzare lunicit dellevento cristologico104.

Cristo e le religioni, infatti, sono le due grandezze con cui ha a che fare la teologia delle religioni.
Gonfiare le religioni equivale specularmente a sgonfiare il mistero di Cristo e a smarrire
lunit del piano salvifico di Dio che in lui si realizza (cf. RM 6). Con la tensione che si viene a
creare con lago puntato verso di esse, infatti, si tender a interpretarle (in qualche modo) come vie
autonome di salvezza, a svantaggio della centralit dellevento cristologico. Durante la sua visita
alla Pontificia Universit Gregoriana (3 ottobre 2006), Benedetto XVI ha osservato: oggi non si
pu prescindere dal rapporto con le altre religioni, che si rivela costruttivo solo se evita ogni
ambiguit che in qualche modo indebolisca il contenuto essenziale della fede cristiana in Cristo
unico Salvatore di tutti gli uomini (cf At 4,12) e nella Chiesa Sacramento necessario di salvezza
per tutta lumanit (cf. DI, 13-15, 20-22)105. Ora, va da s che lunicit di Cristo risulta in
qualche modo indebolita se lapprofondimento teologico pone in primo piano il valore positivo
delle religioni.

2.3. Come valutare le religioni?

Se non pertinente valutare aprioristicamente le religioni come vie di verit e di salvezza,


come considerarle? Le religioni sono da considerare come vie di salvezza? Manifestano una
qualche forma di rivelazione soprannaturale? Qual il loro valore soprannaturale e quale, in
definitiva, il loro significato nellunico progetto salvifico di Dio che culmina in Cristo? Per
rispondere a queste domande centrali e nello stesso tempo decisive per gli sviluppi di ogni teologia
delle religioni, occorre tenere presente quanto il Vaticano II, ma soprattutto il magistero
postconciliare ha prodotto106. In questa sede mi limito ad alcune considerazioni di fondo,
richiamando quanto ho avuto modo di illustrare altrove107.
Scartate sia la posizione esclusivista perch la salvezza non accordata solo a coloro
che, in modo esplicito, credono in Cristo e sono entrati nella chiesa (RM 10) sia quella
pluralista dal momento che se anche i seguaci di altre religioni possano ricevere la grazia di Dio
ed essere salvati da Cristo indipendentemente dai mezzi ordinari che egli ha stabilito, [ci] non
cancella affatto lappello alla fede e al battesimo che Dio vuole per tutti i popoli (RM 55) per la
104

Il rischio palpabile, ad esempio, in GM, 23 e Kn, 189-190. Non si tratta di contrapporre metodo deduttivo e metodo
induttivo, quanto di farli interagire trasformandosi ulteriormente e insieme in un metodo circolare capace di
coimplicare la teoria nella prassi e viceversa: il metodo del vedere-valutando-per-vivere (M. Naro, op. cit., 32).
105
OR, 4.12.2006, 6-7.
106
Su questo punto rimando, in particolare, a: G. Canobbio, op. cit., 48-55; G. Colazni, op. cit., 248-251; A. Cozzi, Le
religioni nel Magistero postconciliare. Problemi ermeneutici, in Teologia, 27 (2002), 267-304; DuV, 213-229; DuS,
122-148; GM, 216-226; M. Gronchi, op. cit., 973-987; A. Mazur, Linsegnamento di Giovanni Paolo II sulle altre
religioni (Tesi Gregoriana, Serie Teologia 103), Editrice Pontificia Universit Gregoriana, Roma 2004; D. Racca, Il
dialogo interreligioso nel Concilio Vaticano II: aperture e limiti, in RdT, 38 (1997), 637-663; Id., Il dialogo
interreligioso nel magistero dopo il Concilio Vaticano II, in ibid., 43 (2002), 511-537.
107
Cf. M. Di Tora, La teologia.., cit., 43-47.

21
posizione inclusivista, il rapporto Cristo-religioni descritto nei termini di pienezza-parzialit,
del tutto e dei frammenti, della realizzazione-di-una-promessa108. Il dato della fede ecclesiale
colloca in primo piano anzitutto il ruolo di Cristo, centro, fine, fonte, chiave, pienezza
e unica meta dellunico piano salvifico di Dio (cf. DI 10-13). Ed proprio alla luce della
pienezza rivelativa e salvifica di Cristo che il bene riconosciuto nelle religioni a Cristo ricondotto
e orientato (cf. RM 5-6). Ma chiaro che si tratta, appunto, di uninterpretazione di fede, vale a
dire di una lettura secondo loggetto formale quod, cio ex parte Dei. Dal punto di vista
fenomenologico non possiamo nascondere il fatto che le religioni restano in forte competizione
rispetto al cristianesimo perch si strutturano come mondi onnicomprensivi, con pretese
religiosamente totalizzanti irriducibilmente alternative a Cristo109. Le religioni, dunque, sono
sistemi autoreferenziali che non orientano a Cristo n direttamente n indirettamente; esse tendono
soltanto ad incrementare il numero dei loro membri in forza del fascino esercitato dai loro
fondatori e dal loro patrimonio spirituale e dottrinale. Questa prima analisi chiama in causa un
primo approccio teologico alle religioni di tipo apologetico che, recuperando il trattato De vera
religione110, ponga a tema la questione veritativa cos da farsi carico, a beneficio della comunit
credente (la destinataria delle riflessioni teologiche), le ragioni della fede cristiana in un contesto di
pluralismo religioso111. La teologia fondamentale delle religioni ha, quindi, come terminus ad
quem la fede in Ges come salvatore e rivelatore unico del Padre.
Ma sotto un altro versante, di tipo dogmatico, proprio la singolarit dellevento
cristologico a costituire il terminus a quo con cui la teologia delle religioni interpreta il ruolo delle
religioni nel disegno di Dio, interrogandosi sul loro rapporto con la grazia pasquale mediata dalla
chiesa. Qui le principali questioni sono due: a) le religioni sono vie di salvezza? come osserva G.
Gde, qui tocchiamo un punto veramente conflittuale nella discussione della teologia delle
religioni112; b) la teologia pu attribuire alla pluralit delle tradizioni religiose un significato
positivo nel disegno complessivo di Dio per il genere umano?113

108

Cf. DuS, 105, 132, 134; G. Gde, Interiorismo, cit., 351-352; A. Struma, op. cit., 43. Il Concilio guarda alla
religioni storiche non in forma indistinta, ma secondo una gradualit di rapporti col cristianesimo, e di conseguenza
delle religioni tra loro. La classificazione riconosciuta in base al grado di partecipazione alla verit e alla grazia.
109
M. Crociata, La teologia..., cit., 285.
110
Cf. ibid., 296; M. Di Tora, La credibilit della rivelazione: Tommaso dAquino e lattuale teologia fondamentale, in
HTh, 24 (2006), 281-282; Id., Teologia delle religioni e islamologia. Osservazioni sulla relazione di Giuseppe Rizzardi,
in CM, 204-206, 208-209, 211.
111
Ho approfondito questo aspetto nel mio volume Il cristianesimo a confronto con le grandi religioni (induismo,
buddsmo e islm) e le stte. Le ragioni della fede cristiana (cf. 1Pt 3,15), EDI, Napoli 2008. Anche G. Gde ritiene
imprescindibile la questione apologetica (cf. GAd, 48, 58-59, 64-68; Id., La problematica del concetto di rivelazione
come criterio epistemologico della teologia fondamentale delle religioni, in RdT, 48 [2007], 97-14 [qui 97-102]). In
questo ambito, una menzione speciale merita loriginalit della persona e del messaggio di Ges rispetto agli altri
fondatori di religione, a cominciare dalla novit assoluta del suo sacrificio a favore di coloro che credono in lui e di
tutta lumanit (cf. M. Di Tora, Il cristianesimo, cit., 113-124, 145, 88-100, 219-226).
112
GAd, 116-117.
113
DuV, 518-519.

22
Tenendo conto dei dati della fede, le religioni non sono in se stesse vie autonome
(parallele o complementari) di salvezza (cf. RM 5), come vorrebbe il pluralismo. E non lo sono (in
quanto tali) neppure come vie subordinate, come ipotizzano il semi-pluralismo e linteriorismo,
secondo cui i loro seguaci sono certo salvati da Cristo il pluralismo bypassa anche Cristo come
fonte costitutiva di salvezza ma non a dispetto della loro appartenenza e della loro pratica
religiosa, bens mediante quelladesione e quella pratica114. Per la posizione inclusivista, chiarita in
occasione della presentazione della DI dallallora card. J. Ratzinger via alla salvezza il bene
presente nelle religioni, come opera dello Spirito di Cristo, ma non le religioni in quanto tali115.
Diversamente, saremmo costretti ad imboccare la via senza uscita del semi-pluralismo e
dellinteriorismo. Queste correnti teologiche, come abbiamo visto, se da un lato non intendono
negoziare il dato della fede che riconosce lunicit dellevento cristologico, dallaltro, conferendo
un crisma teologico al dato puramente fenomenologico della pluralit religiosa sostenendo cio
(con i pluralisti) che le religioni sono espressioni della volont salvifica di Dio, e perci debbono
essere considerate positivamente come sistemi sociali e di culto che posseggono la verit
(completa) e mediano la salvezza di fatto avallano e legittimano la loro pretesa di presentarsi
come vie alternative rispetto a Cristo. Incapsulati nellottica pluralista, infatti, questi due sistemi
teologici sono costretti a respingere lidea che le religioni siano degli addentellati del
cristianesimo 116, o che le religioni siano chiamate a compiersi o superarsi in esso117, o che (perfino)
i cristiani possano legittimamente desiderare labolizione delle altre religioni e la loro
sostituzione con quella cristiana118, come se Dio volesse che i loro seguaci siano semplicemente
buoni e migliori musulmani o buddhisti. Ma queste asserzioni mal si conciliano col fatto che, sul
piano salvifico, le religioni non sono in grado n di conferire la salvezza, visto che lunica causa
costitutiva per tutti gli uomini la Pasqua di Cristo (cf. SC 5; LG 8, 17, 28, 49; DV 2; GS 22;
Unitatis redintegratio [= UR] 20; AG 3, 7, 13; NAE 2; DH 1), n di mediarla con quellefficacia
che propria dei sacramenti della chiesa (cf. DI 21-22) giacch i loro seguaci si trovano in una
condizione oggettivamente deficitaria rispetto alla condizione di coloro che nella chiesa hanno
la pienezza dei mezzi salvifici (DI 22). Le religioni, in altri termini, sono strutturalmente incapaci
di instaurare con Dio un rapporto autentico, come invece avviene nel cristianesimo (EN 53). Sul
piano veritativo, poi, non tutto apprezzabile come vero. Alle religioni manca un grandissimo
bene in questo mondo: conoscere il vero volto di Dio e lamicizia con Ges Cristo, il Dio-connoi. Per questa ragione i loro seguaci vivono nelloscurit e senza la verit circa le ultime

114

Il primo a formulare questa ipotesi inclusivista, diversa da quella del compimento, stato K. Rahner (cf. DuS, 110115). Anche G. Gde si rif alla teologia di Rahner (cf. GAd, 120-126)
115
J. Ratzinger, Contesto e significato del documento, in OR, 6.9.2000, 9 (corsivo mio). LAutore ha ribadito questa
posizione in Fede, Verit, Tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 2003, 216-217.
116
Cf. GM, 218, 229; 230-232; DuV, 277, 521; DuS, 472.
117
Cf. GM, 229; 232; DuV, 518-523; DuS, 466-474.
118
GAd, 128; cf. GM, 232; DuV, 286, 279-281, 518-520; DuS 168-169, 188.

questioni119 su Dio, sulluomo e sul suo destino. Inoltre, i semina Verbi sono disseminati per

23

avviare i loro seguaci alla conoscenza del vero Dio (AG 3), e perci alla conoscenza (implicita)
di Cristo che si manifesta nel seguire la propria coscienza e nellagire rettamente (cf. LG 16)120
, cos da disporre i loro seguaci allaccoglienza della grazia pasquale che lo Spirito di Cristo
comunica proprio tramite quanto di buono ha disseminato in esse (cf. GS 22; RM 56).
Siamo dunque ricondotti alla domanda che soggiace alla valutazione delle religioni come
vie di salvezza. Come annota giustamente J. Dupuis, si tratta di sapere se dalla prospettiva di Dio
[] egli si limiti a permettere, o invece voglia positivamente il pluralismo religioso121. Ma tenuto
conto di quanto stato appena detto, la luce della fede indirizza verso una volont di permissione,
anzich di beneplacito. La ragione pi profonda sta nel fatto che il disegno di Dio, che unico per
tutta lumanit, consiste nella chiamata di tutti gli uomini, anche dei seguaci delle altre religioni, a
convertirsi al Cristo conosciuto mediante la predicazione della chiesa, ed a lui e alla Chiesa, suo
corpo, siano incorporati attraverso il battesimo (AG 7; cf. 1, 13; LG 17; Sacrosantum concilium
[= SC] 9; RM 55; DI 7). Pertanto il loro ruolo provvidenziale nelleconomia divina della
salvezza (DA 29, 17) solo di supplenza. Non a caso, sia LG 16 sia AG 7 rimarcano il fatto che
la condizione perch i seguaci delle religioni possano conseguire la salvezza che ignorino il
Vangelo di Cristo e la sua chiesa. Se il Concilio offre queste precisazioni invito alla fede per
tutti gli uomini e salvezza veicolata a coloro che senza loro colpa ignorano il Vangelo (AG 7)
si comprende perch le religioni svolgono solo un ruolo pedagogico e perch nei testi magisteriali
non vengono considerate in altro modo che come preparazione ad accogliere il Vangelo (cf. LG
16; AG 3, 7, 11; RM 29; DI 12, 21)122, e non come vie in qualche modo complementari o parallele
a quella di Cristo. Se cos stanno le cose, possiamo quindi affermare che, sul piano esistenziale,
ossia delleffettiva partecipazione degli uomini alla salvezza di Cristo, le religioni possono
mantenere una validit anche permanente (solo piano soggettivo) nella storia della salvezza
bench, rispetto allasse Cristo non si pongono sul suo stesso piano perch non sono volute da Dio.
Infatti, diversamente dallopinione dei semi-pluralisti e degli interioristi, il ruolo delle religioni
provvisorio e cessa nel momento in cui viene conosciuta e accolta la rivelazione piana e definitiva
119

CDF, Nota Dottrinale su alcuni aspetti dellEvangelizzazione, LEV, Citt del Vaticano 2007, 7.
Cf. S. Th., I-II, q. 91, a. 3; q. 98, a. 2 ad 4; q. 106, a. 1 ad 3; II-II, q. 2, a. 7; III, q. 8, a. 3 ad 1. Prima dellevento
cristologico, non salvava il Verbo eterno di Dio considerato a s stante (cf. LG 2), come vorrebbe J. Dupuis nellarticolo
in cui risponde alle critiche mosse da pi parti al suo Verso una teologia del pluralismo religioso (La teologia del
pluralismo religioso rivisitata, in RdT, 40 [1999], 667-693, qui 678). La riprova triplice. 1) Prima della glorificazione
di Cristo, non cera ancora lo Spirito (Gv 7,39). 2) Perfino la Vergine Maria, la creatura pi eccelsa (cf. LG 53), viene
santificata non dal Verbo, ma per i meriti del Verbo che si sarebbe fatto uomo (cf. P. Hnermann, a cura di, H.
Denzinger. Enchiridion Symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, ed. bilingue, EDB,
Bologna 1995, 2803). 3) Se prima dellIncarnazione la salvezza fosse stata comunicata dal Verbo, non si
comprenderebbe la ragione per la quale Cristo sia disceso agli inferi per liberare le anime dei giusti che attendevano il
Salvatore (cf. CCC 631-637).
121
DuV, 518.
122
In questo senso, come si esprime A. Amato, il significato delle altre religioni non anti-cristiano, ma pre-cristiano
e proto-cristiano (A. Amato, Ges il Signore. Saggio di cristologia [Corso di teologia sistematica 4], EDB, Bologna
19995, 605).
120

24
di Cristo, creduto come unico Salvatore del mondo. La riprova sta proprio nelle puntualizzazioni
conciliari appena illustrate123. In definitiva, le religioni, come istituzioni, continueranno ad esistere
(di fatto) come sistemi sociali e istituzionali. Ma (soggettivamente) per chi ha creduto in Cristo, la
propria religione risulta essere ormai obsoleta e destina ad essere superata e compiuta nel
cristianesimo 124.
Chiariti i termini generali nei quali si colloca il rapporto Cristo-religioni, in una prospettiva
decisamente inclusivista resta da individuare e interpretare come il mistero pasquale e lazione
dello Spirito del Risorto agiscono modo Deo cognito (GS 22) misteriosamente dentro le altre
tradizioni religiose125 per coloro che ancora non credono esplicitamente nel Cristo. Il problema
aperto per la teologia non sta nellesistenza di questo legame, ma nella sua realizzazione. Escluse
le economie salvifiche autonome o parallele o complementari (RM 5), la ricerca sollecitata a
pensare come gli elementi positivi di altre religioni (DI 14), quali alcune preghiere e alcuni
riti (DI 21), ma anche le loro figure religiose rientrino nel piano divino di salvezza (DI 14)
come forme di mediazione partecipate (DI 14; cf. RM 5). Le piste di approfondimento sono
diverse. In primo luogo, pu essere opportunamente recuperato il concetto metafisico di causalit.
Se il bene nelle religioni non possiede lefficacia salvifica ex opere operato, che propria dei
sacramenti (DI 21), n pu essere cio assimilato ad una causalit efficiente o formale, perch solo
Cristo la causa efficiente principale della salvezza, ci si chiede se sia lecito interpretarlo nei
termini di una causalit finale, come orientamento alla comunione con il Risorto attraverso un
legame con la chiesa, oppure semplicemente con una relazione trascendentale con la grazia
pasquale, o, meglio, di una partecipazione alla grazia di Cristo, come suggerito da A. Struma,
secondo unanalogia di attribuzione126. La seconda prospettiva teologica feconda quella

123

Rifiutarsi di aderire pienamente a Cristo attraverso il battesimo, dopo aver compreso che lui la via, la verit e la
vita (NAE 2; Gv 14,16), o impedire che i seguaci delle religioni si aprano alla conoscenza del vero Dio (AG 3)
disimpegnandosi nellannunzio del Vangelo col pretesto che i loro seguaci posso comunque ricevere la grazia di Dio
mediante il bene presente in esse, o abbandonare la fede per convertirsi alle altre religioni sono piuttosto fattori che
ostacolano la salvezza. Queste forme di relativismo, infatti, mal si conciliano con linsegnamento conciliare di LG 14 e
AG 7 che ribadiscono e riformulano il noto assioma patristico dellextra Ecclesiam nulla salus , di NAE 2 e AG 3-9
che sottolineano limportanza del mandato missionario e della DH, che insiste sullimportanza di cercare la verit
e sullobbligo morale di aderirvi una volta conosciuta, cos da ordinare tutta la vita secondo le sue esigenze (DH 2,
1, 3, 10, 11, 14). La CDF tornata recentemente su questi delicati temi in cui interagiscono soprattutto le categorie di
evangelizzazione, conversione, libert umana e dialogo con la gi menzionata Nota Dottrinale su alcuni aspetti
dellEvangelizzazione.
124
Non a caso Giovanni Paolo II scrive nella Tertio millennio adveniente (= TMA) 6 (cf. NAE 2) che il Verbo
incarnato il compimento dellanelito presente in tutte le religioni dellumanit [] e, per ci stesso, ne lunico e
definitivo approdo (corsivi nel testo).
125
M. Crociata, La teologia, cit., in CM, 296-297.
126
Scrive lo studioso: partendo da un punto di vista tomistico sembrerebbe interessante, a nostro parere, domandarsi e
indagare se si tratta di un rapporto di causa-effetto secondo uno schema che segue la dottrina tomista dellanalogiapartecipazione. Se cos fosse, nelle religioni non cristiane si potrebbe parlare di salvezza secondo lanalogia di
attribuzione (piano logico linguistico), per rapporto alla salvezza in senso proprio (analogato principale), che quella
creduta dalla fede della chiesa. Questo modo di esprimersi troverebbe il suo fondamento reale nel fatto che si
consegue la salvezza per partecipazione allunica salvezza operata dalla mediazione di Cristo (piano ontologico)
(A. Struma, op. cit., 98).

dellUniversale concreto, rilanciata sia da Geffr sia da Dupuis127, sia pure non secondo la loro

25

linea, che tende piuttosto a limitare la portata universale dellevento dellIncarnazione,


sottolineandone la dimensione limitata e contingente, bens nella prospettiva di SC 5 che,
riecheggiando la dottrina tommasiana, contempla lumanit del Verbo come strumento della nostra
salvezza (cf. AG 3). Lungo questa pista, si potr considerare in profondit la portata universale del
sacrificio di Cristo, che supera di gran lunga qualsiasi tentativo di mediazione umana col divino.
Un tema che ancora non stato del tutto approfondito dalla riflessione teologica quello
della qualit teologica dei semi del Verbo, che strettamente imparentato con la questione del
ruolo delle religioni nel disegno salvifico di Dio, ma anche con il significato da attribuire alla
presenza dello Spirito Santo nelle religioni e perci del bene che riscontriamo in esse. La presenza
attiva e operante dello Spirito Santo una verit insegnata dal Concilio e ampiamente approfondita
da Giovanni Paolo II. E tuttavia non possiamo eludere una serie di difficolt che questo
insegnamento magisteriale pare sollevare anche se queste non sempre vengono poste a tema
dalla teologia narrativa e che pertanto sollecitano la riflessione argomentativa dellintellecuts
fidei (cf. FR 66, 75, 77). Se ammettiamo la presenza dello Spirito nelle religioni, infatti, nasce la
prima e pi grave incongruenza col dato della fede che lammissione della loro origine divina;
ma se sono volute da Dio hanno perci la stessa dignit e validit del cristianesimo. Il
riconoscimento dello Spirito nelle religioni non avrebbe altro effetto che legittimazione definitiva
sul piano della fede della loro rivendicazione (fenomenologica) di presentarsi come sistemi
autoreferenziali, completi e indipendenti dallasse Cristo128. Ma a questo punto sarebbe pressoch
impossibile recuperare (nella fede) lorientamento cristologico dellazione dello Spirito, che invece
realmente la missione dello Spirito (RM 29). La seconda incongruenza nasce dalla conciliazione
tra due verit antitetiche: da un lato la presenza dello Spirito, che lo Spirito di verit, e dallaltro
degli errori, delle lacune, delle insufficienze (cf. Rm 55) e delle superstizioni (cf. DI 21).
Ebbene, stabilito che lazione lazione universale dello Spirito nelle culture, nei popoli e nelle
religioni unassiomatica e normativa verit di fede, ritengo che si possano sciogliere queste
difficolt ammettendo che lattivit dello Spirito di cui si parla nel magistero possa essere
compresa secondo lordine naturale della creazione. Si tratta, cio, di una presenza che non implica
un intervento soprannaturale di Dio. una tesi argomentabile scientificamente? Ritengo di s.
Anzitutto, ribadendo quanto detto in precedenza, e cio che nelle religioni non tutto riconducibile
127

Cf. GM, 234; Id., De Babel, cit., 118; DuV, 187-191, 401-406. Su questa categoria teologica, sviluppata in
particolare da H. U. von Balthasar, si veda il contributo di F. Bellelli, Cristocentrismo e storia. Luso dellanalogia
nella cristologia di Hans Urs von Balthasar, nel numero monografico di Divus Thomas, 111/1 (2008), sopr. 239-265.
128
A rigor di termini, dovremmo concludere che le differenze (complementari) con la rivelazione cristiana potrebbero
essere non soltanto di tipo qualitativo, ma anche quantitativo, in quanto le religioni possono perfino contraddire quanto
conosciamo nel cristianesimo; anche se riuscissimo a parare questo rischio, resteremmo comunque inchiodati su una
interpretazione semi-pluralista, secondo la quale nelle religioni si possono trovare verit non ancora conosciute nel
cristianesimo. Sullapprofondimento di queste antinomie pneumatologiche, e sulle loro conseguenze cristologiche, cf.
Kn, 180-185, 188-189, 192-193, 212, 309-312.

26
allo Spirito (CTI 85); da qui la loro ambiguit (CTI 84). Ma soprattutto va richiamato il principio
tomista129 secondo cui che ogni verit viene dallo Spirito Santo, dottrina ribadita da FR 44.
Anzich costituire un nuovo motivo di confusione, invece di grande aiuto perch, secondo
Tommaso, lapplicazione di questo principio valida per ogni tipo verit, incluse quelle naturali e
perfino, al limite, per quelle rivelate da un demonio130. Pertanto, anche se nelle religioni presente
lo Spirito Santo, non detto che lorigine di queste ricchezze spirituali sia di origine
soprannaturale cio che superi le forme di saggezza e di sapienza che la ragione raggiunge
mediante le sue forze naturali131 perch possono essere ragionevolmente ricondotte alla capacit
degli uomini di cogliere la perenne testimonianza divina nella creazione (DV 3), nei dettami
della coscienza, nella legge morale naturale, come viene affermato anche dalla CTI 90 e 96 (cf. LG
16; FR 36, 67). La riprova scientifica cio supportata da ragionamenti sillogistici, lunica
disponibile in teologia132 suffragata dalle argomentazioni seguenti.
In primo luogo, perch la stessa conoscenza naturale di Dio, la cui possibilit stata ribadita
dalla DV 3 e 6, denominata rivelazione: il primo stadio della Rivelazione divina [] costituito
dal meraviglioso libro della natura, leggendo il quale, con gli strumenti propri della ragione
umana, si pu giungere alla conoscenza del Creatore (FR 19). Si tratta di una conoscenza
razionale, e tuttavia viene illustrata con una categoria soprannaturale. In secondo luogo, se vi fosse
una presenza soprannaturale dello Spirito, dovremmo trovare nelle religioni verit soprannaturali.
Ma, un dato difficilmente confutabile, in nessuna di esse vi una sola verit soprannaturale del
mistero di Dio, ad eccezione della risurrezione dai morti nellislam, che per di chiara
derivazione biblica; tanto pi che, al contrario, puntualmente tutti i principali misteri della fede
cristiana sono esplicitamente rigettati soprattutto dallislam, indipendentemente se li comprenda
correttamente o no. Una terza argomentazione muove da DI 7 e 21. Se vi fosse la presenza dello
Spirito Santo, dovremmo considerare lesperienza religiosa dei credenti delle religioni come vera
fede, ma ci escluso da DI 7 che invece la distingue accuratamente tra fede e credenza. Tanto pi
che la stessa DI, al n. 8, si premura di precisare che i testi (ritenuti) sacri delle religioni non sono
libri ispirati133. In quarto luogo, come stato notato in precedenza, la DI si preoccupa di affermare
che ai riti e alle pratiche delle religioni non pu essere attribuita lorigine divina e lefficacia
salvifica ex opere operato, che propria dei sacramenti cristiani (DI 21). Infine, AG 3 che,
129

Cf. S. Th., I-II, q. 109, a. 1; II-II, q. 172, a. 6; A. Struma, op. cit., 59, 174.
Cf. S. Th., II-II, q. 172, a. 6.
131
Cf. A. Struma, op. cit., 43 n. 29.
132
Sulla scientificit della teologia, che dalle premesse di fede approda, mediante largomentazione, ad una nuova
intelligenza della rivelazione e/o a nuove conoscenze teologiche, rimando in particolare a: M.-D. Chenu, La teologia
come scienza nel XIII secolo, Jaca Book, Milano 19953; A. Stagnitta, La fondazione medioevale della scienza noneuclidea e della struttura. La teologia cristiana e le culture moderne. Tommaso dAquino: uno scienziato credente, in
Divus Thomas, 99/3 (1996), 43-84; il volume monografico Il destino ecclesiale della teologia come scienza, Divus
Thomas 108/1 (2005).
133
Vi si legge, piuttosto, che la tradizione della Chiesa riserva la qualifica di testi ispirati ai libri canonici dellantico e
del Nuovo Testamento [proprio] in quanto ispirati dallo Spirito Santo.
130

27
precisando che la qualit teologica della rivelazione cristiana nuova e definitiva rispetto alle
ricchezze dei popoli, rimarca la sua differenza ontologica rispetto allordine della natura. Queste
argomentazioni provano che i semina Verbi, come osserva giustamente G. DCosta, vanno
interpretati alla luce della conoscenza naturale di Dio e della tradizionale dottrina sulla relazione
tra natura e grazia134. cos che dobbiamo comprendere la loro qualit teologica. Tali
precisazioni teologiche gettano nuova luce su un valutazione globale delle religioni. A differenza
del cristianesimo, nelle tradizioni religiose s espressa [] la ricerca di Dio da parte delluomo
come voleva la dottrina inclusuivista del compimento perch solo nel cristianesimo, come
scrive Giovanni Paolo II, lavvio dato dallIncarnazione del Verbo. Qui non soltanto luomo a
cercare Dio, ma Dio che viene in Persona a parlare di s alluomo e a mostrargli la via sulla quale
possibile raggiungerlo. Per questo motivo il Verbo incarnato dunque il compimento
dellanelito presente in tutto le religioni dellumanit (TMA 6; cf. CTI 103)135.
Ma se nelle religioni Dio non si rivela in modo soprannaturale, vale a dire che non svela cio il
mistero intimo della sua vita e non promette quei beni che trascendono il desiderio naturale
delluomo (cf. DV 6, 3), ci non toglie tuttavia che non sostenga, in qualche modo, la ricerca degli
uomini. in questo senso che possono essere lette alcune espressioni ben misurate del Vaticano II
e del magistero. Si parla, infatti, della benigna disposizione della Provvidenza (AG 3; OT 16); di
segreta presenza di Dio (AG 9); di Dio che dispensa ricchezze ai popoli (AG 11; cf. RM 6); di
Dio che si rende presente (Rm 55; cf. DI 8) in esse; di elementi di religiosit che procedono da
Dio (DI 21); dei loro fondatori che sono ispirati dallo Spirito di Dio (CTI 90). Del resto, Dio
che ha disseminato i semi del Verbo (AG 11, 15) e i raggi della Verit che illumina ogni uomo
(NAE 2; LG 16). In sintesi: se con lespressione Dio si manifesta nelle religioni intendiamo la
sua forma soprannaturale, ci va escluso per tutte le ragioni esposte finora. Conseguentemente
dovremo opportunamente distinguere tra rivelazione, per i libri biblici, e illuminazione, per i testi
sacri delle religioni. Se invece intendiamo il fatto che nelle religioni gli uomini si sforzano di
cercare Dio a testoni (AG 3), ma non sono abbandonati a se stessi in questa ricerca perch Dio,
pur rivelandosi pienamente in Cristo, che ha costituto come unico mediatore, li avvia conoscenza
della verit e alla salvezza mediante quelle vie segrete (viis sibi notis: AG 7; cf, GS 22) che
sono in realt lobbedienza alla propria retta coscienza; loperare il bene e levitare il male;
ladesione alla verit; la coerenza tra fede e vita136 , ebbene questa prospettiva, compatibile con
la fede ecclesiale, assegna il giusto peso di subordinazione delle religioni rispetto allevento Cristo.

134

Cit. in G. Colzani, op. cit., 256 n. 26; cf. M. Di Tora, La teologia, cit., 30-35.
La dottrina del compimento, a dispetto delle critiche di molti settori teologici, resta linterpretazione ufficiale del
rapporto delle religioni nel disegno salvifico di Dio, espressa da Paolo VI in ES 60 e in EN 53, passando dallAG 3, fino
alla RM 6 e alla TMA 6.
136
A. Amato, Ges il Signore, cit., 596.
135

28
3. La cristologia

Abbiamo gi visto come una sopravvalutazione positiva delle religioni provoca dei
contraccolpi in cristologia. dunque nella concezione del mistero di Cristo che si gioca la partita
decisiva. Come osservava gi J. Dupuis, chiaro che la questione cristologica occupa un posto di
primo piano in una teologia cristiana delle religioni. Il valore salvifico delle altre tradizioni
religiose, nonch il significato da attribuire allinterno del disegno complessivo di Dio per
lumanit ad altre vie e figure salvifiche, sono intrinsecamente ma insestricabilmente connessi
da un punto di vista cristiano col modo di intendere e di interpretare la persona e levento di
Ges Cristo137 (e viceversa). E P. F. Knitter aggiunge: linterrogativo pi difficile e delicato
che costituisce una vera sfida per la teologia cristiana delle religioni comprendere la
particolarit di Ges, ovvero il modo in cui egli salva, trasforma le vite e le ricolma della pace e
della potenza della presenza di Dio138. Per i pluralisti, lequilibrio si raggiunge a tutto discapito
della dottrina tradizionale, che viene definita come assolutistica139 o del cristomonismo,
secondo J. Dupus e C. Geffr140 , che dunque necessario rivedere141, ma che in realt uno
scardinamento della fede tradizionale, sia pure ammantato con la veste della tolleranza e del
rispetto per le religioni. Divinizzando, di fatto, le altre figure religiose dellumanit, i mutualisti
ritengono di creare le condizioni per il dialogo alla pari con i loro seguaci142. Leggendo lultimo
saggio di P. F. Kniter, ci possiamo accorgere subito che tutto lesercizio accademico della teologia
delle religioni (dei pluralisti) consiste sostanzialmente nello sgonfiamento della cristologia, per
riportare il ruolo di Ges ad uno pi modesto143, vale a dire considerandolo uno dei tanti.
Non questa la sede per dibattere le tesi pluralistiche. Quello che mi preme evidenziare che
le tesi pluraliste hanno influenzato soprattutto sia Dupuis sia Geffr i quali, abbagliati dalle
presunte esigenze del dialogo, hanno elaborato una relativizzazione della cristologia scavando dei
vuoti che le religioni, con i loro valori, colmerebbero in modo da rendersi complementari al
cristianesimo 144. Ma per quanto i teologi cattolici del nuovo inclusivismo si adoperino di

137

DuV, 378-379; cf. C. Geffr, De Babel, cit., 31-32; Kn, 309, 195. La fede in Ges come solo e unico Salvatore del
mondo la linea di faglia nella crisi contemporanea della cristologia (W. J. Wildman, cit. in Kn, 303). Ne abbiamo
conferma nelle recenti Notificazioni a J. Dupuis, a R. Haight e, ultimamente, a J. Sobrino (2006). Il motivo di questa
crisi va ricercato nel fatto che la sua figura, nel contesto della post-modernit e del pluralismo religioso, ormai ridotta
al livello dei tanti fondatori di religione, che quindi gli sono pari, come osservano tra gli altri GM, 230 e J.
Ratzinger (Benedetto XVI), Ges di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, 339-340, 368.
138
Kn, 215; cf. 124, 220, 302-305.
139
Cf. Kn, 220, 304, 314.
140
Cf. C. Geffr, De Babel..., cit., 116; GM, 234.
141
Kn, 302.
142
Cf. Kn, 240, 306, 309, 316, 397-398.
143
Kn, 304; cf. 190, 220, 303.
144
Cf. M. Di Tora, La teologia, cit., 36-38. soprattutto J. Dupuis che introduce: a) la distinzione, affilata come la
lama di un rasoio (Kn, 19), tra pienezza qualitativa e quantitativa della verit di Dio rivelata in Ges Cristo (cf. DuV,
508-509; DuS 248-255); b) la tesi della pienezza relativa di Ges, ossia limitata, che la porrebbe in relazione con le
altre economie complementari e parallele delle religioni (cf. DuV, 439-443, 513, 522; DuS, 134, 255-263, 470-474); c)

29
equilibrare meglio il piatto della bilancia questo laspetto pi rilevante del dibattito attuale
puntando limmaginario ago a favore dellamore universale di Dio, cos da rendere compatibile il
pluralismo religioso con la cristologia, i risultati resteranno comunque insoddisfacenti per tutti e
due i fronti. Sia per gli inclusivisti, i quali ritengono che la reinterpretazione dellevento
cristologico stata spinta troppo in l; sia per i pluralisti, secondo i quali stata spinta troppo
poco. Per un pluralista come P. F. Knitter, perfino lo sforzo di Dupuis, che costituisce il limite
estremo cui possibile spingersi rimanendo nei confini dellortodossia145, liquidato in poche
pagine per il semplice fatto che il teologo belga si mantiene entro i limiti dellunicit costitutiva
dellevento Cristo146. Fin quando non si avr il coraggio di passare il Rubicone, cio di dare una
spallata decisiva allunicit della mediazione di Cristo, ma si continuer a considerarlo, come
anche nella teologia di Dupuis, al centro del piano divino di salvezza in quanto Parola definitiva e
ultima del Padre147, i pluralisti giudicheranno questo modello teologico come inadeguato perch
incapace di realizzare il dogma del dialogo da realizzare alla pari con le religioni148. Se i pluralisti
diffidano dai tentativi di Dupuis, con maggior enfasi respingono la rahneriana categoria di
cristiani anonimi e respingerebbero quella dellinteriorismo, secondo le quali Cristo che salva
per mezzo delle religioni o che queste sono ordinate a Cristo149. A giudizio di S. M. Heim,
condiviso da P. F. Knitter, si tratta di tentativi surrettizi che non rispettano lalterit delle religioni,
la cui funzione conseguire il loro fine religioso, non quello cristiano150. La conclusione cui si
giunge una conferma delle precisazioni metodologiche di Dupuis: i tre paradigmi
il rifiuto di parlare della rivelazione (o alla persona) di Cristo nei termini di assolutezza (cf. DuV, 381-390, 520;
DuS, 183-184; 309-315, 324-325, 330, 333, 424); d) lunicit s costitutiva, ma relazionale di Cristo (cf. DuV, 378383, 401-411; DuS, 307-318); e) ma, soprattutto, lintroduzione della limitatezza della rivelazione divina a motivo
dellautoconsapevolezza umana della sua identit divina (cf. DuV, 386, 403; 508-509; DuS, 251-252). Non molto
diverso il percorso teologico dellaltro teologo rappresentativo del nuovo inclusivismo cattolico qual C. Geffr.
Anche Geffr si lascia andare a formulazioni alquanto ardite, tra cui: a) la rivelazione [] differenziata (GM, 228229, 234-235), per cui le religioni sono portatrici di altre parole di Dio i semi del Verbo indirizzate agli
uomini (GM, 229); b) le religioni posseggono valori propri (GM, 218, 219, 231-232), ossia esperienze religiose
che non sono state, e non saranno, tematizzate allinterno del cristianesimo per il fatto stesso della sua particolarit
storica (GM, 228), fattore che dunque lo rende relativo (cf. GM, 231); c) a motivo della sua umanit, Cristo stesso
che porta i principi della limitazione in quanto la sua umanit non pu identificarsi con lAssoluto (cf. GM, 233-235);
da qui la distinzione, mutuata da Dupuis, tra una pienezza della rivelazione cristologica di tipo qualitativo, ma non
quantitativo (cf. GM, 228-229); d) le molteplici manifestazioni del fenomeno religioso possono concorrere, secondo
la loro maniera, ad una migliore manifestazione della pienezza inesauribile del mistero di Dio (GM, 223; cf. 218); e)
la conclusione, gi vista, e che suona come la stoccata finale: vi pi verit religiosa nella somma di tutte le religioni
che in una sola, ivi compreso il cristianesimo stesso (GM, 228).
145
Kn, 193.
146
Nel paragrafo in cui analizza la teologia di Dupuis (pp. 185-193), il giudizio critico riassunto in tre pagine: dalla
190 alla 193, poi ripreso alla p. 214.
147
Cf. Kn, 190, 192-193, 212-214.
148
Nemmeno la precisazione contenuta nella distinzione di Dupuis secondo cui la pienezza di Ges soltanto
relativa, una pienezza non quantitativa, ma qualitativa attenua le critiche di P. F. Knitter perch, a suo giudizio,
finisce per suonare come una questione di parole pi che di realt allorch egli prosegue dichiarando che Ges il
solo-e-unico Salvatore in cui lunica salvezza destinata a tutte le persone costituita e resa realmente nota (Kn, 212).
Dunque, gli sforzi che i teologi cattolici vanno facendo per compiere un passo ulteriore al di l della prospettiva del
compimento del Vaticano II non funzionano perch non rendono possibile quel campo di gioco neutrale che richiesto
dal dialogo in due direzioni (Kn, 212-213).
149
Cf. ibid., 398, 292, 171.
150
Cit. in ibid., 398; cf. 375.

30
dellesclusivismo, dellinclusivismo e del pluralismo, restano reciprocamente contraddittori
giacch, opponendosi gli uni agli altri, si escludono a vicenda151 e quindi risulta del tutto vano
ogni tentativo di avvicinarli.

4. Lecclesiologia
Strettamente connessa alla questione cristologica, si delinea anche quella ecclesiologica152.
lanello debole della riflessione teologica attuale. Il dibattito, tutto interno alla famiglia
inclusivista, riguarda non tanto la necessit della Chiesa in ordine alla salvezza. Si tratta di una
dottrina che non negata neanche da Dupuis153. La questione riguarda piuttosto sia lesatta natura
della necessit universale della chiesa154 che, sempre a giudizio del teologo belga, non stata
chiarita n dal Concilio n dalla RM, che pure vi insiste a pi riprese , sia il senso della sua
mediazione, intesa in senso rigorosamente teologico155. chiaro che dal modo di concepire
queste due prerogative della chiesa dipender dal valore delle religioni e il significato
dellordinamento di tutti gli uomini verso di essa (cf. LG 13, 16; AG 7; RM 10)156. Per affrontare
la questione opportuno insistere sul fatto che la necessit della chiesa si fonda sullunica
mediazione di Cristo (CTI 64). C un legame indissolubile tra Cristo e la sua chiesa (RM 18), la
quale sempre unita in modo misterioso e subordinata a Ges Cristo salvatore (DI 20). La
chiesa legata a Cristo perch il suo Corpo (RM 18; DI 20), o per meglio dire: soltanto la
Chiesa il suo Corpo (CTI 85). Per questo lo Spirito dimora in essa (RM 18) con una presenza e
unintensit unica (cf. LG 4, 9; CTI 56, 61, 85): la vivifica con i suoi doni e i carismi, la santifica,
la guida e rinnova continuamente (RM 18; LG 9). La necessit della chiesa in ordine alla salvezza
dellumanit nasce dal fatto che essa il canale principale e fondamentale della grazia di Cristo e
appunto per questo si chiama sacramento universale di salvezza157 (cf. LG 48; AG 5): Cristo
lha dotata della pienezza dei mezzi della salvezza (RM 18, 9, 55; AG 7; UR 3; DI 22) bench
151

DuV, 277; cf. 242-243; DuS, 181, 150-152, 181.


A. Carioti, La missione salvifica della Chiesa. I fondamenti teologici della Dichiarazione Dominus Iesus nel
magistero del Concilio Vaticano II (Verbum 4), Rubettino, Soveria Mannelli (CZ) 2008; CDF, Nota dottrinale, cit.
9-12; G. Canobbio, Nessuna salvezza fuori della Chiesa? Storia e senso di un controverso principio teologico
(Giornale di teologa 338), Queriniana, Brescia 2009; S. Mazzolini, Chiesa e salvezza. Lextra Ecclesiam nulla salus in
epoca patristica (Collana Missiologia 8), Urbaniana University Press, Roma 2008; B. Sesbo, Fuori dalla Chiesa
nessuna salvezza: Storia di una formula e problemi di interpretazione, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2009.
153
Cf. DuV, 17, 465-466; DuS, 383-384.
154
DuV, 466; cf. DuS, 384.
155
DuV, 469; cf. DuS, 390.
156
Vedi DuV, 465-469, 473-480.
157
B. Mondin, Ges Cristo salvatore delluomo. Cristologia storica e sistematica (Nuovo corso di teologia dogmatica
2), ESD, Bologna 1993, 439. Il Concilio scrive J. Dupuis afferma la necessit della chiesa per la salvezza (LG 14)
in quanto sacramento universale di salvezza (LG 48) (DuV, 471; cf. DuS 393). La chiesa segno di salvezza perch
per la carit che si realizza tra i suoi membri, che Dio non chiama individualmente (cf. LG 9; AG 1), segno della
presenza divina nel mondo (LG 13; cf. 48; RM 49); ed strumento perch promulga lazione missionaria di Cristo
presso gli uomini (LG 7, 17; AG 2; DI 20) e perch, per lazione ecclesiale, gli uomini siano pi strettamente congiunti
tra loro e a Cristo (cf. LG 5, 48; AG 1, 5).
152

31
Dio possa salvare indipendentemente dai mezzi ordinari che ha stabilito (RM 55) , ed a
motivo della pienezza di questi strumenti che la via ordinaria di salvezza (RM 55). Per
utilizzare un linguaggio teologico appropriato, possiamo perci affermare che la mediazione
ecclesiale di ordine causale efficiente e non soltanto finale o morale158, come se lasciasse da
lo spazio per mediazioni suppletive, fra le quali si troveranno le tradizioni religiose cui
appartengono gli altri159. Per essere ancora pi puntuali: il sacramento, cio la causa
strumentale principale (ma non esclusiva) e il segno certo, infallibile della grazia e della volont di
Dio: il sacramento che indica, attesta e manifesta dove e come la salvezza ha avuto luogo e
fornisce inoltre mezzi particolarmente efficaci per conseguirla160.
Ma perch, dunque, e come possibile che la chiesa necessaria alla salvezza di tutti gli
uomini? Per tre ordine di ragioni. Anzitutto, perch anche coloro che non appartengono
visibilmente alla Chiesa hanno in ogni caso una misteriosa relazione con la Chiesa (RM 10; DI
20). In secondo luogo, perch, come ricordano in particolare la LG e lAG, perch la maturazione
della fede esplicita in Cristo passa dalla mediazione dellopera di evangelizzazione della chiesa (cf.
AG 2, 5-7; 13, LG 17, 48). Ma soprattutto perch per vivere in pienezza la conversione a Cristo,
necessario che tutti [] siano incorporati a lui e alla chiesa, suo corpo, attraverso il battesimo
(AG 7; cf. LG 14; RM 55; DI 20). E il battesimo amministrato dalla Chiesa e nella chiesa (cf.
RM 46-48) per rigenerare alla vita i figli di Dio, unire a Cristo, ungere nello Spirito Santo,
instaurare vincoli reali e inscindibili con le Persone divine e per rendere membri del corpo di
Cristo che la Chiesa (cf. RM 47, 12, 23, 44, 45). Per queste tre ragioni si comprende come
lespressione conciliare secondo cui tutti gli uomini sono ordinati al popolo di Dio (LG 13; cf.
16; AG 1, 7; RM 10, 48) stata resa dalla Notificazione a Dupuis, al n. 7, con questa espressione:
secondo la dottrina cattolica anche i seguaci delle altre religioni sono ordinati alla chiesa e sono
tutti chiamati a far parte di essa161.
In ultima analisi, possiamo riprendere, con A. Strumua, la formulazione classica extra
Ecclesia nulla salus, ribadita da LG 14, per riformularla in termini positivi nellassioma: sine
ecclesia nulla salus162; ogni salvezza mediata da Cristo e dalla Chiesa (cf. CTI 64-70).

Considerazioni conclusive

158

G. De Rosa, Una teologia problematica del pluralismo religioso, in La Civilt Cattolica, 149/3 (1998), 143; cf.
DuV, 470.
159
DuV 472; cf. DuS 393.
160
B. Mondin, op. cit., 444.
161
Cf. DI 20-22; CDF, Nota Dottrinale, cit., 1-2, 7-12. Le religioni non si possono in alcun modo collocare sullo
stesso piano della chiesa, come se si potessero equiparare ad essa o se si potesse fare a meno della chiesa una volta
conosciuta la verit. Per coloro che la ignorano come via ordinaria di salvezza e non sono legati ad essa visibilmente. Le
tradizioni religiose dispongono i loro appartenenti a una fede implicita in Cristo salvatore, fede che si rende esplicita
solo nelle fede della chiesa (A. Struma, op. cit., 328).
162
A. Struma, op. cit., 328.

32
In conclusione, il pluralismo religioso dellumanit e delle nostre societ, che giustamente
stato definito lorizzonte della teologia del XXI secolo163, rappresenta una sfida positiva per la
comunit credente. Essa impegnata su tre fronti: due interni e uno esterno. Nei primi due la
teologia, che si pone al servizio della chiesa, chiamata sia a rendere ragione della fede in Cristo
(compito apologetico) di fronte al supermercato delle religioni, sia a indagare sul significato
teologico del pluralismo religioso nel disegno di Dio che si realizza in Cristo (compito dogmatico).
Anzich preoccuparsi di spostare sempre pi in l la bandierina dellaffermazione del pluralismo
religioso il cui esito fallimentare stato notato soprattutto al riguardo del paragrafo cristologico,
a motivo dellinevitabile e proporzionale riduzione della portata salvifica universale del mistero
pasquale di Cristo la riflessione teologica sollecitata a indagare come, nelle tradizioni religiose,
sono rinvenibili segni di un costitutivo misterioso rapporto con levento pasquale che
giustifichino non la loro funzione di mediazione ma la relazione della loro mediazione allunica
mediazione di Cristo164. Su questa linea, il recente convegno a Palermo organizzato dalla Facolt
teologica di Sicilia, su Vie salvifiche, ermeneutica e teologia delle religioni (7-9 maggio
2009), di cui attendiamo gli Atti, ha offerto un prezioso contributo di chiarificazione e di sviluppo
della ricerca.
Sul versante ad extra, incontrando i loro seguaci, i cristiani, saldi nella fede in Ges, possono
scoprire, riconoscere, assumere e valorizzare i segni della presenza di Cristo e lazione dello
Spirito nelle religioni, sia, specularmente, approfondire la propria identit e a testimoniare
lintegrit della rivelazione (Rm 56, cf. 29, 52). Il loro obiettivo non di allargare il consenso o di
rendere la propria posizione pi accettabile dai partners, oppure di nascondere le difficolt reali
del vissuto quotidiano delle comunit cristiane in quei Paesi nei quali vivono una situazione
sociologica di minoranza

165

, ma di stabilire le condizioni migliori per una migliore convivenza

pacifica radicate sulla comune dignit umana. Perch ci sia realizzabile, necessario che si passi
del livello degli incontri accademico-formarli a quello dei legami di pi stretta amicizia e
solidariet basati sul reciproco e continuo ascolto166.

163

GM, 215.
M. Crociata, La teologia, cit., 297; cf. Id., La fede e la salvezza degli altri nella teologia cattolica post-conciliare,
in Associazione Teologia Italiana, op. cit., 103-141.
165
Cf. C. W. Troll, op. cit., 309.
166
Ibid., 313.
164

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