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La distinzione fondamentale ma problematica fra fenomeni e cose in s

Le conclusioni dellanalitica sono dunque chiare: la conoscenza scientifica , s, universale e necessaria,


ma fenomenica. Anzi, si potrebbe dire che, proprio e solo perch fenomenica, la scienza universale e
necessaria, dato che lelemento di universalit e necessit deriva solamente dal soggetto e dalle sue
strutture a priori nel senso sopra illustrato. Ma il fenomeno non che un ristretto ambito, circondato
tutto allintorno da un ben pi vasto ambito che ci sfugge. Se infatti il fenomeno la cosa come appare a
noi, evidente che esso presuppone la cosa quale in s (per la stessa ragione per cui c un per me ci
deve essere un in s). Kant non ha mai pensato neppure lontanamente di ridurre lintera realt a
fenomeno e di negare lesistenza di una realt metafenomenica. Diremo di pi: senza il presupposto della
cosa in s non reggerebbe la filosofia trascendentale, e il kantismo crollerebbe. Sullargomento
torneremo anche pi avanti, ma qui cerchiamo di individuare i punti chiave e poi leggere i testi. Lambito
dei fenomeni, dice Kant in linguaggio figurato, il territorio su cui ci muoviamo con la nostra conoscenza:
esso per circondato da un oceano tempestoso, dove nebbie grosse e ghiacciai offrono di continuo
lillusione di nuove terre, e, cos ingannando il navigatore con speranze illusorie, lo traggono in avventure
pericolose, dalle quali non riesce a uscire. Il mare, fuor di metafora, la sfera della cosa in s e della
metafisica, cui Kant dedicher la dialettica. E le conclusioni sono che noi dobbiamo per necessit
accontentarci dellisola che abitiamo, e che altrove non esiste un solido terreno per costruire una casa.
Questo territorio appunto il territorio della conoscenza fenomenica, che lunica conoscenza sicura.
Infatti il nostro intelletto, come risultato dallanalitica, non pu mai sorpassare i limiti della sensibilit,
perch solo dalla sensibilit esso pu ricevere il contenuto. A priori lintelletto non pu fare altro che
conoscere in anticipo la forma di una esperienza possibile in generale. Pertanto, lintelletto da solo non
pu determinare, e quindi non pu conoscere a priori, alcun oggetto. Lintelletto e la sensibilit possono
conoscere gli oggetti determinandoli mediante la loro unione. Se li separiamo, abbiamo intuizioni senza
concetti, o concetti senza intuizioni. Per questo motivo, noi non possiamo strutturalmente spingerci oltre
il fenomeno. Tuttavia dice Kant possiamo distinguere il nostro modo di intuire i fenomeni dalla loro
natura in s, dalle cose in se stesse, ma possiamo pensare tali cose in s solo come oggetti di pensiero (senza
corrispettiva intuizione), ossia come oggetti pensati dallintelletto, e li chiamiamo esseri intelligibili
(noumena). Ma il noumeno si pu intendere in due modi: 1) in senso negativo e 2) in senso positivo. 1
Noumeno in senso negativo la cosa quale in s, astraendo dal nostro modo di intuirla, ossia la cosa
quale pu essere pensata senza la relazione con la nostra maniera di intuire. 2 Noumeno in senso positivo
sarebbe, invece, loggetto di una intuizione intellettiva. Noi possiamo dunque pensare ai noumeni solo nel
primo senso, e, appunto in questo senso, Kant dice che la sua teoria della sensibilit insieme una teoria
dei noumeni in senso negativo. Ci significa che, nel momento stesso in cui si afferma che lintuizione
sensibile umana fenomenizzante, si ammette un sostrato metafenomenico, noumenico. Non possiamo
conoscere positivamente il noumeno, perch lintuizione intellettuale assolutamente fuori dalla nostra
facolt conoscitiva. Lintuizione intellettuale propria e solamente di un intelletto superiore a quello
umano. Il concetto di noumeno un concetto problematico nel senso che un concetto che non
contiene contraddizione, e che quindi come tale noi lo possiamo pensare, ma non effettivamente
conoscere. Il nostro filosofo dice anche che il noumeno un concetto-limite, che serve a circoscrivere
le pretese della sensibilit. Sar bene leggere le belle pagine in cui Kant espone questa sua dottrina, in
quanto proprio dalla comprensione di questo concetto di noumeno dipende la comprensione sia di tutta
la restante dottrina kantiana, sia, anche, della fitta discussione che porter dal kantismo allidealismo, sia,
infine, dellidealismo medesimo.

Il concetto di ragion pratica e gli scopi della nuova Critica


La ragione umana non solamente ragione teoretica, ossia capace di conoscere, ma anche ragione
pratica, ragione capace di determinare anche la volont e lazione morale. Di questo importantissimo
aspetto della ragione umana si occupa appunto la Critica della ragion pratica. Lo scopo di questa nuova
opera, per, non quello di criticare la ragion pura pratica nello stesso modo in cui lopera precedente
ha criticato la ragion pura teoretica (si ricordi che Kant chiama pura la ragione considerata come non
mescolata a nulla di empirico e in quanto capace di operare da sola, e quindi a priori). Infatti, nel caso
della ragione teoretica stata necessaria una critica della ragione teoretica pura, in quanto questa, come
si visto, tende a esorbitare al di l dei limiti della esperienza, e al di l del lecito. Invece la ragion pratica
non corre questo rischio, dato che essa ha come scopo quello di determinare la volont (ossia di muovere
la volont), e quindi possiede senzaltro una realt oggettiva (appunto la determinazione o la mozione
della volont). Basta allora provare che vi una ragion pura pratica che da sola (senza mescolanza di
motivi dipendenti dagli impulsi e dalla sensibilit, ossia dallesperienza) pu muovere e determinare la
volont, per eliminare ogni ulteriore problema circa la sua legittimit e le sue pretese . Anzi, proprio al
contrario, questa volta, andr criticata non la ragion pura pratica, ma la ragion pratica i n generale, e
in modo speciale la ragion pratica empiricamente condizionata, la quale pretenderebbe di determinare
essa sola la volont. In breve: la situazione della Critica della ragion pratica si presenta come esattamente
capovolta rispetto alla Critica della ragion pura: nella ragion pratica le pretese di andare oltre i propri
limiti legittimi sono quelle della ragion pratica empirica (legata allesperienza), che vorrebbe essa sola
determinare la volont; invece, nella ragione teoretica le pretese della ragione, al contrario, erano di far
a meno dellesperienza, e di raggiungere da sola (senza lesperienza) loggetto. Insomma: mentre nella
Critica della ragion pura Kant ha criticato le pretese della ragione teoretica (che rappresentano un eccesso)
di trascendere lesperienza, nella Critica della ragion pratica egli ha criticato invece le pretese opposte della
ragion pratica (che rappresentano un difetto) di restare legata sempre e solo allesperienza. Perci il titolo
: Critica della ragion pratica, e non: Critica della ragion pura pratica.
Abbiamo insistito alquanto su questo punto, perch esso pregiudiziale ai fini della comprensione di tutto
ci che segue. Nella Critica della ragion pura Kant preoccupato di limitare la ragione conoscitiva alla
sfera dellesperienza, nella Critica della ragion pratica (e lo stesso vedremo nella Critica del Giudizio)
preoccupato del contrario. Di conseguenza, quella sfera noumenica che risultava inaccessibile
teoreticamente, diventa accessibile praticamente. Lessere umano, in quanto dotato di volont pura, si
riveler essere causa noumenica. Limperativo morale si riveler una sintesi a priori non fondata
sullintuizione sensibile n sullesperienza (e dunque di tipo noumenico), con conseguenze di enorme
importanza.
La legge morale come imperativo categorico
Si tratta dunque di mostrare che esiste una ragion pura pratica, ossia che la ragione sufficiente da sola (=
come pura ragione, senza lausilio di impulsi sensibili) a muovere la volont. Anzi, dice Kant, solo in
questo caso possono esistere principi morali valevoli per tutti gli uomini senza eccezione, vale a dire leggi
morali aventi un valore universale. Per capire adeguatamente il pensiero morale di Kant, bene mettere
a punto alcune sottili ma importanti distinzioni dalle quali egli prende le mosse. Il nostro filosofo chiama
principi pratici le regole generali, ossia le determinazioni generali della volont, sotto cui stanno numerose
regole pratiche particolari. Per esempio, un principio pratico il seguente: prenditi cura della tua salute;
invece sono regole specifiche pi particolari che rientrano sotto di esso per esempio queste: fa dello
sport, alimentati in modo appropriato, evita gli strapazzi eccessivi eccetera. I principi pratici si
dividono in due grandi gruppi, che Kant chiama, rispettivamente, massime e imperativi. Le massime sono
principi pratici che valgono solo per i singoli soggetti che se le propongono, ma non per tutti gli uomini,

e quindi sono soggettive. Per esempio, una massima (quindi soggettiva) il principio vendicati di ogni
offesa che ricevi, perch non vale se non per colui che se la propone e non si impone affatto a ogni essere
ragionevole (oppure, per fare un altro esempio, che ci tocca molto da vicino, e detto col linguaggio di oggi,
fa il furbo ecc.). Gl i imperativi sono invece principi pratici oggettivi, cio validi per tutti. Gli imperativi
sono comandi o doveri, regole che esprimono la necessit oggettiva dellazione, e ci significa che se la
ragione determinasse completamente la volont, lazione avverrebbe immancabilmente secondo tale
regola (mentre, di fatto, lintervento di fattori emozionali ed empirici pu deviare e spesso devia la
volont da quella regola). Gli imperativi, a loro volta, possono essere di due tipi. 1 Sono imperativi
ipotetici, se determinano la volont solo a condizione che essa voglia raggiungere determinati obiettivi.
Per esempio se vuoi essere promosso, devi studiare, se vuoi essere un campione sportivo, devi
allenarti, se vuoi avere una vecchiaia sicura, devi risparmiare eccetera. Questi imperativi valgono solo
a condizione che si voglia lo scopo a cui sono finalizzati e per questo sono ipotetici (valgono nellipotesi
che si voglia quel fine), per valgono oggettivamente per tutti coloro che si propongono quel fine . Lavere
o no il desiderio di raggiungere quel fine va rimesso allagente; pertanto, la loro imperativit, la loro
necessit, condizionata. Questi imperativi ipotetici si configurano: a come regole dellabilit quando
siano finalizzati a precisi obiettivi, come negli esempi sopra addotti; b oppure possono essere consigli della
prudenza, quando siano finalizzati a scopi pi generali, come per esempio la ricerca della felicit (dato che
questa viene variamente intesa e il conseguimento degli obiettivi a essa connessi dipende da
numerosissime circostanze che spesso non possiamo dominare, gli imperativi finalizzati alla ricerca della
felicit non possono che essere consigli della prudenza, quali per esempio: sii cortese con gli altri,
cerca di farti ben volere ecc.). 2 Invece, qualora limperativo determini la volont non in vista di ottenere
un determinato effetto desiderato, ma semplicemente come volont, prescindendo dagli effetti che essa
possa ottenere, allora si ha limperativo categorico. Limperativo categorico non dice dunque se vuoi...
devi, ma dice devi perch devi, devi e basta. Gli imperativi categorici (e solo essi) sono leggi pratiche
che valgono incondizionatamente per lessere razionale.
Scrive Kant:
Gli imperativi categorici sono leggi pratiche
Per una legislazione della ragione [...] si richiede che questa non abbia da presupporre che se medesima, perch
la regola oggettiva e universalmente valida solo quando vale indipendentemente da tutte le condizioni subiettive
accidentali, che si possono trovare in un essere razionale, e non nellaltro. Supponete ora di dire a qualcuno che
non deve mai promettere il falso: ecco una regola che concerne esclusivamente la sua volont. Non importa se gli
scopi che quel tale possa avere vengano in tal modo raggiunti o no: il mero volere quello che vien determinato,
da quella regola, interamente a priori. Se, ora, risulta che tale regola praticamente [= moralmente] giusta, essa
una legge, perch un imperativo categorico.

In conclusione: leggi morali sono solo gli imperativi categorici. Esse sono universali e necessarie, ma non
come lo sono le leggi naturali. Infatti, mentre le leggi naturali non-possono-non-attuarsi, le leggi morali
possono anche non attuarsi, perch la volont umana soggetta non solo alla ragione, ma anche alle
inclinazioni sensibili e quindi pu deviare, e proprio per questo le leggi morali sono dette imperativi o
doveri. In tedesco lesser necessario in senso naturalistico si dice mssen, mentre la necessit o il dovere
morale si dice sollen: per esempio, il dovere espresso nella proposizione tutti gli uomini devono morire,
in quanto si implica una necessit naturale, in tedesco si esprime col mssen, mentre il dovere espresso
nella proposizione tutti gli uomini devono testimoniare il vero, che non implica una necessit naturale,
si esprime col sollen. La necessit della legge fisica consiste dunque nel suo inevitabile realizzarsi, la
necessit della legge morale consiste invece nel valere per tutti gli esseri razionali senza eccezione. Stabilito
che la legge morale un imperativo categorico, incondizionato, valevole per se stesso, si tratta di stabilire
i seguenti punti chiave:
1 quali siano i connotati essenziali di questo imperativo;
2 quale sia la formula che meglio lo esprime;
3 quale ne sia il fondamento (la condizione che lo rende possibile). Su questi punti dobbiamo ora
soffermarci, iniziando dal primo.
Lessenza dellimperativo categorico
Limperativo categorico, ossia la legge morale, non pu consistere nel comandare determinate cose, per
quanto nobili ed elevate queste siano. Ci significa che la legge morale non dipende dal contenuto. Kant
chiama legge materiale quella che fatta dipendere dal contenuto. E se si subordina la legge morale al
contenuto, secondo Kant, si cade nellempirismo e nellutilitarismo, perch in tal caso la volont
determinata dai contenuti, a seconda che piacciano o no. Da che cosa dipende, allora, la legge morale? In
una legge, se si prescinde dal contenuto, non resta altro se non la sua forma. Dunque, lessenza
dellimperativo consiste proprio nel suo valere in virt della sua forma di legge, per la sua razionalit.
La legge morale tale, perch mi comanda di rispettarla proprio in quanto legge (devi perch devi), ed
essa tale perch vale in universale, senza eccezioni. Ecco come Kant esprime questa sua concezione
fondamentale del formalismo morale:
Kant, dicendo questo, non fa altro che trasferire nel proprio linguaggio filosofico il principio evangelico
secondo cui non morale ci che si fa, ma lintenzione con cui lo si fa. Quello che nella moralit evangelica
la buona volont come essenza della morale, in Kant ladeguazione della volont alla forma della
legge.

Le formule dellimperativo categorico


Cos stando le cose, limperativo categorico non potr essere se non uno solo, e la sua formula pi
appropriata sar la seguente:
Prima formulazione Agisci in modo che la massima della tua volont possa valere sempre, al tempo stesso,
come principio di una legislazione universale
Ossia: che la tua massima (soggettiva) divenga legge universale (oggettiva). Questa lunica formula che
Kant, dopo averla presentata nella Fondazione della metafisica dei costumi, mantiene anche nella Critica
della ragion pratica. Essa mette in evidenza appunto la pura forma della legge morale, che luniversalit
(il valere senza eccezioni). Nella Fondazione si leggono anche altre due formule.
Dice la seconda: Seconda formulazione
Agisci in modo da considerare lumanit, sia nella tua persona, sia nella persona di ogni altro, sempre anche
come scopo, e mai come semplice mezzo.
Questa formulazione basata sul concetto altissimo che pone luomo non come cosa tra le altre cose, ma al
di sopra di tutto, viene lasciata cadere nella Critica della ragion pratica, perch Kant vuol portare il suo
formalismo alle estreme conseguenze, prescindendo cio da qualunque concetto di fine. Questa
formulazione, infatti, presuppone il principio: la natura razionale esiste come fine in s.
Terza formulazione
Agisci in modo che la volont, con la sua massima, possa considerarsi come universalmente legislatrice
rispetto a se medesima.
Questa terza formulazione molto simile alla prima e la differenza sta nel fatto che, mentre la prima mette
in rilievo la legge, la terza mette pi in rilievo la volont, come a dire che noi non solo siamo sottomessi
a una legge, ma che questa legge frutto della nostra stessa razionalit e dipende quindi da noi: siamo noi
con la nostra volont e razionalit a dare la legge a noi stessi. Questa terza formulazione suppone quindi
lautonomia della legge morale, di cui diremo in seguito. Kant, nella Critica della ragion pratica, ha
quindi tralasciato anche questa formulazione, allo scopo di non presupporre tali concetti, non ancora
delucidati, ossia per ottenere il massimo di rigore logico.
La libert come condizione e fondamento della legge morale
Limperativo categorico dunque una proposizione da cui la volont determinata (mossa) a priori
oggettivamente. Questo significa che la ragion pura in se stessa pratica, perch appunto determina la
volont senza che entrino in gioco altri fattori (bastando la pura forma della legge). Lesistenza della legge
morale, ossia dellimperativo categorico quale in precedenza stato definito, non ha bisogno di essere
giustificata o provata. Essa si impone alla coscienza (dice espressamente Kant) come un fatto della
ragione, ein Faktum der Vernunft); e questo fatto si pu spiegare solo se si ammette la libert. Pertanto
la coscienza di questo fatto (legge morale) non deriva da alcunch di anteriore, come per esempio dalla
coscienza della libert, ma viceversa: noi acquistiamo coscienza della libert proprio perch prima di tutto
abbiamo coscienza del dovere. Se cos , dice Kant, noi ci troviamo di fronte a un fatto assolutamente
unico. Limperativo (la coscienza dellimperativo), che mi comanda di volere secondo la pura forma della
legge, mi comanda in sostanza la libert. Perci non si tratta di un giudizio analitico, ma sintetico a priori,
perch mi dice qualcosa di nuovo. E mi dice qualcosa di nuovo non in dimensione fenomenica, ma
metafenomenica: il darsi del dovere mi dice eo ipso che sono libero (altrimenti il dovere non avrebbe
senso), e quindi mi dice la dimensione non fenomenica della libert, pur senza farmela cogliere
conoscitivamente nella sua essenza.
Leggiamo il testo basilare di Kant, difficile, ma di enorme importanza, perch si rivela di portata tale da
ridimensionare quei limiti che Kant stesso sembrava aver posto nella Critica della ragion pura:

La coscienza di questa legge fondamentale si pu chiamare un fatto della ragione, non perch la si possa
desumere da precedenti dati razionali, per esempio dalla coscienza della libert (perch una tale
coscienza non ci data anzitutto), ma perch ci si impone di per se stessa come una proposizione
sintetica a priori, non fondata su alcuna intuizione, n pura n empirica. Tale proposizione sarebbe
bens analitica se si presupponesse la libert del volere, ma per far questo, se si intende la libert in un
senso positivo, sarebbe necessaria unintuizione intellettuale, che non assolutamente lecito ammettere.
Tuttavia, per poter considerare senza equivoci tale legge come data, occorre osservare che non si tratta
di un fatto empirico, bens dellunico fatto della ragion pura, la quale, per mezzo di esso si annunzia
come originariamente legislatrice (sic volo, sic jubeo).
Il motivo per cui Kant, dopo essersi spinto ad ammettere addirittura un caso di giudizio sintetico a priori
non fenomenico, non abbia tratto le debite conseguenze a livello metafisico, dipende unicamente dal
radicato pregiudizio scientistico, che lo portava ad ammettere come conoscenza pieno iure solo
quella di tipo matematico-geometrico e galileiano-newtoniano. Solo se si tiene presente questo, si capisce
bene perch Kant dica che noi non conosciamo (nel senso sopra precisato) la libert e che per
conoscerla dovremmo avere unintuizione intellettiva (dato che essa non un fenomeno, ma un
noumeno), malgrado il fatto che egli ne dia una precisa definizione formale. La libert lindipendenza
(della volont) dalla legge naturale dei fenomeni, ossia dal meccanicismo causale. Il che equivale a quanto
sopra detto circa il formalismo; la libert il carattere proprio di quella volont che pu essere
determinata dalla pura forma della legge, senza bisogno del contenuto (che legato alla legge naturale del
fenomeno). Questa libert, che non spiega nulla nel mondo dei fenomeni e che nella dialettica della ragion
pura d luogo a una antinomia insuperabile, spiega invece tutto nella sfera morale: ed appunto per
questo che noi prendiamo coscienza di essa per via morale. Sicch Kant conclude:
Solo dalla ragion pratica si perviene alla conoscenza della libert Dunque, nessuno avrebbe mai avuto
la temerariet di introdurre la libert nella scienza, se la legge morale, e con essa la ragion pratica, non
lavesse condotto a ci, mettendogli sotto gli occhi quel concetto.
In conclusione: noi conosciamo, prima, la legge morale (il dovere) come fatto della ragione, e, poi, da
questa inferiamo come suo fondamento e come sua condizione la libert. Se, per fare un esempio
particolarmente eloquente, un tiranno, minacciandoti, ti imponesse di testimoniare il falso contro un
innocente, pu ben darsi che, per paura, tu ceda e dica il falso; ma, dopo, ne avresti rimorso. Questo
significa che tu capisci benissimo che dovevi dire il vero, anche se non lo hai fatto. E se dovevi dire il
vero, allora anche potevi (anche se hai fatto il contrario). Il rimorso dice appunto che dovevi e dunque
potevi. Il pensiero kantiano al riguardo pu quindi riassumersi cos: devi, dunque puoi (e non
viceversa).

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