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n30

Ottobre 2015
Genova

Fischi di carta
POESIA DI CINQUE GIOVANI FISCHIANTI

N
on preoccuparti
Giovanna, i fal prima o poi si

spegneranno. Tanto vale che tu


lo sappia: la felicit non dura.
E. Orsenna, I cavalieri del congiuntivo

IN QUESTO NUMERO
Planetario | Marina Cvetaeva, il continuo restare - G. Cultrone
Elementi | Il foglio bianco e il cassetto delle mele marce - F. Asborno
Intervista al signor C. - C. Calabresi
Prossa Nova | Denaro pulito (pt.1) - M. Karoli
Infischiatene | La ragazza del treno - recensione - A. Moro

www.fischidicarta.it

In latino le cosiddette res novae, a differenza di quanto possa sembrare a chiunque abbia masticato
il livello liceale della lingua, non sono le cose nuove bens le rivolte o rivoluzioni (ammesso che
il concetto oggi di rivoluzione sia applicabile allantichit). I Romani, che avevano unidea di
Stato solida e strutturata vedevano sempre linnovazione (magari apportata da fuori, da qualche
provinciale) come un quid in grado di minare gli equilibri della res publica. I primi a guardare
storto la Grecia e la sua cultura sofistica, additata come fumosa e mendace, tanto da farne un
caso culturale, i primi a costruire un muro in Europa, nel tentativo di tenere fuori; eppure i
primi a cui non da imputare un atteggiamento intollerante verso le culture differenti o ostile
nei confronti della novit, avendo cambiato tre volte ordinamento statale, con imperatori provenienti dalla Gallia o dallHispania, e avendo introdotto tante leggi da creare un diritto studiato
tuttora nelle Universit italiane (viene in mente la grandezza del Giustiniano dantesco, che,
per voler del primo amor chi sento, dentro le leggi trassi il troppo e l vano, ultimo erede di
quella complessit). Ma allora, la paura delle res novae? Come tutti gli uomini, da quando sedentari, anchessi hanno subito il terrore del cambiamento. Di fronte ai mutamenti di equilibrio si
possono fare due cose: o ostinarsi nel contrario e spezzarsi, come la quercia di Esopo piena di
s e misera di fronte alle flessuose canne, o assecondare la metamorfosi e correggerla e correggersi nei punti che offrono leva al miglioramento per accedere ad una condizione pi elevata
rispetto alla precedente, come ci insegna Ovidio nel suo capolavoro. Ecco, io credo e auspico
che i Fischi di Carta abbiano trovato la loro metamorfosi e la loro strada per migliorarsi, senza
pi paura delle res novae, le quali, come in ogni ambito, richiedono tempo per essere assimilate.
Cos, dunque, nasce dopo la pausa estiva e il lavorio conseguente, una rivista profondamente

di Alessandro Mantovani

RES NOVAE

EDITORIALE
[] [Cera Oreste fianco a me
nel greto una o due notti fa
e non lo ricordavo.
Mostrava il suo corpo nudo
ben pi agile del mio
cantava in spagnolo tra se
Non tremore uccidere
la carne che si fonde addosso,
non peccato tagliare il pellame
unto dei bastoni anteriori.
Non si pu negare a qualcuno
di bucarsi un occhio con lala spalancata
anche se ancora in volo,
n di coniugarsi al participio futuro.
Nellacque le sostanze e il sangue
dilavanti li curavano gli dei
e io pensavo
-Oreste, tutti voi
che fate, compite i gesti sulle cime,
ci vedete a noi qui con queste
code di salmerie pesanti?
Oreste, tuo padre con la gola in fiamme
pensava al Mirmidone trafitto,
tibia o polpaccio, alla lacrima che perdeva
insieme al nome?
Oreste lo sanno le autobombe
e i missili aerei i nomi del figlio

Fischi di carta

Fischi di carta

differente da quella che finora avete potuto leggere, diversa nei suoi contenuti, nuova nei suoi
scrittori, che vuole coprire un pi ampio raggio di temi ed essere un luogo di accumulo di idee,
di curiosit, spunti e suggerimenti. Insomma, i Fischi di Carta puntano al gradino successivo,
ancora da raggiungere, ma con dei cambiamenti radicali presupposti per continuare questa scalata. Come potrete vedere allinterno, il ruolo della poesia, sempre imprescindibile, trova per
da oggi un limite pi costrittivo in favore di una maggior apertura alla pluritonalit culturale: si
spazier da articoli di attualit a interviste, passando per i profili dautore, gli immancabili lettori,
che invitiamo ancora a inviarci i loro scritti, per giungere infine ai racconti e alle recensioni di
novit a cura di Prossa Nova. Gi in questo numero credo, da lettore, che gli spunti di riflessione
possano essere parecchi: Federico Asborno ci parla dellansia da foglio bianco, da crisi creativa
e di come tutti i Giganti avessero i loro modi (piuttosto bizzarri) per superarla, nel tentativo di
accorciare la distanza prospettica tra noi e loro. Gaia Cultrone ci indica allinterno della foresta
di poeti lalbero di Marina Cvetaeva e Claudia Calabresi intervista il signor C., personaggio di
uso (o disuso) pi che comune ed importante. A tal proposito di stimolante e affine riflessione un
libretto, credo risalente al 2011, di Erik Orsenna, il cui vero cognome Arnoult, scrittore francese
e membro dellAcadmie franaise e dunque intellettuale dalla spiccata conoscenza della lingua
e dei suoi processi. Il libro in questione, da cui tratta anche la citazione di copertina di questo
numero, ha titolo I cavalieri del congiuntivo e altro non che una sorta di favola in cui i personaggi
sono due bambini attorniati da tempi e modi verbali personificati. La storia non la diremo per
non disturbare il lettore curioso; il suggerimento, invece, quello a non dimenticare che, se la
lingua ci che esprime la realt e il pensiero, non possiamo permetterci di perdere il beneficio
della possibilit, dellazione eventuale, del piano B, o, pi semplicemente dellimmaginazione, e
del sogno. Nella mente umana se un qualcosa non pu essere formulato in lingua, esso non esiste; ecco perch c un nome per ogni cosa, anche per ci che solo nella nostra testa. Dunque,
linvito, oltre a leggere Orsenna, quello di immaginare liberamente e senza freno e di scrivere
in altrettanta maniera, non pensando che sia poco verosimile far portare unarmatura di bronzo pesante a un fantasma o che un pastore faccia invocazioni alla luna. Il regno del possibile
aperto a tutto, anche alle res novae, che accettiamo ci sconvolgano nel nostro perenne mutamento.
Nellaugurarvi, dunque, una buona lettura invito chiunque sia interessato alla collaborazione a
contattare la redazione per maggiori informazioni; le nostre frontiere sono aperte

del padre e dello spirito umano


che profuma diverso
in tutti noi altri?
Oreste, Oreste, Oreste,
Eumenidi, e foreste di poeti,
sapete i nomi di tutte le donne amate,
dei cicli delle genti,
del pescatore nel villaggio Focide
che si tagli Dio quando scopr le mani?
Ne avete
di bene di gloria di fama di giustizia
-non parliamo di felicitne avete di riuscire
(di re-uscire fuori, dallo stadio
dalla sbarra, dal legame),
di salire questa pena
anche per chi rimasto
con un gol segnato
nella mente che si distoglie,
raggelato nella sconfitta?
E dopo gli altri, i patres, ,
i nonni il di cromosomi e di mitocondri
nel sangue che si vede solo
porpora di Murice denso,
resta qualcosa? Resta anche a me?] []

PLANETARIO

MARINA CVETAEVA, IL CONTINUO RESTARE


di Gaia Cultrone

Ai miei versi scritti cos presto,


che nemmeno sapevo desser poeta,
scaturiti come zampilli di fontana,
come scintille dai razzi.
Irrompenti come piccoli demoni
nel sacrario dove stanno sogno e incenso,
ai miei versi di giovinezza e di morte,
versi che nessuno ha mai letto!
Sparsi tra la polvere dei magazzini,
dove nessuno mai li prese n li prender,
per i miei versi, come per i pregiati vini,
verr pure il tempo.
Koktabel, maggio 1913
Marina Ivanovna Cvetaeva nasce a Mosca l8 ottobre del 1892. Figlia di una pianista
polacca, Marina Mejn, e di Ivan Cvetaev, fondatore di quello che oggi il museo
Pushkin, la poetessa trascorre linfanzia in un ambiente ricco di stimoli culturali, tanto
che non stupisce il fatto che si avvicini alla scrittura a soli sei anni. La sua formazione
avviene in luoghi differenti (Mosca, Svizzera, Germania) a causa dei diversi viaggi cui la
famiglia costretta, a causa della malattia della madre; nei suoi spostamenti la famiglia
Cvetaev soggiorna per sette mesi in un caseggiato di Nervi (tuttoggi esistente) proprio
qui, a Genova. Ci tuttavia non ostacola la produzione della giovane poetessa: a 17 anni
infatti, la Cvetaeva si trasferisce a Parigi da sola, e l pubblica, a proprie spese, la sua
prima opera, Album serale, che verr subito notata da alcuni tra i pi importanti poeti
dellepoca, tra cui Maksimilian Volosin (autore presso il quale soggiornarono tutti i poeti
russi di quegli anni); proprio presso la sua dimora che la Cvetaeva conosce Sergej
Efron, luomo che sarebbe di l a poco diventato suo marito e padre dei suoi tre figli.
tuttavia lo stesso Efron a segnare linizio delle sue disgrazie: seguendolo nei suoi viaggi
infatti Marina vive la rivoluzione del 1917, e ci le costa un lungo periodo di separazione
dal marito, le sofferenze della carestia che colp Mosca in quegli anni e la perdita di una
figlia. Dopo un periodo di tregua, dal 1922 al 1925, anni in cui vive a Praga, Efron viene
coinvolto nellomicidio del figlio di Troskij e costretto a fuggire prima in Spagna e poi in
Russia, lasciando la propria famiglia nella miseria. La poetessa tenta dunque di tornare in
patria, dove per quel senso di emarginazione che la accompagnava gi dallimmediato
post guerra si intensifica ulteriormente: malgrado il supporto di qualche poeta russo,
la donna era agli occhi di tutti una traditrice, nel clima di sospetto che gravava sulla
Russia dellepoca; nel 1939 la figlia e la sorella vengono arrestate e deportate, e Efron
viene fucilato. Fadeev, capo dellunione degli scrittori a cui la Cvetaeva aveva chiesto
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Fischi di carta

aiuto, la allontana da Mosca. Marina


si ritrova sola a Elabuga, con un figlio
che lamenta la loro miseria; il 31 agosto
del 1941 si impicca nella propria casa,
incapace di sopportare tutto quel dolore.
Come si ha subito modo di notare, Marina
Cvetaeva condusse una vita frenetica e
segnata dalle sofferenze, sofferenze tanto
forti da spingerla al suicidio. Eppure sono
proprio quelle esperienze a fare di lei
quella che il poeta Brodskij defin la prima
poetessa del XX secolo; tale affermazione
certamente vera, per quanto riguarda
lambiente russo: la Cveateva infatti la
prima nella storia della poesia di questo
paese a scegliere un approccio cos intimo
con la propria produzione scritta. La sua
poetica fu per lungo tempo influenzata
dal Futurismo (fu infatti cara amica di
Vladimir Majakovskij), ma impossibile
non notare, specialmente nellultima parte
della sua vita, linflusso del Romanticismo
(dovuto principalmente, come per ogni
poeta russo che si rispetti, alle poesie
di Pushkin, al quale dedica anche un
componimento) e dalle opere di uno dei
suoi pi cari amici, Boris Pasternak. Il
loro rapporto fu, per entrambi, qualcosa
che segn inesorabilmente le rispettive
produzioni e vite, ne prova un carteggio
(di cui manca la traduzione italiana) dal
1922 al 1936. Tale relazione tuttavia
non si risolse mai sentimentalmente,
al punto che Marina Cvetaeva stessa
descrisse il loro incontro, avvenuto
nel 1935, come un non incontro.
In mancanza di una traduzione delle
loro lettere ( interessante menzionare
almeno il titolo complessivo della
raccolta, ovvero Le anime cominciano a vedere)
ritengo sia tuttavia molto esauriente, per
quanto concerne la forza del sentimento
provato dalla poetessa nei confronti
di Pasternak, questa bellissima poesia:

A Boris Pasternak.
Distanze: verste, miglia...
ci siamo dispersi, disuniti
per vivere dismessi, muti, buoni
ai confini opposti della terra.
Distanze: verste, spazi...
ci siamo dissaldati, spostati
disgiunte le braccia due crocifissioni,
non sapendo che si trattava della fusione
dai talenti e dai tendini annodati
non disaccordati: disonorati,
disordinati...
Muro e buco dargilla
siamo soli, come due aquile congiurati: verste, spazi...
Non decomposti, spaesati.
Per asili e tuguri terrestri come orfani, smarriti.
E quale, quale marzo oggi?
Ci hanno smazzato, come carte.
24 marzo 1925

Fischi di carta

La premessa che necessario fare, prima di qualsiasi commento inerente alla poesia
in s, che se gi analizzare una poesia la cui lingua dorigine non la nostra,
rappresenta un compito difficile, ci vale ulteriormente per le poesie russe, in cui la
maggior parte delle scelte stilistiche vanno perdute anche nella migliore delle traduzioni.
La Cvetaeva vuole qui esprimere un concetto che segn tutta la sua vita, incluso appunto
il rapporto con Pasternak: la distanza, il senso di separazione e alienazione da tutto,
anche da ci che le fu pi caro. Per fare questo, lavora essenzialmente su due aspetti:
la composizione delle parole e i suoni, luno conseguente allaltro; la parola che pi
comunemente considerata il titolo della poesia, Distanze, deriva dal russo Rasstojanije, che
a sua volta lunione del prefisso ras- e il verbo stat. A voler compiere una traduzione
letterale, il concetto di distanza racchiuso nella parola russa essere costretti in luoghi
altri, poich il verbo indica uno stato in luogo piuttosto forzato e il prefisso ras- allude al
disperdersi. Tale prefisso (che nel testo in lingua originale enfatizzato dalla presenza di
un trattino: rass-tojanije) ricorre per tutta la poesia, nel secondo verso di ciascuna strofa (un
esempio indicativo: quello che in italiano reso come decomposti in russo indicato
come, rastroili). Tale scelta nelle parole e nei verbi comporta unenfasi del concetto
di separazione, dettata anche dai suoni: letti in lingua originale, creano infatti una forte
allitterazione della lettera r, dando quindi un tono ulteriormente doloroso al tutto.
Unulteriore scelta emblematica, resa, questa volta, anche dalla traduzione italiana,
rappresentata dalla strofa finale, che forse pi di tutto il resto d unidea efficace della
forza che questo senso di distacco esercita nella poetessa: ci vale tanto per il paragone
di per s, ci hanno smazzato, come carte, quanto per il fatto che il verso risulta, per
lappunto, spezzato: tutte le strofe precedenti hanno quattro versi, mentre questultima
ne ha solamente due, e per giunta a livello di lettura lultimo verso risulta come sospeso,
incompleto, fuori dal ritmo rispetto agli altri, proprio a volerlo sottolineare ulteriormente.
Ho dunque voluto riportare questa poesia, tra le tante da lei scritte, perch a mio
avviso emblematica di ci che Marina Cvetaeva ha rappresentato e rappresenta
nella storia della poesia, soprattutto quella russa: la possibilit di prendere il
proprio dolore e dargli una forma, far trovare una via duscita ai propri sentimenti
e farlo mettendo qualcosa di s in ogni singolo elemento che compone ci che
si scrive; e non necessariamente perch qualcuno debba comprenderlo, ma
quasi per salvarsi da se stessi, per capirsi meglio e non sprofondare nel silenzio.
Tutto il mio scrivere un continuo prestare orecchio

Lev Losev, Marina Cvetaeva (1892-1941), in Storia della letteratura russa. III. Il Novecento, a cura di E.
Etkind et. al., Torino: Einaudi, 1990
Marina Cvetaeva, Distanze, da Lanima in fiamme: poesie, Milano, Acquaviva, 2008
Marina Cvetaeva, Ai miei versi, da Nemmeno sapevo desser poeta, Milano, Feltrinelli, 2014
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LE
POESIE
DEI
LETTORI
Federico Ciaffi, 27 anni, vive a Padova
e studia a Bologna, coltivando la passione
per la scrittura: quella critica (dai tempi del
liceo scrive recensioni di film e libri) e quella
poetica. Ha un progetto ed un obiettivo: vedere
pubblicata la sua prima raccolta di poesie.

ALCUNI
Siamo i Sogni
irrealizzati
e quelli realizzati male.
- Noi invece siam piccoli
ma gi stronzi fa la mmerda!
Noi siamo
percorsi da fare
e quelli percorsi gi.
Siamo il prossimo
debito e quello
che non vorrai.
Siamo il tuo gusto
preferito, che per
gi finito.
Poi siamo anche eleganti
quando con sgarbo
ti passiamo davanti.
Federico Ciaffi

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La seconda poesia che vi presentiamo di Alessandro Desiderio

CARO RAGAZZO
Caro ragazzo
Spille sparute
Tinfilzano
E a me sferza il tentacolo
Della pozza scurastra
Chera dolce e salmastra
Ma mai pi torner.
E non odo gli odori
Pure quelli ho perduto
Per tastare la vista
Che fu
E che per sempre svan
Dissolvendosi nel vuoto
Nel vuoto del..
Oh caro ragazzo
Ignaro del ballo
Immoto
Potresti mai capire
Tu
Incantevole creatura
Qualcosa che non c
E che mai esistita?
Potresti?
POTRESTI?
Caro ragazzo
Queste spille sparute
Tinfilzano
E la lama ti penetra
Nelle molli
E incoscienti carni
Mozzando il tentacolo
Superbo tentacolo
Della pozza scurastra
Chera dolce e salmastra
Che mai pi torner.
Alessandro Desiderio
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ELEMENTI
IL FOGLIO BIANCO E IL CASSETTO DELLE MELE MARCE
di Federico Asborno

Lincubo del foglio bianco: limmensit


dello spazio del possibile che ti si
staglia davanti e tu piccolo scrittore
impaurito armato di unesile penna che
anche un bambino potrebbe spezzare.
forse quello il momento pi decisivo,
quello in cui tu scrittore devi dare uno
spintone alla porta che ti separa dalle
parole. Il momento della creazione, quando
Dio stesso ti cede lo scettro e ti lascia libero
di amministrare il tuo regno di carta e di
porvi il tuo Adamo, la tua Eva, di riempirlo
di tutta la bellezza di cui sei capace.
Discorsi metafisici a parte, le storie della
scrittura hanno sempre il medesimo incipit:
un foglio pulito e una mano che lo deve
imbrattare con dellinchiostro. Ho detto
pulito e non bianco perch cosa nota
che molti scrittori prediligessero di gran
lunga fogli colorati per la prima bozza
delle loro opere: il caso di Alexandre
Dumas che addirittura attribuiva a ogni
colore un suo specifico genere: carta blu
per i romanzi; carta rosa per gli articoli
di giornale; carta gialla per la poesia.
Una mania, certo, una mania come quelle
di cui sempre sono stati prede gli scrittori,
vizi che contribuiscono a vivificare queste
figure da manuali di letteratura, figure
che vediamo ritratte col viso imbronciato,
inespressive facce da scaffale di biblioteca,
distanti come i dinosauri. Di loro ci viene
sempre raccontata la vita, le imprese, la
poetica, le tematiche, tanto che alla fine
diventano nulla pi che un capitolo su
un libro, ipostatizzazioni letterarie che
fanno dimenticare quanto questi autori
fossero in realt semplici persone, spesso
personaggi curiosi con curiose fissazioni.
Prendiamo Alfieri: il titanico, vulcanico

scrittore, per restare concentrato e dedito


agli studi, si faceva spesso legare alla sedia
dal fido servitore Francesco Elia, che l
lo lasciava per un certo numero di ore.
Usanza molto pi macabra quella di
Dickens, che passava i suoi pomeriggi
passeggiando per i corridoi degli obitori
londinesi, osservando i corpi dei defunti.
Abitudini, vizi, ma spesso anche semplice
superstizione, come quella di cui era preda
Truman Capote: lautore di Colazione
da Tiffany e A sangue freddo detestava il
venerd, tanto che non concludeva mai
un lavoro nel suddetto giorno. Allo stesso
modo evitava le camere dalbergo il cui
numero di stanza contenesse il tredici,
oppure non lasciava mai pi di tre
mozziconi di sigaretta nel portacenere,
mettendosi gli altri in tasca piuttosto.
Rituali che ci dimostrano come
lispirazione a volte bisogni andarsela
a cercare, cos come Schiller che (come
ci racconta Goethe) si sentiva inebriato
dallodore delle mele marce che teneva
nel cassetto della scrivania, oppure
Flannery OConnor che prima di
scrivere si circondava di starnazzanti
tacchini, polli, anatre e quaglie.
Abitudini a volte anche dannose come
quella di Balzac che, per sua stessa
ammissione, era capace di bere pi di
cinquanta tazze di caff al giorno, se non
addirittura di masticarne i chicchi per
poter lavorare fino a notte fonda. Una tazza
quindi sempre presente sulla scrivania
di Balzac, una tazza che parlando di
scrittori nella maggior parte dei casi
diventa bicchiere, con tutti i suoi sottintesi.
Risale alla fumosa e affascinantissima
Parigi della Belle Epoque lo stilema

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bohmien dello scrittore alcolizzato,


vittima di un inenarrabile dolore
esistenziale che tenta di affogare in
bevande come lassenzio. il caso degli
scrittori maledetti e di tutta quella trafila
di personaggi dediti allautodistruzione
su cui non il caso di dilungarci troppo,
ma dei quali non possiamo non citare i
casi eccezionali di Ernest Hemingway o di
Charles Bukowski e del suo personalissimo
rimedio alla sindrome da foglio bianco,
consistente in una pinta di whisky e
una confezione da sei lattine di birra.
Patologico
anche
il
rapporto
con la droga, che molti di loro
consumavano per trovare a loro detta
lispirazione necessaria per scrivere.
Michail Bulgakov scrisse Morfina per
ricordare la sua esperienza con la suddetta
sostanza; nella Parigi dei poeti maledetti
erano frequenti le serate passate nelle
fumerie doppio, dove lestro arrivava da
uno stato di alterazione, al pari di JeanPaul Sartre, come lui stesso racconta a
proposito della mescalina ne La nausea.
LLSD rappresenta per alcuni un vero
e proprio must, soprattutto per quegli
scrittori facenti capo al movimento

hippie degli anni Sessanta come Allen


Ginsberg, William Borroughs, Hunter
S. Thompson e Aldous Huxley.
Vita e abitudini sicuramente pi salutari
quelle dello scrittore giapponese Haruki
Murakami,
instancabile
maratoneta
che si sveglia ogni giorno alle quattro di
mattina per scrivere, passando poi quasi
lintero pomeriggio a correre (notevole
a proposito il suo libro Larte di correre).
Le bizzarrie degli scrittori sono tante
e tali che non basterebbe un articolo per
descriverle, quanto piuttosto un libro intero
come quello di Celia Blu Johnson (Odd type
writers), interessante collage di vizi dautore.
Tutto questo per ricordare che il foglio
bianco non un ostacolo solo per chi
alle prime armi, ma anche per coloro
che ci fissano con alterigia e supponenza
dalle pagine dei nostri libri di letteratura.
Uomini prima di tutto; uomini molto
spesso affetti da manie, idiosincrasie
curiose da raccontare e che contribuiscono
a renderceli pi vivi;
debolezze che per carit nella maggior
parte fanno solo ridere i polli, per la gioia di
Flannery OConnor

INTERVISTA AL SIGNOR C.
di Claudia Calabresi

Quando arrivo di fronte al bar in cui ci siamo dati


appuntamento, luomo sta fumando una sigaretta.
Il posacenere sul tavolino gi pieno di mozziconi.
Mi avvicino; lui sembra avere lo sguardo perso tra
le nuvole. A Genova ci sono 31 gradi. Sudo.
Salve! gli dico, richiamando la sua
attenzione.
Mi guarda a lungo, poi sembra riscuotersi.
Oh, salve. Deve essere lei Quella che mi
vorrebbe intervistare, giusto?
S, rispondo. un piacere conoscerla.
ancora un belluomo. Ha i capelli
un po brizzolati e gli tremano le mani
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ma emerge chiaramente, dai suoi gesti


nervosi e dallo sguardo, la consapevolezza
dellantica celebrit. Dire che il signor C.
sia soltanto un vecchio volto noto sarebbe
un eufemismo.
LItalia intera piange la sua scomparsa
dalla scena pubblica. da anni che non
la vediamo in televisione o sui giornali.
Come mai questa decisione? Voleva forse
ritirarsi allapice del successo come Mina,
o come
No, no. Io me ne sono andato per evitare
di impazzire, signorina. Quale apice? Gi
da tempo avevano smesso di chiamarmi a

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ricoprire un qualche ruolo. Politica, musica,


cinema, letteratura Non mi voleva pi
nessuno. Mi stavano dimenticando. Lunico
modo per far loro capire la mia importanza,
ho pensato, sarebbe stato andarmene. E cos
ho fatto.
Come si sente? chiedo soltanto, studiando
la sua espressione affranta.
Mi guarda.
Come qualcuno che non serve pi al suo
Paese, risponde. Estrae un fazzoletto e si
asciuga una lacrima invisibile allocchio
destro. Si accende unaltra sigaretta.
A cosa pensa che io serva? mi chiede. Ora
lui che fa le domande.
Beh Ho la gola secca. Mi accorgo
che non abbiamo nemmeno ordinato. Ad
esprimersi nel modo giusto, dico infine. A
dire le cose come stanno.
Luomo scoppia a ridere.
Ecco, dice. Le cose come stanno. Tempo
presente. E questo il vostro problema.
Il problema di voi italiani. Le cose, per
voi, stanno e basta: non che possano
essere qualcosaltro, o che potrebbero
essere qualcosaltro. O che sarebbero
state qualcosaltro se noi avessimo agito
diversamente. O che siano sempre state
diverse da come le vedevamo, ma che
noi non ce ne siamo mai accorti. Voi non
volete pi dubbi. Eravamo, siamo, saremo!
Ma non potremmo essere qualcosaltro?
Non arrivato il momento che siamo
qualcosaltro?
Arriva il cameriere e nota lagitazione nella
voce delluomo.
Volete che ripasso dopo? chiede.
Luomo apre la bocca. La richiude, sospira
e si prende la testa tra le mani. Faccio cenno
al cameriere di andarsene.
Lei lo sa, prosegue dopo una lunga pausa,
che il greco aveva addirittura il modo
ottativo? Il mio antenato pi illustre. Gi,
ma il greco, secondo tanti, una lingua
morta. E anche litaliano a quanto pare
non si sente tanto bene.
Secondo lei, di chi la colpa?

Di tutti, risponde. Mia, vostra Loro.


Colpa di questo modo di pensare a senso
unico. Colpa dei genitori che non leggono
pi le fiabe ai bambini. Colpa di insegnanti
che non amano pi insegnare.
Signore, ma la scuola non gestita soltanto
dagli insegnanti. Sono i politici a
Ah, i politici! Scandisce lultima parola
come se la volesse sputare. I politici sono i
peggiori. A loro proprio non servo, capisce?
Gli immigrati se ne devono andare! Con
la cultura non si mangia! Ridateci i nostri
mar! Ci vomitano continuamente addosso
una valanga di imperativi in maiuscolo che
non fanno altro che intontire la gente
Ma lei invece, se potesse, cosa farebbe per
questo Paese?
Di tutto. Trasmissioni culturali in prima
serata. Migliori stipendi agli insegnanti.
Politici onesti e competenti. Io vorrei che
tutti capissero quanto la lingua costituisca
lo specchio della societ in cui viviamo. Un
Paese senza congiuntivo una Paese che ha
dimenticato la facolt di immaginare! Non
il pollice opponibile a distinguerci dagli
animali: solo gli uomini sanno immaginare.
E un uomo che immagina un uomo che
potrebbe immedesimarsi nei disperati sui
barconi. Un uomo che immagina potrebbe
comprendere limportanza di ci che stiamo
perdendo. Un uomo che immagina
Si ferma. Abbassa gli occhi.
Non si sarebbe dimenticato di me.
Direi che abbiamo finito, mormoro, dopo
una lunga pausa.
Luomo mi saluta e fa per andarsene.
Aspetti gli dico, senza neanche
rendermene conto.
Mi dica.
La ringrazio, signor Congiuntivo. La
ringrazio tanto.
Lui mi sorride, pensoso. Adesso sembra pi
sereno.
Grazie a lei.
Lo guardo allontanarsi nella via.
Spengo il registratore. Lintervista finita

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PROSSA NOVA
DENARO PULITO (PT.1)
di MIlo Karoli

Padre Signore, mettici in comunione con le persone che contano nella societ.
Ges, lascia che troviamo un buon lavoro.
Un vero professionista ha un problema
risolve il problema e passa al problema
successivo. Il mio nome di battesimo vuole
dire uomo libero e, tutto sommato, nel
grembo materno voler essere libero
chiedere troppo. Ora, comunque fosse,
decisero i medici di farmi nascere al
settimo mese: sissignore, battezzato dal
primario di ginecologia il 18 Dicembre
1982.
Un vero professionista dicevo ha un
problema, e per risolverlo non guarda mai
indietro. Ora, il problema che un figlio
un investimento, come si dice, ad alto
rischio: questo perch la vita unimpresa
personale e sar lui a fare affari, lui, in
soldoni, a scegliere le sue persone da
qui in avanti. Ma il parroco scelse di
bagnarmi in fronte una seconda volta e
forse, un beb che non si atteggia bene
nelle acque materne, giusto riceva un po
di sacramento in pi degli altri. Si tratta
del battistero di Santa Maria Maddalena
e si trova nel punto pi alto del colle
della Quercia Nera: storicamente il colle
formava il confine naturale tra Pedona e il
comune di Villa Lata e prendeva il nome
dal sorgere, quasi a picco sugli altissimi
scogli, di una maestosa quercia nera che si
racconta avesse avuto ben 800 anni in pi
del sottoscritto.
Chiunque, per, scegliesse le sue
persone al di l della collina, si trovava
costretto a far passare beni e servizi
attraverso impervie strade collinari, o a
circumnavigare il crinale ed ogni volta,
guardando indietro, poteva scorgere
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limmenso albero secolare e le sue


foglie scure. Lo sbancamento port
incredibili vantaggi alla circolazione e
una considerevole diminuzione dei tempi
di percorrenza, ma si dovette asportare
lintera collina: oggi c la funicolare e
lascensore con vista, e conserva la cima e
la chiesa imponente che protegge dallalto
il quartiere luminosissimo dove sono nato.
Tutto questo per dire che il mondo,
in qualche modo, aveva maturato con
me un debito di due mesi di riposo. La
cosa comunque non mi imped di essere
un uomo estremamente produttivo: a 22
anni ero laureato e lavoravo per una solida
azienda nel settore della logistica, a 27 ero
responsabile della rete locale di vendita
di una multinazionale di abbigliamento.
Avevo una moglie, e un migliore amico:
Milo.
Prima dellincidente, il padre di Milo
lavorava per unazienda del Gruppo
di mio padre. Milo era un creativo,
aveva alcuni anni in meno di me e un
Indicatore della Situazione Economica
Equivalente decisamente inferiore: veniva
dal quartiere vecchio a nord di Villa
Lata e recitava in un piccolo teatro per
cui limpresa di Costruzioni Generali
del Gruppo aveva subappaltato alcuni
lavori di ristrutturazione. Il teatrino della
Quercia Nera risaliva infatti al 1700,
costruito internamente alla Villa nobiliare
per i privati svaghi della Duchessa di Lata,
sul versante ovest. Dopo lampliamento
del porto e lo smantellamento della
collina la struttura sub numerosi danni

Fischi di carta

da alluvione ed solo grazie allapertura


del cantiere (o meglio la sua chiusura)
che potei vederlo unultima volta: la
compagnia per cui lavorava Milo era
interna allamministrazione del teatro
stesso, interna, cio, alla societ cattolica
operaia che scelse di posticipare la data
dellinaugurazione al giorno anniversario
della morte di Antonio Gramsci. Per
loccasione, il 27 Aprile 2010, veniva
messa in scena unopera contemporanea:
Gramsci a Turi di Antonio Tarantino.
Nel 2010, circa il 53% del lavoro
uomo della mia azienda era localizzato
nellAfrica inglese e francese. Lo stesso
Gruppo di mio padre aveva contribuito, in
mezzo secolo di storia, al completamento
di 228 chilometri di strada, 26 ponti di
ferro, 115 chilometri di ferrovia, con
un movimento terra di 2.300.000 m
aveva orgogliosamente realizzato opere
basilari per lo sviluppo economico dei
Paesi dellAfrica centrale. Oggi, lirruenza
delleconomia cinese, la corruzione
locale, il terrorismo islamico costringono
centinaia di migliaia di africani a cercare
una condizione di vita migliore nei paesi
avanzati e le nostre strade pullulano di
poveri, mendicanti, clandestini portatori
di infezioni antiche, da tempo debellate in
Europa.
Come sta il tuo corpo, disse Dania.
Grazie a Dio, risposi. Faceva, sei falso
come una sciuetta.
Nossignore. Un professionista non dice
mai il falso, le sue verit, in qualche modo,
sono di semplice ordine commerciale e
con Dania, nel 2009, chiusi il contratto
pi importante della mia vita. Bellissima

esponente del ceto medio, Dania una


intellettuale, come si dice, unalternativa
e la sua famiglia, vero, non ricca
altrettanto che la nostra ma sono persone
per bene, affittano splendidi appartamenti
nel Levante. La sua educazione della
migliore tradizione di Sinistra, a 23
anni frequentava i corsi dei pi illustri
professori di Filosofia ed era attiva in un
importante collettivo giovanile che lottava
per le unioni civili, lantimilitarismo e la
giustizia sociale: questo perch, diceva,
non c niente di male a nascere fortunati,
ma la politica deve essere intesa come un
servizio rivolto a tutti, anche ai pi deboli.
Amo Dania, per la sua pelle bianca, per
le sue idee, perch sa scrivere stupende
poesie damore e la sua mente oltremodo
fantasiosa.
A 24 anni, dopo aver discusso la
sua tesi sul Contributo del Concetto di
Comunitarismo allEtica negli Affari, part
alla volta dellAfrica centrale.
Vivere non difficile, esistere che
difficilissimo: Milo viveva in un mondo
tutto suo, usava certe espressioni che
per me erano incomprensibili. A volte
avevo limpressione che vivesse non al di
fuori del reale ma, come posso dire, al di
lato. Diceva che il pensiero un Senso,
esattamente come la vista o ludito, e
sosteneva che la logica ha una verit
soltanto sua: La natura contestuale,
invisibile. Se contestualizzi la parola,
diventa invisibile.
Ora, per qualche motivo, mentre
stavano insieme Dania non gli disse mai
della nostra relazione
(continua)

Fischi di carta

13

LE
PROSSE
DEI
LETTORI

Mi chiamo Laura Campanella, nata a Genova nel 1996 e futura


studentessa di design della moda a Milano. Corro dietro le idee e le storie, leggo,
sono avida di cinema, mi piacciono i centri storici e la creativit culinaria;
queste lelodevoli, forse, fra le cose verso cui mi muovo e che mi muovono.

UNA VISIONE LAMPO


di Laura Campanella

I raggi di sole si sono allungati. La valle, conca accogliente, si riempie di questo oro freddo,
che cola da un agglomerato lucente appena sopra il suo bordo. La bimba siede nella sala
spoglia, priva dellansia infantile, non sembra affatto bimba, ma unanima sconosciuta alla
madre, giunta per il tornaconto, silenziosa e incombente. Si spiegherebbe perch la madre
allora impedita nelle sue abituali mansioni da una specie di imbarazzo; insicura in quel
luogo in cui venuta per prima.
Lei giovane e la sua bimba seria. Occhi chiari e pelle chiara, capelli di un biondo cenere, che
rilucono come filigrana. Nella fermezza della sala il tempo scorre attutito e, oltre il vetro della
portafinestra, il paesaggio una memoria. Si sa che linverno porta malinconia, i suoi colori, le
sue tinte, sono quelli dei nostri ricordi, che allora rivivono e vengono celebrati e consumati
nella liturgia del tramonto invernale: il calare percepibile del sole, lostacolo naturale alla luce
-una collina- o artificiale -un palazzo- il tremolio delle foglie e delle superfici morbide, cos
imbandito laltare!
Al di l del vetro la bambina sente tutto agglomerato il Senso intraducibile.

ESISTIAMO DAVVERO SOLO NEL DOLORE



CHE LA FATICA CHE COMPIAMO NEL
MOTO DELLANIMA, ANCHE
IN FELICIT

(Le sue parole pronunciate a bocca chiusa cadono impietose sulla madre.)
Sul sito www.fischidicarta.it trovate la seconda prossa dei lettori di questo mese: Poesia di Paolo
Mazzarello. Per contattarci e inviarci i vostri racconti scrivete a prossanova@fischidicarta.it

INFISCHIATENE

LA RAGAZZA DEL TRENO - RECENSIONE

di Amelia Moro

Il romanzo di Paula Hawkins uno dei casi letterari dellanno: dopo tre soli giorni in libreria
gi al primo posto delle classifica di vendita in America, dopo due settimane raggiunge il
primo posto in Gran Bretagna e il successo aumenta al punto che, sostiene Piemme, non si
mai visto un romanzo desordio vendere cos tanto in poco tempo. La Dreamworks sta gi
pensando al film.
La protagonista, Rachel, prende tutti i giorni lo stesso treno e si diverte a fantasticare sulle
vite delle persone che le capita di osservare dal finestrino, al punto da attribuire loro nomi
di fantasia e da avere limpressione di conoscerle veramente. Finch un giorno non nota

qualcosa che non avrebbe dovuto vedere, una anomalia che solo un occhio come il suo allenato alla banale routine delle vite dei suoi, chiamiamoli cos, personaggi - pu cogliere.
Da qui si innesca un thriller che si promette pieno di suspense e colpi di scena. Ad incuriosirmi
ulteriormente stato un articolo di Repubblica dove si afferma che il suo nome entrer negli
annali della letteratura contemporanea accanto a quelli della ristretta cerchia di autori che con un libro hanno
istantaneamente conquistato il mondo. Unaltra J. K. Rowling?
Veniamo agli (in realt pochi) aspetti positivi di questo libro: bella lidea alla base della trama
che, seppure non originale - alzi la mano a chi non ha pensato a La finestra sul cortile - stuzzica
sempre. Inoltre la Hawkins aggiunge un elemento nuovo: non solo lo spazio sempre il
medesimo (il punto di osservazione del finestrino sulle finestre degli altri) ma anche il tempo
(lorario preciso in cui il treno passa davanti a quella precisa finestra). E anche qui, come
nel film, la mania del voyeurismo finisce per rivelare le nostre paure pi nascoste: come
James Stewart nelle finestre degli altri crede di riconoscere soprattutto relazioni destinate al
fallimento o fallite in partenza (come vede la sua con Lisa), cos la fissazione di Rachel per una
particolare abitazione e i suoi inquilini nasconde un motivo pi profondo: guarda quella casa
per non vedere laltra, proprio a fianco, dove ha vissuto con il marito e dove lui tuttora vive,
con la sua nuova compagna.
Interessante anche la scelta della protagonista: Rachel non un personaggio fatto per piacere,
non bella, la sua vita un fallimento, fa colazione la mattina con gin tonic in lattina. Non
neppure particolarmente arguta e decisamente non ha un talento naturale come detective, ma
potremmo definirla una ficcanaso per vocazione. molto pi semplice chiedere a un lettore/
spettatore di provare simpatia per la perfetta grazia delladorabile Lisa Freemont interpretata
da Grace Kelly che non per questa Rachel incorreggibile e patetica, ma, probabilmente, molto
pi vera: per questo ho trovato coraggiosa la scelta dellautrice.
Queste buone intuizioni non sono per sufficienti a salvare il romanzo. Il gioco del cambio
dei punti di vista (alcune parti sono narrate da Megan, la vittima, altre da Anna, la rivale di
Rachel) non decolla mai davvero e, dietro la voce degli altri due personaggi, continuiamo a
sentire quella di Rachel: queste tre donne insicure e piene di nevrosi finiscono per assomigliarsi
e per esprimersi allo stesso modo perch la Hawkins non varia mai lo stile e i toni con cui d
loro voce. Il cambio di punto di vista dovrebbe fornire al lettore unaltra ottica, mostrargli i
personaggi da una prospettiva diversa, a volte addirittura ribaltata, mentre qui non avviene
per nulla (ad esempio: Rachel crede che Anna sia una fredda sfasciafamiglie senza un briciolo
di senso di colpa e quando sentiamo la versione di Anna scopriamo che effettivamente lo
, e se ne vanta pure!) Anche i personaggi maschili risultano deludenti: lex marito di Rachel,
il marito di Megan, il seducente psicologo, sono tutti belli, muscolosi, abbronzati e con il vizio
di riempire di lividi le donne che amano. Di fronte ad una schiera di personaggi cos meschini
e monotoni conta davvero che il supercattivo sia uno, piuttosto che laltro?
Inoltre lintreccio debole e i vuoti di memoria di Rachel (dovuti ai suoi problemi di alcolismo)
sono un espediente narrativo sfruttato goffamente: avvengono troppo spesso in momenti
fondamentali (ed possibile che non ci sia mai, mai nessuno che le possa raccontare come sono
andate veramente le cose?) per poi ritornarle alla mente nel momento pi comodo perch
tutto si risolva.
Senza stare a scomodare i maestri del genere (come Chandler, per dirne uno), la Hawkins
non pu competere nemmeno con la Rowling, che di recente si cimentata proprio nel
romanzo giallo, un genere insolito per lei. Il suo Il richiamo del cuculo (Salani, 2013), uscito
sotto lo pseudonimo di Robert Galbraith, non ottenne alcun successo finch, rivelata lidentit
della penna che si nascondeva sotto il falso nome, non divenne un caso letterario, come era
prevedibile. Senza essere un capolavoro, la prova della Rowling molto pi elegante, pi
frizzante e ben costruita di quella della Hawkins, che assolutamente non consiglio

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