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UN COMMENTARIO SU
DANIELE E APOCALISSE
Edizione 2001
Lungo gli anni ho avuto il sentimento che Apocalisse sia il libro più difficile
dell’intera Bibbia sul quale scrivere, ed in qualche modo, il più facile. I suoi dettagli
lasciano spesso perplessi, perfino sconcertati, eppure, il suo significato principale è
chiaro. Benché alcuni contesteranno anche questo, è un libro che riguarda la vittoria.
“Questa è la vittoria che ha vinto il mondo. La nostra fede” (1Giovanni 5:4) Questo è
il motivo per cui conoscere Apocalisse è così importante. Alcuni crederanno che io
mi sbagli su molte cose riguardo a Apocalisse, ma su questo sono sicuro: Ci assicura
della nostra vittoria e la celebra.
Apocalisse è stata spesso ignorata da uomini più abili di me perché troppo
difficile, ma sono stati profondamente in errore. Genesi 3 ci dice della Caduta
dell’uomo nel peccato e nella morte. Apocalisse ci da la vittoria sul peccato e sulla
morte dell’uomo in Cristo. Come si può negligere Apocalisse? Possiamo errare nella
nostra interpretazione di molti dettagli, ma se sottolineiamo la nota di vittoria, siamo
nel giusto più di molti uomini capaci. La vittoria, ampia e totale, nel tempo e
nell’eternità, presentata da Giovanni in Apocalisse è troppo importante per
tralasciarla.
Apocalisse è piena di testi difficili, ma ancor più è piena dell’assicurazione di
vittoria. Io credo di essere completamente nel giusto nella mia accettazione di questa
risuonante nota di vittoria. La mia vita e la mia opera si posano su questa fede.
Questa vittoria è celebrata in Daniele e altrove, nell’intera Bibbia. Non ci è stato dato
un Messia che è un perdente. I testi escatologici acclarano che l’essenziale buona
novella dell’intera Bibbia è la vittoria, vittoria totale.
Qualcuno dice che la rinascita del post-millennialismo abbia le sue radici in
Venga il Tuo Regno. Dall’essere, come mi è stato detto, un punto di vista passato ed
ora morto, il post-millennialismo è ora una forza sociale crescente. Tra le altre cose,
ha fatto avanzare la scuola Cristiana ed il movimento della scuola domestica.
Perciò, io sono felice di aver scritto quest’opera, è ho fiducia che continuerà a
ri-vitalizzare l’azione Cristiana.
Il fatto che l’universo Mesopotamico fosse concepito come uno stato, che gli
dei che possedevano e governavano le varie città-stato erano legati insieme in
una unità superiore, l’assemblea degli dei, che possedeva organi esecutivi per
esercitare pressione esternamente quanto per applicare la legge e l’ordine
internamente, ebbe vaste conseguenze per la storia Mesopotamica e per il
Venga il Tuo Regno 9
modo in cui gli eventi storici vennero giudicati ed interpretati. Esso irrobustì
fortemente le tendenze verso l’unificazione politica del paese comandando
perfino i mezzi più violenti a quel fine. Infatti, ogni conquistatore, se aveva
successo, era riconosciuto come un agente di Enlil. Provvide pure, anche in
tempi in cui l’unità nazionale era debole e le molte città-stato erano, per ogni
scopo pratico, unità indipendenti, un retroterra in cui la legge internazionale
poteva operare.1
1
H. e H. A. Frankfort, John A. Wilson, and Torkild Jacobsen: “Before Philosophy. The Intellectual Adventure of
Ancient Man” ; Penguin books, 1949, p. 210
…il corso della storia risiede nelle mani di Dio. Questi periodi critici che
avvengono nel reame del tempo (i tempi e le stagioni) sono determinati da
Dio…Non è solo in cielo che dobbiamo cercare le evidenze della potenza di
Dio, ma anche sulla terra dove la sua potenza è dimostrata giornalmente nel
controllo di tutte le cose…Dio ha la sovrana determinazione di tutti i
cambiamenti politici. In questa espressione, dice Montgomery, risiede una
sfida al fatalismo della religione astrale Babilonese, una caratteristica che nella
sua influenza è sopravvissuta a lungo nel mondo Greco-Romano.1
Qui c’è un’affermazione netta del decreto eterno: l’oscurità esiste, e il reame
della creazione è molto carico del peso della potenzialità e dell’ignoto, ma
saggezza e luce abitano con Dio, che è nella sua totalità interamente onnisciente ed
auto-consapevole ed inevitabilmente agisce con uno scopo e nei termini di un
decreto eterno. Ogni mutabilità è nei termini di questo obbiettivo, e i cambiamenti
e i tempi delle stagioni di conseguenza non sono mai futili ma sempre pieni di
proposito. Inoltre, il tempo presente non è meramente concime per il tempo futuro,
ma il tempo stesso rivela Dio ed il suo decreto eterno, che è sempre reso manifesto
ai saggi e intelligenti, quelli che sono del Signore e le cui vite sono governate dalla
Sua parola. Il cinismo di Nabukadnetsar è dunque senza scuse perché fine a se
stesso, benché passo necessario verso la sua disillusione delle interpretazioni
filosofiche dell’uomo autonomo. La preghiera di ringraziamento di Daniele (2:23)
è il suo gioire nella grazia sovrana di Dio. Il fondamento di questa Apocalisse non
è qualche merito da parte di Daniele ma la grazia di Dio libera e predestinante.
Daniele, portato davanti a Nabukadnetsar, enfatizza l’impotenza dell’uomo
contro il decreto eterno (2:27), ponendo tutto il potere e la gloria in Dio, che solo è
la fonte di ogni determinazione, interpretazione e potenza. Daniele negò qualsiasi
merito da parte sua. Dio lo aveva usato come strumento per portare a
Nabukadnetsar auto-consapevolezza epistemologica (2:28 Dio fa conoscere!),
cosicché egli può considerarsi e conoscere se stesso in relazione a Dio.
Daniele disse che il sogno di Nabukadnesar fu di una immagine grande e
terrificante la cui (1) testa era d’oro fino, (2) il suo petto e le sue braccia d’argento,
(3) il suo ventre e le sue cosce di bronzo, e (4) le sue gambe di ferro i suoi piedi in
parte di ferro in parte d’argilla, chiaramente un quadro di deterioramento. Una pietra
fu “tagliata senza mani” e, non per mano d’uomo “colpì l’immagine ai suoi piedi”
distruggendola così radicalmente che i frammenti furono “come la pula sulle aie
d'estate; il vento li portò via e di essi non si trovò più alcuna traccia. Ma la pietra che
aveva colpito l'immagine diventò un grande monte, che riempì tutta la terra.”(2:31-
35)
1
Edward j. Joung: “The Prophecy of Daniel”; Grand rapids: Eerdmans, 1949, p. 67.
In quel giorno avverrà che i monti stilleranno mosto, il latte scorrerà dai colli e
l'acqua scorrerà in tutti i ruscelli di Giuda. Dalla casa dell'Eterno sgorgherà una fonte,
che irrigherà la valle di Scittim. Gioele 3:18
Un duro, aspro elemento di verità sta sotto a queste presupposizioni, per quanto
fallaci possano essere. Mentre la gloria che Dio da all’uomo come uomo è gloria di
creatura, Egli stesso mai condividendo la Sua gloria con l’uomo, pure rimaneva il
fatto che Dio aveva dato il mondo nelle mani di Nabukadnetsar. È egualmente certo
che nel ventesimo secolo Dio abbia in svariati tempi dato potere e dominio a uomini
quali Hitler, Mussolini, Chamberlain, Stalin, Daladier, de Gaulle, Roosevelt, Mao,
Kennedy, Nasser, Nehru ed altri mentre lasciava i suoi santi senza aiuto ed
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apparentemente impotenti davanti a queste potenze da Lui ordinate. Non senza
ragione, mentre contemplavano queste cose, i santi in Babilonia diedero voce alla
loro sofferenza:
Questa è infelicemente la nostra vocazione costante ora, cantare canti del Signore in
un paese straniero, in un mondo dato nelle mani ai figli di Babilonia.
Nel mezzo di tutto ciò arriva il comando “è ordinato che, vi prostriate per
adorare l'immagine d'oro che il re Nabukadnetsar ha fatto erigere;” (3:5)
La pena per chi non adora era “una fornace di fuoco ardente” un modo di eseguire la
pena capitale comune agli Assiri e ai Caldei e prevalente in Persia fino al 1662. In
quell’anno ad Isfahan, durante una grande carestia, le fornaci furono tenute accese
per un mese per intimorire qualsiasi mercante di cereali trovato colpevole di frodare i
poveri o di violare il controllo governativo dei prezzi.
Probabilmente Daniele era assente in questa occasione, o troppo forte per poter
attaccare il suo rifiuto di adeguarsi. Il potere di Daniele fu attaccato nelle persone dei
suoi tre amici arrestati per l’accusa di “certi Caldei” (3:8) che erano risentiti di questa
preminenza Giudaica negli affari di Babilonia.
Nabukadnetsar fu “adirato e furibondo” di questa insolenza, a questo rifiuto di
accettare l’inevitabile testimonianza del loro stesso canale di Apocalisse dall’ordine
soprannaturale della cose. Nondimeno, secondo il suo punto di vista, questo monarca
fu equanime con questi tre ribelli, dando loro un’altra opportunità di essere
obbedienti e di ritornare alle loro case e alla loro posizione. Come potevano osare
rifiutare, domandò, poiché “qual è quel Dio che potrà liberarvi dalle mie
mani?”(3:15) Qui c’è l’essenza della fede dell’Imperatore. Nei termini di questo
concetto di continuità, Nabukadnetsar era in continuità con Dio e l’incarnazione della
sua potenza e della sua gloria. Resistere lui significava resistere Dio, non nel senso
Paolino, ma come la continuità nei cui soli termini l’uomo poteva prosperare, e
separati dalla quale nessuna mediazione poteva propriamente esistere. Il ruolo
sacerdotale del re Caldeo, come grande mediatore, era stato rinforzato dal sogno, e
fino a che Nabukadnetsar avesse tenuto il potere egli sarebbe stato la mano, la testa, il
potere e la mente di Dio per i suoi giorni. By-passarlo nell’adorazione significava
disprezzare entrambi Dio e la gloria incarnata di Dio; altre e periferiche adorazioni di
potenze minori erano permissibili solo quando l’immagine e la gloria di
Nabukadnetsar fossero state per prima riconosciute. Il politeismo era perciò permesso
come parte della politica di tolleranza religiosa, purché alla religione di stato fosse
“Tu le spezzerai con una verga di ferro, le frantumerai come un vaso d'argilla.
Perciò, Servite l'Eterno con timore e gioite con tremore.
Sottomettetevi al Figlio, perché non si adiri e non periate per via”
(Dal Salmo 2)
La vera prospettiva, così, non era un vasto quadro della continuità del mondo
come processo con Dio, con una discontinuità ed una immediatezza apparente in
alcuni grandi santi, ma una totale discontinuità e un radicale ed esclusivo governo di
tutta la creazione da parte di Dio il Creatore. Lungi dall’essere parte del processo
dell’essere, Dio, l’Essere non creato è il creatore e il governatore dell’intero corso
degli esseri creati e Lui stesso al di là di qualsiasi cambiamento, processo, crescita o
deterioramento. Tale Dio non concede ricorso ma solo resa e adorazione oppure
morte.
Ma il compromesso, ora come allora, è la vana speranza e la via percorsa
dall’uomo. La chiesa, lo stato e la scuola affermano di essere un’incarnazione di Dio
e del Suo Unto, una continuazione dell’incarnazione ed un vero sacerdozio. L’uso di
paramenti sacri nelle chiese, l’uso di vesti clericali da parte di giuristi e da scolastici
testimonia di questo concetto di sacerdozio e di mediazione quale saggezza, potenza e
gloria, visibili, di Dio. Ma, secondo le Scritture, Gesù Cristo solamente è
l’incarnazione di Dio, e Lui solo il Messia, e solamente in Lui, quali membri del Suo
corpo, i credenti hanno un sacerdozio, un sacerdozio tenuto in comune da tutti i
credenti in virtù del loro statuto di membri in Cristo e non tenuto nei termini di qual
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che sia priorità d’ufficio e di santificazione. Nei termini di tutto ciò, una similare
insistenza del concetto e dichiarazione di continuità in questa e in tutte le altre aree di
auto-esaltazione dell’uomo devono essere resistite nel nome e nella potenza di Dio.
1
G. R. Tabouis: “Nebuchadnezzar”; London: Routledge, 1931, p. 69
In verità rispondimi
Con giudizi e con sogni!2
1
Tabouis: Op. Cit., p. 341.
La fede di Nabukadnetsar fu efficace nella sua vita ma non nei termini della
storia Babilonese. Dopo la morte di quel monarca, Babilonia passò attraverso una
successione di deboli mani finché Nabonide, genero di Nabukadnetsar pervenne al
trono. Suo figlio, Belshatsar, nipote di Nabukadnetsar, fu fatto vice-reggente per
rafforzare la sua posizione, e per dargli indipendenza nell’estendere l’impero. La
campagna di Nabonide in Arabia portò alla costituzione di una nuova capitale a
Tema, sulle strade del mondo antico, per controllare i percorsi del commercio che
portavano al Mar Rosso, il Golfo Indiano, all’Egitto, India e a tutto il mondo di quei
tempi. Tema, a metà strada tra Damasco e Mecca, è ancora un importante centro di
scambi dell’interno dell’Arabia, ma sotto Nabonide la città raggiunse la propria gloria
come “la capitale dell’impero Neo-Babilonese, perché il re viveva lì in un palazzo
che eguagliava quello di Babilonia”1 L’importanza di Tema però, era comunque
condizionale dal continuato potere di Babilonia stessa, poiché Nabonide era in terra
straniera e capace di far progredire il potere imperiale solo per quanto la casa madre
poteva sostenerlo. Il regno di Nabonide segnò così un ulteriore sviluppo del potere
imperiale come anche il suo termine.
L’ascesa dei Medi e dei Persiani, all’inizio una nuvola non più grande di una
mano d’uomo, si sviluppò in una forte tempesta mano a mano che queste potenze
raggiunsero Babilonia. La sicurezza dei Babilonesi, comunque, era fondata sulla loro
capacità di sostenere, come essi credevano, un assedio di settant’anni, con i Medi ed i
Persiani che si sarebbero probabilmente distrutti nel tempo per la loro distanza da
casa ed i problemi causati dal prolungarsi dell’attesa del vettovagliamento. Perciò
Belshatsar si sentì libero di procedere con la festività religiosa.
Alla grande festa del nuovo anno, solo il re sommo sacerdote, Nabonide,
poteva presiedere, ma nelle altre festività, Belshatsar, come vice reggente, poteva
officiare. L’occasione fu marcata da un grande banchetto con molto vino, con
Belshatsar stesso che presiedette il pranzo davanti a mille dei suoi nobili (5:1).
Questa stravaganza di splendore e celebrazioni era comune nell’antichità come
testimoniano i 15000 che più tardi, secondo Ateneo, pranzeranno giornalmente al
tavolo del monarca Persiano e al quale Ester 1:3-5 testimonia. Ma la motivazione
religiosa era centrale e basilare all’esuberante osservanza. A conferma di quella
motivazione religiosa, Belshatsar, un uomo devoto, espresse la condanna ufficiale di
1
Raymond Philip Dougherty: “Nabonidus and Belshazzar, A Study of the Closing Events of the Neo-Babylonian
Empire; New haven. Yale, 1929, p. 146. Lo studio di Dougherty da eccellenti evidenze dell’affidabilità storica di
Daniele confermando l’esistenza e la posizione di Belshazzar. Vedi anche Edwin Yamauchi: “Grece and Babylon”,
Grand rapids. Backer Book House, 1967, p. 70s, 89ss.
1
Ibid., p. 87-92
2
Young: “Commentary on Daniel” ad. loc.
MENE, MENE: “Dio ha fatto il conto del tuo regno e vi ha posto fine” (5:26).
TEKEL: “Sei stato pesato sulla bilancia, e sei stato trovato mancante”. (5:27).
PERES: “Il tuo regno è stato diviso e dato ai Medi e ai Persiani” (5:28). Nella
parola PERES (diviso) c’è un’allusione a PARAS (la parola che viene tradotta
1
Young: Commentary., ad loc.
2
Young: Commentary, p. 127.
4) Il sacerdote-re era quindi il punto focale di cielo e terra e la voce della legge,
e legge incarnata, eppure allo stesso tempo, in un senso veramente reale, sotto
legge, legato dalle proprie stesse dichiarazioni e impossibilitato a rovesciarle,
come sia Daniele 6:14 sia Ester 1:19 e 8:8 testificano.
O straniero, le leggi degli uomini sono diverse, e una cosa è onorevole per un
uomo e un’altra per un altro, ma è onorevole per tutti onorare ed osservare le
proprie leggi. È l’abitudine dei Greci, ci viene detto, onorare, sopra tutte le
cose, libertà ed uguaglianza, ma tra le nostre molte eccellenti leggi, noi
reputiamo questa la più eccellente, onorare il re e onorarlo quale immagine del
grande preservatore dell’universo, se dunque, acconsenti alle nostre leggi, e ti
prostri davanti al re e lo adori, tu puoi sia vederlo sia parlargli, ma se tu pensi
in un altro modo, devi fare uso di altri che intercedano per te, perché non è qui
costume nazionale che il re dia udienza ad alcuno che non cada a terra davanti
a lui.
Tale concetto non era in alcun modo limitato ai Persiani. I Greci deificarono le
loro città-stato e considerarono la polis in se stessa quale sito della divinità, talché la
loro “democrazia” era una democrazia delle divinità. Questo concetto di vero ordine e
di divina mediazione è l’inevitabile concomitanza di ogni teoria sociale, incluse
quelle che negano il soprannaturale, o che perfino negano il concetto di verità in
favore del relativismo o del pragmatismo. Per la democrazia la voce del popolo è la
voce di Dio, vox populi, vox dei; per il Marxismo la dittatura del proletariato è storia
giunta al centro incarnato, ed il pragmatismo, con tutte le sue dichiarazioni d’essere
1
Si veda Toung, Keil e Delitzsch, H.C. Leupold, Commentari, ad. loc.
1
Si veda Ethelbert Stauffer: “Christ and the Caesars”; Philadelphia: Westminster, 1955, p. 42-53.
1
Edward Young: “The Messianic Prophecies of Daniel”; Delft, Olanda, 1954, p. 30.
2
Young: Commentario, ad. loc.
“Dopo questo, io guardavo nelle visioni notturne, ed ecco una quarta bestia
spaventevole, terribile e straordinariamente forte, essa aveva grandi denti di
ferro; divorava, stritolava e calpestava il resto con i piedi, era diversa da tutte le
bestie precedenti e aveva dieci corna.
Questa quarta bestia non ha controparte nel mondo della natura, cioè non ha
carattere suo proprio. In Daniele 2:40-43 questo quarto impero è similmente ritratto,
come una mistura tenuta insieme con la forza ma non avente innato (o spontaneo) il
potere di legare. Il carattere messianico di questo quarto o Romano Impero non era
meno prominente di quello dei suoi predecessori, come Christ and the Caesars di
Stauffer rende chiaro. Il suo potere imperiale era più sincretista di quello dei suoi
predecessori nel fatto che meno potere innato serviva come punto di amalgama. Il suo
concetto di unità era meno organico e più giuridico, e da ciò, benché più debole, era
un concetto più duraturo e più facilmente trasmissibile ad altre culture. La pax
Romana o pace Romana era basata sulla legge Romana. Questa legge Romana fu ben
riassunta nel suo spirito da Cicerone in De Legibus, nel quale egli echeggia il
temperamento fondamentale della sua eredità, nell’affermazione: “La sicurezza del
popolo sarà la legge più elevata”. È da questo principio che vennero in seguito le
“dieci corna”, cioè la pienezza dell’impulso e del potere nazionale (essendo il corno
un antico simbolo di potenza e dominio). L’obbiettivo del potere divenne la
fondazione dell’unità sotto la legge, legge non in un senso astratto e remoto, ma
legge in senso umanistico, nei termini del benessere umano e dei diritti dell’uomo. Le
rivoluzioni dell’uomo Occidentale, ed ora sempre di più, le rivoluzioni e le
aspirazioni di Asia, Africa e del mondo intero, sono nei termini di questo concetto
antropocentrico: “la sicurezza del popolo sarà la legge più elevata”. I diritti
dell’uomo, il benessere umano, libertà, fraternità ed uguaglianza, tutte queste cose e
di più sono il prodotto di questo, il principio ultimo del moralismo: salvezza ed il
regno dell’uomo per mezzo della legge. Su Roma e su i suoi eredi in tutto il mondo,
“le dieci corna”, è caduto il mantello degli Scribi e dei Farisei! “Dieci” come numero
della pienezza indica la totalità della devozione statista dell’uomo a questo sogno. (I
numeri sette e dieci, come numeri terminali nei loro rispettivi sistemi numerici, e il
numero quattro, rappresentativo delle quattro direzioni, sono usati ripetutamente per
tipizzare totalità e pienezza). Un altro corno o potenza si leva, sradicando tutte le altre
1
Pubblicato da Harvard università Press, seconda edizione, 1960. Sohn è un membro della facoltà della Harvard Law
School.
2
Peter F. Drucker: “The End of Economic Man”, New York: John Day, 1939, p. 13s.
1
Young: Commentario, ad. loc.
2
Young: Commentario, ad. loc.
3
Leon Morris. “The Lord from Heaven” Grand rapids; Eerdmans, 1958, p. 28.
DANIELE 8
LE PROSPETTIVE DELLA STORIA
Venga il Tuo Regno 47
“Nel terzo anno di regno del re Belshatsar” (8:1) pervenne a Daniele un’altra
visione, una che concerneva il secondo ed il terzo impero. La visione era perciò
precedente al tempo degli eventi di Daniele 5.
La località della visione è Shushan, o Susa, la capitale principale dell’Impero
Persiano nei suoi giorni di potere. Daniele 8:2 e 8:16 rende chiaro che l’intera
visione, dai giorni del potere Medo-Persiano fino ad Antiochio Epifane, è da Susa, un
fatto che colpisce, perché il centro della scena, per quanto concerne l’azione, è solo
brevemente Susa. La prospettiva perciò è Susa, perché la fede e la filosofia di quella
fortezza e sede dell’impero rimase la prospettiva dei suoi successori finché Roma non
apparve sulla scena.
Il concetto organico di regalità e la sua affermazione della continuità del
popolo col re, e del re col divino, è quindi il principio dominante della visione,
poiché questo concetto fu più chiaramente focalizzato nell’Impero Medo-Persiano e
dominò gli imperi seguenti, influenzando anche Roma ad un grado notevole. Ad ogni
modo, in Roma a dispetto delle influenze Orientali molto marcate, il principio
legalista, giuridico, trionfò come fattore residente nella susseguente storia occidentale
ed ora mondiale, benché non senza conflitti, nel fatto che entrambi i concetti (unità
organica e unità nella legge) furono trasmessi a Roma e per mezzo di Roma.
Il disprezzo Greco per i Persiani fu dichiarato da Plutarco nei suoi commenti
nel suo Vita di Artaserse II: “Il re Persiano ed il suo impero erano potenti certamente
in oro, lusso e donne, ma era altrimenti un mero spettacolo di vana ostentazione”.
Molto di questo disprezzo è basato sull’invidia, e i Greci non erano preoccupati
solamente con le conquiste ad Oriente, ma anche col potere nei termini di quell’
Eldorado d’Oriente. Così, Alessandro e i suoi quattro successori assunsero il concetto
di regalità Medo-Persiano ad un grado notevole. Plutarco citò un esempio incisivo
degli estremi a cui il concetto Persiano di regalità fu spinto. Artaserse II sposò la
propria figlia Atossa, dichiarando ‘ella essere la sua legittima sposa, calpestando tutti
i principi e le leggi con cui i Greci si ritengono legati, e considerando se stesso come
divinamente istituito quale legge ai Persiani, ed il supremo arbitro del bene e del
male’. Questi stessi fini, il calpestare il bene ed il male da parte dell’uomo il
Legislatore, e la deificazione dell’uomo, furono anche gli obbiettivi ultimi del
legalismo Romano, ma il concetto Persiano lo ricercò nell’unità organica della
società nel dio-re, gli eredi Romani nei diritti giuridici dell’uomo individuale, per il
cui bene esiste la legge, il governo e la società.
Daniele vide l’Impero Medo-Persiano come un montone, “le due corna erano
alte ma un corno era più alto dell'altro, anche se il più alto era spuntato per ultimo”
(8:3). Secondo Keil: “in Bundehesch lo spirito guardiano del regno Persiano appare
sotto le forme di un montone con piedi ben torniti e corna appuntite, e, secondo
Amm.Marcell. XIX.1, il re Persiano, quando stava a capo del suo esercito, portava,
Venga il Tuo Regno 48
invece del diadema, la testa di un montone”. Daniele vide espandersi
considerevolmente la potenza di questo impero in ogni direzione eccetto a Est “così
fece quel che volle e diventò grande” (8:4). “Quel che volle”, ha sottolineato Young,
significa “fece esattamente come volle, indicando potere dispotico, arbitrario”.1
Ad ogni modo, sorge un capro, Alessandro Magno, il quale, osserva Young:
“Divenne conosciuto come ‘egli delle due corna ’, poiché egli si faceva rappresentare
con due corna per provare che era figlio di Ammon testa di montone, dio della Libia.2
Ammon o Amon, di Egitto e Libia, identificati anche con Giove e Zeus dagli scrittori
classici, veniva rappresentato o con la figura seduta di un uomo con la testa di
montone, o un montone intero blu; in suo onore gli abitanti di Tebessa (Tunisia) si
astenevano dalla sua carne. Il suo nome compare su monumenti Egizi come Amn o
Amn-re (Amon il sole). L’Amon di Tebe aveva semplicemente forme umane, ed era
chiamato “il re degli dei” ed era virtualmente identificato in un culto col sole, in un
altro con l’Egizio Pan. Il giudizio viene pronunciato su di lui in Geremia 46:25.
“Ecco io punirò la [amon]moltitudine di No”.
Il capro era un’antica divinità, o simbolo di divinità, come indica Levitico 17:7,
essendo i “demoni” [sai’yr = capro, demone] che gli Israeliti adorarono nel deserto. Il
culto al capro esisteva in Egitto, era presente nell’adorazione di Pan (Dio Greco dei
pastori inventore del flauto di Pan) ed era un simbolo riconosciuto della nazione
Macedone. Monete di Archelao, re dei Macedoni (413 A.C.), rappresentano sul
rovescio un capro, e, molto più tardi, la conquista della Persia da Alessandro è
rappresentata su di una gemma con una incisione di “due teste unite all’occipite,
l’una di montone, l’altra di un capro unicorno”.3 Così, Alessandro fu il grande corno
e fondatore dell’Impero Macedone, ed il trasmettitore della vita e della base razionale
dell’Impero Persiano, col suo assorbimento di quella fede dentro alla propria
struttura. Il presuntuoso e arrogante potere di Alessandro è descritto in 8:8 “Il capro
diventò molto grande;” ovvero potente e di successo ai propri stessi occhi. La rabbia
dei Greci pure (8:7) era notevole, e il desiderio di rovesciare la Persia era pari al
desiderio di raddrizzare la storia. Comunque, nel mezzo della sua potenza,
Alessandro “si spezzò” [meglio sarebbe “fu rotto”], morì a trentatre anni, e l’impero
fu diviso fra quattro notabili “quattro corna cospicue” (8:8), i quattro generali,
essendo un quinto, Antigono stato sconfitto precedentemente ad Isso, nel 301 A.C,
cosicché, vent’anni dopo la morte di Alessandro nel 323 A.C. il regno cadde ai
quattro generali. Lisimaco prese Tracia e Bitinia e possibilmente tutta l’Asia Minore.
Cassandro guadagnò la Macedonia e la Grecia. Tolomeo prese Egitto e territori
contigui e Seleuco prese Siria, Babilonia e le nazioni Orientali fino all’India.
Dalla potenza Siriana, alcune generazioni più tardi, dall’esiguità, dall’assenza
d’importanza a grande potere ed esaltazione “uscì un piccolo corno, che diventò
molto grande” (8:9).4 Costui fu Antiochio IV, Theos, Epifanes, Niceforus, come egli
chiamò se stesso, che regnò dal 175 al 164 A.C.. Antiochio cominciò la sua vita come
ostaggio di Roma, non riponeva la sua fede in alcun dio eccetto il dio Romano della
1
Young: Commentario, ad. loc.
2
Ibid.
3
John M’Clintock e James Strong “Cyclopedia of Biblical, Theological, and Ecclesiastical Literature” III, p. 899s.
4
Young: Traduzione e comm. a 8:9.
La durata di questo gettare a terra è 2300 giorni (8:14), dopo cui il santuario è
purificato. Keil ha giustamente interpretato questo tempo, un po’meno di sei anni, a
significare non del tutto il pieno giudizio di Dio su Israele, che cadde nella pienezza
nel 66-70 D.C. per la loro culminata apostasia. L’apostasia e la punizione sotto
Antiochio sono descritte come giungere vicino alla fine dei tempi, cioè dell’era
dell’Antico Testamento (8:17). Sarà una manifestazione dell’ “indignazione” di Dio
(8:19) per l’apostasia d’Israele. I Trasgressori di 8:23 sono i Giudei apostati e
compromessi. Antiochio è fatto sorgere da Dio per punire Israele ed è anche da Dio
fatto cadere (8:24-25), “infranto senza mano”, senza l’intervento umano.
Questa visione, con la sua ulteriore dichiarazione che Israele è messo da parte
da Dio, ebbe l’orrore aggiunto dell’apostasia d’Israele, con la sua indicazione di una
apostasia culminante verso la fine, e di conseguenza lasciò Daniele profondamente
addolorato e fisicamente malato (8:26-27).
1
E.J. Young, Comm. ad. Loc. Per l’estensione dell’apostasia Giudaica si veda Josef Kastain. “History and Destiny of
the Jews” New York, garden City Publishing Co., 1936, p. 94-102.
DANIELE 9
CONFUSIONE NELLE FACCE
Venga il Tuo Regno 51
Daniele 9 registra una preghiera e la risposta a quella preghiera. Daniele,
“Nell'anno primo di Dario, figlio di Assuero, della stirpe dei Medi, che fu costituito
re sul regno dei Caldei” (9:1), era in fervente preghiera a risultato dei suoi studi di
Geremia, in particolare di Geremia 25:11 e del capitolo 29 (9:2), ed anche di
Deuteronomio come i versetti 11-15 indicano chiaramente. I settant’anni di cattività
predetti erano virtualmente terminati e pertanto la liberazione era vicina, cosicché, nei
termini della restaurazione promessa, Daniele avrebbe potuto gioire. Invece, egli
confessa la sua paura ed il suo dolore per il suo popolo, riconoscendo (vss. 1-19) che
“tutto Israele” entrambi i regni di Nord e Sud, meritavano la loro prigionia, ma,
nonostante la cattività, non avevano imparato nulla. Mancando di vera fede, per la
maggior parte di loro l’avversità non aveva prodotto guarigione o esperienza
redentiva, non aveva operato alcun pentimento talché, Daniele temette che il loro solo
meritato destino sarebbe stato di punizione e di ulteriore cattività. Le indicazioni
sono, infatti, che il Fariseismo fu un prodotto della cattività stessa. Il peccato di
Giuda fu in modo predominante il sincretismo, un persistente tentativo di unire fedi
nella convinzione dell’esistenza di un cuore o nocciolo religioso comune in tutte le
religioni. La forma più comune di sincretismo era ed è il moralismo, e, prima della
caduta di Gerusalemme una delle primitive e flagranti pratiche di sincretismo con i
culti della fertilità avevano lasciato il posto al culto del tempio e al moralismo.
Durante la cattività, il contrasto tra la moralità Ebraica e i costumi pagani era
sprofondato in un isolazionismo ed un orgoglioso moralismo, quest’ultimo
ovviamente un moralismo sincretista, ed il fariseismo ne fu il risultato. Il giudizio e la
caduta di Gerusalemme era già unico nella storia (9:2) quale esempio della
retribuzione di Dio ad un popolo privilegiato. Vedendo il loro ulteriore disprezzo per
Dio, Daniele era timoroso del loro immediato futuro e, come uno del residuo fedele,
pregò ferventemente per grazia (9:18). Quale vero credente e nemico del moralismo,
Daniele sapeva che la sua giustizia non era in lui o da lui stesso ma interamente per
grazia: “O Signore, a te appartiene la giustizia, ma a noi la confusione della faccia”
(o delle facce) (9:7).
L’espressione “confusione delle facce” è significativa, è la confessione di un
uomo di Dio, e il principio della sua potenza. Il moralismo non è caratterizzato da
alcun simile riconoscimento, ma piuttosto da una confidenza di facce, un sentirsi
giusti in se stessi che suppone che la storia sia controllata dalla moralità e da opere di
moralità. In questo modo, si presume che l’amore sia capace di rigenerare e di
controllare uomini, nazioni e la storia. Libertà, fraternità ed uguaglianza, il moralismo
della Rivoluzione Francese e dell’ umanesimo, e delle politiche e rivolte che ne
susseguirono, sono ancora una volta esempi della confidenza farisaica che la storia
sia soggetta al dominio dell’uomo per mezzo delle opere della moralità Il
Comunismo e la Democrazia sono ulteriori istanze di questo stesso moralismo
Venga il Tuo Regno 52
nell’area politica, proprio come il Tomismo e l’Arminianesimo ne forniscono
l’esempio nelle chiese. Virtualmente tutte le chiese oggi sono monumenti al
moralismo, ma il monumento più grande è lo stato moderno. Fichte, dando lezione a
Berlino nel 1804-1805, espresse la tesi del moralismo statale: “Uno Stato che cerchi
costantemente di aumentare la sua forza interiore, è perciò forzato a desiderare la
graduale abolizione di tutti i Privilegi, e lo stabilimento di Equi (Uguali) Diritti per
tutti gli uomini, in ordine che, lo Stato stesso possa entrare in possesso del suo vero
Diritto: di applicare l’intera eccedenza di potere di tutti i suoi Cittadini senza
eccezioni, per l’avanzamento dei propri scopi.” 1 Fichte credeva che solo così,
l’obbiettivo grande e giusto (giustificato) dell’umanità potesse essere compiuto e il
vero ordinamento dell’uomo venire introdotto. Perciò, ogni potere sia dato allo Stato
moralista.
Ma la giustizia appartiene a Dio, e a noi, confusione delle facce, poiché l’uomo
è per natura peccatore, un trasgressore dell’alleanza, e, come uomo redento, cammina
solo per fede e per grazia di Dio. La storia non è nelle sue mani, né può egli vedere
un passo avanti. A lui appartiene la confusione delle facce. La responsabilità è sua,
ma la responsabilità non è il potere di eseguire i decreti eterni, ma piuttosto la
responsabilità, il dovere di rendere conto a Lui il cui decreto sovrano sta a
fondamento di tutta la creazione. Solo quando l’uomo sa di essere uomo, una creatura
sotto Dio, può egli entrare in questo dominio come vice-re sotto Dio. Solo quando
fonda le sue parole sulla parola di Dio, può parlare con verità e sicurezza.
Daniele, pregando nei termini di questa confidenza nelle certe misericordie di
Dio (9:9), ricevette da Dio risposta per mezzo di Gabriele (9:21-27), che egli aveva
visto precedentemente in una visione (8:16). La dichiarazione di Gabriele si riferisce
alla preghiera di Daniele per Israele, la cui fine era già stata indicata, e il cui corso
prima di quella fine viene incidentalmente trattato ora. Il riferimento primario è
Messianico. Di conseguenza, come ha sottolineato Hengstenberg: “L’annuncio è
essenzialmente di carattere incoraggiante. Questo è vero in un certo senso anche di
quella porzione di esso che tratta della distruzione della città e del tempio…I giudizi
setaccianti di Dio sono una benedizione per la chiesa…Daniele non aveva pregato per
i duri di collo e per gli empi, ma per coloro i quali di tutto cuore si univano a lui
nella confessione penitenziale dei loro peccati”2
Gabriele parlò di “settanta settimane” (9:24) o più accuratamente “settanta
sette” per Israele e Gerusalemme, un espressione ancora una volta indicativa della
pienezza di un tempo specifico. Lo scopo della Apocalisse non è un calendario di
eventi, ma avvertimenti, come pure speranza in termini del Messia. Prima della fine
di quel periodo, sei cose saranno compiute, come ha evidenziato Young:
Negative Positive
1. Metter fine alla trasgressione 1. Introdurre giustizia eterna
2. Mettere fine al peccato 2. Sigillare visione e profeta
1
William Smith, traduttore: The Popular Works of Johann Gottlieb Fiche, vol II, Lezione XIV: “Sviluppo dello Stato
nell’Europa Moderna”; London , Trubner, 1889, p.236.
2
E.W. Hengstenberg:Christology of the Old Testament,vol III, p.86; Grand Rapids, Kregel, 1956.
Con questa distruzione, il giudizio è pronunciato non solo sul moralismo della
storia istituzionalizzato nel culto del tempio, ma anche nella funzione legittima del
Tempio che cercò di perpetuarsi quale unico veicolo di Apocalisse. L’esclusività
della Apocalisse non può essere arrogata dagli strumenti storici dentro ad
un’arroganza ed orgoglio, nei quali il vaso ascrive a se stesso il potere del vasaio.
1
Young: Commentario, p. 197
2
Young: Commentario, ad loc.
3
Young: The Messianic Prophecy of Daniel,p.74
DANIELE 10
LA STORIA COME LITURGIA
4
(la storia proviene dall’eternità e vi termina, non la produce ne la diventa, N.d.T.)
DANIELE 11
LEGALISMO E ORGANISMO (CORPO SOCIALE)
Venga il Tuo Regno 58
Con la sola esclusione dei nomi degli uomini e talvolta degli imperi, l’esattezza
di Daniele 11: 2-35, nella sua descrizione della storia dalla Monarchia Persiana ad
Antiochio Epifane è concessa da ogni studioso, ma con una differenza. Per gli
esponenti dell’alta critica, il passaggio è fondamento cardinale per la loro tarda
datazione di Daniele, e per la loro affermazione che un Maccabeo, familiare con la
storia coinvolta, scrisse il libro come strumento per incoraggiare i Giudei perseguitati
del proprio tempo. Per lo studioso Cristiano ortodosso, questo passo è un’altra istanza
di profezia predittiva e provenne dalla mano di Daniele.
Secondo Daniele, chi parla è Cristo, il Quale sostenne Michele, e perciò il Suo
popolo scelto, durante i giorni sopra menzionati (11:1), ed Egli, Dio il Figlio, fu
strumentale nel rovesciamento di Babilonia da parte di Medo-Persia quale mezzo di
avanzamento dei suoi propositi redentivi per il Suo popolo.
Dio il Figlio parlò quindi nei termini della Sua promessa (10:14) di far
conoscere i problemi del popolo scelto, cioè la vera chiesa, nel “tempo futuro”,
nell’era Messianica (11:2). Primo, la chiesa Giudaica viene preparata per la sua
prova, e la sua esperienza fatta basilare alla prospettiva del futuro. In addizione al
monarca corrente, tre re si sarebbero susseguiti sul trono di Persia, e poi un quarto
“diventerà molto più ricco di tutti gli altri; quando sarà diventato forte per le sue
ricchezze, solleverà tutti contro il regno di Javan”(Grecia) (11:2b). Ciro era re a quel
tempo, i tre successori furono Cambise, Smerdis e Dario Histappe, ed il quarto Serse.
Questi tentò l’invasione della Grecia quando il potere Persiano fu all’apice. La
potenza Imperiale Greca pervenne all’attenzione in Alessandro Magno (11:3-4) del
quale vengono predetti la potenza, la morte prematura, e la quadruplice divisione del
suo impero “ma non fra i suoi discendenti”,.
Il periodo successivo (11:5-20) è la lotta tra Tolomeo e Seleuco ed i loro
successori, per la Palestina. l’Egitto, “il Sud” divenne potente sotto Tolomeo Soter,
322-305 A.C., e Seleuco, fatto fuggire quando Antigono gli prese Babilonia,
guadagnò il sostegno di Tolomeo e recuperò Babilonia nel 312 A.C., incamerando un
regno che si estendeva dalla Frigia all’Indo. (11:5). Alcuni anni dopo, furono formate
delle alleanze tra questi due regni, col matrimonio della figlia di Tolomeo Filadelfo
Berenice ad Antiochio II, Theos, che mise da parte la propria moglie Laodicea per
sposare lei. Quando, due anni dopo, Tolomeo Filadelfo morì, Antiochio II abbandonò
Berenice e rifece regina Laodicea, la quale, piena di desiderio di vendetta,
contraccambiò assassinando prima suo marito e poi Berenice, col risultato del
fallimento dell’alleanza come profetizzato (11:6).
Il fratello di Berenice, Tolomeo Euergetes, il terzo Tolomeo in Egitto, invase
allora “il Nord”, mettendo a morte Laodicea (11:7) e ritornando con molto bottino
(11:8). Due anni dopo, Seleuco Callinicus riguadagnò il poter “al Nord”, marciò
1. L’intera natura del capitolo richiede continuità, a 11:30 non meno di 11:36.
Benché 11:35 marchi una chiusura “questo avverrà al tempo stabilito”, 11:36
inizia con una nota di continuità, e 11:40 allo stesso modo, col suo ritornare al
“re del Sud”, costringe a qualche tipo di continuità.
2. Allo stesso tempo, sia 11:36 sia 11:40 segnano nuovi sviluppi ed in questo
modo hanno un elemento di discontinuità, accresciuto dalla loro natura più
generale, notabile specialmente in 11:36-39.
3. Ci sono dei precedenti, in tutte le profezie bibliche, più brevemente e
potentemente in Matteo 24, dove specifici incidenti prima della caduta di
Gerusalemme sono seguiti da una descrizione molto generale del tempo di lì in
poi e della fine dei tempi, per predizioni specifiche seguite da altre più
generiche, per la descrizione di eventi, e poi di condizioni.
4. Antiochio Epifane non è, in 11:21-35 individualmente chiamato un “re” ( né
poteva cf. vs. 21), solo una volta, collettivamente (11:27 “il cuore di questi due
re”) ma viene chiamato semplicemente “un uomo spregevole” e poi sempre
“egli”. In questo modo si evita di dargli dignità, mentre 11: 36-39 si riferisce a
“il re”.
Keil, in accordo con i più nel riferire 11: 36-45 all’Anticristo, rimarcò:
“Essenzialmente il riferimento della sezione 11:36-45 all’Anticristo è corretta ma
la supposizione di un cambio di soggetto nella rappresentazione profetica non è
stabilita”. Keil così tenne per un tipo profetico di continuità e di sviluppo. “nella
contemplazione profetica c’è compresa nell’immagine di un re ciò che è stato
storicamente adempiuto ai suoi inizi da Antiochio Epifane, ma troverà il suo
completo compimento solamente per mezzo dell’Anticristo al tempo della fine”1
Questa è un’osservazione molto percettiva, benché inaccurata nel suo riferimento
all’Anticristo. Come abbiamo visto, Daniele dà profezia politica, mentre
l’Anticristo è un concetto religioso. E mentre è vero che la politica ha carattere
messianico, è comunque ancora chiaramente politica, attività civile, in nessun
modo ecclesiastica. Perciò il riferimento non può essere all’Anticristo, perché
questa sarebbe una rottura radicale con l’intero contenuto della profezia di
Daniele. Calvino, come sempre un commentatore percettivo, applicò queste
sezioni all’Impero Romano. “Con la parola ‘re’ non penso sia indicata una singola
persona, ma un impero, qualunque sia il suo governo, sia con un senato, o per
mezzo di consoli, e per proconsoli”. Tale uso era già stabilito in Daniele. Inoltre, i
1
C.F. Keil, Commentary, ad loc.
Possiamo aggiungere, a conferma di tutto ciò, che “il re” o regno di 11:36
continuerà almeno finché (e, dopo quello, la sua storia non è per il momento
d’interesse) “finché l’indignazione sia completata” (cf. 8:19), cioè l’intera ira di Dio
per l’apostasia sia sfogata su Israele. Questo chiaramente si riferisce agli eventi del
66-70 D.C., ed allora sia l’apostasia manifestata sotto Antiochio Epifane avrà avuto il
culmine, sia l’ira di Dio o la Sua indignazione sarà stata pienamente rivelata. L’ira di
Dio contro Israele non può dirsi di essere culminata o terminata sotto Antiochio
Epifane, e di qui, 11:36 si riferisce ad un altro “re” o regno: Roma. Inoltre, ciò che ci
viene dato qui è, per usare un’espressione di Calvino (Lezione LXIII.) “una serie
perpetua” con la quale la vera chiesa viene preparata per tutti gli aspetti di quella
quarta monarchia e la sua fede: salvezza per legge o legislazione, che marcherà la
storia durante molta dell’era Cristiana quanto i secoli conclusivi dell’era del Vecchio
Testamento.
1
Giovanni Calvino: Commentaries on Daniel, Lezione LXII, Daniele 11:36
2.”Il desiderio delle donne” sarà rinnegato. Il significato di ciò è che costituisce
un desiderio di trascendere o di rinunciare alla creaturalità. Alessandro Magno,
che, mentre aveva inclinazioni verso vizi vari, cercò in tutti i modi di evitare le
donne, lo fece sul fondamento della loro indicazione di umanità. Secondo
Plutarco “Egli era solito dire che il dormire e l’atto del generare specialmente
lo rendevano sensibile di essere mortale, tanto da dire che stanchezza e piacere
procedevano dalla stessa fragilità ed imbecillità della natura umana”.
L’iscrizione sul sepolcro di Ciro commosse Alessandro profondamente,
“riempiendolo con i pensieri dell’incertezza e della mutevolezza delle faccende
umane” cioè l’orrore di essere umano. L’uomo oggi è pieno dello stesso orrore,
e per mezzo della scienza cerca di sfuggire alla creaturalità, e con la politica
cerca di creare un ordinamento eterno. Questo orrore dell’umanità, sviluppato
nell’antichità, è venuto a focalizzarsi meglio ed è pervenuto al potere formale
negli stati post-Romani, nei quali l’uomo legalista spera con legislazione e
laboratorio di entrare nel regno degli dei. Nell’antichità l’obbiettivo era
l’apatia, essere senza passioni e quindi divino. L’obbiettivo nella vita moderna
ha svariato tra il romanticismo Ellenico, con frenesia ed entusiasmo come
possessioni divine, e un razionalismo e scientismo freddo, senza passione,
legalista, astrazione, come via dell’uomo alla divinità, con quest’ultimo infine
padrone del campo in virtù del suo controllo sulla scienza. Nella Rivoluzione
Russa, che segnò il trionfo del socialismo scientifico e del materialismo, vari
capi adottarono nomi nuovi per esprimere la loro divina apatia, per es. Stalin o
“acciaio”, Molotov “martello”.
Questo dunque, era la nuova minaccia che si erse nella forma di Roma, nella sua
prima formulazione, dopo che calò la minaccia di Antiochio Epifane. Antiochio
aveva i suoi seguaci in Israele (11:32), e ai giorni di Cristo, fatta eccezione per un
residuo che sarà interamente separato dal vecchio Israele, tutti erano in apostasia. La
linea di divisione tra Roma e Giudea era tale solo umanamente: entrambe erano
sposate ad un concetto di salvezza radicalmente legalista. Non fu un incidente della
storia, ma la certa Apocalisse della sua relazione, che l’organizzazione che meglio
perpetua la dottrina farisaica chiami se stessa Chiesa Cattolica Romana, sostenendo,
come i farisei, la salvezza per opere, opere di supererogazione (fare di più di quello
che è richiesto), i meriti dei santi (o con i Giudei, di Abrahamo), ecc.
1. “Al tempo della fine,” il re del Sud, l’Egitto, attaccherà la potenza del quarto
impero, ed anche il re del Nord, Siria lo farà, con il Nord trionfante
nell’impero.
2. Egli trionferà anche sul paese glorioso (la Delizia) (la chiesa, o popolo scelto di
Dio) e lo assorbirà.
3. Quelli relativi, connessi, contigui ad Israele, Edom, Moab e Ammon, saranno
risparmiati.
4. Questa rinnovata potenza conquisterà anche l’Egitto.
5. Di là partirà per vincere e sopraffare ogni ribellione ed opposizione.
6. Il suo quartier generale sarà posto a metà strada tra il mare e il monte, cioè il
tempio.
All’inizio di questa visione, fu detto chiaramente che essa era per “gli ultimi giorni”
e “per molti giorni” (10:14)1. Così, mentre tratta del tempo da Daniele ad Antiochio,
il punto focale è chiaramente l’era cristiana. L’espressione “ultimi tempi
(posteriori)” è applicata dal Nuovo Testamento al tempo tra il primo ed il secondo
avvento (1 Tim.4:1). “ultimi giorni” è anche frequentemente usato (Atti 2:17; 2Tim.
3:1;Eb.1:2; 2Pt.3:3 ecc), anche “ultimi tempi” (1Pt. 1:20), e Giovanni ci dice due
volte in un solo verso che “è l’ultima ora” (1Gv. 2:18; cf. Giuda. 18). La monotonia
della storia di Daniele 11: 2-35 è la monotonia della ciclicità orientale. La nota di
progresso nel male viene introdotta da Roma, col suo concetto legalista di salvezza
per mezzo della legge civile, e poi dal risveglio del concetto bastardo Ellenico-
Orientale di unità organica, che invade la chiesa dal mondo civile e crea un prevalere
della propria fede sincretista. Lo stato organico non è stato privo dei suoi trionfi
nell’area politica. L’Heghelianesimo lo ha sicuramente fatto avanzare nel mondo
1
(Quei Giorni Diodati; Molti giorni K.J.)
1
Commentario, ad. loc.
2
H. Deane, in Ellicott: Commentary on the Whole Bible, vol. V; Grand Rapids: Zondervan, p. 400, e Young:
Commentario, ad loc.
APOCALISSE
Apocalisse 1
L’Esodo Maggiore
1
Riguardo alla frase: “che devono accadere rapidamente”, 1:1 Alford osservò: “Questa espressione non deve essere
forzata a significare che gli eventi della profezia dell’Apocalisse dovessero avvenire a breve poiché abbiamo una chiave
del suo significato in Luca 18:8(vecchia Diodati), dove nostro Signore dice:”E Iddio non vendicherà egli i suoi eletti, i
quali giorno e notte gridano a lui; benché sia lento ad adirarsi per loro? Certo, io vi dico, che tosto li vendicherà”, dove
è evidentemente implicato un lungo ritardo…siamo indirizzati allo stesso senso del tosto come in Luca 18, sopra, e
cioè, al rapidamente di Dio, benché egli sembri tardare”. Henry Alford, The New Testament for English Readers
(Chicago, Moody Press), 1781.
Genesi Apocalisse
Paradiso perduto Paradiso riguadagnato
Creazione del cielo e della terra Nuovi cieli e nuova terra
L’entrata della maledizione: il Non ci sono più la maledizione, il peccato
peccato, La tristezza, il dolore, la morte.
la tristezza, la sofferenza e la morte. L’albero della vita restituito
L’albero della vita protetto. Un puro fiume d’acqua della vita
Quattro fiumi bagnano il giardino La comunione restituita
La comunione distrutta Il lavoro benedetto
Il lavoro maledetto L’uomo in pace con la natura
L’uomo in disarmonia con la natura
Ancora, Apocalisse, col suo estensivo echeggiare l’Esodo, non solo nelle
piaghe sull’Egitto, il Nome di Dio, la liberazione dall’Egitto ed il rovesciamento di
nemici nella cura miracolosa e possente nel deserto, ma anche in molti dettagli di
passaggio, invita ad un paragone con l’Esodo. Secondo Luca 9:31, Mosè ed Elia, sul
monte della trasfigurazione, parlarono a Gesù “del Suo decesso che doveva compiere
a Gerusalemme”, la parola decesso o dipartita traduce exodous dal testo Greco. La
morte di Gesù era così il vero esodo del popolo di Dio dalla schiavitù alla libertà, dal
peccato e la morte alla giustizia e alla vita in Lui. Ebrei 9:15-23 rende chiaro che “la
morte del testatore”, Gesù Cristo rese legge il testamento ed aprì l’eredità promessa e
mostrata in ombre nell’Antico Patto per il popolo del Nuovo. Perciò le benedizioni
materiali e spirituali promesse nell’antico Patto cominciarono ad entrare in piena
applicazione per mezzo della morte di Gesù Cristo.
Esodo 3:14 è echeggiato in Apocalisse 1:4 e 8. Il nome di Dio, IO SONO
COLUI CHE SONO, è basilare alla dichiarazione: “Io sono l’Alfa e L’Omega dice il
Signore che è, che era e che viene, l’Onnipotente”. Di nuovo, Apocalisse 1:6
Venga il Tuo Regno 75
echeggia Esodo 19:6, la promessa di Dio che il Suo popolo sarebbe stato “un regno di
sacerdoti, e una nazione santa”, viene ora adempiuto nella vera chiesa e ancor più
largamente nel regno di Dio. Questo ricordare l’adempimento è una promessa di cose
ancor maggiori a venire in breve. Il Sabato, comandato in Esodo quale giorno di
commemorazione della redenzione dall’Egitto e dunque quale giorno di adorazione, è
ora adempiuto in Cristo, il vero Redentore, cosicché l’adorazione ora è nel giorno
della resurrezione “il giorno del Signore” (Riv 1:10-13,20). La sua apparizione è di
fuoco consumante, ed Egli è, come in Egitto, foriero di piaghe sui nemici di Dio e del
suo popolo. I candelabri d’oro si vedono per la prima volta in Esodo 25:37, e si fa
allusione alle piaghe in Apocalisse 1:7.
C’è un ulteriore echeggiare sia di Esodo sia di Matteo nelle beatitudini di
Apocalisse. La Legge fu data per la prima volta in Esodo, Gesù Cristo, in qualità del
vero datore della legge, deliberatamente pronunciò l’adempimento di quella legge in
Se Stesso nel Sermone sul Monte, essendo la legge ora, per coloro che sono in Lui,
non una maledizione, ma la promessa e fondamento di vita, una trasformazione che
comincia con le beatitudini (Mt. 5:1-12). Per dichiarare enfaticamente questa
promessa di vita, e le condizioni del suo adempimento, sette (il numero della
pienezza) beatitudini vengono pronunciate sui fedeli, mentre la maledizione della
legge (Deut.28:15-68) viene scatenata contro gli empi quando le sette coppe d’ira
vengono riversate sulla terra (Riv. 16:1). Le sette beatitudini di Apocalisse sono:
3 Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e
serbano le cose che vi sono scritte, perché il tempo è vicino.
14:13 Poi udii dal cielo una voce che mi diceva: «Scrivi: Beati i morti che d'ora
in avanti muoiono nel Signore; sí, dice lo Spirito, affinché si riposino dalle loro
fatiche, perché le loro opere li seguono».
16:15 «Ecco, io vengo come un ladro; beato chi veglia e custodisce le sue vesti
per non andare nudo e non lasciar cosí vedere la sua vergogna».
19:9 Quindi mi disse: «Scrivi: Beati coloro che sono invitati alla cena delle
nozze dell'Agnello». Mi disse ancora: «Queste sono le veraci parole di Dio».
20:6 Beato e santo è colui che ha parte alla prima risurrezione. Su di loro non
ha potestà la seconda morte, ma essi saranno sacerdoti di Dio e di Cristo e
regneranno con lui mille anni.
22:7 Ecco, io vengo presto; beato chi custodisce le parole della profezia di
questo libro».
22:14 Beati coloro che adempiono i suoi comandamenti per avere diritto
all'albero della vita, e per entrare per le porte nella città.
1. il tempo è vicino.
2. Gesù Cristo è il dominatore dei re della terra.
3. Egli è l’Alfa e l’Omega.
4. Egli tiene la chiesa e i credenti nelle sue mani.
5. Dio, il Dio Trino è sovrano.
6. Cristo è l’eterno Dio il Figlio.
7. L’essenza della chiesa è la sua fede in Cristo; essa è il vero Israele di Dio,
include i santi delle epoche del vecchio e del Nuovo Testamento.
8. Il mondo non è una scampagnata ma un campo di battaglia, uno comunque
di certa vittoria.
9. Nel mezzo di tutto il combattimento, la chiesa canterà “nuovi cantici” al
Signore, “un termine del Vecchio Testamento per inni di ringraziamento
resi espressamente per misericordie inaspettate” (Thomas Scott).
Apocalisse 2:1-7
Falsa santità
Apocalisse nella sua interezza è una lettera aperta e “la Apocalisse di Gesù
Cristo” (1:1), il quale dichiara: “Io, Gesú, ho mandato il mio angelo per testimoniarvi
Venga il Tuo Regno 79
queste cose nelle chiese” (22:16). Non c’è dunque da meravigliarsi che Giovanni,
quale scriba (1:4) abbia parlato, come ha notato Ramsay, “col tono dell’assoluta
autorità. Egli spinge questo tono all’estremo, molto al di la perfino di quello degli
altri apostoli, Paolo e Pietro, nello scrivere alle chiese dell’Asia”. 1 Gesù Cristo parla
alla chiesa del tempo di Giovanni e di tutti i tempi con autorità assoluta e in modo
definitivo.
Apocalisse 2 e 3 sono perciò lettere dentro una lettera, delle parentesi,
affermazioni particolari a certi tipi di chiese di tutti i tempi, mentre il resto del libro è
indirizzato apertamente a tutte le chiese. La forma dell’indirizzo è particolarmente
rivelante: “All’angelo della chiesa di Efeso, scrivi…” Il commento di Ramsay
riguardo sia all’ “angelo” che alla “stella” sono particolarmente pertinenti:
Perciò la stella e l’angelo, di cui la stella è il simbolo, sono gli stati intermedi
tra Cristo e la Sua chiesa col suo candelabro che risplende nel mondo. Questo
simbolismo fu preso in prestito da san Giovanni dalle forme di espressione
tradizionali nelle teorie riguardanti la natura Divina e la sua relazione col
mondo.
1
W.M. Ramsay, The Letters to the Seven Churches of Asia And Their Place in the Plan of the Apocalipse New York:
Doran, 1904; p. 79s.
2
Ibid, p 67-69.
1. In una forma c’è una triplice divisione: ombra – immagine - corpo. Così, in
Ebrei 10:1, la legge del Vecchio Testamento “avendo solo l'ombra dei beni futuri e
non l’ immagine stessa delle cose”(V.D.), la quale, immagine, compare con Cristo, il
corpo della legge è nel Dio Trino. Similmente, in Ebrei 8:5, il sacerdozio del Vecchio
Testamento fu un ombra e il “tanto più eccellente ministerio” nel “vero tabernacolo”
“nei cieli” (Eb. 8:1-2,6) è il corpo. In questo senso la tipologia vede l’ombra nel
Vecchio testamento, l’ immagine nel Nuovo, e la sostanza o corpo in Dio.
2. Poi, c’è tipo e antitipo, dove l’antitipo è ciò che il tipo prefigura. In questo
senso il tipo dell’Antico Testamento è una figura o parabola della realtà che compare
nel Nuovo Testamento (Eb. 9:8-9)
3. L’enfasi principale, comunque, può cadere nel fatto dell’Antico Testamento.
Così Melchisedek è il modello o realtà, Cristo la copia, “secondo l’ordine di
Melchisedek” (6:20). Ad ogni modo, questa stessa immagine diviene alterata quando
leggiamo che Melchisedek fu “fatto simile al figlio di Dio” (7:3), col Figlio che
diventa il tipo, e Melchisedek l’ antitipo.
In questa frase viene usato Kratein, non col genitivo usuale, ma col molto più
inusuale accusativo. Il significato è che Gesù Cristo tiene la totalità della
chiesa nella sua mano. Non è una chiesa qualsiasi ad appartenere
1
Ibid, p. 41
2
Vedi Martin Rist, op. cit.. p. 382
Inoltre, egli cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro. Ciò equivale a dire
che la presenza del Cristo risorto è in ogni chiesa. La sua presenza e la sua
potenza non sono confinate ad una singola chiesa; egli è lì nel mezzo di loro
tutte.1
1
William Barclay, Letters to the Seven Churches,New York: Abingdon, 1957. p. 19
2
Ethelbert Stauffer, NewTestament Theology,New York, Macmillan, 1956; 248
3
Barclay, Op. Cit., p. 19s.
Le città e le chiese di Apocalisse 2 e 3 sono allo stesso modo tipiche nel loro
significato e devono essere comprese solamente nella loro piena portata, non come
istituzioni limitate e ristrette, e le lettere di Apocalisse devono essere comprese nella
stessa maniera.
2. “Una pietruzza bianca, e sulla pietruzza sta scritto un nuovo nome che nessuno
conosce, se non colui che lo riceve”. La pietruzza bianca ha una varietà di
significati nell’impero Generalmente era un cubo o un rettangolo di pietra o di
avorio. Era simbolo di vittoria, o anche di assoluzione,e ancora anche un biglietto
gratuito per cibo o divertimento. Questi ed altri significati sono tutti suggeribili in
questo contesto. Anche il nome nuovo era compreso nell’impero come riferimento
all’imperatore e al suo titolo nell’assunzione del potere. Con Antipa, che fu
chiamato da Cristo “il mio fedele martire”, Gesù cristo gli diede nientemeno che il
proprio titolo. In Apocalisse 1:5 Gesù Cristo stesso è chiamato il fedele “martus”,
e questo è proprio il titolo che Egli diede ad Antipa.1 Così, il nome imperiale di
1
Barclay, op. cit.,p.50
Sarebbe bene notare che queste lettere sono delle chiamate alla battaglia, non
solo nella loro terminologia tecnica militare, ma anche nella loro diretta dichiarazione
di odio e guerra sia verso il nemico sia verso chi compromette. Davide poteva
dichiarare: “Benedetto sia l'Eterno, la mia rocca, che ammaestra le mie mani alla
guerra e le mie dita alla battaglia”(Sal. 144:1; Cf. Sal. 18:34). Guerra e conflitto in
qualsiasi senso sono sia un prodotto del mondo decaduto sia una sua necessità. La
capacità di combattere viene persa dove sia perso il significato, dove il male divenga
semplicemente l’altra faccia della realtà, o venga relativizzato. Come ha osservato
Robert Rendall: “Perché ripudiare il male se esso è parte della realtà ultima?”1 Roma,
con la propria fede, si era ritirata da quel conflitto basilare ed era capace solo di
opporsi a coloro che disturbavano la sua morte ordinata, con suggerimenti di vita. Se
il male il principio ultimo delle cose quanto la giustizia, allora la morte è il principio
ultimo quanto la vita, e possibilmente più basilare, poiché più prevalente. Lo
stoicismo avrebbe presto affermato questo regno della morte, e il suicidio sarebbe
presto divenuto quasi una virtù. La lotta basilare della chiesa, perciò, doveva essere
con se stessa. Le lettere furono scritte con in mente questo. Oggi, come allora, bene e
male, vita e morte, tutte le cose sono infatti ugualmente ultimative per l’uomo, il
quale rimane quindi sempre più snervato da ogni accenno di guerra. Contro cosa può
guerreggiare, e dov’è il suo nemico? La prospettiva moderna post-Darwiniana è
sempre più incapace di fare guerra alcuna eccetto la guerra totale contro tutte le
cose. O tutto viene condonato, o tutte le cose vengono selvaggiamente disprezzate e
pestate sotto i piedi. Il risultato in entrambi i casi è la morte. La lotta basilare della
chiesa è di nuovo con se stessa, e contro il compromesso.
Quando gli uomini eguagliano il bene e il male, sperano con Adamo di aprire
una maggiore libertà all’uomo, e di rendere la vita più ricca nella sue possibilità e
nelle sue attualità. Ma la relativizzazione è una spada a due tagli, anziché diventare
più ricca con il rovesciamento della legge morale, la vita ne viene degradata allo
stesso livello della morte e niente di più. Nietzsche comprese le conseguenze della
sua vantata libertà e crollò sotto il suo peso. Dewey non potè spiegare perché, avendo
relativizzato tutte le cose, la democrazia avrebbe dovuto avere un valore speciale, o
perché la libertà e la dignità dell’uomo dovessero avere valore. L’anarchia dei valori
conduce solamente ad un frenetico odio verso ogni realtà e alla guerra contro di essa,
poiché la realtà è divenuta l’epitome delle tenebre col suo assorbimento livellante di
tutti i significati. In questa triste equalizzazione, la teologia della chiesa moderna ha
avuto una non piccola parte.
Il progressivo scetticismo religioso dell’Impero Romano non ridusse la sua
natura religiosa ma piuttosto l’intensificò. L’uomo insiste sempre e cerca salvezza, se
non da Dio, allora dallo stato, o da qualche altra agenzia che egli divinizza. La
secolarizzazione della vita contemporanea è caratterizzata dalla crescita dello stato
come ordinamento messianico. La frenesia dei risvegli e delle esperienze religiose
1
Robert Rendall, History, prophecy and God, London Paternoster, 1954, p.47.
Apocalisse 2:18-3:6
Morte e continuità
Tiatira, una città molto antica, era una città garitta o sentinella per Pergamo e
un importante centro commerciale. La sua locazione era scadente da una prospettiva
militare ma importante dal punto di vista commerciale. La sua religione rifletteva il
suo carattere cosmopolita, nel fatto che era completamente sincretista. Il significato
tipologico di Tiatira è facilmente visibile nella sua vita economica: “si conoscono più
associazioni di commercio in Tiatira che in qualsiasi altra città Asiatica”.1Questo, il
fattore più importante nella vita di Tiatira, era più di un fattore economico: aveva un
significato religioso. Certamente, la vita delle associazioni implicava sia adorazione,
1
Ramsay, op. cit., p. 324
Il peccato della chiesa era dunque strettamente collegato con le sue virtù. Le “opere”
o virtù della chiesa sono chiaramente descritte “Il tuo amore, la tua fede, il tuo
servizio e la tua costanza, e so che le tue ultime opere sono piú numerose delle
prime” (2:19). Qual’era dunque il loro peccato? Il nome “Iezabel” è una chiara
indicazione della sua natura. Sicuramente a regina Jezebel non si può associare
alcuna immoralità sessuale; piuttosto ella si dedicò al progresso di un marito indeciso
e alla gloria del suo regno. Perfino la morte di Naboth (1Re 21:7-13) fu intrapresa al
posto di suo marito. Il suo odio per Elia e i suoi aderenti era basato sulla premessa
1
Ibid, 336.
Questa realtà, comunque, può essere riconosciuta solo dai viventi, dai
rigenerati in Cristo. Perciò. “Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese”
(2:29).
La lettera a Sardi è seconda in asprezza solo a quella di Laodicea.
La storia di Sardi è antica. Un tempo capitale della Lidia, il suo nome richiama
echi di re Creso e di ricchezze inenarrabili. Era uno dei grandi centri di scambi
commerciali del mondo ed anche una grande fortezza naturale. Il sinistro
avvertimento “sii vigilante” (3:2) echeggia un fatto ironico nella storia di Sardi. La
sua apparentemente imprendibile fortezza ere caduta ripetutamente a motivo di una
senso di sicurezza spaventosamente eccessivo. Poiché Sardi poteva essere così
facilmente difesa, e attaccata solamente con una grande e impossibile differenza di
mezzi, gli abitanti di Sardi erano negligenti. Ma nessun nemico annunciò mai il suo
arrivo: improvvisi attacchi presero la confidente Sardi di sorpresa più di una volta.
Ramsay la chiamò perciò la “città fallimentare”. Proprio come Sardi era negligente
nella sua guardia, anche la chiesa era a proprio agio col mondo. Gesù avvertì la
chiesa che, proprio come il nemico aveva preso la città inaspettatamente, come un
ladro nella notte, così egli avrebbe fatto venire su di loro il suo giudizio,
inaspettatamente e li avrebbe derubati della loro falsa sicurezza.
1
Rist. op. cit. ,p.390.
Apocalisse 3:7-22
Fede o sintesi
1
W. Boyd Carpenter, op. cit., p. 550; vedi anche Giovanni 16:8.
1
Rist, op. cit., p. 401.
2
R.C.H.Lensky, Interpretation of Saint John’s Revelation (Columbus, Ohio. Wartburg, 1943), p. 171. Harry Buis, The
Book of Revelation,(Philadelphia, Presbyterian and reformed, 1960, p.27.
I ventiquattro troni per gli anziani erano posti secondo il modello del sinedrio a
semicerchio intorno al trono. Questi anziani rappresentano la Chiesa che siede
in governo o giudizio sugli uomini e la storia (Luca 22:30; Riv. 3:21). Il
fenomeno fisico che procede dal trono esprime il potere di Dio e la Sua
Maestà (Es. 19:16ss). Le sette lampade ardenti qui stanno per lo Spirito di Dio,
com’era per il candelabro a sette braccia del tabernacolo (Zac. 4:2ss) Il mare è
la conca-lavabo di quest’ultimo (Es.30:17ss) un simbolo di quella purezza
senza la quale l’uomo non può avvicinarsi a Dio. Le quattro creature
rappresentano tutta la creazione e i loro occhi l’intima conoscenza di Dio di
tutte le sue opere. (Ez. 1:5ss).1
“Anziano” è un termine del Nuovo testamento per il ministerio di Dio e qui tipifica il
popolo messianico di entrambe le dispensazioni, quella vecchia e quella nuova, la
pienezza del popolo di Dio lo glorifica e regna con Lui. Gli anziani “sono vestiti di
candide vesti”, nella giustizia di Cristo. Gli “esseri viventi” (Ez. 1:5) sono chiamati in
Ezechiele 10 cherubini. I lampi che procedevano dal trono sono la giustizia e il
giudizio di dio, mentre illumina le tenebre della storia, puliscono l’aria, e portano
nuova e fresca potenza alla terra.
Il “mare” di cristallo è un punto in cui le opinioni differiscono. Alcuni, con
Bowman, fanno riferimento a 1Re 7:23, al lavabo usato per la purificazione
cerimoniale e chiamato “mare di metallo fuso”. Altri fanno riferimento a Isaia 57:20:
“ma gli empi sono come il mare agitato”, o, in senso più generale al mondo o
creazione. In Apocalisse 13:1, la bestia sale dal mare, ovvero dalla creazione; la
nuova creazione significa che la vecchia passa via: “e il mare non c’era più” (21:1).
Dall’altro lato, il mare viene associato col “mare di metallo fuso”, il lavabo, in 15:2
“un mare di vetro misto a fuoco”. Inoltre, il lavabo stesso rimanda al mondo, alla
creazione e alla futilità del cosmo. Il “mare” nel pensiero Mesopotamico (apsu) è un
termine usato sia per il catino dell’acqua santa del tempio sia per le riserve d’acqua
dolce sotterranee, fonte di vita e di fertilità. Questo è il mare cosmico, e, nel suo stare
davanti al Trono, rappresenta la creazione sotto l’assoluta autorità ed il governo del
Creatore. È anche il necessario corollario dell’altare. La salvezza è attraverso il
sacrificio dell’espiazione, attraverso Gesù Cristo, ma il lavacro cerimoniale al mare è
indicativo della presupposizione della rigenerazione, il riconoscimento della
creaturalità e la rinuncia alla tentazione di Satana e al peccato originale dell’uomo, il
suo desiderio di essere come Dio (Gen 3:5). Nella salvezza, quelli che una volta
avrebbero voluto essere dei, accettano gioiosamente il loro statuto di creature, quali
uomini in e sotto il perfetto Adamo, Gesù Cristo, cosicché la rigenerazione implica il
battesimo dentro l’umanità, la nuova umanità di Gesù, “l’ultimo Adamo” (1Cor.
15:45), e la rinuncia al proprio piano di salvezza apostata, l’auto deificazione. Il
1
John Wick Bowman, The Drama of the Book of Revelation, Philadelphia, Westminster, 1955, p.43.
Inoltre, come hanno indicato Beasley-Murray: “L’inno dei cherubini implica che la
certezza del futuro trionfo di Dio è radicato nella Sua stessa natura, il Signore, che è
santo e onnipotente, deve venire”.2 I cherubini, con la loro varia natura, riassumono la
creazione uomo incluso e la tipificano. Questa creazione, che geme ed è in travaglio
sotto la caduta, guarda alla gloriosa redenzione in Cristo per il suo adempimento
(Rom. 8:18-23). L’intera creazione, essendo stata creata da Dio per il proprio piacere
(4:11) trova la propria salute, piacere ed essere solo nel glorificare e servire Dio. La
sua libertà è nella creaturale sottomissione, e le sua gloria è inseparabile dal suo
destino in Cristo.
In questo modo la chiesa ed il cristiano trovano la propria identità e adempiono
la propria natura in sottomissione (gettando davanti al trono le loro corone) e
1
Thomas F. Torrance, The Apocalipse Today,Grand Rapids, EErdmans, 1959, p.32
2
G.R. Beasley-Murray, “Revelation” in F Davidson, A.M.Stibbs, E.F. Kevan The New Bible Commentary, Grand
Rapids Eerdmans, 1953, p.1177.
Apocalisse 5
Testamento ed Esecutore
Al centro della dottrina biblica della storia stanno due importanti fattori,
entrambi manifestati nelle loro reciproca relazione in Apocalisse 5; il primo è il libro,
o rotolo, il secondo, Gesù Cristo, il leone della Tribù di Giuda, l’Agnello di Dio.
Gesù è l’Agnello di Dio rispettivamente al Suo ruolo sacrificale, non è una
descrizione della Sua natura, come vorrebbe il sentimentale Arminianesimo, col suo
Gesù “mite e mansueto” come un agnello. Nella Sua natura, Gesù è il Leone della
Tribù di Giuda, il governatore autoritativo e sicuro di Se.
Il libro, o rotolo è “sigillato con sette sigilli”. Questo indica immediatamente la
natura del libro. Il problema centrale, comunque, non è tanto il contenuto del libro,
benché questo dovrà essere rivelato dalla sua apertura, ma chi sia capace di aprirlo. Il
libro viene allungato alla chiesa: i ventiquattro anziani, da Dio, dalla Sua mano
destra. È il Suo dono per loro. La mano destra è la mano dell’azione, potenza e
benedizione: tutto questo viene offerto alla chiesa. Il libro è scritto dappertutto
Adamo aveva perso la sua eredità, e venduto la sua razza alla schiavitù del
peccato. Gesù prese su di se carne e sangue, diventando così il parente più
stretto di Giudei e Gentili, pagò il prezzo e riscattò i prigionieri. A tempo
determinato farà vendetta su satana, il grande nemico del Suo popolo. (Riv.
20:1-3) 2
In questo modo Gesù entra nella storia come il nostro parente più stretto per
redimerci dal potere del peccato e della morte e per restituirci il paradiso, il regno di
Dio. La nostra salvezza non è meramente negativa, ma positiva, non solamente dal
peccato e dalla morte, ma dentro alla giustizia, santità, conoscenza e dominio nel Suo
regno eterno, ricreandoci a Sua immagine e ristabilendoci nella nostra chiamata quali
re, sacerdoti e profeti di Dio l’Onnipotente. Questo è lo scopo di Dio dichiarato
dall’inizio, fatto conoscere all’uomo per la Apocalisse della sua parola. Come Dio
disse ad Abrahamo, che chiamò nei termini del familiare-redentore e dell’umanità
redenta: “Celerò io ad Abrahamo quello che sto per fare poiché Abrahamo deve
diventare una nazione grande e potente e in lui saranno benedette tutte le nazioni
della terra?” (Gen. 18:17-18).
Gesù Cristo, il nostro parente più stretto, ci redime con la sua opera espiatoria
sulla croce. Il mediatore è così investito con l’ufficio di Re sull’universo (Riv.5:7-
14).3 È visto come l’uomo-Dio, il Leone della tribù di Giuda, ed erede del trono di
1
M.M.B. ,Revelation , Vol. I., Pittsbourgh: Silver Publishimg Co., n.d., p.62
2
Ibid. ,p. 62s.
3
Si veda W. Hendriksen, More Than Conquerors, Grand rapids
1. Il primo inno dai quattro viventi e dai ventiquattro anziani. La chiesa, tipizzata
negli anziani, è la chiesa di tutti i tempi, non quelli in cielo, ma quelli in terra, i quali
offrono “turiboli d’oro pieni di profumi” o incenso, le preghiere dei santi (Sl. 141:2)
adempiendo in questo modo alla loro chiamata quali sacerdoti in Cristo. Cantano un
“cantico nuovo”, cioè un cantico di gratitudine per una nuova, inattesa e immeritata
benedizione. Il loro è un inno di gioia per la redenzione, una redenzione universale
che chiama gli eletti da ogni “tribù, lingua, popolo e nazione” per essere “fatti a Dio
re e sacerdoti e regneranno sulla terra” La Luzzi Riveduta dice: “Ne hai fatto per il
nostro Dio un regno e de’ sacerdoti, e regneranno sulla terra”(5:8-10). La chiesa
regna oggi in Cristo perché Egli governa e revoca in tutte le cose per la sua totale
provvidenza e fa in modo che perfino l’ira degli uomini gli da gloria (Sl. 76:1).
2. Nel secondo inno (5:11-12), l’esercito celeste canta le lodi dell’Agnello e il Suo
essere degno, poiché “fu ucciso, di ricevere potenza”. Il Figlio di Dio morì perché noi
potessimo vivere, e noi a nostra volta dobbiamo morire perché Egli possa vivere in
noi. L’intera creazione trova la propria vera vita e compimento in Lui, cosicché non è
solo l’uomo, ma altrettanto l’esercito del cielo a gioire nella venuta del grande
esecutore e nella restituzione dell’eredità perduta.
Venga il Tuo Regno 112
3. Il terzo inno (5:13-14) è il coro poderoso di tutte le creature di Dio in cielo, terra e
mare. Che lodano l’Agnello “nei secoli dei secoli”. Paolo in Romani 8:20-22 ci da
uno scorcio dalla lode universale a Dio, come pure in Filippesi 2:10s. Questa gioia è
inevitabile “che la creazione stessa venga essa pure liberata dalla servitù della
corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Infatti noi sappiamo
che fino ad ora tutto il mondo creato geme insieme ed è in travaglio” (Rom.8:21-22).
Dinanzi a questa grande redenzione, ci si può solamente aspettare, ed è inevitabile
“che nel nome di Gesú si pieghi ogni ginocchio delle creature (o cose) celesti,
terrestri e sotterranee, e ogni lingua confessi che Gesú Cristo è il Signore, alla gloria
di Dio Padre (Fil 2:10-11).
Apocalisse 6
L’Esecutore e il Patrimonio o Eredità
Abbiamo visto che il rotolo sigillato era un testamento che dichiarava l’eredità
dei santi. Questo testamento fu rilasciato all’uomo da Cristo per mezzo della sua
morte espiatoria e fu aperto all’uomo da Cristo con la Sua resurrezione.
Talvolta, comunque, il proprietario di un’eredità o di una proprietà persa,
rifiuta di lasciare la proprietà o di restituire la persona ridotta in servitù. Alla stessa
maniera, le potenze delle tenebre rifiutano di arrendere il mondo a Cristo il Re o di
restituire i credenti a Dio. Insistono nel cercare di mantenere il titolo su entrambi. La
Città dell’Uomo enfaticamente rifiuta le richieste legali della Città di Dio e rifiuta di
essere spossessata.
L’azione deve essere intrapresa, perciò, al fine di eliminare le potenze delle
tenebre dai possedimenti di Dio. Gesù Cristo quale vero uomo è anche vero erede, e i
suoi santi sono eredi in Lui e per mezzo di Lui.
Questa azione di spossesso del nemico viene intrapresa dal familiare-redentore.
Il libro di Apocalisse ci da la natura di questa azione, sia per quanto incide sul mondo
sia per quel che incide sul cristiano. Parte dell’azione è diretta contro il cristiano
Venga il Tuo Regno 113
stesso, perché ogni credente, in virtù del vecchio Adamo in lui, si attacca, in una certa
misura, alla sua schiavitù e non vuole assumere la piena statura del proprio statuto di
uomo e della libertà in Cristo. Così, l’azione è diretta sia contro le potenze delle
tenebre sia contro il cristiano nella sua partecipazione a quella vecchia umanità.
Nei capitoli seguenti abbiamo tre visioni: sigilli, trombe e turiboli o coppe.
Ciascuna visione ha sette parti, perché ogni visione è data da Dio e completa. Ogni
sette è suddiviso in sei e uno, con l’uno che è finale, il sei che è presente in tutta la
storia. È quindi appariscente che le visioni sono in un certo senso ripetitive, nel fatto
che coprono lo stesso terreno, ma queste visioni sono anche nuove, nel senso che
gettano nuova luce sullo stesso soggetto.
Cristo è l’esecutore dell’assetto familiare, il regno di Dio che Egli ha restituito
all’uomo con la sua opera e per la sua grazia. Quale esecutore Cristo deve spossessare
i falsi eredi, i quali, sotto l’influenza di satana, si sono presi la terra in sfida a Dio e
che dichiarano che il regno è dell’uomo e non di Dio.
Il pieno significato di questa settupla azione non può essere compresa senza
riferirsi alla prima e grande liberazione del suo popolo da parte di Dio, la liberazione
di Israele dall’Egitto. Per effettuare questa liberazione, dieci piaghe contro l’Egitto
furono proclamate da Dio. Le prime tre piaghe colpirono egualmente sia l’Egitto sia
Israele o Goscen entrambi. Le sei che seguirono colpirono solo l’Egitto, benché
attraverso questo processo l’odio dell’Egitto verso Israele si sia solamente
intensificato. La decima piaga fu diretta contro tutti, d’Egitto o d’Israele, che non
fossero sotto il sangue dell’agnello pasquale, il tipo di Cristo. Questa decima piaga
significò che Israele insieme all’Egitto era sotto condanna di morte per i propri
peccati, ma che Dio nella sua misericordia estese la sua grazia e il suo perdono a tutti
quelli che avrebbero trovato rifugio nel sostituto scelto da Dio, nel sacrificio
espiatorio di Dio.
I sette sigilli, trombe e coppe di Apocalisse sono le piaghe di Dio sull’
“Egitto”, sul regno dell’uomo che rivendica la terra come eredità di proprio “diritto”.
I falsi eredi perseguitano e cercano di uccidere i veri eredi. Proprio lo stesso fatto
dell’eredità fa del cristiano il bersaglio dell’odio e dell’ostilità del mondo. Una ricca
eredità, presa illegalmente, non viene facilmente restituita. Le parole espresse
riguardo al Cristo vengono ancora espresse riguardo al suo popolo: “Questo è l’erede,
venite, uccidiamolo, e prendiamoci la sua eredità” (Mt. 21:38).
Contro questi malvagi Cristo intraprende l’azione per spossessarli e per dare il
Suo regno al Suo popolo:
Alla fine dei giudizi dei sigilli Giovanni vede 12000 di Israele e una grande
moltitudine che uomo non può numerare di tra i Gentili. Il familiare-redentore
ha redento il Suo popolo.
Alla fine dei giudizi delle trombe, grandi voci in cielo dicono “ I regni della
terra sono divenuti il regno del Signore e del Suo Cristo”. Il familiare-
redentore prende possesso della sua eredità.
La natura dello spossesso e l’azione dello spossessare, viene indicata in parte nei
seguenti versetti:
V.1. Quando Cristo aprì il testamento, le quattro creature viventi gridarono con voce
di tuono: Venite e vedete. Salmo 47:4 dichiarò del Signore, che “Egli sceglierà per
noi la nostra eredità”. Non solo la nostra eredità è scelta per noi ma anche l’azione di
riprendere la nostra eredità è opera di Cristo.
V.2. Quattro cavalieri emergono dal rotolo sigillato, dal testamento di Dio, e
cavalcano attraverso il teatro della storia. Il primo, incoronato, che uscì fuori
vincitore e per vincere è Gesù Cristo, come esplicita Apocalisse 19:11. Cristo, quale
esecutore avanza in giudizio sui falsi eredi. Tutti quattro i cavalli avanzano
simultaneamente, ma cristo viene citato per primo perché tutti gli altri fatti della
storia sono soggetti a Lui e servono la Sua causa. Non ci sono crudi fatti nella storia,
nessun evento accade senza Cristo o indipendentemente da Lui. Tutti gli eventi
accadono come parte del piano eterno e devono essere interpretati in termini di
Cristo. Ciò è ancor più certamente vero del fatto del giudizio. Così, Cristo è il primo
cavaliere, perché tutto quello che segue, dal secondo al settimo sigillo, può essere
compreso solamente nei termini di Lui. Il Suo scopo e la Sua direzione governano
assolutamente. Gli altri a cavallo e i sigilli rimanenti non sono prima ma dopo di Lui
mentre si muove attraverso la storia quale esecutore della volontà o testamento, per
distruggere il nemico e per scacciare la schiavitù dal suo popolo ad un tempo schiavo.
Cristo non solo sfratta il nemico ma prepara anche il Suo popolo per la libertà.
Vss. 7-8 Il quarto cavaliere è la Morte con Ades, il posto dei morti che cavalca al suo
seguito come suo scudiero. Al seguito della Morte viene la guerra, fame, morte
mediante le fiere della campagna, e desolazione attraverso la guerra. Tutti quattro i
cavalieri cavalcano senza sosta in avanti, lanciati verso l’obbiettivo del loro
guerreggiare, lo spossesso dei falsi eredi.
Vss. 9-11. Il quinto sigillo viene ora aperto. Giovanni ode i martiri per la fede gridare
a Dio “Fino a quando aspetti, o Signore assoluto, che sei il Santo e il Verace, a fare
giustizia del nostro sangue sopra coloro che abitano sulla terra?”1. La parola qui
tradotta “Signore” è la stessa che in Italiano si tradurrebbe “despota” che deriva dal
Greco originale. Dio è il solo vero e genuino despota: i santi gridano contro la
flagrante sfida degli uomini al suo assoluto potere e autorità. Gli viene risposto “che
si riposino ancora per un po’ di tempo” fino a che la pienezza della sofferenza e della
morte fosse compiuta sul popolo del Signore. Furono loro date delle vesti bianche,
cioè furono rivestiti con la giustizia e con la persona di Cristo. Questo, per il
momento, è tutto. I santi sono giustificati, e sono nel processo di essere santificati.
Ma la pienezza dell’eredità deve attendere il tempo di Dio. I santi sono raffigurati
“sotto l’altare”. L’immagine è tratta dal servizio sacrificale del tempio (Es. 40:29); il
sangue delle vittime o degli animali sacrificali essendo raccolto dai sacerdoti viene
versato ai piedi dell’altare. Ogni sofferenza dei cristiani, poiché essi sono in Cristo, è
connessa con la sofferenza espiatoria e la morte di Cristo. Le sofferenze e le morti
espiatorie dei cristiani non hanno significato in se stesse. Paolo parlò di se stesso
come “versato” cioè del suo sangue come un’offerta, in 2 Timoteo 4:6. Il significato è
che il nostro faticare non è invano nel Signore (1 Cor.15:58).
1
Lenski,op. cit. p.231s.
Il grido del mondo: “chi può resistere?” (6:17), è un insistere che nessuno può
resistere nei termini di Dio pretesi ingiusti. Dio incrimina il mondo per la sua
ribellione e processa un mondo che tenta di impossessarsi del regno di Dio nei propri
termini, e il mondo risponde con una contro-incriminazione, un’accusa di ingiustizia
contro Dio. L’esclamazione “chi può resistere?” visto che non è un grido di
pentimento, implica una risoluzione, che i cristiani non possono essere capaci di
rimanere in piedi. Il mondo vuole giustificazione, e vuole giustificare se stesso nei
confronti di Dio dichiarando che il piano di salvezza di Dio e la Sua legge sono
mostruosi e impossibili. Se i cristiani non possono resistere, allora la giustificazione
di Dio è resa nulla e vuota. Perciò la giustificazione viene ricercata nell’abbassare i
santi, proprio come satana cercò di abbassare la posizione di Giosuè davanti a Dio
citando i peccati d’Israele (Zc. 3). Indi, ogni tentativo viene fatto per abbassare il
credente e ridurlo ad un livello più basso dell’uomo apostata, che a quel punto può
giustificare se stesso in paragone ai santi. Ma proprio come Giosuè resistette per la
grazia di Dio, così i santi resistono nella grazia di Dio.
Gli eredi, i santi di Dio, hanno una eredità in Cristo che non può essere
riposseduta senza un devastante scuotimento e distruzione di tutte le cose, e questo
Venga il Tuo Regno 118
scuotimento lascerà scosso perfino il credente. Davanti alla totalità della giustizia di
Dio i re, i grandi, i ricchi, i capitani, uomini valorosi, ed ogni servo e ogni libero si
nascondono terrorizzati gridando: “chi può resistere?” Questa paura trova un’eco
anche nel cuore del credente, e perciò alla chiesa afflitta, perseguitata viene data una
risposta potente.
Nel mezzo del giudizio interviene un’altra visione. I venti del giudizio sono
stati liberati sulla terra; ora Giovanni vede i venti trattenuti e al vento non è permesso
soffiare, finché il Signore non abbia sigillato i suoi (7:1-2) Così, nel mezzo della
bufera e del vento, c’è pace dove il Signore raccoglie i suoi eletti, e il giudizio non
può iniziare finche gli eletti non saranno suggellati.
La parola “sigillo” ha un significato importante nella Bibbia. Un sigillo:
Il sigillo perciò significa che al credente è data l’assicurazione della salvezza ed egli è
eternamente sicuro in Gesù Cristo. È protetto dalle manomissioni e marchiato come
proprietà di Cristo, un vero credente. San Paolo parla anche del sigillo del Dio
vivente che sostiene due dichiarazioni: “Il Signore conosce quelli che sono suoi”, e:
“Si ritragga dall'iniquità chiunque nomina il nome di Cristo” (2 Tim.2:19). Il sigillo
di Dio afferma perciò la grazia della sua elezione e la nostra giustificazione, e
richiede a noi santità di vita e santificazione.
La risposta alla domanda: “chi può resistere” è drastica: i sigillati di Dio. I suoi
santi sono capaci di rimanere in piedi perché la loro forza e la loro sicurezza non si
trovano in se stessi ma nel Signore. Ma se i santi hanno la sicurezza, perché dunque
sono esposti all’ira del mondo, ai dardi infuocati del diavolo, alle tentazioni del
mondo, alla carne (cioè alla natura umana), e al diavolo? Perché l’odio dell’Egitto
cade sui santi di Dio? La risposta è che il concetto di sicurezza di Dio è diverso da
quello dell’uomo. Il concetto del male dell’uomo troppo spesso gravita intorno alla
paura della sconfitta, la tribolazione e la sofferenza. Per il Signore, il vero male è il
peccato e il compromesso col peccato, come rendono chiaro tutte le Scritture. Dio
rende il suo popolo eternamente sicuro dalla distruzione del peccato, e protegge il suo
popolo dall’essere vinto dal peccato. E molto spesso i mezzi per giungere a questa
sicurezza implicano la sconfitta, la tribolazione e la sofferenza.
Apocalisse 7 ci da un quadro della chiesa sigillata nella sua vittoria finale. In
Apocalisse 21 ci viene mostrata Gerusalemme, raffigurata simbolicamente come un
cubo perfetto, il simbolo della perfezione. Gerusalemme ha dodici porte, dodici
fondamenti, le mura sono 144 cubiti in altezza e la popolazione è di 144000. Che
questa sia una figura simbolica 7:9 rende chiaro. Le dodici tribù d’Israele ci danno un
tipo della chiesa intera. Dan, la prima tribù ad introdurre l’idolatria, è lasciata
decadere, e Levi, non avendo più nessuna funzione sacerdotale prende il suo posto
Apocalisse 8
L’Eredità dei Falsi Eredi
Prima che una eredità possa essere ricevuta (o passare di mano), un testamento
verace ed approvato deve uscire, e una volontà o testamento contestato non è un fatto
non comune nella storia legale. La stessa controversia è essenziale alla storia
religiosa: quale “Parola” o testamento costituisce la vera volontà di Dio riguardo
all’eredità dell’uomo? La prima contestazione di questo testamento venne in Eden,
quando Satana dichiarò: “Ha Dio veramente detto?” (Gen. 3:1) Secondo il tentatore,
Dio, come un testatore sciocco e maldestro, aveva bisogno di correzione, e questo
Satana si offerse di fare. La sua versione dei termini del testamento del regno
costituivano la vera luce, la vera giustizia, la vera eredità per l’uomo. Così, nella
tentazione nel deserto, Satana cercò di indirizzare Cristo verso quel “vero” regno, al
suo ruolo di esecutore del “vero” testamento riveduto (corretto) da Satana. Non solo
le false religioni ma anche le eresie all’interno della chiesa sono tentativi di rivedere
la natura di quel testamento e di “correggere” la stupidità di Dio nei termini della
moderna saggezza, o nei termini della consapevolezza dell’uomo autonomo di essere
dio in se stesso. Inoltre, la “correzione” di quel testamento viene pure intrapresa sub-
consciamente dai pretesi difensori delle Scritture quando trascurano il Vecchio
Testamento, o sottovalutano o by-passano segmenti delle Scritture, o semplicemente
relegano qualche dottrina, come la predestinazione, ad un limbo di negligenza o di
1
G.B. Caird, The revelation of Saint John The Divine,New York, Harper and Bros. 1966. p.99s.
1ª tromba: la vegetazione:
2ª tromba: il mare;
1
Thomas F. Torrance: The Apocalypse Today (Grand rapids, EErdmans, 1962)p.60.
Questo mondo viene fatto somigliare all’Egitto, che indurisce il proprio cuore contro
l’Onnipotente e che rifiuta di rilasciare i Suoi santi dalla servitù. L’ira e il giudizio di
Dio perciò discendono sul mondo per distruggere il mondo e per liberare i santi per il
loro esodo verso la terra promessa. Come notò il Caird:
Gioele 2:30 dichiarò che questi segni o meraviglie avrebbero seguito il giorno di
Pentecoste e preceduto la seconda venuta, il grande scuotimento, le convulsioni di
cielo e terra, cioè delle natura e delle nazioni, avrebbe lasciato il mondo in perpetua
crisi ed in continua distruzione. Il mare diventa sangue, un fenomeno naturale che è
avvenuto in aree terremotate, e un segno che ci ricorda la piaga dell’Egitto. Le
sorgenti ed i fiumi sono colpiti e le fonti di salute, gioia, prosperità a di vita sono
prosciugate. La stella Assenzio cade, contaminando le acque. A Mara, durante il
soggiorno dell’Esodo, un albero (o legno) gettato nelle acque amare le addolcì, un
segno di grazia. Ora le acque diventano avvelenate, un segno di giudizio. Le quattro
trombe ci danno una immagine della progressiva disintegrazione della Città
dell’Uomo, nella sua opposizione alla Città di Dio, ed il crescente terrore dell’uomo.
Secondo Barnes: “UNA STELLA è un emblema naturale di un principe, di un
governante, di uno distinto dal rango o dal talento. Vedi Numeri 24:17 e Isaia14:12.
Una stella che cade dal cielo sarebbe il simbolo naturale di uno che ha lasciato una
posizione più alta o di uno il cui carattere e percorso sarebbero come quelli di una
meteora che scheggia attraverso il cielo.2 Il sole, la luna e le stelle tipizzano le
potenze di questa terra. Quando le Scritture parlano della loro caduta e delle tenebre,
dichiara che le potenze che sono vengono scosse o distrutte dal giudizio di Dio.
L’associazione di corpi celesti con potenze terrene è antica. In Genesi troviamo
potenze superiori tipizzate in questo modo, e, quando Giuseppe sognò che corpi
celesti si sarebbero inchinati a lui, suo padre e i suoi fratelli riconobbero che questo
significava che avrebbero dovuto umiliarsi davanti a Giuseppe (Gen. 37:9-11).
Questo procedimento del giudizio è duro e amaro. Ogni giudizio porta con se
grandi ostacoli e distruzione di vite e cuori straziati. La chiesa primitiva si preparò
per la caduta di Gerusalemme, ma non fu facile vedere i loro parenti e gli amici
cadere nel sangue. I Cristiani dell’Impero soffrirono brutalmente sotto Roma, ma
piansero quando Roma cadde, e l’ingresso dei barbari a volte provocò anche il loro
1
Caird, op. cit., p. 115. La restrizione di Caird di questa azione ai giorni di Giovanni, naturalmente non è l’opinione di
questo scrittore.
2
Barnes su 8:10, citato da J.P. Lange, Revelation, Grand Rapids, Zondervan, p.208
1
C.J. Ellicott,Commentary, Vol. VIII, 573.
2
Theo Laetsch,The Minor Prophets,Saint Louis, Concordia, 1956, p. 492.
Quando l’esecutore comincia i Suoi giudizi contro i falsi eredi, contro l’Egitto
spirituale e la Babilonia che tiene in cattività il popolo di Dio, il responso dei falsi
eredi è un contrattacco contro i veri credenti. Ma, come illumina Apocalisse 9, anche
questi attacchi sono all’interno della provvidenza di Dio e parte del suo giudizio del
mondo. Così, lo stesso tentativo del mondo di distruggere la vera chiesa diventa un
elemento nella distruzione della Città dell’Uomo.
In Apocalisse 9, abbiamo la quinta tromba e primo guaio, e la sesta tromba e
secondo guaio. In 9:1-11, la quinta tromba e primo guaio ci viene dato un resoconto
di una stella o potenza caduta dal cielo. Una grande potenza o autorità, o un
governante caduto dall’autorità, è umiliato eppure gli viene data la chiave del “pozzo
dell’abisso”. Questa potenza caduta, satana, rilascia delle piaghe contro l’ordine di
Dio per mezzo della propria autorità ora perversa. Lo scopo della sua azione è di
corrompere gli eredi e di distruggerli. Una piaga di locuste copre la terra per cinque
mesi, la usuale durata della vita di una piaga di locuste, indicando così che il giudizio
coprirà la durata di una vita, forse di una generazione. Questa piaga non può essere
interpretata nei termini fisici di una piaga di locuste, ne di un disastro riguardante la
fornitura di cibo. Le “locuste” non hanno potere di distruggere o far del male a piante
o erba o alberi. Non possono uccidere persone. Le locuste liberate da Satana
colpiscono solamente “gli uomini che non avessero il sigillo di Dio sulla fronte”
(9:4). Questi uomini, i falsi eredi, vengono tormentati tutta la loro vita, cosicché
“cercheranno la morte, ma non la troveranno, desidereranno di morire, ma la morte
Venga il Tuo Regno 125
fuggirà da loro(v.6) Il male realizzato da queste “locuste” è nel reame dello spirito
umano. Le “locuste” escono dal fumo del pozzo, il quale oscura il sole e inquina
l’aria, cioè, annuvola le autorità umane e avvelena la vita della società.
Questa piaga echeggia sia l’ottava piaga dell’Egitto (Es.10:4-15) e Gioele 1:2-
11 e 2:2-11, ma differisce nel fatto che non solo i pii sono risparmiati ma anche la
vita vegetale. In altre parole, il mondo, l’eredità del cristiano, non viene distrutto.
Normalmente, una piaga di locuste spoglia la terra lussureggiante di verde di
ogni cosa che cresca e rende una ricca valle sterile e desolata. La festa diventa fame.
Quando satana libera il peccato sulla terra, sperando con questo di frustrare la
sottomissione dell’uomo al regno di Dio, anziché affliggere gli eredi, affligge solo i
propri seguaci. Proprio come le locuste distruggono la terra, e i fumi sulfurei
oscurano il sole e avvelenano l’aria, così il peccato, e le influenze demoniche
riducono al nulla le ricche promesse di vita e oscurano la luce della vita. I peccatori,
frustrati proprio da quelle stesse cose che portano così tante promesse, trovano le
speranze della vita diventare desolazione. Al posto della voglia di vivere, una suicida
volontà di morte comincia a governare la loro vita.
In 9:1-11 abbiamo un’eco di Luca 10:19. Gesù vide Satana cadere come
folgore dal cielo e dichiarò “Ecco, io vi ho dato il potere di calpestare serpenti e
scorpioni, e su tutta la potenza del nemico, e nulla potrà farvi del male”. Questa non è
una promessa di liberazione dai pericoli, dal dolore o dalla morte, ma è chiaramente
una promessa di vittoria su satana e sul peccato. Gesù aveva dichiarato chiaramente i
problemi della fede “Ora il fratello consegnerà a morte il fratello e il padre il figlio; e
i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. E sarete odiati da tutti a
causa del mio nome; ma chi avrà perseverato fino alla fine, sarà salvato”(Matteo
10:21s). La promessa è chiaramente una di vittoria sul peccato e di preservazione dal
suo potere. In pericolo, nudità e spada, ci viene detto che saremo più che vincitori.
In 9:12-21 abbiamo la sesta tromba, il secondo guaio. Qui ci viene data una
simbolica collocazione geografica. Un grande esercito di cavalieri, di duecento
milioni, si versa attraverso il fiume Eufrate. Essi cavalcano così da Babilonia e
dall’Assiria verso la terra promessa. Questo è chiaramente un esercito mondiale, una
potenza mondiale, che avanza ostilmente verso il regno di Dio, determinata a
distruggere gli eredi e consolidare così il proprio diritto sull’eredità. Il loro scopo è la
distruzione degli eredi, ma invece è “la terza parte degli uomini” (cioè i falsi eredi
vs.15) ad essere uccisa. I cavalli uccidono i falsi eredi, le armi della rivoluzione
sociale scatenate dalla Città dell’Uomo sono distruttive del proprio benessere ed
esistenza. I sopravvissuti di questo giudizio non si pentono, continuano nella loro
idolatria (v.20). Il giudizio di Cristo qui non è correttivo ma è piuttosto vendicativo e
vindice.
Un fatto molto ovvio compare in questo capitolo. Il fiume Eufrate formava il
“limite ideale” della terra promessa (Gen.15:18). Al di la dell’Eufrate c’erano i grandi
nemici del popolo di Dio, Assiria e Babilonia. Il fiume era una grande barriera
naturale, una difesa ed un punto di separazione. Quando suona la sesta tromba, la
barriera scompare. Una caratteristica della storia cristiana compare in questo modo.
C’è un progressivo disintegrarsi della linea fisica di divisione tra la chiesa e il mondo
Venga il Tuo Regno 126
e tra il regno di Dio ed il regno dell’uomo. Il mondo ha sempre cercato di distruggere
i confini tra il popolo di Dio e se stesso, il mondo reclama il diritto totale alla terra e
nega i reclami degli eredi di Cristo. Con il compromesso, la concessione, e
l’invasione il mondo cerca di ridurre il regno di Dio ad una provincia conquistata.
Qui, per permesso di Dio, vediamo che al mondo viene permesso di fare così, e lo
vediamo come parte del giudizio di Dio sul mondo. I mali scatenati dal regno
dell’uomo diventano più potenti degli uomini che li hanno scatenati. Vengono messe
in movimento forze che distruggeranno i loro creatori. Non i cavalieri, ma i cavalli
diventano il terrore. I mali iniziati dai falsi eredi trovano il bersaglio più vulnerabile
proprio nei falsi eredi stessi. Quando la Città dell’Uomo cerca di distruggere la Città
di Dio, distrugge invece se stessa. Il popolo di Dio ha un santuario (rifugio) in Cristo,
ma i cittadini di Babilonia non hanno rifugio. Il tentativo della Città dell’Uomo di
distruggere la Città di Dio diventa il giudizio di Dio sulla Città dell’Uomo e conduce
alla volontà suicida del mondo e alla propria distruzione. In tutto questo, il vero
regno, come Israele in Egitto, rimane protetto e sicuro proprio nelle mani del nemico.
Alcune note su qualcuno dei simboli di questo capitolo sono necessarie. Il re
dell’abisso (v.11) è chiamato in Ebraico “Abbadon” e in Greco “Apollion” che
significa Perdizione. L’effetto basilare della Perdizione è sull’esercito della
Perdizione, cioè, il suo potere ordinato da Dio non può estendersi al di fuori del
proprio dominio (o influenza).
Riguardo a Babilonia Ellicott ha notato:
1
Ellicott,op. cit., vol. VIII, p.578s.
La dimorante gloria di Dio, Gesù Cristo, la colonna e la nuvola del viaggio nel
deserto di Israele, appare ora parzialmente velato da nubi e dal fuoco. Mentre allora
aveva dimorato col Suo piccolo gregge nel deserto, ora, in virtù dell’estensione
mondiale della chiesa, Egli copre terra e mare e adombra il mondo intero.
L’arcobaleno sul suo capo lo rivela essere il principio della pace e il fondamento
dell’Alleanza di Dio con Noè. Nel dominare il mondo intero con le sue dichiarazioni
e promesse pattali, Egli alza la tensione nel mondo e rende il peccato sempre più
volontario, più manifestamente arbitrario, mentre la Sua signoria viene sempre più
asserita e resa manifesta.
Il principio della pace è allo stesso tempo il principio della rottura della pace, e
quindi il principio del giudizio. La pace Romana significava il potere ed il giudizio
Romani. Pace significa il prevalere di un ordine e della tranquillità di quell’ordine.
Gesù Cristo, così, è non solo il principe di pace, ma anche il Signore del giudizio. I
due sono inseparabili. Per poter eliminare il giudizio l’uomo deve necessariamente
eliminare la pace. Odiare il giudizio è odiare la pace, significa la creazione dello
stato perpetuo di guerra quale condizione dell’uomo. I cosiddetti amanti della pace i
quali guerreggiano contro la legge e l’ordine Cristiano cercano non la pace ma
perpetua rivoluzione. Il giudizio esiste solamente come mantenimento dell’ordine. Il
Giudizio Finale, il giudizio totale e assoluto introduce la pace assoluta. Per eliminare
il giudizio è necessario eliminare ogni forma di ordine. Perciò, mentre gli uomini,
religiosamente, socialmente e giuridicamente esorcizzano e cercano di eliminare
l’inferno ed il giudizio, essi ottengono, non la tranquillità e la pace che professano di
Venga il Tuo Regno 128
desiderare, ma proprio quella stessa discesa all’inferno che cercano di evitare, poiché
l’inferno è l’assenza e la negazione di qualsiasi principio di legge ed è il caos della
totale affermazione di volere e di essere. Nella perfezione di Dio, tale totale
affermazione è una inevitabile e necessaria conseguenza del Suo essere. Dio, quale
assoluta santità, giustizia e verità, nella totale affermazione della Sua volontà e del
Suo essere, procede (agisce) nei termini di ciò che Egli è, santità giustizia e verità.
Ma per l’uomo affermare la sua volontà ed il suo essere quali ordine totale e assoluto
è affermare l’inferno. Il continuo tentativo dell’uomo di esorcizzare e di abolire il
giudizio e l’inferno, è dunque parte integrante della sua dichiarazione di essere come
Dio. È la dichiarazione dell’uomo di essere il proprio universo e la propria legge.
Poiché l’uomo è una creatura e sotto la legge, non egli stesso legge, e perché l’uomo
può peccare ed ha peccato contro Dio, l’inferno è una realtà. Se non ci fosse l’inferno
non ci sarebbe l’uomo. Una creazione senza l’inferno è una impossibilità e una
contraddizione. I tentativi dunque di abolire l’inferno ammontano anche tentativi di
abolire l’uomo, di creare un ordine ideale nel quale gli uomini non sono niente altro
che pedine degli scacchi da essere mossi da un gruppo di auto-designati dei, all’uomo
è negato il privilegio di essere uomo, questo è riservato alle nuove divinità
dell’essere.
L’arcobaleno significa il patto di grazia. Cristo appare alla chiesa nella persona
di Giovanni, ma il suo messaggio è per il mondo intero. Egli dichiara (v.2) il Proprio
titolo sul mondo intero piantando un piede infuocato sul mare e un altro sulla terra
mentre torreggia nel cielo. Egli proclama la pienezza del giudizio, i sette tuoni.
Giovanni si affretta a scrivere queste cose, desiderando la fine e la piena liberazione
dei santi. È la fine della storia che Giovanni brama, la grande conclusione
(consumazione). Egli viene trattenuto dalla sua fretta “non scrivere”. Ma, affinché
Giovanni non divenga impaziente ai tempi di Dio, gli viene detto “che non vi sarebbe
più alcun ritardo, ma nei giorni in cui il settimo angelo farà udire la sua voce, quando
egli suonerà la tromba, si compirà il mistero di Dio, secondo quanto Egli ha
annunziato ai suoi servi, i profeti” (vss.6-7). “Che non vi sarebbe più tempo”
(Diodati) significa “non vi sarebbe più alcun ritardo”(Nuova Diodati). L’uomo vede
Dio come ritardare: Dio assicura l’uomo che il tempo del ritardare è passato nella
dispensazione Cristiana.
A Giovanni viene quindi dato un piccolo libro, e gli viene anche chiesto di
mangiarlo. Questo è un simbolo profetico familiare che significa masterizzare le
richieste di Dio nei nostri confronti, digerire il significato della Sua parola, fare del
Suo scopo talmente parte della nostra vita da essere come il cibo assimilato e
divenuto esso stesso vita. A prima vista, la chiamata dell’evangelista Giovanni
sembra essere una chiamata gloriosa e felice, ma gli viene fatto comprendere che essa
implica non solo il dolce ma anche l’amaro, persecuzioni e sofferenze. Tutto ciò era
già stato sperimentato da Giovanni, ed egli lo vede ora come la provvidenza di Dio ed
il prezzo necessario della sua vocazione. Solo coloro i quali fanno della volontà di
Dio parte integrante della loro vita possono conoscere sia la dolcezza che l’amarezza
dell’obbedienza. Ci sono entrambe, e a Giovanni non viene permessa alcuna illusione
riguardo alla sua vocazione. L’eredità è in via di restaurazione, la terra promessa
Venga il Tuo Regno 129
viene reclamata per i santi, ma non senza pretese su di noi. Solo quando Giovanni
accetta entrambi l’amarezza e la dolcezza della sua chiamata può veramente essere
commissionato con potere. “Tu devi profetizzare ancora intorno a molti popoli,
nazioni, lingue e re”(vs. 11). Questo è l’ordine che viene dato a Giovanni come
rappresentante di tutta la chiesa. La nostra potenza come cristiani è nel mangiare il
piccolo libro, nell’accettare la nostra chiamata sia nella sua amarezza sia nella sua
dolcezza.
Come Torrance l’ha abilmente espresso:
Sicuramente c’è qui una domanda che dobbiamo chiedere a noi stessi. Se
non c’è assenzio, siamo veramente in contatto con la Parola di Dio? Se il
nostro messaggio non turba e qualche volta perfino tormenta, non possiamo
domandarci se abbiamo mai veramente mangiato la Parola di Dio? Questo
capitolo ci dice molto chiaramente che non possiamo partecipare alla Parola di
Dio in questo mondo senza amarezza. Perché la Chiesa di Gesù Cristo oggi si
confà così bene con l’ambiente intorno a se? Perché i cristiani vivono vite così
confortevoli e perfino indisturbate in questo mondo malvagio e tumultuoso?
Sicuramente è perché non siamo coerenti con la Parola di Dio.1
1
Thomas F. Torrance,The Apocalipse Today, Grand rapids; EErdmans, 1959;p.70.
1. Il tempio stesso viene misurato, e il cortile dei gentili viene lasciato da misurare o
dato ai gentili da calpestare per quarantadue mesi. Così, la vera chiesa è misurata o
messa da parte dalla protezione di Dio, e i membri non credenti vengono dati alla
distruzione.
2. L’altare dell’incenso viene misurato. L’altare dell’incenso rappresentava la
preghiera d’intercessione. Così, l’intero dominio della preghiera d’intercessione viene
messo da parte. Il suo posto nella provvidenza di Dio è così significativo che la
sicurezza della vera chiesa implica l’intercessione.
3. Poi gli adoratori vengono misurati essi stessi. Non possiamo limitare la misura e
l’estensione della nostra obbedienza e del nostro servizio: Dio stesso ne stabilisce la
misura. La misura della vita dell’uomo è l’opera di Dio.
La preservazione della chiesa attraverso l’era Cristiana fino alla fine, è vista come
una salvezza non “da” prove e sofferenze ma piuttosto “nel mezzo della”
Venga il Tuo Regno 131
tribolazione.1 La salvezza pagana è deux ex machina,(automatica), l’eroe viene
strappato fuori dai guai dagli dei e posto in una situazione di lusso. Così, nell’Iliade,
quando Menelao e Paride combatterono davanti alle mura di Troia, la dea “Afrodite
strappò Paride, molto facilmente come una dea può fare, e lo nascose in fitte tenebre,
e lo pose giù nella sua camera fragrante di profumo”. L’adultero Paride viene così
salvato dall’ira del marito, Menelao, e poi Elena gli viene portata e Paride dichiara:
‘“Io ti ho carpito dall’amabile Liconia e ho navigato con te sulle mia navi di mare, e
nell’isola di Kranae ho avuto rapporto con te nel tuo letto in amore, come ti amo ora e
un dolce desiderio si impadronisce di me ’ Così dicendo prese la via del letto e la
donna lo seguì”.2 In tutte le religioni non cristiane, la salvezza ha questo carattere: è
essenzialmente escapista. È un’evasione dalla vita e dalla responsabilità, una fuga
dalla conseguenza. Ogni indebolimento della dottrina biblica della salvezza, da un
credere nella restaurazione alla responsabilità sotto Dio a una dottrina di fuga dalla
responsabilità, è paganesimo e una perversione delle Scritture.
In 11:1-4, ci viene dato un resoconto dei due testimoni. Originariamente i due
testimoni erano Mosè ed Elia, la legge e i profeti, che tipizzavano il Vecchio
Testamento nella sua pienezza e testimonianza. Le piaghe sull’Egitto sotto Mosè, e la
grande siccità sotto Elia, rende chiara l’identificazione. A loro è data potenza per
quarantadue mesi, 1260 giorni, Essi sono pure i “candelabri” di Dio. La loro
identificazione come due testimoni richiama Deuteronomio 17, e al fatto che nella
legge biblica solo due testimoni danno validità alla prosecuzione. Qui essi tipizzano il
regno di Dio nella sua pienezza, la Gerusalemme che viene dal cielo. Questa
Gerusalemme celeste, il regno di Dio, viene posta in contrasto con quella
Gerusalemme “dove anche il nostro Signore è stato crocefisso”, la quale
“spiritualmente è chiamata Sodoma ed Egitto”(v.8) cioè la Città dell’uomo o Regno
dell’Uomo. La Città dell’Uomo dunque raccoglie in se tutti quelli che si oppongono
alla Città di Dio, e la storica Gerusalemme dei giorni di Cristo viene chiaramente
identificata come parte della Città dell’Uomo. La Gerusalemme celeste, tipizzata dai
suoi due testimoni, sembra piccola al confronto, ma come Mosè ed Elia nell’antichità,
il popolo di Dio, attraverso la preghiera di intercessione e la provvidenza di Dio
hanno il “potere di chiudere il cielo, perché non cada alcuna pioggia nei giorni della
loro profezia, essi hanno pure potestà sulle acque, per convertirle in sangue e per
percuotere la terra con qualunque piaga, ogni volta che vorranno” (v.6). E benché la
Città dell’Uomo si creda vittoriosa sulla Città di Dio, cosicché uccide i santi e lascia
i loro corpi senza sepoltura, il supremo oltraggio per l’uomo, pure il Signore fa
rivivere il Suo popolo con tale grande potenza e allo stesso tempo porta sulla Città
dell’Uomo tali giudizi che gli uomini (v.13) pur senza credere, dicono che queste
cose sono al di sopra dell’uomo e devono provenire da Dio.
Mosè ed Elia, la legge e i profeti, rappresentano il regno di Dio nelle forme
dello stato e della chiesa, o, più generalmente il ministerio della giustizia ed il
ministerio della grazia. Separatamente da questi ministeri, il mondo affronta solo il
1
Bowman, Drama of the Book of Revelation, p.71
2
Omero, Iliade
1. Un misurare della chiesa, cosicché i reali confini del popolo di Dio sono
progressivamente manifestati.
2. I veri santi, i veri eredi del regno, testimonieranno con potenza durante il periodo
dei falsi eredi, quando la salvezza per mezzo della politica sarà prevalente. Contro
l’umanesimo della Città dell’uomo, la Città di Dio proclama la signoria e la regalità
di Cristo.
3. La Città dell’Uomo guerreggerà contro i veri testimoni e li “ucciderà” Crederà di
essere trionfante e si congratulerà della propria vittoria.
4. I testimoni si rialzeranno in potenza, e il giudizio sopraffarà i malvagi mentre il
popolo di Dio trionferà apertamente ed ascenderà al potere attraverso la loro eredità
5. Il regno mondiale di Cristo prevarrà e ci sarà un ordine cristiano su tutta la terra.
C’è un angoscia della Chiesa che Cristo ha posto su di lei. È la legge della sua
vita che ella debba presentare (o far nascere) Cristo al mondo; non è
semplicemente che dovrà affrontare dolore, ma che non può operare
liberazione senza conoscere sofferenza. Questo sentì l’Apostolo: l’amore di
Cristo li costringeva, guai a loro se non avessero predicato l’Evangelo; questa
necessità era posta su di loro; parlarono di se stessi come in travaglio sui loro
figli finché Cristo fosse formato in loro.(Gal.4:8). Questo dunque è il quadro.
La chiesa che adempie il proprio destino anche nel dolore. L’opera era di far
nascere Cristo agli uomini, e di non essere mai soddisfatti finché Cristo non
fosse formato in loro, cioè, finché lo Spirito di Cristo fosse ricevuto, amato e
obbedito, e gli uomini trasformati alla stessa immagine, come per lo Spirito del
1
(Fil.2:12; 1:27-2:14; Mt 6:24; Mt 20:28; Ger. 2:20;2 Cr. 12:8; Es. 9:1;L. 1:74; Lc.16:13; 1Tess. 1:9; Eb. 9:14; Gs.22:5-
6; Rom. 7:6; Eb. 12:28; Riv. 22:3; N.d.T.)
Alla terra e agli abitanti terreni il fiume di delusione vomitato dalla sua bocca
dal diavolo era così benvenuto che fu immediatamente assorbito, mentre la
chiesa sulle sue potenti ali d’aquila vola via così velocemente che queste acque
non la raggiungono. Questo vomito di delusioni è continuo e non limitato ad
alcun tempo o evento particolare nella storia della Chiesa.2
Ancora una volta è chiaro che noi non possiamo forzare la cronologia dentro a
Apocalisse: non abbiamo una sequenza di eventi prima e dopo, ma una descrizione di
eventi o stati di guerra che caratterizzano l’era cristiana.
Il dragone è descritto avere sette teste e dieci corna e sette corone sul suo capo
(v.3). Nella visione di Daniele, le sette teste erano divise tra le quattro bestie, mentre
qui, alla loro sorgente, sono viste in una totale concentrazione del male. I quattro
1
W. Boyd Carpenter, in Ellicott, op .cit., VIII, 591.
a
N.d.T. L’autore qui gioca sulla possibilità nella sua lingua di far risalire “delusion” Delusione a “deluge” diluvio.
2
C.H. Little, Explanation of the Book of Revelation, St Louis Concordia, 1950; p.127s.
1
Harry Buis, The Book of Revelation, Philadelphia, Presbyterian and Reformed Publishing Co., 1960; p.69.
1
J.W.Bowman, Drama of the Book of Revelatio, p.85.
La sezione successiva, versi 11-18 ha a che vedere con la seconda bestia, che questa
volta saliva dalla terra. Per comprendere il suo significato, dobbiamo renderci conto
che i simboli Biblici sono fluidi, non stereotipati; alcuni sostengono che il significato
dei simboli non varia mai. Certamente non è così.. Per esempio, Satana è paragonato
ad un leone (1pt.5:8), e Gesù Cristo è anche paragonato ad un leone (Riv.5:5).
“Colomba” significa “stupida” in Osea 7:11, ma il significato è “inoffensiva” in
Matteo 10:16. “Terra” in Apocalisse 12:16 sta per il mondo non credente perché è
messa in contrasto con la donna, cioè la vera Chiesa. Ma in Apocalisse 13, la terra è
utilizzata in contrasto col mare; così, il mare è il simbolo del mondo non credente, e
la terra qui rappresenta la chiesa non credente. Le due bestie sono perciò lo stato
apostata e la chiesa apostata. La seconda bestia è la falsa religione la quale serve la
cultura umana e il cui messia è la cultura umana piuttosto che Gesù Cristo. È la falsa
religione il cui regno è di questo mondo, la cui salvezza è secolare e sociale. Appare
al mondo come un agnello(v. 11), come una Chiesa Cristiana, ma la sua voce è la
voce del dragone, di Satana. Esercita la propria autorità (v.12) per uno scopo,
subordinare l’uomo alla cultura umana, allo stato, all’umanesimo, e per dirigere le
speranze dell’uomo da Cristo alla società, dalla salvezza attraverso l’espiazione di
Gesù Cristo alla salvezza attraverso l’azione sociale. Per la seconda bestia, il regno di
Dio è questo mondo in tutte le sue speranze e presunzioni umane: è il mondo di
Adamo in rivolta, che tenta di costruire una torre di Babele in opposizione a Dio, un
singolo ordinamento mondiale (New World Order? N.d.T.) senza Dio. E questa bestia
esce dalla chiesa ed è la chiesa apostata.
La seconda bestia, questa falsa religione, la cristianità che è moralista e senza
Cristo, seduce la gente con grandi prodigi ed una tremenda dimostrazione di potere
(vv.13-14). Sembra possedere la potenza di Elia di “far scendere dal cielo fuoco sulla
terra in presenza degli uomini”, cioè di far scendere il giudizio su quelli cui si
oppone, ma il suo potere non è soprannaturale; non è derivato da Dio ma dalla bestia,
dal potere statalista e dalla cultura umana, e il suo obbiettivo non è la gloria di Dio e
la sovranità di Dio, ma che gli abitanti della terra facessero “ Un’immagine alla bestia
che aveva ricevuto la ferita della spada ed era ritornata in vita” (v.14) Ciò si riferisce
all’adorazione della prima bestia, la cultura umana, lo stato. Il nuovo dio della falsa
chiesa è lo stato, col quale è in sodalizio. La falsa bestia, il falso cristianesimo,
1
Alberus Pieters,Studies in the Revelation of St. John (Grand Rapids,Eerrdmans, 1950), p.220.
1
Vedi ad esempio: Oswald J. Smith ; Is the Antichrist at Hand? What of Mussolini? New York. Christian Alliance
Pubblishing Co; 1927, Settima edizione, p.24s “Mussolini può non essere l’Imperatore (la bestia) egli stesso, ma se non
lo è, egli è certamente una rimarchevole anticipazione di quell’uno che la Bibbia dice che regnerà”. Altri furono ancor
più pronti ad identificare Mussolini come la Bestia, ed in ogni generazione tale stupidaggine è stata posta in evidenza.
a
N.d.T. L’autore utilizza un modo di dire anglosassone in rima: “Might is right!”
I suggellati da Dio hanno sofferto: ma hanno fatto qualcosa di più che soffrire?
La loro è stata solo una resistenza passiva al male? Non hanno brandito armi
contro questo avversario, e non hanno usato una contro-influenza per il bene?
Il capitolo davanti a noi risponderà.1
1
W.Boyd Carpenter, in Ellicott,Commentary,V, p.601.
Niebuhr ha colto bene il punto, benché il suo concetto del ruolo della chiesa sia
errato. L’opera della chiesa, che non deve essere identificata col regno di Dio, ma
semplicemente una parte del regno, è di proclamare l’intero consiglio di Dio,
amministrare i sacramenti, e di stabilire la disciplina all’interno della propria cornice
di lavoro. La chiesa deve istruire i propri membri riguardo ad ogni aspetto della
responsabilità cristiana, in ogni sfera di legge e di vita. Ma Niebuhr è nel giusto
quando paragona il ruolo della chiesa pietista a quello della Croce Rossa. Tale
concetto della chiesa visualizza il suo ruolo come quello del grande neutrale sulla
scena umana: questa è una paurosa perversione del ruolo della chiesa, e opera sotto
un’illusione. La Chiesa è nell’esercito di Cristo, e non c’è neutralità in questo stato di
guerra tra Cristo e Satana. Questa guerra è in atto in ogni sfera della vita. Parlando
umanamente la chiesa è il maggior contendente, sul campo di battaglia mondiale, e
non può ritirarsi ai bordi senza concedere la sconfitta ed effettuare la propria
esecuzione. E Cristo non permetterà mai che la sua chiesa faccia questo senza
infliggerle un pauroso giudizio.
Il concetto di neutralità è un concetto inaccettabile in ogni sfera, e certamente
mai così poco appropriato come quando sostenuto dalla chiesa. La chiesa non è
un’organizzazione politica, ma deve istruire gli uomini sui fondamentali di una
politica secondo Dio. Non è un’agenzia di welfare, ma deve insegnare agli uomini il
significato della compassione secondo Dio. Se la chiesa confina i propri insegnamenti
alle questioni spirituali, dovrà ignorare la maggior parte delle Scritture, le quali
parlano delle condizioni dell’uomo in ogni area di vita. La fede cristiana o è rilevante
per tutta la vita o non sarà rilevante a nulla di essa: le pretese di Dio o sono totali, o
Egli non è Dio. Chiedere al cristianesimo di rimanere nel proprio territorio è
chiedergli stare nel tutto della vita. La religione come la Bibbia la concepisce e la
dichiara non ha un dominio separato dal resto della vita. È lo scopo generale e il
significato di tutta la vita in ogni sua sfera. Il cristianesimo non è una religione
escapista. Tutte le altre religioni sono essenzialmente escapiste nella loro prospettiva,
ed abbiamo la paganizzazione della chiesa quando la sua fede viene ridotta ad
escapismo. I pagani vengono alla religione non per meglio affrontare i problemi della
vita, ma per sfuggirli, per evadere dalla lotta. Il compito della chiesa deve essere
quello di sfidare ogni sfera di vita nel nome del Dio sovrano e del Signore Gesù
Cristo. Il Grande Mandato richiede che tutte le nazioni siano fatte discepoli e che
ogni sfera di vita sia portata sotto il dominio di Cristo il Re: tutti i popoli e le nazioni
devono essere fatte udire Cristo il Profeta, e trovano la propria redenzione ed
intercessione in Cristo il sacerdote. Qualsiasi cosa meno che questo è una
deformazione del Vangelo.
Vs. 1-5. Ci viene dato, prima di tutto, un quadro del vero regno sotto l’autorità
del “l’Agnello” (non “un Agnello, come nella King James), proprio Gesù Cristo. Il
2
Reinhold Niebuhr; Leaves from the Notebook of Tamed Cynic (Chicago: Willet, Clark, & Colby, 1929);p.113.
I. Versi 2-4. La visione del mare di “vetro” o meglio trasparente, con i santi in piedi
sulla riva di quel mare che cantano “il cantico di Mosè servo di Dio, e il cantico
dell’Agnello”. Il cantico di Mosè fu composto e cantato quando Israele fu liberato
dall’Egitto, portato attraverso il Mar Rosso, e poi privilegiato di testimoniare lo
spettacolo dei suoi nemici ricoperti dalle acque richiusesi del Mar Rosso. Davanti ad
Israele si stendeva il viaggio nel deserto prima di poter entrare nella Terra Promessa.
Davanti a loro c’erano pure i nemici che sfidavano il loro passaggio. Ma la grande
realtà era la liberazione dalle catene, dalla schiavitù, e l’equipaggiamento con la
gloriosa libertà dei figli di Dio. Essi erano ora una nazione santa, e un real sacerdozio
Venga il Tuo Regno 148
in Dio, la cui presenza marciava con loro e che fece la propria tenda regale al centro
del campo. Ogni riga di questo cantico echeggia i Salmi ed i Profeti. La liberazione
prefigurata nell’Esodo, nel ritorno dalla cattività in Babilonia, in ogni liberazione di
Israele, tutte queste molto di più fu adempiuto sul Calvario nella grande liberazione
che Cristo ha compiuto per la Sua Chiesa nel rovesciare i legami del peccato e della
morte. Questo è il gioioso cantico dei redenti di ogni epoca, e la gioiosa anticipazione
di piena e finale vittoria: “tutte le nazioni verranno e adoreranno davanti a te, perché
i tuoi giudizi sono stati manifestati”. Cristo è Re delle nazioni. Questa è l’aspettativa
(prospettiva) cristiana e deve essere il programma d’azione dei Cristiani: la sovranità
di Cristo su tutte le cose e su tutte le nazioni. Il cantico di liberazione, ai giorni di
Mosè e al giorno d’oggi, è il Cantico dell’Agnello.
Il mare è stato altrove visto come oscuro e agitato, che vomita la bestia e infuria
contro la Chiesa. Ora, visto di nuovo dal trono di Dio, lo vediamo trasparente,
limpido come cristallo. Ancora una volta questo testimonia il glorioso fatto che non
ci sono angoli bui nell’universo di Dio, non ci sono bruti fatti nella creazione. Ogni
fatto è un fatto creato ed ha significato solo alla luce dello scopo creativo di Dio.
Perciò, nessun fatto è un ostacolo per i santi, perché tutti i fatti sono fatti dati da Dio e
devono essere interpretati nei termini della gloria di Dio e della nostra gloria in Lui.
Noi perciò sappiamo che tutte le cose infatti effettivamente operano insieme per il
bene di quelli che amano Dio, a quelli che sono chiamati secondo il Suo
proponimento. (Rom.8:28).
Il Verso 1 parla di “un altro segno”, così chiamato a motivo dei due “segni” che
l’hanno preceduto (Riv 12:1-3). Il primo segno era la donna, o la vera Chiesa di Dio,
e il secondo, il dragone, o Satana e le sue due bestie. Il terzo segno è una visione della
pienezza del giudizio nelle mani dei messaggeri di Dio e la visione del mare
trasparente, il cosmo come completamente trasparente e sottoposto al Dio trino. Il
mare è misto col fuoco, o giudizio.
II. Versi 5-8. La seconda visione è del tabernacolo in cielo. Il vero santuario è
svelato o aperto. Questa apertura del santuario fu compiuta dall’incarnazione,
espiazione e resurrezione: “Il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre, è quel che
l’ha fatto conoscere”(Gv. 1:18). La Luce, la Gloria della Presenza risplende sul
mondo intero, rendendo trasparente il mare o mondo e mettendo a nudo i peccati
delle nazioni. Sette angeli, che rappresentano la pienezza del giudizio, avanzano dal
tempio con “sette coppe piene dell’ira di Dio”. Questi angeli sono “vestiti di lino puro
e risplendente e cinti intorno al petto di cinture d’oro”. Questa descrizione suggerisce
quella di Cristo stesso (1:13) Gli angeli sono vestiti di regale autorità poiché
rappresentano Cristo il Re, infliggono giustizia su coloro che si ribellano contro la
Sua autorità e sovranità, ma adempiono anche al Suo ufficio sacerdotale.
L’intercessione con Dio il Padre risulta in giudizio di Dio sulla storia.
Non si entra nel tempio senza il giudizio. Il giudizio è sempre un aspetto
necessario della salvezza. Aspettarsi che Dio bypassi il giudizio e istituisca una
salvezza priva di esso è pensare in termini pagani.
1
R.C.Lensky, Interpetation of St. John’s Revelation, p.522
2
Martin Rist, Interpreters Bible, Vol. 12, p. 503 s.
Quando nostro Signore cominciò il Suo ministerio, Israele stava aspettando che
iniziasse il millennio. Secondo le aspettative Giudaiche, una grande era messianica
sarebbe stata introdotta con l’anno 5000 e sarebbe durata 1000 anni. Questa sarebbe
stata un’era di supremazia Giudaica e di potenza soprannaturale e di abbondanza.
Secondo l’Apocalisse di Baruc:
La terra produrrà frutto, uno produrrà 10.000, nella vite ci saranno mille tralci,
in ogni tralcio mille grappoli, in ogni grappolo mille acini, e ogni acino darà un
core (150 litri) di vino.
I mille anni derivavano da uno schema per il quale ogni giorno della creazione era
come 1000 anni agli occhi del Signore. Secondo gli studiosi Giudaici di quel tempo,
erano passati 5000 anni e il millennio stava per cominciare. Poiché i primi 1000 anni
erano cominciati con l’anno 1, e continuavano fino all’anno 999, il secondo 1000 era
stato da 1000 a 1999 e così via, cos’ l’anno 5000 segnava l’inizio del sesto millennio,
paragonabile al sesto giorno della creazione. Il millennio, in questa cornice di
pensiero era l’era dell’uomo, e il concetto era umanistico fino al midollo.
A motivo di questa attesa, c’erano molti falsi messia pronti ad approfittare
della febbrile aspettativa. Di qui pure la forte eccitazione quando Giovanni Battista
iniziò il suo ministerio, ed il tremendo entusiasmo popolare per Gesù. Nostro Signore
non fece alcun pubblico ed esplicito riferimento alla propria regalità messianica
proprio per evitare conclusioni sbagliate da parte della popolazione. Egli spese molto
tempo a ridefinire il significato del regno di Dio, non nei termini della speranza
millenarista dei Giudei, ma nei termini del Suo Vangelo e del suo adempimento delle
profezie del Vecchio Testamento. Rifiutò la corona offertagli dopo la prima
miracolosa moltiplicazione dei pani e dei pesci. In tutti i modi, Egli rigettò la
speranza messianica millenarista in favore della fede Biblica, di cui Egli era il
compimento.
L’eco di Salmo 114 è significativo: il Salmo 114 è il primo canto nell’Allel usato
nella festa dei tabernacoli, una festività santa che tipizza la raccolta di tutti i popoli
nel regno di Dio. L’intero procedere del giudizio nella storia e attraverso la storia, e il
giudizio finale, ha questo scopo, e di fronte a tutte le sue difficoltà a volte per i santi,
il loro grido deve essere. “Lode all’Eterno!”.
1
John Wick Bowman, Drama of the Book of Revelation, 143
Apocalisse 21:1-8
Venga il Tuo Regno 172
La Nuova Creazione
La creazione di nuovi cieli e nuova terra cominciò con la resurrezione, con Cristo il
primo frutto della nuova umanità e della nuova creazione. La nuova creazione
implica la “scuotimento” e la ri-creazione del vecchio mondo. Il Primo “scuotimento”
avvenne al Sinai, quando la santità di Dio nella Sua legge fu morte per il peccato e la
ribellione del mondo. Il secondo e ultimo “scuotimento” cominciò con la
resurrezione: “ancora una volta Io scuoterò non solo la terra ma anche il cielo” (Eb.
12:26). Il commentatore Puritano, John Owen, scrivendo su Ebrei 12: 25-27, disse:
Sono qui intesi i cieli del culto Mosaico, e la chiesa-stato Giudaica, con la
terra del loro stato politico che le apparteneva.2*
Il fare nuove tutte le cose si riferisce alla rigenerazione spirituale e morale, alla
redenzione nel tempo, alla “resurrezione di tutte le cose” al “tempo della
riforma”, alla formazione di una “nuova creazione” alla fattura e
completamento di “nuovi cieli e nuova terra”, in altre parole alla restituzione
resa necessaria dall’ingresso del peccato e dalla caduta dell’uomo (Cf. 2 Cor.
5:17; Col. 1:20).
Nota attentamente la frase “tutte le cose” che viene ripetuta non meno di sei
volte in Colossesi 1.15-20. Nota particolarmente i versi 19-20 “perchè è
1
Milton S. Terry, Biblical Hermeneutics, New York: Eaton & Mains, 1980, p. 382.
2
John Owen. An Exposition of Hebrews, Vol IV (Evansville, Indiana: Sovereign Grace Publishers, 1960), p. 366.
*
N.d. T. Il senso dell’intero capitolo di Owen è che Cristo ha inaugurato un nuovo regno religioso e politico dopo aver
scosso quello giudaico che era fatto di cose scuotibili, es. arca, cherubini, tempio ecc, sostituendoli con le cose reali che
non possono essere scosse. Riguardo al paganesimo e in un senso più generale Cristo ha scosso: rimossi per sostituirli,
cielo, cioè l’oggetto delle fede, il luogo verso cui si guarda, e la terra, il luogo ove la fede viene messa in pratica
politicamente.
La Nuova Terra è il lato inferiore o verso l’uomo del nuovo universo che è
venuto in esistenza come risultato dell’opera di redenzione compiuta da Cristo
quando fu sulla Croce. Egli disse: “è compiuto”, e poi rese lo spirito (Gv.
19:30). La Nuova Terra significa gli effetti redentivi sulla terra di cui si parla
nel Nuovo Testamento come “la rigenerazione”(Ti. 3:5), il “tempo del
cambiamento” (Nella vecchia Diodati “tempo della riforma” (Eb. 9:10) e “la
restaurazione di tutte le cose” (Atti 3:21). In contrasto con questa Nuova Terra
e opposta ad essa sta il mondo che ancora giace nel maligno (Gal. 1:4; cf. Gv.
5:4).
La parola “cielo” nelle Scritture (come per esempio “il cielo domina” Dan
4:26) non significa necessariamente i cieli fisici o astrali, ma piuttosto il Divino
governo del mondo e dell’uomo. “Terra” non significa necessariamente il
pianeta materiale su cui viviamo o qualsiasi parte di esso come città o
compagna. La Nuova Terra non significa (come alcuni pensano) il nostro
presente pianeta purificato dai suoi mali morali e spirituali. Non significa che
questo mondo fisico presente verrà purificato così da diventare un luogo
adeguato in cui i santi dimoreranno quando Cristo ritorna, o dopo che sarà
suonata l’ultima tromba. La Nuova Terra significa qualcosa totalmente nuovo,
qualcosa che venne in esistenza con l’inaugurazione dell’epoca in cui noi ora
viviamo. Significa qualcosa che può essere visto solo per fede.2
Per rendere la cosa più chiara, supponiamo due mondi: il primo, il vecchio,
corrotto dal peccato di Adamo; l’altro, posteriore nel tempo, come rinnovato da
Cristo…è quindi ora evidente che qui il mondo a venire non è quello che
speriamo dopo la resurrezione, ma quello che cominciò all’inizio del regno di
Cristo, ma che avrà senza dubbio il suo pieno compimento nella nostra
redenzione finale.3
1
Roderick Campbell: Israel and the New Covenant, Philadelphia, Presbyterian and Reformed Publishing Co., 1954
p. 108.
2
Ibid, p. 113 s.
3
Giovanni Calvino: Commentaries on the Epistle to the Hebrew; Traduzione di John Owen. Grand Rapids: Eerdmans,
1949. p.58.
Apocalisse 21:9-22:5
La Nuova Gerusalemme
1
W. Boyd Carpenter, in Ellicott, op. cit.,VIII, 627.
1. Come una Sposa. Una sposa è fedele, amorevole, pura, obbediente, raggiante
di gioia, e sicura del proprio amore. Così sarà la chiesa nell’eternità, e tale deve
essere oggi. La gioia nuziale nel possedere e essere posseduta deve essere la
gioia Cristiana.
2. Avendo la gloria di Dio. La gloria, che ad un tempo dimorava nel Santissimo
nel tabernacolo e nel tempio, è ora nel corpo collettivo della chiesa, nel
credente individuale nella sua obbedienza allo Spirito Santo che abita in lui, e
in ogni aspetto del regno nella misura in cui ciascuna sfaccettatura rivela la
gloria di Dio e lo serve. “Lo scopo principale dell’uomo è di glorificare Dio e
di goderlo per sempre”.2
3. Misurata. In questo contesto significa fatta, tagliata fuori, proprio come un
falegname misura le tavole e le taglia della misura necessaria. In ogni epoca,
Dio sta misurando fuori il suo popolo attraverso il procedimento storico. Il
simbolismo della forma in questo contesto presenta come scopo finale il cubo
perfetto. Il cubo è un antico simbolo di perfezione, ma la perfezione non è
nostra, ma di Cristo, non è ottenuta in questa vita, ma nella vita a venire. Però
il processo di santificazione è lo sforzarsi di ottenere questo obbiettivo per
mezzo dello Spirito Santo che opera in noi. La dimensione del Santissimo
costituiva un cubo perfetto.
4. Porte aperte, v.25. Non c’è notte nel regno. Le porte sono aperte, proprio come
il regno di Cristo è sempre aperto ai peccatori. Un inno dichiara: “Chiunque lo
voglia può venire”, e questa espressione viene utilizzata per giustificare
opinioni eretiche riguardanti il libero arbitrio, ma le Scritture non proclamano
il libero arbitrio ma piuttosto la libera grazia. Ogni testo delle Scritture da cui
deriva questa frase è posto nel contesto della grazia non dell’arbitrio.
1
Terry, op. cit.., p. 382.
2
Vedi Catechismo Breve di Westminster, domanda uno.
Insieme a questo grande fatto c’è la dichiarazione che nel regno di Dio non c’è
notte. Zaccaria 14.7 fece questa profezia riguardante il regno: “verso sera vi
sarà luce” Questa è un’affermazione della stessa grande realtà proclamata in
Romani 8:23. Il cristiano, perfino dentro alle peggiori prove e alle tenebre,
possiede la sicurezza che tutte le cose sono nelle mani di Dio, il quale fa ogni
cosa bene, e fa cooperare tutte le cose al bene di quelli che lo amano, i quali
sono chiamati secondo il Suo proponimento. Perciò il cristiano sa che anche la
notte sarà luce intorno a lui.
Rimane ancora un fatto significativo che concerne questa descrizione della Nuova
Gerusalemme. L’antica città di Babilonia in molti modi scimmiottava non solo il
regno di Dio ma anche gli stessi simboli del regno. Babilonia era costruita quadrata,
affermando con ciò finalità e perfezione. Babilonia possedeva i suoi giardini pensili
che ricreavano il giardino entro le proprie mura, e Babilonia pure era una città e una
terra con molte acque.
Due altri simboli in questo passo meritano speciale attenzione. Primo, c’è il
fiume dell’acqua della vita. Giovanni 7:39 dichiara che quando Cristo parlò di fiumi
d’acqua viva, si riferiva allo Spirito di Dio “Or egli disse questo dello Spirito, che
avrebbero ricevuto coloro che avrebbero creduto in lui”. Nel tempo e nell’eternità, lo
Spirito di vita è lo Spirito in tutti coloro che vivono per fede. In questa visione del
fiume che scorre attraverso la città e la nutre, ci viene detto che il credente è il canale
attraverso cui lo Spirito alimenterà le nazioni. “C'è un fiume i cui rivi rallegrano la
città di DIO, il luogo santo dove dimora l'Altissimo” (Sal. 46:4).
Secondo, l’albero è particolarmente ricco di significato. Viene mostrato in
perpetua fioritura e pieno di frutti simultaneamente. Questo significa che in Cristo la
potenzialità e la realtà sono uno. Quando il credente cresce nella grazia, le sue
potenzialità diventano realtà, e l’auto-realizzazione cresce. Nell’eternità la
potenzialità e la realtà del credente sono uguali. La pienezza dell’auto-realizzazione è
perciò ottenuta in Cristo e solo in Cristo.
È stato notato precedentemente che non solo Giovanni vuole che il suo libro sia
considerato una profezia divinamente rivelata, ma che lo vorrebbe altresì posto
alla pari coi libri del Vecchio Testamento (cf. 1:3). Pertanto, la prima e l’ultima
beatitudine sono pronunciate su coloro che lo considerano tale e che sono
guidati dai suoi insegnamenti (1:3; 22:7). Se invece, in antitesi ad esse,
qualcuno prende alla leggera la profezia e aggiunge ad essa qualsiasi cosa, Dio
stesso lo priverà della sua parte dal libro della vita dalla santa città. 1
1
Rist, op. cit., p. 440.
2
Ibid. p. 390.
Il Regno di Dio
1
Thomas F. Torrance, The Apocalipse Today , Grand Rapids; Eerdmans, 1959, p. 14.
2
Ibid., p. 153
1
Martin J. Wyngaarden: The Future of the Kingdom in Prophecy and Fulfilment, Grand Rapids: Baker Book House,
1955; p. 113 ss.
L’Alleanza con l’uomo in Eden era basilarmente la stessa Alleanza ristabilita dopo la
Caduta con gli uomini dell’Alleanza e poi col popolo della stessa, Israele nell’epoca
del Vecchio Testamento, e, da allora il popolo di Cristo. Benché a volte, “il patto
delle opere” sia utilizzato per descrivere il patto con Adamo, l’espressione è
1
H.C. Hoeksema: “The Tree of Life” in Paradise the First and the Forbidden Tree . Grand rapids: Reformed Witness
Hour, 1969; p. 8
2
H.C. Hoeksema: “The Forbidden Tree. Its name and Purpose;” in Ibid., p. 15.
1
Vedi Herman Hoeksema: Reformed Dogmatics, Grand Rapids; Reformed Free Publishing Association, 1966. p. 214-
226.
2
La croce è chiamata un albero da Pietro (Atti 5:30; 10: 39), e da Paolo (Gal. 3:13).
Parte Tre
1
Citato da End of Doctrinal Controversies, da Ernest F Kevan, The Grace of Law, A Study in puritan Theology (Grand
rapids: Baker Book House, 1965; p. 112.
2
Ibid, p. 155.
Matteo 24
Gesù, nel rispondere alla loro domanda, distingue questi tre eventi e, nel suo quadro
della storia, elimina interamente qualsiasi riferimento ad un millennio nel senso
Giudaico o pre-millennarista. Era difficile per i Giudei visualizzare la caduta del
tempio e di Israele eccetto che nei termini della fine del mondo: essi confidavano
nella loro propria giustizia, sicuri della propria superiorità e sicuri dei propri privilegi
con Dio. Ma Gerusalemme cadde nella guerra del 66-70 D.C., e le poche pietre
lasciate una sopra l’altra dopo quella brutale guerra e distruzione di Gerusalemme da
parte di Tito furono tirate giù al tempo dell’Imperatore Giuliano.
La prima sezione principale, versi 4-28, tratta della caduta di Gerusalemme e
la venuta di Cristo in giudizio su Israele in quella distruzione. La domanda fu posta
da quattro discepoli: Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea (Mc.13:3), i quali chiesero
“il segno” della sua venuta e della fine del mondo.
1 & 2 Tessalonicesi
sulla Seconda Venuta
Dormire (cf. Mc. 13:36; Ef. 5:14) significa vivere come se non ci fosse mai un
giorno del giudizio. È indicativo di rilassatezza morale e spirituale. Luca 12:45
descrive questa condizione vividamente…
Vegliare significa vivere una vita santificata, nella consapevolezza della venuta
del giorno del giudizio. È indicativo di attenzione morale e spirituale…
Essere sobri significa essere ripieni di onestà morale e spirituale, non essendo
eccessivamente eccitati da un lato, ne indifferenti dall’altro, ma calmi, stabili e
assennati (cf. 1 Pt. 4:7), facendo il proprio dovere e adempiendo il proprio
ministero (2 Tim. 4:5) La persona sobria vive profondamente.2
In 5:3 Paolo dichiara che il giorno è nelle mani del Signore interamente, sia
riguardo alla venuta, sia alla relativa conoscenza. Non c’è modo di sfuggirlo o di
prevenirlo. Proprio come una donna con bambino, al momento del travaglio, non può
impedire la sua venuta, così sono gli uomini incapaci di impedire la venuta del
Grande Giorno del Signore.
1
William Hendriksen: I e II Thessalonians; Grand rapids. Backer Book House, 1955, p. 115
2
Ibid.; p. 125
2 Tessalonicesi 2
1. L’apostasia (2:3)
2. La manifestazione dell’uomo del peccato (2:3-6,8-12)
3. La venuta del Signore (2:8)
4. Il potere che impedisce o trattiene il male per il momento viene tolto (2:6-7)
A questo punto è istruttivo rivedere alcuni dei punti cardinali di Apocalisse, come
concepisce il futuro:
È necessario, inoltre, richiamare l’attenzione al fatto che c’è una comune confusione
di diversi termini. Anticristo e “quell’empio” (2:8) sono pretesi un'unica figura, e i
due termini sono divenuti alternabili, ma non c’è fondamento valido per questa scelta.
Prima di tutto, anticristo è un nome usato solo da San Giovanni, in 1 Gv. 2: 18,
22; 4:3 e in 2 Gv.7. L’originale Greco acclara la definizione di anticristo, il quale è
3
Geerardus Vos: The Pauline Eschatology; Grand rapids; Eerdmans, 1930, p.81.
1
N.d.T. L’Inglese ha “lawless” e “lawlesness” In Italiano manca una parola che traduca bene il senso di “a-nomia” cioè
senza-legge, dunque da qui userò il termine “anomia”.
1
Joseph Addison Alexander: The Psalms; Grand Rapids, Zondervan, 1864, p. 563.
2
H.C. Leupold: Exposition of the Psalms; Columbus Ohio, Wartburgh Press, 1959, p. 1001-1005.Nel v.3, Leupold
insiste nel tradurre la semplice parola “danza” in “danza solenne!”. Se c’è in questo salmo qualcosa di chiaro è che è
significata gioia esuberante, non solennità. Una “danza solenne” è il tipo di bestemmia pretenziosa messa in campo
dalle chiese moderniste. Leupold assume che sia significata una danza religiosa. Dalla prospettiva delle Scritture, tutte
le cose sono religiose, ma solo atti di adorazione sono associati col santuario.
3
Lesile S. M’Caw. “The Psalms” , in F. Davidson, A.M. Stibbs, E.F. Kevan, editori: The New Bible Commentary;
Grand Rapids, Eerdmans, 1953; p. 513.