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Platone, VII Lettera (da Opere complete, Volume VIII, Laterza 1986, traduzione di A.

Maddalena)
PLATONE AI FAMILIARI E AGLI AMICI DI DIONE CON LAUGURIO DI STARE BENE
Mi avete scritto chio devo considerare identico a quello di Dione il vostro pensiero, e mi pregaste di essere
con [324a] voi, e di darvi tutto il mio aiuto dopera e di parola. Ed io, se il vostro pensiero e le vostre intenzioni
sono davvero gli stessi di Dione, prometto dessere con voi: se no, ci penser parecchio. E dunque dir che
cosa Dione pensava e che intenzioni aveva, perch non per congettura, ma per certa conoscenza io le
conosco. Quando io, a circa quarantanni, giunsi a Siracusa per la prima volta, Dione aveva let che Ipparino
ha oggi: allora si form in lui quella [b] concezione, che da allora egli non modific mai pi: voleva che i
Siracusani fossero liberi e avessero le leggi migliori. Nulla di strano ci sarebbe, quindi, se qualche iddio
facesse nascere anche in costui lo stesso pensiero politico. Come questo si form in Dione, vale la pena che
ascoltino giovani e non giovani: pertanto cercher di spiegarvi come sorigin, comunicando dal principio; le
circostanze me ne dnno loccasione.
Quando ero giovane, io ebbi inesperienza simile a quella di molti altri: pensavo di dedicarmi alla vita politica,
[c] non appena fossi divenuto padrone di me stesso. Or mi avvenne che questo capitasse allora alla citt: il
governo, attaccato da molti, pass in altre mani, e cinquantun cittadini divennero i reggitori dello stato. Undici
furono posti a capo del centro urbano, dieci a capo del Pireo, tutti con lincarico di sovraintendere al mercato e
di occuparsi dellamministrazione, e, sopra costoro, trenta ma-[d] gistrati con pieni poteri. Tra costoro erano
alcuni miei familiari e conoscenti, che sbito mi invitarono a prender parte alla vita pubblica, come ad attivit
degna di me. Io credevo veramente (e non c niente di strano, giovane come ero) che avrebbero purificata la
citt dallingiustizia traendola a un viver giusto, e perci stavo ad osservare attentamente che cosa avrebbero
fatto. Maccorsi cos che in poco [e] tempo fecero apparire oro il governo precedente: tra laltro, un giorno
mandarono, insieme con alcuni altri, Socrate, un mio amico pi vecchio di me, un uomo chio non esito a dire il
pi giusto del suo tempo, ad arrestare un cittadino [325a] per farlo morire, cercando in questo modo di farlo
loro complice, volesse o no; ma egli non obbed, preferendo correre qualunque rischio che farsi complice di
empi misfatti. Io allora, vedendo tutto questo, e ancor altri simili gravi misfatti, fui preso da sdegno e mi ritrassi
dai mali di quel tempo.
Poco dopo cadde il governo dei Trenta e fu abbattuto quel regime. E di nuovo mi prese, sia pure meno
intenso, il desiderio di dedicarmi alla vita politica. [b] Anche allora, in quello sconvolgimento, accaddero molte
cose da affliggersene, com naturale, ma non c da meravigliarsi che in una rivoluzione le vendette fossero
maggiori. Tuttavia bisogna riconoscere che gli uomini allora ritornati furono pieni di moderazione. Se non che
accadde poi che alcuni potenti intentarono un processo a quel mio amico, a Socrate, accusandolo di un delitto
nefandissimo, il pi [c] alieno dallanimo suo: lo accusarono di empiet, e fu condannato, e lo uccisero, lui che
non aveva voluto partecipare allempio arresto di un amico degli esuli di allora, quando essi pativano fuori
della patria. Vedendo questo, e osservando gli uomini che allora si dedicavano alla vita politica, e le leggi e i
costumi, quanto pi li esaminavo ed avanzavo nellet, tanto pi mi sembrava che fosse diffi-[d] cile
partecipare allamministrazione dello stato, restando onesto. Non era possibile far nulla senza amici e
compagni fidati, e daltra parte era difficile trovarne tra i cittadini di quel tempo, perch i costumi e gli usi dei
nostri padri erano scomparsi dalla citt, e impossibile era anche trovarne di nuovi con facilit. Le leggi e i
costumi si corrompevano e si dissolvevano straordinariamente, sicch [e] io, che una volta desideravo
moltissimo di partecipare alla vita pubblica, osservando queste cose e vedendo che tutto era completamente
sconvolto, finii per sbigottirmene.
Continuavo, s, ad osservare se ci potesse essere un [326a] miglioramento, e soprattutto se potesse
migliorare il governo dello stato, ma, per agire, aspettavo sempre il momento opportuno, finch alla fine
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maccorsi che tutte le citt erano mal governate, perch le loro leggi non potevano essere sanate senza una
meravigliosa preparazione congiunta con una buona fortuna, e fui costretto a dire che solo la retta filosofia
rende possibile di vedere la giustizia negli affari pubblici e in quelli privati, e a lodare solo essa. Vidi [b] dunque
che mai sarebbero cessate le sciagure delle generazioni umane, se prima al potere politico non fossero
pervenuti uomini veramente e schiettamente filosofi, o i capi politici delle citt non fossero divenuti, per
qualche sorte divina, veri filosofi. Cos pensavo, quando per la prima volta venni in Italia ed in Sicilia. Giunto,
non mi piacque affatto quella vita cosiddetta beata che vi si conduceva, piena di banchetti italioti e siracusani,
quel riempirsi due volte al giorno, e non dormire mai la notte senza compagnia, e tutto il resto [c] che
saccompagna con tal genere di vita. Perch non v uomo al mondo che, abituato a vivere cos fin
dallinfanzia, possa acquistare sapienza (nessuno pu avere una natura cos meravigliosa) e neanche
avvicinarsi a vivere in temperanza: lo stesso si pu dire per le altre virt. N v citt che possa vivere
tranquilla, quali che siano le sue leggi, quando i cittadini pensano di dover spendere sempre [d] a profusione,
e di non dover far altro che banchettare e bere e affaticarsi nelle cure damore.
Queste citt non possono che trapassare continuamente tra tirannidi e oligarchie e democrazie, e i loro capi
neppure il nome vorranno sentire di una costituzione giusta e senza privilegi. Cos, quando passai a Siracusa,
queste considerazioni saggiungevano ai pensieri che avevo gi. Fu forse per un [e] caso che vi venni, ma
forse fu un dio che volle dar inizio a quello che ora successo a Dione e a Siracusa: e c pericolo che altri
guai capitino ancora se voi non mi darete ascolto, ora che per la seconda volta io espongo il mio consiglio. E
dunque, perch mai dico che la mia venuta [327a] in Sicilia segn il principio di tutto quello che avvenne? Io
ebbi delle conversazioni con Dione, allora giovane, e gli mostravo coi miei discorsi quello che, a mio giudizio,
lottimo per gli uomini, e lo esortavo a vivere secondo questo ottimo; ignoravo che cos, senza
accorgermene, preparavo in qualche modo labbattimento della tirannide. Infatti Dione, giovane di viva
intelligenza anche per altre cose, ma soprattutto atto a comprendere i discorsi chio allora gli facevo, mi si fece
discepolo e mi segu con una passione [b] che io non trovai mai in altro giovane, e volle vivere tutto il resto
della vita in modo diverso dalla gran parte degli Italioti e dei Siciliani, preferendo la virt al piacere e a ogni
altro genere di mollezza. Perci fino alla morte di Dionisio fu sempre pi odiato da quanti vivevano negli usi
della tirannide. In seguito pens che questo suo convinci-[c] mento originato da sani ragionamenti non doveva
restar chiuso in lui, e quindi, vedendo chesso nasceva in altri, non molti per verit, ma tuttavia in alcuni, tra i
quali, se gli di lo aiutavano, credette che sarebbe stato facilmente anche Dionisio, si disse che, se questo
fosse avvenuto, straordinariamente felice sarebbe divenuta la sua vita e [d] quella degli altri Siracusani.
E allora, ricordandosi con quanta prontezza le conversazioni avute con me gli avevano fatto nascere il
desiderio della vita pi nobile e pi bella, e sperando assai di poter introdurre in tutto il paese, senza stragi,
senza uccisioni e senza tutti quei malanni che sono ora accaduti, una vita vera e felice, solo che avesse
potuto compiere la stessa cosa con Dionisio come aveva cominciato, pens chio dovevo assolutamente
venire a Siracusa al pi presto per aiutarlo nella sua opera. Con questo giusto intendimento, egli persuase
Dionisio ad invitarmi, e mi mand dei messi lui stesso, pregandomi di partire al pi [e] presto e ad ogni costo,
prima che Dionisio trovasse altri amici che lo distogliessero dalla vita migliore per una vita diversa. Queste
sono le parole che egli mi scrisse e chio ripeter, a costo di dilungarmi: "Che occasione stiamo ad aspettare scriveva, -che ci sia pi favorevole di questa, che ci offerta da una sorte divina?". E mi parlava dellimpero
[328a] dellItalia e della Sicilia, della potenza che egli vi aveva, e insisteva sulla giovinezza di Dionisio, sul suo
vivo desiderio deducazione, sul suo amore per la filosofia, e mi diceva quanto era facile istillare nei suoi nipoti
e nei suoi familiari la concezione di vita di cui io non cessavo di parlare, e come, per mezzo di costoro, si
poteva agevolmente indurre anche Dionisio a seguire il medesimo modo di vita, sicch mai come allora - egli
diceva - vera la possibilit che si attuasse completamente la nostra speranza di veder congiunti nelle stesse
persone filosofi e reggitori [b] di grandi citt. Con questi e con molti altri simili discorsi egli minvitava.

Tuttavia mi tratteneva un certo timore, per la opinione che avevo dei giovani, quale mai sarebbe stato il
risultato del nostro sforzo: perch i giovani sono volubili e spesso contraddittori nei loro desideri. Daltra parte
sapevo che il carattere di Dione era grave per natura, e maturo per et. Perci esitavo e tra me consideravo
se dovevo dargli ascolto e andare, oppure no: alla fine mi decisi, perch mi pareva che, se si doveva [c]
tentare di tradurre in atto le mie dottrine sulle leggi e sullo stato, quello appunto era il momento. Bastava
persuadere un uomo solo, e avrei compiuto tutto il bene possibile. Questo era il mio pensiero e questa la mia
speranza quando partii. Non vandai per le ragioni che altri credettero, ma per un senso di vergogna che
provavo, soprattutto al pensiero dessere soltanto un facitor di parole, incapace di intraprendere di mia volont
opera alcuna; e poi avrei rischiato di tradire Dione, lospite ed amico mio, [d] che si trovava realmente in
grande pericolo. Pensavo: e se gli capitasse qualche disgrazia o fosse bandito da Dionisio e dagli altri suoi
nemici, e mi si presentasse e mi chiedesse: "O Platone, io sono venuto qui, esiliato, non perch avessi
bisogno di opliti o mancassi di cavalieri che mi difendessero dai miei nemici: di quei discorsi persuasivi avevo
bisogno, coi quali io so che tu puoi cos bene indurre i giovani allamore del buono e del giusto, e stabilire
ognora [e] tra di loro salde amicizie. Ma questo aiuto per parte tua mi manc, e per questo ho lasciato
Siracusa e ora sono qui. Non per la mia sorte quella che ti fa maggior vergogna: ma la filosofia, insieme
con me, non lhai forse tu tradita per parte tua, la filosofia che tu pur sempre esalti e che dici disonorata dagli
altri uomini? Certo, sio fossi [329a] stato a Megara, avresti ascoltato la mia preghiera e saresti accorso in mio
aiuto, e se no, consderati il peggiore degli uomini: e dunque credi tu che ti possa giustificare dalla fama di vilt
il pretesto del lungo viaggio e della grande fatica della traversata? Neanche per sogno"; se dunque mi avesse
fatto un tal discorso, che onesta risposta avrei potuto dargli? Nessuna. Vandai dunque per le pi giuste e per
[b] le migliori ragioni del mondo, e per queste ragioni abbandonai le mie belle occupazioni e andai a vivere
sotto una tirannide, che pur sembrava sconvenire a me ed alle mie dottrine.
Cos, andandovi, feci il mio dovere verso Zeus Ospitale, e non venni meno al dovere del filosofo, mentre sarei
stato biasimato a ragione, se, per mollezza o per vilt, mi fossi macchiato di turpe vergogna. Dunque, per non
dilungarmi troppo, andai, e trovai grandi discordie [c] alla corte di Dionisio, e Dione calunniato presso il tiranno.
Io feci quanto potei per difenderlo, ma la mia autorit era scarsa: dopo tre mesi allincirca, Dionisio accus
Dione di voler rovesciare la tirannide, lo imbarc su di una piccola nave e lo cacci ignominiosamente. Tutti
noi altri amici di Dione, tememmo allora che egli ci accusasse, o luno o laltro, di complicit con lui e ci
punisse: si diffuse anzi per Siracusa la voce chio ero stato ucciso da Dionisio, come complice di tutta la trama
chera stata [d] ordita. Egli invece, accorgendosi di questa nostra paura e temendo chessa ci suggerisse
qualche azione disperata, ci trattava tutti benevolmente; ed anzi, quanto a me, mi faceva coraggio e mi diceva
di star di buon animo e mi pregava in ogni modo di rimanere: perch non la mia partenza gli avrebbe fatto
onore, ma la mia dimora. Per questo appunto egli mostrava di pregarmi vivamente. Ma le preghiere dei tiranni,
si sa, sono la maschera duna costrizione:[e] egli prese le sue misure perch non potessi partire: mi condusse
nellacropoli e l stabili la mia abitazione, l, donde nessun capitano di nave mi avrebbe condotto via se avesse
avuto il divieto di Dionisio, anzi in nessun modo, a meno che non ne avesse ricevuto lordine espresso; n
vera mercante, n comandante di frontiera che mi avrebbe lasciato passare da solo, ma mi avrebbero subito
arrestato e condotto da Dionisio, tanto pi che sera diffusa una voce [330a] contraria a quella di prima, la
voce che Dionisio mi amava moltissimo. E dunque, come andavano le cose? Bisogna dire la verit. Mi amava
davvero sempre di pi col passare del tempo, man mano che imparava a conoscere il mio carattere e i miei
costumi; voleva anzi chio apprezzassi pi lui che Dione, e gli fossi pi amico. E faceva ogni sforzo per questo.
Ma esitava a scegliere la via giusta, quella per cui avrebbe potuto, se lavesse seguita, raggiun-[b] gere meglio
il suo fine; perch non mi frequentava per ascoltare i miei discorsi di filosofia, ed imparare: irretito dalle parole
dei calunniatori, temeva di poter essere da quei discorsi impacciato nelle sue azioni, e che fosse tutta una
macchinazione di Dione. Io sopportavo tutto, fermo nellintenzione con la quale ero venuto, di vedere se mai
sorgesse in lui lamore per la vita del filosofo: vinse invece la sua riluttanza.

[c] Cos andarono le cose quando io venni e mi fermai la prima volta in Sicilia. In seguito io partii, e poi ritornai
unaltra volta, insistentemente chiamato da Dionisio. Le ragioni per cui ritornai, e come fu giusta e ragionevole
la mia condotta, le dir in seguito per rispondere a chi mi domanda perch mai io venni a Siracusa una
seconda volta: ma prima voglio darvi i consigli che la situazione presente richiede, per non fare della parte
secondaria la parte principale della mia lettera. I miei consigli son questi. Quando un uomo ammalato, e
segue un regime di vita non sa-[d] lutare, bisogna, per prima cosa, consigliargli di cambiar vita: poi, se egli
disposto ad obbedire, gli si daranno altri consigli: se non disposto, uno che sia veramente un uomo e un
medico, cesser, a mio giudizio, di consigliarlo, mentre chi facesse il contrario, io lo considererei un vile e un
ignorante. Lo stesso vale per una citt, sia essa governata da una o da pi persone. Se essa ha un governo
che segue regolarmente la retta via, e domanda un [e] consiglio che possa portarle utilit, assennato colui
che a uomini cos governati non nega il suo consiglio; ma se sono assolutamente lontani dal buon governo e
non vogliono in alcun modo seguirne la giusta traccia, se impongono ai loro consiglieri di lasciar stare e non
toccare la co-[331a] stituzione, pena la morte, ma comandano di servire ai loro desideri e ai loro voleri
mostrando il modo di soddisfarli sempre il pi rapidamente e il pi facilmente ch possibile, colui che accetta
di fare il consigliere in tali condizioni, io lo considero un vile, colui che non accetta un uomo. []
Ho detto i miei consigli, oggetto della lettera, e ho detto del mio primo viaggio alla corte di Dionisio. Quanto al
secondo e alla seconda traversata, per quali giuste e buone ragioni furono fatti, pu ora sentire chi lo
desidera. Ch, [338a] come ho passato il tempo della mia prima dimora in Sicilia, lho detto prima di dare il mio
consiglio agli amici e ai parenti di Dione. Or bene, in seguito riuscii ad ottenere da Dionisio il permesso di
partire; avevamo tuttavia convenuto che, quando fosse finita la guerra (ch allora vera guerra in Sicilia) e
fosse ritornata la pace, Dionisio, rafforzato il suo potere, mi avrebbe richiamato insieme con Dione: egli diceva
che Dione non doveva considerare la [b] sua partenza come un esilio, ma come un cambiamento di residenza.
A queste condizioni io promisi di ritornare. Sennonch, venuta la pace, egli richiam me solo, dicendo che
Dione aspettasse ancora un anno e io andassi ad ogni costo. Dione mi pregava ed insisteva chio andassi,
perch sera diffusa dalla Sicilia la voce che Dionisio era di nuovo preso da uno straordinario amore per la
filosofia: ed era appunto per questo che Dione mi supplicava insistentemente di non opporre un rifiuto alla
chiamata. Quanto a me, io [c] non ignoravo che spesso i giovani si trovano in questa disposizione di spirito
riguardo alla filosofia; e tuttavia mi sembrava pi sicuro di non occuparmi pi, per allora, di Dione e di Dionisio,
onde risposi chio ero vecchio e che nessuno degli accordi era stato rispettato. Cos minimicai entrambi.
Sembra che in seguito sia andato da Dionisio Archita, il quale, insieme con i capi di Taranto, era di-[d] venuto
prima chio partissi, per opera mia, suo ospite ed amico; poi verano a Siracusa alcuni che avevano sentito
parlare Dione, altri che avevano sentito costoro ed erano imbevuti di formule filosofiche. Costoro, io credo,
vollero parlare di tali cose con Dionisio, giudicando che egli sapesse tutto quello chio pensavo. Ora, Dionisio
ha una facilit naturale dapprendere, ed straordinariamente desideroso donore. Quello che gli si diceva gli
era dunque, forse, gradito; e forse si vergognava di mostrare che non [e] aveva imparato niente durante la mia
dimora alla sua corte; perci da una parte gli nasceva il desiderio di sentire pi chiaramente il mio pensiero, e
dallaltra lo spingeva il punto donore (le ragioni per cui non maveva prima ascoltato, le ho spiegate or ora). E
dunque, quando io, dopo essere tornato in patria, opposi un rifiuto al suo secondo invito, come ho detto dianzi,
Dionisio mi pare si sia fatto un punto donore di questo: voleva che nessuno pensasse chio lo avessi in uggia
e non volessi ritornare pi da lui, [339a] perch disprezzavo la sua natura e il suo carattere e avevo
sperimentato il suo modo di vivere. Devo ora dire la verit, anche se qualcuno, udendo il mio racconto,
disprezzer la mia filosofia e giudicher intelligente il tiranno. Dionisio mi invit per la terza volta, e mi mand
una trireme per facilitarmi il viaggio, e in essa Archedemo, un [b] amico di Archita chegli pensava chio
apprezzassi sopra tutti gli altri Siciliani, ed altri Siciliani ancora, miei conoscenti: e tutti ci ripeterono la stessa
storia, che Dionisio aveva fatto straordinari progressi nella filosofia. Mi mand anche una lunghissima lettera,
sapendo qual era la mia amicizia per Dione, e che Dione stesso desiderava chio partissi e andassi a
Siracusa: tenendo conto di tutto questo, mi scrisse appunto una lettera che, cominciava cos: "Dionisio [c] a
Platone"; poi vi erano le espressioni abituali, e poi sbito: "Se mi darai ascolto e verrai ora in Sicilia, per prima
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cosa Dione sar trattato come tu desideri, perch so che non mi domanderai cose irragionevoli e io non
opporr difficolt: in caso contrario, niente sar fatto di quello che tu desideri per lui e per i suoi affari". Il resto
[d] della lettera troppo lungo e non vale la pena di ripeterlo. Mi giungevano intanto anche altre lettere, di
Archita e di quelli di Taranto, e tutti esaltavano lamore di Dionisio per la filosofia, e tutti mi dicevano che, se
non fossi andato sbito, avrei distrutto lamicizia che per opera mia avevano stretta con lui, amicizia di grande
importanza politica. Tali erano le pressioni che mi si facevano perch partissi; da una parte mi trascinavano gli
amici dItalia e di Sicilia, dallaltra veramente mi spingevano per dir cos, gli ami-[e] ci dAtene con le loro
preghiere; e sempre mi ripetevano gli stessi discorsi, che non dovevo tradire Dione e gli amici e gli ospiti di
Taranto: del resto, io stesso non trovavo strano che un giovane intelligente, sentendo esporre pensieri
profondi, fosse preso dal desiderio di vivere nel modo pi bello: dovevo dunque sperimentare come stavano le
cose, e non disinteressarmene, rendendomi colpevole di cos grande vergogna, ch tale sarebbe [340a]
effettivamente stata, se qualcuno aveva detto la verit. Vi andai dunque, nascondendomi la verit con questo
ragionamento, ma, com naturale, temendo assai e mal presagendo: e per la terza volta dovetti ringraziare
Zeus Salvatore, perch ebbi fortuna e mi salvai ancora. Ne devo grazie, oltre che al dio, anche a Dionisio,
perch, contro il parere di molti che mi volevano uccidere, ebbe per me un [b] certo riguardo. Appena giunto,
pensai di dover per prima cosa sperimentare se davvero Dionisio era acceso dallardore filosofico come da un
fuoco, o erano infondate le molte notizie giunte ad Atene. Ora, v un modo non affatto volgare per fare questa
prova, ma veramente opportuno quando sha a che fare con tiranni, soprattutto quando sono imbevuti di
formole imparate: ed era appunto questo il caso di Dionisio, come sbito maccorsi. A questa gente bisogna
mostrare che cos davvero lo studio filosofico, e [c] quante difficolt presenta, e quanta fatica comporta.
Allora, se colui che ascolta dotato di natura divina ed veramente filosofo, congenere a questo studio e
degno di esso, giudica che quella che gli indicata sia una via meravigliosa, e che si deva fare ogni sforzo per
seguirla, e non si possa vivere altrimenti. Quindi unisce i suoi sforzi con quelli della guida, e non desiste se
prima non ha raggiunto completamente il fine, o non ha acquistato tanta forza da poter progredire da solo
senza laiuto del maestro. Cos [d] vive e con questi pensieri, chi ama la filosofia: e continua bens a dedicarsi
alle sue occupazioni, ma si mantiene in ogni cosa e sempre fedele alla filosofia e a quel modo di vita
quotidiana che meglio dogni altro lo pu rendere intelligente, di buona memoria, capace di ragionare in piena
padronanza di se stesso: il modo di vita contrario a questo, egli lo odia. Quelli invece che non sono veri
filosofi, ma hanno soltanto una verniciatura di formole, come la gente abbronzata dal sole, vedendo quante
cose si devono imparare, [e] quante fatiche bisogna sopportare, come si convenga, a seguire tale studio, la
vita regolata dogni giorno, giudicano che sia una cosa difficile e impossibile per loro; sono [341a] quindi
incapaci di continuare a esercitarsi, ed alcuni si convincono di conoscere sufficientemente il tutto, e di non
avere pi bisogno di affaticarsi. Questa la prova pi limpida e sicura che si possa fare con chi vive nel lusso
e non sa sopportare la fatica; sicch costoro non possono poi accusare il maestro, ma se stessi, se non
riescono a fare tutto quello ch necessario per seguire lo studio filosofico. In questo modo parlai anche a
Dionisio. Non gli spiegai [b] ogni cosa, n, del resto, egli me lo chiese, perch presumeva di sapere e di
possedere sufficientemente molte cognizioni, e anzi le pi profonde, per quello che aveva udito dagli altri. In
seguito, mi fu riferito, egli ha anche composto uno scritto su quanto allora ascolt, e fa passare quello che ha
scritto per roba sua, e non affatto come una ripetizione di quello che ha sentito; ma di questo io non so nulla.
Anche altri, io so, hanno scritto di queste cose, ma chi essi siano, neppure essi sanno. Questo tuttavia io [c]
posso dire di tutti quelli che hanno scritto e scriveranno dicendo di conoscere ci di cui io mi occupo per averlo
sentito esporre o da me o da altri o per averlo scoperto essi stessi, che non capiscon nulla, a mio giudizio, di
queste cose. Su di esse non c, n vi sar, alcun mio scritto. Perch non , questa mia, una scienza come le
altre: essa non si pu in alcun modo comunicare, ma come fiamma saccende [d] da fuoco che balza: nasce
dimprovviso nellanima dopo un lungo periodo di discussioni sullargomento e una vita vissuta in comune, e
poi si nutre di se medesima. Questo tuttavia io so, che, se ne scrivessi o ne parlassi io stesso, queste cose le
direi cos come nessun altro saprebbe, e so anche che se fossero scritte male, molto me ne affliggerei. Se
invece credessi che si dovessero scrivere e render note ai pi in modo adeguato e si potessero comunicare,
che cosa avrei potuto fare di pi bello nella mia vita, che scriver queste cose utilissime per gli uomini, traendo
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alla luce [e] per tutti la natura? Ma io non penso che tale occupazione, come si dice, sia giovevole a tutti; giova
soltanto a quei pochi che da soli, dopo qualche indicazione, possono progredire fino in fondo alla ricerca: gli
altri ne trarrebbero soltanto un ingiustificato disprezzo o una sciocca e superba presunzione, quasi avessero
appreso qualche cosa [342a] di augusto. Ma di questo voglio parlare ancora e pi a lungo, e forse, dopo che
avr parlato, qualcuna delle cose che dico riuscir pi chiara. V infatti una ragione profonda, che sconsiglia
di scrivere anche su uno solo di questi argomenti, ragione che io ho gi dichiarata pi volte, ma che mi sembra
opportuno ripetere. Ciascuna delle cose che sono ha tre elementi attraverso i quali si perviene a conoscerla;
quarto la conoscenza [b]; come quinto si deve porre loggetto conoscibile e veramente reale. Questi sono gli
elementi: primo il nome, secondo la definizione, terzo limmagine, quarto la conoscenza. Se vuoi capire
quello che dico, prendi un esempio, pensando che il ragionamento che vale per un caso, vale per tutti. Cerchio
una cosa che ha un nome, appunto questo nome che abbiamo ora pronunciato. Il secondo elemento la
sua definizione, formata di nomi e di verbi: quella figura che ha tutti i punti estremi ugualmente distanti dal
centro, questa la definizione di ci che [c] ha nome rotondo, circolare, cerchio. Terzo ci che si disegna e
si cancella, che si costruisce al tornio e che perisce; nulla di tutto questo subisce il cerchio in s, al quale si
riferiscono tutte queste cose, perch esso altro da esse. Quarto la conoscenza, lintuizione e la retta
opinione intorno a queste cose: esse si devono considerare come un solo grado, ch non risiedono n nelle
voci n nelle figure corporee, ma nelle anime, onde evidente che la conoscenza altra cosa dalla natura del
cerchio e dai tre [d] elementi di cui ho gi parlato. La intuizione , di esse, la pi vicina al quinto per parentela
e somiglianza: le altre ne distano di pi. Lo stesso vale per la figura diritta e per la figura rotonda, per i colori,
per il buono per il bello per il giusto, per ogni corpo costruito o naturale, per il fuoco per lacqua e per tutte le
altre cose simili a queste, per ogni animale, per i costumi delle anime, per ogni cosa che [e] si faccia o si
subisca. Perch non possibile avere compiuta conoscenza, per ciascuno di questi oggetti, del quinto,
quando non si siano in qualche modo afferrati gli altri quattro. Oltre a questo, tali elementi esprimono non
meno [343a] la qualit che lessenza di ciascuna cosa, per causa della inadeguatezza dei discorsi; perci
nessuno, che abbia senno, oser affidare a questa inadeguatezza dei discorsi quello chegli ha pensato, e
appunto ai discorsi immobili, come avviene quando sono scritti. Bisogna per che io spieghi di nuovo quello
che ho detto. Ciascun cerchio, di quelli che nella pratica si disegnano o anche si costruiscono col tornio,
pieno del contrario del quinto, perch ogni suo punto tocca la linea retta, mentre il cerchio vero e proprio non
ha in s n poco n molto della natura contraria. Quanto ai loro nomi, diciamo che nessuno ha [b] un briciolo
di stabilit, perch nulla impedisce che quelle cose che ora son dette rotonde si chiamino rette, e che le cose
rette si chiamino rotonde; e i nomi, per coloro che li mutassero chiamando le cose col nome contrario,
avrebbero lo stesso valore. Lo stesso si deve dire della definizione, composta com di nomi e di verbi:
nessuna stabilit essa ha, che sia sufficientemente e sicuramente stabile. Un discorso che non finisce mai si
dovrebbe poi fare per ciascuno dei quattro, a mostrare come sono oscuri; ma largomento principale quello
al quale ho accennato poco fa, e cio che, essendoci due princpi, la realt e la [c] qualit, mentre lanima
cerca di conoscere il primo, ciascuno degli elementi le pone innanzi, nelle parole e nei fatti, il principio non
ricercato; in tal modo ciascun elemento, quello che si dice o che si mostra ce lo presenta sempre facilmente
confutabile dalle sensazioni, e riempie ogni uomo di una, per cos dire, completa dubbiezza e oscurit. E
dunque, l dove per una cattiva educazione non siamo neppure abituati a ricercare il vero e ci accontentiamo
delle immagini che ci si offrono, non ci rendiamo ridicoli gli uni di fronte agli altri, gli interrogati di fronte agli
interro-[d] ganti, capaci di disperdere e confutare i quattro; ma quando vogliamo costringere uno a rispondere
e a rivelare il quinto, uno che sia esperto nellarte di confutare pu, quando lo voglia, avere la vittoria, e far
apparire alla gran parte dei presenti che chi espone un pensiero o con discorsi o per iscritto o in discussioni,
non sa alcunch di quello che dice o scrive; e questo avviene appunto perch quelli che ascoltano ignorano
talvolta che non lanima di chi scrive o parla che viene confutata, ma la imperfetta na-[e] tura di ciascuno dei
quattro. Solo trascorrendo continuamente tra tutti questi, salendo e discendendo per ciascuno di essi, si pu,
quando si ha buona natura, generare a gran fatica la conoscenza di ci che a sua volta ha buona natura. Se
invece uno non ha una natura buona, come avviene per la maggior parte degli uomini, privi duna naturale
disposizione ad apprendere e incapaci di vivere [344a] secondo i cosiddetti buoni costumi, e questi sono
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corrotti, neppure Linceo potrebbe dar la vista a gente come questa. In una parola, chi non ha natura
congenere alla cosa, n la capacit dapprendere n la memoria potrebbero renderlo tale (ch questo non pu
assolutamente avvenire in nature allotrie); perci quanti non sono affini e congeneri alle cose giuste e alle altre
cose belle non giungeranno a conoscere, per quanto possibile, tutta la verit sulla virt e sulla colpa, anche
se abbiano capacit dapprendere e buona memoria chi per questa e chi per quella cosa, n la conosceranno
quelli che, pur avendo tale natura, man-[b] cano di capacit dapprendere e di buona memoria. Infatti insieme
si apprendono queste cose, e la verit e la menzogna dellintera sostanza, dopo gran tempo e con molta
fatica, come ho detto in principio; allora a stento, mentre che ciascun elemento (nomi, definizioni, immagini
visive e percezioni), in dispute benevole e in discussioni fatte senza ostilit, viene sfregato con gli altri, avviene
che lintuizione e lintellezione di ciascuno brillino a chi com-[c] pie tutti gli sforzi che pu fare un uomo. Perci,
chi serio, si guarda bene dallo scrivere di cose serie, per non esporle allodio e allignoranza degli uomini. Da
tutto questo si deve concludere, in una parola, che, quando si legge lo scritto di qualcuno, siano leggi di
legislatore o scritti daltro genere, se lautore davvero un uomo, le cose scritte non erano per lui le cose pi
serie, perch queste egli le serba riposte nella parte pi bella che ha; mentre, se egli mette per iscritto proprio
quello che ritiene il suo pensiero pi [d] profondo, "allora, sicuramente", non certo gli di, ma i mortali "gli
hanno tolto il senno".
Chi ha seguito questo mito e questa digressione, capir bene che se Dionisio, o qualche altra persona
maggiore o minore di lui, ha scritto sui principi primi e supremi della natura, non pu aver appreso n aver
ascoltato, secondo il mio pensiero, alcunch di sano sulle cose di cui ha scritto: altrimenti le avrebbe rispettate
quanto me, e non le avrebbe esposte a un pubblico inadatto e disforme. Perch non ha certo scritto per
richiamarsele alla memoria nel futuro; son [e] cose che non si possono dimenticare, una volta penetrate
nellanimo, ch si riducono a brevissime formule: se lha fatto, lha fatto per una biasimevole ambizione, sia
che abbia detto che son sue e sia che le abbia scritte come seguace di una scuola filosofica, alla quale era
indegno dappartenere, se desiderava la gloria che nasce dal farne parte. [345a] Se poi Dionisio ha appreso la
dottrina in quella sola conversazione, ha fatto presto: come poi ci sia riuscito, lo sa Zeus, come dicono i
Tebani. Perch, come ho gi detto, io ne ho parlato con lui una sola volta, allora, e poi non pi. Chi vuol
sapere come andarono le cose, si domander perch mai io non abbia avuto con lui una seconda e una terza
ed altre conversazioni: si domander se fu perch Dionisio, dopo avermi ascoltato una volta, pensava di
saper-[b] ne e ne sapeva abbastanza, sia che avesse trovato la verit da s, sia che lavesse appresa prima
da altri; o anche se fu perch gli sembrava che fossero sciocchezze le cose chio gli dicevo; o infine se fu
perch le giudicava non adatte a lui, ma troppo difficili, e s stimava realmente incapace di occuparsi della
sapienza e della virt. Ora, se le considerava sciocchezze, si trover in contrasto con molti che testimoniano il
contrario, e sono, per queste cose, giudici assai pi autorevoli di lui: se invece pensava di averle scoperte o
imparate, e le considerava utili alla educazione [c] di un animo libero, come si pu considerarlo un uomo
ragionevole, quando disprezzava con tanta leggerezza la guida e il maestro di questa dottrina? Come mi
disprezz, lo dir ora. Non molto tempo dopo i fatti ora raccontati, Dionisio, che fino allora aveva lasciato a
Dione il possesso dei suoi beni e il godimento delle rendite, proib ai suoi amministratori di mandargliene mai
pi nel Peloponneso; pareva che si fosse completamente dimenticato della sua lettera. Diceva che non
appartenevano a Dione, ma al di lui figlio, chera suo nipote, e di cui egli era, per legge, il [d] tutore. Fino a
quel momento le cose erano andate cos, e allora, dopo questo fatto, io vidi chiaramente in che cosa
consisteva lamore di Dionisio per la filosofia, e non potei non affliggermene, volente o no. Era gi estate, il
tempo propizio alla navigazione: e mi pareva di non dover essere risentito con Dionisio, tanto quanto con me
stesso e con [e] chi mi aveva spinto a venire per la terza volta allo stretto di Scilla, "per affrontare ancor
Cariddi infausta". Dissi allora a Dionisio che non potevo pi rimanere, quando Dione era cos maltrattato: ed
egli cerc di calmarmi e mi preg di restare, perch gli pareva inopportuno chio stesso andassi sbito a
raccontare quello che aveva fatto: non persuadendomi, promise che si sarebbe occupato lui stesso [346a] del
mio viaggio. Perch io volevo partire sulla prima nave da trasporto che avessi trovata, irato comero e ben
deciso ad affrontare qualunque rischio, se si fosse cercato dimpedirmi di partire: ch era evidente che non io
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facevo un torto ad altri, ma gli altri a me. Dionisio allora, vedendo che volevo assolutamente andarmene,
escogit questo mezzo per trattenermi fino a che fosse passato il tempo della navigazione: venne da me il
giorno dopo, e mi tenne questo discorso persuasivo: "Tra me e te non ci siano pi [b]- disse - Dione e gli affari
suoi a renderci spesso per essi discordi: pertanto far questo per lui, per amor tuo. Riabbia egli i suoi beni, e
resti nel Peloponneso, non come esule, ma con la possibilit di ritornare qui, quando saremo tutti daccordo,
lui, io, e voi suoi amici. Metto come condizione chegli non cospiri contro di me; ne sarete garanti tu e i tuoi
familiari e i familiari di Dione che sono qui: a voi dar garanzia lui stesso. Il denaro che gli sar [c] inviato, sar
depositato nel Peloponneso e ad Atene, presso persone scelte da voi; Dione ne godr il frutto, ma non potr
toccare il capitale senza il vostro consenso. Perch io non mi fido troppo di lui, che delle sue ricchezze, che
non saranno poche, non voglia servirsi contro di me: mi fido piuttosto di te e dei tuoi. Vedi dunque se queste
proposte ti piacciono, e resta a queste condizioni ancora un anno; [d] poi con la buona stagione prenderai il
denaro e te ne andrai. Sono certo che Dione ti sar gratissimo se farai questo per lui". Questo discorso mi
dispiacque assai; e tuttavia risposi che avrei riflettuto e gli avrei fatto sapere la mia decisione il giorno dopo.
Per allora restammo daccordo cos. Rimasto solo, cominciai a riflettere tutto sconvolto. Il mio primo pensiero,
quello che guid la mia deli-[e] berazione, fu questo: "Or bene, se pur Dionisio non ha in animo di mantenere
la promessa, e tuttavia, una volta chio sia partito, fa conoscere a Dione, sia scrivendogli direttamente, sia
facendogli scrivere da molti altri suoi amici, la proposta che ora mi fa; e gli fa credere chegli era disposto a
mantener fede allaccordo, ma chio non volli fare quello che mi chiedeva perch non mi importa niente degli
affari suoi; e se, oltre a questo, non mi lascer partire, pur senza vietare ai capitani di accogliermi nella [347a]
loro nave, ma mostrando a tutti chiaramente che non vuole chio me ne vada, chi ci sar che voglia
accogliermi nella sua nave e condurmi via, quando io esca dalla casa di Dionisio?". (Agli altri guai
saggiungeva poi questo, chio abitavo nel giardino circostante la reggia, sicch neppure il portiere mi avrebbe
lasciato uscire senza un ordine di Dionisio.) "Se invece - pensavo- rimango per questo anno, potr far sapere
ogni cosa a Dione, in che condizione ancora mi trovo e quello che faccio. Quindi se Dionisio mantiene poi
davvero, anche soltanto in parte, le sue pro-[b] messe, non si dir chio sono stato sciocco a rimanere, dato
che la sostanza di Dione, se si fa una stima esatta, ammonta a non meno di cento talenti: se invece le cose
andranno come verosimile che vadano, io certo non so che far; e tuttavia forse necessario portar
pazienza ancora per un anno, e tentare di svelare coi fatti le astuzie di Dionisio." Cos dunque decisi; e il
giorno dopo dissi a [c] Dionisio: "Resto: ma tu non devi credere chio abbia il diritto di disporre a mio talento
delle cose di Dione; perci mandiamogli insieme una lettera annunciandogli quello che abbiamo stabilito tra di
noi, e domandiamogli se ha obiezioni da muovere. Se egli non contento, ma desidera che si faccia in modo
diverso, ce lo faccia sapere al pi presto. Nel frattempo sia lasciato tutto cos com ora". Questo , presso a
poco, quello che dicemmo e concordammo allora. Dopo questo le navi partirono, e io non avevo pi la possi[d] bilit dandarmene, quando Dionisio si ricord di dirmi che Dione aveva diritto soltanto alla met della
sostanza, perch laltra met era di suo figlio; e che avrebbe venduto tutto, e poi met del ricavato lavrebbe
data a me perch gliela portassi, met lavrebbe lasciata al figlio di Dione: questa, egli diceva, era la soluzione
pi giusta. Indignato per queste parole, per quanto capissi chera ridicolo muovere obiezioni, dissi tuttavia che
dovevamo aspettare la risposta di Dione, per fargli poi sapere questa novit. Egli [e] vendette invece sbito,
senza alcun riguardo, tutta la sostanza di Dione, dove, come e a chi volle: e a me non ne parl pi; e
altrettanto feci io: non gli parlai pi degli affari di Dione, convinto comero di non poter far nulla.
E dunque fino a questo punto io compii cos il mio dovere verso la filosofia e i miei amici. Dopo dallora, io e
[348a] Dionisio vivevamo cos: io guardavo fuori, come un uccello che desidera di volarsene via, lui cercava di
placarmi senza restituire a Dione i suoi beni: tuttavia fingevamo dessere amici dinanzi a tutta la Sicilia. [].
[352a] Il mio consiglio dopo quanto vi ho raccontato, ve lho gi dato ed bastevole. Per questa ragione ho
raccontato il secondo viaggio in Sicilia, che mi sembrava opportuno dirlo, per la stranezza e la novit di quanto
avvenuto. Se qualcuno giudica ragionevole quello che ho raccontato, e trova sufficientemente giustificato
quello che ho fatto, ho ottenuto quello che volevo, e non v bisogno che dica di pi.
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La Repubblica (da Opere complete, Volume VI, Laterza 1986, traduzione di F. Sartori)
LUOMO HA MOLTI BISOGNI
Platone affronta il tema della giustizia. Data la complessit del problema Socrate, propone di ampliare la
discussione spostando lattenzione dallindividuo allo Stato. Il fondamento del vivere in comune sono i bisogni
degli individui. Stando insieme e specializzandosi nelle singole attivit, si riesce a soddisfarli pi facilmente.
Linterlocutore di Socrate Adimanto.
Repubblica, 368 e-371 b
1 [368 e] [...] Noi affermiamo che esiste una giustizia del singolo individuo e in certo senso anche quella di
uno stato intero, no? Senza dubbio, ammise. Ora, uno stato non maggiore di un individuo? Maggiore,
s, rispose. Ebbene, in un mbito maggiore ci sar forse pi giustizia e la si noter pi facilmente. Perci, se
volete, [369 a] cerchiamo prima negli stati che cosa essa sia. Esaminiamola poi con questo metodo anche in
ogni individuo e cerchiamo di cogliere nelle caratteristiche del minore la somiglianza con il maggiore. Cos
va bene, mi sembra, rispose. Ora, ripresi io, se non di fatto, ma a parole assistessimo al processo di nascita
di uno stato, non vedremmo nascere pure la giustizia e lingiustizia? Forse s, ammise. E se ci avviene,
non possiamo sperare di scorgere pi agevolmente il nostro obiettivo? Molto [b] di pi, certo. Ora, secondo
voi, dobbiamo tentar di andare sino in fondo? Non la credo una impresa da poco, e quindi pensateci su! Ci
abbiamo gi pensato, disse Adimanto. Via!, fa come hai detto.
2 Secondo me, ripresi, uno stato nasce perch ciascuno di noi non basta a se stesso, ma ha molti
bisogni. O con quale altro principio credi che si fondi uno stato? Con nessun altro, rispose. Cos per un
certo [c] bisogno ci si vale dellaiuto di uno, per un altro di quello di un altro: il gran numero di questi bisogni fa
riunire in ununica sede molte persone che si associano per darsi aiuto, e a questa coabitazione abbiamo dato
il nome di stato. Non vero? Senza dubbio. Quando dunque uno d una cosa a un altro, se gliela d, o da
lui la riceve, non lo fa perch crede che sia meglio per s? Senza dubbio. Suvvia, feci io, costruiamo a
parole uno stato fin dalla sua origine: esso sar creato, pare, dal nostro bisogno. Come no? Ora, il primo e
maggiore [d] bisogno quello di provvedersi il nutrimento per sussistere e vivere. Senzaltro. Il secondo
quello di provvedersi labitazione, il terzo il vestito e simili cose. S, sono questi. Ebbene, dissi, come potr
bastare lo stato a provvedere tutto questo? Non ci dovranno essere agricoltore, muratore e tessitore? E non vi
aggiungeremo pure un calzolaio o qualche altro che con la sua attivit soddisfi ai bisogni del corpo? Senza
dubbio. Il nucleo essenziale dello stato sar di quattro o cinque [e] persone. evidente. Ebbene,
ciascuna di esse deve prestare lopera sua per tutta la comunit? Cos, per esempio, lagricoltore, che uno,
deve forse provvedere cibi per quattro e spendere quadruplo tempo e fatica per fornire il grano e metterlo in
comune con gli altri? o deve evitarsi questa briga e produrre per s soltanto un [370 a] quarto di questo grano
in un quarto di tempo? e impiegare gli altri tre quarti del tempo uno a provvedersi labitazione, uno il vestito,
uno le calzature? e non prendersi per gli altri i fastidi che derivano dai rapporti sociali, ma badare per conto
proprio ai fatti suoi? Rispose Adimanto: Forse, Socrate, la prima soluzione pi facile della seconda. Nulla
di strano, per Zeus!, io dissi. Le tue parole mi fanno riflettere che anzitutto ciascuno di noi nasce per natura
completamente diverso da ciascun altro, [b] con differente disposizione, chi per un dato compito, chi per un
altro. Non ti sembra? A me s. Ancora: agir meglio uno che eserciti da solo molte arti o quando da solo ne
eserciti una sola? Quando da solo ne eserciti una sola, rispose. chiaro daltra parte, credo, che se uno si
lascia sfuggire loccasione opportuna per una data opera, questa opera perduta. chiaro, s. Lopera da
compiere non sta ad aspettare, credo, i comodi di chi la compie. E chi la compie deve starle [c] dietro, senza
considerarla un semplice passatempo. Per forza. Per conseguenza le singole cose riescono pi e meglio
con maggiore facilit quando uno faccia una cosa sola, secondo la propria naturale disposizione e a tempo
opportuno, senza darsi pensiero delle altre. Perfettamente. Occorrono dunque, Adimanto, pi di quattro
cittadini per provvedere quanto dicevamo: ch lagricoltore, come sembra, non si costruir lui stesso da solo
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laratro, se ha da essere un buon aratro, n la zappa n [d] gli altri attrezzi agricoli. N daltra parte si costruir
i propri arnesi il muratore: gliene occorrono molti. E cos il tessitore e il calzolaio. No? vero. Ecco dunque
che carpentieri, fabbri e molti altri simili artigiani verranno a far parte del nostro staterello e lo renderanno
popoloso. Senza dubbio. Ma non sarebbe ancora troppo grande se vi aggiungessimo bovai, pecorai e le
altre categorie [e] di pastori: ci perch gli agricoltori possano avere buoi per laratura, e i muratori servirsi,
insieme con gli agricoltori, di bestie da tiro per i loro trasporti, e i tessitori e i calzolai disporre di pelli e di lane.
Ma con tutta questa gente, ribatt, non sarebbe neanche piccolo il nostro stato. Daltra parte, ripresi io,
pressoch impossibile fondarlo in un luogo che renda superflue le importazioni. Impossibile. Occorreranno
quindi altre persone ancora per portargli da un altro stato la roba che gli abbisogna. Occorreranno, s. E se
il nostro agente si presenta a mani vuote senza alcuno dei prodotti occorrenti a chi ci fornisce le merci
dimportazione [371 a] necessarie per i nostri cittadini, se ne verr via a mani vuote, non vero? Mi sembra
di s. La produzione interna deve dunque non solo bastare ai cittadini stessi, ma anche rispondere per
qualit e quantit alle esigenze di coloro dei quali i nostri cittadini possono avere bisogno. Deve, s. Al
nostro stato occorre perci un maggiore numero di agricoltori e di altri artigiani. S, un numero maggiore. E
anche di altri agenti, a mio avviso, destinati a importare e ad esportare le singole merci. Sono questi i
commercianti, non vero? S. Ci abbisogneranno dunque anche i commercianti. Senza dubbio. E se
poi il commercio si svolge per mare, [b] occorreranno ancora molti altri, pratici del lavoro marittimo. Molti
altri, certo. [...]
IL COMUNISMO
Largomento ha attratto linteresse dei filosofi sia nel secolo scorso, sia in questo. In realt sembra che Platone
nel delineare il modello del regime perfetto si sia ispirato a quello spartano, che allora godeva di grande favore
sia per la compattezza sociale, che tutta la Grecia invidiava a Sparta, sia perch questa citt era uscita
vincitrice dallo scontro trentennale con Atene.
Repubblica, 416d-417b
[416 d] [...] prima di tutto nessuno deve avere sostanze personali, a meno che non ce ne sia necessit
assoluta; nessuno deve poi disporre di unabitazione o di una dispensa cui non possa accedere chiunque lo
voglia. Riguardo alla quantit di provviste occorrenti ad atleti di guerra temperanti e coraggiosi, devono
ricevere dagli altri cittadini, dopo [e] averla determinata, una mercede per il servizio di guardia, in misura n
maggiore n minore del loro annuo fabbisogno. Devono vivere in comune, frequentando mense collettive
come se si trovassero al campo. Per quello che concerne loro e largento, occorre dire loro che nellanima
hanno sempre oro e argento divino, per dono degli di, e che non hanno alcun bisogno di oro e argento
umano; e che non pio contaminare il possesso delloro divino mescolandolo a quello delloro mortale: perch
numerose sono [417 a] le empiet che si sono prodotte a causa della moneta volgare, mentre integra resta
quella che portano entro di loro. Anzi a essi soli tra i cittadini del nostro stato non concesso di maneggiare e
di toccare oro ed argento, e di entrare sotto quel medesimo tetto che ne ricopra; n di portarli attorno sulla
propria persona n di bere da coppe dargento o doro. E cos potranno salvarsi e salvare lo stato. Quando
per sacquisteranno personalmente terra, case e monete, invece di essere guardiani, saranno amministratori
[b] e agricoltori; e diventeranno padroni odiosi anzich alleati degli altri cittadini. E cos condurranno tutta la
loro vita odiando e odiati, insidiando e insidiati, temendo molto pi spesso e molto di pi i nemici interni che gli
esterni; ed eccoli gi correre sullorlo della rovina, essi e il resto dei cittadini. Per tutto ci, continuai, diciamo
pure che cos debbono essere organizzati i guardiani per quanto riguarda labitazione e gli altri bisogni; e
siano queste le nostre leggi. No? Senza dubbio, rispose Glaucone.

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ANIMA RAZIONALE, CONCUPISCIBILE, IRASCIBILE


Partendo da uno dei fenomeni ben noti allesperienza umana la sete , Platone presenta una concezione
dellanima fra le pi famose della storia della filosofia. Vengono affermate la non coincidenza dellanima con la
Ragione, e la presenza nellanima di componenti irrazionali che la Ragione ha il dovere di controllare.
Linterlocutore di Socrate Glaucone.
Repubblica, 439 a-441 e
1 [438 d] [...] [Socrate] Questo, ripresi, intendevo allora dire, puoi bene affermarlo, se adesso hai compreso:
tutte le cose che sono in relazione con un oggetto, considerate in s e da sole hanno relazione con gli oggetti
presi in s e da soli; ma cose dotate di una determinata qualit l'hanno con oggetti [e] dotati di quella qualit. E
non dico che siano esattamente quali sono i loro oggetti; non dico che, per esempio, la scienza delle cose
sane e malate sana e malata, e quella delle cattive e buone cattiva e buona; ma poich essa divenuta
scienza non di ci che costituisce loggetto della scienza, ma di un oggetto determinato, ossia del sano e del
malato, eccola divenuta anchessa una scienza determinata; e perci non la si pi chiamata semplicemente
scienza, ma, per laggiunta della specificazione, scienza medica. Ho compreso, rispose, e mi sembra che sia
cos. [439 a] E la sete, feci io, non porrai tu che quello che essa , lo nel numero delle cose che sono di
qualcosa? Essa , non vero?, sete di ... S che la porr, rispose; sete di una bevanda. Ora, per una
bevanda determinata non c' anche una determinata sete? E non vero che la sete in s non sete n di
molta n di poca bevanda, n di una bevanda buona n di una cattiva, n, in una parola, di una bevanda
determinata? E invece, sete come sete, non per natura soltanto sete di una bevanda in quanto bevanda?
Assolutamente. Perci lanima di chi ha sete, in quanto ha sete, non desidera altro [b] che bere e tende e
mira a questo. chiaro. Ebbene, se, quando ha sete, c qualche altra cosa che la tira in senso opposto,
non ci sar in lei un elemento diverso da quello che ha sete e che, come una bestia, la spinge a bere? Perch,
come s detto, lidentico oggetto non pu effettuare nel medesimo tempo azioni opposte con la stessa sua
parte e rispetto allidentico oggetto. No certamente. Cos, credo, se si parla dellarciere, non sta bene dire
che le sue mani al tempo stesso allontanano e avvicinano al corpo larco, ma dovremo dire che una lo
allontana, laltra lo avvicina. [c] Perfettamente, ammise. Ora, possiamo dire che ci sono persone che, per
quanto assetate, non vogliono bere? Certo, rispose, ce ne sono molte, e non di rado. E che se ne potr
dire?, feci io. Non forse che nellanima loro c un elemento che incita e un altro che vieta di bere? e che
questo diverso e prevale sul primo? Mi sembra di s, rispose. E quello che cos vieta, quando sorge, [d]
non sorge dalla ragione? E gli impulsi e le attrazioni non sono dovuti a passioni e sofferenze? evidente.
Non avremo torto, dunque, continuai, a giudicare che si tratti di due elementi tra loro diversi: luno, quello con
cui lanima ragiona, lo chiameremo il suo elemento razionale; laltro, quello che le fa provare amore, fame,
sete e che ne eccita gli altri appetiti, irrazionale e appetitivo, compagno di soddisfazioni e piaceri materiali.
No, anzi [e] cos avremmo ragione, rispose. Ecco dunque definiti, ripresi, questi due aspetti che sono
nellanima nostra. Il terzo forse quello dellanimo, quello che ci rende animosi? o avr esso la stessa natura
di uno dei due precedenti? Forse, rispose, del secondo, lappetitivo. Per, dissi, una volta sentii raccontare
un aneddoto, per me attendibile: Leonzio, figlio di Aglaione, mentre saliva dal Pireo sotto il muro settentrionale
dal lato esterno, si accorse di alcuni cadaveri distesi ai piedi del boia. E provava desiderio di vedere, ma
insieme non tollerava quello spettacolo e ne distoglieva lo sguardo. Per un poco lott [440 a] con se stesso e
si coperse gli occhi, poi, vinto dal desiderio, li spalanc, accorse presso i cadaveri esclamando: Eccoveli,
sciagurati, saziatevi di questo bello spettacolo. Lho sentito raccontare anchio, rispose. Ora, conclusi,
questo racconto significa che talvolta limpulso dellanimo contrasta con i desidri: si tratta di cose tra loro
diverse. S, significa questo, ammise.
2 E non notiamo, ripresi, anche in numerose [b] altre occasioni che, quando una persona dominata da
violenti desidri che contrastano con la ragione, essa si rimprovera e prova un senso di sdegno contro
lelemento violento che in lei? e che, in questo contrasto a due, il suo animo si allea alla ragione? Ma
quando esso fa causa comune con i desidri, in quanto la ragione decide che non deve contrastarli, non credo
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tu possa affermare di accorgerti che sia mai accaduto in te e nemmeno in altri alcunch di simile. No, per
Zeus!, disse. E [c] che succede, feci, quando uno crede di essere in torto? Non vero che, quanto pi
nobile di cuore, tanto meno capace di arrabbiarsi per la fame, il freddo o qualsiasi altro simile disagio gli
venga da chi, secondo lui, fa questo giustamente? e che, come dico, lanimo suo non vuol eccitarsi contro
codesta persona? vero, rispose. E quando uno pensa di subire un torto? Non vero che allora ribolle
dira, si stizzisce e si fa alleato di quella che gli sembra giustizia? e, attraverso la fame, il freddo [d] e ogni
simile patimento, tenacemente resistendo vince, senza desistere dai suoi nobili sforzi finch non riesce o
muore o si ammansisce alla voce della ragione che in lui, come si ammansisce un cane alla voce del
pastore? Il paragone senza dubbio calzante, rispose; e veramente nel nostro stato abbiamo stabilito che
gli ausiliari, come cani, siano soggetti ai governanti, come a pastori dello stato. Tu comprendi bene, dissi, il
mio pensiero. Ma vuoi [e] riflettere su questaltro punto? Quale? Lelemento animoso si rivela lopposto di
come pensavamo poco fa. Allora noi lo credevamo una specie di appetito, adesso invece affermiamo che c
notevole differenza e preferiamo assai dire che quando lanima discorde, esso combatte in difesa della
ragione. Senzaltro, disse. Ed diverso anche da questa o ne un aspetto, s che nellanima esistono non
tre, ma due aspetti, il razionale e lappetitivo? Oppure, come nello stato erano tre classi a [441 a] costituirlo
(affaristi, ausiliari e consiglieri), cos anche nellanima questo terzo elemento lanimoso? E non aiuta esso
naturalmente la ragione, a meno che non lo guasti una cattiva educazione? necessariamente il terzo,
rispose. S, feci io, sempre che risulti diverso dallelemento razionale, come risult differente dallappetitivo.
Ma non difficile questo, disse; anche nei bambini si potrebbe notare che fino dalla nascita sono pieni
danimo, ma, in quanto alla ragione, taluni di essi, a mio parere, [b] ne sono totalmente privi, i pi ne
acquistano col tempo. S, per Zeus!, risposi, hai detto bene. E il fenomeno che citi si potrebbe constatare
anche nelle bestie. Lo confermer ulteriormente il verso di Omero che pi sopra abbiamo ripetuto:
percotendosi il petto rimproverava il suo cuore. L Omero, come se si trattasse di due cose di cui una
rimbrotta laltra, ha chiaramente rappresentato lelemento [c] razionale, che riflette sul meglio e sul peggio,
mentre rimbrotta quello che seccita irragionevolmente. Parli benissimo, disse. Ecco, feci io, che, pur a
stento, abbiamo superato queste difficolt e ci siamo resi ben conto che le parti che costituiscono lo stato e le
parti che costituiscono lanima di ciascun individuo, sono le stesse e in numero eguale. cos. Ora,
conseguenza necessaria e immediata non che anche il privato individuo sia sapiente come lo era lo stato e
per via del medesimo elemento? [d] S, certamente. E che, dunque, anche lo stato sia coraggioso nel
modo in cui lo un privato, e con il medesimo elemento? e che identica sia la loro condizione in qualunque
altro rapporto con la virt? Per forza. E dunque, Glaucone, dovremo dire giusto, io credo, un uomo allo
stesso modo in cui lo era lo stato. Anche questo, per forza. Non ci siamo per dimenticati che quello stato
era giusto in quanto ciascuna delle tre classi che lo costituivano adempiva il compito suo. Non ce ne siamo
dimenticati, mi sembra, rispose. Dobbiamo allora ricordare che anche ciascuno di noi, se ciascuno dei [e]
suoi elementi adempie i suoi compiti, sar un individuo giusto che adempie il suo compito. S, fece,
dobbiamo ricordarcene. Ora, allelemento razionale, che sapiente e vigila su tutta lanima, non toccher
governare? e allelemento animoso essergli suddito e alleato? Senza dubbio
SULLE DONNE IN COMUNE
Platone presenta una concezione della donna e dei suoi rapporti con luomo in un contesto di negazione della
propriet, anche del corpo e dei figli, che ci appare assurda e carica di violenza. Nello stesso tempo per
luomo e la donna sono posti sullo stesso piano di fronte allo Stato, che deve fare le sue scelte senza
accettare discriminazioni sessuali.
a) Sulla comunione delle donne e dei figli (Repubblica, 457d-e)
[457 d] Queste donne di questi nostri uomini siano tutte comuni a tutti e nessuna abiti privatamente con
alcuno; e comuni siano poi i figli, e il genitore non conosca la propria prole, n il figlio il genitore. Questa
norma, disse, assai pi dellaltra susciter diffidenza, per la sua possibilit come per la sua utilit. Non
credo, risposi, che, almeno per quanto concerne lutile, si contester che non sia massimo bene avere comuni
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le donne e i figli, sempre che la cosa sia possibile; ma credo che ci sar una grandissima contestazione se sia
o no possibile. [e] Ambedue i punti, fece, si potranno contestare molto. [...]
b) Sul rapporto uomo-donna (Repubblica, 451c-452e)
1
[451 c] [...] Forse sarebbe bene, dopo aver completamente esaurito la rappresentazione maschile,
svolgere a sua volta quella femminile, soprattutto perch a questo tu inviti.
2
Per uomini nati ed educati come abbiamo detto non c, a mio avviso, altro modo di possedere e
godere rettamente figli e donne se non procedendo nel senso da noi indicato fin dal principio: nel nostro
discorso abbiamo cominciato a farne come tanti guardiani di un gregge. S. Ebbene, siamo coerenti e
attribuiamo alle [d] donne analoga nascita e analogo allevamento, ed esaminiamo se la cosa ci conviene o no.
Come?, chiese. Cos. Non crediamo che le femmine dei cani da guardia debbano cooperare a custodire
ci che custodiscono i maschi, cacciare insieme con loro e fare ogni altra cosa in comune? O crediamo che le
femmine debbano starsene dentro a casa perch impedite dalla figliazione e dallallevamento dei cuccioli e i
maschi faticare per tutte le cure degli armenti? [e] Ogni attivit devessere comune, rispose; con leccezione
che li impieghiamo tenendo presente che le une sono pi deboli, gli altri pi vigorosi. dunque possibile,
ripresi, impiegare un dato animale per identici scopi, se non lo sottoponi allidentico allevamento e allidentica
educazione? Non possibile. Se dunque impiegheremo le donne per gli identici scopi per i quali
impieghiamo gli uomini, identica devessere listruzione che [452 a] diamo loro. S. Ora, agli uomini si sono
date musica e ginnastica. S. E allora anche alle donne si devono assegnare queste due arti e i compiti
bellici, e le dobbiamo impiegare con gli stessi criteri. una conclusione ovvia, da quel che dici, ammise.
Per, ripresi, molti punti di questo nostro discorso, se verranno messi in pratica nel modo che diciamo, forse
potranno apparire contro la tradizione e ridicoli. Certo, disse. Di questo discorso, feci io, che cos che tu
vedi come molto ridicolo? Non , evidentemente, scorgere le donne far ginnastica ignude nelle palestre
insieme con gli uomini, [b] non soltanto le giovani, ma perfino le anziane? Sono come quei vecchi che trovi nei
ginnasi, quando, tutti grinzosi e poco piacevoli alla vista, tuttavia amano fare ginnastica. S, per Zeus!,
rispose; sarebbe uno spettacolo ridicolo, almeno per i nostri tempi. Ora, dissi, poich s cominciato a
parlare, non si devono temere i motteggi degli spiritosi: lasciamo pure che ne dicano quanti e quali vogliono
per una simile trasformazione verificatasi nei [c] ginnasi, nella musica e specialmente nel maneggio delle armi
e nellequitazione. Hai ragione, disse. Ma, ora che abbiamo avviato il discorso, dobbiamo procedere verso
il punto pi scabroso della legge; e preghiamo questi motteggiatori di rinunciare al loro mestiere e di
comportarsi seriamente, ricordando che non passato molto tempo da quando agli Elleni sembravano brutte
e ridicole certe cose che ora sembrano tali alla maggior parte dei barbari, cio che si vedessero uomini nudi; e
che quando i Cretesi per primi e poi i Lacedemoni iniziarono gli esercizi [d] ginnici, gli spiritosi di allora
potevano beffarsi di tutto questo. Non credi? Io s. Ma quando, come penso, durante gli esercizi sembr
pi opportuno svestirsi che coprire il corpo, anche quello che agli occhi era ridicolo spar di fronte allottima
soluzione che la ragione indicava. Anzi questo fatto dimostr che un superficiale chi ritiene ridicola tuttaltra
cosa che il male; e che chi si mette a suscitare il riso guardando, come a visione di cosa ridicola, a una visione
che non sia quella della stoltezza e del male, [e] persegue inoltre seriamente anche una visione del bello con
uno scopo diverso da quello del bene. Perfettamente, rispose.
FILOSOFI E FILODOSSI
Il passo tratto dal quinto libro della Repubblica, nel quale Platone d una definizione del filosofo come
amante della Verit, cui fa seguire la distinzione fra scienza (gnsis), ignoranza (agnosa) e opinione
(dxa), e tra filosofi e filodossi. A questultima si riferiscono le righe che seguono. Linterlocutore di Socrate
Glaucone.
Repubblica, 475 e-480 a
1

[475 e] [...] [Glaucone] Ma quali sono per te i veri filosofi?, chiese. Quelli, feci io, che amano
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contemplare la verit. Anche in questo, ammise, hai ragione; ma che intendi dire? Non facile rispondere,
ripresi, davanti a unaltra persona, ma credo che sarai daccordo con me su questo. Su che cosa? Che
bello e brutto, essendo opposti, [476 a] sono cose distinte. Come no? E se sono due, ciascuna di esse non
sar anche una? Giusto anche questo. Lo stesso discorso vale per il giusto e lingiusto, per il bene e il
male, e per ogni altra idea: ciascuna in s una, ma, comparendo dovunque in comunione con le azioni, con i
corpi e luna con laltra, ciascuna si manifesta come molteplice. Hai ragione, disse. Ecco dunque la mia
distinzione, feci io; da un lato metto gli individui che or ora dicevi amatori di spettacoli, amanti delle arti e
uomini di azione; dallaltro quelli di cui stiamo [b] parlando, gli unici che si potrebbero dire rettamente filosofi.
Come dici?, chiese. Secondo me, risposi, gli amanti delle audizioni e degli spettacoli amano i bei suoni, i bei
colori, le belle figure e tutti gli oggetti che risultano composti di elementi belli; ma il loro pensiero incapace di
vedere e di amare la natura della bellezza in s. cos, appunto, rispose. E coloro che sono capaci di
giungere alla bellezza in s e di vederla unicamente come [c]bellezza non saranno rari? Certamente. Chi
dunque riconosce che esistono oggetti belli, ma non crede alla bellezza in s e, pur guidato a conoscerla, non
capace di tenere dietro alla sua guida, ti sembra che viva in sogno o sveglio? Su, esamina. Sognare non
vuole dire che uno, sia dormendo sia vegliando, crede che un oggetto somigliante a una cosa non simile, ma
identico a ci cui somiglia? Io direi proprio, fece, che una tale persona sta sognando. E chi invece crede
allesistenza del bello in s ed [d] capace di contemplare sia questo bello sia le cose che ne partecipano, e
non identifica le cose belle con il bello in s n il bello in s con le cose belle, costui ti sembra che viva sveglio
o in sogno? Sveglio, certamente, rispose. E il suo pensiero, in quanto pensiero di uno che conosce, non
avremmo ragione di chiamarlo conoscenza? e quello di un altro, in quanto pensiero di uno che opina,
opinione? Senza dubbio. E se costui al quale attribuiamo opinione e non conoscenza, si arrabbiasse con
noi e [e] sostenesse che non diciamo il vero? Potremo un po calmarlo e persuaderlo con le buone,
nascondendogli la sua infermit mentale? S, rispose, nostro dovere. Su dunque, esamina che cosa gli
diremo; o vuoi che, dicendogli che nessuno gli invidia ci che eventualmente sappia, e che anzi saremmo lieti
di trovare chi sappia qualcosa, lo interroghiamo cos: Su, rispondi a questa nostra domanda: chi conosce,
conosce qualcosa o niente?. Rispondimi tu al suo posto. Risponder, disse, che conosce qualcosa. Una
cosa che o una che non ? Che : come potrebbe conoscerne una che non ? [477 a] Ecco dunque un
punto bene acquisito, anche se pi volte ripetessimo il nostro esame: ci che in maniera perfetta
perfettamente conoscibile, ma ci che assolutamente non , completamente inconoscibile. Conclusione
perfettamente soddisfacente. Bene: ma se una cosa tale da essere e non essere nello stesso tempo, non
sar intermedia tra ci che assolutamente e ci che non in nessun modo? Intermedia. Ora, la
conoscenza non si riferisce a ci che , e la non conoscenza, necessariamente, a ci che non ? E per questa
forma intermedia non si deve cercare anche qualcosa di intermedio [b] tra lignoranza e la scienza, sempre
che esista qualcosa di simile? Senza dubbio. E lopinione, diciamo, qualcosa? Come no? Una facolt
diversa dalla scienza o la medesima? Diversa. Quindi, a una cosa ordinata lopinione e a unaltra la
scienza: ciascuna secondo la facolt sua propria. Cos. Ora, per sua natura la scienza non ha per oggetto
ci che , ossia conoscere come ci che ? Mi sembra anzi che occorra una distinzione preliminare, cos.
Come?
2 [c] Definiremo le facolt un genere di enti che permettono, sia a noi sia a qualunque altro soggetto che
possa, di fare ci che possiamo. Dico, ad esempio, che alle facolt appartengono la vista e ludito, se pur
comprendi quale specie intendo dire. Ma s che comprendo, rispose. Senti dunque che cosa penso delle
facolt. Di una facolt io non vedo n colore n figura alcuna n alcuna simile propriet, come invece la vedo
di molte altre cose che mi basta guardare per definirle fra me, queste in un modo, quelle in un altro. Quanto
alla facolt, [d] ne guardo soltanto loggetto e leffetto, e in questa maniera a ciascuna facolt ho dato il suo
nome: questa, ordinata allidentico oggetto e dotata dellidentico effetto, la chiamo identica; quella, ordinata a
un oggetto diverso e dotata di diverso effetto, la chiamo diversa. E tu, come fai? Cos, disse. Torniamo
dunque al punto, mio ottimo amico, ripresi. La scienza, per te, una facolt? O come la classifichi? Cos,
rispose, anzi tra tutte le facolt la pi [e] potente. E lopinione, la riporteremo a una facolt o a unaltra
specie? Per nulla, disse; perch ci che ci permette di opinare non altro che opinione. Ma poco prima
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convenivi che scienza e opinione non sidentificano. Gi, rispose, come potrebbe mai chi ha senno
identificare linfallibile con quello che non lo ? Bene, feci io; noi siamo evidentemente daccordo che [478 a]
lopinione differisce dalla scienza. S, ne differisce. Ora, ciascuna di esse, dato che diverso il suo potere,
non ha naturalmente un oggetto diverso? Per forza. E la scienza non ha per oggetto ci che , ossia
conoscere come ci che ? S. E lopinione quello, diciamo, di opinare? S. Conosce forse lidentico
oggetto della scienza? e lidentico sar conoscibile e insieme opinabile? O una cosa impossibile?
Impossibile, rispose, in base a quello che s convenuto: se una facolt, per sua natura, ha un oggetto e
unaltra un altro, e se opinione e scienza sono ambedue facolt e ambedue, come diciamo, [b] diverse, queste
premesse non ci autorizzano a concludere per lidentit di conoscibile e opinabile. E se il conoscibile ci
che , lopinabile non sar diverso da ci che ? Diverso. Ora, lopinione opina forse ci che non ? O
pure impossibile opinare ci che non ? Su, rifletti. Chi ha unopinione non la riferisce a una cosa? O
possibile avere unopinione anche senza riferirla a un oggetto? Impossibile. Ma chi ha unopinione lha di
una cosa almeno? S. Daltra parte, a rigore, si potrebbe dire che ci che non , non una cosa, ma
nulla? Senza dubbio. Per a ci che non , non abbiamo dovuto per forza assegnare lignoranza, e a ci
che , la conoscenza? Esattamente, disse. Allora, lopinione non opina n ci che n ci che non .
No. E lopinione non potr dunque essere n ignoranza n conoscenza. Sembra di no. forse al di fuori
di esse, superando in chiarezza la conoscenza o in oscurit lignoranza? Non n questo n quello. E
allora, feci io, lopinione ti sembra pi oscura della conoscenza, ma pi luminosa dellignoranza? [d] S,
certo, rispose. E sta tra le due? S. Lopinione sar dunque intermedia tra scienza e ignoranza.
Precisamente. Ma prima non affermavamo che, se una cosa risultasse, per modo di dire, nel medesimo
tempo come essere e non essere, sarebbe intermedia tra ci che assolutamente e ci che non affatto? e
che non sarebbe loggetto n della scienza n dellignoranza, ma di ci che risultasse a sua volta come
intermedio tra lignoranza e la scienza? Giusto. E ora appunto non risulta intermedia tra le due quella che
chiamiamo opinione? S, risulta.
3 [e] Ci rimane dunque da scoprire, sembra, questaltro elemento, che partecipa insieme dellessere e del
non essere e che, rettamente parlando, non si potrebbe dire n luno n laltro in senso assoluto, affinch, se
si manifester, possiamo dire a buon diritto che lopinabile, e assegnare quindi ai termini estremi gli estremi,
agli intermedi gli intermedi; non cos? Cos. Con queste premesse, dir, mi dica e mi risponda quel bravo
[479 a] uomo che non crede al bello in s n ad alcuna idea del bello in s che permanga sempre
invariabilmente costante; e che invece ammette la molteplicit delle cose belle; quellamatore di spettacoli che
non sopporta in nessun modo chi eventualmente gli vada a parlare dellunicit del bello e del giusto, e cos via.
Di queste molte cose belle, diremo, ce n qualcuna, nostro ottimo amico, che non ti apparir brutta? e tra le
giuste qualcuna che non ti apparir ingiusta? e tra le pie qualcuna che non ti apparir empia? No, disse,
inevitabile che le stesse [b] cose belle sotto qualche aspetto appaiano anche brutte, e cos tutte le altre che mi
chiedi. E le molte cose doppie? Non appaiono tanto mezze quanto doppie? Sicuro. E per le cose grandi
e piccole, e per le leggere e pesanti si useranno di pi questi nomi che diciamo che i nomi opposti? No,
rispose, ma per ciascuna andranno bene sia questi sia quelli. E ciascuna di queste molte cose, piuttosto che
non essere, forse ci che la si dice essere? Questo, disse, sembra uno di quei giochi a doppio senso che
si fanno nei banchetti, e quellenigma che si propone [c] ai bambini sulleunuco e sul colpo tirato al pipistrello,
dove c da indovinare con quale oggetto e dove lo colpisce. Anche queste cose sembrano a doppio senso, e
di nessuna di esse si pu avere certezza che sia o non sia, n che sia le due cose insieme, n alcuna delle
due. Ebbene, feci io, sai ci che ne dovrai fare? Dove meglio le potrai collocare che tra lessere e il non
essere? Perch non appariranno [d] pi scure di ci che non , in quanto non ne superano il grado di non
essere, n pi luminose di ci che , in quanto non ne superano il grado di essere. Verissimo, disse.
Allora, sembra, abbiamo scoperto che i molti luoghi comuni della maggioranza a proposito della bellezza e di
tutto il resto vagano, in certo modo, nella zona intermedia tra ci che assolutamente non e ci che
assolutamente . Labbiamo scoperto. Ma prima avevamo convenuto che, se una simile cosa fosse venuta
fuori, bisognava definirla opinabile, ma non conoscibile, perch a coglierla vagante nella zona intermedia la
facolt intermedia. S, daccordo. Allora, coloro che contemplano la [e] molteplicit delle cose belle, ma
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non vedono il bello in s e non sono capaci di seguire chi col li guidi, e che contemplano la molteplicit delle
cose giuste, ma non il giusto in s, e cos via, diremo che su tutto hanno opinioni, senza per conoscere
niente di quello che opinano. una conclusione necessaria, disse. E coloro che contemplano le singole
cose in s, sempre invariabilmente costanti? Non diremo che conoscono e non opinano? conclusione
necessaria anche questa. E non diremo pure che essi fanno festa e amano gli oggetti della conoscenza, e
gli altri [480 a] invece quelli dellopinione? Non ricordiamo di avere detto che questi ultimi amano e apprezzano
belle voci, bei colori e simili cose, ma non tollerano affatto che il bello in s sia una cosa reale? Ce ne
rammentiamo. Sbaglieremo dunque se li chiameremo amanti dopinione, cio filodossi, anzich amanti di
sapienza, cio filosofi? E se la prenderanno molto con noi se li definiremo cos? No, se mi danno retta,
rispose; ch non lecito prendersela per ci che vero. E quelli che amano ciascuna cosa che , essa per
se stessa, li dobbiamo chiamare filosofi, ma non filodossi? Senzaltro. [...]
UNUTOPIA REALIZZABILE
Il progetto politico di Platone: uno Stato ordinato, governato dai filosofi, nel quale ognuno realizza le sue
inclinazioni naturali, pu sembrare incredibile, in termini moderni una utopia. Per, se lutopia non un sogno,
ma un progetto, un ideale anche se certamente molto difficile da realizzare , allora non impossibile.
Platone credeva nella realizzazione di uno Stato governato secondo le norme della sapienza filosofica, e lo
dimostr durante tutta la sua vita: fece ripetuti viaggi in Sicilia allo scopo di convincere i tiranni di Siracusa a
mettere in pratica il suo programma politico; ma i risultati, come egli stesso ammette nella Settima Lettera,
furono fallimentari.
Repubblica, 502 a-c
[502 a] [...] Ammettiamo pure, feci io, che essi siano convinti di questo. Ma potr uno contestare questaltro
punto, che cio da re o signori non possano nascere figlioli con naturale disposizione alla filosofia?
Nessuno, rispose. E pu uno dire che, anche se nati con questa disposizione, devono necessariamente
essere corrotti? Anche noi riconosciamo che difficile che si salvino, ma c chi oser [b] sostenere che
nellintero corso del tempo tra tutti non se ne salvi mai nemmeno uno? E come? Certo che, continuai, se
ce n anche uno solo e dispone di uno stato obbediente, sar capace di realizzare tutto ci che ora
incredibile. S, capace, rispose. Se, ripresi, un uomo di governo impone quelle leggi e quelle forme di vita
che abbiamo descritte, non certamente impossibile che i cittadini consentano a osservarle. No,
assolutamente. Ma strano e impossibile che anche per gli altri valgano le norme che valgono per noi?
Credo di no, [c] disse. Ebbene, che si tratti di norme ottime, sempre che realizzabili, labbiamo dimostrato
esaurientemente, credo, nella discussione di prima. S, in modo esauriente. Ora, come sembra, possiamo
concludere che le nostre norme legislative sono ottime, se realizzabili; ma difficili a realizzare, per quanto non
impossibili. Possiamo concludere proprio cos, rispose.

LIDEA DI BENE
Platone afferma la necessit di cogliere con il ragionamento lIdea di Bene, perch essa sta a fondamento
della visione intellettuale della realt, cos come il Sole sta a fondamento della visione degli enti sensibili.
Importante il breve riassunto della dottrina delle Idee (507 b-c). Socrate parla in prima persona; i suoi
interlocutori sono Adimanto e Glaucone, fratelli di Platone.
Repubblica, 504 e-508 e
1 [504 e] Non ridicolo fare di tutto perch cose da poco siano le pi esatte e pure possibile, e giudicare le
maggiori indegne della maggiore esattezza? Certamente, disse [il concetto degno]. Ma veniamo a quella
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che tu dici la massima disciplina e al suo oggetto. Credi che ti si potr lasciar andare, continu, senza
chiederti che cosa ? No certamente, feci io, ma chiedilo pure. Comunque ne hai sentito parlare non di rado:
adesso o non ci rifletti oppure mediti di crearmi delle [505 a] noie con le tue obiezioni. E inclino piuttosto a
questa seconda supposizione, poich hai sentito dire spesso che oggetto della massima disciplina lidea del
bene; da essa che le cose giuste e le altre traggono la loro utilit e il loro vantaggio. E pressappoco tu sai
ora che voglio dire questo, e inoltre che di essa non abbiamo una conoscenza adeguata; ma se non ne
abbiamo conoscenza, anche ammesso che conoscessimo perfettissimamente tutto il resto senza di questa,
vedi bene che non ne ritrarremmo alcun giovamento, come non lo ritrarremmo se possedessimo una cosa
senza il bene. [b] Credi che ci sia vantaggio a possedere una qualunque cosa, se non buona? o a intendere
tutto ad eccezione del bene, senza intendere per nulla il bello e il bene? Per Zeus!, rispose, io no.
2 Daltra parte tu sai anche che per i pi il bene piacere, ma per i pi raffinati intelligenza. Come no?
E che, mio caro, coloro che pensano cos, non possono spiegare che cosa sia lintelligenza, ma sono costretti
infine a dichiarare che quella del bene. Ed molto ridicolo!, rispose. Come non pu esserlo, feci [c] io,
se, mentre ci rimproverano di non conoscere il bene, ce ne parlano come se lo conoscessimo? Dichiarano che
intelligenza del bene, come se noi comprendessimo ci che intendono dire quando pronunciano il nome del
bene. Verissimo, rispose. E coloro che definiscono bene il piacere? Forse che sbagliano meno degli
altri? Non sono costretti anche loro a riconoscere che esistono piaceri cattivi? Sicuro. Si trovano dunque a
riconoscere, credo, che le identiche cose sono buone e cattive. Non [d] vero? Indubbiamente. E qui non
sorgono evidentemente grandi e numerose dispute? E come no? Ancora: non pure evidente che,
trattandosi di cose giuste e belle che sono soltanto apparenza senza essere effettivamente tali, molti tuttavia
sceglierebbero di farle, di possederle e di far credere di possederle? mentre, se si tratta di beni, nessuno si
contenta pi di ottenere i beni apparenti, ma cerca quelli effettivi? e che, in questo mbito, ognuno non esita a
sprezzare lapparenza? Certo, rispose. Ora, loggetto che ogni anima persegue e che pone come mta di
tutte le sue azioni, indovinandone [e] limportanza, ma sempre incerta e incapace di coglierne pienamente
lessenza e di averne una salda fede come ha negli altri oggetti, onde perde anche leventuale vantaggio [506
a] di questi, dobbiamo dire che un tale oggetto, tanto importante, deve rimanere ugualmente ignorato anche
da quelle eminenti personalit dello stato alle quali rimetteremo ogni cosa? No, affatto, rispose. Credo
per, continuai, che per le cose giuste e belle, se si ignora in che relazione siano con il bene, sarebbe un
guardiano ben scarso chi ignorasse tale relazione. E profetizzo che prima di conoscere questa relazione
nessuno le conoscer bene. Giusta profezia, rispose. Godr dunque [b] di un ordine perfetto la nostra
costituzione, se le sovrintende un simile guardiano, che abbia queste conoscenze?
3 Per forza, rispose. Ma tu ora, Socrate, dici che il bene sia scienza o piacere o qualcosa di diverso? Oh!,
caro il mio uomo, replicai, lo sapevo bene, ed era palese da tempo che non ti avrebbe soddisfatto lopinione
degli altri a questo proposito. Non mi sembra giusto, Socrate, disse, che uno che da tanto tempo si occupa
di questi argomenti sappia riportare le opinioni altrui e la [c] propria no. E ti sembra giusto, feci io, che uno
parli delle cose che non sa come se le sapesse? Come se le sapesse, rispose, no, affatto. giusto per
voler parlare da uomo veramente convinto della sua opinione. E non ti sei accorto, continuai, che le opinioni
non accompagnate dalla scienza sono tutte brutte? Di esse le migliori sono cieche. Ti sembra che coloro che
hanno una vera opinione su qualcosa, ma sono sprovvisti di intelletto, presentino qualche differenza da ciechi
che camminano dritto per una strada? Nessuna differenza, rispose. Vuoi dunque contemplare cose brutte,
cieche e storte, quando ti possibile sentirne da altri di splendide e belle? No, per Zeus!, Socrate, fece
Glaucone, non ritirarti come se fossi alla fine. Noi ci sentiremo soddisfatti se tratterai del bene allo stesso
modo con cui hai trattato della giustizia, della temperanza e delle altre virt. Anch'io, risposi, mio caro amico,
ne sar molto soddisfatto, ma temo che non ci riuscir e che, pur mettendocela tutta, far una brutta figura e
mi esporr allo scherno. Su, benedetti [e] amici, lasciamo stare per il momento che cosa sia mai il bene in s:
mi sembra una cosa troppo alta perch possiamo raggiungere ora, con lo slancio presente, il concetto che ne
ho io. Invece voglio dire, se ne siete contenti pure voi, quello che sembra la prole del bene, cui molto somiglia.
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Se per non ne siete contenti, lasciamolo perdere. Su, dillo!, fece. Pagherai il tuo debito un'altra volta, [507
a] spiegandoci che cosa il padre. - Vorrei poter pagarvelo, risposi, e che voi poteste riscuoterlo tutto,
anzich, come adesso, i soli frutti. Prendetevi dunque questo frutto e la prole del bene in s. State per attenti
che, senza volere, in qualche modo non vi imbrogli, rendendovi falsificato il computo del frutto. - Staremo
attenti, rispose, come potremo. Ma tu limitati a parlare. - Lo far, dissi, soltanto quando mi sar messo
d'accordo con voi e vi avr fatto ricordare quello che s' detto prima e quello che gi s' detto pi volte in altre
occasioni. - Che cosa?, [b] chiese. Noi affermiamo che ci sono molte cose belle, e belle le definiamo col
nostro discorso; e diciamo che ci sono molte cose buone e cos via. Lo affermiamo. E poi anche che
esistono il bello in s e il bene in s; e cos tutte le cose che allora consideravamo molte, ora invece le
consideriamo ciascuna in rapporto a una idea, che diciamo una, e ciascuna chiamiamo ci che . cos.
E diciamo che quelle molte cose si vedono, ma non si colgono con lintelletto, e che le idee invece si colgono
con lintelletto, ma non si vedono. Senza [c] dubbio. Ora, qual in noi lorgano che ci fa vedere le cose
visibili? La vista, rispose. E, continuai, non ludito che ci fa udire le cose udibili? e non sono gli altri sensi
a farci sentire tutte le cose sensibili? Sicuramente. Ora, hai riflettuto, feci io, quanto maggiore pregio
lartefice dei sensi abbia voluto conferire a quello di vedere e di essere visti? No proprio, rispose. Ma
esamina la cosa in questo modo. Ludito e la voce richiedono il concorso di un elemento diverso, il primo per
udire, la seconda per essere udita? E se questo [d] terzo elemento non presente, forse che luno non udr
e laltra non sar udita? Non richiedono il concorso di nulla, rispose. E, credo, feci io, nemmeno molte altre
facolt, per non dire nessuna, richiedono alcunch di simile. O ne puoi citare qualcuna? Io no, rispose. Ma
non pensi che lo richiede la facolt della vista e del visibile? Come? Ammettiamo che negli occhi abbia
sede la vista e che chi la possiede cominci a servirsene, e che in essi si trovi il colore. Ma se non presente
un terzo elemento, che la natura riserva proprio a questo [e] cmpito, tu ti rendi conto che la vista non vedr
nulla e che i colori resteranno invisibili. Qual questo elemento di cui parli? Quello, risposi, che tu chiami
luce. Dici la verit, ammise. Di una specie non insignificante sono dunque il senso della vista e la facolt
[508 a] di essere veduti, se sono stati congiunti con un legame pi prezioso di quello che tiene insieme le altre
combinazioni, a meno che non sia cosa spregevole la luce. Spregevole?, disse. Tuttaltro!
4 A quale dunque tra gli di del cielo puoi attribuire questo potere? un dio la cui luce permette alla nostra
vista di vedere nel miglior modo e alle cose visibili di farsi vedere? Quello, rispose, che tu e gli altri
riconoscete: chiaro che la tua domanda si riferisce al sole. Ora, il rapporto tra la vista e questo dio non
per natura cos? Come? La vista, n come facolt in se stessa n come organo in cui ha sede e che
chiamiamo [b] occhio, non il sole. No, certamente, Eppure, a mio parere, tra gli organi dei sensi quello
che pi ricorda nellaspetto il sole. S, certo. E la facolt di cui dispone non lha perch dispensata dal sole,
come un fluido che filtra in essa? Senza dubbio. E non vero anche che il sole non la vista, ma,
essendone causa, da essa stessa veduto? cos, ammise. Puoi dir dunque, feci io, che io chiamo il sole
prole [c] del bene, generato dal bene a propria immagine. Ci che nel mondo intelligibile il bene rispetto
allintelletto e agli oggetti intelligibili, nel mondo visibile il sole rispetto alla vista e agli oggetti visibili.
Come?, fece, ripetimelo. Non sai, ripresi, che gli occhi, quando uno non li volge pi agli oggetti rischiarati nei
loro colori dalla luce diurna, ma a quelli rischiarati dai lumi notturni, si offuscano e sembrano quasi ciechi,
come se non fosse nitida in loro la vista? Certamente, rispose. Ma [d] quando, credo, uno li volge agli
oggetti illuminati dal sole, vedono distintamente e la vista, che ha sede in questi occhi medesimi, appare
nitida. Sicuro! Allo stesso modo considera anche il caso dellanima, cos come ti dico. Quando essa si
fissa saldamente su ci che illuminato dalla verit e dallessere, ecco che lo coglie e lo conosce, ed
evidente la sua intelligenza; quando invece si fissa su ci che misto di tenebra e che nasce e perisce, allora
essa non ha che opinioni e soffusca, rivolta in s e in gi, mutandole, le sue opinioni e rassomiglia a persona
senza intelletto. Le somiglia proprio. Ora, [e] questo elemento che agli oggetti conosciuti conferisce la
verit e a chi conosce d la facolt di conoscere, di pure che lidea del bene; e devi pensarla causa della
scienza e della verit, in quanto conosciute.
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QUATTRO GRADI DELLA CONOSCENZA


In questo passo del sesto libro della Repubblica Platone sottolinea la distinzione fra il mondo visibile e quello
intelligibile, allinterno dei quali si procede a una ulteriore distinzione fra gli enti (sensibili e intelligibili) e la loro
immagine. La separazione fra mondo dei sensi e mondo dellintelletto non esclude una forma di
comunicazione tra le due realt, quella comunicazione garantita dalla dialettica della partecipazione. Cos,
anche sul piano della conoscenza possibile individuare una forma di continuit: il segmento proposto da
Platone s diviso in quattro, ma rimane uno. Al livello pi basso sta limmaginazione (eikasa), cui segue la
credenza (pstis). A livello intelligibile troviamo la conoscenza matematica (dinoia) e la filosofia (nesis). La
dinoia si viene a trovare in una zona intermedia fra la nesis e la dxa. La conoscenza filosofica (nesis),
una volta raggiunta, non ha pi bisogno di punti di appoggio: essa completamente autonoma nel procedere
dialettico, in un movimento che va dalle Idee alle Idee. Socrate ha qui come interlocutore Glaucone.
Repubblica, 509d-511e
1 [509 d] Ebbene, ripresi, immagina che, come stiamo dicendo, siano essi due princpi, e che reggano
uno il genere e il mondo intelligibile, laltro quello visibile. Mi esprimo cos perch dicendo mondo celeste non
ti da limpressione di sofisticare sul nome. ti rendi conto di queste due specie, visibile e intelligibile? Me ne
rendo conto. Supponi ora di prendere una linea bisecata in segmenti ineguali e, mantenendo costante il
rapporto, dividi a sua volta ciascuno dei due segmenti, quello che rappresenta il genere visibile e quello che
rappresenta il genere intelligibile; e, secondo la rispettiva chiarezza e oscurit, tu avrai, [e] nel mondo visibile,
un primo segmento, le immagini. Intendo per immagini in primo luogo le ombre, poi i [510 a] riflessi nellacqua
e in tutti gli oggetti formati da materia compatta, liscia e lucida, e ogni fenomeno simile, se comprendi. Certo
che comprendo. Considera ora il secondo, cui il primo somiglia: gli animali che ci circondano, ogni sorta di
piante e tutti gli oggetti artificiali. Lo considero, rispose. Non vorrai ammettere, feci io, che il genere visibile
diviso secondo verit, ossia che loggetto simile sta al suo modello come lopinabile [b] sta al conoscibile?
Io s, disse, certamente. Esamina poi anche in quale maniera si deve dividere la sezione dellintelligibile.
Come? Ecco: lanima costretta a cercarne la prima parte ricorrendo, come a immagini, a quelle che nel
caso precedente erano le cose imitate; e partendo da ipotesi, procedendo non verso un principio, ma verso
una conclusione. Quanto alla seconda parte, quella che mette capo a un principio non ipotetico, costretta a
cercarla movendo dallipotesi e conducendo questa sua ricerca senza le immagini cui ricorreva in quellaltro
caso, con le sole idee e per mezzo loro. Non ho ben compreso, rispose, queste tue parole. Ebbene, [c]
ripresi, torniamoci sopra: comprenderai pi facilmente quando si sar fatta questa premessa. Tu sai, credo,
che coloro che si occupano di geometria, di calcoli e di simili studi, ammettono in via dipotesi il pari e il dispari,
le figure, tre specie di angoli e altre cose analoghe a queste, secondo il loro particolare campo dindagine; e,
come se ne avessero piena coscienza, le riducono a ipotesi e pensano che non meriti pi renderne conto n a
se stessi n ad [d] altri, come cose a ognuno evidenti. E partendo da queste, eccoli svolgere i restanti punti
dellargomentazione e finire, in piena coerenza, a quel risultato che si erano mossi a cercare. Senza dubbio,
rispose, questo lo so bene. E quindi sai pure che essi si servono e discorrono di figure visibili, ma non
pensando a queste, s invece a quelle di cui queste sono copia: discorrono del quadrato in s e della
diagonale in s, ma non di quella che tracciano, e [e] cos via; e di quelle stesse figure che modellano e
tracciano, figure che danno luogo a ombre e riflessi in acqua, si servono a loro volta come di immagini, per
cercar di [511 a] vedere quelle cose in s che non si possono vedere se non con il pensiero, dianoeticamente.
vero quello che dici, rispose.
2 Ecco dunque che cosa intendevo per specie intelligibile, e dicevo che, ricercandola, lanima costretta
a ricorrere a ipotesi, senza arrivare al principio, perch non pu trascendere le ipotesi; essa si serve, come
dimmagini, di quegli oggetti stessi di cui quelli della classe inferiore sono copie e che in confronto a questi
ultimi sono ritenuti e stimati evidenti realt. Comprendo, disse, che ti [b] riferisci al mondo della geometria e
delle arti che le sono sorelle. Allora comprendi che per secondo segmento dellintelligibile io intendo quello
cui il discorso attinge con il potere dialettico, considerando le ipotesi non princpi, ma ipotesi nel senso reale
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della parola, punti di appoggio e di slancio per arrivare a ci che immune da ipotesi, al principio del tutto; e,
dopo averlo raggiunto, ripiegare attenendosi rigorosamente alle conseguenze che ne derivano, e cos
discendere alla conclusione senza [c] assolutamente ricorrere a niente di sensibile, ma alle sole idee,
mediante le idee passando alle idee; e nelle idee termina tutto il processo. Comprendo, rispose, ma non
abbastanza. Mi sembra che tu parli di una operazione complessa. Comprendo per il tuo desiderio di
precisare che quella parte dellessere e dellintelligibile che contemplata dalla scienza dialettica pi chiara
di quella contemplata dalle cosiddette arti, per le quali le ipotesi sono princpi; e coloro che osservano gli
oggetti delle arti sono costretti, s, a osservarli con il pensiero senza ricorrere ai sensi, ma [d] poich li
esaminano senza risalire al principio, bens per via dipotesi, a te sembrano incapaci dintenderli, anche se
questi oggetti sono intelligibili con un principio. E, a mio avviso, tu chiami pensiero dianoetico, ma non
intelletto, la condizione degli studiosi di geometria e di simili dotti, come se il pensiero dianoetico venisse a
essere qualcosa di intermedio tra lopinione e lintelletto. Hai capito benissimo, feci io. Ora applicami ai
quattro segmenti questi quattro processi che si svolgono nellanima: applica [e] lintellezione al pi alto, il
pensiero dianoetico al secondo, al terzo assegna la credenza e allultimo limmaginazione; e ordinali
proporzionalmente, ritenendo che essi abbiano tanta chiarezza quanta la verit posseduta dai loro rispettivi
oggetti. Comprendo, rispose, sono daccordo e li ordino come dici.
IL MITO DELLA CAVERNA
Allinizio del settimo libro della Repubblica Platone narra il mito della caverna, uno dei pi famosi ed
affascinanti. In esso si ritrova espressa nel linguaggio accessibile del mito tutta la teoria platonica della
conoscenza, ma anche si ribadisce il rapporto tra filosofia e impegno di vita: conoscere il Bene significa anche
praticarlo; il filosofo che ha contemplato la Verit del Mondo delle Idee non pu chiudersi nella sua torre
davorio: deve tornare a rischio della propria vita fra gli uomini, per liberarli dalle catene della conoscenza
illusoria del mondo sensibile. Proponiamo la lettura di queste pagine senza ulteriori osservazioni e commenti,
convinti che lo scritto platonico non li richieda. Socrate parla in prima persona; il suo interlocutore Glaucone.
Repubblica, 514 a-517 a
1 [514 a] In sguito, continuai, paragona la nostra natura, per ci che riguarda educazione e mancanza di
educazione, a unimmagine come questa. Dentro una dimora sotterranea a forma di caverna, con lentrata
aperta alla luce e ampia quanto tutta la larghezza della caverna, pensa di vedere degli uomini che vi stiano
dentro fin da fanciulli, incatenati gambe e collo, s da dover restare fermi e da [b] poter vedere soltanto in
avanti, incapaci, a causa della catena, di volgere attorno il capo. Alta e lontana brilli alle loro spalle la luce dun
fuoco e tra il fuoco e i prigionieri corra rialzata una strada. Lungo questa pensa di vedere costruito un
muricciolo, come quegli schermi che i burattinai pongono davanti alle persone per mostrare al di sopra di essi i
burattini. Vedo, rispose. Immagina di vedere uomini che portano lungo il muricciolo oggetti [c] di ogni sorta
sporgenti dal margine, e statue e altre [515 a] figure di pietra e di legno, in qualunque modo lavorate; e, come
naturale, alcuni portatori parlano, altri tacciono. Strana immagine la tua, disse, e strani sono quei
prigionieri. Somigliano a noi, risposi; credi che tali persone possano vedere, anzitutto di s e dei compagni,
altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte? E come possono,
replic, se sono costretti a tenere immobile il [b] capo per tutta la vita? E per gli oggetti trasportati non lo
stesso? Sicuramente. Se quei prigionieri potessero conversare tra loro, non credi che penserebbero di
chiamare oggetti reali le loro visioni? Per forza. E se la prigione avesse pure uneco dalla parete di fronte?
Ogni volta che uno dei passanti facesse sentire la sua voce, credi che la giudicherebbero diversa da quella
dellombra che passa? Io no, per Zeus!, [c] rispose. Per tali persone insomma, feci io, la verit non pu
essere altro che le ombre degli oggetti artificiali. Per forza, ammise. Esamina ora, ripresi, come potrebbero
sciogliersi dalle catene e guarire dallincoscienza. Ammetti che capitasse loro naturalmente un caso come
questo: che uno fosse sciolto, costretto improvvisamente ad alzarsi, a girare attorno il capo, a camminare e
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levare lo sguardo alla luce; e che cos facendo provasse dolore e il barbaglio lo rendesse incapace di [d]
scorgere quegli oggetti di cui prima vedeva le ombre. Che cosa credi che risponderebbe, se gli si dicesse che
prima vedeva vacuit prive di senso, ma che ora, essendo pi vicino a ci che ed essendo rivolto verso
oggetti aventi pi essere, pu vedere meglio? e se, mostrandogli anche ciascuno degli oggetti che passano,
gli si domandasse e lo si costringesse a rispondere che cosa ? Non credi che rimarrebbe dubbioso e
giudicherebbe pi vere le cose che vedeva prima di quelle che gli fossero mostrate adesso? Certo, rispose.
2 [e] E se lo si costringesse a guardare la luce stessa, non sentirebbe male agli occhi e non fuggirebbe
volgendosi verso gli oggetti di cui pu sostenere la vista? e non li giudicherebbe realmente pi chiari di quelli
che gli fossero mostrati? cos, rispose. Se poi, continuai, lo si trascinasse via di l a forza, su per lascesa
scabra ed erta, e non lo si lasciasse prima di averlo tratto alla luce del sole, non ne soffrirebbe e non
sirriterebbe [516 a] di essere trascinato? E, giunto alla luce, essendo i suoi occhi abbagliati, non potrebbe
vedere nemmeno una delle cose che ora sono dette vere. Non potrebbe, certo, rispose, almeno
allimprovviso. Dovrebbe, credo, abituarvisi, se vuole vedere il mondo superiore. E prima osserver, molto
facilmente, le ombre e poi le immagini degli esseri umani e degli altri oggetti nei loro riflessi nellacqua, e infine
gli oggetti stessi; da questi poi, volgendo lo sguardo alla luce delle stelle e della luna, [b] potr contemplare di
notte i corpi celesti e il cielo stesso pi facilmente che durante il giorno il sole e la luce del sole. Come no?
Alla fine, credo, potr osservare e contemplare quale veramente il sole, non le sue immagini nelle acque o
su altra superficie, ma il sole in se stesso, nella regione che gli propria. Per forza, disse. Dopo di che,
parlando del sole, potrebbe gi concludere che esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le
cose del mondo visibile, e ad essere [c] causa, in certo modo, di tutto quello che egli e i suoi compagni
vedevano. chiaro, rispose, che con simili esperienze concluder cos. E ricordandosi della sua prima
dimora e della sapienza che aveva col e di quei suoi compagni di prigionia, non credi che si sentirebbe felice
del mutamento e proverebbe piet per loro? Certo. Quanto agli onori ed elogi che eventualmente si
scambiavano allora, e ai primi riservati a chi fosse pi acuto nellosservare gli oggetti che passavano e pi [d]
rammentasse quanti ne solevano sfilare prima e poi e insieme, indovinandone perci il successivo, credi che li
ambirebbe e che invidierebbe quelli che tra i prigionieri avessero onori e potenza? o che si troverebbe nella
condizione detta da Omero e preferirebbe altrui per salario servir da contadino, uomo sia pur senza
sostanza, e patire di tutto piuttosto che avere quelle opinioni e vivere in quel modo? Cos penso anchio,
rispose; [e] accetterebbe di patire di tutto piuttosto che vivere in quel modo. Rifletti ora anche su questaltro
punto, feci io. Se il nostro uomo ridiscendesse e si rimettesse a sedere sul medesimo sedile, non avrebbe gli
occhi pieni di tenebra, venendo allimprovviso dal sole? S, certo, rispose. E se dovesse discernere
nuovamente quelle ombre e contendere con coloro che sono rimasti sempre prigionieri, nel periodo in cui ha la
vista offuscata, prima [517 a] che gli occhi tornino allo stato normale? e se questo periodo in cui rif labitudine
fosse piuttosto lungo? Non sarebbe egli allora oggetto di riso? e non si direbbe di lui che dalla sua ascesa
torna con gli occhi rovinati e che non vale neppure la pena di tentare di andar su? E chi prendesse a sciogliere
e a condurre su quei prigionieri, forse che non lucciderebbero, se potessero averlo tra le mani e ammazzarlo?
Certamente, rispose. [...]
IL GOVERNO DELLO STATO
Nel passo, dedicato al problema del governo dello Stato, sono presenti vere e proprie ingenuit, come la
convinzione che il filosofo non sia per nulla attratto dal fascino del potere, anzi lo eviti tenacemente, per cui lo
si debba costringere ad esercitarlo. La storia della filosofia smentisce questa illusione. E non pu che lasciare
stupiti lidea che tanto meno uno abbia desiderio di governare, tanto pi probabile che egli sappia farlo
benissimo.
Repubblica, 519e-521b
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[519 e] Ti sei dimenticato di nuovo, mio caro, replicai, che alla legge non interessa che una sola classe dello
stato si trovi in una condizione particolarmente favorevole. Essa cerca di realizzare questo risultato nello stato
tutto: armonizza tra loro i cittadini persuadendoli e [520 a] costringendoli, fa che si scambino i vantaggi che i
singoli sappiano procurare alla comunit; e creando nello stato simili individui, la legge stessa non lo fa per
lasciarli volgere dove ciascuno voglia, ma per valersene essa stessa a cementare la compattezza dello stato.
vero, rispose; me ne sono dimenticato. Considera poi, Glaucone, continuai, che non faremo torto
nemmeno a quelli che nel nostro stato nascono filosofi; ma che saranno giuste le cose che loro diremo
costringendoli a curare e custodire gli altri. [b] Parleremo cos: coloro che nascono filosofi negli altri stati,
naturale che non partecipino alle fatiche politiche, perch sorgono spontanei, indipendentemente dalla
costituzione dei singoli stati; e ci che spontaneo, non dovendo il nutrimento ad alcuno, giusto che non si
senta spinto a pagare ad alcuno le spese. Voi per, vi abbiamo generato per voi stessi e per il resto dello
stato, come negli sciami i capi e i re; avete avuto educazione migliore e pi perfetta [c] che non quegli altri
filosofi, e maggiore attitudine a svolgere ambedue le attivit. Ciascuno deve dunque, a turno, discendere nella
dimora comune agli altri e abituarsi a contemplare quegli oggetti tenebrosi. Abituandovi, vedrete infinitamente
meglio di quelli laggi e conoscerete quali siano le singole visioni, e quali i loro oggetti, perch avrete veduto
la verit sul bello, sul giusto e sul bene. E cos per noi e per voi lamministrazione dello stato sar una realt,
non un sogno, come invece oggi avviene nella maggioranza degli stati, amministrati da persone che si battono
fra loro per ombre e si disputano il potere, come se fosse [d] un grande bene. La verit questa: lo stato in cui
chi deve governare non ne ha il minimo desiderio, per forza amministrato benissimo, senza la pi piccola
discordia, ma quello in cui i governanti sono di tipo opposto, amministrato in modo opposto. Senza dubbio,
rispose. Ebbene, credi che, udendo questi discorsi, i nostri pupilli ci disobbediranno e vorranno non
collaborare alle fatiche politiche, ciascuno a turno, e abitare la maggior parte del tempo in reciproca
compagnia nel mondo puro? [e] impossibile, disse; perch a persone giuste come sono essi,
prescriveremo cose giuste. La cosa pi importante di tutte che ciascuno di essi va al governo per obbligo,
mentre chi governa oggid nei singoli stati si comporta in modo opposto. E cos, amico, dissi; se per [521 a]
chi dovr governare troverai un modo di vita migliore del governare, ottima potr essere lamministrazione del
tuo stato, perch sar il solo in cui governeranno le persone realmente ricche, non di oro, ma di quella
ricchezza che rende luomo felice, la vita onesta e fondata sullintelligenza. Se invece vanno al potere dei
pezzenti, avidi di beni personali e convinti di dover ricavare il loro bene di l, dal governo, non possibile una
buona amministrazione: perch il governo oggetto di contesa e una simile guerra civile e intestina rovina con
loro tutto il resto dello stato. Verissimo, rispose. Conosci dunque, ripresi, [b] qualche altro modo di vita che
spregi le cariche pubbliche e non sia quello del vero filosofo? No, per Zeus!, rispose. Daltra parte, al
governo devono andare persone che non amino governare. Altrimenti la loro rivalit sfocer in contesa.
Come no? Chi dunque costringerai ad assumersi la guardia dello stato se non coloro che meglio conoscono
quali sono i modi per la migliore amministrazione di uno stato, e che possono avere altri onori e una vita
migliore di quella politica? Nessun altro, rispose.
LEDUCAZIONE
Per capire il ruolo che ciascun cittadino deve svolgere allinterno della societ occorre ricevere una
educazione che faccia risaltare la naturale predisposizione di ciascuno. Alleducazione dedicato il settimo
libro della Repubblica: Platone presenta un piano di studi piuttosto accurato, uno dei pi importanti e discussi
esempi di paidea greca. Di esso riportiamo la parte finale, dedicata allinsegnamento della dialettica a coloro
che sono destinati a diventare filosofi e a governare gli stati. Socrate parla in prima persona; il suo
interlocutore Glaucone.
Repubblica, 538 d-541 b
1

[538 d] Supponiamo ora, feci io, di andar a chiedere a una persona cos educata che cosa il bello e
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che essa dia la risposta che ha sentito dal legislatore; e che la si critichi e pi volte e in pi modi si rinnovi la
critica e che si riesca a trascinare quella persona a pensare che quel bello indifferentemente bello [e] o
brutto (e cos per il giusto, per il bene e per i valori da lei particolarmente apprezzati). Come credi che essa si
comporter poi per quanto concerne il rispetto e lobbedienza a questi valori? inevitabile, disse, che non li
rispetter n seguir pi come prima. Ebbene, ripresi, quando non li giudichi pi degni di rispetto e
confacenti a s come prima e non riesca a trovare i valori [539 a] veri, quale altra condotta di vita potr essa
naturalmente assumere se non quella di un adulatore? Non avr altra possibilit, rispose. Allora, credo, da
rispettosa della legge ne sembrer divenuta nemica. Per forza. Ora, continuai, non naturale che cos si
venga a trovare chi affronta in questo modo la dialettica? e, come dicevo poco fa, non merita grande
indulgenza? Anzi compassione, disse. E perch questa compassione non circondi i tuoi trentenni, non si
dovr affrontare la dialettica con ogni cautela possibile? Certamente, rispose. [b] E non gi una notevole
cautela non farla gustare loro da giovani? Credo non ti sia ignoto che i giovincelli, non appena assaporano la
dialettica, se ne servono come per gioco, usandola sempre per contraddire; e, imitando chi li confuta,
confutano poi essi stessi altre persone e si divertono come cuccioli a tirare e a dilaniare con il discorso chi via
via venga loro a tiro. S, si divertono straordinariamente, rispose. E quando hanno essi stessi confutato
molti e da molti sono stati confutati, [c] eccoli precipitarsi, impetuosi e rapidi, a rinnegare tutto quello che
credevano prima. Ecco perch di fronte agli altri sono screditati essi stessi e coinvolgono nello scredito lintero
mondo della filosofia. Verissimo, disse. Una persona pi matura, ripresi, non potr dunque consentire a
partecipare a una simile folla; ma preferir imitare chi vuole coltivare la dialettica e cercare il vero anzich chi
scherza e contraddice per gioco; e sar, essa [d] stessa, pi moderata, e far rispettare di pi la sua
occupazione anzich farla spregiare. Giusto, rispose. Ora, anche tutto ci che s detto prima non
dovuto a cautela? Cio che coloro che si faranno partecipare alla dialettica devono avere natura ordinata e
ferma; e che non le si deve accostare, come avviene ora, il primo che cpita, per di pi senza la minima
disposizione. Indubbiamente, rispose.
2 Ora, forse sufficiente praticare la dialettica, assiduamente e intensamente senza altre attivit, ma
esercitandovisi in maniera corrispettiva agli esercizi del corpo, per il doppio di anni che in quelli? Intendi dire
sei [e] o quattro anni?, chiese. Non ha importanza, risposi, poni che siano cinque. Pi tardi i tuoi giovani
dovranno ridiscendere in quella caverna ed essere forzati ad assumere i comandi bellici e tutte le cariche
pubbliche che toccano a persone giovani, affinch non restino inferiori agli altri nemmeno per lesperienza. E
anche in queste [540 a] congiunture si dovranno ancora saggiare, per vedere se, pur subendo pressioni da
ogni parte, rimarranno fermi, o se ne saranno turbati anche solo un poco. E questo periodo, chiese, quanto
lo fai durare? Quindici anni, risposi. Poi, quando hanno raggiunto i cinquantanni, quelli che ne siano usciti
sani e salvi e si siano dimostrati dovunque e in ogni modo primi, nelle varie opere e scienze, si devono ormai
guidare alla mta ultima: verranno costretti a volgere in su il raggio dellanima e a guardare a ci che a ogni
cosa d luce; e dopo aver veduto il bene in s, a usarlo come un modello e a ordinare, ciascuno a turno, per il
resto della vita, lo stato e i privati [b] cittadini e se stessi; e passeranno la maggior parte del tempo immersi
nella filosofia, ma, quando venga il loro turno, dovranno affrontare le noie della vita politica e governare
ciascuno per il bene dello stato, non perch sia bello questo loro compito, ma necessario. E cos, avendo via
via educato altri a propria somiglianza e avendoli lasciati al loro proprio posto come guardiani dello stato,
andranno ad abitare nelle isole dei beati; e lo stato dovr [c] fare loro monumenti e sacrifici a pubbliche spese,
come a dmoni, se daccordo anche la Pizia; e se non lo , come a persone felici e divine. Sono
veramente splendidi, Socrate, disse, questi governanti che hai foggiati, come uno scultore. E anche le donne
di governo, Glaucone, replicai. Devi pensare che le mie parole si riferiscono tanto agli uomini quanto alle
donne, tutte quelle che nascono naturalmente adatte. Giusto, rispose, se, come abbiamo detto, avranno
ogni cosa eguale e in comune [d] con gli uomini. Ebbene?, continuai; siete daccordo che non sono affatto
utopie quelle che abbiamo dette sullo stato e sulla costituzione? Sono, s, cose difficili, ma in qualche modo
possibili (e possibili solo come s detto), quando entro lo stato divengano signori, uno o pi duno, i veri
filosofi e disprezzino gli onori in voga oggid, giudicandoli banali e di nessun conto; e apprezzino moltissimo la
dirittura morale e gli onori che le [e] conseguono, considerando la giustizia come la cosa pi importante e
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indispensabile; e servendola e accrescendola organizzino ordinatamente il loro stato. In che modo?, chiese.
Manderanno via, risposi, in campagna, tutti [541 a] i cittadini che abbiano compiuto i dieci anni; ne
prenderanno i figlioli sottraendoli allinflusso degli odierni costumi, che sono pure quelli dei genitori, e li
alleveranno secondo i loro modi e leggi, che sono quelli da noi esposti prima. Non siete daccordo che cos
molto rapidamente e facilmente sinstaureranno lo stato e la costituzione che dicevamo? e che sar uno stato
felice e offrir i maggiori vantaggi alla popolazione entro cui sorga? Certo, [b] rispose. E credo che tu,
Socrate, abbia detto bene come sorgerebbe, se mai potesse sorgere. Ora, continuai, non abbiamo gi detto
abbastanza di questo stato e dellindividuo che gli somiglia? Anche per costui chiaro quali doti gli dovremo
attribuire. chiaro, rispose; e, come dici con la tua domanda, largomento mi sembra esaurito.

LA CRITICA DELLARTE
In nome della teoria delle Idee larte subisce una condanna inappellabile: essa non ha diritto ad alcuna
libert o autonomia. Socrate parla in prima persona; il suo interlocutore Glaucone.
Repubblica, 597 a-598 d
[597 a] E il fabbricante di letti? Non dicevi poco fa che non costruisce la specie in cui diciamo consistere ci
che letto, ma costruisce un determinato letto? Lo dicevo, s. Se dunque non fa quello che letto, non
far ci che , ma un oggetto che esattamente come ci che , ma che non . E chi asserisse che lopera
del costruttore di letti o di un altro operaio cosa perfettamente reale, non rischierebbe di dire cose non vere?
Non vere, certamente, rispose; cos almeno potr credere chi si occupa di simili argomenti. Allora non
meravigliamoci affatto se anche questa opera , rispetto [b] alla verit, qualcosa di vago. No, certo.
Ebbene, ripresi, vuoi che, servendoci di questi medesimi esempi, ricerchiamo chi mai questo imitatore? Se
vuoi ..., disse. Questi nostri letti si presentano sotto tre specie. Uno quello che nella natura: potremmo
dirlo, credo, creato dal dio. O da qualcun altro? Da nessun altro, credo. Uno poi quello costruito dal
falegname. S, disse. E uno quello foggiato dal pittore. Non vero? Va bene. Ora, pittore, costruttore di
letti, dio sono tre e sovrintendono a tre specie di letti. S, tre. Ebbene, il dio, sia che non labbia voluto [c]
sia che qualche necessit labbia costretto a non creare nella natura pi di un solo e unico letto, si limitato
comunque a fare, in unico esemplare, quel letto in s, ossia ci che letto. Ma due o pi letti di tal genere il
dio non li ha prodotti, e non c pericolo che li produca mai. Come?, chiese. Perch, ripresi, se ne facesse
anche due soli, ne riapparirebbe uno di cui ambedue quelli, a loro volta, ripeterebbero la specie. E ci che
letto sarebbe questultimo, anzich quei due. Giusto, [d] rispose. Conscio di questo, credo, il dio ha voluto
essere realmente autore di un letto che realmente , non di un letto qualsiasi; n ha voluto essere un
qualunque fabbricante di letti. E perci ha prodotto un letto che fosse unico in natura. Pu darsi. Vuoi
dunque che lo chiamiamo naturale creatore di questa cosa, o con un titolo consimile? proprio giusto,
rispose; perch sia questa sia tutto il resto lha fatto in natura. E il falegname? Non dobbiamo chiamarlo
artigiano del letto? S. E anche il pittore artigiano e autore di questo oggetto? No, assolutamente. Ma
come lo definirai rispetto al letto? Secondo me, disse, [e] lappellativo che pi gli si addice potrebbe essere
imitatore delloggetto di cui quegli altri sono artigiani. Bene, risposi. Allora chiami tu imitatore chi artefice
della terza generazione di cose a partire dalla natura? Senza dubbio, rispose. Tale sar dunque anche
lautore tragico, se vero che un imitatore. Per natura egli terzo a partire dal re e dalla verit. E tali
saranno tutti gli altri imitatori. Pu essere. Eccoci dunque daccordo sullimitatore. Ora veniamo al pittore.
Dimmi: ti [598 a] sembra che egli cerchi di imitare il singolo oggetto in s che nella natura, oppure le opere
degli artigiani? Le opere degli artigiani, rispose. Quali sono o quali appaiono? Fa ancora questa
distinzione. Come dici?, chiese. Cos: un letto, che tu lo guardi di lato o di fronte o in un modo qualsiasi,
differisce forse da se stesso? O non c nessuna differenza, anche se appare diverso? E analogamente gli
altri oggetti? cos, rispose; appare diverso, ma non c alcuna differenza. [b] Esamina ora questaltro
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punto. A quale di questi due fini conformata larte pittorica per ciascun oggetto? A imitare ci che cos
come , o a imitare ci che appare cos come appare? imitazione di apparenza o di verit? Di apparenza,
rispose. Allora larte imitativa lungi dal vero e, come sembra, per questo eseguisce ogni cosa, per il fatto di
cogliere una piccola parte di ciascun oggetto, una parte che una copia. Per esempio, il pittore, diciamo, ci
dipinger un calzolaio, un falegname, gli altri [c] artigiani senza intendersi di alcuna delle loro arti. Tuttavia, se
fosse un buon pittore, dipingendo un falegname e facendolo vedere da lontano, potrebbe turlupinare bambini
e gente sciocca, illudendoli che si tratti di un vero falegname. Perch no? Ma, mio caro, di tutti costoro si
deve, credo, pensare cos. Quando, a proposito di un certo individuo, uno venga ad annunziarci di avere
incontrato un uomo che conosce tutti i mestieri e ogni altra nozione propria dei singoli specialisti, e tutto
conosce pi [d] esattamente di chiunque altro, a tale persona dovremo replicare che un sempliciotto e che
con ogni probabilit ha incontrato un ciarlatano, un imitatore, da cui stato turlupinato; e cos gli sembrato
onnisciente, ma solo perch lui incapace di vagliare scienza, ignoranza e imitazione. Verissimo, disse. [...]

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