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Universita di Pisa

Dipartimento di Fisica

Elio Fabri { Umberto Penco


o

Lezioni di Astronomia

Anno Accademico 2002{03


Parte Prima

Astronomia Generale

E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia | Ed. 2002{03


Parte Seconda

Ottica Astronomica

E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia | Ed. 2002{03


Parte Terza

Meccanica Celeste

E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia | Ed. 2002{03


G1. La sfera celeste

Il moto diurno
Com'e noto, l'astronomia e la piu antica delle scienze. La descrizione dei
fenomeni celesti quali appaiono dalla Terra (punto di vista geocentrico) e prevalsa
no a Copernico, e ha quindi grande interesse storico. Ma ancora oggi, dato che
tutte | o quasi | le osservazioni si compiono dalla super cie terrestre, o dalle
immediate vicinanze di essa, come nel caso di satelliti arti ciali, la descrizione
geocentrica conserva importanza fondamentale. E per questo che cominceremo
il nostro discorso mettendoci in atteggiamento geocentrico.
Il moto apparente delle stelle e di tutti gli altri oggetti celesti e certamente
un fenomeno noto all'uomo da sempre, tanto e evidente, pur di osservare il cielo
con un minimo di attenzione e assiduita. Va detto subito che solo in epoche
recenti e venuta meno la necessita e l'opportunita di guardare il cielo, cosicche
cio che ora puo sembrare una scoperta, no a qualche decennio fa era parte del
sapere comune.
L'osservazione notturna delle stelle, e in particolare il fatto di poter rico-
noscere delle con gurazioni immutabili, rende evidente un moto d'insieme che
conserva distanze e angoli tra allineamenti di stelle, e fa nascere immediatamente
l'idea di una sfera rigida che ruota su se stessa. La rotazione avviene attorno
a un asse individuabile da due punti ssi, detti poli, uno dei quali e visibile nel
cielo, mentre l'altro rimane sotto l'orizzonte. Sulla sfera celeste le stelle, che sem-
brano occupare posizioni sse, sono distribuite in modo disuniforme e casuale,
cio che ha consentito alla fantasia popolare di riconoscervi forme riconducibili a
tradizioni mitologiche o alla vita quotidiana (personaggi, animali, oggetti ): :::

le costellazioni nascono presumibilmente come il primo modo di ssare dei punti


di riferimento naturali nella vastita del cielo.
Il moto di rotazione della sfera celeste e troppo lento perche possa essere
percepito come tale; occorrono piu osservazioni, anche a distanza di poche ore,
per veri care che l'insieme delle stelle ha cambiato posizione rispetto all'orizzonte
dell'osservatore e dedurne la presenza del moto. Una tecnica attuale, alla portata
di tutti, per evidenziare tale moto e quella di fotografare il cielo, praticamente
con una qualunque macchina, lasciando aperto l'obiettivo per un certo tempo:
se si e puntata la macchina verso il polo visibile, ogni stella descrivera un arco
di cerchio avente per centro il polo stesso.
Possiamo tradurre quanto detto sopra in forma piu moderna, abbandonando
ovviamente ogni concetto di materialita della sfera celeste: la sfera celeste e una
sfera di raggio indeterminato, centrata nel punto di osservazione, sulla quale
vengono proiettati tutti i corpi celesti; alternativamente si puo dire che la sfera
celeste e l'insieme delle direzioni o dei versori nello spazio tridimensionale. Con
questo stiamo dicendo implicitamente che, almeno per il momento, la nostra
descrizione del cielo prescinde dalla distanza a cui stanno gli oggetti celesti.
G1{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
La prima osservazione e dunque che lo spa-
zio sembra ruotare attorno ad una direzione s-
sa; piu realisticamente diremo che il riferimen-
to dell'osservatore, la Terra, e in rotazione nel-
lo spazio (cioe rispetto a un altro riferimento
\esterno" che sara precisato meglio nel segui-
to), col periodo di un giorno. Si era accennato
alla possibilita di rivelare con l'uso della tecnica
fotogra ca questo moto apparente: invero l'im-
magine della zona polare in cui le stelle produ-
cono archi di cerchi concentrici, riportata ormai
su molte pubblicazioni, e abbastanza familiare; Fig. G1-1

forse non altrettanto nota e la quantita d'informazioni che si ricavano da una


tale immagine ( g. G1{1).
1: Il polo celeste si puo trovare facilmente considerando due archetti (1,2) piu
o meno ad angolo retto tra loro: si tracciano gli assi delle rispettive corde e
s'individua cos il centro, che e il Polo.
2: Si scopre subito che la stella Polare non e nel polo e si puo stimare facilmente
quanto ne dista.
Per fare un caso concreto, supponiamo
che misurando sulla fotogra a stampata si
trovi uno spostamento di circa 5 mm. Per va-
lutare lo spostamento in angolo, occorre cono-
scere la focale dell'obiettivo usato e l'ingran- f

dimento nella fase di stampa: se per ipotesi


si fosse usata una focale di 50 mm e un in- sfera
grandimento di circa 8 volte, cio corrispon- celeste
pellicola
derebbe ad aver usato una focale equivalen-
te f = 50  8 = 400 mm.
Dalla g. G1{2 la relazione esatta tra la Fig. G1-2

distanza x sulla fotogra a e l'angolo di separazione e x = f tg , che per angoli


piccoli puo approssimarsi x = f , cioe
= x=f:
L'angolo cos ottenuto e in radianti; per averne una stima in gradi si moltiplica
per 60 (1 rad ' 57180 ).
Allora avremo, per x = 5 mm:
=
5  60 ' 0:75
400
Si ha cos da una sola foto un primo risultato quantitativo, discretamente ap-
prossimato: attualmente la stella polare dista circa 0:7 dal Polo.
G1{2
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3: Valutazione del tempo di esposizione: se ad es. l'arco prodotto da ogni stella
e stimato circa 30 , per avere il tempo in minuti faremo:
360 : (24  60)m = 30 : t

t=
(24  60)m  30 = 120m:
360
4: Ci si puo chiedere se le traiettorie siano e ettivamente cerchi concentrici.
In e etti questo accade esattamente solo se il punto di osservazione e in
un polo terrestre. In un sistema di riferimento solidale con la Terra, una stella
appare percorrere un cerchio che ha il centro C ( g. G1{3) sull'asse polare,
e tale centro viene visto dal punto Q in una direzione che forma un angolo con
quella del Polo celeste. Questo stesso e etto si suole descrivere comunemente in
un riferimento che conserva orientamento costante rispetto alle stelle: allora una
stella vicina appare spostarsi rispetto allo sfondo delle stelle lontane, e questo
spostamento si chiama parallasse diurna ( g. G1{4).

sfera
celeste
C
S
S

P P
Q Q

Fig. G1-3 Fig. G1-4

G1{3
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La parallasse diurna
L'aspetto e l'entita dell'e etto di parallasse diurna si vede bene consideran-
dolo come il ri esso del moto di Q lungo il suo parallelo. Poiche la traiettoria
di Q e un cerchio, la traiettoria apparente della stella S sara la proiezione di tale
cerchio fatta da S sulla sfera celeste; avra percio forma circolare se la stella e
sull'asse polare, forma ellittica nel caso generale.
Il massimo spostamento angolare prodotto dalla parallasse e lo stesso ango-
lo visto prima: il suo piu grande valore si avra se Q e all'equatore, e sara
' tg = R=D
essendo R il raggio terrestre (circa 6 103 km) e D la distanza della stella. Per


la stella piu vicina D 4 anni-luce; ricordando che la luce viaggia alla velocita
'

di circa 3 105 km=s e che in un anno ci sono circa 3 107 secondi si ha che
 

1 anno-luce 9 1012 km:


' 

Troviamo cos :
'
6 103 = 1:7 10,10 rad 300 10,5


4 9 1012
 
 ' 

ricordando che
1 rad 200 105 100 5 10,6 rad:
'  ' 

Ora notiamo che un angolo di 10,5 secondi, come quello trovato, e circa 10,3
volte la sensibilita massima raggiungibile al giorno d'oggi. Dunque la parallasse
diurna delle stelle non e certamente osservabile, mentre lo e per i corpi del sistema
solare, ed e notevole ( no a quasi 1) per la Luna.

Latitudine. Stelle circumpolari e occidue


L'angolo tra l'asse di rotazione della sfera ce- to r
e

leste e il piano orizzontale (' in g. G1{5) dipen- e q ua

de dalla posizione dell'osservatore e viene de nito


latitudine geogra ca del luogo di osservazione: po-
sitiva se e visibile il Polo Nord, cioe se la localita
si trova nell'emisfero Nord della Terra, negativa in orizzo n te
caso contrario.
La g. G1{6 mostra che la sfera celeste, in re- Fig. G1-5
lazione al suo moto di rotazione, puo essere divisa
in tre regioni, delle quali una e sempre visibile, una non lo e mai. La terza puo
essere osservata per meta ad un certo istante, e lo sarebbe per intero aspettando
per un giorno, se non fosse per la luce solare. Cio vale naturalmente per ogni
G1{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
punto della Terra a esclusione dell'equatore e dei poli, che rappresentano casi
particolari in cui l'una o l'altra delle tre regioni scompare.
Poniamoci ora a una latitudine inter-
media, com'e il caso dell'Italia. Da quanto
detto sopra, non e possibile per noi vedere
occidue

tutte le stelle della sfera celeste; in parti- circumpolari


colare non si potranno vedere quelle com-
prese entro un cerchio centrato sul Polo
Sud e di ampiezza pari alla nostra latitu-
dine. Al contrario le stelle attorno al Polo
Nord, dette circumpolari, saranno sempre mai visibili

visibili, almeno nche e notte; delle altre,


dette occidue (cioe \che tramontano"), se
ne vedra meta a un certo istante e un mag- Fig. G1-6
gior numero se seguiamo la rotazione della
sfera celeste, nche la luce del giorno non impedira l'osservazione.

Giorno solare e giorno siderale


Sembra dunque che a causa della presenza del Sole certe stelle non possano
mai essere viste. Questo e vero, ma solo per entro un periodo di tempo limitato:
infatti le stelle che non si possono vedere in un certo giorno, potranno essere
osservate durante la notte in altro periodo dell'anno.
Com'e noto i nostri orologi sono regolati col moto diurno del Sole; a par-
te irregolarita che verranno ampiamente discusse nel seguito, diciamo che verso
mezzogiorno il Sole culmina (cioe sta nella posizione piu alta in cielo); a mezza-
notte e in posizione opposta, sotto l'orizzonte. Se a una stessa ora della notte,
per es. proprio a mezzanotte, osserviamo il cielo, notiamo facilmente che col pas-
sare dei giorni la sfera celeste appare progressivamente ruotata; viceversa, per
ritrovare la stessa posizione delle stelle rispetto all'orizzonte, bisogna anticipare
ogni notte l'ora di osservazione. Ovviamente dopo un certo numero di giorni si
torna alla situazione iniziale.
Non e dicile stimare l'anticipo giornaliero delle stelle: e suciente anche
qui una serie di fotogra e, fatte in giorni successivi alla stessa ora. Per confronto
con un riferimento sso (l'orizzonte, ma anche un monte o il bordo di un terrazzo)
si vede che verso Est le stesse stelle appaiono sempre piu alte nelle foto successive.
E facile veri care che per ritrovare le stelle alla stessa altezza occorre anticipare
ogni giorno di 4m l'ora della foto: ne segue che le stelle anticipano ogni giorno
rispetto al Sole di circa 4 minuti.
Possiamo enunciare questo fatto in piu modi equivalenti:
a ) in un sistema di riferimento che segue il moto diurno del Sole, la sfera celeste
non e ssa ma ruota;
G1{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
b ) nel sistema di riferimento della sfera celeste (detto anche delle \stelle sse")
il Sole si muove (il periodo di questo moto de nisce l'intervallo di un anno);
c ) le velocita di rotazione diurna della sfera celeste e del Sole sono diverse (ed e
minore quella del Sole);
d ) i periodi di rotazione diurna della sfera celeste e del Sole sono diversi (ed e
maggiore quello del Sole).
Il verso del moto del Sole rispetto alla sfera celeste e detto diretto, mentre il
moto opposto (che incontreremo piu avanti per i pianeti) e chiamato retrogrado.
Il periodo di rotazione diurno de nisce il giorno: parleremo piu propriamen-
te di giorno solare se ci riferisce al moto apparente del Sole e di giorno siderale
se ci si riferisce alla sfera celeste. Quanto abbiamo detto si traduce nel fatto
che il giorno solare e piu lungo del giorno siderale di circa 4 minuti. Nel seguito
indicheremo l'unita di misura giorno con la lettera \d," l'ora con \h," ecc.
Diciamo per ora che la di erenza fra il giorno solare e il giorno siderale e
di 4 : cos se ssiamo per de nizione 1h (solare) = (1=24)d (solare) avremo che:
m
{ un giorno solare dura 24 ore
{ un giorno siderale dura 23h 56m circa.

L'eclittica

Consideriamo ora l'altezza del Sole sull'orizzonte e le sue variazioni ( g. G1{


7). Per come sono de niti il Nord e il Sud appare chiaro che essa e massima
quando il Sole passa per il meridiano Sud (culminazione superiore ). E pero
assai piu comodo considerare l'altezza del Sole sull'equatore celeste (de nito come
sezione della sfera con un piano per il centro, perpendicolare all'asse polare). Tale
distanza angolare e detta declinazione . Se h e l'altezza del Sole sull'orizzonte
alla culminazione e '0 e la colatitudine ('0 = =2 , ') avremo  = h , '0 (per
Pisa ' = 43430 , '0 = 46170 ).
Poiche durante una giornata la declina-
zione del Sole non varia apprezzabilmente, P
il Sole descrive in un giorno un arco di paral-
lelo piu o meno distante dall'equatore. Pero E
si osserva facilmente che nel corso dell'anno
il Sole cambia declinazione, passando da un N S
massimo (verso il 21 giugno) a un minimo
(attorno al 21 dicembre). Dunque rispetto W
alla sfera celeste il Sole si muove in senso
diretto (4m al giorno) e cambia contempora-
neamente la sua declinazione: il moto che
ne deriva si svolge su un cerchio massimo Fig. G1-7
(solidale con la sfera celeste) detto eclittica
( g. G1{8). Per individuare l'eclittica e necessario dare:
G1{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
1) la sua inclinazione " sull'equatore celeste, detta obliquita dell'eclittica (in pri-
ma approssimazione " e costante e vale 23260 );
2) i punti nodali, ossia i punti d'incontro fra eclittica ed equatore: nodo ascen-
dente N, detto anche punto d'Ariete V o punto o equinozio (di primavera);
e nodo discendente D, detto anche equinozio d'autunno o punto della Bi-
lancia L.
Il punto si trova attualmente nella costel-
lazione dei Pesci. Il nome di punto d'Ariete
e dovuto al fatto che 2000 anni fa esso si P 21.VI

trovava in quella costellazione. Questo c'in-


troduce alla precessione, di cui si parlera piu 20.III

avanti, e che per ora trascuriamo. N S


Si e detto che in prima approssimazione 22.IX

il percorso diurno del Sole si svolge lungo un W


parallelo celeste: questo e vero se si trascura
la variazione di declinazione in un giorno. Se
pero componiamo i due moti suddetti, il So- 21.XII

le descrivera una lenta spirale doppia tra il Fig. G1-8


parallelo piu alto (detto Tropico del Cancro )
e il piu basso (Tropico del Capricorno ).
Giorno e anno
Per vedere quanto impiega il Sole a percorrere l'intera eclittica basta consi-
derare che essa viene percorsa sommando i 4 minuti circa di ritardo ogni giorno.
Dato che l'altezza del Sole sull'orizzonte determina le stagioni, e chiaro che il
tempo cercato coincide col ciclo delle stagioni. Percio per de nizione di anno
il Sole riappare nella stessa posizione rispetto alla sfera celeste dopo un anno,
avendo pero percorso un giro meno di quella. Dunque, indicando con DS e D?
la durata di un giorno solare e siderale rispettivamente e con N il numero di
giorni solari in un anno, si ha
NDS = (N + 1)D? (G1.9)
da cui si ricava
D? DS ,  DS
N=
D ,D
=
S  ?
=  ,1 (G1.10)
essendo  la di erenza tra le durate dei due giorni, pari a circa 4 minuti.
Se a questo punto si prendesse  proprio uguale a 4m, si otterrebbe N = 359.
E pero abbastanza ovvio che conviene invertire il ragionamento: da una misura
della durata dell'anno si ottiene N = 365:256 e quindi una determinazione della
durata del giorno siderale migliore di quanto non si possa fare direttamente:
DS
= = 3m55s:901
N +1
G1{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
D? = S ,  = 23h56m4s 099
D : (G1.11)
L'anno di cui si e parlato sopra e in realta l'anno siderale, mentre quello
legato alle stagioni e l'anno tropico : si veda piu avanti (Cap. G9) la discussione
sulla di erenza tra i due concetti.
Dato che il Sole fa il giro dell'eclittica in circa 365 giorni, il suo spostamento
in un giorno risulta con buona approssimazione di 1 : e questa l'origine storica
del grado come unita di misura angolare. Inoltre la sfera celeste ruota di 1 giro =
360 al giorno (siderale); ne segue che possiamo interpretare le unita di tempo
anche come misure di angoli, secondo la seguente tabella di ra ronto:
1d 360 90 6h
1h 15 1 4m
1m 150 10 4s
1s 1500 100 (1 15) s
=

Potremo dunque parlare di un angolo di 2h anziche di 30, ecc. Si faccia


pero attenzione: in questo modo ore, minuti, ecc. sono unita angolari, e non
si devono prendere come indicazioni valide in generale d'intervalli di tempo.
Es.: la sfera celeste ruota di un angolo 2h (30 ) in 2/24 di giorno siderale, cioe
in 2 ore siderali, mentre il Sole descrive lo stesso angolo in 2 ore solari; la Luna
impieghera un tempo ancora maggiore.
Naturalmente gli angoli per i quali ha valore pratico la misura in tempo sono
quelli nel senso della rotazione attorno all'asse polare; non certo la distanza in
generale tra due astri, o tra una stella e l'equatore (declinazione).
Approssimazioni. Accuratezza dell'astronomia antica
Il procedimento di approssimazioni successive che abbiamo seguito non ave-
va lo scopo di facilitare i calcoli, ma quello di sviluppare la teoria secondo il suo
svolgimento storico. Il fatto di poter confondere giorno solare e giorno siderale
serv certamente per scoprire il moto della sfera celeste con il Sole; a un esame
migliore si vede pero che essi di eriscono per 4m circa, per cui s'indaga il moto
del Sole sulla sfera celeste, dopo aver gia bene acquisito che questa ruota unifor-
memente. Cos il fatto che il Sole descriva sulla sfera celeste un cerchio massimo
(eclittica) non e esatto, ma certo se il suo moto fosse stato molto diverso ci sa-
rebbe voluto molto piu tempo e fatica per ricondurlo a leggi semplici. Del resto
cio si veri ca anche in altre branche della sica: ad es. la termodinamica non si
sarebbe sviluppata nel modo che conosciamo se i calori speci ci non fossero in
molti casi approssimativamente indipendenti dalla temperatura; in caso diverso
gia il concetto di quantita di calore e la de nizione di caloria non si sarebbero
presentati in modo cos naturale. In astronomia di coincidenze e approssimazioni
di questo genere ne capitano molte: per questo si ottiene un'interpretazione dei
fenomeni abbastanza semplice se si procede per gradi.
G1{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Non ci deve poi meravigliare la precisione di misure fatte nell'antichita senza
strumenti ottici, ma solo a occhio nudo. Le misure sono quasi tutte di tipo
di erenziale su fenomeni periodici: in misure di questo tipo si puo ottenere
una grandissima precisione per il fatto che una piccola variazione si accumula
nel corso delle osservazioni. Ad es. riguardo alla durata del giorno siderale,
sapendo che l'anno e di (365 25  0 01) d si puo concludere che il giorno siderale
: :

e 23h 56m4s 09  0s 01, che e una precisione relativa di 10,7. E da notare che la
: :

durata dell'anno era nota con tale precisione gia nel primo secolo a.C. (riforma
giuliana del calendario) e quindi probabilmente lo era anche la di erenza tra
giorno solare e giorno siderale.

G1{9
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
G2. La Luna

Generalita
Il moto della Luna e assai complicato, ma diventa relativamente semplice
se s'incomincia con una prima approssimazione molto grossolana. Possiamo
allora dire che Luna si sposta sulla sfera celeste di moto diretto, come il Sole,
percorrendo anch'essa un cerchio massimo prossimo all'eclittica. Se ci chiediamo
quale sia il periodo del moto, possiamo rispondere de nendo due diversi periodi:
{ periodo siderale (riferito alle stelle sse) Tsid = 27d 1=3
{ periodo sinodico (de nito come per i pianeti, cioe rispetto al Sole) Tsin =
29d 1=2.
Il calcolo per passare dall'uno all'altro e facile quando si pensi alle velocita
angolari. Detta ! la velocita angolare della Luna (M) rispetto alla sfera celeste,

la velocita angolare del Sole, la velocita angolare del moto sinodico e !sin = ! ,
.
Poiche T = 2=! si arriva alla relazione
1 = 1 , 1 : (G2.1)
TsinT T sid S

Allora sapendo TS ' 365d 14 si ricava Tsin da Tsid o viceversa.


Nota: In astronomia si usano nomi e notazioni diverse da quelle della sica, che
sara opportuno avere sempre presenti. Cos la velocita angolare media nora
considerata e detta moto medio e viene indicata col simbolo n anziche con !
(o
): queste lettere hanno altri signi cati. Inoltre invece degli indici si usano
spesso i simboli antichi degli astri: cos la relazione !sin = ! ,
vista sopra si
scrivera
M = nM , nS :
nsin (G2.2)
sid

Si e detto che la Luna descrive sulla sfera


celeste un cerchio massimo. Si nota poi che nei
pleniluni d'inverno essa e assai piu alta che in
quelli estivi: questo si spiega facilmente, perche
al plenilunio la Luna e all'incirca direttamente
opposta al Sole (fase di opposizione ); e chiaro
quindi che essa sara bassa quando il Sole e alto,
e viceversa. at.
Ma e certo che la Luna non percorre esat- equ

tamente l'eclittica, altrimenti a ogni plenilunio ecl


it.

si dovrebbe veri care un'eclissi di Luna e ad


ogni novilunio (fase di congiunzione ) un'eclis- Fig. G2-1
si di Sole. In realta l'eclittica e il cerchio della
G2{1
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Luna sono inclinati fra loro di un piccolo angolo "0 ' 5 ( g. G2{1) che per
altro non resta esattamente costante. Come sappiamo pero non basta questo
angolo a de nire la posizione del cerchio della Luna: occorre precisare ancora la
posizione dei punti nodali. Il nodo ascendente N puo essere localizzato a partire
dal punto sull'eclittica, assegnandone la longitudine eclittica (Cap. G5).

La retrogradazione dei nodi

La prima complicazione che notiamo e che


il punto N non e sso: l'angolo
di longitu-
dine varia lentamente nel senso negativo. Tale
fenomeno e detto retrogradazione del nodo della
Luna ( g. G2{2) e ha un periodo di poco piu  di
18 anni e mezzo. Il fenomeno macroscopico os-

servabile e allora il seguente: l'altezza massima


della Luna e data dall'angolo =2 , ' + " +
con ,"0   "0 ; sara = "0 quando
= 0 os- Fig. G2-2
sia quando N coincide con V, mentre sara =
,"0 quando
= 180 ossia quando N della Luna coincide con L (equinozio
d'autunno). Dunque la Luna in un ciclo di 18 anni e mezzo varia la sua altezza
massima. Per Pisa (' ' 44 ) essendo " ' 23 12 , "0 ' 5 , l'altezza massima della
Luna sara 69 21  5 .
Nota: Il 27 febbraio 1997 era
= 180 , per cui l'altezza della Luna alla culmi-
nazione, al plenilunio piu vicino al solstizio d'inverno, e stata circa 64 21 . Il 19
Giugno 2006 sara invece
= 0: in quell'estate la luna piena sara la piu bassa
possibile, 17 21 circa. Nell'inverno l'altezza massima della luna piena sara vicina
a 74 12 .
La causa della retrogradazione del nodo e nell'azione gravitazionale del Sole,
come vedremo meglio in seguito: si tratta di un tipico problema di perturbazioni.
A un campo di forze centrali (quello di gravita della Terra) si sommano i campi
di attrazione del Sole e dei pianeti, tra cui il piu importante e Giove.
Il moto della Luna come lo abbiamo pre-
sentato nora e ancora assai sempli cato, in
quanto si sono trascurati molti dettagli: in-
tanto il moto non e uniforme, poi visto nel-
lo spazio non si svolge su un cerchio ma su
un'ellisse (in g. G2{3 molto esagerata). Poi-
che la Luna e vicina alla Terra, e facile os-
servare le conseguenti variazioni del suo dia-
metro angolare. C'e di piu: l'ellisse ruota in
senso diretto con un periodo di circa 9 an- Fig. G2-3

G2{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
ni. Ne segue che la traiettoria reale si avvicina a quella di g. G2{4, dove si e
indicata con R la distanza dell'apogeo e con r quella di perigeo.

Fig. G2-4

Le eclissi
Le due perturbazioni principali (retrogradazione dei nodi e avanzamento
del perigeo) erano ben note dalla remota antichita (Babilonesi) a causa della
loro importanza riguardo alle eclissi. Se non si avesse retrogradazione dei nodi
le eclissi accadrebbero sempre a data ssa, e cioe quando il Sole passa per uno
dei nodi (naturalmente occorre che anche la Luna ci si trovi). A causa della
retrogradazione, l'incontro del Sole con un nodo avviene a intervalli piu brevi
di un anno siderale: questo intervallo, di circa 346 giorni e mezzo, si chiama
anno delle eclissi. Analogamente possiamo vedere la cosa rispetto alla Luna:
l'intervallo tra due passaggi al N e piu breve del mese siderale e si chiama mese
draconitico (il nome proviene dalla leggenda che attribuiva le eclissi a un serpente
disteso lungo il cerchio della Luna, con la testa nel N, che inghiottiva il Sole al
suo passaggio).
Anche la posizione del perigeo e importante per le modalita di un'eclisse.
Dato che i diametri angolari del Sole e della Luna, visti dal centro della Terra,
sono quasi uguali, la piccola di erenza prodotta dal trovarsi la Luna all'apogeo
G2{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
o al perigeo puo decidere se un'eclisse sara totale o anulare. Il moto del perigeo
altera progressivamente questa situazione. Per questo e importante anche il
periodo da un perigeo all'altro, detto mese anomalistico.
I mesi e il Saros
Ricapitolando abbiamo i seguenti periodi, importanti tutti | tranne il
primo | per la previsione delle eclissi (i valori sono riferiti alla data stan-
dard J2000 0 = 1 Gennaio 2000, ore 12 di Greenwich):
:

mese siderale 27 321662 d


:

mese draconitico 27 212220 d


:

mese anomalistico 27 554550 d


:

mese sinodico 29 530588 d


:

anno delle eclissi 346 62006 d.


:

Si noti che mese sinodico, mese draconitico e anno delle eclissi non sono indi-
pendenti: si lascia al lettore di trovare e veri care la relazione.
Se i tre mesi sinodico, draconitico e anomalistico avessero un semplice multi-
plo comune le eclissi si riprodurrebbero identiche dopo un tale intervallo. In pra-
tica cio non accade esattamente; tuttavia si trova la seguente situazione:
223 mesi sinodici = 6585 32 d :

242 mesi draconitici = 6585 36 d :

239 mesi anomalistici = 6585 54 d. :

Questo periodo, di poco piu di 18 anni (detto Saros ) fu scoperto dai Babilone-
si e consent accurate previsioni in base alla semplice regola che un'eclisse gia
avvenuta doveva ripresentarsi dopo un Saros.
Altre perturbazioni
Oltre a tutto quanto gia detto, va notato che anche il moto della Luna lungo
l'orbita non segue che assai grossolanamente le leggi di Keplero: la perturbazione
solare produce irregolarita anche notevoli, alcune delle quali gia note agli astro-
nomi greci. In ne in una trattazione rigorosa non si puo trascurare che la Luna
va trattata non come corpo puntiforme ma come corpo esteso (approssimativa-
mente rigido), con tutte le complicazioni connesse: moti attorno al baricentro
(rotazioni, librazioni, ecc.), ulteriormente complicate dal fatto che la forma della
Luna non e sferica, ma allungata verso la Terra.
Per questo si puo dire che il moto della Luna mette alla prova ancor oggi ogni
teoria cosmologica e meccanica; lo studio di tale moto e enormemente complicato,
se si vuole che la teoria possa fornire risultati di precisione paragonabile a quella
delle osservazioni.

G2{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
G3. I pianeti

Sole e pianeti: periodi sinodici


I pianeti visibili a occhio nudo e percio noti dall'antichita sono cinque: Mer-
curio 1, Venere 2, Marte 4, Giove 5, Saturno 6. I primi due sono detti pia-
neti interni (dagli antichi: inferiori) gli altri tre esterni (superiori). A parte la
motivazione del nome, su cui torneremo, la di erenza di comportamento e la
seguente: i pianeti interni non si allontanano mai dal Sole piu di un certo angolo
(elongazione massima : 28 per 1, 47 per 2), mentre i pianeti esterni possono
anche trovarsi all'opposizione, cioe | detto in modo approssimato | passare al
meridiano a mezzanotte.
Nota: Attualmente, per ragioni sia meccaniche sia di costituzione sica, e invalso
l'uso d'includere anche Marte fra i pianeti interni. Poiche a noi interessa in primo
luogo il moto dei pianeti, non ci conformeremo nel seguito a tale uso; era pero
necessario mettere sull'avviso il lettore.
Seguendo il moto dei pianeti sulla sfera celeste si vedono delle caratteristiche
comuni a tutti. In g. G3{1, a pagina seguente, e riportato il moto di Giove
negli anni dal 1997 al 2001: si osservi l'alternanza di moto diretto e retrogrado,
con prevalenza del diretto; e la ripetizione regolare dei cicli, secondo il periodo
sinodico del pianeta (v. la tabella qui sotto).
Pianeta Per. sin. (d) Pianeta Per. sin. (d)
1 116 4780
2 584 5399
6378
Al centro del moto retrogrado si ha sempre un'opposizione per i pianeti esterni,
una congiunzione (inferiore) per quelli interni. Per tutti i pianeti il moto si
svolge sempre vicino all'eclittica, nella fascia delle dodici costellazioni classiche,
detta Zodiaco.
A causa della ridotta elongazione dal Sole i pianeti interni sono visibili solo
poco prima dell'alba o poco dopo il tramonto; cio rende particolarmente dicile
l'osservazione di Mercurio. Per lo stesso motivo non e facile scoprire l'identita
di un pianeta visibile al mattino in una certa fase del suo ciclo, con lo stesso
pianeta visibile alla sera in un'altra fase; in e etti Mercurio e Venere erano
originariamente sdoppiati ciascuno in una \stella del mattino" e in una \stella
della sera": Lucifero ed Espero per Venere, Apollo e Mercurio per Mercurio.
Il sistema solare nell'antichita
La comprensione dei moti del sistema solare ha richiesto uno sforzo di oltre
2000 anni, dai pitagorici a Newton: vediamone in sintesi le tappe principali.
G3{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Fig. G3-1

G3{2

E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03


Si attribuisce a Pitagora ( 530 a.C.) l'idea d'interpretare i moti dei corpi
celesti mediante la rotazione di sfere: una per le stelle, una per il Sole, altre per
la Luna e i pianeti. La sfera delle stelle ruota in senso retrogrado in un giorno
siderale attorno all'asse polare. Se s'imperniano le sfere del Sole e dei pianeti
su quella delle stelle, nei poli dell'eclittica, e le si fa ruotare in senso diretto,
si approssima discretamente il moto del Sole ma manca il moto retrogrado dei
pianeti.
Eudosso ( 370 a.C.) perfeziono il sistema, introducendo piu sfere per ogni
pianeta, con assi e velocita diverse. Con questo metodo e possibile in linea di
principio descrivere qualsiasi moto, pur di usare un numero suciente di sfere;
ma e evidente che si tratta solo di un modello matematico, senza pretesa di rap-
presentare la realta. Eudosso ottenne una buona approssimazione con un totale
di 27 sfere.
Sotto l'in uenza di Aristotele ( 340 a.C.) prende forma la dottrina della
gerarchia dei cieli e della perfezione della sfera; il modello matematico si trasfor-
ma in teoria meta sica, e come tale avra vita assai lunga.
Eratostene ( 330 a.C.) da una prima misura delle dimensioni della Terra,
col metodo descritto a parte. Non ci e nota la precisione del risultato, causa
l'incertezza nell'interpretazione dell'unita di lunghezza usata.
Aristarco ( 240 a.C.) propone senza successo l'ipotesi eliocentrica. Misura
la distanza della Luna e tenta anche quella del Sole (v. descrizione a parte).
Alla scuola di Alessandria, fondata intorno al 300 a.C., si devono importanti
contributi all'astronomia. In particolare Ipparco ( 140 a.C.) preparo il primo
catalogo di stelle e scopr la precessione, di cui parleremo. A lui si deve anche
l'uso sistematico della trigonometria sferica.
A Tolomeo ( 120 d.C.) si deve l'esame dettagliato delle osservazioni an-
tiche, che gli consent una piu accurata descrizione del moto dei pianeti. Il suo
sistema, descritto nell'Almagesto, rimase per lungo tempo il fondamento delle
conoscenze sul sistema solare. La descrizione alessandrina del sistema solare si
fonda sull'idea degli eccentrici o su quella degli epicicli, che vennero poi combi-
nate da Tolomeo.

Eccentrici ed epicicli
Il caso piu semplice e quello del Sole. Le osservazioni mostrano che il moto
del Sole sull'eclittica non e uniforme: piu veloce in inverno, piu lento in estate.
Si puo dare una prima spiegazione di cio supponendo che il moto avvenga su
un cerchio eccentrico, cioe col centro non coincidente con la Terra. Lo stesso
schema viene poi adottato anche per i pianeti, con l'ipotesi addizionale che il
centro del cerchio non sia sso, ma descriva a sua volta un cerchio attorno alla
Terra: in tal modo si riesce anche a ottenere il moto retrogrado ( g. G3{2).
Altro schema, equivalente a quello eccentrico, e quello degli epicicli. In questo
G3{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
caso il centro D del piccolo cerchio (epiciclo) ruota uniformemente su un grande
cerchio sso (deferente ); il pianeta ruota uniformemente sull'epiciclo ( g. G3{3).
Per comprendere l'equivalenza dei due sche-
mi basta osservare che se raggi e velocita ango-
lari per i vari cerchi sono scelti in modo che sia
sempre
, = ,DP e ,CP
TC  = ,TD

tore , saradilaP stessa


la posizione
TP,
rispetto a T, descritta dal vet-
nei due casi: infatti
, = ,TC
TP  + ,CP nel primo Fig. G3-2

, = ,TD
TP  + ,DP nel secondo :

Tolomeo riusc a migliorare l'accordo con


i dati sperimentali modi cando lo schema co-
me segue: il centro O del deferente non coin-
cide con T, ma e eccentrico e sso. Il mo-
to di D non avviene piu con velocita angolare
costante visto da O, ma visto da E (equante ),
che e il punto simmetrico di T rispetto ad O
( g. G3{4).
Come si vedra meglio nel Cap. 3 della Mec-
canica, questo ingegnoso schema approssima as-
sai bene i fatti per le seguenti ragioni: Fig. G3-3

1) Il sistema (deferente eccentrico) + equante e la migliore approssimazione


possibile con cerchi e moti uniformi al moto eliocentrico di un pianeta.
2) L'epiciclo serve ad aggiungere a questo il moto del Sole rispetto alla Terra.
Quanto a bonta nella descrizione delle os-
servazioni, il sistema tolemaico e in realta ammi-
revole; ma resta criticabile, con i criteri odierni,
per i molti elementi di arbitrarieta che contie-
ne e per l'eccessiva complessita. Ogni pianeta
richiede due cerchi (o due sfere) e il centro del
deferente e diverso per ciascun pianeta; le di-
mensioni delle due sfere di un pianeta sono s-
sate quanto al loro rapporto, ma non vi e alcuna
relazione con quelle degli altri.
Fig. G3-4
G3{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Il sistema copernicano e l'inizio della scienza moderna
Per avere qualcosa di nuovo come teoria del sistema solare occorre arrivare
a Copernico ( 1500) che riprende lo schema eliocentrico, con orbite circolari
e moti uniformi. I periodi rispetto alle stelle sse si determinano da quelli sinodici
in modo analogo a quello gia visto per la Luna:

1 = 1 , 1
: (G3.1)
Tsin
Tsid T 3

Copernico riesce anche a determinare i raggi delle orbite (o meglio i lo-


ro rapporti) com'e illustrato piu avanti. Riesce inoltre a spiegare un fatto
gia noto, ma non spiegato dallo schema tolemaico: le opposizioni dei pianeti
esterni e le congiunzioni inferiori dei pianeti interni capitano sempre nel mez-
zo della fase retrograda. Si spiega anche perche i pianeti esterni raggiungono
la massima luminosita all'opposizione: e questo il punto di minima distanza
della Terra (il fenomeno e ben evidente per Marte). Per di piu Copernico for-
mula due previsioni che potevano essere veri cate solo dopo l'invenzione del
cannocchiale:
1) Mercurio e Venere debbono presentare fasi, come la Luna;
2) i diametri angolari di tutti i pianeti debbono variare fra un minimo e un
massimo, il cui rapporto e calcolabile dai rapporti noti delle distanze.
Da tutto questo si vede in che senso lo schema copernicano sia superiore a
quello tolemaico: non per l'esattezza delle previsioni, che poteva sempre essere
migliorata con opportuni eccentrici, ecc.; ma piuttosto per la semplicita delle
ipotesi, che permettono di spiegare molti fatti apparentemente senza connessione
tra loro, e per di piu portano a prevedere fatti ancora non conosciuti.
Il successivo passo e compiuto da Keplero ( 1600) con le tre famose leggi,
ricavate per via empirica. Keplero crede nel sistema copernicano, e dispone
del piu accurato insieme di dati di osservazione ottenibile senza cannocchiale:
quelli raccolti nel lungo lavoro dell'osservatorio di Tycho Brahe, di cui Keplero fu
allievo e collaboratore. Conoscendo la precisione di quelle osservazioni, Keplero
poteva porsi il problema di determinare la forma delle orbite dei pianeti, e la
legge del loro moto. Il procedimento e descritto piu avanti; i punti cruciali sono:
a ) il moto di ciascun pianeta e supposto rigorosamente periodico;
b ) si sfrutta questa periodicita  per avere un riferimento \ sso" per il moto
della Terra.
In Keplero non c'e invece alcuna comprensione \dinamica" in senso moderno
del moto dei pianeti: per questo occorrera arrivare a Newton. L'opera di Newton
e preparata da Galileo, contemporaneo di Keplero, in piu modi:
1) l'uso sistematico e spregiudicato (cioe senza pregiudizi) del cannocchiale
apre la strada a un'immensa quantita di nuove scoperte e alla raccolta di
dati piu precisi sul moto dei corpi celesti;
G3{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
2) i primi risultati delle osservazioni col cannocchiale provano l'identita della
materia celeste con quella terrestre, e quindi preparano l'estrapolazione delle
leggi della meccanica terrestre; in particolare la scoperta dei satelliti di Giove
sara essenziale per l'idea della gravitazione universale;
3) la fondazione della nuova meccanica, anche se solo terrestre in Galileo, e il
punto di partenza dei Principia di Newton;
4) la sua battaglia in difesa del sistema copernicano, condotta attraverso libri,
opuscoli, lettere, in modo ecacissimo e contro avversari potenti, se da
un lato gli attira l'ostilita dei conservatori, pone le premesse loso che e
culturali in senso lato per l'avvento della \nuova scienza."
Con Newton incomincia la meccanica celeste, sulla quale ci so ermeremo a
lungo piu avanti. In questo schema storico ricordiamo solo che a Newton si deve:
1) l'esatta formulazione delle leggi della meccanica;
2) la teoria della gravitazione universale;
3) la creazione e l'uso dell'apparato matematico (calcolo di erenziale) neces-
sario alla sua meccanica;
4) in conseguenza di 1) 2) 3), lo studio quantitativo del sistema solare;
5) il riconoscimento delle comete come membri del sistema solare, e del carat-
tere periodico di alcune di esse, in particolare la famosa cometa di Halley ;
6) la spiegazione della precessione degli equinozi;
7) la spiegazione delle maree;
8) la spiegazione dello schiacciamento terrestre.
Misure astronomiche nell'antichita
Concludiamo questo capitolo con una descrizione sommaria di alcuni passi
fondamentali dell'astronomia antica: dalla misura del raggio della Terra (Erato-
stene) alla determinazione delle orbite dei pianeti (Keplero).
Eratostene misura la Terra

Ipotesi :
dal

Alessandria
1) la Terra e sferica
So l
e

2) il Sole e a distanza praticamente in nita.


Syene
Fatti :
1) al solstizio d'estate il Sole passa allo zenit
a Syene.
Deduzione : L'angolo = AOS b ( g. G3{5) e
uguale a quello formato dai raggi solari con la Fig. G3-5

verticale ad Alessandria. Quest'ultimo si mi-


sura dall'ombra di un palo verticale. L'arco AS si misura percorrendolo a piedi.
G3{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
z{
Conclusione: Il raggio R della Terra vale R = AS= .

Aristarco e la distanza della Luna

dal bordo supe


riore del Sole

ore del Sole


dal bordo inferi

Fig. G3-6

Ipotesi fondamentali: Anche su distanze astronomiche vale la geometria euclidea


e la propagazione rettilinea della luce.

Fatti ( g. G3{6, non in scala!):


1) il diametro angolare della Luna e 1=110 rad (si misura per confronto con un
oggetto di grandezza e distanza note)
2) nel percorso Luna{Terra l'ombra della Luna si riduce praticamente a un
punto (le eclissi totali di Sole sono appena possibili)
3) l'ombra della Terra alla distanza della Luna misura 2 1=2 volte il diametro
della Luna (si ricava dalla durata delle eclissi di Luna).

Deduzioni:
{ da 2) segue che alla distanza della Luna l'ombra della Terra si e ristretta di
un diametro lunare;
{ da 3) segue allora che il diametro della Terra e 3 1=2 volte quello della Luna;
{ da 1) segue che la distanza Terra{Luna e

110 diametri terrestri = 63 raggi terrestri:


3 1=2

Il valore moderno e 60.3.


G3{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Aristarco e la distanza del Sole
Ipotesi fondamentali: Anche su distanze astronomiche vale la geometria euclidea
e la propagazione rettilinea della luce.
Misure:
1) si determina l'istante in cui la Luna appare \mezza": allora il triangolo SLT
( g. G3{7, non in scala!) e rettangolo in L
2) si misura a quell'istante l'angolo in T.
Deduzione: Nota TL e l'angolo in T, si
ricava TS.
Commento: Entrambe le misure sono
dicili: la 1) perche e dicile decidere
quando la Luna e \mezza"; la 2) per-
che l'angolo e molto vicino a un retto,
e quella che conta e la piccola di erenza Fig. G3-7
(in realta 90, fu stimata da Aristarco 3 ).
Copernico misura il sistema solare
Caso 1: I pianeti interni V
Ipotesi: le orbite sono circolari e complanari.
S
Deduzione: alla massima elongazione il triango-
lo SVT ( g. G3{8) e rettangolo in V.
T
Fatti: l'angolo in T vale 47 .
Conclusione: il rapporto delle distanze dal Sole e
sin 47 = 0:73.
Caso 2: I pianeti esterni Fig. G3-8

Ipotesi: come sopra; inoltre il moto sulle orbite e uniforme.


Fatti:
1) 2 ( g. G3{9) e l'angolo percorso da Giove rispetto alle stelle (e visto dalla
Terra) durante il moto retrogrado: e noto dalle osservazioni
2) 2 e l'angolo al centro della sua orbita percorso da Giove nello stesso tempo:
si ricava dalla durata del moto retrogrado e dal periodo siderale
3) 2 e l'angolo al centro della sua orbita percorso dalla Terra nello stesso
tempo.
G3{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
2 + 2

Fig. G3-9

Nota: STG
b non e retto!

Conclusione: Il rapporto delle distanze e sin( + )= sin( + ).

Le triangolazioni di Keplero
Prima parte: L'orbita della Terra
Ipotesi: i pianeti si muovono di moto 1M
periodico su orbite chiuse attorno al So- 1S
le.
M
0
1M
Sempli cazione (non essenziale, fatta
qui solo per brevita): le orbite della
Terra e di Marte sono complanari.
Fig. G3-10
Fatti:
1) un anno siderale vale 365:26 d
2) il periodo sinodico di Marte e 779:94 d
) il periodo siderale di Marte e 687:98 d (v. (G3.1)).
Osservazioni:
1) In g. G3{10 M0T0S rappresentano la situazione a un'opposizione. Si mi-
sura 0M, longitudine di Marte a quell'istante.
2) T1 e la posizione della Terra dopo un periodo siderale di Marte: Marte e
ancora in M0! Si misurano 1M, 1S : le longitudini di Marte e del Sole nella
nuova posizione.
G3{9
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Deduzioni :
1) nel triangolo ST1M0 l'angolo in T1 vale 1S , 1M;
2) l'angolo in M0 vale 1M , 0M.
) i lati del triangolo sono noti, presa come unita la base SM0.
Ripetendo le osservazioni a intervalli di 687:98 d si ottengono altre posizioni
T2; T3 ; : : : della Terra, e si puo tracciare l'orbita.
Seconda parte: L'orbita di Marte

Osservazioni : Ta; Tb ( g. G3{11) rappresentano due delle posizioni della Terra


determinate in precedenza. Agli istanti corrispondenti, Marte era in M0. Dopo
un numero intero di anni siderali, la Terra e ritornata in Ta (risp. Tb ); Marte si e
spostato in un'altra posizione M1 (che e la stessa nei due casi, perche l'intervallo
fra i due istanti e ancora un multiplo del periodo siderale di Marte).

Fig. G3-11

Deduzioni :
1) nel quadrilatero STaM1Tb l'angolo in S e noto dalle osservazioni precedenti;
2) gli angoli in Ta e Tb si ricavano dalla misura di M come prima;
) i lati STa e STb sono noti e la posizione di M1 resta determinata.
Ripetendo le osservazioni a intervalli di un anno siderale si ottengono altre
posizioni M2; M3; : : : di Marte e si traccia l'orbita.

G3{10
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
G4. Le stelle

Le costellazioni
Abbiamo gia osservato che si e indotti a concepire la rotazione rigida di
un'ipotetica sfera celeste in primo luogo dal fatto che la posizione reciproca
delle stelle appare immutabile. Un'altra evidenza osservativa e che le stelle non
appaiono tutte ugualmente luminose, cosicche quelle piu brillanti di un dato
campo possono dar luogo a forme piu o meno espressive che, soprattutto nel
passato, sono state fondamentali per l'orientamento e per la comprensione dei
fenomeni astronomici: le costellazioni.
Nota: E appena il caso di aggiungere che il legame tra le stelle di una data
costellazione e di carattere puramente proiettivo e di solito non corrisponde ad
alcuna interazione sica.
Nell'astronomia moderna il termine \costellazione" ha invece un signi cato
ben diverso: quello di una regione di cielo, i cui con ni sono de niti in modo
convenzionale a partire dal 1930. Si deve a Delporte il lavoro di suddivisione
della sfera celeste in 88 regioni piuttosto irregolari, costruite in modo che ciascuna
comprendesse grosso modo una delle costellazioni classiche da cui hanno tratto
il nome; nomi piu moderni invece hanno le costellazioni della calotta australe.
Tradizionalmente il nome delle costellazioni e abbreviato con tre lettere della
sua forma latina: es. Ariete = Ari (Aries), Toro = Tau (Taurus), Acquario =
Aqr (Aquarius), Aquila = Aql (Aquila).
La denominazione delle stelle e invece assai complessa, per motivi storici.
Le stelle piu luminose hanno un nome proprio che di solito e egiziano, babilonese,
greco, arabo; taluni di questi si sono poi modi cati. Ad es. dall'egiziano Sotis
e venuto Sirio, mentre abbiamo Aldebaran (arabo), Antares (greco), Capella
(latino).
Nel '600 si penso (Bayer) di designare le stelle di una costellazione con le
lettere dell'alfabeto greco ; ; : : : secondo l'ordine di luminosita: ad es. Al-
debaran e anche Tau (notare pero che a causa delle variazioni di luminosita
oggi tale ordinamento non appare sempre rispettato). Poiche le stelle di una co-
stellazione possono essere molte di piu delle lettere greche, spesso si e preferito
denominare con una sola lettera dotata di indice numerico le stelle vicine, o for-
manti parti ben de nite (asterismi ) della costellazione; ad es. nella Lira abbiamo
"1 ; "2 ; nella costellazione di Orione l'arco e denominato  1 ;  2 ;  3 ;  4 ;  5 ;  6 .
Nel '700 furono introdotte (Flamsteed) le designazioni con numeri: di regola
la numerazione e ordinata per ogni costellazione in senso diretto. Cos avviene
che alcune stelle che hanno gia dei nomi, abbiano anche la lettera di Bayer e
il numero di Flamsteed: ad es. nelle Pleiadi (Toro) la piu luminosa e la 19,
altrimenti detta  Tau o Alcyone.
G4{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Si usano poi anche lettere latine maiuscole (da A a Q) e minuscole, even-
tualmente con indici: ad es. nel Cigno ci sono b1; b2. Le lettere latine maiuscole
da R a Z sono riservate alle stelle variabili, e poiche in una costellazione possono
essercene parecchie, si usano anche lettere doppie AA, AB,....ZZ; ove non bastino
si usa una scrittura del tipo V342.
Le stelle possono in ne identi carsi con il numero di un certo catalogo e
la sigla dello stesso: es. HD 29139 e ancora Aldebaran, designata con quel nu-
mero nel catalogo Henry Draper, dove si trovano circa 300 000 stelle di cui si
da posizione, colore, luminosita, spettro. Oggi e molto usato il catologo SAO
(Smithsonian Astronomical Observatory) in cui sono elencate oltre 300 000 stelle.
Ricapitolando, lo specchietto seguente elenca i modi piu usati per indivi-
duare una stella.
Stelle normali Stelle variabili
Nome: Aldebaran Nome: Algol
Lettera greca: Orionis Lett. lat. maiusc.: R Tauri
Num. di Flamsteed: 19 Tauri Doppia l. l. maiusc.: AL Tauri
Lett. lat. maiusc.: A Aquil V e numero: V342 Cygni
Lett. lat. min.: b Cygni
Lett. con indice:  1 ; : : : Ori
Sigla e n. di catalogo: HD 29139

Luminosita, grandezza, magnitudine


Fin dall'antichita le stelle sono state classi cate in base alla loro luminosita.
Ipparco, nel II sec. a.C., redasse un primo catalogo delle stelle visibili ad occhio
nudo, raggruppandole in 5 classi a seconda della grandezza o magnitudine (poiche
si riteneva che le stelle fossero tutte alla stessa distanza, sulla sfera celeste, quelle
piu luminose dovevano essere piu grandi): le piu luminose erano dette stelle di 1a
grandezza; poco piu deboli quelle di 2a grandezza, e cos via.
Solo nel secolo scorso Pogson, proponendosi di formare una scala piu scien-
ti ca, part dall'osservazione che le stelle piu deboli tra quelle di 5a grandezza
(limite della visibilita a occhio nudo) erano circa 100 volte meno luminose di
quelle piu brillanti della 1a grandezza ( g. G4{1).

Scala delle intensit (relative)


Scala delle grandezze

Fig. G4-1
G4{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Accettando la legge logaritmica della sensibilita dell'occhio si poteva allora
scrivere una formula del tipo
m = m2 , m1 = 2:5 log10(l1 =l2)
dove m e la di erenza di magnitudine (termine che sostituisce quello di \gran-
dezza") corrispondente a un certo rapporto delle luminosita. Cos essendo per
i limiti detti l2=l1 = 100 risulta m = 5, come si voleva per restare in accordo
con la vecchia scala.
Rimane da ssare l'origine della scala: per questo, prese come campioni un
certo insieme di stelle (sequenza polare fotometrica ), si ssa per convenzione la
media delle loro magnitudini.
Una volta ssata la scala e l'origine ha senso anche parlare di magnitudini
decimali (es. 1.5) oppure zero, o anche negative (es. ,1:7). Anche per i pianeti
piu vicini si potra parlare di magnitudine, che naturalmente risultera variabile
con la posizione del pianeta: cos Venere in buone condizioni arriva alla magni-
tudine ,4:5.
Finche l'unico ricettore della luce degli astri era l'occhio, quanto detto sopra
era suciente a de nire la scala delle magnitudini; ma quando si e incominciato
a introdurre nelle osservazioni altri strumenti, quali lastre fotogra che, bolome-
tri, fotomoltiplicatori, ecc. si e dovuta rivedere la de nizione di magnitudine,
correlandola al rivelatore usato. La luce infatti, come e noto, e composta da
radiazioni di diversa frequenza e ogni rivelatore e caratterizzato, tra l'altro, da
una propria curva di sensibilita spettrale.
Un rivelatore e in sostanza un trasduttore, che ricevendo in entrata la radia-
zione, fornisce in uscita un segnale (per es. elettrico). In cio che segue assumere-
mo che si tratti di un trasduttore lineare, nel quale quindi c'e proporzionalita fra
entrata e uscita. La sensibilita spettrale X () misura appunto questo rapporto,
per una radiazione monocromatica di lunghezza d'onda . In cio che segue la
sensibilita spettrale viene assunta normalizzata in modo tale che il suo massimo
valga 1.
Tenuto conto di tutto cio, vediamo allora come dev'essere de nita piu cor-
rettamente la magnitudine relativa ad un certo tipo di rivelatore.
Sia f () il usso di radiazione proveniente da una stella, misurato fuori
dell'atmosfera: f () d e la potenza per unita di super cie e per lunghezze
d'onda tra  e  + d (tipicamente si misura in erg s,1cm,2nm,1).
De niamo magnitudine apparente nel sistema X la quantita
mX = ,2:5 log10  , cX
dove Z1
 = X ()f () d
def

G4{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
e il usso integrato avendo espresso f () nelle unita citate sopra e cX e una
costante ssata convenzionalmente.
Nota: Le osservazioni fatte da terra richiedono naturalmente una correzione
dovuta all'assorbimento atmosferico.
Puo accadere allora, per esempio, che la determinazione della magnitudine
di due stelle (1; 2) con spettro diverso, riprese con due strumenti diversi (A,B),
dia questi risultati:
m(1) (2)
A > mA con lo strumento A
m(1) (2)
B < mB con lo strumento B
da cui la necessita di precisare ogni volta a quale particolare strumento si riferisce
la magnitudine data.
Storicamente le prime distinzioni tra diverse de nizioni di magnitudine fu-
rono fatte tra
{ mv magnitudine visuale, quando X () rappresenta la sensibilita cromatica
dell'occhio medio;
{ mpg m. fotogra ca : riferita alla sensibilita cromatica delle emulsioni foto-
gra che non sensibilizzate (cioe sensibili solo al viola, blu, verde);
{ mpv m. fotovisuale : un compromesso fra le precedenti ottenuta usando emul-
sioni pancromatiche con opportuni ltri, in modo da approssimare la sensi-
bilita dell'occhio umano;
{ mbol m. bolometrica : e intesa a dare una misura dell'energia totale, ed e
riferita percio a un rivelatore ugualmente sensibile a tutte le frequenze;
secondo la de nizione data sopra, si ottiene ponendo X () = 1 e ssando
in questo caso cbol = 11:51.
Nella pratica scienti ca le prime tre sono ormai state sostituite da diversi sistemi
fotometrici standardizzati, dei quali illustriamo come esempio solo il cosiddetto
UBV.
Questo consiste nel de nire tre curve di sensibilita spettrale, il cui massimo
(normalizzato ad 1) cade rispettivamente nell'ultravioletto, nel blu e nel giallo-
verde; lo standard e ottenuto in pratica ssando il tipo di fototubo e di ltri da
utilizzare. Nella tabella che segue sono riportati i valori delle lunghezze d'onda
relative al massimo e le costanti che de niscono lo zero delle tre scale.
U U = 360 nm cU = 13:74
B B = 420 cB = 12:97
V V = 540 cV = 13:87
Le magnitudini mpv e mpg sopra citate sono assai vicine rispettivamente
alle magnitudini V e B del sistema UBV. Altri sistemi fotometrici piu complessi
G4{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
usano un numero maggiore di curve standard per un'analisi piu dettagliata delle
caratteristiche spettrali della stella.
Riesce spesso utile caratterizzare la stella con uno o piu indici di colore,
ciascuno de nito come la di erenza di magnitudine osservata in due bande di
un dato sistema. Quando non sia diversamente speci cato, con indice di colore
s'intende B , V . Tanto minore e l'indice di colore, tanto piu lo spettro della
stella e spostato a lunghezze d'onda minori: gia questo solo numero puo quindi
rappresentare in qualche modo una scala di temperatura delle stelle. Valori tipici
di indice di colore sono compresi tra ,0:5 e 1.9.
Un altro particolare indice di colore e la correzione bolometrica :
BC = mbol , V:
Nella Tabella che segue sono riportate classe spettrale, magnitudine e indice
di colore di alcune stelle, del Sole e della Luna piena.
Stella Cl.Spettr. U B V B,V
Sco M1 | 2:81 1:00 1:81
Boo K2 2:43 1:17 0:06 1:23
Aur G8 1:32 0:87 0:08 0:79
CMa A1 ,1:49 ,1:45 ,1:45 0:00
Ori B8 ,0:59 0:08 0:11 0:03
S G2 ,25:96 ,26:09 ,26:74 0:65
M piena | ,11:37 ,11:82 ,12:73 0:91

Magnitudini apparenti e assolute


La magnitudine di cui nora si e parlato si riferisce alla quantita di luce che
raggiunge la Terra. Essa dunque dipende dalla distanza della stella: due stelle
perfettamente identiche, ma a distanza diversa, appaiono diversamente luminose
e ad esse si attribuisce quindi una diversa magnitudine. Per questo motivo la si
dice magnitudine apparente.
Talora pero e piu signi cativo avere informazione sulla luminosita intrinseca
della stella, prescindendo dalla distanza dalla Terra. Si de nisce cos la magni-
tudine assoluta, come la magnitudine apparente che la stessa stella avrebbe se
si trovasse ad una determinata distanza dalla Terra; per convenzione si assume
una distanza pari a 10 pc; qui si e usata un'unita di misura (il parsec) che verra
introdotta piu avanti, nel capitolo G7.
Poiche si puo senz'altro assumere che la stella irraggi in modo isotropo,
il usso ricevuto su una data super cie e inversamente proporzionale al quadrato
della distanza della stella, cioe

10 = D 2

D 10 pc
G4{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
per cui, detta M la magnitudine assoluta, essa e legata a quella apparente dalla
seguente relazione:  D 2
M = m , 2:5 log10 10 pc
ovvero
M = m , 5 log10 10Dpc : (G4.1)
La grandezza m , M si chiama modulo di distanza.
La magnitudine bolometrica da una misura di quanto la stella irraggia su
tutto lo spettro; e quindi possibile porre in relazione la magnitudine assoluta
bolometrica con la luminosita di una stella, de nita come la potenza e.m. totale
irraggiata. Si prende di solito come campione la luminosita del Sole:
LS = 3:8  1033 erg=s:
Dato che per il Sole Mbol = 4:75, si ha

Mbol = 4:75 , 2:5 log10 LL :


S

Assorbimento e arrossamento interstellare


La de nizione di magnitudine assoluta data sopra e puramente geometrica:
non tiene conto del fatto che la luce di una stella, attraversando lo spazio inter-
galattico, che non e vuoto ma contiene gas e polveri, viene in parte piu o meno
rilevante assorbita.
Per questo motivo la (G4.1) viene corretta con un termine di assorbimen-
to A, che dipende dal sistema fotometrico usato e dalla direzione di osservazione:

MX = mX , 5 log10 10Dpc , AX (D):


Sul piano galattico AV e valutato in circa 1:9 mag=kpc.
Dire che A dipende dal sistema fotometrico e come dire che l'assorbimento
e selettivo, ossia che non agisce allo stesso modo su tutte le lunghezze d'onda.
Infatti A aumenta col diminuire della lunghezza d'onda, il che produce un arros-
samento della luce stellare. Una misura dell'arrossamento viene data per mezzo
dell'eccesso di colore E :
EB,V = AB , AV :
A titolo orientativo si puo assumere EB,V ' 0:3AV .

G4{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
G5. Coordinate celesti

Premessa
Per individuare la posizione di un qualunque oggetto sulla sfera celeste
occorrono naturalmente delle coordinate.

allinfinito

a distanza
finita

allinfinito

Fig. G5-1

La sfera celeste ha raggio inde nito, ma questo | come vedremo | non ha


importanza: essa si suppone centrata nel punto dove sta l'osservatore. Se poi
l'oggetto in esame e a distanza nita, ne segue che la sua proiezione sulla sfe-
ra varia col punto di osservazione (e etto di parallasse, g. G5{1) per cui sono
necessarie opportune correzioni. Torneremo piu avanti sugli e etti di un cam-
biamento del punto di osservazione; per il momento punteremo l'attenzione solo
sull'orientamento dei diversi sistemi di coordinate (SC) che verranno introdotti.
Le coordinate sulla sfera celeste sono polo
sempre espresse in archi o in angoli, cioe sono
coordinate polari, e cio dipende sostanzial-
mente dagli strumenti e da come si usano.
In ogni caso si comincia col descrivere sulla
sfera un cerchio massimo: su di esso, a par-
tire da un punto origine, e con un certo ver-
so, si conta una prima coordinata. Fissato
poi il polo principale, il meridiano che passa
per il punto S ( g. G5{2) determina due ar-
chi OS e S S (quest'ultimo positivo verso il
0 0

polo principale) che sono le coordinate cer-


cate. Le coordinate celesti sono dunque del Fig. G5-2
tutto simili alle coordinate geogra che.
G5{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Nota: A di erenza delle tradizionali coordinate sferiche usate in matematica,
la coordinata polare qui e misurata dal piano equatoriale verso il polo e non
viceversa, col conseguente scambio del seno col coseno.

I cinque sistemi
Z

Le coordinate piu semplici sono quel-


le riferite all'orizzonte (coordinate orizzon- S W
tali o altazimutali ): come cerchio si assume
l'orizzonte, come polo lo Zenit, come origi-
O
h
ne il Nord e come verso quello da Nord a
Est ( g. G5{3). La coordinata sul cerchio E
A

massimo e detta azimut A, l'altra altezza h.


N

Si usa anche la distanza zenitale z de nita


da z = =2 , h. Il grande svantaggio di nadir

queste coordinate pur cos immediate e che


per uno stesso oggetto esse di eriscono, e in Fig. G5-3
modo complicato, da un punto all'altro della
super cie terrestre.
Le coordinate che si riferiscono all'equatore sono di due tipi: equatoriali
meridiane ed equatoriali equinoziali. Entrambe hanno come cerchio base l'equa-
tore celeste e come polo il Polo Nord Celeste. Le prime hanno l'origine ssata
al Mezzocielo Superiore (punto d'intersezione fra il meridiano sud e l'equatore);
la coordinata lungo l'equatore e detta angolo orario H (oppure t) misurato in
senso retrogrado (cioe verso Ovest), mentre l'altra, sull'arco di meridiano per il
polo, e detta declinazione  ( g. G5{4). Le coordinate equinoziali prendono inve-
ce come origine il punto d'Ariete e sono orientate in verso diretto. Sull'equatore
si misura cos l'ascensione retta ; l'altra coordinata e ancora la declinazione
( g. G5{5). Da notare che a di erenza delle equatoriali meridiane, le coordinate
equinoziali di un corpo celeste non variano per e etto della rotazione terrestre.
H e si misurano usualmente in unita
di tempo, in quanto hanno un'immediata in- PN C

terpretazione in termini di intervalli di tem- MS c

po: l'angolo orario di un astro da il tempo


(siderale) trascorso dall'ultimo suo passaggio
al meridiano locale, l'ascensione retta di una H
stella che passa al meridiano da il tempo tra- N
O
S

scorso dall'ultimo passaggio del punto . A


ogni istante la somma dell'ascensione retta W

e dell'angolo orario di un corpo qualsiasi e


indipendente dal corpo: PS C

(t) + H (t) = cost: (G5.1) Fig. G5-4


G5{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Tale somma e solo funzione del tempo, e
anzi, come vedremo meglio al Cap. G9, essa
de nisce una scala di tempo, il Tempo Side-
rale (TS) a quell'istante:
TS = (t) = (t) + H (t): (G5.2)

Dalla de nizione appare chiaro che il TS puo O



essere pensato come angolo orario di una
stella con ascensione retta uguale a zero, cioe
posta sul cerchio orario del punto ; oppu-
re come ascensione retta di una stella aven-
te angolo orario uguale a zero, che sta cioe
passando in quel momento al meridiano del Fig. G5-5
luogo.
Le coordinate equinoziali sono le piu usate e le piu importanti in quanto non
dipendono dal luogo di osservazione. Purtroppo per periodi lunghi dipendono dal
tempo, a causa della precessione degli equinozi, del variare cioe della posizione del
punto , e sono anche soggette alla nutazione, di cui riparleremo. Cio comporta
che si debba sempre speci care, oltre alla data di osservazione di un astro o di
un fenomeno, anche la data di riferimento delle coordinate, che da la posizione
esatta dell'equinozio (punto ).
Se le due date coincidono si parla di
coordinate (piu precisamente di equatore ed
equinozio ) della data (sottinteso: di osserva-
zione); altrimenti, la data di riferimento delle
coordinate viene de nita epoca delle coordi-
nate. Ad esempio le osservazioni di un pia-
netino visibile per un certo periodo dell'anno O
vengono riferite a un'epoca opportunamente
scelta entro l'anno; le posizioni delle stelle
contenute nei cataloghi, e quindi utilizzate
per molti anni, fanno riferimento a epoche
concordate in sede di comunita scienti ca, e
dette percio epoche standard. Attualmente Fig. G5-6
l'UAI (Unione Astronomica Internazionale)
raccomanda l'uso dell'epoca standard J2000.0, corrispondente alla posizione del-
l'equatore e dell'equinozio il giorno 1 Gennaio 2000 a mezzogiorno (locale) di
Greenwich.
Le coordinate riferite all'eclittica (eclittiche ) hanno importanza per lo stu-
dio del moto dei pianeti, proprio perche questi seguono all'incirca l'eclittica.
Il polo e il polo nord dell'eclittica. I nomi delle coordinate sono longitudine
eclittica  e latitudine eclittica ; l'origine della longitudine e ancora il punto
G5{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
( g. G5{6). Anche le coordinate eclittiche risentono dello spostamento del pun-
to (precessione e nutazione) e anche per esse si distingue quindi tra coordinate
della data e coordinate riferite a una particolare epoca, eventualmente un'epoca
standard.
Ci sono in ne le coordinate galattiche, usate nello studio dei corpi fuori del
sistema solare. Tenuto conto della forma della Galassia e della sua approssimati-
va simmetria, e naturale assumere il piano di simmetria come piano dell'equatore
galattico. Resta il fatto tale piano non e pero ben individuato e quindi non e
facile de nire operativamente l'equatore galattico; si procede allora per conven-
zione.
Si ssano dunque ( g. G5{7) le coor-
dinate equinoziali del polo galattico: =
12h49m,  = 27:4 (equinozio 1950) da cui se-
guono l'ascensione retta del nodo ascenden-
te dell'equatore galattico sull'equatore cele-
ste N = 18h49m e l'inclinazione i = 62:6.
Occorre ancora ssare l'origine sul piano O

equatoriale: essa e de nita in modo che la 33


62.6

longitudine galattica del nodo ascendente sia


lN = 33 , cio che sicamente corrisponde C
a scegliere la direzione del centro della Ga-
G

lassia. Le coordinate equatoriali del cen-


tro galattico risultano allora ' 17h43m,
 ' ,28:9. Fatto questo si de niscono nel
Fig. G5-7

modo usuale la longitudine l e la latitudine b galattiche.


Riassumiamo quanto si e detto in uno schema:
Circolo Origine Verso Polo
COORDINATE fondam Nomi Simboli
:
Orizzontali orizzonte Nord N ! E zenit azimut A
(Altazim:) altezza h
Equatoriali equatore Mezzocielo retr. P. Nord ang. orario H; t
Meridiane superiore declinazione 
Equatoriali equatore V dir. P. Nord asc. retta
Equinoziali declinazione 
Eclittiche eclittica V dir. P. N. ecl. long. ecl. 
lat. ecl.
Galattiche eq. gal. def. conv. dir. def. conv. long. gal. l
lat. gal. b

G5{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Scelta dell'origine

Torniamo adesso a parlare dell'origine del SC che, come detto, coincide spes-
so con il punto di osservazione. A parte i casi di osservazioni da satellite o da
sonda spaziale, il punto di osservazione e normalmente un punto della super cie
terrestre: le coordinate cos de nite sono dette topocentriche e dipendono ovvia-
mente dalla localita cui si riferiscono, anche in modo notevole per oggetti vicini
come la Luna e i satelliti arti ciali. Esclusi appunto questi casi, in generale le
di erenze sono molto piccole e vengono trattate come correzioni alle coordinate
geocentriche, la cui origine e posta nel centro della Terra.
E ben noto pero che nello studio del sistema solare un SC geocentrico crea
inutili complicazioni: la rivoluzione copernicana prima di rappresentare una di-
versa visione cosmologica fu una tecnica astuta per sempli care i calcoli delle
posizioni planetarie. Un SC la cui origine coincide con il centro del Sole e detto
eliocentrico ; attualmente pero nello studio del sistema solare, essendo necessario
basarsi su un riferimento inerziale, si ssa l'origine nel baricentro del sistema
solare. La di erenza non e irrilevante: il baricentro del sistema solare e appros-
simativamente sulla super cie del Sole.
Con cio chiaramente non si esauriscono le possibili scelte: tra queste ci limi-
tiamo a segnalare le coordinate galattocentriche, riferite al centro della Galassia.
Concludiamo sottolineando che sebbene in linea di principio la scelta dell'o-
rigine sia indipendente dalla scelta dell'orientamento del SC, in pratica non tutte
le combinazioni hanno senso (ad es. non si parlera mai di coordinate altazimutali
eliocentriche).

G5{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
G6. Trasformazioni di coordinate

Generalita
Come si e visto, esistono numerosi sistemi di coordinate celesti che di eri-
scono o per la diversa posizione dell'origine, o per il diverso orientamento, o per
entrambe le cose. Ognuno di questi ha una sua speci ca utilita a seconda del
problema in esame, ma solo raramente si puo trattare il problema utilizzando
un solo SC.
Per fare un esempio, si voglia determinare se, a un certo istante, un pianeta
sia ben visibile da una data localita. Tralasciando per ora molti dettagli pure
importanti, per prima cosa occorrera determinare la posizione del pianeta nel
sistema solare: per questo scopo il SC piu naturale e quello eclittico eliocentrico.
Successivamente si dovra passare a un SC geocentrico e poi topocentrico; in ne,
per rispondere alla domanda che ci siamo posti, le coordinate da usare saranno
quelle orizzontali. Vedremo poi che la trasformazione da coordinate eclittiche a
orizzontali richiede, almeno concettualmente, di passare per le coordinate equa-
toriali.
In un contesto del tutto diverso, ci si puo porre il problema di come siano di-
stribuiti nello spazio gli ammassi globulari che si osservano sulla sfera celeste e di
cui, per qualche via, si sia potuta determinare la distanza. In questo caso il dato
osservativo e riferito in modo naturale al SC di catalogo delle stelle di campo (ti-
picamente equatoriali equinoziali a un'epoca standard), mentre la distribuzione
che interessa sara meglio riferita a un SC galattiche e galattocentriche.
Bastano questi pochi accenni per capire che il problema delle trasformazioni
di coordinate e essenziale in astronomia: senza voler essere del tutto esaurienti,
a ronteremo questo problema nella sua generalita, mostreremo qualche trasfor-
mazione rilevante e concluderemo con qualche applicazione pratica.
Nella presente trattazione non si fara alcun uso della trigonometria sferica
| cioe della trigonometria che si applica ai triangoli costruiti su una super-
cie sferica | com'e tradizionale nell'astronomia classica. Preferiremo l'uso
di strumenti piu consueti nella sica (vettori, traslazioni, rotazioni), anche in
considerazione del fatto che in questo modo la traduzione in algoritmi per un
calcolatore e di gran lunga sempli cata. In ogni caso, per comodita del let-
tore, alla ne del capitolo riportiamo le piu utili relazioni della trigonometria
sferica.
Fissato un certo punto di osservazione , O (origine del SC) la posizione P di
un oggetto e individuata dal vettore ~r = OP, eventualmente descritto in termini
delle sue componenti cartesiane x, y, z, quando si siano de nite le direzioni di
una terna di assi ortogonali, ovvero dei tre versori di base. Se ci limitiamo alla
descrizione della sfera celeste, ogni posizione, riferita al punto di osservazione
(centro della sfera), e individuata da un versore; come si e detto al Cap. G1,
G6{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
in questo caso la distanza dell'oggetto considerato non e nota, o comunque non
interessa.
E per noi interessante la relazione tra le coordinate sferiche del punto P
e le componenti del vettore ~r; anche perche, come si e visto sopra, i vari SC
di eriscono per l'orientamento. Per ogni SC verranno dunque ssati gli assi x
e z; l'asse y risultera de nito di conseguenza, trattandosi in ogni caso di terne
destrorse.
Nota: Nelle espressioni seguenti ci limiteremo ai punti della sfera celeste (di rag-
gio unitario), cioe alle componenti dei versori.
A. Coordinate Altazimutali (od Orizzontali): A; h
Assi: x verso Sud, z verso lo Zenit ) y verso Est (si noti che l'asse x punta in
verso opposto all'origine degli azimut).
x = , cos h cos A
y = cos h sin A (G6.1)
z = sin h:
M. Coordinate Equatoriali Meridiane: H; 
Assi: x verso il Mezzocielo superiore, z verso il Polo Nord Celeste ) y verso
Est.
x = cos  cos H
y = , cos  sin H (G6.2)
z = sin :
E. Coordinate Equatoriali Equinoziali: ; 
Assi: x verso V, z verso il Polo Nord Celeste.
x = cos  cos
y = cos  sin
z = sin :
C. Coordinate Eclittiche: ;
Assi: x verso V, z verso il Polo Nord Eclittico.
x = cos cos 
y = cos sin 
z = sin :

G6{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
G. Coordinate Galattiche : l; b
Assi : x verso il centro della Galassia, z verso il polo Nord galattico.
x = cos b cos l
y = cos b sin l
z = sin b:

Abbiamo gia accennato al fatto che le scelte dell'origine delle coordinate


e dell'orientazione di queste sono indipendenti. Parlando di trasformazioni di
coordinate manteniamo questa distinzione, dal momento che un cambiamento di
origine, nell'ambito dello stesso SC, si realizza mediante una traslazione, mentre
la trasformazione da un SC a un altro avente lo stesso centro corrisponde a una
rotazione.
Traslazioni

Ci limiteremo a trattare brevemente due situazioni frequenti: la trasforma-


zione da coordinate eliocentriche a geocentriche e quella da coordinate geocen-
triche a topocentriche (oltre che, naturalmente, le rispettive inverse).
Detti ~re e ~rg i vettori che individuano la posizione di un oggetto nei due ri-
ferimenti, eliocentrico e geocentrico rispettivamente, occorre ancora conoscere la
posizione della Terra rispetto al Sole, descritta dal vettore ~%. La trasformazione
sara allora:
~r e = ~% + ~rg : (G6.3)
Si vede che il calcolo di ~rg richiede di conoscere dell'orbita della Terra; di con-
seguenza ~rg dipende dal tempo attraverso ~%.
In modo assolutamente analogo si passa dal sistema geocentrico a quello
topocentrico, quando sia noto il vettore ~% che de nisce la posizione della localita
0

considerata rispetto al centro della Terra:


~rg = ~% + ~rt:
0
(G6.4)
Qui ~rt dipende ancora dal tempo, a causa della rotazione terrestre, a meno che
non si lavori in un SC solidale alla Terra (altazimutali o equatoriali meridia-
ne). Inoltre il calcolo di ~rt richiede la conoscenza della forma della Terra, delle
coordinate geogra che del luogo, e della sua altitudine.
Rotazioni

Fissiamo adesso il centro di osservazione, scegliendo ad esempio sistemi


geocentrici, e vediamo come si trasformano le coordinate da un sistema all'altro.
In tutti i casi si tratta di una rotazione e dunque puo essere descritta me-
diante una matrice 3  3, ma non sempre e ovvio individuare l'asse e l'angolo
G6{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
di rotazione. E pero sempre possibile ridurre una trasformazione alla composi-
zione di piu trasformazioni successive: se per queste e possibile scrivere le cor-
rispondenti matrici, la trasformazione richiesta sara data dal prodotto di quelle
matrici.
Ci limiteremo ai tre casi piu frequenti di trasformazione di coordinate:
1) A ! M (da Altazimutali a Equatoriali Meridiane):
Rotazione attorno all'asse y di un angolo pari alla colatitudine del luogo ' = 0

=2 , '.
0 sin ' 0 cos '
1
MMA = @ 0 1 0 A: (G6.5)
, cos ' 0 sin '
2) M ! E (da Equatoriali Meridiane a Equatoriali Equinoziali):
Rotazione attorno all'asse z di un angolo  pari a H ( ) (angolo orario del
punto ), dipendente dall'istante cui ci si riferisce. Si tratta del tempo siderale
gia introdotto nel cap. prec.
0 cos  , sin  0 1
MEM = @ sin  cos  0 A:
0 0 1
3) E ! C (da Equatoriali Equinoziali a Eclittiche):
Rotazione attorno all'asse x di un angolo pari all'obliquita dell'eclittica ".
01 0 0
1
MCE = @ 0 cos " sin " A:
0 , sin " cos "
Come esempio si consideri una stella di cui si siano misurate le coordinate
altazimutali A, h e di cui si vogliano determinare le coordinate equatoriali meri-
diane H , . Dette xA , yA , zA le componenti del versore che individua la direzione
della stella nel sistema altazimutale, basta applicare ad esse la matrice (G6.5)
per ottenere le componenti xM, yM , zM del medesimo versore nel SC equatoriale
meridiano: 0 x 1 0 sin ' 0 cos ' 1 0 x 1
@ yMM A = @ 0 1 0 A @ yAA A:
zM , cos ' 0 sin ' zA
xM = xA sin ' + zA cos '
yM = yA
zM = ,xA cos ' + zA sin ':
G6{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Esplicitando in termini delle coordinate polari tramite le (G6.1), (G6.2) si
ha:
cos  cos H = , cos h cos A sin ' + sin h cos '
cos  sin H = , cos h sin A (G6.6)
sin  = cos h cos A cos ' + sin h sin '
ricavando in ne:
 = arcsin(cos h cos A cos ' + sin h sin ')
 cos h sin A 
H = arcsin , cos  :

Si noti che nell'inversione delle funzioni trigonometriche relative alla coordi-


nata ciclica (H in questo caso) sorge sempre il problema della corretta determi-
nazione del quadrante; questo e uno motivi che inducono a preferire l'uso delle
coordinate cartesiane, in modo da dover passare a coordinate polari solo alla ne
del calcolo.
Prendendo ad esempio le coordinate eclittiche, mostriamo in dettaglio come
si opera a partire dalle componenti cartesiane xC , yC , zC . Detta % la lunghezza
della proiezione del versore sul piano dell'eclittica, potremo scrivere
q
% = x2C + yC2
= arcsin z%C
 = arctg xyC :
C
Nella determinazione di  il quadrante verra poi ssato analizzando i segni di xC
e yC .
Negli altri casi si procede in modo analogo, facendo attenzione all'origine e
al verso della coordinata ciclica: ad esempio, nelle coordinate orizzontali l'origine
e ssata a Nord (verso negativo del corrispondente asse x) e il verso e orario.
Le relazioni fondamentali della trigonometria sferica
Invertendo l'ordine storico e la tradizione, possiamo usare le formule di
trasformazione viste sopra, per es. quelle da altazimutali a equatoriali meridiane,
per ricavare le relazioni base della trigonometria sferica.
Consideriamo infatti la g. G6{1, dove si vedono: una stella S, lo zenit Z
e il polo nord celeste P. Questi tre punti costituiscono il cosiddetto triangolo
fondamentale . Nella gura sono anche indicati i lati del triangolo (archi della
sfera celeste) e due degli angoli : come si puo vedere, i lati sono rispettivamente
i complementi ' ,  , h della latitudine del luogo, della declinazione della stella
0 0 0

e della sua altezza; l'angolo in Z vale A = 2 , A, e quello in P coincide con H .


0

G6{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Tenendo conto di tutto cio, le (G6.6) si scrivono:
sin  cos H = , sin h cos A cos ' + cos h sin '
0 0 0 0 0 0

sin  sin H = sin h sin A


0 0 0
(G6.7)
cos  = sin h cos A sin ' + cos h cos ' :
0 0 0 0 0 0

Ovviamente la validita delle (G6.7) non


dipende dal signi cato di lati e angoli come
Z
coordinate celesti; se quindi sostituiamo i no- P
h McS
mi P, S, Z con dei generici A, B, C, designia- S
mo i lati opposti con le corrispondenti lettere P=H
^

minuscole, e gli angoli con , , , ottenia- S

mo: N
O
h

sin c cos = cos a sin b , sin a cos b cos


sin c sin = sin a sin
cos c = cos a cos b + sin a sin b cos :
(G6.8)
Le (G6.8) esprimono i tre teoremi base Fig. G6-1
della trigonometria sferica: la prima e il teorema delle proiezioni, la seconda il
teorema dei seni e la terza il teorema del coseno. Non e dicile veri care che
se a; b; c  1, ossia se il triangolo sferico puo essere confuso con un triangolo
piano, le (G6.8) divengono le omonime formule della trigonometria piana, il che
giusti ca i nomi.
E spesso utile avere presente il caso par-
ticolare di un triangolo rettangolo. Sia ad es.
= =2 ( g. G6{2): si ha allora
sin c cos = cos a sin b a
sin c sin = sin a

cos c = cos a cos b c

b
e dividendo la prima per la terza: =/2

tg b = tg c cos (G6.9)
mentre dividendo la seconda per la prima: Fig. G6-2
tg a = sin b tg : (G6.10)

G6{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
G7. Correzioni alle coordinate

Premessa
Ci sono molte ragioni per le quali le coordinate di un oggetto celeste (una
stella, un pianeta, ecc.) possono cambiare nel tempo, a parte quella apparen-
temente piu ovvia, che il corpo in questione si muova. Le variazioni delle co-
ordinate possono avere cause assai diverse dal punto di vista sico, tanto che
potrebbe essere opportuno trattarle in relazione ai diversi meccanismi che en-
trano in gioco. Tuttavia sia per ragioni storiche, sia pratiche, conviene spesso
vedere tutti questi e etti come delle \correzioni" da apportare alle coordinate,
e in tal senso riesce utile una trattazione unitaria. Dedicheremo percio il pre-
sente capitolo all'argomento, riservandoci di riprenderne alcuni aspetti quando
potremo approfondirli.
In questo spirito distingueremo sette meccanismi di variazione:
1. Nelle osservazioni fatte dalla super cie terrestre, occorre tener conto del
fatto che l'atmosfera perturba la propagazione della luce che arriva da un
corpo celeste: e questa la rifrazione astronomica.
2. Per le coordinate legate alla de nizione del punto (equatoriali o eclittiche)
ha importanza il fatto che la direzione dell'asse di rotazione della Terra non
resta ssa nello spazio (precessione, nutazione ).
3. Esiste un altro fenomeno, da non confondersi con la precessione o con la nu-
tazione, detto moto del Polo : l'asse di rotazione terrestre non e esattamente
sso neppure rispetto alla Terra.
4. La rotazione terrestre e il moto orbitale della Terra in uiscono sulla direzio-
ne in cui un oggetto e visto da un punto sulla super cie o anche dal centro
della Terra: abbiamo qui a che fare con la parallasse, rispettivamente diurna
e annua.
5. Anche la velocita relativa tra l'oggetto osservato e la Terra altera la direzione
in cui l'oggetto e visto; inoltre la velocita nita della luce fa s che esso non
si trovi, all'istante di osservazione, la dove lo si vede. I due e etti, come
vedremo, sono strettamente connessi e insieme costituiscono la cosiddetta
aberrazione : a questo fenomeno dedicheremo un capitolo a parte.
6. In epoca recente, per misure di elevata precisione, e diventato importante
tener conto della de essione gravitazionale della luce.
7. E oggi ben noto che le stelle sono tutt'altro che sse, ma anzi si muovono
nella Galassia a velocita di oltre 200 km=s rispetto a un riferimento inerziale
solidale al suo centro. Tale velocita e inoltre diversa da una stella all'altra:
percio la loro posizione relativa cambia nel corso del tempo, e il conseguente
cambiamento di coordinate viene descritto come moto proprio.
G7{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
La rifrazione astronomica
E noto che la densita dell'atmosfera decresce con la quota, e quindi allo
stesso tempo l'indice di rifrazione passa da un valore di circa 1.0003 a livello
del mare, no a 1 fuori atmosfera. Di conseguenza un raggio di luce che arrivi
da una stella viene incurvato verso il basso ( g. G7{1) e la distanza zenitale z0
a cui la stella viene vista e minore di quella z che si avrebbe senza atmosfera.
La di erenza z , z0 e l'angolo di rifrazione.
E facile calcolare l'e etto se si suppone di po- z
ter trascurare la curvatura terrestre: infatti in tal Zenit
caso z
n sin z 0 = sin z (G7.1)
se n e l'indice di rifrazione al suolo. Data la picco-
lezza dell'angolo di rifrazione, si puo approssimare
la (G7.1) con
z , z0 = (n , 1) tg z: (G7.2) Fig. G7-1

Dalla (G7.2), e dal valore di n, si vede che per piccoli z la rifrazione in secondi
d'arco ammonta all'incirca alla distanza zenitale in gradi; ancora per z = 45
vale circa 10 .
Pero l'ipotesi fatta cade in difetto quando la sorgente di luce e vicina all'o-
rizzonte (infatti la (G7.2) darebbe rifrazione in nita!). In queste condizioni il
calcolo e molto piu complesso, perche bisogna tener conto della curvatura della
Terra e occorre conoscere l'andamento dell'indice di rifrazione dell'atmosfera con
la quota. Ci limitiamo percio a un dato indicativo: all'orizzonte la rifrazione e
circa di 0:5 (ma varia anche con le condizioni meteorologiche).
Si noti che 0:5 e quasi il diametro
angolare del Sole: ne segue che quando
noi vediamo il Sole al tramonto che tocca
l'orizzonte, esso e in realta gia tutto sot-
to l'orizzonte stesso. Un e etto pratico e
che l'ora del tramonto risulta ritardata di
qualche minuto (alle nostre latitudini cir- Fig. G7-2

ca 3m ) e simmetricamente il sorgere del Sole e anticipato di altrettanto.


Un'altra conseguenza importante della rifrazione riguarda le eclissi di Luna:
il cono d'ombra e accorciato dalla rifrazione e non raggiunge la Luna, che infatti
non e mai completamente oscurata, anche nel pieno di un'eclisse.
Precessione e nutazione
Si e gia accennato nel Cap. G1 che il punto non occupa una posizione ssa
tra le stelle. La scoperta del fenomeno risale, come abbiamo visto, a Ipparco,
G7{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
il quale si accorse che le longitudini eclittiche di tutte le stelle aumentavano re-
golarmente, di circa 50 ogni anno. Egli interpreto questo e etto, coerentemente
00

allo schema geocentrico, come dovuto a un addizionale moto di rotazione della


sfera celeste (oltre a quello diurno) intorno al polo dell'eclittica, in senso diretto,
con un periodo di quasi 26 000 anni.
Conseguenza di questo moto, oltre la gia citata variazione delle longitudi-
ni, era che l'intervallo di tempo impiegato dal Sole a fare un giro dell'eclittica
da equinozio a equinozio (anno tropico ) era piu breve di quello occorrente per
tornare allo stesso punto dello Zodiaco (anno siderale ): di qui il termine preces-
sione degli equinozi. Un'altra conseguenza della precessione e che la stella polare
cambia nel tempo: oggi essa e UMi, ma sara Vega ( Lyr) fra 11 000 anni.
Solo con Copernico si a ermo un punto di vista diverso: non e la sfera delle
stelle sse che ruota, ma e l'asse di rotazione terrestre che cambia direzione,
descrivendo un cono intorno al polo eclittico. La spiegazione dinamica di questo
moto, come abbiamo gia ricordato, fu data da Newton: la vedremo nella parte
dedicata alla meccanica celeste. Va pero detto che accanto alla precessione
spiegata da Newton c'e un contributo addizionale, molto piu piccolo (circa 2 00

per secolo), detto precessione geodetica, di origine relativistica.


In realta il moto dell'asse terrestre e piu complesso: accanto al lento moto
di precessione esso subisce anche un'oscillazione di piccola ampiezza (nutazio-
ne ), scoperta da Bradley nel 1748. La nutazione ha un andamento temporale
complicato, ma dominato da un periodo di 18 anni e mezzo; non a caso uguale
a quello della retrogradazione dei nodi dell'orbita lunare.
Se supponiamo invariabile il piano
dell'eclittica, precessione e nutazione han-
no entrambe per e etto di modi care l'in-

tersezione fra equatore ed eclittica: la pri- eclittica
ma in modo secolare, la seconda in modo re
periodico (nutazione in longitudine, di am- q u ato
piezza  20 ); ne segue una variazione del-
00
e

la longitudine eclittica, mentre la latitudi-


ne resta inalterata. In coordinate equa-
toriali la situazione e piu complicata, in eclittica
quanto lo spostamento del punto modi-
ca tanto l'ascensione retta quanto la de- ato
re
clinazione. Inoltre la nutazione ha anche eq u
una componente in obliquita: l'angolo " Fig. G7-3
di obliquita varia periodicamente, con am-
piezza  10 , e ne segue un ulteriore e etto sulle coordinate equatoriali.
00

In ne occorre tener presente che il piano dell'eclittica non e sso, a causa


della perturbazione degli altri pianeti sul moto della Terra. Il risultato a breve
G7{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
termine (secoli) puo essere descritto come una rotazione del piano, nella misura
di circa 47 per secolo.
00

Da un punto di vista pratico, chi debba fare calcoli precisi trova oggi pubbli-
cate le matrici di rotazione per le coordinate equatoriali o eclittiche, che tengono
conto di tutti gli e etti citati.
Come informazione riassuntiva, bastera sapere che la correzione per preces-
sione e sempre essenziale, dato che, come si e detto, ammonta a oltre 50 all'anno00

in longitudine; per questa ragione e imperativo precisare l'epoca delle coordinate.


La nutazione e meno importante, non tanto perche sia piccola, quanto perche
di solito le coordinate sono riferite all'equinozio e all'equatore medio, ossia non
a etti da nutazione. Il solo caso in cui si deve tener conto della nutazione e
quando si abbia a che fare con misure dirette, eseguite con uno strumento, che
sono ovviamente riferite a equinozio ed equatore della data.
Il moto del Polo
Supponiamo, per cominciare, di poter trattare la Terra come un corpo rigi-
do. E noto che in generale momento angolare S~ e velocita angolare ~! non sono
paralleli (lo sono solo se entrambi diretti secondo un asse principale d'inerzia).
Nel caso semplice di un solido di rotazione (giroscopio) si dimostra che i due
vettori stanno sempre in uno stesso piano passante per l'asse di simmetria; per
un corpo schiacciato, come la Terra, S~ e interno all'angolo acuto formato da ~!
col detto asse.
Se si trascurano perturbazioni esterne S~ e
costante, ma ~! ruota intorno a S~ in senso an- S
tiorario (sempre nel caso schiacciato) e lo stesso
fa l'asse di simmetria; il che e quanto dire che ~!
ruota attorno all'asse di simmetria. Il punto in P
cui la semiretta che contiene ~! interseca la su-
per cie terrestre e il Polo Nord, che dunque non
resta sso sulla Terra, ma descrive una circon-
ferenza.
Tutto quanto precede fu trovato da Eulero,
che calcolo anche il periodo del moto del Polo
(esso dipende dai momenti d'inerzia della Ter-
ra): il risultato e circa 305d siderali, detto ap-
punto periodo di Eulero. In realta la Terra non Fig. G7-4
e rigida, e fu in seguito dimostrato che questo
porta a un allungamento del periodo, che diventa di oltre 400d siderali (periodo
di Chandler ).
Il moto del Polo e stato messo in evidenza n dagli inizi del secolo scorso,
e oggi e noto con notevole precisione. La misura e ovviamente indiretta: se cam-
bia la posizione del Polo Nord, cambia la latitudine di un punto sso sulla Terra
G7{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
(cambia anche la longitudine, e di questo riparleremo a proposito del tempo).
Disponendo una rete di osservatori che eseguono precise misure di latitudine si
arriva a conoscere la posizione del Polo nel corso del tempo. Il risultato e che
la traiettoria reale e assai irregolare, e solo all'ingrosso si puo approssimare con
una circonferenza: il raggio medio e di  10 m, che in angolo equivalgono a poco
piu di 0 :3. Questa e dunque l'ampiezza delle oscillazioni in latitudine.
00

Una variazione delle coordinate geogra che del luogo di osservazione modi-
ca ovviamente la trasformazione fra coordinate equatoriali e altazimutali. Per
le coordinate equatoriali di una stella non ha invece importanza il moto dell'as-
se polare rispetto alla super cie terrestre, bens quello rispetto a un riferimento
inerziale: in assenza di forze esterne, come abbiamo gia detto, in tale riferimento
sarebbe costante S~ , non ~!. Il moto di ~! implica il moto dell'equatore, quindi
una variazione delle coordinate equatoriali; si vede pero che tale variazione e al
piu dell'ordine di 0 :001, perche tale e l'angolo tra S~ e ~!.
00

La parallasse
L'argomento e gia stato trattato nel cap. precedente, quando abbiamo esa-
minato il cambiamento di coordinate per traslazione. Abbiamo visto allora
che per passare da coordinate geocentriche a topocentriche si deve porre, con
la (G6{4)
~r g = ~% + ~r t 0
(G7.1)
dove il vettore ~% , che va dal centro della Terra al luogo di osservazione, ruota
0

insieme con la Terra. Ne segue che se anche ~rg e costante, ~rt varia nel tempo,
descrivendo un cono intorno al primo: e questa la parallasse diurna. Il calcolo
si fa nel modo piu semplice in cooordinate cartesiane, a partire dalla (G7.1),
e non occorre qui dare i dettagli. Ripetiamo solo quanto gia detto nel Cap. G1:
la parallasse diurna delle stelle e sempre trascurabile, mentre non lo e per i
corpi del sistema solare. Anzi, e stata questa la prima via usata per ricavare le
dimensioni del sistema.
Allo stesso modo si procede per la
parallasse annua, che  e connessa col
passaggio dal riferimento eliocentrico sfera
a quello geocentrico, secondo la (G6{ celeste
3):
~r e = ~% + ~r g :
Anche in questo caso, se pure la posi- r e

zione eliocentrica ~re non dipende dal r g


tempo, quella geocentrica ~rg risente S

del moto orbitale della Terra, descrit- T
to dal vettore ~%. Di nuovo ~rg descrive Fig. G7-5
un cono attorno a ~re, ma occorre os-
servare che non si tratta di un cono circolare, per due motivi:
G7{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
{ per una stella generica ~re non e perpendicolare a ~%
{ il modulo di ~% non e costante, causa l'eccentricita dell'orbita della Terra.
Si chiama parallasse  (si sottintende annua ) l'angolo tra ~re e ~rg calcolato
nell'ipotesi che ~re sia perpendicolare a ~% (cosa che per qualunque stella capita
due volte all'anno) e che il modulo di ~% sia un'unita astronomica (A il semiasse'

dell'orbita della Terra: daremo la de nizione esatta nella terza parte). Se po-
niamo D = ~re avremo A = D tg ; pero, come vedremo fra poco,  e sempre
j j

cos piccolo che si puo confondere con la sua tangente, e scrivere quindi
A =D ) D = A=: (G7.2)
Ovviamente nella (G7.2)  va misurato in radianti; tuttavia e consolidato l'uso di
esprimere la parallasse in secondi d'arco, e risulta percio conveniente introdurre
un'unita di distanza che corrisponde a una parallasse di 100 : e questo il parsec
(abbreviato pc). Poiche 1 rad 200:06 105 si trova
' 

1 pc 2:06 105 A
' 

e poi
D = 1= (D in pc,  in 00 ):
La prima parallasse annua fu misurata nel 1838 da Bessel, per la 61 Cyg
( = 000:299). E ben noto pero che la stella piu vicina e la Cen ( = 000:756).
Dunque per tutte le stelle  < 100 e l'errore relativo nel confondere tg  con 
non supera mai 10,11.
La de essione gravitazionale
Questo e etto, previsto da Einstein nel quadro della Relativita Generale,
fu osservato per la prima volta durante l'eclisse totale di Sole del 1919. L'angolo
di de essione dovuto al Sole ha l'espressione

# = 4GM
cd
2
S

dove # e misurato in radianti e d e la distanza minima del raggio dal centro


del Sole. In vicinanza del bordo la de essione prevista e di 100:75, e decresce in
funzione dell'elongazione, riducendosi a 000:004 a 90 dal Sole.
Tuttavia con tecniche di radiointerferometria anche un angolo cos piccolo e
misurabile con buona precisione, s che oggi la previsione di Einstein e veri cata,
anche a grandi angoli, entro l'1%.
In ogni caso per misure di posizione abbastanza accurate (per le stelle e
anche per i pianeti) si deve tener conto della de essione, accanto agli altri e etti
gia visti. Non diamo qui ulteriori dettagli.
G7{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Il moto proprio
Il moto di una stella in un riferimento solidale al sistema solare puo essere
visto come la somma di due moti componenti: uno nella direzione di osserva-
zione, detto radiale, e uno trasversale, ossia tangente alla sfera celeste. Il moto
radiale non ha qui importanza, dato che non in uisce sulle coordinate angolari:
ci occuperemo dunque solo del moto trasversale.
La velocita angolare del moto trasversale si chiama moto proprio , ed e
data di solito in secondi d'arco per anno. Dal moto proprio e facile risalire alla
velocita trasversale:
vt = D = A  (G7.4)
dove  e la parallasse. Usando le unita piu comuni (km/s per la velocita, per
00

la parallasse, =anno per il moto proprio) la (G7.4) diventa


00

vt = 4:74  :
Nella misura dei moti propri esiste pero il problema di come orientare il siste-
ma di riferimento: abbiamo supposto che il riferimento sia eliocentrico (o meglio
baricentrico); ma come possiamo essere certi che non ruoti? Riprenderemo piu
a fondo l'argomento trattando della Galassia; per ora ci limitiamo all'ipotesi
essenziale: che le stelle non abbiano un moto rotatorio d'insieme.
Si noti che senza quest'ipotesi non sarebbe neppure possibile assegnare un
preciso valore alla precessione: infatti la rotazione dell'asse terrestre dipende ov-
viamente anch'essa dal sistema di riferimento. Occorre percio assumere che non
ci sia un moto proprio sistematico per tutte le stelle nel senso della longitudi-
ne. In modo analogo eventuali moti propri complessivi nel senso della latitudine
vengono interpretati come oscillazioni dell'equatore rispetto all'eclittica (nuta-
zione).
La prima osservazione di moti propri, che smentiva l'antica convinzione
delle stelle \ sse" sulla sfera celeste, si deve a Halley (1718). Oggi si conoscono
oltre 300 stelle aventi moto proprio superiore a 1 =anno; la piu veloce e la stella
00

di Barnard (m = 9:5, D = 1:81 pc) con  = 10 :3=anno: si tratta dunque di una


00

stella molto vicina e poco luminosa. Per le velocita trasversali si hanno valori
tipici di 20  50 km=s. Sulla base di argomenti che vedremo, ci si deve aspettare
che esistano anche velocita molto maggiori, ma e dicile misurarle direttamente
perche e probabile che si riscontrino in stelle lontane, di cui il moto proprio e
sconosciuto o comunque noto con grande incertezza.

G7{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
G8. L'aberrazione

Teoria classica
Col nome di aberrazione s'indica lo spostamento apparente di un corpo
celeste dalla posizione che occuperebbe sulla sfera celeste se la propagazione
della luce fosse istantanea (posizione geometrica ).
Fino a pochi anni fa era tradizionale in astronomia descrivere e calcolare
il fenomeno assumendo l'esistenza di un riferimento privilegiato (\etere") per la
propagazione della luce. Questo era giusti cato non tanto da ragioni storiche,
quanto dal fatto che la teoria relativistica introduceva correzioni inferiori ai limi-
ti strumentali. Oggi cio non e piu vero, e una teoria relativistica dell'aberrazione
si rende necessaria. Tuttavia noi inizieremo la trattazione seguendo il procedi-
mento tradizionale, soprattutto per motivare la terminologia che e ancora in uso,
oltre che per illustrare, su di un esempio importante, la successione storica delle
teorie.
Secondo la visione \classica," esiste uno spazio assoluto, e solo in un sistema
di riferimento in quiete rispetto ad esso e vero che la luce si propaga nel vuoto
con velocita c in ogni direzione, quale che sia il moto della sorgente che l'ha
emessa. In ogni altro riferimento la velocita della luce si \compone" con quella
del riferimento, proprio come accade con la velocita delle gocce di pioggia o con
quella del vento, quando si va in bicicletta.
Per approfondire il discorso riesce piu v
semplice pensare a un modello corpuscola- S S S
re della luce, anche se i risultati si posso- v
no ottenere altrettanto bene da un punto di O S

vista ondulatorio. Per cominciare, suppo- c c


niamo che l'osservatore O e la sorgente S si
muovano con velocita costanti, risp. ~vO e ~vS.
Riferendosi alla g. G8{1, se ~c e la velocita
e  il tempo impiegato, avremo ,  = ~cO, . O v
vettoriale della luce che da S raggiunge
SO
O

La velocita della luce in un riferimento soli- Fig. G8-1


dale ad O sara pero ~c = ~c , ~vO, e percio O
0

vedra la sorgente S in una posizione apparente S tale che


,
SO = ~c  = (~c , ~vO ) :
0

D'altra parte S avra percorso nel tempo  il tratto ,  = ~vS e la sua posizione
SS 0

geometrica sara data da


, SO , ,SS
SO=,
0
 = (~c , ~vS) :
0

G8{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
, Lo spostamento dalla posizione geometrica a quella apparente e dunque
S S = (~vO , ~vS )  e dipende solo dalla velocita relativa di S rispetto ad O: e
0

questo che rende accettabile la trattazione classica, nonostante essa adotti in


partenza un riferimento privilegiato.
L'espressione dell'aberrazione calcolata come precede, tenendo conto sia del
moto dell'osservatore sia di quello della sorgente, prende il nome di aberrazione
planetaria, perche ha importanza nelle osservazioni dei pianeti, dove la posizione
geometrica va conosciuta dato che e quella da usare nelle equazioni del moto.
Non ci so ermeremo sulle modi che da apportare al ragionamento se il moto di S
non e uniforme, che sono ovvie; per quanto riguarda il moto di O, non c'e alcuna
modi ca da fare, salvo speci care che occorre usare la velocita ~vO all'istante di
osservazione. , , ,
Si suole decomporre S S in S S + SS, e chiamare:
0 0

,
,SS = ,~vS correzione per il tempo di propagazione
0

SS = ~vO aberrazione stellare.


,
La ragione del primo nome e evidente: S S e lo spostamento \indietro" da appor-
0

tare alla posizione geometrica per ottenere la posizione occupata dalla sorgente
all'istante in cui la luce e stata emessa. La denominazione del secondo termi-
ne sembra suggerire che per le stelle si possa fare ~vS = 0, ma come vedremo
le velocita delle stelle rispetto al Sole sono le piu diverse, e anche parecchio
maggiori della velocita della Terra rispetto al Sole; come si potrebbe dunque
pensare ~vS = 0?
La spiegazione e la seguente: per una stella ~vS e praticamente costante, e lo
stesso si puo dire della velocita del Sole, quale che sia il sistema di riferimento
assoluto; invece la velocita della Terra rispetto al Sole cambia durante l'anno.
Ne segue che l'aberrazione \planetaria" di una stella si puo pensare composta
di tre termini:
(~vO , ~vS) = ,~vS  + ~vS  + ~v3 
dato che ~vO = ~vS + ~v3 con ovvio signi cato dei simboli.
Il primo termine a secondo membro e la cor-
rezione per il tempo di propagazione; il secondo si S
v
chiama aberrazione secolare ; il terzo aberrazione
annua. Il secondo e il terzo insieme formano ap- c
punto l'aberrazione stellare. Dato che il primo e il
secondo sono sconosciuti (al piu per alcune stelle
e nota la loro somma) ma costanti, non vengono v
considerati nelle correzioni da apportare alle osser-
vazioni, che si basano percio sulla sola aberrazione Fig. G8-2
annua. Si noti che in realta solo la somma del pri-
mo e secondo termine ha signi cato in base al principio di relativita; percio la
G8{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
de nizione di aberrazione stellare e un residuo storico, mentre la sola pratica-
mente utile e l'aberrazione annua.
Come si vede dalla g. G8{2, l'e etto in direzione e # ' (v3 =c) sin #.
L'espressione e corretta al primo ordine in v3=c, ma sarebbe inutile andare oltre,
non tanto perche v3=c e piccolo, quanto perche i termini di ordine superiore si
calcolano esattamente solo dalla teoria relativistica. Con i valori numerici si
trova v3 =c ' 20 :50. Questo e dunque l'ordine di grandezza dell'aberrazione.
00

E forse il caso di notare che l'aberrazione, a di erenza della parallasse, non


dipende dalla distanza della stella.
Si de nisce costante di aberrazione  il rapporto v3 =c calcolato in base alla
velocita media orbitale della Terra. Come vedremo nella meccanica,
= p na
c (1 , e )
2
:

Il valore adottato per l'epoca J2000.0 e


 = 2000:49552:

Osserviamo in ne che non c'e solo il moto orbitale della Terra a produrre
aberrazione, ma anche la rotazione. La velocita di un punto sulla super cie e
pero sempre inferiore a 0:5 km=s, e produce quindi un e etto che non supera 0 :4.
00

Questa ulteriore aberrazione ha ovviamente il periodo di un giorno (siderale) e si


chiama pertanto aberrazione diurna.
La scoperta dell'aberrazione

L'aberrazione fu scoperta da Bradley intorno al 1730. Inizialmente egli col-


laboro con Molyneux, che si proponeva di misurare la parallasse come prova
dell'ipotesi copernicana: era stata scelta la Dra, che per la sua declinazione
passa quasi allo zenit di Londra. Fu costruito quindi un telescopio accurata-
mente puntato sullo zenit per mezzo di un lo a piombo. In tal modo, con uno
strumento avente un sicuro riferimento terrestre, era possibile scoprire piccole
variazioni di declinazione della stella, quali si pensava che dovesse produrre la
parallasse. Dopo i primi risultati incomprensibili, Bradley continuo le ricerche
con un altro telescopio e studiando molte altre stelle: scopr cos l'aberrazione,
che come si e visto e molte volte maggiore della parallasse.
E interessante come Bradley si accorse che quella osservata non era paral-
lasse. La Dra non e lontana dal polo dell'eclittica, e la sua ascensione retta e
circa 18h: dunque la parallasse avrebbe dovuto essere massima (nella sua com-
ponente in declinazione, che era la sola misurabile) nelle posizioni della Terra
di massimo spostamento sul piano degli assi polari (polo nord celeste e polo
dell'eclittica), quindi nei punti T2 e T4 corrispondenti ai solstizi ( g. G8{3).
Invece la componente in declinazione dell'aberrazione e massima nelle posizioni
G8{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
PNE PNE
T1 T4 T2 T1
T T3 T T4
2 Parallasse 3 Aberrazione
PNC PNC

T3 T2 T3 T2

r
v
T4 T T4 T 1
1
Equinozio di Primavera Equinozio di Primavera

Fig. G8-3

di massima velocita sempre sullo stesso piano, cioe in T1 e T3, corrispondenti


agli equinozi.
In e etti lo spostamento osservato era massimo agli equinozi, ed era quindi
impossibile interpretarlo come parallasse. Si racconta che Bradley abbia avuto
l'idea della giusta spiegazione durante una gita in barca lungo il Tamigi, quando
osservo che una bandierina posta sull'albero della barca cambiava direzione,
nonostante il vento trasversale spirasse costante, a seconda che la barca risalisse
o scendesse il ume.
Va ricordato che al tempo la velocita della luce era gia stata misurata,
da Rmer e poi da Cassini, per mezzo delle eclissi dei satelliti di Giove. L'a-
berrazione osservata da Bradley forn pero un'ulteriore misura di c, migliore di
quelle, e che si scostava solo dell'1% dal valore attuale. Diede inoltre una prova,
ancora piu solida della parallasse, del moto orbitale della Terra.
Teoria relativistica dell'aberrazione

Da un certo punto di vista la formulazione relativistica e piu semplice,


in quanto non ci sono tre enti da considerare (l'etere, la sorgente e l'osserva-
tore) ma soltanto due. La sola cosa che conta e il moto relativo fra sorgente e
osservatore. Bastera quindi introdurre due riferimenti: quello in cui e in quiete
la sorgente, per il quale useremo le coordinate x, y, z, t, e quello dell'osservatore,
con le coordinate x , y , z , t .
0 0 0 0

Indicheremo con ~v la velocita dell'osservatore (Terra) rispetto alla sorgen-


te, e orienteremo gli assi in modo che ~v abbia solo la componente x, positiva.
G8{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Supporremo ancora che la sorgente vista dalla Terra sia nel piano (x; z) e che
siano #, risp. # gli angoli da cui si vede arrivare la luce nei due riferimenti.
0

Ne segue che le componenti della velocita della luce sono rispettivamente


vx = ,c cos #; vy = 0; vz = ,c sin #
vx0 = ,c cos #0 ; vy0 = 0; vz0 = ,c sin # 0

(non dimentichiamo che il modulo della velocita e c in entrambi i riferimenti!).


La trasformazione della velocita e data dalle formule
vx0 = 1 ,vxvv, v=c2 vz0 = (1 ,vvv
z
x x =c2 )

e sostituendo:
cos # = 1cos
0
# + v=c
+ v cos #=c sin # = (1 +sin
0
#
v cos #=c)
:

Da queste si ricava
v
v  1+ +
sin(# , # ) =0
sin # + ,1
cos v
# = sin #
1 c cos #
1 + vc cos # c c 1 + vc cos #
2
' vc sin # , 4vc2 sin 2#: (G8.3)

Come si vede dalla (G8.3), la correzione rispetto al calcolo di primo or-


dine puo arrivare a v2=(4c2) = 0 :0005, che oggi non e piu trascurabile per le
00

osservazioni di alta precisione.

G8{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
G9. Il tempo astronomico

Tempo solare e siderale


Il concetto primitivo di tempo deriva senza dubbio dal quotidiano alternarsi
di luce e di buio; ed e logico pensare che la prima unita di misura sia stata il
giorno: l'origine del tempo era ssata a qualche fenomeno di facile comprensione,
ad es. il tramonto. Ben presto pero, con la civilta e lo svilupparsi dei rapporti
sociali, e sorta l'esigenza di una suddivisione piu na del giorno, che fu dunque
diviso in ore. Piu precisamente, si divideva il periodo di luce in 12 ore e il
periodo di buio pure in 12 ore. Da cio segue che l'ora diurna era diversa dall'ora
notturna e variava durante l'anno, tanto che i primi orologi dovevano essere fatti
marciare piu lentamente d'estate e piu velocemente d'inverno. L'ora d'inizio del
giorno era ssata al tramonto e restava anch'essa uttuante.
Solo in un secondo tempo prevalse l'uso di dividere il giorno in 24 ore ugua-
li, ma sempre calcolate a partire dal tramonto (si veda ad es. Galileo: Nuncius
Sidereus). Finche gli orologi erano imprecisi cio poteva andare; ma con migliori
orologi e con osservazioni astronomiche accurate occorreva un'origine piu co-
stante. Il tempo fu allora misurato sempre col Sole, ma ssando come origine
il passaggio al meridiano (in seguito si prese il meridiano Nord, cioe la nostra
mezzanotte).
Si arriva cos a de nire in modo ope- Mezzocielo sup.
rativo il Tempo Solare Apparente (TSA)
come la misura dell'angolo orario H del Sole
Sole, aumentato di 12 ore in quanto il gior-
no si fa iniziare alla mezzanotte ( g. G9{
1). E bene notare subito che essendo H H
una coordinata funzione del punto di os-
servazione, il TSA e quali cato con l'ag- Polo Nord
gettivo \locale" in quanto diverso, allo
stesso istante, da luogo a luogo.
Per dire se questo sia un modo soddi-
sfacente di misurare il tempo e necessario
pero avere un termine di confronto. Con
un buon orologio meccanico si veri ca in
pochi giorni che la sua marcia non va d'ac- Fig. G9-1
cordo con i passaggi successivi del Sole al
meridiano. La cosa e facilmente spiegabile, ma su cio torneremo piu avanti. Do-
vremo anche chiarire che cosa ci permetta di decidere, in presenza di due metodi
di misura del tempo che danno risultati discordanti, a quale si debba prestare
ducia.
G9{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Il problema non sembra invece sussistere se ci riferiamo alla rotazione della
sfera celeste nel suo insieme o, in particolare, del punto . In modo analogo a
quanto abbiamo fatto per il Sole, misurando l'angolo orario di una stella o del
punto abbiamo diverse scale di tempo: usando il punto si ha il Tempo Siderale
( oppure TS), che ovviamente e pure un tempo \locale," nel senso detto sopra.
L'intervallo tra due passaggi consecutivi della stessa stella al meridiano (giorno
siderale ) e costante con ottima approssimazione.
Agli e etti pratici tuttavia non si puo scandire il passare del tempo con il
ciclo del giorno siderale, in quanto l'in uenza del Sole (e l'alternarsi del d e della
notte) e di gran lunga dominante sui ritmi di vita e sull'organizzazione sociale.
Torniamo dunque a esaminare il problema del tempo solare.
Nelle nostre considerazioni faremo un'ipotesi fondamentale: quella di ave-
re a disposizione una scala di tempo \uniforme" che indicheremo con tu (sul
signi cato di questa frase torneremo alla ne del cap. seguente).
Per quanto detto sopra assumeremo che la scala del Tempo Siderale sia pure
essa \uniforme," ossia lineare in tu:
(tu ) = 0 + k tu :
In altre parole, porremo come ipotesi una qualunque di queste alternative equi-
valenti:
1) la rotazione della Terra attorno al suo asse e uniforme (in tu);
2) la rotazione apparente della sfera celeste e uniforme;
3) il giorno siderale ha durata perfettamente costante.
Per de nizione, il Tempo Solare Apparente (che indicheremo adesso con tSA )
e dato da:
tSA = HS (tu ) + 12h
e puo essere espresso in termini del Tempo Siderale (de nito al Cap. G5) come
segue:
tSA = (tu ) , S (tu ) + 12h : (G9.1)
Ipotizziamo per il momento che S(tu ) sia lineare in tu:
S (tu ) = 0 + c tu :
Ne seguirebbe che
tSA (tu ) = (0 , 0 + 12h ) + (k , c) tu
e potremmo dire che anche tSA e un tempo uniforme. Ad esempio l'intervallo
di tempo tra due passaggi consecutivi del Sole al meridiano, corrispondente per
G9{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
de nizione a 24h di tempo solare, sarebbe misurato in questo modo dal nostro
orologio \uniforme":
tSA = 24h = (k , c) tu
da cui h
tu = k24, c :
L'unita di tempo uniforme dovra essere tale che k , c = 1 per riprodurre il
Tempo Solare.
L'equazione del tempo
Ma vediamo invece come vanno le cose nella realta, in particolare tenendo
conto dell'obliquita dell'eclittica e dell'eccentricita dell'orbita terrestre. Quello
che occorre e determinare, almeno in forma approssimata, la dipendenza di S
nella (G9.1) dal tempo tu .
Cominciamo col supporre nota la longi-
tudine (eclittica) del Sole, (tu ); applicando
la (G6{9) al triangolo in g. G9{2 si ha: equatore
ecli
tg = tg  cos " ttic
a
Fig. G9-2
da cui
tg  , tg = tg  (1 , cos ")
ove il primo membro puo scriversi nella forma
sin( , ) :
cos  cos
Si ricava allora:
sin( , ) = sin  cos (1 , cos "):
Nell'ipotesi | veri cata tra breve | che la di erenza  , sia piccola,
si potra porre:
 , = 2 sin  cos  sin2 ("=2) = sin 2 sin2 ("=2)
=  , sin 2 sin2 ("=2) (G9.2)
ove sin2 ("=2) = 0:0415 rad rappresenta quindi una buona approssimazione della
massima di erenza tra longitudine e ascensione retta del Sole, per e etto dell'o-
bliquita dell'eclittica. Tale angolo riportato in termini di tempo (con riferimento
alla rotazione terrestre) corrisponde a circa 9:5m; la di erenza ,  e periodica,
con periodo di 6 mesi.
G9{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Se anche il Sole nel suo moto apparente sull'eclittica si muovesse di mo-
to uniforme, cioe se  fosse funzione lineare di tu , non potrebbe comunque
esserlo, e di conseguenza gia per questo il Tempo Solare Apparente non puo
rappresentare un \tempo uniforme."
Consideriamo ora che la velocita
angolare apparente del Sole sull'eclit-
tica e pari alla velocita angolare del-
la Terra nella sua orbita: dunque il
Sole sembra muoversi piu velocemente P A
quando la Terra e al perielio e il Sole S
al perigeo (inizio di gennaio) e piu len-
tamente con la Terra in afelio (inizio di
luglio), a causa dell'eccentricita dell'or-
bita terrestre ( g. G9{3: l'eccentricita e Fig. G9-3
esagerata per maggior chiarezza).
Ne segue che neppure (tu ) e funzione lineare del tempo; come si vedra
meglio nella terza parte, tenendo conto che l'eccentricita e piccola (e = 0:0167)
e limitandosi quindi al primo ordine di un opportuno sviluppo in serie di potenze
di e, si puo porre:
(tu ) = 0 + n tu + 2e sin(n tu )
ove n e il moto medio del Sole. A conti fatti, il termine non lineare ha un'ampiez-
za 2e = 0:0334 rad corrispondente a circa 7:7m, e il periodo di un anno. (Si noti
che qui abbiamo preso l'origine di tu all'istante del perielio.)
Scrivendo sin 2(tu) come sin 2(0 + ntu) + O(e), sostituendo nella (G9.2),
e trascurando i termini O(e2 ), O(e "2 ) e quelli di ordine superiore, si ottiene:
(tu ) = 0 + n tu + 2e sin(n tu ) , sin2 ("=2) sin 2(0 + n tu )
ed in ne per il TSA:
tSA (tu ) = 0 + k tu , 0 , n tu
+ [sin2("=2) sin 2(0 + n tu ) , 2e sin(n tu )] + 12h
= 0 , 0 + 12h + (k , n) tu + [sin2("=2) sin 2(0 + ntu ) , 2e sin(ntu)]:
La stessa espressione si puo scrivere in forma piu compatta in questo modo:
tSA = tSM + E (G9.3)
avendo posto
tSM (tu ) = 0 , 0 + 12h + (k , n) tu
E = sin2 ("=2) sin 2(0 + n tu ) , 2e sin(n tu ): (G9.4)
G9{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Il tSM e detto Tempo Solare Medio (TSM): rappresenta un tempo uniforme
in tu ed e legato al valore medio annuale della durata del giorno solare apparente;
il termine E , pari alla di erenza tra Tempo Solare Apparente e Tempo Solare
Medio, e detto Equazione del Tempo.
Questo nome ha un'origine storica: Effetto di obliquit
inizialmente la de nizione di E era op-
posta all'attuale, e stava a signi care la
quantita che occorreva aggiungere al tem-
po misurato (TSA) per \equalizzarlo," per
renderlo uniforme. Con l'adozione del Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic
Tempo Siderale come base per il calcolo
del TSM (v. piu avanti) si e convenuto di
adottare la de nizione (G9.3) per indica- Effetto di eccentricit
re la correzione da apportare al TSM per
avere il TSA.
Il gra co di g. G9{4, in basso, rap-
presenta l'Equazione del Tempo: vi si ri-
conoscono facilmente le due componenti Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic
| con periodi di 6 mesi e di un anno
| sfasate perche la posizione del perigeo
non coincide ne con un equinozio, ne con 15 E m

un solstizio. L'equazione del tempo assu- 10


me valori di alcuni minuti, no a estremi 5
di circa un quarto d'ora. (Non bisogna 0 Gen Feb Mar Mag Lug Ago Set Ott Nov Dic
dimenticare che nel nostro calcolo abbia- -5 Apr Giu
mo introdotto alcune approssimazioni: un -10
t
u

calcolo piu accurato di erisce dalla (G9.4) -15


no a circa 1m ). Si vede dunque che il Fig. G9-4
TSA non e un \buon tempo," salvo per
scopi assai grossolani.
Abbiamo cos chiarito da che cosa dipende la di erenza tra giorno solare
(detto \apparente" o anche \vero") e giorno solare medio. Per visualizzare
questa di erenza, e tradizionale per gli astronomi riferirsi a un Sole ttizio,
detto Sole medio, che percorre l'equatore in moto uniforme, con lo stesso moto
medio del \Sole vero"; e de nire di conseguenza il TSM come l'angolo orario del
Sole medio. In e etti l'ipotesi fatta in precedenza | di un'ascensione retta del
Sole che variasse uniformemente col tempo | corrisponde proprio all'arti cio
del \Sole medio" e conseguentemente la costante c introdotta allora non e altro
che il moto medio n, come si vede dalla de nizione di tSM.
Da quanto si e detto e anche chiaro che non si puo trovare il TSM diretta-
mente da osservazioni del Sole (che danno solo il TSA). E per questo che il tempo
G9{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
solare (apparente) e stato abbandonato nella pratica astronomica: si preferisce
de nire il TSM a partire direttamente dal Tempo Siderale.
Il Tempo Siderale
Si e gia accennato al fatto che come si e de nito il Tempo Solare, si puo
de nire il \tempo" di un qualsiasi oggetto celeste, come l'angolo orario di quello.
Per avere una \buona" de nizione di tempo si cerchera allora di riferirsi a corpi
celesti aventi moto regolare: abbiamo visto che rifacendosi alle stelle le cose
vanno molto meglio e da qui e nato il concetto di Tempo Siderale.
Ad essere piu precisi, anche in questo caso pero ci sono delle complicazioni:
ad esempio, a causa dei moti propri delle stelle sorge il problema di quale stella
scegliere per de nire il tempo; cos di fatto, per evitare il problema, si puo
scegliere di utilizzare direttamente il punto .
Se il punto fosse sso tra le stelle non ci sarebbe altro da dire, ma come sap-
piamo non e cos: tanto l'eclittica quanto l'equatore si spostano continuamente,
e lo stesso accade della loro intersezione (v. Cap. G7: precessione e nutazione).
Una conseguenza della precessione e che il giorno siderale di una stella e diverso
dal giorno siderale del punto : questo e piu breve di circa 0:01 s. Inoltre, sempre
a causa della precessione, si danno due diverse de nizioni di anno:
{ anno siderale, che e il tempo occorrente perche il Sole ritorni nella stessa
posizione rispetto alle stelle sse
{ anno tropico, che e il tempo occorrente perche il Sole ritorni al punto .
Dato che il Sole ha un moto medio di 360
in 365 giorni circa, si trova che esso per-
corre 5000 in circa 1200 s (20 min) e percio 1

( g. G9{5) 2

anno tropico ' anno siderale , 1200 s:


Anno

Tornando alla de nizione di TS, si e vi-


siderale

sto che non e indi erente usare una stella o


il punto . In realta si de nisce il TS come
l'angolo orario H del punto . La ragione per Anno tropico
cui si e scelto un punto immaginario e che
essendo questo de nito dal moto del Sole si
possono connettere al problema osservazioni
del Sole. Fig. G9-5
Per fare determinazioni di TS occorrono allora:
1) osservazioni stellari, per risalire indirettamente alla posizione del punto
a quell'istante
2) osservazioni solari, per de nire bene il nodo ascendente dell'eclittica sull'e-
quatore, cioe il punto , che e il punto in cui S = 0, S = 0.
G9{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Determinazione del tempo siderale
Vediamo un procedimento concettualmente possibile, anche se non e il mi-
gliore ne il piu preciso, per determinare insieme l'ascensione retta delle stelle,
quella del Sole, e il TS.
Intanto occorre un orologio, cioe un oggetto di cui supporremo inizialmente
solo che marci a velocita costante: dovremo noi con osservazioni trovarne la
scala e lo zero. Ricordiamo che dalla formula fondamentale  = + H si deduce
che =  per H = 0; cioe per una stella al meridiano l'ascensione retta (alla
data) e proprio il TS. Potremmo allora pensare di costruirci un orologio basato
sul passaggio delle stelle al meridiano; ma le stelle ben visibili (o anche tutte
le stelle, se vogliamo) non sono in nite e tanto meno formano un continuo, per
cui noi potremmo sapere l'ora solo in certi istanti. Inoltre vogliamo supporre
di non sapere neppure le coordinate delle stelle; di fare cioe un'osservazione
\fondamentale," ossia che non derivi da nessun risultato precedente.
Presa a caso una stella (es. Altair = Aql), per regolare l'orologio co-
minciamo a vedere quando questa passa al meridiano in piu giorni consecutivi
(ricordiamo che il giorno siderale e de nito come l'intervallo di tempo fra i due
passaggi della stella al meridiano, e trascuriamo per semplicita l'e etto della
precessione).
Se facciamo le stesse osservazioni per diverse stelle (es. Aql e Tau) potre-
mo veri care che la marcia dell'orologio e corretta durante il giorno ( g. G9{6):
in altro modo non potremmo accorgerci se l'orologio, invece di marciare rego-
larmente, andasse un po' avanti e un po' indietro, ma in modo da compensarsi
ogni 24 ore (va detto che e assai improbabile che questo accada col ciclo del gior-
no siderale: potrebbe succedere a causa della temperatura, ma allora il periodo
sarebbe un giorno solare).
l
l

u
u

Aq
Aq

Ta
Ta

24h
24h

Fig. G9-6

A questo punto potremo dare a tutte le stelle un'ascensione retta provviso-


ria, ponendo ad es. pr(Altair ) = 0. Col nostro orologio, ormai regolato nella
marcia, potremo cos farci una tabella di pr per tutte le stelle: questi valori
saranno errati ma tutti per una stessa costante additiva; trovata questa, sara
facile correggerli.
Il punto e quello di trovare adesso pr del punto . Per questo facciamo
osservazioni solari, tabulando i valori di pr, pr, .
Notiamo che  e indipendente dai tempi e ssato l'asse terrestre, cioe il polo
nord celeste, si trova facilmente. Per determinare il polo celeste si puo ricorrere
G9{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
a una stella situata nei suoi pressi, oppure a una qualsiasi stella circumpolare,
osservandone i due passaggi al meridiano ( g. G9{7): la media delle due altezze
da l'altezza del polo.
Lo strumento necessario per queste osser- culminazione
vazioni sara uno \strumento dei passaggi," cioe superiore
un cannocchiale libero di ruotare soltanto nel
piano del meridiano, intorno a un asse orizzon-
tale. Lo strumento sara poi dotato di un cerchio
graduato per le misure di altezza (e quindi di PN C

declinazione): in questa forma assume il nome


di \cerchio meridiano."
Una volta fatta, giorno per giorno, una ta- culminazione
inferiore
bella orizzonte
pr; pr;  Nord

si va a cercare con opportune interpolazioni per Fig. G9-7

quali pr e pr si avrebbe  = 0. In questo modo si ottiene la pr del punto


e con cio si possono correggere tutte le ascensioni rette ( g. G9{8). Avendo
misurato anche le  delle stelle, si ha cos un catalogo corretto delle posizioni
delle stelle. Poiche per H = 0 e = , anche il TS e errato per la stessa
costante, e si puo quindi rimettere a posto anche lo zero dell'orologio.
Aql Punto
(Altair) gamma

0= pr (Altair) pr( )

(Altair) = - pr( ) 0=( )

Fig. G9-8

Una variante che permette una precisione maggiore e la seguente. Osser-


viamo che e  del Sole sono correlate per mezzo dell'angolo " = max; dal-
la g. G9{2 si vede che vale la relazione (G6{10):
sin = tg  cotg ":
Dunque per ogni valore di  si puo calcolare l'esatto . Si puo allora costruire
una tabella
pr; ; calc; pr; pr , calc:
L'ultima di erenza a meno di errori dovrebbe risultare costante: cio non acca-
dra, ma in questo modo si avranno indicazioni degli errori, che potranno essere
corretti.
G9{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Abbiamo visto come con osservazioni fondamentali si possa ottenere il TS
locale L. Al giorno d'oggi scambiare informazioni di tempi e facile (ad es.
via radio) per cui dal confronto tra L e G di Greenwich si deduce subito la
longitudine del luogo.
Non era lo stesso alcuni secoli fa, quando non si disponeva di orologi sicuri
e tanto meno di segnali radio. Il problema era particolarmente sentito in mare,
dove la determinazione della longitudine era un'operazione vitale, almeno per
la navigazione oceanica. Infatti le esigenze della navigazione sono state un for-
tissimo incentivo alla realizzazione di orologi adabili anche su lunghi periodi:
il problema fu praticamente risolto per la prima volta da Harrison, verso la meta
del '700.

G9{9
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
G10. Il tempo nell'astronomia moderna

Tempo Universale e Tempo Civile


Una volta ottenuto il TS di Greenwich G, lo si trasforma in TSM mediante
l'opportuno fattore di scala, e si ricava il cosidetto Tempo Universale (TU)
che e il TSM, cioe l'angolo orario aumentato di 12h del Sole medio, relativo
al meridiano dell'osservatorio di Greenwich (talora si trova ancora la vecchia
denominazione GMT = Greenwich Mean Time). La denominazione di Tempo
Universale deriva dalla necessita di avere un comune riferimento temporale in
situazioni che coinvolgono simultaneamente punti qualunque della Terra.
Per gli usi civili pero resta fondamentale il riferimento al ciclo diurno del
Sole, anche se si e reso necessario superare il concetto di tempo locale secondo
la de nizione strettamente astronomica: basti pensare che alla latitudine media
dell'Italia il TSM locale di erisce di 1s tra due punti distanti circa 330 m in
direzione Est-Ovest. Gia dalla ne del XIX secolo si e dunque convenuto di
adottare una de nizione di tempo che valesse in regioni sucientemente vaste;
da qui la divisione della super cie della Terra in 24 fusi orari, entro i quali si
e ssato di adottare come Tempo Civile (TC) il TSM del meridiano centrale di
ciascun fuso. In questo modo si dovra provvedere alla regolazione degli orologi
solo passando da un fuso a quello contiguo (circa 1170 km alle nostre latitudini).
Il TC cos de nito non dovrebbe di erire mai per piu di mezz'ora dal TSM
di ciascuna localita. In realta questo non e sempre vero: sia perche i limiti
dei fusi orari sono stati adattati ai con ni degli stati, sia perche recentemente
si e preferito uni care il tempo di stati con nanti anche se appartenenti a fusi
diversi (ad es. quasi tutta l'Europa adotta lo stesso tempo); al contrario negli
stati di notevole estensione (USA e Russia ad es.) resta la necessita di usare
tempi diversi.
Il TC adottato in Italia nel periodo invernale, Ottobre-Marzo, (denominato
in modo infelice \Ora Solare") e il Tempo Medio dell'Europa Centrale (TMEC)
corrispondente al TU aumentato di 1h, mentre nel semestre estivo la cosid-
detta \Ora Legale" e piu propriamente il Tempo Medio dell'Europa Orientale
(TMEO), pari al TU aumentato di 2h.
Il TMEC coincide con il TSM locale solo per le localita posta a 15 Est
di Greenwich; se si vuole il TSM locale di un altro luogo occorre un'ulteriore
correzione. Ad es. per Pisa ( = 41m35s Est) la correzione e di circa 18m25s:

TSMPisa = TU + 41m35s = TMEC , 18m25s:

G10{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Relazione esatta fra TU e TS
Vediamo ora piu in dettaglio la relazione fra Tempo Siderale e TSM: per
questo supporremo di conoscere m (ascensione retta del Sole medio) a un certo
istante. Sappiamo che il TU e pari all'angolo orario del Sole medio a Greenwich
piu 12h: TU = Hm + 12h. Poiche G = Hm + m avremo
TU = G , m + 12h
da cui conoscendo m(t) si puo avere il TU a ogni istante.
La formula attualmente in uso per convenzione internazionale (1984) e che
comprende tutto quanto detto, e la seguente:
G0 = 6h 41m50s:54841+8640184:812866 T +0:093104 T 2,6:210,6 T 3 (G10.1)
dove G0 e il TS a Greenwich a 0h TU1; T e il tempo trascorso dal 2000
Jan 1d 12h (TU1) e gli ultimi tre termini sono espressi in secondi quando T e
misurato in secoli giuliani. (Il secolo giuliano e per de nizione di 36525 giorni
solari medi, il che e quanto dire che l'anno giuliano e di 365 giorni e 1/4).
Nota: Si sara notata la comparsa di TU1 al posto del TU nora usato: si
tratta del TU corretto per il moto del Polo. Infatti, come gia detto al Cap. G7,
il moto del Polo non in uisce solo sulle coordinate: attraverso la variazione della
longitudine di un osservatorio altera anche la relazione fra tempo locale e tempo
universale. Piu avanti torneremo su questo punto.
Analizzando l'espressione (G10.1) troviamo che il primo addendo rappre-
senta m , 12h all'istante sotto speci cato. Il secondo addendo esprime il moto
uniforme del Sole medio: questo percorre dunque 86401.84812866 secondi di
ascensione retta in un anno (giuliano). Dato che 86400s sono pari a 24h cioe
a 360 , cio signi ca che in un anno giuliano il Sole medio fa piu di un giro.
Percio l'anno tropico e piu corto dell'anno giuliano, e precisamente:
anno tropico = 8640186400
:84812866
anno giuliano (G10.2)
(il discorso logicamente corretto sarebbe l'inverso: in e etti da una misura del-
l'anno tropico si risale a quel coeciente). Fino a qualche decennio fa (1967)
si assumeva la durata dell'anno tropico come de nizione del secondo:
un secondo (solare medio) e pari a 1/31556925.9747 dell'anno tropico
al 1900 Jan 0d 12h TU.
Ci sono poi altri due addendi, i quali esprimono il fatto che il Sole accelera
il suo moto in media su un anno, per cui anche il Sole medio, che per de nizio-
ne coincide con il Sole vero in un punto sso a ogni giro, deve avere un'uguale
accelerazione. (Naturalmente e il moto della Terra attorno al Sole che e accele-
rato, a causa delle perturbazioni degli altri pianeti). In conseguenza di questa
accelerazione, l'anno (siderale, e anche tropico) diminuisce nel tempo.
G10{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Dalla (G10.2) si ritrova un formula piu esatta per la relazione fra giorno
siderale e giorno solare. Partendo da

g sid = + 1 g sol
: :
n
n
: :

(dove = anno tropico in giorni) si ottiene, essendo un giorno solare = 24h per
n

de nizione:
g sid = 23h56m 4s 090524 (solari)
: : : :

Non sara sfuggito il numero di cifre nelle relazioni che abbiamo riportato.
E appena il caso di osservare che si tratta di cifre signi cative, nel senso che si
sono rese necessarie nelle de nizioni perche queste fossero in accordo con quan-
to danno le osservazioni, e con quanto richiesto dalle esigenze reali dei calcoli,
almeno nei casi piu ranati.

Non uniformita di TU
Ci si puo chiedere a questo punto se il TU e uniforme. Ma che signi cato ha
porsi questa domanda? A meno della correzione in 2, dovuta all'accelerazione
T

del moto orbitale della Terra, questo e equivalente a chiedersi se G (il TS


di Greenwich) e uniforme: ma esiste una possibilita di veri care cio per via
sperimentale, o si tratta di uno pseudoproblema di natura meta sica?
Ricordiamoci come abbiamo proceduto: ipotizzando uniforme il moto delle
stelle su cui si basa G si sono costruiti e tarati gli strumenti che misurano
il tempo, cioe gli orologi. E ora possibile scoprire sperimentalmente che G
| e quindi in ultima analisi il moto della Terra attorno al suo asse | non e
uniforme? In e etti ci sono dei buoni motivi sici per pensare che il moto della
Terra attorno al suo asse non sia uniforme: vediamone alcuni.
1) E etto delle maree
A causa della rotazione terrestre, che
e piu veloce di quella lunare, c'e da aspet-
tarsi che l'onda di marea per attrito si
sfasi rispetto alla direzione Terra{Luna Terra
( g. G10{1). Basti pensare che in poche Luna
ore la Luna passa dall'Atlantico al Paci -
co (per la rotazione della Terra!) mentre Fig. G10-1
l'onda di marea resta praticamente intrap-
polata, non avendo che pochi sbocchi per passare oltre l'America. Dunque in
media si deve avere una situazione come quella in gura.
G10{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
C'e allora una distribuzione di masse
oceaniche eccentriche, che risentono del-
l'attrazione lunare in modo diverso, es-
sendo una piu vicina e una piu lontana attrazione
( g. G10{2). Il momento risultante agisce lunare
dunque come un freno, e riduce costante-
mente e progressivamente il momento an-
golare della Terra. Abbiamo qui un e etto
del tipo detto \secolare," ma ci sono anche
e etti periodici. attrazione
lunare
2) Formazione di ghiacci ai poli
Questa comporta una variazione pe-
riodica del momento d'inerzia. Con e etto
analogo ci sono anche fenomeni meteoro- Fig. G10-2
logici, correnti marine, ecc.
3) Moto del Polo sulla super cie terrestre
Nella g. G10{3 se il polo passa da P a P la di erenza di longitudine
0

fra gli osservatori O e O aumenta. Se l'osservatore O non tiene conto di cio


0 0

per calcolare G dalla sua misura di L, commette un errore sistematico pari
alla variazione di longitudine. Il TU cos determinato e designato TU0; quello
corretto per il moto del Polo, come gia detto, s'indica con TU1.

O O

Fig. G10-3

Come si e visto, ci sono buone ragioni per sospettare che il moto terrestre
di rotazione non sia uniforme; il problema e come fare per accorgersene, dato
che gli orologi vengono regolati in modo che esso ci sembri uniforme! Vediamo
come si supera questa dicolta.
Gli e etti periodici sono i piu semplici da osservare: basta avere un orologio
della cui stabilita ci si possa dare nel periodo dell'e etto. Ad es. gli orologi
basati sulla frequenza di risonanza dei cristalli di quarzo hanno una precisione,
G10{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
anche a lunga scadenza, di 10,10  10,11. Avendo allora a disposizione diversi
di questi orologi, situati in punti diversi della Terra, e quindi in condizioni clima-
tiche del tutto diverse, se accadesse che essi pur restando tra loro concordi non
concordano piu col TU (ricavato come visto sopra dal TS) cio sara da imputare
a una variazione della velocita di rotazione della Terra.
Tale e etto esiste, ed e di circa 0s:01 nel corso di un anno. Quegli orologi
non sono pero adatti per scoprire e etti di deriva secolare del tempo, dato che un
e etto simile (invecchiamento ) si manifesta anche nella frequenza di risonanza
dei cristalli di quarzo.

Il Tempo delle E emeridi


Il fenomeno secolare cui si e accennato si puo pero evidenziare con un ra-
gionamento puramente astronomico, indipendente dal tipo di orologio. A tale
scopo ci si basa sul moto di alcuni corpi celesti (Venere, Mercurio, Luna) le cui
posizioni sono calcolabili e osservabili con estrema precisione.
Date le condizioni iniziali (ad es. al 1900 -
Jan 0d 12h) di uno di questi corpi, si puo cal- t o

colare una tabella della longitudine eclittica in


funzione del tempo (e emeride ) e confrontarla
con le osservazioni. (E qui importante ricordare
TU

che osservazioni precise sui pianeti ci sono dal


secolo scorso, e sulla Luna n dal '700.) Questo ~ 1900
permette di rilevare che la longitudine eclitti-
ca osservata o di erisce da quella teorica t: Fig. G10-4
la g. G10{4 mostra l'andamento della di eren-
za.
Per qualsiasi corpo celeste si trovano curve dello stesso tipo, con deviazioni
proporzionali, per ciascuno, alla sua velocita angolare. Poiche i calcoli teorici
sono basati sulla legge di gravitazione universale, si potrebbe pensare che sia
questa che va rimessa in discussione. Tuttavia il fatto che t , o sia per i
diversi corpi proporzionale alla velocita angolare suggerisce un'altra ipotesi: che
nelle tabelle sia sbagliato TU, che si basa sul moto di rotazione della Terra.
Ci spinge in questa direzione il fatto che con una sola correzione si mettono
a posto tutte le osservazioni. Se invece si tentasse di ritoccare la legge di gravi-
tazione universale, i risultati dei calcoli sarebbero diversi, e in modo complicato,
per ogni diverso pianeta.
Ragionando come sopra abbiamo implicitamente ammesso che la seconda
legge della dinamica
F~ = m ddt~2r
2

G10{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
sia incondizionatamente valida, e che il tempo che in essa compare sia perfet-
tamente uniforme, per de nizione. A noi serve pero una de nizione operativa;
in altre parole, come si misura in pratica questo \tempo newtoniano"?
Per rispondere rovesciamo il discorso:
osserviamo i pianeti, determiniamo o e as- o

sumiamo come valida la legge di Newton (se


si vuole con le correzioni relativistiche). Do- t

vremo allora imporre t = o. Cerchiamo


nelle e emeridi per quale valore di t la lon-
gitudine calcolata coincide con quella osser- t
vata; questo e il tempo nel dato istante di
osservazione, che sara in generale diverso dal TU TE
TU per lo stesso istante ( g. G10{5). Fig. G10-5
Il tempo cos de nito, con il nome di
Tempo delle E emeridi (TE), fu introdotto in forma uciale nel 1960: l'origine
di TE fu scelta in modo che risultasse TE = TU intorno al 1900; poi la di erenza
T = TE , TU e andata progressivamente aumentando, e oggi supera il minuto.

Il Tempo Dinamico
Anche per motivi di chiarezza, a partire dal 1 Gennaio 1984 il TE ha
assunto la denominazione generica di Tempo Dinamico (TD), con l'ulteriore di-
stinzione tra Tempo Dinamico Terrestre (TDT) da utilizzare per osservazioni
geocentriche (tempo proprio del riferimento solidale alla Terra), e Tempo Dina-
mico Baricentrico (TDB) quale coordinata temporale nelle equazioni del moto
riferite al baricentro del sistema solare. La ragione sica della di erenza tra le
due scale di tempo sta in e etti relativistici che discuteremo tra breve.
Le unita di tempo delle due scale sono scelte in modo che i due tempi
coincidano mediamente in un anno. Come vedremo, la di erenza TDB , TDT
e puramente periodica, dipende principalmente dalla longitudine della Terra,
e non supera 0:0017s.

Correzioni relativistiche
Vogliamo ora mostrare come si possono calcolare, sia pure in modo appros-
simato, gli e etti relativistici che stanno alla base della distinzione tra TDB
e TDT: studieremo percio il comportamento di un orologio che percorra l'orbita
della Terra. Trascureremo il campo gravitazionale di questa, la sua rotazione,
la presenza della Luna, l'e etto degli altri pianeti: : : (Le correzioni dovute a tali
fattori o sono costanti, o variabili ma di qualche ordine di grandezza inferiori
a quella principale.)
Cos facendo il problema diventa piuttosto semplice, sempre nel quadro
della Relativita Generale: assumendo un sistema di coordinate polari (t; r; #; '),
G10{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
e indicando con M la massa del Sole, la metrica dello spazio-tempo si scrive
(metrica di Schwarzschild):
 
d = 1 , 2
2 2GM
dt2 , 2
1 dr2
, r2 , 2
d# + sin2
# d'

2 : (G10.3)
cr c 1 , 2GM=c2 r c2
La (G10.3) si riduce, per r ! 1, all'ordinaria metrica di Lorentz{Minkow-
ski scritta in coordinate polari: dunque t e il tempo di un orologio fermo a
grande distanza dalla massa che genera il campo gravitazionale (e quindi la
curvatura dello spazio-tempo). E ovvio che # e ' hanno l'usuale signi cato di
angoli polari, mentre a rigore r non e la distanza radiale, a causa del fattore
che moltiplica dr2 . Fortunatamente per i nostri scopi il denominatore di erisce
assai poco da 1 (2  10,8 alla distanza della Terra) e questo ci consentira notevoli
sempli cazioni.
Per studiare la marcia dell'orologio occorre solo inserire nella (G10.3) la leg-
ge oraria del suo moto, ossia del moto orbitale della Terra. Possiamo supporre
che le coordinate siano state scelte in modo che # = =2, e che sia inoltre ' = 0
al perielio; come vedremo studiando il problema dei due corpi, in meccanica
newtoniana le espressioni che ci servono sono allora:
p
a (1 , e2 )
= GMa 2(1 , e ) :
d' 2
r= (G10.4)
1 + e cos ' dt r
(a e il semiasse ed e = 0:0167 e l'eccentricita dell'orbita della Terra).
Se conosciamo r(t), '(t), la (G10.3) si scrive
"  2 #
2GM 1 1 dr r 2  d' 2
d 2 = 1 , 2 , 2 , c2 dt dt2: (G10.5)
cr c 1 , 2GM=c2 r dt
Possiamo usare le (G10.4) senza cambiamenti per il motivo gia detto: voglia-
mo soltanto calcolare delle piccole correzioni, e le di erenze fra le (G10.4) e le
espressioni che ci darebbe il calcolo rigoroso sono dell'ordine di 10,8. Faremo
poi un'ulteriore approssimazione: trascureremo i termini di secondo ordine o su-
periore in e. Questa e un'approssimazione decisamente piu grossolana, e fa s
che il risultato che otteremo sia buono solo entro qualche %.
In primo luogo si ha che dr=dt e di primo ordine in e (se l'orbita fosse circola-
re r sarebbe costante). Di conseguenza (dr=dt)2 e di secondo ordine, e possiamo
trascurarlo. Sostituiamo poi d'=dt dalla (G10.4) nella (G10.5), e troviamo:
 
d = 1 ,
2 2 GM
(1 + e cos ') , GM
(1 + 2e cos ') dt2
c2 a c2 a
 
= 1, 3GM , 4cGM e cos ' dt2
c2a 2a
 
d = 1, 3GM , 2GM e cos ' dt:
2c2a c2 a

G10{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Per integrare questa occorre introdurre '(t): perple solite ragioni possiamo
trascurare l'eccentricita, e porre ' = nt, dove n = GM=a3 e il moto medio
della Terra. Allora:
Z 
 = 1 , 32GM
2
c a
, 2GM e cos nt dt
c2 a
 
3
= 1 , 2c2a t , 2cGM
GM e
2 an sin nt: (G10.6)

La (G10.6) mostra che l'orologio che sta sulla Terra segna un tempo diverso
da t per due ragioni:
{ Una di erenza costante di marcia, espressa dal fattore che moltiplica t. Que-
sta pero puo essere eliminata ride nendo l'unita di tempo, ossia regolando
diversamente l'orologio.
{ Una di erenza periodica, data dal secondo termine. Si tratta di un e etto
col periodo di un anno e la cui ampiezza vale
2GM e ' 1:7  10,3 s:
c2 an
Tutti gli altri e etti trascurati, sommati insieme, non arrivano a 10,4 s.
Tempo Atomico e Tempo Universale Coordinato
Il primo orologio atomico e stato costruito nel 1955 (Essen). Solo nel 1972
il tempo atomico e pero divenuto la scala uciale di tempo, in sica e in astro-
nomia. La base del tempo atomico e una rete di orologi, situati in diversi paesi,
e che nel loro insieme de niscono il Tempo Atomico Internazionale (TAI). La cor-
rispondente unita di tempo e il secondo del Sistema Internazionale:
il secondo del SI e pari a 9 192 631 770 periodi della radiazione emessa nella
transizione fra i livelli iper ni F = 4, M = 0 e F = 3, M = 0 dello stato
fondamentale dell'atomo di 133Cs.
La relazione col Tempo Dinamico e stabilita dalla convenzione
TDT = TAI + 32:184 s:
Anche per l'uso civile, dal 1972 tutti i segnali orari sono derivati dal Tempo
Atomico; ma per evitare la progressiva deriva dovuta alla non uniformita della
rotazione terrestre e conseguentemente del TU, si e de nito il Tempo Universale
Coordinato (TUC) che corrisponde al Tempo Atomico salvo per correzioni con-
sistenti nell'inserzione di un secondo supplementare alla mezzanotte del 1 Gen-
naio e del 1 Luglio, quando necessario, in modo che il modulo della di erenza
G10{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
tra TU e TUC non superi mai 0 9 s: ne segue che la di erenza AT = TAI,TUC
:

e sempre un numero intero di secondi.


L'adozione del Tempo Atomico come tempo campione e stata una rottura
d'importanza storica con la tradizione millenaria secondo cui il tempo era mi-
surato da osservazioni astronomiche. In particolare, si e ribaltata la concezione
adottata col Tempo delle E emeridi, secondo cui il tempo ricavato dal moto
dei pianeti era uniforme per de nizione. Tuttavia il problema dell'uniformita
di una scala di tempo si ripropone sempre, e oggi assume la forma seguente.
Il TAI e ricavato da fenomeni a scala atomica: in astronomia lo impieghiamo
per confrontare la teoria con le osservazioni sul moto dei pianeti, o magari per
studiare la rotazione delle pulsar. Chi ci garantisce che anche a questa scala il
TAI sia una buona scala di tempo? In altre parole: potrebbero esserci deviazioni
sistematiche tra il tempo che descrive i fenomeni atomici e quello che entra in
gioco quando dominano interazioni gravitazionali?
Un'altra possibile versione dello stesso problema e questa: siamo certi che
la costante di gravitazione sia davvero costante? In anni recenti sono state
G

condotte ricerche su questo problema, e vi sono stati annunci di possibili devia-


zioni; gli annunci non sono stati pero confermati. Possiamo quindi concludere
che il problema e aperto dal punto di vista di principio, ma per tutto quanto
sappiamo no ad oggi si puo davvero parlare di un'unica scala di tempo valida
per tutta la sica.

G10{9
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Parte Seconda

Ottica Astronomica

E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia | Ed. 2002{03


Parte Terza

Meccanica Celeste

E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia | Ed. 2002{03


O1. Caratteristiche generali degli strumenti ottici

Premessa
Lo spettro delle radiazioni elettromagnetiche emesse dai corpi celesti va dalle
onde radio (di qui lo sviluppo della radioastronomia) no al visibile, ai raggi X
e ai raggi . Anche se gran parte di quello che diremo vale per tutte le radiazioni,
eccettuate al piu quelle di piccola lunghezza d'onda (raggi X e ), nel seguito ci
riferiremo di regola alla banda visibile.
Lo strumento astronomico fondamentale e il telescopio. Possiamo riassu-
mere le caratteristiche principali di un telescopio in tre concetti: ingrandimento,
luminosita, risoluzione. Discuteremo ora ciascuno dei tre.
L'ingrandimento di un telescopio e la caratteristica piu considerata dai pro-
fani; pure vedremo che ha signi cato solo in casi particolari, e non e comunque
una proprieta intrinseca della parte principale del telescopio, cioe dell'obietti-
vo: questo si caratterizza meglio con altri parametri, primo di tutti la distanza
focale.
La luminosita e invece una caratteristica molto importante: essa esprime la
capacita dello strumento di raccogliere in maggiore o minor misura la luce emes-
sa dalla sorgente. Come vedremo meglio piu avanti, alla luminosita e connessa
la possibilita di rivelare sorgenti piu o meno deboli o lontane: la motivazio-
ne principale per la costruzione di telescopi piu grandi e proprio la maggiore
luminosita.
La risoluzione, altra caratteristica fondamentale di uno strumento astro-
nomico, indica quanto lo strumento sia in grado di distinguere sorgenti molto
vicine tra loro (ad es. una stella doppia) o piccoli particolari di una sorgente
estesa (ad es. la super cie di un pianeta, la struttura di una galassia). E inutile
sottolineare l'importanza di una buona risoluzione; ma come vedremo questa
dipende da numerosi fattori, non tutti legati al progetto del telescopio in senso
stretto. Per fare buon uso dello strumento e indispensabile la conoscenza dei
fattori che in uenzano la risoluzione.
Parametri geometrici di un obiettivo
Per approfondire la discussione dobbia- Obiettivo
mo ora esaminare piu da vicino la costituzio-
ne di un telescopio. Cominciamo col conside-
rare che le stelle e tutti i corpi che si osserva- F
no in astronomia sono posti a una distanza
che dal punto di vista che c'interessa ora puo
essere considerata in nita: in altri termini la
radiazione che giunge a noi ha perso la ca-
ratteristica di onda sferica col centro nella Fig. O1-1

O1{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
sorgente e si presenta come un'onda piana. In termini di raggi, cio equivale a
dire che i raggi emessi dalla sorgente e accettati dal telescopio sono praticamente
paralleli ( g. O1{1).
La parte essenziale di un telescopio e l'obiettivo : questo, comunque sia
realizzato, e un dispositivo che trasforma le onde piane in onde convergenti
\il meglio possibile" in un punto F detto fuoco (piu esattamente: secondo fuoco).
0

Il motivo della frase \il meglio possibile" e che, come vedremo, nessun obiettivo
realizza completamente questo \ideale dell'ottica," per numerose ragioni, sia
pratiche, sia di principio. F va dunque pensato come il punto in cui si realizza la
0

massima concentrazione di luce. Correntemente si esprime questo fatto dicendo


che l'obiettivo forma in F un'immagine reale dell'oggetto (stella) considerato.
0

Un obiettivo puo essere uno specchio (ri ettore ), oppure un sistema di una
o piu lenti (rifrattore ). Nel seguito ci riferiremo quasi sempre a questo secondo
caso, che permette gure piu semplici; ma tutto quanto diremo vale anche per
gli specchi.
Salvo rare eccezioni, un obiettivo e un sistema ottico centrato (v. cap. O3):
avra dunque un asse ottico. Inoltre il bordo della lente o specchio e quasi sempre
circolare, per cui ha senso parlare del suo diametro. Piu esattamente de niamo
diametro dell'obiettivo il diametro della sezione (circolare) del fascio di luce che
da una sorgente posta sull'asse ottico (all'in nito) puo entrare nell'obiettivo.
Vedremo piu avanti che questo non e che il diametro della \pupilla di entrata"
del sistema.
Altro parametro geometrico fondamentale di un obiettivo e la distanza foca-
le. Ne daremo due de nizioni (per ora piuttosto imprecise) che verranno riprese
in seguito.
D
A C B
N f F
h
P f F
F1

Fig. O1-2 Fig. O1-3


a ) Consideriamo ( g. O1{2) un raggio incidente AB parallelo all'asse ottico,
e osserviamo il raggio uscente oltre l'obiettivo, DF . L'intersezione delle due
0

rette AB e DF sia C. Abbassata la perpendicolare da C all'asse ottico in P ,


0 0

si dira distanza focale la lunghezza del segmento P F : 0 0

f =PF 0 0
(P si dice secondo punto principale ).
0

b ) Si consideri una radiazione incidente con un (piccolo) angolo " sull'asse


ottico ( g. O1{3). L'obiettivo concentra la radiazione nel punto F1. Si puo
dimostrare che F1 e sulla perpendicolare di F e che la distanza F1F = h
0 0

O1{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
e proporzionale in prima approssimazione all'angolo ". Si dira distanza
focale f il valore della costante di proporzionalita:
h = f":

La retta del raggio per F1 parallelo ai raggi incidenti incontra l'asse ottico
(eventualmente dentro l'obiettivo) in un punto N , che si dice secondo punto
0

nodale : ne segue
f = N F : 0 0

Vedremo piu avanti che quando il mezzo prima dell'obiettivo e uguale a quello
dopo, f = f e P  N . Le due de nizioni sono dunque equivalenti, ma per i
0 0

nostri scopi la seconda e piu espressiva.


Supponiamo infatti di porre in F una lastra fotogra ca. Se due stelle hanno
0

una distanza angolare ", sulla lastra le loro immagini distano di h = f ": percio
la distanza focale fornisce la scala di una fotogra a fatta con il nostro obiettivo.
E chiaro che una f piu grande dara una fotogra a piu grande della stessa regione
di cielo; ma non si puo parlare d'ingrandimento, perche e un angolo " che viene
tradotto in una distanza h.
Limiti di risoluzione
Prima di discutere luminosita e risoluzione, occorre dire che non ha sen-
so a rontare questi argomenti senza introdurre un altro elemento essenziale di
qualsiasi strumento astronomico: il rivelatore. La luce raccolta dall'obiettivo
(l'immagine formata da questo) deve essere \vista" da qualcosa, che potra essere
l'occhio umano (raramente nelle applicazioni scienti che), una lastra fotogra -
ca, un fotomoltiplicatore, una telecamera, un dispositivo a CCD (charge coupled
device), ecc.
Quello che a noi qui interessa e che tutti questi oggetti hanno una struttura
discreta: consistono infatti di rivelatori elementari, piu o meno grandi e nume-
rosi, ma sempre in numero nito. Nel caso dell'occhio si trattera dei coni della
retina; per la lastra fotogra ca dei granuli di AgBr nell'emulsione; nella tele-
camera delle celle fotosensisibili che formano il mosaico del fotocatodo, e cos
via.
Riducendo all'essenziale la schematizzazione suppor-
remo che un elemento del rivelatore sia una piccola super-
cie (di forma quadrata o circolare o esagonale : : : ) aven-
te un diametro a caratteristico del rivelatore ( g. O1{4). a
Supporremo inoltre che la luce che cade su un elemento
agisca su quello e solo su quello, e che conti solo l'energia
totale ricevuta, non il modo come e distribuita. Cio vuol
dire che non fa di erenza se la luce arriva solo su un'a-
rea di diametro molto minore di a, o se invece e dispersa Fig. O1-4

uniformemente su tutto l'elemento ( g. O1{5).


O1{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Cio posto, possiamo dare la de nizione di sorgen-
te (otticamente) puntiforme come segue: una sorgente e
puntiforme se la luce che arriva da essa illumina un solo
elemento del rivelatore.
Si vede bene che una sorgente puo essere o meno
puntiforme: Fig. O1-5
a ) a seconda delle sue dimensioni e della sua distanza (cioe del suo diametro
angolare);
b ) a seconda delle caratteristiche dell'obiettivo, cioe della sua capacita di con-
centrare luce;
c ) a seconda del rivelatore (del diametro a dei suoi elementi).
Una sorgente sara detta estesa se illumina molti elementi del rivelatore.
E necessario dire \molti" perche se gli elementi illuminati sono pochi (ad es. 4
o 5) ci si trova in un caso di transizione, che e di trattazione piu dicile.
Consideriamo allora una sorgente puntiforme (stella) e discutiamo da che
cosa dipende la risoluzione. In tutti i casi la risoluzione di uno strumento e limi-
tata perche esso non e in grado di distinguere due sorgenti, anche praticamente
puntiformi, la cui distanza angolare sia troppo piccola. La risoluzione puo percio
essere misurata dalla minima distanza angolare " risolvibile.
I limiti della risoluzione provengono da tre cause ben distinte:
a ) l'obiettivo
b ) l'atmosfera
c ) il rivelatore:
esaminiamole una per una.

E etto dell'obiettivo
I limiti intrinseci all'obiettivo si possono ancora classi care secondo tre
cause:
a 1) di razione
a 2) difetti di progetto
a 3) difetti di costruzione.
Il fattore a 1) verra discusso meglio piu avanti. Per ora accontentiamoci di
dire che la sua origine e nelle proprieta ondulatorie della luce, le quali fanno s
che nessun obiettivo, per quanto ben concepito e costruito, possa concentrare
completamente in un punto la luce di una sorgente geometricamente puntiforme.
Intorno al fuoco si formera una macchiolina luminosa, il cui raggio e all'incirca
f
%= = n (avendo posto n = f=d)
d
O1{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
dove  e la lunghezza d'onda della luce. Piu avanti (Cap. O10) una de nizione
piu precisa di % ci portera alla formula
% = 1:22 n:
Per la luce visibile  va da 0:7 m a 0:4 m: prendendo una media di 0:55 m si
ottiene
% = 0:67 m n: 

E importante vedere questa relazione in termini angolari. Alla separazione %


corrisponde un angolo " dato da

" = f% = 0:67dm (in radianti)

oppure anche
" '
140 mm 1
00
: (O1.1)
d
Adotteremo questo come limite di risoluzione dovuto alla di razione, ma e bene
averne chiaro il signi cato e i limiti di applicabilita.
Il limite di risoluzione dato dalla (O1.1) signi ca che
due stelle saranno risolte se le macchie ( gure di di razio- d>
ne) da esse prodotte hanno i centri a distanza  > %, cioe
se il centro dell'una e fuori dall'altra; non saranno risolte
in caso contrario ( g. O1{6). Si tratta di un criterio ar- d=
bitrario, che puo funzionare piu o meno bene in pratica a
seconda di altre condizioni che non sono entrate nora nel
discorso. d<
Vediamo per esempio: con d = 60 mm la (O1.1) da-
rebbe " = 2:3 . Se puntiamo il telescopio su Sirio, che e
00

una doppia le cui componenti sono separate di 9 , dovrem- 00

Fig. O1-6
mo vederle benissimo, mentre di fatto la scoperta visuale
del compagno di Sirio e stata molto dicile. La ragione e che Sirio B e 500 volte
piu debole di Sirio A.
Altro esempio: il telescopio dell'osservatorio del Caucaso ha d = 6 m,
f = 24 m, da cui " = 0:023 . Sarebbe una risoluzione elevatissima, che pero
00
 e
inutilizzabile perche intervengono gli altri limiti che vedremo. In pratica, sebbe-
ne la risoluzione per di razione migliori col crescere del diametro dell'obiettivo,
non e questo il motivo per cui si costruiscono telescopi molto grandi.
Quanto ad a 2), si sono riassunti in questo gruppo i limiti di risoluzione
che per un dato obiettivo sussistono anche trascurando la di razione. Anche
nell'ottica geometrica, che appunto ignora la natura ondulatoria della luce, solo
in approssimazione di Gauss e vero che una lente concentra tutta la luce in
O1{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
un'immagine puntiforme: dunque in generale un obiettivo, anche a parte la
di razione, formera una macchia di raggio non nullo, che potra essere reso piu
o meno piccolo a seconda della costituzione (progetto) dell'obiettivo.
A questo scostamento delle immagini ottiche dall'ideale si da genericamente
il nome di aberrazioni : ne riparleremo piu avanti (Cap. O6 e O7). Qui aggiun-
giamo solo che le aberrazioni sono un limite importante alla risoluzione di un
obiettivo fotogra co, dove sono necessari molti compromessi tra diversi fattori
(non ultimo il costo); nel campo astronomico generalmente le aberrazioni pos-
sono essere quasi trascurabili, almeno per strumenti professionali.
Il fattore a 3) e stato introdotto per ricordare che un obiettivo anche perfetto
sulla carta e soggetto a difetti in sede di realizzazione: inesatta lavorazione
delle super ci, imprecisione di montaggio, deformazioni delle strutture portanti,
ecc. Di nuovo questo fattore puo essere decisivo per obiettivi di basso costo
costruiti in serie; ma puo essere reso trascurabile per strumenti di uso scienti co.
Non bisogna pero dimenticare che la costruzione di un grande telescopio, per la
precisione richiesta in parti che pesano diverse tonnellate, e un'opera che non
solo sul piano ottico, ma anche di ingegneria, richiede competenze di altissimo
livello e una grande quantita di lavoro assai quali cato.
L'atmosfera e il seeing
La presenza dell'atmosfera limita la risoluzione per il seguente motivo. L'at-
mosfera e un mezzo ottico con indice di rifrazione poco diverso da 1, ma la di e-
renza non e trascurabile; quello che piu conta e che l'indice di rifrazione dell'aria
sopra e dentro il telescopio e soggetto a variazioni anche rapide, per e etto di
variazioni di pressione e temperatura. L'atmosfera e in continuo movimento,
anche su piccola scala (turbolenza): ne consegue una perturbazione irregolare
nel percorso dei raggi di luce, che si manifesta in piu modi.
Se si guarda una stella quando l'atmosfera e turbolenta, accade di vederla
\brillare," cioe cambiare luminosita e anche posizione in modo casuale; a volte
l'immagine appare sfocata, per tornare a fuoco poco dopo, ecc. Questo se si
usa un piccolo strumento (d  20 cm); con strumenti piu grandi ciascuna parte
dell'obiettivo presenta lo stesso e etto in modo indipendente dalle altre, e il
risultato e un'immagine stabile, ma confusa. Anche con uno strumento di piccolo
diametro si ha una perdita di nitidezza se si fa una fotogra a con posa anche
di qualche secondo. Complessivamente il risultato e una minore risoluzione, che
dipende dalle condizioni dell'atmosfera.
Al fenomeno si da il nome di \seeing" (che si potrebbe tradurre all'incirca
con \condizioni di visibilita") e si chiama \seeing" anche la misura " del limite
di risoluzione conseguente. Il seeing puo essere molto diverso a seconda del
luogo e delle condizioni meteorologiche: a titolo di orientamento, puo andare
da 0:2 (eccezionale) a 3 (cattivo). Naturalmente i valori migliori si ottengono
00 00

in localita elevate (ma l'altitudine non basta!).


O1{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Per i nostri esempi assumeremo un seeing di 1 , solo per indicare l'ordine
00

di grandezza.
Oggigiorno e possibile compensare almeno in parte l'e etto della turbolen-
za, ricorrendo a tecniche consentite dalla moderna elettronica. Se lo strumento
e piccolo ( 30 cm) si possono prendere molte pose brevi | che come abbiamo
accennato sopra non risentono sensibile perdita di risoluzione, ma piu che altro
spostamenti dell'immagine | e poi comporle con adeguato software. Per stru-
menti grandi si possono usare invece le ottiche attive, che consistono di specchi
deformabili, controllati dalle misure eseguite durante la presa, sulle condizioni
istantanee della turbolenza.
Il rivelatore
La struttura discreta del rivelatore limita in modo ovvio la risoluzione. Gros-
so modo, se a e il diametro di un elemento del rivelatore, due sorgenti puntiformi
saranno distinte se la distanza fra le loro immagini e maggiore di a: cio implica
" = a=f (in radianti!)
Il limite di risoluzione dipende dunque in primo luogo da a, che e una caratte-
ristica del rivelatore, e poi da f che e una caratteristica dell'obiettivo. Quanto
ai valori, vanno discussi caso per caso.
Il caso fotogra co, che e ancor oggi importante per l'astronomia, e compli-
cato dal fatto che l'elemento da considerare non coincide in realta col singolo
granulo di AgBr: vediamo perche.
Un'emulsione fotogra ca non
esposta consiste di un mezzo tra- luce
sparente (gelatina) in cui sono emulsione
sospesi i granuli fotosensibili; il
tutto e disteso su un supporto supporto
(vetro, acetato di cellulosa, polie-
stere). A causa dei granuli (che Fig. O1-7
hanno dimensione di qualche m)
l'emulsione si presenta torbida alla luce, e percio questa viene di usa in tutte
le direzioni ( g. O1{7); ne segue che anche se l'immagine ottica e puntiforme,
la lastra risultera impressionata su un'area nita, molto piu grande del singolo
granulo. E il diametro di quest'area che va assunto come a nei nostri ragiona-
menti. La sua de nizione non e facile, perche l'area illuminata non ha un bordo
netto; essa dipende inoltre dall'emulsione usata, ma anche dalle condizioni di
esposizione. A titolo di orientamento diciamo che in genere varia da 20 a 50 m,
a meno di non considerare emulsioni speciali.
Il caso delle telecamere e in generale dei rivelatori a CCD e piu semplice,
perche qui gli elementi sono veramente discreti (sebbene con forti illuminazioni
O1{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
vi siano interazioni tra elementi adiacenti); l'ordine di grandezza e ancora quello
delle decine di m.
Un discorso a parte va fatto per l'osservazione visuale, poiche l'occhio e
gia un sistema ottico completo di obiettivo e di rivelatore. Il suo limite di
risoluzione (ovviamente indicativo, perche varia col soggetto, con le condizioni di
illuminazione, ecc.) e intorno a 1 . L'uso di un telescopio lo modi ca in relazione
0

all'ingrandimento angolare di questo: ma va tenuto presente che l'interazione tra


l'occhio e gli strumenti e complicata da molti fattori e non si lascia schematizzare
in una formula semplice. Cos ad esempio non e sempre vantaggioso aumentare
l'ingrandimento: esiste un ottimo, che dipende dall'oggetto che si osserva e dalle
condizioni di osservazione. Non e possibile qui dire di piu.
Discussione complessiva sulla risoluzione
Riepilogando quello che si e visto nora sulla risoluzione, abbiamo 3 limiti
distinti (non si dimentichi che si suppone l'obiettivo privo di aberrazioni e difetti
di lavorazione):
a ) di razione "d =
140 mm 1 
00

d
b ) seeing "s 1

00

c ) rivelatore "r = a=f (radianti):


A seconda che l'uno o l'altro dei limiti sia dominante potremo avere tre casi
diversi e il limite e ettivo sara max("d ; "s ; "r). I parametri indipendenti sono in
realta 4: f , d, a, "s ; ma per discutere la situazione conviene un gra co in cui
due di questi sono tenuti costanti: ad esempio a ed "s. La g. O1{8 si riferisce
ad a = 20 m, e mostra tre regioni, in cui dominano rispettivamente la di ra-
zione, il seeing e il rivelatore. Si puo anche fare lo stesso gra co usando come
variabili sugli assi f ed n anziche f e d: questo si vede in g. O1{9 (si e posto
ancora n = f=d).
Poiche in un caso reale puo accadere di avere valori di a ed "s diversi da
quelli dei gra ci, e utile sapere come questi si modi cano al variare di a e di "s.
Questo e indicato dalle frecce che mostrano come si sposta il punto \triplo"
al crescere di a e di "s.
Vediamo ora qualche esempio:
1. Sia f = 1 m, d = 100 mm (punto A in g. O1{9): questo corrisponde a un
tipico strumento da dilettante alle prime armi. Si vede che domina il rivelatore:
volendo aumentare la risoluzione, se non si puo disporre di un rivelatore ad
altissima risoluzione l'unica soluzione e di aumentare f (questo e possibile con
accessori del tipo \lente di Barlow"). Ci si spostera a destra lungo un'orizzontale,
no al punto A , che non converra oltrepassare, perche a quel punto diventa
0

dominante la di razione e la risoluzione non aumenta piu.


2. Sia ora f = 16:5 m, d = 5 m (Telescopio Hale di M. Palomar, punto B
in g. O1{9). In questo caso domina il seeing e non c'e niente da fare: si vede
O1{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
pero che si puo usare senza danno un rivelatore con piu grande (nel caso a

fotogra co, in questo modo si ottiene un'emulsione piu sensibile, che abbrevia la
posa richiesta).
d [mm]
5000 B n
r s d

s
29.3 a
s A
140 A 10
a
100 A
A d 3.3 r B s

1 4.1 16.5 f [m] 1 4.1 16.5 f [m]

Fig. O1-8 Fig. O1-9

Luminosita di un obiettivo
La quantita di luce che viene concentrata su un elemento del rivelatore
e chiaramente proporzionale all'area dell'obiettivo (pupilla d'entrata): quindi
e proporzionale a 2. Ne segue che nell'osservazione di oggetti puntiformi la
d

luminosita del telescopio varia con 2. d

Supponiamo invece di osservare una sorgente estesa, ad es. una nebulosa.


La quantita di luce e ancora proporzionale a 2, ma l'immagine varia di dimen-
d

sioni proporzionalmente a , e percio il numero di elementi illuminati e propor-


f

zionale a 2 . L'e etto prodotto su ciascun elemento da una sorgente estesa e


f

ancora proporzionale a 2, ma anche a 1 2 , cioe a 2 2 . Per questo motivo


d =f d =f

il rapporto e un parametro importante di un obiettivo e prende il nome di


d=f

apertura relativa. Come abbiamo gia  visto, si usa de nire l'inverso di questo n

rapporto: =1 .
d=f =n

Si vede dunque che uno strumento puo essere piu luminoso di un altro per
le stelle, e meno luminoso per le nebulose. Esempio: 1 = 1 m, 1 = 10 m; d f

d 2 = 0 5 m, 2 = 2 5 m. Il primo strumento 
: f : e 4 volte piu luminoso del secondo
per sorgenti puntiformi, ma 4 volte meno luminoso per sorgenti estese.
Questo spiega anche perche con un telescopio si possono vedere le stelle di
giorno. L'occhio adattato alla luce diurna ha ' 2 mm, ' 20 mm (apertura re-
d f

lativa 1/10). In queste condizioni la luminosita estesa del cielo e grande rispetto
a quella delle singole stelle, anche brillanti. Ma se facciamo = 50 mm, = 1 m d f

(apertura relativa 1/20) aumentiamo di un fattore (50 2)2 = 625 la luminosita =

di una stella, mentre riduciamo di un fattore [(1 10) (1 20)]2 = 4 quella del
= = =

cielo.
O1{9
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Dobbiamo ancora osservare che il ragionamento fatto all'inizio, dal quale ri-
sultava, per sorgenti otticamente puntiformi, una luminosita proporzionale a d,
e di utilita pratica solo quando la risoluzione e dominata dal rivelatore. Se in-
vece domina il seeing tutte le sorgenti sono estese, e quindi la luminosita va
come d2=f 2 . Sembra dunque che a parita di apertura relativa non ci sia alcun
vantaggio, neppure di luminosita, a far crescere d oltre il limite in cui domina il
seeing. Da questo punto di vista il telescopio Hale sarebbe dunque \sprecato."
C'e pero un altro vantaggio al quale possiamo qui soltanto accennare: al cre-
scere di d e di f in proporzione, aumenta il numero di elementi di rivelatore
illuminati da una stella. Cio e vantaggioso per piu motivi: in primo luogo riduce
le uttuazioni statistiche, cioe il rumore delle misure; inoltre nel caso di rive-
latori CCD protegge dalla possibile presenza di singoli elementi difettosi, o di
segnali spuri prodotti da raggi cosmici e simili.

O1{10
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
O2. Introduzione all'ottica geometrica

Premessa
Lo studio degli strumenti astronomici non puo prescindere dal comporta-
mento ondulatorio della luce; tuttavia l'ottica geometrica e un punto di partenza
necessario, sia perche costituisce una prima approssimazione, valida in numerose
applicazioni, sia perche in ogni caso fornisce la base concettuale e la terminologia
che vengono poi impiegate negli sviluppi piu avanzati.
Limiteremo la nostra discussione ai mezzi isotropi, e supporremo, almeno
all'inizio, di aver a che fare con un mezzo continuo e perfettamente trasparente
per la radiazione che interessa. Le proprieta ottiche del mezzo saranno allo-
ra caratterizzate da una sola funzione scalare del punto: l'indice di rifrazione
(
n x; y; z ).
Nota 1: Il caso di mezzi omogenei diversi delimitati da super ci di separazione,
che e di grande importanza pratica in tutti gli strumenti ottici, puo essere visto
come un caso limite di un mezzo continuo, in cui varia (molto rapidamente)
n

solo intorno alle super ci di separazione. Non bisogna pero dimenticare che
qaundo l'indice di rifrazione varia notevolmente in uno spessore dell'ordine della
lunghezza d'onda, si presenta un fenomeno nuovo: la ri essione parziale, di cui
qui non ci occuperemo ma che puo avere importanza pratica nel progetto degli
strumenti ottici, in quanto spesso costituisce un disturbo che occorre ridurre
quanto possibile.
Nota 2: Com'e ben noto, l'indice di rifrazione in generale dipende dalla lunghezza
d'onda della luce: percio restera sottinteso che si ha a che fare con luce mono-
cromatica. Gli e etti prodotti dalla dispersione del mezzo, ossia dalle variazioni
dell'indice di rifrazione con la lunghezza d'onda (in primo luogo l'aberrazione
cromatica ) verrano esaminati piu avanti.
L'equazione del raggio
In un mezzo continuo non omogeneo i i
raggi di luce non sono in genere rettilinei: vo-
n

gliamo ora ricavare una relazione tra la cur-


vatura dei raggi e la variazione dell'indice di n+dn
rifrazione. In g. O2{1 e indicato uno strate-
rello del mezzo, delimitato da due super ci di
livello dell'indice di rifrazione, per i due valo- i+di
ri e + . E anche indicato un raggio, che
n n dn

entra nello straterello con l'angolo d'inciden-


za , ed esce con l'angolo + . Dalle leggi
i i di Fig. O2-1
della rifrazione sappiamo che sin = cost ;
n i :

di erenziando
O2{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
dn sin i = 0 )
+ dsin di = ,
dn
tg i: (O2.1)
n i n
La curvatura del raggio e espressa dalla variazione del versore ~ della tan-
gente, in funzione della lunghezza s dell'arco. Precisamente:
d~
ds
= ~% (O2.2)
dove ~ e il versore della normale principale e % il raggio di curvatura, de nito da

1 = di : (O2.3)
% ds

Se introduciamo il versore ~k della normale alle super ci di livello di n, orientato


nel senso in cui si propaga la luce, si veri ca facilmente che
di
~k = ~ cos i  ~ sin i a seconda che ds
0
(notare che ~ , ~ e ~k sono sempre complanari, per la seconda legge della rifrazio-
ne). Sostituendo per ~ nella (O2.2), e usando la (O2.1) e la (O2.3), troviamo:
d~
= 1 dn (~k , ~ cos i):
ds n cos i ds
Calcoliamo ora
d
( n~ ) =
dn
~ + n
d~
= dn
~ +
1 dn (~k , ~ cos i) = 1 dn ~k = dn ~k
ds ds ds ds cos i ds cos i ds dx
avendo orientato l'ascissa x come ~k. Ma per de nizione di gradiente l'ultima
espressione coincide con r ~ n, il che ci porta in ne a
d
ds
(n~ ) = r
~ n: (O2.4)
Questa e appunto l'equazione del raggio, che sta alla base dell'ottica geometrica.
Alla (O2.4) si puo dare una forma piu esplicita, pensando all'equazione
parametrica del raggio ~r = ~r(s) dove il vettore posizione del generico punto
del raggio e scritto come funzione dell'ascissa curvilinea s. Sappiamo infatti
che ~ = d~r=ds: quindi  
d d~r
ds
n
ds
=r~ n: (O2.5)
La (O2.5) equivale a tre equazioni scalari:
     
d dx @n d dy @n d dz
ds
n
ds
= @x ds
n
ds
= @y ds
n
ds
= @n
@z
per le tre funzioni x(s), y(s), z(s).
O2{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Ponendo
~p = n~ (O2.6)
si arriva a un'altra forma, che ci tornera utile:
d~p
=r
~ n: (O2.7)
ds
Le (O2.6), (O2.7) scritte in coordinate cartesiane divengono:
dx
= 1p ds
dpx
n
= @nx
ds @x
dy
ds
= n1 py dpy
ds
= @n
@y
(O2.8)
dz
ds
= 1p
n
z
dpz
ds
= @n
@z
:

Il cammino ottico
Sia P0 una sorgente di luce puntiforme, e sia P un secondo punto su un
raggio di luce emesso da P0. Si de nisce cammino ottico l'integrale
Z
n(x; y; z ) ds

(qui indica a rigore l'arco di raggio, di estremi P0 e P). Nel caso di un mezzo
omogeneo n e costante e la luce si propaga in linea retta: percio il cammino ottico
non e altro che la distanza tra P0 e P moltiplicata per l'indice di rifrazione del
mezzo. Il nome di cammino ottico e d'immediata interpretazione se si tiene
presente che nell'ottica ondulatoria n e il rapporto tra la velocita della luce c nel
vuoto e quella u nel mezzo: n = c=u. Allora
Z Z Z Z
c
n ds = ds = c dt = c dt = c t:
u

Dunque il cammino ottico e la distanza che percorrerebbe la luce nel vuoto nello
stesso tempo t.
Fissato il punto P0 e scelto in modo arbitrario P, non e detto che tra i raggi
che partono da P0 ce ne sia sempre uno (e uno solo) che passa per P. E anzi
facile vedere, pensando anche a una semplice lente, che possono presentarsi varie
situazioni:
{ puo darsi che nessun raggio passi per P
{ che ce ne siano piu d'uno
{ che siano addirittura in niti.
O2{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Tuttavia si puo dimostrare che esiste sempre un intorno di P0 in cui il raggio
per P esiste ed e unico. Per ora supporremo senz'altro di trovarci in queste
condizioni.
Allora il cammino ottico puo pensarsi come funzione di P: tale funzione e
detta iconale
Z
W (P) = n(x; y; z ) ds: (O2.9)

Si deve ricordare che l'integrale in (O2.9) e sempre calcolato lungo il raggio che
unisce P0 a P.

L'equazione dell'iconale

Il problema che ci poniamo adesso e questo: P( s)


come cambia il cammino ottico variando di poco r n
il raggio? Consideriamo quindi due raggi molto
vicini, e , entrambi originati in P0 e passanti
0
P( s )
rispettivamente per P e per P ( g. O2{2). Indi-
0

cheremo con ~r(s) e con ~r = ~r(s) + ~r(s) le equa-


0
P0
zioni parametriche dei due raggi. r
r

Cominciamo col supporre che i punti P, P 0

corrispondano, sui due raggi, allo stesso valore s


di s. Avremo allora: Fig. O2-2

Zs Zs
W = n ds = n ds: (O2.10)
0 0

Quanto a n, possiamo scrivere:

n = r
~ n  ~r = d~
p
ds
 d d
~r = (~p  ~r ) , ~p  ~r
ds ds

e l'ultimo termine si trasforma cos:


d d~r
~p  ~r = ~p   = n~  ~ = 0
ds ds

perche da ~  ~ = 1 segue appunto ~  ~ = 0. Sostituendo n nella (O2.10):


W = (~p  ~r)P : (O2.11)
O2{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
P(s + s)

n r n
P( s ) P s)
(
P(s + s) P(s + s)

P0 P0
r r

Fig. O2-3 Fig. O2-4


Il secondo caso da considerare e che P si trovi sullo stesso raggio di P, ma
0

a un diverso s = s + s ( g. O2{3). Abbiamo s = ~ ~r, da cui 

W = n s = n~ ~r = (~p ~r)P :  

Il caso generale puo sempre essere scomposto nei due considerati ( g. O2{4),
e percio la (O2.11) ha validita generale.
Una conseguenza della (O2.11) e che le super-
ci W = cost: sono perpendicolari ai raggi, e dun-
que la propagazione della luce potra descriversi
altrettanto bene usando i raggi, come usando l'ico-
i
gg
nale ( g. O2{5). La situazione e analoga a quella ra
di un campo conservativo, dove le super ci equipo-
tenziali descrivono il campo in modo equivalente W cost
alle linee di forza, che sono sempre perpendicolari
a quelle.
Un importante caso particolare e il seguente: Fig. O2-5
supponiamo che un sistema ottico sia tale che tutti
i raggi emessi da una sorgente puntiforme P0 arrivano in uno stesso punto P1. In
questo caso le super ci di livello di W in prossimita di P1 sono sfere con centro
in P1 perche perpendicolari ai raggi; la sfera di raggio nullo coincidente con P1 e
anch'essa super cie di livello, il che vuol dire che il cammino ottico tra P0 e P1
ha lo stesso valore lungo tutti i raggi.
Dalla de nizione di gradiente segue W = ~ W ~r, che confrontata conr 

la (O2.11) fornisce
~ W = ~p = n~
r (O2.12)
Prendendo i moduli dei due termini troviamo la cosidetta equazione dell'iconale:

~ W = n r (O2.13)
che, scritta per esteso, diventa
 2  2  2
@W @W @W
@x
+ @y
+ @z
= n2(x; y; z)

O2{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Nota n(x; y; z), questa e un'equazione di erenziale alle derivate parziali del primo
ordine, non lineare, per la funzione incognita W . Quando si sapesse risolvere,
darebbe come soluzione W (x; y; z) e quindi anche la con gurazione dei raggi:
l'equazione dell'iconale risolve dunque completamente il problema della propa-
gazione della luce.
Il principio di Fermat
Siamo ora in grado di arrivare a un altro importante risultato: il cammino
ottico calcolato su un raggio e minimo tra quelli che si possono calcolare su
tutte le curve che uniscono P0 e P1 (in generale il cammino ottico e stazionario;
ma nelle ipotesi in cui ci siamo messi, cioe che un solo raggio unisca P0 e P1,
dimostreremo subito che e sempre minimo).
Dim.: Detto il raggio che unisce P0 a P1 e un diverso arco di curva tra gli
0

stessi punti, vogliamo provare che


Z Z
n ds < n ds:
0

Sappiamo che l'integrale di linea di un gradiente dipende solo dagli estremi


e non dalla particolare curva seguita: dunque
Z Z Z Z
~ W  d~r = r
r ~ W  d~r ovvero ~p  d~r = ~p  d~r
0 0

per la (O2.12). In entrambi gli integrali ~p = n~ e tangente al raggio che passa
per il generico punto: e quindi sempre tangente a , ma in generale non lo e
a . D'altra parte ~p d~r ~p d~r = n ds e l'uguaglianza vale solo se ~p e d~r sono
0
  j jj j

paralleli e concordi. Cio e vero nel primo integrale, che e fatto lungo un raggio,
ma non nel secondo; per cui in de nitiva avremo:
Z Z Z Z
n ds = ~p  d~r = ~p  d~r < n ds:
0 0

O2{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
O3. Sistemi ottici centrati
De nizione
Nella gran parte dei casi i sistemi ottici di cui dobbiamo occuparci hanno un
asse di simmetria, il che sempli ca molto la trattazione (e anche la costruzione
delle lenti e degli specchi). Porremo dunque la seguente de nizione: sistema
ottico centrato e un mezzo (o una successione di mezzi) in cui l'indice di rifrazione
presenta una simmetria cilindrica intorno a un asse, che si dice asse ottico del
sistema. p
Preso l'asse di simmetria come asse , e detta = 2 + 2 la distanza
x r y z

di un punto da tale asse, si assume dunque che l'indice di rifrazione dipenda


solo da e da : = ( ). Il problema e quello di studiare il percorso della
x r n n x; r

luce che muovendosi nella direzione delle positive incontra successivamente i


x

vari elementi costituenti il sistema; elementi che nei casi pratici saranno solita-
mente lenti o specchi con le piu varie caratteristiche. Nonostante la simmetria,
il problema rimane complesso, ma si sempli ca grandemente se sono lecite alcune
approssimazioni che ora esamineremo.
Conviene studiare lo sviluppo di in serie di potenze di :
n r

( ) = 0( ) + 1( ) + 2( ) 2 +
n x; r n x n x r n x r(O3.1) 

dove
  1
 2 
0 ( ) = ( 0) 1( ) = 2( ) =
@n @ n
n x n x; n x
r=0 @r 2 2
r=0
n x
@r
:

Supponiamo che le derivate di rispetto alle coordinate siano continue:


n

allora, essendo
= @n

@y
@n y

@r r

si vede che si deve annullare sull'asse ottico, perche e discontinua (e lo


@ n=@ r y=r

stesso accade per tutte le derivate dispari). Pertanto la (O3.1) si sempli ca:
( ) = 0 ( ) + 2( ) 2 + ( 4 )
n x; r n x n x r O r :

L'approssimazione di Gauss
Supponiamo in primo luogo che il raggio rimanga vicino all'asse ottico (as-
se ) e teniamo quindi solo il primo termine signi cativo nello sviluppo in serie
x

scritto sopra. Cos facendo, poiche = 0 e solo funzione di (a me-


@ n=@ x dn =dx x

no di ( 2 )), le prime due delle (O2{8) formano un sistema che contiene solo le
O r

incognite ( ), x( ):
x s p s

= 1 xdx

ds
x
= 0n0
p
dp

ds
(O3.2)
dn

dx

O3{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Supponiamo risolto il sistema (O3.2) e deter-
minata la funzione x(s), che assumeremo inver- y(x)
tibile. Questa e un'ipotesi ragionevole in quanto s
corrisponde al caso in cui la luce, pur percorrendo
una traiettoria varia, si muove sempre verso le x
crescenti senza \tornare mai indietro" ( g. O3{1).
Se questo e il caso, si potra dunque determinare
x

la funzione inversa s = s(x) e sostituire questa


nelle restanti equazioni del sistema (O2{8); cio
y(x)

corrisponde a cambiare la parametrizzazione del


raggio, usando in luogo dell'ascissa curvilinea s la s

coordinata cartesiana x.
Ricordando che x

 dx ,1 Fig. O3-1


ds n
dx
= ds
=p
x

otteniamo dalle (O2{8)


dy dy ds py
dx
= ds dx
= p x
(O3.3)
dpy
dx
= dpy ds
ds dx
= n @n
px @y
' 2 npxn0 2
y:

Si notera che nelle (O3.3) non gurano ne z ne pz , cioe le due coppie y, py e z, pz
sono state separate.
Come ulteriore approssimazione supporremo adesso che sia y  1, cioe che
la luce compia un percorso poco inclinato sull'asse ottico. Se e cos, potremo
porre px ' j~pj = n ' n0 e otterremo in ne
dy
= 1 p
y
dx n (x )
0
(O3.4)
dpy
dx
= 2 n2 (x) y:
Il sistema (O3.4) descrive il percorso del raggio con le nostre approssimazioni.
Siamo cos arrivati all'approssimazione di Gauss, individuata da due distinte
asserzioni:
1. y piccolo , raggi prossimi all'asse ottico (parassiali )
2. y  1 , raggi poco inclinati sull'asse ottico (piccola vergenza ).
Equazioni del tutto identiche valgono per z, pz : dunque bastera studiare le
(O3.4) (per questo motivo nel seguito tralasceremo l'indice y in py ).
O3{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Prime conseguenze dell'approssimazione di Gauss
Notiamo in primo luogo che le (O3.4) formano un sistema di equazioni
di erenziali del primo ordine, lineari e omogenee (ma non a coecienti costanti).
E noto che per un sistema lineare omogeneo, se si trovano due coppie di funzioni
che sono soluzioni del sistema, anche ogni loro combinazione lineare a coecienti
reali e soluzione del sistema. Indicando tali soluzioni con
   
y1 (x) y 2 (x )
p1 (x) p2 (x)
quanto sopra ci dice che 8a; b 2 IR
     
1 + by2
a yp1 + b yp2 = ay
ap1 + bp2
1 2

e ancora una soluzione del sistema. Questo signi ca che lo spazio delle soluzioni
del sistema (O3.4) ha struttura di spazio vettoriale su IR, che indicheremo con V .
Un teorema generale ci assicura che una volta assegnate, per una certa x0 ,
le condizioni iniziali y(x0 ) e p(x0 ), esiste una e una sola soluzione delle (O3.4).
Assegnando cioe una coppia di valori che indicheremo piu brevemente con y0
e p0, restano de nite due funzioni y(x) e p(x) che veri cano il sistema e danno
per ogni x la distanza del raggio dall'asse ottico e la sua direzione. Ci chiediamo
che dimensione abbia questo spazio, e la risposta e immediata osservando che:
1. per il teorema appena citato, c'e corrispondenza
y(x) biunivoca tra un elemento
di V , cioe una coppia di funzioni p(x) soluzioni del sistema, e la coppia
y 
dei numeri reali p0 che rappresentano le condizioni iniziali corrispondenti
0
a quella soluzione;
y 
2. le coppie p0 costituiscono uno spazio vettoriale IR2;
0
3. la corrispondenza tra V e IR2 e un isoformismo ! : IR2 ! V .
Ne segue che la dimensione di V e 2.
Esisteranno quindi due vettori (soluzioni del sistema) linearmente indipen-
denti, che potremo assumere come base dello spazio V . La scelta 1piu naturale
0 e
quella di ricorrere alla base \canonica" di IR2, cioe ai vettori 0 e 1 , e ai
corrispondenti in V . Considereremo dunque due coppie di soluzioni: la prima e
quella che haper condizioni iniziali il primo vettore della base di IR2 : la indi-
cheremo con
     
y0 = 1 ( )
0 7!
x
p0 ! (x ) :
O3{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
 
La seconda invece sara indicata con  :
     
y0 = 0 7!! (x) :
p0 1  (x)
L'integrale generale del sistema e dato da tutte le combinazioni lineari di
questa coppia di soluzioni, corrispondenti a condizioni iniziali ottenute con la
medesima combinazione lineare delle condizioni iniziali:
       
y0 = y 1 + p 0 y (x )
p0 0
0 0
1 7! ! p(x)
     
y (x) = y (x) + p (x)
p(x) 0
(x) 0
 (x)
     (O3.5)
0 (x) + p0 (x) ( ) ( )
= y (x) + p (x) = (x) (x) yp0 :
y x x
0 0 0

Vogliamo ora far vedere come sia possibile dedurre molte conseguenze no-
tevoli per il nostro sistema ottico senza risolvere esplicitamente il sistema di
equazioni di erenziali (O3.4) e senza bisogno di conoscere soluzioni speci ca-
mente connesse con quel sistema ottico. Incominciamo dal
Teorema:
(x) (x) , (x) (x) = 1: (O3.6)
Dim.: Mostriamo prima di tutto che la funzione  , e una costante.
Infatti derivando rispetto a x abbiamo:
d d d d d
[ (x) (x) , (x) (x)] =  + , , :
dx dx dx dx dx
Ma poiche si tratta di soluzioni del sistema (O3.4) possiamo porre
d 1
dx
= (x); d = 2n (x); ecc:
n0 dx 2

per cui si ottiene:


d
[ 1 1
 , ] = (x) (x) + 2n2 (x) (x) ,  (x) (x) , 2n2 (x) (x) = 0:
dx n0 n 0

Per far vedere che la costante vale proprio 1 basta allora calcolarla in un
punto qualunque, in particolare per le condizioni iniziali:
(x0 ) (x0 ) , (x0 ) (x0 ) = 1:
O3{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Nota: Si riconoscera
  ,nell'espressione
 di cui tratta il teorema, il wronskiano delle
due soluzioni ;  ; il teorema e dunque un caso particolare della teoria
delle equazioni di erenziali lineari.
Raggio marginale e raggio principale
Tornando al nostro sistema ottico, vediamo
a che cosa corrisponde sicamente la scelta delle y(x)
due soluzioni particolari. Moltiplicando per y0 e
per p0 le due condizioni iniziali, le relative soluzio- y0
ni corrispondono ai due raggi indicati in g. O3{2 M

nel piano (x; y).


Il primo raggio, indicato con M, parte pa- P

rallelo all'asse x a una distanza y0 da questo; il p0

secondo, indicato con P, parte da un punto del- x


l'asse x (x = x0) formando un angolo (vergen- Fig. O3-2
za ) u = ,p0=n0 (dove n0 = n(x0 )). Ricordiamo
infatti che essendo p = py  px ' j~pj si puo porre
py
u = , arctg
px
' , jp~pyj = , np :
Nota 1: Il segno meno compare perche, unifor-
mandoci alle notazioni tradizionali in ottica, con- y(x)
sidereremo positiva la vergenza u di un raggio che,
attraversando l'asse ottico, passa da valori positivi
a valori negativi di y ( g. O3{3).
Nota 2: Il prodotto nu = ,p si chiama di solito u >0

vergenza ridotta. x
Il motivo per cui due raggi corrispondenti alle
soluzioni indipendenti sono stati denominati M e P Fig. O3-3
e che essi vengono per tradizione indicati come
raggio marginale e principale rispettivamente, quando la condizione iniziale si
riferisce a un ben preciso punto del sistema ottico. Rinviando al seguito una
de nizione piu rigorosa di questi due termini, vediamo di utilizzare i due raggi
per ricavare altre conseguenze generali sui sistemi ottici centrati.
Le due soluzioni indipendenti che corrispondono ai due raggi sono:
y (x) = (x) y0
M: p(x) = (x) y0
y (x) = (x) p0
P: p(x) =  (x) p0 :
O3{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Supponiamo adesso che P incontri ancora l'asse ottico in un punto P di coor- 0

dinata x : avremo allora y(x ) = 0 da cui (x ) = 0 e (x ) = 1= (x ), essendo


0 0 0 0 0

in x :  = 1 per la (O3.6). Riassumendo:


0

y (x ) = 0
0

P: p(x ) =
0
1 p:
(x )0
0

Ma la condizione (x ) = 0 non dipende dal particolare raggio: quindi per


0

ogni raggio si potra porre (dalla (O3.5)):


y (x ) = (x ) y0
0 0

1 p: (O3.7)
p(x ) = (x ) y0 +
0 0

(x ) 0
0

La prima delle (O3.7) dice che y(x ) dipende solo da y0, e non da p0 . Percio
0

un fascio di raggi uscenti da uno stesso punto Q nel piano perpendicolare in P


all'asse ottico viene concentrato | indipendentemente dal cammino dei singoli
raggi | in un punto Q del piano perpendicolare all'asse ottico in P . Non
0 0

solo: al variare di y0 , y(x ) varia in proporzione, cioe mantenendo costante un


0

rapporto di similitudine pari ad (x ), che viene detto ingrandimento.


0

La coppia di punti Q e Q sono detti coniugati e Q e detta immagine reale


0 0

di Q. Per quanto sopra, ogni punto del primo piano ha un punto coniugato nel
secondo (in particolare P e P sono pure coniugati) e quindi anche i piani stessi
0

sono detti tra loro coniugati.


Se il raggio P incontra piu volte l'asse ottico, i diversi piani cos individuati
sono tutti tra loro coniugati. Su tutti questi piani (x) = 0 e cio permette di
mostrare immediatamente che il prodotto yM pP e costante su di essi: infatti

yM (x ) pP (x ) = (x ) y0M
0 0 0
1 p =y p :
(x ) 0P 0M 0P
0

E facile mostrare allo stesso modo che se il


raggio marginale M incontra l'asse in un punto x 00 y(x)
vale invece la relazione y0M

yP (x ) pM (x ) = ,y0M p0P :
00 00
pM
p0M x
La grandezza y0M p0P e detta invariante di
Lagrange della coppia di raggi M e P, in quanto yM

da il valore del prodotto tra la vergenza ridotta


del raggio P e l'ordinata del raggio M o viceversa Fig. O3-4
O3{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
(a meno del segno), su tutti i piani in cui uno dei due raggi incontra l'asse
( g. O3{4).

Matrice di un sistema ottico tra mezzi omogenei


Consideriamo adesso un sistema sico realistico, costituito da una succes-
sione di lenti, cioe da una serie di super ci di separazione tra mezzi omogenei
aventi indice di rifrazione diversi. Ancora non c'interessa vedere il comporta-
mento di ogni componente del sistema: ci basta supporre che la lunghezza in x
del sistema sia nita, cioe che si possano individuare due piani per due punti O
e O , fuori dei quali l'indice di rifrazione si mantiene costante (sistema ottico
0

centrato tra due mezzi omogenei).


Poiche la propagazione della luce in un mez- sistema
zo omogeneo e banale (rettilinea),
 sara suciente n ottico n

studiare le coordinate yp del raggio uscente sul y


0

0
y  p

piano per O , assumendo note quelle p sul pia-


0
O
no per O ( g. O3{5). Detta x0 l'ascissa di O e x 0 O x

quella di O , delle funzioni (x), (x) ecc. e inte-


0 y
ressante conoscere adesso solo il valore in x = x . 0 p
Abbiamo cos 4 numeri, che continueremo a indi-
care con = (x ), = (x ) ecc. La relazione
0 0

tra le coordinate dei raggi in ingresso e in uscita e Fig. O3-5


dunque:
    
y 0

=  y (O3.8)
p 0
p
e il sistema ottico e completamente de nito da quei 4 numeri, anzi da 3 di essi,
visto che e ancora  , = 1.

Specchi
Da tutto quanto detto nora sembrano escluse le super ci ri ettenti: sia
perche abbiamo parlato sempre e soltanto di rifrazione, sia perche abbiamo espli-
citamente supposto che la luce si propaghi nel sistema ottico senza mai tornare
indietro. Se cos fosse, si tratterebbe di una grave limitazione, vista l'importanza
che hanno gli specchi negli strumenti astronomici.
Fortunatamente e possibile, con un espediente formale, far rientrare gli spec-
chi nella trattazione n qui fatta. L'idea e rappresentata nella g. O3{7, dove
e mostrato a sinistra il caso di uno specchio concavo, ma senza che cio limiti la
validita generale di quanto stiamo per dire.
O3{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Si tratta di sostituire al percorso e ettivo dei raggi, che in conseguenza
della ri essione invertono il verso di propagazione, un percorso \virtuale," come
mostrato a destra. Si disegna una super cie ri ettente \speculare," simmetrica
rispetto al piano tangente allo specchio nel suo vertice, e si tracciano i raggi
ri essi verso destra, a partire da tale super cie. In questo modo i raggi vanno
sempre nel senso delle x crescenti, ed e solo un problema geometrico quello di
ricavare y(x), p(x) al di la dello specchio dati y, p per una x prima dello specchio,
usando la legge della ri essione.

x x

Fig. O3-6

Non entriamo nei dettagli, ma si puo ancora introdurre l'approssimazione di


Gauss, e quindi i coecienti , , , , come in precedenza. Pertanto nel seguito
non faremo piu distinzione, e assorbiremo il caso degli specchi nella discussione
generale.

O3{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
O4. Ottica gaussiana

De nizione
Ci proponiamo adesso di studiare la s.o.c.
struttura, le caratteristiche ed il comporta- n n
mento di un sistema ottico centrato in ap-
prossimazione di Gauss. y
Come si e gia visto nel capitolo prece- p
p y
dente, le coordinate y0 , p0 di un raggio su di
un piano 0 ( g. O4{1) sono combinazioni li-
neari delle coordinate y, p relative a un altro O O x
piano :

 0   
y = y (O4.1) Fig. O4-1
p0  p
 
dove la matrice dei coecenti  (avente determinante sempre uguale a 1)
dipende dai piani  e 0 . Sottolineiamo che la scelta di tali piani e arbitraria:
se pure spesso e comodo farli coincidere con quelli tangenti alla prima e all'ultima
super cie ottica, questo non e a atto necessario.

I punti cardinali
Vogliamo ora mostrare che da tale ma- s.o.c.
trice si possono estrarre tutte le informazioni n n

necessarie a caratterizzare completamente il y


y
sistema ottico in esame: a questo scopo sara p=0
suciente individuare i punti cardinali del p x
sistema, che de niremo qui appresso, risol- O O F
vendo tre problemi.
1 Problema: Trovare i fuochi F e F0 , deter- Fig. O4-2
minati come in g. O4{2 da raggi, rispetti-
vamente uscente ed entrante, paralleli all'asse ottico.
Si ha O0 F0 = y0 =u0 (anche per il segno) e u0 = ,p0 =n0, da cui, per la (O4.1)
con u = 0:

O0 F0 = ,n0 yp0 = ,n0 y


0
:
y
O4{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Ne segue che la posizione di F0 non dipende da y:
O0 F0 = ,n0 :

Dunque in approssimazione di Gauss i raggi paralleli all'asse ottico convergono


tutti in un punto F0, che si chiama secondo fuoco del sistema.
F, primo fuoco del sistema, e invece il punto da cui partono raggi che usci-
ranno dal sistema paralleli all'asse ottico; per trovarlo si procede come prima,
salvo che stavolta si pone u0 = 0.

0 = p0 = y + p y=, p

OF = ,n yp = n p
p

OF = n  :

2 Problema: Determinare la posizione del n s.o.c. n


secondo punto principale, de nito come la y
proiezione sull'asse ottico dell'intersezione y
dei prolungamenti dei raggi entranti e uscen- p=0

ti ( g. O4{3). O P O
p x

P0 F0 si chiama seconda distanza focale.


F

Dalla gura si vede che


Fig. O4-3
P0 F0 = ,n0 py0
e usando la (O4.1) per eliminare p0 si arriva a

f 0 = P0 F0 = ,n0 :
1

Con analogo procedimento si trova anche

f = PF = n
1

dove P (primo punto principale ) e de nito in


modo simmetrico a P0 ( g. O4{4). 2 Q Q 1

A parte la disparita del segno, dovuta 1 2 x


ad aver preso le lunghezze come orientate, F P P F
notiamo che anche in valore assoluto la pri-
ma e la seconda distanza focale sono diverse: Fig. O4-4
O4{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
coincidono (a parte il segno) soltanto se l'ultimo mezzo ha indice di rifrazione
uguale al primo (n0 = n).
I punti principali sono tra loro coniugati: questo si vede osservando che Q0
e immagine di Q, in quanto due raggi per Q passano anche per Q0 . Si vede anche
che l'ingrandimento tra i due piani principali e uguale a 1 e si puo dimostrare
che questa proprieta caratterizza i piani principali.
3 Problema: Trovare i punti nodali del sistema. s.o.c.
Due punti coniugati N e N0 si dicono primo e se-
condo punto nodale se, quando un raggio entrante
(o il suo prolungamento) passa per N, il raggio
uscente (che passa per N0 ) e parallelo al raggio u u
O
entrante. O N N x

La condizione da imporre e dunque u = u0


( g. O4{5). Da p0 = y + p si ricava
n0
p , p = y; Fig. O4-5
n
mentre
ON = uy = ,n yp ;
quindi
ON = n , n :
0

Dimostriamo che FN = f 0 :
n , n 0 0
FN = FO + ON = , n

+
= , n

= f0:
Allo stesso modo, trovato N0 , si dimostra che
F0N0 = n = f:
La g. O4{6 riassume la relazione tra fuochi, punti principali e punti nodali.
f f

f f

F P N O P N O F x

n s.o.c. n

Fig. O4-6

O4{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Si vede che per n = n si ha P  N e P  N : in questo caso punti principali
0 0 0

e punti nodali s'identi cano. In particolare, se il primo e l'ultimo mezzo sono


aria (n ' 1), si ha ,f = f = 1= . In queste condizioni diremo F = ,1=f = ,
0

potenza dell'obiettivo (espressa in diottrie quando f e espressa in metri). Il


motivo del segno meno e, come vedremo, di far venire positiva la potenza di una
lente convergente.
Notiamo in ne che mentre da la potenza, e  dicono dove si trovano
i fuochi rispetto alle super ci del sistema (il quarto parametro non e indipen-
dente dagli altri).

La formula dei punti coniugati


Si ottengono notevoli sempli cazioni prendendo i piani  e  coincidenti 0

con i piani principali e quindi i punti O, O coincidenti coi punti principali.


0

Infatti, confrontando le espressioni trovate per OF e PF si vede che  = 1;


analogamente il confronto di O F e P F mostra che anche = 1. Se si ricorda
0 0 0 0

che il determinante della matrice vale 1 e si tiene presente che non e 0 essendo
legata alla potenza, ne segue subito = 0, e la matrice diventa
 
1 0
1

dove sopravvive il solo , che come sappiamo e legato alla potenza del sistema
e non dipende dalla scelta delle coordinate.
Consideriamo ora un raggio che parte n y y n
da un punto A dell'asse ottico, con OA = x,
e uscendo interseca di nuovo l'asse nel pun- A u u A
to A (O A = x ). Per de nizione, A e A so-
0 0 0 0
x P O 0
O P x
no coniugati. Dalla g. O4{7 si vede che y =
xu, y = x u , mentre y = y perche P e P
0 0 0 0 0

sono i punti principali. Dunque Fig. O4-7

ny ny
p = ,nu = , p = ,n u = ,
0
0 0 0
:
x x 0

La (O4.1) ci dice p = y + p, perche  = 1; mettendo tutto insieme, usan-


0

do = n=f e sempli cando y si trova in ne


n n n n
, ,
0 0

=
x x f
= 0
f 0
(O4.2)
che e detta formula dei punti coniugati, in quanto lega le x e x dei punti A e A . 0 0

O4{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
In alternativa, dati x e x , si trova facilmente che la matrice del sistema
0

limitato dai piani passanti per A e A e 0

0 x x x xx 1
B@ 1 , n , , nn
0 0 0

0
n n 0
C
A
0

1 + nx
Imponendo che y (sul piano per A ) dipenda solo da y (sul piano per A) si ritrova
0 0

la medesima formula insieme con l'espressione dell'ingrandimento lineare:


y nx
0 0

G= =
y nx 0

Un'altra relazione utile si ottiene ponendo  = FA e  = F A ; si veri ca 0 0 0

subito che
 = ff : 0 0

Notare che questa relazione non dipende dagli indici di rifrazione.


Sistemi afocali
Tutto quanto si e detto nora vale per sistemi in cui 6= 0; e pero per noi
particolarmente importante, come vedremo, il caso = 0. Tali sistemi si dicono
telescopici o afocali (in quanto se = 0 e di conseguenza f = 1). In tal caso il
sistema (O4.1) diventa:
(
y = y + p
0

con  = 1 (O4.3)
p = p
0

Si vede dalla (O4.3) che in un sistema afocale le vergenze in entrata e in


uscita sono proporzionali e il loro rapporto non dipende da y. Questo rapporto
e l'ingrandimento angolare Ga :
u np
=n
0 0

Ga = = (O4.4)
u np n 0 0

s.o.c. s.o.c.
Fig. O4-8
O4{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Dunque raggi paralleli inclinati di un angolo u sull'asse ottico escono dal
sistema ancora paralleli, ma inclinati di un angolo u = Gau ( g. O4{8, a sini-
0

stra). Se poi prendiamo un raggio parallelo all'asse, questo esce ancora parallelo
all'asse, ma non alla stessa altezza: precisamente per u = 0 si ha y = y. 0

Considerando non un solo raggio ma un intero fascio, esso uscira di diametro


diverso, e da il rapporto dei diametri ( g. O4{8, a destra). Ma  = 1,
j j

dunque = 1=; se, come di solito avviene, il primo e l'ultimo mezzo sono aria,
la (O4.4) diventa
Ga = 
e allora = 1=Ga. Percio il diametro dei fasci da una misura dell'ingrandimento
di un sistema telescopico.
Calcolo della matrice di un s.o.c.
Dopo aver visto come si possono ricavare le proprieta di un s.o.c. in appros-
simazione di Gauss, una volta nota la sua matrice, vogliamo ora mostrare come
si puo calcolare questa dalla costituzione del sistema. Un s.o.c. (diottrico, cioe
composto di lenti) e completamente caratterizzato assegnando:
1) gli indici di rifrazione di tutti i mezzi;
2) i raggi di curvatura di tutte le super ci di separazione;
3) le distanze tra queste (tra i piani tangenti perpendicolari all'asse ottico).
Inoltre qualunque s.o.c. puo essere considerato come formato di piu compo-
nenti elementari in serie. Precisiamo: un s.o. limitato tra O e O puo essere visto
0

come due sistemi componenti in serie, limitati il primo da O a O1 , ilsecondo


da O1 a O . Consideriamo un raggio che entra con le coordinate yp , passa
0

y  y  0

in O1 con le coordinate p ed esce in O con le coordinate p . Avremo per


1 0
0
1
il primo sistema:     
y1 = 1 1 y
p  1 p 1 1

e per il secondo     
y0

= 2  2 y1 :
p0
2 2 p1
Quindi per il sistema complessivo
     
y 0

= 2  2 1 1 y
p 0
2 2 1 1 p
da cui:     
= 2 2 1 1 :
 2 2 1 1
O4{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
La matrice del sistema complessivo e il prodotto delle matrici dei componenti,
e questo risultato si generalizza a un numero qualsiasi di componenti.
Come componenti elementari conviene prendere:
a ) il diottro, costituito di due mezzi d'indici di rifrazione n e n separati da 0

una sola super ce sferica di raggio R ; i piani di riferimento si prendono


coincidenti e passanti per il vertice del diottro;
b ) lo strato omogeneo, che e semplicemente un mezzo di spessore d.
E chiaro che ogni s.o.c. e composto da una serie di sistemi elementari dei tipi
a ) e b ) alternati: resta percio solo da determinare le matrici dei due sistemi
elementari.
Diottro: dalla g. O4{9 si vede in primo luogo che, essendo in approssimazione
di Gauss, y = y . Il punto C e il centro della super ce sferica (il raggio R ha il
0

segno di OC, positivo nel caso in gura) e chiaramente y = Rv (si ricordi che
v , i e i sono piccoli in approssimazione di Gauss; in gura sono tutti positivi).
0

Inoltre u = v , i da cui
0 0

=, + =, + p
0
n v
0
n i
0 0
n v
0
ni

(si e usata la legge della rifrazione sin = sin ). Ma = , per cui n i n


0
i
0
i v u

ancora:
0
p =, 0
n v + nv , nu =( , ) n n
0

R
y
+ p:

Si ottiene cos:     
= ( , ) y
0
1 0 y

p
0
n n
0
=R 1 p

che e l'equazione fondamentale del diottro.


i
i
v u=u
O=O C u u
d
n n

Fig. O4-9 Fig. O4-10


Strato omogeneo: nello strato non c'e rifrazione, per cui ovviamente p = p, 0

mentre y = y , du = y + dp=n ( g. O4{10). Dunque


0

    
= 10
0
y d=n y

p
0
1 p

O4{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
che e l'equazione fondamentale del-
lo strato. (Si noti che entrambe le R2 < 0
matrici hanno determinante 1, come R 1 >0
doveva essere.) d
Applichiamo ora i risultati al O O
caso abbastanza semplice della lente 1 n 1
spessa ( g. O4{11). Si ha una serie
di un diottro, uno strato, un altro Fig. O4-11
diottro. La matrice complessiva e
   
1 0 1 d=n 1 0 :
(n , 1)=R2 1 0 1 (1 , n)=R1 1
Sviluppando il prodotto, si ottiene facilmente la potenza
 1 1 n,1 d 
F = , = (n , 1) , + n RR
R1 R2 1 2

che nel caso di una lente sottile (d = 0) si sempli ca in:


1 1
F = (n , 1) , :
R1 R2
Si veri ca senza dicolta che per la lente sottile =  = 1, = 0, come doveva
essere, visto che O  O  P  P .
0 0

O4{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
O5. Diaframmi
In qualunque sistema ottico esistono limitazioni al fascio di raggi accettati
dal sistema, che implicano conseguenze per la luminosita del sistema e per il
campo visibile. Le limitazioni possono provenire dai bordi stessi delle lenti,
oppure da diaframmi inseriti appositamente nel sistema. Vogliamo ora esaminare
gli aspetti principali di questo argomento.
Pupille d'entrata e d'uscita

Consideriamo in primo luogo un diaframma posto davanti al sistema ottico.


Il diaframma limita l'accettazione dei fasci di raggi, entra cioe meno luce. Nel
caso piu semplice, come mostrato in gura g. O5{1, tale diaframma sara detto
pupilla d'entrata (p.e.): il suo diametro pe caratterizza la luminosita
 del sistema.
Daremo tra poco una de nizione piu generale di p.e.

A r

(s.o.c.)1 (s.o.c.)2

Fig. O5-1 Fig. O5-2

Ma vediamo invece che cosa succede se il diaframma che limita la dimensione


del fascio che attraversa il sistema e in una posizione generica dentro il sistema.
Evidentemente se r e il raggio del diaframma ( g. O5{2), sono ammessi solo i
raggi che arrivano sul piano del diaframma con coordinata y tale che y < r. j j

Poiche le equazioni dei raggi sono lineari, bastera conoscere quali raggi pas-
sano perA(y = r) per aver individuato tutti i raggi
0
y che passano
ky per il diafram-
y
ma: se p e un raggio passante per A , allora k p = kp con k < 1 sara
0
j j

un raggio che passa per il diaframma. Trascuriamo per ora la parte del sistema
ottico che segue il diaframma (sistema 2): il punto A avra rispetto alla prima
0

parte del sistema (sistema 1) un coniugato A: esso e tale che tutti e soli i raggi
entranti che passano per A, escono passando per A . 0

Dunque si puo sostituire il diaframma reale posto dentro il sistema con


un diaframma ttizio (immagine anteriore) posto davanti al sistema; esso avra
l'e etto di limitare nello stesso modo l'ampiezza del fascio entrante. In questo
caso e questo diaframma ttizio che prende il nome di pupilla d'entrata.
Si noti che la p.e. puo essere virtuale: cio accade se essa si trova dopo
la prima super cie del sistema, per cui sono i prolungamenti dei raggi, e non i
O5{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
raggi stessi, che vengono intercettati o ammessi dalla p.e. E questo il caso di una
lente con un diaframma posto subito dietro ( g. O5{3) o anche di un obiettivo
fotogra co, che ha il diaframma tra le lenti.
Piu in generale, se un sistema pre- diaframma p.e. (virt.)
senta diversi diaframmi (considerando tra
questi anche le montature delle lenti), se
ne possono costruire allo stesso modo le ri-
spettive immagini anteriori. E allora chia- F F
ro che il diametro del fascio assiale am-
messo nel sistema resta ssato dall'imma-
gine di diametro minore; questa viene de-
nita pupilla d'entrata. Fig. O5-3

Volendo misurare la pupilla d'entrata, anche quando questa e virtuale, oc-


corre solo guardare dalla parte da cui arriva la luce: poiche ogni diaframma
\ ttizio" e proprio l'immagine (reale o virtuale) di un diaframma vero, basta
misurare quello che si vede. Cos in un obiettivo fotogra co, per misurare l'a-
pertura dell'obiettivo (ad es. a scopo di veri ca dei valori segnati) basta misurare
il diaframma come lo si vede. In genere la massima apertura da una p.e. pari
alla montatura della prima lente.
Da quanto si e visto, nel caso di un unico dia- p.e.
framma, segue anche che la p.e. determina la delimi-
tazione di qualunque fascio di raggi, anche obliquo:
in tutti i casi il fascio ammesso e un cilindro che ha
per direttrice il bordo della p.e. ( g. O5{4).
Come si e de nita la p.e. (che in un telescopio
generalmente coincide con la montatura dell'obietti-
vo), allo stesso modo si de nisce la pupilla d'uscita
(p.u.): essa e quel diaframma ttizio tale che tut- Fig. O5-4
ti e soli i raggi accettati dal sistema sono quelli che
(dopo aver attraversato il sistema) passano per tale
diaframma. La p.u. e dunque l'immagine posteriore del diaframma reale, cioe
quella fornita dalla seconda parte del sistema (costruzione simmetrica rispetto
alla p.e.).
Pupilla d'entrata e pupilla d'uscita sono quindi coniugate rispetto all'intero
sistema, nel senso che tutti i raggi che entrano passando per il bordo della
p.e., escono passando passando per il bordo della p.u. Nel caso di un sistema
telescopico, come sappiamo, tra i diametri delle due pupille vale la relazione:

pe

pu
= jGa j ingrandimento (angolare) :

O5{2
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Vignettatura e diaframma di campo
Torniamo ora a considerare un sistema ottico con diversi diaframmi, tra
cui le montature delle varie lenti: ci domandiamo qual e il diaframma domi-
nante, in particolare per fasci di raggi non assiali. Chiaramente cio dipende
in primo luogo da dove e posta la sorgente; ma anche per sorgenti all'in ni-
to (com'e il nostro caso) la limitazione del fascio dipende dalla sua vergen-
za. Nella g. O5{5 siano A, B, C i diaframmi ttizi (immagini anteriori) di
tre diaframmi reali. Per raggi paralleli all'asse ottico quello che conta e, co-
me si e detto, il diaframma piu piccolo (B in gura che rappresemta la p.e.
del sistema); ma per i raggi sucientemente inclinati B non conta piu nulla
e divengono determinanti i diaframmi A e C. Esiste anzi una vergenza limite
oltre la quale la luce non passa piu. Inoltre se facciamo una sezione dei vari
fasci, parallelamente ai piani dei diaframmi, vediamo che l'area della sezione
del fascio ammesso si restringe gradatamente, no a scomparire nel caso limite.
Cio signi ca che mentre l'obiettivo (o il sistema in generale) e molto lumino-
so al centro del campo, ai bordi si nota una sfumatura della luminosita no
a zero.

A B C
o
p.e. fasci tato
g n e t
vi

fascio assiale
ammesso

dir
ezi
lim one
ite

Fig. O5-5
Tale e etto e detto vignettatura. Esso e assai scomodo, specialmente per
osservazioni fotogra che, dato che al centro, ove l'obiettivo e piu luminoso, si ve-
dranno stelle no a una certa magnitudine, mentre stelle della stessa magnitudine
non saranno visibili ai bordi.
C'e pero un modo per eliminare la vignettatura, ed e quello di porre in una
certa posizione un altro diaframma che dia luogo ad una vignettatura brusca,
tale cioe che accetti tutti i raggi no ad una certa vergenza, e che non ne accetti
piu oltre quella. L'e etto voluto si puo ottenere ponendo un diaframma nel
secondo piano focale, o in un piano coniugato a questo all'interno del sistema.
Tale diaframma, proprio perche limita nettamente il campo, e detto diaframma
di campo. Le immagini anteriore e posteriore del diaframma di campo si dicono
nestra d'entrata e d'uscita rispettivamente. In un sistema che deve formare
immagini di oggetti all'in nito, anche la f.e. e all'in nito.
O5{3
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Il cannocchiale astronomico
Vediamo ora l'applicazione delle idee introdotte al piu importante esempio
di sistema telescopico: il cannocchiale astronomico o kepleriano. Questo, nella
sua forma primitiva, consiste di due lenti sottili, dette rispettivamente obiettivo
e oculare, di focali ob e oc entrambe positive (lenti convergenti). Le lenti sono
f f

disposte in modo che il secondo fuoco dell'obiettivo coincida col primo fuoco
dell'oculare: Fob  Foc. E chiaro che in queste condizioni un fascio parallelo
0

esce dallo strumento ancora parallelo, e si vede dalla g. O5{6 che i diametri dei
fasci entrante e uscente sono in proporzione a ob e oc: ne segue
f f

Ga =, fob

foc
:

Il segno meno risulta dal fatto che e per uno stesso raggio hanno
u u
0

segni opposti. L'ingrandimento e dunque negativo, il che vuol dire che una
sorgente all'in nito posta sopra l'asse ottico ( 0) produce in uscita raggi
u >

con u
0
0, che quindi appaiono provenire da sotto l'asse ottico, come in g. O5{
<

7, a sinistra; a destra sono indicati i raggi principali provenienti da due sorgenti


A e B: l'immagine (virtuale) vista attraverso il cannocchiale e capovolta. Poiche
il cannocchiale astronomico e fatto per ingrandire, avremo di solito j aj  1, G

cioe ob  oc .
f f

A
F1 = F2 F1 = F2
B

A
Fig. O5-7

Nel cannocchiale astronomi- p.e.


co la p.e. coincide di regola col
bordo dell'obiettivo: ne segue che p.u.

la p.u. e l'immagine di tale bordo


data dell'oculare. Ma l'obiettivo
e a distanza molto maggiore del-
la focale dell'oculare, per cui ta-
le immagine si formera molto vi-
cino al secondo fuoco dell'oculare
( g. O5{8). Fig. O5-8

Dato che nel piano per Fob  Foc si forma un'immagine reale delle sorgenti
0

(che sono all'in nito), questo e il piano giusto per introdurre un diaframma di
campo.
O5{4
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Per comprendere il giuoco dei diaframmi nel cannocchiale astronomico oc-
corre pero tener presente un ulteriore elemento: l'occhio dell'osservatore. Infatti
questo introduce un nuovo diaframma (la pupilla), e occorre vedere come le cose
variano secondo la sua posizione.
In g. O5{9 la posizione (1) consente all'occhio p.u.
di ricevere quanta luce puo e quindi l'obiettivo e ben
sfruttato (e anche eccessivo), ma nella posizione (2)
l'occhio ricevera meno luce di quanto potrebbe; in po- F
sizione (3) non riceve a atto luce proveniente da quella
2

direzione. Dunque se l'occhio viene posto a una certa


1 2 3

distanza dalla p.u. si ha di nuovo l'e etto di vignetta- Fig. O5-9


tura e riduzione dell'angolo di campo (niente di strano:
tali e etti intervengono ogni volta che si accoppiano piu diaframmi).
Ne segue che l'occhio va posto piu o meno dove sta la pupilla d'uscita, ovvero
circa nel secondo piano focale dell'oculare. Questo fatto limita la possibilita di
diminuire inde nitamente foc (nel tentativo di avere maggiore ingrandimento):
nella pratica raramente si scende sotto 5 mm.
Questo e un caso particolare di un fatto generale: nella progettazione e nel-
l'impiego del cannocchiale astronomico occorre sempre tenere presenti i rapporti
tra cannocchiale e occhio. Per esempio:
{ Se la p.u. e piu piccola della pupilla dell'occhio, l'obiettivo e sfruttato al
massimo. Pero tenendo sso jGaj si puo aumentare pe col che aumenta
anche pu e aumenta la luminosita.
{ Se la p.u. e piu grande della pupilla dell'occhio, il fascio uscente e ulte-
riormente diaframmato dall'occhio: signi ca che si possono ottenere uguali
risultati con un obiettivo di diametro minore.
Per fare alcuni esempi numerici teniamo presente che la pupilla dell'occhio
ha un diametro massimo di 7  8 mm al buio, ma che alla luce (per osservazioni
diurne) si restringe no a 2 mm.
1) Vogliamo costruire un cannocchiale con ingrandimento jGaj = 100. Allora:
per pe = 500 mm si avra pu = 5 mm
pe = 800 mm pu = 8 mm
pe = 1500 mm pu = 15 mm.
Dunque, contrariamente a quello che si potrebbe pensare (piu grande e
l'obiettivo, piu e luminoso), vediamo che oltre gli 80 cm di obiettivo e inutile
andare, in quanto l'ulteriore aumento di luminosita e bloccato dalle possibilita
dell'occhio. Cos il terzo obiettivo sarebbe bene utilizzato solo con jGa j = 200.
2) Consideriamo ora un comune binocolo 7  50 (che signi ca ingrandimen-
to jGa j = 7 con pe = 50 mm, da cui segue pu ' 7 mm).
O5{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Questo e uno strumento buono di notte ( u e circa uguale alla pupilla del-
p

l'occhio); di giorno invece basta u ' 2 mm (come quella dell'occhio) cui corri-
p

sponde e ' 14 mm, per cui l'obiettivo del binocolo e assai poco sfruttato.
p

3) Binocolo 12  50 (j a j = 12, e ' 50 mm, u ' 4 mm).


G p p

Per quanto si e visto, questo strumento e adatto all'uso diurno, ma di notte


e poco conveniente, perche l'occhio potrebbe ricevere piu luce.
Tutto questo c'insegna che per ogni osservazione occorre lo strumento adatto
e che raramente un cannocchiale si puo dire ottimo sotto tutti gli aspetti.

A che serve la lente di campo di un oculare?


La quasi totalita degli oculari oggi in uso consistono di due lenti (almeno).
Questo e fatto in parte allo scopo di ridurre le aberrazioni, ma c'e una ragione piu
fondamentale, che ora vedremo. Finora non ci siamo mai chiesti come intervenga
il bordo dell'oculare, ma e chiaro che se esso non e sucientemente grande
produrra vignettatura. La domanda e: quanto grande? Discutiamolo su un
esempio.
Un tipico cannocchiale 750 potreb-
be avere ad es.: ob = 140 mm, oc =
f f

20 mm, ob = 50 mm. La p.u. risulte-


d

ra u = 7 mm e distera 23 mm dall'ocu-


p

lare. F = F 1 2

Chiediamoci ora quanto dev'essere


grande l'oculare per avere non vignettato piano focale

un campo (poniamo) no a 3 dall'asse.


La costruzione e mostrata in g. O5{10
in alto e la risposta e oc = 24 mm.
d

Non e facile costruire una lente di foca-


le 20 mm e diametro 24 mm, senza conta- lente di
campo
re che lavorerebbe molto lontana dall'ap-
prossimazione di Gauss, cioe con aberra- Fig. O5-10
zioni proibitive.
Se s'interpone, nel piano dell'immagine reale, un'altra lente (lente di campo)
ad es. con = 30 mm avremo:
f

a ) nessun e etto sull'immagine di oggetti all'in nito (lasciamo a chi legge di


capire il perche);
b ) la pupilla d'uscita si avvicina a 9 5 mm dall'oculare, e resta dello stesso
:

diametro.
La nuova costruzione ( g. O5{10 in basso) mostra che per lo stesso campo
stavolta basta oc = 14 mm: il guadagno e notevole. Quanto alla lente di campo,
d

il suo diametro non sara maggiore di 15 mm.


O5{6
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In termini semplici l'azione della lente di campo si spiega cos: il fascio di
luce proveniente dall'obiettivo, che senza lente di campo andrebbe allontanandosi
dall'asse (costringendo cos ad un grosso oculare per contenerlo tutto) viene
de esso verso l'asse dalla lente di campo e percio puo essere compreso in un
oculare di diametro minore.
Nella pratica si da il nome di oculare al sistema delle due lenti; inoltre spesso
la lente di campo non viene messa proprio nel piano dei fuochi, ma prima (oculare
negativo, tipo Huygens) o dopo (oculare positivo, tipo Ramsden). A parte altre
ragioni piu complesse c'e per questo una ragione banale: una super cie ottica nel
piano dell'immagine reale raccoglie granuli di polvere, peluzzi, ecc. che vengono
visti a fuoco (e ingranditi) disturbando molto l'osservazione. Questo non accade
se la super cie della lente di campo e \fuori fuoco."

O5{7
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O6. Le aberrazioni

E il momento di ricordare ulteriormente che tutto quanto detto nora sui


sistemi ottici vale nell'approssimazione di Gauss, per la quale sono richieste due
ben distinte condizioni:
1) che i raggi incidenti siano a piccola distanza dall'asse;
2) che si operi a piccole vergenze.
Questo si puo anche esprimere dicendo che sia l'apertura (p.e.) del sistema che
l'angolo di campo debbono essere piccoli.
E facile vedere con esempi concreti come le due cose siano distinte:
{ al microscopio l'oggetto in esame e sempre praticamente sull'asse ottico per
cui l'angolo di campo e piccolo; invece il diametro pe e dello stesso ordine
di grandezza della focale dell'obiettivo ( g. O6{1);
{ nel caso delle comuni lenti da occhiali l'apertura e piccola (pupilla dell'oc-
chio), ma l'angolo di campo e molto grande ( g. O6{2);
{ in un obiettivo fotogra co, che dev'essere molto aperto e deve avere anche
un angolo di campo grande, cadono tutte e due le ipotesi: questo infatti e
il caso piu dicile per il progettista.

Fig. O6-1 Fig. O6-2

Sviluppo in serie dell'aberrazione trasversale

Ci proponiamo adesso di ana- P p.e.


lizzare il comportamento di un si- P
stema ottico centrato, in condi- y P 1

zioni in cui non sia legittimo l'u- O x Q


q u

so dell'approssimazione di Gauss.
u
y
In g. O6{3 e mostrato un raggio P 1
P
uscente da un punto P a distan- P
za y dall'asse ottico, che interseca Fig. O6-3
la p.e. a distanza q dal centro. Lo
stesso raggio, oltre il sistema ottico, interseca un piano  nel punto P a distan-
0 0

za y dall'asse.
0

Essendo q = y , x tg u (con x = OQ ssato) e chiaro che y puo essere vista


0

come una funzione di y e di q; anche tale funzione e lineare in approssimazione di


O6{1
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Gauss, cioe quando y e q siano sucientemente piccole. Questo fatto suggerisce
uno sviluppo in serie, per cui scriveremo:
y0 = f (y; q) = ay + bq + cy2 + dyq + eq2 + fy3 +    :
Dalla simmetria del sistema per rotazioni attorno all'asse ottico si ha (per
rotazione di 180 ) che il raggio P Q , simmetrico di PQ, deve uscire per P 0 , sim-
metrico di P0 ; quindi
f (,y; ,q) = ,f (y; q)
cioe f e funzione dispari dei due argomenti. Ne segue che lo sviluppo precedente
e limitato ai soli termini dispari e si scrivera:
y0 = ay + bq + cy3 + dy2 q + eyq2 + fq3 + O(5)
dove la notazione O(n), che useremo anche in seguito, sta a indicare termini di
ordine maggiore o uguale a n in y e q.
Se y e q sono tali che lo sviluppo si possa troncare con suciente appros-
simazione ai primi due termini, ritroviamo la dipendenza lineare di y0 da y e q,
propria dell'approssimazione di Gauss.
Per vedere il signi cato di a e b consideriamo tre casi possibili:
1. Se b = 0 avremo y0 = ay, che mostra come tutti i raggi uscenti da P
convergono in P0 : dunque in questo caso P0 e l'immagine gaussiana di P,
e 0 e il piano coniugato di .
2. Se invece a = 0 abbiamo y0 = bq e P0 risulta essere l'immagine gaussiana
del punto Q della p.e.; cio accade se e solo se il piano 0 coincide con la p.u.
del sistema.
3. In ne nel caso in cui a 6= 0 e b 6= 0 il piano 0 non coincide ne col piano im-
magine, ne con la p.u., ma e facile mostrare come un idoneo spostamento x0
di tale piano ci riporta in una delle situazioni precedenti.
Possiamo porre u0 = my + nq. Detta poi y0 l'ordinata di P0 nel piano
spostato si ha:
y0 = y0 , u0 x0 = ay + bq , my x0 , nq x0 = (a , m x0 ) y + (b , n x0 ) q:
Se dunque vogliamo porci nel piano immagine bastera fare b , n x0 = 0, cioe
spostare il piano di x0 = b=n; in modo analogo, per spostarci sul piano della
p.u. occorrera un x0 = a=m.
Nel seguito supporremo sempre di essere nel piano 0 e indicheremo con P0?
l'immagine (gaussiana) di P.
Quando i termini di grado superiore al primo non sono trascurabili, essi
vengono trattati come correzioni ai termini gaussiani e in questo senso si parla di
aberrazioni (trasversali) introdotte dal sistema ottico. Esse vengono classi cate

O6{2
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in base al grado del prodotto y q , cioe all'ordine di approssimazione nello
sviluppo in serie. Le prime a comparire oltre l'approssimazione di Gauss sono
quelle del 3 ordine, dette aberrazioni di Seidel, le uniche che tratteremo in queste
lezioni. Ove pero questi termini siano piccoli, oppure y o q siano grandi, possono
risultare importanti le aberrazioni di 5 ordine e di ordine ancora superiore.
Aberrazioni di 3 ordine
Limitando dunque al 3 ordine lo sviluppo gia scritto della funzione f (y; q),
e utile distinguere, se possibile, l'e etto di ciascun termine separatamente dagli
altri. Per il momento ci limitiamo a qualche cenno: infatti una discussione
completa non si puo fare senza prendere in esame anche raggi non meridiani,
cioe non giacenti in piani passanti per l'asse ottico.
Nota: In questa discussione delle aberrazioni ci converra continuare a chiamare
\immagine" di una sorgente puntiforme la gura, o macchia, che si produce sullo
schermo (lastra fotogra ca), quale che sia la sua forma ed estensione.
1) Il termine cy3 non dipende da q: cio signi ca che tutti i raggi uscenti da P
convergono in un punto P0 = P0? a distanza dall'asse ottico
6

 
y0 = ay + cy3 = ay 1 + ac y2 :

In tali condizioni l'immagine di un punto e ancora un punto, ma si perde la


relazione di linearita tra y e y0 ; questo e equivalente a dire che l'ingrandimento
lineare (G = y0 =y) non e costante su tutto il campo, ma varia: aumentando
o diminuendo verso il bordo a seconda del segno di c=a.
Quest'aberrazione e denominata distorsione in quanto fa perdere il rapporto
di similitudine tra oggetto e immagine, produce cioe immagini distorte. Si trat-
ta ovviamente di un'aberrazione assai fastidiosa in ogni caso; essa complica la
riduzione dei dati, particolarmente nella determinazione delle posizioni dei corpi
celesti (astrometria).
Poiche il termine cy3 ha un peso sempre minore col decrescere di y, e chiaro
che riducendo il campo ( nestra d'ingresso) quest'aberrazione puo essere ridotta
no a livelli trascurabili; non si ottiene invece nessun vantaggio diaframmando
il sistema, in quanto tale operazione riduce solo i valori possibili di q, che non e
presente nel termine esaminato.
2) Per il termine fq3 si puo fare in modo analogo il discorso contrario: l'aber-
razione relativa a questo termine non varia cambiando il campo mentre puo
essere ridotta diminuendo q, cioe diaframmando.
Per farsi un'idea del tipo di aberrazione descritta dal termine fq3 , conside-
riamo il caso particolare di un oggetto all'in nito sull'asse. Avremo y0 = fq3 e
cio mostra che i raggi intersecano il piano focale in punti diversi a seconda della
loro distanza dall'asse ottico sulla p.e.: l'immagine non e puntiforme, ne si puo
ottenere puntiforme spostando il piano .
O6{3
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Quest'aberrazione e detta sferica (o aberrazione di sfericita) in quanto e
generalmente presente quando le super ci ottiche sono, come di solito, di forma
sferica, mentre puo essere eliminata, come vedremo, usando super ci asferiche
(es. paraboloidi o altre).
3) I restanti termini dipendono sia dal campo ( ), che dal diaframma ( ),
y q

e danno luogo a tre aberrazioni non facilmente interpretabili nel contesto


attuale: coma, astigmatismo e curvatura di campo. Per poterne dare una
descrizione chiara e corretta e necessario a rontare il problema da capo,
in termini piu generali.

Aberrazione delle super ci d'onda


Una discussione generale delle aberrazioni si fa meglio, anziche con i raggi,
basandosi sulle super ci d'iconale costante, gia de nite nel Cap. O2. Tali super-
ci che, come sappiamo, sono perpendicolari ai raggi, sono dette anche \super ci
d'onda," per motivi che appariranno chiari quando tratteremo dell'approssima-
zione (ondulatoria) di Huygens-Fresnel.

Dire che una sorgente pun-


tiforme produce un'immagine
puntiforme e come dire che in
uscita dal sistema ottico i raggi F
sono convergenti nell'immagine
e le super ci d'onda sono sfe-
re aventi l'immagine come cen- Fig. O6-4
tro. La deviazione delle super-
ci d'onda dalla forma sferica e
dunque associata allo sparpagliarsi dei raggi attorno all'immagine gaussiana, cioe
alle aberrazioni trasversali cui abbiamo gia accennato ( g. O6{4). Conviene pero
notare subito che la sfericita delle super ci d'onda e condizione necessaria ma
non suciente per garantire l'assenza di aberrazioni: si pensi alla distorsione,
che di per se non altera il carattere puntiforme delle immagini, ma ne determina
un cambiamento di posizione.
In g. O6{5 sia OO l'asse ottico del sistema in esame, che interseca nel-
0

l'ordine: in O il piano della sorgente P (piano oggetto ), in Q il piano della p.e.,


in Q il piano della p.u. e in O il piano dell'immagine gaussiana P?. Converra
0 0 0

descrivere lo spazio-oggetto e lo spazio-immagine riferendoli a due diverse terne


cartesiane O( x; y; z)eO(0 0
), come in gura.
0
x ;y ;z
0

O6{4
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P
z z
y y
x x
O Q Q O

ge
tto P gine
g e. . a
p.o p. p.u m m
p.i
Fig. O6-5

Solo in approssimazione di Gauss un generico g

raggio uscente da P passa per P? ; in realta esso in- 0



tersechera il piano in un punto P 6= P?, che
0
y z
0 0 0

varia a seconda del raggio considerato. Tra le super- Q d O


ci d'onda associate al fascio di raggi emergenti dal
sistema, prendiamo in esame quella, che denominere- M R
P
mo , contenente il punto Q , centro della p.u.; cor-
0

rispondentemente chiamiamo g la super cie d'on- M R P g

da che avremmo in approssimazione di Gauss. Per


quanto detto sopra, g e una super cie sferica pas- Fig. O6-6
sante per Q , centrata in P? e di raggio Q P? = ? ,
0 0 0 0
R
0

mentre  e una super cie per ora non meglio de nita, la cui deviazione da g
caratterizza la presenza delle aberrazioni ( g. O6{6). Indichiamo quindi con M
e Mg le intersezioni del raggio in esame rispettivamente con  e g. Il segmen-
to MMg, come gli altri analoghi, verra considerato orientato, con la convenzione
che sia MMg 0 se la super cie aberrata e indietro , in quel punto, rispetto a
>

quella \gaussiana" (come in gura).

L'aberrazione del cammino ottico


Quello che vogliamo adesso dimostrare e che la conoscenza della funzio-
ne  = (M Mg) = MMg ( e l'indice di rifrazione dell'ultimo mezzo)
W ;
0
n n
0

e suciente per la determinazione delle aberrazioni trasversali:  e detta aber-


razione del cammino ottico, in quanto misura appunto il cammino ottico tra la
super ce aberrata e quella gaussiana.
Per de nizione d'iconale si ha:

 = (M Mg ) = (P Mg ) , (P M) = (P Mg ) , (P Q )
W ; W ; W ; W ; W ;
0

O6{5
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poiche Q e M sono sulla stessa super cie d'onda  che ha W costante. Esplici-
0

tando le coordinate spaziali dei punti interessati, riferite al sistema O (x ; y ; z ), 0 0 0 0

Mg  ( ;  ;  ) 0 0 0

Q  (d ; 0; 0)
0 0
(d 0
< 0 in gura)
si scrivera
 = W (0; y; z;  ;  ;  ) , W (0; y; z; d ; 0; 0):
0 0 0 0

Fissato il punto P, oltre che la posizione dei piani di g. O6{5,  rimane


funzione di  ;  ;  ; anzi di due sole di esse dato che Mg e un punto della sfera g
0 0 0

de nita dall'equazione:
0
2
+ ( , y? )2 + ( , z? )2 = R?2
0 0 0 0 0
(O6.1)
che consente ad esempio di ricavare  =  ( ;  ). Si noti che  contiene an- 0 0 0 0 0

che y? ; z? e R? che tuttavia2 non sono


0 0 0
variabili indipendenti. Infatti essen-
do y? = Gy, z? = Gz e R? = d 2 + G2 (y2 + z2), esse risultano ssate col
0 0 0 0

punto P. Dunque si puo senz'altro porre  = ( ;  ). 0 0

Derivando rispetto a  e  si ha: 0 0

@
@ 0
= @W
@
+ @W
@ 0 0
@ 0
@ 0
@
@ 0
= @W
@
+ @W
@ 0 0
@ 0
@ 0
:

Le derivate di W si trovano immediatamente dall'equazione r


~ W = n~ (O2.12)
applicata al punto Mg :
@W 0
@ 0
= n x = ,n
0 0

R0
@W
= n y = n
0 0
y0 , 0

con R0 = Mg P :
0

@ 0 R0
@W
= n z = n
0 0
z0 , 0

@ 0 R0

Di erenziando l'equazione (O6.1) della sfera g si trova poi:


@ 0
= y? , 
0 0

@ 0 0

@
= z? , 
0 0 0

@ 0 0

O6{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
e si ottiene in ne:
@
= n0 y R,0  , n0 y? R,0  = Rn 0 (y0 , y?0 )
0 0 0 0 0

@ 0
(O6.2)
@
=n 0 z
0 ,  0 , n0 z?0 ,  0 = n0
(z , )
0
z?0 :
@ 0 R0 R0 R0

Le due equazioni possono essere scritte in forma vettoriale (vettori bidimen-


sionali), ponendo
~r 0  (y 0 ; z 0 ) ~r 0?  (y?0 ; z?0 ) ~%0  ( 0 ;  0 )
 @ @

r
~%  0
@ 0
;
@ 0
e si ottiene quindi: 0
~r0 = ~r0? + Rn0 r
~ % : 0 (O6.3)

Sviluppo in serie dell'aberrazione del cammino ottico


La relazione (O6.3) non e immediatamente utilizzabile per ricavare ~r0
da (0 ;  0 ) in quanto anche R0 contiene le incognite y0 e z0 . Se cos non fosse
avremmo trovato una soluzione esatta al problema delle aberrazioni; occorre-
ra invece procedere come prima, sviluppando in serie la funzione . Infatti
per  ! 0 anche ~r0 ! ~r0? , cioe le aberrazioni diventano trascurabili.
Cosa si puo dire della funzione (y; z; 0 ;  0 ) in generale? Osserviamo anzi-
tutto che per Mg = Q0 la funzione si deve annullare e dunque (y; z; 0; 0) = 0.
Se poi cambiamo segno a tutte le coordinate, il cammino ottico non cambia:
lo sviluppo in serie di  potra quindi contenere solo termini di grado pari. In-
ne, per la simmetria di rotazione del sistema ottico centrato,  dipende dalle
variabili dette solo attraverso funzioni scalari di ~r  (y; z) e ~%0  (0 ;  0): poiche
di queste funzioni ne esistono solo tre indipendenti, j~r0 j2, j~%0 j2 (che scriveremo
piu semplicemente r0 2 e %0 2) e ~r  ~%0 , lo sviluppo della  sara del tipo:
 = 0 + ar2 + b~r  ~%0 + c%02 +
dr4 + e%0 + f (~r  ~%0 )2 + gr2 %0 + hr2 (~r  ~%0 ) + k%0 (~r  ~%0 ) + O(6):
4 2 2

La condizione (y; z; 0; 0) = 0 richiede di porre 0 = a = d = 0. Per motivi


che saranno chiari nel seguito i coecienti dei termini di 4 ordine vengono scritti
in modo alquanto diverso e lo sviluppo si presenta in questa forma:
 = b~r  ~%0 + c%02 ,
4 B% , C (~r  ~ %0 )2 , 12 D r2 %0 + E r2 (~r  ~%0 ) + F %0 (~r  ~%0 ) + O(6):
1 04 2 2

O6{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Si puo vedere immediatamente che i termini di 2 ordine non rappresentano delle
aberrazioni, dato che dalle (O6.2), derivando la , si ottengono termini di 1
ordine che con la scelta fatta di P0? sono identicamente nulli.
Per dimostrarlo, teniamo presente che R0 = ,d0 + termini in nitesimi, per
cui dalla (O6.3) si ottiene:
0
= ~r0? + ~r0 = ~r0? , nd0 (b~r + 2c~%0 ):
~r0

Consideriamo solo il primo termine: se G e l'ingrandimento del sistema in ap-


prossimazione di Gauss, sara ~r0? = G~r. Ne segue
 d0 
~r = G , 0 b ~r = G~
0  r:
n
La relazione di linearita tra ~r ed indica che ~r0 e l'immagine gaussiana e deve
~r 0
quindi coincidere con ~r0? . Ne segue G = G e b = 0.
Supponiamo ora che sia c 6= 0. La proporzionalita tra ~r0 e ~%0 implica che
debba esistere su un diverso piano un punto P00 ( g. O6{7) in cui convergono
tutti i raggi. Dalla proporzione
r0 0

%0
= ,d0x+ x0 (d0 < 0 in gura!)
si trova che tale piano e spostato rispetto a quello di P0? della quantita
x =
0 2 2
cd0 =n0
1 + 2cd0 =n0 :
Questo resta vero anche per %0 ! 0 e dunque si tratta di un piano d'immagini
gaussiane: poiche pero esiste un unico piano immagine in approssimazione di
Gauss, i due piani devono coincidere e deve quindi essere c = 0.

P x r x

r x
P x
P

d<0
d<0

p.u.
p.u.

Fig. O6-7 Fig. O6-8

O6{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Ci sara utile nel seguito ricordare che spostando il piano immagine di una
quantita x0 (che supponiamo in nitesima rispetto a d0 ) s'introduce un termine
di \sfocamento" proporzionale a ~%0 ( g. O6{8):
0
(~r0 )s = x
d0
~%0 : (O6.4)
,  , 
Questo corrisponde nella  a un termine n0 x0 %0 2 = 2d0 2 .
I termini in  che veramente rappresentano aberrazioni sono quindi quelli
successivi: in primo luogo i 5 termini del 4 ordine, che corrispondono ai 5 tipi
gia citati, le aberrazioni di Seidel. Derivando questi termini si ritrovano infatti
le aberrazioni trasversali del 3 ordine che avevamo gia preso in considerazione.
A questo punto riesce piu chiaro come si supera l'ostacolo rappresentato
da R0 : intanto e
2
R0
2
= MgP0 = 0 2 + (0 , y0 )2 + ( 0 , z0 )2: (O6.5)
Poiche pero Mg e sulla sfera g , come pure Q0 , avremo:
0
2
+ (0 , y?0 )2 + ( 0 , z?0 )2 = d0 2 + y?0 2 + z?0 2
da cui
0
2
= d0 2 , 0 2 + 20y?0 ,  0 2 + 2 0z?0
e sostituendo nella (O6.5)
R0
2
= d0 2 + y0 2 + z0 2 , 20 (y0 , y?0 ) , 2 0 (z0 , z?0 ) = d0 2 + r0 2 , 2~%0  ~r0 :
Nello spirito dello sviluppo in serie della , ~r e ~%0 devono essere pensati
in nitesimi di 1 ordine (e di conseguenza anche ~r0 e ~r0? ): ne segue che mentre d0 2
e un termine nito, r0 2 e di 2 ordine, ~r0 e almeno di 3 ordine e quindi ~%0  ~r0
e almeno di 4 ordine.
Se dunque siamo interessati solo allo studio delle aberrazioni di Seidel (3 or-
dine), nelle (O6.2) e (O6.3) si potra porre tranquillamente R0 = ,d0 in quanto
i successivi termini danno contributo solo a partire dal 5 ordine al prodot-
to R0 r
~ % .0

Riassumendo, dobbiamo calcolare:


@
0
y0 , y?0 = , nd0 @ 0

@
0
z0 , z?0 = , nd0 @ 0

O6{9
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
ovvero
= , nd r
0

~r 0 ~%  0
0

con
 = , 14 B% 4 , C (~r  ~% )2 , 12 D r2 % 2 + E r2 (~r  ~% ) + F % 2(~r  ~% ):
0 0 0 0 0 0

Il gradiente delle varie funzioni di ~% si calcola0


facilmente, eventualmente
ricorrendo alle coordinate cartesiane, posto che % =  +  . Si ottiene:
2 2 2 0 0 0

n h io
= , nd ,B% 2~% , 2C (~r  ~% )~r , D r2~% + E r2~r + F 
0

%0 ~r + 2(~r ~%0 ) ~%0


2
~r0 0
0 0 0 0
:

O6{10
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
O7. Le aberrazioni di Seidel

Esamineremo adesso i singoli termini, ciascuno dei quali corrisponde a una


diversa aberrazione: per ognuno costruiremo l'immagine di una sorgente punti-
forme nel piano immagine ed eventualmente su una diversa super cie, studian-
done la dipendenza dalla posizione della sorgente (e quindi dal campo) e dal-
l'apertura del sistema. Per ogni aberrazione una gura mostrera i vettori che
intervengono nelle varie relazioni e di cui ricordiamo brevemente il signi cato:
~r 
e la posizione della sorgente nel piano oggetto; il massimo valore di ~r j j

da quindi il campo osservato;


~r ? = G~r 
0
e la posizione dell'immagine gaussiana nel piano immagine (nelle
gure si pone per comodita G = 1);
~% rappresenta l'intersezione di un particolare raggio col piano della p.u.; il pun-
0

to intersezione e coniugato di un punto del piano della p.e., per cui il mas-
simo di ~% da l'apertura del sistema ottico, a meno di un fattore di pro-
j
0
j

porzionalita);
~r 
0
e lo scostamento dello stesso raggio dal punto P? sul piano immagine: l'in-
0

tersezione e ettiva di tale raggio col piano immagine sara data dal vetto-
re ~r? + ~r .
0 0

La zona ombreggiata mostra la gura prodotta da tutti i raggi che passano entro
la corrispondente zona sul piano della p.u.

1. Aberrazione sferica
d0
(~r )sf =
0 2
B %0 ~%0 :
n0
La gura dell'aberrazione sferica ( g. O7{1) | o piu brevemente l'aberrazione
sferica | non dipende da ~r: e dunque presente in tutto il campo e uguale
ovunque. Da luogo a una macchia circolare di raggio proporzionale a % 3 e viene 0

quindi drasticamente ridotta riducendo il diaframma: un fattore 2 nel diaframma


riduce di un fattore 8 le dimensioni dell'immagine aberrata.
p.ogg. p.u. p.imm. r
r1 r1

O Q O
r2 r2
r

Fig. O7-1

O7{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Considerando soltanto i raggi passanti per una sottile corona circolare della
p.u. (che dunque hanno % costante) quest'aberrazione puo essere vista come
0

un'errata messa a fuoco, essendo ~r proporzionale a ~% . Lo spostamento del


0 0

piano immagine richiesto per ottenere la messa a fuoco su tali raggi sara, per
la (O6{4):
2
x = ,0
d 0

B%
2 da cui0
x / j~r j
2=3 : 0 0

n 0

Per questo motivo il fuoco gaussiano si chiama anche fuoco parassiale, men-
tre quello dei raggi marginali si dice fuoco marginale (Fp e Fm in g. O7{2).
Naturalmente non esiste nessun piano in cui l'immagine sia puntiforme: una
sezione assiale del fascio di raggi dal sistema e mostrata in g. O7{2, nei due
casi B  0.

Fp Fp

Fm Fm

B>0 B<0

Fig. O7-2
Nel caso di una lente semplice, o di uno specchio sferico, si ha B > 0:
si parla in questo caso di aberrazione sferica sottocorretta ; se B < 0 si dice
invece sovracorretta.

2. Distorsione

(~r )di = , nd E r2~r


0
0
0

p.ogg. p.u. p.imm. r

r1 r1
O Q O
r2 r2
r

Fig. O7-3
O7{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Al contrario del caso precedente, qui ( g. O7{3) la distorsione non dipende
da ~% e come tale non si riduce diaframmando il sistema. Essa invece dipende
0

dal campo e si riduce rapidamente restringendosi a una regione vicina all'asse


ottico.
L'immagine rimane puntiforme, ma e spostata di una quantita proporzionale
a r3 : ne segue che le immagini risultano ancora a fuoco, ma distorte. Riprodu-
cendo ad es. un quadrato il cui centro sia sull'asse ottico, poiche lungo il lato la
distanza tra il perimetro e il centro varia, otterremo le immagini di g. O7{4,
a seconda che sia d E  0: tali immagini hanno dato il nome ai due tipi di distor-
0

sione, rispettivamente detti \a cuscinetto" e \a barilotto." Quest'aberrazione e


ben visibile ad es. nelle comuni lenti d'ingrandimento.
La distorsione puo essere vi-
sta come una variazione progres-
siva dell'ingrandimento con l'au-
mentare del campo: detto G l'in-
grandimento gaussiano, l'ingran-
dimento e ettivo G sara invece
Fig. O7-4

 (r ) = G , nd
0

G 0
E r2 :

Osservazione : Notiamo ora che i restanti tre termini sono funzione sia di ~% che 0

di ~r e quindi corrispondono ad aberrazioni che si possono ridurre sia diafram-


mando che riducendo il campo. In particolare se ci si limita a uno stretto fascio
attorno al raggio principale (passante per Q ) si ottiene l'immagine gaussiana:
0

nel seguito converra dunque ricordare che la posizione di P? e individuata dal- 0

l'intersezione del raggio principale con la super cie di volta in volta considerata.
3. Coma  
d0
(~r )co = , n
0
0
F % ~r + 2(~r ~% ) ~% :
0 2
 0 0

E un'aberrazione extra-assiale, cioe presente solo fuori dell'asse ottico, come la2
distorsione. E proporzionale a r e dunque cresce linearmente col campo, e a % 0

cioe quadraticamente con l'apertura del sistema.


Detti rispettivamente ~u e ~v i versori di ~r e ~% ( g. O7{5) si puo scrivere:
0

2 , 
(~r )co = , nd 
0
0
0
F %0 r ~u + 2(~u ~v ) ~v :

Fissato ~r e variando ~% su una circonferenza, cioe considerando i raggi che pas-


0

sano per una stretta corona circolare sulla p.u., si ottiene come immagine una
circonferenza eccentrica rispetto a P? e il cui diametro e pari alla
0
distanza tra il
suo centro e P? : diametro e distanza sono proporzionali a r% .
0 2 0

O7{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
p.ogg. p.u. p.imm.
r 2u
u
r1
r1
r2 r2 v
O Q O

Fig. O7-5

Infatti (2~u ~v) ~v e la proiezione del vettore 2~u sul versore ~v. L'angolo RS^T


e retto e dunque il punto S descrive una circonferenza al variare di ~v. Si noti


che (~r )co non dipende dal verso di ~% : percio i raggi che nella p.u. passano
0 0

per i punti A,B,: : : H ( g. O7{6 a sinistra) passeranno per i corrispondenti pun-


ti A ; B ; : : : H dell'immagine (al centro). In altre parole, raggi che sulla p.u.
0 0 0

passano per punti diametralmente opposti, convergono in uno stesso punto sul
piano gaussiano.
Considerando adesso tutta la p.u. come formata da tante corone concentri-
che, ognuna di esse2 produce un'immagine simile alla precedente, di dimensioni
proporzionali a % , cioe sempre piu vicina all'immagine gaussiana quanto piu
0

piccolo e % . L'e etto complessivo e quello di un'immagine puntiforme corredata


0

da una \chioma" (da cui il nome coma ) come in g. O7{6, a destra. La \chioma"
e diretta radialmente verso l'esterno se d F < 0 (si parla allora di coma positivo ),
0

verso l'interno se d F > 0. 0

r=ru
B B=F u
C A
A=E

D
H
r
C=G
E G
F D=H

P P
Fig. O7-6

Anche quest'aberrazione e molto fastidiosa, perche rende problematico, spe-


cie quando si combina con altri difetti dell' immagine, individuare il punto esatto
da cui prendere una misura.
O7{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
4. Curvatura di campo
(~r )cc = nd
0
0
0
D r2~%0 :

Quest'aberrazione ( g. O7{7) puo essere vista come un difetto di messa a


fuoco (termine proporzionale a ~% ) non uniforme su tutto il campo, ma variabile
0

con r2 .
p.ogg. p.u. p.imm. r1
r1 r1

O Q O
r2 r2
r2

Fig. O7-7

Infatti, come abbiamo visto (O6.4), uno spostamento del piano immagine
produce un (~r )s = x ~% =d , che cancella l'aberrazione considerata se si po-
0 0 0 0

ne (~r )s + (~r )cc = 0, cioe


0 0

x0
+ nd
0

d0
~%0 0
D r2~%0 =0
da cui
2
= , dn
0

x0 0
D r2 :

Poiche x dipende da r e ovvio che co-


0

munque sia situato il piano immagine, solo


alcune parti del campo risulteranno a fuoco, r
mentre altre saranno sfocate: per ottenere 2R
una messa a fuoco corretta su tutto il campo x
occorre rinunciare a un piano e ricorrere a R
una super cie curva.
E facile vedere che nell'approssimazione Fig. O7-8
di Seidel nora considerata tale super cie e
sferica. Infatti per una super cie sferica di raggio R (positivo in g. O7{8) si
puo scrivere:

r?0
2
= x (2R , x ) ' 2R x
0 0 0

O7{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
da cui 02 2
x0 = r2?R = 2GR r2
corretta no al 3 ordine in r. Dunque la curvatura necessaria per una corretta
messa a fuoco su tutto il campo si ottiene ponendo:
G2
= , d0
2
D ) 1 = , 2d0 2 D:
2R n0 R n0 G 2

5. Astigmatismo
(~r0 )as = 2nd0
0

C (~r ~%0 )~r:

Ponendo ~ = ~r=r e ~ versore normale a ~ , scriviamo


~%0 = %k ~ + %? ~
:

L'aberrazione in esame sara allora:


(~r0 ) = 2d C r2 % ~ :
0
as k
n0

p.ogg. p.u. p.imm. r

r
O O r
Q

Fig. O7-9

Se consideriamo solo i raggi che sulla p.u.


passano attraverso una sottile striscia perpen-
dicolare a ~r ( g. O7{9), cioe tali da avere tutti
la stessa componente %k, per essi ~r0 e costan-
te e dunque focalizzano in un punto allineato
con ~r0? , ma a distanza proporzionale a r2 %k dal-
l'immagine gaussiana. Fig. O7-10

Prendendo altre strisce con diversi valori di %k si ottengono altre immagini


puntiformi, allineate in direzione radiale, cosicche l'immagine prodotta dall'in-
tera apertura del sistema e un segmento radiale, centrato sull'immagine gaus-
siana P0? . In g. O7{10 e mostrato (esagerando l'e etto!) come apparirebbe
l'immagine di un insieme di sorgenti puntiformi poste in diversi punti del campo.
O7{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Cosa accade invece se consideriamo una sottile striscia della p.u. parallela
a ~r, formata cioe da punti aventi tutti la stessa componente % ( g. O7{11)? ?

Chiaramente tali raggi non focalizzano in uno stesso punto del piano gaussiano.
Se ci spostiamo di x avremo: 0

p.ogg. p.u. p.imm.


r

r
O r
O
Q

Fig. O7-11

 x 
(~r )as = 2nd x0
+ 2d + x
0 0 0 0
0
0
C %k r ~2
+ d0
(% ~ + % ~ ) =
k ?
d0 n0
Cr 2
%k~
d0
%?~
:

Poiche adesso i raggi hanno % costante, focalizzano in uno stesso punto se e solo
?

se il primo termine e identicamente nullo, cioe per


= , 2nd (~r )as = , 2nd
0 2 0

x0 0
C r2 da cui 0
0
C r2 %?~
:

Ancora una volta, per ottenere la messa a fuoco su tutto il campo occorre
una super cie sferica anziche piana, di curvatura
1 = , 4d 2 C: 0

R n G2 0

Al variare di % si ottiene poi un segmento perpendi-


?

colare a ~r, centrato sul raggio principale. Su tale super -


cie l'immagine delle sorgenti di g. O7{10 apparira come
in g. O7{12.
Le due super ci considerate hanno due nomi in rife-
rimento al modo come risultano disposte le immagini: la
prima, dove focalizzano i raggi con % costante e detta su- k

per cie sagittale ; la seconda, dove focalizzano quelli con % Fig. O7-12
?

costante, si chiama tangenziale. La super cie tangenziale inoltre non e piana ma


curva: c'e un legame con la curvatura di campo?
Per la verita le ultime due aberrazioni discusse, avendo la stessa dipenden-
za (r2 % ), dovrebbero essere trattate insieme, poiche solitamente i due e etti
0

sono inscindibili.
O7{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Mantenendo per il momento ssato ~r, poniamoci su un piano spostato di x 0

dal piano immagine gaussiano. Avremo:


~r 0 = (~r )as + (~r )cc + (~r )s
0 0 0

   
d0 x0 d0 x0
= n0
(2C + ) +
D r2
d0
%k~ + n0
D r2 + d0
%?~


= A % ~ + B %
k ? ~


avendo posto, come prima, ~% = % ~ + % ~ . 0


k ?

Essendo ora C 6= 0 sara anche A 6= B e dunque se ~% descrive una cir- 0

conferenza, ~r descrivera un'ellisse sempre centrata sul raggio principale. Tale
0

ellisse puo degenerare in un segmento se uno dei coecienti A o B si annul-


la. Piu precisamente se e x = ,(d 2=n )(2C + D) r2 si ha A = 0 e dunque
0 0 0

il segmento immagine e perpendicolare a ~r (super cie tangenziale); viceversa se


poniamo x = ,(d 2=n )D r2 si ha B = 0 e il segmento e parallelo a ~r (super cie
0 0 0

sagittale), come nelle g. O7{11 e 12.


Dunque spostando il piano considerato le immagini, formate da segmenti
tra loro perpendicolari sulle super ci sagittale e tangenziale, assumono forma
ellittica nel passaggio da una super cie all'altra: tali sono le sezioni di un fascio
astigmatico con diversi piani paralleli ( g. O7{13). Solo nel caso C = 0 (anche
con D 6= 0) le immagini sono puntiformi, perche le due super ci coincidono:
si parla allora solo di curvatura di campo.

p
sagiano
itta
le
tanpiano
ge
nzi
ale
p.u.

Fig. O7-13
O7{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
La dipendenza di x0 da r2 mostra, come si e gia visto, che tali super ci
sono curve e le curvature si possono determinare come abbiamo fatto preceden-
temente. Si ottiene rispettivamente per la super cie sagittale e tangenziale:
1 = , 2d02 D 1 = , 2d02 (2C + D):
Rs n0 G 2 Rt n0 G2

Col termine astigmatismo (C 6= 0) s'indica tangenziale


l'esistenza di due super ci distinte: sagittale e tan-
genziale (almeno una delle due necessariamente
curva). Che cosa in tal caso si debba chiamare
\curvatura di campo" e con quale parametro mi-
surarla e solo questione di convenzione.
Usando invece, in presenza di astigmatismo,
un'unica super cie piana (ad es. nel caso di una sagittale
lastra fotogra ca) essa intersechera le due super ci
sagittale e tangenziale in punti diversi del campo Fig. O7-14
e di conseguenza le immagini saranno di forme varie ( g. O7{14).
Metodi di calcolo dell'aberrazione

Come vedremo tra poco su qualche esempio, e abbastanza semplice calcolare


le aberrazioni di Seidel per una singola lente o per uno specchio; ma per un
sistema formato da molte lenti il lavoro si complicherebbe assai, se non valesse
un'importante proprieta: le aberrazioni di Seidel in un sistema composto sono
additive. Piu esattamente, se un sistema ottico e costituito di due parti A e B
in serie, l'aberrazione del cammino ottico per il sistema composto e, a meno di
termini di 6 ordine, la somma delle aberrazioni A e B delle due parti:
 = A + B + O(6):
Infatti: le aberrazioni dei due sistemi componenti si ottengono partendo da
sorgenti puntiformi, cioe da onde sferiche. Per il sistema B non siamo esatta-
mente in questa condizione perche la sua sorgente, che e l'immagine aberrata
prodotta da A, non e puntiforme; in altre parole, la super cie entrante in B
non e sferica, ma ne di erisce appunto per la quantita A (in nitesima del 4
ordine). Ne segue che l'ulteriore aberrazione del cammino ottico prodotta dal
sistema B non e esattamente B; tuttavia di erisce da B solo per termini di
ordine superiore (dal 6 in poi).
Un altro risultato importante valido in approssimazione di Seidel e che per
calcolare l'aberrazione del cammino ottico non e necessario conoscere il raggio
vero tra la sorgente P e l'immagine P0 , ma basta fare il calcolo sul raggio gaus-
siano. Vale infatti il seguente
Teorema:
W (P; P0 )g = W (P; P0 )v + O(6):

O7{9
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Dim.: Per il teorema di Fermat, il raggio vero e quello relativo al minimo cam-
mino ottico tra P e P0 ; il cammino ottico di un raggio diverso (ad es. quello
gaussiano) di erisce da quello vero solo al 2 ordine nello scostamento massi-
mo  dei due raggi:
Wg , Wv = O( 2 ):

Poiche nel nostro caso P0 , P0? e del 3 ordine rispetto a r e %0 , (y, q nella
sezione meridiana) lo stesso vale per lo scostamento massimo: ne segue che la
di erenza Wg , Wv e almeno del 6 ordine (e quindi trascurabile se ci si limita
al 4 ordine).
Corollario: L'aberrazione  del cammino ottico al 4
ordine si puo calcolare come segue:
g

 = W (PMg P0? )g , W (PQ0 P0? )g Q O

cioe come di erenza di cammino ottico tra il raggio M


gaussiano marginale (passante per Mg) e quello prin- P
cipale (passante per Q0 ). Mg
P
Dim.: Essendo W (P; Q0 )v = W (P; M)v e W (Mg ; P0? )g = Fig. O7-15
W (Q0 ; P0? )g ( g. O7{15) si ottiene:

W (PMg P0? )g , W (PQ0 P0? )g =


W (P; Mg )g + W (Mg ; P0? )g , W (P; Q0 )g , W (Q0 ; P0? )g =
W (P; Mg )v , W (P; Q0 )v + O(6) =
W (P; M)v + W (M; Mg )v , W (P; Q0 )v + O(6) =
W (M; Mg )v + O(6) =  + O(6):

Come primo esempio semplice, calcoliamo l'a- paraboloide


berrazione sferica di uno specchio parabolico e di P 1 N
uno sferico, ponendo la sorgente all'in nito sull'asse M
B
ottico. g

In assenza di ulteriori diaframmi la limitazione P P


0 Q A
del fascio dei raggi incidenti e data dalle dimensioni g

dello specchio; dunque la p.u. (che coincide con la d


p.e.) e sul piano tangente al vertice dello specchio.
Utilizziamo il corollario appena dimostrato con- Fig. O7-16
siderando come raggio marginale quello passante per
i punti N, sullo specchio, e Mg, sulla super cie g , mentre il raggio principale e
quello lungo l'asse ottico per Q0 ; inoltre, essendo il punto P all'in nito, si pos-
sono utilizzare i punti P1 e P0 sulla stessa super cie d'onda (piana) come in
g. O7{16. Calcoliamo dunque
 = W (P1 NP0? ) , W (P0Q0 P0? ) = (P1 N + NP0? ) , (P0Q0 + Q0P0? )
O7{10
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
(si e posto n0 = 1). Se la super cie e un paraboloide, detta d la direttrice,
avremo:
 = (P1 N + NB) , (P0Q + Q A) = P1B , P0 A = 0: 0 0

Dunque uno specchio parabolico non ha aberrazione sferica. Si osservi che, come
noto, questo risultato e valido a ogni ordine.
Consideriamo adesso uno specchio sferico aven- specchio paraboloide

te la stessa curvatura del precedente nel punto Q P


sferico
N
0
1

(R = 2 Q P? ) cosicche il fuoco gaussiano coincide


0 0
P N
con il precedente. La super cie sferica dello spec-
2

M g
R
chio risultera compresa tra il paraboloide e la g g

( g. O7{17); assunto come raggio marginale quello P


per P2 e N , e ora chiaro che
0
P
Q
0

Fig. O7-17
W (P2 N0 P0? ) < W (P1 NP0? ) = W (P0Q P? ) 0 0

da cui  < 0. A conti fatti, l'aberrazione del cammino ottico si potra scrivere
 = , 14 B 4 con B > 0 ; nel nostro caso risulta

B = R13 = 8f1 3 : (O7.1)

Avremo poi
, y? = , nd @@ = ,B 3 = , 2R2
0 3
y0 0
0

essendo d = ,R=2. Ne risulta che y < 0 per  > 0 e viceversa.


0 0

Altro esempio semplice e quello della lente piano-convessa ( g. O7{18). Pro-


cedendo come sopra abbiamo:
 = (P1N1 + n N1 Q1 + Q1P? ) , (P0 N0 + n N0 Q0 + Q0P? )
0 0

= ,n (N0 Q0 , N1Q1 ) + (Q1P? , Q0P? ): 0 0

Posto N0 Q0 = d, Q0P? = a, se facciamo 0

r ! P1 N1 Q1

N1 Q1 = d , n +1 1 a2 +
n+1 2
n,1
 ,a
d a
P0 N0 Q0 P
risulta identicamente  = 0 e la lente non ha aber-
razione sferica di Seidel. Si veri ca che la super -
cie risultante e un iperboloide. Se invece la super-
cie e sferica, si ha sempre  < 0. Fig. O7-18

O7{11
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Il telescopio di Schmidt
Per la fotogra a astronomica a grande campo le aberrazioni piu fastidiose
sono coma e astigmatismo, e purtroppo il semplice specchio parabolico, che come
abbiamo visto e esente da aberrazione sferica, le possiede entrambe in misura
notevole. Nel corso degli anni sono stati escogitati diversi sistemi per eliminare
o ridurre l'inconveniente, ricorrendo di regola a combinazioni di lenti e specchi
(sistemi catadiottrici ), di cui qui non possiamo occuparci. E invece interessante
esaminare una soluzione semplice e ingegnosa, dovuta a B. Schmidt (1932).
Consideriamo uno specchio sferico, e
supponiamo che il diaframma venga inse-
rito in un piano per il centro di curvatu-
ra ( g. O7{19). Dato che lo specchio e
sferico, ogni retta passante per il centro P
puo essere presa come asse ottico; ne se-
gue che lo specchio si comporta in ugual C
modo per la luce proveniente da tutte le F
direzioni (salvo il fatto che per vergenze
p

non nulle la sezione del fascio e ellittica).


Cio basta, senza necessita di calco-
li, per assicurare che il sistema non avra Fig. O7-19
aberrazioni dipendenti da ~r, come il coma
e l'astigmatismo: se infatti la sorgente si trova in P, basta pensare come asse
ottico la retta PC. Se la sorgente e all'in nito, i raggi entranti saranno tutti
paralleli (con la stessa vergenza) e dopo la ri essione convergeranno verso il fuo-
co parassiale Fp. Sara pero presente l'aberrazione sferica, come sempre in uno
0

specchio sferico.
Si noti inoltre che il punto Fp e sempre a distanza da Q pari a meta del
0

raggio di curvatura R dello specchio: percio i vari fuochi parassiali per le diverse
vergenze si dispongono su una super cie sferica con centro in Q e raggio R=2.
Cio equivale a dire che il sistema e anche a etto da curvatura di campo.
Abbiamo visto che l'aberrazione sferica di uno specchio sferico e data, in ter-
mini di cammino ottico, dalla (O7.1), la quale ci dice che il cammino ottico dei
raggi marginali e minore di quello del raggio principale. Se dunque facciamo
in modo che i raggi marginali subiscano un ritardo corrispondente, avremo an-
nullato l'aberrazione sferica. Allo scopo, basta inserire nel piano del diaframma
una lastra di vetro sagomata in modo da produrre questa di erenza di cammi-
no ottico. Cio si ottiene per es. se la lastra ( g. O7{20, a sinistra, di spessore
volutamente esagerato) ha una faccia piana e l'altra di equazione
4
 = nB, 1 (O7.2)

O7{12
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
La forma cos ottenuta e poco pratica, perche lo spesso-
re aumenta molto rapidamente dal centro al bordo; la si puo
rendere piu comoda aggiungendo alla (O7.2) un termine pro-
porzionale a 2:
=
1 (B 4 , b 2): (O7.3)
n,1
Sappiamo infatti che cio corrisponde solo a una sfocatu-
ra (O6.4)
x0 = , 21 R2 b = ,2f 2 b :

Sostituendo nella (O7.3) l'espressione di B ricavata per


uno specchio sferico (O7.1), in funzione della focale f ed espri-
mendo b in termini di f e della sfocatura x0 , l'equazione della
lastra correttrice (O7.3) si scrive:
  Fig. O7-20

=
1 1 4 , x 2 0

n , 1 32f 3 2f 2
( g. O7{20, a destra).
Riepilogando: coma e astigmatismo sono assenti per costruzione; l'aber-
razione sferica e eliminata dalla lastra correttrice. L'aberrazione cromatica
(v. Cap. O8) e assente per uno specchio: sopravvive solo la curvatura di campo,
su cui torneremo fra breve. Va detto che a rigore la lastra correttrice distrugge
la simmetria su cui si e basata l'eliminazione di coma e astigmatismo; dato pero
che lo spessore e gia di 2 ordine in  cio non ha in uenza all'ordine di Seidel,
ma solo a ordini superiori.
La curvatura di campo non si puo compensare, ma il problema si risol-
ve disponendo il rivelatore (lastra fotogra ca) sulla super cie sferica dei fuochi
parassiali, anziche in un piano.
L'idea di Schmidt ha consentito di realizzare strumenti di grande apertu-
ra relativa e insieme capaci di grandi angoli di campo: ad es. lo Schmidt di
M. Palomar ha uno specchio di 183 cm di diametro e 6 m di raggio di curvatura
(3 m di focale); la lastra correttrice ha un diametro di 122 cm, che determina
un'apertura relativa n = 2:5 e un campo di 6  6 .
Nel calcolo della luminosita dello strumento occorre poi tener conto che la
lastra fotogra ca, di 35 cm  35 cm, occlude parzialmente lo specchio; e inte-
ressante notare che un opportuno dispositivo riesce a mantenere sulla super cie
focale sferica lastre di vetro no a 1 mm di spessore.
Un inconveniente del sistema Schmidt e che diaframma e lastra correttrice
vanno posti al centro dello specchio, ossia a distanza doppia della focale. In tal
modo il telescopio diventa lungo il doppio di quanto sarebbe col semplice specchio
parabolico (telescopio newtoniano). Ma i vantaggi di campo e luminosita valgono
ampiamente il maggior ingombro.
O7{13
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
O8. L'aberrazione cromatica

La dispersione nei mezzi ottici


Fino a questo momento l'indice di rifrazione dei mezzi costituenti il sistema
ottico e stato trattato come una costante caratteristica di ciascun mezzo. Cio e
pero vero solo nche si usa luce di una ben determinata lunghezza d'onda: infatti
per qualunque mezzo diverso dal vuoto e sempre n = n() (dispersione della
luce). Ne segue che le proprieta ottiche del sistema (ad es. la focale) variano
in generale con la lunghezza d'onda della luce impiegata: in questo consiste
l'aberrazione cromatica.
Poiche la dispersione dovuta all'aria e trascurabile, quello che conta e di-
scutere l'aberrazione cromatica dovuta al vetro che costituisce le lenti. Per
qualunque vetro trasparente nel visibile, n e funzione decrescente di .
Per distinguere i vari tipi di vetro agli Rosso Giallo Blu
e etti della dispersione, si usa convenzional-
mente il numero di Abbe
C D F

= nnD,,n1
0.6563 0.5893 0.4861
 def (m)
F C
Fig. O8-1
dove nC , nD , nF designano il valore di n per
tre lunghezze d'onda corrispondenti alle omonime righe di Fraunhofer dello spet-
tro solare ( g. O8{ 1).
Il numero di Abbe e signi cativo perche da lo spostamento relativo del fuoco
delle varie componenti della luce bianca. Infatti sappiamo che la distanza focale
di una lente e proporzionale a 1=(n , 1): se prendiamo f = fC , fF e f = fD
si ha proprio
f = fC , fF ' nF , nC = 1 :
f f n ,1
D 
D

Per i vetri comunemente usati  varia


fra 30 e 80: per i nostri esempi assumeremo
fuoco D

che sia  = 50, cioe 1= = 0:02. Cio signi - blu

ca che la distanza focale nello spettro visibile


varia attorno al fuoco della luce gialla al mas-
simo per 1%. Cos in g. O8{2 solo la luce ross
o
fuoco F
fuoco C
gialla focalizza sullo schermo; tutti gli altri
colori sono sfocati e l'immagine, anche se la Fig. O8-2
luce entrante era bianca, appare colorata.
O8{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Perche l'aberrazione cromatica sia tra-
scurabile occorre che la sfocatura sia trascu-
rabile rispetto alle altre cause d'insucien-
d

te risoluzione. Prendiamo in considerazione

la di razione, che e quella sempre presente: FD FC


occorrera che le macchie prodotte dalla luce
rossa e da quella blu non superino la gura
di di razione della luce gialla. Dalla g. O8{ Fig. O8-3
3 si vede che il diametro  della macchia e
dato da

fC , fD ' fd )  = 2d
D
mentre la di razione produce una macchia di diametro 2:44 n. Confrontando
si ottiene f > d2=(5).
Per  = 50,  = 0:55 m
d2
f >
140 m :
Ma cio signi ca che per avere aberrazione cromatica tra- crown
scurabile con un rifrattore di 10 cm dev'essere f > 70 m! In-
fatti per un certo tempo si costruirono dei rifrattori lunghis-
simi, e quindi di scarsissima luminosita e assai poco maneg-
gevoli. Questo perche si credeva, sull'autorita di Newton, che
tutti i vetri dessero luogo a uguale dispersione (avessero cioe
lo stesso numero di Abbe).
flint

Solo nel 1758, dopo una serie di esperimenti, dai quali Fig. O8-4
risulto invece che la dispersione cambia da un vetro all'altro,
fu realizzato da Dollond il primo doppietto acromatico, accoppiando una lente
biconvessa di vetro crown (n ' 1:5,  ' 60) e un menisco divergente di vetro
int (n ' 1:6,  ' 30), come in g. O8{4. Da allora l'uso dei doppietti e divenuto
universale.
Col doppietto si ottiene la focale volu-
ta e inoltre si toglie l'aberrazione cromati- f lente
singola
ca principale. Resta un'aberrazione croma- doppietto
tica secondaria, come si vede studiando la
curva della distanza focale in funzione del-
la lunghezza d'onda, rispettivamente per la
lente singola e per il doppietto acromatico
( g. O8{5).
F D C

In sostanza il doppietto e progettato in Fig. O8-5


modo da far coincidere le distanze focali di
O8{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
due lunghezze d'onda diverse (ad es. C e F) in modo che le lunghezze d'onda
intermedie, per le quali la distanza focale e praticamente costante, siano quelle
di maggior sensibilita del rivelatore. Cos per osservazioni visuali questa zona e
il centro del visibile; per fotogra a e piu spostata verso il blu, ecc.
Un doppietto puo far guadagnare un fattore 40 nell'aberrazione cromatica:
la condizione per poterla trascurare diviene allora f > d2=(5 mm), e prenden-
do d = 10 cm si ottiene f > 2 m. Dalla dipendenza di f da d si vede pero che la
correzione diventa sempre piu dicile aumentando d. Questo e uno dei motivi
per cui i rifrattori sono piu piccoli dei ri ettori: oltre un certo limite un rifrat-
tore non puo essere corretto per l'aberrazione cromatica (per d = 1 m dovrebbe
essere f > 200 m!).
Tuttavia i grandi rifrattori esistono: luce ~ monocromatica
ad es. il rifrattore a lunga focale dell'osserva-
torio Sproul [Shwarthmore College, Pennsyl-
vania] ha d = 61 cm e f = 10:93 m. Quest'o- emulsione filtro

biettivo ha ovviamente una notevole aberra-
zione cromatica, ma e destinato a usi specia- Fig. O8-6
li: viene usato in astrogra a, con rivelatori e
ltri opportuni, che costituiscono un sistema sensibile soltanto a una luce pra-
ticamente monocromatica ( g. O8{6). In tal modo l'aberrazione cromatica non
ha piu alcuna importanza.
Il doppietto acromatico
Vediamo piu in dettaglio com'e costituito un doppietto acromatico. Se ci
si mette per semplicita nell'ipotesi di lenti sottili a piccola distanza, e facile
dimostrare che
1= 1 +1 (O8.1)
f f1 f2
da cui
= df1 df
+ df2
= 1 + 1 :
f12 f2f22 1f1 2 f2
Perche sia df = 0 dovremo dunque fare:
1 + 1 =0 (O8.2)
1 f1 2 f2
dalla quale si vede in primo luogo che f1 e f2 debbono avere segni opposti:
sia f1 > 0; f2 < 0. Se inoltre si vuole f > 0 dovremo avere f1 < f2 e per-
j j j j

cio 1 > 2: la lente convergente deve avere numero di Abbe piu alto (minore
dispersione: vetro crown ).
Le (O8.1) e (O8.2) mostrano che un doppietto acromatico di focale assegna-
ta, e costruito con vetri dati, ha f1 e f2 univocamente determinate. Poiche per
O8{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
una lente sottile  
1 = (n , 1) 1 , 1
f R R 1 2
si ottiene una relazione fra i raggi delle due super ci di ciascuna lente, e resta
ancora un parametro libero: due parametri liberi per l'intero sistema.
Si puo giocare con questi due parametri al ne di ridurre altre aberrazioni:
si dimostra che e ad es. possibile eliminare aberrazione sferica e coma. Nel caso
di piccoli obiettivi, per ragioni di facilita di montaggio si preferisce di solito
incollare le due lenti; cos facendo resta un solo parametro libero e lo si sceglie in
modo da rendere piccole (ma non zero) aberrazione sferica e coma. E questo il
sistema universalmente di uso in tutti i binocoli e nei rifrattori no a circa 10 cm
di diametro.
L'oculare acromatico
In un telescopio per osservazioni visuali non basta correggere l'aberrazione
cromatica dell'obiettivo, ma occorre preoccuparsi anche dell'oculare. Per questo,
oltre all'impiego dei doppietti acromatici, c'e un'altra tecnica che non richiede
l'uso di vetri diversi.
Consideriamo infatti un sistema di due lenti sottili di uguale vetro, poste a
distanza d. Si vede senza dicolta che la focale complessiva sara
1= 1 +1 , d : (O8.3)
f f1 f2 f1 f2
Come si e fatto prima, si cerca una condizione per cui df = 0:
df df
 d
 df
 d

f2
= f12
1, f2
+ f22
1, f1
    
= 1 f1 1 , fd + f1 1 , fd =0
1 2 2 1

f1 + f2 , 2d = 0
d= 1
2 (f1 + f2 ): (O8.4)
Dalle (O8.3) e (O8.4) segue subito

1=1 1 + 1 :

f 2 f1 f2
In aggiunta a quanto e stato detto a proposito dell'utilita di una lente di
campo (cfr. Cap. O5) vediamo cos un ulteriore vantaggio: e possibile rendere
acromatico un sistema (lente di campo) + (lente oculare semplice) con un'op-
portuna relazione tra f , f1 , f2 , d (oculare di Huygens). Come si e gia detto,
parlando di \oculare" s'intende l'intero sistema.
O8{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Un esempio piuttosto comune di oculare di Huygens e quello costruito con
i seguenti parametri (focale ): f

f1 =2 f; f2 = 23 f ) d = 43 f:

In g. O8{7 sono mostrate le posizioni dei punti cardinali: in particolare si noti


che la lente di campo non coincide col fuoco della lente oculare, come si era gia
discusso.
Anche in questo caso resta libera la forma delle lenti: fatto che viene sfrut-
tato per ridurre altre aberrazioni.
L1 L2

F1 F2=P F1 =F2 =P
F F

Diaframma
di campo p.u.
Fig. O8-7

O8{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
O9. Introduzione all'ottica ondulatoria

Le approssimazioni dell'ottica
Il nostro studio dell'ottica no a questo punto e stato basato sull'ottica
geometrica, salvo un breve cenno alla di razione al Cap. O1. Vogliamo ora
approfondire lo studio delle proprieta ondulatorie della luce, allo scopo di giu-
sti care i risultati gia citati sulla di razione, e piu in generale di spiegare dove e
quando l'approssimazione dell'ottica geometrica cada in difetto nelle condizioni
che piu c'interessano: nel funzionamento degli strumenti astronomici.
La tabella qui sotto mostra vari gradi di approssimazione allo studio della
luce (delle onde e.m.). Discutiamo signi cato e limiti di queste approssimazioni.

O1. Equazioni di Maxwell (campo e.m.)


O2. Approssimazione delle onde scalari
O3. Approssimazione di Huygens{Fresnel (di razione elementare)
O4. Ottica geometrica (principio di Huygens, iconale, raggi)
O5. Appross. di Gauss (sistemi ottici centrati parassiali)

Una trattazione teorica largamente suciente ai nostri scopi si riassume


nelle equazioni di Maxwell, le quali descrivono un'onda e.m. mediante due campi
vettoriali E~ e B~ (se il mezzo e un dielettrico isotropo, da questi si ottengono
anche D~ e H~ con le note equazioni di collegamento D ~ = "E~ , H~ = B~ =. Tanto E~
quanto B~ saranno in generale funzioni del punto e del tempo: E~ = E~ (~r; t)
e analoga per B~ .
La rappresentazione complessa
Prima di esaminare il caso generale, consideriamo il caso di un'onda mo-
nocromatica : cio vuol dire che tutte le componenti di E~ e di B
~ sono funzioni
sinusoidali del tempo con una stessa frequenza:
Ex = A cos !t + B sin !t
e analoghe (A e B saranno ancora funzioni di ~r, ma cio per il momento non
interessa). Conviene usare la rappresentazione complessa dell'onda, consistente
in questo: poniamo
E~x = (A + iB) e,i!t = Ce,i!t:
O9{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Si vede subito che Ex = <E~x per cui noto E~x si calcola facilmente anche Ex. Ma
e vero anche il viceversa: noto Ex sono noti A e B e quindi anche E~x. Dunque E~x
contiene tutte e sole le informazioni sull'onda contenute in Ex, e percio ne da
una rappresentazione equivalente, ma come vedremo formalmente piu comoda.
Inoltre, posto C = jC jei' si ha Ex = jC j cos(!t , '): l'argomento di C e la fase
dell'onda.
Un concetto importante dell'ottica e quello di intensita di un'onda. Nei
casi che c'interessano piu da vicino l'intensita di un'onda e.m. si dimostra essere
proporzionale a nhjE~ j2i, dove n e l'indice di rifrazione del mezzo, e hjE~ j2i e la
media temporale del quadrato del modulo del campo elettrico, cioe
, 
I / n hEx2i + hEy2 i + hEz2i :
Consideriamo ora:
hEx2i = h(A cos !t + B sin !t)2 i
= A2 hcos2 !ti + B2 hsin2 !ti + 2ABhsin !t cos !ti
= 21 (A2 + B2) = 12 jC j2 = 12 jE~xj2:

Si vede dunque che E~x rappresenta bene l'onda anche da un punto di vista
energetico.
Se ora lasciamo l'ipotesi che l'onda sia monocromatica, e pensiamo ad esem-
pio a due frequenze diverse, non e dicile veri care che le relazioni scritte valgono
ancora, e che percio e sempre
X  
I/ n jE~xj2 + jE~y j2 + jE~xj2

la somma essendo fatta sulle varie componenti monocromatiche.


Da questo momento adotteremo sistematicamente la rappresentazione com-
plessa, e non useremo piu la tilde (~) per distinguerla.
E ancora necessario so ermarsi sulla terminologia connessa con la rappre-
sentazione complessa. Il termine \ampiezza" potra indicare a seconda dei casi:
a ) l'intera Ex(~r; t);
b ) per un'onda monocromatica della forma Ex = C (~r) e,i!t , il fattore C (~r);
c ) sempre un'onda monocromatica, il suo modulo jC (~r)j;
d ) per onde piane (v. piu avanti) Ex = C ei(n~k~r,!t) la costante complessa C ;
e ) sempre per le onde piane, il modulo jC j di C (caso particolare di (c )).
O9{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Analoga molteplicita di signi cati si ha per il termine \fase," che puo stare
a signi care:
a ) l'argomento della funzione complessa Ex(~r; t): fase dipendente da ~r e da t;
b ) per un'onda monocromatica Ex = C (~r) e,i!t , l'argomento di C (~r);
c ) per un'onda Ex = A(~r) ei(kW (~r ),!t), l'espressione kW (~r) (caso particolare
di (b ));
d ) per un'onda piana Ex = C ei(n~k~r,!t), l'argomento di C ein~k~r (ancora caso
particolare di (b ));
e ) sempre per un'onda piana, l'argomento di C .
Quando il signi cato non sia chiaro nel contesto, lo indicheremo con la lettera
corrispondente dell'elenco qui sopra.
L'equazione di Helmholtz
Nella teoria di Maxwell si dimostra che in un mezzo omogeneo ciascuna
componente di E~ soddisfa l'equazione delle onde:

r2Ex , nc2 @@tE2x = 0 ecc. (n = p"rr)


2 2

che per onde monocromatiche si sempli ca, perche @Ex=@t = ,i!Ex:


r2Ex + n2 k2Ex = 0 (k = !=c):
Questa si chiama equazione di Helmholtz.
Poiche l'equazione delle onde e lineare omogenea, lo studio delle onde mo-
nocromatiche e suciente, dal momento che qualunque funzione di t (a rigore
ogni funzione di L1(IR)) puo essere sviluppata in integrale di Fourier. Ci re-
stringeremo percio alle onde monocromatiche e all'equazione di Helmholtz. Per
semplicita di scrittura sottintenderemo sempre il fattore e,i!t .
Tutte le componenti di E~ soddisfano la stessa equazione: tuttavia in ge-
nerale le tre componenti sono necessarie perche non sono per esse identiche le
condizioni al contorno.
Ad esempio se esiste una super cie di separazione ortogonale all'asse x,
dovranno essere continue Ey ed Ez ma non Ex. Questo ha la conseguenza sica
che se sulla super cie incide obliquamente un'onda, le componenti di E~ parallele
e perpendicolari alla super cie verranno trattate in maniera diversa sia nella
ri essione, sia nella rifrazione: le onde ri esse e rifratte sono polarizzate (ma la
polarizzazione restera fuori dal nostro discorso).
Altro esempio e quello di un reticolo, cioe di una super cie metallica sulla
quale siano incisi tanti solchi paralleli: la componente di E~ parallela ai solchi
non si comporta in generale come quella perpendicolare.
O9{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
A parte questi casi un po' speciali, vi e pero un largo ambito di fenomeni
nei quali le varie componenti di E~ si comportano in modi equivalenti (oppure la
di erenza non produce conseguenze signi cative): in tutti questi casi e inutile
portarsi dietro tre equazioni, e una sola grandezza scalare descrive a sucienza
l'onda. Siamo cos arrivati all'approssimazione O.2: onde scalari (monocroma-
tiche) descritte dall'equazione di Helmholtz
r2E + n2k2E = 0: (O9.1)
Qui E rappresenta un campo scalare, che volendo pero puo essere visto come
una delle tre componenti di E~ .
L'equazione delle onde (e quindi anche l'equazione di Helmholtz che ne e
conseguenza) vale esattamente per un mezzo omogeneo. Non e dicile convin-
cersi che essa vale come approssimazione per un mezzo quasi omogeneo, cioe
quando l'indice di rifrazione varia di poco entro una lunghezza d'onda. Questo
e suciente per i nostri scopi, salvo quando si abbia a che fare con specchi o su-
per ci di lenti. Senza dimostrarlo, osserviamo che le conseguenze che ricaveremo
possono pero essere giusti cate anche in questi casi.
L'equazione di Helmholtz possiede naturalmente in nite soluzioni, tra le
quali vogliamo ora discuterne alcune, particolarmente signi cative.
Onde piane
Se ~k e un vettore di modulo k, si puo veri care che
E = Cein~k~r (C costante complessa) (O9.2)
soddisfa la (O9.1). Una soluzione di questo tipo si chiama onda piana di vettore
di propagazione ~k e ampiezza C . Per comprendere la denominazione, osserviamo
che se = arg C , la fase dell'onda e ' = n~k  ~r + ed e quindi costante sui
piani ortogonali a ~k. Si vede che ' cambia di 2 quando la distanza fra i piani
e  = 2=(nk) (lunghezza d'onda ). Se ricordiamo poi il fattore sottinteso e,i!t ,
l'esponente completo diventa n~k  ~r , !t + : presi due istanti separati di t
avremo lo stesso E ai due istanti in due punti la cui separazione (vettoriale)
soddis
n~k  ~r = ! t:
Quest'equazione individua un piano ( g. O9{1) perpendicolare a ~k e distante
dal primo punto di
!
nk
t:
La con gurazione dell'onda avanza dunque nella direzione e verso di ~k, con
velocita c=n (velocita di fase dell'onda).
O9{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
L'importanza delle onde piane sta in pri- Lunghezza donda
mo luogo nel fatto che esse rappresentano la

luce emessa da sorgenti puntiformi all'in -


nito; ma il motivo piu profondo e nella ge-
neralita del risultato gia visto per le solu- r
zioni monocromatiche: \qualunque" soluzio- k

ne dell'equazione delle onde puo essere scrit-


ta come integrale di Fourier su , ossia so- ~
k

vrapposizione di onde piane (monocromati-


che). Superfici di fase () costante
Ri ettiamo un momento sul signi cato
matematico di quest'asserzione. Dall'essere Fig. O9-1
l'equazione delle onde lineare omogenea, se-
gue che l'insieme delle sue soluzioni e uno spazio vettoriale V , che pero e a
dimensione in nita. I risultati validi per gli spazi a dimensione nita non si
possono tutti trasportare banalmente al caso di dimensione in nita, e questo e
in particolare il caso del concetto di base dello spazio: percio il teorema accen-
nato non e ovvio, e il suo signi cato va precisato con certe cautele. A noi basti
aggiungere questo: una larga classe di soluzioni dell'equazione delle onde (non
tutte, ma praticamente tutte quelle che interessano) possono essere approssimate
quanto si vuole da una combinazione lineare di onde piane.
Onde sferiche
L'utilita delle onde piane non esclude l'utilita di altre soluzioni: una classe
molto importante e la seguente:
ink ~
r j ,~r0 j
E = C
e

j , 0j
~
r ~
r
: (O9.3)

Nota: A rigore la (O9.3) soddisfa la (O9.1) in tutto lo spazio a eccezione del pun-
to 0 (punto singolare): la situazione e del tutto analoga a quella del potenziale
~
r

elettrostatico di una carica puntiforme.


Questa volta le super ci di fase costante sono sfere con il centro in 0; ~
r

lo studio della dipendenza da mostra che l'onda avanza in direzione radiale,


t

sempre con velocita . Si tratta dunque di un'onda sferica uscente da 0.


c=n ~
r

A di erenza dell'onda piana, l'onda sferica non ha ampiezza (c ) costante in tutto


lo spazio: l'ampiezza e inversamente proporzionale alla distanza dalla sorgente.
Ne segue che l'intensita e inversamente proporzionale al quadrato della distanza,
il che e ragionevole in base alla conservazione dell'energia: al crescere della
distanza l'onda investe un'area proporzionale al quadrato della distanza e percio
la sua energia, che si ripartisce su un'area maggiore, da luogo a un'intensita
proporzionalmente minore.
O9{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
E ben chiaro che la (O9.3) descrive la luce emessa da una sorgente punti-
forme al nito.
L'approssimazione dell'ottica geometrica
Esistono tecniche per dare soluzioni dell'equazione di Helmholtz in condi-
zioni diverse da quelle n qui considerate, ma non avremo bisogno di occuparce-
ne. Va pero accennato che da una di queste tecniche, che porta alla cosiddetta
\forma integrale di Kirchho ," segue un'approssimazione di cui ci serviremo:
l'approssimazione di Huygens{Fresnel O3. A questo argomento sara dedicato il
prossimo capitolo.
Riesce utile in generale, per studiare l'equazione di Helmholtz, separare in E
modulo e argomento (che saranno in genere entrambe funzioni di ~r) nella forma:
E = A(~r) eikW (~r ):
Sostituendo nella (O9.1), calcolando le derivate richieste da r2 e cancellando il
fattore comune eikW , risulta l'equazione:
~ Ar
r2A + 2ik r ~ W + ikA r2 W , k2A jr
~ W j2 + n2 k2A = 0: (O9.4)
Poiche A e W sono reali, la (O9.4) si scompone in due, una per la parte reale e
una per la parte immaginaria:
~ W j 2 + n2 k 2 A = 0
r2A , k2A jr (O9.5)
2r~ Ar~ W + A r2 W = 0: (O9.6)
Discutiamo prima la (O9.6). Moltiplicandola per A si veri ca facilmente
che essa equivale a:
r ~ W) = 0
~  (A2 r (O9.7)
~ W ha divergenza nulla. Il suo usso e dunque costante
cioe il vettore A2 r
in un tubo formato dalle linee di r ~ W , e l'interpretazione e immediata: A2 r ~W
rappresenta la corrente di energia dell'onda (il suo modulo e l'intensita) e quando
~ W divergono, l'intensita diminuisce ( g. O9{2).
le linee di r
La (O9.5) si puo scrivere:
~ W j2 , n2 = 12 r A
2
jr k A (O9.8)
e questa, se il secondo membro puo essere trascu-
rato, si sempli ca in
Fig. O9-2
~ W j2 = n2
jr
O9{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
che e l'equazione dell'iconale (O2.13), da cui la scelta del simbolo W . Esiste
dunque un'approssimazione, che ora discuteremo, nella quale la fase dell'on-
da coincide (a parte il fattore k) con l'iconale dell'ottica geometrica: e questa
l'approssimazione dell'ottica geometrica O4.
L'approssimazione dell'ottica geometrica sara valida quando
r2A  n2k2 =  2 2: (O9.9)
A 
Questo e certamente vero per un'onda piana, in cui A e costante, ma anche in
un'onda sferica, dove
A = j~r ,C~r j
0

ha laplaciano nullo. Tolti questi casi semplici, la validita della (O9.9) si puo
esprimere solo qualitativamente, come segue. r2A contiene le derivate seconde
di A; ma una derivata seconda si puo scrivere approssimativamente:
d 2f ' f (x + h) , 2f (x) + f (x , h)
dx2 h2
(la relazione e esatta per h ! 0). Posto h = =2, avremo dalla (O9.9)
A(x + h) , 2A(x) + A(x , h)  1



h2A h2
jA(x + h) , 2A(x) + A(x , h)j  jA(x)j
cioe la di erenza seconda di A su un intervallo =2 dev'essere molto piccola
rispetto ad A. Detto in termini meno precisi, ma piu facili da ricordare: A deve
variare poco entro una lunghezza d'onda.
Vediamo due casi importanti in cui l'ap-
prossimazione dell'ottica geometrica non puo
valere. buio
1. Se un'onda piana incide su uno schermo
opaco con un foro, l'ottica geometrica richie- luce

de che al di la del foro ci sia una netta se-


parazione tra la regione illuminata e l'om-
bra ( g. O9{3). Se cos fosse, al con ne tra
luce e ombra l'intensita passerebbe brusca-
mente da un valore non nullo a zero, e quin-
di la (O9.9) non sarebbe soddisfatta, com'e Fig. O9-3
invece richiesto perche valga l'ottica geome-
trica. Cio vuol dire che in realta il con ne tra luce e ombra non sara netto,
O9{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
ma un po' di luce arrivera anche nella zona d'ombra geometrica: e questa la
di razione.
2. Se una lente senza aberrazioni focalizza
un'onda piana nel suo fuoco ( g. O9{4), nel-
la regione del fuoco l'intensita diventa gran-
dissima (in nita nel fuoco), mentre e zero
appena fuori dell'asse ottico sul piano foca- ?
le. Di nuovo questo contraddice la (O9.9),
e dobbiamo aspettarci che intorno al fuoco
geometrico ci sia una regione illuminata del-
l'ordine della lunghezza d'onda. Abbiamo gia
usato questo fatto, che piu avanti dimostre-
remo.
Dalla discussione che precede e chiaro Fig. O9-4
che l'approssimazione dell'ottica geometrica
e tanto meglio soddisfatta, a parita di altre condizioni, quanto piu grande e nk,
cioe quanto piu piccola e : si tratta dunque di un'approssimazione delle piccole
lunghezze d'onda.
Il principio di Huygens

Vogliamo ora discutere piu a fondo l'equazione dell'iconale, nella sua rela-
zione con la fase dell'onda. Lungo un raggio, de nito come la curva tangente
ar ~ W , si ha dW=ds = n da cui ds = dW=n ( g. O9{5).
La fase (a ) dell'onda e ' = kW , !t: al passare del tempo avremo '
costante se k dW = ! dt cioe se dW = ! dt=k = c dt. Ne segue ds = c dt=n, cioe
le super ci di fase costante avanzano con velocita v = c=n (risultato gia visto per
le onde piane). Notare che le super ci di fase costante sono la stessa cosa delle
super ci di livello di W : l'onda \fotografata" a un dato t mostrera la famiglia di
super ci W = cost:; \cinematografando" una super cie ' = cost: nel corso del
tempo, la si vedra sovrapporsi alle super ci W = cost: una dopo l'altra. Si noti
che se il mezzo non e omogeneo, v puo variare su una super cie W = cost:
e percio due super ci successive non saranno parallele!

W +dW

W

ds
vdt

Fig. O9-5 Fig. O9-6


O9{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
La visione \cinematogra ca," cioe cinematica, permette di capire la costru-
zione di Huygens: data una super cie d'onda  al tempo t, costruire la super-
cie  al tempo t + dt. La nuova super cie deve distare in ogni punto di v dt
0

dalla precedente: basta percio costruire tante super ci sferiche di raggio v dt con
centro su ; esse saranno tutte tangenti a  , che risulta quindi il loro inviluppo.
0

Queste sfere possono essere interpretate come onde sferiche elementari emesse al
tempo t da tutti i punti della super cie , pensati come sorgenti (principio di
Huygens : g. O9{6).

E importante aver ben presente che il princi-


pio di Huygens e del tutto equivalente all'equazio-
ne dell'iconale: pertanto, anche se nel suo enun- 2

ciato ci parla di onde, esso e valido in realta nel-


l'approssimazione dell'ottica geometrica. Volendo 1

conoscere oltre alla forma della super cie d'onda,


anche l'intensita della luce su questa, si puo ricor-
rere alla (O9.7). Poiche ~ W = n, la (O9.7) dice
jr j

che in un tubo costituito da raggi si conserva il


usso di n A2 : Fig. O9-7

n1A21 1 = n2A22 2 ( g. O9{7):

O9{9
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
O10. L'approssimazione di Huygens-Fresnel e la di razione

La forma integrale di Kirchho


Una formulazione del principio di Huygens che supera l'ottica geometrica,
e consente di comprendere la di razione, fu enunciata da Fresnel; in seguito
Kirchho mostro che seguiva dall'equazione di Helmholtz. La forma di Kirchho
(che non dimostriamo) e la seguente:
Z
einkr
E (P) = dS a(! ) E (Q) (O10.1)
r
S

dove ( g. O10{1) S e una super cie chiusa, P un


punto a essa interno, Q il generico punto di S; inol-
in Q e il vettore , , In ne
tre r = QP, e ! e l'angolo
QP.
tra la normale interna
a(! ) e il cosidetto Q
\fattore di obliquita," che non speci chiamo (pe-
ro a(0) = 1); e una costante. dS r
Il signi cato della (O10.1) e il seguente: l'am- P
piezza (a ) dell'onda in P puo essere calcolata S
quando essa sia nota in tutti i punti di una su-
per cie S che racchiude P. Piu esattamente l'am-
piezza in P e la somma delle ampiezze di ciascu- Fig. O10-1

na onda elementare, a sua volta proporzionale all'ampiezza dell'onda incidente


in Q.
Si vede che le onde che arrivano in P hanno ciascuna la sua fase, e possono
percio interferire in modo costruttivo o distruttivo: in questo consiste la novita
dell'enunciato di Fresnel rispetto a quello di Huygens, che e soltanto geometri-
co. Il principio di Huygens{Fresnel (H{F) non da solo la forma della super cie
d'onda, ma anche l'ampiezza dell'onda stessa, che l'ottica geometrica non con-
sidera.
Va precisato che anche la (O10.1), come dimostro Kirchho , e approssima-
ta, e anche in questo caso si tratta di un'approssimazione valida per le piccole
lunghezze d'onda; ma essa sta all'ottica geometrica come uno sviluppo in serie
arrestato al 1 ordine sta allo sviluppo all'ordine zero: e un'approssimazione mi-
gliore, e soprattutto descrive fenomeni che l'ottica geometrica cancella del tutto
(la di razione).
Per le nostre applicazioni la (O10.1) puo essere ulteriormente sempli cata.
Supponiamo infatti:
1) che la super cie S sia tale che E sia diverso da zero solo su una sua parte S1;
2) che su S1 si possa supporre E costante;
O10{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
3) che il punto P sia a distanza grande da S1, o comunque che r possa essere
supposto costante nel denominatore;
4) che l'angolo ! sia sempre vicino a zero.
In tutte queste ipotesi la (O10.1) diviene:
Z
E (P) = dS einkr (O10.2)
S1

dove e una nuova costante, che ingloba 1=r ed E (Q).


Si noti che la nuova approssimazione che ha portato alla (O10.2) non ha
niente a che fare con le approssimazioni precedenti, che hanno portato all'ottica
geometrica o al principio di H{F: quelle implicano la lunghezza d'onda, mentre
questa ne e del tutto indipendente.
La di razione nel fuoco
Applichiamo subito il principio di H{F, nella forma (O10.2), a un caso
importante. Consideriamo un'onda sferica convergente, ad es. prodotta da una
lente, e delimitata da un diaframma (pupilla d'uscita). Sia F il centro dell'onda
(fuoco): vogliamo calcolare l'intensita della luce in un punto P nei dintorni di F.
Supporremo inoltre che l'onda si propaghi nel vuoto (n = 1).
Sia l la distanza tra il bordo della
p.u. e il fuoco F ( g. O10{2); e chiaro che
la (O10.2) puo essere usata se la distanza
di P dall'asse e molto minore di l. Assume- y P(x,y,z)
remo come super cie S1 la calotta sferica d Q( ,, )
di raggio di curvatura l e diametro d (la x
super cie S si chiude con lo schermo e con O l F
una semisfera di raggio ! 1, dove certa- z
mente l'onda si annulla).
Data la simmetria del problema pos-
siamo supporre P nel piano xy (z = 0):
dovremo dunque calcolare la (O10.2) con Fig. O10-2

r2 = ( , x)2 + ( , y)2 +  2 = 2 + 2 +  2 , 2x , 2y + x2 + y2


= l2 , 2x , 2y + x2 + y2 ' l2 , 2x , 2y
(l'ultimo passaggio consiste nel trascurare termini di 2 ordine in x=l e y=l).
Ancora: da 2 + 2 +  2 = l2 si ha
2 +  2
 ' ,l +
2l
O10{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
a meno di termini del 4 ordine in =l e =l. Dunque:
r2 = l2 , 2y + 2lx , x (2 +  2)
l
da cui
, x  2+l2
 2 2
r =l+x,y
l
avendo trascurato termini di 2 ordine in x=l e superiori al 2 in =l e =l.
La (O10.2) diventa allora
Z   
, x  2+l2
 2 2
E (P) = dS exp ik l + x , y
l
S1
Z   
2 +  2
= eik(l+x) dS exp ,ik y l + x 2 l2 :
S1

L'integrale sulla calotta S1 si scrive:


Z Z
d d
dS =
cos(cx)
S1 C

dove  indica la normale interna alla calotta e C e il cerchio di diametro d.


Se supponiamo d  l, possiamo approssimare il coseno con 1. Ponendo:
2 +  2  d
%2 = = % cos ' % =
l2 l 2l
si arriva in ne a:
Z% Z2
 , 
E (P) = l e 2 ik(l+x)
% d% d' exp ,ik y% cos ' + 12 x%2 : (O10.3)
0 0

Per x = y = 0, cioe nel punto F, si ottiene subito:


E (F) = l2  %2 eik(l+x)

e conviene scrivere la (O10.3) cos:


Z Z % 2
1 ,
E (P) = E (F) 2 % d% e 2 kx% 2
d' e,iky% cos ' :
i
(O10.4)
 %
0 0

O10{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Studieremo la (O10.4) in due casi particolari, sucientemente semplici: s-
sando il punto P sull'asse ottico (y = 0) oppure nel piano focale (x = 0).
A: P sull'asse ottico (y = 0). Allora:
Z %
2 , 2i  , 2 kx%2 
E (P) = E (F) 2 % d% e
%
2 kx%
i 2
= E (F) 2 e
kx%
,1 : i

Interessa di piu l'intensita:


!2
sin 41 kx%2
jE (P)j2 = jE (F)j2 1
2
4 kx%

il cui andamento in funzione di x e mostrato


in g. O10{3. E (x)
2

Possiamo ora utilizzare questo risultato


per vedere che cosa signi ca \mettere a fuo-
co." Dato che l'intensita varia gradualmente,
non c'e una messa a fuoco de nita: occor-
re percio ricorrere a dei criteri convenziona-
li. Uno di questi consiste nel vedere quando
l'intensita massima al centro dell'immagine e
diminuita di un fattore determinato. Questo x

e il Fig. O10-3

Criterio di Strehl: La messa a fuoco e buona nche l'intensita massima non si


riduce a meno dell'80%.
Si vede facilmente che questo limite si raggiunge per 14 kx%2 ' 0:81. Sosti-
tuendo k = 2= e % = d=2l si arriva a

x ' 0:81
8 l2  ' 2 l2 :
 d2 d2
Si puo dimostrare, usando l'invariante di Lagrange, che l=d = f=pe = n (apertura
relativa) e si ha in ne:
x ' 2n2 :
Nelle nostre approssimazioni abbiamo trovato che quando P e sull'asse otti-
co (x = 0) si ha: r = QP = l + x , 12 x%2 mentre OP = l + x. Dunque la di erenza
di cammino ottico tra il raggio principale (passante per O) e quello marginale
per Q e data da OP , QP = 12 x%2 . In altre parole, le onde elementari non
arrivano in fase nel punto P, e questo spiega perche l'intensita decresce rispetto
O10{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
a quella in F. Vediamo quanto vale questa di erenza 12 x%2 quando e soddisfatto
il criterio di Strehl:
2 , 1 2  
2 x% = k 4 kx% =  0:81
1 2
4:  '

Il raggio marginale e dunque sfasato di circa =4 rispetto al raggio principale.


Questo modo di vedere la cosa porta a un altro classico criterio per determinare
la posizione critica di sfocamento, ossia il
Criterio di Rayleigh: La messa a fuoco risulta buona nei punti P dell'asse ot-
tico per i quali la di erenza di cammino ottico tra il raggio marginale e quello
principale non supera =4.
Come si e visto sopra, in questo caso (onda sferica senza aberrazione sferica)
i due criteri praticamente coincidono. Vediamo ora alcuni esempi numerici.
1. Con quale precisione va posto uno schermo al telescopio Hale di M. Palo-
mar per avere un'immagine a fuoco (secondo i criteri suddetti) nel limite della
risoluzione teorica? (Dati: d = 5 m, n = 3:3).
x = 2n2  = 2 10:9 0:55 m = 12 m:
 

Ora una tale precisione e irraggiungibile, in quanto solo le dilatazioni termi-


che cui e sottoposta la struttura portano a spostamenti dell'ordine di centinaia
di m per grado di variazione. La cosa pero e meno drammatica di quanto
sembra, in quanto la risoluzione teorica di tale telescopio, come si e visto, sareb-
be di 000 :024 e il solo seeing moltiplica almeno per un fattore 10 tale limite di
risoluzione.
2. Stesso problema con d = 100 mm, f = 1 m, n = 10 (un tipico ri ettore da
dilettante).
x = 2 100 0:55 m = 0:11 mm:
 

Dunque la messa a fuoco va corretta a meno di un decimo di mm.


B: P nel piano focale (x = 0). Si ha:

Z Z % 2
1
E (P) = E (F) 2 % d% d' e,iky% cos ' :
 %
0 0
Poniamo 2
Z
J0 (u) =
1 ,iu cos ' : (O10.5)
2 d' e
0
La funzione J0(u) (che e reale, contro l'apparenza) fa parte della famiglia delle
funzioni di Bessel, e si ha l'identita:
d
u J0 (u) = (u J1(u))
du
O10{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
dove J1(u) e un'altra funzione di Bessel. Si tratta di funzioni largamente studiate
e tabulate, delle quali per ora occorre sapere solo poche proprieta:
1) J0(0) = 1, evidente dalla de nizione;
Ru
2) J1(u) = 21 u + O(u2): questo si vede da u J1(u) = u J0(u ) du e da 1). 0 0 0

0
Sostituendo nella (O10.5), con u = ky%
ky%
Z
E (P) = E (F)
2 u du J0 (u) = E (F)
2 ky % J1 (ky %) = E (F)
2J1(ky%) :

k 2 y 2 %2 
k 2 y 2 %2 ky %
0

Si osserva da qui che per y ! 0,


E (P) ! E (F) come doveva. Il rappor-
J (x)
1 2 1x
to E (P)=E (F) e mostrato in g. O10{
4: esso ha un andamento oscillante for-
temente smorzato, con zeri non equidi- 0.8

stanti, ma quasi. Se ricordiamo che y


e la distanza dall'asse ottico, la curva 0.6
di g. O10{4 dice che l'immagine avra
un massimo d'intensita nel centro, una
diminuzione no a zero, poi una ripresa 0.4
seguita da un altro zero, ecc. Si vedra
dunque una macchia circolare, contorna- 0.2
ta da anelli sempre piu deboli: possiamo
prendere come con ne della prima mac- 3.8 7.0 10.2 x
chia il primo zero della funzione J1, che 0

dalle tavole risulta per u ' 3:83. Dun- 0 2 4 6 8 10

que il raggio della macchia e: -0.2

y=
3:83 = 3:83  2l Fig. O10-4
k % 2 d
l
= 1:22 d = 1:22 n:
Abbiamo cos ritrovato la relazione gia ampiamente discussa nel Cap. O1.
Teoria ondulatoria delle aberrazioni
Quando la di razione e importante, anche la teoria geometrica delle aberra-
zioni e insuciente, e va sostituita con una teoria ondulatoria. Questa puo farsi
senza dicolta applicando il principio di H{F, con la sola modi ca consistente
nel sostituire alla super cie d'onda sferica quella aberrata. A tale scopo ripar-
tiamo dalla (O10.3): e facile vedere che l'espressione in parentesi a esponente e
la di erenza di cammino ottico W (QP) , W (OP) fra raggio marginale e raggio
O10{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
principale, dovuta al fatto che P non e l'immagine gaussiana della sorgente. Nel
caso generale (aberrato) dovremo dunque scrivere:
Z% Z2
E (P) = cost: % d% d' e,ik (O10.6)
0 0
dove  e la di erenza di cammino ottico dovuta anche alle aberrazioni. Riscri-
veremo la (O10.6) cos:
Z% Z2
1
E (P) = E0 (F) 2 % d% d' e,ik (O10.7)
 %
0 0
dove E0(F) e l'ampiezza in F in assenza di aberrazioni.
Poiche l'immagine gaussiana e in F, solo l'aberrazione sferica interviene;
inoltre prenderemo P sull'asse ottico, e allora
 = a%2 + b%4 (O10.8)
dove il primo termine e dovuto alla sfocatura x (a = ,x=2) e il secondo e l'aberra-
zione sferica. Prima d'introdurre l'espressione (O10.8), trasformiamo la (O10.7)
sviluppando in serie di potenze l'esponenziale, il che sara lecito se k  1 (d'al-
tra parte in caso di aberrazioni forti, la di razione e poco importante e la teoria
geometrica va bene).
e,ik = 1 , ik , 21 k22 +   
% 2
1 Z Z
E (P) = E0 (F) 2 % d% d' (1 , ik  , 21 k 2 2 +   )
 %

0 0 
= E0(F) 1 , ikhi , 21 k2h2 i +    :
dove h: : :i sta a indicare il valor medio calcolato sull'area della p.u. Allora:
h,  i
jE (P)j2 ' jE0(F)j2 1 , 21 k2h2i 2 + k2hi2
h  i
' jE0(F)j2 1 , k2 h2i , hi2
avendo trascurato i termini in 4.
Il criterio di Strehl ci dice che e accettabile una riduzione d'intensita all'80%:
dovra dunque essere jE (P)j2 > 0:8 jE0(F)j2 cioe
 
k2 h 2 i , h i2 < 51 :

O10{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Notiamo che h2 i,hi2 e il quadrato dello scarto quadratico medio (s.q.m.) del
cammino ottico: lo indicheremo con 2 (). Dunque il criterio di Strehl richiede
1
 2 () < 2 )  < :

5k 14
Calcolando 2() dalla (O10.8) si trova:
Z Z % 2
1
hi = %2 % d% d' (a%2 + b%4) = 21 a%2 + 13 b%4
0 0
% 2
h 2 i = 1 Z % d%Z d' (a%2 + b%4)2 = 13 a2 %4 + 12 ab%6 + 51 b2 %8
 %2
0 0
2 () = h i , hi = 121 a2 %4 + 61 ab%6 + 454 b2%8:
2 2

Nel fuoco parassiale (a = 0) si ha:


2 () = 4 2 8
par :
45 b %

Ma 2 puo essere ridotto spostandosi dal piano focale: basta cercare il valore
di a che rende minimo 2. Si trova a = ,b%2 e il corrispondente
2
opt () = 180 8
1 b2 %

e si e guadagnato un fattore 16.


Applichiamo questi risultati a uno specchio sferico: e solo una questione
geometrica veri care che in tal caso b = ,f=32. Usando % = 1=2n si ottiene
opt =
1p f
3072 5 n4
e il criterio di Strehl da:
f
< 0:27 mm (si e posto al solito  = 0:55 m):
n4
Si noti la dipendenza da n4: la tollerabilita dell'aberrazione sferica dipende
moltissimo dall'apertura relativa.
Aggiungiamo che ripetendo il calcolo col criterio di Rayleigh si ottiene la
stessa formula, con una diversa costante (0:41 mm) che in uisce poco sui limiti
per n.
Per le altre aberrazioni si puo seguire un metodo analogo, solo che i calcoli
sono piu complicati. Ecco i risultati (criterio di Strehl):
coma fu=n3 < 1:06  10,2 mm
astigmatismo fu2 =n2 < 1:53  10,3 mm
(u e il \semiangolo di campo," cioe la vergenza dei raggi provenienti dalla sor-
gente piu lontana dall'asse).
O10{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Parte Terza

Meccanica Celeste

E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia | Ed. 2002{03


M1. Il problema dei due corpi
Il problema ridotto
Il punto di partenza della meccanica celeste
e il problema kepleriano dei due corpi. Siano M m
e m le due masse che assumiamo puntiforni o a r
simmetria sferica; chiamiamo ~r il vettore indi- M
cato in g. M1{1, O il centro di massa: questo O
de nisce i vettori ~r1, ~r2 tali che ~r = ~r1 , ~r2.
Le forze che si esercitano sui due corpi, di massa m
m ed M rispettivamente, (legge di gravitazione)
sono: M
O 1r

F~ m = ,GMm r~r3 ; F~ M = GMm r~r3 : r 2

Fig. M1-1
Nel seguito porremo = GMm (G e la costante di gravitazione universale).
Mettendoci nel riferimento del centro di massa avremo:
m~r1 = F~ m = , r~r3

M ~r2 = F~ M = r~r3 :
Dividendo per le masse e sottraendo si ha:
 
~r1 , ~r2 = , M1 + m1 r~r3 :

Si perviene cos all'equazione fondamentale


~r = , r~r3 (M1.1)
che scriveremo anche nella forma
~r = ,k2 r~r3 (M1.2)
avendo posto
1 1 1
 = M + m ( = massa ridotta)
k2 =  (k = costante di Gauss):

M1{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Notare che

1 1


k =  = GMm M + m = G (M + m):
2

Nella forma (M1.1) il nostro problema e uguale al problema di un solo corpo


di massa  attratto da un centro sso O, e si chiama problema ridotto.
Le costanti del moto
Il nostro obiettivo nale e l'integrazione della (M1.2), cioe la determinazione
della legge oraria e della traiettoria del moto; per ora limitiamoci a dedurre
qualcosa dalle costanti del moto che si ottengono dalla (M1.1). Poiche la forza
e centrale, avremo i due classici integrali primi:
a ) Energia:
T + V = E = 21  ~r_ 2 , r

b ) Momento angolare:
~J = ~r  ~r_ : (M1.3)
Si puo vedere che questi sono esattamente i valori dell'energia e del momento
angolare per il problema dei due corpi riferito al centro di massa.
Dalla (M1.3) segue subito che
1) ~J  ~r = 0: ~J e perpendicolare a ~r;
2) ~J  ~r_ = 0: ~J e perpendicolare alla velocita.
In questo problema particolare c'e poi un terzo integrale primo:
c ) Vettore di Lenz:
L~ = ~r_  ~J , ~rr
Deriviamo infatti L~ rispetto al tempo:
_
L~_ = ~r  ~J + ~r_  ~J_ , ~rr , ~r dtd 1r
dove il secondo termine si annulla perche ~J_ = 0. Sviluppando:
_
L~_ = ~r  (~r  ~r_ ) , ~rr , ~r dtd 1r
_
=  (~r  ~r_ )~r ,  (~r  ~r)~r_ , ~rr , ~r dt
d1
r

d 1
 
= ~r  ~r_ , dt r ~r , ~r  ~r + r ~r_ 

~r
  

= E~ _ r , ~r + 3  ~r ~r_ = 0:

r
M1{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Infatti E_ = 0, mentre l'espressione in parentesi tonde e nulla per la (M1.1).
Studiamo le proprieta del vettore di Lenz.
Si ha: J
~ = ~J  ~r_  ~J
~J  L , r ~r  ~J = 0
r
~J  L
~ =0 (M1.4) v

~ ~r = ~r_ ~J ~r, ~r  ~r


L = ~r~r_ ~J , r = 1 J 2, r L
r

~  ~r + r
L = 1 J 2: (M1.5)
Si vede in modo analogo che Fig. M1-2
L2 = 2 + 2 EJ 2: (M1.6)

Possiamo dunque dire che:


1) esiste un vettore ~J , costante del moto, sempre ortogonale a ~r: cioe ~r ruota
in un piano perpendicolare a ~J (moto piano );
2) allora per la (M1.4) L~ e sul piano dell'orbita ( g. M1{2).
La forma dell'orbita
De niamo anomalia vera v l'angolo tra L~ e ~r; dalla (M1.5) avremo:

L r cos v + r = 1 J 2
2
r = +JL=
cos v :
Ponendo
J2 L
p= e= (M1.7)

abbiamo:
r = 1 + epcos v (M1.8)
che e l'equazione di una conica: iperbole per e > 1, parabola per e = 1, ellisse
per e < 1. Si vede inoltre che questa conica ha l'asse lungo L~ : infatti per v = 0,
essendo sempre e > 0, r e minimo (mentre e massimo per v = ). Questo e
dunque il signi cato sico della direzione di L~ che e quella del pericentro; il suo
M1{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
modulo non ci da altre informazioni, dato che non e indipendente da E e da j~J j.
Notiamo ancora che p dipende solo da j~J j, mentre e dipende solo da jL~ j.
Vediamo ora la relazione tra la forma dell'orbita e l'energia. Dalla seconda
delle (M1.7) e dalla (M1.6) abbiamo che
e1 () L () E  0:
Dato che l'energia potenziale e negativa e si annulla all'in nito, se E = T +V > 0
(e > 1, traiettoria iperbolica) il corpo puo arrivare all'in nito con una certa
energia cinetica e una certa velocita. Per E = 0 (e = 1, parabola) il corpo puo
andare all'in nito, ma con velocita tendente a zero. Per E < 0 (e < 1, ellisse)
il corpo non puo andare all'in nito, dove si avrebbe T < 0.
Studiamo piu in dettaglio l'ultimo caso, quello di orbita ellittica. In primo
luogo si pone:
q = rmin = 1 +p e ; Q = rmax = 1 ,p e ; (per v = 0; v =  risp:)
Calcoliamo il semiasse maggiore:
 p p p

a= 1 (rmax + rmin ) = 1 + =
2 2 1+e 1,e 1 , e2
p 2
J =  J = 2 J = 2
a= 2 = 2 2 =
1 , e 1 , L = , L ,2EJ =
2 2 = 2 = , 2E
(notare che nel nostro caso E < 0). La relazione trovata

a=
2jE j
realizza una connessione tra gli aspetti geometrici e dinamici pdel moto.
Per avere il semiasse minore basta ricordare che b=a = 1 , e2 e si trova
facilmente
J
b=p :
2jE j
Si vede che mentre il semiasse maggiore e inversamente proporzionale all'energia,
il semiasse minore dipende da E , ma a parita di E e proporzionale al momento
angolare: ssata l'energia, al crescere di J cresce b, cioe l'ellisse tende a un
cerchio. Ne segue che per una certa energia E , J non puo superare quel valore
per il quale a = b (orbita circolare):
r 
Jmax =
2jE j :
M1{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Possiamo in ne calcolare il periodo del moto, ricordando che il momento
angolare e proporzionale alla velocita areale A: precisamente e J = 2A. L'area
dell'ellisse e ab, e avremo percio JT = 2ab da cui si ricava T . E interessante
mettere tale espressione nella forma seguente:
ra
3
T = 2 k2 (M1.9)
in cui interviene la costante gaussiana k. Se si assume M  m (k quindi non di-
pende da m) se ne ricava la relazione T / a3=2 (terza legge di Keplero ). Poiche a
dipende solo da E , vediamo che anche il periodo dipende solo dall'energia.
Introducendo il moto medio n de nito da
n = 2T
p
si ha n = k2=a3 da cui si ricava un'altra forma della (M1.9):
n2a3 = k2
che prende il nome di relazione di Keplero.
Si osservi che l'approssimazione fatta sulle masse e decisamente grossolana,
almeno per i pianeti maggiori del sistema solare. Il rapporto M=m vale circa
1000 per Giove e circa 3500 per Saturno, cosicche il valore di k2 puo essere
assunto uguale per tutti i pianeti solo entro 10,3 mentre sia le osservazioni che
i calcoli danno molte piu cifre signi cative.
La legge del moto
Nella g. M1{3 il punto B si trova sul cer-
chio circoscritto all'ellisse sulla perpendicolare
per A all'asse maggiore. Allora si ha
r cos v = a cos u , ae B

A
dove si e introdotto l'angolo u = BC^ P, detto a
anomalia eccentrica. Usando la (M1.8) e facile r
veri care che u O v

r = a (1 , e cos u): C ae P
(M1.10)
Inoltre, uguagliando la (M1.10) alla (M1.8) si Fig. M1-3
ha:
a (1 , e cos u) = 1 + epcos v
M1{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
e usando l'identita
, tg2( =2)
cos = 11 + tg2( =2)
si arriva a questo risultato:
tg v2 = f tg u2 (M1.11)
con r1 + e
f= (M1.12)
1,e:
In alcuni casi e anche utile la seguente relazione
cos2 v2 = ar (1 , e) cos2 u2 (M1.13)

che si ottiene esprimendo cos2(v=2) mediante la (M1.11) e usando la (M1.10).


Di erenziando la (M1.11) si trova
dv du
cos2 (v=2) = 2 f cos2(u=2) :
1 1
2

Moltiplicando termine a termine per la (M1.13) e ricordando la forma (M1.12)


di f si ha:
ap b
dv =
r
1 , e2 du = du
r
cioe
b
v_ = u_ :
r
Moltiplicando per 21 r2 :
d
r v_ = 21 b ru_ = 12 ab (1 , e cos u) u_ = 21 ab
1 2
(u , e sin u):
2 dt
Poiche 12 r2 v_ e la velocita areale A = ab=T = 21 nab, abbiamo:
d
(u , e sin u) = n:
dt
Conviene percio de nire l'angolo ' (anomalia media ) mediante l'equazione di
Keplero
' = u , e sin u (M1.14)
e si ottiene cos
'_ = n
M1{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
che s'integra in
'(t) = '0 + nt = n (t , t0 ) (M1.15)
dove '0 e il valore di ' all'istante t = 0 e t0 e l'istante per cui ' = v = 0, cioe
quando il corpo passa al pericentro dell'orbita.
Si e trovata cos un'ultima costante arbitraria ('0 oppure t0) e si vede che le
costanti del moto indipendenti sono 6: E , Jx, Jy , Jz , L~ , t0 . (Per L~ s'intende solo
la direzione nel piano dell'orbita, in quanto il modulo dipende da E e da j~J j.)
Questo e quanto ci si doveva aspettare, per un problema con tre gradi di liberta.
Trattandosi poi di un problema conservativo (autonomo) e chiaro che delle 6
costanti 5 riguardano la geometria del moto, e solo una da un'informazione
temporale.
Il problema del moto dunque e risolto: la (M1.15), noti n e t0, fornisce '(t)
e da qui si trova u(t) invertendo la (M1.14). Con la (M1.10) si ottiene poi r(t),
e con la (M1.11)) si ha v(t).
Si noti che la (M1.14) non e invertibile in termini di funzioni elementari:
si puo pero provare che nel nostro caso (e < 1) la funzione inversa e ben de nita,
e si tratta percio solo di trovare un adeguato procedimento di calcolo.
A proposito degli angoli v, u, ', notiamo che essi coincidono se e = 0;
altrimenti, de nendoli compresi fra , e , si ha sempre j'j < juj < jvj.
Approssimazione per piccola eccentricita
E utile vedere come si sempli cano alcune delle formule se l'eccentricita e
piccola. Al primo ordine in e avremo f ' 1 + e, e dalla (M1.11)
tg v2 , tg u2 = e tg u2

D'altra parte
u v,u
 (v , u)=2
v
tg 2 = tg 2 + 2 ' tg u2 + cos2 (u=2)
A=B
u-
a
e confrontando risulta v-u
r
v , u ' e sin u ' e sin ': (M1.16)
u v
La (M1.14) si approssima con E C O P
ae ae
u ' ' + e sin ' (M1.17) Fig. M1-4

e in ne
v ' ' + 2e sin ':

M1{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Nella g. M1{3 i punti A e B in questa approssimazione coincidono (l'ellisse
si confonde col cerchio); percio riferendosi alla g. M1{4 si ottiene l'interpreta-
zione geometrica (approssimata) di ' che giusti ca l'equante di Tolomeo. Infatti
preso E tale che EC = CO, gli angoli EA^ C e CA^ O sono uguali a meno di e2;
il secondo vale v , u per costruzione, ma vale anche u , ' per le (M1.16), (M1.17).
Allora il triangolo AEC mostra che l'angolo in E, nella solita approssimazione,
e proprio '.
Gli elementi dell'orbita
Vediamo adesso quali sono i parame-
tri usuali per la determinazione dell'orbita
di un pianeta. Il piano dell'orbita e indi- p.eclittica
i
viduato dalla sua inclinazione i sul piano
dell'eclittica e dalla posizione del N, cioe P
dalla sua longitudine eclittica, che indi-
cheremo con . La posizione del pericen-
tro e data dall'angolo  ( g. M1{5), oppu-
re dall'angolo  = +  detto impropria-
mente \longitudine" del pericentro. Per
i
a
ssare poi la forma dell'orbita occorre da- p.orbit
re il semiasse maggiore a e l'eccentricita e.
Spesso per orbite molto eccentriche, come Fig. M1-5

quelle delle comete, invece di a si da la distanza q al perielio.


In ne l'ultimo dato sara t0 oppure '0, anomalia media all'origine dei tempi
(questo e il piu usato; l'origine dei tempi viene chiamata \epoca"). Talvolta,
in luogo di '0, si trova usato 0 =  + '0, chiamato \longitudine media al-
l'epoca."
Riassumendo: l'orbita e caratterizzata da:
i; ; ; (oppure ); a (oppure q); e; '0 (oppure 0):

M1{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
M2. Determinazione dell'orbita da tre osservazioni

Introduzione
Vedremo ora come si possono ricavare dalle osservazioni gli elementi dell'or-
bita di un pianeta. Il problema e complicato per due ragioni:
{ le osservazioni sono fatte dalla Terra (geocentriche)
{ solo la posizione del pianeta sulla sfera celeste (due angoli) e facilmente
determinabile, mentre la sua distanza e sconosciuta.
Poiche gli elementi orbitali sono 6, e chiaro che occorrono tre osservazioni a
tempi diversi t1, t2, t3, che daranno ad es. e  del pianeta a quei tre istanti.
Avremo allora:
1 = 1 (i; ; ; a; e; '0 ; t1 )
1 = 1 ( : : : ; t1 )
2 = 2 ( : : : ; t2 )
(M2.1)
2 = 2 ( : : : ; t2 )
3 = 3 ( : : : ; t3 )
3 = 3 ( : : : ; t3 ):
Si tratta dunque di risolvere il sistema di 6 equazioni (M2.1), il che e tutt'al-
tro che facile, soprattutto data la presenza di un'equazione implicita (M1{14).
Occorre percio ricorrere a un procedimento numerico.
Questo problema ebbe grande importanza tra la ne del 18-mo secolo e gli
inizi del 19-mo: anni in cui si passo dalla scoperta di Urano (1781) a quella del
primo asteroide (Cerere, 1801) poi via via a molti altri. Il problema occupo per-
tanto i maggiori astronomi e matematici del tempo, e la soluzione piu completa e
generale fu data da Gauss e pubblicata nel 1809 nel classico libro Theoria motus
corporum clestium : : :
Sebbene ai nostri tempi la soluzione di problemi del genere sia stata enorme-
mente facilitata dall'uso dei calcolatori elettronici, i metodi sviluppati allora ne
costituiscono ancora la base, ed e percio utile conoscerne almeno le linee generali.
Un metodo frequentemente usato in questi casi e quello per approssimazioni
successive (iterazione ), in cui la conoscenza di una soluzione approssimata con-
sente di ottenerne una piu corretta. Quando questo accade, e quando la succes-
sione delle approssimazioni ha un limite, il metodo iterativo si dice convergente
e cio rappresenta una condizione necessaria per lo scopo voluto. In pratica, tra
diversi metodi che si possono escogitare sara migliore quello che mostra una
convergenza piu rapida, cioe quello che richiede un minor numero d'iterazioni.
Anche per il nostro speci co problema sono stati messi a punto diversi
procedimenti iterativi. Qui ne presentiamo due: uno dovuto a Laplace, l'altro
a Gauss; il primo di derivazione piu semplice, ma applicabile solo nei casi in
M2{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
cui i tre istanti t1, t2 , t3 siano vicini ed equidistanti, il secondo alquanto piu
complesso, ma di applicazione generale e convergenza assai rapida. Come gia
detto in precedenza, ci limitiamo a discutere il caso di orbite ellittiche.
La g. M2{1 mostra le notazioni che verranno usate:
~% posizioni geocentriche del Sole nei tre istanti di osservazione (i = 1; 2; 3);
i
questi vettori si suppongono noti in quanto ricavabili dalle e emeridi del
Sole (che danno anche le coordinate cartesiane)
~u direzioni geocentriche dell'oggetto in esame, ricavabili immediatamente dalle
i
coordinate (angolari) osservate
r = j~r j sono le distanze geocentriche, che non si ottengono direttamente dalle
0
i
0
i
osservazioni, ma si troveranno come risultato secondario del calcolo
~r (posizioni eliocentriche) sono le incognite principali del problema.
i

Terra Pianeta
Il metodo di Laplace r=ru
Supponiamo che le tre osservazioni siano state
fatte in tempi abbastanza vicini: cio permettera di
ottenere senza troppo errore i valori della velocita e r
dell'accelerazione, trascurando in nitesimi di ordine
superiore al secondo nel tempo. Per la stessa ragio-
ne, invece di ~%1, ~%2 , ~%3 consideriamo noti ~%, ~%_ e ~%,
Sole

anch'essi ricavabili dalle e emeridi. Fig. M2-1


Nelle ipotesi fatte, e ponendo t2 , t1 = t3 , t2 =
t, avremo:
~u3 , ~u1 2 = ~u1 , 2~u22 + ~u3 :
~u_ 2 = ; ~u
2t t
Questo si puo vedere con lo sviluppo in serie di Taylor di ~u intorno a ~u2:
 t2 + O(t3)
~u1 = ~u2 , ~u_ 2 t + 12 ~u

= ~u2 + ~u_ 2 t + 21 ~u t2 + O(t3):


~u3
Supporremo dunque noti ~u, ~u_ , ~u. Il nostro problema sara risolto quando avremo
trovato ~r e ~r_ .
Procediamo come segue: derivando due volte rispetto al tempo la relazione
r0~u = ~% + ~r (M2.2)
e usando l'equazione del moto (M1{2) otteniamo
~r
r0 ~u + 2r_0 ~u_ + r0 ~u
 = ~% , k2 (M2.3)
r3
nella quale, ponendo ~r = r ~u , ~%, restano tre incognite: r , r_ , r .
0 0 0 0

M2{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Per farne sparire due si moltiplica scalarmente la (M2.3) per il vetto-
re ~v = ~u  ~u_ . Allora:
k2
r (~u  ~v ) = ~%  ~v , 3 ~r  ~v:
0
(M2.4)
r
Facendo lo stesso nella relazione di partenza (M2.2):
r (~u  ~u  ~u_ ) = ~%  ~v + ~r  ~v
0
) ~%  ~v = ,~r  ~v :

Si sostituisce nella (M2.4), ponendo per brevita


 = ~v  ~u = ~u  ~u_  ~u

e si arriva a
r =
0
1 (~v  ~%) + k2 (~v  ~%): (M2.5)
  r3
A questo punto potremmo sostituire la (M2.5) nella (M2.2), ma otterremmo
un'equazione
1 k2
~r = (~v  ~%) ~u + 3 (~v  ~%) ~u , ~%
 r
che non si risolve con metodi elementari. Conviene allora procedere per itera-
zione.
Se il pianeta e abbastanza lontano dal Sole, r e grande e nella (M2.5) il ter-
mine proporzionale a 1=r3 e trascurabile rispetto al resto: cio e come porre in
partenza r = 1. Si ricava cos un valore r1 di r , e anche ~r1 . Dalla (M2.2)
0 0 0

si trovera in corrispondenza un certo ~r1 . Posto questo nuovo valore al posto


di ~r nella (M2.5) si ottiene una seconda approssimazione r2 , poi ~r2 , ecc. Se r 0 0

e grande il procedimento converge e fornisce ~r (e anche ~r ) all'istante t2. 0

Per determinare l'orbita occorrono pero 6 elementi. Sarebbe utile la cono-


scenza di ~J = ~r  ~r_ (o meglio di ~J=). Per trovare ~r_ si riparte dalla (M2.3),
moltiplicando stavolta per ~u_ . Allora:
k 2
r (~u  ~u_ ) + 2r_ j~u_ j2 + r (~u_  ~u ) = ~u_  ~% , 3 (~u_  ~r )
0 0 0

2r_ j~u_ j2 + r (~u_  ~u) = ~u_  ~% + k3 (~u_  ~%)


2
0 0

r
(~u  ~u_ = 0 perche ~u e un versore). Questa da r_ ; ricordando poi che
0

~r_ = r_ ~u + r ~u_ , ~%_


0 0

si determina ~r_ .
M2{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Trovati ~r, ~r_ si ricavano subito ~J , E , L~ e tutti i parametri del moto. Natu-
ralmente per applicare questo metodo occorrera sempre controllare a posteriori
la validita delle ipotesi sempli cative che si sono fatte.
Elementi dell'orbita, noti tre vettori eliocentrici
Come introduzione al metodo di Gauss a rontiamo in via preliminare il
problema di calcolare gli elementi dell'orbita di un pianeta essendone note tre
posizioni eliocentriche: ~r1, ~r2, ~r3 .
Faremo uso nel seguito delle seguenti relazioni
~r  ~r = r r cos w
i j i j ij
(M2.6)
~r  ~r = r r sin w ~
i j i j ij

dove si e posto w = v , v , e ~ e il versore del momento angolare del corpo in


ij j i
esame.
Consideriamo il sistema di tre equazioni (M1{8)
p
ri
= 1 + e cos v i (i = 1; 2; 3) (M2.7)
che rappresentano il moto kepleriano ellittico ipotizzato nel nostro calcolo. Poi-
che gli angoli w sono noti tramite le (M2.6), nel sistema (M2.7) si puo por-
ij
re v1 = v2 , w12 e v3 = v2 + w23 con che rimangono incognite v2 , p, e.
Visto cos il sistema si risolve male; conviene assumere invece come incogni-
te p, e cos v2 , e sin v2 per le quali il sistema e lineare. Il risultato si puo esprimere
in termini dei prodotti degli ~r eliminando le funzioni sin w e cos w ; si arriva
i ij ij
cos a:
~t  ~q
p= 2
q
e cos v2 =
~r 2
r2
 ~s q2 ~q (M2.8)
~r ~s
e sin v2 = 2
r2
 q
dopo aver de nito
~q = ~r 1  ~r 2 + ~r 2  ~r 3 + ~r 3  ~r1
~t = r1 (~r 2  ~r 3 ) + r2 (~r 3  ~r 1 ) + r3 (~r 1  ~r 2 )
~s = (r1 , r2 )~r 3 + (r2 , r3 )~r 1 + (r3 , r1 )~r 2 :
Si noti che mentre ~q e ~t sono paralleli tra loro e ortogonali al piano dell'orbita,
~s sta in questo piano, come pure ~s  ~q .
Nota: Il caso e = 0 richiederebbe una trattazione particolare che viene omessa
essendo un caso estremamente improbabile.
M2{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Detta ~ 1, ~ 2, ~ 3 una terna ortogonale di versori, dei quali
~ 1 in direzione del perielio,
~ 2 ancora nel piano dell'orbita
~ 3 coincidente con ~,
si ha immediatamente che ~ 3 = ~q=q = ~t=t. Dall'esa-
me della g. M2{2 si ricavano subito le relazioni
cos v2 = ~rr2  ~ 1
2

sin v2 = ~rr2  ~ 2
2
r2
che confrontate con le ultime due delle (M2.8) danno 2
v2 P
~r 2
r2
 ~r
~ 1 = 2
r2
 eq2~q = ~rr2  j~s~s ~q~qj eqs
~s O 1
2

~r 2 ~r
r2
 ~ 2 = 2
r2
 eq~s = ~rr2  ~ss eqs Fig. M2-2

2
da cui si trova
~s  ~q ~s s
~ 1 = ~ 2 = e= :
j~s  ~q j s q
Inoltre dalla relazione p = a (1 , e2) e dalla prima delle (M2.8) si ottiene
~q  ~t
a= :
q 2 , s2
La terna ~ 1, ~ 2, ~ 3 cos trovata puo essere espressa in qualunque sistema
di coordinate (ad es. eclittiche): cio consente di determinare gli angoli i, ,
che de niscono l'orientamento dell'orbita. Risulta
13 = sin i sin  23 = sin i cos  33 = cos i (M2.9)
31 = sin i sin 32 = , sin i cos
avendo indicato con la componente j -ma di ~ . Le componenti non scritte
ij i
nelle (M2.9) hanno espressioni complicate e in generale non servono. Fa eccezione
il caso i = 0, in cui il nodo ascendente non e de nito e risulta
11 = cos( + )
12 = sin( + )
da cui si ricava  + .
In ne la conoscenza di v2 = v(t2 ) consente di avere u(t2 ) e '(t2), da cui si
determina '0.
M2{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Il metodo di Gauss: relazioni fondamentali
Il prodotto ~r2  ~r3 e parallelo ad ~ 3; per caratterizzarlo
basta percio la componente su ~ 3, che indicheremo con n1 . P3

Analogo signi cato hanno n2, n3. E immediato il signi cato


geometrico di n1 come doppio dell'area orientata tr(SP2P3)
P2
r3
del triangolo SP2P3 ( g. M2{3); analogamente risulta che r2 P1
n1 + n2 + n3 = 2 tr(P1 P2 P3 ): S
r1

Si dimostra facilmente che


X n ~r
3
= 0: (M2.10)
Fig. M2-3

i i
i=1

Ad esempio si puo far vedere che il prodotto scalare del vettore n ~r con ~r1
P i i
e ~r2 e nullo, facendo uso delle (M2.6); cio e suciente perche il vettore in esame
e nel piano dell'orbita e ~r1, ~r2 sono due vettori indipendenti di questo piano.
Ricordando che
~r = r ~u , ~% i
0
i i (M2.11)
i

la (M2.10) puo riscriversi


X n r ~u = X n ~% 0
(M2.12)
i i i i i
i i

che e un sistema di tre equazioni (una per componente) in cui gli n e r sono i
0
i
incogniti, mentre ~u e ~% sono vettori noti. In questi termini il sistema non e
i i
risolubile; quello che faremo invece sara di dare un valore approssimato agli n i
e usare il sistema (M2.12) per ricavare gli r e quindi gli ~r , iterando con valori
0
i i
sempre migliori degli n .i

Se si danno per noti gli n il sistema, essendo lineare, si risolve banalmente;


i
moltiplicandone i due membri scalarmente per ~u2  ~u3 si trova subito
r1 =
0
Xn i
1i (M2.13)
i
n1
con
~%i  ~u2  ~u3
1i = (M2.14)
~u1  ~u2  ~u3
e analoghi per r2 , r3 (notare che le ij si possono calcolare una volta per tutte,
0 0

essendo espresse in termini di grandezze note).


Per de nire i valori n (anzi due di questi, in quanto nel sistema (M2.12)
i
intervengono solo i loro rapporti) Gauss usa due nuove variabili P e Q legate
agli n da
n +n +n
i
n
P= 1 Q = ,2r3 1 2 3 (M2.15)
n3 2
n2
M2{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
che invertite danno  
n1 P Q
n2
= ,1 + P 1 + 2r23
  (M2.16)
= , 1 +1 P 1 +
n3
n2
Q
2r23 :
Nelle (M2.16) compare r2, che e soluzione dell'equazione
   

+ 1 +1 P 1 + 2Qr3 (P 21 + 23 ) , 22



r2 = ~%
2
~u 2 (M2.17)
2

ottenuta sostituendo le (M2.16) nell'espressione di r2 { analoga alla (M2.13) {


0

e questa nella (M2.11); la (M2.17) e un'equazione per r2 che si risolve con uno
dei metodi numerici standard per la ricerca degli zeri di una funzione.
Scelta dei valori iniziali
Le variabili P e Q hanno il pregio che se ne
riesce a dare un valore iniziale gia molto buono Q3
analizzando il problema da un punto di vista geo-
metrico. Per quanto riguarda P , consideriamo che Q2

le aree dei triangoli SP1P2 e SP2P3 di eriscono da P3 Q1


quelle dei settori di ugual nome per termini di ter- P2
z'ordine nelle di erenze v2 , v1 e v3 , v2 . Inoltre P1

per la seconda legge di Keplero le aree dei settori


sono proporzionali ai tempi impiegati a spazzarle:
avremo dunque O S P

P = n1 tr(SP2P3) ' sett(SP2P3) = t3 , t2 :


= tr(SP
Fig. M2-4

n2 1 P2 ) sett(SP1P2) t2 , t1
Se gli intervalli di tempo sono abbastanza piccoli (rispetto a un periodo) questo
e dunque un buon valore iniziale per P .
Consideriamo poi il triangolo Q1Q2Q3 corrispondente a P1P2P3 sul cerchio
podario (cerchio circoscritto all'ellisse, g. M2{4). Sappiamo che
tr(Q1 Q2Q3) = a
tr(P1P2 P3) b
e inoltre l'angolo al centro dell'arco Q_Q e u , u (di erenza delle anomalie
i j j i
eccentriche, g. M2{1). Se questa di erenza e piccola vale la relazione
a
uj , ui = (' , 'i) (M2.18)
r j
M2{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
che si ottiene di erenziando la (M1{14) e usando la (M1{10). Possiamo allora
scrivere
n +n +n tr(P1 P2P3) = 2r3 b tr(Q1Q2Q3)
Q = ,2r23 1 2 3 = ,2r23
n2 tr(SP3P1) 2
a tr(SP1 P3 )
2r2 b
3
' a sett(SP tr(Q1 Q2Q3)
1 P3 )

avendo fatto la stessa approssimazione di prima. Ancora per la legge delle aree
e sett(SP1P3 ) = 21 ab ('3 , '1), mentre resta da esprimere tr(Q1Q2 Q3):
tr(Q1 Q2Q3) = [sett(OQ1Q3) , tr(OQ1Q3)] , [sett(OQ1 Q2) , tr(OQ1Q2)] ,
[sett(OQ2 Q3) , tr(OQ2Q3)]
 2 
= 12 a (u3 , u1) , 12 a2 sin(u3 , u1) ,   
Sviluppando sin n, a meno di termini del quinto ordine si ottiene
 
tr(Q1Q2Q3) ' 12 a2 16 (u3 , u1)3 , 61 (u2 , u1)3 , 61 (u3 , u2)3
= 14 a2 (u2 , u1) (u3 , u2) (u3 , u1)
= 4ar3 ('2 , '1) ('3 , '2) ('3 , '1)
5

2
per la (M2.18), avendo assunto r2 come valor medio di r nell'intervallo conside-
rato. Concludendo:
Q = a3 ('2 , '1 ) ('3 , '2 ) = k 2 (t2 , t1 ) (t3 , t2 ):
Abbiamo cos giusti cato la scelta dei valori iniziali per P e Q:
t3 , t2
P0 =
t2 , t1 (M2.19)
Q0 = k 2 (t2 , t1 ) (t3 , t2 ):

Iterazione
L'iterazione procede in questo modo: determinati col procedimento gia visto
gli elementi (approssimati) dell'orbita, si possono ricalcolare da questi i tempi
relativi alle tre posizioni dell'oggetto. Questi non coincideranno con quelli di
osservazione, in quanto per P e Q si sono usati dei valori approssimati. Si puo
mostrare che, indicando con l'apice i tempi calcolati, una migliore approssima-
zione per P e Q si otterra ponendo
   0
t ,t t ,t
P1 = P0 3 2 : 3 2
t2 , t1 t2 , t1 (M2.20)
(t , t ) (t , t )
Q1 = Q0 2 1 3 2 :
(t2 , t1) (t3 , t2)
0 0

M2{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Il procedimento puo essere ripetuto no a ottenere l'approssimazione desiderata
alla soluzione esatta.
Nello schema seguente e riassunta per blocchi la procedura complessiva.

M2{9
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
M3. Meccanica analitica del problema dei due corpi

Le coordinate canoniche
Tratteremo adesso il problema dei due corpi coi metodi della Meccanica
Analitica. Faremo sempre riferimento al problema ristretto, nel senso visto nel
Cap. M1. Useremo coordinate sferiche con le notazioni astronomiche ( g. M3{1):
in particolare l'angolo e contato dal piano dell'eclittica, anziche dall'asse po-
lare. Le coordinate lagrangiane sono dunque r, , . Vediamo l'espressione
dell'energia.
, 
Energia cinetica: T = 21  r_2 + r2 _ 2 + r2 cos2 _ 2
Energia potenziale: V = ,k2=r:

La lagrangiana sara L = T , V . De niamo ora i mo-


menti coniugati: z
P
pr= @L =  r_ r
@ r_
@L
p = _ =  r2 _ (M3.1) y
@ x
@L
p = _
= r2 cos2 :
@ _ Fig. M3-1

Assumendo come variabili indipendenti le p e le q,


determiniamo l'hamiltoniana del sistema
X
H = pi q_i , L:

E noto che quando T e una funzione quadratica omogenea nelle velocita gene-
ralizzate si puo scrivere
H = T + V:
Dunque nel nostro caso
 
H (q; p) =
1 1 1
pr + 2 p2 + 2 2 p2 ,
2 k2
2 r r cos r

e da qui si ricavano le equazioni di Hamilton:


@H @H
q_ = p_ = ,
@p @q
M3{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
(tralasciamo gli indici per semplicita). Le prime forniscono r_ = pr = ecc. cioe
le (M3.1); dalle seconde abbiamo invece:
1
= 1r3 p2 +  r3 cos
2
2 , k 
p_r p
2  r2
sin
p_ = , 2 3 p2
(M3.2)
 r cos
p_ = 0:

La terza equazione e ovvia perche H non dipende da ,


e ci dice che p e una costante del moto, cioe che si con- z
r cos
serva la componente del momento angolare secondo l'asse P
polare dell'eclittica. Infatti abbiamo p =  r cos  
2 2 _ r

dove  r2 cos2 = I e il momento d'inerzia e _ la velocita


angolare: dunque p non e altro che Jz ( g. M3{2).
Un altro integrale primo si trova subito ricordando Fig. M3-2
che dH=dt = @H=@t, che nel nostro caso e nulla perche H
non dipende esplicitamente dal tempo. Ne segue che H = cost: = E (energia).
L'equazione di Hamilton{Jacobi
I vantaggi sostanziali del formalismo di Hamilton non sono ancora apparsi.
Osserviamo intanto che le perturbazioni del moto del pianeta a causa di altri cor-
pi celesti sono esprimibili in termini di potenziali addizionali in H . Le soluzioni
che si troveranno trascurando le perturbazioni saranno allora approssimate, ma
il successivo studio delle perturbazioni verra molto facilitato.
Altra cosa interessante e che per opportune trasformazioni di variabili (tra-
sformazioni canoniche ) la forma delle equazioni di Hamilton resta invariata. Si e
detto trasformazioni di variabili e non di coordinate perche quest'ultime sono una
piccola parte delle trasformazioni permesse, che possono generalmente coinvol-
gere insieme coordinate e momenti coniugati. Vedremo che con opportuna scelta
della trasformazione l'hamiltoniana puo assumere una forma piu semplice.
Ci si puo ad es. proporre di trovare una trasformazione canonica
(p; q) 7! ((p; q); (p; q))
per la quale la nuova hamiltoniana K sia identicamente nulla. Trovare una tale
trasformazione e appunto il problema di Hamilton{Jacobi (in seguito abbrevia-
to con H{J). Una volta trovata la trasformazione, le equazioni di Hamilton si
ridurranno a
_ = _ = 0
cioe le  e le  saranno costanti del moto.
M3{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Una trasformazione qualsiasi non e a priori canonica, ma si dimostra che
comunque scelta una funzione S (q; ; t), da questa funzione (detta generatrice )
si puo ottenere una trasformazione canonica come segue. Si scrive
@
= S (q j jt)
@
@
(M3.3)
p= S (q j jt):
@q
Risolvendo le seconde delle (M3.3) rispetto alle , si ricavano queste come fun-
zioni di (q; p); sostituendo le  nelle prime, si ottengono le (q; p). Si dimostra
poi che nelle nuove coordinate l'hamiltoniana diventa

K = H + @S
@t
:

Se vogliamo K = 0 bastera che sia H = ,@S=@t. Si noti pero che H


e funzione delle q e delle p, mentre S contiene le q e le ; occorre percio pre-
cisare meglio il discorso. Nell'hamiltoniana dobbiamo pensare sostituite alle p
le espressioni @S=@q; avremo allora
 
@S
H q;
@q
;t = , @S
@t
che e l'equazione di H{J.
Se dunque si riesce a trovare una soluzione S di quest'equazione, si trova
subito la trasformazione (q; p) 7! (; ) che da per hamiltoniana K  0, e le
nuove coordinate forniscono altrettante costanti del moto.
Separazione dell'equazione di H{J

Tornando al nostro caso, l'equazione di H{J si scrivera:


" 2  @S 2  @S 2#
1 @S
+ 1 + 1 2
, kr = , @S : (M3.4)
2 @r r2 @ r cos2
2 @ @t

Risolvere la (M3.4), ossia trovare S (r; ; ; t), e in genere tutt'altro che facile,
poiche si tratta di un'equazione alle derivate parziali non lineare; tanto meno e
possibile trovarne l'integrale generale. Questo non e pero necessario: se infatti
riusciamo a trovare un integrale completo dell'equazione, cioe una soluzione che
contiene in maniera essenziale tanti parametri quanti sono i gradi di liberta,
e al variare dei quali si ottiene cos tutta una famiglia di soluzioni, allora questi
parametri possono essere assunti come variabili , per cui avremo ottenuto la
cercata S (q; ; t).
M3{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Fortunatamente la (M3.4) e separabile : intendiamo con questo che esiste
una soluzione del tipo:
S (r; ; ; t) = Sr (r) + S ( ) + S() , t: (M3.5)
La particolare dipendenza dal tempo nella forma (M3.5) e possibile se e solo se
la H non dipende da t esplicitamente, come nel nostro caso; le condizioni generali
di separabilita dell'equazione sono ancora oggetto di discussione e dipendono
comunque dalle coordinate lagrangiane scelte all'inizio.
Come vedremo, la (M3.5) fornisce in modo naturale, come in tutti i casi di
separabilita, l'integrale completo di cui abbiamo bisogno.
Con la sostituzione (M3.5) la nostra equazione (M3.4) diventa:
1
dS 2 1
dS 2 dS 2
+ 2r2 1cos2
2

2 dr
r
+ 2r 2 d

d
, kr = : (M3.6)

La parte a primo membro e l'hamiltoniana, che e ovviamente una costante del


moto e coincide con l'energia E , per cui possiamo porre  = E .
Se risolviamo la (M3.6) rispetto a dS=d otteniamo un risultato della forma
dS
d
= F1 (r; )
dove il secondo membro non dipende da . Dunque anche dS=d non dipende
da  e si riduce a una costante:
dS
d
= J : (M3.7)

Riscriviamo ora la (M3.6) cos:


dS 2 " 2 #
1 r 1
+ 2r dS J2 2
+ cos2 , kr = E:
2 dr 2 d

Con lo stesso ragionamento si trova:


 2 2
dS
d
+ cosJ2 = F2(r)

e di nuovo il primo membro di questa non dipende da ma e una costante, che


chiameremo J 2:  2
dS J2
d
+ cos2 = J :
2
(M3.8)

M3{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Resta in ne un'equazione di erenziale per la sola Sr :
dS 2
= 2E + 2kr , Jr2 :
2 2 2
r
dr
(M3.9)

Le (M3.7, 8, 9) sono tutte equazioni di erenziali del primo ordine, i cui


integrali generali conterranno costanti additive. Si vede pero che possiamo porle
subito uguali a zero, perche restano tutte come addendi nell'espressione di S ;
di questa funzione generatrice serviranno pero solo le derivate rispetto ai suoi
argomenti e in queste le costanti additive non compariranno. Le (M3.7, 8, 9)
hanno le seguenti soluzioni:
S = J  
Z  1=2
J2
S = d J 2
, cos2
(M3.10)
Z  
J 2 1=2
2E + 2kr , r2
2 2
Sr = dr :

Nelle ultime due c'e ovviamente un'indeterminazione nel segno della radice
quadrata: esaminiamo S . Presso il nodo ascendente, dove cresce ( _ > 0),
anche p , che e legato a _ dalla seconda delle (M3.1), e positivo: dunque
@S=@ = p > 0 e il segno da prendere (almeno in questa zona) e quello positi-
vo. Viceversa, attorno al nodo discendente va preso il segno negativo. Analogo
ragionamento si puo fare per Sr , dove si deve distinguere il moto da pericentro
ad apocentro (pr > 0) e quello da apocentro a pericentro (pr < 0).
Soluzione esplicita
Restano da calcolare i due integrali, cosa che si puo fare senza altre cono-
scenze, con diverse tecniche. Ma noi abbiamo gia risolto il problema per altra
via e ne conosciamo la geometria; faremo quindi uso di sostituzioni di variabili
ispirate alla soluzione gia nota.
Per il calcolo del primo integrale sono utili le seguenti posizioni:
J = J cos i (notare che J2 < J 2)
sin = sin i sin w: (M3.11)
La (M3.11) de nisce w in funzione di ; di erenziandola:
cos d = sin i cos w dw:
M3{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Sempre dalla (M3.11) si ottiene facilmente
sin2i , sin2 = sin2 i cos2w:
De niamo poi  mediante
tg  = cos i tg w: (M3.12)
Di erenziando la (M3.12):
d dw
 = cos i cos2w :
cos 2

Dalle (M3.11), (M3.12) si puo ricavare


w
cos2 cos2  = cos2w
i
che moltiplicata per la precedente da:
Fig. M3-3
cos2 d = cos i dw:
Tutte le relazioni scritte risultano chiare pensando a w e  come ipotenusa
e cateto di un triangolo sferico rettangolo, di cui e l'altro cateto e i l'angolo
opposto ( g. M3{3).
Procediamo con il calcolo:
Z  1=2 Z 2 , cos2 i)1=2
S = d J 2 J2
, cos2 = J (cos cos
d

Z Z Z
, 2 1=2 d d dw
= J sin i , sin 2

cos = J sin i cos w cos
= J sin2 i cos2w cos2

Z  
=J cos2 , cos2i dw = J Z 1 , cos2 i dw = Jw , J cos 2i
Z
dw
cos2 cos2 cos2
Z
= Jw , J cos i d = Jw , J :

Dunque il risultato e
S = Jw , J:
E utile sapere che
@S @S
@J
=w @J
= ,:

M3{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Queste non sono relazioni immediate: ad es. w dipende da J attraverso i nella
sua de nizione (M3.11). Il modo piu semplice di trovarle e di eseguire le derivate
sotto il segno d'integrale nella seconda delle (M3.10), e poi calcolare gli integrali
che risultano in modo del tutto analogo a quello seguito per S .
Veniamo al secondo integrale. Poniamo:
k2
E =,
2a
J 2 = k 2 2 p con p = a (1 , e2):
p
r = a (1 , e cos u) =
1 + e cos v
da cui
dr = ae sin u du
e2 sin2 u = 1 , e2 cos2 u , (1 , e2 )
ap
dv =
r
1 , e2 du:
Passiamo al calcolo:
Z  1=2 Z  1=2
Sr = dr 2E +
2k22 , J 2 = dr , k a + 2kr
2 2 2 2
, k r2 p
2 2

r r2
Z  1=2 Z
= k dr , a1 + 2r , rp2 k dr
, 
=pa
,r2 + 2ar , pa 1=2 r
Z Z Z
= k a3=2 e2 sin u du
2
r
= du
k a3=2 (1 , e2 cos2 u) , k a3=2 (1 , e2 )
r
du
r
p Z p Z
= k a (1 + e cos u) du , k a (1 , ) dv e2
p
= k a (u + e sin u) , k pp v:
L'ultimo risultato e dunque:
p
Sr = k a (u + e sin u) , k p v:
p
Le variabili indipendenti per la Sr sono r; E; J . Troviamo allora che
@Sr a3=2
= 1
'= ' (' anomalia media; n = k=a3=2)
@E k n
@Sr
@J
= ,v:
M3{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Si noti che sebbene sia k  p1=2 = J , anche qui la derivata non si fa direttamente:
si puo procedere come gia detto per le derivate di S .
Altre variabili canoniche
Invece di usare la terna E; J; J, conviene usare la terna J'; J; J , cos
de nita: s43
E =, 2
k 4 3 k  p
2J' ovvero J' =
2jE j = k a:

J = J J = J :
Ricordiamo che e S (q; ; t) e che  = @S=@. Troviamo allora le nuove variabili
canoniche:
@S @S dE
@J
= @E dJ
= ' , nt (M3.13)
' '
e poi
@S
@J
=w,v =
@S
(M3.14)
@J
=  ,  = :

La scelta di questi simboli e ovvia, dato che  e l'argomento del perielio e


la longitudine del nodo ascendente. Le nuove coordinate, che sono costanti del
moto, sono dunque:
'0 = ' , nt  :
Riassumendo: fatte le posizioni
 = w , v (di erenza tra argomento del pianeta e anomalia vera = argomento
del perielio)
=  ,  (di erenza tra long. del pianeta e pseudolong. del N = long. del N)
e poi
J' = k a
p J = J J = J = J cos i E=,
k 43
2J'2
si puo scrivere
S = J' (u + e sin u) + J  + J , Et:
Trovata S (r; ; ; J' ; J; J ) abbiamo p = @S=@q e  = @S=@; da queste ultime
si ricavano le  ((M3.13), (M3.14)): queste sono '0,  e . L'insieme delle coor-
dinate canoniche (che sono tutte costanti del moto, in quanto la generatrice S e
soluzione dell'equazione di H{J) consiste di
'0 
J' J J :

M3{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
L'azione ridotta

Talvolta invece di usare la generatrice S si usa la cosiddetta \azione ridot-



ta" S cos de nita:
S = S + Et:
In tal modo in certi casi, come nel nostro, la S non contiene il tempo esplicito,
e cioe puramente geometrica. Naturalmente S non e soluzione dell'equazione
di H{J e le nuove variabili non saranno tutte costanti del moto. Il vantaggio
pero c'e: quando E non dipende dal tempo (problema conservativo) si puo
separare il tempo nell'equazione di H{J come si e visto: inoltre, poiche la nuova
hamiltoniana e legata alla vecchia da K = H + @ S=@t  , se S non dipende dal
tempo avremo K = H .
Da una trasformazione geometrica come quella de nita da S si puo sempre
ricavare l'orbita, anche se non si sa nulla del moto lungo l'orbita. Infatti valgono
ancora le (M3.14), nella forma
@ S @ S
@J
= 
@J
=

(questo perche la dipendenza dal tempo coinvolge solo E che dipende solo da J' ).
E facile convincersi che il termine ' nella (M3.13) deriva dalla prima parte
di S che non dipende dal tempo (quella che abbiamo chiamato S) mentre il
termine ,nt deriva da ,Et; infatti
dE k 4 3 k 4 3 k
dJ'
= J'3
= =
k 33 a3=2 a3=2
= n:
Si ottiene allora
@ S
@J'
='
che non e una costante del moto. Dall'equazione q_ = @H=@p ricaviamo
@K
'_ = = @H = dE = n ) ' = '0 + nt
@J' @J' dJ'
e in ne ritroviamo
@H
_ = =0
@J
da cui  costante del moto, come pure .
In breve: se si usa come generatrice l'azione ridotta, si arriva a variabili
canoniche
' 
J' J J :
che sono tutte costanti del moto, a eccezione di '.
M3{9
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Sistemi integrabili e degenerazione
Abbiamo dimostrato, mediante calcoli diretti e grazie alla separabilita del-
l'equazione di H{J, che esistono nuove coordinate canoniche, tutte costanti del
moto, ricavabili da quelle di partenza mediante sole integrazioni. E utile ricorda-
re che questo e solo un esempio particolare di un teorema generale di Liouville.
Nel nostro caso, tutto dipende dall'esistenza di certe costanti del moto:
energia (hamiltoniana) e momento angolare. Richiamando la de nizione di pa-
rentesi di Poisson | che qui dobbiamo dare per nota | e le sue proprieta ,
e evidente che le parentesi di Poisson di H con le componenti di J , e anche
~
quella col modulo J , sono nulle. Inoltre e anche fJ; Jz g = 0 (e lo stesso per le
altre componenti).
Siamo dunque nelle ipotesi del teorema di Liouville: il problema ha tre gradi
di liberta, ed esistono tre costanti del moto con parentesi di Poisson nulle tra
loro: ad es. H , J , Jz . Allora il problema del moto si riduce al calcolo d'integrali
(\quadrature"). Si dice che il sistema e integrabile.
E infatti facile veri care che la conoscenza delle 6 costanti del moto e delle
relazioni che le legano alle coordinate originarie r, ,  permettono di trovare la
dipendenza dal tempo di queste.
Il problema dei due corpi ha poi un'altra particolarita: le orbite (ellittiche)
sono chiuse, il che vuol dire che il moto e periodico : tutte e tre le coordinate
variano periodicamente nel tempo, con lo stesso periodo. Questa non e la con-
dizione generale per un sistema integrabile: di solito accade che compaiano piu
periodi, in numero anche pari al numero di gradi di liberta.
Quando i periodi indipendenti sono meno del numero dei gradi di liberta
si parla di degenerazione; si dimostra che la degenerazione e connessa con la
possibilta di scegliere in piu di un modo le tre costanti del moto del teorema
di Liouville. Nel nostro caso la (doppia) degenerazione dipende dal poter pren-
dere Jx o Jy in luogo di Jz , e poi dall'esistenza del vettore di Lenz: infatti
si puo veri care che un'altra scelta possibile e H , Jz , Lz (e analoghe in altre
direzioni).
Nel seguito, quando useremo la teoria di H{J per studiare le perturbazioni
al problema dei due corpi, avremo modo di veri care come le perturbazioni
risolvano di solito la degenerazione, e potremo constatare il conseguente e etto
sulle orbite.

M3{10
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
M4. Perturbazioni: e etto di un primario non sferico.
Incominceremo lo studio delle perturbazioni in meccanica celeste esaminan-
do l'e etto, sul moto di un satellite, di un primario con distribuzione di massa
non sferica. Il potenziale newtoniano in questo caso non va piu bene; di conse-
guenza il moto non sara piu kepleriano.
Sviluppo in multipoli dell'energia potenziale
La formula generale dell'energia potenziale e
Z
0
V (~r) = ,Gm j~r%0(~,r ~)rj d~r0 : (M4.1)

Il denominatore e sviluppabile in serie di r0 =r


1 1 X1 r0 l  

j~r , ~r0 j = r l=0 r Pl (cos !) (M4.2)

dove ! e l'angolo tra ~r e ~r0 . La serie converge per r > r0 , e per r  r0 basta
prendere in considerazione solo i primi termini. E ovvio che i coecienti dello
sviluppo dipendono solo da !; molto meno ovvio che si tratti addirittura di
polinomi in cos !, che si chiamano polinomi di Legendre. Si puo dimostrare che
e sempre jPl(cos !)j  1; inoltre, se i vettori ~r e ~r0 hanno rispettivamente gli
angoli polari #,  e #0 , 0 , in modo che sia
cos ! = cos # cos #0 + sin # sin #0 cos( , 0 )
(teorema del coseno per il triangolo sferico formato da ~r, ~r0 e l'asse z) si ha il
teorema di addizione
l , m)! P m (cos #) P m (cos #0 ) cos m( , 0 )
"m ((ll +
X
Pl (cos !) = m)! l l (M4.3)
m=0
dove 
"m = 21 ((m m = 0)
> 0).
I polinomi \associati" che compaiono nella (M4.3) sono de niti da:

Plm (z) = 1 , z2 ,m=2 dz


,  dm h,1 , z2 m=2 P (z)i
m l

e, nel caso particolare m = 0, da Pl0(z) = Pl(z).


M4{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Sostituendo l'espressione (M4.3) nella (M4.2) e questa nella (M4.1), e scri-
vendo l'integrale in coordinate polari, avremo in generale
XX l (l , m)! P m (cos #) 
V (~r) = , Gm
1

"m
r l=0 m=0 (l + m)! l
Z  r l (M4.4)
m
 r Pl (cos # ) cos m( ,  ) %(r ; # ;  ) r sin # dr d# d :
0
0 02 0 0 0 0 0 0 0 0

Simmetria cilindrica
A questo punto conviene fare un'ipotesi sempli cativa abbastanza naturale:
che la distribuzione di massa del pianeta abbia simmetria cilindrica. Scegliendo
allora l'asse z come asse di simmetria la %(~r ) non dipendera da  . In que-
0 0

st'ipotesi nella (M4.4) avremo da calcolare


Z2
cos m( ,  ) d 0 0

che da sempre 0, a meno che non sia m = 0. La somma in m si riduce quindi al
solo termine con m = 0 e abbiamo:
Gm X Z  r l
V (~r) = , r
0

Pl(cos #) r Pl(cos # ) %(r ; # ;  ) r 2 sin # dr d# d :


0 0 0 0 0 0 0 0 0

l
Sviluppiamo la somma per i primi termini, tenendo presenti le espressioni
dei polinomi di Legendre
P0(cos #) = 1 P1 (cos #) = cos # P2 (cos #) = 12 (3 cos2# , 1)
e avremo:
Gm Z Zr
V (~r) = , r
0

%(~r ) d~r + cos # r cos # %(~r ) d~r +


0 0 0 0 0

Z 2  (M4.5)
1 (3 cos2 # , 1) r 1 (3 cos2 # , 1) %(~r ) d~r +    :
0
0 0 0
2 r2 2
R
Notiamo adesso che % d~r = M (massa totale del pianeta); poi
0

Z Z
0
r cos # %(~r ) d~r = z %(~r ) d~r = MZG
0 0 0 0 0 0

M4{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
per la de nizione di centro di massa. Data l'arbitrarieta dell'origine delle coordi-
nate si puo sempre porre ZG = 0, col risultato di far sparire il secondo termine,
detto di dipolo.
Il potenziale di quadrupolo
Il terzo termine della (M4.5) puo essere scritto
1 (3 cos2 # , 1)Z ,3z0 2 , r0 2 %(~r0 ) d~r0 =
4r2
1 (3 cos2# , 1)Z h,x0 2 + z0 2 + ,y0 2 + z0 2  , 2,x0 2 + y0 2i%(~r0 ) d~r0
4r2
ma qui compaiono i momenti d'inerzia relativi ai tre assi; precisamente
Z Z Z

, 02 , 02  , 
Ix = y + z0 2 % d~r0 Iy = x + z0 2 % d~r0 Iz = x0 2 + y0 2 % d~r0 :

Questi di solito si scrivono Ix = Iy = A e Iz = C (per la simmetria cilindrica


i primi due coincidono necessariamente). In de nitiva si ottiene:
 
Gm 1
V (~r) = , r M + 2r2 (3 cos # , 1) (A , C ) +   
2
(M4.6)

Il termine addizionale rispetto al potenziale 1=r e detto potenziale di quadru-


polo e va come 1=r ; esso  e proporzionale alla di erenza dei momenti d'inerzia.
3
La (M4.6) si scrive di solito cos:
 
V (~r ) = , GMm
r 1 + 3R2 J ( 1 , cos2#) +    :
2r2 2 3 (M4.7)

Nella (M4.7) oltre alla costante GMm = k2 compare il numero puro
,A
J2 = CMR 2

che e una costante del pianeta in considerazione: nel caso della Terra si
ha J2 = 1:08263  10,3.
La (M4.7) si presta a una valutazione dell'ordine di grandezza della pertur-
bazione. Ad esempio nel caso della Luna, tenendo conto che
 
,1 2 
, cos #  1 J2 ' 10,3 R2 ' 1 2 ' 3  10,4
3 r2 60
M4{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
si ha una perturbazione che vale 3  10,7 del termine newtoniano; essa produce
tra l'altro, come vedremo, un avanzamento o retrogradazione dei nodi, con una
velocita angolare che sara 3  10,7 del moto orbitale della Luna. Cio signi ca che
il periodo sara di circa 108 giorni ' 3  105 anni. L'e etto e molto piccolo, anche
se rilevabile con buoni strumenti.
Va detto pero che nel caso della Luna vi sono perturbazioni ben piu impor-
tanti, aventi tutt'altra causa, che vedremo in seguito.
Prima analisi del moto perturbato
Riprendiamo l'espressione (M4.7) dell'energia potenziale, che puo scriversi
cos: 2
V = , kr + V 0
dove abbiamo separato la perturbazione V 0 dal termine newtoniano. Passando
poi a coordinate cartesiane:

V0 =,
3Q ,1  Q 2
3 , cos # = , r5 (x + y , 2z )
2 2 2
r5
dove
Q = 12 k 2  R2 J2 :
Ne risultano le componenti della forza perturbatrice:
fx = 3Q r,4 (5 cos2 # , 1) sin # cos 
fy = 3Q r,4 (5 cos2 # , 1) sin # sin 
fz = 3Q r,4 (5 cos2 # , 3) cos #:

Si vede che f~ passa sempre per l'asse z, e in un z


piano meridiano ha la distribuzione in g. M4{1.
Dunque Jz resta costante del moto. Se la
linea dei nodi e normale al foglio, si vede che
la componente di ~J nella direzione di N (che e J
zero all'istante considerato) decresce; dunque N
ruota in senso retrogrado. Se l'orbita e circo-
lare e anche chiaro che la perturbazione della
rimanente componente di ~J su meta dell'orbita
compensa quella sull'altra meta (vedremo che la
cosa e vera piu in generale). Pertanto il modulo
di ~J non varia in media su un periodo, e lo stes-
so accade anche per i e per e; ci saranno pero
perturbazioni periodiche. Fig. M4-1

M4{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Consideriamo ora una generica orbita ellittica, ma con i = 0. Le equazioni
del moto danno gli integrali primi:
 r2 _ = J (M4.8)
2 2
1  r_2 , k  + 2J r2 + V 0 = E: (M4.9)
2 r
Dalla (M4.9) si ottengono le distanze rmin e rmax al pericentro e all'apocentro,
ponendo r_ = 0:
2 2
, kr + 2J r2 + V 0 = E:
Questa ha due radici reali, come nel caso imperturbato, se V 0 e piccolo. Si ha
poi
Z dr Z  2E 2V 0 J 2 2k2 ,1=2
t=
r_
= dr  ,  , 2 r2 + r :

Il moto radiale e periodico, con periodo


rZmax  2E 2V0 J2 2

k 2 ,1=2
Tr = 2 dr 
,  , 2 r 2 + r
rmin

ed e anche simmetrico: la fase di avvicinamento ripete in senso inverso quella di


allontanamento.
Dalla (M4.8) si ottiene invece:
Z J J
Z dr
 2E 2V0 J2 2

k 2 ,1=2
=
r 2 dt =
 r2 
,  , 2 r 2 + r :

Poniamo
J
rZmax
dr
 2E 2V0 J2 2

k 2 ,1=2
=  r2 
,  , 2 r2 + r :
rmin
Nel moto imperturbato  = , quali che siano E e J ; per questo il moto im-
perturbato e periodico. Se  6= , nel tempo Tr il satellite descrive un ango-
lo 2 6= 2; per fare un giro impieghera in media un tempo

T =
 Tr 6= Tr :
Percio la traiettoria non e piu ellittica, ma assume la forma \a rosetta."
M4{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Il metodo di Newton
E possibile ottenere informazioni piu dettagliate seguendo il procedimento
originario di Newton. Consideriamo le equazioni del moto in coordinate polari,
per una forza centrale f qualsiasi:
 (r , r_ 2 ) = f (M4.10)
 (r + 2r_ _ ) = 0: (M4.11)
Dalla (M4.11) si ricava  r2 _ = J = cost: Eliminando _ la (M4.10) diventa:
J2
 r = f + : (M4.12)
 r3
Supponiamo che il moto sotto l'azione della forza f sia noto, e introduciamo
una perturbazione c=r3: la (M4.12) si scrivera:
c 2 02
 r = f +
r3
+ Jr3 = f + Jr3
con
J 02 = J 2 +  c:
Dunque l'equazione radiale perturbata e la stessa di quella imperturbata, ma
con diverso valore di J . Detto 0 l'angolo del moto imperturbato con momento
angolare J 0 , avremo
 r2 _ 0 = J 0
cioe
_ J
=
_ 0 J0 :

Otteniamo percio:
1) il moto radiale perturbato con momento angolare J e lo stesso di quello
imperturbato con momento angolare J 0 ;
2) il moto angolare perturbato ha velocita proporzionale a quella del moto im-
perturbato con momento angolare J 0 , col fattore di proporzionalita J=J 0  1
a seconda che la perturbazione sia attrattiva (c < 0) o repulsiva (c > 0);
3) in particolare
 = J:
0 J 0
Ne segue che se il moto imperturbato e kepleriano (0 = ) avremo uno sposta-
mento del pericentro
   
c ,1=2
2 , 2 = 2 JJ0 , 1 = 2 1 + J2 ,1 : (M4.13)

M4{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Il procedimento no a questo punto e esatto per qualunque orbita, se la
forza perturbativa va come 1=r3 . Newton considera anche il caso di una forza
generica, nell'approssimazione di orbita quasi circolare. Applichiamolo al nostro
problema, dove la forza (per # = =2) e ,3Q=r4 .
Si veri ca che al primo ordine in r , a (a semiasse maggiore):

, 3rQ4 ' a32Qr2 , a6Qr3 :


Dunque su un'orbita quasi circolare la nostra perturbazione equivale a una for-
za newtoniana (che mantiene l'orbita chiusa) piu la perturbazione ,6Q=(a r3 ).
Abbiamo allora dalla (M4.13), per l'avanzamento del pericentro ad ogni giro:
 ,1=2 
6 Q , 1 ' 2 3aJQ2 = 2 3k 2a JR2 J2 = 2 32Ra2 J2:
2 2 2 2
2 1 , a J 2

Si puo quindi parlare di un moto medio del pericentro :

n Ra2 J2:
2
3
2

Ritroveremo piu avanti lo stesso risultato dalla teoria generale.

La precessione lunisolare
Concludiamo questo capitolo con un argomen-
to estraneo, ma che ha in comune con quello che dm
S
procede la sua origine nello schiacciamento della
Terra: si tratta della precessione, piu volte citata. r R

Vogliamo studiare l'e etto dell'attrazione del


Sole (e della Luna) sul moto di rotazione della Ter-
ra. Sia dm un elemento di massa della Terra; M la Fig. M4-2
massa del Sole, R la sua distanza dal centro della
Terra ( g. M4{2). L'attrazione del Sole su dm sara:
~ , ~r GM dm ~
R  3 R~  ~r 
~
dF = GM dm ~ 3 ' R3 (R , ~r) 1 + R2
jR , ~rj
(al primo ordine in r=R). Il momento dF~ rispetto al centro di massa T della
Terra e  
~ = ~r  dF~ = GM dm 3 ~
R  ~
r ~
dK R3 1 + R2 ~r  R (M4.14)

M4{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
e il momento risultante sull'intera Terra si ottiene integrando la (M4.14). Il ter-
mine 1 in parentesi non contribuisce. Assumendo una terna cartesiana equatoria-
le, e tenendo presente la simmetria della Terra attorno all'asse polare, si ottiene:
K = 3GM Y Z (C , A)
x
R5
Ky = 3GM R5 XZ (A , C )
Kz = 0
dove X , Y , Z sono le componenti di R ~ ; C e il momento d'inerzia della Ter-
ra rispetto all'asse polare; A quello rispetto a un asse equatoriale (la Terra e
schiacciata: C > A).
Passando a coordinate cartesiane eclittiche (; ;  ) (con  in direzione del
punto ), si trova
K = 3GMR3 (C , A) sin " cos " sin 
2

K = 3GMR3 (A , C ) sin " cos " sin  cos 


(M4.15)
K = 3GMR3 (C , A) sin " sin  cos 
2

dove  e la longitudine eclittica del Sole, " l'obliquita dell'eclittica.


Dato che il moto di precessione e lento, possiamo considerare le medie del-
le (M4.15) su un anno, supponendo il moto del Sole uniforme. Risulta allora:
K  = 32GM
R3 (C , A) sin " cos " (M4.16)
 
K = K = 0:
Il modulo del momento angolare della Terra
vale C n0 , dove n0 e la velocita angolare; la sua
J
proiezione sul piano dell'eclittica e diretta secon-
do , e vale C n0 sin ". Tenuto presente che d~J =dt =
K~ , dalla g. M4{3 si vede che la variazione di ~J av-
viene nel verso osservato; la velocita di precessione
dovuta al Sole sara, per la prima delle (M4.16)
 3GM C , A cos ":
pS = C nKsin =
" 2R3 C n0 K
0

Un e etto analogo e dovuto alla Luna (che si puo
con buona approssimazione supporre sull'eclittica). Fig. M4-3

Si vede che pM e circa il doppio di pS. Il totale p = pS + pM da l'e etto osservato
di 50 :3 per anno.
00

M4{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
M5. Perturbazioni degli elementi orbitali

Introduzione
Vogliamo ora riprendere, come esempio dei metodi della meccanica analitica,
il problema trattato nel capitolo precedente. Potremo scrivere l'hamiltoniana
nella forma
H = H0 + H1
dove
k 4 3
H0 = , 2
2J '
e l'hamiltoniana imperturbata (M3{13) e

H1 = 23 R2 J2 k 2 
1 ,sin2 , 1  (M5.1)
r3 3

e il termine perturbativo (M4{6), con la sola sostituzione = =2 , #. Non


dimentichiamo che la (M5.1) vale in approssimazione di quadrupolo.
Teniamo inoltre presente che nell'hamiltoniana imperturbata H0 compa-
re J', e dunque ' non e costante del moto. Infatti '_ = @H0 =@J' = n e costante
ma non e nulla, il che vuol dire che ' varia linearmente nel tempo. Invece J',
J , J , , sono costanti del moto.
Esprimiamo ora nel termine perturbativo (M5.1) e r come funzioni del-
le coordinate canoniche ', , , J' , J, J . In realta e r non dipendono
da : infatti dipende da i e da w (sin = sin i sin w) e quindi da J e J
perche cos i = J =J; e ancora da ', , J' perche w =  + v, v = v('; e),
e = e(J' ; J ). Analogamente r non dipende ne da  ne da .
Tutto questo si comprende osservando che cambiare e come ruotare at-
torno all'asse z, per cui ne ne r cambiano; cambiare  signi ca ruotare l'orbita
nel suo piano, il che cambia ma non cambia r.
Il fatto che non compaia neppure nell'hamiltoniana perturbata, impli-
ca J_ = @H=@ = 0, cioe che J e ancora una costante del moto: in e etti
la perturbazione (pianeta a forma di ellissoide anziche sferica) e a simmetria
cilindrica attorno all'asse z, ed e ovvio percio che la componente z del momento
angolare resti una costante del moto. C'e pero da aspettarsi che J' e J non
siano piu costanti, e cos pure che sia '_ 6= n, _ 6= 0, _ 6= 0.
Perturbazioni periodiche e secolari
Il nostro procedimento sara perturbativo; percio in H1 useremo per r e
le soluzioni imperturbate (questa e l'approssimazione al primo ordine, che po-
trebbe essere migliorata iterando). Dato che nella soluzione imperturbata r e
M5{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
sono funzioni periodiche di t (e quindi di '), il termine (sin2 , 1=3)=r3 e an-
ch'esso funzione periodica di ', con periodo 2. Potremo quindi sviluppare H1 ,
intesa come funzione di ', in serie di Fourier:

H1 = A0 +
X1 A cos h' + X1 B sin h':
h h (M5.2)
h=1 h=1

Calcoliamo allora
,J_' = @H = @H1 = , X hA sin h' + X hB cos h':
h h
@' @' h h

Si ottiene ancora una funzione periodica di ', che per di piu ha valor medio
nullo, perche integrando le funzioni sin(h') e cos(h') su un periodo si trova
zero.
Dato che la ' imperturbata e lineare nel tempo ('(t) = '0 + nt), J_' puo
considerarsi periodica in t, con periodo T e media nulla. Avremo percio
Z
J (t + T ) , J (t ) = J_ dt = 0
t1+T
' 1 ' 1 '
t1

ossia J' (t1 + T ) = J'(t1 ) qualunque sia t1: dunque anche la J', che non e piu
costante del moto, e periodica con periodo T . Ricordando poi che J' = k a1=2
si puo concludere che al primo ordine l'asse maggiore dell'orbita ha perturbazioni
periodiche ma non perturbazioni secolari.
Il ragionamento che precede e stato possibile perche abbiamo potuto espli-
citare la dipendenza di H1 da ' nella forma (M5.2), dove A0, Ah , Bh non
dipendono da '. Vediamo ora cosa accade invece per le altre variabili.
In primo luogo

,J_ = @H = @H1 = @A0 + X @A cos h' + X @B sin h':


h h
@ @ @ h
@ h
@
Anticipiamo che a conti fatti A0 non dipende da ; si puo dire quindi che J,
e cos pure l'eccentricita, e periodica nel tempo e non presenta perturbazioni
secolari.
Per le altre variabili si ha:
@H = @H0 + @H1 = n + @A0 +
'_ = @J
X @A cos h' + X @B sin h'
h h
' @J' @J' @J' h
@J' h
@J'
M5{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
e analogamente
@A X @Ah @B h

_ = @J +
0
@J cos h' + @J sin h'

X @Ah 
h
_ = @A0 + @B h
@J h
@J cos h' + @J sin h' :
Come vedremo, @A0 =@J' , @A0 =@J, @A0 =@J non sono nulle, per cui all'ef-
fetto gia visto di perturbazioni periodiche si aggiunge una perturbazione secolare
data da queste tre derivate.
A meno delle suddette oscillazioni si ha dunque:
1) una variazione di '_ , cioe della velocita angolare media del satellite attorno
al pianeta
2) uno spostamento continuo della posizione del pericentro (_ 6= 0)
3) un avanzamento o retrogradazione della linea dei nodi ( _ 6= 0).
Riassumendo, la situazione e la seguente:
9
J  costante del moto '> = oscillazioni periodiche
J'  > sovrapposte a un moto
oscill: periodiche ; secolare
J

Calcolo esplicito
Cio che piu c'interessa e la determinazione dei moti secolari, per cui e ne-
cessario determinare A0 e calcolarne le opportune derivate. Riprendiamo H1 (')
e notiamo che il suo valor medio e
1 Z H d' = 1 Z A d' + 1 X A Z cos h' d' + 1 X B Z sin h' d' = A :
2 2 2 2

2 1 2 0 2 h h 2 h h 0
0 0 0 0

Useremo pertanto, in luogo di A0 , il simbolo H 1 che ci ricorda questa proprieta.


Si tratta in de nitiva di fare un solo integrale:
1 Z 2
3R 2 J k 2 Z sin2 , 1=3
2
H 1 = 2 H1 d' = 42 r3 d':
0 0

Per il calcolo faremo uso delle seguenti relazioni


r 2
d' = ab dv = 2 r
p
2 dv
sin = sin i sin w 1 = 1 + e cos v
a 1 , e2 r p
p = a (1 , e2)
M5{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
gia viste nei capitoli precedenti. Avremo cos:

1 Z sin2 , 1=3 d' = 1 p1 Z (sin2i sin2w , 1=3) dv


2 2

2 r3 2 a3p r
0 0

1 Z 2
= 2 (ap) ,3=2
(1 + e cos v) (sin2 i sin2 w , 1=3) dv:
0

Ponendo w =  + v e sviluppando il calcolo si vede che  scompare e si ottiene


per risultato
,3=2 (1 , 3 cos2 i)
6 (ap)
1

in cui gurano solo a, p, i. Ricordando poi che


J'2 J2
a=
k 2 2
p=
k 2 2
cos i = JJ


abbiamo che H 1 = H 1(J' ; J; J ): H 1 non dipende da ', , , come si era


anticipato.
Si ottengono in ne questi risultati:
J2 1
 
H 1 = 1
4 k  R J2 3 3 1 , 3 2
8 7 2
J' J J

@ H 1
 
3R2 J2 (12 ,,3esin
2
@H0
'_ =
@J'
+ @H
@J'
1
' @H 0
@J' @J'
+ = n 1+ 2
4a 2 )3=2
i
(M5.3)

= n 34Ra2 J2 4(1,,5 esin
2 2
@H1
_ =
@J
' @@JH1 2 )2
i
(M5.4)


= ,n 32Ra2 J2 (1 cos
@H1 2
_=
@J
' @@JH1 i
, e2 )2 (M5.5)

tutti a meno di termini dovuti a perturbazioni periodiche.


Discussione
Notiamo subito che il parametro caratteristico che de nisce l'ordine di gran-
dezza della perturbazione e (R2 =a2 )J2. Sia ad es. i = e = 0 (orbita circolare,
perpendicolare all'asse z): allora la (M5.3) diventa
 
1 + 32Ra2 J2
2
'_ = n :

M5{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Cio signi ca che il moto e piu veloce se J2 > 0, cioe se C > A (ovvero se
l'ellissoide e schiacciato): infatti in questo caso si aggiunge al potenziale newto-
niano un termine attrattivo che va come 1=r3 . Se invece l'ellissoide e allungato
(C < A, J2 < 0) il moto e piu lento (termine repulsivo). Dalla (M5.3) si vede
poi come l'e etto in questione dipende da i: sempre con J2 > 0 un satellite
polare, al contrario di uno equatoriale, ruota piu lentamente che nel caso imper-
turbato.
Tornando al caso i = 0, la (M5.4) mostra che per J2 > 0 (ellissoide schiac-
ciato) _ > 0: rispetto al N il pericentro si muove nello stesso senso del satellite.
Se l'ellissoide e allungato accade il contrario ( g. M5{1).

2 >0 2 <0

Fig. M5-1

L'e etto su , dato dalla (M5.5), e invece opposto ( g. M5{2): per J2 > 0,
_ < 0 e si avra una retrogradazione della linea nodale (una precessione
per J2 < 0); e questo vale per qualsiasi i < =2. Puo anche essere interessante
studiare come varia l'angolo  =  + per vedere come i due e etti opposti
si combinano nello spazio. Si vede che in un'orbita equatoriale con J2 > 0
il pericentro si muove di moto complessivamente diretto.

2 >0 2 <0

Fig. M5-2

Abbiamo visto al cap. precedente che lo schiacciamento della Terra ha e etto


piccolissimo sulla Luna; ma non e cos per i satelliti arti ciali, che hanno R=a
M5{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
dell'ordine di 1. Al contrario, proprio osservando le orbite perturbate dei satelliti
arti ciali si puo avere una buona misura di J2 e anche dei termini di multipolo
superiori, che sarebbe assai dicile ottenere per altra via.
Analogo quantistico
Riepilogando quanto visto no ad ora, l'hamiltoniana di un satellite in ap-
prossimazione di quadrupolo si scrive H = H0 + H1 con

H0 = , k2J2 H1 = 32 R2J2 k2 r13 sin2 , 13 :


4 3 , 
(M5.6)
'
La perturbazione H1 produce due tipi di e etti: periodici, che interessano tutte
le variabili tranne J', che resta rigorosamente costante del moto; e secolari
per ', , che sono di questa forma:
 2   2   
R
'_ = n + O a2 J2 R
_ = O a2 J2 _ = O R2 J2 :
2

a
La situazione ha un analogo interessante in meccanica quantistica, ove si
consideri un elettrone in un campo coulombiano cui si aggiunge un termine di
quadrupolo. Il caso ha e ettivo interesse sico ogni volta che la carica che genera
il campo non e sferica ma ellissoidale, e cio capita per molti nuclei atomici.
Sappiamo dalla meccanica quantistica che gli stati stazionari imperturbati
possono essere descritti da tre numeri quantici (n; l; m): vogliamo mostrare in
primo luogo che questi numeri quantici sono in esatta corrispondenza con le tre
variabili canoniche J', J, J .
Per cominciare, gli autovalori imperturbati dell'energia dell'elettrone sono
dati da
En = , 2e 2
4
(M5.7)
2h n
mentre l'energia del satellite e H0 data dalla prima delle (M5.6), che si puo
riscrivere ricordando il signi cato di k:

H0 = (GMm
2J 2
)2  : (M5.8)
'

Se ora si tiene presente che l'interazione gravitazionale ha potenziale ,GMm=r


mentre quella coulombiana e ,e2 =r, si vede che (M5.7) e (M5.8) si corrispondono
esattamente, se si fa (nh $ J').
Ancora piu semplice vedere la corrispondenza per le altre variabili: J e il
modulo del momento angolare, il cui quadrato nel caso quantistico ha autova-
lori l(l + 1) h2 ; in ne J e mh rappresentano la componente z. Nel problema
quantistico si ha degenerazione su l e m (l'energia dipende solo da n e non da l
M5{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
e m); cos nel caso classico l'hamiltoniana imperturbata non dipende da J ne
da J .
Proviamo ora ad accennare al calcolo quantistico (teoria delle perturbazioni
al primo ordine) per un elettrone in un campo coulombiano piu quadrupolo,
espresso quindi (mutatis mutandis ) dalle (M5.6). Se calcoliamo gli elementi di
matrice della perturbazione tra gli stati stazionari jnlmi, troviamo che alcuni
sono nulli: ad es. dato che H1 commuta con Jz si ha subito hmjH1 jm i = 0 0

se m 6= m . 0

Nella teoria quantistica delle perturba- n=1 n=2 n=3


zioni su stati degeneri si trascurano al pri-
mo ordine gli elementi di matrice tra sta- n=1 idem
ti di diverso n, e si considerano solo quelli l = m = 0 con n=1

relativi a una stessa energia imperturbata. n=2 elementi di


Dimostriamo ora che trascurare nel calco- l = m = 0 matrice tra
lo quantistico gli altri blocchi della matri- l =1m = -1 stati degeneri
ce H1 ( g. M5{3) corrisponde nel calco- m = 0 con n=2
lo classico a trascurare gli e etti periodi- m = 1
ci, prendendo solo le medie temporali, cioe n=3 idem
a considerare solo eventuali perturbazioni . . . . con n=3
secolari. Fig. M5-3
Lo stato di energia En avra infatti una
dipendenza temporale periodica, del tipo exp(,iEnt=h): dunque
 
0
i
hEn jH1jEn i = exp h (En , En ) t  helem: di matrice indip: da ti:
0

Ne segue che integrando su un periodo (media temporale) si otterra valor me-


dio nullo ogni volta che n 6= n . Solo nei blocchi diagonali, dove En = En ,
0
0

la dipendenza dal tempo sparisce e la media temporale e diversa da zero.


L'intervallo di tempo su cui si fa tale media e h=(En , En ), che rappresenta
0

proprio (regola di Bohr) il periodo T = 1= dove  e la frequenza di transizione


dallo stato jEni allo stato jEn i. Si e cos ritrovato che il periodo classico del
0

moto imperturbato coincide col periodo della radiazione emessa.


Un'apparente incongruenza sembra nasce- imperturbato perturbato
re dal fatto che classicamente abbiamo sempre n = 2
delle oscillazioni oltre al moto secolare, mentre
quantisticamente queste spariscono; ma cio e
dovuto al modo in cui si e a rontato il proble- n = 1
ma. Noi infatti ci siamo chiesti come vengono
perturbati gli stati stazionari, ed e ovvio che Fig. M5-4
non potremo mai trovare oscillazioni con questo metodo. Occorrerebbe a ron-
tare lo studio dell'evoluzione temporale di uno stato qualsiasi (non stazionario):
M5{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
facendo questo, le perturbazioni periodiche si troverebbero anche nel calcolo
quantistico.
Vediamo ora i cambiamenti di '_ , _ , _ . Dato che '_ e legato alla frequenza del
moto orbitale, e il suo corrispondente quantistico e la separazione tra due livelli,
l'analogo quantistico del cambiamento di '_ dovuto alla perturbazione e che i
livelli del sistema vengono modi cati. Il fatto che la perturbazione in '_ (M5.3)
dipende da e e da i, ossia da J, J , mostra che i livelli perturbati dipenderanno
anche da l e m, e non piu soltanto da n: si ha quindi una risoluzione della
degenerazione iniziale. Ad es. per n = 2 (livello 4 volte degenere) ci si potrebbero
aspettare 4 livelli separati ( g. M5{4). In realta si dimostra che la perturbazione
di quadrupolo non sposta il livello n = 1, e risolve soltanto in 3 il livello n = 2.
Per  e si ha nel problema imperturbato
h nlm j  j n l m i = 0
0 0 0
h nlm j j n l m i = 0
0 0 0
se n 6= n 0

perche  e sono costanti del moto; per la stessa ragione hnlm j  j nl m i 0 0

e hnlm j j nl m i non dipendono da t. Con la perturbazione ogni livello si


0 0

scinde in vari livelli, percio hnlm j  j nl m i non e piu indipendente dal tempo.
0 0

La frequenza dipende pero dalle di erenze di energia E tra livelli con uguale n,
che sono molto piccole; ne segue che le corrispondenti velocita angolari sono an-
ch'esse piccole. In altre parole: , non sono piu costanti del moto, ma la loro
dipendenza dal tempo (secolare) e dell'ordine perturbativo.
Si potrebbe vedere che gia hnlm j  j nl mi 6= 0: il moto del pericentro cor-
0

risponde alla rottura della degenerazione su l. Si puo fare un discorso analogo


con hnlm j j nlm i: dato che un potenziale non centrale non ha degenerazione
0

su m, l'elemento di matrice di fra stati perturbati con diverso m dipende dal


tempo: si ha percio un moto dei nodi.
Perturbazioni in generale; elementi osculanti
La presentazione fatta n qui non e del tutto esatta, perche si e trascurato
un e etto che puo essere importante. Se proviamo a fare un calcolo al secondo
ordine perturbativo, ci aspettiamo un e etto su J' dovuto al moto secolare
di ', , : ebbene tale e etto non e del secondo ordine, ma a conti fatti risulta
del primo ordine. Cos accade anche per J, mentre J naturalmente rimane
costante a ogni ordine. Riassumendo abbiamo:
J', J, ', , : oscillazioni a breve periodo e adesso anche oscillazioni a lungo
periodo (a causa del moto secolare degli angoli)
', , : moto secolare.
Questi sono tutti e etti al primo ordine. Resta pero vero anche al secondo ordine
che J' non ha perturbazioni secolari (e da J' dipende il semiasse maggiore a).
Il problema analogo nel moto di un pianeta del sistema solare e noto come
\problema della stabilita del sistema solare": se J' per un pianeta non potesse
M5{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
avere perturbazioni secolari a ogni ordine, tutti gli assi maggiori potrebbero solo
oscillare, ma non crescere o decrescere continuamente, e percio il sistema solare
sarebbe stabile. Poincare ha dimostrato che cio e vero no al secondo ordine,
ma al terzo le cose cambiano. Tuttavia l'e etto calcolato e cos piccolo, che
ad es. l'orbita della Terra mostrera un allargamento apprezzabile solo in 1011
anni!
A rontiamo ora brevemente un altro problema. In presenza di perturbazioni
non si puo piu parlare di orbita ellittica, quindi neppure dei suoi elementi. Ma
allora quando parliamo di eccentricita, semiasse, ecc. a che cosa ci riferiamo?
Per capirlo, si supponga che all'istante che c'interessa cessi istantaneamente
l'e etto perturbativo: da questo punto in poi il corpo si muovera secondo le
leggi di Keplero su un'orbita perfettamente ellittica. Tale orbita e detta orbita
osculatrice, ed e quella che meglio approssima l'orbita reale perturbata intorno
all'istante considerato. Quando si parla di \elementi" per un'orbita perturba-
ta, s'intendono in genere quelli dell'orbita osculatrice, e per chiarezza vengono
denominati elementi osculanti.
Gli elementi osculanti possono essere calcolati esattamente a partire dalla
posizione e velocita del corpo a un dato istante. Dato che il moto perturbato non
segue le leggi di Keplero, e ovvio che gli elementi osculanti cambiano nel tempo.
Cos ad es. variazioni periodiche di J', J producono variazioni periodiche nel
semiasse maggiore e nell'eccentricita dell'orbita osculatrice, ecc.
Si trovano spesso indicati (specie per i pianeti interni del sistema solare)
degli elementi medi. Questi sono elementi osculanti ottenuti pero trascurando le
perturbazioni periodiche a breve periodo (periodi dell'ordine di quello orbitale).

M5{9
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
M6. Il problema dei tre corpi ristretto

Il problema dei tre corpi


Sempre restando nel tema perturbativo, passeremo ora a discutere il classico
problema dei tre corpi. Vediamo in primo luogo alcuni esempi tipici di questo
problema.
1) Volendo studiare il moto della Terra attorno al 1A

Sole, dobbiamo tener conto dell'e etto di Giove. Terra

Una sempli cazione risulta dal fatto che le masse Sole

dei pianeti non sono simili, ma anzi formano una


scala molto estesa: questo ci permette di trascu-
A
5.2

rare l'e etto della Terra su Giove anche se non si


trascura il reciproco ( g. M6{1). Giove
Si e parlato solo di Giove perche e quello che Fig. M6-1
di gran lunga in uenza la Terra piu degli altri:
Marte e Venere infatti sono assai piu piccoli, mentre Saturno e molto piu lontano.
2) Un secondo esempio tipico e dato dal sistema Sole- -M a
Terra-Luna. Puo sembrare strano che nel moto della G T
Luna attorno alla Terra la forza di attrazione sola-
re venga trattata solitamente come una perturbazio- G
(M+m) a
ne, mentre e parecchio superiore a quella della Terra.
G

Mettiamoci pero nel riferimento del centro di massa


del sistema Terra-Luna (che per inciso e ben lontano
dal centro della Terra): tale riferimento non e certa- -ma G f (attr.solare)
mente inerziale, e sulla Luna agisce quindi una forza L
apparente ,m~aG , che compensa quasi esattamente Fig. M6-2
l'attrazione solare. Non esattamente, perche il cam-
po gravitazionale del Sole non e uniforme. Si ha dunque una forza risultante
non nulla, un residuo di attrazione solare che e appunto il termine perturbativo
( g. M6{2).
Gli ordini di grandezza da confrontare sono, come vedremo, le masse dei
primari e i cubi delle distanze, cioe MS =a3 e M3 =a3M . Il loro rapporto e cir-
ca 160, per cui si puo parlare di perturbazione, ma certo per avere una buona
approsimazione non ci si potra fermare al primo ordine.
3) Altro esempio e quello di due pianeti di masse confrontabili: il caso classico
e il sistema Giove-Saturno. C'e una particolarita che rende interessante questo
sistema: i periodi di Giove e di Saturno sono in un rapporto quasi razionale
semplice:
TG ' 2 :
TS 5
M6{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Cio signi ca che ogni 5 giri di Giove (pari a circa 2 giri di Saturno) i due
pianeti si trovano vicini. Questa risonanza esalta la perturbazione reciproca,
che ha un periodo principale di circa 58 anni.
Il problema ristretto
Si dice problema ristretto dei tre corpi quello in cui un corpo abbia massa
trascurabile rispetto agli altri due, si consideri solo il moto piano, e la distanza
tra i due primari sia supposta rigorosamente costante (moto circolare uniforme).
Noi ci limiteremo a questo, salvo che per quanto possibile studieremo il moto
nello spazio. Come sistemi che approssimano il problema ristretto possiamo
citare Sole-Giove-asteroide, oppure Terra-Luna-satellite arti ciale.
Sia ~a0 il vettore da M1 a M2 ( g. M6{3). Se ci po-
niamo in un riferimento inerziale di origine nel centro di G
a
M 2

massa G, i corpi maggiori ruotano con velocita angola- M 0

re n0 data da 1

n20 a30 = G (M1 + M2 ): (M6.1) Fig. M6-3

Indicheremo con ~n0 il vettore di modulo n0 perpendicolare al piano orbitale


di M1 e di M2.
Mettiamoci invece in un riferimento rotante con que- m
sta velocita (e sempre avente come origine il centro di R R
massa): in questo riferimento i corpi principali sono ssi. r 1 2

Per studiare il moto del corpo di massa m vogliamo par-


tire, se possibile, dall'integrale dell'energia (le notazioni M G 1 M 2

sono quelle di g. M6{4). In un riferimento inerziale si


conserverebbe la somma T + V data da Fig. M6-4

_ 2 GM1 m , GM2 m :
2 m j~r j ,
1
R1 R2
Ma il nostro riferimento non e inerziale, per cui occorre introdurre le forze ap-
parenti: solo se queste sono conservative vale ancora l'integrale dell'energia.
La forza di Coriolis chiaramente non in uisce: essendo f~Cor = ,2m~n0  ~r_ per-
pendicolare a ~r_ , essa e a lavoro nullo e non altera percio il bilancio energetico.
La forza centrifuga f~cen dipende solo da ~r, quindi e conservativa e deducibile da
un potenziale che nello spazio e , 21 m j~n0  ~rj2.
Possiamo allora scrivere l'integrale dell'energia
1 m j~r_ j2 , GM1 m , GM2 m , 1 m j~ n 0  ~r j = E: (M6.2)
2
2 R1 R2 2

Alla (M6.2) si da tradizionalmente, in meccanica celeste, il nome di integrale di


Jacobi.

M6{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Le super ci di Hill
E interessante ricavare subito dalla (M6.2) delle limitazioni sui punti per i
quali il corpo puo passare. Riscriviamola in altro modo:
, GM
R1
1m
, GM2 m , 1 m j~n  ~rj2 = E , 1 m j~r_ j2  E:
R2 2 0 2

Dividendo per m:
, GM
R
1
, GM2 , 1 j~n  ~rj2  E
R 2 0 m (M6.3)
1 2
e questa e una condizione su ~r (notare che anche R1 e R2 dipendono da ~r).

E L3 M1 L1 M2 L2 x

E6 G
E4

E2

Fig. M6-5

E utile adesso costruire le super ci dette \a velocita nulla" (o super ci di


Hill ), cioe quelle per cui la (M6.3) vale come uguaglianza (~r_ = 0). Poiche non
si arriva mai a quel caso, un corpo non puo mai superare la super cie a velocita
nulla relativa all'energia di cui e dotato. In g. M6{5 si vede un gra co del primo
membro della (M6.3) lungo la retta M1M2; in g. M6{6, a pagina seguente, le
sezioni delle super ci di Hill corrispondenti a diversi valori di E (E1 : : : E7 sono
in ordine crescente) nel piano per M1 e M2 perpendicolare ad ~n0.
Le stesse sezioni sono riportate, separatamente, anche in g. M6{7 a pag. 5.
Dalle gure si vede che un corpo che abbia energia molto bassa (E1 ) e vincolato
a stare vicino a uno dei due primari, oppure lontano da entrambi (per energia
centrifuga). Solo per E > E2 le due super ci interne si fondono nel punto L1 .
Per esempli care, supponiamo che M1 sia la Terra e M2 la Luna: se si
vuol mandare un satellite attorno alla Luna occorre dargli un'energia superiore
a E2. Se ad esempio l'energia fosse E3, il corpo resterebbe con nato all'interno
della zona indicata: dunque con tale energia un satellite non sfuggirebbe dalle
vicinanze della Terra e della Luna. Se lo si vuol mandare lontano dal sistema
Terra-Luna occorrera un'energia E5 > E4 : infatti per E > E4 la super cie di
M6{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
M 1 =4M 2

L4

M1 M2
L3 E1 G L1 L2
E1
E2
E3 E2
E3
E4

L5 E5
E7 E6

Fig. M6-6

Hill si apre nel punto L2. In tal caso il satellite potra sfuggire, ma solo dalla
parte destra della gura, in quanto la regione racchiusa dalla curva 5 gli e E

preclusa. In ne, per energie maggiori di 6 puo sfuggire anche a sinistra, dato
E

che la super cie si apre anche in L3. Le g. M6{6 e 7 mostrano che i punti di
massima energia sono L4 e L5.

I punti di Lagrange
I punti L ( = 1 5), detti punti di Lagrange, sono di equilibrio: il gra-
i i :::

diente del potenziale si annulla, e lo stesso quindi accade per la forza risultante.
Questo pero non ci dice nulla circa la stabilita, e non ci si puo neppure basare
sul consueto criterio del minimo, in quanto anche la forza di Coriolis | che non
entra nel calcolo dell'energia | ha un ruolo importante nelle modalita del moto.
M6{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Vedremo infatti che si puo avere stabilita addirittura Regione
dove l'energia potenziale ha un massimo. proibita per
La posizione dei punti L1, L2, L3 dipende dal E < E1
rapporto delle masse; risulta inoltre che essi sono di
equilibrio instabile. L4 e L5 hanno invece posizio-
ni sse, che formano due triangoli equilateri con M1
e M2: la cosa notevole e che sebbene | come si e
visto | essi siano punti di massimo del potenziale,
se un corpo si sposta da quella posizione la forza di E<E2
Coriolis tende a riportarcelo ( g. M6{8, a pagina se-
guente), per cui risultano di equilibrio stabile (almeno
se il rapporto M2 =M1 e abbastanza piccolo).
Prima di discutere la stabilita, occorre dimostra-
re che L4 e L5 sono i vertici di due triangoli equilateri
di base M1M2. A questo scopo basta studiare il caso E<E3
piano, in cui l'energia potenziale per unita di massa
e data da
V = , 1 n2 r2 , GM1 , GM2 :
m 2 0 R1 R2
E<E4
Calcoliamone il gradiente:
1r~ V = ,n20 ~r + GM3 1 R~ 1 + GM3 2 R~ 2: (M6.4)
m R1 R2
Poiche G e il centro di massa vale la relazione (vedere
la g. M6{4) E<E5

~ + m2R~ 2
~r = M1MR1 + M2 :
1

Moltiplicando la (M6.1) per ~r e dividendo per a30 si


ottiene quindi E<E6

n20 ~r = G(M1a+ 3
M2) ~r = G (M R~ + M R~ ):
a30 1 1 2 2
0

Sostituiamo questa espressione di n20 ~r nella (M6.4) in


modo da far sparire ~r e imponiamo poi r ~ V = 0, per E<E7
trovare i punti di equilibrio:
, aG3 (M1 R~ 1 + M2 R~ 2) + GM
R1
3
1 ~
R 1+
GM2 R~ = 0
R32 2
0 Fig. M6-7

M6{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
ossia
1   
M1 R3 , a13 R~ 1 + M2 R13 , a13 R~ 2 = 0:
1 0 2 0

Due casi sono ora possibili:


a) R~ 1 e R~ 2 non sono paralleli. Fig. M6-8
Allora devono annullarsi separatamente i coecienti:
1 = 1 1 = 1
R1 a 0
3 3 R32 a30
e cio signi ca R1 = R2 = a0 . Abbiamo cos trovato i punti L4 e L5 .
b) R ~ 1 e R~ 2 sono paralleli (cioe sulla retta congiungente M1 con M2).
In questo caso si ricava un'equazione che ha tre soluzioni reali (i punti L1 , L2,
L3). La posizione di questi punti, come gia detto, dipende da M2 =M1 .
L4 e L5 .
Stabilita di
Riprendiamo l'espressione dell'energia potenziale per unita di massa (in tre
dimensioni)
V = , GM1 , GM2 , 1 j~n  ~rj2:
m R R1
2 0
2
Derivando due volte si ottiene (r ; i = 1; 2; 3 sono le componenti di ~r ecc.)
i

1 @ 2V = n2   , 3G (M R R + M R R )
m @r @r
i j
0 3 3
a50 1 1 1
i j 2 2 2 i j i j

(si e usato il fatto che in L4 e L5 R1 = R2 = a0 , mentre G(M1 + M2 ) = n20 a30 ;


l'asse 3 e nella direzione di ~n0 ). Se l'asse 1 e diretto da M1 a M2, per il punto L4
si ha: p
R11 = 2 a0 R12 = R22 = 23 a0 R21 = , 21 a0
1

e sostituendo nella (M6.5) si puo scrivere


1 @ 2 V = n2 a
m @r @r i
0
j
ij

con 0 ,3=4 ,3p3 =4 0 1


p
a =B
@ ,3 3 =4 ,9=4 0 C
ij A
0 0 1
dove si e posto = (M1 , M2 )=(M1 + M2 ).
M6{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Supponiamo ora che m si trovi in vicinanza di L4: detto ~% il suo scostamento
da L4 , sviluppiamo V in potenze di ~%. Il termine di primo ordine e zero, dato
che @V=@ri = 0 in L4; pertanto
1 V = 1 V + 1 n2 X a % % :
m m 0 2 0 i;j ij i j
Le equazioni del moto, tenendo conto della forza di Coriolis, si scrivono allora:
@V , 2 (~n  ~%_ ) = ,n2 X a % , 2 (~n  ~%_ ) :
%i = , m1 @% 0 i 0 ij j 0 i
i j

Cerchiamo, di questo sistema di erenziale omogeneo, soluzioni del ti-


po ~% = ~ e,i!t : queste daranno oscillazioni stabili se =!  0. Dato che
%_i = ,i! %i %i = ,!2%i
si ottiene un sistema lineare omogeneo per le componenti di ~%, il cui determinante
deve annullarsi:
p
, , ,

n
3 2
4 0 ! 2 3 3 n2 + 2i n !
4 0 0 0

p
, 3 3 n2 , 2i n ! , 4 n0 , ! 0 = 0:

9 2 2
4 0 0

0 0 n20 , !2
Questa e un'equazione di 6 grado per !, che fornisce in primo luogo le radi-
ci ! = n0, corrispondenti a oscillazioni stabili lungo l'asse 3, e si riduce poi
alla biquadratica
27 n4 (1 , 2 ) = 0:
!4 , n20 !2 + 16 0 (M6.6)
Se il discriminante della (M6.6) e  0, le radici sono tutte reali, e danno
oscillazioni stabili; se invece e negativo, esistono due radici a parte immaginaria
positiva, e c'e instabilita. La condizione di stabilita e dunque:
n40 , 274 n40 (1 , 2 )  0
da cui p
 23=27:
Questa condizione su corrisponde a
M2  2p ' 1 :
M1 25 + 621 25
E evidente per simmetria che la condizione di stabilita trovata per L4 vale
anche per L5.
M6{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Greci e Troiani
L'esistenza dei punti di Lagrange stabili L4
e L5 ha un'interessante applicazione nel caso Sole-
Giove. Supponiamo per semplicita che l'orbita di greci
Giove sia circolare (in realta per Giove e ' 0:05).
Se poniamo un pianetino in uno dei punti (che ca-
dono proprio lungo l'orbita di Giove, 60 avanti e Sole 60
indietro rispetto al pianeta) e gli diamo la giusta Giove
velocita, in modulo pari a quella di Giove, il piane- 60
tino percorrera esattamente l'orbita di Giove con
lo stesso anticipo o ritardo iniziale.
Il fatto che l'equilibrio e stabile vuol dire che
se la velocita o la posizione non e perfettamente troiani

giusta il pianetino seguira un moto piu complicato, Fig. M6-9


oscillando attorno al punto di equilibrio ma sem-
pre seguendo in media l'orbita di Giove. Anche l'eccentricita di Giove causa
oscillazioni, ma non distrugge la stabilita.
Si puo dunque pensare che in passato alcuni pianetini siano stati catturati
con le giuste condizioni iniziali e che siano rimasti approssimativamente in L4
e L5 . E proprio cio che si osserva: attorno a quei due punti sono state trovate
due famiglie di pianetini (detti \Troiani" e \Greci") che seguono o precedono il
moto di Giove ( g. M6{9).
Si e pensato che anche per il sistema Terra-Luna potrebbe aversi un adden-
samento di materia in quei due punti (micrometeoriti, polvere cosmica) ma per
ora non e stato trovato nulla.
Il criterio di Tisserand
Abbiamo visto come si scrive la costante dell'energia per un corpo di massa
trascurabile in un riferimento solidale alla retta Sole-Giove. Vediamo ora come
questa costante possa servire per lo studio del moto di una cometa perturbata
da Giove, riferendolo pero a un riferimento inerziale ed eliocentrico. Per passare
al riferimento inerziale occorre cambiare la velocita, che chiameremo d~r=dt per
evitare equivoci. Sappiamo che
d~r = ~r_ + ~n  ~r
dt 0

da cui
~r_ = d~ r
dt , ~n0  ~r:
Sostituendo nella (M6.2) abbiamo:
2
d~
r n0  ~r  d~r , GM1 , GM2 , 1 j~n  ~rj2 = E :

2 n0  ~r j + 2 dt , ~
1 j~ 2 1
dt R1 R2 2 0 m
M6{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Come ci si aspettava sparisce il termine del potenziale centrifugo. Si tratta ora
,,
passare a coordinate eliocentriche usando le opportune relazioni. Il vettore M1G ,
di
vale M2 ~a0=(M1 + M2 ) per come e de nito il centro di massa G. Allora
R~ 1 = ~r + M M+2M ~a0
1 2

dR~ 1 = d~r + M2 d~a0 :


dt dt M1 + M2 dt
Bisogna notare che ~a0 non e piu costante, ma ruota uniformemente: dunque
d~r = dR~ 1 , M2 ~n  ~a :
dt dt M1 + M2 0 0
Ricordando che
r = ~n  ~r  d~r
~n0  ~r  d~
dt 0 dt
si ottiene, riordinando,
E = E1 + c
dove

E1 = 1 dR~ 1 , GM1 , GM2 , ~n  R~  dR~ 1 + M2 n2 ~a R~ : (M6.7)
2

m 2 dt R1 R2 0 1
dt M1 + M2 0 0 1
e c e un'inessenziale costante additiva.
Non e immediato capire da dove provengano gli ultimi due termini, ma si
puo dimostrare che essi tengono conto delle variazioni di energia del sistema
dovute all'azione della cometa sul Sole e su Giove.
Per capirlo, pensiamo a un esempio semplice: l'urto v V
elastico frontale di due palle di masse molto diverse. Se
supponiamo che dopo l'urto la palla piu grande proceda m M
indisturbata, nel riferimento di M avremo ( g. M6{10): Fig. M6-10
{ prima dell'urto v = v + V0

{ dopo l'urto v = ,v = ,v , V .
0 0

Percio la velocita dopo l'urto nel riferimento del laborato-


rio e
v = v , v = ,v , 2V:
0

Nell'urto la pallina piccola inverte la sua velocita e l'incrementa del dop-


pio della velocita della palla grande: apparentemente l'energia non si conserva.
La spiegazione e che abbiamo trattata come in nita la massa della palla maggio-
re, e cos facendo abbiamo trascurato che nell'urto essa viene rallentata, anche
se di poco.
M6{9
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Tornando alla cometa, faremo ora due approssimazioni:
1) 2  1
M M

2) 2 abbastanza grande.
R

Nel nostro caso 2 1 = 5 S ' 1 1000 per cui la 1) e certo soddisfatta,


M =M M =M =

e basta supporre che la cometa non si avvicini troppo a Giove. Possiamo allora
trascurare il terzo e l'ultimo termine della (M6.7), e abbiamo:
E1 = ES , 0~
n ~
JS

essendo S l'energia della cometa e S il suo momento angolare intorno al Sole.


E ~
J

L'intera espressione e una costante, che in termini di elementi dell'orbita si scrive


 1=2
1 + (1 , 2) a e
cos = cost (M6.8)
2a
3
0 a
i :

dove: 0 = distanza Sole-Giove, = semiasse maggiore dell'orbita della cometa,


a a

e = eccentricita, = inclinazione dell'orbita della cometa sull'orbita di Giove.


i

Dunque Giove perturba il moto, ma in prima cometa


approssimazione la quantita scritta e costante. In G S
questo consiste il criterio di Tisserand, che e sta-
to di grande utilita per riconoscere le comete ai
loro ritorni. Infatti a ogni giro l'orbita della co-
meta puo variare notevolmente ( g. M6{11), ma
la (M6.8) connette gli elementi a due passaggi suc-
cessivi, e permette quindi di riconoscere se una
nuova cometa non sia una cometa gia nota, la cui
orbita e stata perturbata da Giove. Fig. M6-11
Volendo essere piu precisi, si potrebbe tener
conto dei termini che si sono trascurati in prima approssimazione; ma oggi il
criterio di Tisserand e di fatto superato dalla possibilita di un'integrazione nu-
merica dell'orbita, resa facile dalla disponibilita dei calcolatori elettronici.

M6{10
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
M7. Il problema generale dei tre corpi

Cenno storico
Abbiamo visto nel cap. prec. alcuni risultati relativi a un caso molto parti-
colare del problema dei tre corpi. Per le ragioni gia accennate, detto problema
e sempre stato di grande interesse per la meccanica celeste, ma la strada per la
sua comprensione e stata lunga.
Gia lo studio del problema ristretto mise in evidenza da subito la grande
dicolta, che si manifestava sotto due aspetti:
1) l'apparente impossibilita di trovarne una soluzione analitica
2) i notevoli problemi incontrati anche in un approccio numerico.
Solo verso la ne dell'800, grazie soprattutto a Poincare, comincio ad apparire
chiaro che le due dicolta erano in realta strettamente legate.
Uno dei modi piu naturali per arrivare a una soluzione analitica di un pro-
blema meccanico consiste nel trovarne degli integrali primi: abbiamo gia parlato,
alla ne del Cap. M3, del teorema di Liouville sui sistemi integrabili. Era percio
ovvio chiedersi se il problema dei tre corpi, o almeno la sua versione ristret-
ta, sia integrabile. Uno dei risultati di Poincare fu la risposta negativa a tale
domanda.
Non integrabilita del problema ristretto
Daremo ora una sommaria descrizione del teorema di Poincare: nella so-
stanza, esso a erma che il problema dei tre corpi ristretto non possiede altri
integrali primi oltre quello di Jacobi. Ma occorre precisare la tesi, perche nei
termini sommari appena detti essa e palesemente falsa.
Ricordiamo che il problema ristretto ha due gradi di liberta, trattando-
si del moto piano di un punto materiale. Possiamo usare come coordinate le
componenti cartesiane ( ) di , e descrivere il moto nello spazio delle fasi S ,
x; y ~
r

assumendo come coordinate , , x, y (o equivalentemente , , _ , _ ).


x y p p x y x y

Assegnate condizioni iniziali (0), (0), _ (0), _ (0) il moto e determinato,


x y x y

ossia sono ssate le funzioni ( ), ( ), _ ( ), _ ( ) che de niscono una curva in S


x t y t x t y t

(traiettoria di fase ). Dato che il sistema e autonomo, dall'unicita della soluzione


segue che per ogni punto di S passa una e una sola traiettoria di fase.
Se ora risolviamo per es. la = ( ) rispetto a e sostituiamo in = ( ),
x x t t y y t

avremo una relazione funzionale tra e , che possiamo mettere nella forma
x y

F x; y( ) = cost :

valida lungo tutta una traiettoria di fase. Per di piu la stessa funzione sara
ancora costante lungo ogni altra traiettoria di fase, solo con un diverso valore
M7{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
della costante, in dipendenza delle diverse condizioni iniziali. Abbiamo cos
ottenuto proprio un integrale primo.
Lo stesso si potrebbe fare scegliendo una coppia qualsiasi tra le quattro
funzioni x(t), y(t), x_ (t), y_ (t), e si otterrebbero in tal modo 6 integrali primi che
non contengono t. E noto pero che per un sistema con due gradi di liberta il
massimo numero possibile di tali integrali primi (tra loro funzionalmente indi-
pendenti) e 3, il che ci dice che i 6 ottenuti non potranno essere indipendenti.
Inoltre abbiamo gia l'integrale di Jacobi, quindi possiamo aspettarcene al piu
due indipendenti tra loro e da quello.
Nota: Per un sistema con due soli gradi di liberta, l'esistenza di un solo integrale
primo oltre all'energia basta perche il sistema sia integrabile.
Ma il teorema di Poincare sembra asserire che non ne esiste alcuno!
La soluzione e che il teorema si riferisce a integrali primi con proprieta
addizionali, che ora passiamo a spiegare.

Integrali primi uniformi


Consideriamo un punto P0 di S , e la traiettoria di fase che ha P0 come
punto iniziale. Se F e un integrale primo, su avremo F = c, con c costan-
te. Pensiamo ora a una seconda traiettoria di fase , sulla quale sia F = c .
0 0

Sappiamo che non puo passare per P0; ma se accade che P0 sia punto di
0

accumulazione per , e chiaro che F non puo essere una funzione continua.
0

D'altra parte la continuita e un requisito sicamente utile per un integrale


primo, perche implica che un piccolo errore nelle condizioni iniziali non abbia
conseguenze importanti sul valore di F . Si potrebbe credere che la situazione
descritta debba essere eccezionale, ma e invece facile mostrare che non lo e:
anche in casi del tutto elementari esistono integrali primi che non sono funzioni
continue delle coordinate canoniche.
Per ragioni che sarebbe lungo spiegare, un integrale primo continuo si chia-
ma di solito uniforme ; e da quanto detto si capisce perche una delle condizioni
che e naturale porre a un integrale primo, e che esso sia uniforme.

Analiticita nel problema ristretto


E ovvio che se nel problema ristretto mandiamo a zero una delle masse M1 ,
M2 ricadiamo in un problema dei due corpi, della cui soluzione sappiamo tutto:
in particolare conosciamo un numero massimo d'integrali primi uniformi (che
possiamo anche scegliere in piu modi con parentesi di Poisson nulle tra loro:
sistema integrabile degenere, Cap. M3). Riesce percio naturale pensare il pro-
blema ristretto come un ampliamento di quello dei due corpi, dove lo scostamento
dal caso semplice e misurato da un parametro, ad es. " = M2=M1 : il problema
ristretto corrisponde a " = 0.
M7{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
L'idea di trattare un problema per via perturbativa suggerisce di pensare a
sviluppi in serie di potenze in ", ed e percio importante indagare la convergenza
di tali serie. Da qui nasce l'idea di porre anche agli integrali primi la condizione
di essere funzioni analitiche di ". Ad es. l'integrale di Jacobi e uniforme, ed e
anche analitico.
Ora abbiamo le basi per enunciare correttamente il teorema di Poinca-
re (1890): il problema dei tre corpi ristretto non ammette altri integrali primi
uniformi e analitici, oltre l'integrale di Jacobi (o le funzioni di questo). E un
facile corollario del teorema che il problema ristretto non e integrabile.
Il comportamento caotico
Un sistema integrabile non e soltanto semplice in quanto ammette una so-
luzione in termini di operazioni matematiche semplici (integrazioni): e anche
semplice il suo comportamento nel tempo. Senza entrare in dettagli, ricordiamo
dalla meccanica analitica che per un sistema integrabile con n gradi di liberta
e possibile introdurre n variabili di angolo (' ) e altrettante variabili di azio-
i
ne (J ): le seconde sono costanti del moto, mentre le prime variano linearmente
i
nel tempo. Le traiettorie di fase si svolgono ciascuna in un sottoinsieme dove
tutte le J sono costanti; approfondendo il teorema di Liouville, Arnold ha di-
i
mostrato che questi sottoinsiemi hanno la struttura di tori n-dimensionali (tori
invarianti ). In generale una traiettoria di fase e densa sul suo toro invariante,
ma non ha andamento complicato: non e che un'elica in n dimensioni.
Tutt'altro e il comportamento che ci si puo attendere da un sistema non
integrabile. Anche qui il primo passo fu fatto da Poincare, che riusc a vedere e
a studiare in dettaglio la straordinaria complessita che puo assumere una traiet-
toria di fase nel problema ristretto. Nel 20-mo secolo lo studio dei sistemi non
integrabili e stato approfondito, e nella seconda meta del secolo ha dato luogo
alla teoria dei sistemi caotici.
Nel linguaggio di oggi, si puo dire che Poincare aveva scoperto il comporta-
mento caotico del problema ristretto dei tre corpi. Non possiamo qui discutere
questo tema, ma ricordiamo solo che la caratteristica principale di un sistema
caotico e l'estrema sensibilita alle condizioni iniziali: due traiettorie di fase che
iniziano vicine quanto si vuole, divergono tra loro esponenzialmente, il che vuol
dire che dopo un certo tempo e impossibile prevedere lo stato del sistema, se lo
stato iniziale era dato con incertezza non nulla, com'e inevitabile.
In realta la divergenza esponenziale non puo continuare inde nitamente,
almeno se la traiettoria e vincolata | per es. dalla conservazione dell'energia |
a restare in una ragione compatta dello spazio delle fasi. Di fatto cio che accade
in questi casi e che la traiettoria si avvolge su se stessa in modo assai intricato,
ritorna in nite volte vicino quanto si vuole a ciascun punto : : : ; si manifestano
insomma piu in generale quegli stessi fenomeni che Poincare aveva visto per il
problema ristretto.
M7{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Detto tutto questo, puo apparire impossibile uno studio dei sistemi non
integrabili, e soprattutto si potrebbe credere che non esistano relazioni semplici
valide in generale. Invece, tornando al problema dei tre corpi, qualcosa di utile
si puo sempre dire, come mostreremo subito.
L'integrale di Zare e la disuguaglianza di Easton

Alcuni dei risultati che abbiamo visto nel problema ristretto possono essere
estesi non solo al problema generale dei tre corpi, ma anche a quello di n corpi.
E questa la conseguenza di una notevole disuguaglianza, scoperta solo negli
anni '70 dello scorso secolo.
Si consideri un sistema isolato di n punti materiali: possiamo scegliere un
riferimento nel quale il centro di massa G e fermo, e assumere come asse z la retta
per G che ha la direzione e il verso del momento angolare totale ~J , ovviamente
costante. Avremo allora:
X
j~J j = J = m r v ? (M7.1)
z i i i

dove r e la distanza dell'i-mo punto dall'asse z, v ? la componente della sua


i i
velocita ortogonale sia a z che a ~r (e col verso positivo scelto in modo ovvio).
i

Per l'energia cinetica si ha:


2T =
Xm v  Xm v
?:
2 2
i i i i

Scritta la (M7.1) come segue:


J=
X (pm r ) (pm v
i i i ?)
i

e applicando la disuguaglianza di Schwartz se ne ricava:


J 2  2IT (M7.2)
P
dove I = m r2 e il momento d'inerzia del sistema rispetto all'asse z.
i i

Se supponiamo
1) che le forze siano tutte attrattive (ipotesi vera nel caso gravitazionale)
2) che il sistema sia legato (E < 0)
abbiamo T = E , V = jV j , jE j, dove V e l'energia otenziale totale. Dunque
dalla (M7.2):
J 2
r J2
jV j  2I + jE j  2 I jE j
p
(il secondo passaggio segue da a + b  2 ab). Siamo cos arrivati alla disugua-
glianza di Easton :
I V 2  2 jE j J 2 : (M7.3)

M7{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
L'importanza della (M7.3) discende dai seguenti fatti:
a ) il secondo membro e una costante del moto (E J 2 si chiama integrale di
Zare );
b ) il primo membro dipende solo dalla con gurazione del sistema e non dalle
velocita.
Dunque la (M7.3), per date condizioni iniziali, restringe le possibili con gu-
razioni del sistema in tutta la sua evoluzione: in questo senso e un'evidente
generalizzazione della (M6.3).
Nel caso gravitazionale la grandezza I V 2 ha un'importante proprieta: e in-
variante per trasformazioni di scala. Se infatti tutte le distanze cambiano per
uno stesso fattore k, si ha I 7! k2I , V 7! V=k, e quindi I V 2 7! I V 2. Ne segue
che mandare a in nito alcune delle distanze equivale a mandare a zero le altre,
e che nello studio di I V 2 si puo aggiungere una condizione addizionale (ad es.
che una delle distanze resti costante, o che lo sia la loro somma) senza perdere
generalita. Questo ci tornera utile fra poco.
Stabilita delle con gurazioni gerarchiche
Studiamo ora I V 2 in funzione delle posi- M3
zioni dei punti del sistema. Ci limiteremo per
semplicita al caso di tre punti, e supporremo
inizialmente che il loro piano sia ortogonale a ~J .
Con la notazione indicata in g. M7{1 abbiamo
subito: s2
  s1
m 1 m2
V = ,G s + s + s m 2 m3 m 3 m1 r3
3 1 2
X 1
= ,G m1m2m3 m s :
r1
G r2
i i
P
Inoltre m ~r = 0 (def. di centro di massa), M
i i 1 s M2
~s3 = ~r2 , ~r1, ecc., da cui si ricava
3

Fig. M7-1
1
~r1 = , M (m2 ~s3 , m3 ~s2) ecc: (M7.4)
dove si e posto M = m1 + m2 + m3. Dalla (M7.4):
r12 = M12 m22 s23 + m23 s22 , 2 m2m3 ~s2 ~s3 =
, 

1 m2 s2 + m2 s2 , m m ,s2 , s2 , s2 
M2 2 3 3 2 2 3 1 2 3
e da questa, con qualche passaggio
I = M1 m1m2 s23 + m2m3 s21 + m3m1 s22 = m1m 2 m3
,  X s2
m:
i
M i

M7{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
In ne:
G 2 X s2 X 1 2
I V = M ( m1 m2 m3 )
2 3
m ms :
i
(M7.5)
i i i

Di erenziando la (M7.5):
d(I V 2 ) = V 2 dI + 2I V dV
X 2s ds X ds
= V 2 m1 m 2 m3
M  m +i
2I V G m
i
1 m2 m3
m s2
i

i
 i i

= 2m1m2m3 V M V X s ds + GI X ds
i i i

m m s2
X V s  i i i

= 2m1m2m3 V GI
M m + m s2 ds :
i
i
i i i

Si otterra d(I V 2) = 0 se e solo se


V s + GI = 0
i

M m m s2
i i i

ossia
s3 = , GMI
i
V (V < 0 !): (M7.6)
La (M7.6) ci dice che s1 = s2 = s3 , cioe i tre corpi formano un triangolo
equilatero. Questo risultato generalizza, in un preciso senso, le con gurazioni L4
e L5 di Lagrange del problema ristretto.
E facile vedere che il triangolo equilatero corrisponde a un M
minimo, poiche I V 2 va a +1 quando uno degli s tende a ze-
3

i
ro. Abbiamo dunque tre picchi \in niti" nelle tre con gurazioni
accennate in g. M7{2, e una \valle" corrispondente al triangolo
equilatero.
Supponiamo ora che le condizioni iniziali del sistema corri-
spondano a un valore dell'integrale di Zare E J 2 cos grande in s s
modulo da obbligare il sistema in una delle con gurazioni di \pic-
2 1

co": a causa della disuguaglianza di Easton (M7.3) questa situa-


zione si mantiene nel tempo, e sebbene vi siano tre picchi com-
patibili con l'assegnato valore di E J 2, il sistema non puo passare
da uno all'altro. Abbiamo cos dimostrato che le con gurazioni
\gerarchiche" di g. M7{2 sono stabili. s 3

Occorre ora rimuovere la restrizione che i tre punti siano in un Fig. M7-2
piano ortogonale a ~J . Se si parte dal piano, e si spostano i punti
parallelamente all'asse z in modo arbitrario, I non cambia, mentre V diminuisce
perche le distanze possono solo aumentare: dunque I V 2 diminuisce. Anche un
M7{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
tale spostamento sara percio proibito, oltre un certo limite, dalla disuguaglianza
di Easton.
Concludiamo osservando come un risultato di grande generalita (la stabilita
delle con gurazioni gerarchiche) sia stato raggiunto partendo da considerazioni
del tutto elementari. Per di piu, e possibile estenderlo a sistemi di piu corpi.

M7{7
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
M8. Il problema della Luna
A ronteremo ora il cosiddetto problema della Luna, cioe lo studio del moto
del satellite della Terra dal punto di vista della meccanica celeste. Si tratta di un
problema assai complicato se si vuole raggiungere una precisione confrontabile
con le osservazioni; ci limiteremo quindi a indicare i passi necessari per compren-
dere alcuni degli aspetti piu visibili: quelli che abbiamo gia descritti, dal punto
di vista osservativo, nel Cap. G2.
Per i nostri scopi il problema della Luna si puo ridurre al problema dei tre
corpi Terra{Luna{Sole, che pero non e piu un problema ristretto, in quanto la
massa della Luna non e trascurabile rispetto a quella della Terra:
S : T : L = 3  10 : 1 : 81
5 1
M M M :

Usando l'approssimazione del problema ristretto come guida, si vede che la Luna
e costretta a girare intorno alla Terra a una distanza che non supera mai un
certo massimo. Per dimostrarlo, si pensi alle super ci di Hill ( g. M6{1) e si
calcoli la posizione di L1 per il caso Terra{Sole: si trova che dista dalla Terra
circa 1 5  106 km, cioe 4 volte la distanza della Luna.
:

Le coordinate baricentriche
Nelle nostre considerazioni ci serviranno L
i punti S, T, L (Sole, Terra, Luna) e anche G r
(centro di massa del sistema Terra{Luna) e Q Q R G
(centro di massa del sistema totale) ( g. M8{ T
1). Rispetto a un'origine arbitraria indiche- S
remo con ~rS , ~rT , ~rL, ~rG, ~rQ le varie distanze
(vettoriali); porremo inoltre ~rSL = ~rL , ~rS Fig. M8-1
e analogamente le altre (~rST , ~rTL : : : ).
Studieremo le equazioni del moto partendo dall'hamiltoniana
2 2 2  
H =2 p

M
S
+2p

M
T +2 p
L
M
, G
M M
S
r
T + M M
S
r
L + M
T ML
r
(M8.1)
S T L ST SL TL
dalla quale si ricavano subito le equazioni di Hamilton
rS
~ _ = @H
= ~
p
S ecc : (M8.2)
@~
p M
S S

~
pS_ =, @H
= GMS MT
3 ~
r ST + GMS ML
3 ~
r SL ecc : (M8.3)
@~
rS rST rSL

Derivando le (M8.2) rispetto al tempo e sostituendo nelle (M8.3) si ritorna alle


equazioni di Newton
MS~
rS  = GM M
S T
3 ~
r ST + GM M
S L
3 ~
r SL ecc :
r r
ST SL

M8{1
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Invece qui trasformeremo opportunamente l'hamiltoniana con un cambia-
mento di variabili. Poniamo
~r TL = ~r ~
~r SG = R:
~ , ~r Q come segue:
Possiamo esprimere ~rS , ~rT , ~rL in termini di ~r, R
MT + ML ~
~r S = , R + ~r Q
M
MS ~ ML
~r T = R, ~r + ~r Q (M8.4)
M MT + ML
MS ~ MT
~r L = R+ ~r + ~r Q :
M MT + ML
dove M = MS + MT + ML.
Per trovare i momenti coniugati, che chiameremo ~p, P~ , ~pQ, basta prendere
la forma dell'energia cinetica
 
T= 1
2 MS j~r_ S j2 + MT j~r_ T j2 + ML j~r_ L j2 ;

sostituire alle ~r_ le espressioni ricavate dalle (M8.4) e derivare, in quan-


to p = @T =@ q_ (V non dipende dalle q!). Il risultato della sostituzione e semplice:
 
T= 1
2
~_ j2 +  j~r_ j2
M j~r_ Q j2 + M jR (M8.5)
dove
MT ML
=
MT + ML
e la massa ridotta del sistema Terra{Luna e
M = MS (MT + ML ) M
e la massa ridotta del sistema: Sole{(sistema Terra{Luna, pensato come concen-
trato in G).
La (M8.5) si poteva ottenere direttamente applicando due volte il teorema
di Konig: l'energia cinetica totale si ottiene come energia del centro di massa
in cui sia concentrata tutta la massa ( 12 M j~r_ Qj2) piu quella del moto rispetto al
centro di massa. Nel caso nostro questa seconda e l'energia del sistema Sole{
(Terra{Luna), data da 12 MjR ~_ j2 , piu l'energia del sistema Terra{Luna rispetto
al suo centro di massa G, che e 21  j~r_ j2.
M8{2
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Dalla (M8.5) si trovano i momenti coniugati alle variabili ~rQ , R
~ , ~r:

~pQ = M ~r_ Q ~
P ~_
= MR _
~p = ~r:

In questi termini l'energia cinetica si puo scrivere


p2Q 2 2
T = 2M + 2PM + 2p :

L'approssimazione di quadrupolo
Fin qui il nostro calcolo e esatto, nella sola ipotesi di poter trascurare la
presenza di altri corpi. In tale ipotesi il sistema e isolato, dunque il riferimento
del centro di massa e inerziale. Conviene allora prendere Q come origine del
sistema di coordinate, per cui si ha ~rQ = 0, ~pQ = 0, sempli cando cos il proble-
ma. Che questo sia lecito, si vede dal fatto che l'hamiltoniana non contiene ~rQ,
in quanto nell'energia potenziale vi sono solo di erenze del tipo ~rST = ~rT , ~rS,
dove ~rQ non compare. Cio implica che ~p_ Q = @H=@~r Q = 0, cioe che ~pQ = cost:,
che in particolare possiamo porre uguale a zero scegliendo opportunamente il
riferimento.
Per procedere oltre occorre fare delle approssimazioni. La geometria del
nostro sistema ci dice che rST  rLT ; inoltre
M + ML ~ ~
~r ST = ~rT , ~rS = M
M
R,
S ~ ML
MT + ML
~r + T
M
R = R , ~r

avendo posto = ML =(MT + ML). Dal momento che r=R ' 0:4=150 ' 2:7  10,3
e inoltre = 1=82, possiamo sviluppare in serie il primo termine dell'energia
gravitazionale:

= R1 + RR3~r + 21 2 3 (R  ~rR
1 = 1 ~ ~ )2 , R 2 r 2
+ 
rST jR~ , ~rj 5

In modo analogo si trova


 MT

~ + (1 , )~r
~rSL = R 1, = MT + ML

1 = 1 ~  ~r 1
1 , (1 , ) R 2 3 (R  ~r) , R r
~ 2 2 2
= + (1 , ) + 
rSL jR~ + (1 , )~rj R R3 2 R5

M8{3
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Potremo allora scrivere per l'energia potenziale:
" 1 
MT ML ~  ~r
R ~  ~r )2 , R2 r2
3 (R
V = ,G + MS MT + 3 + 1 2
2 +  +
r R R R5
 ~  ~r 1 #
1 , (1 , ) R 2 3 (R  ~r ) , R r
~ 2 2 2
MS ML
R R3
+ 2 (1 , ) R5
+ 

~  ~r si trova
e raccogliendo i termini con R
~  ~r
, MS ML (1 , ) RR3~r = 0
R ~
MS MT
R3
per la de nizione di . Dunque con la nostra scelta dell'origine ancora una volta
il termine di dipolo scompare e rimane solo quello di quadrupolo; scriveremo
in ne
M M M (M + M ) 3 (R~  ~r )2 , R2 r2 
V = ,G T L
+ S T L + M 
1
2 S +
r R R5
per cui l'hamiltoniana risultera:
 P 2 GM (M + M )   p2 GM M 
H=
2M , + 2 , rT L ,
S T L
R
1 GM  3 (R  ~r ) , R r +   
~ 2 2 2
2 S
R5
(M8.6)

Discussione
Notiamo che la prima parte in [: : :] nella (M8.6) ci da l'hamiltoniana del
sistema formato dal Sole e dal sistema Terra{Luna concentrato in G, mentre la
seconda parte ci da l'hamiltoniana del sistema Terra{Luna: no a questo punto
i due sistemi non interagiscono. Se non vi fosse altro si avrebbe cos la pura
sovrapposizione di due moti perfettamente kepleriani, ciascuno soluzione di un
problema dei due corpi: uno per il moto di G attorno al Sole, l'altro per il moto
relativo Terra{Luna.
Non e cos per la presenza di altri termini: gia quello di quadrupolo, il solo
che si e considerato, contiene le variabili di entrambi i sistemi suddetti. Que-
sto termine e percio responsabile dell'interazione tra i due moti e puo essere
considerato in due modi diversi secondo il punto di vista:
1) perturbazione del Sole sul moto Terra{Luna
2) perturbazione del moto di G attorno al Sole, dovuta al fatto che G non e
un e ettivo punto materiale, ma e invece il centro di massa di due punti
separati.
M8{4
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Spieghiamo meglio questo secondo aspetto. Poiche il L
campo gravitazionale solare non e uniforme, la risultan- F L
r
te delle forze cui sono soggette la Terra e la Luna non G
coincide con la forza F~ G cui sarebbe soggetto G se fosse
un punto materiale di massa MT + ML ( g. M8{2). Tale F +F T
risultante varia inoltre a seconda della posizione dei due
T L

F
corpi. F G
T

Prima di procedere, occorre provare che il nostro


trattamento perturbativo e giusti cato: Fig. M8-2

1) i termini oltre il quadrupolo sono e ettivamente trascurabili?


2) il termine di quadrupolo e abbastanza piccolo da ritenersi perturbativo?
Riscriviamo la forma trovata per l'hamiltoniana:
H = H1 + H2 + H3
(con ovvio signi cato dei simboli). Vogliamo anzitutto vedere quanto l'ultimo
termine perturba il moto di G: possiamo stimare questo e etto calcolando il
rapporto dell'ultimo termine rispetto alla parte V1 di energia potenziale del primo
termine:
H3 GMS  2 2 R
V1
= R 5
Rr
GMS (MT + ML )
=
  r 2 1  1 2
= 8  10
,8 :
MT + ML R 80 400
'

Si tratta dunque di un e etto osservabile, ma trascurabile in prima approssi-


mazione: il calcolo completo da uno spostamento del perielio (nel moto di G)
di circa 700 per secolo.
Vediamo invece in che misura e perturbato il moto della Luna attorno alla
Terra:
H3 GMS  2 2 r MS   r 3
V2
= R5 R r GM M = M M R =
T L T L
 3
MS  r 3 1 = 5  10,3:
' 3  10
5
MT + ML R 400
L'e etto e abbastanza grande e certo non trascurabile.
Quanto ai termini successivi al quadrupolo, ricordiamo che prevengono
da uno sviluppo in serie di r=R: dobbiamo percio aspettarci che il successi-
vo sia 400 volte minore, e cos via. Non possono dunque essere trascurati in


un calcolo di precisione, ma la perturbazione principale e comunque dovuta al


quadrupolo. Noi ci occuperemo solo di questo.
M8{5
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Concludendo, possiamo dunque supporre che G si muova di moto circolare
uniforme e pensare l'hamiltoniana come funzione soltanto di ~r, ~p. Invece R ~
~
compare nell'hamiltoniana come un vettore noto R(t), non costante in direzione:
abbiamo dunque una perturbazione che dipende dal tempo. (L'eccentricita nel
moto reale di G e minore di 0.0017, per cui non e ingiusti cata, per i nostri
scopi, la sempli cazione del moto circolare uniforme).
Il problema e dunque ridotto a quello dei due corpi, con in piu una pertur-
bazione dipendente dal tempo: anche questo problema e risolubile solo facendo
altre approssimazioni.
Le perturbazioni secolari
In primo luogo ci occuperemo solo di
perturbazioni secolari, per le quali conta
solo il valor medio nel tempo (o nell'ano-
malia media, ad esso proporzionale) del
v
P
termine perturbativo

GMS  h ~ i
H = H3 = ,
0
3 (R  ~
r ) 2
, R 2 2
r :
2R5 Fig. M8-3

Scrivendo S = 3 (R ~ ~r )2 , R2 r2 in termini


delle variabili solite (elementi dell'orbita, g. M8{3) si ha:
,  
S = 34 R2 r2 cos2 i , 13 + sin2 i cos 2( , ) +
 2 
3 2 2
4 R r cos 2( + v ) sin i + (1 + cos2i) cos 2( , ) +
2 R r sin 2( + v ) sin 2( , ) cos i
3 2 2

( longitudine del Sole). Usando la relazione r du = a d' e mediando su '


otteniamo:
, ,  
hS i' = 43 R2a2 1 + 32 e2 cos2 i , 13 + sin2 i cos 2( , ) +
 ,  
15 R2 a2 e2 cos 2 sin2 i + 1 + cos2 i cos 2( , ) +
8
3 R2 a2 e2 sin 2 sin 2( , ) cos i:
4

Quest'espressione e ancora dipendente dal tempo tramite . Se supponiamo


che gli e etti secolari sull'orbita (retrogradazione dei nodi, rotazione del perigeo)
abbiano un periodo molto maggiore di un anno, possiamo mediare S anche sul
periodo di . Si ottiene:
, , 
hS i'; = 41 R2 a2 1 + 23 e2 3 cos2i , 1 + 158 R2a2 e2 cos 2 sin2i: (M8.7)
Nella (M8.7) compare J' tramite a, J tramite e, J tramite i; compare inoltre
solo , ma non ' ne . Ne segue J_' = J_ = 0, da cui J' = cost:, J = cost.
M8{6
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
Invece J sara funzione periodica di , con periodo meta del periodo del perigeo;
questo perche  gura solo in cos 2. Ricordiamo che questo periodo e stato
supposto lungo.
J dovra sempre soddisfare la relazione J  J  J'; ma l'orbita della
Luna e poco ellittica, per cui
J = p1 , e2 ' 1 ) J ' J :
 '
J'
Inoltre essa e poco inclinata sull'eclittica (i e piccolo) per cui
J = cos i ' 1 ) J ' J :

J
Dunque se pure J non e costante, varia di poco tra i due valori di J' e J ,
e possiamo ritenerlo anch'esso costante, trascurando quindi il secondo termine
nella (M8.7).
Quest'ulteriore sempli cazione porta a scrivere l'hamiltoniana come segue:
H = , 81 GM S 2 , 
3 e2 (3 cos2 i , 1)
0

R 3 a 1 + 2

e introducendo le variabili canoniche


J2 , , 
H = , 161 A J'2 5J'2 , 3J2 3J 2 , J2
0


avendo posto 2

1 M
A = n2 3R6 M + M
S
n21 = GM S
1 T L R3
(si noti che n1 e approssimativamente il moto medio del Sole).
Tenendo conto anche dell'hamiltoniana imperturbata si avranno le equazioni
del moto
'_ = n0 , 18 A JJ'2 3J 2 , J2 10J'2 , 3J2
, , 

J 2
', 
_ = 38 A J 5J'2 J 2 , J4
3

_ = , 83 A J'J2 ,5J'2 , 3J2
2

J 
dalle quali con l'ulteriore approssimazione J' ' J ' J si ottiene
'_ = n0 , 47 A J'3
_ = 32 A J'3 (M8.8)
_ = , 34 A J'3 :
M8{7
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Passiamo ora ai numeri. Conviene de nire il parametro m = n1 =n0, rap-
porto tra il moto medio del Sole e quello della Luna; il suo valore e
m = 0:0748 1=m ' 13
cioe la Luna fa circa 13 giri mentre il Sole ne fa uno. Dalla relazione di Keple-
ro n20 a3 = G (MT + ML ) si ottiene subito
 M a 3 1=2
m = M + M R3
S
T L

e inoltre
A J'3 = n1m: (M8.9)
Dalle (M8.8) e dalla (M8.9) risulta cos che i moti di  e hanno un periodo
dell'ordine di 13 anni. Facendo il calcolo otteniamo (in gradi per anno):
osservati calcolati
_ +40:6
_ ,19:3 ,20:3 (buono al 5%)
_ + _ +40:6 +20:3 (errato per un fattore 2).
Dunque la teoria spiega abbastanza bene la retrogradazione dei nodi, ma sbaglia
di un fattore 2 il moto del perigeo.
La causa principale dell'errore sta nell'aver fatto la media su , considerando
un anno come molto minore del periodo di questi moti ( 13 anni). Si puo fare
un calcolo esatto, che fornisce una serie in m (noi ci siamo fermati al primo
termine): i risultati si vedono nella tabella che segue.
Moto del nodo Moto del perigeo
1 termine ,0:00419 1 termine 0:00420
2 termine 0:00011 2 termine 0:00294
3 termine 0:00006 3 termine 0:00099
........ 4 termine 0:00030
5 termine 0:00009
somma 0:00857 6 termine 0:00003
........
somma ,0:00400
Mentre nel caso dei nodi la somma di erisce solo del 5% dal primo termine,
nel caso del perigeo considerare solo il primo termine signi ca sbagliare di un
M8{8
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03
fattore 2 rispetto alla somma completa: questo spiega perfettamente i dati di
osservazione.
Va ricordato che il calcolo al prim'ordine si trova gia nei Principia di Newton
(anche se il metodo e diverso da quello qui esposto). Newton pero lascia quasi
nascosto il fatto che il secondo risultato dev'essere moltiplicato per 2 per avere
buon accordo con le osservazioni. Per un certo periodo la dicolta a spiegare
il moto della Luna rischio di mettere in crisi la teoria di Newton; solo a meta
dell'800, dopo che i maggiori astronomi e matematici si erano cimentati nel
problema, Delaunay riusc a calcolare la serie e dimostrare cos che l'unica causa
del disaccordo con le osservazioni era la sua lenta convergenza.

M8{9
E. Fabri, U. Penco: Lezioni di Astronomia { Ed. 2002{03

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