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Un giorno o l'altro doveva accadere. Alessandro, uno studente romano di 17 anni, ha denunciato
quattro compagni di classe per percosse, violenza privata e minacce. Se il codice penale gi lo
prevedesse, si dovrebbe parlare di mobing.
I fatti sono questi. Alessandro frequenta un istituto per geometri in un quartiere medio-borghese di
Roma. Ha un carattere mite, timido e silenzioso, veste sempre bene, piuttosto diligente ed eccelle
negli studi. Insomma il classico "secchione", che fa felici i genitori e gli insegnanti, ma riesce
inesorabilmente sgradevole ad almeno alcuni compagni di classe. Quattro di questi, di buona famiglia,
lo prendono in antipatia e lo identificano come "soggetto". Cercano di intimorirlo per farsi passare i
compiti, ma Alessandro, che ha il culto delle regole, non pu farlo. Cominciano a prenderlo in giro,
a dileggiarlo a provocarlo fisicamente. Egli non reagisce, e diventa vieppi inviso per la codardia. La
"persecuzione" va avanti per un anno. Qualche giorno fa, uno dei quattro colpisce con un pugno al
volto Alessandro. La professoressa gli mette una nota. Scatta la vendetta. La "banda", infoltita da altri
compagni della classe e da alcuni amici, si reca sotto casa di Alessandro, lo invita a scendere per
prendersi la lezione che si merita. Al suo rifiuto reagiscono promettendogli di ammazzarlo di botte
non appena lo vedranno. D'accordo con i suoi, Alessandro sporge la denuncia.
E' vero: identificare un "soggetto" e prenderlo in giro non un reato. E' vero: accade in tutte le scuole
e quasi in ogni classe. Rimane il fatto che si tratta di un comportamento riprovevole perch chi prende
in giro sa di ferire, di umiliare, di mortificare l'altro. Una ragazzata? Di certo, se posta a confronto
con altri comportamenti giovanili, come il razzismo, ben pi gravi. Un triste segno, per, dei tempi e
di una cultura che alimenta il culto della forza e il disprezzo del pi debole.
Sdrammatizziamo il fatto perch vero - per fortuna - che in fondo non accaduto quasi nulla di
grave. Non ignoriamone per il valore indiziario.
Il "soggetto" sempre lo stesso: un bambino introverso che giunge alla scolarizzazione con un assetto
di personalit da "ometto" gi fatto a misura delle aspettative degli adulti. Un bambino dunque
compito, ossequioso, che tiene molto al giudizio dell'autorit e, per questo, s'impegna nello studio,
non si distrae, non d confidenza agli altri, che sono mediamente assatanati. Il rendimento scolastico,
associato alla condotta irreprensibile, lo porta facilmente a primeggiare e a conseguire la stima dei
genitori e degli insegnanti, che spesso lo portano da esempio agli altri. Egli, di fatto, intrattiene un
rapporto privilegiato con gli adulti, con cui s'identifica e delle cui aspettative vittima, e spesso non
solo non si ritrova con i coetanei ma, nel suo intimo, per il loro comportamento e la scarsa dedizione
allo studio, li disprezza.
Non sempre queste ferite si rimarginano. Talora - e nei saggi risultano vari esempi - esse
rappresentano la matrice di un disagio psichico adolescenziale o giovanile caratterizzato da intensi
sensi di colpa per la propria intima "cattiveria" e da rabbie e fantasie di vendetta vivacissime, che
talora si traducono in un odio indifferenziato per gli altri.
Al di l del fatto, il suo valore indiziario che andrebbe colto. Alessandro ha trovato un buon rimedio
nel rivolgersi alla polizia. E' probabile che questa decisione, disonorevole per l'Istituto in quanto pone
in luce una scarsa tutela da parte dei docenti e invisa ai compagni che, oltre che codardo, lo
considereranno ormai una "spia", prima ancora di fare giustizia, lo obblighi a cambiare scuola. Essa,
dunque, potr risultare disfunzionale, ma nondimeno giusta poich si riconduce al principio per cui,
vivendo in uno Stato di diritto, non deve essere concesso a nessuno di agire secondo la legge del Far
West. Pi volte, in circostanze analoghe, mi sono ritrovato a suggerire a dei ragazzi introversi di
appellarsi a quel principio per non sentirsi vasi di coccio tra vasi di ferro. Non stato facile farglielo
accettare perch, posta la loro inermit, l'incapacit di cavarsela da soli veniva vissuta come
un'inadeguatezza o una patetica debolezza. Ma lo Stato di diritto in tanto esiste in quanto esso
rappresenta il superamento della legge del pi forte, e non gi in nome della tutela dei deboli bens
della contestazione di un criterio univoco e meschino della forza identificata con l'aggressivit.
L'introverso non aggressivo, ma, per sensibilit e intelligenza, ha un potenziale nel quale sarebbe
difficile non riconoscere un qualche attributo di "forza".
Il problema che nelle scuole la legge del pi forte si sta affermando progressivamente nei rapporti
interpersonali e di gruppo tra i coetanei. In ogni classe, se non una banda, c' almeno un alunno che
indulge a terrorizzare gli altri con la violenza. Si tratta chiaramente - venga esso agito da uno o pi
ragazzi - di un comportamento disturbato, che non va criminalizzato perch esso implica delle
problematiche. Ma dal non criminalizzarlo al chiudere gli occhi e al tollerarlo, come avviene spesso
da parte degli insegnanti, ce ne corre. Anche iol comportamento di questi ultimi non va
criminalizzato. Gli insegnanti hanno tali e tanti problemi che richiedere loro un'attenzione sottile per
le dinamiche interpersonali e di gruppo nelle varie classi utopistico.
Sarebbe ora per di riconoscere almeno l'esistenza del problema che, tra l'altro, pi serio a livello
di scuola elementare e media che a livello delle superiori.
Riguardo agli introversi, improbabile che la loro carriera sociale non s'imbatta in vicissitudi
dolorose. Il mondo degli adulti sembra tenere conto di loro solo come un capitale da sfruttare.
Occorrerebbe che i genitori e gli insegnanti prendessero atto che i bambini-modello, studiosi,
ossequiosi e diligenti, il cui sviluppo avviene linearmente sono tutti a rischio psicopatologico. Che
aprissero insomma gli occhi sul fatto che, se la natura ha deciso che l'uomo evolva verso la maturit
in un arco di tempo di circa due decenni, non possibile che vengano al mondo dei bambini gi
perfetti.
[Luigi Anepeta]