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Elogio di Trasimaco

Frammenti sul potere e sulla violenza

di
Giuseppe Gagliano

# Copyright 2002 by Edizioni New Press Como (Italy)


I Edizione 2002
EDIZIONI NEW PRESS - COMO Stampa New Press - Como

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SOMMARIO

Premessa 7

Parte Prima 9

Parte Seconda 33

Bibliografia 43

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PREMESSA questo meno organica e sistematica vuole ragguagliare il lettore sui principali
aspetti del potere e della violenza in un’ottica realistica.

Giuseppe Gagliano

A distanza di secoli, le riflessioni di Trasimaco costituiscono uno spietato


compendio di realismo.
Riflessioni che sono — a tutti gli effetti — vere e proprie griglie interpretative
feconde ed efficaci per interpretare la realtà storica in termini eraclitei.
Sostenere che il giusto — storicamente parlando — sia stato l’utile dell’oligar-
chia di turno, affermare che la corruzione sia intrinsecamente connessa all’eser-
cizio del potere o che la condanna dei sopprusi del potere sia legata all’impossi-
bilità — da parte delle vittime — di esercitare a propria volta la sopraffazione,
tutto ciò equivale a ratificare il corso effettivo della realtà storica. Trasimaco, uni-
tamente a Crizia, aveva lucidamente compreso il ruolo di normalizzazione che il
diritto esercita nei confronti della violenza.
Ma sia chiaro: abbiamo parlato di normalizzazione non di eliminazione della
violenza. Aveva compreso come la polis fosse il teatro dello scontro fra interessi
contrapposti.
Ben lungi — allora — dall’ignorare cosa fosse la giustizia o il bene sociale,
Trasimaco e Crizia avevano compreso la dinamica della realtà, avevano compre-
so che — per il conseguimento e l’ampliamento del potere — era necessario ab-
bandonare qualsiasi scrupolo. D’altra parte, il ruolo del realista non può né deve
essere quello di costruire un universo teorico in sé compiuto e dotato di una lo-
gica autonoma rispetto alla realtà storica, ma deve essere quello di indicare la
processualità della storia e — quindi — ad esempio il ruolo del potere o la
sua lettura, ma soprattutto deve mettere in chiaro il ruolo che la contrapposizio-
ne tra oligarchie (politiche, militari, economiche e relisiose) ha svolto nel deter-
minare le linee di forza della realtà.
Il disinteresse con il quale il realista osserva le riflessioni al condizionale del
teorico, nasce dalla consapevolezza che solo l’osservazione disincantata può illu-
minare la natura della storia. Ebbene: proprio lo studio del potere e della violen-
za organizzata (quella della guerra) costituiscono oggetti di studio privilegiati per
il realista.

La prima parte del saggio vuole essere un’esposizione sintetica dei principali
aspetti del realismo. La seconda parte — sotto forma di frammenti ma non per

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Parte Prima

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Le due più penetranti configurazioni geometriche del potere rimangono quel-


la gerarchica e quella reticolare. Nel corso della storia il potere si è manifestato
ora nella prima ora nella seconda.
In ogni caso, il dato — oramai acquisito — è l’onnipresenza dei rapporti di
potere.

La guerra dovrebbe essere anche interpretata come la vera genesi delle strut-
ture gerarchiche. Proprio dalla guerra — ne siamo persuasi — si originano gli 5
antagonismi sociali. In buona sostanza l’universo storico non può che essere era-
cliteo. Quanto al diritto esso affonda le proprie radici nel frastuono e nelle effe- Di fronte alle resistenze, il potere disciplina, riassorbe, trasforma e nien-
ratezze della guerra. La pace — quindi — non è che una parentesi tra innume- tifica.
revoli conflitti.

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Non solo le istituzioni militari sono essenziali per la comprensione delle isti-
Al di là degli aspetti specifici dello stalinismo e del nazismo, è difficile negare tuzioni politiche, ma le istituzioni militari presentano elementi di profonda con-
in essi la presenza di meccanismi politici costanti già presenti nella storia delle tinuità con quelle religiose. Si pensi al rigido disciplinamento del corpo e del ca-
rattere presente sia nelle regole templari e gesuitiche che in quelle dei corpi spe-
civiltà. Non fu forse Simon Weil ad osservare la profonda continuità tra la dit-
ciali.
tatura totalitaria hitleriana e lo spietato cinismo della politica estera dei Romani?
In fondo, la sintassi del potere che ha alimentato i totalitarismi del XX secolo,
non è stata annullata dalle istituzioni attuali.
Le sue linee di forza si sono attenuate.
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Quanto eracliteo e realista sia stato Hobbes non sarà mai sufficientemente
sottolineato. D’altra parte la guerra è uno stato permanente della storia e della
3 nostra esistenza individuale.

Le resistenze al Leviatano si collocano sempre all’interno dei rapporti di forza


del potere. Non esiste un luogo neutrale che annulli l’ambito del potere. È dif-
ficile non pensare al mito di Sisifo di fronte alle riflessioni di Ward o dell’anar-
chismo europeo contemporaneo.

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I confini tra giusto ed ingiusto non sono stati — sotto il profilo storico — né L’eguaglianza in nome dell’astrattismo giuridico non ha trovato modo di at-
oggettivi né trascendenti: sono stati valori a dimensione convenzionale, storica- tuarsi. Al contrario non solo la guerra ha ricoperto interamente la storia, ma sia-
mente determinati e fondamentalmente arbitrari. Una filosofia politica o del di- mo persuasi che la sostanza della storia sia costituita dai rapporti di forza e dal
ritto che voglia trovare conferme storiche della universalità dei diritti fonda- gioco del potere. In fondo anche le relazioni sociali si possono leggere alla luce
mentali avrebbe solo smentite. Gli unici diritti e doveri stabiliti e sanciti dalla della logica della dominazione.
storia sono quelli imposti dalle oligarchie di turno. Il fondamento ultimo del di-
ritto è il potere e il potere si fonda sulla possibilità concreta di esercitare la coer-
cizione.

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Una delle modalità attraverso le quali si è dispiegato il potere è il diritto di


9 vita o di morte. Pensiamo alle teocrazie, alle monarchie, alle dittature, allo stato
di guerra che sospende — a tempo indeterminato — il diritto al rispetto dell’al-
Che la memoria storica abbia codificato, per i posteri, la gloria del potere tro. I regimi totalitari — a questo riguardo — hanno estremizzato questa volontà
è di lapilassiana evidenza. Altrettanto evidente — dovrebbe risultare — che che la storia ha fatto diventare un diritto.
sia il potere che le leggi siano sorte grazie all’inganno e alla graduata coer-
cizione. Pretendere di demistificare la storiografia tradizionale con lo scopo
di ‘sovvertire’ la sintassi della stessa è pura utopia, l’utopia di chi ha preteso
(e pretende) di trasformare a storia con i salotti letterari, l’utopia di coloro 13
che si rifiutano di accettare che la realtà — parafrasando Petrarca — non è
che l’elogio di Roma e che Roma conquisterà ancora una volta la rivoluzione. Cercare di eludere la dimensione violenta della storia è un tentativo vano.
Quale altra storiografia è stata concepita se non quella della glorificazione Indagarne la meccanica a partire dal potere, indicandone l’aspetto amorale e
del potere? più spesso immorale, equivale ad interpretarla in termini realistici. Proprio all’in-
terno di un’ottica realistica è accettabile e comprensibile la similiarità del potere
con una dominazione di natura militare. Storicamente, proprio attraverso la mi-
naccia di sanzioni viene stabilita la verità di un sistema politico e religioso.
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Dal punto di vista storico, la tesi di Nietzsche (‘‘Genealogia della morale’’)


secondo la quale la libertà è libertà dell’egoismo e della crudeltà, libertà insom- 14
ma di assoggettare ha trovato più conferme che smentite (sotto il profilo storico
è bene ribadirlo). Una delle utopie del ’68 europeo fu quella di eliminare alla radice il sistema
penale; che si sarebbe rivelata un’utopia era scontato se solo ci si fosse degnati di
osservare l’implacabile costanza del potere. D’altronde, gli apparati burocratici e
giuridici dello Stato rivoluzionario si dimostrarono più efficienti e più spietati di
quelli delle democrazie borghesi.

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Lo stupore di fronte all’esistenza dei sistemi penitenziari o di fronte alle tor- Se è evidente che la violenza illimitata è inesorabilmente autodistruttiva, que-
ture o ai campi di concentramento è pura ignoranza o ipocrisia. Storicamente, i sta richiede, per essere contenuta, una contro-violenza da dispiegare concreta-
sistemi di disciplinamento poc’anzi citati sono stati quanto di più costante nella mente che — a sua volta — legittima un contropotere. Questo circolo vizioso
storia. Se la natura del potere si è espressa nell’efferatezza, come sorprendersi se i percorre diabolicamente tutta la storia.
ribaltamenti rivoluzionari (ma solo quelli che si sono mantenuti nel tempo) si so-
no imposti alla società civile costruendo istituzioni politiche e militari similari a
quelle che hanno contribuito a smantellare?
Si pensi — a mo’ di esempio — alla pervasività degli apparati di intelligence e
quelli repressivi all’interno dei sistemi di socialismo reale (da Lenin a Mao per 19
intenderci). Tuttavia i sistemi ‘panoptici-prefettoriali’ (per usare l’espressione
di Foucault) hanno trovato una loro esemplificazione nelle monarchie di Luigi La conformità è una delle conseguenze del potere che si consolida con un di-
XIV e Luigi XV, dimostrando ancora una volta come il mantenimento dell’ordi- spiego minimo di risorse.
ne — pur in contesti storici differenti — presupponga l’esistenza di un rapporto
di dominio.

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16 Saper alternare paure e aspettative è una delle prerogative del potere.

Il potere può agire direttamente o indirettamente (attraverso la minaccia —


p.e. — che è in grado di limitare ai minimi termini la resistenza e attraverso la
delazione o anche attraverso l’esclusione sociale).
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La manifestazione del potere — attraverso l’autorità — rappresenta una tipo-


logia di coercizione indiretta ed implica concedere e ricevere riconoscimento.

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La paura della morte, data dall’esercizio violento del potere contribuisce a


consolidare e a legittimare nel tempo i rapporti i dominio. D’altronde, l’appro- 22
priazione violenta dello spazio è il prius del potere. Come sorprenderci di ciò dal
momento che la violenza è anche fondamento di ordine? L’esercizio del potere di coercizione indiretta si può esercitare a partire dal
monopolio delle risorse, della distribuzione delle risorse e della violenza.

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Solo in un secondo momento, il potere assume la tripartizione che si dispiega L’esclusione e la persecuzione del ‘diverso’ non sono state forme di deviazioni
nella spersonalizzazione, nella formalizzazione giuridica e nella centralizzazione. rispetto alla radice del potere. Ne sono state diretta manifestazione.

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Quanto all’oggetto del potere questo deve avere una lunga, durata deve esse- In qualsiasi ordinamento l’irrigimentazione dell’individuo si esercita a partire
re riproducibile in modo potenzialmente illimitato e deve avere una mobilità li- dalla manipolazione della mente e del corpo.
mitata.

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L’uniformità della distribuzione del potere crea omologazione.
L’onnipresenza del potere è struttalmente legata a quella della violenza. D’altra parte, la prevedibilità della preda è una conseguenza dell’esercizio del
potere.

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La paura reciproca ha sempre costituito uno dei legami più solidi per incre-
mentare la coesione sociale. L’efferatezza della violenza non rappresenta una anomalia del potere ma al
contrario la sua manifestazione più costante della storia.

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Che la libertà debba essere limitata dovrebbe essere ovvio. In caso contrario
la ferocia umana non sarebbe contenuta. Infatti, l’azione sociale si concretizza in Il potere si contrae — attraverso la repressione — e si espande attraverso la
forme indirette o dirette di sopraffazione. In linea di massima, oppressione (am- conquista. L’arte della repressione e dell’espansione — nel corso dei secoli —
sono divenute delle vere e proprie scienze.
pia o limitata) e paura sono pilastri essenziali dello Stato.
La nobile Dichiarazione dei diritti si è fondata sulla ghigliottina prima che
sulla ragione dei Lumi.

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In breve possiamo indicare nel monopolio delle risorse e della violenza le ra- Nei sistemi di potere la massa è stata o carne da macello o merce da far frut-
gioni delle disuguaglianze. tare. Tuttavia la sua ‘cosalità’ rimane indiscutibile.

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L’indifferenza — verso il suddito o la vittima — costituisce una dei requisiti L’ordine o il disordine mondiale è in gran parte deciso dalla competizione e
del potere. L’interesse verso il subordinato è solo strumentale. L’utilizzazione dal compromesso fra più oligarchie.
della tortura (o dei campi di concentramento) conducono a ‘cosalizzare’ l’essere
umano.

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La distribuzione del potere, all’interno delle oligarchie, può essere uniforme o


35 disomogenea e dunque la differente distribuzione del potere determina la supe-
riorità di un’oligarchia su un’altra.
Accanto al frastuono delle battaglie si pone il silenzio complice delle masse e
l’oblı̀o dei crimini. Il boia — allora — diventa collettivo. In fondo, l’apatia delle
masse non ha forse rafforzato il potere?

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L’animale politico ricerca l’ottimizzazione del potere.


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Se il potere si dispiega storicamente, secondo la configurazione realistica è


evidente che la strutturazione delle risorse e dello spazio competa ai pochi. D’al-
tra parte, non solo la stessa conferma la ferrea legge dell’oligarchia ma, ancora 41
una volta, il potere reale è il risultato dei compromessi fra oligarchie.
Come non osservare, all’interno di ogni oligarchia, l’esistenza di stratificazioni
micro-oligarchiche. Potremmo rappresentare ogni oligarchia come costituita da
cerchi concentrici che crescono man mano e che interagiscono sempre secondo il
principio del conflitto o del compromesso.

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Senza una stabile gerarchia la massa non sarebbe altro che una mandria im- Nella storia — parlando zoologicamente — iene, volpi, lupi, leoni e serpi
pazzita. hanno svolto un ruolo preminente.

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L’uso della violenza è stata a tal punto importante che — il suo ricorso — è Oltre al cesarismo reazionario e progressista, sarebbe opportuno ricordare,
stato indispensabile ora per la conservazione ora per conferire un nuovo assetto anche quello spiriturale. Infatti, le istituzioni religiose hanno forgiato la storia
al potere. D’altra parte cosa sarebbe stato il potere di Cesare senza i suoi soldati? in modo evidente. Il dominio delle menti è assai più sottile e pervasivo del do-
minio dei corpi.

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Il conflitto fra violenza ‘legale’ e ‘illegale’ equivale semplicemente ad un con-
flitto di potere volto al conseguimento e al mantenimento del potere. Alla fine il Il rispetto mostrato dalla società civile verso le istituzioni del passato e del
potere è acromatico. presente è solo frutto di timore o di opportunismo. Quando la sorte decide
che è giunto il momento di chiudere un’epoca, la società civile volge il proprio
sguardo al pastore di turno. Le pecore cercano sempre un pastore che li guidi.

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L’osservazione della realtà storica ci consente di giungere ad individuare 50


un’altra essenziale costante: piombo ed oro si sono sostenuti vicendevolmente.
La storia passa dalla tragedia alla farsa e viceversa.

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La pacificazione totale non è conseguibile in un universo eracliteo quale la
realtà storica.
Illudersi della buona fede dell’utopista — spesso — costituisce un errore fa-
tale. Nel suo animo alberga la ferocia del lupo e presto — sul suo volto — affio-
rirà un ghigno.

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Da buoni realisti dobbiamo riconoscere che solo l’intensità della volontà di Se il pacifismo irenico si concretizzasse porterebbe alla morte della storia. Ma
dominio varia. Nelle dittature classiche come nelle monarchie o nelle teocrazie è proprio nel contrasto incessante che la storia trova la sua ragione d’essere. Tut-
fino ai totalitarismi del XX secolo, questa raggiunge il priorio apogéo. tavia il conflitto deve procedere alla edificazione di istituzioni altrimenti sarebbe
autodistruttivo.

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La radice della volontà di dominio non è da individuarsi in una struttura
neutra ma nelle fogne dell’animo umano. Odio, vendetta, ambizione, disprez- L’ ‘etica dell’asservimento’ — attuata ora attraverso l’oro ora attraverso il
zo per il proprio simile hanno alimentato l’animale-uomo nel suo procedere piombo — è una delle prerogative degli Stati, una delle prerogative che ha reso
storico. La storia è fatta di passioni, di carne e di sangue non di anonime gli Stati i principali attori della Storia.
strutture.

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La vitalità di uno Stato — e del potere che lo alimenta — sarà allora stretta-
Il realista — di fronte allo spettacolo drammatico della storia — non può che mente congiunta alla piena consapevolezza che le élites avranno della origine del-
prendere atto della transitorietà delle istituzioni politiche e dunque una posizio- lo Stato: l’approvazione violenta dello spazio.
ne scettica diventa inevitabile.

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Nate — le rivoluzioni — per smantellare il dispotismo, giunte al potere lo ri-
pristinano in modo rapido e spietato.
La guerra difensiva ed offensiva ha — spesso — rafforzato l’identità dei po-
poli.

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Non ci si illuda: le masse che sostengono le rivoluzioni non hanno idea- D’altra parte — uguaglianza e libertà — costituiscono solo mete alle quali
lità. tendere. Capovolgendo la tesi di Rousseau dovremmo sostenere che gli uomini
Il ventre pieno le soddisfa pienamente. Se — infatti — ai massacri seguono non sono nati liberi e che di conseguenza non è sorprendente averli trovati in
stabilità e prosperità, ogni nefandezza viene amnistiata dalla storia. D’altra parte, catene nel corso della storia.
il potere carismatico (che ipnotizza le masse) ha dato un impulso determinante
alla storia consentendo di liquidare — come vuote chiacchere — le ingegnerie
costituzionali.

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Il fatto che tali nobili principi abbiano alimentato la costituzione americana e


61 inglese non può trarre in inganno. La politica estera americana (in America La-
tina) e la tirannide di Robespierre sono fulgidi esempi di umanitarismo. D’altra
parte, i principi filosofici sono come le idee platoniche, collocate nel mondo iper-
Lo studio della storia, quando viene svolto in un’ottica realistica, ci testimonia
uranico. E lı̀ rimarranno.
l’impossibilità di individuare un fondamento assoluto (trascendente o giusnatu-
ralistico) in grado di legittimare i diritti. I mutamenti storici hanno determinato il
sorgere di nuovi diritti, avvalorando la tesi della loro storicità e della necessità di
interpretarli in una prospettiva relativistica e — quindi — sostanzialmente scet-
tica. Si pensi — p.e. — che la speranza di attuare i diritti della Dichiarazione
universale dell’uomo si fonda su un atto di fede. 65

Noi crediamo che la natura umana (cosı̀ cara a Locke, a Rousseau e a Grozio)
sia stata solo una finzione metodica. Al contrario, noi rileviamo la brutale con-
cretezza storica.
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È certo ironico dover osservare che il consenso, che ha determinato la Dichia-


razione del 1948, sia stato dato proprio da quei paesi che non solo sono stati i 66
principali artefici del colonialismo (dal ’400 alle soglie del XX sec.) ma che sia
stato dato proprio da quelle nazioni che hanno raggiunto un elevatissimo grado La Dichiarazione del 1948 non costituisce una effettiva presa di coscienza che
di crescita delle spese militari. l’umanità ha di se stessa. Se si dovesse stendere una Dichiarazione che tenga con-
to della realtà storica, i suoi articoli suonerebbero come sentenze di morte. For-
se, sarebbe più opportuno che l’umanità incominciasse ad essere conscia dei pro-
pri crimini.

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Suona ridicolo il primo articolo della Dichiarazione del ’48 tanto quanto l’ar- Gli unici diritti fondati sono quelli conquistati. I diritti innati o acquisiti sono
ticolo tre dei Patti del ’66; e suona ridicolo perché implicitamente costituisce un solo comode finzioni giuridiche. In particolare, i diritti acquisiti sono stati otte-
atto di condanna verso la storia dell’umanità. Non dimentichiamoci che buona nuti a prezzo di immani sacrifici umani.
parte dei paesi firmatari hanno ripetutamente violato l’autodeterminazione dei Ancora una volta, l’origine violenta emerge dal sottosuolo della storia.
popoli con notevoli vantaggi economici.

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L’unico progresso tangibile è quello relativo al connubio scienza e tecnica.
Anche se ne ammettessimo la validità in linea teorica, l’effettivo rispetto degli Cosı̀ — sotto il profilo storico — non è mai esistita alcuna demarcazione tra bene
stessi dipenderebbe dalla concreta possibilità di esercitare il potere coercitivo. e male. Al contrario: non solo bene e male si sono mescolati, sovrapposti ma si
Ancora una volta — dunque — il punto di arrivo è l’esistenza della violenza ori- sono spesso confusi. Il dovere del realista è quello di indicare (ai contemporanei
ginaria. come ai posteri) le linee di forza della realtà storica. Non è quello di formulare
ardite teorie volte a giustificare in termini ora teologici ora razionalistici la realtà
storica.

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Al di là della natura antinomica ed eterogenea dei diritti, risulta comunque 73


evidente la non compatibilità tra libertà e poteri.
Per tutti coloro che soffrono d’amnesia storica non dovremmo mai dimenti-
care che la legge svolge — per citare Cicerone — due complementari funzioni:
Vetare e jubere. Quindi la limitazione della libertà è uno dei principali doveri
della legge.
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In un’ottiva realistica, non c’è posto per una storia profetica, per una inter-
pretazione della storia che guardi gli eventi come un indizio rivelatore di un qual-
che telos. Insomma, la storia profetica kantiana (come d’altra parte il diritto co-
smopolita) non può trarre consenso presso il realista.

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L’individualismo metodologico — cosı̀ caro al liberalismo — enuncia ‘‘verità Sotto il profilo realista, le giustificazioni addotte da Paine (1791) non possono
iperuraniche’’. Dal punto di vista storico — unico terreno di confronto reale — essere accettate. Trascendere la storia e affermare l’unità del genere umano co-
l’autonomia di ogni individuo e il rispetto della dignità di ciascuno sono presup- stituiscono tesi che contrastano manifestamente il buon senso. Allo stesso modo
posti metafisici e come tali non hanno trovato riscontro. Per esempio: l’ascesa al pretendere che sia ragionevole la tesi kantiana relativa all’autentico scopo dello
potere si attua anche attraverso ripetute violazioni della dignità individuale. Illu- Stato (quella di dare ai sudditi tanta libertà da consentirgli di raggiungere la pro-
dersi che tali presupposti debbano stare alla base dello Stato di diritto equivale a pria felicità) equivale a non riconoscere la realtà della meccanica del potere o a
far torto all’astuzia della ‘volpe’ politica. Lo Stato di diritto non è lo Stato dei misconoscere le spietate lezioni della storia. Le esaltazioni mistificate della Rivo-
luzione francese (di Paine o di Kant) sono risultate prive di consistenza anche
cittadini ma l’istituzione che rappresenta gli interessi contrapposti delle oligar-
grazie alle penetranti osservazioni del Manzoni, di De Maistre, Taine e Hegel.
chie.
L’unico aspetto che possiamo riconoscere degno di attenzione è l’osservazione
di Mirabeau che riconosce nella Dichiarazione dei Diritti, una dichiarazione di
guerra all’assolutismo regio, una sorta di atto di fondazione del contro potere
borghese. Ed è proprio questo l’elemento di reale rottura e novità: la Dichiara-
zione ha semplicemente legittimato un regicidio e, nel contempo, la guerra civile
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borghese.
Il rimprovero kantiano, mosso ai politici, di non avere fiducia nelle virtù e
sulla forza del novente morale è infondato. L’esercizio del potere presuppone
una prasseologia cinica e spregiudicata amorale ed anche immorale.
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Partire dalla valenza filosofica della Dichiarazione dei Diritti per legittimare la
76 democrazia è illusorio: la sovranità non spetta ai cittadini ma alle oligarchie che
ne manipolano il consenso. Se si attuasse l’esasperazione individualistica della
Se si studia con attenzione la storia non può destare alcuna sorpresa che solo i Dichiarazione, verrebbe legittimata la sovranità delle discussioni individuali e
due quinti degli Stati abbia ratificato la Convenzione Internazionale sui Diritti ciò implicherebbe la lenta ma inesorabile dissoluzione dell’ubbidienza. Al di là
della pars teocratica di De Maistre, le osservazioni anti-individualistiche del filo-
dell’uomo. Che i problemi umanitari siano rimasti tali era prevedibile data la na-
sofo francese rivelano tutta la loro efficacia per scoprire i reali pericoli per la coe-
tura del potere.
sione interna del potere.

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Se non esistono diritti oggettivi naturali ma solo diritti consolidati storica-


mente, che cosa può garantire che non saranno violati? Forse la buona fede delle
élites? Che cosa impedirà che rimangano diritti potenziali?

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Non esistevano — contrariamente a quanto sostenuto da Rousseau — diritti Quanto alle ottimistiche aspettative relative alla democrazia, il realista deve
naturali antecedenti l’esistenza delle istituzioni politiche: è la potestas a precede- condurre alla chiara consapevolezza che: 1) l’istituzione parlamentare svolge
re la libertas. Lo sguardo di Hobbes aveva squarciato il velo delle ipocrisie illu- un ruolo di compensazione fra le oligarchie ma non certo di rappresentanza po-
ministiche dell’esercizio del potere non solo i diritti non possono precedere lo polare; 2) la partecipazione popolare non altera le linee di forza del potere ma
Stato ma devono essere subordinati alle finalità del potere e attentamente limitati ne diviene un docile strumento. Quanto alle alternative (rimanendo sempre nel-
per non compromettere né l’autorevolezza delle èlites al potere né la loro stabi- l’ambito dell’istituto democratico) quali quelli della democrazia diretta o quella
lità. Coloro che hanno raccolto la lezione di Hobbes (a parte la Scuola storica del dei consigli sono destinate o a tramontare o a divenire dittature.
diritto) sono stati Schmitt e Kelsen. Per entrambi — infatti — i presunti diritti
naturali non sono altro che diritti pubblici soggettivi voluti dallo Stato che con-
sapevolmente limita il proprio potere.

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In merito alle tecniche di disubbidienza civile (da Thoreau a Gandhi, a Ca-


81 pitini, a don Milani o a Balducci), sarebbe necessario ricordare ai loro allievi
che se lo Stato (marxianamente parlando) ‘‘è violenza concentrata e organizzata
della società’’, le tecniche non violente non giungeranno a lambire i ‘‘palazzi del
In definitiva l’interesse — da parte del realista — per i diritti universali è
potere’’. Sia sufficiente confrontare i programmi di rinnovamento palingenetico
un interesse del tutto secondario. Consapevole che l’alfa e l’omega della ri-
del pacifismo irenico nostrano o extra-europeo con la realtà storica.
flessione politologica sia lo studio della natura del potere e della sua distri-
buzione, il realista lo analizza ex parte principis, sottolineando il ruolo della
Ragion di Stato o il ruolo dello Stato-potenza (si pensi a Ranke, Meinecke o
a Weber).

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In merito alla supposta estinzione dello Stato (previsione cara a Spencer


come agli anarchici), dobbiamo — al contrario — sottolineare come nelle
società industriali (da quelle tayloriste a quelle toyotiste) lo Stato non abbia
perso ma — anzi — abbia rafforzato il potere di discrezionalità e di control-
lo.

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Parte Seconda

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narra in modo esemplare un percorso che consta soprattutto di conquiste e usur-
pazioni. Come ricorda il filosofo francese Michel Foucault solo a partire dalle ‘‘in-
vasioni e dalle conquiste è stato possibile ricostruire la genesi del diritto pubbli-
co 2. Negare una tale genesi equivale ad opporre l’utopia alla dimensione tragica
della realtà, dimensione che è — per Cioran — la quinta essenza della storia.
Proprio il filosofo rumeno — provocatorioamente — ricordava come per i ‘‘Ta-
cito non esiste una Roma ideale’’. Quanto all’‘eroismo’ delle imprese storiche, lo
stesso Cioran ne indicava la dimensione reale sottolineandone il carattere pole-
I mologico 3. La genesi del potere militare è stata strutturalmente legata al potere
politico al punto che lo stesso Foucault ha riconosciuto come polemos abbia pre-
L’auspicio che la prassi politica si affermi facendo propria un’etica edificata sieduto alla nascita degli Stati e come la lex sia nata nel ‘‘sangue e nel fango della
sul Sermone della Montagna e il consolidarsi di utopie politologiche (nell’ambito battaglia’’. Una volta conseguita l’appropriazione dello spazio e dopo avere ridi-
culturale), sono il risultato della scarsa consapevolezza della genesi dello Stato e segnato i nuovi limes geopolitici, il secondo passo da compiere è la stabilizzazio-
del potere globalmente inteso. ne del potere raggiungibile anche attraverso la disciplina, da interpretarsi come
istituzione giuridica essenziale sia per l’esercizio del comando che per quello del-
Contrariamente alle mistificazioni del contrattualismo (passato e presente)
l’obbedienza. In questa ottica, premio e pena sono gli strumenti indispensabili
l’edificazione dello Stato è stata possibile in vista di una violenza originaria: l’ap-
per l’attuazione della disciplina dal momento che — sottolinea il politologo ita-
propriazione dello spazio attraverso l’uso della violenza disciplinata e politica- liano Portinaro — la ‘‘macchina dell’obbedienza si configura con un sistema di
mente finalizzata 1. La storiografia antica (da Omero a Polibio per esempio) ci controllo e di indirizzo dei comportamenti — attraverso sanzioni’’.
Non può destare alcuno stupore se — per citare Foucault — ‘‘la manifesta-
1 Sulla funzione della violenza quale fondamento della storia, converrà ricordare che sia Lo- zione del potere prende la forma pura del tu devi’’ né può destare alcuna sorpre-
renz sia Schmitt hanno individuato proprio in essa il momento costitutivo ora nel mondo animale sa la constatazione in virtù della quale la dimensione fondante della prassi poli-
ora nella politica come Schmitt attraverso la coppia dicotomica Amicus/Hostis. Un’altra piattafor- tica sia il ruling and being ruled . L’oltrepassamento dell’equazione potere/domi-
ma comune — fra i due autori — è da individuarsi nella constatazione che in qualunque comunità
la coesione interna è proporzionale ai nemici esterni, mentre la loro assenza determina lo sviluppo
nio non è praticabile. Si pensi — a titolo esemplificativo — alla funzione della
del conflitto all’interno della stessa comunità. A ciò si deve aggiungere una delle più interessanti coazione e della interdizione all’interno del contesto micro e macrosociale o alla
conclusioni della polemologia attuale: mentre il concetto di guerra è autonomo quello di pace ne- grammatica della guerra che non si struttura certo a partire dall’uguaglianza né si
cessita del primo per strutturarsi. Se — infatti — la guerra è connaturata alla natura e alla storia, la dispiega mediante l’arte della dialettica socratica! Lascia — dunque — perplessi
pace ha una valenza artificiale, cioè culturale e contrattualistica (si pensi al legame etimologico tra lo stupore della filosofa tedesca Arendt di fronte all’esistenza di una democrazia
pax e pactum p.e.).
Interpretando le tesi di Duerr, il sociologo tedesco Sofsky sottolinea come ‘‘le strutture emotive
puramente formale che non ha modificato l’esistenza di una relazione gerarchica
e razionali dell’uomo non si siano trasformate in modo sostanziale. Infatti, la violenza e la crudeltà tra dominati e dominanti. In verità, le utopie volte a ridefinire la natura umana
appartengono alle costanti della storia della cultura (...). La storia cambia alcune cose, ma non tut- (dalla teoria della compresenza di Capitini, all’uomo planetario di Balducci, da
to. In ogni caso, l’addomesticamento dell’uomo non si è verificato’’. Acutamente Sofsky — riguar- Gandhi a Krishamurthi) e a edificare una nuova forma di politica (estranea alla
do al nesso violenza/guerra — ha parole caustiche e realistiche: ‘‘L’unica giustificazione morale
della violenza è la necessità. L’unica giustificazione della violenza della guerra è la vittoria (...).
La guerra non solo suppone la disponibilità ad uccidere, ma anche il coraggio fisico di rischiare 2 D’altra parte, il cinismo machiavellico de ‘‘Il Principe’’ può essere agevolmente interpretato

la propria vita. Le società che non hanno queste virtù dovrebbero immediatamente battere in ri- — ce lo indica Nicola Matteucci — come una conseguenza della volontà del Fiorentino di formul-
tirata’’. Infine — in merito all’utopia dello Stato mondiale di kantiana memoria — Sofsky in poche cere una prasseologia dell’appropriazione politica.
battute la liquida nel seguente modo: «Anche lo Stato mondiale si dovrà basare su un organo di 3 Proprio uno dei padri fondatori della Costituzione america — T. Jefferson — nel 1787 do-

repressione. Senza un gigantesco apparato militare e di polizia non si può ottenere l’armistizio glo- vette riconoscere che ‘‘l’albero della libertà deve essere irrorato, di tanto in tanto, con il sangue dei
bale». Parafrasando Esopo e ironizzando sulla sete di libertà, Sofsky amaramente ricorda al lettore patrioti e dei tiranni. È il suo concime naturale’’. Quanto a Marx e Lenin, entrambi erano persuasi
afflitto da illusioni che la libertà — ben lungi dal garantire il bene — spesso è solo uno strumento che il potere si identificasse con il monopolio della violenza ed erano consapevoli dell’erroneità
di oppressione: «la libertà dei lupi è la morte degli agnelli». delle utopie pacifiste.

35 36
logica del dominio e della coercizione) — come il pensiero meridiano di Camus III
il personalismo di Mounier e della Zambrano, il misticismo della Weil o il fede-
ralismo libertario di Bookchin e Paul Goodman per giungere all’approccio lilli- Non si insisterà mai abbastanza sulla profondità della riflessione weberiana
puzziano di Tim Costello — non potranno che avere o una scarsissima incidenza sulla matrice originaria della poltiica. Parafrasando Trotskij, non solo Weber ca-
operativa (mantenendo inalterate le linee di forza della grammatica polemologica ratterizzerà — come è ampiamente noto — la forza fisica come mezzo specifico
della storia) o diventeranno oggetto di sterili dibattiti culturali. Ma la pluriseco- della politica ma ne valuterà positivamente l’esistenza. La sua assenza equivareb-
lare stabilità del campo di forze, creato dall’equazione Potere/dominio, conser- be alla soppressione stessa dello Stato ed alla sua sostituzione con uno stato di
verà la sua cifra originaria. anarchia. Confermando, nella sua interezza, la classica concettualizzazione reali-
stica dello Stato inteso come ‘‘rapporto di dominazione di alcuni uomini su altri
uomini’’, Weber — con fermezza e lucidità — indicava nell’aspirazione al potere
II la finalità ultima dell’azione politica. Converrà — a mo’ di monito — ricordare
come lo Stato moderno non possa essere che interpretato come ‘‘associazione di
Se il prologo — per qualsivoglia valutazione politologica — deve essere co- dominio in forma di istituzione, la quale, nell’ambito di un territorio, ha conse-
stituito dalla valutazione klausewtziana, secondo la quale la guerra si concretizza guito il monopolio della violenza fisica legittima come mezzo per l’esercizio della
come atto di forza con il fine di conseguire la sottomissione dell’avversario, assai sovranità’’ (Max Weber). Assai prima delle disillusioni dei post-comunisti e della
coerentemente è possibile — in seconda battuta — conferire alla politica il ruolo ‘new left’, Weber — non senza ironia — sottolineava come l’alternativa dei so-
di matrice originaria di polemos e di intelligenza della guerra. viet fosse stata meramente propagandistica: la reintroduzione del lavoro a cotti-
Altrettanto coerentemente — sotto il profilo storico — è stato affermato nel- mo — sottolineava Weber —, la reintroduzione del sistema taylorista e della di-
l’ambito della storiografia classica, come la violenza (si pensi al libro V della sciplina militare e di fabbrica avevano — de facto — vanificato ogni paradiso in
Guerra di Tucidide) originaria sia stata una sorta di primum, a cagione della qua- terra 4. Per quanto concerne le aspettative di una nuova politica (cara — p.e. —
le la pax è stata solo un elemento convenzionale e ha assunto la forma della sot- alla Arendt) converrà porre l’enfasi su come il Machtinstinkt appartenga al cur-
tomissione di un popolo sull’altro. Ribaltando — dunque — le aspettative del riculum del leader politico e non ne costituisca una perversa degerazione.
liberalismo letto da Mill e da von Mises, la libertà di commercio e la ricerca
di nuovi mercati hanno costituito un formidabile elemento di legittimazione
per la crescita del potere militare. IV
Anche sotto il profilo giuridico, l’operazione groziana, finalizzata a privare la
guerra di qualsivoglia giustificazione teologica, (cara al teologo de Vittoria) con- I silenzi e le maschere (gli arcana imperii per intenderci) sono parte integrante
ferendole uno status strettamente giuridico e laico, è agevolmente contestualiz- dell’esercizio della sovranità: la segretezza, il binomio chiusura/separazione ri-
zabile nel realismo. Ma al di là delle motivazioni strategiche (Klausewitz), storio- spetto alla realtà ‘profana’, la conduzione di una diplomazia occulta (lontana
grafiche (Tucidide), politologiche e filosofiche (Eraclito, Aristotele, Hegel, dal mormorio della società civile), l’assoluta opportunità di limitare le dimensioni
Schmitt, Tilly), l’impostazione etologica di Eibl-Eibesfeldt demistifica le antro- nelle quali viene praticata la democrazia (come nel contesto della burocrazia mi-
pologie pacifiste della loro valenza utopica, sostenendo che la guerra (pur supe-
rando le condizioni selettive) ha accelerato l’evoluzione biologica e culturale e
4 Con grande onestà intellettuale la Weil osservava che ‘‘tutte le volte che gli oppressi hanno
che essa costituisce una tipologia specifica dell’aggressività umana volta al con-
voluto costituire dei raggruppamenti capaci di esercitare un reale influsso, questi gruppi hanno
seguimento dello spazio e delle risorse. riprodotto intergralmente nel loro seno tutte le tare del regime che pretendevano di riformare’’.
Pur ammettendo — esplicitamente — la connotazione totalitaria della Russia e pur riconoscendo
come la guerra, costituisca la ‘‘forma specifica della lotta per la potenza’’ la Weil consegnò ai suoi
lettori vuote proposte alternative, prive cioè di valenza operativa. Consapevole della divisione so-
ciale in uomini che comandano e che eseguono, consapevole della inarrestabile corsa al potere che
connota le élite, consapevole — infine — del valore paradgimatico dell’Iliade omerica, la Weil si
rifiutò di condividere i postulati del realismo.

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litare) sono elementi caratterizzanti dell’esercizio della Ragion di Stato. Allo stes- Ogni buon realista non dovrebbe mai dimenticare le origini rivoluzionarie e la
so modo, attraverso l’uso dell’intelligence e delle forze coercitive, il potere — per matrice coercitiva della Rechtsstaat. D’altra parte, non era Cicerone ad osservare
citare Foucault — attua una ‘‘sorveglianza permanente’’, una sorta di ‘‘microsco- — causticamente che — ‘‘troppa libertà ridurrà il popolo libero in schiavitù’’? 5.
pio della condotta’’ onde consentire una lettura degli individui il più possibile
costante e continua. Cosı̀, accanto al binomio potere/dominio, l’equazione sor-
vegliato/sorvegliante costituisce un altro pilastro dell’esercizio del potere. La Ra- V
gion di Stato — per potersi attuare — necessita di un sistema all’interno del qua-
le i segreti si preservino a vicenda, all’interno del quale il controllo — per esser Quanto vuote risultino essere le utopie (di ieri e di oggi) lo comprese — lu-
capillare — sia reciproco (nelle imprese, nelle scuole, nei penitenziari) e soprat- cidamente — Pareto. Sia in merito allo strutturarsi gerarchico di ogni società che
tuto nella burocrazia civile e militare. Ancora una vola la mistificazione contrat- voglia sopravvivere sia in relazione ai miraggi del socialismo (Pareto — non sen-
tualistica emerge in modo limpido: il contratto può essere posto quale fonda- za ironia — sottolineava come una volta che i socialisti si fossero impadroniti del
mento ideale del diritto, ma de facto il panoptismo (per riprendere Foucault) potere, questi avrebbero costruito una società molto lontana da quella ideale),
è il fondamento reale del potere. Anche l’uso della menzogna (l’abitudine a dire Pareto ci ha lasciato una profonda lezione di realismo. Là dove il sociologo ita-
la verità — sottolinea la Arendt — ‘‘non è mai stata annoverata fra le virtù po- liano constata l’esistenza delle élite, si rifiuta di connotarle moralmente; là dove
litiche’’) è strumento dell’esercizio della Ragion di Stato, grazie alla quale l’azione osserva la diseguale distribuzione dei beni, la attribuice all’uso — da parte delle
del potere si dispiega in modo costruttivo, consentendogli rapidità e discrezione. élite — della forza e dell’astuzia, cosı̀ come la disuguaglianza nella ripartizione
In particolare, nel contesto militare, la segretezza, la disciplina, il controllo sono dei redditi è determinata dalla natura stessa degli uomini più che dalle organiz-
elementi (soprattutto se in stato di guerra) indispensabili. Contrariamente a zazione stessa della società. Quanto — poi — alle illusioni di pacificazione socia-
quanto indicato dalle utopie, le caratteristiche poc’anzi indicate sono ben lungi le promesse dai socialisti commenterà Pareto: ‘‘Supponete che sia stato instaura-
dal rappresentare una deviazione patologica dell’esercizio del potere. Ne sono — to il socialismo, che il capitale non esista più. (...) Nasceranno i conflitti tra i di-
al contrario — i tratti costitutivi. Ciò che — non senza amarezza — è doveroso versi tipi di lavoratori dello Stato socialista, tra gli intellettuali e i non intellettuali
evidenziare è la poca efficienza (in realzione alla società civile) dell’esercizio del (...) Esistono veramente persone che credono sul serio che l’interesse non spin-
controllo (diritto/dovere di ogni potere) la scarsa capillarità della sorveglianza, la gerà alcuni uomini ad adottare certi progetti nella speranza di ottenere un posto
fragilità e la poca coesione del sistema coercitivo. L’opposizione al sistema di pe- preminente della società?’’ (Sistemi socialisti, t. II, pp. 467-468). È stata forse
si e contrappesi del potere, equivale o ad una sua riproduzione (su scala ampia o smentita la previsione paretiana secondo la quale la ‘‘rivoluzione’’ marxiana si
ridotta) — come fu indicato da Weber, Weil, Malatesta e Emma Goldmann a è rivelata nell’altro che un ‘‘deludente miraggio’’? Quanto alla concezione ‘dina-
proposito dell’U.R.S.S. — o alla sua marginalizzazione che altro non è che sino- mica’ del potere in Foucault, è pur vero che il potere non possiede il requisito di
nimo di impotenza operativa (si pensi alle esperienze delle comuni di Fourier o a essere onnipotente, ma è altrettanto evidente che i residui, i margini di antago-
quelle del novecento studiate da Ronald Creagh). I cinque criteri indicati da Ro- nismo possono essere o eliminati o neutralizzati via riassorbimento (proprio Pa-
bert Dahl — nel volume Democrazia economica — e l’auspicio di Foucault di li-
reto ne era pienamente consapevole). D’altra parte, alle analisi di Foucault sulla
berare l’individuo dallo Stato e dal ‘‘tipo di individualizzazione che è legata allo
‘governamentalità’ non sfugge che — in Occidente — la prassi del potere si è
Stato’’ sono da valutare alla stessa stregua del socialismo utopistico di Fourier e
concretizzata verso la preminenza di una tipologia del potere che si è dispiegata
dell’individualismo di Stirner: chimere. In relazione al tentativo, puramente ac-
come governo su tutti gli altri.
cademico, di conciliare la gloriosa tradizione del realismo con quella liberalsocia-
lista, questo non può che abortire, non può che giungere ad un risultato antino-
5 Come l’ambito della politica interna è gestito da oligarchie — in competizione fra loro —
mico. Se si condividono i postulati del realismo, non è possibile né sorprendersi
né tantomeno condannare la meccanica della ragion di Stato. Una delle lezioni cosı̀ l’ambito della politica estera si concretizza all’interno delle decisioni prese da un numero ri-
stretto di paesi. È solo la volontà di amplificare il potere (e i privilegi connessi) che induce le oli-
del realismo è proprio quella di legittimare il potere discendente e gerarchico, garchie internazionali ad essere sia i maggiori esportatori nell’ambito dell’industria militare che a
di giustificare l’esistenza (ma non la sua inefficienza!) del potere autocratico detenere il potere decisionale nel Consiglio di sicurezza dell’ONU.
che permea — p.e. — la prassi dell’intelligence. 0 Proprio per questo — contrariamente all’auspicio di Foucault — fino a quando non si sarà

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Come aveva — autorevolmente — indicato Gaetano Mosca ‘‘in tutte le socie-
tà, a cominciare da quelle più mediocramente sviluppate, esistono due classi di
persone: quella dei governanti e dei governati’’. La questione centrale da focaliz-
zare — comunque — è quella di insistere sull’impossibilità — da parte delle for-
ze antagoniste — di oltrepassare la prassi usuale del potere. Queste — infatti —
tendono a contrastare (legamente o meno) il Leviatano, ma nel farlo daranno esi-
to a un altro soggetto di potere, il quale, per consolidarsi farà ricorso ad una
strumentazione tradizionale: quella della disciplina e della sorveglianza. Il cer-
chio — dunque — si ricompone 6. Il realismo non può che giustificare la legitti-
mità politica della coazione, non può che annuire di fronte alla considerazione di
Gabriel Naudé in base alla quale (al di là della leicità del coup d’État in situazioni
straordinarie) l’azione politica — in fondo — non discende né dal diritto né dalla
morale ma dalla necessità del potere (il potere è — allora — autorefenziale). Co-
me aveva indicato Schmitt «Il caso eccezionale rivela con la massima chiarezza
l’essenza dell’autorità dello stato», cioè il fondamento nella coercizione 7.

in grado di proporre un’alternativa concreta alla logica del potere, l’osservazione critica tradizio-
nale, secondo la quale è superfluo criticare se non si è in grado di proporre riforme concrete, non è
da considerarsi anestetizzante ma realistica. Chi segue l’etica della responsabilità non può decidere
di condurre i propri interlocutori a compiere un ‘salto nel vuoto’. Deve — al contrario — avere
l’onestà intellettuale di tacere, evitando di sobillare la società civile con slogan propagandistici. Sot-
to questo profilo — per parafrasare Eduardo Galeano — il ‘diritto al delirio’ è portatore di disor-
dine sociale. Come il socialismo reale si è rivelato una forma di dispotismo liberticida, cosı̀ i sogni
dell’antagonismo possono rilevarsi — alla lunga — portatori di nuove tirannie. I sogni troppo
spesso si sono tramutati in incubi.
7 Se la relazione che il potere instaura è asimettrica, la valutazione — indubbiamente provo-
catoria — data da Trasimaco (nel primo libro della Repubblica di Platone) è profondamente intrisa
di realismo, tanto quanto quella degli Ateniesi nei confronti dei Meli nel libro V della Guerra di
Tucidide. Al contrario, risulta fantapolitica la pretesa di Otares nel terzo libro delle Storie di Ero-
doto.
0 A parte Hobbes anche Pascal — nei Pensieri — aveva ammesso che: ‘‘non potendo forzare

l’obbedienza alla giustizia, si è reso giusto obbedire alla forza e non potendo rendere forte la giu-
stizia, si è giustificata la forza’’. Vogliamo concludere citando Benjamin, al quale toccò sperimen-
tare la profonda verità della spietatezza della storia «Tutti coloro che fino a questo momento sono
risultati vincitori partecipano a questo corteo trionfale in cui i padroni di oggi camminano sui corpi
dei vinti di oggi. Di tale corteo trionfale fa parte anche il bottino».

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