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Cinema e Storia 2012

Anni Ottanta: quando tutto cominci

Realt, immagini e immaginario


di un decennio da ri-vedere

a cura di
Paolo Mattera e Christian Uva

Rubbettino
CINEMAeSTORIA

Rivista di studi interdisciplinari

Anno I n. 1 - Periodicit annuale

Direzione scientifica
Paolo Mattera (Universit Roma Tre), Christian Uva (Universit Roma Tre)

Comitato scientifico
Sandro Bernardi, Universit di Firenze
Gian Piero Brunetta, Universit di Padova
Francesca Cant, Universit Roma Tre
Pietro Cavallo, Universit di Salerno
Simona Colarizi, La Sapienza Universit di Roma
Fabio Fabbri, Universit Roma Tre
Marco Gervasoni, Universit del Molise
Pasquale Iaccio, Universit di Napoli Federico II
Millicent Marcus, Yale University
Manfredi Merluzzi, Universit Roma Tre
Giancarlo Monina, Universit Roma Tre
Alan OLeary, University of Leeds
Peppino Ortoleva, Universit di Torino
Pierre Sorlin, Universit Paris III - Sorbonne Nouvelle
Ermanno Taviani, Universit di Catania
Vito Zagarrio, Universit Roma Tre

Direttore responsabile
Chiara Gelato

Redazione
Fabio Ecca
Sara Mesa
Paolo Rendina

Crediti fotografici Stile libero: pp. 218, 220: Diaz, Fandango, foto di Alfredo Falvo; p. 221:
Cha cha cha (tit. prov.), 01 Distribution, foto di Fabrizio Di Giulio; p. 222: Fortapsc, 01 Distribution,
foto di Fabrizio Di Giulio; p. 223: Lindustriale, 01 Distribution, foto di Simone Martinetto; p. 224:
Caravaggio, Titania Produzioni-Rai Fiction, foto di Piero Marsili Libelli; p. 225: Luomo che verr,
Mikado, foto di Cosimo Fiore.; p. 226: This Must Be the Place, Medusa; p. 227: Miracolo a
SantAnna, 01 Distribution; p. 236: Amici miei - Come tutto ebbe inizio, Filmauro, foto di Tullio
Deorsola; p. 237: Noi credevamo, 01 Distribution; p. 238: Porco Rosso, Lucky Red; p. 239: Uomini di
Dio, Lucky Red; Vallanzasca Gli angeli del male, 20th Century Fox; Venere nera, Lucky Red; We
Want Sex, Lucky Red.
ISSN: 2281-1729

Finito di stampare nel mese di novembre 2012


da Rubbettino print
per conto di Rubbettino Editore Srl
88049 Soveria Mannelli (Catanzaro)
www.rubbettinoprint.it

2012 - Rubbettino Editore


88049 Soveria Mannelli
Viale Rosario Rubbettino, 10
tel (0968) 6664201
www.rubbettino.it
La rivista

Limmaginario storia tanto quanto la Storia. Questo quanto scrive Marc Ferro nel suo
Cinema e Storia, caposaldo delle prime indagini sulle due discipline che questa rivista intende tornare a
fare dialogare nellorizzonte di un comune interesse: quello appunto nei confronti dellimmaginario,
del terreno culturale in cui esso si radica e degli effetti che limmaginario produce nella realt.

cos che le due discipline menzionate nel titolo di questo progetto editoriale si profilano come
aree di riferimento di una pluralit di saperi, approcci e metodologie tutti da indagare in relazione a una
molteplicit di fini: per esaminare le diverse modalit di testualizzazione della realt storica messe in
atto dal cinema; per esplorare e interpretare i meccanismi produttivi, le forme e il linguaggio del film
con riferimento alle dinamiche storico-culturali e allelaborazione dellidentit di unepoca; per
verificare come i film siano agenti di storia; per studiare le opere audiovisive quali testi capaci, in un
orizzonte mediale sempre pi plurale e proteiforme, di restituire la complessit di una stagione storica
in confronto dialettico con le tradizionali fonti scritte.

Secondo questa prospettiva, Cinema e Storia si colloca su un terreno di confine, forse una terra
di nessuno in buona parte da esplorare e per questo, almeno nel nostro Paese, ancora quasi vergine.

Ogni numero della pubblicazione ha cadenza annuale e carattere monografico, avvalendosi di


saggi scientifici che vengono selezionati secondo il sistema di valutazione basato sulla revisione
paritaria e anonima (peer review).

Una sezione intitolata Stile libero completa la rivista. Libero nella forma e nella pluralit degli
approcci, tale spazio ospita articoli, recensioni, interviste, saggi critici, strumenti di studio come un
Osservatorio permanente sui film storici della stagione slegati dal tema del numero monografico,
ma sempre collocati lungo il filo rosso del binomio centrale Cinema-Storia.
Il numero monografico

Se vero che, come scrive Pierre Sorlin in questo numero, il rapporto tra cinema e storia
emerge chiaramente negli anni 80, tale periodo sembra candidarsi idealmente, anche in virt di alcuni
recenti e importanti contributi in ambito storiografico, a costituire il terreno su cui testare il dialogo tra
le due discipline che danno il titolo a questa rivista.

Gli anni Ottanta sono stati, infatti, un decennio dotato di uno spirito molto forte, improntato
allindividualismo, al declino delle mobilitazioni collettive, alla ricerca della soddisfazione personale.
Ed un decennio che in gran parte attende ancora di essere studiato, soprattutto in Italia, dove ogni
esame o giudizio su quellepoca appare schiacciato dallesito: Tangentopoli e il crollo del sistema
politico.

Proprio perch, dunque, dotato di uno spirito, il decennio segna il definitivo trionfo di un ethos,
fatto di immaginario e di valori, prodotti allora pi che mai da un singolare intreccio fra strutture
materiali e dimensione simbolica. Tutti i Paesi occidentali accentuano infatti in tali anni il loro carattere
di societ dello spettacolo, con la televisione e il cinema che diffondono i propri codici e i propri
linguaggi a tutti i livelli, dalla vita quotidiana al mondo politico.

Ecco allora che, per studiare quel decennio con quello spirito, e soprattutto per dare vita ad
unopera di re-visione che non ceda ad un facile revisionismo, appare particolarmente fecondo il
metodo interdisciplinare e linterazione di competenze finalizzate a riesplorare e reinterpretare una
serie di narrazioni oggi particolarmente illuminanti per comprendere il nostro presente

Paolo Mattera
Christian Uva
Il mio lungo
viaggio
nella storia
del cinema
in compagnia
di Ulisse
di Gian Piero Brunetta

Nel giro di alcuni anni, anche per merito dellaumento percentuale di sensibilit,
strumentazione e interesse per i fattori e gli elementi pi specificamente storici e di storia culturale, gli
studi di cinema hanno acquisito la capacit di diventare un punto privilegiato di confluenza e scambio,
guadagnando, proprio grazie allapporto di saperi extra-moenia, una propria forza e legittimazione. Il
cinema, infatti, pur nella sua aspirazione a una propria identit e specificit, va anche visto e studiato
perch lo di fatto come parte integrante della storia della cultura, delle societ e
dellimmaginazione del XX secolo. un mondo di mondi, separato e dai tratti ben definiti e al tempo
stesso connesso e facente parte di un sistema storico artistico culturale solo parzialmente esplorato e
misurato in tutta la sua ampiezza.

Negli ultimi tempi ho ripreso a tuffarmi in diversi archivi in Italia e allestero: a Bologna, dove
ho lavorato negli archivi Doletti, Renzi e Aristarco, per un saggio sul processo allArmata Sagap,
Blasetti, per studiare alcuni progetti non realizzati, a Milano, dove ho esplorato gli archivi di Antonello
Gerbi per lantologia dei suoi scritti cinematografici, ad Asiago, dove grazie allaiuto di Mario Rigoni
Stern ed Ermanno Olmi ho ricostruito i diversi tentativi di portare sullo schermo negli anni sessanta Il
sergente nella neve e, ultimo, ma veramente entusiasmante, a Bloomington, dove ho potuto fare delle
perlustrazioni casuali nei documenti degli archivi di Fellini, Orson Welles e John Ford, in particolare
sulla corrispondenza e su alcuni progetti non realizzati. Ogni volta ho sentito rinnovarsi dentro di me
quello stato di emozione febbrile nei confronti dei tesori che mi trovavo davanti unito al piacere del
contatto diretto con i documenti originali e di desiderio onnivoro di esplorare tutto, di riportare alla luce
e accarezzare, aspirare i profumi cartacei di migliaia di documenti in attesa di poter parlare con
qualcuno per raccontare la loro storia.

Nelle mie circumnavigazioni di storia del cinema italiano e mondiale iniziate fin dalla met
degli anni Sessanta, ho spesso avuto limpressione di viaggiare in compagnia di Ulisse. In realt sono
stato seduto per molte ore, quasi legato a una sedia, o a una poltrona, davanti a una moviola o a uno
schermo spiegati come vele per raccogliere il fuoco dello sguardo di centinaia di spettatori o spesso
preparati solo per me per cercar di cogliere il canto delle sirene del cinema muto italiano, o in sua
compagnia sono andato alla scoperta dei misteri e degli incantamenti di molte isole della maga Circe e
di vere e proprie isole del tesoro, non comprese nelle mappe conosciute e nei portolani cinematografici
correnti Ulisse negli ultimi quarantacinque anni, da quando ho cominciato a lavorare su Barbaro e
Chiarini per la mia tesi di laurea, mi ha fatto da guida e padre spirituale, da nocchiero ideale e
viaggiatore modello. Mi ha insegnato il piacere di muoversi verso spazi sconosciuti e territori
inesplorati, il gusto del rischio e dello sporcarsi le mani nei bassi fondali spesso melmosi della critica o
del cinema di genere, mi ha trasmesso alcuni dei geni che sembrano indispensabili a un ricercatore che
aspiri, pur tra le tante incertezze che lo accompagnano, o il complesso di inferiorit che non cesser
mai di provare nei confronti degli Storici, a dare una veste storica al suo lavoro. Quali, ad esempio, la
costanza e la determinazione nel perseguire un obiettivo una volta stabilito, la duttilit, la curiosit, il
rigore, lelasticit e disponibilit a capire e a mutare gli strumenti in corso dopera se quelli che
possedevi risultavano inadeguati, il rispetto delle mappe esistenti e del lavoro di chi le aveva stabilite e
il gusto della trasgressione e della contaminazione indisciplinata dei saperi disciplinari secondo la
lezione trasmessami da alcuni miei maestri. In primis Gianfranco Folena e Sergio Bettini.

Ogni ricerca anche minima come quella sui nomi delle sale nel cinema tra le due guerre, o sui
divertimenti dei padovani allinizio del Novecento, quando il cinema si affacciava timidamente come
ultimo arrivato nella piazza delle meraviglie dello spettacolo popolare, o sui titoli dei film italiani dotati
sinesteticamente di calore in territori sconosciuti alla conoscenza dei quali nessuna voce bibliografica
serviva da viatico, ha avuto per me il profumo e il richiamo esaltante dellavventura e mi ha riportato
alla memoria, sia pure nelle forme pi degradate, le figure archetipe, del viaggio, del labirinto o della
ricerca del vello doro. Muoversi in strutture labirintiche, vagamente kafkiane, come potevano essere le
cineteche pubbliche e private italiane una trentina danni fa si parla della Cineteca Nazionale di
Roma, di quella Italiana di Milano e del Museo del cinema ideato e diretto da Maria Adriana Prolo, con
i loro misteri, le zone tab, il senso di rivendicazione delle collezioni come propriet privata e quindi la
possibilit di negare per qualsiasi ragione o anche senza qualsiasi ragione le condizioni daccesso ha
voluto dire non avanzare servendomi di strumenti passepartout o con chiavi estetiche e ideologiche
magiche che mi avrebbero fatto tornare sempre dei conti preconosciuti, quanto piuttosto lasciare che
fossero le fonti, ritrovate per caso, per fortuna, spesso anche per virtus e doti rabdomantiche, a
guidarmi e a indicare le vie duscita o i percorsi che facessero avanzare la ricerca. Fin dalle primissime
ricerche mi sono riproposto di esplorare e arare o setacciare zone assai pi ampie di quelle su cui
volevo effettivamente effettuare la ricerca.

Mi dunque sempre successo, da quando circa quarantanni fa ho avuto accesso alla biblioteca
e allarchivio di Umberto Barbaro, o ho potuto intervistare Luigi Chiarini per il lavoro della mia tesi, di
sentire di muovermi con laiuto e sotto lo sguardo delleroe omerico e di vivere la ricerca sul cinema
come grande avventura per conoscere ed esplorare la vita materiale, ma anche limmaginario delluomo
novecentesco. Sempre. Quando qualche anno dopo, nel 1970, un dirigente televisivo di Venezia, Enzo
Luparelli autore negli anni cinquanta di uno splendido documentario, I na, sulle imprese natatorie
dei bambini veneziani nei canali ancora non inquinati mi ha regalato le bobine a sedici millimetri di
un fantastico programma americano intitolato Movie Museum, ideato da William K. Everson, grazie al
quale ho potuto lavorare su un primo nucleo consistente di one-reels di Griffith e compiere la prima
fantastica immersione nel cinema americano delle origini, o quando, poco dopo, a Grado, grazie a
Davide Turconi, ho visto una memorabile retrospettiva di cinema muto italiano che mi ha convinto a
indirizzare risolutamente le mie prime ricerche accademiche verso quei territori lontani, sconosciuti e
pressoch inaccessibili. E soprattutto quando alla fine degli anni Settanta ho potuto consultare e in
buona parte riprodurre in fotocopia, con i complimenti dei bibliotecari per essere il primo a richiederne
la consultazione, la collezione di George Kleine appena riordinata negli oltre ottanta contenitori alla
Library of Congress. O quando ho visionato i cinquanta titoli muti italiani sempre della collezione
Kleine in copie appena stampate. O quando ho avuto accesso alle carte diplomatiche relative allItalia
dei National Archives ancora di Washington, o, senza andare tanto lontano, quando ho avuto la fortuna
di mettere le mani sul piccolo tesoro di manifesti del cinema Smeraldo di Valeggio sul Mincio della
famiglia Agnolini. Grazie a questo fantastico archivio ho potuto aprire un cantiere di ricerca sullo
spettatore che tuttora in attivit e dovrebbe condurmi, prima o poi, a chiudere un lavoro sulle tecniche
pubblicitarie delle Majors in Italia e sulla vera e propria colonizzazione da parte di Hollywood
dellimmaginario degli italiani durante il fascismo. O quando ho potuto visionare tutti i progetti da
Antonio Valente di varie citt del cinema da realizzare in Italia negli anni Trenta (tra cui uno a Venezia
con sede nellIsola di San Giorgio). O ancora quando ho avuto accesso allarchivio sorprendente per la
quantit di inediti e di progetti non realizzati (tra cui la prima riduzione cinematografica della
Recherche di Proust per Visconti) di Ennio Flaiano, poi emigrato in Svizzera, o quando la figlia di Ezra
Pound mi ha donato la sceneggiatura di un film scritto dal padre assieme al medico per la celebrazione
del decennale della Marcia su Roma, o quando ho visto per la prima volta Mussolini Speaks e tutte le
volte lungo questi ultimi quarantanni in cui mi capitato di imbattermi in tesori ancora inesplorati, in
giacimenti doro, ma anche magari in semplici pepite reperite su un banchetto di un mercatino
dellantiquariato, o presso una libreria antiquaria di Cape Cod, di Beverly Hills, di Praga o di
Barcellona. Senza parlare poi dei quindici anni di ricerca a tutto campo per il lavoro sullo spettatore che
mi ha portato a scrivere prima Buio in sala e poi Il viaggio dellIcononauta.

Ho mancato lappuntamento della mitica retrospettiva del 1978 di Brighton, che qualcuno
considera il vero momento di mutamento dei modi di approccio e studio al cinema delle origini, ma in
compenso ho visto nascere a Genova da zero e credo di aver anche contribuito alla diffusione iniziale
della sua attivit la Cineteca Griffith di Angelo Humouda, che si subito specializzata nel cinema
americano muto ed ha avuto un valore seminale per tutto ci che successo dagli anni ottanta, a partire
dalla nascita delle Giornate del cinema muto di Pordenone e a Padova quella di Piero Tortolina pi
generalista, che iniziava invece dai primi passi del cinema sonoro americano, consentendo per la prima
volta di vedere e sentire in originale i film di Busby Berkeley.

Entrambe in misura assai diversa hanno contribuito alla crescita del mio lavoro a tutto
campo e del mio amore per tutta la storia del cinema, ai miei continui ripensamenti sulla nozione di
cinema dautore che mi ha sempre appassionato di meno perch di dimensioni pi finite, rispetto agli
spazi indeterminati dati dalla possibilit di esplorare trasversalmente un periodo o unintera
cinematografia e al piacere di viaggi in territori lontani che per lunghi periodi mi hanno fatto perdere
quasi tutti i contatti col cinema contemporaneo.

Mi capitato di iniziare a lavorare alla storia del cinema in un periodo in cui accanto alla
sensazione di muoverti in perfetta solitudine provavi anche una sorta di spaesamento, quasi ti trovassi
nella terra di nessuno, dove, assieme alla paura di perderti, tutto ci in cui ti accadeva di imbatterti
aveva un valore unico ed era fonte di continua meraviglia. Mi sempre piaciuto e mi sono sempre
trovato a mio agio nel muovermi in una condizione di serendipity.

Ma qui evidentemente sto parlando ancora della preistoria e della mia storia personale. Vediamo
di allargare lo sguardo per abbracciare in una prospettiva pi ampia il senso del percorso del lavoro
storico e degli intrecci disciplinari tra la storia del cinema e le pi blasonate storie sociali e culturali o
la pi comprensiva storia contemporanea tout court di cui la disciplina neonata non ha certo nascosto di
sentirsi parte e figlia legittima.

Nonostante gli illustri antecedenti di Sadoul prima e Mitry poi, che hanno cercato di definire i
confini e la specificit delloggetto di studio e proposto i primi sistemi di misurazione del territorio, la
storia del cinema cresciuta oggi in tutto il mondo grazie anche al rimescolamento completo della
miscela di ingredienti, oggetti, strumenti, metodi e competenze diverse che ne hanno determinato lo
sviluppo negli ultimi anni. Nel giro di alcuni anni, anche per merito dellaumento percentuale di
sensibilit, strumentazione e interesse per i fattori e gli elementi pi specificamente storici e di storia
culturale, la disciplina ha acquisito la capacit di diventare un punto privilegiato di confluenza e
scambio, in cui, proprio grazie allapporto di saperi extra-moenia, ha acquisito, anno dopo anno, una
propria forza, legittimazione e identit indisciplinata. Se, sullesempio delle degustazioni enologiche,
procediamo a unanalisi verticale della saggistica di qualit e che pi ha fatto avanzare le ricerche sul
cinema italiano negli ultimi trentanni vediamo che le componenti e le metodologie di tipo storico sono
entrate ed entrano in misura tuttora modesta rispetto agli andamenti mainstream della comunit
scientifica, ma che, rispetto alle percentuali quasi inesistenti del passato, appaiono comunque con
unincidenza destinata a orientare le ricerche future che sappiano sfruttare le nuove opportunit degli
accessi in rete dei patrimoni cinematografici e multimediali. In controparte bene dirlo subito, oggi, in
modo meno rapsodico e casuale rispetto al passato, crescono costantemente gli storici del mondo
contemporaneo che fanno uso delle fonti filmiche e studiano il cinema come fonte non secondaria di
storia e cominciano a prendere in esame il ruolo delle immagini nella costruzione della memoria, dei
saperi, delle mentalit, degli orizzonti di attese, della conoscenza del mondo...

Del resto come ben sa chiunque lavori sui materiali audiovisivi ormai consacrati come fonti
essenziali per lo studio della modernit []. Basterebbe mettere in relazione questa affermazione
dello storico Giovanni Sabbatucci nella presentazione di un recente programma televisivo sulla Grande
Guerra con quanto diceva trentanni fa Marc Ferro, pioniere delle ricerche su cinema e storia, Chi
sinteressa al cinema considerato da noi con una condiscendenza per met divertit per met di
compatimento, o con la pubblica dichiarazione di personale vergogna da parte di un autorevole
professore di storia moderna alla sola idea che un insegnamento di storia del cinema potesse compiere
unincursione barbarica allinterno delle sacre mura della Facolt di Lettere dellUniversit di Padova,
per misurare il cammino percorso in questi anni dai ricercatori e dalle diverse discipline. Se nei decenni
passati gli storici italiani che osavano fare rapide e timide incursioni nei territori cinematografici si
contavano sulle dita di una mano, erano pieni di reticenze e sensi di colpa e sapevano di correre dei
rischi rispetto alla comunit scientifica (di recente Christian Delage ha ricordato nellintroduzione al
bel libro LHistorien et le film edito da Gallimard come la sovvenzione alla sua quipe di ricerca
allinterno del cnrs non fosse stata rinnovata perch, secondo il presidente della commissione di storia
contemporanea, Il cinema non una cosa seria!), oggi un rapido censimento ne pu contare un
drappello di tutto rispetto. Che include studiosi di diverse generazioni, da Nicola Tranfaglia a Valerio
Castronovo, da Sergio Bertelli ad Aurelio Lepre, a Ennio Di Nolfo, da David Ellwood a Peppino
Ortoleva, da Piero Cavallo a Pasquale Jaccio, da Mario Isnenghi a Emilio Franzina, da Silvio Lanaro, a
Giovanni De Luna, da Sergio Luzzatto a Piero Melograni, da Dino Cofrancesco a Luigi Goglia, da
Guido Crainz a Elena Aga Rossi, da Piero Craveri a Luisa Passerini, da Carlo Ginzburg a Marcello
Flores, da Giuseppe Gubitosi a Michele Gottardi a Alberto M. Banti Studiosi dalle caratteristiche,
metodologie, campi di interesse e fisionomie molto diverse, ma che in svariati casi hanno dato
importanti contributi anche agli studi storici del cinema.

Dai primi anni Settanta, per via delle mie ricerche sulle forme di propaganda e dorganizzazione
del consenso del fascismo e del ruolo del cinema nella propaganda della prima guerra mondiale,
dialogo o lavoro con una parte consistente degli storici che ho nominato. Il mio obiettivo principale nei
loro confronti stato proprio quello di far acquisire al cinema una dignit e cittadinanza piena tra le
fonti dello storico contemporaneista. Ho molto creduto nelle possibilit e fecondit di questo tipo di
lavoro e vi ho investito con discreta continuit non poche energie. Quasi trentanni fa, assieme a David
Ellwood, abbiamo cercato di creare una sezione italiana dello iamhist, lassociazione internazionale,
nata per iniziativa di alcuni storici inglesi, che per prima ha raccolto e messo a confronto gli storici di
molti paesi che utilizzavano cinema e film nel loro lavoro quotidiano. Abbiamo nutrito fiducia nelle
possibilit di sviluppo di questassociazione anche in Italia (nonostante in molti casi lingenuit duso
strumentale del cinema e la grossolanit iniziale degli approcci ai testi filmici veri e propri e delle
letture di superficie dei contenuti) e sviluppato una politica di piccoli passi e di creazione di occasioni
periodiche a Imola o a Fiesole, a Rovereto e a Trento, a Brescia e a Venezia, ad Asiago e a Bologna,
nonch, ovviamente a Padova che aiutassero a far crescere il dialogo e dessero anzitutto la possibilit
alla storia del cinema di acquisire piena cittadinanza allinterno degli studi storici. E insieme offrissero
la possibilit ad alcuni storici, particolarmente attratti dai fenomeni mediatici e dellindustria cultuale o
dellimmaginario, di rendere pi ricco e complesso il loro laboratorio e pi ampio il territorio di ricerca.

Mi capitato, in questi ultimi tempi, di salutare con entusiasmo laccostarsi sempre pi


convinto e sicuro da parte di nuovi e giovani storici italiani alle fonti cinematografiche, e di constatare,
con discreta tristezza lassottigliarsi delle file di storici del cinema, nel pur crescente gruppo di docenti
di discipline cinematografiche ed audiovisive, ma di rilevare che i pochi giovani studiosi che hanno
deciso di lavorare sul campo usando vari tipi di strumenti e cercando di rendere compatibili modelli
teorici entro reti complesse di tipo storico-culturale sono molto ben attrezzati e da alcune ricerche le
nostre conoscenze sono effettivamente avanzate. Insomma mi sembra che la ricerca storica abbia
allargato i suoi confini e che anche negli studi cinematografici continuino a brillare delle isole in cui
possa venir incoraggiata e alimentata la capacit di studiare e interrogare le fonti filmiche e
cinematografiche con strumenti di tipo storico. La crisi degli studi semiologici dellultimo decennio,
unita al prepotente sviluppo delle discipline cinematografiche allinterno dellUniversit, hanno
favorito lo spostamento degli interessi verso le nuove frontiere multimediali, ma non hanno impedito la
crescita sia pure modesta del prodotto interno storico, anche se, nel campo degli studi cinematografici,
non sono ancora molti gli studiosi che sappiano manovrare con sicurezza gli strumenti dello storico e
soprattutto possiedano ottica, mentalit e disciplina storica.

La storia del cinema, pur nella sua legittima aspirazione a una propria identit e specificit, va
anche vista e studiata perch lo di fatto come parte integrante della storia della cultura, delle
societ e dellimmaginazione del XX secolo. Per cui non pu prescindere dal dialogo sempre pi
ravvicinato con gli storici. un mondo di mondi, separato e dai tratti ben definiti e al tempo stesso
connesso e facente parte di un sistema storico artistico culturale solo parzialmente esplorato e misurato
in tutta la sua ampiezza.

Pensiamo ad esempio al vuoto rilevante tuttora costituito dalla parziale conoscenza di tutto
quellenorme continente sommerso e perduto costituito dai documentari. Finora, su questo terreno, si
pu dire che si siano mossi solo i primi passi. O si pensi allassenza pressoch totale di una storia
economica che abbracci sia la produzione che la distribuzione e lesercizio, non dico del cinema
mondiale, ma anche di singole cinematografie, da quella americana a quelle pi importanti del cinema
europeo. Quando ho progettato la mia Storia del cinema mondiale per Einaudi, a met degli anni
Novanta, avevo immaginato anche due volumi dedicati al documentario e alla storia economica del
cinema mondiale: entrambi sono stati eliminati con decisione fin dallinizio per paura di far collassare
da subito lintera impresa.

Si tratta in questo momento, di pur difficili condizioni e prospettive future per la ricerca, di
cominciare a ipotizzare modelli di studio e di lavoro in progress, aperti e soprattutto condivisibili,
cercando di acquisire e metabolizzare esperienze condotte in modo separato nellultimo ventennio.

Per approssimazioni successive si pu pensare a un modello ideale di storia capace di


scomporre in tante parti questo mondo, e di dissezionare queste parti analiticamente nella loro
specificit per poi tentare di ricomporle in una visione quanto pi unitaria possibile che ne valorizzi, di
volta in volta, degli elementi rispetto ad altri. Per esempio la mappatura del territorio condotta molto
spesso con laiuto di sistemi di raccolta e catalogazione dei dati ancora debitori dei saperi positivistici
ha costituito, in questultimo ventennio, un punto di passaggio indispensabile, una condizione senza la
quale non sarebbe oggi possibile procedere a nessun vero ulteriore tipo desplorazione storica ad ampio
raggio o in profondit.

Non mi stancher mai di ripeterlo e riconoscerlo: bisognava ripartire da un umile e


assolutamente necessario lavoro di raccolta e verifica dei dati per poter creare un tessuto comune e
affidabile per chiunque volesse effettuare ricerche di tipo storico a tutto campo, che valorizzassero una
quantit di elementi che precedevano il contatto con il testo filmico vero e proprio, ma aiutassero al
tempo stesso a definirne, nel modo pi affidabile, le caratteristiche del contesto. Non aver capito per
tempo lutilit di alcuni tipi di lavoro come quello di Aldo Bernardini, ad esempio e non averli
adeguatamente sostenuti e incoraggiati mi sembra uno dei non pochi peccati di cecit ed handicap
culturali delle generazioni che peraltro hanno fatto la storia della critica e della teoria italiana del
dopoguerra. Penso a Guido Aristarco e a tutti i protagonisti della storia culturale come lui che non
hanno mai acquisito una capacit di osservare e studiare i loro oggetti in senso storico e con gli
strumenti dello storico. Il lavoro di Aristarco non mai stato un lavoro di storico, n mai lo divenuto,
neppure negli scritti degli ultimi anni per il fatto che Aristarco stesso era un Soggetto di storia che
privilegiava il lavoro importante della cosiddetta critica militante capace di incidere sullimmediato e
pronta a esercitare sempre la sua attivit in funzione di un risultato del presente. Pur facendo parte ed
anzi in quanto vincitore con Luigi Chiarini e Giuseppe Sala del primo concorso a cattedra italiano
di Storia del cinema, pur essendo uno dei padri fondatori della critica del dopoguerra, pur avendo
contribuito a nobilitare la critica e a confrontarla con le altre forme critiche pi blasonate senza
complessi di inferiorit, Aristarco non ha contribuito che in misura assai modesta alla crescita e
diffusione della materia dal punto di vista storico. Ha avuto molti meriti pionieristici, stato, per molti
aspetti, un critico armato coerente nei suoi errori e amori e nelle sue cecit fino alla fine, non certo un
uomo dei fili. Piuttosto uomo amante dello scontro in campo aperto, e in questo senso ha contribuito
in misura assai modesta alla crescita di una comunit scientifica, allinizio confusa e sparuta e senza
alcuna bussola dorientamento, o di una societ matura e capace di accogliere nel suo interno e far
crescere una molteplicit di voci e di tendenze critiche e metodologiche difformi e orientate in direzioni
differenti.

In realt nessun lavoro storico sul cinema italiano muto, dagli inizi degli anni Ottanta, stato
possibile senza laiuto delle opere di Aldo Bernardini, senza la sua definizione accurata delle
caratteristiche dei terreni che lui stesso ha dissodato e le realt che ha riportato alla luce, contribuendo a
identificarle con precisione. Grazie a questo tipo di definizione analitica di tutto il territorio
filmografico italiano, inaugurato va anche detto da Francesco Savio con la pubblicazione della
fondamentale mappa della filmografia sonora del fascismo (Ma lamore no, 1975) e poi da Vittorio
Martinelli e finalmente da Aldo Bernardini, con il suo progetto di totale descrizione catastale del
territorio, documentario compreso, presto apparso evidente come un buon lavoro storico-filmografico
si potesse condurre anche in assenza delle fonti filmiche. E che proprio i materiali cartacei
consentissero di disporre di una quantit di informazioni attendibili e utili alla classificazione e
identificazione di tutti le unit filmiche realizzate.

Per le generazioni che negli anni Settanta e Ottanta hanno seguito il richiamo delle sirene
teoriche, semiotiche o psicanalitiche, il lavoro storico apparso chiaramente e molto a lungo come
unattivit gregaria, noiosa, assai faticosa, per nulla gratificante e incapace di sfruttare bene i venti e le
correnti favorevoli anche a uneventuale legittimazione accademica. Poi, lentamente, molte cose hanno
cominciato a cambiare.

Daltra parte per le generazioni precedenti alla mia, invece, fare storia del cinema voleva dire
soprattutto istrein, proprio in senso etimologico: testimoniare e interpretare eventi vissuti, usare
unit di misura ideologiche, prima che estetiche, per segnare, in modo netto, le distanze rispetto al
passato, ma anche rispetto a realt non condivise, estranee, o sconosciute. In nome delle certezze
accolte con spirito fideistico, del primato della teoria sulle pratiche di analisi e della semplificazione
ideologica si rifuggiva dallaccettazione della complessit, dal confronto con altri sistemi o metodi che
non si condividevano, pur senza conoscerli. Non si andava e per molti non si va tuttora oltre la
biblioteca di casa, e non ci si scostava dallautorit di pochi libri e autori usati come viatico per tutto,
non sinterrogavano le fonti con nuove domande, ma si fornivano quasi sempre risposte
preconfezionate. Questo era il limite e lhandicap pi vistoso che impediva di far avanzare la ricerca in
senso storico.

Andare allincontro con il proprio oggetto di studio storico con degli strumenti gi precostituiti
non certo arbitrario n illegittimo: si tratta di capire che cosa si vuole sapere dal proprio oggetto e
come si intende osservarlo. Alle volte gli strumenti che dovrebbero agire da aiutanti magici per
penetrare meglio loggetto, per illuminarlo e porlo nella giusta luce prospettica, producono leffetto di
Medusa, sono come uno specchio che impedisce di vedere laltro. Ne risulta una sorta di paralisi
critica, la trasformazione progressiva del critico in oggetto inerte, ripetitivo, prevedibile, privo di
autonomia, elasticit e di intelligenza, intesa anche come capacit di adattamento e di comprensione
delle regole o caratteristiche delleventuale ambiente nuovo e sconosciuto. Questo tipo di soggetto,
convinto di detenere alcune verit rivelate, di fatto condannato a consumare il proprio patrimonio
senza mai o quasi riuscire a cogliere il nuovo e a connettere, con curiosit e intelligenza, fenomeni
in apparenza distanti tra loro e soprattutto senza mai riuscire ad avere un senso reale dellinsieme che
ha davanti perch qualsiasi insieme possibile non coincide con il modello o con il teorema o la formula
critico-ideologica che ha gi in testa.

In pratica in Italia molto a lungo nel dopoguerra non stato possibile trovare un critico che
cercasse di mettere in atto procedimenti capaci di portarlo a un punto dosservazione sufficientemente
distanziato che gli consentisse di osservare il cinema come una storia di storie. Come un mondo dotato
di tante sfaccettature connesse tra loro che potevano e dovevano per essere comprese venir
proiettate su una mappa, o una serie di mappe, che cominciassero a dar ragione delle diverse
caratteristiche, degli elementi comuni, delle specificit, delle omogeneit e delle difformit nel
paesaggio.

Ma c una ragione o giustificazione storica per tutto questo. Nellimmediato dopoguerra


diciamolo pure maiora premebant: la battaglia delle idee era una battaglia reale, quotidiana, di trincea
e certo poteva sembrare strano abbandonare la linea di fuoco per assumere nuovi e diversi punti di
vista. Come potevi progettare di scrivere una storia se tu stesso ti sentivi un soggetto non secondario,
capace di orientare con le tue capacit critiche e i tuoi giudizi il percorso e lo sviluppo della storia
stessa in una direzione piuttosto che in unaltra? Come potevi pensare a fare storia del cinema quando
loggetto aveva una cinquantina danni di vita e quindi, in molti casi, era una sorta di fratello maggiore
o aveva la tua stessa et? Inoltre i desideri di viaggiare verso le terre incognite del cinema muto nella
generazione nata negli anni Venti erano assai vicini allo zero (daltra parte tutto o quasi il cinema muto
risultava essersi inabissato e scomparso allimprovviso come Atlantide) per cui era pi facile adattarsi
alle leggende e alla memoria, piuttosto che varare operazioni e campagne incerte e sospette di scavo in
quel cinema, ma nello stesso modo ancor pi sospetti apparivano gli anni Trenta del cinema italiano e
chiunque intendesse accostarvisi. Come se il cinema del fascismo fosse un territorio per sempre tab,
dotato di germi capaci ancora di contaminare chi vi si accostasse. Come se per molti vi fosse qualcosa
da nascondere, che non si era ancora chiarito allinterno di se stessi.
Di fatto quando ho cominciato a compiere le prime ampie e molto libere perlustrazioni nella
critica, nella teoria e nel poco cinema del fascismo visibile verso la met degli anni Sessanta, la
sensazione pi forte era quella di entrare a contatto con il romanzo di formazione della generazione
che avrebbe poi reso grande il cinema italiano del dopoguerra e che questo capitolo di grande biografia
intellettuale dovesse ancora risultare scomodo, o per qualche aspetto compromettente per chi aveva gi
dagli anni di guerra preso strade nettamente centrifughe rispetto al fascismo. Da subito il quindicennio
che va dallavvento del sonoro al neorealismo mi parso un ideale oggetto per intraprendere un lavoro
di tipo storico: era un territorio ben definito di cui si potevano ricostruire le coordinate usando vari
strumenti, da quelli della storia orale a quelli pi propriamente archivistici.

Dopo aver scritto un paio di libri e avviate una serie di ricerche a tutto campo, in cui gi avevo
identificato nella realizzazione di una Storia del cinema italiano lobiettivo finale di mediolungo
periodo di quella fase iniziale della mia attivit didattica e scientifica, ricordo che a titolo di
incoraggiamento Guido Oldrini, dalle pagine di Cinema Nuovo, aveva condannato questo lavoro e
tutta la mia attivit dicendo che come docente e studioso avevo cominciato malissimo. Cinema
Nuovo, rivista che avevo molto amato e che era entrata nel mio processo di formazione grazie
soprattutto alle voci di Adelio Ferrero, Guido Fink, Lorenzo Pellizzari, a cavallo degli anni Settanta mi
pareva orami una pallida sopravvivenza di ci che era stata, una sorta di fantasma post-lukacsaino che
soffriva la sindrome dello stato dassedio e delle congiure multiple e Aristarco era sempre pi
assimilato nella mia percezione a Crono.

Muoversi nella realt culturale italiana, accademica e non, degli anni Settanta per creare le
condizioni di apertura di un cantiere di tipo storico era dunque tuttaltro che semplice: voleva dire
arrampicarsi in una sorta di no mans land senza risorse economiche per la ricerca, n appigli n punti
di sostegno e riferimento metodologico, con il pericolo di franchi tiratori che sparavano alle spalle e
puntavano a smantellare il tuo lavoro prima ancora che muovesse i primi passi, voleva dire anche per
nutrire una fiducia assoluta nelle possibilit di crescita della materia, e progettare lavori di medio e
lungo periodo che sapessero spingersi ottimisticamente oltre i limiti e le difficolt dellimmediatamente
visibile e percorribile.

Insomma, una situazione entusiasmante.

Il lavoro che mi si presentava era di disporre e fissare allinterno di una trama e un ordito
tuttaltro che omogenei alcuni punti forti, distinti e difformi di un gigantesco tessuto, o meglio di
proiettare su un piano comune elementi appartenenti a diversi punti prospettici non tanto per descriverli
e accumulare masse di dati e di informazioni inedite, quanto per interrogarli guidato dalla sensazione e
convinzione che molti di quei quesiti e le eventuali risposte avrebbero contribuito a illuminare e capire
problemi, comportamenti e strade del cinema del dopoguerra.

Nonostante le difficolt e i molti dubbi che hanno guidato il mio cammino storiografico e
orientato le mie scelte, credo di essere rimasto abbastanza convinto che, pur lavorando nella prospettiva
di una storia totale, su cui influivano non poche lezioni di maestri di discipline diverse, italiani,
francesi e americani, la somma delle parti che avrei potuto mettere insieme, da solo prima e poi con la
collaborazione di decine di altri ricercatori, non avrebbe mai potuto restituire lunit dellinsieme. Un
lavoro ben progettato e svolto con coerenza si propone e si augura di diventare un solido ponte e punto
di passaggio e non ambisce certo a costituire un punto darrivo n per chi lo ha condotto n per gli altri.
Laspirazione a una totalit ideale significa soprattutto capacit di costruzione di modelli storiografici
coerenti, ma diversi tra loro A seconda degli strumenti e delle ottiche adottate una storia del cinema
si pu scrivere in molti modi e personalmente ho cercato di farlo nel corso dei decenni servendomi di
tutti gli strumenti disponibili, dai libri ai giornali, alle riviste specializzate, alle mostre darte, alla radio,
alla televisione, al cinema stesso. Ho scritto cos tante storie del cinema italiano. Di recente alla
Sorbonne sono stato invitato a parlare dei diversi tipi di approccio a questa storia ed ho proposto una
lezione dal titolo Douze faons de cuire lhistoire du cinma italien. Nel fare questo ho sempre cercato
di confrontarmi, ad ogni passo, giorno dopo giorno, con gli storici, ma anche con gli storici della
lingua, con gli storici dellarte, di studiarne alcuni procedimenti e metodi, di vedere quanto alcuni
risultati ottenuti su altri oggetti potessero essere applicabili al cinema. Ho sempre puntato a vincere il
complesso dinferiorit del catecumeno e a puntare a un dialogo alla pari e alla creazione di terreni di
lavoro comune, allo scambio e al baratto piuttosto che alla pura spremitura di succhi culturali e
scientifici e alla pura vampirizzazione di saperi altrui. I risultati raggiunti, come ho detto, forse non
sempre sono stati allaltezza dellentusiasmo iniziale, ma entusiasmante pu essere oggi la
consapevolezza della vastit degli orizzonti e delle possibilit di lavoro per gli storici del cinema che
stanno muovendo i loro primi passi nella disciplina. Vorrei fare mie per lennesima volta alcune
considerazioni di Fernand Braudel a cui, nel corso del tempo, fin da quando ho cominciato a lavorare al
progetto della mia Storia del cinema italiano, mi accaduto spesso di far riferimento:

A rischio di essere accusato di liberismo impenitente, direi che tutte le porte mi sembrano buone
per superare le molteplici soglie della storia. Nessuno di noi purtroppo in grado di conoscerle tutte.
Lo storico comincia con laprire sul passato quella che conosce meglio, ma se cerca di vedere il pi
lontano possibile necessariamente busser ad unaltra porta, poi ad unaltra ancora []. Ogni volta sar
messo in causa un paesaggio nuovo o leggermente diverso e non c storico degno di questo nome che
non abbia saputo giustapporne un certo numero []. Per me la storia pu concepirsi solo a n
dimensioni. Questa generosit indispensabile [] essa pone alla base una storia concreta,
pluridimensionale []. Al di l di questa molteplicit ciascuno resta libero1.

1. F. Braudel, Una concezione della storia sociale, in ID., Scritti sulla storia, Mondadori,
Milano 1973, p. 182.
Quando
la Storia
incontra
il Cinema
di Pietro Cavallo

Il cinema ha agito nel Novecento come agente di storia, contribuendo a costruire anche una
nuova identit sociale italiana. In particolar modo stato importante il cinema americano, grazie al
quale la societ Usa veniva, per la prima volta, ammirata dagli italiani: il Cinema nasceva cos una
sorta di identit transazionale che, giocoforza, entrava in conflitto con quella nazionalistica del
fascismo. Ma oltre a essere protagonisti nella Storia, i film possono essere considerati una fonte
storica? Pur mantenendo la soggettivit che lo contraddistingue, tipica di ogni fonte storica, il cinema
permette di studiare la societ non in quanto tale, ma piuttosto nel modo con cui questa intende
raffigurarsi e di capire come gli eventi vengono percepiti, vissuti e interpretati dalla stessa societ.

Inizio questo saggio con quella che sembrerebbe una nota autobiografica. Ho cominciato a
occuparmi del nesso storia-cinema, partendo da un interrogativo scaturito da studi, alcuni dei quali
condotti in tandem con Pasquale Iaccio, sul ventennio fascista. possibile mi domandavo studiare
il Novecento senza tenere conto del cinema, di un medium nato in pratica con il secolo scorso e
strettamente connesso alla grande trasformazione1 e, soprattutto a, una societ di massa, in cui i
consumi comportavano ununificazione sempre crescente del gusto, dei modelli culturali, addirittura
dei desideri e dei sogni, e dove la cultura e la politica assumevano forme e modi totalmente nuovi?

Era chiaramente una domanda retorica!

In quegli anni il cinema fu un vero e proprio agente di storia, trasmettendo e diffondendo


nuovi modelli culturali2, grazie al fascino esercitato su masse anonime di persone che, nel buio della
sala, vivevano unesperienza mai provata prima. Lo scrittore e drammaturgo inglese Alan Bennett, nel
gennaio 2005, raccontava di quando, bambino, andava a cinema con i genitori, alla prima
rappresentazione, che finiva verso le 8.10 di sera: quando uscivamo cera gi la coda della seconda,
con tutti gli astanti che scrutavano attentamente i nostri volti alla ricerca di qualche indizio
dellesperienza che avevamo appena vissuto3. Unesperienza magica -si pensi alla pellicola di
Giuseppe Tornatore, Nuovo cinema Paradiso -nella quale non contava quel che si era visto sullo
schermo (nel 2003 un altro scrittore, Giuseppe Pontiggia, ricordava che per lui, adolescente, i film
erano tutti capolavori, chi ne avesse dubitato sarebbe stato considerato, pi che un guastafeste, un
cinico e un disfattista4). Il cinema costituiva luogo di socializzazione e momento fondamentale di
apprendimento sociale5. l che si costruiva unidentit sociale, che non passava pi, o almeno non
soltanto, per i tradizionali canali della famiglia, della scuola, dei partiti o delle -nel caso del fascismo
-organizzazioni collaterali del partito. Il cinema assolveva a un bisogno di spaesamento, di proiezione
della mia attenzione in uno spazio diverso, un bisogno che credo corrisponda a una funzione primaria
dellinserimento nel mondo, una tappa indispensabile dogni formazione scriveva nel 1974, in
Autobiografia di uno spettatore, Italo Calvino, ricordando gli anni delladolescenza in cui andava a
cinema quasi tutti i giorni e magari due volte al giorno. Per lui il vero mondo era quello che si
disegnava nel buio della sala cinematografica: Un altro mondo da quello che mi circondava, ma per
me solo ci che vedevo sullo schermo possedeva le propriet dun mondo, la pienezza, la necessit, la
coerenza, mentre fuori dello schermo sammucchiavano elementi eterogenei che sembravano messi
insieme per caso, i materiali della mia vita che mi parevano privi di qualsiasi forma6.

Calvino metteva cos laccento su un aspetto estremamente significativo: in un momento, gli


anni Trenta, in cui si assisteva a una riorganizzazione di tutti gli elementi in gioco, il cinema creava un
mondo dove questi elementi -disordinati, eterogenei e, pertanto, incomprensibili nella realt reale
-costituivano invece un ordine compiuto e davano vita allimmagine di una societ armoniosamente
coerente. Il cinema, pertanto, era agente di storia non solo perch induceva nuove mode e consumi,
ma soprattutto perch contribuiva a ri-strutturare la realt. Interveniva in modo attivo nei processi
sociali, modificando la nostra immaginazione, che come ci ha insegnato la psicoanalisi non una
facolt n un potere psicologico autonomo, ma unattivit globale del soggetto per organizzare un
mondo sistemato secondo i suoi bisogni e i suoi conflitti7. Dando un ordine e unarmonia a elementi
che sembravano eterogenei e non classificabili, il cinema costruiva il Novecento8. Costituendosi
come racconto, con un inizio e una fine, dove tutti gli elementi, dagli attori alla disposizione delle luci,
dalla fotografia ai movimenti di macchina, orientano lo spettatore verso un epilogo, il cinema
rafforzava nel pubblico lillusione di un mondo possibile, governato dalle leggi di consequenzialit:
In altre parole la vita non n imprevedibile n incoerente, la societ progredisce secondo regole
razionali e risolve tutti i problemi. Il cinema narrativo metteva in immagini un tale aspetto ideale della
realt9.

Il cinema, dunque, come elemento essenziale della grande trasformazione, agente di storia
che diffondeva nuovi modelli culturali. Ecco come la scrittrice turca Emine Sevgi zdamar
sottolineava il ruolo fondamentale del cinema nelleuropeizzazione del suo Paese:

La prima parola europea che ho sentito pronunciare da bambina, a Istanbul, stata deux pices
[]. Ogni luned, per andare al Cinema Aeroplano, i miei genitori si vestivano in modo
particolarmente elegante: Cosa ti metti?, si chiedevano lun laltro. Indosser il mio deux-pices,
disse una volta mia madre. Mamma, che vuol dire deuxpices?, le domandai. Deux-pices vuol dire
deux-pices, rispose lei [...]. Puntualmente, il marted mattina, io chiedevo a mia madre e mio padre il
titolo del film che avevano visto il giorno prima. Il titolo non me lo ricordo, rispondeva mio padre,
ma Jean Gabin fumava cos, guarda!. E si metteva ad imitare il modo di fumare di Jean Gabin. Si
infilava la sigaretta in bocca, di lato, e la teneva l finch non cominciava a cadere la cenere. Fumava
come lattore francese per due o tre settimane. Poi, qualche luned dopo, vedeva al cinema Rossano
Brazzi e il marted si trasformava nellattore italiano. Fu cos che nella nostra casa di legno a Istanbul
arrivarono presto due ospiti, i primi ospiti dellEuropa: Jean Gabin e Rossano Brazzi. Da bambina
avevo difficolt a pronunciare i loro nomi. Allora trovai per Jean una parola turca, can, che vuol dire
anima. Anima Gabin. E per Brazzi la parola biraz iyi, che vuol dire un po meglio. Prima che
cominciassi ad andare al cinema e vedessi di persona sullo schermo Anima Gabin e Rossano
Unpomeglio avevo gi fatto la loro conoscenza []. Un bel giorno fece la sua comparsa in casa nostra
un cappello di nome Borsalino. Mio padre se lo metteva ogni mattina, davanti allo specchio []. Era
stato Ataturk a introdurre in Turchia la moda del cappello. Un piccolo passo verso
loccidentalizzazione10.

Il processo di occidentalizzazione della Turchia negli anni Trenta passava attraverso il


cinema. Processo analogo si verific nellItalia fascista con larrivo dei film americani. Paola Ojetti
sullAlmanacco della donna italiana del 1938 sottolineava come destate le ragazze che sono state al
cinema tutto linverno, si sentono dive: hanno trovato che i costumi da bagno bianchi sono pi procaci
e non ne risparmiano uno [] e allora si fanno fotografare tutte sul ciglio di uno scoglio, coi capelli
sciolti al vento11.
Il cinema americano fin dallinizio Il Cinema. Lo affermava un intellettuale italiano, Mario
Soldati, molto critico nei confronti della societ Usa, tra i pochi negli anni Trenta ad aver vissuto negli
States grazie a una borsa di studio. I film europei scriveva -sono noiosi:

Invece, un film americano innanzi tutto e sempre un film. Cio non annoia. Il film americano
quello spettacolo che una sera che hai sonno, se gli amici ti trascinano in un cinematografo e tu entri
deciso a squagliartela dopo il variet, visti cos, tanto per pigrizia di alzarti, i primi metri, ti passa il
sonno, gli occhi ti si aprono e stai fino alla fine senza accorgertene. Poi, quando esci, magari pensi: che
stupidaggine. Ma intanto ci sei rimasto. La grande maggioranza della produzione di Hollywood, i film
correnti, comuni, in serie, sono tutti divertentissimi. [...]. Quando si nervosi, quando si illusi,
quando si giovani, quando si un po americani: allora uno di questi film fa al caso nostro pi di
qualunque altro spettacolo. Cullati dal ritmo rapido, incessante e perfetto dei tagli di visione, adescati
dal sorriso della indefinita girl, affascinati dalla smorfia del terribile gangster, ci abbandoniamo anche
noi alla facile inquietudine della trama12.

A confermare il fascino esercitato dal cinema americano in Italia negli anni Trenta sono le
tabelle della Siae, le quali mostrano come nel periodo tra il 1932 e il 1938 la percentuale di film italiani
in circolazione oscillava solo tra l11 e il 18 per cento, mentre la parte del leone era rappresentata dalla
cinematografia hollywoodiana13. I veri divi erano quelli di Hollywood: Clark Gable, Tyrone Power,
Bob Hope, John Gilbert, Adolphe Menjou, Katharine Hepburn, Jean Harlow, Greta Garbo, Marlene
Dietrich, Vivien Leigh. Qualche anno prima, un giovane studioso, Giaime Pintor, si era interrogato sui
motivi per cui il cinema americano risultava cos affascinante. Negli Stati Uniti si rispondeva -il
cinema, a differenza dellEuropa dove era diventato una mediocre appendice delle nostre letterature,
era prima di tutto industria: Nato come industria di lusso, sottoposto alle pi dure leggi delleconomia
capitalistica, il cinema americano doveva presto diventare il nutrimento di una massa anonima,
esprimere i suoi bisogni e le sue preferenze, instaurare il primo colloquio tra le grandi folle di tutto il
mondo e una cultura unitaria14. Grazie ai film (americani) vedevamo con altri occhi la realt reale:
il cinema entr nella nostra vita come una presenza insostituibile; cresciuto con la nostra stessa
giovinezza ci insegn a vedere e a comporre secondo nuove misure, modific la storia e la geografia
dei nostri cervelli, fu insieme scuola e polemica, divertimento e mitologia15. Pintor aggiungeva, quasi
sottotono, unaltra osservazione di grandissima rilevanza:

In questo sforzo di espansione la sua importanza era soprattutto sociale in quanto, arma
serenamente rivoluzionaria, aboliva le frontiere politiche e collaborava alla presa di coscienza pi
urgente per il nostro tempo, quella dellunit della razza. Ma nellordine estetico il suo significato non
era minore, perch senza il cinema i nostri occhi vedrebbero il mondo in unaltra luce, e oggi sicuro
che gli anonimi autori del film americano furono i primi a rispondere allappello rivolto da Baudelaire
agli artisti moderni, i primi a mostrare come siamo giovani e belli con le nostre scarpe di vernice e con
le nostre cravatte borghesi16.

Con i film lAmerica faceva irruzione nella vita degli italiani (anche il Calvino citato sopra
ricordava che per lui il cinema era quello americano, la produzione corrente di Hollywood17),
soprattutto in quegli strati di piccola e media borghesia urbana che erano anche i pi vicini al regime:
attraverso il cinema arrivavano immagini di consumi, certamente non praticabili in Italia vista la
povert del nostro Paese, almeno rispetto agli Usa, ma comunque desiderabili. E quei consumi, anzi
quelle immagini di consumi, finivano in certo senso come scriveva Pintor per abolire le frontiere,
dal momento che costruivano una percezione del mondo che non era molto dissimile da quella degli
individui degli altri Paesi occidentali. Si costruiva, dunque, unidentit transnazionale, con la quale alla
lunga avrebbe dovuto fare i conti laltra identit, rigidamente nazionale, che il fascismo cercava di
costruire e sulla quale tentava di nazionalizzare gli italiani. Insomma il cinema, in primo luogo quello
americano, seguito ben presto dalle altre cinematografie, privilegiando storie comuni di uomini e
donne comuni, mettendo al centro dello schermo oggetti di consumo che -in teoria -erano accessibili
a tutti, comport un inizio di un processo di democratizzazione inarrestabile che confliggeva con il
modello fascista di societ, basato sui valori di una societ autoritaria e gerarchica.

Chiarita, dunque, limportanza che il cinema ha rivestito almeno nella prima met del secolo
scorso, resta per il problema principale. In che modo possiamo utilizzare i film come fonte storica?

Quasi in contemporanea con la nascita del cinema si faceva strada in qualcuno lidea che la
storia, anzich essere ricostruita ex post, potesse essere filmata mentre si svolgeva: Il cinematografo
forse non d la storia integrale ma per lo meno ci che mostra unassoluta verit -scriveva nel 1898 il
fotografo e cineasta polacco Boleslas Matuszeweski in una lettera aperta a le Figaro, che usc anche
come opuscolo -La fotografia animata [...] per eccellenza il testimone veridico infallibile18. la
storia scritta dal fulmine, avrebbe commentato qualche anno dopo il presidente americano Woodrom
Wilson vedendo The Birth of a Nation (La nascita di una nazione, 1915) di David Wark Griffith19.
Unidea ingenua, destinata a scomparire ben presto soprattutto per due motivi: lavvento, con le
innovazioni di Mlis, di un cinema in grado di modificare il tempo e lo spazio, di far apparire e sparire
persone e oggetti, un cinema dinvenzione e di trucchi che dava corpo a unaltra realt, alternativa a
quella reale ma altrettanto plausibile20; la produzione, durante la prima guerra mondiale, di
documenti filmati che mostravano, con il moltiplicarsi dei diversi punti di vista dei Paesi in conflitto,
che le immagini non erano n neutrali n oggettive. La crescente consapevolezza, inoltre, delle tecniche
cinematografiche rendeva sempre pi evidente la natura soggettiva delle inquadrature e limportanza
rivestita dal montaggio.

Proprio quanto detto sopra ripropone la domanda: se il film frutto di inquadrature (soggettive),
di un montaggio (soggettivo) e, quindi, di sequenze (soggettive), come sostenere che una fonte
storica?

Cerchiamo di dipanare questo che sembra un nodo assolutamente impossibile da sciogliere, non
senza prima sottolineare, per, che pure i documenti scritti, normalmente utilizzati dalla ricerca storica,
recano tracce della soggettivit di chi li ha materialmente redatto e, come quelli audiovisivi, devono
rispondere a norme, codici e statuti propri del genere di comunicazione che si vuole effettuare.

Sia consentita ancora una volta una citazione autobiografica. Ho studiato i sentimenti e le
percezioni del conflitto degli italiani negli anni 1940-1943 basandomi su fonti svariate, in primo luogo
le classiche fonti di polizia e la corrispondenza censurata. Sulla corrispondenza fin troppo facile
riaffermarne la soggettivit: una lettera esprime lo stato danimo, la cultura, il grado sociale, il rapporto
con il destinatario di chi scrive. Discorso diverso, in teoria, per le cosiddette fonti di polizia (rapporti di
informatori dellOvra, di carabinieri, relazioni di ispettori, questori, prefetti, ecc.) che da tempo
appartengono al novero delle fonti universalmente riconosciute come valide. Iniziamo dal gradino pi
basso, gli informatori dellOvra che stendevano rapporti, spesso giornalieri, sulla situazione del
cosiddetto spirito pubblico, sugli umori e sulle reazioni cio degli italiani ai vari avvenimenti che si
trovarono ad affrontare negli anni del fascismo21. Ognuno di questi informatori aveva un suo lavoro e
redigeva, mimetizzato tra la gente, un rapporto spesso quotidiano. Come facile intuire, gli informatori
avevano formazioni culturali molto diverse. Cera chi, poco alfabetizzato, incapace di sintesi, si
limitava ad agire come un magnetofono, riportando fedelmente, col ricorso al discorso diretto, quanto
sentiva dire. il caso dellinformatore A8/6, un venditore ambulante che girava con il suo carrettino
nei mercati del cagliaritano. A mo di esempio ne riporto una nota informativa inviata da Cagliari il 21
dicembre 1940 e riguardante i primi giorni del mese:

1 Dicembre 1940 alle ore 11 Fuori del caff Tedesco (Cagliari) quattro uomini, uno diceva:
la miseria che dobbiamo passare questInverno sar piccola, chiss come si andr a finire; nellestate
c un po di frutta che una famiglia pu acquistare, ma nellinverno non c nulla che una famiglia si
pu aggiustare. La casa cara e bisogna che Mussolini prendesse qualche provvedimento. Laltro: ma
pensano alle truppe, non pensano a noi borghesi. Laltro: bisogna anche pensare a noi, ma se viene
qualche rivolta civile sono pasticci. Bisogna pensare alluno e allaltro, questo Mussolini lo pensa pi
di noi ci che potrebbe accadere. Questa guerra un po difficile, noi non si doveva fare questa
benedetta guerra che stavamo bene [...] 3 Dicembre ore 14 nella cantina di Via Porto Scalas
(Cagliari) tre uomini del villaggio che stavano a mangiare, uno diceva: Oggi la vita cara, ci che si
mangia ci vogliono sempre quelle cinque o sei lire e bisogna economizzare. Laltro: e pensa a
mangiare! Domani ci sar quello che pagher. Un altro da un altro tavolo rispose: Ma Mussolini non
dice cos, lui pensa per oggi e per domani. Laltro: lui s che deve pensare per oggi e per domani, che
non deve pensare a lui solo ma deve pensare a tutta la sua nazione, ma io che devo pensare? Che oggi
ci sono e domani no? Non vedete che ha messa la tessera sulla pasta? Perch lha messa? Appunto per
pensare anche allindomani; lui si provvede di ci che gli pu mancare e ci mette il freno subito. Certi
che non capiscono dicono che ha fatto male a mettere la tessera, e se la guerra per caso durasse degli
anni lui deve pensarci, non dobbiamo fare come i tedeschi che persero la guerra per fame, mentre il
duce ci pensa a tutto quello che noi non pensiamo lui responsabile di tutti noi22.

Non mancavano altri informatori, molto pi acculturati, che stendevano resoconti ben diversi,
con analisi approfondite e minuziose. Lo stesso avvenimento, insomma, poteva essere raccontato in
modo diverso. Ma non finita qui! Gli ispettori, cui facevano capo gli informatori, ovviamente
operavano una sintesi dei vari rapporti loro arrivati. A loro volta, le note redatte dagli ispettori venivano
raccolte e riassunte da funzionari pi alti in grado e cos, su su, attraverso ulteriori passaggi (e sintesi)
si arrivava ai rapporti finali, di questori e prefetti sulle province, fino al avere il quadro generale del
territorio nazionale che sovente veniva visto dallo stesso Mussolini. Se seguiamo il percorso del
racconto dello spirito pubblico rispetto a un determinato evento, notiamo una caratteristica che si
ripete: man mano che si sale nella scale gerarchica, dagli informatori fino ad arrivare ai funzionari del
Ministero dellInterno, passando per gli ispettori, i questori, i prefetti, si nota come la maggiore
esigenza di sintesi si sposi con un cambiamento dottica: pi si vicini al vertice, pi alcuni aspetti del
rapporto iniziale, che potrebbero risultare scomodi, fastidiosi, dannosi, vengono o sottaciuti o
ridimensionati. La maggiore sintesi consente questo cambiamento di ottica. Insomma, fonte non solo
il rapporto, ma la stessa figura (e, per dir cos, il grado rivestito) di chi redige il rapporto.

Risultato: ogni fonte soggettiva e intenzionale. E lintenzionalit stessa diventa una fonte, per
cui non ha pi ragione di esistere la distinzione documento/monumento. Nessun documento
sosteneva Le Goff alla fine degli anni Settanta - innocuo:

il risultato prima di tutto di un montaggio, conscio o inconscio, della storia, dellepoca, della
societ che lo hanno prodotto, ma anche delle epoche successive durante le quali ha continuato a
vivere, magari dimenticato, durante le quali ha continuato ad essere manipolato, magari dal silenzio. Il
documento una cosa che resta, che dura e la testimonianza, linsegnamento (per richiamarne
letimologia) che reca devono essere in primo luogo analizzate demistificandone il significato
apparente. Il documento monumento. il risultato dello sforzo compiuto dalle societ storiche per
imporre al futuro volenti o nolenti quella data immagine di se stesse. Al limite, non esiste un
documento-verit. Ogni documento menzogna. Sta allo storico non fare lingenuo23.

Tutto, dunque, finzione, in certo senso, ma tutto , nel contempo, e proprio per quanto detto
prima, documento. Era questa la conclusione cui arrivava nel 1977 Pierre Sorlin in un libro, Sociologie
du cinma, quasi immediatamente tradotto in italiano, testo che cambiava le regole del gioco. Compito
dello storico, secondo lo studioso francese, era quello di porsi nel modo giusto nei confronti della fonte,
la cui relazione profonda con il contesto sociale non sta solo nelle informazioni che essa pu fornire su
tale contesto, ma anche nel suo essere soggetta alle regole della comunicazione vigenti in una
determinata epoca storica e accettate da una determinata comunit. questo uno degli aspetti pi
importanti dellanalisi di Sorlin: il costante riferirsi allinterrelazione tra il cinema come linguaggio e il
cinema come fatto sociale, tra il film esaminato nelle sue articolazioni linguistiche ed espressive, nelle
tecniche cinematografiche (la profondit di campo, le inquadrature, le dissolvenze, ecc.) come
produttrici di significato, e il film nei suoi riflessi con il pubblico. Insomma, il cinema non raffigura la
societ in quanto tale, ma piuttosto nel modo con cui questa stessa intende raffigurarsi. il concetto di
visibile, punto cardine dellanalisi di Sorlin:

Ognuno sa che noi non vediamo il mondo esterno come ; noi percepiamo persone e cose
attraverso le nostre abitudini, le nostre attese, la nostra mentalit, vale a dire attraverso le maniere,
proprie del nostro ambiente, di strutturare lessenziale (ci che per noi essenziale) rispetto
allaccessorio. Il visibile di unepoca ci che i fabbricanti di immagini cercano di captare per
trasmetterlo, e ci che gli spettatori accettano senza stupore24.

Gli autori di una pellicola, cercando di captare proprio quelle immagini che pi tranquillamente
possono essere accettate dagli spettatori, trasmettono le speranze, le aspettative, le norme, i ruoli con i
quali una determinata comunit si accetta e si vede: essi mostrano non gi il reale, ma i frammenti
del reale che il pubblico accetta e riconosce25. Lo spettatore partecipa al film, riconosce ci che a lui
familiare ed entra nelle reti del film.

Lquipe, dunque, vede con i parametri, i canoni, limmaginario di una data comunit in una
data epoca. Un film traduce in immagini quello che la societ ha gi accettato. dunque una
autorappresentazione della societ secondo quelle regole che la societ stessa si data. In questo, un
documento audiovisivo non dissimile da un documento scritto:

Gli storici sanno oggi [...] che affrontano una societ straniera o antica non quale essa , ma
quale essa dice di essere. I testi non sono stralci di vita, sono discorsi costruiti secondo regole precise la
cui non osservanza farebbe passare lo scritto dalla condizione di testo allo stato di seguito di parole
senza destinatario. Le sequenze audiovisive sembrerebbero sfuggire alle costrizioni che imbrigliano i
testi poich una qualunque serie di immagini potrebbe costituire un film e produrre un effetto. Nella
pratica, comunque, non cos. Prodotti commerciali, i film devono raggiungere un largo pubblico. Gli
spettatori hanno una certa attitudine a ricevere i messaggi filmici, quella che abbiamo chiamato la loro
competenza e che permette loro di entrare nel gioco, di cogliere le allusioni, di accostare frammenti
eterogenei, di suturare punti di vista apparentemente contrastanti. Teoricamente tutte le combinazioni di
immagini e di suoni sono comunque concepibili ma, empiricamente, chiaro che in un momento dato,
un grande numero di combinazioni passerebbero inosservate, non sarebbero associate ad alcun
significato e provocherebbero la noia o la ribellione26.
, pertanto, inutile sottolineare la distanza tra realt reale e immagine filmica; limportante
capire perch questultima veniva accettata e costituiva momento piacevole.

Qualche anno dopo Sorlin affermer, con unimmagine di grande efficacia, che i film non ci
introducono nella vita quotidiana ma nel regno delle immagini accettate27. In questottica non ha senso
la vecchia distinzione, eredit del positivismo, tra il cinema factual, documentaristico, il cosiddetto
cinema della realt, e la fiction, il cinema narrativo, il cinema del sogno: distinzione secondo la
quale solo al primo sarebbe possibile attribuire dignit di fonte storica28. Entrambi sono frutto di
ricostruzioni (che rispondono alle norme e agli statuti propri del linguaggio cinematografico e -come si
sottolineato sinora -alle esigenze di una determinata societ in una certa epoca), dove conta
soprattutto il montaggio: intuitivo che le immagini assumano senso e significato diverso a seconda
della loro successione in sequenza. proprio questo, la capacit di mettere in scena, di ricreare un
mondo, di costruire con le immagini, come fa lo storico con i documenti darchivio, un racconto29,
che rende il film, fiction o documentario che sia, unarte capace di incarnare la storia: c pi storia
in una fiction che in un cinegiornale [...] affermava qualche anno fa Arlette Farge, una storica che si
interessa del XVIII secolo, molto interessata, da studiosa, ma anche da appassionata, al legame storia-
cinema. Ma la registrazione di un avvenimento non basta. Essa produce un materiale di cui si pu
servire lo storico []. Solo il cinema coglie, attraverso il movimento, lesperienza di essere al mondo
in un dato momento. S, il senso della storia passa per la messa in scena30.

Insomma, pi che nel cinema factual, in quello narrativo che possibile scoprire quella
realt invisibile [...] le credenze, le attese, limmaginario31, quelle attese collettive ancora latenti e
mal identificate32 che sono altrettanto Storia dal momento che, come ha sottolineato George Mosse,
luomo agisce nella realt in base alla percezione che ne ha per cui, in qualsiasi analisi del passato, ci
che conta la realt oggettiva e come luomo lha percepita33. Vale a dire: importante spiegarci come
si svolsero gli eventi, ma anche come questi furono percepiti, vissuti e interpretati. Il cinema in questo
si dimostra insostituibile, permettendoci di comprendere sentimenti, emozioni, percezioni dei
contemporanei di fronte agli avvenimenti. Avvenimenti attenzione! di cui noi, peraltro, conosciamo,
a differenza di chi li visse, lepilogo, per cui potremmo -come chi legge un libro giallo sapendo gi chi
lassassino -farci condizionare nellinterpretazione degli eventi dal loro stesso esito.

I film, in definitiva, accuratamente decodificati e analizzati (non dimentichiamo che quello


cinematografico un linguaggio pluricodicale34), ci possono, in differita, restituire i sentimenti, le
emozioni, il clima di unepoca. Ad esempio (non pi di un cenno a quanto gi scritto in altre
occasioni35), analizzando i film girati allindomani della fine della guerra, tra il 1945 e il 1948, notiamo
come, al di l delle trame e dei personaggi, non dissimili da quelli del cinema degli anni precedenti
(registi e attori, del resto, erano gli stessi che avevano operato nel ventennio), i protagonisti si
trovino alle prese con la necessit, a volte drammaticamente avvertita, di dover effettuare delle scelte.
Era sicuramente una spia della difficolt di orientarsi in unItalia totalmente cambiata (persino nel
paesaggio, come mostra una sequenza di Caccia tragica (pellicola del 1947, opera di Giuseppe De
Santis): un Paese nel quale lacculturazione proveniente dagli Usa era diventata tangibile, masticabile,
orecchiabile36 e in cui stava faticosamente emergendo una forma politica, la democrazia di massa
(basata sulla scelta), che, dopo venti anni di regime, veniva vissuta dai pi almeno a giudicare dalla
corrispondenza -con timore e preoccupazione. I film, insomma, ci fanno vedere una societ che
avvertiva il disagio di essere chiamata a operare delle scelte; mostrano lincertezza e i dubbi di un
pubblico che, se da una parte condannava, rifiutava o, se non altro, voleva dimenticare i vecchi modelli
(il fascismo), dallaltra rimpiangeva la sicurezza offerta da questi stessi modelli.
In questottica comprendiamo perch nelle pellicole del periodo siano i bambini a muoversi a
loro agio in un territorio dove gli adulti si aggirano incerti e smarriti. La loro et li rende innocenti:
li esenta non solo dalle colpe passate, ma li solleva anche dallangoscia degli adulti di ritrovarsi, con il
crollo del regime e il disastro della guerra, improvvisamente privi di punti di riferimento. In Ladri di
biciclette, nella sequenza finale del piccolo Bruno che prende per mano il padre Antonio e lo conduce
lontano dalla folla minacciosa, evidente il ruolo di guida assunto dai bambini in un mondo diventato
per gli adulti, improvvisamente, incomprensibile e ostile: Io non capisco e vvote che succede/ e
quello che succede / nun se crede... / nun se crede, recita la strofa iniziale di Tammurriata nera, la
canzone eseguita nellosteria dove Antonio e Bruno si rifocillano37. E si pensi altres ai bambini di
Roma citt aperta, che non solo non subiscono alcuna conseguenza per lattentato commesso
(conseguenze che colpiranno, invece, gli adulti), ma sono anche gli unici a poter aspirare a un futuro
che si presenta, peraltro, ancora incerto e minaccioso. La sequenza finale mostra tutti gli adulti,
aguzzini e vittime, allinterno di uno spazio chiuso, delimitato da una rete metallica. Al di l di questa,
vediamo i ragazzini che, dopo avere assistito alla fucilazione di don Pietro, si incamminano abbracciati,
sotto un cielo livido, verso la citt dove spicca il profilo del Cupolone.

Unultima notazione che riguarda proprio il film di Rossellini. Roma citt aperta ci presenta
limmagine di un popolo compatto e unito contro i tedeschi, con i fascisti quasi assenti del tutto e,
comunque, relegati a un ruolo marginale. I pochi italiani che si sono messi al servizio degli occupanti
sono immediatamente riconoscibili come negativi. Uno per tutti: Marina, tossicomane, donna dai facili
costumi e omosessuale, la cui devianza sessuale il segno pi eclatante della sua sostanziale diversit.
Ne derivava come conseguenza leliminazione di ogni aspetto della Resistenza come guerra civile e,
contemporaneamente, la rimozione di un passato recente dove una qualche connivenza con la barbarie
e la ferocia dei tedeschi si era pur verificata: anche il film di Rossellini non sfuggiva alla regola per cui
nessuna pellicola del periodo cercava di indagare sui motivi che avevano reso possibile la dittatura e la
guerra. Ladesione alla Resistenza, dettata dal sentimento e non dalla ragione (Vedi... io queste cose le
so, le sento, ma... non te le so spiegare -esclama Francesco rivolto a Pina -Ma arriveremo, e lo
vedremo un mondo migliore!) diventava cos una scelta naturale della quasi totalit del popolo
italiano che, istintivamente, era portato a schierarsi contro i tedeschi. Era qui, probabilmente, al di l
della validit e dellefficacia delle innovazioni stilistiche apportate dalla pellicola di Rossellini, la
ragione non solo del favore dei contemporanei (Roma citt aperta conquister, contrariamente a quello
che si verificher negli anni successivi per gli altri film neorealisti, pi apprezzati allestero che in
Italia, un ottimo risultato anche nel nostro Paese: primo posto nella stagione 1945/1946), ma anche del
successo e della straordinaria persistenza di unimmagine mitica della Resistenza, che finir per
relegare spesso in secondo piano ogni possibile interpretazione storiografica.

1. K. Polanyi, La grande trasformazione, Einaudi, Torino 1974. Il libro fu pubblicato per la


prima volta a New York nel 1944.

2. M. Ferro, Cinema e storia. Linee per una ricerca, Feltrinelli, Milano 1980, pp. 9 e ss.

3. A. Bennett, Cinema. Quelle sale di periferia dove ho visto Casablanca, in la


Repubblica, 28 gennaio 2005.

4. G. Pontiggia, Biglietto per un capolavoro, in Il Sole 24 Ore, 2 febbraio 2003.

5. Cfr. G.P. Brunetta, Buio in sala. Centanni di passione dello spettatore cinematografico,
Marsilio, Venezia 1989, in particolare il capitolo Gilda si fermata ad Eboli, pp. 245-264.
6. I. Calvino, Autobiografia di uno spettatore, in F. Fellini, Fare un film, Einaudi, Torino 1980,
p. VII.

7. Cfr. B. Baczko, Immaginazione sociale, in Enciclopedia, vol. VII, Einaudi, Torino 1979, p.
66.

8. F. Casetti, Locchio del Novecento. Cinema, esperienza, modernit, Bompiani, Milano 2005.

9. P. Sorlin, Gli italiani al cinema. Immaginario e identit sociale di una nazione, Tre Lune
Edizioni, Mantova 2009, pp. 161-163.

10. E.S. zdamar, Al cinema con Jean Gabin, in la Repubblica, 18 febbraio 2005.

11. P. Ojetti, Cinematografo, in Almanacco della donna italiana 1939-XVII, 24 dicembre


1938, p. 218.

12. M. Soldati, America primo amore, Einaudi, Roma 1945, p. 172-173. Il romanzo di Soldati
fu pubblicato per la prima volta nel 1935 a Firenze da Bemporad.

13. Societ Italiana degli Autori ed Editori, Lo spettacolo in Italia Anno 1947, Roma, s. d., p.
62.

14. G. Pintor, Il sangue dEuropa. Scritti politici e letterari, a cura di Valentino Gerratana,
Einaudi, Torino 1977, p. 156.

15. Ivi, pp. 156-157.

16. Ibidem.

17. I. Calvino, op. cit., p. XI.

18. B. Matuszeweski, Une nouvelle source de lHistoire Cration dun Dpot de


Cinmatographie historique, citato in G.M. Gori (a cura di), La storia al cinema. Ricostruzione del
passato interpretazione del presente, Bulzoni, Roma 1994, p. 11.

19. Cfr. P. Ortoleva, Presentazione. Doppio passato: la sfida del film storico, in P. Sorlin, La
storia nei film. Interpretazioni del passato, La Nuova Italia, Firenze 1984.

20. Cfr. E. Morin, Il cinema o luomo immaginario, Feltrinelli, Milano 1982, pp. 62-95; F.
Casetti, Teorie del cinema 1945-1990, Bompiani, Milano 1993, pp. 33 e ss.; G. Rondolino, La nuova
arte: il cinema, in La storia, 7, LEt contemporanea, 2, La cultura, Utet, Torino 1988, pp. 592-593.

21. Cfr. S. Colarizi, Lopinione degli italiani sotto il regime. 1929-1943, Laterza, Roma-Bari
1991, pp. 14 e ss.

22. ACS, MI, DGPS, Polizia Politica b.229, relazione Informatore A8/6, Cagliari 21 dicembre
1940.
23. J. Le Goff, Documento/monumento, in Enciclopedia, vol. V, Einaudi, Torino 1978, p. 46.

24. P. Sorlin, Sociologia del cinema, Garzanti, Milano 1979, p. 68.

25. Ivi, p. 70.

26. Ivi, pp. 309-310.

27. P. Sorlin, European Cinemas European Societies 1939-1990, Routledge, London, 1991, p.
230. Il libro stato tradotto in italiano in una nuova versione, ampliata rispetto alloriginale, con il
titolo Cinema e identit europea. Percorsi nel secondo Novecento, La Nuova Italia, Milano 2001.

28. G.M. Gori, La storia a cinema: una premessa, in Id., La storia al cinema, cit., pp. 13-14.

29. Cfr. R. Charter, La vrit entre fiction et histoire, in A. de Baecque, Ch. Delage, De
lhistoire au cinma, Editions Complexe, Paris 1998, pp. 29-44.

30. Le sense de lhistoire passe par la mise en scne. Entretien avec Arlette Farge, in A. de
Baecque, Histoire et cinma, Scrn-Cndp, Paris 2008, pp. 84-85. Il colloquio raccolto da Antoine de
Baecque era stato pubblicato, in un primo momento, nei Cahiers du cinma, numero speciale su Le
Siecle du cinma, novembre 2000.

31. M. Ferro, Le film, une contre-analyse de la socit?, in Annales E.S.C., 1973, vol. 28, n.
1, pp. 113-114.

32. F. Garon, Des noces anciennes, in CinemAction, n. n65, IV, 1992, p.10. Il numero della
rivista era dedicato agli studi di Marc Ferro su cinema e storia.

33. G.L. Mosse, Luomo e le masse nelle ideologie nazionaliste, Laterza, Roma-Bari 1982, p.
16.

34. Cfr. F. Casetti, F. Di Chio, Analisi del film, Bompiani, Milano 1990.

35. Sia consentito rimandare al mio Viva lItalia. Storia, cinema e identit nazionale (1932-
1962), Liguori, Napoli 2009, pp. 146-230.

36. Cfr. P. Del Bosco, La forza delle cose: unacculturazione tangibile, masticabile,
orecchiabile, in A. Placanica (a cura di), 1944 Salerno capitale. Istituzioni e societ, Edizioni
Scientifiche Italiane, Napoli 1986, pp. 509-518.

37. Cfr. G. Alonge, Vittorio De Sica Ladri di biciclette, Lindau, Torino 1997, pp. 67 e ss.; P.
Sorlin, Limmagine e levento. Luso storico delle fonti audiovisive, Paravia, Torino 1999, pp. 127 e ss.
Appunti
per la storia
di un decennio
di Pierre Sorlin

Il rapporto tra cinema e storia emerge chiaramente negli anni 80. Il decennio offre allo
specialista un campo dindagine particolarmente facile perch non fu una grande epoca e non
produsse capolavori che, essendo difficili da caratterizzare, destano lattenzione e oscurano opere
meno famose. Lo studio di questepoca consente di giungere a due conclusioni in apparenza
contraddittorie: ogni epoca stabilisce una relazione originale con il passato, ma il contributo dei film
alla storiografia sempre identico. Le aspettative del pubblico, negli anni 80, erano specifiche, i
generi che piacevano anteriormente non facevano pi cassetta, Hollywood, in un baleno, sorpassava
Cinecitt, la nuova generazione di cineasti considerava il cinema e il proprio lavoro con un certo
distacco, girava senza preoccuparsi dellindifferenza degli spettatori. I comici, spesso venuti dal
teatro, divertivano con scherzi che, prima, sembravano banali. I film seri, che pochi apprezzavano,
sfioravano appena il mondo contemporaneo

Il cinema italiano degli anni 80 offre un terreno ideale per riflettere sul contributo dei film alla
ricerca storiografica. Dalla Liberazione alla fine degli anni 70 fu commentato, ammirato, seguito con
passione nellEuropa sia capitalista che comunista e in tutte le Americhe. Allindomani della guerra
Hollywood aveva tentato dimporsi sugli schermi della penisola come gi aveva fatto in Germania e in
Giappone, ma lItalia aveva resistito efficacemente e, per molto tempo, pi della met degli incassi
erano andati ai film italiani, e solo un terzo a quelli americani.

Il pubblico, dunque, guardava maggiormente i film nazionali. I primi studiosi che considerarono
il cinema come una potenziale fonte storica1 ne dedussero che gli spettatori trovavano in esso situazioni
e idee corrispondenti alla loro esperienza o alle loro opinioni. Allepoca gli storici avevano coniato
limprecisa nozione di mentalit per designare i modi in cui venivano considerati lambito e gli
avvenimenti particolari di una collettivit. Alcuni ricercatori pensarono che lanalisi dei film di
successo avrebbe aiutato a svelare i desideri, le paure, le attese, in poche parole i contenuti mentali
intuitivi che le scienze sociali chiamavano rappresentazioni dominanti.

Limpresa, audace ma puramente teorica, mancava di una base forte, dava per assunto quello
che bisognava dimostrare, cio che i film manifestano le preoccupazioni di unintera societ. In pratica,
i messaggi impliciti reperibili nei film sono generalmente modesti e di poco risalto. Prendiamo un
esempio concreto. La coda del diavolo (Giorgio Treves, 1987) inscena, in un approssimativo medioevo,
un uomo innamorato di una ragazza portatrice di una malattia venerea; i suoi amici gli mostrano, con
esempi tangibili, i pericoli ai quali si espone, senza distoglierlo dalla sua passione. Lallusione
allAIDS, allora incurabile, evidente. Che cosa abbiamo il diritto di concluderne? Che
limmunodeficienza provocava, in quel periodo, una forte ansia? La cosa palese, il film non aggiunge
niente ai numerosi documenti che ci informano di questa preoccupazione.

Sceneggiatori e registi, come tutti i loro contemporanei, sono sensibili allattualit.


Consciamente o no, nelle loro opere inseriscono accenni ai fatti del presente, dunque rilevare indici
cos chiari una perdita di tempo. Il pi ottuso degli spettatori capiva lassimilazione malattia
venerea/AIDS; la questione rilevante, quindi, non che vedeva?, bens come reagiva?. Le persone
andavano a vedere La coda del diavolo perch pensavano alla minaccia subitaneamente apparsa, o
perch lorario delle proiezioni era comodo, o perch non cera nientaltro da vedere, o ancora perch
seguivano amici che avevano le proprie motivazioni (e queste quali erano?)? Non lo sapremo mai, non
esiste uno strumento per calcolare le innumerevoli risposte personali a unoccupazione passeggera e
poco impegnativa come uno spettacolo cinematografico. Ipotizzare un pensiero collettivo, un
immaginario che un film svelerebbe del tutto arbitrario.

Una svolta culturale

Lo studio del cinema in quanto materiale storico deve rinunciare alle generalit inconsistenti
dellideologia o dei modi di pensare per limitarsi ai dati verificabili. Gli anni 80 ci mettono a confronto
con una situazione che travolse le certezze anteriormente stabilite sulle strategie dei cineasti e sui gusti
del pubblico. In poco tempo si verific uno stravolgimento. Laudience che, durante la seconda met
del Novecento, diminu nella maggioranza dei paesi europei rimase relativamente stabile nella penisola
per la maggior parte degli anni 70. Dopodich la caduta fu rapidissima, il numero di spettatori diminu
di due terzi tra il 1977 e il 1987. Pi grave ancora: il cinema italiano perse la sua preponderanza. Nel
1980 i migliori incassi andarono a tre produzioni italiane. Lanno successsivo E.T.e Rambo
conquistarono le vette del box-office, lasciando dietro Grand Hotel Excelsior con Adriano Celentano.
Di stagione in stagione le opere italiane indietreggiarono a un punto tale che, nel 1989, soltanto tre film
nazionali comparirono tra i venti top money makers.

Le proporzioni si invertirono; da quel momento in poi quasi due terzi dei profitti andarono agli
americani e solo un terzo agli italiani. Tuttavia, le percentuali sono fallaci: per colpa del crollo
dellaudience Hollywood, passata al primo posto, guadagnava meno di quando era in seconda
posizione. Il mutamento era sconcertante, un Paese che, per tre decenni, aveva fatto del cinema il suo
divertimento principale, e delle sale un luogo dincontri, virava bruscamente verso altre occupazioni. Si
apriva un periodo di crisi, eppure la produzione rimaneva altissima, con pi di mille film in un
decennio allattivo, senza contare le coproduzioni. In meno di un quinquennio si manifestavano, da una
parte, una nuova maniera di occupare il tempo libero, dallaltra, un forte divario tra offerta e domanda.
Un cambiamento di tale portata riguarda da vicino la storia culturale, settore in piena espansione della
ricerca storica: quali furono le cause e le modalit? In che misura il fenomeno costringe gli storici a
ripensare le pratiche ludiche e la frequentazione degli spettacoli?

La fama nazionale ed internazionale del cinema italiano, nella sua et delloro, poggiava su tre
basi principali. La prima era la notoriet mondiale del neorealismo. Questultimo, mai precisamente
definito, era un emblema, un esempio al quale la maggioranza dei giovani cineasti faceva appello; tutte
le nouvelles vagues che emersero in Europa dellovest o dellest, come in America latina, negli anni 60
si riferirono al modello neorealistico. Contemporaneamente era apparsa una figura non nuova, ma
raramente emersa, quella dellautore. Un consistente gruppo di registi italiani conquisto una notorieta
mondiale, venne invitato, intervistato, festeggiato e premiato nei piu grandi festival. Il nome di questi
cineasti bastava per assicurare in anticipo il successo delle loro produzioni. Infine, terzo elemento
nodale, la commedia allitaliana, divertente ma acida, acuta, forte di una solida sceneggiatura e della
presenza di ottimi attori, divenne un genere universalmente apprezzato.

Tali fondamenti, funzionanti negli anni 70, divennero inefficienti nel decennio successivo.
Alcuni cineasti simpegnarono a protrarre la tradizione neorealista. Giulia in ottobre (Silvio Soldini,
1985) seguiva una giovane commessa milanese che, dopo un fiasco sentimentale, tentava di consolarsi
girando per la citt; gli incontri fuggitivi, i piccoli incidenti e lassenza di una conclusione ricordavano
i film dei tardivi anni 40. Notte italiana (Carlo Mazzacurati, 1986) denunciava, in maniera vicina a
quella di Caccia tragica, speculazioni ed estrazione illecita di metano nella bassa Padana. La
descrizione, in Mery per sempre (Marco Risi, 1989), di un carcere minorile di Palermo e delle difficolt
che guardie e istruttori dovevano affrontare meritava un confronto con Sciusci. I commenti della
stampa furono calorosi ma nessuna di queste opere comparve tra i duecento film pi visti durante il
decennio, il pubblico non provava pi molto interesse nei confronti del realismo sociale.

La reputazione dei registi non si fondava n su criteri oggettivi, n su parametri definiti, si


manifestava attraverso i palmars dei festival, discutibili a volte, ma che testimoniavano la fama
attribuita a certi cineasti. Nei due principali festival europei dellepoca, Cannes e Venezia, gli italiani
avevano fatto collezione di premi durante il terzo quarto del Novecento. Negli anni 80 ci furono
soltanto tre riconoscimenti, due per dei cineasti gi conosciuti, i fratelli Taviani (Cannes, 1982) e
Ermano Olmi (Venezia, 1988), uno per un cineasta esordiente, Nanni Moretti (Venezia, 1981). Questo
non indica nulla a proposito del valore estetico o drammatico dei film, ma mostra che i giovani registi
non godevano di un grande prestigio. Bisogna aggiungere che molti di loro non ricercavano una
consacrazione che ritenevano puramente formale.

Mentre, venti anni prima, la gente andava a vedere i film del maestro Tal Dei Tali, negli anni
80, pi del nome dei cineasti, contava quello degli attori, principalmente dei comici, Carlo Verdone,
Adriano Celentano, Massimo Troisi e Roberto Benigni. Trattandosi di Hollywood, il pubblico
apprezzava tutti i generi, avventura e fantastico, drammi, commedie e ricostruzioni storiche. Invece,
esprimeva una netta preferenza per i film italiani divertenti. Nel decennio tre opere nazionali
raggiunsero la vetta del box-office, Ricomincio da tre (Massimo Troisi, 1980), Innamorato pazzo
(Castellano e Pipolo, 1981), Non ci resta che piangere (Roberto Benigni, Massimo Troisi, 1984). Tra i
duecento film pi apprezzati degli stessi anni figuravano, nella produzione italiana, a fronte di
trentacinque commedie, otto opere di unaltra categoria. Tuttavia, la maniera allitaliana che aveva
conquistato una larga audience allestero non faceva pi cassetta. Lo stile dominante, dispirazione
teatrale, poggiava sullaccostamento dellitaliano e dei dialetti, sulla gestualit e sulle situazioni assurde
viaggiare con un autista che cerca di suicidarsi nella sua macchina o ritrovarsi nel Cinquecento e
tentare di ostacolare la partenza di Cristoforo Colombo . La formula era in sintonia con la tradizione
italiana, quella di Petrolini, di Tot e, allorigine, della Commedia dellarte. In compenso, non era
esportabile e allontanava il genere dagli schermi stranieri. Daltra parte, tralasciando la critica dei
soprusi, dei privilegi e dei rituali che aveva affermato il modello precedente, offriva al pubblico
unallegria leggera ed innocua.

Chi fu responsabile del cambiamento? I cineasti, scostandosi dalla strategia che aveva garantito
la celebrit del cinema italiano, o gli spettatori, disertando le sale? Gli uni e gli altri. In dieci anni
avvenne una doppia evoluzione e le due trasformazioni, simultanee ma non sincronizzate, interagirono,
dando origine ad una situazione inedita.

Il buonsenso attribuisce spesso il mutamento del quale abbiamo parlato alla televisione, che
avrebbe incitato gli spettatori a stare tranquillamente a casa. Ma la logica non spiega necessariamente i
comportamenti. La nascita della RAI nel 1954 influ poco sulla frequentazione dei cinema, che diminu
lentamente fino alla seconda met degli anni 70. La televisione ebbe uninfluenza incontestabile, per
su un altro terreno. Con la fine del monopolio statale (1975) si aprirono reti commerciali che avevano
bisogno di materiale da trasmettere. I giovani cineasti, appena usciti dal Centro Sperimentale, o formati
sul posto come assistenti di registi consumati, si affrettarono a rispondere alle esigenze dei canali
televisivi. Il lavoro era meno impegnativo che nel cinema, la dimensione ridotta degli schermi non
autorizzava n movimenti della cinepresa, n profondit di campo, limmagine dominante era il primo
piano dei personaggi. Prevalse cos uno stile distintivo nel quale i dialoghi contavano pi delle figure,
le riprese si prolungavano, il valore espressivo delle mimiche bilanciava la limitazione degli
spostamenti. Le caratteristiche dei film comici, evidenziate precedentemente, furono in parte una
trasposizione sul grande schermo di abitudini acquisite girando per la televisione.

Le reti tv retribuivano male ma non erano esigenti e, contrariamente agli studi cinematografici,
pagavano rapidamente; brevi prestazioni bastavano per provvedere ai bisogni quotidiani e lasciavano il
tempo di dedicarsi al lavoro filmico. Visto che non cera fretta, lelaborazione dei film era lenta, i
cineasti degli anni 80 giravano meno dei loro predecessori e, a differenza di loro, non si aspettavano
un esito clamoroso. Le televisioni, per rendere evidente il loro marchio, lasciavano nellombra i nomi
dei loro collaboratori. La nuova generazione non benefici del clamore che si faceva in precedenza
attorno al cinema, la discretezza degli sceneggiatori e dei registi fu in parte voluta, e in parte dovuta
alla focalizzazione della stampa su altri personaggi: sportivi, star americane, attori comici. Durante il
decennio non ci fu un solo film italiano che divenne un must e che tutti dovevano vedere, o almeno
conoscere di reputazione. Nella gerarchia degli intrattenimenti socialmente rilevanti il cinema era stato
declassato a dimensioni minori perch i cineasti non lo valorizzavano e perch il pubblico sindirizzava
verso altri passatempi.

La svolta degli spettatori non si rivel un capriccio. Gli individui non scelgono liberamente, a
seconda della loro fantasia, le maniere di divertirsi; le loro decisioni dipendono dalla situazione
concreta nella quale vivono, in particolare dalle condizioni di lavoro. LItalia degli anni 80 era
coinvolta nel riflusso economico che colpiva linsieme dei Paesi capitalisti che, dopo leuforia
artificiale del miracolo, sembrava particolarmente doloroso. Non si era ancora entrati nella crisi, per
molti erano costretti a moderare le loro spese. Le grandi fabbriche si delocalizzavano (il neologismo
appar, in Italia, nel 1985!) verso le periferie urbane o le campagne. Gli operai al seguito si sistemavano
in complessi residenziali lontani dai centri. Dal 1971 al 1989 Torino perdeva 150.000 abitanti e Milano
363.000, mentre lentroterra milanese ne guadagnava quasi un milione. I quartieri frettolosamente
costruiti non avevano sale cinematografiche, per svagarsi quindi si ricorreva alla televisione, alle
scommesse al bar e alle partite di calcio locali. Prima una parte rilevante dei guadagni cinematografici
proveniva dalle seconde e terze visioni, proiettate nei cinema dei quartieri periferici, frequentati dalle
famiglie operaie nel fine settimana, ma nellarco del decennio duemila di queste piccole sale chiusero.

In un contesto identico altri Paesi inventarono una soluzione, i multiplex, che riducevano le
spese di gestione e aumentavano lofferta. Lallestimento di tali complessi, considerato molto costoso,
era generalmente reso possibile grazie ai prestiti dei tre o quattro distributori che controllavano il
mercato. La distribuzione, in Italia, era disseminata. Le principali societ, tutte americane2,
diffondevano i film di successo garantito solo nei quartieri centrali, i pi redditizi, e non avevano
interesse a mettere in piedi vasti impianti in posti lontani dove cera poco da guadagnare. Due terzi dei
cinema dipendevano da imprese regionali o locali che lavoravano, a volte, con solo una ventina di sale
e non potevano investire a lungo termine. La gestione cinematografica italiana, cos, impieg un
decennio a modificare le sue usanze.

Quale Italia?

Frequentemente una pratica o una moda, dopo aver goduto per molto tempo del favore generale,
cessa di appartenere al gusto corrente. quello che accadde per il cinema italiano. A prima vista la
causa del cambiamento fu lumore incostante degli spettatori o la mancanza dattenzione dei gestori,
ma lo studio approfondito degli anni 80 d adito ad una spiegazione pi logica e complessa.
Levoluzione dello spettacolo cinematografico deriv da mutamenti che colpirono fortemente la
societ; lapparente semplicit di questo processo nasconde in realt un intreccio di fenomeni
complessi. Turbata dalla decelerazione economica, dallinflazione, dalla necessit di migrare allinterno
del Paese per trovare un posto di lavoro e dallinstabilit politica, la maggioranza dei cittadini, oramai
assuefatta alla televisione, non considerava pi il cinema unattivit divertente, istruttiva, a buon
mercato, ideale per intrattenere le famiglie. Simultaneamente e in maniera indipendente, nellindustria
filmica cambiavano le condizioni di lavoro. Il sogno dei grandi cineasti si smorzava, sceneggiatori e
registi non si davano esclusivamente alla creazione filmica e, girando con finanziamenti ridotti, non si
dimostravano esigenti sugli standard tecnici. Il genere favorito dal pubblico, la commedia, animata da
giovani attori, passava dallironia al burlesco e sostituiva lingegnosit delle situazioni con la facondia
e la gestualit. La gestione tecnica del cinema e la maniera di concepire i film, in un Paese in preda ad
un profondo mutamento, cambiavano. Tali trasformazioni rappresentavano, di per s, un dato storico.

Il management dello spettacolo cinematografico mette in luce aspetti rilevanti degli anni 80. I
film del decennio non illustrano la loro epoca, il silenzio su aspetti rilevanti dellattualit si
contrappone alla teoria del riflesso. Nessuno gir I figli di Rocco per accompagnare i figli degli
emigrati lucani nella loro migrazione da Milano verso Casoretto o Calvairate. Gli spostamenti legati ad
un mutamento economico apparvero in modo non sistematico sugli schermi e in senso opposto al
movimento contemporaneo. Dalle campagne allambito urbano in La neve nel bicchiere (Florestano
Vancini, 1984), nel quale tre generazioni di contadini ferraresi, lavorando con dedizione, passano da
miserabili carriolanti a mezzadri fino a diventare finalmente piccoli proprietari, riuscendo a trasferirsi a
Bologna. Il film d limpressione di essere un ingenuo preludio a Rocco e i suoi fratelli, rinchiudendosi
in un lontano mondo rurale, come fa Kaos (fratelli Taviani, 1984), altra opera dedicata ad una vita
contadina ormai scomparsa.

I sostenitori di una correlazione tra le realizzazioni cinematografiche e lo spirito del tempo


diranno che tali film testimoniano il desiderio di tralasciare il mondo presente e la nostalgia di altre
epoche. La gente, sostengono, era sconvolta dai problemi che doveva affrontare, perci il suo bisogno
devasione trov una via duscita nelle commedie atemporali che abbiamo segnalato prima.

Notiamo, prima di tutto, che il rimpianto di tempi passati e il gusto per i divertimenti
disimpegnati non sono eccezionali e si manifestano in ogni epoca. Questa per non lobiezione
principale allipotesi delle rappresentazioni collettive. Il fatto che Kaos e La neve nel bicchiere non
ebbero successo, infatti, non prova niente, se non che furono distribuiti male. Lesito delle commedie fu
favorevole, ma il pubblico non aveva altra scelta, chi voleva ridere doveva accettare gli spettacoli
allegri in cartellone. Certi spettatori erano sicuramente angustiati, avevano paura del futuro, ma altri
erano perfettamente tranquilli. Ricordiamoci che temi e stile sono scelti dai cineasti, il pubblico non fa
che pagare e guardare.

Se i film a soggetto sono rilevanti documenti storici per altri motivi: aprono una finestra (pi
precisamente una veduta) sulla loro epoca. Offrono immagini parziali ed alterate dal montaggio che ne
modifica lo spazio e accelera il tempo, ci nonostante mostrano concretamente persone, luoghi, oggetti,
eventi che, nelle fonti cartacee, sono espressioni astratte. Il compito degli storici, ricostruire il passato,
diviene pi facile, oggi, per merito del cinema che, mostrando le cose, dispensa dal descriverle.

Roma sempre stata lo scenario naturale della fiction, cosicch il cinema permette di
restituire aspetti della vita nella capitale durante il Novecento. Per molto tempo Milano apparve pi
brevemente. Mentre gli esterni, girati sul posto, percorrevano un centro moderno, attivo, con edifici
futuristi, gli interni venivano filmati a Cinecitt. Gli anni 80, con un lavoro fatto sul posto, rivelarono
unaltra citt, meno maestosa, pi dura, industriosa e caotica3. Cera ancora un filo narrativo nei film,
per i protagonisti e i loro piccoli intrecci pesavano meno degli spostamenti attraverso luniverso
urbano. La cinepresa scopriva le soffocanti notti destate milanesi, i bar e le sale giochi miserabili, la
fredda alba autunnale, gli impiegati e le commesse che correvano verso lufficio o la bottega, i
misteriosi ritmi del traffico, il peso del lavoro quotidiano. La macchina da presa portava lo spettatore in
luoghi che conosceva bene e che, di solito, non si soffermava a guardare, la metropolitana, i
sottopassaggi scuri, un negozio di frutta, un supermercato, la stazione centrale, un ospedale. Il ricorso
alla fiction o, nei documentari, lassenza di commenti fuori campo, liberavano i film dal didatticismo. I
personaggi, sagome rapidamente delineate, mettevano in risalto lanonimato delle grandi metropoli e
permettevano dintravedere un mondo dimpieghi non scelti e non graditi, di apprensioni, di tentativi
abortiti di cambiamento, di timide speranze.

I film a soggetto, come i romanzi, offrono scorci del loro tempo ma non approfondiscono gli
argomenti con la sistematicit di unopera storica. Anche quando approcciano il medesimo tema, le
scelte stilistiche dei differenti registi sono estremamente diverse. Se si facesse un montaggio di estratti
con lintenzione, per esempio, dillustrare le attivit quotidiane di una citt o i vari momenti della
giornata urbana il risultato sarebbe un patchwork di colori, dinquadrature e dangolazioni discordanti.
Dato che i film a soggetto propongono soltanto brevi sguardi allambiente, qual la loro utilit per la
ricerca storica?

Sono prima di tutto segnali. Indicano al ricercatore piste che, altrimenti, non avrebbe forse
pensato di esplorare. Nei film ambientati a Milano, per esempio, si manifesta un comune timore della
precariet, diversi personaggi, rinunciando ad un impiego appassionante, si accontentano di un mestiere
monotono e sicuro. Notte italiana, giallo classico (un avvocato, che doveva servire da uomo di paglia,
scopre un grave reato e tenta di denunciarlo), insiste sullinquinamento e sulla distruzione del
paesaggio nella bassa Padana. Danni paragonabili, non direttamente legati al racconto, appaiono in altri
film contemporanei. Tali indizi non dimostrano niente, per vale la pena chiedersi se sono effetti
retorici o se corrispondono a preoccupazioni diffuse in quel periodo.

I film, daltra parte, permettono di cogliere, nel corso dellesecuzione, gesti, condotte, usanze e
procedure di un momento che, senza essere troppo distante nel tempo, si distingue dal nostro presente.

Oggi facile inserire, nei testi sempre pi numerosi che circolano su internet, brani di pellicola
che mostrano un momento particolare, come si fa da secoli per le citazioni letterarie. Le fotografie
permettono di esaminare i modi correnti di vestire, le macchine, gli utensili, lubicazione degli annunci
pubblicitari. I film completano le rappresentazioni fisse, espongono il funzionamento dei meccanismi
sociali, illustrano gli usi e i costumi nei luoghi pubblici, le cadenze degli spostamenti. Sono minuzie,
ma lo storico non deve accontentarsi di generalit, se rivolge la propria attenzione al flusso degli
scambi commerciali tenuto a far osservare gli strumenti di trasporto (i treni, i camion degli anni 80
non sono quelli di oggi), la loro andatura, gli ostacoli che ritardano la loro progressione.

La fiction offre molti dettagli utili ma i documentari, la cui oggettivit non supera quella dei
film a soggetto, trattano in maniera specifica e con precisione temi maggiormente interessanti per gli
storici. Gli anni 80 segnarono un mutamento nella concezione di corto o mediometraggio a contenuto
informativo. Le reti televisive avevano un bisogno urgente dimmagini, per questo si gir
frettolosamente un insigne numero di opere, purtroppo in maggioranza non conservate. Il decennio
sembra cos povero in questo campo mentre in realt fu estremamente attivo. Paradossalmente, i film
salvati non furono comprati da un canale televisivo a causa degli argomenti in essi trattati che
rischiavano di provocare fastidio. Concepiti per una diffusione sul piccolo schermo, sono tipici dei
metodi dellepoca, e forniscono unindicazione importante, rivelando quello che le reti non
accettavano.

Una serie relativamente omogenea4 riguarda le grandi fabbriche. I film affrontavano questioni
che i circoli dirigenti preferivano lasciare nellombra: licenziamenti e conversioni delle zone industriali
a polo del terziario, trapianto degli stabilimenti verso posti lontani ecc. Cerano stati gi, in precedenza,
parecchi film sugli impianti industriali. La cinepresa seguiva la catena produttiva, fermandosi ogni
tanto per dare spiegazioni usufruendo della voce fuori campo. Leffetto televisione sensibile nei
nuovi documentari. Lintervista (era una cosa rara nei documentari cinematografici perch registrare i
suoni in presa diretta era complicato) divenne pi facile allinizio degli anni 80 grazie ai dispositivi
magnetici5, tanto pi che i primi piani dei volti si addicevano perfettamente alla dimensione del
televisore.

Nei film precedenti il commento veniva fatto in studio, con la voce fuori campo. Le opere
televisive davano finalmente la parola alle persone filmate. Cos i lavoratori, sagome mute che il
cinema riprendeva da lontano, cominciavano ad esprimersi. Fino a che punto per quelli che parlavano
erano rappresentativi dei loro compagni? Non siamo in grado di rispondere alla domanda, i cineasti non
hanno lasciato note per spiegare come avevano selezionato i testimoni: erano pi coraggiosi, meno
timidi degli altri, erano stati mandati da un sindacato? Bisogna accontentarsi dei documenti cos come
sono. Gli intervistati reagiscono diversamente, in base alla loro personalit, per le loro preoccupazioni
sono molto simili. Frequentemente i figli degli operai vedevano il padre passare unintera vita
professionale nellazienda dove erano entrati dopo di lui. Il loro timore di una chiusura o di una
delocalizzazione non riguardava soltanto la paura della disoccupazione; il loro passato, le abitudini
acquisite fin dallinfanzia, la loro competenza erano in pericolo. I documentari confermano i temi gi
trattati nella fiction, evidenziando motivazioni che i film a soggetto non erano in grado di segnalare.
Quello che appare non , come stato detto talvolta, la fine della classe operaia, bens il
declassamento di un intero ceto qualificato, che lautomazione e lo spostamento degli impianti relega a
posti inferiori, meno specializzati e meno pagati.

I film non sbagliavano quando mettevano in scena personaggi alla ricerca di lavori sicuri, per
non esprimevano (perch non il loro compito) il profondo mutamento sociale che cominciava con
lintroduzione dellinformatica nelle fabbriche. Anche i documentaristi, probabilmente, non valutavano
lampiezza dei cambiamenti in corso. Nei loro commenti insistevano a ragione sulla pesantezza del
lavoro in fabbrica, ma non dicevano niente della relativa conseguenza sugli operai. Sono le immagini
che parlano. Evidenziano un contrasto forte tra gli impianti gi anziani, vestigia del boom industriale
condannate a sparire6, e le nuove installazioni dove la meccanizzazione generalizzata permetteva di
diminuire il costo della mano dopera.

Mettendo a fuoco argomenti che la gente, allepoca, non vedeva ancora con chiarezza, il cinema
avverte gli storici che il loro sguardo retrospettivo differente da quello dei loro contemporanei. Nella
seconda met del Novecento, sulla scia del neorealismo, molti cineasti italiani hanno posto laccento
sui problemi della societ che ritenevano seri, e persino critici. La scelta di questi temi evidenzia le
questioni che, senza essere necessariamente le pi incalzanti, destavano lattenzione in quel dato
momento. Non c da stupirsi se, negli anni 80, il terrorismo, sia politico che criminale o mafioso,
allarmava lopinione pubblica. Il 1980 fu effettivamente un anno drammatico, con la bomba alla
stazione di Bologna, luccisione di otto persone, politici, sindacalisti o giornalisti, e una serie di
sequestri, ma gli attentati poi diminuirono durante il decennio, la fase dura del terrore era finita, ma
nessuno ancora lo sapeva.

Ricostituire vicende presenti o passate non semplice e il cinema non il mezzo appropriato
per farlo. La storiografia non si limita a raccontare gli eventi, ma ne propone uninterpretazione. Per
esempio cerca di capire perch e come una minoranza insorge contro la societ alla quale appartiene al
punto da volerne distruggere le strutture portanti. Rendere comprensibile e chiara una situazione
implica un ragionamento astratto mentre il cinema, che mostra e segue un numero limitato di
personaggi, fondamentalmente concreto. I registi degli anni 80 che non si accontentarono di
raccontare aneddoti infantili o storie di uomini pentiti soccorsi da signore mature cercarono di
riproporre sullo schermo gli eventi fondamentali che avevano segnato gli anni di piombo7. Nella
migliore delle ipotesi, per, i loro film illustravano i luoghi dove erano avvenuti complotti, stragi,
vendette, limitandosi alla rappresentazione di dati che non riuscivano a decifrare.

Gli storici davanti allo schermo

Il rapporto tra cinema e storia emerge chiaramente negli anni 80. Il decennio offre allo
specialista un campo dindagine particolarmente facile perch non fu una grande epoca e non produsse
capolavori che, essendo difficili da caratterizzare, destano lattenzione e oscurano opere meno famose.
Lo studio di questepoca consente di giungere a due conclusioni in apparenza contraddittorie: ogni
epoca stabilisce una relazione originale con il passato, ma il contributo dei film alla storiografia
sempre identico.

Le aspettative del pubblico, negli anni 80, erano specifiche, i generi che piacevano
anteriormente non facevano piu cassetta, Hollywood, in un baleno, sorpassava Cinecitt, la nuova
generazione di cineasti considerava il cinema e il proprio lavoro con un certo distacco, girava senza
preoccuparsi dellindifferenza degli spettatori. I comici, spesso venuti dal teatro, divertivano con
scherzi che, prima, sembravano banali. I film seri, che pochi apprezzavano, sfioravano appena il
mondo contemporaneo. Il decennio dimostra cos unincontestabile originalit, le constatazioni alle
quali siamo arrivati non sarebbero valide per un altro periodo.

Ci nonostante, la nostra maniera dinterrogare i film (che non lunica possibile) sarebbe
pertinente per qualsiasi momento. Il cinema, anche quando la sua audience diminuisce rapidamente,
coinvolge un numero notevole di persone, unattivit sociale che bisogna studiare come tale,
confrontandola con altre occupazioni. Il tempo libero detiene un posto importante nellesistenza
collettiva, osservare la frequentazione delle sale, i suoi rituali e la sua periodicit, individuare i clienti
tanto utile quanto investigare i mestieri, la produzione industriale o i trasporti. Il pubblico non ha
nessun potere di controllo sulla produzione ma pu andare o non andare al cinema, i suoi
comportamenti sono decisivi e orientano indirettamente la produzione.

La rappresentazione, che sia pittorica, letteraria o cinematografica, sempre dipendente


dalluniverso tangibile. I trucchi elettronici consentono di modificare proporzioni, relazioni,
dimensioni, non dinventare forme che non esistono, limmagine sempre legata al mondo corporeo,
anche quando dissimula questa dipendenza. In molte riprese lo scenario, i vestiti, gli oggetti informano
sullambito di un tempo. La ricchezza della materia varia da unepoca allaltra, i film degli anni 80,
girati con budget limitati, offrono meno particolari interessanti di quelli dei decenni precedenti, ma
svelano particolari sulla crisi economica e sulle preoccupazioni della classe operaia.
Il passato un inesauribile serbatoio di racconti che il cinema mette in scena fin dalle sue
origini, anche se nella maggioranza dei casi laccaduto rappresenta esclusivamente un comodo sfondo
per un intreccio amoroso.

I cineasti desiderosi di fare opere di argomento storico devono guardarsi da due pericoli:
dallaccontentarsi dillustrare piattamente i fatti e dallo sviluppare il commento parlato al punto da
occultare le immagini. Se i registi degli anni 80 non hanno superato le difficolt, se i loro film
dattualit sono deludenti, altri cineasti sono riusciti, in decenni differenti, a fare storia. Alcuni film
infatti hanno tanto valore quanto libri scritti da specialisti.

Le fonti delle quali si servono gli storici cambiano man mano che le societ evolvono. La
pittura, essenziale per conoscere gli uomini e i loro comportamenti nellera moderna, offre meno
informazioni nellepoca contemporanea. Lattenzione alla vita sociale, abbondante nei film degli anni
50 o 60, quando il cinema si rivolgeva ad un largo pubblico, diminuita con labbassamento
dellaudience. Lo studioso del passato deve valutare limportanza relativa dei vari documenti
disponibili in rapporto alle questioni che investiga e tenere conto del tempo necessario per studiarli.
Vale la pena guardare due ore di film per estrarne ununica ripresa? Non c una risposta standard, la
decisione dipende dalla pertinenza dellimmagine per un determinato lavoro. Scritti o audiovisivi, i
documenti sono soltanto mezzi, spetta allo specialista stabilire quali vuole utilizzare.

1. Lopera pionieristica di S. Kracauer, Da Caligari a Hitler. Una storia psicologica del cinema
tedesco (Lindau, Torino 2000; edizione originale 1947) aveva aperto la strada. In Italia la spinta venne
con il libro di A. Mura, Film storia e storiografia (Ed. Della Quercia, Roma 1964) che influ sulle
ricerche successive.

2. MGM, Universal, Warner. Lunico distributore italiano importante era Filmauro. Lattivit di
Reteitalia e del gruppo Cecchi Gori, apparsi alla fine del decennio, fu molto limitata prima degli anni
90.

3. In particolare nei film diretti da Ermanno Olmi (Milano, 1983), da Silvio Soldini (Giulia in
ottobre, 1984, Laria serena dellOvest, 1989) e da Gabriele Salvatores (Kamikazen Ultima notte a
Milano, 1987).

4. Le mani svelte (Gianni Amico, 1981); Frammenti di fabbrica (Annabella Miscuglio, 1986);
La fabbrica sospesa (Silvio Soldini, 1987).

5. Videoregistratore Ampex nel 1976, videocamera Sony nel 1983.

6. Gli stabilimenti della Pirelli-Bicocca in La fabbrica sospesa.

7. Cento giorni a Palermo (Giuseppe Ferrara, 1984), Il camorrista (Giuseppe Tornatore, 1986),
Il caso Moro (Giuseppe Ferrara, 1986).
Lo spirito
di un decennio.
Gli anni Ottanta,
il cinema,
la storia
di Marco Gervasoni

Gli anni Ottanta sono dotati di un forte spirito, perch sono definiti da una marcata identit.
il decennio della globalizzazione, del capitale finanziario, delle prime delocalizzazioni. soprattutto il
decennio di un forte immaginario legato a questi fenomeni. Per raccontarli risulta allora utile studiare
il rapporto tra cinema e storia. al cinema che nascono eroi, come Rambo e Conan, che fanno del
decisionismo il loro nuovo paradigma. Ma soprattutto gli anni Ottanta sono gli anni degli yuppie che,
affermatisi negli Usa secondo precisi clich, arrivano quindi in Italia, anche se con caratteristiche
diverse. Sono tutti cambiamenti profondi, intuiti da alcuni registi, come Nanni Moretti, che raccontano
della fuga dalla politica e delle modifiche del linguaggio che si stavano verificando in Italia.

1. Far esordire una rivista dedicata a Cinema e storia con un numero sugli anni Ottanta mi
pare una scelta assai pertinente. Nella storia contemporanea raramente, come in quel decennio, il
cinema una fonte primaria per comprendere le trasformazioni non solo delle societ, delle culture e
dei consumi, ma della stessa politica.

Cerco di spiegarmi meglio. Quel decennio , in buona parte del mondo occidentale, al tempo
stesso un punto di svolta periodizzante e un momento in s conchiuso1. Lo ovviamente in Italia, dove
per la prima volta laffermazione del consumo di massa si intreccia con linizio del declino della
politica e delle narrazioni ideologiche. Ma anche nei Paesi entrati da tempo nel mercato di massa e in
cui la tradizione del totus politicus e dei partiti di massa assai pi debole, quando non inesistente, gli
Eighties costituiscono un punto di svolta -pensiamo agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna. , quel
decennio, periodizzante anche per la Francia e per i Paesi dellEuropa mediterranea, come Spagna,
Portogallo e Grecia. Quello che si pu definire lo spirito degli anni Ottanta soffia persino in Urss e
nei Paesi dellEst Europa, soprattutto dopo lascesa di Gorbaciov.

2. Gli anni Ottanta sono linizio di ci che noi siamo oggi, e per certi aspetti rappresentano
lembrione di unevoluzione di cui si vedono negli ultimissimi anni tutte le conseguenze. Per essere
assai schematici: 1) segnano, secondo lipotesi del sociologo spagnolo Manuel Castells, la ripresa della
globalizzazione2; 2) sono gli anni dellinizio del predominio del capitale finanziario sul capitale
produttivo.

Globalizzazione e dominio del capitale finanziario non sono per la verit fenomeni del tutto
nuovi. Gli storici delleconomia concordano nel ritenere che, dopo la cosiddetta Grande depressione
degli anni Settanta e Ottanta dellOttocento, si era creato un sistema economico internazionale il cui
grado di integrazione non era quantitativamente molto diverso da quello di un secolo dopo, a dispetto
del peso delle tariffe protezionistiche. Non a caso, numerosi economisti di inizio Novecento ritenevano
che il capitale finanziario stesse per sovradeterminare quello produttivo: a capirlo fu uno degli
intellettuali pi lucidi della socialdemocrazia, leconomista austriaco Rudolf Hilferding, nel suo opus
magnum, Il capitale finanziario (1909)3. Poi era venuta la Grande guerra, che distrusse quel mondo e
che ne apr un altro in cui si riattivarono processi di nazionalizzazione e di territorializzazione dei
capitali, con il risultato di ridurre il grado di integrazione globalizzata delle economie e di portare a un
maggior controllo del capitale finanziario (e produttivo) da parte dello Stato.

3. Gli anni Ottanta sono la fine di tutto questo: non solo il governo della Thatcher che
favorisce gli investimenti dei capitali fuori dallIsola, stimola le imprese britanniche a chiudere in casa
e a delocalizzare in mercati esteri pi favorevoli e spinge per trasformare la societ industriale per
eccezione, quella inglese, in una societ dei servizi. Thatcher lo fa con rigore ideologico e con
perseveranza4. Ma Reagan con maggior timidezza e Mitterrand dopo il 1983 con enorme senso di
colpa, vanno nella stessa direzione segnata dal premier britannico.

Poich in tutto il mondo occidentale lavvento della prima globalizzazione e la liberazione del
capitale finanziario sono fenomeni che si succedono rapidi, finiscono per innestare dei mutamenti
sociali talmente repentini che quel periodo, per gli stessi contemporanei, ma anche per gli studiosi
successivi, assume un carattere opaco -nel senso di non riuscire a coglierne i contorni.

Ecco perch allinizio sostenevo che, pi di altri periodi, il cinema sia la forma culturale che
meglio, con maggior rapidit e persino con maggiore profondit rende conto di queste trasformazioni.
Non si limita a rappresentare la societ. Indica quello che gli occidentali sono e al tempo stesso li
indirizza: contribuisce, pi che in altri momenti, a costruire il modo in cui si rappresentano il mondo. I
film sono negli anni Ottanta specchio e agente della storia. Mettono letteralmente in scena ci che
diventata la forma politica nella sua radice prima, quella del potere: ne colgono la sempre pi difficile
presa sui luoghi e sui territori, in definitiva sullo spazio. Mettono in scena la perdita di centro e lo
sfrangersi dei confini. Sto ovviamente pensando a Blade runner, che apre il decennio, e che lo
comprende tutto (e a mio avviso anche tutto il periodo successivo, che il nostro). Non a caso riscuote
un modesto successo al botteghino ma cresce negli anni, e colpisce al tempo stesso il pubblico high
brow e quello low brow. Mette infatti in scena la nuova umanit artificiale nata dopo lapocalisse,
anche se questa c gi stata e non tutti, allinizio degli anni Ottanta, se ne sono resi conto.

Nel sostenere la mia tesi, secondo cui lo storico pu capire il decennio Ottanta prima di tutto
analizzando i film di quel periodo, prover a prendere in esame, in maniera rapida e impressionistica,
alcuni esempi. Non un elenco, non particolarmente rappresentativo, n ovviamente esaustivo.

4. Nel film Prova dorchestra (1979) Federico Fellini mostra unItalia senza regole sociali,
aliena al comando e alla responsabilit, dove persino lorchestra si ribella al suo direttore. Per riportarla
allordine necessario, come nel finale del film, un evento catastrofico, che metta in pericolo la vita di
tutti gli orchestrali. Il senso della catastrofe, ben presente negli anni Ottanta, e non solo in Italia, per il
nuovo scaldarsi della guerra fredda, si sposa qui con il bisogno di un decisore. Molto sentito in tutto
lOccidente, ma ancora piu forte in Italia. Non la ricerca delluomo forte, spauracchio agitato negli
anni Settanta, ma semplicemente di qualcuno in grado di indicare una via e mostrare come percorrerla.
Piccola ma significativa spia il vastissimo successo di pubblico, attestato dai dati relativi ai biglietti
venduti, di film come Mani di velluto, Il Bisbetico domato, Asso, Innamorato pazzo, in cui Adriano
Celentano interpreta sempre un piccolo capo, strafottente, irriverente, un po cialtrone, duro con le
donne ma in realt tenero di cuore. Gli italiani si riconoscono in Celentano, un eroe normale (in
Innamorato pazzo un tranviere), ma anche nel superuomo dei nerd delle periferie milanesi Diego
Abatantuono di I Fichissimi (1981) e di Eccezziunale veramente (1982), entrambi firmati dai fratelli
Vanzina. Certo in controtendenza sembrerebbe il successo dei personaggi interpretati da Troisi, che
dalla volonta di decidere rifugge sempre, mentre il Paolo Villaggio-Fantozzi involontariamente una
parodia del decisionismo, perch molto attivo ma ogni decisione e sbagliata e lo fa cadere nel
ridicolo.

5. Il cinema consente poi agli italiani di sentirsi legati a un decisore anche quando questo non
appartiene alla loro nazione. Se non possono votare per Reagan o per Thatcher, possono apprezzarne il
loro corrispettivo filmico. Stiamo ovviamente parlando di Rambo, il personaggio del soldato del
Vietnam interpretato da Sylvester Stallone, che spopola nella stagione cinematografia 1982-1983.
Ancora pi dellHarrison Ford della saga di Star Wars e di Indiana Jones e di Arnold Schwarznegger di
Conan e di Terminator, Sylvester Stallone incarna in quegli anni le fattezze delleroe decisionista.
Stallone e Schwarznegger sono culturisti dal fisico debordante, modellato dalle palestre cos in voga
negli States dallinizio del decennio. In tal senso costituiscono una novit: i popolari attori
hollywoodiani del passato, anche quando interpretavano figure dichiaratamente eroiche e positive non
avevano mai messo in mostra un fisico modellato in quel modo (pensiamo a John Wayne). Certo cera
leccezione dei film di genere, come quelli a carattere mitologico o ambientati nellantica Roma, che
per raramente avevano prodotto grandi divi internazionali di spessore. Come nota Omar Calabrese in
un lavoro centrale di quegli anni, mentre gli attori-culturalisti del passato, con i loro bicipiti davano
limmagine di selvaggi, Stallone e Schwarznegger sono percepiti come modelli, come dei
fenomeni di civilt, e come tali sono ricevuti alla Casa Bianca da Reagan in persona5. Da quasi due
decenni, inoltre, il cinema americano non produceva pi eroi, se non positivi comunque aiutanti come
James Dean e Marlon Brando: i divi di Hollywood degli ultimi anni erano Dustin Hoffmann e Jack
Nicholson, non proprio da copertina. Il divo degli anni Ottanta, almeno quello incarnato da Stallone e
da Schwarznegger, si distingue invece, pi che per le capacit espressive, perch dispone di un corpo
talmente costruito da apparire artificiale o addirittura da essere artificiale, come in Terminator.
Qualcosa poi conter che uno dei due, Schwarznegger, diventi molti anni dopo governatore di uno dei
pi importanti Stati americani.

6. Il primo film della serie Rambo e i due della serie Conan mostrano tuttavia ancora personaggi
inquieti. Ben pi schematici quelli successivi, che riscuotono per ancor pi successo: in testa alle
classifiche della stagione 1985-1986 troviamo infatti Rambo II la vendetta e Rocky 4: il primo incassa
quasi sessanta miliardi finendo cos per essere il film pi visto dagli italiani negli ultimi ventanni,
dopo Ultimo tango a Parigi6. Quel tratto di attenzione alla realt sociale e politica presente nelle serie
precedenti viene qui abbandonato per due film di propaganda: il pugile deve ora vedersela con il
temibile sovietico Ivan Drago, mentre Rambo, da ribelle quale nel primo film, viene ora ingaggiato
dallesercito americano per liberare i prigionieri americani ancora presenti in Vietnam.

Con il secondo Rambo il termine esce dal cinema per entrare nel linguaggio giornalistico e
quotidiano, a significare unazione violenta, sopra le righe, che predilige il predominio della forza e
dello scontro sul dialogo. Rambo viene esplicitamente politicizzato nientemeno che dal presidente Usa
che, dopo una delicata manovra diplomatica per liberare dei soldati americani, esclama: Ragazzi, sono
contento di aver visto Rambo ieri sera, adesso so cosa fare la prossima volta7. La stampa e lopinione
pubblica italiana identificano sempre pi Reagan con Rambo, contro il terrorismo e per la vittoria del
bene in tutto il mondo mentre, durante i negoziati di Ginevra, Reagan paragonato a Rocky, anche se il
suo avversario reale non ha le fattezze di Ivan Drago ma di Gorbacev8. Rocky e soprattutto Rambo
incarnano Reagan, anche se a rappresentare pi nel profondo lAmerica reaganiana sarebbe, secondo
Francesco Alberoni, Spielberg che, con Gremlins, mostra il mondo ristretto ad un villaggio
minacciato, invaso. La gente non segue pi un ideale, non c pi alcun ideale da seguire, non c pi
nessuna patria da nessuna parte. Perch il cosmo diventato ostile. La comunit assediata deve
difendersi9.
Il decisore infatti colui che rassicura, contro il nemico esterno, che i confini siano ben saldi,
non solo quelli delle frontiere ma come quelli delle categorie morali. Rassicura perch lavvento del
mercato di massa e legemonia del capitale finanziario fanno saltare schemi in apparenza eterni. Come
ben si vede dalla politicizzazione delle sessualit, che si intensifica non negli Settanta ma in quegli
Ottanta e dallesplosione delle questioni di genere, che non riguardano pi solo le donne ma anche i
gay e i trasngender. E anche su questa trasformazione il cinema avrebbe molto da dire.

7. Ma vogliamo soffermarci ora sullautentica metafora del decennio, quella dello yuppie.
Acronimo di Young urban professional, il termine comincia a diffondersi tra il 1979 e il 1980 a New
York per definire un nuovo tipo di broker, in una Wall Street diventata il centro finanziario di un mondo
via via pi globalizzato. Nel giro di pochi anni, da operatori della prima globalizzazione e
dellegemonia del capitale finanziario, gli yuppie finiscono per incarnare concretamente quel che si
intende con individualismo ed edonismo. Diversamente dallamericano medio, lo yuppie infatti
spesso single e contento di esserlo, e spende moltissimo, essendo un consumatore di merci costose.
Non segue il precetto buy americans, perch le sue auto sono quasi sempre europee, lhi tech
giapponese e i vestiti delle grandi firme italiane. Naturale che a lui il mercato non solo americano ma
globale guardi con estremo interesse. Ma non solo quello: lo yuppie in gran parte protagonista della
letteratura americana di quel decennio. un proto-yuppie il Pammy di Players di Don De Lillo -uscito
nel 1977 -, lo a suo modo il protagonista di Bright lights, big cities di Jay Mc Inenery, yuppie il
protagonista di uno dei romanzi chiave del decennio, The Bonfire of Vanities di Tom Wolfe.

Da molti di questi romanzi sono tratti film, generalmente meno riusciti delloriginale ma che
forniscono un volto allo yuppie: quello da ragazzino di Michael J. Fox in Brights Lights, Brights City
(James Bridges, 1988) e quello rassicurante di Tom Hanks in The Bonfire of vanities (Brian De Palma,
1990). Sono volti che non producono inquietudine, in particolare quello di Michael J Fox, che in
precedenza e con maggior successo ha impersonato lo yuppie al liceo, in una popolarissima sit-com
trasmessa in Usa dal82 all89, Family Ties (nelledizione italiana Casa Keaton), dove interpreta Alex,
un diciassettenne fan della borsa e di Reagan, mentre i genitori sono due esponenti della classe media,
hippy in giovent e ora convinti liberal10. Un po meno rassicurante, e capace di incarnare
linquietudine del decennio, lo yuppie John Gray impersonato da Mickey Rourke in 9 1/2 Weeks
(Adrian Lyne, 1986), mentre il ritratto cinematografico pi impressionante di quegli anni certamente
il Gordon Gekko messo in scena da Michael Douglas in Wall Street (Oliver Stone, 1987).

Grazie anche alla diffusione mediatica, la definizione di yuppie si fa presto vasta e generica:
non pi utilizzata per connotare una funzione, ma per definire una forma di stare nel mondo sociale;
di pi, indica una tipologia morale. Yuppie sono cos anche gli avvocati, gli ingegneri, persino i medici
( uno yuppie, alla fine, il Tom Cruise di Eyes Wide Shut di Kubrick, altra nera rappresentazione della
New York fine secolo): tutti quelli mossi da ambizioni di arricchimento e di soddisfazione personale.
Lo yuppie dice agli americani che unepoca, cominciata con il New Deal, finita; rappresenta
lemblema di una societ che ha ripreso a muoversi con rapidit ed efficacia, forse con maggiore
rapidit ed efficacia che mai, e con ottimismo, lo stesso degli anni Sessanta ma ora proiettato non verso
la societ ma verso se stessi.

8. Subito lo yuppie varca loceano e nel 1984 in Italia gi parola di uso comune, perch aiuta a
raccontare unAmerica che, come non mai, indica il futuro dellEuropa. Agli italiani descritto come
un grande consumatore, che spende buona parte dei suoi lauti guadagni acquistando o affittando
appartamenti magari minuscoli ma costosissimi in pieno centro urbano. Riempie la sua casa di mobili
dellultimo design e di oggetti tecnologici costosissimi: lHi-Fi, il videoregistratore (rigorosamente
Betamax), il televisore, anche se passa pochissimo tempo in casa. Mangia un cibo curioso chiamato
sushi e frequenta ristoranti allultima moda, usa strane tessere chiamate carte di credito (in Italia
ancora qualcosa di esoterico), spende molto per creme per il viso e per il corpo, frequenta assiduamente
costosissime palestre di fitness11. Politicamente lo yuppie con Reagan, il presidente che, quando tratta
di economia, parla il suo linguaggio (molto meno quando evoca i valori tradizionali), anche se lo
yuppie non affatto militante e crede pochissimo alla politica. Bench alle primarie del partito
democratico nel 1984 abbia votato per il modernizzatore Gary Hart contro Walter Mondale, alle
elezioni del 1985 ha plebiscitato Reagan, come tutta lAmerica (bianca).

Limmaginario italiano sugli Usa si discosta quindi poco da quello dellAmerica stessa. Segno
forse della potenza della figura dello yuppie, pronta ad essere importata anche in Europa. Del resto di
yuppie piena non solo la City londinese. Gli yuppie degli altri Paesi possono anche sentirsi socialisti,
purch il governo assecondi gli animal spirit della finanza, come quelli francesi, proliferati grazie alle
modernizzazioni del mercato finanziario introdotte dal governo socialista di Laurent Fabius12, e quelli
madrileni, nella Spagna resa dinamica dal governo socialista di Gonzalez. Quando poi si arriva nel
nostro Paese, il partito degli yuppie ovviamente il Garofano, il Psi di Craxi, con cui i giovani
rampanti si sentono in grande sintonia.

Lo yuppie italiano per ha per caratteristiche tutte sue. Nella societ del Nord infatti gi ben
visibile una trasformazione importante, ben descritta dalleconomista Gian Carlo Mazzocchi
intervistato da Giorgio Bocca. Se fino agli anni Settanta la societ italiana poteva essere descritta con
un U, alla sua destra la borghesia ricca, alla sua sinistra il sottoproletariato, dentro la massa compatta e
sempre pi omogenea degli operai e degli impiegati []. Adesso le curve, le U sono due: una piccola
contiene le professioni rampanti [], gli Yuppie; nella seconda invece si va raccogliendo il mare
magnum del lavoro che dicevamo frantumato, effimero, mediocre13. Yuppie cos sono tutti i giovani
che lavoravano e guadagnano nellinformatica, nel terziario, oltre che nelle banche. Banche che in
Italia non assomigliano per nulla a quelle arrembanti di investimento straniero, sono anzi
prevalentemente sotto il controllo dello Stato e ben assediate dai partiti. Questi yuppie sono pi
propriamente impiegati e non hanno neanche alla lontana il reddito dei loro omologhi americani e
inglesi. Per vi si immedesimano, come mostra il film, di scarso successo al botteghino eppure assai
interessante, Impiegati (Pupi Avati, 1985), in cui vestono Valentino, guidano auto sportive e,
diversamente dai borghesi piccoli piccoli di un tempo, non nascondono una vita privata libertina. Lo
yuppie italiano crede di essere a New York o a Londra, in realt si trova a Milano, in cui, come mostra
il film omonimo dei Vanzina, uscito nel 1986, una figura a met tra oggetto di invidia sociale e di
derisione, incapace di assumere fino in fondo lindividualismo e il cinismo del suo modello Usa perch
troppo avvinghiato dalle abitudini italiane (il familismo, la compagnia di amici ecc.).

La parola yuppie comincia a essere anche sinonimo di manager, un altro termine che ricorre
sempre pi anche nella vita quotidiana. E il manager italiano, pi anziano dello yuppie americano,
per come lui un grande consumatore: veste alla moda, cura con attenzione il proprio corpo, ricorre
allassistenza sanitaria privata, spende molto per la casa e per le relazioni sociali (ristoranti, club,
palestre) e in vacanze, come spiega unindagine del centro studi della Cisl14. Lo yuppie come antitesi
delloperaio e come emblema di unepoca che ha fatto letteralmente sparire dallimmaginario le tute
blu, cos presenti nel decennio passato. Lo yuppie, insomma, come segno di una nuova era veloce,
dinamica, in cui si racconta che con limpegno e la dedizione tutti o quasi potranno arricchirsi.

Un messaggio, quello del social climbing, che se in Usa ha ben pi di una possibilit di verifica
empirica, in Italia assai pi raro, anche se diversi sono i casi di giovani che, partiti dal nulla (o quasi)
e grazie ad operazioni finanziarie, sono diventati miliardari, come i fratelli Canavisio di Torino15. Come
mostra unindagine del Censis, i manager italiani al di sotto dei quarantanni, diversamente dagli
yuppie americani e inglesi, sono tuttavia ancora poco globalizzati, preferiscono non lavorare allestero
e, dietro la maschera efficientista del moderno manager dazienda nascondono il volto un po
tradizionale del buon padre di famiglia attaccato alla moglie, ai figli e magari anche alla mamma16.
Insomma, limmagine caricaturale dei Vanzina non lo poi tanto nel mostrare yuppie mammoni e
familisti.

9. Dietro a tanto discutere di yuppie si cela una trasformazione importante, che molti
continuano a credere passeggera. Passeggero (o quantomeno sopravvalutato) secondo alcuni infatti il
predominio del terziario, dellautomazione, nellet dellinformazione e degli individui, del software e
della finanza; presto, dopo questa parentesi, si ritorner alla vera realt, quella della manifattura, del
metallo (per parafrasare Gianni Agnelli), delle grandi classi sociali e dei grandi partiti. A prevedere
un ritorno della manifattura a dispetto della retorica del terziario sono anche dirigenti ed economisti,
ma a credere che gli anni Ottanta sarebbero una (orribile, dal loro punto di vista) parentesi sono
soprattutto i comunisti e il pi vasto popolo di sinistra, critico nei confronti della trasformazione
capitalistica. Italiani che si sentono in minoranza nel loro Paese, che profittano naturalmente di tutto
luniverso dei consumi, ma poi giudicano la societ in cui vivono (bene) effimera, volgare, egoista.
Non molto diversa la lettura dei cattolici per cui lItalia del mercato favorirebbe la scristianizzazione
e la mortificazione delluomo: a dirlo, del resto, lo stesso Pontefice.

La societ italiana si sta modernizzando, ha anzi appena faticosamente cominciato, eppure per
molti questo mutamento gi eccessivo. Questo spiega linsistenza ad esempio con cui, gi nel 1985,
un anno dopo che Newsweek ha eletto a personaggio dellanno lo yuppie, se ne decreti in Italia la
fine per troppo edonismo, mentre lo scandalo Iran-Contra viene frettolosamente interpretato come la
fine del reaganismo. Dopo la sbornia conservatrice (durata peraltro solo sei anni) si prevede una svolta
progressista nel mondo17. Previsioni smentite immediatamente, almeno sul piano politico, dalla terza
vittoria conservatrice di Thatcher, ma anche dal dibattito nei due partiti progressisti nei bastioni della
rivoluzione conservatrice. La faticosa e incompiuta virata verso il centro del Labour di Neil Kinnock
poggia su Trade unions che ormai forniscono ai loro iscritti carte di credito e consulenze per gli
investimenti18. Quanto ai democratici Usa, come spiega Peter Hart, direttore della campagna del
candidato democratico perdente Mondale, dora in poi ogni futuro candidato democratico dovr
preoccuparsi di spiegare come intende far crescere la ricchezza piuttosto che come intende ridistribuirla
[] la vecchia coalizione roosveltiana morta [] ci vuole un uomo nuovo, un uomo che sia nato
dopo lavvento di Franklin Roosevelt alla Casa Bianca19.

10. Lapocalisse insomma gi avvenuta. A comprenderlo pi di tutti Nanni Moretti, i cui film
del periodo sono fonti essenziali per lo storico. Lafasia del linguaggio, il vuoto di senso di fronte alla
mercificazione totale del mondo, la necessit continua di mascherarsi attraverso la citazione ironica,
temi che percorrono la produzione della cultura di massa di quegli anni20, vengono rappresentati da un
Moretti che mette in scena la ricerca di uninfanzia perduta attraverso il contatto con le merci, come tali
simboli di un inconscio collettivo (il barattolo gigante di Nutella in Bianca, la felliniana apparizione di
gigantesche pubblicit di cremini nella piscina di Palombella rossa); limpossibilit di trovare una
forma di comunicazione condivisa di fronte ai mille rivoli delle lingue settoriali, figlie di un nuovo
conformismo e dello sfaldamento della societ (Palombella rossa) e naturalmente la caduta delle grandi
idealit collettive, politiche e religiose (La messa finita).

Tutti i protagonisti dei film di Moretti fuggono infatti dalla politica, a cominciare dal Don
Giulio di La messa finita, divenuto sacerdote per abbandonare la deriva violenta e nichilista di un
piccolo gruppo extraparlamentare di estrema sinistra. Naturalmente il distacco dalla politica segnato
dalla ridicolizzazione dei diversi linguaggi politici, a cominciare da quello dei gruppuscoli degli anni
Settanta, per continuare con quello del sindacalista comunista in Palombella rossa. Anche il pi film
pi politico del Moretti degli anni Ottanta, appunto Palombella rossa, a ben vedere la denuncia del
dominio incontrollato della chiacchera heideggeriana: la crisi finale del Pci ha accelerato lo
sfaldamento e il moltiplicarsi dei micro linguaggi, assieme a quelli delle maschere, a cominciare da
quella del protagonista, un deputato colpito da amnesia che dimentica di essere stato comunista.
Palombella rossa soprattutto un film sulla crisi della politica come era conosciuta fino a quel
momento, e pi in generale sulla crisi della comunicazione prodotta dallipertrofia dei messaggi. La
famosa scena in cui Nanni Moretti maltratta una giornalista che lo sta intervistando stata, subito dopo
luscita del film, recepita come una denuncia dei mass media. Ma in realt la corruzione del
linguaggio ha coinvolto tutti. Per reagire a questa inautenticit non c azione possibile, solo la fuga:
quella nella follia di Michele Apicella di Bianca, quella verso una chiesa nella Terra del fuoco in La
messa finita, quella verso il suicidio in Palombella rossa -una volta resosi contro che per inventare
un linguaggio nuovo bisogna inventare una vita nuova ma che ormai si tratta di unimpresa
impossibile.

1. M. Gervasoni, Storia dItalia degli anni Ottanta. Quando eravamo moderni, Venezia,
Marsilio 2010 e i vari interventi su Gli anni Ottanta in Europa in Contemporanea, n. 4, ottobre 2010,
pp. 697-718.

2. M. Castells, La nascita della societ in rete, Universit Bocconi Editore, Milano 2002.

3. R. Hilferding, Il capitale finanziario, Mimesis, Milano 2011.

4. R. Vinen, Thatchers Britain. The politics and Social Upheaval of the 1980s, Simon &
Schuster, London 2009.

5. O. Calabrese, Let neobarocca, Laterza, Roma-Bari 1987, pp. 198-199.

6. F. Montini, Bentornato pubblico ma che gusti hai? in la Repubblica, 14 gennaio 1986.

7. M. Rogin, Reagan: the movie and other episodes in political demonology, University of
California press, Berkeley and Los Angeles 1987.

8. Lultima sfida: Gorbacev contro Rambo in la Repubblica, 20 dicembre 1985.

9. F. Alberoni, Limportante vincere, in la Repubblica, 3 gennaio 1985.

10. Ben pi numerosi sono in realt i film con gli yuppie come protagonist. Cfr. C. Ward, The
Hollywood yuppie in Beyond the Stars: Stock characters in American popular film, ed. by Paul
Loukides and Linda K. Fuller, University of California press, Berkeley 1990, pp. 97-120.

11. E. Franceschini, Per troppo edonismo reaganiano tramonta la moda degli yuppie in la
Repubblica, 6 luglio 1985; V. Zucconi, Sognano soldi e carriera i reduci degli anni 60 in la
Repubblica, 27 dicembre 1985.
12. M. Gervasoni, Franois Mitterrand una biografia politica e intellettuale, Einaudi, Torino
2007.

13. G. Bocca, Un esercito di premibottoni? in la Repubblica, 10 febbraio 1985.

14. R. Petrini, Al dirigente il record dei consumi in la Repubblica, 27 ottobre 1985.

15. G. Turani, Due yuppies scalano banche e finanze in la Repubblica, 16 febbraio 1986.

16. Un manager tutto casa e famiglia in la Repubblica, 10 luglio 1987.

17. E. Franceschini, Non c solo Rambo in crisi crolla anche il mito yuppie in la Repubblica,
7 dicembre 1986.

18. P. Filo Della Torre, Le nuove trade unions vogliono cambiare il ruolo del sindacato in la
Repubblica, 10 settembre 1987.

19. G. Scardocchia, Una generazione per Reagan in la Repubblica, 3 aprile 1985.

20. M. Gervasoni, Storia dItalia degli anni Ottanta, cit.


Consumi
e paesaggio
mediatico
degli anni
Ottanta
di Paolo Capuzzo

Negli anni Ottanta si assiste ad un mutamento delle culture del consumo nel quale le dinamiche
sociali si intrecciano a quelle spaziali. Emerge una provincia benestante nella quale nuovi ceti medi
emergenti investono crescenti risorse nel capitale simbolico garantito dal consumo. La neotelevisione
soppianta definitivamente il cinema come grande fucina dellimmaginario di massa e nel suo spazio
virtuale promuove il mutamento delle culture del consumo attraverso la segmentazione dellofferta e
un significativo ampliamento degli spazi pubblicitari. La neotelevisione un sensore importante dei
mutamenti antropologici degli anni Ottanta e asseconda un mutamento dei ruoli di genere dai quali
emerge la centralit della forma fisica, del corpo e dellaspetto come strumenti di relazione sociale.
Una particolare attenzione posta sul corpo delle donne come elemento passivo e coreografico della
cultura di massa, sebbene le dinamiche dellidentit di genere nel decennio non siano riducibili a
questo semplice paradigma.

La storiografia italiana non ha ancora fatto i conti adeguatamente con gli anni Ottanta, sebbene
si tratti di un decennio che viene sempre pi spesso chiamato in causa come un passaggio fondamentale
per la comprensione del nostro presente. Allo stato attuale sembrano profilarsi due interpretazioni
divaricate: se da una parte si guarda agli anni Ottanta come alla fase decisiva di aggancio dellItalia alle
tendenze sociali, culturali e politiche europee, con il consolidamento di una societ pi moderna, nella
quale lo spirito del mercato e del capitalismo permeano aree sempre pi estese del Paese1; dallaltra, si
letto invece il decennio alla luce del riemergere di vizi storici del peculiare sviluppo italiano -
corruttela, familismo, clientelismo - con un degrado dello spirito civile dopo un decennio abbondante di
mobilitazione collettiva che aveva invece vanamente cercato di promuovere una trasformazione sociale
e civile del Paese2. Queste antiche tare si sarebbero coniugate con delle trasformazioni nella sfera
mediatica tale da provocare unirrimediabile deriva individualista e consumista che avrebbe fatto da
brodo di coltura del populismo politico nel decennio successivo3.

Lanalisi dei processi di consumo, dunque, assume centralit qualunque prospettiva si voglia
adottare. I cambiamenti nelle culture del consumo negli anni Ottanta sono stati tali da far sostenere che
si sia trattato di una seconda rivoluzione dei consumi di massa. Certamente, per durata e quantit,
lincremento dei consumi negli anni del boom non teme paragoni, tuttavia, negli anni Ottanta la
diversificazione delle culture del consumo sarebbe stata il principio di ridefinizione delle identit
sociali, aprendo nuovi spazi di identificazione. Non peraltro certamente un caso che proprio negli
anni Ottanta la storiografia internazionale sui processi di consumo si sia rinnovata completamente.
Questa nuova storiografia ha infatti preso le mosse da un decennio di profonda trasformazione, per
volgersi indietro a riconsiderare le radici del rapporto tra modernit e consumi a partire dalle culture
urbane dellEuropa nord-occidentale del secolo XVII e XVIII, quando sembr profilarsi un nuovo
rapporto tra gli usi della ricchezza e lo spirito del capitalismo4.

1. Il cinema e il nuovo spirito del capitalismo


Gordon Gekko, protagonista di Wall Street (1987), filosofo dellavidit come principio
dellevoluzione umana, un campione del capitalismo degli anni Ottanta che si stava lasciando
definitivamente alle spalle ogni romantico legame con la concretezza delle fabbriche e del lavoro. Le
basi di una ricchezza industriale fondata su una vita operosa, sulla passione per il lavoro e la qualit dei
manufatti sfumano di fronte alla forza dissolutrice di un capitalismo finanziario entrato nellepoca della
comunicazione digitale. Gordon un raider, per lui le aziende sono solo uno strumento per realizzare
lunico e semplice fine del capitalismo: cumulare ricchezza. a tale scopo che Gekko acquisisce,
riorganizza, smembra, mutila e rivende imprese, inonda il mercato di junk-bond per finanziare le
operazioni pi audaci, trasgredisce ogni regola che ostacoli la sua frenetica corsa ricorrendo
ordinariamente allinsider trading per trasformare in una giungla il mercato finanziario, insofferente a
qualsiasi manifestazione di ipocrita regolazione etica della condotta economica. Limprenditore
finanziario trova godimento nel proprio operare allo stesso modo del giocatore: scariche di adrenalina e
fredda lucidit, rischio e calcolate intuizioni. Questa passione per il guadagno e il gioco della finanza
non esaurisce la vita di Gordon: il denaro serve infatti a fare una bella vita. Gordon ha una moglie e dei
figli bellissimi, unaffascinante amante, sempre elegante nei suoi sobri vestiti di Armani, abita luoghi
impreziositi da opere darte e arredamenti ispirati da un raffinato gusto estetico, splendida la vista
delloceano che gli si stende davanti nelle luci incerte del mattino, lussuose le auto nelle quali si sposta.
Gordon insomma licona del nuovo spirito del capitalismo negli anni Ottanta, in grado di salire
rapidamente la scala sociale, ma sa anche fare uso della ricchezza coltivando il proprio piacere, la
propria immagine, i simboli del prestigio sociale, pratica con estrema propriet il linguaggio del
consumo delllite globale della societ.

Tra i personaggi creati dal cinema italiano degli anni Ottanta non troviamo nessun Gekko,
nonostante sia il decennio di crescente popolarit della borsa che porta nel mercato finanziario due
milioni di nuovi azionisti anche in Italia5. Quando il cinema rappresenta alcune figure sociali
emergenti, come ad esempio in Yuppies (1986) dei Vanzina, ne evidenzia dei tratti tipicamente nostrani:
le professioni sono solo parzialmente nuove; sul posto di lavoro continua a dominare un quieto
servilismo verso il capo formalmente ossequioso, magari un po pi furbesco e scanzonato rispetto al
caricaturale servilismo del ragionier Fantozzi, figura decisamente demod nel paesaggio sociale degli
anni Ottanta, che vede il declino delle grandi imprese centralizzate e razionalizzate che lo avevano
ospitato. Invero, questo, come gli altri film degli Ottanta, che pur fanno locchiolino alla fiorente
stagione della commedia allitaliana che aveva rielaborato criticamente limmaginario di unaltra
poderosa rivoluzione dei consumi nel nostro Paese, sembrano chiusi in un asfittico universo
autoreferenziale, nel quale i vari personaggi maschili sono intenti a perseguire un unico scopo: il
tentativo, pi o meno frustrato, di farsi la ragazza di turno. Le situazioni proposte sono stereotipate e
ripetitive, nelle localit di vacanza, siano esse mare o montagna poco importa, ritroviamo sempre ricchi
del nord, perlopi milanesi, che guardano dallalto in basso i parvenus, perlopi del sud: una distanza
sociale che viene annullata dai figli tra i quali sboccia immancabilmente lamore6. I giovani sembrano
portatori di una sincerit di sentimenti in grado di sconfiggere viete convenzioni e ipocrisie sociali,
tema narrativo di ascendenza shakespeariana che i Vanzina avevano esplicitamente ripreso ne I
fichissimi (1981), un film di ambientazione popolare. Questi ed altri temi secondari che ricorrono nei
film dei Vanzina costituiscono lossatura di un intrattenimento un po ripetitivo che non lascia spazio a
sfumature nel profilo dei personaggi, n nellindagine delle loro motivazioni ad agire, non usa le
location per aprire squarci di conoscenza, sia pure soltanto allusiva, del mondo che sta fuori dal film, e
serializza sketch o situazioni comiche dentro ad un angusto spazio narrativo. Anche in Via
Montenapoleone (1986), ambientato nel mondo della moda e della buona societ milanese, pi che
lesplorazione delle dinamiche sociali sono i sentimenti a definire i rapporti tra i personaggi anche
quando viene introdotto il tema dellomosessualit.
Del resto, il cinema non il sensore pi significativo dellintrattenimento popolare di questi
anni. Il pubblico era in declino dalla met degli anni Cinquanta, ma negli anni Ottanta si verifica un
vero e proprio tracollo: la vendita annua di biglietti diminu da 240 milioni nel 1980 a 90 nel 1990.
Disaggregando geograficamente questo impressionante dato si vede come ad esso corrisponda la
scomparsa del pubblico cinematografico dalle piccole citt di provincia. Vengono chiuse pi di 5 mila
sale, nonostante molti cinema si salvino grazie al porno, trasformandosi in sale a luci rosse, una ventina
a Roma e altrettante a Milano alla fine degli anni Ottanta. In questo quadro di profonda crisi generale,
vi un ulteriore, specifico, problema che riguarda il vistoso calo degli incassi delle produzioni italiane
rispetto a quelle americane: a inizio decennio gli incassi del cinema italiano contavano pi del 40 per
cento del totale, quelli americani circa un terzo; alla fine del decennio la quota italiana si era ridotta al
20 per cento, quella americana era salita al 70 per cento7. Si tratta perci di una crisi profonda che
riguarda linfrastruttura, il pubblico e la produzione italiana, tuttavia questo depauperamento
ampiamente compensato dalla rivoluzione che avviene in ambito televisivo che rappresenta la pi
grande fucina di immaginario del decennio: per tutti gli anni Ottanta, infatti, il pubblico del prime time
cresce costantemente.

2. Consumi culturali e pubblicit

Una fucina, quella della neotelevisione, che va costruendo un universo autoreferenziale sempre
pi chiuso, parla essenzialmente di s stessa8, mentre diviene una presenza sempre pi pervasiva nella
vita quotidiana, grazie alla moltiplicazione delle emittenti e alla dilatazione del tempo delle
trasmissioni che arrivano ad occupare tutte le ventiquattro ore della giornata, con una particolare
attenzione alla fascia pomeridiana per conquistare linteresse dei bambini con la programmazione di
serie di grandi successo come i Puffi. Con lintroduzione della televisione a colori e la liberalizzazione
delle frequenze, infatti, erano cambiati profondamente i tempi della fruizione televisiva e il loro
rapporto con la quotidianit, i palinsesti, la segmentazione del pubblico9. Si venne profilando un
duopolio nazionale che vedeva il gruppo privato Fininvest affiancarsi alla Rai, mentre un pulviscolo di
emittenti locali nascevano in quei territori di provincia dai quali abbiamo visto scomparire il cinema,
protagonisti della profonda trasformazione delle gerarchie territoriali che investe lItalia a partire dalla
crisi degli anni Settanta. Certo, si tratta di un sistema nel quale il duopolio sovrasta le emittenti locali
lasciando ad esse soltanto le briciole perch si scatena una violenta competizione tra Rai e Fininvest
centrata sui prodotti pi costosi, vale a dire le grandi star dellintrattenimento e del variet nazionali, le
fiction americane pi innovative e lo sport, con le quali i budget instabili e modesti delle piccole reti
locali non riuscivano a competere. Tuttavia, attraversando mari un po incerti, queste piccole emittenti
riescono a trovare una loro nicchia, soprattutto nel momento in cui iniziano ad offrire contenuti locali,
di cronaca e costume, capaci di catturare unattenzione nei territori nei quali sono inserite, come
ampiamente dimostrato dagli investimenti pubblicitari nelle varie reti.

Questo maggiore pluralismo nellofferta televisiva permette una rivoluzione in ambito


pubblicitario con lindividuazione sempre pi precisa di target connotati da un punto di vista socio-
culturale, di genere, di et. Se ben vero che la televisione, con Rai e Fininvest che si assomigliano
sempre pi, prosegue quellopera di nazionalizzazione del linguaggio e della cultura che era gi iniziata
negli anni Cinquanta, altrettanto vero che viene sfruttata la possibilit, data dallallargamento
dellofferta, di segmentare il pubblico in modo da renderlo pi facilmente raggiungibile dalle strategie
pubblicitarie. Da questo punto di vista anche un mezzo generalista come la televisione nazionale poteva
diventare uno strumento per assecondare e promuovere quella differenziazione degli stili di consumo
che la cifra del decennio.
La televisione fa la parte del leone nellaccaparrarsi quote della consistente crescita degli
investimenti pubblicitari che si registra durante il decennio: la spesa delle aziende per lacquisto di
spazi pubblicitari sui vari media si moltiplica per cinque, la televisione porta la sua quota sul totale dal
30 per cento a quasi il 50 per cento. La tv, insomma, conquista quote, ma in un mercato che in
espansione per tutti. Nel 1984 avviene il sorpasso tra la spesa pubblicitaria indirizzata verso la Tv e
quella allocata sulla carta stampata; ci accade sotto la spinta della televisione privata: allinizio del
decennio il 44 per cento degli investimenti pubblicitari destinati alla televisione finiva alla Rai, alla fine
soltanto il 29 per cento10. Laumento della spesa delle aziende per gli investimenti pubblicitari legata
ad una trasformazione del modello dei consumi che si profila gi verso la fine degli anni Settanta: dal
punto di vista del consumatore il fatto che un certo standard di consumi sia stato raggiunto, con i vari
elettrodomestici, lacquisto dellauto ecc., relativizza limportanza di questi settori. La dinamica del
consumo si sposta su beni per i quali il valore simbolico e la mobilitazione affettiva risultano pi
intense. Si tratta, si badi, soltanto di una maggiore intensit: anche negli anni del boom, infatti,
linvestimento simbolico nel bene di consumo era importante, tuttavia il valore aggiunto simbolico che
la pubblicit in grado di apportare al prodotto appare maggiore nelle condizioni di concorrenza degli
anni Ottanta rispetto al periodo precedente. Laltra ragione che spinge le imprese ad investire
maggiormente in pubblicit riguarda la distribuzione. La costante, seppure lenta se comparata ad altri
Paesi, crescita della presenza della grande distribuzione, infatti, porta un unalta quota di consumatori a
contatto con una maggiore variet di prodotti rispetto alla distribuzione tradizionale che in spazi limitati
poteva offrire poche possibilit di scelta. Se da un lato ci rafforza il potere delle grandi catene rispetto
alle imprese produttrici, dallaltro spinge queste ultime a cercare un contatto diretto tra il proprio
marchio e il consumatore attraverso la pubblicit, in modo da vincere la concorrenza con le imprese del
proprio settore e ristabilire una posizione di forza sul mercato che anche la grande distribuzione non
pu ignorare11.

Per tutte queste ragioni aumenta la spesa pubblicitaria, soprattutto in televisione, i quotidiani
incrementano le loro entrate pubblicitarie perch aumentano le tariffe, mentre i periodici, che risentono
pi direttamente della concorrenza televisiva sulla pubblicit, accusano il colpo. Tuttavia limmagine di
una tv che divora la stampa mi sembra fuorviante. Se andiamo ad analizzare lincidenza delle spese
pubblicitarie sul Pil, comparativamente ad altri Paesi, possiamo vedere come lItalia sia indietro negli
anni Sessanta, come questa quota addirittura regredisca nel corso degli anni Settanta e come invece poi
si riprenda con energia negli anni Ottanta. Nel 1979 la spesa pubblicitaria sul Pil in Italia met di
quella francese, un terzo di quella tedesca, un quarto di quella inglese. La televisione privata, insomma,
sembra avere occupato un vuoto che la storica debolezza della stampa italiana non era stata in grado di
coprire; ma lo pu fare perch in Italia manca una regolazione del mercato pubblicitario, cos che gli
italiani sono inondati da una quantit di spot che non ha paragoni in nessun altro Paese europeo o negli
Stati Uniti. La mancata regolazione del mercato perci non rilevante soltanto perch consente a
Berlusconi di controllare di fatto il settore televisivo privato nazionale, ma anche perch apre una
finestra pubblicitaria sulla quotidianit degli italiani che non ha paragoni a livello internazionale.
Publitalia 80, fondata nel 1979, decisiva nel successo di Berlusconi. Essa non solo rappresentava un
concorrente temibile per la Sipra nella raccolta pubblicitaria, ma offriva una serie di servizi
personalizzati al cliente che gli permetteva di realizzare la strategia pubblicitaria pi consona ai suoi
obiettivi. Al di l degli spot, vi erano interi programmi associati al prodotto con la presenza del
conduttore che diventava promotore pubblicitario dellazienda che sponsorizzava il programma. La
raccolta pubblicitaria di Publitalia supera quella della Sipra nel 1984 e da l in avanti la forbice
continuer ad allargarsi a vantaggio della societ del gruppo Fininvest.
3. Territori del consumo

Se guardiamo al lavoro e ai redditi possiamo notare come, nel corso degli anni Ottanta, la
tendenza redistributiva ed egualitaria degli anni Sessanta e Settanta si arresti e la forbice dei redditi
torni ad allargarsi. Si trattava di un riflesso della contrattazione aziendale e di una complessiva
ridefinizione del mondo del lavoro che vedeva la crescita dei piccoli imprenditori, dei liberi
professionisti, dei dirigenti di azienda e del settore pubblico. Si allargava cos unlite qualificata
professionalmente e a reddito elevato che si rivolgeva a nuovi consumi per costruire nuovi percorsi di
identificazione e distinzione. Dopo la flessione, invero abbastanza lieve, dei consumi negli anni
Settanta, gli Ottanta facevano perci registrare un incremento significativo e un mutamento
dellincidenza delle varie voci di spesa, a partire dal calo consistente degli alimentari che passavano dal
30,4 per cento al 23,5 per cento della spesa totale delle famiglie portando lItalia su valori simili a
quelli degli altri Paesi dellEuropa occidentale. Calava la quota relativa delle voci abbigliamento (che
rimase comunque pi alta degli altri Paesi europei) e, solo lievemente, anche quella per mobili ed
elettrodomestici, che dipendeva dal drastico calo nella formazione di nuove famiglie e nuclei domestici
pi che a un disinvestimento su questi beni; aumentavano infine le spese per la salute, trasporti e
comunicazioni, istruzione, tempo libero e cultura12; significativo era inoltre laumento della spesa per
labitazione.

Alla promozione di questi consumi diede un contributo importante la nuova televisione


commerciale, vale a dire, certamente, il colosso Fininvest, ma anche una miriade di Tv locali ben
insediate nei territori, in una fase nella quale si era invertita di segno, gi dalla met degli anni Settanta,
la tendenza alla concentrazione urbana che aveva raggiunto il suo apice negli anni del boom
economico. La popolazione si andava riarticolando intorno ad aree metropolitane pi ampie, nelle quali
alla caduta del nucleo corrispondeva un irrobustimento della corona metropolitana, mentre si assisteva
ad estesi fenomeni di urbanizzazione diffusa che devastavano la campagna dando luogo a nuovi
distretti produttivi. La provincia italiana nelle aree della cosiddetta Terza Italia13 si prendeva una
rivincita nei confronti dei grandi centri metropolitani che avevano guidato lo sviluppo negli anni
precedenti, alcuni dei quali, come Genova e Torino, stavano attraversando una crisi profonda. Lo
sviluppo industriale italiano stava definendo nuove gerarchie territoriali dalle quali emergevano regioni
con una crescente dotazione di ricchezza diffusa che prometteva un consistente allargamento del
mercato dei beni di consumo.

Nelle nuove Tv private vi sono alcuni programmi costruiti esplicitamente intorno alla
definizione di nuovi stili di consumo, pensiamo a Nonsolomoda che inizia nel 1983, che parla di
consumi che fanno tendenza, vestiario, arredamenti, nuove tecnologie e cinema. Era una trasmissione
indirizzata a un consumatore metropolitano abbiente, mediamente colto, inserito nel mondo delle nuove
professioni e in una koin globale del linguaggio dei consumi. Milano era la sua citt di riferimento.
Ma le reti locali e una nuova leva di televenditori puntavano invece sul mercato in espansione dei
consumatori di provincia recentemente arricchiti. Alcuni televenditori sono entrati negli annali della
storia della televisione acquisendo posizioni di primo piano in un mondo dello spettacolo nel quale la
distinzione tra show e pubblicit era definitivamente sfumata. Dalla capacit di persuasione di Wanna
Marchi, Guido Angeli, Walter Carbone, Primerano ai loro molti altri emuli che imperversavano in reti
locali minori14, il nuovo marketing imperniato sulla neotelevisione mirava ad espandere il mercato
conquistando nuove aree sociali ad un crescente interesse per la definizione del s attraverso il
consumo. Loperazione commerciale affidata ai televenditori era quella di traghettare verso lalto un
segmento di consumatori che si trovava ad avere maggiori risorse per indirizzarlo verso consumi di
prodotti generalmente standardizzati, ma che presentavano una qualche aura di distinzione sociale o la
possibilit di personalizzare parzialmente il prodotto. I generi merceologici che venivano promossi
sono indicativi di una tendenza allinvestimento sulla casa, fondamentale base patrimoniale di questi
ceti: arredamenti, caminetti, taverne, cucine componibili e salotti permettevano di valorizzare
limmobile dal punto di vista patrimoniale e soprattutto sociale, dato che in questi spazi domestici era
possibile rendere visibile la propria ascesa sociale nellincontro con il proprio gruppo di pari.

La provincia dellItalia del centro-nord lo spazio elettivo di questa nuova dinamica produttiva
e commerciale: si tratta perlopi di produttori che stanno passando dallartigianato allindustria, con
innovazioni di prodotto e una vocazione allesportazione alla quale cercano tuttavia di affiancare la
costruzione di un pi solido mercato interno15. Queste imprese di piccole o medie dimensioni si
servono delle Tv private per allargare il loro mercato: il caso di Aiazzone significativo perch si
insedia a Biella, patria della televisione privata italiana, ma pi spesso al centro di questo fenomeno vi
sono la provincia veneta, padana e romagnola. La televisione permette di raggiungere una dimensione
regionale, che talvolta rappresenta una scala ottimale per il tipo di prodotti commercializzati, ma anche
nazionale, grazie ai network che si sono realizzati tra le piccole emittenti. Il consumatore destinatario di
queste promozioni pubblicitarie abita gli stessi territori dei produttori, quella villettopoli padana16 che
presenta un modello insediativo imperniato sulle case singole o bifamiliari particolarmente adatte, per
lampia disponibilit di spazio, ad ospitare i caminetti Primerano o i mobili Aiazzone. Ma la possibilit
di promozioni commerciali a basso costo su queste reti televisive non manca di attirare lattenzione sui
generi merceologici pi disparati. Ecco allora le miracolose alghe dimagranti di Wanna Marchi, che
risparmiano la fatica dello sport garantendo comunque un rapido risultato, o, per gli uomini con
problemi di calvizie, le soluzioni di Cesare Ragazzi; o, ancora, le tute dimagranti della Nasa o i
vibromassaggi propagandati con piglio ed energia dal baffuto Roberto da Crema che poteva
alloccasione anche vendere gli economici orologi Watch, ben pi a buon mercato degli svizzeri
Swatch in gran voga in quegli anni, o gli orologi russi Raketa, sconosciuti ai pi17.

Alcuni di questi imprenditori entrano nel settore televisivo proprio per garantirsi spazi
pubblicitari a basso prezzo, a partire da Giorgio Aiazzone che negli anni Ottanta investe in pubblicit il
10 per cento del fatturato della propria azienda, una quota del tutto inusuale per le imprese italiane che,
tuttavia, gli rese possibile una rapida scalata da una dimensione locale a una nazionale. Partito
dallacquisizione della storica Telebiella, Aiazzone arriv a formare il Gruppo Aiazzone Televisivo che
controllava anche Teleradio Milano 2, Tele Jolly e Video Brianza. Ma anche chi non acquisiva
direttamente i network si trovava a disporre di ampi spazi televisivi a basso costo, tanto da poter
impostare le televendite su lunghissimi monologhi nei quali potevano trionfare le iperboli e
listrionismo di Wanna Marchi, le esagitate urla di Roberto da Crema, o la maggiore sobriet di Guido
Angeli sostenuta da slogan semplici, ma efficaci come provare per credere. Aiazzone si serviva
anche di una simpatica animazione al suono di un ritornello modulato su una canzone per bambini e
invitava a recarsi direttamente a Biella per prendere visione dellazienda e incontrare gli architetti.
Creare unatmosfera di fiducia e familiarit con lazienda era cruciale nel momento in cui il dilagare
della pubblicit televisiva allontanava fisicamente il venditore e il consumatore. Alcuni dei protagonisti
di questa stagione della pubblicit televisiva sarebbero successivamente passati agli onori delle
cronache giudiziarie, ma in quegli anni sono invece protagonisti dellindustria culturale, a riprova della
fusione ormai indistinguibile di pubblicit e spettacolo che la cifra della neotelevisione. Lindustria
dei media si accorge immediatamente dellappeal popolare dei venditori e della novit che
rappresentano dal punto di vista televisivo. Guido Angeli era ospite a Drive in, mentre programmi
davanguardia come Lupo solitario rendono queste figure oggetto di studio e di culto, su giornali e
riviste ne parlano raffinati intellettuali, Wanna Marchi viene intervistata da Maurizio Costanzo ed Enzo
Biagi. E alla fine ci credono loro stessi di essere dei personaggi e si lanciano perci in sgangherate
carriere artistiche, tanto Wanna Marchi che Guido Angeli incidono un 45 giri con dei testi basati sui
loro tormentoni televisivi, la prima incide DAccordo (1989), con limprobabile gruppo tardo synth pop
The Pommodores, il secondo, rispecchiando il suo stile pi compassato, si riallaccia invece alla
tradizione melodica italiana con Provare per credere. Angeli interpreta anche un film dal medesimo
titolo, di scarso successo, con due sex symbol degli anni Ottanta come Pamela Prati e Tin Cansino
(Provare per credere, 1987), mentre la Marchi ottiene una parte nella versione televisiva dei Promessi
sposi del trio comico Lopez-Marchesini-Solenghi (1990), nel quale interpreta la parte di una venditrice
di alghe che guariscono dalla peste.

4. Drive In

E la vera novit stava nel fatto che, a differenza di quanto succedeva nei programmi televisivi
del passato, i quarantacinque minuti della trasmissione vera e propria non erano la bella copia, il salire
quei due o tre gradini che separavano il rodaggio precedente dal risultato finale, ma una discesa, uno
scientifico abbassarsi sotto le quote dellintelligenza, della grazia, dellarguzia, dello spessore presenti
in ogni essere umano. Per questo il programma funzion cos bene, per questo fu una rivoluzione.
Drive In il primo tentativo serio di portare in Italia ci che oltre oceano stava accadendo gi da
qualche tempo ovvero cambi di scena fulminanti, sketch veloci il doppio, il triplo rispetto a quelli del
passato e presentati soprattutto come fossero spot pubblicitari18.

Drive in viene trasmessa su Italia 1 dal 1983 al 1988, inizialmente il marted, successivamente,
dato lenorme successo ottenuto, viene spostata la domenica in prima serata. La trasmissione
riprendeva lo stile di alcuni innovativi variet trasmessi dalla Rai alla fine anni Settanta, come Non-
stop (1977-1979) di Enzo Trapani o A tutto gag di Romolo Siena, basati su una serie di sketch
incalzanti; il linguaggio, insomma, non era del tutto nuovo come oggi si tende spesso a pensare. Si pu
osservare, tuttavia, che la frammentazione e la rapidit dello show rispondeva in modo originale al
ritmo degli spot pubblicitari; il flusso dello show e quello del messaggio pubblicitario potevano
fondersi in ununica narrazione secondo modalit che stavano agli antipodi di Carosello e della sua
improbabile utopia, vale a dire la separazione della pubblicit dallo spettacolo attraverso una serie di
precisi protocolli di sterilizzazione del messaggio pubblicitario.

La scenografia evocava un Drive in allamericana, nel quale si assisteva allo spettacolo dalle
auto, ma si poteva anche mangiare, serviti da vistose ragazze fast food cui erano affidati gli intermezzi
tra un pezzo di cabaret e laltro. Lideatore di questa nuova trasmissione di successo era Antonio Ricci,
un giovane autore di Albenga che aveva iniziato la sua carriera con una fruttuosa collaborazione con il
comico emergente Beppe Grillo che dal cabaret genovese era approdato alla televisione con programmi
fortunati come Te la do io lAmerica (Rai 1, 1981)19. Ricci entr poi a far parte del laboratorio creativo
di Fininvest con la possibilit di realizzare una trasmissione dirompente dal punto di vista del
linguaggio e dei contenuti, basata sulla comicit demenziale di una galleria di personaggi interpretati da
giovani cabarettisti che inaugurarono fortunate carriere televisive20 e dalla prorompente presenza fisica
delle ragazze fast food. Su questa trasmissione, e sul suo autore che negli anni successivi avrebbe
proseguito una brillante carriera nelle televisioni berlusconiane con trasmissioni di travolgente successo
come Striscia la notizia, negli ultimi anni si acceso un dibattito piuttosto acceso, come testimoniano
gli estratti del romanzo di Nicola Lagioia e il blog di Piero Ricca, autore di una mordace intervista allo
stesso Ricci. Scrive Ricca:

Da oltre ventanni attendevo lincontro con Antonio Ricci: da quando, tornando a scuola dopo
la domenica sera di Drive In, constatavo allibito che quasi tutti i miei compagni di seconda media
ripetevano in coro i versi e le battute dellavanspettacolo trash. Intuivo in quellappiattimento del
linguaggio, in quellomologazione dellimmaginario la violenza del regime mediatico. Un regime
affabile e spensierato che ha prodotto la platea del partito padronale della libert. La famosa
audience: masse desideranti attirate a milioni con barzellette quiz e tettone, i generi trainanti21.

Drive in viene perci posta allorigine di una mutazione antropologica iniziata dalla
neotelevisione commerciale che avrebbe reso gli italiani una massa di consumatori passivi, confinati in
una dimensione domestica la cui unica apertura era rappresentata dal mondo di sogni proiettato dalla
tv: su questa trasformazione si sarebbe costruito il berlusconismo nei due decenni successivi.

Ma il rischio di una deriva verso un populismo mediatico e dellisterilimento dellhumus della


societ civile che si annidava in questi orientamenti della cultura di massa era percepito anche dai
contemporanei? O si tratta piuttosto di una ricostruzione ex post che, non a caso, si manifesta con forza
proprio nella fase terminale del berlusconismo, quando si guarda indietro a ricercarne le origini? Se
proviamo ad iniziare una prima esplorazione sui media del tempo troviamo posizioni piuttosto
variegate nella percezione del programma, prive di chiare linee politiche di appartenenza. Il poeta
Giovanni Raboni apprezzava la trasmissione per la comicit demenziale e la deliberata stupidit, che
aveva il merito di rendere evidente che la televisione non serviva ad altro che a offrire un momento di
evasione, occupando uno spazio ben distinto dal dominio della cultura e del sapere, territori riservati,
secondo Raboni, alla parola scritta22. Umberto Simonetta, che di comicit se ne intendeva, trovava
invece un po imbarazzante vedere gente adulta divertirsi smodatamente di fronte al gergo
giovanilistico della maggior parte dei personaggi23. Nessuno dei due, tuttavia, sembrava turbato
dalluso del corpo femminile che si faceva nel programma, cosa che sarebbe invece poi stata al centro
della critica pi recente. Ma neppure una voce femminile, quale Maria Novella Oppo, per anni
giornalista che seguiva televisione e spettacolo per lUnit, sembrava particolarmente turbata dalla
coreografia di corpi femminili che definivano lestetica del programma: presentando la nuova serie di
Drive in nel 1985 si limitava ad un divertito riferimento alle natiche surreali delle ragazze del fast
food24. Un mese dopo lUnit intervistava Antonio Ricci, interrogandolo sulle ragioni del successo
del programma che lautore attribuiva alla forza di demistificazione del mezzo televisivo e a un
linguaggio stratificato capace di raggiungere molteplici nicchie di pubblico25.

La popolarit, era probabilmente questa la ragione che spingeva il quotidiano del primo partito
della sinistra a mostrarsi cos favorevolmente disposto nei confronti dellinvenzione televisiva di Ricci.
Il quale, in quello stesso 1985, era riuscito in unoperazione che rafforzava il suo insediamento tra il
pubblico di sinistra: traghettare in tv Bobo, il comunista toscano nato dalla penna di Sergio Staino che
ne pubblicava le strisce su Linus gi da diversi anni. A interpretare Bobo cera niente di meno che
Paolo Pietrangeli, uno dei maestri della canzone di protesta in Italia, autore di Contessa, uno degli inni
degli anni della contestazione. Staino dichiarava che il problema maggiore era stato quello di passare
dalle strisce di carta alla televisione, vale a dire un problema di linguaggio e costruzione narrativa e che
non vi era certo invece alcun imbarazzo nei confronti del programma:

ho avuto qualche perplessit, non certo sul programma che mi attrae e mi diverte molto, perch
in fondo significa fare i conti con il grande pubblico, il pubblico vero, quello dei grandi numeri. La mia
paura era di non riuscire a trasferire un personaggio nato sulla carta in tre dimensioni e in un linguaggio
sconosciuto per me come quello televisivo26.

Nonostante qualche lettera di protesta fosse giunta a Staino su lUnit, e soprattutto su


Linus, questo non gli aveva fatto cambiare giudizio, n lo aveva distolto dalle sue intenzioni.
5. Donne e genere nel mediascape degli anni Ottanta

Le ragazze fast food che circolano nello studio di Drive In sono seminude perch la loro
principale funzione quella di mostrare il proprio corpo e ammiccare ai voraci sguardi maschili tra una
battuta e un doppio senso. I loro corpi si offrono allo sguardo con generosa disponibilit creando una
maggiore intimit e confidenza con lo spettatore rispetto alle inarrivabili top model, altra icona
femminile degli anni Ottanta, che ondeggiano sicure, con fredda e calcolata aggressivit, sulle
passerelle delle sfilate di alta moda. Le scenografie delle sfilate rinviavano alla ricerca figurativa e
musicale davanguardia del tardo Novecento, le ragazze fast food sono invece pi popolari appunto,
dentro a unatmosfera festosa da sagra di paese. Alte e slanciate, hanno gambe lunghe e seni
prorompenti e accentuano le curvature del corpo con sapienti movenze. Tra di esse emergono alcune
figure che hanno pi spazio delle altre, come, in momenti diversi della storia del programma, le
straripanti Carmen Russo e Tin Cansino, le maliziose Lory Del Santo ed Eva Grimaldi, lesotica
Johara.

Sandra Puccini ha analizzato queste figure femminili riportandole a due distinti modelli estetici:
la bambola barbie e le donne falliche che popolano i fumetti a sfondo sadomaso che hanno un discreto
successo gi dagli anni Sessanta27: Isabella (1966-76), disegnata da Sandro Angiolini che si ispir al
personaggio di Angelica, protagonista del fortunato ciclo romanzesco dei coniugi Golon; Lucrezia,
vagamente ispirata al personaggio storico di Lucrezia Borgia; o, ancora, dark lady decisamente pi
malvagie come Satanik, i cui tratti si andranno tuttavia lentamente addolcendo nel corso della sua lunga
vita virtuale (1964-1974). Tra gli anni Settanta e Ottanta, il genere si fece pi ardito con lintroduzione
di bellissime vampire in contesti porno-horror, decisamente pi audaci di quelli della generazione
precedente. Le protagoniste di questi fumetti prendevano le sembianze di volti celebri dello spettacolo:
Jacula (1969-1982) prendeva il volto di Patty Pravo, Zora la Vampira (1972-1985) di Catherine
Deneuve e Sukia (1977-1988) di Ornella Muti.

Tutte costoro, e molte altre pi effimere presenze nella vivace scena editoriale del fumetto per
adulti di quegli anni, presentano indubbiamente fattezze simili a quelle delle ragazze fast food, tuttavia
mi sembra che il contesto iconografico e narrativo nel quale sono inserite sia profondamente diverso,
per certi aspetti opposto. Anzitutto sono protagoniste e non elementi coreografici di una narrazione che
non le riguarda, ma soprattutto sono parti attive di una dinamica sadomasochistica che le vede subire,
ma pi spesso esercitare violenza. Dentro ad atmosfere che rinviano allimmaginario neogotico
ottocentesco, queste malvagie vampire si trovano coinvolte in una strenua lotta nella quale seduzione,
sesso e violenza sono di volta in volta mezzi per sopravvivere, strumenti per perseguire i propri scopi o
semplicemente espressioni di un desiderio. Se vogliamo rintracciare queste atmosfere e tensioni
erotiche nel cinema degli anni Settanta, dobbiamo rivolgerci ai sotto generi dellexploitation, come i
nazi erotici o i women in prison film o ai B-movie con respiro autoriale, come quelli di Jess Franco che
avevano illustri predecessori in Roger Corman e Russ Meyer. Alla fine degli anni Settanta la contiguit
tra alcuni generi dellexploitation, del cinema erotico e di quello pornografico era molto stretta sia sul
versante produttivo, quello degli attori, dei registi, dei tecnici, sia su quello della fruizione perch erano
film che venivano programmati nelle sale normali. Uno dei registi pi emblematici di questa temperie,
Andrea Bianchi, con la realizzazione di Malabimba (1979), una rivisitazione erotico-pornografica del
fortunatissimo Lesorcista che mescola il genere horror-erotico con, almeno una, scena apertamente
pornografica, rappresenta il canto del cigno di una stagione che con gli anni Ottanta si sarebbe
definitivamente interrotta. Il cinema pornografico, infatti, si afferm decisamente grazie alle sale a luci
rosse che invasero la citt e la provincia italiana, e, nel corso del decennio, con la diffusione delle
cassette Vhs che consentirono la comoda fruizione domestica della pornografia28. Ma se da un lato il
definitivo affrancamento del cinema pornografico rappresentava lapertura di uno spazio di fruizione di
un genere di consumo che incontrava una pressante aspirazione del pubblico, di una certa consistenza
se si guarda al numero di sale a luce rossa che vengono aperti in un breve volgere di anni, dallaltro
separava completamente questo circuito dalla normale programmazione ponendo termine a
quellintreccio di generi che era stato caratteristico del cinema italiano degli anni Settanta. Se il porno
approdava ai sicuri lidi del circuito a luci rosse, corpi femminili esibiti in modo pi soft passavano
perlopi sul piccolo schermo, che piazzava in seconda serata la trasmissione di buona parte della
produzione exploitation e della commedia erotica degli anni Settanta, ma soprattutto rinnovava il
variet con una costante e crescente presenza di svestiti corpi femminili a fare da ornamento29.

Nel passaggio dagli anni Settanta agli anni Ottanta, luso del corpo femminile nellindustria
culturale sembra insomma modificarsi sensibilmente e percorrere strade diverse: da un lato, il porno
diviene un circuito autonomo e separato; dallaltro, nel piccolo schermo lesibizione di corpi femminili
poco vestiti diviene progressivamente la norma che dal variet si allarga alle trasmissioni sportive e ai
pi innocui programmi di intrattenimento; in declino appare invece il cinema erotico con velleit
autoriali prodotto per il grande schermo, se si eccettua la fortuna di Tinto Brass. Che tipo di mutamento
sembra segnalare questo passaggio? Se lasciamo da parte il cinema porno, rispetto al quale il dibattito
sulla posizione di potere/soggezione delle donne tuttora assai aperto anche in ambito femminista, per
quanto riguarda limmagine delle donne nel piccolo schermo sembra di assistere effettivamente ad una
regressione o a uninversione di tendenza rispetto al decennio precedente. Un filone fortunato, come
quello della commedia erotica degli anni Settanta, aveva introdotto un mutamento nei rapporti di
genere. Le donne vi erano s rappresentate come oggetti del desiderio maschile e sembravano recitare la
loro parte con relativa docilit, tuttavia, non di rado, nel corso della narrazione si trasformavano
facendo emergere una certa intraprendenza o quantomeno uninattesa capacit di resistenza e
negoziazione sulla base del proprio desiderio e orientamento30. Queste commedie mettevano inoltre in
scena, attraverso limmagine della defaillance sessuale, che poteva addirittura tramutarsi in un fantasma
di castrazione, una crisi di virilit, angosciata da questa nuova postura femminile.

Ora, non si tratta tanto di scorgere dietro alle rappresentazioni della femminilit nel fumetto
sadomaso o nelle commedie erotiche una maggiore presenza di soggettivit delle donne: allorigine di
quelle immagini vi era infatti pur sempre uno sguardo maschile che tendeva a conformare limmagine
femminile secondo il proprio desiderio31. Si tratta di assumere una nozione di genere complessa e
conflittuale, che muta nel tempo e in base alle posizione sociale, per decostruire i regimi scopici che la
sorreggono. solo su questo piano dellesplorazione dei fantasmi dellidentit di genere che acquista
un senso lanalisi delle rappresentazioni, non certo al fine di contrapporre a delle donne fittizie delle
presunte donne reali32. Ecco allora che quelle rappresentazioni della femminilit testimoniano
uninquietudine e unincertezza che si proiettano sulla definizione di s del genere maschile. Queste
incertezze sembrano invece dileguarsi di fronte alle ragazze fast food, anni luce lontane dalle femme
fatale e dalle vampire dellimmaginario erotico degli anni Settanta, ma anche dalla pi prudente e
comprensiva soggettivazione del desiderio delle protagoniste della commedia erotica anni Settanta. La
loro statica postura e limmancabile sorriso le rendono piuttosto affini, su ci il richiamo della Puccini
mi sembra opportuno e acuto, alla plastica serenit dellalgida Barbie che nel corso del tempo aveva
modificato sensibilmente il suo fisico per presentarsi alla fine degli anni Settanta con labbra carnose,
seno eretto e lunghissime gambe che poggiavano su vertiginosi tacchi a spillo: la novit di Barbie era la
pronunciata sessualizzazione del suo disegno rispetto alle bambole tradizionali.

Pur essendo quasi private delluso della parola, le ragazze fast food davano una forte impronta
estetica allo spettacolo e assumevano un atteggiamento seduttivo e autocompiaciuto della propria
avvenenza. In questo modo introducevano una discontinuit rispetto alle vallette, donne sempre carine
e curate, ma mai eccessive e soprattutto chiaramente subordinate al presentatore nel ruolo di compite
segretarie. Le ragazze fast food invece prendevano la scena non con la parola, n grazie ad una qualche
capacit artistica, ma semplicemente attraverso il proprio corpo.

Il programma disegnava cos unimmagine nuova della presenza femminile nel piccolo
schermo, grazie alla quale si poteva emergere senza alcuna professionalit, semplicemente mettendosi
in mostra. La neotelevisione apriva una piccola nicchia di mercato del lavoro per avvenenti fanciulle,
un mercato fatto di presenze e partecipazioni pi o meno marginali dietro le quali si agitava comunque
il miraggio di una pi stabile affermazione. Per quanto si trattasse di presenze effimere e impersonali,
esse divennero un elemento ornamentale costante della nuova estetica televisiva. Per aspirare a queste
carriere, o anche semplicemente per stare al passo nella vita con queste presenze che sembravano
capaci di colonizzare limmaginario erotico maschile, occorreva conformare il proprio corpo a quegli
standard. Non a caso gli anni Ottanta sono il decennio della liposuzione33 e pi in generale di una
popolarizzazione della chirurgia estetica come strumento per modellare il proprio corpo e renderlo
conforme al modello estetico dominante.

Nella fase di maturazione del proprio corpo, le adolescenti degli anni Ottanta si trovavano
perci a confronto con modelli di promozione di s che presentavano corpi un po iperbolici come
strumento di affermazione sociale. Spesso questo confronto era frustrante e quei modelli inarrivabili,
non solo quello delle ragazze in Tv, ma anche la bellezza fredda, talvolta un po androgina, delle
ragazze che sfilavano in passerella o apparivano sulle copertine dei rotocalchi molto glam che
caratterizzano il decennio.

Le pressioni normative verso i giovani maschi erano certamente pi deboli perch nella
promozione della propria immagine sociale si ammettevano pi facilmente altre qualit rispetto
allapparire, tuttavia i tempi stavano cambiando anche per loro rispetto allandazzo un po casual,
quando non intenzionalmente trascurato, degli anni precedenti, come testimonia la nascita di un nuovo
genere di riviste maschili come Max (1985). Di nuovo, i giocattoli rivolti ai bambini sono rivelatori
di questi passaggi: il fidanzato di Barbie, Ken, aveva una complessione solida e ben proporzionata,
mentre negli anni Settanta aveva fatto breccia anche in Italia Big Jim che poteva lanciarsi in audaci
avventure grazie a un corpo palestrato. Modellare il corpo diventava perci un dovere e sulla pratica
sportiva si apriva un campo di consumo in vertiginosa espansione, quello dedicato alla cura del corpo,
alla frequentazione delle palestre e allesercizio sportivo che divent un fiorente settore della cultura
commerciale contemporanea34. La pratica giovanile degli sport crebbe considerevolmente, ormai ben al
di fuori dei tradizionali ambiti del ciclismo e del calcio, riguardando pi gli uomini che le donne,
mentre lesercizio fisico vedeva pareggiarsi la differenza di genere. il decennio di diffusione
dellaerobica anche in Italia, promossa dalla nuova televisione commerciale, nella quale lesercizio
fisico salutista, lascolto della musica e la danza si fondono nel desiderio di modellare un corpo
slanciato e attraente; i maschi, invece, per migliorare il loro aspetto si rivolgevano al body building. Il
fitness testimonia di un nuovo rapporto con il corpo che si definisce tra pressioni normative,
particolarmente severe nei confronti delle donne che devono adeguarsi allo standard scopico definito
dal dominante sguardo maschile, e ambizioni di soggettivazione attraverso il proprio corpo che la
sociologia pi in voga nel decennio riporta allesigenza di validazione esterna del s attraverso la fisica
presentazione in pubblico, in altri termini alla cultura del narcisismo35.

Tutto ci ha rappresentato una restaurazione di gerarchie di genere erose e contestate negli anni
Settanta? Riguardo alla neotelevisione, etichetta che riguarda tanto i canali privati che quelli pubblici,
credo si possa rispondere provvisoriamente di s. Ci che sembra invece pi complicato da sostenere
lesistenza di una genealogia che da Drive In conduce allegemonia berlusconiana e a un mutamento
antropologico del quale lespressione in termini di genere sarebbe lutilizzo mercificato e la
passivizzazione del corpo femminile. Quelli citati non sono infatti gli unici modelli di identificazione
fisica per le adolescenti degli anni Ottanta. La centralit del corpo era legata anche alla danza con la
diffusione della disco music e lapertura di un nuovo spazio di sociabilit giovanile, le discoteche, ed a
una generazione di icone pop tra le quali spiccano modelli imperniati su una pervasiva presenza
corporea esibita sul palco o nei videoclip, in primo luogo Madonna e Michael Jackson. Queste
performance richiedevano abilit, allenamento e uneccellente condizione fisica e rinviavano ad un
immaginario di successo nello spettacolo costruito con impegno e fatica ben restituito nel film di Alan
Parker, Saranno famosi (1980).

Ma vi sono poi altri esempi di donne mediatiche di bellaspetto coniugato con la competenza
professionale: fanno infatti la loro comparsa le giornaliste televisive che entrano in un contesto che fino
a quel momento era stato saldamente in mano maschile. Si tratta dellevidenza mediatica di un processo
pi ampio che vede le donne conquistare posizioni nel mercato e nella sfera pubblica. Anche alla
direzione delle riviste femminili si affermano le donne, sebbene proprio quelle riviste diventino sempre
pi il megafono delle tendenze della moda che ne controlla gli orientamenti attraverso le inserzioni
pubblicitarie36. Londa lunga della mobilitazione femminista aveva lasciato insomma tracce vistose e,
sebbene stesse rifluendo nelle sue manifestazioni pi militanti, poteva riattivarsi quando alcune
conquiste venivano minacciate, come dimostr lesito del referendum sulla proposta di abrogazione
della legge sullaborto, promosso dal Movimento per la vita nel 1981 e sonoramente bocciato dal 68
per cento dei votanti.

Quello che sembra emergere dagli anni Ottanta insomma un quadro complesso della societ
italiana, nella quale le fratture di genere e generazione non sono sufficienti a rendere intelligibile una
mappa che sembra sempre pi complicata da differenti modalit di identificazione e appartenenza.
Proprio nel momento in cui tramontava il linguaggio politico di classe per la rappresentazione dei
conflitti, inoltre, si manifestavano chiari segni che le disuguaglianze sociali stavano crescendo,
differenziando ulteriormente la societ.

Se indubbio, insomma, che si vengano profilando elementi che andranno poi a costituire il
mondo berlusconiano, qualunque cosa con ci si voglia intendere37, parimenti vero che si verr
formando un fronte antiberlusconiano altrettanto forte. Queste posizioni tuttavia si coagulano nel corso
degli anni Novanta, mentre mi sembra che le tendenze al cambiamento degli anni Ottanta vadano
restituite a quel decennio. Esso rappresenta certamente un momento di svolta culturale della nostra
storia recente, ma non riducibile alla lettura binaria condotta con le lenti degli anni Novanta, quando
si determin una situazione che aveva i propri presupposti nelle conseguenze del 1989 e nelle scelte
politiche di una classe dirigente inadeguata che non era stata in grado di operare interventi di governo
allaltezza delle sfide poste da una societ che si articolava attraverso nuovi linguaggi, ponendosi
nuove aspettative e domande. Il periodo successivo andrebbe perci compreso alla luce delle scelte che
i vari attori in campo operarono nella crisi politica degli anni Novanta, piuttosto che come una sorta di
naturale derivazione delle trasformazioni culturali intervenute negli anni Ottanta.

1. Cfr. S. Colarizi (a cura di), Gli anni Ottanta come storia, Rubettino, Soveria Mannelli 2004;
M. Gervasoni, Storia dItalia degli anni Ottanta. Quando eravamo moderni, Marsilio, Venezia 2010;
cfr. anche S. Colarizi e M. Gervasoni, Per una storia della seconda Repubblica, in Mondoperaio, n.
6, 2010, pp. 49-53.

2. Cfr. G. Crainz, Autobiografia di una repubblica. Le radici dellItalia attuale, Donzelli, Roma
2009; G. De Luna, Le ragioni di un decennio. 1969-1979 militanza, violenza, sconfitta, memoria,
Feltrinelli, Milano 2009.

3. Cfr. A. Gibelli, Berlusconi passato alla storia. LItalia nellera della democrazia autoritaria,
Donzelli, Roma 2010; G. Santomassimo, Leredit degli anni Ottanta. Linizio della mutazione, in P.
Ginsborg ed E. Asquer (a cura di), Berlusconismo. Analisi di un sistema di potere, Laterza, Roma-Bari
2011, pp. 3-14. Per una contestualizzazione europea del passaggio storico degli anni Ottanta, cfr. P.
Capuzzo (a cura di), Gli anni Ottanta in Europa, in Contemporanea, n. 4, 2010, pp. 697-718, con
interventi di R. Vinen, L. Raphael, G. Gozzini, M. Gervasoni.

4. Testi seminali di questa nuova tendenza storiografica sono stati quelli di N. McKendrick, J.
Brewer, J.H. Plumb, The Birth of a Consumer Society. The Commercialization of Eighteenth-century
England, London, Europa, 1982 J. Brewer and R. Porter (eds) Consumption and the World of Goods,
Routledge, London 1993. Per un bilancio storiografico di lungo periodo sulla storia dei consumi in
Europa, cfr. P. Capuzzo, Culture del consumo, Il Mulino, Bologna 2006.

5. Cfr. G. Gozzini, La mutazione individualista. Gli italiani e la televisione 1954-2011, Laterza,


Roma-Bari 2011, p. 118.

6. Si vedano ad esempio Vacanze di Natale (1983) e Sapore di mare (1983), questultimo


peraltro ambientato in Versilia negli anni Sessanta, ma con anacronismi in termini di linguaggio verbale
e del corpo che ci permette di collocarlo tranquillamente negli anni in cui stato realizzato.

7. I dati sono tratti dallAnnuario Siae del 1990.

8. Come non manca di notare un lucido osservatore coevo come U. Eco, TV: la trasparenza
perduta, in Sette anni di desiderio, Bompiani, Milano 1983, pp. 163-79.

9. Sulle trasformazioni della televisione italiana seguita allingresso dei privati nel settore, cfr.
P. Ortoleva, Un ventennio a colori. Televisione privata e societ in Italia 1975-1995, Giunti, Firenze
1995.

10. Cfr. G. Gozzini, La mutazione individualista. Gli italiani e la televisione 1954-2011, cit., pp.
94 e ss.

11. Cfr. A. Pilati, La pubblicit dei mezzi di comunicazione, in V. Castronovo e N. Tranfaglia (a


cura di), La stampa italiana nellet della TV, Laterza, Roma-Bari 1997 (1994), pp. 237-270.

12. A. Signorelli, Introduzione allo studio dei consumi, Angeli, Milano 2005, pp. 271-73 e p.
292 e ss. Il confronto con gli altri Paesi basato su dati Ocse.

13. Cfr. A. Bagnasco, Tre Italie. La problematica dello sviluppo territoriale italiano, Il Mulino,
Bologna 1977.

14. Cfr. A. Grasso, Storia della televisione italiana, Garzanti, Milano 2004, pp. 436-38.
15. Cfr. S. Brusco e S. Paba, Per una storia dei distretti industriali italiani dal secondo
dopoguerra agli anni novanta, in F. Barca (a cura di), Il capitalismo italiano. Storia di un
compromesso senza riforme, Donzelli, Roma 1997.

16. P. Cervellati, Architettura: il trionfo di Villettopoli, in Il Mulino, n. 4, 1997, pp. 580-588.

17. Per alcuni cenni storici sul multiforme universo delle tv locali negli anni Ottanta, cfr. A.
Grasso, La TV del sommerso. Viaggio nellItalia delle tv locali, Mondadori, Milano 2006, pp. 12 e ss.

18. N. Lagioia, Riportando tutto a casa, Einaudi, Torino 2009, p. 24.

19. Cfr. lintervista a Ricci di S. Robiony, Venne Ricci e cre Drive in, in La Stampa, 20
aprile 1986, p. 25.

20. Alcuni dei protagonisti del programma come DAngelo, Beruschi, Teocoli, Boldi avevano
gi una breve carriera alle spalle, ma per altri la trasmissione funzion da vero e proprio primo lancio
come per Greggio, Faletti, Salvi.

21. http://www.pieroricca.org/2008/05/22/antonio-ricci/

22. Lo scrive nel 1986, cit. da A. Grasso, Storia della televisione italiana, cit., p. 401.

23. Ivi, p. 402.

24. M.N. Oppo, Drive in contro Drive in, in lUnit, 29 settembre 1985, p. 14.

25. Intervista ad Antonio Ricci in lUnit, 26 ottobre 1985, p. 23.

26. Intervista a Staino in lUnit, 30 novembre 1985, p. 9.

27. S. Puccini, Nude e crudi. Femminile e maschile nellItalia di oggi, Donzelli, Roma 2009.

28. Per una ricostruzione dellavventurosa nascita del cinema porno in Italia, cfr. A. Di Quarto e
M. Giordano, Moana e le altre. Ventanni di cinema porno in Italia, Gremese, Roma 1997. Per una
classificazione dei generi e uninterpretazione complessiva, cfr. P. Adamo, Il porno di massa. Percorsi
dellhard contemporaneo, Cortina, Milano 2004.

29. Lapice del voyeurismo casereccio raggiunto dal programma Colpo grosso, condotto da
Umberto Smaila su Italia 7 che and in onda sul finire del decennio.

30. Lungo questa linea interpretativa si veda lanalisi di Giacomo Manzoli, Italians do it worse.
La crisi della mascolinit nella commedia erotica italiana degli anni Settanta, La valle dellEden,
19, 2007, pp. 156 167. Propendono invece per un rapporto di continuit tra i modi di
rappresentazione del femminile della commedia erotica degli anni Settanta e la neotelevisione degli
anni Ottanta sia Elisa Giomi, cit., sia Olivia Guaraldo, (In)significante padrone. Media, sesso e potere
nellItalia contemporanea, in C. Chiurco (a cura di), Filosofia di Berlusconi. Lessere e il nulla
nellItalia del cavaliere, Verona, ombre corte.
31. La nozione di sguardo maschile rinvia ad un celebre saggio sul cinema hollywoodiano di
Laura Mulvey, Piacere visivo e cinema narrativo, in Nuova DWF, n. 8, 1978, pp. 26-41; sebbene
oggi la rappresentazione binaria dei rapporti di genere sulla quale si fondava sia stata riconsiderata
criticamente; sul percorso intellettuale della Mulvey si veda la sua illuminante conversazione con
Roberta Sassatelli in R. Sassatelli, Sguardi maschili, creativit femminili e tecnologie visuali. Un
dialogo con Laura Mulvey, in Studi culturali, n. 2, 2009, pp. 217-39.

32. Che sembra invece lobiettivo di Lorella Zanardo nel suo film Il corpo delle donne (2009)
che denuncia la mercificazione del corpo femminile nella televisione commerciale, cfr. in proposito le
osservazioni di A. Gribaldo e G. Zapperi, Che cosa vogliono quelle immagini da me? Genere,
desiderio e immaginario nellItalia berlusconiana, in Studi culturali, n. 1, 2010, pp. 71-78.

33. Cfr. R. Ghigi, Per piacere. Storia culturale della chirurgia estetica, Il Mulino, Bologna
2008, pp. 87 e ss.

34. Cfr. R. Sassatelli, Anatomia della palestra. Cultura commerciale e disciplina del corpo, Il
Mulino, Bologna 2000.

35. Cfr. C. Lasch, La cultura del narcisismo. Lindividuo in fuga dal sociale in unet di
disillusioni collettive, Bompiani, Milano 1981.

36. Cfr. L. Lilli, La stampa femminile, in V. Castronovo e N. Tranfaglia (a cura di), La stampa
italiana nellet della TV, cit., pp. 359-408.

37. Vi un dibattito in corso sul quale fa opportunamente il punto F. Dei, Poppolitica: le basi
culturali del berlusconismo, in Studi culturali, n. 3, 2011, pp. 471-489; cfr. anche M. Panarari,
Legemonia sotto culturale. LItalia da Gramsci al gossip, Einaudi, Torino 2010.
Gli schermi
non pi opachi
di Vito Zagarrio

Il contesto degli anni Ottanta lItalietta craxiana, quella della Milano da bere che sfocer
presto in Tangentopoli, un Paese destabilizzato dalla profonda rivoluzione della scena mondiale:
dalla caduta del comunismo alle tensioni etniche alle guerre balcaniche alle grandi migrazioni, il
mondo sta cambiando. In relazione a questo grande scenario millenaristico, in questo finale del
secolo breve, il cinema italiano poca cosa. Ma merita rispetto, e merita soprattutto una rilettura
attenta, dal punto di vista storico e culturale, perch l che possiamo trovare le chiavi di lettura
delloggi, in questi anni contraddittori che possiamo vedere in nuce la formazione dellidentit del
cinema italiano degli anni 2000.

Gli anni Ottanta cinematografici sono passati alla storia come quelli degli schermi opachi1:
dominato dallurgenza di uscire dalla crisi del mercato cinematografico, il cinema italiano degli anni
80 sembra muoversi privo di certezze; gli autori lavorano in condizioni difficili, spesso costretti a
diventare produttori di se stessi, senza guide n maestri riconosciuti; produzione finanziaria e creativa
paiono incartati e tutto il comparto-cinema entra dentro un tunnel apparentemente senza uscita. I film,
piu che delle radiografie della societa, sembrano delle baluginanti ecografie dice Enrico Magrelli
in un convegno allinizio del decennio successivo2. Gli schermi opachi diventano dunque una
formula di comodo e un intero decennio rischia di venire buttato via dagli storici del cinema, rimosso
con una facile equazione. Ma questo anche il periodo in cui si impone il genio di Moretti e Benigni,
in cui esordiscono o emergono definitivamente registi come Archibugi, Piscicelli, Soldini, mentre
Maestri affermati come Bertolucci, Monicelli, Scola, Antonioni e Fellini ribadiscono la loro vitalit
nonostante tutto.

In questo saggio vorrei dunque provare a ragionare senza preconcetti sugli anni Ottanta,
rivedendone dinamiche produttive e autoriali e, cercando di coglierne lidentit, in un momento storico
fondamentale di transizione. Una nozione ambigua, certo, quella di transizione, che nel cinema si
continua ad applicare nella speranza di una mutazione profonda o di una sempre rimandata rinascita3,
ma che per gli anni Ottanta sembra calzare particolarmente: la transizione dal grande cinema
italiano (quello neorealista e post-neorealista, quello degli autori, del cinema civile e della commedia
allitaliana) alla cultura della crisi ma anche, alla fine, a una nuova generazione e a un nuovo modello
produttivo e identitario di cinema.

Serve innanzitutto una periodizzazione: se il xx secolo il secolo breve, per usare la fortunata
formula di Hobsbawn4, compreso com tra lo scoppio della Prima Guerra Mondiale e il crollo del
comunismo, anche gli anni Ottanta possono finire con la caduta del Muro di Berlino, oppure adottare il
terminus ad quem dello storico inglese, il 1991, che sconfina nei Novanta per colpa della Guerra Civile
jugoslava. Il 28 giugno del 14 a Serajevo viene assassinato larciduca Francesco Ferdinando e scoppia
la Grande Guerra; il 28 giugno di quasi settantanni dopo, nel 1992 dice Hobsbawn il presidente
francese Mitterand parla nella stessa Serajevo, martoriata dalla guerra, per invocare una nuova e
duratura pace. Tra quelle due date si inscrive un secolo e un mondo che non sarebbe mai stato lo
stesso5.

Il terminus a quo da cui far partire gli anni Ottanta cinematografici, invece, pu essere
individuato un po a monte, nel 1976. la data della famigerata sentenza della Corte Costituzionale che
sancisce la liberalizzazione delletere: da l che parte la lunga crisi del cinema italiano, ed da l che
comincia, daltra parte, la lunga trasformazione delluniverso iconico (almeno a livello nazionale) che
dura sino a tuttoggi. In questa mia proposta di periodizzazione, dunque, rientrano nellimmaginario e
nellidentit degli anni Ottanta Immacolata e Concetta, laltra gelosia di Piscicelli, che mi capitato di
definire come i prodromi del nuovo cinema6, ma anche Mediterraneo di Salvatores, inno postumo
alla generazione del 68, e La voce della luna di Fellini, opera finale di un grande vecchio, ma anche
film giovanile e visionario nella sua delirante sperimentazione e nei suoi messaggi.

Ma andiamo per ordine, vediamo quali siano i termini della crisi o della transizione, quali film
restino oggi nella storia di quel decennio e quale sia poi la svolta generazionale che trasforma
limmagine stessa del cinema italiano.

Ma cos questa crisi?

Fare il consuntivo degli anni Ottanta significa inevitabilmente intervenire sulloggi. A una
tavola rotonda di Pesaro7, Lino Miccich parlava di un cinecidio perpetratosi negli anni Ottanta, che
si riverberava nello scenario dei Novanta. Non che non ci siano state opere sparse diceva il critico ,
n che non ci siano stati nuovi fenomeni, come i cosiddetti malincomici, n che sia mancata una leva
attoriale. C stata, invece, una guerra dei media, ed rimasto sul terreno un cadavere: il cinema. Sino
alla stagione 75-76 il consumo medio di cinema era di 535 milioni di biglietti annui, ricordava
Miccich, e questo dato significa che ogni italiano andava al cinema nove, dieci volte lanno, che la
percentuale del cinema italiano era tra il 59 e il 60 per cento: di quei 535, 330 andavano al cinema
italiano. Alla fine degli anni Ottanta gli spettatori cinematografici erano invece meno di 100 milioni;
questo vuol dire che ogni italiano andava al cinema l,8 volte allanno. La domanda di cinema italiano
era diminuita di 1/5 dallinizio degli anni Settanta. Lorigine, secondo Miccich, andava cercata
nellestate del 76, quando, dopo la sentenza della Corte Costituzionale, erano nate le televisioni e le
radio private, un clima di de-regulation, anzi di a-regulation, una sorta di giungla mediologica.

A questo male strutturale si accompagnava una crisi molto pi profonda: i registi italiani erano
abituati a una trasparenza delle cose, a una realt dove enunciare significava denunciare; il reale
aveva la forza di parlare da solo, e quel reale aveva una carica talmente esplosiva che la sua
rappresentazione poteva sembrare automaticamente la soluzione del problema. Negli anni Ottanta,
invece, si complicano i nodi del reale, non basta pi far vedere perch si veda davvero. Se proviamo a
fare unecografia del cinema degli anni Ottanta veniva dietro Enrico Magrelli nella stessa
occasione8 compare limmagine imperfetta di un feto, di una forma gi definita, anche per quelle che
poi saranno le imperfezioni di oggi. Imperfezioni e difetti rispetto alla tradizione (il grande neorealismo
e la migliore commedia italiana), rispetto ai codici, al linguaggio, allestetica. Negli anni Ottanta (e
Novanta) c invece una estetica ombelicale, una forma degradata di esistenzialismo
paratelevisivo, un set (invece che un testo) incerto, fatto di impacci, di incertezza; la carineria
degli anni Ottanta nasconde unafasia, pi che storie si vedono tante Polaroid, dei video familiari, delle
foto scolastiche in cui una generazione si mette in posa. Si colgono frammenti di commedia
allitaliana metabolizzati da Moretti, Archibugi, Mazzacurati, Piccioni, Luchetti, ecc Non si riescono
invece a rielaborare i generi in senso pi alto come ha fatto la New Hollywood, e quel che domina
lestetica del talk show che sfrutta la cronaca familiare e il catalogo delle passioni. Spiegare il perch di
questa esilit che non leggerezza, difficile. Non basta incolpare lItalietta craxiana per spiegare
la mancanza di un nerbo etico ed estetico. Non basta neanche rimandare ai miserabili modelli finanziari
e produttivi del nostro cinema, che finiscono a volte con lessere degli alibi per coprire una povert
spirituale e creativa.

Mi viene in mente Marco Bellocchio, che ama spesso parafrasare una frase de Lavventura:
tutto l, dice Lea Massari a Monica Vitti a proposito di Gabriele Ferzetti. Cos il cinema italiano9.
tutto in quel che si vede, non c niente dietro, n oltre. Sta nella sua piatta superficie. Un cinema
carino, a volte, medio pi che mediocre, che non riesce mai a dare un colpo dala, a stupire, a
rischiare. Sembra dunque dar ragione alla formula lanciata dal libro di Miccich: lo schermo opaco
non riflette la realt, tutto l, nella sua superficie, spesso nel suo grigiore.

Ma Opaco obiettavo gi alla fine degli anni Novanta10 non necessariamente un aggettivo
negativo: opaca pu essere una carta fotografica, forse meno lucida e patinata ma pi densa e vera;
opaco pu essere un filtro, un vetro non trasparente dietro cui si agitano delle ombre, delle figure
informi ma intriganti.

Dunque, gli anni Ottanta vanno riesaminati, oggi che un certo distacco storico possibile e una
lettura libera dai condizionamenti dellimmagine stereotipa del grande cinema italiano consente di
vedere un panorama pi complesso e articolato, che va dal canto del cigno dei grandi Maestri al nascere
di un nuovo cinema.

Cosa rester di questi anni Ottanta?

Cosa rester di questi anni Ottanta, cantava Raf al festival di Sanremo dell89 Degli anni
Ottanta cinematografici restano senzaltro, al di l dei facili dogmi, molti film importanti.

Se si scorre la filmografia del decennio (che forse va distinto in due fasi: 1976-1988, e 1988-
1991), si trovano molti titoli che restano nella storia del cinema italiano.

Intanto i vecchi saggi continuano a lavorare, con esiti alterni ma dimostrando ancora la
continuit con una grande tradizione cinematografica. Fellini, ultimo dei Grandi Padri Fondatori (dopo
la scomparsa di Rossellini e De Sica), firma opere non minori nella sua filmografia: Prova dorchestra
(1979), La citt delle donne (1980), E la nave va (1983), Ginger e Fred (1985), Intervista (1987) e La
voce della luna (1990).

Tra i grandi vecchi ancora in pista Lattuada: La cicala (1980), Una spina nel cuore (1986),
12 registi per 12 citt (1989, episodio Genova), documentario a pi mani che raccoglie il gotha degli
autori del periodo in occasione di Italia 90 (i mondiali di calcio).

Rosi gira Tre fratelli (1981), Carmen (1984), Cronaca di una morte annunciata (1987),
Dimenticare Palermo (1990), oltre a 12 registi per 12 citt (1989, episodio Napoli).

Leone firma uno dei suoi capolavori, Cera una volta in America (1983), anche se si tratta
dellunico suo parto nel decennio. Antonioni si impone un ripensamento della propria tecnica e del
proprio rapporto con limmagine con Il mistero di Oberwald (1981), primo film girato con i mezzi
elettronici che apre emblematicamente il decennio; e poi si mette in gioco firmando addirittura un
videoclip, Fotoromanza, dalla canzone di Gianna Nannini (1984).

Altro precursore, nelle sue sperimentazioni televisive, Giuliano Montaldo, che firma anche
alcuni test in alta definizione analogica col sistema giapponese. La sua attivit comunque intensa: Il
giocattolo (1979), Arlecchino (1982, cortometraggio in hdtv), Marco Polo (1982, miniserie tv),
Laddio a Enrico Berlinguer (1984, un documentario cofirmato insieme ad altri 39 registi), Il giorno
prima (1987), Gli occhiali doro (1987), Tempo di uccidere (1989).

Anche Luigi Comencini si sporca le mani con la tv, e adatta le tradizioni della commedia
italiana al piccolo schermo (Cuore, 1984; ma anche Il matrimonio di Caterina, 1982, e La Storia,1986,
dal romanzo di Elsa Morante). Ma ancora prolifico anche per il grande schermo: Lingorgo (1979),
Voltati Eugenio (1980), Cercasi Ges (1982), Un ragazzo di Calabria (1987), Buon Natale... buon
anno (1989), Marcellino (1991).

E il veterano del grande neorealismo, Cesare Zavattini, firma la sua opera prima e unica, La
verit (1982), film surreale e visionario che testimonia lultimo messaggio, lultima verit
appunto, della generazione neorealista.

Per quanto riguarda la generazione di mezzo, i fratelli Taviani chiudono il decennio


precedente con il discusso Il prato (1979), poi con La notte di San Lorenzo (1982) declinano con lo
stile della favola la memoria del fascismo e dellantifascismo, e infine sbarcano negli States per
raccontare Good morning Babilonia (1987).

Anche per Ferreri un periodo interessante: Chiedo asilo (1979), Storie di ordinaria follia
(1981), Storia di Piera (1983), Il futuro donna (1984), I Love You (1986), Come sono buoni i bianchi
(1988), Il banchetto di Platone (film tv, 1989), La casa del sorriso (1991), La carne (1991).
unescalation di film dissacratori, in cui il regista sperimenta un cinema provocatorio, capace di
cogliere le contraddizioni del pubblico e del privato. Tra laltro, Ferreri produce un piccolo film
destinato a diventare un cult, Amore tossico di Caligari (1983).

Bernardo Bertolucci, dopo i grandi successi degli anni Settanta che proseguono su un modello
produttivo internazionale, gira La luna (1979), La tragedia di un uomo ridicolo (1981), Lultimo
imperatore (1987), Il t nel deserto (1990), e ancora 12 registi per 12 citt (1989, lepisodio dedicato a
Bologna). In particolare interessante per noi La tragedia di un uomo ridicolo, film forse minore se
confrontato con altri suoi capolavori, ma apprezzato dai Cahiers du Cinma; comunque un ritratto
impietoso della borghesia italiana e unimportante intuizione con cui il regista parmense coglie
limportanza degli anni del malessere, tra terrorismo e kidnapping.

un tema, quello del terrorismo, che il fratello Giuseppe sonda con un film che diventer un
classico del filone: Segreti segreti (1984). Negli anni Ottanta Bertolucci junior lancia la sua sfida
autoriale al fratello: Oggetti smarriti (1980), Panni sporchi (1980), Tuttobenigni (1983), Effetti
personali (1983), Strana la vita (1987), I cammelli (1988), 12 registi per 12 citt (1989, episodio
Bologna), Amori in corso (1989), La domenica specialmente (1991), alternando lungometraggi di
finzione a documentari, diventando un pioniere delle ibridazioni che caratterizzeranno il decennio
successivo. In particolare, quella di Segreti segreti una riflessione che diventer centrale in questa
decade11:si veda Il caso Moro (1986) di Beppe Ferrara. Il quale Ferrara ha la possibilit di praticare il
suo peculiare cinema civile: Panagulis vive (1981), Cento giorni a Palermo (1984), P2 Story (1985),
La posta in gioco (1987), Contra-diction (1987). Film forse un po vetero-ideologici, ma anche testi di
denuncia che si allacciano a una tradizione nobile del cinema italiano. In particolare, Cento giorni a
Palermo uno dei casi esemplari per ragionare sul cinema relativo alla mafia e ai misteri dItalia12.

Bellocchio in una fase di grande maturit e di sperimentazione importante: Salto nel vuoto
(1980), Gli occhi, la bocca (1982), Enrico IV (1984), Diavolo in corpo (1986), La visione del Sabba
(1988), La condanna (1991). il periodo fagiolino, ma anche una fase di creativit visionaria.

Olmi, dopo la grande invenzione della fine del decennio precedente (Lalbero degli
zoccoli,1978), gira Camminacammina (1982), Lunga vita alla signora! (1987), La leggenda del santo
bevitore (1988).

Per Scola sono gli anni de La terrazza (1980), Passione damore (1981), Il mondo nuovo
(1982), Ballando ballando (Le Bal, 1983), Cuori nella tormenta (1984), Maccheroni (1985), La
famiglia (1987), Splendor (1989), Che ora ? (1989), Il viaggio di Capitan Fracassa (1990); anni
dunque di enorme produzione, di incursioni in culture, cinematografie, e generi diversi (Ballando
ballando), di tentativi di star system (Maccheroni) e di metalinguaggio (Splendor).

Liliana Cavani gira La pelle (1981), Oltre la porta (1982), Interno berlinese (1985), e usa la star
internazionale emergente facendo una sorta di remake del suo film degli esordi: Francesco (1989), con
Mickey Rourke. Con Il minestrone (1981) e Mortacci (1989) Sergio Citti porta avanti in qualche modo
leredit di Pasolini. Luciano Emmer realizza latipico Basta! Ci faccio un film (1990).

Dario Argento continua un suo percorso coerente che lo consacra come uno dei manieristi
italiani: Suspiria (1977), Inferno (1980), Tenebre (1982), Phenomena (1985), Opera (1987).

E restando ai generi, la commedia allitaliana celebra uno dei suoi apici, ma al tempo stesso la
sua fine (Amici miei -Atto II, Monicelli, 1982). Il quale Monicelli non d segni di cedimento anagrafico,
come dimostra la sua prolifica produzione: Viaggio con Anita (1979), Temporale Rosy (1980), Camera
dalbergo (1981), Il marchese del Grillo (1981), Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno (1984), Le due vite
di Mattia Pascal (1985), Speriamo che sia femmina (1986), I picari (1988), 12 registi per 12 citt
(1989, episodio Verona), Il male oscuro (1990) e infine Rossini! Rossini! (1991).

Esplode il fenomeno Abatantuono: Attila Flagello di Dio di Castellano e Pipolo del 1982.
Mentre Avati controusa il terrunciello con Regalo di Natale (1986), fecendone un personaggio e un
attore di maggiore complessit e duttilit. Ma il regista bolognese come sempre estremamente
prolifico: Le strelle nel fosso (1979), Aiutami a sognare (1981), Dancing Paradise (1982), Zeder
(1983), Una gita scolastica (1983), Noi tre (1984), Impiegati (1984), Festa di laurea (1985), Ultimo
minuto (1987), Storia di ragazzi e di ragazze (1989), Fratelli e sorelle e Bix (1991), per non contare la
tanta televisione, girata e prodotta.

Non emarginerei poi, in questo panorama, Pasquale Squitieri, che pratica i generi e non teme di
andare controcorrente rispetto allintellighentsia di sinistra: Razza selvaggia (1980), Claretta (1984), Il
pentito (1985), Naso di cane (1986), Russicum I giorni del diavolo (1988), Gli invisibili (1989), Atto
di dolore (1990), Il colore dellodio (1990). Di questi molti film, almeno Claretta da ricordare, anche
perch precede di molti anni un certo revisionismo fascista: qui una Claudia Cardinale in buona
forma si cala nei panni di Claretta Petacci, lamante del Duce.

Ma nata intanto una nuova generazione, che viene declinata con vari livelli di giovent:
Piscicelli, dopo il folgorante esordio di Immacolata e Concetta, laltra gelosia (1979), prosegue con Le
occasioni di Rosa (1981), che rivela una magnifica Marina Suma, Blues metropolitano (1985), Regina
(1987), con una ispirata Ida Di Benedetto. un percorso autoriale originale, che propone il regista
napoletano come uno degli artefici di un nuovo cinema.
Stessa cosa fa Del Monte con una serie di film interessanti: Laltra donna (1981), Piso pisello
(1981), Invito al viaggio (1982), Piccoli fuochi (1985), Giulia e Giulia (1987), toile (1988), Tracce di
vita amorosa (1990). Giulia e Giulia, in particolare, un film destinato a passare alla storia come
sperimentazione unica, esempio com dellalta definizione analogica italiana (con le tecniche
giapponesi). Del Monte ha gi esordito nel decennio precedente anche grazie agli sperimentali tv, ma
propone insieme a Piscicelli una certa tendenza del cinema italiano, che aspetta invano una sua
nouvelle vague. In questa certain tendence metterei anche Marco Tullio Giordana, che esordisce
anchegli in modo folgorante, nel 1980, con Maledetti, vi amer (altro film archetipico sul tema del
terrorismo); poi firma La caduta degli angeli ribelli (1981), Notti e nebbie (film tv, 1984),
Appuntamento a Liverpool (1988, ispirato alla tragedia dello stadio Heysel).

Troisi lancia in questo periodo il suo talento: Ricomincio da tre (1981), Scusate il ritardo
(1983), Le vie del Signore sono finite (1987), Pensavo fosse amore invece era un calesse (1991), e Non
ci resta che piangere (in co-regia con Benigni, 1984). Il quale Benigni si rivela regista proprio in
questo decennio: Tu mi turbi (1983), il sopraddetto Non ci resta che piangere, Il piccolo diavolo
(1988), Johnny Stecchino (1991). Poco pi tardi ma siamo gi in pieni anni Novanta stravincer
agli Oscar con La vita bella (1997).

Verdone rivela la sua vena con Un sacco bello (1980), Bianco, rosso e Verdone (1981),
Borotalco (1982), Acqua e sapone (1983), I due carabinieri (1984), Troppo forte (1986), Io e mia
sorella (1987), Compagni di scuola (1988), Il bambino e il poliziotto (1989), Stasera a casa di Alice
(1990), Maledetto il giorno che tho incontrato (1991).

Tra i cosiddetti malincomici irrompe la maschera beffarda di Maurizio Nichetti, che irride alla
Milano da bere craxiana. I suoi titoli del decennio sono impressionanti: Ratataplan (1979), Ho fatto
splash (1980), Domani si balla! (1983), Il Bi e il Ba (1986), Ladri di saponette (1989), Volere volare
(1991).

Bianca (1984) segna il passaggio di Nanni Moretti dalla commedia generazionale dei
malincomici a un cinema pi autoriale e dalle venature pi scure. Anche per lui il decennio del
passaggio da unesplosiva vena ironica alle cifre della maturit: Sogni doro (1981), La messa finita
(1985), Palombella rossa (1989), La cosa (1990).

Per Amelio sono anni importanti, e in particolare Colpire al cuore (1982) pu essere una delle
icone del decennio, perch tra i pi importanti capitoli del cinema che documentano gli anni di
piombo italiani. Gli altri film del decennio sono il rivelatore Il piccolo Archimede (1979), I ragazzi di
via Panisperna (1988) e Porte aperte (1989).

Tornatore esordisce con Il camorrista (1986) e poi vince addirittura lOscar, a fine decennio,
con Nuovo cinema paradiso (1988).

Salvatores si impone con la commedia generazionale e allinizio del decennio successivo


vincer lOscar con Mediterraneo (1991). Esordisce con un film pieno di ibridazioni, dal teatro alla
musica (Sogno di una notte destate, 1983), poi filma il suo trittico milanese e popolare: Kamikazen
ultima notte a Milano (1987), Marrakech Express (1989), Turn (1990).

Cinzia TH Torrini esordisce (anche se il vero debutto avvenuto con un documentario e un


mediometraggio) con Giocare dazzardo (1982), dirigendo una ispirata Piera Degli Esposti. Faenza
tenta il genere e un modo di produzione allamericana coinvolgendo Harvey Keitel nel suo Copkiller
(1983).

Felice Farina uno dei primi a proporsi come rappresentante di un nuovo cinema: Sembra
mortoma solo svenuto (1987), Affetti speciali (1989), Condominio (1990).

Il critico rosselliniano Stefano Roncoroni esordisce con Giallo alla Regola (1988). Zoo (1988)
segna lesordio di una figlia darte che si far: Cristina Comencini. Corsa in discesa (1987) lopera
prima di un bravo regista, oggi campione della fiction Tv, Giacomo Campiotti. Matilda (1990) un
altro esempio di cinema giovane: Antonietta De Lillo. E si afferma un nuovo cinema delle donne,
di cui antesignana protagonista Francesca Archibugi: Mignon partita (1988) e Verso sera (1990).

Mery per sempre (1989) e Ragazzi fuori (1990) di Marco Risi sono indicati addirittura come un
nuovo filone neo-neorealista, mentre Il muro di gomma (1991) dello stesso Risi fa balenare la nascita
di un nuovo cinema civile.

E c spazio anche per gli indipendenti duri e puri, come Limperatore di Roma di Nico
DAlessandria (1987), Maicol di Mario Brenta (1988), Angelus Novus di Pasquale Misuraca (1987),
film di nicchia che resteranno isolati ma che dimostrano la vitalit del cinema indipendente italiano.
Cinema di cui il paladino assoluto Paolo Benvenuti con Il bacio di Giuda (1988).

Scusate se poco. Forse la mia sintesi, necessariamente sommaria, partigiana. Forse si tratta
di una produzione disomogenea, in cui i vecchi maestri cominciano a dimostrare una certa stanchezza e
i futuri piccoli maestri ancora non dimostrano la necessaria maturit, forse si tratta di un cinema,
appunto, in transizione, ma i vituperati anni Ottanta, rivisti in unottica storica, si rivelano un periodo
tuttaltro che afasico.

Siamo fuori dal tunnel

I desolati anni 80 sono stati il decennio piu stupido nella storia italiana del 900. Il cinema ne
e stato uno degli specchi13. Sono le amare parole di Morando Morandini a un convegno che, in
apertura degli anni Novanta, prova a ragionare sul decennio precedente, soprattutto in funzione del
cinema della nuova generazione che sta emergendo. Tra le responsabilit di questo stato delle cose,
Morandini individua: 1) la classe dirigente; 2) il processo di analfabetizzazione del pubblico condotto
nel Far West televisivo con la rincorsa degli indici di ascolto e il dilagare della pubblicit, sifilide
culturale di massa; 3) il duopolio televisivo che ha finanziato l80 per cento della produzione con
conseguenze di conformismo tematico e appiattimento linguistico; 4) lapparato distributivo
egemonizzato dagli americani; 5) lesercizio, ridotto a 1000 sale stabilmente aperte con una
proporzione posti-sala/popolazione tra le pi basse dEuropa; 6) il crescente disinteresse dei produttori
per i film da essi stessi prodotti; 7) lanemia a tutti i livelli che ha contraddistinto negli anni Ottanta il
giovane cinema italiano; 8) la stampa, disinformata e acritica; 9) la critica, immersa nella nebbia del
consenso; 10) il pubblico, condizionato ed instupidito dallimmaginario televisivo.

Lanalisi di Morandini impietosa ma interessante per ricostruire un panorama degli anni


Ottanta e respirare il clima -pieno di mutazioni e di fermenti -di quellinizio dei Novanta. Oggi si
capisce come fosse giusta la periodizzazione, che poneva il 1988 a baricentro degli anni Ottanta-
Novanta, nel passaggio da una generazione a unaltra, da un modo di fare cinema a un altro, da
unidentit allaltra dellapparato filmico italiano. in questo decennio stupido e desolato, infatti,
che si pongono le basi per una presunta Rinascita; basi che consistono soprattutto in incontri tra
gruppi di cineasti, in convegni, rassegne e tavole rotonde di riflessione e di analisi, in rapporti amicali e
professionali direzionati allorganizzazione e alla crescita di un movimento politico e culturale. Ed in
questo decennio che, nonostante il grigiore del panorama istituzionale, avvengono spunti di dibattito e
battaglie pi o meno sotterranee che porteranno, negli anni successivi, a una trasformazione profonda,
negativa o positiva a seconda dei punti di vista, dellintero comparto cinema.

Mi capitato di scrivere14 che due parole restano in mente nelle possibili definizioni degli anni
Ottanta cinematografici: polvere e arcipelago. Le polveri di Kantor sono una metafora cara a
Gian Piero Brunetta che usa questa figura matematica, cio il riconoscimento di una gran quantit di
punti distribuiti e fluttuanti nello spazio mancanti di un piano comune dappoggio per spiegare le
relazioni dei singoli con linsieme15. Lelemento distintivo degli esordi degli anni Settanta-Ottanta
dice Brunetta la perdita progressiva di quella progettualit, tensione, senso di appartenenza,
denominatore comune che aveva accompagnato gli autori del dopoguerra. Rimangono dunque un
policentrismo narrativo, un costante disgregarsi dellunit e della linearit a favore di una
deambulazione in pi direzioni. C quindi una polverizzazione delle istanze ideologiche, delle
ispirazioni narrative, delle tendenze e dei gruppi. Gli esordienti degli ultimi anni hanno saltato spesso
i gradini iniziali e intermedi del corso di studi e sono stati promossi alla regia senza conoscerne i
fondamenti [...]. Nel giro di pochi anni, anzich registrare il fisiologico ricambio generazionale, si
assistito a una sorta di genocidio certo involontario di molte categorie professionali, dagli
sceneggiatori agli attori16.

Allidea delle polveri corrisponde quella delle isole e dellarcipelago, immagine che
fotografa bene lo stato fisico e mentale dei cineasti degli anni 80. Arcipelago, infatti, e anche il titolo
di un documento, di una piccola carta che ha fatto storia: il cosiddetto Manifesto di Pesaro 1988
(lanno di svolta, appunto, cui alludeva la sopracitata relazione di Morandini), in cui tutta una serie di
giovani talenti del cinema italiano anagraficamente e culturalmente nuovo registi, sceneggiatori,
critici, attori, tecnici sottoscrivono, per la prima volta dopo molti anni, una volont comune di
rivendicare, rivalutare, rianalizzare, rifondare una generazione cinematografica.

Noi identifichiamo nel cinema-cinema, vale a dire nel cinema pensato per la sala, strutturato su
un suo linguaggio specifico, suoi tempi e tradizioni narrative, suoi modi peculiari di fruizione, un
obiettivo per il quale vale la pena di batterci [...]. una prospettiva comune, questa, che pu diventare
davvero lelemento unificante di una generazione, in cui i diversi percorsi individuali si aggregano
come isole di un arcipelago17.

Arcipelago, non a caso (sottotitolo osservatorio sul cinema italiano), si chiamer dagli anni
Novanta a tuttoggi una rassegna dedicata al cinema giovane e indipendente. Un arcipelago, dunque,
limmagine che suggerisce il panorama del cinema italiano pi giovane di quegli anni Ottanta: non
c un continente con un retroterra solido, non ci sono basi ideologiche comuni, valori etici o estetici
che funzionino da spartiacque. Eppure, la sensazione che questi scogli, sinora senza comunicazione
tra di loro, senza scambi commerciali e culturali, siano uniti da un mare comune di emozioni, di
sensazioni, di modi di rappresentare la propria vita, di elementi collettivi dellimmaginario. C una
forza centripeta che tiene salda, tutto sommato, la struttura di questi atolli, una corrente che non
ancora unonda.

Nonostante la frammentazione, nonostante la scomparsa di punti di orientamento ed obiettivi


identificabili, vogliamo sottolineare dei motivi comuni: il raffreddamento delle istanze ideologiche che
pur rimangono allorizzonte come seconda lettura, il filtro dellironia e dellautoironia, il tentativo di
fissare la societ attraverso indizi di storie individuali [...]. Crediamo in un cinema etico, rifiutiamo la
tradizione del cinismo e del sospetto, lottiamo per un profondo rinnovamento delle strutture produttive
e dei rapporti tra nuovi cineasti [...]. Vogliamo essere protagonisti di una mutazione del cinema italiano
[...] che non parta solo dalle consuete aggregazioni sindacali e politiche, ma anche dalle singole e
singolari individualit del nostro Arcipelago18.

Si assiste, in quellanno, a una sorta di chiamata a raccolta dei giovani (e meno giovani)
esordienti degli anni Ottanta19, con il conseguente logico gioco di confronto e di scambio. Una
generazione in cinema, come suona il libro edito per loccasione da Franco Montini (curatore
dellevento speciale pesarese); un volume di interventi critici per la prima volta attenti a un
fenomeno come quello dellesordio al cinema di unintera fascia di cineasti. Volume che va letto
insieme allaltro libro del critico, come se fosse un unico progetto di ricerca e di proposta anche
provocatoria: I novissimi, con un riferimento ai poeti dellinizio degli anni Sessanta (il Gruppo 63 e le
altre avanguardie), ma anche, con un ammiccamento teologico, alle possibilita di salvezza o di
perdizione definitiva date a un intero cinema nazionale; un cinema che deve ricambiare proficuamente i
suoi modi produttivi e le sue figure professionali, e quindi anche le sue estetiche, o altrimenti
destinato a soccombere, a essere teologicamente dannato.

Tutti film scrive Montini che si muovono sul precario, con la consapevolezza che ormai
impossibile esprimere giudizi morali, indicare obiettivi da conquistare, mete da raggiungere. Si tratta di
film che mescolano continuamente sentimenti di dolcezza e amarezza, in bilico tra il sorriso e la
malinconia, in questo senso davvero film degli anni 80, cio film che esprimono il vissuto e
latmosfera di unepoca20.

C dunque un collante che accomuna una generazione, che sta proprio nella mancanza di
tratti forti, di istanze ideologiche dirette e nette, di rabbie e di angosce riconoscibili. Tratti, istanze,
rabbie che mancano al Paese in generale, vale a dire alla societ, alla cultura italiana assopita nella
melassa di una nuova ricchezza industriale e parallelamente in una malinconica povert espressiva;
non soltanto il cinema in un momento debole, lo sono anche la letteratura, le arti figurative, ecc

Il cinema scrive ancora Montini ha bisogno di passioni, contrasti, scontri ideologici, e


invece stiamo vivendo un momento storico dominato da una cultura omogeneizzante che rende tutto
uguale. Il panorama mondiale, non solo italiano; il panorama culturale, non solo cinematografico,
abbastanza deprimente, soprattutto se confrontato con la creativit degli anni 6021.

Insomma, i film pi giovani riflettono in pieno la realt degli anni Ottanta, anche quando
glissano sui grandi temi, quando sfuggono alle grandi ideologie. Eppure gli appelli forti ai valori non
mancano:

Parlare di tutto, filmare tutto, appartenere a tutto, poter dire tutto [...] chiede Fabio Segatori in
uno scritto datato, e intitolato, 28 febbraio 1988 - ora di iniziare a dire cose precise, di lavorare su
progetti precisi, caratterizzati, da perseguire con costanza, nel rispetto della lunghezza dei processi
creativi e dello sviluppo del proprio registro espressivo [...]. Per fare cinema ci vuole altro. Ci vuole il
sangue, ci vuole passione. Ci vuole fuoco. I film vanno eruttati, devono sgorgare, sviscerare chi li gira,
ridurlo a brandelli, spargere in aria i pezzi dellindividualit e della quotidianit [...]. Lo schermo trema.
tempo di una rinascita. Torniamo come con Rossellini a sentir pulsare la realt sulla retina dei nostri
cuori.

linvocazione di una rinascita, lappello romantico a una spiritualit che contrasta con molti
discorsi sui generi che si faranno negli anni Novanta.

Se esister un nuovo cinema italiano di nuovo degno di essere considerato cinema italiano e non
solo conglomerato di film prodotti in Italia, ci sar reso possibile dalla formulazione di una serie di
proposte estetiche fortemente connotate e direzionate e non da un nugolo di ragazzi o ex-ragazzi che
giocano con la macchina da presa e hanno nel cuore un posto nellapparato televisivo.

Si impone, dunque, alla fine degli anni Ottanta, unattenzione diversa al giovane cinema
italiano, che ne legittima la gestazione e la nascita. Dopo la kermesse di Pesaro, il dibattito si sviluppa
in vari convegni e festival italiani ed europei; a Roma, nel novembre 88, nasce il 1 Festival del
cinema italiano, con un convegno dal titolo sintomatico, coordinato da Enrico Magrelli, che si chiama
Ce nest qun debut Due generazioni di cineasti a confronto. Scrive Magrelli nella nota di
presentazione del convegno:

Innumerevoli sono le cause e i pretesti capaci di spiegare una impasse creativa che soffre dei
disagi e dei filtri ereditati dagli anni Settanta, buio decennio mancato allappuntamento delle nuove
proposte e di nouvelle vague italiana a lungo sognata eppure mai nata. La frammentazione,
naturalmente anche visiva, di questi anni dovuta ad una sostanziale e incontrollabile contaminazione,
al complesso intersecarsi delle modalit desordio, ad una sorta di programmata confusione piuttosto
che, forse, ad una vera e propria crisi e conclude Ce nest qun debut, continuons le combat allora,
pi che uno slogan, un concetto giustificatamente spezzato in due tronconi insaldabili. Esordire oggi
pi facile o pi difficile di venti anni fa perci un falso problema. E proprio per questo ci piace e ci
affascina. Non perch irrimediabilmente attratti dal disorientamento n perch storditi dal torpore della
normalit. Forse, pi semplicemente, un cinema che non ha bisogno di eroi (leggi: di maestri) quello
che da tempo cerchiamo.

Lanno successivo si pu assistere a un grande meeting a Bari, nel corso di Europa Cinema
(organizzata da Felice Laudadio); e poi Sorrento, per unedizione quasi interamente votata ai giovani,
Annecy, il festival francese specializzato sul cinema italiano di cui gi in quegli anni registra
levoluzione; San Giovanni Valdarno, con il suo Film Lab dedicato ai modi di produzione del nuovo
cinema; un interessante convegno a Parma, un altro a Rimini, un altro ancora alla Banca Nazionale del
Lavoro a Roma. Parallelamente e forse provocatoriamente in contrapposizione esce un foglio
militante, supplemento di Cineforum, che, parafrasando il film di Martoglio, si chiama Sperduti nel
buio. Sperduti nel buio sono i giovani cineasti, travolti da una crisi di idee e di finanziamenti vuol
dire la redazione della rivista; che intanto, per, ospita interventi, organizza censimenti e favorisce la
tendenza.

Insomma, si disegna in questo finale del decennio una mappa del cinema italiano, una
topografia generazionale, volendo significare non tanto unet anagrafica, quanto una comune
appartenenza a problemi e ostacoli comuni e, insieme, un clima, un portato culturale, un fronte di
desideri e di aspettative assolutamente identico. Il cinema italiano della generazione della crisi
rivendica in sordina il suo esistere. un universo cinematografico in parte sommerso, in parte
emergente, che per propone una sua mappa.

Nel dicembre del 91 ho provato a disegnare per la rivista Vivilcinema una sorta di gioco
delloca del giovane cinema22 che ricostruiva le aree geografiche dei vari gruppi di cineasti, le
interazioni e intersezioni dei filmmakers italiani. in quegli anni che vari gruppi di cineasti creano un
reticolo di informazione e di scambio, portano la loro esperienza locale a livello nazionale,
conservando per la loro base culturale e produttiva nellarea di origine, valorizzando, anzi, le proprie
radici per proporre modelli industriali alternativi. Allinizio del decennio, ad esempio, alcuni e allora
giovanissimi filmmakers si incontrano nella cittadina toscana di Impruneta, in una foresteria offerta
dalla regione Toscana. Lanimatrice e la madrina la sopracitata Cinzia Torrini, che ha gi diretto
Giocare dazzardo, coraggiosamente prodotto con la sua societ, la Cassiopea. Il clima un po quello
della scampagnata fuori porta, un po quello di una riunione carbonara. Ci sono Soldi, Odorisio,
Barbareschi, Fumagalli, Stefania Casini. Culture del Nord e del Centro-Sud si annusano e si misurano,
provano a compenetrarsi; un risultato, non molto pi tardi, sar lesperimento collettivo di Provvisorio
quasi damore (1989), film a pi mani e a tema (prodotto da rai3), a cui partecipano cineasti milanesi e
romani, provocando un interessante puzzle di emotivit e di visionariet. Tra i milanesi, c Silvio
Soldini, che non ha ancora esordito al lungometraggio; tra i romani, un Enrico Ghezzi al battesimo
della macchina da presa. in questo momento che si crea una serie di assi che uniscono i gruppi e
provocano nuove sintesi ideative e produttive.

Se si individuano, infatti, alcuni insiemi geografici e li si uniscono con delle linee vettoriali, si
pu notare un intreccio cross-culturale di grande interesse: nellarea milanese matura in questi anni
lesperienza produttiva di filmmaker (nato nell81 grazie alla Provincia di Milano), che insieme
vetrina di alcuni talenti nascosti e stimolo alla sperimentazione di opere svincolate dallo standard e dal
metraggio. Un osservatorio mobile cos si definiscono gli organizzatori sul cinema italiano non-
ufficiale. in questambito che nascono Giulia in ottobre (1984) di Soldini e Polsi sottili (1985) di
Soldi. Luca Bigazzi emerge gi come direttore della fotografia di fiducia di questi due cineasti attenti
alla composizione dellimmagine. Soldini viene dalla New York University e respira dunque arie non
provinciali, Soldi pensa alla confezione dellinquadratura e diventer uno degli esperti del prodotto
televisivo di tendenza e di moda. Accanto ad essi, Kiko Stella e Bruno Bigoni, autori di Live (1983, con
la coppia Luca Barbareschi-Giuseppe Cederna), Adriana Monti (Gentili signore, 1988), Gianluca
Fumagalli (A fior di pelle, 1987). A Milano si sperimentano anche nuove ipotesi produttive: Soldini
lega la sua fortuna a Daniele Maggioni, che sar il suo produttore per gli anni avvenire, e con lui fonda
la societ Monogatari. Fioriscono le s.r.l., si postula come nella New Hollywood il producer
director, lautore che gestisce il proprio budget e la propria modalit realizzativa. Le varie societ si
collegano, si consorziano: nasce Indigena, sigla che unisce varie compagnie indipendenti (spesso di
giovani autori-produttori), con lintento di una distribuzione alternativa. Nasce cos, da una costola di
Filmmaker o comunque dallattivismo milanese, unintersezione di realt territoriali coordinata da
Minnie Ferrara. Nel fatidico 88, con liniziativa Caro amico ti scrivo..., Indigena tenta di monitorare
e mettere in contatto tra di loro le varie societ indipendenti, proponendo un piccolo video, una lettera
visiva per raccontarsi; nellelenco accluso al progetto ci sono alcuni nomi interessanti per lo
sviluppo futuro della produzione, e si puo rintracciare comunque una mappa significativa di nomi e di
gruppi operativi in quegli anni: Antonio Tibaldi, Yervant Giannikian, Paolo Bologna, Gianfranco
Giagni, Davide Ferrario, Gianluca Fumagalli, Adriana Monti, Gianluca Di Re, Massimo Guglielmi,
Gianfranco Fiore, Roberta Mazzoni, Paolo Rosa, Daniele Segre, Egidio Eronico e Sandro Cecca;
societa come Metamorphosi, Studio Azzurro, West Front Video, Karolfilm.

Milanese il clan di Salvatores, che esordisce nell81 con Sogno di una notte destate dopo
anni di ricerca teatrale con lElfo. Nel suo gruppo spiccano i nomi di Diego Abatantuono, che nell86
si incontra con laltro clan degli Avati interpretando Regalo di Natale, film che lo rilancia sul mercato
dopo una lunga crisi; e di Maurizio Totti, che diventer negli anni 90-2000 uno dei nomi pi
importanti della nuova produzione. Accanto a loro, il nucleo storico del cabaret milanese, da Paolo
Rossi a Bisio, da Gigio Alberti a Catania, con linnesto del sudista Silvio Orlando che a sua volta
incrocer Nanni Moretti sino a diventarne maschera essenziale ed alter ego.

Se proseguiamo nella mappatura troviamo, un po pi in l, la Bergamo di Davide Ferrario,


cresciuto alla cultura filmica del Bergamo Film Meeting. Poi c la Torino di Daniele Segre, che si
misura su un cinema non compromissorio, di Corrado Franco (autore di Corsa in discesa), di Guido
Chiesa (che teorizza un cinema indipendente, lavora a New York ma progetta gi un cinema legato alle
sue radici), ma soprattutto del clima cinefilo del Festival Cinema Giovani. Poi lEmilia di Luciano
Mannuzzi, il cui esordio, Fuori stagione del 1979, precede il fenomeno dei novissimi, e di Attilio
Concari, autore dellinteressante opera prima dell86, poi rimasta isolata, 45esimo parallelo;anche se
lEmilia che pi resta nella memoria quella del Tonino Guerra de La domenica specialmente (siamo
gi allinizio dei 90) messo in scena da quattro autori, Giuseppe Bertolucci, Giuseppe Tornatore,
Marco Tullio Giordana e Francesco Barilli il lontano interprete di Prima della rivoluzione (1964).

Spicca la Padova del gruppo storico Mazzacurati/Monteleone/ Contarello (coautori della


sceneggiatura originale di Marrakech Express e complici anche nel lontano Vagabondi (1979), opera
primissima di Mazzacurati, gi alla fine dei Settanta), ma anche di attori come Bobo Citran; un clan
che, calato a Roma, incontra Nanni Moretti: da qui Notte italiana (1987) primo prodotto (insieme a
Domani accadr di Luchetti, 1988) della Sacher Film, piccolo manifesto di un nuovo cinema italiano,
dal punto di vista del modo di produzione e anche da quello di un ritrovato paesaggio, film che segnala
un autore con una sua cifra stilistica. Monteleone il motore di una serie di incroci che uniscono
questo originario gruppo padovano ad altri insiemi: calato a Roma, incontra la fiorentina Cinzia TH
Torrini, che riesce a realizzare su sceneggiatura dello stesso Monteleone il produttivamente atipico
Hotel Colonial (1986); incrocia, con Mazzacurati, Moretti; diventa sceneggiatore di fiducia di
Salvatores, per cui scrive, da solo, Mediterraneo; tenta, pi tardi, unavventura europea, collaborando
con Carlos Saura per Dispara! (1993). Passer, negli anni Novanta, dietro la macchina da presa.

La citazione della Torrini mi porta a quel fenomeno toscano che gi emerge negli anni Ottanta:
da Benvenuti a Nuti (che realizzano insieme, ancora freschi della fortuna televisiva dei Giancattivi, A
ovest di Paperino (1981), da Benigni (che esordisce come autore di se stesso nell83, con Tu mi turbi)
allaltro Benvenuti (Paolo), che sulla riva pisana dellArno lavora isolato a un cinema di grande rigore
e di nessun compromesso: ha gi esordito nel lontano 74 con lo straubiano Frammento di cronaca
volgare e negli anni Ottanta realizza soprattutto lacclamato Il bacio di Giuda (1988). Non sono
comparsi ancora allorizzonte i Virzi e i Pieraccioni, Ugo Chiti impegnato col suo gruppo teatrale
dellArca azzurra; Giovanni Veronesi (fratello dello scrittore Alessandro, sceneggiatore di Nuti e in
futuro anche di Pieraccioni) esordisce nell88 con Maramao. Menzione a parte meritano Davide
Riondino, che ha gi incrociato lindustria cinematografica milanese, e Antonio Petrocelli, fiorentino di
formazione anche se lucano, maschera originale che ricorre nel cinema di Bellocchio, di Moretti, di
Giuseppe Bertolucci.

Con questi nomi, il diagramma mi riporta a Roma, e qui la mappa si complica, perch i percorsi
individuali si intersecano con le politiche dei gruppi e con le scuole dei maestri pi anziani. Provo a
partire da alcune dinamiche produttive della fine degli anni Ottanta: il salto di qualit del nuovo cinema
dipende certamente dal ruolo di alcuni produttori che vi hanno puntato con coraggio, vedi Leo
Pescarolo (Mignon partita e Verso sera di Francesca Archibugi, oltre allesordio di Antonio Tibaldi,
regista formatosi in America, On My Own, 1992); Domenico Procacci (Il grande Blek, 1987, e Chiedi
la luna, 1991, di Piccioni, La stazione, 1990, di Rubini, ecc.); Laura Cafiero e Giannandrea Pecorelli
(Condominio ma anche Affetti speciali di Felice Farina); Francesca No, allora attivissima tra gli
indipendenti (Stesso sangue di Eronico e Cecca, 1988). E naturalmente il navigato Claudio Bonivento:
a lui si deve il filone del cosiddetto neo-neorealismo, quello nato con Mery per sempre, che esce
proprio alla fine del decennio.

Il film di Marco Risi mi d il pretesto per restare in Sicilia. Qui c un fermento particolare che
si espliciter negli anni Novanta, da Salvatore Maira a Pasquale Scimeca, da Dante Majorana a
Francesco Crescimone. Gi conosciuti sono invece Beppe Cino, aiuto di Rossellini (ha esordito nel
lontano 1982 con Il cavaliere, la morte e il diavolo, e chiude il decennio con la riduzione di Diceria
delluntore), e Francesco Calogero, la cui opera prima, La gentilezza del tocco (1987), diventa un
piccolo manifesto stilistico generazionale. Attorno alla Messina di Calogero si realizza unasse
interessante tra gruppo siciliano e gruppo napoletano che, non a caso, sono accomunati anche da un
generale interesse per il teatro.

Napoli, negli anni Ottanta, prima dellesplosione di Martone, Corsicato e Capuano, significa
soprattutto la coppia De Lillo/ Magliulo, che realizza linteressante opera prima Una casa in bilico
(1986) e chiude il decennio con Matilda (il film esce nel 90), e che propone un modo alternativo,
legato alla realt del territorio, di produrre. proprio il Sud che propone un tipo di produzione
indipendente, costretta dalle necessit a reinventarsi continuamente: il pugliese Nico Cirasola, che negli
anni Novanta diventer un fenomenale artigiano di cinema povero fuori da qualsiasi schema, produce
Odore di pioggia; il sardo Gianfranco Cabiddu, che proviene dal reparto tecnico un fonico , firma
Disamistade, con un cast e unimmagine complessiva del film abbastanza ricchi. Sono due film del
1989.

Nuova linfa trovano gli allievi del Centro Sperimentale di Cinematografia, dopo i blocchi e le
chiusure degli anni 70, grazie soprattutto alla scuola gestita da Caterina dAmico: in quel clima che
nascono sceneggiatori come Francesco Bruni, registi come Paolo Virz, da l che viene Francesca
Archibugi; l o in quei dintorni, anche, che si tentano esperimenti atipici, come il tentativo di cinema
di genere fatto dalla coppia (produttrice e regista) Agnese Fontana e Andrea Marfori, che producono
lexploitation horror Il bosco (1988).

Si assiste a un proliferare di associazioni: si forma nell85 il cut!, un acronimo che,


ammiccando al segnale registico della fine del ciak, vuol dire Coordinamento ultime tendenze del
cinema e dellaudiovisuale (sic). Unaltra associazione, quella de Il Politecnico, organizza nella
omonima sala romana la rassegna dal relativo catalogo La carica dei 28, un ripensamento sui film
prodotti col controverso articolo di legge della 121323. E unaltra ancora, lInternational Forum, si
specializza in seminari di formazione e laboratori di scrittura, cui partecipano e in cui si ritrovano, per
curiosit o per desiderio di informazioni, molti degli esponenti della nuova leva; tra i nomi ricorrenti
che tengono i corsi, il noto Robert McKee (ad esempio, marzo 86); interessante un workshop di
sceneggiatura televisiva e cinematografica condotto da Carl Sautter, nel maggio 88 come si vede,
data ricorrente e quindi anno particolarmente denso frequentato da molti giovani cineasti. Questo
panorama ricchissimo dimostra come il decennio della crisi piu profonda del cinema italiano si chiuda
in realt con un pullulare di iniziative, di esordi, di eventi, e soprattutto con un proliferare di incontri, di
interazioni che mettono a contatto singoli cineasti e veri e propri clan che prendono coscienza della
propria forza. Non si tratta, dunque, di deboli ecografie, e lidea stessa degli schermi opachi va
oggi totalmente confutata.

Certo, la transizione corrisponde anche al diagramma della nuova generazione di filmamkers.


Ma che ne , in quel decennio, dei padri fondatori e degli zii attempati? Esiste una simile rete di scambi
e di proposizioni utopiche nel cinema pi grande? Nonostante i molti titoli che ho citato prima,
limpressione che il panorama rappresentato dagli autori gi affermati e gi accreditati non offra
grandi stimoli ideali n grandi proposte sperimentali. Ferreri, i Taviani, Loy, Scola fanno i loro percorsi
isolati, Bellocchio sviluppa un suo discorso privato che passa per la trasformazione del suo rapporto
con la psicanalisi e lideologia; Lattuada e Montaldo realizzano le loro opere migliori in televisione
(Cristoforo Colombo, 1985 e Marco Polo, 1982), la Wertmller presidia il csc come Presidente24,
Bertolucci senior ormai un regista straniero. I veterani della commedia allitaliana (Age, Scarpelli,
Benvenuti, De Bernardi) si incontrano allANAC, storica associazione degli autori cinematografici,
spesso percorsa da eroici furori edipici ma comunque essenziale punto di riferimento della sinistra
cinematografica; oppure si vedono nel salotto di Suso Cecchi dAmico, o in quelle terrazze e ristoranti
che non a caso diventano teatro di tanti film di Scola. Mancano, per, momenti alti, vuoi di
elaborazione teorica che di pratica politica; mancano luoghi e opportunit di aggregazione. I casi pi
importanti stanno probabilmente allestero: ad esempio nella battaglia a livello europeo che lANAC o
il Sindacato critici fanno per il cinema-cinema, difendendone la specificit culturale: a Delphi, nel
settembre 1988 (ancora questo anno che ritorna), viene celebrato un incontro e viene firmata una carta
europea dellaudiovisivo, la cosiddetta, appunto, Dichiarazione di Delphi, un documento dalla
portata storica. Cineasti di tutta Europa si incontrano per ribadire il valore dellautorialit, spinti da
unansia comune, come dice la premessa alla carta europea dellaudiovisivo.

Combattere il progressivo affievolirsi delle identit culturali che caratterizzano lEuropa [];
imporre una libera ed autentica circolazione delle idee, delle informazioni e delle opere []; opporsi a
che le ragioni del profitto invadano progressivamente gli spazi della cultura [].

La dichiarazione di Delphi un punto di svolta della battaglia per il diritto dautore. lo sbocco
pi visibile di un dibattito e di un fervore organizzativo a livello europeo che caratterizza tutto il
decennio: si veda ad esempio la creazione della FERA, che coincide con linizio degli anni 8025.
Infatti, la Fdration Europenne des Ralisateurs de lAudiovisuel nasce nel 1980 a Saint-Etienne; tra
i padri fondatori figurano il regista tedesco Peter Fleishmann, Jordi Grau, Andreas Kovacs, Harry
Kumel, Jerome Kanapa e il nostro Citto Maselli. Poi il dibattito si trasferisce in Italia: nel settembre
dell80 la fera mette a punto il suo statuto a Venezia, e nellaprile dell81 lANAC ne convoca le
associazioni per un convegno internazionale sui temi della creativit e della libert di espressione dal
titolo Creativit contro standardizzazione. Esplode il tema della difesa del diritto dautore che sar un
cavallo di battaglia dei 90: a Barcellona, nel luglio del 1987, oltre millecinquecento registi firmano il
cosiddetto Manifesto di Barcellona, che rivendica il rispetto dei diritti morali legati alle opere
dautore; per lItalia, presente Carlo Ripa di Meana, commissario europeo investito della politica
culturale. E infine il 1988 come si vede anno centrale anche per il cinema dei grandi definito
lanno europeo del cinema e della televisione.

Per concludere, gli anni Ottanta postulano anche un profondo ricambio generazionale, un
cambiamento di registro emblematizzato dai due casi ravvicinati di Peppuccio Tomatore con Nuovo
cinema Paradiso e di Gabriele Salvatores con Mediterraneo, per non contare lOscar al fuori quota
Bernardo Bertolucci per Lultimo imperatore; ed una profonda mutazione produttiva, che sar sancita,
negli anni Novanta, dallesplosione elettronica e poi digitale.

Certo, il contesto anche lItalietta craxiana, quella della Milano da bere che sfocier presto
in Tangentopoli, un Paese destabilizzato dalla profonda rivoluzione della scena mondiale: dalla
caduta del comunismo alle tensioni etniche alle guerre balcaniche alle grandi migrazioni, il mondo sta
cambiando. In relazione a questo grande scenario millenaristico, in questo finale del secolo breve, il
cinema italiano poca cosa. Ma merita rispetto, e merita soprattutto una rilettura attenta, dal punto di
vista storico e culturale, perch l che possiamo trovare le chiavi di lettura delloggi, in questi anni
contraddittori che possiamo vedere in nuce la formazione dellidentit del cinema italiano dei 2000.

1. Cfr. L. Miccich (a cura di), Schermi opachi. Il cinema italiano degli anni Ottanta, Marsilio,
Venezia 1998.

2. Tavola rotonda 1: Autori e attori, 14 giugno 1998.

3. Io stesso ho usato la formula per quel che riguarda gli anni Novanta: V. Zagarrio (a cura di),
Il cinema della transizione. Scenari degli anni Novanta, Marsilio, Venezia 2001.

4. Cfr. E.J. Hobsbawn, Il Secolo breve -1914-1991, collana BUR, trad. it.; B. Lotti, Rizzoli,
2006.

5. Per quanto riguarda la storia italiana di fine millennio, rimando invece a P. Ginsborg, LItalia
del tempo presente. famiglia, societ civile, Stato. 1980-1996, Einaudi, Torino 1998.

6. Cfr. V. Zagarrio, Regie. Il grande cinema italiano dal Neorealismo alla Crisi, Bulzoni, Roma
2011.

7. L. Miccich, relazione dapertura alla tavola rotonda Autori e attori. Cfr. Tavola rotonda 1:
Autori e attori, 14 giugno 1998; tavola rotonda 2: La macchina cinema, 18 giugno 1998.

8. E. Magrelli, Relazione alla tavola rotonda Autori e attori, cit..

9. Bellocchio ha proposto questa metafora alla presentazione del castorocinema a lui dedicato
da Sandro Bernardi, Roma, 10 luglio 1998.

10. Vedi il mio Cinema italiano anni Novanta, Marsilio, Venezia 1998-2001.

11. Si veda il saggio di Christian Uva in questo numero.

12. Cfr. C. Uva (a cura di), Strane storie. Il cinema e i misteri dItalia, Rubbettino, Soveria
Mannelli (cz) 2011.

13. M. Morandini, relazione al convegno Voci, volti, storie per gli anni 90. Quali personaggi
e quali attori per il cinema italiano, Milano, 18 marzo 1991. Il contesto e un convegno milanese che
si tiene a Palazzo Sormani nel marzo del 91 e che raccoglie una platea di cineasti proveniente da tutta
Italia. La neonata associazione Abadan (non mi risulta sia mai cresciuta negli anni novanta) chiama a
raccolta il cinema italiano con un target produttivo e anagrafico omogeneo, e pone a registi,
sceneggiatori, produttori, attori, alcune domande: perch manchi nei nuovi film italiani la figura
delleroe, quali storie valga la pena di produrre/raccontare/interpretare, se si possa uscire dalla
cosiddetta estetica del carino.

14. V. Zagarrio, Cinema italiano anni novanta, cit.


15. G.P. Brunetta, La polvere di Kantor, in Id., Centanni di cinema italiano, Laterza, Bari
1991, p. 625.

16. Ivi, p. 627.

17. Il manifesto di Pesaro stato pubblicato da Cinecritica: Per un cinema-cinema, n. 8-9,


gennaio-giugno 1988.

18. Ibidem.

19. Una di queste riunioni quella dellArco della Pace, 30 settembre 1988; cfr. Alla Pace.
Notte italiana col giovane cinema, Venezia a Roma, Comune di Roma, Regione Lazio, Biennale di
Venezia.

20. Cfr. F. Montini, I novissimi. Gli esordienti nel cinema italiano degli anni 80, Nuova Eri,
Torino 1988.

21. Ibidem.

22. V. Zagarrio, Il gioco dello stivale, in Vivilcinema, n. 7, dicembre 1991.

23. Cfr. A. Fago, A. Piro, La carica dei 28. Storie italiane di leggi, di soldi e di film invisibili,
Roma, Procom, s.d..

24. Tra i suoi film, invece, non c traccia dei capolavori degli anni 70: Scherzo del destino in
agguato dietro langolo come un brigante da strada (1983), Sotto... sotto... strapazzato da anomala
passione (1984), Un complicato intrigo di donne vicoli e delitti (1986), Notte destate con profilo
greco, occhi a mandorla e odore di basilico (1986), Imago urbis (1987, documentario collettivo), 12
registi per 12 citt (1989, il gi citato docu a pi mani, episodio dedicato a Bari), Il decimo clandestino
(1989, film tv), In una notte di chiaro di luna (1989), Sabato, domenica e luned (1990, film tv).

25. Cfr. Anne europeenne du cinma et de la television 1988, fera et le Comit national Grec,
Declaration de Delphes,25, 26, 27 sept, 1988.
Echi e macerie
del terrorismo
nel cinema
italiano degli
anni Ottanta
di Christian Uva

In molti film degli anni 80 i detriti e le rovine degli anni di piombo gravano sulle spalle di
figure troppo esili per potersene fare carico. Il passaggio epocale dal decennio dellio politico (gli
anni 70) a quello, liquido, del riflusso nellio individuale (gli anni 80) sembra determinare un
generale senso di smarrimento che colpisce inesorabilmente i tanti figli senza pi padri, ma anche i
non meno desolati padri senza pi figli, finendo per accomunare i personaggi della nuova commedia
malincomica ai protagonisti delle opere dei nuovi autori.

Nel pieno di una notte di mezza estate romana, mentre il coatto Enzo cerca disperatamente
qualcuno con cui condividere le vacanze estive, il timido Leo, disteso sul divano, appare perso tra i suoi
pensieri e lalternativo Ruggero si congeda da suo padre per tornare nella comunit hippy da cui
partito, echeggia improvviso un boato...

il prefinale dellesordio alla regia del giovane malincomico1 Carlo Verdone, Un sacco bello
(1980), film che apre idealmente la stagione degli anni 80 facendo proprio il caso di dirlo
deflagrare nelle trame di una commedia gli umori di unepoca ancora del tutto destabilizzata. Il fragore
che infatti scuote inaspettatamente e in maniera surreale le monotone vite dei tre protagonisti del film
proprio quello di una bomba, di un attentato terroristico di cui il regista non fornisce tuttavia
spiegazioni, e ci affinch tale trovata si carichi di un valore assoluto capace di rinviare ad orizzonti
discorsivi pi ampi.

Se questa scelta narrativa, infatti, risulta ispirata allattentato dinamitardo al Campidoglio


compiuto a Roma il 20 aprile 1979 dalla formazione neofascista Movimento Rivoluzionario Popolare
(mrp), essa assume di fatto un rilievo simbolico tutto particolare non solo in relazione ai tanti boati
che hanno sconvolto gli appena conclusi anni 70, ma, visto a posteriori, anche con riferimento a quelli
che connoteranno tragicamente, a distanza di poco pi di un mese luno dallaltro, proprio lestate di
quel 1980: le stragi di Ustica (27 giugno) e di Bologna (2 agosto).

Il finale di Un sacco bello, con le reazioni spaesate dei tre protagonisti, si rende in tal modo
paradigmatico del generale senso di smarrimento e di inquietudine in cui si trova immersa lItalia nella
fase di transizione da un decennio allaltro, quasi che la stessa notte durante la quale ha luogo
quellesplosione rappresenti il passaggio epocale dal decennio dei furori ideologici e dellio politico
(gli anni 70) al periodo del famigerato riflusso nellio individuale (gli anni 80). Come sembra
paradigmaticamente testimoniare anche un altro esordio, pur diametralmente opposto dal punto di vista
stilistico e narrativo, del medesimo 1980: Maledetti vi amer di Marco Tullio Giordana.

Lalba in cui perisce Svitol, langelo ribelle2 interpretato da un dolente Flavio Bucci,
senzaltro ben pi livida di quella in cui, malgrado tutto, tornano alla vita i personaggi di Verdone. In
Maledetti vi amer i detriti e le rovine degli anni di piombo gravano sulle spalle di figure troppo esili
per potersene fare carico; allora non resta che schiantare sotto quel peso insostenibile, come succede
appunto a Svitol, lex contestatore tornato a Milano dopo cinque anni di assenza trascorsi in Sud
America, i cui occhi registrano una realt della quale non riesce a capacitarsi visto che tutto cambiato
rispetto a quando partito, a cominciare dai suoi ex compagni, i quali o si sono integrati nel Sistema
oppure hanno ceduto alla droga e alla depressione (Ne ammazza pi la depressione che la
repressione dice uno di loro).

Il protagonista di Maledetti vi amer , cos, lemblema della medesima deriva ideologica ed


esistenziale al centro, due anni prima, di unopera come Ecce Bombo di Nanni Moretti (uscita in sala
proprio nei giorni del sequestro Moro), con la quale il film di Giordana condivide parte del registro
adotatto, ossia quellironia legata soprattutto alla parola e alla sua sovversione3 (resta memorabile in
Maledetti vi amer il lunghissimo, gaberiano elenco di definizioni forti, alla ricerca di ci che di
destra e ci che di sinistra).

Nellopera di Giordana tale dimensione destinata nondimeno a sfociare nel tragico orizzonte
di una specie di horror esistenziale: prima ancora di essere un angelo ribelle, Svitol infatti una sorta
di zombie che si aggira, come un fantasma tornato sulla terra, tra le macerie morali e materiali di cui
s detto, annunciando unepoca che si apre allinsegna della morte dei padri: infatti morto Aldo Moro
ed morto anche Pier Paolo Pasolini (a suo modo, anchegli vittima del terrorismo), come ricorda a
Svitol il commissario di polizia (sostituto di un padre assente) dal quale, in una sorta di inversione del
mito edipico, il giovane finir per farsi uccidere: leliminazione dei due padri, Pasolini e Moro
suggerisce Giordana coincide cos con la fine di tutta una serie di speranze di cambiamento al di l
delle utopie rivoluzionarie.

In tal modo Maledetti vi amer ha il merito di registrare a caldo lo sbandamento di unepoca in


cui gli impeti edonistici degli incipienti anni 80 appaiono la risposta conseguente alla pulsione
annientatrice ma anche autodistruttiva che, parzialmente, ha connotato il decennio precedente.

Nel corso degli anni 80 il cinema torna ripetutamente a riflettere su tale stagione attraverso
opere nelle quali resta centrale la crisi dellultima generazione che ha avuto il coraggio di opporsi allo
Stato4.

Non di rado la figura dellex militante di una formazione armata recluso in carcere a incarnare
uno sguardo retrospettivo, come avviene ad esempio ne La messa finita di Nanni Moretti (1985), nel
quale un ex terrorista sotto processo, mettendo sotto accusa unintera generazione e la cattiva coscienza
di una certa sinistra, sfoga nei confronti del prete interpretato dallo stesso regista la sua rabbia: fino a
qualche anno fa ero come uno di voi, poi a poco a poco gli altri hanno messo al mondo dei figli, hanno
cambiato lavoro, religione e solo io sono rimasto dovero, non so fare nulla e non ho combinato nulla,
perch proprio io? [...] tu e gli altri siete proprio sicuri di non entrarci niente? Non avete nessuna colpa,
voi?.

Una medesima ansia di normalit quella espressa un anno dopo dal terrorista pentito messo in
scena da Marco Bellocchio in Diavolo in corpo (1986), primo film sullItalia del postterrorismo5.
Questopera esce nello stesso anno in cui Giuseppe Ferrara realizza Il caso Moro primo tentativo di
fare i conti con quello che diventer il principale topos del cinema incentrato sugli anni di piombo6
e segna, come ricorda Fabrizio Natalini, una svolta non solo nella carriera del suo autore, dando il via
alla collaborazione con lo psichiatra Massimo Fagioli, ma anche nel nostro cinema, rimanendo uno dei
pochi tentativi di descrizione del disagio giovanile post-settantasettino, viva testimonianza della crisi di
una intera generazione su cui la cultura italiana, non solo cinematografica, si ben di rado (e con
difficolt) interrogata7.

La vicenda raccontata da Bellocchio costituisce loccasione per riattraversare il terreno solcato


da Giordana col suo Maledetti vi amer; ora, tuttavia, in ragione dellapporto di Fagioli alla
sceneggiatura, lelemento psicanalitico rappresenta un filtro privilegiato attraverso il quale esaminare
sul vetrino da laboratorio il fenomeno terroristico, costitiuendone anzi una specie di strada alternativa
per affrontare il mondo, come testimonia lo psicanalista rivolgendosi alla sua ex paziente Giulia in
preda al panico: il mondo quello che , noi siamo quello che siamo, e la psicanalisi non ha certo il
compito di trasformare il mondo, ma piuttosto di aiutarla ad adattarvisi nel migliore dei modi. Nelle
parole dellanalista si legge chiaramente la posizione di Bellocchio, ex militante marxista-leninista
convertitosi alla psicanalisi, il quale, invece di forzare le strutture della societ a cambiare secondo le
proprie utopie, decide di intervenire sul proprio io per adattarlo a vivere nel migliore dei modi in
quel medesimo mondo.

cos che lopera di Bellocchio si rende paradigmatica di un cinema italiano che in questi anni,
come ha scritto Gian Piero Brunetta, tenta strenuamente di esplorare i rapporti tra un io politico che si
dissolto e una disperata ricerca di un io individuale incapace di trovare una propria dimensione8.

Tale componente esistenziale impiegata quale modalit per evocare lesperienza della lotta
armata del resto una costante che in qualche modo attraversa tutti gli anni 80, accomunando ad
esempio due opere che, simbolicamente, aprono e chiudono il decennio: La festa perduta di Pier
Giuseppe Murgia (1981) e Roma, Paris, Barcelona di Paolo Grassini e Italo Spinelli (1990), vicende
fondate, ricorda Maurizio Fantoni Minnella, su una prepotente espressione dellio che invade la Storia
di tutta la violenza e la passione di cui capace; la scelta terminale e conclusiva di un lungo percorso
etico-politico drammaticamente segnato dallinfrangersi dellutopia contro lefficacia e la durezza del
regime9.

Molto cinema degli anni 80 in effetti pervaso da questo clima di sbandamento e spaesamento
di fronte al quale ogni autore propone una propria prospettiva danalisi, se non una vera e propria
ricetta.

Francesco Rosi, ad esempio, pur realizzando con Tre fratelli (1981) un film tutto calato nel
presente del terrorismo, della droga e della confusione ideologica, sembra cercare in un passato
ancestrale, nella memoria di un mondo contadino dipinto con toni elegiaci, laltro polo che permette
linterpretazione del presente10.

Giuseppe Bertolucci, invece, interrogandosi sulla natura del cinema quale strumento capace di
penetrare tra le pieghe della realt, guarda a questultima con profondo senso di spaesamento (allora,
nel vivo ha dichiarato lo stesso regista in una intervista si era investiti da quelle vicende e non si
riusciva a [capirle], per molti era appunto un mistero che lasciava smarriti11). Segreti Segreti (198412)
infatti una sorta di rebus che pone al centro dellattenzione la famiglia borghese come luogo
privilegiato in cui cogliere quegli irregolari flussi comunicativi e affettivi13 dietro ai quali sembrano
nascondersi certe motivazioni del terrorismo stesso. cos che il mosaico di fisionomie femminili
dominato da un insieme di relazioni madri-figlie ulteriore conferma della definitiva morte dei
padri... diventa per Bertolucci lorizzonte ideale per tentare di cogliere gli effetti che il terrorismo
[ha determinato] sul tessuto sociale e politico in cui viviamo quotidianamente14.

Ci evidenzia la precisa volont del regista di sottrarsi alla trappola del film politico a tesi in
cui si pretenda di porre sotto accusa la mano che ha gettato il sasso nello stagno spiegando cio
eventuali cause storiche e sociali preferendo invece guardare ai cerchi concentrici sullo specchio
dacqua che il lancio di quel sasso ha provocato...

La sindrome dello smarrimento tra le macerie del decennio appena trascorso colpisce dunque,
in primo luogo, i tanti figli senza pi padri raccontati dalle suddette opere, ma anche i non meno
desolati padri senza pi figli protagonisti dei due film forse pi illuminanti per comprendere lhumus
socio-politico e culturale in cui si aprono gli anni 80: il riferimento va a La tragedia di un uomo
ridicolo (1981) di Bernardo Bertolucci e a Colpire al cuore (1983) di Gianni Amelio.

Il primo un personale punto di vista sullItalia della fine degli anni di piombo e, come scrive
Fabrizio Deriu, del simultaneo consolidarsi del sistema di potere democristiano, a cui si affianca ora il
PSI di Craxi15. La vicenda di un industriale caseario ex partigiano alle prese con il presunto rapimento
del figlio da parte di un gruppo di terroristi si fa nellopera di Bertolucci occasione per tornare a quel
motivo del parricidio, gi pi volte presente nella sua produzione, qui tuttavia reinterpretato
nellambito di un sostanziale ribaltamento di prospettiva: per la prima volta, infatti, la figura paterna
diventa il soggetto del film, testimoniando come in questo caso il regista abbia voluto giocare a fare
il padre16, sperimentandosi dallaltra parte di quelledipico rapporto da considerarsi, in parte, come
una possibile chiave di lettura del fenomeno terroristico stesso. Come ricorda infatti Alan OLeary:
Questa caratterizzazione edipica pu ben essere unutile chiave di lettura delle origini del terrorismo
italiano. Potrebbe essere, in altre parole, un modo di codificare la percezione che ci sia stato un blocco
generazionale e che uninamovibile gerontocrazia detenesse il monopolio del potere17.

Il riferimento di OLeary va proprio alle opere che, tra la fine degli anni 70 e linizio degli 80,
in considerazione della prossimit alla crescente gravit degli eventi, sono in buona parte leggibili in
termini di conflitto edipico e dunque stimolano, per lappunto, interpretazioni psicanalitiche.

Altro aspetto essenziale di La tragedia di un uomo ridicolo, dal punto di vista formale,
linsistenza su una componente autoriflessiva che si concretizza visivamente nel dispositivo con cui,
allinizio del film, il protagonista incarnato da Ugo Tognazzi si rapporta alla realt: un binocolo.

con tale strumento che il personaggio crede di assistere al sequestro del figlio (in realt si
scoprir essere una messa in scena architettata dallo stesso giovane per costringere il padre a pagare un
riscatto). Come annota ancora OLeary, i binocoli usati da Primo servono come metafora, in primo
luogo della difficolt di vedere e di capire ci che si vede, e in secondo luogo della mediazione dello
stesso meccanismo cinematografico, e quindi dellaccesso problematico del cinema alla realt del
periodo18. Lo stesso Bertolucci ha del resto affermato: [La tragedia di un uomo ridicolo] rappresenta
unambiguit che io percepisco come tipica della societ italiana e anche della vita in altri Paesi. [...]
Non ci sono pi certezze. Nessuno sa pi quale sia la verit riguardo allassassinio di Kennedy o agli
scandali dei servizi segreti britannici o alluccisione di Aldo Moro in Italia. [...]Lambiguit oggi fa
parte della nostra dieta quotidiana. Non c pi alcuna certezza, compresa quella che riguarda gli
eventi19.

Siamo insomma in piena atmosfera postmoderna...

Se si pensa, del resto, che nel film di Bertolucci, in maniera estremamente suggestiva, gli stessi
terroristi vengono definiti proletari in apnea sotto la superficie liquida della storia, si vede come il
legame tra questopera e la temperie postmoderna si affermi in maniera inequivocabile laddove,
attraverso la nozione di liquidit, sembra essere anticipata la nota metafora con cui Zygmunt Bauman,
in tempi pi recenti, ha descritto tale epoca, soggetta ad un processo di liquefazione di tutti quei
corpi solidi (le grandi narrazioni lyotardiane) che le societ avevano precedentemente costruito20.

A proposito di Bauman, interessante, tra laltro, rivedere alla luce di alcune sue specifiche
considerazioni teoriche le menzionate immagini iniziali del film, nelle quali il protagonista viene
presentato come colui che tenta di esercitare il ruolo di controllore tramite il dispositivo ottico del
binocolo. Questo personaggio si autodefinisce nellincipit come un ormai ridicolo capitano di lungo
corso che, dal ponte di comando rappresentato dal tetto del suo caseificio, scruta il mare della
Pianura Padana nellillusione di dominare, almeno con lo sguardo, la realt che si dipana ai suoi piedi.
Ebbene, il fallimento cui fatalmente va incontro tale figura, incapace appunto di poter realmente
padroneggiare e comprendere quella realt, sembra chiamare in causa la crisi di un modello che,
secondo Bauman, si associa allimmagine del Panopticon, il luogo inventato da Jeremy Bentham e
ripreso da Michel Foucault nel quale le persone vivono costantemente controllate e sorvegliate dal
potere. Secondo questa prospettiva, La tragedia di un uomo ridicolo sembra fotografare lucidamente i
sintomi di una nuova fase della storia umana quella che Gianni Vattimo ha interpretato come fine
della storia, ossia della concezione moderna della storia come corso unitario e progressivo di eventi
che Bauman definisce appunto come post-panottica21.

Pi che unanalisi della stagione della lotta armata, ne La tragedia di un uomo ridicolo emerge
dunque quel dopo rivoluzione (mancata) in cui domina il malessere di unepoca, il conflitto
generazionale, ma soprattutto lo stallo di fronte ad una realt indistinta e sfumata, la cui mutazione gli
occhi del protagonista non sono pi in grado di cogliere.

Anche Colpire al cuore di Amelio sembra interessato a tornare a riflettere sulle questioni messe
in campo dallopera di Bertolucci sia sul piano della dinamica generazionale che mette in scena sia su
quello dellautoriflessivit che lo caratterizza.

Sul piano drammaturgico questo film prende infatti in esame unincomunicabilit il cui cardine
la figura, nuovamente, di un ex partigiano qui per nelle vesti di un professore delluniversit di
Milano. Si tratta di un intellettuale che tuttavia ha perso nei confronti del mondo, e soprattutto del figlio
quindicenne, qualsiasi capacit di offrire un orientamento etico, non essendo pi in grado di indicare,
come recita una battuta del film, dov il bene e dov il male. Da questo punto di vista, Colpire al
cuore rappresenta lulteriore esempio di un cinema collocato pienamente nellorizzonte culturale sopra
menzionato e che, proprio in quegli anni, prende in Italia il nome di pensiero debole. Non forse
casuale, cos, che lanno di uscita del film coincida con quello in cui si pubblica la raccolta di scritti,
curata per Feltrinelli da Gianni Vattimo e Pier Aldo Rovatti, che prende appunto questo titolo e che
rappresenta la via italiana al postmodernismo filosofico.

Anche nel film di Amelio, come gi in Giordana, la macchina da presa torna infatti a rivolgersi
ad un cumulo di macerie, leggibili in questo senso come ci che resta di quelle che secondo Vattimo
e Rovatti sono le fondazioni uniche, ultime e normative del conoscere e dellagire proprie di
unepoca ormai decaduta22. Amelio, al pari di Bertolucci, sente la necessit di porre lo specifico
cinematografico alla prova di un simile orizzonte, misurando la stessa capacit del dispositivo filmico
di costituire ancora uno strumento capace, se non di comprendere, almeno di rendere conto della realt.
la missione che il cineasta affida allunico sguardo ancora potenzialmente capace di una verginit,
quello di Emilio, figlio del protagonista ed emblema di una generazione su cui ricadr negli anni 80 la
responsabilit di traghettare il Paese verso una nuova modernit.
Non un caso, pertanto, che sia proprio il giovane Emilio, vero e proprio soggetto scopico del
film, a utilizzare un oggetto metalinguistico come la macchina fotografica per mettere alla prova le
capacit del cinema di farsi strumento di attestazione di una qualche Verit, tentando almeno di
distinguere i buoni dai cattivi, come fa il suo obiettivo mentre spia la fiancheggiatrice di un gruppo
armato (interpretata dalla stessa Laura Morante presente, in un ruolo analogo, anche ne La tragedia di
un uomo ridicolo) con cui il padre intrattiene unambigua relazione. Come accadeva per il binocolo di
Primo Spaggiari nellopera di Bertolucci, anche qui lattenzione si rivolge a un apparato ottico
impiegato per avvicinare virtualmente il profilmico, consentendo tuttavia di mantenere le dovute
distanze di sicurezza. In questo caso, per, il rapporto si ribalta perch a detenere lo strumento di
controllo non pi, fallimentarmente, il padre nei confronti del figlio, ma viceversa, fatalmente, il
figlio nei confronti di un genitore e con esso di unintera generazione di cui decreter luscita di
scena dalla Storia, provocando per lui e per la donna larresto, nel finale del film, da parte delle forze
dellordine.

Il contesto in cui tale epilogo viene ambientato un complesso di cemento alla periferia di
Milano (le riprese sono state in realt eseguite presso il quartiere Laurentino 38 di Roma) il quale,
visto lo stato di degrado, risulta improntato a quella postmoderna estetica del brutto che Vito
Zagarrio rintraccia quale cifra distintiva di una successiva opera dello stesso Amelio come Il ladro di
bambini (1992)23.

La dimensione che pervade questo paesaggio cos, nuovamente, quella della rovina, evidente
in particolare nello stabile abbandonato in cui agisce, furtivo, lEmilio di Colpire al cuore, sui cui muri
campeggia la scritta Finch la violenza dello stato si chiamer giustizia la giustizia del proletariato
sar violenta: a drammatico memento di un edificio ideologico che si profila a tutti gli effetti come
cadente rudere di unepoca al suo sanguinoso tramonto.

1. Cfr. S. Reggiani, Dizionario del postdivismo. Centouno attori italiani del cinema e della TV,
Rai-Eri, Roma 1989.

2. La caduta degli angeli ribelli (1981) il titolo dellopera seconda di Giordana, vicenda di un
amour fou fra una signora della buona societ e un terrorista in fuga in cui il tema della lotta armata
viene tuttavia fagocitato nella logica decadente e aristocratica [] che vorrebbe il desiderio come il
solo giudice finale (M. Fantoni Minnella, Non riconciliati. Politica e societ nel cinema italiano dal
neorealismo a oggi, Utet, Torino 2004, p. 116).

3. E. Carocci, Il terrorismo e la perdita del centro. Cineasti italiani di fronte alla catastrofe,
in C. Uva, Schermi di piombo. Il terrorismo nel cinema italiano, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ)
2007, p. 123.

4. Ad affermarlo Pasquale Squitieri, autore nel 1988 del carcerario Gli invisibili, tratto
dallomonimo libro di Nanni Balestrini (Cfr. A. Guastella, Mordi e fuggi Gli invisibili La meglio
giovent, in Italia ultimo atto. Guida al cinema politico civile dalle origini a Buongiorno, notte, in
Nocturno Dossier, n. 15, ottobre 2003, p. 59).

5. M. Morandini, Il Giorno, 24 aprile 1986.

6. Va tuttavia segnalato che laffaire Moro, come ha rilevato Giancarlo Lombardi, potrebbe
sembrare il palinsesto genettiano degli eventi narrati gi nel televisivo Parole e sangue (1982) di
Damiano Damiani: qui infatti il rapimento e luccisione di un professore universitario sembrano
ricalcare lescalation del caso Moro [anche se] ostaggio e terroristi appaiono di diversa fattura (G.
Lombardi, Enigmi a puntate. I misteri italiani fra storia e fiction tv, in C. Uva (a cura di), Strane storie.
Il cinema e i misteri dItalia, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2011, p. 175.

7. F. Natalini, Diavolo in corpo, in A. Apr (a cura di), Marco Bellocchio. Il cinema e i film,
Marsilio, Venezia 2005, p. 185.

8. G.P. Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano 1905-2003, Einaudi, Torino 2003, p. 333.

9. M. Fantoni Minnella, op. cit., pp. 128-129.

10. E. Morreale, Linvenzione della nostalgia. Il vintage nel cinema italiano e dintorni,
Donzelli, Roma 2009, p. 119.

11. G. Bertolucci, Segreti segreti (Contenuti extra DVD), Istituto Luce, Roma 2006.

12. Del medesimo anno anche il televisivo Nucleo Zero di Carlo Lizzani, il quale, dopo
lesperienza di Kleinhoff Hotel (1977), torna a misurarsi con la lotta armata interrogandosi questa volta
sulle possibilit di sopravvivenza e di riorganizzazione del terrorismo in una societ normalizzata ma
contraddittoria.

13. G.P. Brunetta, op. cit., p. 359.

14. D. Martelli, Intervista a Giuseppe Bertolucci, in LEspresso, 10 marzo 1985.

15. F. Deriu, La tragedia di un uomo ridicolo di B. Bertolucci. Il complesso di Crono, in L.


Miccich (a cura di), Schermi opachi. Il cinema italiano degli anni 80, Marsilio, Venezia 1998, p. 277.

16. Ivi, p. 281.

17. A. OLeary, Tragedia allitaliana. Cinema e terrorismo tra Moro e memoria, Angelica, Tissi
(SS) 2008, p. 16.

18. Ivi, p. 118.

19. M. Ciment, Bernardo Bertolucci Discussing Tragedy of a Ridiculous Man, in Films and
Filming, n. 328, 1982, pp. 12, 16.

20. Cfr. Z. Bauman, Liquid Modernity, Polity Press, Cambridge 2000, trad. it. Modernit
liquida, Laterza, Roma-Bari 2003, p. VII.

21. Cfr. Ivi, p. XVI.

22. G. Vattimo, P.A. Rovatti, Premessa, in Id. (a cura di), Il pensiero debole, Feltrinelli, Milano
1983, p. 7.
23. Cfr. V. Zagarrio, Cinema italiano anni novanta, Marsilio, Venezia 1998, p. 59. Zagarrio, a
sua volta, mutua tale terminologia da Karl Rosenkranz: cfr. K. Rosenkranz, sthetik des Hsslichen
(1853), trad. it., Estetica del brutto, a cura di R. Bodei, Bologna, Il Mulino 1984.
Lellisse.
Societ
e politica
dal Riflusso
a Tangentopoli*
di Paolo Mattera

Il rapporto tra mondo politico e societ civile negli anni Ottanta risulta estremamente
complesso e contraddittorio. Per descriverlo sembra utile la metafora di una ellisse, lungo varie fasi.
Inizia col riflusso, con la maggioranza degli italiani che passa dalla passione per le mobilitazioni
collettive al desiderio della felicit individuale. Impera lindividualismo e si rifugge dallimpegno
politico, mentre ci si volge alla ricerca di nuove figure di riferimento: prima il presidente Pertini e
quindi, pi tardi, la comparsa di nuovi protagonisti. Si afferma il Psi di Craxi, in un sistema per
bloccato e privo di una vera alternanza di governo. Il benessere pare allora minacciato dal debito
pubblico e della corruzione. Lira popolare cresce, fino a Tangentopoli e al crollo dellintero
sistema.

Controverso: questo forse il temine che pi di altri si addice al sistema politico degli anni
Ottanta. Pochi altri periodi hanno generato polemiche tanto aspre, in una contrapposizione fra
apocalittici e integrati. A inasprire i giudizi contribuisce la fine ingloriosa di quel sistema, sotto i
colpi delle inchieste giudiziarie che hanno gettato unombra di discredito su tutta la fase precedente. E
ancora non basta, dato che proprio la vicenda di Tangentopoli ha infine aggiunto un ulteriore tassello
alle polemiche, con molti commentatori pronti a diffondere (soprattutto allepoca) una lettura dei fatti
piuttosto schematica: tutti i mali sarebbero stati nella societ politica corrotta, cui si sarebbe
contrapposta la societ civile invece sana, vittima di politicanti senza morale1.

La tesi di questo saggio invece differente. Il rapporto tra societ politica e societ civile negli
anni Ottanta fu ben diverso, tuttaltro che lineare. Per descriverlo sembra pi opportuna unaltra figura:
unellisse, a indicare le oscillazioni di un rapporto che ha alternato lontananza e vicinanza. Tutto
comincia in leggero anticipo rispetto al decennio e con una parola che, nata come formula giornalistica,
sal rapidamente agli onori della cronaca per diventare la definizione di un clima collettivo: il
riflusso.

Allinizio di gennaio 1979 le edicole mostravano il nuovo numero di Panorama con una
copertina particolare: su un montaggio di foto che raffiguravano ragazzi sorridenti, un signore che
mangiava e unavvenente ballerina, campeggiava il titolo: Il riflusso, ovvero si spiegava La
nuova filosofia degli italiani: tanto vale divertirsi. Un caso isolato? Al contrario: Il 1979 inizia sotto
il segno del riflusso, rincarava la dose il direttore de la Repubblica Scalfari nelleditoriale di fine
anno2. Tanta attenzione poteva sembrare strana: ma il 1978 non era stato lanno del sequestro di Moro?
Perch allora nella penisola si parlava daltro?

Per rispondere alla domanda diventa utile volgere lo sguardo proprio verso uno dei giornali
allavanguardia dellimpegno politico: Lotta continua. Da tempo, per tenere vivo il legame con la
base, la rivista aveva infatti aperto una rubrica di lettere dei lettori, che, inaspettatamente, divenne
loccasione per una sorta di autobiografia di una generazione dominata dallangoscia. Nella
corrispondenza le ragioni della militanza venivano infatti sommerse dagli interrogativi esistenziali di
giovani sempre pi disorientati: Finito il tempo politico ognuno rientra alla sua casa, ai suoi
problemi, alla sua solitudine, osservava Maria, incalzata da Mauro, che annunciava: Voglio partire
dai miei bisogni, capire la realt prendendo spunto da ci che faccio, voglio farmi un mestiere, perch
aggiungeva Aldo la figura del militante senza problemi personali, che fa politica 24 ore su 24, ha
fatto il suo tempo e io mi sento solo3. Il privato irrompeva cos nella vita dei militanti politici,
allinsegna di una delusione bruciante dovuta alle ripetute sconfitte, che incrinavano sicurezze
ideologiche da lungo tempo acquisite4.

A cogliere questi umori era anche un giovane regista romano: Nanni Moretti. Nel 1978 usciva
nelle sale Ecce Bombo dove in una scena memorabile il protagonista, seduto su un prato insieme a
una ragazza, per conoscerla meglio le chiede: In concreto, che lavoro fai?; risposta: Girovedo
gentemi muovo conoscofaccio cose. Frase ormai culto, capace di esprimere meglio di un
saggio linconcludenza e lafasia di giovani privi di riferimenti. Il pubblico rideva, ma amaramente,
identificandosi nei protagonisti della scena-simbolo del film, dove il gruppo di amici trascorre tanto
tempo su una spiaggia in attesa dellalba, salvo scoprire, quando il sole dellavvenire finalmente sorge,
che spuntava alle loro spalle: stavano guardando dalla parte sbagliata, si dovevano voltare e cambiare
posizione; perfetta metafora di una generazione che sentiva di aver cercato il futuro nella direzione
errata e ora percepiva con ansia di dover cambiare tutto, ma non sapeva come farlo.

Suggestioni di un artista? No: il medesimo disorientamento veniva registrato anche dalla pi


tradizionale delle fonti, le relazioni di prefetti e questori, dove si riferiva che i gruppi politici giovanili
soffrivano una grave crisi di identit e di un calo della militanza5. La gente non ne pu pi ,
confermavano a la Repubblica Bicio e Antonio di Radio Serva da Milano: quando gli dici andiamo
al Consiglio di zona, andiamo a fare casino al centro sociale o facciamo una riunione, ci ritroviamo
sempre in cinque. Milano come Roma: Cosa succede nei circoli? Poco o nulla riferiva Giovanni a
Carlo Rivolta chi ti dice che non ha voglia, chi ha i cavoli suoi, chi preferisce stare a casa, alla fine
non viene quasi nessuno6. Oltre allesiguit dei ranghi, pesava la frammentazione. Cos la militanza
languiva. E allora abbiamo sbagliato tutto e loro hanno ragione, loro governano e noi scriviamo e
piangiamo concludeva David Riondino in una scena-chiave di Maledetti vi amer, di fronte al
costernato Flavio Bucci nei panni del protagonista del film, Svitol, il quale, tornato dal Sud America
dopo alcuni anni di lontananza, stava cercando i vecchi compagni. Dal suo giro emergeva un quadro
desolante: chi vivacchiava di espedienti, chi si trascinava in giornate vuote, chi addirittura era diventato
ricchissimo, tanto da indurre Svitol a perdere tutte le certezze del passato: Non sta in piedi
nemmeno una delle tue fottutissime opinioni, lo incalzava il commissario di polizia. Un film dominato
dallangoscia, con dialoghi captati dalle conversazioni di tutti i giorni e dalle lettere ai giornali, perci
tanto efficace ed evocativo da vincere il premio della giuria al Festival di Locarno e offrire gli onori al
regista, Marco Tullio Giordana7.

Intanto le cronache apparivano dominate dal terrorismo. Gi lomicidio di Moro aveva riempito
il Paese di sdegno e paura. Nei mesi seguenti una scia di sangue attravers la penisola, con le Brigate
Rosse e gli altri gruppi terroristici che colpivano magistrati, giornalisti, uomini politici. Perch non
faccio pi politica? Guardati intorno: o stai con i comunisti o stai con quelli che sparano, che mi pare
peggio, raccontava ancora a Carlo Rivolta un ragazzo di Roma8. Sicch, stretto a tenaglia fra
delusione e violenza, limpegno politico era entrato in una crisi decisiva.

Quali erano le alternative? Ne ammazza pi la depressione che la repressione ammoniva


lamico di Svitol in Maledetti vi amer. Non a caso: spezzato il filo delle solidariet collettive, molti
giovani cercavano rifugio alla solitudine in una soluzione estrema, la droga. Io non voglio vivere la
vostra societ e non ho lillusione vana di poterla cambiare come quando ero giovane, cretina e
comunista denunciava a la Repubblica una ragazza, che cos descriveva le ragioni della sua crisi:
Allora pensavo di contribuire ad un cambiamento reale []. Ma poi ho capito: impossibile fermare
questa macchina, perci conclusione lasciatemi tranquilla col calore buono delleroina nelle
vene9. Non caso isolato, bens spia di un fenomeno diffuso, la lettera portava alla ribalta un problema
che anche nelle relazioni ministeriali assumeva dimensioni molto ampie10. Intanto, mentre tanti ragazzi
precipitavano in una spirale autodistruttiva, per molti altri dagli Stati Uniti giungeva in alternativa un
fenomeno musicale destinato a diventare un vero ciclone.

John Travolta approdava in quei mesi in Italia insieme ai Bee Gees, alla disco music e
soprattutto un film destinato a un successo strepitoso: La febbre del sabato sera. Un esempio quasi
paradigmatico di film agente di storia, capace cio di proporre un immaginario e uno stile di vita, al
punto tale da favorire la nascita di nuovi modelli mentali e nuovi comportamenti concreti11. E fu subito
davvero una febbre, perch giunse in un ambiente predisposto, dove era vivo il desiderio di novit:
Il travoltismo osservava Scalfari addirittura sulla prima pagina de la Repubblica attira i giovani
molto pi delle lotte12. Ecco lalternativa alle piazze e alla mobilitazione: la discoteca e il
divertimento. Il sogno dei giovani risultava cos completamente cambiato: non pi la rivoluzione
collettiva, bens la felicit individuale. Fino a pochi anni prima gli stessi problemi dettati dalla
solitudine e dal desiderio di una vita migliore avevano alimentato la spinta alle mobilitazioni collettive;
ora, delusi e stanchi, molti giovani ripiegavano nella dimensione privata. Si compiva cos una vera e
propria parabola, che pu essere descritta seguendo la storia ideale di due immaginari Anna e Marco
in due differenti canzoni. Nella prima, Musica ribelle, del 1976, Eugenio Finardi raccontava di Anna
che ha diciottanni e si sente tanto sola / ha la faccia triste e non dice una parola, nonch di Marco che
sogna di andare in California; ma per la solitudine di entrambi cera una soluzione: la mobilitazione,
la musica ribelle appunto che ti urla di cambiare / di mollare le menate e di mettersi a lottare.
Dove sono finiti? Lo rivela nel 1979 Lucio Dalla: si sentono ancora soli (Anna avrebbe voluto
morire / Marco voleva andarsene lontano) ma trovano una soluzione diversa, nella dimensione privata
dellamore: Qualcuno li ha visti tornare tenendosi per mano. E dove si sono incontrati? In discoteca,
ovvio: Anna bello sguardo / non perde un ballo / Marco che a ballare sembra un cavallo.

Capaci, con la loro particolare sensibilit, di captare tendenze diffuse, gli artisti traducevano in
musica un mutamento di immaginario e di comportamenti confermato da tutte le altre fonti. E cos
allUniversit di Roma, l dove fino a pochi anni prima si organizzavano manifestazioni, nel 1980 cera
una fila di bancarelle; come alla Statale di Milano, dove un gigantesco supermarket di slogan e
avvisi per vendere oggetti usati, appariva il segnale emblematico della diaspora culturale, della
confusione di valori che aggredisce ogni giorno migliaia di giovani13. Un dato confermato dai prefetti,
lieti di segnalare la calma, la tranquillit e la mancanza di agitazioni politiche di rilievo nelle
principali universit del Paese14. Nonch ribadito da una coeva inchiesta sociologica, che restituiva
limmagine di una generazione dominata dal disincanto, pervasa dalla sfiducia di cambiare la realt e
quindi dalla rinuncia a impegnarsi in politica15.

Solo i giovani? Al contrario: anche tra gli adulti serpeggiavano sentimenti analoghi, al punto
che persino un artista impegnato come Giorgio Gaber decideva di dare voce alla stanchezza diffusa
con un nuovo spettacolo teatrale, dove gi la prima canzone esprimeva una graffiante carica dissacrante
verso le ambizioni rivoluzionarie: Eppure mi hanno detto che succede di tutto / Grandi cambiamenti,
grandi innovazioni / Peccato che a me sembrano soltanto timide e modeste variazioni. Il colpo veniva
per sferrato alla fine, quando lartista accusava i militanti politici di essere chiusi nella stanca
ripetizione di formule ormai vuote, tanto da renderle una moda come le altre: E visti alla distanza non
siete poi tanto diversi dai piccolo borghesi esclamava, per poi finire: E se anche diverso il vostro
grado di coscienza / quando moda moda, non c nessuna differenza16.

Intanto il Corriere della Sera il 13 settembre 1978 offriva gli onori della prima pagina
addirittura alla lettera di un uomo di cinquantanni che, invece di parlare del governo o lamentare la
crisi economica, raccontava di come, diviso tra la moglie e lamante, stesse meditando il suicidio: il
privato prevaleva nettamente sul pubblico17. Forse era solo uninvenzione giornalistica18,
comunque sia la campagna pot funzionare perch i suoi impulsi corrispondevano a sentimenti sempre
pi diffusi. A confermarlo, col crisma dellindagine scientifica, sopraggiungeva infine il Censis, il cui
rapporto del 1980 segnalava che tra i cittadini comuni prevalevano comportamenti sempre pi di tipo
soggettivo e personalizzato, attraverso il rifugio in una ricchezza proprietaria privata19.

Gli stessi cittadini comuni che da mesi potevano apparire in un programma televisivo presentato
da Enzo Tortora di eccezionale successo: Portobello, dove persone anonime conoscevano il loro
momento di ribalta proponendo invenzioni e cercando amori perduti. Emergeva cos lItalia profonda
della provincia, fatta di persone semplici, tutte mostrate con uno sguardo tenero e affettuoso, che
meglio di un trattato raccontava la voglia di evasione dalle brutture della crisi, la carica di disimpegno e
di fuga dalla politica di milioni di italiani. Uno sguardo bonario che si faceva per tetro in La tragedia
di un uomo ridicolo di Bernardo Bertolucci, dove una sola frase racconta il malessere di unepoca
segnata anche dallincomprensione generazionale: I figli che ci circondano sono dei mostri
esclamava il protagonista Ugo Tognazzi dal loro silenzio non capisci pi se ti chiedono aiuto o ti
vogliono sparare. Umori che, gi grigi, di fronte alla violenza politica si tingevano infine di nero:
Qui ci vuole la pena di morte era la frase riferita dai prefetti, che la coglievano nelle strade tra
cittadini pronti a invocare una mano forte contro i movimenti eversivi. Impeto di rabbia pi che precisa
posizione politica, questa esclamazione costituiva per ancora uneccezione, mentre la parola pi
diffusa nelle relazioni era stanchezza, accompagnata sovente da delusione, termini che ben
fotografavano gli umori di una popolazione piegata dalla crisi economica e impaurita dal terrorismo20.

Questo il clima che ispirava uno dei film pi controversi di Federico Fellini: Prova dorchestra.
Qui, riunita in un oratorio per le prove, unorchestra si ribella al suo direttore: lacceso sindacalismo dei
musicisti (ho suonato una volta, ho suonato due volte, ma la terza, per accordo sindacale, non si
suona!), la contestazione collettiva al ritmo degli slogan, le scritte sui muri, le battute dissacranti, tutto
sembra evocare lItalia di quegli anni. Nelloratorio lanarchia pare sul punto di prevalere quando
unesplosione, dovuta a unenorme palla dacciaio, abbatte il muro e mette a rischio lincolumit degli
stessi orchestrali contestatori che, spaventati si rimettono agli ordini del direttore21. Metafora
chiarissima di un Paese che appariva sul punto di crollare, minacciando la sicurezza dei suoi cittadini.

Ecco il timore di molti italiani: essere sullorlo dellabisso. Da qui il loro desiderio: dissolvere il
clima di perenne emergenza che avvolgeva il Paese, non avere pi paura di uscire la sera (In Italia c
addirittura il coprifuoco, la notte deserta e sinistra come nei pi neri secoli del passato denunciava
gi nel 1975 Pasolini22), per tornare alla normalit, alla cura di s, del proprio lavoro, della famiglia.
Un timore e un desiderio che coinvolgevano persino uno degli ambienti pi politicizzati: le
fabbriche. Io non sono un politicante, non mi immischio tanto era la risposta pi frequente in
uninchiesta sociologia condotta alla Fiat, dove il compatto linguaggio di classe degli anni precedenti
risultava ora frammentato in mille atteggiamenti diversi, accomunati solo da un sostanziale
disimpegno: Non ho nulla da dire, chiedi ai delegati23. Maturava cos la svolta che culminava con la
marcia dei Quarantamila, la manifestazione di quadri e impiegati che il 14 ottobre 1980 sfilavano
contro uno sciopero alla Fiat decretandone la secca sconfitta24.
che viviamo un momento di riflusso / e sembra che ci stia cadendo il mondo addosso
cantava Eugenio Finardi, mentre il prefetto di Bologna, col suo tipico linguaggio burocratico,
confermava di avvertire un senso di delusione che si traduce ecco il punto cruciale in un crescente
distacco dalla politica, cos tanto, confermavano da Brescia, da condizionare le scelte dei singoli
alimentando le spinte individualistiche25. Latteggiamento della maggioranza degli italiani verso la
politica era perci di distanza; anzi, di pi: di rifiuto della politica come termine generale di
riferimento26. Ne discendeva un forte desiderio di novit, che stava per essere soddisfatto, ennesimo
paradosso, da un leader che nuovo non era affatto. Anzi: allanagrafe era molto vecchio.

L8 luglio 1978 fu eletto presidente della Repubblica Sandro Pertini, che aveva ben 82 anni e un
passato degno di un romanzo davventure, tra militanza nel Psi, azione antifascista, carcere, condanne a
morte, rocambolesche evasioni, la Resistenza. Col suo intuito il nuovo presidente aveva colto lo
scollamento tra gli italiani e la politica e si adoper per ripristinare un legame coi cittadini, soprattutto
grazie alla televisione, dove gli italiani impararono ad apprezzare il suo parlare diretto e limmancabile
pipa. La sua immagine di uomo semplice serv in tal modo a restituire lustro alle arrugginite istituzioni
e aiut lItalia a uscire dallemergenza.

Il segno di una popolarit trasversale, che ormai investiva tutte le generazioni, arriv con le
strisce di fumetti che gli dedic Andrea Pazienza27. La consacrazione infine giunse coi mondiali di
calcio del 1982. Limmagine del Presidente che, come un tifoso qualsiasi, dalla tribuna dello stadio
esultava ai gol, suscit uno slancio di identificazione collettiva fortissimo, mentre in Italia la vittoria
sollevava unondata dentusiasmo. A contare era, pi dellevento in s, il momento in cui accadde: gli
italiani che, si visto, desideravano uscire dalla crisi, videro nel trionfo il segno che anche nelle
difficolt si potevano ottenere successi e ne conclusero che il peggio era alle spalle28. Pertini, con la sua
gioia in diretta televisiva, riusc a catalizzare parte di quellentusiasmo verso il malandato mondo
politico. Cos facendo rafforzava anche un fenomeno in parte nuovo nella penisola: la
personalizzazione della politica. A cavalcare londa fu per un altro leader, anchegli socialista, di
origini e temperamento ben diversi: Bettino Craxi. Eletto segretario del Psi nel 1976, egli sarebbe
diventato il politicosimbolo dellintero sistema, nel bene come nel male, grazie a una serie di iniziative
coraggiose avviate poco dopo linizio della sua segreteria. Sicch, per cogliere matrici e dinamica del
sistema politico italiano degli anni Ottanta, occorre tornare brevemente alla fase del riflusso.

Proudhon: chi era? Parafrasando Manzoni, per molti italiani era un perfetto Carneade, per pochi
altri evocava solo una vaga reminiscenza scolastica. Nellagosto del 1978 fu invece sottratto alle
polveri cui sembrava destinato con un articolo apparso su Lespresso e firmato da Craxi: Il Vangelo
socialista. Scritto sostanzialmente da Luciano Pellicani, larticolo attaccava il Partito comunista,
nonch il leninismo e il filone giacobinoautoritario del marxismo, cui contrapponeva lanima
libertaria del socialismo, incarnata per lappunto da Proudhon29. Una polemica teorica e ideologica
proprio nel momento di distacco degli italiani dalla politica? Il motivo vero era in realt di natura ben
concreta e puntava a obiettivi pi vasti. Per comprenderli bisogna perci volgere rapidamente lo
sguardo alle dinamiche dellintero sistema.

Sin dagli anni Quaranta il sistema politico in Italia aveva assunto quei caratteri che, nonostante
molte varianti, avrebbe mantenuto per decenni. Sul piano interno, i due principali partiti di massa erano
il Pci e la Dc, in virt della forte organizzazione sul territorio, con la quale erano riusciti a consolidare
un legame ideologico di appartenenza coi loro elettori. Sul piano internazionale, la Guerra fredda
impediva che nei Paesi della sfera di influenza degli Usa potessero accedere al governo partiti legati in
qualsiasi modo con Mosca. Lazione convergente dei fattori interni e internazionali condizionava il
funzionamento dellintero sistema: per ragioni interne (la forza organizzativa) il principale partito di
sinistra era il Pci, ma per ragioni internazionali (la Guerra fredda) quel medesimo partito non poteva
andare al governo. Ne discendeva che lesecutivo non si poteva formare con la competizione di
coalizioni alternative, secondo la dinamica destra-sinistra, bens solo al centro, dove la Dc era il perno e
decideva di volta in volta con chi allearsi. La coalizione di centro era stata quindi progressivamente
allargata: prima al Psi, col centro sinistra, poi negli anni 70 anche al Pci, che col compromesso
storico, pur senza ministri nellesecutivo, appoggiava il governo col proprio voto parlamentare30.

Questa dinamica stava stretta al Psi, schiacciato fra i due partiti maggiori. Sicch Craxi, che
verso gli intellettuali ostentava il pi profondo distacco ed era refrattario allideologia, ritenne giunto il
momento di indossare questabito. La polemica su Proudhon serviva infatti per lanciare il guanto di
sfida al Pci e contestarne legemonia a sinistra. Lintuizione, cui lideologia forniva un puntello
dottrinario, era diventare il riferimento dei nuovi ceti medi in nome della modernit. La mossa
funzion, perch in sintonia con i sentimenti diffusi nel Paese del riflusso. Del resto, sulle scrivanie
del ministero dellInterno si accumulavano relazioni prefettizie che intonavano un vero coro: gli italiani
desideravano una politica meno ideologica e pi pragmatica, volta a garantire la tranquillit e il
benessere individuale31. Sensibile a questi richiami, la Dc pose fine al compromesso storico (che del
resto non soddisfaceva pi nemmeno il Pci) e nel 1980 riprese lalleanza organica col Psi32. A Craxi
per non bastava. Il leader socialista non intendeva infatti governare con la Dc nella posizione di
partner subalterno: poich lesecutivo non poteva essere formato senza i socialisti argomentava
allora il Psi aveva il diritto di pesare quanto la Dc e, sebbene avesse solo il 10 per cento dei voti,
dividere alla pari le quote di potere33.

Lazione dur quattro anni e fu coronata dal successo: alle elezioni anticipate del 1983 il Psi
non registr una crescita notevole, ma la Dc sub un deciso calo, perdendo quindi potere contrattuale. E
cos, pi per debolezza altrui che per forza propria, Craxi chiese e ottenne la Presidenza del Consiglio.
Era una novit assoluta, che permise a Craxi di imprimere il suo marchio allintero decennio. Capace di
raccogliere una leva di nuovi dirigenti ansiosi di cimentarsi nellazione, egli volle dare prova delle
proprie doti di governo affrontando il principale problema economico del momento: linflazione. Con
un decreto del 14 febbraio 1984 (il Decreto di San Valentino) tagli tre dei 12 punti della scala
mobile, rallentando cos il ritmo di adeguamenti dei salari ai prezzi. Il provvedimento suscit nel Paese
forti tensioni e la drastica opposizione dei comunisti. Nellimmediato sembr penalizzante: le elezioni
europee del 1984 registrarono il successo del Pci. Ma fu solo un fuoco di paglia, contraddetto gi alle
amministrative del 1985 e in tutte le consultazioni successive, che registravano il calo ripetuto del Pci e
lavanzata del Psi e dellintera maggioranza che in base al numero dei cinque partiti che la formavano
conobbe anche la consacrazione giornalistica di un nome specifico, Pentapartito.

Eppure la coalizione non procedeva affatto compatta, anzi: era una realt eterogenea, per
discordanza di interessi, propositi e idealit, cos tanto che la sua vita fu costantemente travagliata da
contrasti tali da minarne la stabilit, dimostrata dalle ben 160 volte in cui il governo Craxi fu messo in
minoranza dal Parlamento34. I protagonisti, lungi da considerarla un orizzonte strategico, reputavano
lalleanza solo una soluzione tattica. Il nuovo segretario della Dc De Mita, ansioso di riguadagnare la
centralit perduta, contendeva al Psi ogni spazio di potere. E i socialisti? Non cedevano, anzi:
rilanciavano, perch usavano con spregiudicatezza i posti di governo per aumentare le basi di consenso,
cos da raggiungere ben altri obiettivi: modificare i rapporti di forza a danno dei comunisti per porsi, in
un imprecisato futuro, alla guida della sinistra35. Ne discendeva una conflittualit permanente. Spesso la
tensione raggiungeva punte cos alte che i protagonisti non sembravano nemmeno alleati del medesimo
governo, bens acerrimi avversari di schieramenti contrapposti. A gettare infine ombre ulteriori sulla
coalizione intervenne nel 1986 il cosiddetto patto della staffetta, che prevedeva un avvicendamento
alla guida del governo fra Craxi e De Mita. Abbiamo lunico Presidente del Consiglio che scade,
ironizzava sulla Rai Beppe Grillo, che concludeva corrosivo: come la mozzarella36.

La ragioni del consenso non stavano dunque nelle particolari doti di governo della coalizione in
s, quanto nella sua capacit di entrare in sintonia con gli umori profondi del Paese. Il primo fattore
stava nel benessere: il calo del prezzo del petrolio permetteva infatti una nuova crescita economica, che
cambiava anche la struttura sociale, con laumento della borghesia e il calo della classe operaia37. Le
statistiche offrono per solo la dimensione quantitativa dei fenomeni e non permettono di spingere
troppo oltre le ipotesi di interpretazione. Per conferire un profilo qualitativo alle cifre occorre perci
analizzare altre fonti: compito che per gli anni Ottanta si rivela tuttaltro che facile. Le tradizionali fonti
scritte aiutano poco, anche perch molti archivi sono purtroppo ancora chiusi oppure risultano
consultabili solo in modo parziale. Per fortuna, in un decennio sempre pi dominato dalle immagini e
dai media, arrivano in soccorso le fonti visive, soprattutto il cinema. In che modo? Non certo e non solo
con i film di successo, quanto piuttosto con i film che riescono meglio a raffigurare la propria epoca
perch gli autori, immersi nella quotidianit, selezionano dalla realt quegli elementi (oggetti, passioni,
atmosfera) a loro giudizio pi rappresentativi38. Ebbene: quale aspetti venivano scelti dagli autori degli
anni Ottanta?

Guarda, sono proprio indeciso, sai? Non so mica che macchina comprare!, Sono indecisioni
tremende eh, io lultima volta sono entrato in paranoia: lo scambio di battute tra due industriali a
Cortina in Vacanze di Natale, film considerato capostipite dei cinepanettoni dei fratelli Vanzina. Se li
si guarda come fonte per cogliere lo spirito degli anni Ottanta, i loro prodotti (al di l del valore
artistico) costituiscono un osservatorio privilegiato di quel mondo borghese che le statistiche davano in
crescita quantitativa. Con cadenza annuale costante, quei film raffiguravano un ceto medio molto
benestante e spesso ricco, che si abbandonava ai piaceri del consumo e del lusso. Pi del benessere
materiale, a spiccare erano i valori dei protagonisti: lostentazione della ricchezza, lesibizione
rumorosa del proprio status, la cultura dellapparire: La regola numero uno quando arrivi in albergo
presentarsi al personale afferma ancora uno dei protagonisti . Tu ti spari un bel trecentomila e sei
nel burro tutta la vacanza!. Ma gli italiani erano tutti cos ricchi? Ovviamente no, ma quelli erano i
modelli diffusi, anche tra i ceti meno abbienti. A confermarlo giungevano film come Impiegati di Pupi
Avati, dove i modesti dipendenti di un ufficio, pur dotati di un reddito medio-basso, volevano emulare
nei comportanti i ben pi benestanti superiori, perci vestivano abiti firmati e si indebitavano per
comprare auto sportive. A ribadirlo sopraggiungevano inchieste che raccontavano di un colorito,
variegato mondo che parla psicanalese e angloitaliano, ma ha talento e grinta39. Era la Milano da
bere della pubblicit dellamaro Ramazzotti, divenuta simbolo dellepoca perch capace di offrire una
sintesi dellimmaginario degli anni Ottanta: la moda, la borsa, la gioia di una vita fatta di lavoro e
consumi40.

Un immaginario e dei valori che producevano comportamenti molto concreti, tali da interagire
col mondo politico: Craxi e i dirigenti del Pentapartito si rafforzarono proprio tutelando gli interessi
di questo ceto medio, con unazione di governo che ne assecondava le aspettative. Per farlo bastava del
resto lasciare che il vento della crescita internazionale soffiasse anche in Italia, senza porre ostacoli n
frenare le iniziative di imprenditori e professionisti. Se ne ebbe una riprova nel 1985. Craxi decise
infatti di raccogliere il guanto di sfida lanciato dai comunisti, che avevano raccolto le firme per un
referendum abrogativo del decreto sulla scala mobile. Lesito appariva incerto. Ma Craxi, invece di
assumere un profilo basso, drammatizz la consultazione, rendendola un referendum sul governo e su
di s: E se perdesse, cosa farebbe? gli chiese un giornalista televisivo, mi dimetterei un minuto
dopo, rispose Craxi41.

Lazzardo riusc. Il 9 giugno 1985 la vittoria gli arrise col 54 per cento di No
allabrogazione42. Il segnale era chiaro: la maggioranza degli italiani non voleva pi mobilitazioni
politiche, desiderava guadagnare e divertirsi. Craxi lo cap e cerc di accontentarli, ricevendone in
cambio gratitudine e consenso. Fu la consacrazione di unascesa che da allora parve inarrestabile. A
rendere il segretario socialista luomo-simbolo di quella stagione si aggiungeva infatti la capacit di
entrare in sintonia con altri umori profondi della sua epoca. Il piglio e limmagine di uomo di grinta
assecondavano il desiderio diffuso di decisori, cio di leader capaci di affrontare i problemi e guidare
le persone43. Intanto luso di un nuovo stile di comunicazione assecondava le linee di tendenza alla
personalizzazione e alla spettacolarizzazione della politica, che si stavano affermando in tutto il
mondo e indussero Craxi a cercare un rapporto privilegiato con il proprietario delle televisioni
commerciali Berlusconi44.

E gli altri italiani? Pur in calo, il Pci continuava a raccogliere circa un quarto dei voti e coloro
che, pur disperdendosi nei mille rivoli di liste minori, non votavano per il Pentapartito ammontavano
a circa il 40 per cento. Una minoranza insomma cospicua, che tuttavia pativa una vera e propria crisi di
identit. Ne offrono vibrante testimonianza i film di Nanni Moretti, che ne La messa finita esprime
tutto il disagio di chi vede crollare le speranze di un tempo (Tanti anni fa avevamo un progetto
comune, un sogno comune. Ma ceravamo sbagliati) e non trova pi gli strumenti per comprendere
il presente (Ma qui non ci sto capendo niente, forse ho sbagliato ideologia). Un disorientamento che
assumeva i toni dellangoscia tra gli operai intervistati in alcuni documentari girati nelle
fabbriche45.La classe non c pi confermava un reportage dellinviato de Lespresso Gad Lerner,
non tanto in termini quantitativi, quanto di ideali, sostituiti sempre pi spesso anche qui da
comportamenti individualistici e valori consumistici46.

Disorientamento: alla base come al vertice. Il Pci di Berlinguer, chiusa la stagione del
Compromesso storico, si ritrov privo alleati potenziali e quindi nuovamente relegato nel ghetto
dellopposizione. Sicch, riuniti nella sede di Via delle Botteghe Oscure, gli esponenti comunisti
ripetutamente si interrogavano sulle vie duscita, senza trovare risposte adeguate47. I verbali della
Direzione mostrano al contrario un gruppo dirigente incline ad arroccarsi sulle posizioni del passato,
quasi come rifugio di fronte alle difficolt di comprendere le novit del presente48.

Berlinguer tent allora una carta coraggiosa, sollevando, in unintervista al direttore de la


Repubblica Scalfari, la questione morale, una memorabile requisitoria a tinte apocalittiche sulla
corruzione di partiti divenuti macchine di potere e di clientela [], senza alcun rapporto con le
esigenze e i bisogni umani emergenti49. Parole profetiche, che allora caddero sostanzialmente nel
vuoto. I militanti e gli elettori comunisti, che gi intendevano il loro impegno con dedizione assoluta,
interiorizzarono vero lidea della propria diversit, legata a unimmagine di incontaminata
purezza. Molti altri italiani reagirono per con unalzata di spalle, volgendo poi lo sguardo altrove. Nel
clima edonistico che pervadeva la societ degli anni Ottanta, il richiamo alla morale suonava come una
vetusta nostalgia di burocrati fuori dal tempo. Privo perci di una strategia concreta, il Pci faticava a
catturare il consenso di aree sociali nuove. Poi, dopo la morte di Berlinguer nel 1984, superato il
momento dellemozione, il declino addirittura aument, perch Alessandro Natta, divenuto segretario
per successione burocratica, era un leader grigio e privo di carisma, emblema di una sinistra polverosa
e ormai superata. Ditemi quello che ve pare, ma Cortina sempre Cortina esclamava Christian De
Sica nel film Yuppies Questa splendida cornice non cambier mai, manco se fanno Presidente del
Consiglio uno come Natta!: detta come ipotesi assurda, come se calassero gli alieni di un pianeta triste
e grigio. Subito dopo, a marcare ulteriormente la differenza, arrivava in elicottero Lui come lo
chiamavano lavvocato Agnelli, il vero mito dei protagonisti: Ma noi, ce la faremo mai ad arrivare
lass?.

In questo quadro, tutte le elezioni della seconda met degli anni Ottanta confermavano la stessa
tendenza: diminuzione dei voti del Pci, aumento per i partiti di maggioranza. Una quota crescente di
italiani, dopo il distacco e la lontananza dalle forme di mobilitazione ideologica degli anni Settanta,
sembrava ora maturare un nuovo atteggiamento e, proprio come lellisse di un pianeta, pareva
avvicinarsi alle modalit pi pragmatiche della politica del decennio. Tutto bene allora? In realt no:
dietro il velo di questa apparente concordia, si nascondevano numerosi fattori di tensione. Al pari con la
traiettoria tuttaltro che lineare delle ellissi, la vicinanza degli italiani ai partiti di governo era infatti
carica di contraddizioni. Proprio nel momento del massimo successo, allorizzonte si stavano perci
addensando le nubi di una nuova e ben pi violenta tempesta.

Nel 1991 usc nelle sale un film destinato a fare rumore: Il Portaborse. La storia racconta di un
professore di liceo idealista assunto da un politico in ascesa per scrivergli i discorsi. Basta poco al
professore per scoprire una realt ben diversa da suoi ideali. Il segretario provinciale mi ha spiegato
come funziona: un tanto a te un tanto a me. Che discorsi scrivo allora io? Scrivo cose finte! Insomma si
tratta di tangenti! Lei fa dei favori, urla esasperato per chiedere chiarimenti al politico che, dopo un
momento di rabbia, risponde con sereno cinismo: Il ministero che io dirigo gestisce ogni anno
migliaia di miliardi. Ogni tanto, di questi miliardi, qualcuno rimane impigliato per strada. Emergeva
cos lo scenario di masse di denaro pubblico usate per se stessi da politici spregiudicati, che coi propri
metodi spazzavano via gli esponenti pi anziani: Lo sai quanto mi costa questa campagna elettorale?
Mi costa tre miliardi urlava il protagonista Botero a un militante della vecchia guarda Questa
campagna elettorale costa tre miliardi e tu ti metti a fare leroe! Per cosa poi? Per moralizzare il partito!
Ma cambiato tutto, cambiato tutto, ancora non hai capito. E i semplici cittadini raccontanti nel
film? Vittime inermi dei politici corrotti? Tuttaltro: partecipi anzi attivi a questo sistema, perch
desiderosi di coglierne i benefici e, nonostante le denunce dei giornali, pronti a votare in massa per i
candidati corrotti e sotto inchiesta: Una valanga di voti, sottolinea alla fine del film un funzionario
del Ministero.

Poteva sembrare la denuncia di artisti di sinistra moraleggianti. Invece il film suscit un


clamore enorme, dimostrando cos di toccare nervi ormai scoperti nellopinione pubblica50. Cosa stava
succedendo?

Nel corso di tutti gli anni Ottanta, mentre il reddito nazionale saliva, diffondendo il benessere, i
conti dello Stato sprofondavano in una voragine di spese e di debiti51. Le ragioni stavano nella dinamica
profonda del sistema politico, con il Pci che si visto non poteva andare al governo sia per limiti
propri, ma soprattutto per i vincoli internazionali. Il sistema insomma, pi che stabile era bloccato,
privo della fisiologica alternanza destrasinistra, fra maggioranza e opposizione. In questo modo per il
voto dei cittadini veniva svuotato del suo senso pi profondo: scegliere lindirizzo di governo. Allora
molti italiani, non potendo optare fra maggioranze di governo alternative, decidevano di votare per il
partito o per i singoli candidati che offrivano maggiori benefici materiali, moltiplicando i circuiti
clientelari di scambio52. Il voto ideologico di appartenenza, che aveva caratterizzato le origini della
Repubblica, stava cos lasciando sempre pi posto a un voto clientelare di convenienza.

Come alimentare i circuiti clientelari? Semplice: con i soldi del bilancio pubblico. Sicch i
partiti di governo cercavano di soddisfare i bisogni materiali dei loro elettori in due modi: con
assunzioni nella pubblica amministrazione, oppure con appalti alle imprese per lavori pubblici. Sempre
pi spesso, per, per avere un beneficio non bastava il voto: bisognava pagare una tangente. Risultato:
la corruzione si stava diffondendo a ritmi incalzanti53. Di chi la colpa, la classe politica corrotta
opprimeva una societ civile onesta? Sarebbe una lettura schematica e fuorviante. Con assunzioni e
appalti il governo diffondeva denaro e alimentava il benessere, perci molti italiani, per opportunismo e
interesse, partecipavano attivamente alla gestione clientelare del potere.

Cera un paese che si reggeva sullillecito: cos iniziava Lapologo sullonest nel paese dei
corrotti pubblicato da Italo Calvino sin dal 198054; il fenomeno aveva infatti radici antiche e profonde,
confermate dal Censis e ribadite da numerosi articoli giornalistici55. Su queste basi, il clima edonistico
degli anni Ottanta aveva creato il terreno favorevole per diffondere ulteriormente le pratiche illecite di
arricchimento, rendendo la corruzione quasi un abito mentale per molte persone. Ne offre
testimonianza levoluzione dei film comici e dei cinepanettoni: quegli stessi personaggi che nei film di
inizio decennio, pur desiderosi di ricchezza e divertimento, conservavano ancora residue dosi di
ingenuit e attaccamento a famiglia o amici, col passare degli anni, in prodotti quali Yuppies 2 e Via
Montenapoleone, sembrano perdere ogni freno inibitore: cinici, privi di senso civico, pronti a
corrompere il potente di turno per guadagnare soldi, si fanno beffe delle persone oneste e conducono
una vita di completo disimpegno, allinsegna di party dove sedurre splendide donne.

Intanto la crescente corruzione per assunzioni e appalti interagiva con la questione del
finanziamento dei partiti. I costi della politica stavano infatti aumentando vertiginosamente, perci le
tangenti erano diventate un elemento fondamentale del finanziamento, considerate dai dirigenti
scriveva Bocca nel 1986 come il lievito alla panificazione56. Da qui a considerare i politici tutti
ladri il passo era breve. E fu compiuto da Beppe Grillo durante un monologo in televisione sul viaggio
dei dirigenti socialisti in Cina: Martelli ha fatto una delle battute pi terribili, ha chiamato Craxi e gli
ha detto: Ma senti un po, qua in Cina sono un miliardo e sono tutti socialisti?. E Craxi ha detto: S,
perch?. Ma allora, se sono tutti socialisti, a chi rubano?57. Le polemiche divamparono, ma Grillo
addirittura rilanci, affermando di aver costruito il pezzo su opinioni diffuse: i democristiani sono tutti
mafiosi e i socialisti sono ladri58. Le stesse opinioni su cui Carlo Verdone in Compagni di scuola cre
la figura di Valenzani, il politico viscido e arrogante, simbolo dei sentimenti umani pi deteriori. Tasto
su cui infine battevano ripetutamente quasi tutti i film comici, dove si accomunavano i politici di
destra e di sinistra nella stessa visione, considerandoli naturalmente ladri, corrotti, incapaci59.

Latteggiamento degli italiani verso la classe politica risultava quindi molto ambivalente: il
consenso, per il benessere, misto per allinsofferenza, per la corruzione. E cos, mentre il Paese
prosperava su una ricchezza finanziata col debito pubblico, sotto la superficie un fiume carsico di
scontento si muoveva con crescente forza: le schede bianche e nulle aumentavano a ogni consultazione,
e nuovi movimenti di protesta si presentavano sulla scena. Nel 1987, nellindifferenza generale si
insediava nel suo seggio al Senato un personaggio sconosciuto, destinato a nel tempo a guadagnare
lonore delle cronache: Umberto Bossi.

Lequilibrio tra consenso e insofferenza risultava insomma molto fragile. Lintero sistema
poteva ancora reggere perch poggiava sui due pilastri di lungo periodo: il vincolo sul piano
internazionale, che emarginava il Pci; il benessere economico sul piano interno, che alimentava il voto
clientelare di convenienza. Tra la fine degli anni Ottanta e linizio degli anni Novanta entrambi questi
pilastri caddero, provocando cos il crollo dellintero sistema.
Nel novembre 1989 cadde il Muro di Berlino, ponendo di fatto fine alla Guerra fredda. I riflessi
di politica interna in Italia furono immediati: il nuovo segretario del Pci Achille Occhetto avvi infatti il
cammino che avrebbe portato allo scioglimento del partito e alla fondazione del Pds60. Appresa la
notizia, lintero mondo comunista italiano fu investito da una tempesta di emozioni contrastanti. Le
cronache dei giornali non ne restituiscono tuttavia adeguatamente i contorni, perch si dilungano sui
contenuti politico-ideologici del dibattito. Documenti ben pi utili risultano ancora una volta due film,
entrambi frutto della sensibilit di Nanni Moretti. In Palombella rossa, il protagonista sa di essere stato
comunista, ma ha un ricordo incerto del proprio passato ed esprime tutta langoscia di chi alla ricerca
faticosa di una nuova identit. La metafora evocativa di Palombella rossa lascia il posto alla realt in
La cosa: un documentario eccezionale, dove la cinepresa riprende i dibattiti che si svolgevano nelle
sezioni del partito. A parlare sono i semplici militanti di base, con tutto il carico delle loro contrastanti
passioni, in assemblee che diventavano spesso scontri, con le urla che si sovrapponevano in un ribollio
di passioni: Diciamo che noi forza comunista di stalinisti non lo siamo pi, da anni, No! Il Partito
comunista non deve cambiare nome!, Compagno, se mi fai parlare, No! Il Pci non ha nulla da
invidiare agli altri! Noi siamo unaltra materia, unaltra cosa! Oh!61.

Di fronte a questo spettacolo, i dirigenti degli altri partiti si convinsero che la crisi del Pci li
avrebbe avvantaggiati. Sicch, Craxi e i leader democristiani Andreotti e Forlani concordarono un
percorso di spartizione del potere che i giornali, dalle iniziali dei protagonisti, ribattezzarono il Caf.
Convinti della propria inamovibilit, erano sicuri di procedere indisturbati. Invece gi la fine della
Guerra fredda faceva cadere il primo pilastro a sostegno del sistema: molti elettori che, pur insofferenti
per la corruzione, avevano votato a favore della maggioranza contro il Pci, ora, liberi dalla paura del
comunismo, potevano scegliere con maggiore libert. A oscurare ulteriormente lorizzonte
sopraggiungeva intanto la crisi economica, per effetto di un rallentamento della crescita internazionale:
anche il benessere degli anni Ottanta appariva minacciato. Con la prosperit in pericolo, cadeva anche
il secondo pilastro a sostegno il sistema: il voto di convenienza per i partiti di governo.

La fine della Guerra fredda e la crisi economica scoperchiavano cos il vaso di Pandora delle
latenti avversioni verso il sistema politico. Emergeva subito la crisi fiscale: la protesta dei ceti medi,
pieni di sordo rancore per laumento delle tasse necessarie a finanziare la spesa pubblica62. Il
campanello dallarme suon alle elezioni amministrative del 1990, quando gli elettori del Nord, figli
di un benessere minore63, abbandonarono i partiti di governo per riversare il voto sulla Lega di Bossi.
Intanto emergeva la crisi morale, lira ormai priva di freni verso la dilagante corruzione: Oggi bisogna
pagare anche per avere il dovuto, si sfogava il Presidente dellordine degli architetti con Giampaolo
Pansa, in un reportage che raccontava la rabbia senza rimedio dei cittadini privi di potere64.
Sopraggiungeva infine la crisi istituzionale, con una quota crescente di cittadini che vedeva nellintero
sistema, lostacolo da rimuovere.

Un nuovo moto dellellisse si compiva. Il precario equilibrio tra consenso e insofferenza si era
ormai rotto a favore dellinsofferenza, provocando fra i cittadini una nuova forma di lontananza dal
mondo politico. Crisi fiscale, crisi morale e crisi istituzionale: i massi della frana si erano ormai tutti
accumulati. Bastava poco per provocare il cedimento finale e investire il mondo politico. Allinizio del
1992 uno sconosciuto Pubblico Ministero, Antonio Di Pietro, arrest per una piccola tangente Mario
Chiesa, oscuro manager del partito socialista. Era linizio di Tangentopoli.

* Le abbreviazioni usate in questo saggio per le fonti darchivio sono: ACS, MI, DGPS, GAB:
Archivio Centrale Dello Stato, Ministero dellInterno, Direzione Generale di Pubblica Sicurezza,
Gabinetto del Ministro. IG, APC: Fondazione-Istituto Gramsci, Archivio del Partito Comunista (b:
busta; f: fascicolo; mf: microfilm).

1. Per i vari punti di vista della polemica cfr., anche per i rinvii bibliografici, M. Gervasoni,
Storia dItalia degli anni Ottanta. Quando eravamo moderni, Marsilio, Venezia 2012; G. Crainz, Il
paese mancato. Dal miracolo economico agli anni ottanta, Donzelli, Roma 2003; Id., Autobiografia di
una repubblica, Donzelli, Roma 2009. S. Colarizi, P. Craveri, S. Pons, G. Quagliariello (a cura di), Gli
anni Ottanta come storia, Rubbettino, Soveria Mannelli 2004. Per una lettura in chiave retrospettiva,
cfr. G. Santomassimo, Leredit degli anni Ottanta. Linizio della mutazione, in P. Ginsborg ed E.
Asquer (a cura di), Berlusconismo. Analisi di un sistema di potere, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 3-14.

2. Cfr. Panorama, 1 gennaio 1979; E. Scalfari, Lanno nuovo ci porta un po di restaurazione,


in la Repubblica, 31 dicembre 1978.

3. Cfr. Lotta continua, 24, 25 ottobre e 17 novembre 1977. Sullintera vicenda cfr. F.
Fallarino, Lotta continua?Il giornale e la pagina delle lettere dal congresso di Rimini alla morte di
Aldo Moro, tesi di laurea in Storia contemporanea, Universit degli Studi La Sapienza, relatore prof.
V. Vidotto, co-relatori proff. F. Socrate, P. Mattera, aa. 2009-10.

4. Una selezione di lettere (differenti da quelle citate qui nel testo) fu pubblicata nel 1978. Cfr.
Care compagne, cari compagni. Lettere a Lotta Continua, Lotta continua, Roma 1978.

5. ACS, MI, DGPS, GAB, 1976-1980, b. 377, f. Relazioni semestrali dalle prefetture,
secondo semestre 1978, Roma, 20 dicembre 1978.

6. In la Repubblica, rispettivamente 14 ottobre e 21 novembre 1978.

7. L. Pellizzari, Maledetti vi amer, in Cineforum, n. 199, 1980.

8. In la Repubblica, 21 novembre 1978.

9. In la Repubblica, 1 settembre 1979.

10. ACS, MI, DGPS, GAB, 1976-1980, b. 22, f. 11001/14, rapporto della questura di Bologna
in data 11 aprile 1979; b. 33, f. 11001/49, relazione della prefettura di Milano in data 24 giugno 1979,
b. 45, relazioni della questura di Roma in data 14 marzo e 6 luglio 1979.

11. Sui film come agenti di storia e per la bibliografia sul tema si rinvia al saggio di Cavallo in
questo volume.

12. E. Scalfari, Se Lama ha perso lautobus, in la Repubblica, 2 novembre 1978.

13. A. Madeo, La settimana seguente al delitto Bachelet nellUniversit di Roma, in Corriere


della Sera, 20 febbraio 1980; W. Tobagi, NellAteneo milanese non si arrendono alla paura, ivi, 21
marzo 1980.

14. ACS, MI, DGPS, GAB, 1976-1980, bb. 463-465, ff. Universit.

15. L. Ricolfi, L. Sciolla, Senza padri n maestri. Inchiesta sugli orientamenti politici e
culturali degli studenti, De Donato, Bari 1980.

16. G. Gaber, S. Luporini, Timide variazioni e Quando moda moda, in Id., Polli
dallevamento, 1978. Sulla genesi, le collaborazioni (ad esempio gli arrangiamenti di Franco Battiato) e
la risonanza dello spettacolo, cfr. S. Neri, Gaber, la vita, le canzoni, il teatro, Giunti, Firenze 2007.

17. Morire damore, in Corriere della Sera, 13 settembre 1978.

18. Cfr. P. Morando, Dancing days. I due anni che hanno cambiato lItalia, Laterza, Roma-Bari
2009, pp. 23-32.

19. Censis, Gli anni del cambiamento. Il rapporto sulla situazione sociale del paese dal 1967 al
1981, Angeli, Milano 1982.

20. ACS, MI, DGPS, GAB,, b. 377, f. Relazioni semestrali dei prefetti, II semestre 1978,
relazione in data Roma, 30 dicembre 1978.

21. Cfr. G.P. Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano, Einaudi, Torino 2003, p. 325; A.
Minuz, Viaggio al termine dellItalia. Fellini politico, Rubbettino, Soveria Mannelli 2012.

22. P.P. Pasolini, Abiura della trilogia della vita, giugno 1975, pubblicato postumo in Corriere
della Sera, 9 novembre 1975.

23. B. Mantelli, M. Revelli, Operai senza politica, Savelli, Roma 1979, pp. 23-24.

24. Quarantamila dipendenti della Fiat chiedono in corteo di tornare al lavoro, in Corriere
della Sera; A. Baldissera, La marcia dei quarantamila, in Quaderni di sociologia, n. 26, 2001, pp.
307-336.

25. ACS, MI, DGPS, GAB, b. 21, f. 11001/14/2, relazione del prefetto di Bologna in data 15
dicembre 1979; ivi, f. Brescia relazione del prefetto in data 30 novembre 1979 (corsivi miei). E.
Finardi, Cuba, dallalbum Blitz, 1978.

26. E. Galli Della Loggia, La crisi del politico, in Il trionfo del privato, Laterza, Roma-Bari
1979, p. 6.

27. Le strisce sono state poi raccolte in A. Pazienza, Pertini, Fandango Libri, Roma 2008.

28. Cfr. M. Gervasoni, Storia dItalia degli anni Ottanta, cit., pp. 30-33.

29. B. Craxi, Il Vangelo socialista, in Lespresso, 27 agosto 1978. Sulla genesi e lo sviluppo
della vicenda, cfr. S. Colarizi, M. Gervasoni, La cruna dellago. Craxi, il Partito socialista e la crisi
della Repubblica, Laterza, Roma-Bari 2005, pp. 70-73.

30. Nellamplissima letteratura sul sistema politico italiano cfr. (anche per i rinvii bibliografici),
P. Scoppola, La repubblica dei partiti, il Mulino, Bologna 1991; S. Colarizi, Storia politica della
Repubblica, Laterza, Roma-Bari 2006.
31. ACS, MI, DGPS, GAB, b. 378, f. Relazioni semestrali dei prefetti, primo semestre 1979,
Roma, 30 dicembre 1979

32. Cfr. A. Giovagnoli, Il partito italiano, Laterza, Roma-Bari 1996; A. Vittoria, Storia del Pci,
Carocci, Roma 2009; M. Ridolfi, Storia del partiti politici. LItalia dal Risorgimento alla repubblica,
Bruno Mondadori, Milano 2008.

33. Cfr. S. Colarizi, M. Gervasoni, La cruna dellago, cit., pp. 114-128.

34. Cfr. P. Craveri, La repubblica dal 1958 al 1992, Utet, Torino 1996, p. 937

35. Per la strategia di lungo periodo del Psi di Craxi mi permetto di rinviare a P. Mattera, Storia
del Psi. 1892-1994, Carocci, Roma 2009, pp. 205-206.

36. Rai-Teche, Fantastico 6, 15 novembre 1986.

37. G. Turani, 1985-1995. Il secondo miracolo economico italiano, Sperling & Kupfer, Milano
1986, p. 71; M. Paci, I mutamenti nella stratificazione sociale, in Storia dellItalia repubblicana, vol. 3,
LItalia nella crisi mondiale. Lultimo ventennio, Einaudi, Torino 1996, pp. 699-765.

38. Per le polemiche i riferimenti bibliografici su questo tema si rinvia di nuovo al saggio di
Cavallo in questo volume.

39. G. Bocca, Milano compra, Milano cambia, Milano vende, in la Repubblica, 15 dicembre
1983.

40. Il fenomeno risultava simile anche negli Stati Uniti, cfr. C. Lasch, La cultura del
narcisismo. Lindividuo in fuga dal sociale in unet di disillusioni collettive, Bompiani, Milano 1981.

41. Rai-Teche, TG1, 7 giugno 1985.

42. Cfr. P. Craveri, La repubblica dal 1958 al 1992, cit., p. 949

43. Sul desiderio di decisori, rappresentato da film come Rambo, cfr. M. Gervasoni, Storia
dItalia degli anni Ottanta, cit., pp. 39 e ss (nonch il saggio dello stesso Gervasoni in questo volume).

44. Cfr. il saggio di Novelli in questo volume.

45. Frammenti di fabbrica, regia di A. Miscuglio, 1986; La fabbrica sospesa, regia di S.


Soldini, 1987.

46. G. Lerner, Operai. La vita, la casa le fabbriche di una classe che non c pi, Feltrinelli,
Milano 1988.

47. IG, APC, mf. 8205, Direzione, Verbali, seduta del 26 novembre 1981; ivi, mf. 8403,
Direzione Verbali, seduta del 15 dicembre 1983. Sul Pci nella fase finale della Segreteria di Berlinguer
cfr., per nelle differenze di impostazione e per i rinvii bibliografici, A. Vittoria, Storia del Pci, Carocci,
Roma 2008; S. Pons, Berlinguer e la fine del comunismo, Einaudi, Torino 2006; F. Barbagallo, Enrico
Berlinguer, Carocci, Roma 2006.

48. Cfr. IG, APC, mf 8339, Direzione, Verbali, seduta del 23 settembre 1983.

49. I partiti sono diventanti macchine di potere, in la Repubblica 28 luglio 1981.

50. Sulle origini del film e il clamore che suscit, cfr. I. Moscati (a cura di), Il portaborse
ventanni dopo, Rubbettino, Soveria Mannelli 2011.

51. Dallinizio degli anni Settanta la spesa pubblica triplic e il debito pass dal 50 al 125 per
cento del Pil: cfr. M. Francese, A. Pace, Il debito pubblico italiano dallUnit a oggi. Una
ricostruzione della serie storica, Banca dItalia, Roma 2008; V. Castronovo, Storia economica dItalia,
Einaudi, Torino 1995.

52. Cfr. M Cotta, P. Schiera (a cura di), Il gigante dai piedi dargilla, il Mulino, Bologna 1996

53. Cfr. lanalisi e le ipotesi sulle cifre in D. Della Porta, Lo scambio occulto, il Mulino,
Bologna 1992.

54. I. Calvino, Apologo sullonest nel paese dei corrotti, in la Repubblica, 15 marzo 1980.

55. Censis, Gli anni del cambiamento, cit., pp. 215 e ss.;cfr ad esempio M. Riva, Lo Stato come
preda, in la Repubblica, 18 novembre 1980.

56. G. Bocca, Tangenti, corruzione e la loro cultura, in la Repubblica, 23 novembre 1986.

57. Rai-Teche, Fantastico 6, 15 novembre 1986.

58. F. Recanatesi, Non mi pento, ma se mi querelano tutti i cinesi, in la Repubblica, 19


novembre 1986.

59. G.P. Brunetta, Guida alla storia del cinema italiano, cit., p. 347.

60. Cfr. A. Vittoria, Storia del Pci, cit., pp. 158-159.

61. La cosa, regia di N. Moretti, Sacher Film 1990.

62. Cfr, L. Cafagna, La grande slavina. LItalia verso la crisi della democrazia, Marsilio,
Venezia 1996

63. G. De Luna (a cura di), Figli di un benessere minore. La Lega 1979-1993, La Nuova Italia,
Firenze 1993.

64. G. Pansa, Milano corrotta, nazione infetta, in la Repubblica, 2 ottobre 1990.


Politica,
spettacolo
e televisione
negli anni
Ottanta
di Edoardo Novelli

Gli anni Ottanta rappresentano un decennio fondamentale per comprendere le trasformazioni e


levoluzione della televisione e il rapporto tra questa, la politica e lo spettacolo. Ripercorrendo le
principali tappe della storia della societ italiana attraverso la Rai, i cambiamenti che trasformeranno
la penisola saranno ancora una volta guidati o anticipati da nuovi programmi e da nuove modalit di
fare televisione: dalla tv verit e ai nuovi programmi dinformazione, la televisione vedr il sorgere
di reti commerciali e una nuova esigenza di spettacolarit da parte dei telespettatori in cui la
produzione televisiva americana aveva introdotto nuovi gusti ed esigenze.

Gli anni Ottanta rappresentano nella storia del nostro Paese una fase di veloce trasformazione
che sancisce lapprodo a unItalia caratterizzata da tratti, cultura, pulsioni molto differenti rispetto a
quelli che sino a pochi anni prima avevano dominato tanto la sfera pubblica, quanto quella privata.
un dato sul quale concordano storici, sociologi, politologi, antropologi, esperti di mass media, che
sottolineano la peculiarit di questo decennio, individuandovi le origini di molti dei tratti caratterizzanti
lItalia di oggi. Un decennio di trasformazione, dunque, che se da un lato anticipa alcuni tratti della
modernit, dallaltro recupera aspetti della societ e della cultura italiana gi manifesti ed evidenti negli
anni del boom economico che il decennio della mobilitazione e della militanza aveva solo
momentaneamente interrotto. come se gli anni Settanta fossero stati puramente e semplicemente
sconfitti dagli anni Ottanta direttamente nelle loro premesse sociali ed economiche1 e, passata la
sbornia ideologica, lItalia dei primi Sessanta, dopo aver attraversato la stagione della politica senza
lasciarsi sfiorare dalla carica pedagogica dei movimenti, fosse riemersa intatta nei suoi quadri mentali,
nei suoi tic comportamentali, nelle sue scelte politiche2.

LItalia investita in questo decennio da processi sovranazionali che coinvolgono molti Paesi
delloccidente. Il crollo del muro di Berlino nel 1989, e la conseguente fine della contrapposizione fra
due blocchi uscita dalla seconda guerra mondiale, segna la fine di un secolo breve3, con dirette
ripercussioni politiche su un Paese quale il nostro nel quale gli equilibri postbellici avevano resistito
pi che altrove. La fine dei grandi paradigmi ideologici e delle grandi narrazioni sono allorigine della
crisi della modernit e dellingresso in una nuova fase postmoderna4, caratterizzata dal prevalere
dellindividuo sulla collettivit, dallassurgere del consumo a cifra distintiva, dallimporsi delle
rappresentazioni mediali che conducono a una derealizzazione della realt. Il tutto allinterno di un
progressivo processo di globalizzazione economica che sancisce il passaggio dalla societ industriale,
basata sulla centralit della fabbrica, del lavoro operaio, dellindustria pesante, a quella dei servizi e
dellimmaterialit della produzione, che giunger al pieno compimento nel decennio Novanta con la
rivoluzione informatica.

Tutti questi macrofenomeni hanno dirette ripercussioni sulla societ italiana che registra
limpetuosa avanzata del terziario e una ridistribuzione nella sua composizione con un impetuoso
aumento delle classi medie5. Sul piano politico-istituzionale in questo decennio che si assiste alla crisi
terminale della repubblica parlamentare partitocratica, tipica di una democrazia acefala basata su un
ipertrofico ruolo dei partiti che in Italia aveva retto in maniera continuativa dal 19466. Che si concordi
o meno con il concretizzarsi, in mancanza di sostanziali riforme istituzionali, di un passaggio da una
Prima ad una Seconda Repubblica, la scomparsa dei partiti sui quali quel sistema si era basato, assieme
ad una profonda trasformazione delle funzioni demandate ed assolte dalle organizzazioni politiche,
segnano un oggettivo cambio depoca. Molti dei fenomeni che marcano il passaggio ad una fase
postdemocratica7 affondano le radici in questo decennio.

Nel settore della comunicazione e dellinformazione, negli anni Ottanta che dallesperienza
delle televisioni libere maturata a met del decennio precedente prende il via, quale naturale
evoluzione, il fenomeno delle televisioni commerciali nazionali mentre, per quanto riguarda il servizio
pubblico, si assiste ad una profonda trasformazione delle sue logiche dofferta e di programmazione8. Il
risultato , sul piano degli assetti, il passaggio da una situazione di predominio del monopolio pubblico
-sebbene gi minacciato in alcune delle sue prerogative -a uno speculare e concorrenziale duopolio
misto, mentre sul piano dellofferta si registra labbandono di ogni retaggio pedagogico a favore della
spettacolarizzazione e della massimizzazione degli ascolti.

allinterno di questa rivoluzione silenziosa che si collocano anche il radicale cambiamento nei
modelli, nelle forme e nei linguaggi della comunicazione politica9, unito a una progressiva
contaminazione fra la nuova logica dei media10 e la tradizionale logica della politica che, sino ad allora,
era risultata prevalente e aveva goduto di una supremazia indiscussa. in questo decennio infatti che
fra mezzi di comunicazione di massa, in particolare la televisione, e i soggetti politici (partiti,
istituzioni, leader) si realizza un riequilibrio nei rapporti di forza e nella capacit di esercitare la propria
egemonia nei confronti del Paese. Negli anni in cui il sistema politico matura la crisi che lo porter agli
inizi degli anni Novanta alla grande slavina11, la televisione -in particolare quella commerciale -assurge
a laboratorio di nuovi modelli, valori, identit, a specchio della nuova Italia.

Anche nei primi anni della sua presenza, la televisione aveva svolto un ruolo determinante per
la creazione di unidentit nazionale, superando distanze e localismi storici, a partire dalla diffusione
della lingua italiana12. Gli abitanti dellItalia repubblicana, che avevano difficolt a ritrovarsi intorno a
luoghi, riti ed anche date condivise13, erano stati inclusi dallapparecchio televisivo in una comunit
culturale che si nutriva degli stessi personaggi, programmi, contenuti. La programmazione pedagogica
tipica della Rai del periodo aveva rappresentato un aspetto importante di questo processo, ma non
esclusivo. Lintegrazione e linclusione degli italiani erano procedute tanto tramite programmi quali
Non mai troppo tardi o LApprodo, quanto, o forse anche di pi, attraverso i programmi
dintrattenimento e di svago. Il ruolo ad esempio svolto da un programma come Campanile Sera nella
rappresentazione e nella valorizzazione della provincia italiana da un lato, e nel fornire comuni modelli
comportamentali e valoriali dallaltro, aveva di gran lunga travalicato loriginaria dimensione evasiva
del programma. Negli anni Ottanta, in un contesto sociopolitico profondamente modificato, la
televisione torna ad avere un ruolo centrale nel determinare la cultura, i valori e gli orizzonti del Paese.
A differenza di venti anni prima per, questazione si esercita allinterno di una scena pubblica segnata
da una maggior debolezza dei principali soggetti politico istituzionali e, in particolar modo, dei partiti.

Lincontro in televisione fra il nuovo mezzo e la politica, avvenuto ufficialmente nellottobre


del 1960 con la prima Tribuna Elettorale14, aveva rispecchiato la subordinazione dello strumento agli
interessi e alle finalit della politica. Un indirizzo gi contenuto nella scelta fatta allepoca della
nascita, nel 1954, di sottoporre lente pubblico al controllo diretto del Governo. Sei anni dopo, al
momento di dare ai politici laccesso diretto alla televisione, la selezione dei formati delle tribune
appelli, conferenze stampa, incontri a tema, dibattiti aveva privilegiato le competenze e le
caratteristiche della politica e dei suoi protagonisti. La nascita di un momento di incontro fra i
rappresentanti e gli elettori attraverso il mezzo televisivo era stato pensato quale un momento del
processo di inclusione ed educazione degli italiani alla nuova Italia democratica e repubblicana. La
scenografia, linterazione comunicativa, il ruolo assunto dai moderatori, lo spazio lasciato ai giornalisti,
la forte e sottolineata ritualit miravano a consolidare presso i telespettatori italiani lautorevolezza e il
prestigio dei partiti politici, visti come lasse portante del sistema politico. Il grande radicamento dei
principali partiti di allora, ispirati al modello del partito dintegrazione di massa e forti di una
eccezionale capacit organizzativa, sommato allelevato grado di partecipazione degli italiani alla vita
politica che si traduceva in indici di militanza e di adesione molto elevati15, giustificavano questo ruolo
ancillare della televisione, sacrificata sullaltare del servizio pubblico. Ci nonostante, le prime tribune
si erano rivelate un grande successo tanto di critica, quanto di pubblico, raggiungendo indici di
gradimento analoghi a quelli di Lascia o Raddoppia? e dei variet pi amati16.

Con simili premesse e tali risultati, sino alla met degli anni Settanta la dinamica del rapporto
fra televisione e politica non aveva subito sostanziali variazioni, nonostante la capacit di presa di
quella formula avesse iniziato a mostrare evidenti limiti17. Nel corso di quel decennio alcuni dei
presupposti per quel tipo di rappresentazione televisiva della politica erano infatti venuti meno: la
societ italiana era profondamente mutata e il sistema politico aveva per la prima volta sperimentato
quellinstabilit e quellincapacit a trovare nuovi equilibri che, alla fine degli anni Ottanta, saranno
alla radice del suo tracollo18.

Lesplosione del fenomeno dellemittenza televisiva privata19, al momento ancora su scala


locale, ma gi portatrice di nuove logiche dofferta e di programmazione, assieme alle trasformazioni
avvenute nella programmazione della Rai in seguito alla riforma del 1975 e ai differenti criteri dofferta
e di concorrenza interna in essa contenuti, avevano creato le premesse per un cambiamento del rapporto
fra mezzo televisivo e politica. La nascita nel 1976 sul secondo canale della Rai di Bont Loro, il primo
talk-show italiano, condotto da Maurizio Costanzo, era un chiaro segno di apertura verso un nuova idea
di spettacolarit e leadership che giungeranno alla piena maturit proprio negli anni Ottanta. In questo
programma, che rompeva lo spazio chiuso delle tribune -lunico nel quale sino ad allora i politici si
erano presentati in televisione -riunendo nello stesso salotto personaggi dello spettacolo, gente qualsiasi
e rappresentanti dei partiti e del governo, per la prima volta la politica aveva iniziato ad essere
raccontata secondo criteri pi televisivi, quali il lato personale e privato dei suoi protagonisti.

La campagna elettorale delle elezioni politiche ed europee del 1979 aveva messo in luce linizio
di quei processi di trasformazione nelle forme della propaganda e nel rapporto fra partiti ed emittenti,
gi riscontrati in altri Paesi. Le tribune della Rai non avevano incontrato linteresse ed il gradimento dei
telespettatori; le tv locali erano intervenute nella campagna elettorale con una loro programmazione; i
partiti avevano iniziato ad interessarsi alle possibilit alternative di comunicazione offerte dalle
emittenti locali. Tutte tendenze rafforzate nella campagna elettorale per le elezioni amministrative del
1980, nelle quali telecast elettorali, shorts, fili diretti con il pubblico e, sopratutto, spot sul modello di
quelli commerciali, avevano rappresentato le nuove tipologie di programmi offerti dalle emittenti locali
in cerca di legittimazione, ad una politica alla ricerca di percorsi e soluzioni alternative20.

La fine degli anni Settanta segn non soltanto la fine di uneccezionale stagione di
partecipazione21 che in Italia si era protratta sino alla forma estrema del terrorismo, ma evidenzi anche
la crisi dei partiti di massa, a favore di soluzioni organizzative pi adeguate alla nuova realt sociale,
quali il partito dopinione o il partito pigliatutto, fino alle prime forme di partito medium22, basati su
appartenenze ideologiche meno rigide, un minor ruolo della militanza e lallargamento della proposta
politica a una pluralit di gruppi dinteresse23.

Allinizio degli anni Ottanta le premesse per un mutamento nelle forme di interazione fra
politica e televisione e per una trasformazione nel racconto della politica e dei suoi protagonisti erano
dunque poste, nonostante liniziale diffidenza di molti dei principali partiti italiani, legati ad unidea di
superiorit nel confronto del mezzo televisivo, considerato in maniera totalmente strumentale. Inoltre,
fra i tratti emergenti della societ e della cultura italiana in quel decennio ed i valori, i simboli, i
comportamenti che venivano diffusi e promossi dal medium televisivo, esistevano forti convergenze.
Con una rapidit superiore ad ogni previsione, quei processi andarono per ben oltre, conducendo nel
corso del decennio la televisione a sostituire la politica nel ruolo di principale agenzia di aggregazione
e rappresentanza delle istanze sociali.

Proprio dellaprile 1980 la nascita di un programma televisivo destinato a un grande successo


e a lunga vita che segna un marcato passo in avanti nel decennio Ottanta. Mixer di Giovanni Minoli
un prodotto della neotelevisione24 ed lespressione di una societ nella quale linformazione e la
televisione giocano un ruolo autonomo, svincolato da tradizionali dipendenze e logiche di servizio. Il
cambiamento di prospettiva dichiarato gi nel sottotitolo del programma: Novanta minuti di
televisione. La netta separazione fra generi televisivi, che aveva fatto da architrave alla
programmazione di quella che ora, improvvisamente, diventava la paleotelevisione, annullata. Il
nuovo programma, nel quale si alternano telefilm, interviste, sondaggi, servizi dinformazione,
costume, musica, dibattiti, politica, non rientra in nessun genere preciso: unisce giornalismo e
spettacolo, informazione e intrattenimento. Mixer fa propria la formula applicata in particolare nel
campo dellevasione dai programmi contenitore -bandiera dellofferta Rai post riforma -va oltre i
singoli generi, facendo propri i tratti della televisione di flusso25, della contaminazione fra i generi,
della spettacolarizzazione. Lofferta improntata al principio dellabbondanza e della variet, ed anche
il patto comunicativo con i telespettatori viene ridefinito sulla base di una riconosciuta autonomia di
consumo e dellabbandono di ogni ipotesi di indirizzo o guida.

Il 1980 anche lanno nel quale si consuma un altro evento della recente storia della televisione
italiana. La nascita di Canale 5, pubblicizzata da uno slogan corri a casa in tutta fretta c il biscione
che ti aspetta, colloca la dimensione del consumo e dellintrattenimento nellambito privato e
familiare. Cinque anni di emittenza privata sfrenata avevano inciso non solo sugli assetti proprietari e
sulle logiche editoriali, ma avevano anche modificato gli atteggiamenti dei telespettatori nei confronti
del mezzo, i loro comportamenti di ascolto26, i loro gusti, cambiando il modo in cui mamma Rai era
percepita. Nel 1980, dopo una crescita incessante che durava dal 1954, toccava il suo apice con il 76,8
per cento la percentuale di famiglie abbonate alla Rai. Dallanno successivo infatti il dato inizier una
lenta parabola decrescente, attestandosi al 72,5 per cento alla fine del decennio. Un calo percentuale,
quello delle famiglie abbonate al servizio pubblico, che matura allinterno di una costante crescita del
numero assoluto degli abbonamenti alla televisione -che passano dai 13 milioni e 800 mila del 1980,
agli oltre 15 milioni nel 1990 -e che si verifica in presenza di una vera esplosione delle ore di
programmazione sia sul fronte pubblico che su quello privato27. Stimolate da una nuova offerta
appositamente costruita per andare incontro ai loro gusti e ampliare le possibilit di scelta, le famiglie
italiane mostravano un progressivo affrancamento dal cordone ombelicale che le aveva tenute legate
alla Rai.

Fra il 1980 e il 1984 si consuma levoluzione dellemittenza televisiva privata dalla dimensione
locale a quella nazionale e, al contempo, il passaggio da un sistema misto, nel quale convivevano una
forte televisione pubblica e una pluralit di piccole emittenti private locali, ad una situazione di
sostanziale duopolio che vede tre canali Rai e tre canali Mediaset direttamente concorrenti nella lotta
degli ascolti e della raccolta pubblicitaria. in questi anni che vengono poste le basi per una
programmazione nuova per valori e contenuti e vincente in termini di ascolto. Prodotti dimportazione
come le telenovelas o le soap-opera quali Dallas (1981) e Dinasty (1982), ampie library
cinematografiche, cartoni animati di provenienza straniera sopratutto giapponese, giochi e variet, sono
gli ingredienti centrali di unofferta deliberatamente abbondante ed eccessiva. Il tutto amplificato, se
non altro negli effetti, da una logica che mira ad assecondare i gusti e le abitudini dei telespettatori, al
fine di massimizzare gli ascolti. in questi anni infatti che si pu iniziare a parlare di un vero e proprio
marketing del palinsesto che introduce o porta agli estremi concetti quali programmazione a striscia,
controprogrammazione, antiprogrammazione, traino, profilo di rete, secondo una logica di conquista e
fidelizzazione dei telespettatori ai quali necessario offrire il prodotto pi gradito e pi appetibile.

Il programma che pi di altri incarna i tratti di questa nuova stagione televisiva il variet
Drive In28. Trasmesso dal 1983 al 1988, il programma firmato da Antonio Ricci fa proprio il ritmo
frammentato imposto dalle interruzioni pubblicitarie, introduce un nuovo tipo di comicit demenziale
dimportazione statunitense, giovanilista, eccessivo, trasgressivo. A partire dallicona del programma:
le maggiorate Ragazze Fast Food. Non a caso, il luogo della nuova socialit giovanile degli anni
Ottanta.

Ma il segno pi evidente del peso assunto dalla neotelevisione nellincidere sulla natura e
sullumore della scena pubblica si registra nel 1981 allintero della programmazione Rai. La pi lunga
diretta della storia della televisione con la quale la tv di stato segue la vicenda di Alfredo Rampi, caduto
in un pozzo artesiano alla periferia di Roma, si trasforma nel primo media-evento della televisione
italiana29 e rappresenta lepigono della tv del dolore. Un tragico ma banale incidente, viene trasformato
dallossessiva e morbosa presenza delle telecamere in attesa di un happy-end in uno psicodramma
nazionale, aprendo non pochi interrogativi sul ruolo dellinformazione e sulla potenza dello strumento.

un ulteriore segnale che anche in Italia si sta sviluppando una moderna societ della
comunicazione, caratterizzata dalla centralit e pervasivit dello strumento televisivo e da un inedito
intreccio fra la logica dellinformazione e quella dellaudience. Un processo ampio che coinvolge in
maniera diretta anche le forme di partecipazione alla vita pubblica ed i suoi protagonisti. nei primi
anni Ottanta che Sandro Pertini porta a compimento una vera e propria trasformazione della figura
pubblica del Presidente della Repubblica. Forte di una posizione dindipendenza rispetto al sistema
politico e alle sue logiche30, Pertini rivisita forme tradizionali della comunicazione politica ed introduce
comportamenti pi adatti alla nuova scena mediale postmoderna31, stabilendo una stretta alleanza con il
mondo dellinformazione, attratto dalloriginalit di alcune delle sue condotte e da un deliberato
scavalcamento delle procedure e del protocollo. Pertini fa notizia, nel senso gradito al sistema
dellinformazione e grazie alla narrazione ed al racconto della sua figura fatto dai mass media si
trasforma nel nonno Presidente.

Altro segnale del nuovo ruolo che stanno assumendo i mass media allinterno della scena
pubblica italiana e della sempre pi evidente sovrapposizione fra comunicazione politica e narrazione
televisiva, si manifesta nel 1984 in occasione della morte e dei funerali di Enrico Berlinguer: primo
media evento della politica italiana32. Le notizie sul malore, la morte e, infine, i funerali del segretario
del Partito Comunista, monopolizzano linformazione italiana per pi di una settimana. uno
sconvolgimento dellagenda dei media ed una copertura eccezionale, proprio nel pieno della campagna
elettorale per le elezioni europee, nelle quali il Pci risulter, unica volta nella sua lunga storia, il pi
votato partito italiano.

Il cambiamento nel peso ricoperto e nellinfluenza assunta dalla comunicazione e, in


particolare, dalla televisione erano oramai evidenti anche ai protagonisti di un sistema politico che non
potevano pi rifarsi a vecchie logiche di controllo ma che, nella maggior parte dei casi, risultavano
restii ad innovare e a delegare funzioni sino ad allora ricoperte autonomamente, prime fra tutte la
campagna elettorale.

Le elezioni politiche del 1983 segnano un netto cambio nelle pratiche e nella cultura della
comunicazione politica italiana, dando luogo alla prima campagna elettorale televisiva della storia del
nostro Paese33. Il principale strumento di trasformazione rappresentato da un esteso utilizzo da parte
di quasi tutti i partiti degli spot a pagamento, sul modello di quelli commerciali. Su 39 spot nazionali
prodotti, 12 vennero realizzati dal Psi, 7 dalla Dc e dal Pri, 6 dal Pci e dal Psdi e uno dal Pli. Con il
ricorso allo spot e alle sue regole discorsive, la comunicazione politica in televisione passava dal
dominio della parola a quello dellimmagine, con un marcato spostamento a favore degli aspetti
emotivi, della personalizzazione, della spettacolarizzazione. Ogni partito scelse il registro che pi si
addiceva alla sua storia e cultura. Il Psi e il Pri puntarono decisamente sulla figura dei loro segretari,
Craxi e Spadolini; la Dc elabor spot molto pubblicitari nella fattura, tesi non tanto ad affrontare i temi
del dibattito politico, bens a suscitare negli elettori uno stato danimo emotivo; il Pci assunse un
registro narrativo pi cinematografico per raccontare delle storie incentrate su alcune delle principali
issues politiche (pensioni, sanit, lavoro); il Psdi ricorse al cartone animato di Gigi il gatto che, a
seconda delle regioni in cui veniva mandato in onda, parlava bolognese o romanesco34. A fianco dello
spot la campagna elettorale registr un massiccio coinvolgimento delle televisioni private nella
creazione e messa in onda di programmi dinformazione elettorale, dedicati al confronto fra gli
esponenti politici35. una nuova programmazione elettorale che si distingue dalle tribune della Rai per
linnovazione nelle formule e nelle modalit espressive, che enfatizzano due tratti caratterizzanti la
nuova emittenza privata: la personalizzazione e la spettacolarizzazione.

Infine, la campagna elettorale del 1983 sancisce altre due tendenze che sottolineano una sempre
maggior convergenza e contaminazione fra i linguaggi e le logiche della televisione e quelli della
politica. Sempre pi spesso i leader e i candidati in cerca di visibilit tendono ad invadere i palinsesti
delle televisioni, partecipando in qualit di ospiti a show, programmi sportivi, variet, giochi: un nuovo
terreno dintervento, nel quale si registrano le forme pi estreme di trasformazione delluomo politico
in personaggio dello spettacolo36. Inoltre, a ribadire il sopravvento anche nel momento elettorale dei
criteri e delle logiche del mondo dello spettacolo su quelli della politica, vengono candidati molti
personaggi provenienti dal mondo della televisione. Ben 26 sono i dipendenti della Rai,
prevalentemente giornalisti, che risultano nelle liste dei partiti. Un dato senza precedenti, che suscit le
proteste di un vecchio esperto della politica in televisione, quale Jader Jacobelli37.

Per lemittenza privata, concludeva lanalisi promossa dalla Rai38, quella campagna elettorale
aveva rappresentato sia un affare economico, derivante dalla vendita degli spazi per gli spot, quanto un
alto investimento politico, poich, dimostrando di essere in grado di svolgere unimportante ruolo
informativo, si era legittimata agli occhi di una classe politica che, non bisogna dimenticarlo, nel 1983
non aveva ancora proceduto ad una regolamentazione del sistema radiotelevisivo. Ai partiti quella
campagna elettorale aveva permesso la scoperta di nuovi canali di comunicazione con fasce di elettori
che la politica non era pi in grado di intercettare autonomamente e ladozione di nuovi linguaggi e
modalit espressive propri dello strumento televisivo. Quattro anni dopo, la campagna elettorale per le
elezioni politiche del 1987 ribadisce in modo ancora pi netto i tratti e le tendenze registrate nel 1983:
personalizzazione e contaminazione della politica con i registri dellintrattenimento, dello spettacolo e
della pubblicit.

A met degli anni Ottanta, fra la neotelevisione e la politica si dunque instaurato un rapporto
di reciproco interesse, cementato dalla mancanza di una nuova regolamentazione del sistema televisivo
e dal decreto legge Berlusconi-Agnes voluto dal governo Craxi nel 1984, nel quale i ruoli e i rispettivi
ambiti di competenza tendono a confondersi e sovrapporsi. Uno scambio fecondo che presto si allarga
al di fuori del ristretto periodo delle campagne elettorali, con linvasione da parte degli esponenti
politici dei palinsesti e dei programmi televisivi. per un equilibrio destinato a sbilanciarsi con
lacuirsi della crisi del sistema politico e il progressivo assurgere della televisione, con i suoi linguaggi
e i suoi for mati, a protagonista della dimensione pubblica e politica.

Il decennio, che nei suoi primi anni era parso un secondo felice boom economico, rivela sul
finire tutta la sua fragilit. Il sistema politico, che ha trovato un proprio equilibrio intorno alla
coalizione pentapartitica e nel 1989 d vita allalleanza fra Craxi, Andreotti e Forlani, mostra vistosi
segni di logoramento e di crisi. Si acuisce la sensazione di distacco fra le istituzioni e i cittadini, la vita
pubblica segnata da una sempre pi marcata partitocrazia che degenera in forme di occupazione del
potere e di corruzione, nuovi partiti si affacciano sulla scena politica nazionale mentre i partiti storici
perdono consenso. Nel tentativo di trasmettere una sensazione di modernit, vicinanza, efficienza, i
partiti procedono al restailing della loro immagine, alla trasformazione del proprio linguaggio, al
cambiamento della propria liturgia. Sono operazioni con conseguenze vistose sulle loro tradizionali
funzioni di selezione e formazione del personale politico e di rappresentanza dellopinione pubblica e
pi in generale sulla cultura politica del Paese, ma del tutto insufficienti dal punto di vista dei risultati.

A fronte di ci, il potere di convocazione e dintervento della televisione accresce e il


diaframma fra rappresentazione televisiva e realt tende ad assottigliarsi ulteriormente.

Samarcanda, che inizia le trasmissioni nel 1987, diventa, assieme al suo conduttore Michele
Santoro, il modello di un nuovo modo di fare approfondimento giornalistico nel quale confluiscono i
contenuti dellinformazione, la forma del talk-show ed i linguaggi dello spettacolo. Il giornalista passa
dal ruolo di conduttore-moderatore a quello di star; il pubblico dal ruolo di spettatore a quello di
protagonista, o almeno questa la funzione che nellevocazione della piazza gli viene attribuita; la
politica dal ruolo di ospite donore, a quello dimputata.

Allinfotainment di Samarcanda e dei suoi molti epigoni si affianca la tv verit. Questo


particolare genere televisivo che inizialmente contraddistingue la linea editoriale della terza rete Rai
diretta da Angelo Guglielmi e in breve contamina i palinsesti delle altre emittenti, generando un filone
di programmi di servizio, fa propri tutti i meccanismi narrativi dellintrattenimento e della fiction per
applicarli alla vita quotidiana39. Nelle intenzione dei protagonisti di quella stagione televisiva
nasceva cos il racconto in diretta e cio la messa in atto di una struttura narrativa in cui gli
accadimenti pi che essere riferiti venivano messi in scena e i telespettatori, oltre che fruitori,
diventavano protagonisti di ci che vedevano. Si trattava di un rovesciamento totale del rapporto
televisione pubblico40. Con simili presupposti, la tv verit allarg in breve il suo raggio dazione
passando dal trattare fatti di cronaca nera e casi giudiziari irrisolti, come in Chi lha visto? (1989) e
Telefono Giallo (1987), sino ad investire frontalmente la politica ed i suoi protagonisti, sulla base di un
nuovo patto comunicativo col pubblico, chiamato a scendere nella piazza elettronica. Chiamando per
cos dire il popolo nellistituzione, la televisione otteneva lo stesso tipo di consenso che poi sarebbe
toccato a Di Pietro: diventava una televisione a furor di popolo41.
Anche il pi classico dei programmi dintrattenimento sembrava innalzare in quel frangente la
bandiera del populismo. Ledizione del 1987 di Fantastico, il principale variet televisivo della Rai,
segnata dalla presenza di Celentano che si cala nel ruolo del telepredicatore. Una conduzione
rivoluzionaria per gli standard della televisione di Stato, costruita su pause, ammiccamenti, lunghi
monologhi in forma di esternazioni. Uno spettacolo impensabile sino a pochi anni prima, che
inconsapevolmente sottolineava linvasione di campo da parte della televisione ai danni di un sistema
politico debole. Nel commentare lavvenimento, Eugenio Scalfari su la Repubblica parlava di
democrazia plebiscitaria evocata dal mezzo e di smarrimento della societ in un momento segnato da
una totale mancanza di autorit. Celentano far scuola, proseguiva Scalfari qualcuno prima o poi
perfezioner lesperienza, la volger ad un fine mirato e politico42.

I caratteri del decennio diffusi e celebrati dalla forza dello strumento si erano prima estesi dalla
rappresentazione televisiva al corpo sociale e quindi alla dimensione pubblica e politica. E una
televisione che al momento processava la politica era pronta, una volta che un intero sistema politico
fosse stato azzerato dallinchiesta mani pulite, a sostituirvisi.

Procedendo ad una progressiva contaminazione fra i modelli e le forme della neo televisione e
quelli della politica, il decennio Ottanta aveva dunque contribuito a diffondere una determinata
raffigurazione della politica e dei suoi protagonisti, a legittimare agli occhi dei telespettatori certe
modalit di partecipazione, a promuovere un tipo di scena pubblica segnata da precise pulsioni e
linguaggi. Aveva cio istituzionalizzato un modello di democrazia spettacolare e plebiscitaria,
allinterno della quale la televisione aveva assunto un ruolo autonomo nellinterpretazione, nella
rappresentazione e nellorganizzazione della domanda sociale.

1. G. De Luna, Le ragioni di un decennio, Feltrinelli, Milano 2009, p. 136. Analoga


interpretazione del decennio Ottanta quale momento di recupero di alcune radici profonde della societ
italiana in G. Crainz, Autobiografia di una repubblica, Donzelli, Roma 2009.

2. Ivi, p. 139.

3. Cfr. E. Hobsbawn, Il secolo breve, Rizzoli, Milano 1995.

4. Cfr. J.F. Lyotard, La condizione postmoderna: rapporto sul sapere, Feltrinelli, Milano 1981.

5. Per un quadro statistico cfr. P. Sylos Labini, Le classi sociali negli anni 80, Laterza, Bari
1968. Per una lettura pi generale delle trasformazioni che coinvolgono la societ italiana nel decennio
Ottanta cfr. P. Ginsborg, Storia dItalia dal dopoguerra ad oggi, Einaudi, Torino 1989, vol. 2.

6. Cfr. L. Cavalli, Governo dei leader e regime dei partiti, Il Mulino, Bologna 1992; A.
Ventrone, La cittadinanza repubblicana. Forma-partito e identit nazionale alla origini della
democrazia italiana 1943-1948, Il Mulino, Bologna 1996.

7. Il principale riferimento a proposito C. Crouch, Postdemocrazia, Laterza, Roma-Bari 2004.

8. Molti i contribuiti in proposito, per tutti: A. Grasso, Storia della radio e della televisione in
Italia, Garzanti, Milano 2001; E. Menduni, Televisione e societ italiana 1975-2000, Bompiani, Milano
2002; M. Morcellini, Lo spettacolo del consumo. Televisione e cultura di massa nella legittimazione
sociale, Franco Angeli, Milano 1986; P. Ortoleva, Un ventennio a colori, Giunti, Firenze 1995; F.
Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia, Marsilio, Venezia 1992.

9. Anche in questo caso molteplici i contributi: G. Mazzoleni, Comunicazione e potere. Mass


media e politica in Italia, Liguori, Napoli 1992; E. Novelli, Dalla tv di partito al partito della tv, La
Nuova Italia, Firenze 1995; E. Novelli, La turbopolitica, Rizzoli, Milano 2006; A. Pilati,
Spettacolarizzazione dei mass media e modificazione del sistema politico italiano, in Problemi del
socialismo, n. 22, 1981; G. Statera, La politica spettacolo. Politici e mass media nellera
dellimmagine, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1986; G. Tinnacci Mannelli, E. Cheli, Limmagine
del potere. Comportamenti atteggiamenti e strategie dimmagine nei leader politici italiani, Franco
Angeli, Milano 1986. In relazione al contesto internazionale il rimando a R. Debray, Lo stato
seduttore, Editori Riuniti, Roma 1997; R.G. Schwartzenberg, La politica spettacolo, Editori Riuniti,
Roma 1980.

10. La definizione di logica mediale si deve a D. Altheide, R. Snow Media logic, Beverly Hills,
California, Sage 1979.

11. Lespressione si deve a L. Cafagna, La grande slavina, Marsilio, Venezia 1993.

12. Litaliano televisivo (1976-2006), in Cfr. M. Piotti, E. Mauroni (a cura di) Atti del
Convegno (Milano, giugno 2009), Accademia della Crusca, Firenze 2010; G. Alfieri, I. Bonomi (a cura
di), Gli italiani del piccolo schermo, Cesati, Firenze 2008.

13. Cfr. G. Gozzini, Spazio pubblico e ritualit civile nellItalia repubblicana, in G. De Luna,
G. DAutilia, L. Criscenti (a cura di), LItalia del Novecento. Le fotografie e la storia. Il potere da De
Gasperi a Berlusconi (1945-2000), Einaudi, Torino 2005, vol. 1, t. 2, pp. 47-104; M. Ridolfi,
Limmaginario repubblicano. Amor di patria, apprendistato democratico e mito di fondazione, in M.
Ridolfi e N. Tranfaglia, 1946: La nascita della Repubblica, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. 23-42; M.
Ridolfi, Le feste nazionali, Il Mulino, Bologna 2003.

14. Per quanto riguarda la storia, le caratteristiche e le finalit di Tribuna Elettorale e in seguito
di Tribuna Politica cfr. E. Novelli, Dalla tv di partito al partito della Tv, op. cit.

15. Cfr. D. Della Porta, I partiti politici, Il Mulino, Bologna 2001; G. Galli, I partiti politici
italiani 1943-2000, Rizzoli, Milano 2001; G. Pasquino, La politica in Italia, Laterza, Roma-Bari 1997;
S. Vassallo, Il governo di partito in Italia 1943-1993, Il Mulino, Bologna 1994; AA. VV. Lattivista di
partito, in Istituto di studi e ricerche Carlo Cattaneo, Ricerche sulla partecipazione politica in Italia,
vol. 3, Il Mulino, Bologna 1967.

16. Cfr. E. Novelli, Dalla tv di partito al partito della tv, op cit.

17. Un quadro generale dei limiti che il programma stava riscontrando in AA.VV. Dieci anni
di tribuna politica: 1960-1970, Rai-Radio Televisione Italiana, Roma 1970.

18. Un segno evidente del venir meno dei tradizionali equilibri e della difficolt di adattamento
del sistema politico al nuovo contesto politico sociale sono nel 1972 le prime elezioni politiche
anticipate. A queste molte altre seguiranno, facendo dellinstabilit uno dei tratti caratterizzanti il
sistema politico italiano.
19. La quantificazione di quella che stata definita la stagione dei cento fiori televisivi non
unanime, anche se tutti sono concordi nel sottolineare leccezionale entit del fenomeno. E. Fleischner
parla ad esempio di 509 emittenti attive al 31 dicembre 1979. Cfr. E. Fleischner, Da emittenti locali a
televisioni multinazionali in Altri Media, n. 32, 1980, pp. 4-8. Unindagine del Ministero delle Poste
e Telecomunicazioni effettuata nei primi mesi del 1981 censisce oltre 800 stazioni televisive. Cfr. E.
Cheli, Pubblicit e politica: il caso italiano, in Il diritto delle radiodiffusioni e delle
telecomunicazioni, n. 2, Eri, Torino 1981.

20. Cfr. G. Mazzoleni, M. Boneschi, Televisioni private ed elezioni. Unindagine pilota sul
ruolo delle emittenti televisive private nellultima campagna elettorale, in Problemi
dellinformazione, anno V, n. 3, 1980, pp. 397-430.

21. Per tutti G. Crainz, Il paese mancato, Donzelli, Milano 2003; S. Tarrow, Democrazia e
disordine. Movimenti di protesta e politica in Italia, 1965-1975, Laterza, Roma-Bari 1990.

22. Lespressione partito medium nel contesto degli anni Settanta si riferisce specificatamente al
Partito Radicale ed alle innovative e spettacolari tecniche di notiziabilit da questo messe in atto nei
confronti di un sistema dellinformazione che iniziava ad essere eletto a proprio interlocutore. Sul tema
cfr. E. Novelli, Dalla tv di partito al partito della tv, op. cit.

23. Cfr: A. Panebianco, Modelli di partito. Organizzazione e potere nei partiti politici, Il
Mulino, Bologna 1982; G. Pasquino, Mass media, partito di massa e trasformazioni della politica, in
Il Mulino, anno XXXII, n. 4, 1983, pp. 559-579.

24. Il termine neotelevisione sar coniato in un articolo da Umberto Eco solo nel 1983 in
riferimento ai nuovi criteri di programmazione e al nuovo patto comunicativo instaurato dalle emittenti
private, Cfr. Tv: la trasparenza perduta, ora in: U. Eco, Sette anni di desiderio, Bompiani, Milano
1983, pp. 163-179. Sullo stesso tema F. Casetti, Fra me e te. Strategie di coinvolgimento dello
spettatore nei programmi della neotelevisione, VQPT-Eri, Torino 1988.

25. Per questa definizione R. Williams, La televisione. Tecnologia e forma culturale e altri
scritti sulla tv, Editori Riuniti, Roma 2000.

26. Un contributo determinante nel modificare i comportamenti dascolto rappresentato


dallintroduzione del telecomando nella seconda met del decennio Settanta.

27. Fra il 1980 e il 1989 lofferta della Rai aumenta di quasi il 100 per cento, passando da 9
mila a 17 mila ore di programmi, ed ancora pi marcata la crescita che si registra nellemittenza
privata.

28. Fra le molte analisi dedicate al fenomeno Drive In una delle pi critiche ma anche pi
affilate in M. Panarari, Legemonia sottoculturale, Einaudi, Torino 2010.

29. Per quanto riguarda la ricostruzione dellintera vicenda, cfr. M. Gamba, Vermicino. LItalia
nel Pozzo, Sperling & Kupfer, Milano 2007. Per quanto riguarda il concetto di media evento cfr. D.
Dayan, E. Katz, Le grandi cerimonie dei media, Baskerville, Bologna 1993.
30. Cfr. C. Marletti, La Repubblica dei media, Il Mulino, Bologna 2010.

31. La naturale tendenza di Pertini a ci che nella communication research definito il going
public, cio lesposizione in pubblico, cos come le telefonate in diretta ai programmi televisivi di
grande ascolto o la partecipazione a eventi altamente simbolici quali, su fronti opposti, la notte di
Vermicino o la finale del Campionato del Mondo di Calcio a Madrid nel 1982, rappresentano alcuni di
questi comportamenti.

32. Cfr. P. Mancini, D. Margheriti, Mass media e rituale nella morte di Berlinguer, in
Problemi dellinformazione, anno IX, n. 4, 1984.

33. Per questa definizione e i dati riportati in seguito cfr. G. Grossi, P. Mancini, G. Mazzoleni,
Giugno 1983: campagna elettorale, vol. I, Rai Radiotelevisione Italiana, Verifica Qualitativa
Programmi Trasmessi, quaderno numero 53.

34. Per una pi dettagliata analisi delluso degli spot politici nel corso di questa campagna
elettorale P. Mancini, La prima volta degli spot politici, in Problemi dellInformazione, a. IX, n. 1,
gennaio-marzo 1984, pp. 7-32.

35. In questa particolare tipologia di programmi Canale 5 da solo super per numero di ore
trasmesse tutte e tre le reti Rai.

36. Il caso pi eclatante di una tale trasformazione spettacolare si verifica nel programma
Cipria, ideato e condotto da Enzo Tortora e trasmesso su Rete 4. Su questo programma cfr. E. Novelli,
La turbopolitica, op. cit., pp. 171-172.

37. J. Jacobelli, La Stampa, 30 giugno 1983.

38. G. Grossi, P. Mancini, G. Mazzoleni, op. cit.

39. E. Menduni, I linguaggi della radio e della televisione, Laterza, Roma-Bari 2002, p. 175.

40. A. Guglielmi, S. Balassone, Senza rete. Politica e televisione nellItalia che cambia, Rizzoli,
Milano 1995, p. 49.

41. A. Guglielmi, S. Balassone, op. cit., p. 41.

42. E. Scalfari, Il nostro guru del sabato sera, in la Repubblica, 15 dicembre 1987, ora anche
in G. Crainz, Autobiografia di una nazione, op. cit., pp. 156-157.
Nostalgia di
un decennio
disprezzato:
appunti
sul primo
cinepanettone**
di Alan OLeary

Il cinepanettone come elemento rappresentativo degli anni 80. Lanalisi di un fenomeno di


successo troppo a lungo sottovalutato dalla critica cinematografica ed esaltato da un pubblico molto
pi consapevole di quanto lo si sia creduto. Da Sapore di mare a Vacanze di Natale lespressione di
una cultura di massa basata sulla nostalgia del tempo passato e detentrice di uninnocenza ritrovata
tra le note delle hit parade dellepoca e la messa in scena delle consuetudini del popolo italiano. Le
madeleines di Proust sono ora prodotte in serie. Emiliano Morreale*

Gli anni Ottanta in Italia vengono visti con disprezzo e sono contrassegnati nellimmaginario
comune da un senso misto di tardivit o anticipazione. Il periodo che va dall80 al 90 generalmente
descritto come il decennio della rinuncia alla partecipazione politica e della chiusura nel privato; in
questo senso viene spesso contrapposto ai turbolenti anni Settanta. Tuttavia gli anni Ottanta sono
spesso visti anche come anni al di fuori del tempo, un momento di vuoto edonismo privo di cultura che
sar punito dalla crisi politica successiva alla caduta del muro di Berlino e agli scandali di
Tangentopoli: Dal punto di vista politico-istituzionale, un periodo che apparso agli storici come un
limbo, una fase di stasi che prelude alla crisi degli anni Novanta1.

Non deve sorprendere allora che in Italia la nostalgia, nella sua espressione postmoderna, sia
nata proprio in quel periodo. Cos almeno secondo Emiliano Morreale, il quale riconduce agli anni
Ottanta lemergere di una nostalgia mediale e di massa che ritrova i suoi motivi e le sue Madeleine
proustiane nella cultura di massa2. Nel suo libro Morreale segnala Sapore di mare (Carlo Vanzina,
1983) come testo chiave della nuova nostalgia. Il film infatti consegna al cinema italiano il fenomeno
centrale di quella stagione: il filone nostalgico-sentimentale3. Sapore di mare una commedia corale
che si svolge durante unestate qualsiasi dinizio anni Sessanta. un omaggio alle commedie balneari
in voga in quegli anni, e come molte di esse ha una colonna sonora da jukebox, composta dai
tormentoni del periodo. Sapore di mare , ovviamente, la canzone di Gino Paoli del 1963 (non presente
nel film), i successi del momento sono fondamentali per stabilire il tono nostalgico della commedia,
proprio come lo saranno, quello stesso anno, nella pi longeva e popolarissima versione invernale,
Vacanze di Natale di Carlo Vanzina4, tema principale di questo articolo. Se in Sapore di mare la
rievocazione nostalgica di ventanni prima appare scontata, in Vacanze di Natale, la cui ambientazione
contemporanea, la nostalgia , per cos dire, istantanea anche se i fan del film la continueranno a
sentire nel tempo .

In questo saggio mi propongo di considerare lo status di cult assunto oggi da Vacanze di Natale
come una certa nostalgia per i disprezzati anni Ottanta. Analizzer il fascino del film sostenendo che la
nostalgia sia in una certa misura un elemento interno al testo stesso, concepito a sua volta come testo
insieme satirico e rassicurante, portatore di uninnocenza perduta. Prender in considerazione anche la
ricezione critica, che giudic sia il film sia il filone da esso inaugurato, il cinepanettone, come prodotti
usa e getta, esclusivamente legati alla loro data di produzione. La critica infatti ha visto il film come il
prodotto esemplare del decennio in cui, a detta di molti, nacque una nuova forma di qualunquismo che
di l a poco avrebbe dato vita al berlusconismo vero e proprio. Mi propongo dunque di mostrare come
in realt Vacanze di Natale e il cinepanettone siano cos sistematicamente denigrati in quanto apprezzati
da un tipo di spettatore per cos dire sbagliato, in cerca di sensazioni non cinefile.

Nostalgia istantanea

Vacanze di Natale una commedia corale ambientata a Cortina nel tempo che intercorre fra
Natale e Capodanno. Come detto, la versione invernale e aggiornata di Sapore di Mare (che era uscita
in sala alcuni mesi prima), anche se ricalca il modello di Vacanze dinverno, film del 1959 diretto da
Camillo Mastrocinque con Alberto Sordi e Vittorio De Sica5. Vacanze di Natale intreccia le vicende di
due famiglie romane (i Covelli, borghesi e arroganti, e i Marchetti, proletari e alla mano), con la storia
di un matrimonio a pezzi tra un cafone milanese e Stefania Sandrelli, e le scappatelle sessuali del
pianista-animatore dellhotel, Jerry Cal. Due giovani astri nascenti del cinema italiano interpretano i
figli, luno lopposto dellaltro, della famiglia borghese e di quella proletaria: un esuberante Christian
De Sica (Roberto) e un Claudio Amendola (Mario) in versione teen idol. Il fratello minore di Roberto,
Luca, sembra quasi avere un colpo di fulmine per Mario, il suo migliore amico, ma sar invece
Roberto, in un momento di inaspettata sincerit, a rivelarsi gay.

Sebbene la grossolanit6 del film sia stata evidenziata in maniera unanime dai cinefili, Vacanze
di Natale per molti aspetti un film efficace, che riesce per tutta la sua durata a mantenere un senso di
leggerezza e un ritmo vivace. La durata media delle inquadrature piuttosto lunga se paragonata agli
standard di oggi, ma il montaggio spesso brillante e veloce nellalternare i passaggi fra i diversi
personaggi della storia, a dimostrazione del fatto che quasi ogni scena non dura mai pi del dovuto7. In
questo senso un grande aiuto dato dalla colonna sonora, in stile jukebox, ritenuta essenziale per la
riuscita del film. I fan, sul sito dedicato al film, parlano di:

musiche di una colonna sonora che ha segnato unepoca. Eh s, perch la colonna sonora stata
fondamentale ai fini del successo di questo film. Chi non ha ballato e magari balla ancora sulle note di
Moonlight Shadow (di Mike Oldfield) o di I Like Chopin (di Gazebo), oppure cantato la Vita spericolta
di Vasco Rossi o la disperata Ancora di Eduardo De Crescenzo8?

Se la musica di Sapore di mare veniva dai primi anni Sessanta, gli anni pre-Beatles in cui era
ambientato il film, la musica in Vacanze di Natale non avrebbe potuto essere pi contemporanea.
composta da diciassette canzoni (italiane e non, alcune usate pi di una volta), tutte suonate nella
versione del singolo, molte delle quali quellanno erano in cima alle classifiche di ascolto.

Raramente le canzoni sembrano scelte per lappropriatezza del loro contenuto lirico alla scena9.
Non sono utilizzate come commento tematico, le ragioni sono altre. Tecnicamente parlando, le canzoni
funzionano spesso da raccordo sonoro per ammorbidire il passaggio da una scena allaltra, e sono
tagliate o lasciate dissolvere soltanto quando lattenzione dello spettatore deve concentrarsi sul dialogo
o sulla performance. Si potrebbe pensarle quindi come musica trasmessa alla radio, dove si presume
che essa faccia da sottofondo a unaltra attivit, a casa o a lavoro (nel caso del film si tratta di
unattivit visiva che perde cos dintensit), e le canzoni vengano assorbite piuttosto che attivamente
ascoltate.

In altre parole, le canzoni sono valutate in base al loro potere di connotare piuttosto che di
denotare: sono apprezzate non tanto per il loro significato, quanto per le esperienze che rievocano. In
particolare, per quanto riguarda il film queste stesse esperienze sono rappresentate dalle scene, dai gesti
o dai personaggi che le canzoni accompagnano: I like Chopin, per esempio, viene associata a Jerry Cal
e al suo personaggio di pianista sciupafemmine, mentre sia Moonlight Shadow che Vita Spericolata si
sovrappongono alle immagini delle piste da sci, che hanno una funzione pi spettacolare che narrativa.
Pi in generale, comunque, il film suscita e attinge alle esperienze individuali che lo spettatore porta
con s al cinema, esperienze che nella vita sono state accompagnate da quegli stessi tormentoni,
recentissimi eppure gi vintage. La colonna sonora non quindi soltanto la colonna sonora del film:
la colonna sonora di una fase di vita ben precisa. Limportante non che le canzoni siano
particolarmente belle o appropriate, ma che siano state ascoltate da tutti. Non conta neppure che siano
state le preferite degli spettatori-ascoltatori; basta che siano orecchiabili, che siano melodie rimaste in
testa dalle vacanze appena trascorse. Di qui la domanda retorica sul fan site di Vacanze di Natale, dove
ci si chiede se possa esistere qualcuno che non abbia mai ballato le canzoni del film. Lesempio dei fan
e lo spazio da loro dedicato sul sito alle canzoni bastano da soli a indicare come queste racchiudano in
s una nostalgia immediata, istantanea nei confronti di momenti appena passati10.

Un imbarazzante fenomeno italiano

Oltre ad essere una variazione sul tema sia di Sapore di mare che di Vacanze dinverno,
Vacanze di Natale notoriamente il capostipite del cinepanettone, il sottogenere disprezzato per
eccellenza del cinema italiano11. A causa, o a dispetto, del suo successo annuale il cinepanettone
ritenuto un prodotto basso e dozzinale, diventato ormai sinonimo di scarsa qualit e metonimia per il
gusto degenerato del pubblico italiano. interessante notare che Giorgio Simoncelli esclude Vacanze
di Natale dal disgusto nei confronti del filone vero e proprio dei cinepanettoni e dei film che in seguito
avrebbero cercato di recuperarne la formula:

Diciamo la verit: linizio [i.e., Vacanze di Natale] non era poi tanto male. Linizio di quello che
ormai un imbarazzante fenomeno italiano, che, a parte qualche snobistica rivalutazione, indigna ogni
volta al suo apparire buona parte della societ, che diventato antonomasia della superficialit, della
banalit, della volgarit, della mancanza di progetti del nostro cinema, faceva sperare molto di pi di
quello che poi ha prodotto, lanciava piccole ma stuzzicanti promesse che poi non ha mantenuto12.

La fraseindigna ogni volta al suo apparire buona parte della societ rivelatoria: costituisce
una sorta di invito perlocutorio al lettore, ed esprime una mancanza di stima per coloro che non
riescono a provare la suggerita e dovuta indignazione: in altre parole il pubblico che va a vedere questi
film. Il disprezzo per gli spettatori del cinepanettone ormai luogo comune. Negri e Tanzi, per
esempio, parlano di spettatore ignorante e mangione che consuma senza criterio; il cinepanettone per
loro unofferta che cattura migliaia (o meglio milioni) di spettatori che non vanno mai al cinema, se
non una volta allanno per gustarsi il loro cinepanettone. [] Stordito dagli eccessi alimentari e
sentimentali del periodo natalizio, il consumatore assorbe meglio13.

Ritorner in seguito sul problema dello spettatore tipo del cinepanettone e sul diffuso sdegno
provato nei suoi riguardi. Per il momento, tuttavia, vorrei ribadire che Simoncelli non lunico a
sentire una certa nostalgia per Vacanze di Natale tanto da salvarlo dalla generale bocciatura della
critica, al contrario di quanto successo al filone che ha inaugurato. Al film stata accordata la
benedizione ufficiale del Festival del Cinema di Venezia, che nel 2010 lo ha incluso nella retrospettiva
La situazione comica, considerandolo parte della pi nobile tradizione della commedia allitaliana.
Infatti Vacanze di Natale ha raggiunto da molto tempo lo status di vero e proprio cult: c un fan club
romano con il sito dedicato al film (menzionato sopra), uscito un libro nella serie di sceneggiature di
commedie italiane pubblicata da un Mondo a parte e curato da Franco Spicciarello, cofondatore del fan
club14.

Il libro contiene numerosi materiali (alcuni dei quali compaiono anche sul fansite) una
prefazione scritta da Marco Giusti, critico e autorevole arbiter del cinema cult, interviste ai Vanzina,
agli attori, etc. ma la parte principale dedicata alla sceneggiatura annotata del film, da considerarsi
in tutto e per tutto unattenta analisi filologica, un accurato accostamento tra quelli che saranno i
dialoghi effettivi poi apparsi sullo schermo e la sceneggiatura originale fornita dagli stessi fratelli
Vanzina; la sceneggiatura contiene inoltre alcune informazioni dettagliate sulle differenze tra la
versione finale e quella scritta del film, e, cosa pi importante, la presenza ricorrente a margine di un
segno, basato sulle immagini usate per la locandina del film.

Spicciarello scrive che il mito di Vacanze di Natale [] cresciuto negli anni sullonda delle
battute ripetute a memoria, a volte anche in modo ossessivo dei fan . Lintestazione dialoghi e ciak
indimenticabili segnala le battute pi amate e famose15: sia uno strumento per i fan (a cui d il
piacere della familiarit e un fandom di cui cercano solo conferma) sia per diventare fan (ossia: questo
ci che bisogna sapere per diventarlo). Non voglio in nessuno modo suggerire che questa specie di
culto da parte dei fan e la diffusa salvaguardia delle battute nella memoria collettiva rappresentino un
caso relativo soltanto allItalia, ma in Italia sono un fenomeno evidente: basti pensare ad esempio alle
ben note frasi tratte dai film di Nanni Moretti16.

Domandarsi perch una particolare battuta, piuttosto che unaltra, dovrebbe entrare a far parte
del parlare quotidiano difficilmente porta a pi che delle congetture, ma si pu ipotizzare che una
popolarit di questo genere possa essere generata da uno o pi dei seguenti aspetti: un senso di
trasgressione e abbattimento di certi tab (non posso credere che labbia detto!); il localismo
(accento, autenticit o esagerazioni dialettali); il senso di riconoscimento (questo lavro detto o lavro
sentito dire conosco persone che lo dicono); leco o la parodia di frasi fatte o ufficiali che potrebbe
dare unimpressione ironica ed irriverente. Ovviamente, che si tratti di Christian De Sica o di Nanni
Moretti, la personalit e la performance dellattore che effettivamente pronuncia la battuta cruciale, e
pu favorire lutilizzo di una data battuta come strumento di riconoscimento reciproco o coesione tra
sottoculture ed elettorati diversi (per esempio un destinatario di sinistra dei film di Nanni Moretti
potrebbe manifestare la sua preferenza politica con un D qualcosa di sinistra o un Continuiamo
cos, facciamoci del male!).

In assenza di un approccio empirico si possono soltanto avanzare delle ipotesi intorno al peso
relativo di ciascun aspetto, anche se pu anche darsi che laspetto trasgressivo sia spesso messo in
primo piano nel determinare lentrata di una certa battuta nellimmaginario popolare. Fabio Rossi, nel
suo studio sulla lingua nel cinema italiano, non fa riferimento esplicito a Vacanze di Natale o ad altri
cinepanettoni, ma menziona i fratelli Vanzina quali esasperatori delle scurrilit verbali introdotte per la
prima volta nei film italiani dal neorealismo, poi usate nella commedia allitaliana e infine, secondo lui,
cinicamente sfruttate da registi successivi come Umberto Lenzi e Sergio Corbucci per trovare una
facile complicit col grande pubblico17. Per Rossi gli stessi Vanzina sono tra i principali artefici []
dellabbassamento in senso scurrile dei pallidi resti della commedia allitaliana18. E questa, oltre ad
essere una conseguenza da stigmatizzare, come si pu intuire dal tono della frase, ha anche la virt di
mettere in crisi lubiquit del doppiaggese: una forzata versione standard dellitaliano, parlato dai
doppiatori non solo nei film stranieri ma anche in quelli italiani. Per Rossi i film dei Vanzina offrivano
un romanesco se non altro talvolta meno ibridato e censurato del solito19.
Se lo semo levato dalle palle

Marco Giusti, nella prefazione al libro di Spicciarello su Vacanze di Natale, ricorda una
proiezione organizzata dai fan per celebrare il film a Roma il 12 Dicembre 2001:

Lo dovevate vedere, la sera di un anno fa, il pubblico vanziniano fan di Vacanze di Natale
raccolto nella saletta dellAnica [] in estasi assieme a Enrico Vanzina e a qualche attore del film, tutti
pronti al karaoke collettivo. Un pubblico che non aveva proprio niente del cinefilo anni 70, dello
spettatore critico. Erano proprio ragazzetti degli anni 80 ormai sulla trentina, professionisti o
diplomati, molti con giacca e cravatta, mogli o fidanzate, uniti nel ricordo di un film, di una semplice
battuta, di una canzone20.

Poniamo che Giusti abbia individuato correttamente let, il sesso e la disposizione del fan tipo
di Vacanze di Natale. Cosa avrebbe attratto un giovane adolescente, forse anche romano, ad andare a
vedere un film come questo al momento della sua originaria uscita in sala? Ho gi menzionato il ritmo
del film, la nostalgia immediata suscitata dalla musica, e si dovrebbe menzionare anche lappeal della
rappresentazione in realt piuttosto reticente del corpo dellattrice straniera di turno (qui Karina
Huff). Ugualmente importante per il fascino del film il fatto che i personaggi siano riuniti in nuclei
familiari, ed fondamentale che il ritratto delle famiglie sia allo stesso tempo sentimentale e satirico.

Il sentimento , in particolare, legato ai Marchetti, la famiglia proletaria, ci immediatamente


evidente nel rapporto di Mario con i genitori e con la nonna. Si faccia caso al sorriso di Mario in uno
dei momenti iniziali del film, quando il generale tono canzonatorio viene per un attimo messo da parte
in quanto lo stesso Claudio Amendola sembra uscire dal personaggio in un lungo e divertito
apprezzamento per la recitazione dellesperto caratterista Mario Brega, che nel film interpreta il padre.

La satira famigliare pu invece essere pi facilmente individuata nel ritratto della benestante
famiglia romana, i Covelli. Il momento forse pi famoso e sardonico del film arriva quando lirascibile
capofamiglia (Riccardo Garrone) invitato dalla moglie a dire qualche parola subito dopo lo scambio
dei regali di Natale.

Ci aspettiamo un discorso sullimportanza di stare in famiglia o qualcosa del genere, ma,


quando si alza in piedi per parlare, ecco quella che forse la battuta pi famosa del film, nove parole
che ricordano le frasi usate per le raccolte di carit sotto Natale: Anche questo Natale, se lo semo
levato dalle palle; e subito dopo con un taglio la scena passa al giorno successivo e a una veduta sulle
assolate piste da sci. Il momento delizioso anche perch in modo diretto e pungente esprime la noia e
il senso di dovere che tutti noi abbiamo provato almeno una volta durante le festivit passate in
famiglia, e forse anche perch lo stesso capofamiglia a sfogarsi, rifiutando quindi lautorit del suo
ruolo.

Insomma, cosa attira un teenager verso un film come questo? Parte del fascino deve essere la
combinazione di satira e sentimentalismo con cui le famiglie sono tratteggiate. Questo ritratto
ambivalente, a due facce, esprime le frustrazioni e gli obblighi della vita famigliare, pur allo stesso
tempo confermando alcune delle sue consolazioni e il senso di sicurezza che offre. La scurrilit del
dialogo e la rottura del decoro sia sociale che linguistico, avviene tuttavia al riparo dal contesto
familiare, che nonostante tutte le sue tensioni e pretese, non mostra segni di cedimento. Tale sicurezza
familiare essenziale e costituisce un tipo di innocenza che pu, di conseguenza, sempre avvertirsi
come perduta, contribuendo cos alla creazione della sua patina nostalgica.

Addio, homo cinematographicus

Passiamo ora al contesto di produzione di Vacanze di Natale. La mia intenzione non tanto di
ripetere la storia, pi volte raccontata, della crisi dellindustria cinematografica italiana negli anni
Ottanta, quanto mettere in risalto come questa crisi sia costantemente chiamata a indicare un pi
generale malessere nei riguardi dello spessore ideologico di quel decennio. Tuttavia, in breve, gli anni
Settanta videro la scomparsa dei circuiti di seconda e terza visione, e anche la chiusura dei cinema di
prima visione, sotto la pressione della crescita delle reti televisive private. Per il cinema italiano lunica
eccezione rispetto al crollo di pubblico, verso la fine degli anni Settanta e linizio degli Ottanta, fu
rappresentata da commedie costruite intorno ad attori comici popolari come Massimo Troisi o figure
trans-mediatiche come Adriano Celentano21.

Nel titolo del suo resoconto sul fallimento delle prestazioni e (secondo lui) delle ambizioni del
cinema italiano tra il Settanta e lOttanta, Gian Piero Brunetta parla di lunga agonia dellhomo
cinematograficus, cio quel tipo di spettatore che trova nella sale tutti gli alimenti necessari al
proprio sviluppo immaginativo e sentimentale22:

Lungo tutti gli anni Sessanta e per una buona parte degli anni Settanta il pubblico premia
prodotti di buona qualit. La tendenza si inverte allimprovviso e si assiste, dalla seconda met degli
anni Settanta, a una vera e propria regressione, dovuta alla perdita di centinaia di milioni di biglietti
venduti23.

Brunetta e atri studiosi come Barbera Corsi estendono la colpa anche ai produttori italiani per le
loro scelte poco creative in un mercato, sia nazionale che estero, in continuo cambiamento. Colpa
condivisa con lo spettatore italiano, considerato anchegli uno dei motivi del crollo di tono e qualit
della produzione filmica nazionale. Questo significa che la morte dellhomo cinematograficus lascia in
eredit al cinema italiano il tipo di pubblico sbagliato. Corsi si riferisce allo spettatore dei film di
Celentano come un alieno: conserva laspetto del pubblico cinematografico, ma non ne ha lanima.
Corsi cita anche un articolo di Sandro Zambetti su Cineforum del 1981, secondo il quale la
popolarit di Celentano dimostra che le sale possono tornare, in qualche rara occasione, a riempirsi
come una volta, solo quando c di mezzo un richiamo che va al di l del cinema24. Un richiamo del
genere potrebbe essere rappresentato da Celentano stesso, o potrebbe assumere le sembianze dei film di
Natale, quando anche un ritualistico andare al cinema entra in gioco: Il pubblico generico dai primi
anni 80 va scomparendo, la sua frequentazione del cinema si limita alle grandi occasioni o al rito
natalizio []25. O, secondo Brunetta:

non si pu pi nascondere il dato che il pubblico italiano, salvo poche eccezioni, evita sempre
pi di anno in anno il cinema nazionale come se fosse affetto da sindromi di immunodeficienza
acquisita. Salvo premiare i film natalizi dei fratelli Vanzina o di Enrico Oldoini26.

Il linguaggio iperbolico e figurativo di Brunetta, che allude addirittura alla terribile minaccia di
una malattia nata proprio negli anni Ottanta, rivelatore. Esso indica quanto, nelle menti dei
commentatori, una riflessione intorno al destino del cinema sia inscindibile da come le condizioni
ideologiche, economiche e anche, in apparenza, mediche e forse morali sono sentite dallepoca e
dalla societ contemporanea.
Naturalmente, non ho alcuna intenzione di mettere in discussione le analisi o le conclusioni cui
sono arrivate autorit come Brunetta e Corsi; la mia obiezione qui al tono apocalittico e a quella che
rischia di diventare una descrizione sommariamente riflessionista del cinema italiano, descrizione
che potrebbe portare a generalizzazioni superficiali, come questa:

In effetti il cinema dei Vanzina, di Neri Parenti, di Enrico Oldoini, pu diventare lemblema pi
significativo di un decennio caratterizzato, almeno nelle immagini vincenti, da un bisogno di ridere, da
una rinuncia a pensare, da una celebrazione dellapparire, dal cinismo e dal rampantismo,
dallabbassamento sensibile del quoziente di intelligenza comica, dalla convinzione della perfetta
permeabilit tra cinema e televisione []27.

Si noti qui la consequenzialit tra la bassa opinione che il critico ha della qualit del film e
laltrettanto bassa considerazione che egli ha per il pubblico del film, visto in preda a uno sconsiderato
bisogno di ridere, e giudicato colpevole di una rinuncia a pensare

Quando si riferisce al cinema dei Vanzina, di Neri Parenti ed Enrico Oldoini, Brunetta sta
parlando di tre autori a cui viene associato il cinepanettone, e la sua caratterizzazione del pubblico del
filone come menefreghista ormai onnipresente. Manu, collaboratore del blog cinefilo
Secondavisione, offre unanalisi di Vacanze di Natale nella quale si evidenzia di nuovo il rapporto
diretto tra qualit dubbia del film e del suo spettatore, entrambi per altro collegati alla situazione
ideologica degli anni Ottanta:

Siamo allalba del berlusconismo, che ci avrebbe travolti, mutati e distrutti per i trentanni
seguenti. E qui si vede gi il progetto in nuce. Non solo nel greve e banale product placement, che
mostra una certa luciferina astuzia nel presentarsi in un film il cui target saranno proprio i forzitalioti di
domani: playboy da strapazzo, burini che anelano ad essere ricchi, borghesi vacui e stronzi. Ci siamo
trasformati tutti in personaggi di questo film, o lo vorremmo essere. Imprigionati in una brutta
sceneggiatura e in una povert visiva da far rimpiangere Bombolo28.

Nel mio studio sul cinepanettone e sul suo pubblico ho raccolto le risposte a un questionario
online creato per ricavare informazioni intorno al consumo, allutilizzo, alla circolazione e alla
costruzione discorsiva dei film29. Agli intervistati stato chiesto se si ritenessero spettatori tipici del
cinepanettone e, se cos fosse, di fornire una descrizione di quel tipo di persona. Lespressione italiano
medio ricorre spesso, qualche volta legata alla classe o allo status sociale, e il presunto berlusconismo
dello spettatore reso esplicito cos come il suo basso livello culturale:

Un italiano medio e poco intelligente e ironico.

Litaliano medio, ovvero cultura medio/bassa.

Tipico berlusconiano.

I truzzi, gli arricchiti e i berlusconiani.

Litaliano ignorante, litaliano stupido e litaliano di destra (pi del 50%).

Una persona senza cultura, che non legge e non si informa, non va al cinema abitualmente e
non conosce la storia del cinema, probabilmente di centro-destra, con pregiudizi e priva di gusto e con
la soglia dellattenzione e la capacit di concentrazione bassissime.

Maschilista e volgare.

Un uomo porco a cui piace vedere culi e tette al vento [] e che si diverte con volgarit e
espressioni dialettali e che si masturba ripensando alla battona di turno che ha recitato nel film.

Dato il successo che il cinepanettone riscuote presso un pubblico vario, che comprende famiglie
e persone dogni sesso o et, pare poco probabile che il suo spettatore modello possa essere inquadrato
con tale sicurezza in determinate caratteristiche culturali e di genere. Piuttosto, sembra che la notevole
forza di certe espressioni, usate in alcune delle risposte, indichi soprattutto la percezione di una
spaccatura politica e culturale viva oggi in Italia. Le risposte al questionario mostrano come lo stesso
cinepanettone venga usato come metafora di una delusione politica che ha trovato in quel pubblico il
suo capro espiatorio. Forse bisognava aspettarsi che domande anonime e online suscitassero risposte
cos schiette, anche se, a dire il vero, i sentimenti emersi non sono poi cos distanti da quelli delle voci
pi autorevoli: il tipo sbagliato di spettatore che sopravvive alla scomparsa del brunettiano homo
cinematographicus incarna quella sbagliata tipologia sociale di individuo e genera sia il tipo sbagliato
di governo sia il tipo sbagliato di cinema.

Eravamo cos

Prendendo in prestito un termine di Fredric Jameson, nei riguardi di Sapore di Mare Morreale
parla di evocazione di una generica e temporalmente imprecisa sessantezza, un espediente inteso a
porre il prototipico periodo di svago della vacanza estiva quale modello del nuovo edonismo degli anni
Ottanta. Morreale scrive:

La cosa da chiedersi, ovviamente, non quanto quello che si vede sullo schermo sia
effettivamente il 1964, ma quanto vi trapeli del 1982. [] Siamo nel pieno del trionfo dei modelli di
una nuova borghesia, delle televisioni private, di una nascente piccola e media impresa, dello stato
della dialettica politica DC-PCI in cui si inserito abilmente il PSI di Craxi, che si propone come
portavoce di questa nuova borghesia. La parola chiave del nuovo e del moderno viene percepita, a
sinistra e da certa parte del mondo cattolico, anche come unondata crescente di volgarit, ma proprio
con il richiamo agli anni Sessanta la cultura di massa del periodo fornisce, pi o meno coscientemente,
un precedente e un modello30.

Morreale qui attribuisce ai filmmaker unoperazione di dubbia legittimazione ideologica. Non


mi interessa esprimere qui unopinione sullaccuratezza o meno di un tale punto di vista, mi limiter
invece a far notare una volta di pi quanto puntualmente questa stessa accusa, in forme pi o meno
sofisticate, si ritrovi nelle riflessioni critiche sui film dei Vanzina e particolarmente riguardo al filone
del cinepanettone, nato, sulla scia di Sapore di Mare, proprio con Vacanze di Natale, oggetto di questo
studio. Tali riflessioni possono anche essere scritte in nome dellideologia o della civilt, ma ogni volta
finiscono con il presentare i film come se questi fossero allo stesso tempo causa, sintomo e apologia di
un rincretinimento della cultura italiana, sia cinematografica che politica.

Come abbiamo visto, tuttavia, oltre ai film anche il loro pubblico ritenuto colpevole. Gli
spettatori del cinepanettone, un popolo che alimenta il duraturo, e natalizio, rituale italiano del
pellegrinaggio al cinema, si presuppone siano persone ignoranti e reazionarie; li si pensa, infatti, come
il tipo sbagliato di spettatore, cos privi di discernimento da sostenere un tipo di cinema vergognoso.
Questo cinema e il suo pubblico hanno la loro origine nei disprezzati anni Ottanta, ed entrambi, per
associazione reciproca, sono immancabilmente maledetti. Vacanze di Natale, il primo cinepanettone,
giudicato dai critici il prodotto esemplare di un decennio in cui, a detta di molti, nacque il nuovo
qualunquismo da cui, di l a poco, avrebbe dilagato il berlusconismo. Tuttavia il film anche ricordato
con grande affetto dai fan che, come dice Marco Giusti, potrebbero avere o non avere proprio niente
del cinefilo anni 70, dello spettatore critico, ma che a mio avviso sembrano del tutto lucidi e
consapevoli nella loro nostalgia:

Per noi [Vacanze di Natale] ha rappresentato quello che noi abbiamo sempre pensato di essere,
da ragazzini, che in qualche modo siamo stati e che in certi casi, forse, non siamo riusciti ad essere.
Vacanze di Natale mette insieme quello che la pura rappresentazione sociale di quella che lItalia
dellepoca. [] Perch senza appesantire la sceneggiatura, quindi la trama, riuscito a mettere quello
che era lItalia socialista, capitalista, edonista, lItalia pi superficiale, che cercava il divertimento...
lItalia che scopriva anche un po lomosessualit... Una serie di temi sociali, nei quali noi ragazzini
ancora non ci identificavamo ma che, strada facendo, abbiamo riconosciuto essere oggettivi, veritieri,
con il grande pregio di far ridere. Quindi, si vedevano situazioni assolutamente verosimili, ma con la
tinta della commedia che rendeva tutto assolutamente piacevole31.

Sono parole di Pietro Di Nocera, uno dei co-fondatori del fan club e del sito di Vacanze di
Natale. Il suo lessico ricorda da vicino quello del cinefilo Manu, citato sopra, con la sola differenza che
il film elogiato e non criticato per la sua ambivalente rappresentazione dei cambiamenti della societ
italiana. Piaccia o non piaccia, c stata una generazione che stata giovane persino nel pi disprezzato
dei decenni, e che perci rivolge la propria nostalgia verso quellepoca, in forme culturali che si
dimostrano compatibili e accomodanti:

Il significato [di Vacanze di Natale] pi di un messaggio un dire eravamo cos: si


rideva, si scherzava, ma cera anche una presa di coscienza di unItalia che stava cambiando Io
voglio immaginarlo cos32

* E. Morreale, Linvenzione della nostalgia: il vintage nel cinema italiano e dintorni, Donzelli,
Roma 2009, p. 8.

** Traduzione di Riccardo Antonangeli (New York University). Revisione di Luca Peretti (Yale
University). Lautore vuole ringraziare Catherine ORawe per il permesso di usare in questarticolo
alcuni materiali che hanno elaborato a quattro mani.

1. Morreale, op. cit., p. 151.

2. Ivi, p. 5.

3. Ivi, p. 171. Morreale sostiene che il filone giovanilista-nostalgico sia lunico importante
esempio di nostalgia cinematografica di quel periodo (ibidem). Sorlin invece non daccordo e fa
notare come la nostalgia fosse gi la moda dominante dalla fine degli anni Settanta in poi; come
esempi cita Lalbero degli zoccoli (Ermanno Olmi, 1978), E la nave va (Federico Fellini, 1983) e
Storie di ragazzi e ragazze (Pupi Avati, 1989). P. Sorlin, Italian National Cinema 18961996,
Routledge, London 1996, p. 160.

4. Entrambi i film sono scritti a quattro mani dal regista Carlo Vanzina e il fratello Enrico.
5. Il ricorso a modelli provenienti dagli anni Cinquanta e Sessanta, tipico dei Vanzina, un
esempio di ci che Brunetta intende per operazione nostalgica nei film dei Vanzina, di Neri Parenti e
di Enrico Oldoini, che ottiene il suo successo proprio per la coesistenza di uno spirito retr e di una
decisa proiezione verso i nuovi modi di vita indotti dal consumismo, dalla facile ricchezza e dai mass
media. G.P. Brunetta, Il cinema italiano da La dolce vita a Centochiodi, Laterza, Roma 2007, p. 608.

6. Si osservi ad esempio la recensione del film scritta da Manu sul blog cinefilo
Secondavisione, di cui si discuter anche pi avanti, in
http://secondavisione.wordpress.com/2011/12/08/il-nostro-viaggio-nel-cinepanettonevacanzedi-natale-
enrico-vanzina-1983/. I vari collaboratori del blog hanno deciso di guardare tutti i cinepanettoni tra
dicembre 2011 e gennaio 2012, e di raccogliere le loro impressioni in una rubrica con una serie fissa di
domande. La lista completa degli interventi si pu trovare qui:
http://secondavisione.wordpress.com/category/speciale-cinepanettoni/.

7. Morreale (op cit., p. 173) vede il ritmo di Sapore di mare come unimitazione della struttura a
sketch dei nuovi programmi comici alla Drive In, in onda sui canali di Berlusconi e lo stesso si
presume debba valere anche per Vacanze di Natale. Ancora una volta, il confronto con la televisione,
inteso in maniera peggiorativa, un topos della storia e critica del cinema. Si veda, ad esempio, B.
Corsi, Con qualche dollaro in meno: storia economica del cinema italiano, Editori Riuniti, Roma 2001,
p. 141.

8. http://www.vacanzedinatale.it/vdn2.htm.

9. Le parole inglesi di Micke Oldfield in Moonlight Shadow, usate per i titoli di testa, sono
grottescamente inappropriate al tema e al tono del film (he was shot six times by a man on the
run). Ciononostante, i Vanzina e i produttori Filmauro cercarono di riusare la canzone anche per i
titoli di Vacanze di Natale 2000 (Carlo Vanzina, 1999), ma, dato che i diritti costavano troppo, fecero
registrare la stessa canzone da un cantante diverso. In Vacanze di Natale si trovano anche note canzoni
pop cantate da Jerry Cal nella veste di animatore da piano bar, una canzone intonata in coro al
ristorante, oltre alla musica composta da Giorgio Calabrese.

10. Sul sito viene dedicato ampio spazio alla colonna sonora www.vacanzedinatale.it/vdn2.htm,
dove possibile scaricare una copia digitale delle canzoni.

11. La categoria di cinepanettone, in modo particolare associata ai registi Carlo Vanzina, Neri
Parenti ed Enrico Oldoini, difficile da definire e ha alcuni minifiloni, uno dei quali rappresentato
dai sequel (variazioni probabilmente il termine pi adatto) del primo Vacanze di Natale: Vacanze di
Natale 90 (Enrico Oldoini, 1990), Vacanze di Natale 91 (Enrico Oldoini, 1991), Vacanze di Natale
95 (Neri Parenti, 1995), Vacanze di Natale 2000, e il recente Vacanze di Natale a Cortina (Neri
Parenti, 2011). Sono stati prodotti tutti da Filmauro, e si svolgono tutti in localita sciistiche di lusso
(Cortina, St Moritz, Aspen Colorado).

12. G. Simoncelli, Cinema a Natale: da Renoir ai Vanzina, Interlinea, Novara 2008, p. 185.

13. G. Negri, R.S. Tanzi, Natale al cinema: da La vita meravigliosa a A Christmas Carol,
Falsopiano, Alessandria 2009, pp. 189-190, 191.
14. F. Spicciarello (a cura di), Vacanze di Natale di Enrico e Carlo Vanzina, Un Mondo a Parte,
Roma 2003.

15. Estratti audio dei dialoghi pi famosi sono disponibili sul sito dei fan
http://www.vacanzedinatale.it/vdn2.htm: cliccate licona Audio & Video, e poi Battute per il
menu.

16. Il ripresentarsi di questo fenomeno ha spinto Marco Giusti a dedicare un libro intero ai
tormentoni pi duraturi: M. Giusti, Stracult: dizionario dei film italiani, Frassinelli, Milano 2004.

17. F. Rossi, Il linguaggio cinematografico, Aracne, Roma 2006, pp. 197-198.

18. Ivi, p. 198.

19. Ibidem. Ovviamente il romanesco non lunico dialetto presente in Vacanze di Natale per
non parlare dei film dopo. Ma, sulla scia di un film come Febbre da cavallo (Steno, 1976), che per la
maggior parte presenta dialoghi botta e risposta in romanesco, le due famiglie romane di Vacanze di
Natale offrono, suggerirei, unulteriore convalida e riconoscimento al dialetto di Roma.

20. M. Giusti, Prefazione, in Spicciarello, op cit., pp. 5-6.

21. In confronto a queste commedie-assoli con divi alla Celentano, Vacanze di Natale ebbe
incassi modesti. Si vedano le statistiche in V. Zagarrio (a cura di), Storia del cinema italiano, Marsilio,
Venezia 2005, vol. 8, 1977-1985, pp. 658-659.

22. G.P. Brunetta, op cit., pp. 506, 511.

23. Ivi, p. 516.

24. B. Corsi, Alle origini della crisi: industria e mercato, in V. Zagarrio, op cit., p. 331.

25. Ivi, p. 345.

26. G.P. Brunetta, op cit., p. 522.

27. Ivi, p. 608.

28. http://secondavisione.wordpress.com/2011/12/08/il-nostro-viaggio-nel-
cinepanettonevacanze-di-natale-enrico-vanzina-1983/.

29. Il questionario disponibile su https://www.survey.leeds.ac.uk/cinepanettone/. Unanalisi


completa di tutte le risposte sar pubblicata in A. OLeary, Fenomeologia del cinepanettone,
Rubbettino, Soveria Manelli (di prossima pubblicazione).

30. E. Morreale, op cit., p. 172.

31. Intervista con lautore, Roma, 19 aprile 2011.


32. Ibidem.
La
rappresentazione
degli anni
Ottanta nel
cinema italiano
contemporaneo
di Giacomo Manzoli

La rappresentazione degli anni 80 presenta non poche aporie e ambivalenze. Quando, oggi, il
cinema italiano tenta di tracciare un bilancio storico sul decennio, anche in funzione di una lettura
politica del presente, gli anni Ottanta diventano lorizzonte in cui albergano costumi, personaggi, volti,
situazioni e soprattutto canzoni dotate di una fortissima valenza nostalgica (vedi Notte prima degli
esami), in quanto rimandano ad unepoca fatalmente passata ma non trascorsa, oppure costituiscono
il buco nero nel quale per una serie di congiunture il berlusconismo stende la sua ombra sinistra e
corrompe la serena innocenza degli italiani. Dove tutto cominciato, come commenta Videocracy di
Erik Gandini.

Siamo i ragazzi di oggi/zingari di professioneIl ragazzo, di l dallo schermo, sembrava


fissarlo con unespressione di scherno corrucciato. Io ho la mia chitarra e la mia rabbia e la mia astuzia,
gli diceva, e tu che coshai? Tu che ti credi il Re di Roma che coshai?

Giancarlo De Cataldo, Romanzo criminale

Parlare di cinema in Italia significa praticamente da sempre parlare di due fenomeni separati
e distinti. Significa per prima cosa, ovviamente, parlare di un cinema italiano, prodotto e realizzato da
certi soggetti specializzati in funzione di un pubblico autoctono di connazionali. Ma il rapporto con
questo tipo di cinema non pu mai essere disgiunto dal rapporto che parallelamente lo stesso
pubblico intrattiene con la produzione straniera, specie americana. un processo ovvio, tipico delle
culture subalterne e dei Paesi culturalmente colonizzati (detto in senso neutro, senza nessun giudizio
implicito) nei quali ogni cittadino parla due lingue. La lingua istituzionale, del potere costituito1 e
quella domestica, delle relazioni quotidiane. Ci che per secoli era stato tipicamente italiano sul piano
linguistico (una lingua nazionale e una pluralit di dialetti), nel sistema cinematografico diventa
caratteristica saliente dei codici utilizzati per la messa in forma e la decodifica dei messaggi2. Lo
scenario si complica ulteriormente, se ai codici culturali che regolano la relazione fra i soggetti e i
prodotti culturali audiovisivi provenienti da diversi contesti nazionali, si aggiunge il problema
dellintersezione fra differenti serie mediali.

Proviamo a tradurre in termini pi comprensibili con esempi pi concreti relativi al tema che ci
interessa. Per lo spettatore cinematografico italiano esistono due differenti Anni Ottanta. Quelli che
arrivano dal cinema americano e che in Italia si aprono con alcuni eventi cinematografici epocali
che vanno, sia in termini generalisti sia in termini di pubblici segmentati, da Guerre Stellari a La febbre
del sabato sera, da Grease a Rocky, da Rambo a I guerrieri della notte, da Toro scatenato a I predatori
dellarca perduta, fino a film che si inoltrano nel decennio e sono destinati a segnare lo Zeitgeist del
periodo: da E.T. a Zelig, fino a Flashdance, 9 settimane e 1/2 o La mia Africa.

Di fronte a questi blockbusters globali, che continuano ad essere visti nel corso dei decenni e
fissano un canone del media cinematografico in quanto tale, esiste una koin dello spettatore
cinematografico italiano, che passa attraverso la produzione italiana del decennio. Tale produzione,
peraltro, cos inestricabilmente connessa al media televisivo che, quando il cinema inizia a riflettere
su ci che stato gi a breve distanza dagli eventi storici del decennio appena trascorso subito fa
scattare un riflesso condizionato che porta a sovrapporre i due media e a vivere la stessa
rappresentazione (che sempre implica uninterpretazione del periodo descritto) in termini conflittuali e
antagonisti, almeno in partenza.

A distanza di anni e nel bilancio mnestico che si traccia della propria esperienza spettatoriale e
sociale, il fenomeno si rivela con una certa evidenza.

il 1998 quando Nanni Moretti traccia un bilancio politicosentimentale delle trasformazioni del
Paese, come un osservatore privilegiato e partecipante, e fra le altre cose apostrofa i suoi
interlocutori con questo ricordo: Io me li ricordo negli anni 70, a Roma, la FGCI, i giovani comunisti
romani stavano tutti i pomeriggi a vedere Happy Days, Fonzie, e questa la loro formazione politica,
culturale e morale. Nanni, ma questo non centra proprio niente, gli risponde un interlocutore.
Vabb, non centra non centra, per centra.

Non nostro compito stabilire se centra o non centra. Tuttavia, a prescindere da questa
valutazione di tipo politico, c una sfasatura cronologica che vale la pena considerare. Happy Days,
infatti, inizia ad essere trasmesso in Italia l8 dicembre del 1977. Siamo in pratica gi nel 19783 e lo
stesso Moretti, pur molto giovane, gi una star locale che in quello stesso anno grazie al successo di
pubblico e critica del suo secondo lungometraggio, Ecce bombo ottiene una consacrazione
internazionale (Cannes).

Dunque possiamo dire che Happy Days non ha potuto costituire la base della formazione
morale, culturale e politica di nessun italiano negli anni Settanta propriamente detti4, alla FGCI o in
qualunque altro ambiente (salvo che nella fase terminale del decennio, quella gi calata nello scenario
culturale degli anni a venire), e possiamo anche aggiungere che il giovane Moretti ha avuto, rispetto ai
fenomeni di fruizione culturale diffusa e quotidiana, una percezione almeno alterata dal suo statuto di
star (una delle pochissime) del panorama culturale nazionale.

Da dove proviene, allora, questa distopia e quali conseguenze produce? Per capirlo dobbiamo
retrocedere nel tempo di alcuni anni, al 1992, allorch la caduta del Muro inizia a far sentire le sue
scosse telluriche e si profila un nuovo cambiamento di scenario culturale che culminer con la crisi
economica e la fine della cosiddetta Prima Repubblica. Annus horribilis, lo definisce sarcasticamente
Giuseppe Mammarella nella sua storia dellItalia contemporanea5, ma la stessa definizione era stata
usata da diversi osservatori per indicare il decennio appena terminato6.

A raccontare come vanno le cose ci pensa laltra star dellindustria cinematografica italiana del
periodo, Gabriele Salvatores, il solo assieme a Moretti capace di mantenere aperto un canale di
comunicazione efficace con un pubblico quantitativamente consistente proprio nel corso di un decennio
segnato dal disfacimento dellindustria cinematografica italiana. Si tratta del film che chiude la
cosiddetta trilogia della fuga iniziata con Marrakech Express a met anni Ottanta, un trittico
interessantissimo nel quale, in pratica, si inventa una forma specifica di nostalgia7, fissando le
coordinate della rievocazione dolce-amara di un passato recentissimo, forse il fattore che rende
politicamente accettabile da sinistra il ripiegamento del soggetto in una dimensione individuale o al
massimo di piccola comunit provvisoria8. La scena madre9 di Puerto Escondido quella che segna il
punto di non ritorno appare pertanto cos esemplare da richiedere specifici approfondimenti sulle
implicazioni psicanalitiche di una sequenza cos volgarmente edipica.

Ci troviamo nella polverosa centrale di polizia di una cittadina di frontiera messicana. Diego
Abatantuono e Valeria Golino stanno cercando di far evadere dalla prigione il loro amico Claudio Bisio
e impugnano le pistole minacciando gli agenti messicani. A stabilire la svolta narrativa da cui non sar
pi possibile recedere, con una metafora decisamente poco sottile, vediamo Abatantuono puntare la sua
arma contro uno schermo televisivo dove si trasmette una Raffaella Carr che sgambetta, cantando uno
dei suoi successi sudamericani. Lattore preme il grilletto. Fuoco. Schermo in frantumi. Bisio che
chiede: Chi ha sparato?. Risposta: Io. Ho ucciso la Carr.

Come ogni revenant, la Carr ricompare verso la fine degli anni Novanta, con Carramba che
sorpresa!, cavalcando la stessa onda nostalgica che consacrer, ad esempio, il Fabio Fazio di Anima
Mia nel 1997. Sul tema, pertanto, torneremo a breve. Ma, nel 1992, il sentimento dominante sembra
essere linsofferenza, il bisogno di risarcimento per un malessere insopprimibile, una specie di
indignazione naturale. Del resto, la pi amata dagli italiani era tornata al successo allinizio degli
anni Ottanta ma, gi al termine del decennio, un paio di clamorosi insuccessi sulle reti Fininvest
lavevano indotta ad abbandonare il Paese per accontentare il pi indulgente pubblico spagnolo.

Il risentimento di Salvatores nasce evidentemente da fattori di altro tipo, ma si sposa abbastanza


bene col risentimento aziendale dei propri datori di lavoro. A parte il fatto che sui destini incrociati
delle tre star, Golino, Abatantuono e Bisio10 si potrebbe scrivere un saggio autonomo, interessante
sottolineare che si trattava di un film prodotto da Colorado Film e da Penta. Questultima era la casa di
produzione che vedeva affiancati i Cecchi Gori e un Silvio Berlusconi che aveva da poco aggiunto il
cinema alle sue attivit imprenditoriali, e stava conducendo una politica di trust verticale (la stessa che
ad esempio era stata perseguita dalla catena di grandi magazzini Standa) che incontrava le
rimostranze e le vendette incrociate degli altri operatori del settore. Il 16 giugno 1993, per esempio, il
Corriere della Sera racconta di un calo corposo della produzione e dei biglietti (concorrenza
dellhome-video) e di un cinema sovvenzionato dallo Stato che riesce ad arrivare in sala solo nel 35%
dei casi, in una situazione politica e normativa semplicemente disastrosa.

In tutto questo, si racconta che alle Giornate del cinema italiano non si sono fatti vedere Mario
e Vittorio Cecchi Gori, alla guida della Penta con il socio (per ora) Silvio Berlusconi. Padrona di met
sale in Italia, compratrice di tutto, la Penta domina il mercato, blocca la distribuzione, hanno detto i
loro numerosi nemici... Inoltre, da quando Berlusconi e la Rai non producono pi, il cinema italiano
fermo o in mano ai Cecchi Gori.

Tutto questo solo per ricordare le aporie e le ambivalenze di una certa rappresentazione del
decennio. Non si ancora manifestato il trauma di tangentopoli (del resto, parlare di fine delle
illusioni in un Paese storicamente cinico come lItalia suonerebbe davvero stonato) n della crisi
economica pi dura, e gi il sentimento dominante di una certa intellighenzia popolare si trova in
sintonia con questa volont revisionista e iper-critica nei confronti di un periodo di cui si auspica una
rapida conclusione e magari una rimozione senza per restaurazione e neppure proposte praticabili
(elogio della fuga). Falsa coscienza?

Comunque sia, non ci si stupisce nel vedere come gli anni Ottanta sono condensati in quello
straordinario digest della rappresentazione autoindulgente e compiaciuta che la sinistra italiana concede
a se stessa ne La meglio giovent.
In tutto il profluvio vagamente allucinatorio di baci e abbracci, battute mai volgari e sorrisi
affettuosi, accoppiamenti endogamici e paternalismi assortiti di gente che non manifesta mai un rancore
o un risentimento, un sentimento, un gesto o un atteggiamento che non sia meno che virtuoso, gli anni
Ottanta sono un periodo buio e nefasto, che filtra attraverso gli schermi televisivi per scivolare via in
fretta, portando via lo spirito corrotto del figlio bello e tormentato, che ha osato tradire la vocazione
familiare alla santit per iscriversi nelle liste degli oppressori11. Certo, anchegli fondamentalmente
buono, come dimostra la sua propensione per i libri, la lettura, le bibliotecarie, ma il dover riconoscere
in se stesso un lato umbratile e malinconico lo porter ad un ripiegamento individualistico (la
malattia per eccellenza dello spirito degli anni Ottanta, sempre da sinistra) al quale non sopravviver
una volta rifiutati gli affetti del calore familiare e rimasto solo a contemplare leuforia forzata degli
schermi televisivi di Capodanno12. Eccolo, allora, avviarsi mesto al frigorifero semivuoto, con la
scettica indolenza del futuro collega Coliandro e quindi constatato con un ultimo sguardo sentenzioso
il vuoto catodico gettarsi nel vuoto da un terrazzo.

Anche in questo caso, la matrice televisiva del film di Giordana, che non solo un fatto
produttivo ma anche linguistico, narrativo, tecnologico, ovvero strutturale, non sembra scalfire
minimamente il piglio moralistico dello scavalcamento di tutto ci che, nei fatti, ha caratterizzato il
decennio, al livello di nuovi stili di vita, nuove forme di cittadinanza, nuovi linguaggi espressivi e
nuovi canali produttivi nellambito dellindustria culturale. Tutto irriducibile alle forme retoriche su cui
il film si appoggia, e lo diciamo nel senso pi neutro del termine, sebbene dobbiamo confessare di
condividere il giudizio severo di chi come ad esempio Paolo Bertetto giunto a definirlo un film
bavoso13.

Una serie di ragioni hanno evidentemente determinato lattitudine di fondo del cinema italiano
cosiddetto politico a non tener conto dellambivalenza delle situazioni contingenti e delle ragioni
dellaltro. Vale a dire, di chi pensa diversamente e manifesta un essere altro, specie perch accade
sovente che laltro in realt se stessi.

Daltra parte, il problema risiede forse anche nella difficolt a individuare meccanismi narrativi
capaci di rendere appunto ambivalenza e complessit e nei riflessi condizionati che accompagnano il
processo. In questo senso, un film straordinariamente interessante risulta essere La prima linea di
Renato De Maria, specie se confrontato con il suo corrispettivo tedesco, La banda Baader-Meinhoff di
Uli Edel. Se nel piacevolissimo originale laspetto tragico del terrorismo non disgiunto dalle sue
ragioni storiche e da una componente avventurosa e ludica, i terroristi del cupo e sgradevole film di De
Maria appaiono nella loro assoluta tipicit, sineddoche paradossale di una concezione politica
complessiva.

Riccardo Scamarcio, la sua compagna (Giovanna Mezzogiorno) e i loro colleghi attraversano il


tempo e lo spazio seguendo il filo ossessivo di unidea fissa. Non che De Maria non conosca la
lezione di Genina secondo cui santi lo si solo dopo, che a partire dallautobiografia di Sergio
Segio la sensazione che si vuole trasmettere proprio quella di un martirologio cercato e voluto da un
gruppo di asceti dellomicidio. Non solo terroristi lo si da subito, ma soprattutto lo si sempre,
sette giorni su sette, ventiquattro ore su ventiquattro, senza un momento di ironia, autoironia, interessi o
passioni alternativi di nessun genere. Missionari maniaci del terrore, depressi ossessivi-compulsivi, i
protagonisti del film attraversano la prima parte degli anni Ottanta come un tunnel del tutto isolato dal
contesto. Un contesto al quale sono del resto completamente impermeabili. Ma non un limite del film,
un dato storico che segna un aspetto identitario della sinistra italiana col quale il film costringe a
confrontarsi.

Del resto, lo stesso protagonista a dichiarare programmaticamente (e perfino con un certo


orgoglio): eravamo fuori dal tempo. Affermazione che il film si incarica di convalidare dal principio
alla fine e che gi in Buongiorno, notte di Bellocchio trovava una costante applicazione nella distanza
siderale che intercorreva fra le immagini di repertorio messe nel filtro dello schermo televisivo (una
finestra sul presente), le azioni dei personaggi e le loro motivazioni.

Quanto la cosa si rifletta poi nei meccanismi di rappresentazione e riattivazione mnestica altra
cosa su cui varrebbe la pena indagare, perch in sostanza si produce un sistema narrativo in cui il
mondo reale appare smaterializzato in una rappresentazione mediata, perci lontanissima, mentre quelli
fuori dal tempo dei terroristi sembrano definire la realt storica del periodo in questione. Insomma,
un effetto prospettico che riproduce la paradossalit di un intero sistema ideologico e, in qualche modo,
lo perpetua, come dimostra anche Arrivederci amore, ciao di Michele Soavi che (da un testo di
Massimo Carlotto) racconta lintegrazione dellanima nera di un ex-terrorista in unItalia ottantesca
troppo egocentrica e egoista per cogliere la mostruosit del personaggio in questione (interpretato,
ancora e non a caso, da Alessio Boni). UnItalia troppo veneta e grottesca per essere minimamente
verosimile14.

Di sicuro, questi terroristi sono i parenti stretti dellAndreotti di Sorrentino (Il Divo): burattino
di se stesso, agente autistico di Storia, per il quale il decennio una specie di parentesi insignificante
fra la morte di Moro e linizio del processo per mafia (gestione del potere, fine del comunismo e
rincorsa fallimentare alla Presidenza della Repubblica).

Ecco che, allora, quando si tratta di fare un bilancio storico e assemblare i materiali di repertorio
in funzione di una lettura politica del presente, gli anni Ottanta diventano il buco nero nel quale per
una serie di congiunture il berlusconismo stende la sua ombra sinistra e corrompe la serena innocenza
degli italiani. Dove tutto cominciato, commenta Videocracy di Erik Gandini, nel presentare una
trasmissione di fine anni Settanta, con tavolini a fiori, domande alle quali rispondere telefonicamente e
casalinghe mascherate che si spogliano compiaciute. Lequazione semplice: televisione privata che si
fa network, quiz e giochi a premi di qualit miserabile, il burattinaio che tira i fili pubblicitari, luomo
(meglio, la donna) della strada che diventa donna di strada, viene cio coinvolta in una spirale di
esibizionismovoyeurismo di stampo pornografico. la versione basicdi una tesi che circola
attraverso differenti versioni (ad esempio ne Il porno di massa di Pietro Adamo ma anche in molti
scritti di Francesco Piccolo15), ma di cui ci interessa qui soprattutto la lettura degli anni Ottanta come
momento in cui si produce uno scarto epistemologico fondamentale. Una rivoluzione culturale,
ancora secondo Gandini al quale fa eco, ad esempio, Il corpo delle donne di Lorella Zanardo e Marco
Malfi Chindemi, nonch tutta una sterminata produzione di discorsi sociali affidati ai diversi linguaggi
e circolanti in internet, sintetizzabili in alcune perle canore come quelle del gruppo torinese degli
Afterhours che si pongono domande sagaci nelleloquente Non si esce vivi dagli anni ottanta (Dentro
o fuori la televisione? Meglio artefatto e volgare o meglio coglione?). E perfino di Francesco Baccini,
che sente a sua volta il bisogno di esporre, con ingenua trasparenza, il suo teorema sulla teleologia
berlusconiana degli anni Ottanta nella canzone intitolata, appunto Devo diventare come Berlusconi,
allorch affida ai posteri unesplicita denuncia: e gli anni Ottanta non finiscono mai (seguita,
bisogna ammetterlo, da unapertura autocritica forse involontaria ma certo geniale: per questo sono
ancora qui16).

Viene da porsi la classica domanda: perch tanto odio?


Seguendo il teorema di Toqueville, secondo cui la vera causa della Rivoluzione Francese
sarebbe consistita nel concedere al popolo condizioni cos vantaggiose da rendere ragionevole
combattere per conservarle, Marco Gervasoni spiega in questo modo lemergere di nuove tensioni
che porter alle reazioni rabbiose che fanno da contrappunto alle inchieste di mani pulite:

Le proteste dei cittadini erano figlie del benessere: le istituzioni, i servizi pubblici e la politica si
trovavano in grave ritardo rispetto alle attese degli italiani, ormai abituati alla rapidit e allefficienza
del mercato. Tuttavia, i cittadini non erano disposti a sacrifici per riformare quei servizi di cui si
lamentavano. Si era affermato una sorta di conservatorismo, tutela assoluta del proprio vivere bene
attuale, inteso come traguardo irrinunciabile figlio di un benessere raggiunto, ben oltre le speranze dei
padri. Era spiegava ancora il rapporto Censis del 1988 un malessere da incompiutezza che
produceva sospetti e rancori []. Il new gold dream degli anni Ottanta non era finito, ma una societ
regolata dal segreto messaggio tutto possibile non poteva non far crescere attese forti, che
cominciarono a essere frustrate, perch non tutto possibile a tutti17.

Ebbene, se di fronte allapproccio di Giordana, Gandini e colleghi si ha la netta sensazione di


rivivere magari in forme vagamente farsesche il drammatico spaesamento che coglie il Paese
allindomani del boom economico, con le grida di dolore pasoliniane contro il genocidio culturale, la
mutazione antropologica18 e tutto il repertorio cui corrisponde un severissimo giudizio espresso
genericamente dal sistema culturale nel suo complesso (i mostri), anche le spiegazioni degli
integrati sono costrette a ricalcare motivazioni gi risapute.

Infatti, se da un lato c chi come Edmondo Berselli affida inopinatamente il suo ritratto
semiserio ai toni con cui Alberto Arbasino descrisse gli anni del boom, retrodatando ai Settanta linizio
della catastrofe19, il discorso di Gervasoni non pu che riprendere quanto, gi a met degli anni
Sessanta, Francesco Alberoni osservava rispetto allaumento esponenziale dei consumi connesso al
boom economico20. Aggiornamento repentino dei beni di cittadinanza, accesso a nuovi oggetti,
opportunit, comportamenti, stili di vita, con tutto leffetto nevrotizzante che il confronto con nuovi
orizzonti comporta. La tragica presa di coscienza di non poter cambiare restando se stessi e la necessit
di riappropriarsi di quel senso comunitario che ladesione sia pure formale ai valori tradizionali (o
supposti tali) comporta.

In sostanza, la critica delledonismo ricalca quella che praticamente tutto il cinema italiano
aveva svolto nei confronti della stessa euforia consumistica durante gli anni Sessanta, con tutto il
lamento dautore, la commedia di costume, quella sorta di apologia implicita ed esplicita denuncia che
contraddistingue la migliore commedia allitaliana (migliore proprio in funzione della propria
ambivalenza). Una funzione riparativa, compensativa e rassicurante. Si cambiati, abbracciando
modelli che erano comprensibilmente percepiti come superiori ai nostri, ma solo per altrettanto
superiore costrizione. Una strategia sostanzialmente efficiente per ridurre il peso della responsabilit
individuale e collettiva, dietro lineccepibile ma ovvio riconoscimento del fatto che non tutti i
cambiamenti erano positivi e che c sempre uno scarto fra le promesse del desiderio e la realt del suo
concreto soddisfacimento (necessariamente parziale, impreciso, limitato) attraverso il consumo,
culturale o materiale che sia.

Ebbene, se gi Alberoni stabiliva che questa moratoria sui valori di comunit aveva prodotto
fenomeni di aggregato destinati a consolidarsi in fenomeni di gruppo, una certa indulgenza nei
confronti dei cambiamenti che caratterizzano il periodo e una lettura nuovamente ambivalente ma assai
pi acuta e realistica si ritrova in alcuni esempi pur molto diversi di commedia.

Allinterno di un discorso autobiografico li tratta in modo tuttaltro che superficiale o


moralistico Paolo Virz gi in Ovosodo alla fine degli anni Novanta, dove si fondava anche una sorta di
modello soft per quella che definiremmo la messa in scena sentimentale del periodo, quella che viene
riproposta anche in film come Il mattino ha loro in bocca di Francesco Patierno, dove si rievoca la
nascita delle radio libere commerciali, quasi la risposta al racconto delle radio libere politiche di
Lavorare con lentezza di Guido Chiesa, o nel recentissimo I giorni della vendemmia di Marco Righi,
dove le pagine di Tondelli sulla postmodernit emiliano-romagnola fanno da contrappunto a una storia
sospesa anchessa fuori dal tempo. Allo stesso modo, ancora Virz torna sul periodo incriminato
cercando una sutura affettiva ne La prima cosa bella, dove si pu dire che al centro dello straziante
rapporto materno c una metafora latente sulla necessit di ricomporre il rapporto della sinistra con la
promiscuit degli anni Ottanta e riconciliarsi con il proprio tempo presente.

Rientrare in quel gruppo (fine della moratoria sui valori di comunit?) da cui era uscito a
inizio anni Novanta Jack Frusciante, sia inteso come chitarrista dei Red Hot Chili Peppers, nati nel
1983, sia come protagonista del romanzo generazionale di Enrico Brizzi, romanzo del 1992 che
diventer un film (di Enza Negroni) nel 1996 e che viene dedicato ancora a Pier Vittorio Tondelli e
Andrea Pazienza, laddove abbondano le citazioni di Andrea De Carlo, il cui Macno andrebbe forse
recuperato e analizzato come testo capace di cogliere lo spirito del tempo almeno quanto il Palomar di
Italo Calvino.

Ma se il film di Virz deve parte del suo successo al titolo ricavato da una celebre canzone
popolare, si deve dare il merito di questa intuizione commerciale a un omonimo dello scrittore
bolognese, lo sceneggiatore e regista romano Fausto Brizzi, gi membro della factory dei
cinepanettoni che ruota attorno alla Filmauro dei De Laurentiis.

Se nel film di Giordana e in quello di Gandini comparivano le immagini della trasmissione


condotta da Umberto Smaila, Colpo grosso a riprova, tendenziosa, della volgarit pervasiva del
decennio e se nel film di Patierno le radio diffondevano la celebre e vituperata canzone di Raf sul filo
della devastazione morale e umana del protagonista, la stessa canzone e la stessa trasmissione li
ritroviamo entrambi con tuttaltra connotazione in un film che segna un punto di svolta nella
rappresentazione del decennio, inquadrandolo in un tipo di retorica di segno opposto, e che fissa anche
alcune coordinate rispetto ai modi della commedia popolare contemporanea.

Il film, ovviamente, Notte prima degli esami, il cui successo merita di essere preso assai pi
sul serio di quanto la critica italiana si sia dimostrata disponibile a fare.

Brizzi, infatti, confeziona un film che si propone nei termini della commedia generazionale
con un gruppo di studenti che arrivano alla maturit nel solco di una tradizione che va da Seconda B
(1934) a Sapore di mare (1982). La formula quella dei tanti antesignani, con il gruppo invischiato nei
riti di passaggio, fra tormenti amorosi e conflitti intergenerazionali.

Come nel film dei Vanzina (ma perfino quello di Alessandrini era ambientato una ventina di
anni prima, negli anni Dieci) c un collage nostalgico di costumi, personaggi, volti, situazioni e
soprattutto canzoni dotate di una fortissima valenza nostalgica, in quanto rimandano ad unepoca
fatalmente passata ma non trascorsa. Tuttavia da osservare che lestetica generale e molti dei
personaggi rimandano quasi mimeticamente ad una serie televisiva italiana, tanto elementare
quanto efficace sul piano della riflessivit21, intitolata I ragazzi della III C, in onda per tre stagioni
(dall87 all89) su Italia 1 e diretta da Claudio Risi per conto dei Vanzina.

Il successo di pubblico considerevole e il film di Brizzi riesce a rivaleggiare nelle classifiche


di incasso con figure di primo piano nel sistema mediale italiano quali Leonardo Pieraccioni, Carlo
Verdone o Roberto Benigni, incassando solo al box office 12,5 milioni di euro, nonostante lassenza di
star, budget promozionale relativamente limitato e soprattutto la mancanza di quella rendita di
posizione di cui godono i rivali italiani rispetto ad un pubblico fortemente abitudinario e legato a forme
rituali di consumo22.

Loperazione decisamente accattivante e la critica pi benevola giunge a definire il film una


macchina perfetta23. Tuttavia, per quanto si sia in grado di vedere con lucidit le coordinate
delloperazione commerciale e per quanto una critica smaliziata si ponga sostanzialmente con una
certa accondiscendenza nei confronti di quello che implicitamente o esplicitamente definito un
gradevole filmetto, non si prova neppure ad intraprendere una riflessione sulle ragioni dellappeal, in
effetti spontaneo, esercitato dal film nei confronti di una massa considerevole di spettatori. Si sottolinea
come il film predisponga una trama pretestuosa per dispiegare un catalogo efficace degli oggetti di
consumo culturale pi significativi del decennio.

Il fatto che il film ambientato nel 1989, a un passo dalla caduta del muro di Berlino e non
c bisogno di richiamare analisi elaborate sul significato simbolico dellevento per cogliere la
dichiarazione di poetica e di analisi sociologica che il film raccoglie. Nello stesso 2005, ad esempio,
usciva un piccolo ma notevole libro di Marco Belpoliti che intendeva dimostrare, utilizzando Sontag e
Kundera, Warhol e Cattelan, la teoria delle catastrofi e Slavoj iek, che lepoca racchiusa tra due
cadute (il muro, appunto, e le torri Gemelle dell11 settembre) era una specie di tempo penultimo, il
segno di una fine che non riesce a finire24. Per certi aspetti, e fatte le debite proporzioni, Brizzi
appare essere giunto alle stesse conclusioni di Belpoliti e cerca di spiegarlo partendo da ci che stato
prima: una specie di fase B (1977-1989)25 di quella seconda modernizzazione della cultura italiana che
vede dispiegarsi appieno le potenzialit dellindustria culturale nel suo complesso e della televisione in
particolare (seguendo una fase A, quella in cui il cinema ha avuto un ruolo di primo piano,
progressivamente ridottosi, appunto, in favore del tubo catodico).

Brizzi racconta, in pratica, la fine di unepoca in cui esiste ancora una societ di massa
allinterno della quale i soggetti condividono un medesimo orizzonte culturale (per quanto, in unottica
adorniana, degradato e televisivo) e allinterno di quella proposta operano delle scelte in funzione di
una logica di gruppo. Un insieme organico dove, in pratica, esistono a tutti gli effetti identit
condivisibili e stabili, mentre il consumo culturale nellaccezione pi ampia del termine (che include
ovviamente anche la moda) risponde appunto a un profilo identitario definito, nel quale c una stretta
relazione fra serie di prodotti, collegati a dei significati prestabiliti e riconoscibili, e fra le opzioni di
consumo che ne conseguono.

Ora, tutto questo non deve necessariamente avere dei riscontri sul piano del giudizio di valore,
ma interessante notare come fra le pieghe la critica si accorga dei significati latenti in Notte prima
degli esami, laddove per esempio dichiara un effetto di ripulsa legato al ricordo di quanto quel periodo
fosse, per un adolescente, cos omologante (Zonta) o di come, proprio in quellanno, si registrino
fenomeni di passaggio ad una fase fortemente autoriflessiva da parte dei mezzi di comunicazione di
massa dominanti (Giusti ricorda che appunto nel 1989 nasce il programma metatelevisivo per
eccellenza, Blob). A fronte di tutto questo, e con una certa carica iconoclasta legata alla pessima stampa
di cui ha goduto per molti anni il decennio del riflusso e del ripiegamento sul privato, la
riabilitazione del periodo compiuta da Brizzi (anche questa non deve necessariamente essere condivisa)
coglie nel segno, nel momento in cui arriva a coincidere con una serie di approfondite analisi di stampo
sociologico, legate proprio allorizzonte dei consumi.

Gian Paolo Fabris, ad esempio, giunge a conclusioni davvero significative monitorando per
varie grandi imprese, dal 1977, il cambiamento socioculturale della societ italiana attraverso una serie
di indagini di vario tipo (interviste, focus group, analisi dei contenuti mediali, e campionari della
popolazione) che ha definito Sistema di correnti Socioculturali e Scenari di Cambiamento26.

Il sistema cerca di raccogliere segnali deboli di cambiamento attraverso la definizione di una


serie di indicatori, collocati su una mappa i cui assi seguono le seguenti polarit: privato/sociale e
apertura/chiusura. La polarit verticale, sullasse del privato e del sociale, definisce il benessere
complessivo in termini di equilibrio. Per quanto egli sia il primo a denunciare questa polarit e gli
indicatori che la definiscono come datata (rispetto allavvento dei nuovi media e delle nuove forme
di socialit che essi sono in grado di attivare), pur vero che il sistema di analisi pare offrire riscontri
credibili almeno fino alla fine degli anni Novanta. Le ragioni per cui ideale che il soggetto si trovi in
equilibrio fra privato e sociale sono intuitive, dal momento che la personalit umana fatta sia di
contatto e condivisione sia di realizzazione personale e autonomia. Altrettanto intuitivo stabilire che il
benessere socioculturale tanto pi consistente quanto gli indicatori tirano verso lapertura, la fiducia
nel cambiamento e nel futuro piuttosto che verso la chiusura, il ripiegamento sul passato, la nostalgia,
la paura, linsicurezza, le aspettative decrescenti e cos via.

Ebbene, secondo le indagini di Fabris, lanno in cui si registra la tendenza pi positiva, ovvero
quella in cui gli indici tendono a registrare una prevalenza di soggetti in equilibrio fra appagamento
individuale e capacit di socializzare, dimostrando al contempo una spiccata propensione allapertura
esistenziale (amore per lavventura, capacit di gestire la complessit, cosmopolitismo, liberazione
sessuale e cos via) esattamente il 1989. Infatti, dopo quellanno, a parte alcuni curiosi ritorni di un
atteggiamento di chiusura, legati magari ad una cronaca che lasciava ben poco spazio allottimismo (ad
esempio nel 1993), la tendenza allapertura corrisponde ad un sempre pi accentuato scivolamento
verso lasse del privato (vale a dire individualismo, anomia, etnocentrismo, etc.) con i relativi
contraccolpi puntualmente sottolineati da una vasta letteratura di stampo sociologico che trova in
Zygmunt Bauman il suo pi celebre esponente27.

Il dato come ogni ricerca empirica pu essere contestato. Il primo a metterlo in discussione,
come detto, lo stesso Fabris, che ritiene sia il risultato di una difficolt a interpretare e dunque
registrare nuove forme di socialit, prive di una progettualit a lungo termine e di forme esplicite di
solidariet, ma capaci tuttavia di costituire esperienze di condivisione forti, capaci di suscitare un
coinvolgimento affettivo rilevante. Se queste forme di socialit siano o meno legittime, ovvero in grado
di sostituire in maniera soddisfacente quelle tradizionali (ovviamente Fabris di questo avviso)
questione controversa su cui non necessario qui insistere.

Ci che ci interessa sottolineare, invece, il fatto che la posizione di Brizzi giunge ad essere
semplicemente paradossale. Da un lato ha ragione nellindividuare nel bistrattato periodo una sorta di
et delloro (forse sarebbe pi corretto definirla una silver age), di compimento perfetto di quei
processi di modernizzazione che fra accelerazioni e rallentamenti hanno investito la societ italiana
per circa mezzo secolo. Daltra parte, se il discorso di Brizzi corretto sotto il profilo della descrizione
dei vettori di cambiamento (1989 come picco di svolta), la natura nostalgica della sua operazione, volta
a sollecitare nel pubblico contemporaneo un rispecchiamento sulla base del rimpianto per un passato
comunque idealizzato, rientra pienamente in unottica di chiusura individualistica regressiva. Vale a
dire che il film rappresenterebbe un perfetto esempio di misinterpretazione di un presente ormai
definitivamente caratterizzato da nuove forme di consumo culturale, socializzazione e costruzione del
s tipiche della postmodernit, non necessariamente negative. A questa posizione contraddittoria
corrisponde una reazione altrettanto paradossale da parte della critica.

Da un lato, infatti, essa pare sufficientemente acuta da cogliere e denunciare una contraddizione
strumentale (il film ammicca ad uno spettatore confuso: rimpiange un passato che oggi sembra
conformista e manca una dimensione autoriflessiva forte), dallaltro lato questa critica non si inscrive
come sarebbe naturale nel quadro di unaffermazione del presente. I critici non appaiono abbracciare
posizioni alla Maffesoli e evidenziare i limiti dellopera sulla base di un sostegno ad una
contemporaneit in cui il soggetto appare libero da costrizioni e finalmente capace di affrancarsi
(almeno in parte) dalla schiavit della societ di massa, dalla necessit di scegliere entro un numero
limitato di opzioni di consumo (ancora sbilanciate a tutto favore della produzione) e di conformarsi ai
significati che tali scelte comportano. Insomma, nessuna adesione radicale al superamento della
polarit fra etica e politica in funzione di un edonismo e di unestetica finalmente consapevoli e del
tutto in mano al soggetto/consumatore28. No, la retorica cui buona parte della critica fa riferimento, la
logica del filmetto superficiale (ci che nellottica postmodernista sarebbe da lodare.
Impropriamente, perch a dispetto della sua confezione standardizzata, il film di Brizzi incoraggia
uninterpretazione storica del periodo nel quale ambientato) tradisce unideologia valoriale,
unassiologia che affonda le sue radici in una tendenza che si potrebbe definire farsi vanto del proprio
invecchiare. Il fatto che la regressione della critica va ancora pi indietro: alla rivalutazione
sentimentale e individualistica di periodi precedenti (i Settanta s che erano belli) e a presupposti
sostanzialmente adorniani: filmetto commerciale e disimpegnato, dunque standardizzato e
superficialmente gratificante vs. film artistico dautore impegnato, pertanto sperimentalmente originale
e capace di attivare le capacit critiche dello spettatore.

Nellinsieme, uno strazio.

Alla fine, tuttavia, Notte prima degli esami si dimostra soprattutto abile a fare unoperazione
cinematografica di assemblaggio di materiali ampiamente disponibili su Youtube allinterno di una
cornice capace di restituirne un senso compiuto. Gli anni Ottanta, di cui il film un compendio, si
chiudono nel segno di una nostalgia pervasiva (le due amiche si salutano nell89 rievocando il concerto
dei Duran Duran del 1986 con i toni di una distanza epica) ma rappresentano il compimento di una
tendenza gi ampiamente manifestatasi nel decennio precedente, in una prospettiva di continuit e non
certamente di cesura (infatti tra la nostalgia del passato di Faletti e quella del futuro di Vaporidis c
perfetta identit di vedute). Riprendendo una celebre definizione di Fausto Colombo, infatti, sono anni
delle cose29: Milan Kundera e Donatella Rettore, i radicali della rosa antiproibizionista e Cicciolina,
Gorbaciov e i Wild Boys, il Solex e gli zaini Invicta, lo Yomo e Goldrake, la primina e il Subbuteo, il
Gioca Jouer e Fonzie, i Dire Straits e il calcetto, Snoopy (che ha preso il posto di Charlie Brown) e i
supereroi Marvel, i dark (proletari-non ammessi alla maturit) e Madonna, le spillette e le
videocassette (a noleggio), il jogging e gli yuppie, Rambo e Ibiza, il design e Berlino (da Cristiana F. al
Compleanno dellIguana), Vasco e limmancabile Colpo grosso, il puttan-tour; e Dungeons & Dragons,
Louis Miguel e il karaoke, il cubo di Rubik e leffetto serra (con annesso buco nellozono), Nino
Frassica e le tastiere, la birra Corona e il poster di Palombella Rossa a fianco del manifesto dello Scudo
Crociato. C bisogno di continuare per dimostrare ci che era ampiamente dimostrato, ovvero che
siamo alla fine di ogni distinzione fra alto e basso e che le culture di gusto si stanno appena profilando
ma ancora tiene un modello unitario di riferimenti identitari, come affermano anche i film di Marco
Ponti, Santa Maradona e soprattutto A/R?

Ideologico almeno quanto Nanni Moretti, Brizzi rivendica il fatto che, nella capacit di
incorporare significati e attivare una relazione emotiva, i brand e gli oggetti menzionati non erano
affatto meno efficienti delle grandi narrazioni su cui si era modellato il ritratto del decennio
precedente, ma rivendica anche e soprattutto la propria appartenenza allultima generazione capace di
ricordare per avere vissuto nel tempo lineare dellanalogico. Quello in cui cose nuove sostituivano cose
vecchie, destinate a impolverarsi, ritirarsi in soffitta e magari essere recuperate al vintage dopo un
congruo periodo di tempo.

Ma il suo ritratto, evidentemente apologetico per quanto agrodolce, si muove sul crinale del
calligrafismo mimetico, e non sfugge al rischio macchiettistico che contraddistingue il rifiuto dalla
prospettiva della sinistra conservatrice dei suoi colleghi impegnati. Il suo sequel, infatti, si sposta
repentinamente e in modo fallimentare sul presente (Notte prima degli esami oggi), mentre il vero
sequel, quello che meglio rilancia il tema saliente del film, viene concepito e messo in scena da Paolo
Genovese nel suo Immaturi (rapidamente fatto oggetto di sequel anchesso). Coazione a ripetere e
incubi ricorrenti. I ragazzi dell89 sono costretti a ripetere lesame di maturit, ed un pretesto per
rivedersi fra compagni di scuola ventanni dopo. Gli anni Ottanta, allora, si riducono a puro dcor
citazionista, materia di revival di natura rituale, che infatti prevede una danza tribale sulle note delle
sigle dei cartoni animati giapponesi.

pura superficie lo diciamo senza nessuna connotazione negativa ambientazione, paesaggio


emotivo e narrativo, frame storico nel quale inserire visivamente le azioni e le vicende, esattamente
come gli anni Ottanta che trapelano fra le righe di Romanzo criminale (il film, prima di e piuttosto che
la serie televisiva), o quelli tutti eccesso, trasgressione e cocaina che nella Riccione di Tondelli
conducono a week-end postmoderni e nella Puglia di Fine pena mai (2007) conducono a fondare la
Sacra Corona Unita con la medesima pulsione verso gli inferi delledonismo: solo che in Tondelli
lumorismo era il prodotto di unoperazione consapevole di stilizzazione e nel film di Davide Barletti e
Lorenzo Conte temiamo sia del tutto involontario (geniale, comunque, il sottotitolo del film: Paradiso
Perduto!).

Lunico tentativo di guardare dentro ai processi sociali reali che hanno storicamente
caratterizzato il decennio, al di l della retorica politica delle formule consolidate, ovvero il solo sforzo
per ripoliticizzare i miti di allora, lo troviamo in unaltra, diversa commedia (che deve questa volta il
titolo ad una canzone composta dalla PFM nel 1980). Parliamo di Si pu fare, diretto da Giulio
Manfredonia ma scritto da uno dei migliori sceneggiatori italiani, Fabio Bonifacci, film nel quale
Claudio Bisio torna a frequentare il periodo dei viaggi con Salvatores in un ruolo concettualmente
opposto. Lo scenario quello del manicomio post-Basaglia, dopo la fine della battaglia raccontata nella
serie biografica interpretata da Fabrizio Gifuni nel 2010 (stesso volto di Paolo VI, De Gasperi e, ora,
Aldo Moro) ma anche ne La meglio giovent. Per, qui, il manicomio non il luogo di tortura
divenuto giardino, piacevole rifugio di relazioni umane e guarigione. In Si pu fare il percorso di
guarigione passa attraverso il lavoro cooperativo, perch il film racconta la conversione di uneconomia
assistenziale e paternalistica (la superfetazione del lavoro) in economia dimpresa reale, grazie ad un
economistasindacalista che ritiene il lavoro uno strumento terapeutico e di integrazione pi forte di
qualsiasi altro e che vede nellazienda cooperativa e nel rapporto con il mercato e la competizione un
fattore assolutamente sano di realizzazione personale e riconoscimento. Ecco allora che per una volta
il tema della cooperazione, del reinserimento, del mercato, del profitto, del disagio psichico e cos via
si fondono in una vicenda che naturalmente concede parecchio alle convenzioni di genere ma che ha il
merito davvero unico di spiegare da dove provenisse quellalto indice di produttivit da cui derivava
laumento delle risorse necessarie al consumo di nuovi beni e alladozione di nuovi e pi gradevoli e
soddisfacenti stili di vita. Una piccola rivoluzione borghese che anchessa come tutte le rivoluzioni
non un pranzo di gala.

Non necessariamente vero e condivisibile, ma certamente uno sguardo obliquo sul periodo, che
racconta una storia non ovvia e risaputa, rompendo lo schema delle retoriche contrapposte, rifiutando il
gusto stanto dello stereotipo critico o nostalgico che sia e della polarizzazione.

1. Anche questa espressione usata in senso neutro, foucaultiano, dove per potere intendiamo
nientaltro che linsieme dei rapporti di forza. Anche sul fatto di essere colonizzati, come insegna una
vasta tradizione di cultural studies, la situazione sempre molto pi articolata e sottile di quanto gli
approcci moralistici (quelli che discendono dallo schema colonizzatore cattivo VS colonizzato
buono) riescano solitamente ad afferrare.

2. Piuttosto che reinviare alla vastissima letteratura teorica relativa ai post-colonial studies,
preferiamo suggerire di prendere in considerazione la celebre raccolta di S. Rushdie, Patrie
immaginarie, Mondadori, Milano 1991 e in particolare, sullo spaesamento del colonizzato e la doppia
cittadinanza, il saggio intitolato Lambientazione di Brazil (pp. 130-138).

3. Sulla rottura epistemologica che si verifica nella cultura di massa proprio tra il 1977 e il
1978 si veda il romanzo di T. Labranca, 78.08, Excelsior1881, Milano 2008.

4. Sul consumo culturale in genere e cinematografico/televisivo in particolare si vedano G.


Pescatore, La cultura popolare negli anni Settanta: tra cinema, televisione, radio e fumetto, in A. De
Bernardi, V. Romitelli, C. Cretella (a cura di), Gli anni Settanta. Tra crisi mondiale e movimenti
collettivi, Archetipolibri, Bologna 2009, pp. 153-164 e C. Bisoni, Gli anni affollati. La cultura
cinemato-grafica italiana (1970-1979), Carocci, Roma 2009.

5. G. Mammarella, LItalia contemporanea. (1943-2007), il Mulino, Bologna 2008, pp. 518-


529.

6. Fra i primi a usare questa definizione P.G. Bellocchio, Uneco uneco uneco uneco,
in Diario, giugno 1986, cit. in M. Gervasoni, Storia dItalia degli anni ottanta. Quando eravamo
moderni, Marsilio, Venezia 2010, p. 182. Poi diventer la definizione implicita o esplicita di tutti coloro
che offriranno un ritratto catastrofico del decennio.

7. Si veda al riguardo E. Morreale, Linvenzione della nostalgia. Il vintage nel cinema italiano e
dintorni, Donzelli, Roma 2009.

8. Senza nessuna intenzione denigratoria nei confronti di un cineasta cui si deve il merito
storico di aver contribuito alla sopravvivenza del cinema italiano in una fase delicatissima, si pu
affermare che Salvatores (e collaboratori) hanno saputo declinare il modello The Big Chill prototipo
della nuova pellicola nostalgico-generazionale anni Ottanta, ci che American Graffiti era stato per i
Settanta nei modi della commedia allitaliana, fornendo un esempio notevole di remake creativo. Per
onest, vale la pena dire che un certo sentimento nostalgico nei confronti del decennio trascorso era
stato in qualche maniera inventato dai Gatti di Vicolo Miracoli, il gruppo comico che sia pure in
forme embrionali e piuttosto sbracate ne aveva fatto una specie di brand, come emerge chiaramente
sia in pellicole come Arrivano i gatti sia in brani musicali come Verona Beat (beat, beat, cosera il
beat? Un milione di anni fa, scritto nel 1980).

9. Sia consentito un ricordo personale. Durante lanteprima bolognese del film, la conclusione
della sequenza venne accolta da un applauso scrosciante da parte del foltissimo pubblico presente.

10. Golino inizia alternando una carriera hollywoodiana che trova i punti di massimo successo
in Rain Man e Hot Shots! con ruoli intimi in film autoriali con manifeste ambizioni di intima profondit
(uno per tutti: Piccoli fuochi di Peter Del Monte); Abatantuono uno dei primi comici trash del
disimpegno che caratterizza la transizione dallimpegno dei Settanta alledonismo postmoderno degli
Ottanta (la vulgata classica) con una parabola rapida che lo porta dai successi submetropolitani de Il
ras del quartiere alle degenerazioni sbracate come Attila, flagello di Dio, che di fatto chiude la sua
stagione comica. Claudio Bisio, infine, lanciato proprio da Salvatores, riesce miracolosamente a
conservare una doppia identit a cavallo tra il presentatore mainstream ovvero il testimonial dei
programmi di punta Fininvest/Mediaset e persino Filmauro da un lato, e lemblema soft di una cultura
antagonista dallaltro (per esempio quando interpreta il detective dei centri sociali inventato da
Sandrone Dazieri, non a caso investigatore schizofrenico).

11. Nella famiglia di Marco Tullio Giordana tutti sono votati alla salvezza. La loro principale
vocazione salvare (ed eventualmente essere salvati). Chi salva i libri dalle alluvioni, chi salva i malati
di mente dai manicomi, chi salva leconomia di mercato dalla deriva vetero-sindacalista, eccetera
eccetera. Perfino la terrorista, in fondo, riscatter le sue vocazioni sovversive con il salvataggio di
Fabrizio Gifuni. Il personaggio di Alessio Boni il solo che non vuole salvare o essere salvato.

12. Sarebbe interessante, al riguardo, un parallelo fra questo Capodanno con suicido, quelli
grotteschi e surreali di Niccol Ammaniti, quelli dei vari cinepanettoni e quelli del cinema dautore,
da Il posto di Ermanno Olmi in poi.

13. Bavoso polpettone televisivo in cui la militanza nelle Brigate Rosse raccontata come una
risposta alla depressione e la psicanalisi dei poveri spiega la storia. Questa la feroce ma puntuale
definizione di P. Bertetto, Il cinema larma pi forte. tornato il cinema politico?, in Alfabeta2, n.
19, Maggio 2012.

14. Nella tipizzazione della fiction italiana con pretese civili degli ultimi anni, il Veneto pare
ricoprire il ruolo della parte peggiore del Paese, senza neppure il vantaggio del fascino neo-
neorealista concesso alle regioni ad alta concentrazione mafiosa. Si vedano al riguardo alcuni film di
Mazzacurati, la serie tv Faccia dangelo (2011) di Porporati ma anche commedie grottesche come
Cose dellaltro mondo (2011) di Patierno.

15. P. Adamo, Il porno di massa. Percorsi nellhard contemporaneo, Raffaello Cortina, Milano
2004; F. Piccolo, LItalia spensierata, Laterza, Roma-Bari 2007. Si tratta di due libri diversi ed
entrambi suggestivi e scritti splendidamente, accomunati dallesposizione comparatistica di queste due
Italie (quella del prima e quella del dopo), una dicotomia nella quale, tuttavia, gli stessi autori
dichiarano di non credere. Quasi non trovassero alcuna alternativa a un artificio retorico obbligato, che
rappresenta una sorta di substrato culturale, replicato a livello di (sub) culture di gusto della
polarizzazione politica imperante.
16. In fondo, a ben vedere, si tratta dello stesso percorso ideologico che ritroviamo pari pari
nel Caimano di Nanni Moretti.

17. M. Gervasoni, op. cit., p. 217.

18. Sul tema-feticcio della mutazione antropologica, si vedano anche F. Dei, Politica-Pop: le
basi culturali del berlusconismo, in Studi culturali, n. 3, 2011, che riprende alcune tesi gi esposte,
per esempio, in A. Pascale, Questo il paese che non amo. Trentanni nellItalia senza stile, Minimum
Fax, Milano 2005.

19. Tutta lopera di Edmondo Berselli si sviluppata attorno al tema dellincapacit degli
italiani ad assumere le conseguenze della modernizzazione e ad essere minimamente rigorosi
nellespressione di un pensiero analitico razionale, persi nella sublime creativit del pregiudizio e della
passionalit. Per il tema che ci interessa, sono particolarmente rilevanti Post-italiani. Cronache di un
paese provvisorio, Mondadori, Milano 2003 e Adulti con riserva. Comera allegra lItalia prima del
Sessantotto, Mondadori, Milano 2007.

20. F. Alberoni, Consumo e societ, Il Mulino, Bologna 1964 (la questione dei fenomeni di
aggregato diventa per centrale nella seconda edizione del testo, datata 1967).

21. A tuttoggi la serie appare capace di suscitare fenomeni di fandom non indifferenti. Si veda,
ad esempio: http://ragazziterzac.altervista.org/home.html

22. Sulla ritualit di consumo del film di Natale targato De Laurentiis/Parenti, ovvero Boldi e
De Sica, si veda ancora F. Piccolo, LItalia spensierata, cit.

23. la definizione di Marco Giusti, Il Manifesto, 24 febbraio 2006. Si vedano, a titolo


esemplificativo, anche le critiche di Maurizio Porro (Il Corriere della sera, 17 febbraio 2006), Paolo
DAgostini (La Repubblica, 17 febbraio 2006) e Dario Zonta (LUnit, 17 febbraio 2006).

24. M. BelpolitI, Crolli, Einaudi, Torino 2005.

25. Per essere chiari, questa la nostra idea della periodizzazione della modernizzazione
culturale italiana: I Periodo. Ingresso nella modernit: Fase A (prebellica) 1936-1940-Fase B
(postbellica) 1948-1954. II Periodo. Accesso ai consumi, verso il postmoderno: Fase A 1958-1976 (a
sua volta suddivisibile in un periodo A1, euforico, 1958/1966 e A2, disforico, 1967-1976) Fase
B 1977-1989. Quindi III Periodo: Fase A 1989-2001, caratterizzato da questa sospensione della Storia
Fase B 2001-?, che caratterizzata dallavvento dei nuovi media digitali e dalla fine delle
comunicazioni di massa, ovvero la realizzazione con-creta ma forse meno gloriosa/catastrofica di
quanto sperato/temuto da molti critici della postmodernit (sul primo versante Maffesoli, Fukujama e
Lvy, sul secondo Jameson, Eagleton, Aug). Sulla scomparsa della cultura di massa si veda J.-L.
Missika, La fine della televisione, (2005), Lupetti, Milano 2007. Il discorso dello studioso francese
ruota attorno alla proposta di aggiungere ai tradizionali prefissi, paleo e neo, anche quello post,
da applicarsi al sostantitvo televisione in unepoca ormai segnata da altri media. Quanto ci somigli
al dibattito sulla morte del cinema svoltosi negli anni Settanta lasciamo a ciascun lettore giudicarlo.
Sulla stessa lunghezza donda, pi concentrato sul contesto italiano, E. Menduni, Fine delle
trasmissioni: da Pippo Baudo a YouTube, il Mulino, Bologna 2007.
26. G.P. Fabris, Societing. Il marketing nella societ postmoderna, Egea, Milano 2008, pp. 103-
113.

27. Valga per tutti Z. Bauman, Voglia di comunit, Laterza, Roma-Bari 2001. Poich abbiamo
parlato di due fasi di un secondo processo di modernizzazione riguardo ai periodi 58-76 e 77-89,
vale la pena fare un accenno al fatto che per Bauman (in Modernit liquida, Laterza, Roma-Bari 2002)
la locuzione seconda modernit utilizzata evidentemente con una presa di posizione implicita
per designare ci che si soliti indicare col termine postmodernit. Bench ne fossero gi ampiamente
visibili tutti i prodromi da almeno un ventennio, nostra opinione che il diffondersi su larga scala della
condizione postmoderna sia un processo che giunge a compimento solo nel corso degli anni Novanta:
corrisponde ad una frattura epistemologica e somiglia davvero ad una mutazione antropologica; tutto
ci stato definito con chiarezza da una serie di studiosi (da Venturi a Lyotard, da Eco a Jameson) ma
vissuto in prima persona dalla massa dei cittadini occidentali solo successivamente, trovando
compiutezza solo con laffermazione delle tecnologie digitali.

28. Facciamo qui riferimento alle tesi espresse in M. Maffesoli, Nel vuoto delle apparenze,
(1990), Garzanti, Milano 1993. Tesi che verranno poi riprese, ampliate e in certi casi ridiscusse dallo
stesso autore in testi successivi come Note sulla postmodernit, (2003), Lupetti, Roma 2005 o La parte
del diavolo. Elementi di sovversione postmoderna, (2002), Luca Sossella Editore, Milano 2003.

29. Cfr. F. Colombo (a cura di), Gli anni delle cose: Media e societ italiana negli anni
Settanta, numero monografico di Comunicazioni sociali, n. 1, 2001.
Stile libero

a cura di Chiara Gelato


CINEMA1
Nel nome di Diaz
di Boris Sollazzo

Cinema civile. Due parole che, in fondo, non dovrebbero andare insieme. Perch non
significano poi molto, costituiscono unetichetta tutta italiana a quella branca della Settima Arte che ha
contenuti fortemente politici e sociali. Unetichetta restrittiva, perch spesso ci si ingabbiano quei film
che raccontano una vicenda ben precisa, delimitata da date e fatti realmente accaduti, un cinereportage
che non pi cronaca e non ancora storia. Un genere destinato a invecchiare precocemente perch
strozzato, nel nostro Paese, dallideologia, intesa come griglia interpretativa ma anche come sincera
passione narrativa. Ecco perch possiamo dire, in fondo, che abbiamo avuto, contemporaneamente, il
cinema civile migliore e peggiore del mondo. Ed era inevitabile, perch solo gli Stati Uniti, forse,
hanno avuto la (s)fortuna di avere un dopoguerra movimentato come il nostro. Tanto da costituire una
sceneggiatura gi pronta, piena di segreti, colpi di scena e personaggi complessi e inafferrabili. E come
i nordamericani, abbiamo reagito con forza nel mondo dellarte, strattonati dalla voglia pasoliniana di
sapere anche senza prove e quella propagandistica -tentazione pi statunitense, a dirla tutta -di
reagire con unimmagine della propria identit nazionale e individuale pi forte. Il punto che il
cinema civile, cos, si rannicchiato sui fatti e si perso, inevitabilmente, il senso pi profondo
dellimpegno e della riflessione politica. Una tentazione universale, in fondo: Fragole e sangue rimane
un film mediocre premiato dal consenso critico e popolare oltre i suoi meriti proprio per i contenuti e
perch considerato, ai tempi in cui stato prodotto, necessario. Ecco, cos, che lunico modo per
giudicare certi film scoprire come invecchiano. Senza pregiudizi. In questa analisi proviamo a partire
da due registi che, a nostro parere, hanno raggiunto le massime vette di questo genere, proprio per il
talento con cui lhanno superato: Francesco Rosi e Daniele Vicari. Il primo appartiene alla migliore
tradizione del nostro cinema un autore, parole sue, che ancora fa riflettere il popolo italiano con i
suoi film -laltro un giovane (nella gerontocratica Italia, a 45 anni lo sei) che con Diaz ha firmato il
suo quarto film di finzione. Si fa per dire.

Per cercare di sviluppare il discorso e una visione dassieme proviamo a metterli a confronto
con Citto Maselli -che sul G8 ha costruito un progetto lodevole -e Marco Tullio Giordana, che con
Romanzo di una strage ha provato a rispolverare leredit di Rosi. Partiamo da questultimo e dal
ragionamento sulla stagionatura dei film. Chi scrive ha sempre privilegiato Petri aRosi: da Todo Modo
a Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, si sentiva la potenza della rabbia e del richiamo
diretto a unItalia bastarda, corrotta nei gangli dei suoi poteri, surreale, grottesca, iperrealistica (si
pensi al monologo di Volont nel secondo film) nella sua rappresentazione. Lamore per il suo genio
rimane, ma va detto che Rosi, accusato di fare un cinema pi diretto e documentato, apparentemente
pi legato alla Storia e alla cronaca, invecchia benissimo. Forse anche meglio. Il suo Le mani sulla
citt, Il caso Mattei, il suo Giuliano, in quello stile rigoroso e in quel racconto serrato e coraggioso
nelle ipotesi che non si impongono come tesi, ma propongono domande e strade diverse da quelle
ufficiali -sono uno schiaffo ai benpensanti ancora oggi. E un pericolo per il potere costituito, quello che
fa delle relazioni pericolose la propria firma: politici, costruttori, finanzieri, boiardi, salvatori della
patria.

Da qui dovremmo partire per tracciare la nostra analisi. Ha lasciato un segno indelebile nel
cinema italiano del dopoguerra, ha detto Alberto Barbera, motivando lannuncio del Leone doro alla
carriera per il cineasta napoletano. Dalle mani di Scorsese, suo discepolo in qualche modo (come
Sorrentino, che vorrebbe altri film di Rosi e che ne Il divo, pur con il suo inconfondibile sguardo, si
richiama sia a Mattei che a Le mani sulla citt, ma con pi licenze estetizzanti). Rosi, in unintervista -
data a La Stampa, a Fulvia Caprara (edizione dell11 maggio 2012) -ha poi sostenuto che il cinema
civile ha, in Romanzo di una strage, un valido erede. E per Diaz si mosso, lui cos restio a lasciar casa
per le sale, vista let, rimanendo entusiasta del risultato. Eppure sembra il secondo il suo diretto
riferimento. Dove Giordana cerca una verit apparentemente scomoda e in realt abilmente
equidistante -salviamo Calabresi, santifichiamo Pinelli e con la doppia bomba la strategia della
confusione servita -Vicari, come Rosi, si documenta ed evita (pre)giudizi, mischia lo stile del genere
a dialoghi forti, guarda la luna e non il dito. Non fa nomi, perch non ne ha bisogno, perch il suo
obiettivo lItalia, il sistema e non singoli obiettivi, troppo facili da colpire e che metterebbero il film
sulla graticola dellanacronismo. Ecco perch, ad esempio, il progetto pur lodevole che vede Maselli tra
i promotori di una copertura fluviale di Genova 2001, invecchiato dopo pochi anni. E in tutto questo
non c giudizio di merito o politico: di sicuro il lavoro di Citto Maselli e dei suoi sodali ha contribuito
alla costruzione di una memoria storica che ha permesso anche il film di Vicari. Grazie a quelle
immagini si sa cos successo, si visto: Vicari non diventa cos un visionario, ma un cineasta che con
la sua macchina da presa ne fa racconto e struttura narrativa, con momenti di iconografia metaforico-
politica (il poliziotto con lestintore in mano, geniale) che ci martelleranno per anni. Pi forti di un
processo, pi dolorosi di una confessione. Cos come il Bolzaneto di Vicari, edulcorato per difetto, ci
tormenter per le restanti notti che vivremo. E va lodato anche Giordana che, facendo riemergere
Piazza Fontana e le sue contraddizioni, ci costringe a parlarne, anche solo per contestarlo. Ma il cinema
civile non pu, non deve avere solo un ruolo funzionale, maieutico. Guardate i primi cinque minuti de
Le mani sulla citt: sono indelebili. La vostra vita, non solo di spettatori, dopo non sar pi la stessa. E
vale per lirruzione nella Diaz di Vicari, per il monologo confessione del Servillo sorrentiniano, per
pochi altri momenti nella storia del cinema italiano. E il motivo semplice: perch sono universali, non
legati alla faziosit ma a unanalisi pi alta, schierata perch pensata, ma mai ideologica. Tutti e tre
entrano nel personaggio o nellazione, la fanno propria, non la guardano da fuori, con snobistico
distacco, come purtroppo, ormai, succede a molto, troppo cinema italiano, legato ai salotti buoni di una
cultura autoreferenziale e affidata a una generazione ex contestatrice e ora inquadrata che sente il
bisogno di riscrivere la Storia a proprio uso e consumo, cancellando ci che possa rappresentare uno
scheletro nellarmadio.
Anagraficamente, cinematograficamente, moralmente, Rosi e Vicari escono fuori da questa
logica, mentre Maselli -da sempre in prima fila nella battaglia della politica culturale -o il trio Marco
Tullio Giordana, Stefano Rulli e Sandro Petraglia (i suoi sceneggiatori), per et o posizionamenti
politici, sono sempre stati troppo coinvolti. La mia generazione ha perso, cantava Gaber. Lui era
uno dei pochi ad averlo notato e ammesso. Proprio lui che certe battaglie non laveva combattute e per
questo dal consesso dei giusti, sempre pronti a firmare manifesti e a volte pure elegantissimi
linciaggi, era stato criticato aspramente ed emarginato. Quella generazione ha perso, ma sono anni che
vuole far passare agli annali di aver vinto. E questo il primo e principale motivo per cui lItalia, e non
solo il suo cinema, ferma da almeno tre decenni. Vittima e carnefice del rimpianto di non essere stata
altro. E di non esser cambiata.

Ma questa unaltra Storia. Perch, come dice proprio nel suo film pi bello Rosi, in una
didascalia, I fatti e i personaggi sono immaginari, ma autentica la realt che li produce. Era il 1963.
INCONTRI
Laltra Storia.
Conversazione con Andrea Purgatori
di Chiara Gelato

Salvatore Giuliano, I cento passi, Il muro di gomma, Segreti di Stato, Pasolini, un delitto
italiano, Il caso Mattei, Romanzo di una strage: se proviamo a mettere questi film in fila, insieme a
molti altri, viene fuori un Paese che perde facilmente la memoria. E una squadra di cineasti di
generazioni diverse che tenta di recuperarla. Forse abbiamo mancato sugli anni di piombo, ma lItalia
stata raccontata dal cinema nella sua complessit. Andrea Purgatori, tra i narratori di quel lungo
romanzo cinematografico sul Paese che ha stabilito nuove connessioni con la Storia, descrive il suo
lavoro come unindagine sulla realt e sul lato oscuro delle nostre esistenze, un cinema di scavo che
porta allo scoperto cicatrici, tenta di colmare buchi neri. Con un obiettivo preciso: suscitare
indignazione e la voglia di riappropriarsi della memoria. Scandagliando il passato pi impenetrabile
dei misteri italiani, scrivendo di stragi, scandali, assassini, rivisitando la biografia di grandi personaggi
della Storia. Ma facendo anche ritorno, a tratti, nellItalia del presente, come quella raccontata in Cha
cha cha, titolo (provvisorio) dellultima prova di Marco Risi, thriller dalle atmosfere noir scritto da
Purgatori insieme al regista e a Jim Carrington. Un film orgogliosamente di genere, ma con uno
sfondo politico preciso: quello dellItalia dei nostri giorni, tra corruzione, intercettazioni e doppie
verit. Prodotto da Bibi Film e la francese Babe Films con Rai Cinema, lo vedremo in sala con 01
Distribution ad inizio 2013.

Salvo poche eccezioni come la miniserie in costume Lo scandalo della Banca Romana,
ambientata nel 1893 il suo sguardo si sempre rivolto ad un passato prossimo ancora vivo nel ricordo
collettivo: la strage di Ustica ne Il muro di gomma, lomicidio di Livatino al centro de Il giudice
ragazzino, quello di Siani in Fortapsc. Una presa di distanza intellettuale, ma anche emotiva,
riconducibile alla necessit di allontanarsi dallimmediatezza del reale per affrontarlo con
lindispensabile lucidit?

Indubbiamente, anche se la giusta distanza non certo un valore assoluto. Prima di optare per
un film di genere come Cha cha cha, con Risi abbiamo lavorato a lungo su un progetto incentrato sulla
trattativa tra Stato e mafia. Siamo stati a Palermo, abbiamo parlato con Ingroia, con Ciancimino. Ma
poi ci siamo accorti di non riuscire a trovare quel punto di distanza corretto che non mai lo stesso
-rispetto allaccaduto. Il fatto risale a trentanni fa, per lindagine in corso. Ci mancava il bandolo
della matassa, per questo abbiamo desistito. Ma non sempre la collocazione temporale ferma: Lo
scandalo della Banca Romana, per esempio, racconta una vicenda incredibilmente vicina a quella
accaduta tre anni fa con il caso Antonveneta. Stesso canovaccio, stessa corruzione, anche se allora non
avevano ancora inventato i bond.
Un cinema che, nel sollevare veli e frugare dietro le apparenze, diviene strumento di
decodificazione della Storia (e dei suoi misteri)?

Nel mio caso non si mai trattato di compiere una ricostruzione documentaristica o giudiziaria:
ho sempre tentato di andare oltre, di colmare i buchi neri. La nostra storia al novanta per cento
irrisolta. Bisogna trovare ogni volta il modo giusto per raccontare vicende apparentemente chiuse e, se
possibile, darne una chiave di lettura. Fortapsc la storia di un giovane giornalista, lunico ucciso
dalla camorra a fronte delle decine massacrate dalla mafia. In quel caso cera un processo concluso,
esecutori condannati e una verit svelata. Ma mancavano i nomi dei mandanti. La lettura che ne
abbiamo dato che Siani stesse per toccare la punta delliceberg del rapporto tra camorra e politica
nella ricostruzione del dopo terremoto dell81. Sappiamo che la cupola della camorra volesse ucciderlo
a giugno, ma lomicidio avvenne a settembre. Tre mesi dopo. Cera qualcosa che non tornava, anche
nel modo maldestro di ucciderlo, sparandogli sotto casa, come in preda a unurgenza improvvisa. Siani
era diventato cos scomodo da dover essere eliminato subito. Stesso paradigma per le altre storie,
persino Il giudice ragazzino. Anche l una vicenda chiusa. Poi, con Pirro scopriamo che il mafioso che
aveva deciso di uccidere Livatino abitava al piano di sopra del giudice, gli camminava ogni giorno
sopra la testa. E che lui aspettava che uscisse di casa per scendere, pur di non incontrarlo. Unaltra
chiave di racconto.

Quando il cinema civile incontra il giornalismo dinchiesta, nascono film come Il muro di
gomma. Esiste un metodo Purgatori nellaccostarsi alla realt, mantenendo un contatto costante con
la Storia, attraverso il linguaggio filmico?
Giornalisticamente si lavora su dati oggettivi. Il cinema, invece, pu permettersi licenze,
interpretazioni del reale, una rilettura della Storia che a volte pu rivelarsi pi interessante di
uninchiesta o dello schema scientifico con cui gli storici affrontano la materia. Il cinema racconta
laltra Storia. Il mio approccio parte dallacquisizione completa del fatto, in ogni sua sfumatura, come
depositato nelle cronache giudiziarie. Conclusa la fase di ricerca, vado sul posto a vedere con i miei
occhi. E qui il mio lavoro si avvicina a quello del giornalista che ha la necessit di respirare la verit
nei luoghi e con le persone che ogni storia rappresenta. Quando con James Carrington ci siamo
accostati alla biografia di Caravaggio, abbiamo scoperto un buco nero che va dagli otto ai diciotto anni
dellartista, fino al suo arrivo a Roma. Dieci anni di silenzio assoluto, anche artistico. La lettura che ne
abbiamo dato che nascondessero una storia di violenze subite, di abusi. Ma non stata uninvenzione
totale, piuttosto una licenza su cui abbiamo sviluppato la narrazione.

Anche il tv movie Lattentatuni costruito su uninchiesta giornalistica che, attraverso i


meccanismi e la struttura del genere thriller, arriva a rivelare gli autori della strage di Capaci. La
televisione ha bisogno di verit svelate?

evidente che il linguaggio televisivo richiede una maggiore semplicit, un ricorso


allelemento didascalico che il cinema fortunatamente pu aggirare. Ma questo non cambia un assunto
fondamentale e cio che la televisione sia un mezzo potentissimo che riesce, a volte, a proporre una
visione che anticipa la realt. Come nel caso de La piovra, che ha raccontato la mafia in un momento in
cui persino la Commissione Antimafia non pronunciava questa parola. LItalia ha scoperto il potere
mafioso attraverso questa saga, che ha saputo coniugare il racconto popolare con un sapiente uso del
linguaggio.
Cosa accade, invece, quando il cinema si muove in presa diretta, come nel caso de
Lindustriale di Giuliano Montaldo?

Per scrivere il film sono andato a parlare con imprenditori, con banchieri. Ho lavorato pensando
allo sbandamento di un industriale ma avrebbe potuto essere una persona qualunque in un momento
in cui viene a mancare qualsiasi supporto. La crisi come un virus che provoca reazioni imprevedibili.
La messa in scena doveva rispettare questo sapore di inquietudine, per questo avevo inizialmente
proposto luso del bianco e nero. Poi venuta la geniale intuizione di Arnaldo Catinari, con il suo
colore decolorato, un bianco e nero contemporaneo che diventato parte integrante del racconto.
Questo film riuscito a entrare in corsa in una fase precisa della nostra storia. Proprio nel momento in
cui vi siamo tutti completamente immersi.
CINEMA2
La giusta distanza
di Michela Greco

1944. Solo poche settimane e circa centocinquanta chilometri separano due tra gli episodi pi
tragici della violenza nazifascista comsumatasi sul suolo italiano durante la Seconda Guerra Mondiale:
leccidio di SantAnna di Stazzema e la strage di Marzabotto. Una breve distanza, la stessa che
potrebbe dividere i due sguardi cinematografici portati su queste vicende, i quali invece, seppur quasi
contemporanei, sono lontani anni luce. Quelli offerti da Spike Lee con Miracolo a SantAnna (2008) e
Giorgio Diritti con Luomo che verr (2009) sono divergenti nella loro visione del mondo e della
Storia. Un americano e un italiano, un grande regista baciato dal successo hollywoodiano e dalla
consacrazione del suo cinema dautore (seppur molto commerciale), e un cineasta indipendente che ha
esordito ad oltre quarantanni con un piccolo film che si aperto la strada dopo mesi di passaparola (Il
vento fa il suo giro)e la sta consolidando con nuove, ambiziose prove (nellautunno 2012 arriva Vanit,
girato in Amazzonia). Poi c Paolo Sorrentino, il campione del cinema italiano dautore, il portatore di
una visione decisa e personale, lesteta delle inquadrature silenziose ed eloquenti e di personaggi
carichi ed eccessivi, eppure credibili. Ha portato al Festival di Cannes nel 2011 This Must Be the
Place, una produzione da ventotto milioni di dollari in cui la creativit italiana ha convogliato
lentusiasmo di un gigante hollywoodiano come Sean Penn e di suoi degni colleghi quali Henry Dean
Stanton e Frances Mc Dormand per distillare un racconto di formazione (di un adolescente di
cinquantanni verso la vita adulta) trascinato, anchesso, dai residui di una tragedia collettiva.
LOlocausto non il centro di This Must Be the Place, ma piuttosto una ferita che gocciola sangue
lungo la storia come una scia liquida che le indica il cammino. E proprio per questo, nella dimensione
privata e familiare di una vendetta contro un feroce aguzzino che fu, esplode luniversalit di un
percorso verso la consapevolezza e la definitiva elaborazione di un lutto condiviso. Sorrentino vola alto
e non cade parlando di colpa, di redenzione, di crescita e di coraggio di affrontare il mondo. E, quasi
incidentalmente, della tragedia collettiva dellOlocausto, che si fa simbolo ecumenico del lato oscuro
dellanimo umano e delle derive morali che portano luomo a uccidere con impunit, e persino
soddisfazione. La sfida di Giorgio Diritti e Spike Lee, alle prese con due precise e documentate vicende
storiche, invece allo stesso tempo pi semplice e pi impegnativa. La strage di SantAnna di
Stazzema e quella di Marzabotto hanno rappresentato due picchi della deflagrazione che ha frantumato
ogni briciolo di umanit e ha opposto due e mille fronti contrapposti di ideologia e desiderio di
libert, di odio razziale e rivendicazione politica, di patriottismo e servilismo. Due momenti, quel 12
agosto 1944 in cui le SS sterminarono cinquecentosessanta donne, anziani e bambini stanati nelle
stanze e nelle cucine del loro villaggio toscano, e quei giorni di autunno (tra il 29 settembre e il 5
ottobre) in cui le truppe di Hitler fecero circa ottocento vittime civili che avevano trovato rifugio in una
chiesa del paese emiliano, poi rastrellandole senza piet nei dintorni. Il regista italiano e quello
americano si confrontano con la Storia fatta di storie, con persone che hanno nomi e cognomi veri,
eredi, memoria, con eventi che si sono lasciati dietro polemiche e armadi della vergogna stracolmi di
documenti depositari della verit storica (come nel caso delleccidio di SantAnna di Stazzema).
Affondano le mani nella realt per costruire la finzione, e non rifiutano il confronto. Tanto che Spike
Lee fu sommerso dalle polemiche per la sua interpretazione della vicenda, che lascia intendere che la
strage fu una rappresaglia nazista causata dal tradimento di un partigiano. Paolo Mereghetti, allepoca
delluscita di Miracolo a SantAnna, accus il regista di aver perso la bussola al cospetto della Storia
E non ebbe tutti i torti. Perch Spike Lee ha maneggiato un materiale narrativo incandescente, tanto pi
fragile e delicato perch reale, ed inciampato lungo il percorso che trasforma la vita in arte.
Allombra delluomo che dorme, la montagna toscana teatro delleccidio, Lee ha messo una galleria
di personaggi incapaci di sfuggire allo stereotipo e alla marcata caratterizzazione retorica. Ha
ammantato un episodio bruciante di unestetica favolistica schematica, irregimentata nella convenzione
drammaturgica allamericana. Ha spiegato tutto, marchiato troppo: c il bambino magico
simbolo dellinnocenza; c il gigante di cioccolato, emblema della purezza e della generosit; ci
sono il partigiano traditore e il nazista buono; ci sono anche la ragazza pervasa di sensualit e
folklore italico e i bianchi razzisti. Un album di figurine manovrate con mani maldestre nel tentativo di
sublimare la tragedia in fiaba, ma con il risultato di tradire sia la Storia che larte.
Raccogliendo le lezioni di Luigi Comencini -e del suo sguardo ad altezza di bambino -e di
Ermanno Olmi, con la sua poesia contadina Giorgio Diritti invece non esce sconfitto dal confronto
con la Storia, che pure affronta a viso aperto. Non ha paura di rimanere agganciato alla verit storica, di
esplorare le vicende documentate di quella strage diffusa di Monte Sole, ma nemmeno di sublimare
la realt. E lo fa con un approccio umanistico, naturalistico: sceglie luomo a scapito della struttura
(narrativa). Segue i silenzi, gli sguardi e i fili derba accogliendo tutta la loro misteriosa e affascinante
complessit, piuttosto che gli archetipi prestabiliti. Nel mondo de Luomo che verr ogni zolla di terra e
ogni pietra di casolare testimone silenzioso e partecipe della Storia che scorre nonostante -e per colpa
-dellumanit. La placida quotidianit campagnola resta protagonista fino al momento estremo, quasi
indifferente alla tragedia imminente. Gli occhi muti della piccola Martina raccontano molto di pi e
molto meglio di un mondo impazzito per la guerra di quanto non facciano le parole del gigante di
cioccolato di Spike Lee. Giorgio Diritti si confronta con la Storia sfoderando tutto il coraggio
necessario per scegliere uno sguardo che, quanto pi personale, tanto pi si fa universale. Spike Lee il
coraggio lo punta tutto sulla sua ricostruzione (rimasta controversa) dei fatti di SantAnna di Stazzema,
cerca una sua verit nellimpalcatura narrativa ma dimentica di ascoltare luomo che nei suoi
personaggi. Bisogna allontanarsi dalla Storia per esserle pi vicini e fedeli. Serve il coraggio di
affidarla allambiguit del singolo essere umano per restituirle universalit. Anche se si tratta di una ex-
rockstar depressa e ormai pensionata, intrappolata in capelli cotonati e rossetto acceso, come il
Cheyenne di Paolo Sorrentino.
EDITORIA
Su cinema e Shoah
di Giancarlo Mancini

Un blog destinato a raccogliere quanti pi indizi, tracce, documenti, reperti per risalire fino
allevento spartiacque del nostro tempo: lOlocausto. Da questo progetto pensato e portato avanti
insieme si potrebbe partire per parlare dei due libri che Andrea Minuz1 e Guido Vitiello2 hanno dedicato
al rapporto tra la Shoah e, rispettivamente, il cinema e la produzione visuale in unaccezione pi ampia.
Ogni post inserito nellHolocaust Visual Archive3 ci presenta un particolare, un dettaglio estrapolato da
unopera che direttamente riporta allOlocausto. Come nel caso dellepisodio della serie originale di
Star Trek in cui Kirk e Spock scoprono un pianeta, Ekos, dominato da un regime nazistoide che sta
pianificando una soluzione finale per distruggere gli abitanti del vicino pianeta Zeon. I libri in
questione sono due approcci paralleli che, a partire dallo studio di una notevole mole di materiali
repertati, hanno cercato di capire come e in che modo, attraverso la sua rappresentazione, sia cambiata
la nostra coscienza dellOlocausto. Con il passare degli anni e il venir meno di quei perni della nostra
memoria storica che sono stati i testimoni lentamente emerso, come ben raccontano Minuz e Vitiello,
un altro approccio, compiuto dalle seconde e ancora di pi dalle terze generazioni, coloro che non
hanno vissuto direttamente quei fatti e non hanno subito neanche i lunghi e difficili anni del
dopoguerra, del ritorno alla normalit.

La storia del rapporto tra cinema e cultura pop con la Shoah ha avuto un momento culminante
nel 61, con la trasmissione in televisione del processo ad Adolf Eichmann, uno dei protagonisti della
pianificazione della soluzione finale. Questo evento mediatico ha rappresentato il decisivo momento in
cui le vittime si sono riprese la parola e hanno iniziato a raccontare la loro vicenda, contribuendo in
modo decisivo alla costruzione di quel gigantesco apparato memoriale oggi a disposizione
dellumanit.
Il passaggio dalla testimonianza alla rielaborazione inizia negli anni Settanta, con la serie
televisiva Holocaust, prodotta dalla NBC, e con una scena di Maus, il romanzo disegnato da Art
Spiegelman. La serie in quattro episodi con Meryl Streep e James Woods fu duramente attaccata da Eli
Wiesel in un articolo sul New York Times in nome, per riassumere, dellinderogabilit alle ragioni
dello spettacolo cinematografico. In Maus, invece, si riproduceva con unaggiunta decisiva una celebre
foto scattata da Margareth Bourke-White ai detenuti del campo di concentramento di Buchenwald. Il
loro sguardo spettrale rivolto ai liberatori conteneva una freccia, con sotto la scritta Poppa, cio pap.
Questultima intromissione di Spiegelman consent a Marianne Hirsch di sviluppare una nuova
categoria, cio la post-memoria, fondamentale sia per lo studio di Minuz quanto per quello di Vitiello.
La post-memoria -scrive la Hirsch - [] descrive il rapporto dei figli sopravvissuti con le esperienze
dei loro genitori, esperienze che ricordano solo grazie alle narrazioni e alle immagini con cui sono
cresciuti, ma che sono cos potenti, cos monumentali, da costituire delle memorie vere e proprie4.

Gary Weissman, ricorda Vitiello, ha trovato la formula fantasie di testimonianza per spiegare
questo processo di appropriazione e rielaborazione di tutti quelli che non cerano ma egualmente
sentono il bisogno di condividere il pi possibile quellesperienza, di provare a fare come se fossero
realmente stati l. Se levento fondante della nostra epoca indubbiamente stato la Shoah, allora si
comprende come questa funzione, per i nontestimoni, sia sostanzialmente il momento iniziatico di un
percorso formativo costruito per interposta persona, nel quale si sostituisce allesperienza il ricordo
desunto da altri di quanto accaduto nei campi. Ecco perch probabilmente si continuano, al di l della
discutibile industria ruotante attorno alle giornate della Memoria, a produrre decine e decine di opere
sullargomento. E nel momento in cui il procedimento di liberazione delle opere artistiche dal dovere
del racconto si intercala inevitabilmente con il lavorio della post-memoria, il problema non si esaurisce
pi nella funzione testimoniale e divulgativa che sin qui stata dominante. Senza contare la perdita di
centralit del cinema nellimmaginario contemporaneo, il suo essere insieme a tutta unaltra serie di
media, di linguaggi che lavorano su porzioni spazio temporali assai pi ridotte rispetto al film, pi
vicine al frammento che allopera. Tutto ci, dicevamo, rende inevitabile che la validit morale di un
film non sia pi un fatto interno al cinema, un suo problema linguistico, come scriveva Godard nel 60
a proposito del carrello di Kap, quanto un problema ipermediale, di tutti quei linguaggi che hanno
prodotto e continuano sempre di pi a produrre fantasie di testimonianza. Sono i frammenti, nel loro
orizzonte discorsivo condensato, a costituire il nostro bagaglio emotivo e cognitivo, schegge di una
nebulosa semantica complessa e articolata. Come costruire quel racconto articolato e complesso nel
nostro immaginario il problema, quali frammenti selezionare e in base a quali esigenze, come
propone Andrea Minuz nel suo libro.

Si deve considerare, seppur di sfuggita visti i limiti di questa occasione, come questo
superamento della matrice testimoniale si vada inevitabilmente ad inserire nella dialettica interna alle
immagini della nostra tarda modernit, in cui lesperienza sempre pi mediata, se non sostituita, da
dispositivi in grado di produrre essi stessi delle realt autonome, le cosiddette realt virtuali.
Sia il libro di Vitiello che quello di Minuz, parlando dellestrema condizione a cui sottoposto
il linguaggio cinematografico di fronte alla sfida impossibile di raccontare la Shoah, interrogano anche
la nostra condizione di spettatori e il ruolo specifico delle immagini in rapporto alla Storia. Come si
continuer a pensare e a parlare di quellabisso dentro al quale il linguaggio gira a vuoto ancora un
volta il problema principale. E a fare i conti con il paradosso che ha tenuto e continua a tenere insieme
lirrappresentabilit dellorrore dei campi di concentramento con il bisogno di tramandarlo nel tempo.
1. A. Minuz, La Shoah e la cultura visuale. Cinema, memoria, spazio pubblico, Bulzoni, Roma
2010.

2. G. Vitiello, Il testimone immaginario. Auschwitz, il cinema e la cultura pop, Ipermedium


libri, S. Maria Capua Vetere (CE) 2011.

3. http://holocaustvisualarchive.wordpress.com/

4. M. Hirsch, Surviving Images: Holocaust Photograph and the Work of Postmemory, in B.


Zelizer (a cura di), Visual Culture and the Holocaust, Rutgers University Press, New Brunswick 2001,
pp. 218-219.
MULTIMEDIA
Videogiocare il passato.
Nella Storia, con la Storia, per la Storia
di Ilaria Ravarino

Tra videogiochi e Storia non fu colpo di fulmine. In principio erano alieni, principesse e
scimmioni, mondi immaginari e prospettive cosmiche: il passato delluomo, allalba degli anni Ottanta,
non era un orizzonte a 16 bit. Man mano che aumentavano le sue potenzialit grafiche, per, il mezzo
ha cominciato a guardare con interesse alla possibilit di esercitare il potere di simulazione anche sulla
narrazione del passato. E cos, aiutati da una grafica sempre pi fotorealistica e da una maggiore
consapevolezza di s, i videogiochi si sono appropriati del testo storico.

Ma a cosa si gioca quando si gioca con la Storia?

Videogiocare nella Storia


Un soldato, un fucile, una missione. E una data, 20 settembre 1870, consegnata alla storia come il
giorno della breccia di Porta Pia. Esattamente centoquarantuno anni dopo, il 20 settembre 2011, la
presa di Roma tornata attuale: il soldato, il fucile e la missione sono diventati un videogioco, la prima
incursione videoludica del Made in Italy nella storiografia nazionale.

Inserito dal Ministero della Giovent nel progetto per i 150 anni dellUnit dItalia, Giovent
Ribelle: XX -La Breccia (2011) un prodotto di intrattenimento digitale o ricostruzione storica
interattiva [] che racconta le vicende di un bersagliere, unico sopravvissuto della sua unit durante
lattacco alle Mura Aureliane del 18705. Dotato di visuale in soggettiva, non volendo dare un nome o
un volto al protagonista, che rappresenta un ideale pi che una persona6, il gioco si articola come un
classico First Person Shooter allinterno di un unico livello, giocabile in due modalit: lo Story
Mode, cio la partita vera e propria, e il Navigation Mode, per navigare la mappa senza partecipare
ai conflitti, ascoltando il commento del Museo del Vittoriano e fruendo dellambiente come strumento
di apprendimento.

Eppure, bench nato per trasferire informazioni e pi in generale cultura attraverso lattivit
ludica digitale7, nel confrontarsi con la storia nazionale Giovent Ribelle: XX -La Breccia finisce col
veicolare altri obiettivi -pi o meno espliciti -sulla linea dei FPS militari di cui erede, da Return to
Castle Wolfenstein (2002) a Battlefield 1942 (2004), da Medal of Honor (2003) a Call of Duty (2004).
Pi che tentare di simulare il realismo di un evento cos lontano nel tempo (la cui conoscenza non
indispensabile ai fini del gioco) i game designer di XX -La Breccia hanno infatti rimediato laccesso
che il cinema ha dato a quel genere di eventi, immergendo il giocatore in unesperienza spettacolare,
pi simile a un film hollywoodiano che alla realt del Risorgimento italiano. Per quanto accurato nella
ricostruzione realistica del background, il testo storico in XX -La Breccia assolve a una funzione pi
emotiva che didattica: leffetto non quello di aumentare la conoscenza storica, quanto quello di
stimolare emotivamente il giocatore in funzione di una narrazione densa di amor patrio ed eroismo
nazionale.

Giocare nella Storia significa dunque giocare una delle tante Storie possibili: quella raccontata
dai programmatori al pubblico.

Videogiocare con la Storia


Il tema storico domina da sempre il genere dei videogiochi strategici a turni: da Civilization (1999) a
Cossacks (2002), da Age of Empires (1997) a Europa Universalis (2000), il piacere di giocare il destino
di un Paese o di una civilt legato indissolubilmente alla conoscenza da parte dellutente della storia
reale (indispensabile, anche se limitata, per la piena fruizione dellesperienza). A questa categoria
appartengono i primi videogiochi entrati nelle scuole come strumenti didattici: ben prima che in
Francia si introducesse lo studio del Rinascimento attraverso Assassins Creed (2007)8, centocinquanta
scuole americane adottavano Making History: The Calm & The Storm (2004)9 per simulare i processi
storici tra le potenze europee nella Seconda guerra mondiale.

Parenti stretti di giochi strategici da tavola come RisiKo! o Axis & Allies, i videogiochi di
strategia a turni considerano il passato un evento reattivo, intenso e dinamico, aperto allintervento
dellutente. Accade nella serie di Civilization, in cui il giocatore reggente di una civilt dalla
fondazione alla colonizzazione dello spazio, come in Europa Universalis dove possibile controllare
una delle duecentottanta nazioni sorte tra la met del Quattrocento e i primi dellOttocento. In questi
giochi laccento non posto sullautorevolezza del testo o sulla sua attendibilit storica, quanto
sullazione del giocatore. Il videogioco, cio, diventa un testo fondato sulla partecipazione attiva del
fruitore: non tenta di riprodurre la Storia, ma di mettere il giocatore nella condizione di poterla
modificare creando scenari alternativi. Un approccio che, utilizzando lespediente dellanacronismo per
divertire, riflette il desiderio di poter intervenire nella narrazione storica, di chiedere cosa sarebbe
successo se....
Giocare con la Storia, dunque, significa giocare una delle tante Storie possibili: la propria.

Videogiocare per la Storia


Dallas, Texas, 12:30 pm, 22 novembre 1963. Deposito della Texas School Book Library, sesto piano.
Il cielo sereno. Hai in mano un fucile.

Un uomo, un fucile, una missione. Ma questa volta non c bisogno di aggiungere altro: il
giocatore sa esattamente cosa deve fare perch ha gi visto quella scena molte volte. Distribuito nel
2005 e ritirato dopo aspre polemiche, in JFK: Reloaded (2004) il giocatore veste i panni di Lee Harvey
Oswald, lassassino di John F. Kennedy: scopo del gioco, uccidere il Presidente. Nel modo pi vicino
alla realt. Il punteggio del giocatore, infatti, tanto pi alto quanto il suo tiro si avvicina ai dati
balistici dellomicidio: pi punti se la traiettoria la stessa, se la first lady ferita, se lassassinio
avviene entro ventotto secondi dallingresso della limousine. Offriamo un punto di vista esclusivo
interno allevento, ha dichiarato alluscita del prodotto Kirk Ewing, manager della Traffic,
giustificandone cos la natura: smontare ogni teoria del complotto per mostrare che solo Oswald, in
quel punto e in quel momento, avrebbe potuto sparare10. Esempio limite di videogioco che lavora per la
storia, JFK: Reloaded mette in scena il testo storico in chiave documentaristica per indurre nel
giocatore una riflessione sullevento stesso. Categoria fra le pi controverse, quella dei videogiochi-
documentario comprende titoli come 9-11 Survivor (2003), che intrappola il giocatore nelle Twin
Towers durante lattentato dell11 settembre 2001, Super Columbine Massacre RPG (2005),
riproduzione 16 bit del massacro della scuola di Columbine e critica del ruolo giocato dai media nel
racconto della strage, o Escape from Woomera (2003), in cui ci si immerge nella quotidianit di un
emigrato in un vero campo di accoglienza australiano nella vana attesa del permesso di soggiorno.

Giocare per la Storia significa giocare attraverso il testo per produrre una riflessione su di esso.
Significa trasformare il videogioco in uno strumento interpretativo della realt: giocare il passato per
comprendere il presente.

E, con esso, le storie possibili che verranno.


5. XX-La Breccia, in Giovent Ribelle XX La Breccia, 20 settembre 2011,
http://labreccia.wordpress.com.

6. Ibidem.

7. AA.VV., La vision del progetto, in Giovent Ribelle - lItalia del Risorgimento, 2011,
http://www.gioventuribelle.it/multimedia.html.

8. G. Gargiulo, Assassins Creed 2: Playing and Rethinking the Machiavellian Creed as Epic
Story of Power, lettura presso College of Charleston, aprile 2011.

9. M. Bittanti, Il disagio di Civilization. Ucronia, parodia, distopia, in Id. (a cura di),


Civilization - Storie virtuali, fantasie reali, Costa & Nolan, Milano 2005, pp. 204-205.

10. T. Fullerton, Documentary Games, putting the Player in the Path of History, in Z. Whalen,
L.N. Taylor (a cura di), Playing the Past, History and nostalgia in Video Games, Vanderbilt Univesity
Press, Nashville 2008, p. 506.
OSSERVATORIO
I film storici della stagione 2010-2011
di Luca Peretti

Quanti film storici escono in Italia ogni anno? Da che Paesi provengono? Con queste domande
in mente abbiamo cercato di compilare una breve lista dei titoli distribuiti nelle sale italiane durante la
stagione 2010-2011 (dal 1 ottobre al 31 settembre; se non indicato diversamente, i film sono del 2010
o 2011). Abbiamo tralasciato le opere ambientate nel passato ma che non mettono davvero in scena un
rapporto critico con la Storia, come ad esempio La versione di Barney o Three of Life, o film biografici
come Senna o Silvio Forever. Cos come abbiamo escluso quei film che sicuramente in futuro saranno
utili per raccontare il tempo presente, ma che per il momento non raccontano il tempo passato. In due
casi Noi credevamo e, in misura minore, Vallanzasca -Gli angeli del male si tratta di pellicole che
stanno avendo e probabilmente continueranno ad avere una eco anche a livello accademico.

I film storici inseriti in questa lista sono trentuno, soltanto undici quelli italiani, per lo pi
distribuiti in un numero esiguo di copie. Le opere prettamente in costume stanno quasi scomparendo
dalla produzione nazionale: basti pensare che lunica eccezione, nellanno considerato, la puntata
quattrocentesca di Amici miei. Per quanto riguarda i temi, la Shoah mantiene sempre un posto di
rilievo, grazie anche allappuntamento annuale della Giornata della memoria, mentre nella stagione
cinematografica di cui ci siamo occupati sono usciti ben due film sul colpo di stato cileno. Unultima
segnalazione: tra i titoli distribuiti in sala con anni di ritardo, una grave mancanza stata rimediata
grazie allarrivo nei cinema di This is England, film ormai cult sul primo periodo degli skinhead
inglesi.

Adam Resurrected di Paul Schrader (Germania/Usa/Israele, 2009). Ambientato negli anni 60 in


una struttura sanitaria per persone che hanno subito traumi situata nel deserto israeliano, racconta la
storia di Adam Steil, ex mago e clown sopravvissuto alla Shoah.

Amici miei Come tutto ebbe inizio di Neri Parenti (Italia). Lultimo e impuro capitolo della
serie storica diretta da Monicelli, questa volta ambientato nel Quattrocento fiorentino e con un cast da
cinepanettoni.

Cirkus Columbia di Danis Tanovic (Bosnia-Herzegovina/Francia/ Gran Bretagna/Germania/


Slovenia/Belgio/Serbia). Il ritorno in Jugoslavia di un immigrato in Germania, appena prima dello
scoppio della guerra nel 1991.

Come lacqua per gli elefanti (Water for Elephants) di Francis Lawrence (Usa). Melodramma in
flashback di ambiente circense ambientato nellAmerica della Grande Depressione.

The Conspirator di Robert Redford (Usa). La storia del processo e della difesa di Mary
Surratt, una delle accusate (lunica donna) di aver cospirato contro il presidente Abraham Lincoln,
ucciso nel 1865.

Il debito (The Debt) di John Madden (Usa). Tre agenti del Mossad a caccia in due riprese, nel
1965 e nel 1997 di Dieter Vogel, il chirurgo di Birkenau.

Il discorso del re (The Kings Speech) di Tom Hooper (Gran Bretagna). La lotta contro la
balbuzie del futuro re inglese Giorgio VI, aiutato da un atipico logopedista, fino allimportante discorso
alla radio per lentrata in guerra contro la Germania nazista.

I fiori di Kirkuk di Fariborz Kamkari (Italia/Svizzera/Iraq). Una storia damore italo-irachena


negli anni Ottanta.

Lestate di Martino di Massimo Natale (Italia). Lestate del 1980, tra la strage di Ustica e quella
di Bologna, con la storia dellamicizia tra un quattordicenne italiano e un militare americano.

Il gioiellino di Andrea Molaioli (Italia). Il lato meno riuscito del capitalismo italiano, quello dei
crack degli ultimi anni (tra tutti soprattutto quello della Parmalat, ma solo liberamente ispirato a).

Un giorno della vita di Giuseppe Papasso (Italia). Una sorta di Cinema Paradiso in Basilicata,
ambientato nel 1964.

Io sono con te di Guido Chiesa (Italia). La vita e le scelte di Maria, madre di Ges.

Isola 10 (Isla 10) di Miguel Littin (Cile/Brasile/Venezuela). La storia di Sergio Bitar e degli
altri prigionieri sulla Dawson Island dopo il colpo di stato in Cile del 1973.

Ladri di cadaveri -Burke & Hare di John Landis (Gran Bretagna). Gli omicidi di Burke e Hare
a Edimburgo, agli inizi dellOttocento. Nel film c dichiaratamente poca verit storica e molta
comicit.

Noi credevamo di Mario Martone (Italia). Il film sul Risorgimento italiano, soprattutto sugli
aspetti pi controversi. Unepopea di quasi tre ore che mette in scena complotti, lotte intestine,
passioni, combattimenti contro i Borboni e la brutalit della persecuzione contro i briganti. Ispirato
allomonimo romanzo di Anna Banti.

Nowhere Boy di Sam Taylor-Wood (Gran Bretagna/Canada, 2009). Il film biografico su John
Lennon.

Passannante di Sergio Colabona (Italia). La storia di Giovanni Passannante, cuoco lucano


attentatore del Re dItalia (siamo nel novembre 1878) che morir in un manicomio criminale. Il cranio,
conservato nel Museo Criminologico, verr sepolto solo nel 2007.

La polvere del tempo (Trilogia II: I skoni tou hronou) di Tho Angelopoulos (Grecia/Italia/
Germania/ Francia/Russia). Cinquantanni di storia greca raccontati da uno dei pi esperti registi
ellenici.

Porco Rosso di Hayao Miyazaki (Giappone, 1992). Una satira del fascismo in forma di cartone
animato. Arrivato in Italia dopo il successo di altri film del maestro giapponese.

Post Mortem di Pablo Larrain (Cile). Il colpo di Stato in Cile visto attraverso lautopsia del
presidente Allende.

Il primo incarico di Giorgia Cecere (Italia). Il mestiere di maestra nella Puglia rurale degli anni
Cinquanta. il primo incarico di lavoro per una giovane donna innamorata di un ragazzo pi ricco di
lei.

Rasputin di Louis Nero (Italia). La storia del monaco russo messa in scena da un regista
rigoroso e sperimentale.

Sraphine di Martin Provost (Francia). Sraphine Louis, da semplice governante si scopre


pittrice di talento e in parte anche di successo grazie ad un ricco mecenate.

This is England di Shane Meadows (Gran Bretagna, 2006). Inghilterra di provincia, primi anni
Ottanta. La storia delleducazione politica, sentimentale e culturale di un giovanissimo skinhead, agli
albori di questa sottocultura, con le prime divisioni tra destra e sinistra. Musica dellepoca.

Lultimo dei Templari (Season of the Witch) di Dominic Sena (Usa). Un altro film sulle crociate,
con tanto di streghe, in un misto tra dramma storico e horror.

Uomini di Dio (Des Hommes et des Dieux) di Xavier Beauvois (Francia). La storia (vera) del
massacro di Tibhirine: sette monaci cistercensi uccisi nel 1996 dagli integralisti mussulmani, in un
villaggio isolato tra i monti algerini.
Uomini senza legge (Hors-la-loi) di Rachis Bouchareb (Francia/Algeria/Tunisia/Belgio). La
lotta di liberazione dellAlgeria condotta nelle banlieu parigine tra il 1945 e il 1962. Un gangster movie
di grande respiro e politicamente impegnato.

Vallanzasca -Gli angeli del male di Michele Placido (Italia). La vita di uno dei pi famosi
criminali italiani, resa dal volto e dal corpo di Kim Rossi Stuart. Non sono mancate le polemiche per
una presunta esaltazione di Vallanzasca.

Venere nera (Venus Noire) di Abdel Kechiche (Francia/Italia/ Belgio). La storia di una donna, a
inizio Ottocento, protagonista di interesse morboso e scientifico: Saartjie Sarah Baartman, originaria
del Sudafrica, veniva esibita come fenomeno da baraccone.

Vento di primavera (La Rafle) di Rose Bosch (Francia/Germania/ Ungheria). La persecuzione


degli ebrei francesi nel luglio 1942. Il film prevalentemente ambientato a Parigi dal punto di vista di
alcuni bambini di Montmartre.

We Want Sex (Made in Dagenham) di Nigel Cole (Gran Bretagna). Film operaista concentrato
su un gruppo di donne che scioperarono nel 1968, in una fabbrica della Ford nel paese di Dagenham
(Essex, Inghilterra).

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