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Attiva passivit:

prospettive aristoteliche nelluniverso leibniziano


Elaborato redatto dalla studentessa Giulia Bernard

Lintelletto [] non una cosa, n ha la passivit di una lavagna: esso


lattivit medesima, che non opera fuori di lei, come nel caso della
lavagna. Il paragone quindi si limita ad affermare che lanima ha un
contenuto solo in quanto pensa realmente. Dire che lanima questo libro
non scritto significa dunque dire che essa tutto in s (an sich), ma non
questa totalit in se stessa (in sich selbst): allo stesso modo un libro
secondo la possibilit pu contenere tutto, ma realmente nulla prima
dessere scritto. Soltanto lattivit reale il vero
(Hegel, Lezioni sulla Storia della filosofia)

Il proposito che orienta questo breve studio il tentativo di mostrare la radicalit della lettura leibniziana
della potenzialit ascritta allanima nella declinazione aristotelica, palesata nella critica alla riduzione
lockiana dellessere in potenza alla bruta passivit inerme (white paper). Dopo aver preso le mosse dalla
preliminare considerazione di alcuni passi del De anima, si prenderanno in esame alcuni luoghi dei Nuovi
saggi sullintelletto umano, dai quali far emergere significative rispondenze con il testo aristotelico. In sede
conclusiva si cercher di porre a confronto in maniera pi esplicita sensazione (aristotelicamente intesa) e
percezione.

1. De anima: senso e tavoletta di cera


Per addentrarci nellanalisi della declinazione leibniziana della incessante attivit percettiva che connota le
anime, risulta utile affrontare preliminarmente un esame di alcuni luoghi del De anima aristotelico, al fine di
far emergere alcuni nodi problematici che segnano lincompatibilit lucidamente individuata da Leibniz
con una interpretazione dellanima come mera passivit.

Il passo che prenderemo in esame B 11, 423 b 30 424 a 15.


Aristotele, dopo aver assunto il tatto esemplarmente per tutti i sensi, scrive:

Il sensorio relativo a tali qualit, ossia lorgano tattile, cio quello in cui principalmente ha sede il
senso chiamato tatto, la parte corporea che in potenza tali qualit. Percepire infatti un subire, e
quindi lagente rende simile a ci che esso stesso in atto quello che tale in potenza. Pertanto non
percepiamo il caldo e il freddo, o il duro e il molle che abbiano la nostra stessa misura, ma gli eccessi
di queste qualit, e ci perch il senso una specie di mediet dellopposizione che si ha nei
sensibili. Ed per questo motivo che discrimina i sensibili. Il medio infatti ha la capacit di
distinguere divenendo, rispetto a ciascun estremo, il suo opposto. E come ci che deve percepire il
bianco e il nero non devessere in atto nessuno dei due, ma entrambi in potenza (e la stessa cosa vale
anche per gli altri sensi) cos, nel caso del tatto, lorgano non devessere n caldo n freddo. [] Il
tatto ha per oggetto il tangibile e il non tangibile. Non tangibile sia ci che ha in minimo grado le
caratteristiche dei tangibili, qual il caso dellaria, sia leccesso dei tangibili, come i corpi che
distruggono lorgano.

Il passo riportato offre moltissime indicazioni preziose (che in questa sede non si ha la pretesa di poter
esaurire).
Poniamo in evidenza soltanto alcune questioni rilevanti per tale analisi, suddividendole in due ordini:

1
A. Passiva attivit, attiva passivit
Il sensorio il luogo primordiale del sentire, dellessere in potenza il sensibile che lo stimolo
conduce in atto.
Lidentificazione fra sentire e subire pu, a prima vista, legittimare il white paper di matrice
lockiana. Questa interpretazione, derivante da una sovrapposizione univoca di essere in potenza, di
potenzialit, e di passivit, pu tuttavia essere posta in discussione anzitutto dal rilevamento della
polivocit che il termine subire assume nel testo: neppure subire ha un unico significato, ma in
una prima accezione una specie di distruzione da parte del contrario, in unaltra piuttosto la
conservazione, da parte di ci che in atto, di ci che in potenza e che gli simile allo stesso modo
che la potenza ha relazione con latto (B 5, 417b).
La declinazione lockiana mostra unincompatibilit evidente con il secondo significato, preminente
nellanalisi aristotelica della potenzialit della percezione e del pensare (se il pensare analogo al
percepire, consister in un subire lazione dellintelligibile G 4, 429 a14).
Lessere passivi rivela dunque gi da s una originaria attivit, nella quale si evidenzia una
reciprocit essenziale fra atto e potenza, come si riscontra in maniera esemplare in quanto Aristotele
scrive a proposito della peculiarit del tatto:
I tangibili li percepiamo non per lazione del mezzo, ma insieme col mezzo, come avviene a chi
colpito attraverso uno scudo: lo scudo, infatti, non colpisce costui dopo esser stato percosso, ma
avviene che entrambi siano colpiti contemporaneamente. Nellattualizzazione dellessere in potenza
i sensibili, il senso e il sensibile risultano addirittura inscindibili: latto del sensibile e quello della
facolt sensitiva uno (G 2, 426 a 15).
Nella sensazione, di conseguenza, il patire pu essere inteso al pari di un attivarsi: poich lanima
forma, e il senso stesso non che forma, nella percezione esso trova il suo compimento e la sua
realizzazione.
Si riportino alcune righe tratte dalle lezioni di Hegel, che riassumono quanto fin ora osservato
sulloriginaria attivit (riscontrata, come si avr modo di notare, gi da Leibniz):

Lazione dallesterno, come passivit, il primo; ma dopo interviene lattivit a far proprio questo
contenuto passivo. []La reazione del senziente consiste dunque in questo ricevere attivamente in s
il sentito: questa appunto lattivit della passivit, quella spontaneit che nella sensazione supera
la ricettivit. [] Di fatto la cera non assume la forma; questimpressione resta figura e
conformazione esterna in essa, senza essere una forma della sua essenza, giacch, in questo caso,
essa cesserebbe dessere cera..

Sarebbe forse possibile estremizzare anche questa considerazione, rilevando che la condizione di
possibilit perch si dia quel primo (la passivit) risiede nel secondo momento, dal momento che
proprio in quanto attiva (e cio formata) disposizione ad accogliere i sensibili, la sensibilit (e, per
estensione, lanima) pu essere ricettiva.
Parafrasando: in quanto si aperti al mondo che il sensibile pu essere tale, pu divenire stimolo
(si confrontino a tal riguardo le considerazioni di Merleau-Ponty).

E limprescindibilit di una forma originaria ci conduce al secondo ordine di questioni.

B. Tavoletta di cera e forma formata


Nel passo riportato, evidente il riferimento ad una misura (eco del platonico metrion nel Filebo)
connaturata al senso, una certa mediet a partire dalla quale rendere attuali e discriminare nella loro
differenza i sensibili percepiti. Essa deve essere conforme agli opposti da cui sar colpita per
riceverne linfluenza, la quale, tuttavia, pu verificarsi nella misura in cui gli opposti sopravanzino la
mediet che li fa essere. Come rileva Carlo Sini in una serie di lezioni dedicate a questo tema, il
senso (e, per estensione, lanima) svolge qui una funzione assimilabile al medio del sillogismo
disgiuntivo hegeliano: lorgano, per poter percepire, non deve essere in atto nessuno dei due opposti,
ma ha la capacit di divenire (al pari del medio) rispetto a ciascun estremo, il suo opposto. Per
riprendere, invece, il paragone con una misura, interessante notare come Aristotele assimili il senso
ad una proporzione.

2
Da quanto osservato, risulta chiara limprescindibilit di una forma originaria, di una passivit che
ha le proprie radici in una attivit (che potremmo chiamare, con Leibniz, disposizione): soltanto in
quanto forma potenziale che le possibile essere supporto della percezione, la quale, infatti, non pu
che verificarsi rispetto ad un grado definito. E ci risulta ancora pi emblematico nellanalogia con
la tavoletta di cera:

Lintelletto in certo modo potenzialmente gli intelligibili, ma in atto non nessuno di essi prima
di pensarli. Diciamo potenzialmente allo stesso modo di una tavoletta per scrivere, sulla quale non
ci sia attualmente nulla di scritto (G 4, 429b 30- 430 a )

Volendo interpretare in maniera significativa lanalogia, si potrebbe rilevare che nonostante la


tavoletta sia in potenza i segni che ricever, al contempo essa come tavoletta. E forma che
determina linscriversi in essa di ci che essa stessa in potenza, cos che riprendendo il white
paper lockiano non possibile scrivere con un gesso su una superficie bianca (bench attualmente
vuota).

Decisivo quanto Aristotele scrive a proposito dellanima, in sede di ricapitolazione sulle facolt:
lanima in certo modo tutti gli esseri (G 8, 431b 22). Essa, forma formata, diviene supporto
dellaccadere del sensibile e dellintelligibile (si ricordi la vicinanza fra percezione e pensiero); con
espressione gravida di echi deleuziani: luogo dellaver luogo del sensibile.

Concluse queste brevi osservazioni, che hanno consentito di porre in evidenza la problematicit di alcuni
passi aristotelici e la loro incompatibilit con alcuni assunti lockeani, e rilevato preliminarmente la centralit
dei concetti di attiva passivit e di forma formata, possibile indirizzarsi allanalisi di alcuni passi dei Nuovi
saggi sullIntelletto Umano nei quali si mostra in maniera palese la radicalit dellinterpretazione leibniziana
dellanima, che conserva rilevanti echi aristotelici.

2. Nuovi saggi sullintelletto umano: pieghe della camera oscura, venature del blocco
di marmo
La questione sulloriginariet di una perpetua attivit entelechiale si colloca entro una pi vasta discussione
sullinnatismo, declinato da Leibniz in senso disposizionale. Esso relato alla necessit di rimarcare il
primato della mente nel rilevare lo statuto epistemico delle verit di ragione attraverso una disposizione a
rintracciarle a partire da s, e non dallesperienza (la quale, al massimo, pu fornire una conferma).
Rispondendo allattacco lockiano allinnatismo (secondo la celebre formula nihil est in intellectu quod prius
non fuerit in sensu), Leibniz si propone dunque la possibilit di garantire a priori, attraverso il lume naturale,
la validit delle verit necessarie in matematica, metafisica, logica (come si nota dallaggiunta: excipe:nisi
ipse intellectus).
Interessante, a tal proposito, la distinzione decisiva compiuta da Leibniz fra imparare qualcosa e avere
unidea innata: limparare, infatti, non preclude che ci di cui si attualizzata la conoscenza sia innato.
Questa tesi pu essere corroborata da tre considerazioni:

Leibniz rifiuta lassunzione scolastica di mere facolt, come potenzialit o possibilit; al contrario,
vi sono attivit entelechiali che, inerenti alle sostanze, tendono incessantemente ad una
attualizzazione (conatus).
Allo stesso riguardo, contesta la passivit riscontrata da Locke nella formazione di idee semplici,
mostrando come sia necessario un atto riflessivo.
Idea non intesa come attualizzazione di un atto di pensiero, ma come una disposizione. Si legge a
tal proposito:

3
Perch le conoscenze, idee o verit siano nella nostra anima, non necessario che vi abbiamo mai
pensato attualmente; esse non sono se non abitudini naturali, cio a dire disposizioni e attitudini
attive e passive, e pertanto pi che tabula rasa1.

Da ultimo, il pensare non si identifica con una serie di atti mentali coscienti contrassegnati da
chiarit e distinzione, dal momento che la confusione, lungi dal significare un periodo di inattivit,
al contrario evidente manifestazione dellincessante attivit dellanima. Decisive le piccole
percezioni, impercettibili percezioni che, seppur non distintamente appercepibili, inclinano la
sostanza, prevenendo dallo stato di indifferenza di equilibrio.
Proprio la tematizzazione leibniziana delle piccole percezioni consente sia di rigettare la dottrina
cartesiana di una perpetua e trasparente attualit del pensiero cosciente, sia di rispondere alla dottrina
lockiana della mente come tabula rasa.

Nellanalisi dellinterpretazione della tabula rasa sviluppata nei Nuovi saggi sullintelletto umano, si
prenderanno in esame due estratti celebri, nel tentativo di riproporre i medesimi ordini di indagine cui si
fatto ricorso nella prima parte dellelaborato.

A. Camera oscura: propriet elastica e facolt dazione

In risposta alla somiglianza, proposta da Filalete, fra lintelletto e una camera oscura dotata soltanto di
qualche piccola apertura per far entrare le immagini esterne e visibili, Teofilo corregge tale paragone,
affermando:

Per rendere maggiore la somiglianza bisognerebbe supporre che nella camera oscura, a ricevere le
immagini, fosse una tela non unita ma variata da pieghe, rappresentanti le conoscenze innate; non solo,
ma che questa tela o membrana, allorch tesa, avesse una propriet elastica o una facolt dazione o
reazione rispondente alle pieghe passate come alle nuove, provenienti dalle impressioni delle immagini.
E questa azione dovrebbe consistere in vibrazioni od oscillazioni, quali si hanno in una corda tesa, che si
fa vibrare, in modo che renda una specie di suono. Giacch non soltanto riceviamo nel cervello immagini
ed impressioni, ma ne formiamo di nuove, come nel caso delle idee complesse. Bisogna dunque che la
tela, che rappresenta il nostro cervello, sia attiva ed elastica. [] quanto allanima, che una sostanza
semplice o monade, essa rappresenta senza estensione queste stesse variet di masse estese e ne ha la
percezione2

Radicale la negazione (meglio esplicitata nellanalogia del blocco di marmo) di ununiformit della
tela, che paleserebbe una diffusa indifferenza a ricevere qualsiasi contenuto, al pari di una materia
non formata, priva addirittura di una potenzialit (per le osservazioni sviluppate precedentemente).
Al contrario, la superficie della tela risulta solcata da infinite pieghe in cui si incarnano le
conoscenze innate.
In conformit alle pieghe, che concorrono a determinarne una forma peculiare, si sviluppano costanti
forze elastiche, vibrazioni e oscillazioni, manifestazioni della perpetua attivit monadica ed
entelechiale che sconfessa qualsiasi considerazione circa la bruta passivit del supporto sul quale si
inscrivono le pieghe, che non consentirebbe un discernimento fra sostanze, come si legge in un
passaggio:

[] ogni cosa sostanziale, sia anima che corpo, ha la sua peculiare relazione a ciascuna delle
altre; dovendo sempre luna cosa differire dallaltra per virt di qualificazioni intrinseche; per non
rilevare qui che coloro che parlan tanto di questa tabula rasa, dopo averla spogliata delle idee, non
saprebbero dir ci che resta; al modo degli scolastici, che non lasciano nulla alla loro materia prima.
[] Le facolt senza qualche atto, in una parola le potenze pure degli scolastici, non sono a loro
volta se non mere immagini []. Dove si trover mai nel mondo una facolt circoscritta al solo
potere, e che non eserciti nessuna operazione? Vha sempre una disposizione particolare allazione, e

1
G.W.Leibniz, Nuovi saggi sullintelletto umano, Biblioteca Universale Laterza, Bari 1988, p. 72 (di seguito, Ne)
2
Ne, p. 116

4
ad unazione piuttosto che ad unaltra. Inoltre, la disposizione accompagnata dalla tendenza
allazione [] non mai senza alcun effetto3.

Per queste ragioni, lesperienza imprescindibile affinch lanima possa porgere attenzione alle idee
nella mente; tuttavia limmagine di una camera oscura solcata da piccole aperture da cui facciano il
loro ingresso dallesterno sensazioni di varia natura contraddice lautosufficienza dellanima, la
quale, seppur mai irrelata al corpo, non pu subire il condizionamento da un ente esterno, cos come
esemplificato nellimmagine della monade senza finestre.

Lesser gi forma dellanima ci conduce alla seconda analogia, che consente di palesare la vicinanza alla
tematizzazione aristotelica del medio rispetto a cui si determinano i sensibili (e gli intelligibili).

B. Blocco di marmo: venature

In opposizione alla negazione lockiana dellesistenza di qualcosa la cui esistenza sia soltanto virtuale, e non
attuale, Leibniz scrive:

Mi son dunque servito del paragone dun blocco di marmo venato, piuttosto che di quello di un blocco
di marmo uniforme, o delle tavolette vuote, o, in altre parole, di quelle che i filosofi chiamano tabula
rasa. Giacch, se lanima fosse come queste tavolette vuote, le verit sarebbero in noi come limmagine
di Ercole in un blocco di marmo, quando questo marmo del tutto indifferente a ricevere questa
immagine, o qualche altra. Se nel blocco fossero invece venature che segnassero limmagine di Ercole a
preferenza di altre immagini, questo blocco vi sarebbe pi disposto, e lErcole vi sarebbe in certo modo
come innato, per quanto fosse sempre necessario un lavoro per scoprire queste vene e polirle, togliendo
ci che impedisce loro di mostrarsi.4

Come accennato precedentemente, luniformit della tavoletta o del blocco del marmo sarebbe
significativa di una indiscernibilit dellanima, della sua assenza di una forma definita, di una
inspiegabile vuotezza che la costringerebbe a prendere a prestito dallesterno persino la sua forma.
Al contrario, le venature del marmo al pari delle pieghe della tela preesistono allesperienza
(bench il lavoro di scoprimento di esse si attualizzi anche in concomitanza con essa), ed indicano la
disposizione dellanima ad accogliere una determinata immagine a preferenza di unaltra. Esse,
come disposizioni attive e passive, strutturano i contenuti della nostra conoscenza e al contempo se
ne lasciano determinare.
Essenziale il richiamo alla necessit di un lavoro per attualizzare una disposizione, dalla quale
consegue lorganizzazione dellesperienza.

Tale inesauribile processo in cui risuonano interessanti echi aristotelici si sostanzia di uninfinit di
percezioni, di mutamenti nellanima non appercepiti ma rispetto ai quali essa non pu essere mai
indifferente.

Prima di concludere, interessante il rilevamento di alcuni tratti decisivi della tematizzazione leibniziana della
percezione, che rivelano suggestivi contatti con quando analizzato a proposito della sensazione nel De
anima.

3. Percezione: piccole percezioni e appercezione

Il concetto di percezione centrale nel pensiero leibniziano, tanto che sulla modalit prospettica si fonda una
differenza ontologica.

3
Ne, p. 78
4
Ne, p. 6

5
Definita come multorum in una expressio, la percezione consente una preliminare configurazione di un
mondo, determinando i nessi relazionali che sostanziano la dimensione rappresentativa, le condizioni
scenografiche che consentono la rappresentazione di un contenuto.
La radicalit della dimensione prospettica si esplicita in relazione al concetto completo per cui, dagli anni
90 sar costituito dalla somma degli stati percettivi, in un rapporto osmotico fra le dimensioni temporali e
riceve una legittimazione attraverso il principio degli indiscernibili. Ad ogni sostanza pertiene un definito
punto prospettico, a partire dal quale si determinano gli stati percettivi; questa infinit di percezioni
infracoscienziali (cui si aggiungono quelle appercepite), non pu essere condivisa da pi sostanze, ma
individuativa di ununica sostanza. Il punto di vista pu essere infatti inteso come definitorio della regione di
universo che la sostanza percepisce in maniera chiara; tuttavia, seppur in maniera oscura, sotto forma di
piccole percezioni, ogni sostanza espressione di tutto luniverso.

In quanto scritto, sarebbe possibile rilevare alcune significative rispondenze fra la tematizzazione leibniziana
della percezione e quella aristotelica di sensazione (pur consapevoli della differenza di piani: piano delle
azioni e piano fenomenico).

Il senso definito da una misura, da una forma, la quale soltanto pu porre le condizioni di
espressione di determinate qualit, colte nel loro differire rispetto al medio. Allo stesso modo, la
sostanza, il cui punto di vista esclusivo individuato da una forma, da una disposizione originaria,
pone le condizioni per la rappresentazione di determinati contenuti. E doveroso osservare, tuttavia,
la radicalit della declinazione leibniziana di percezione, che riconfigura (a livello entelechiale)
laristotelica impossibilit di percepire un sensibile dello stesso grado nei termini, invece, di una
percezione oscura (ma sempre percezione).
A livello fenomenico, rilevante la critica al mito del dato assoluto, e la conseguente necessit di
commisurare ogni stimolo ad un organo adeguato. Si legge nei Nuovi Saggi:

Tuttal pi prova che il calore non una qualit sensibile o una facolt di farsi sentire assoluta, ma che
relativa ad organi proporzionati, giacch un movimento peculiare della mano pu avervi influenza5. In
termini aristotelici: ogni senso ha sede nel sensorio, che definisce una mediet particolare rispetto a cui
commisurare gli eccessi e discriminarne le differenze.

Interessante, per concludere, un passo tratto dal De anima, in cui Aristotele critica unopinione degli
antichi fisiologi:

Su questo punto gli antichi fisiologi non si espressero correttamente, ritenendo che il bianco e il
nero non esistono senza la vista, n il sapore senza il gusto. In realt per un aspetto dicevano bene,
per un altro no. Poich infatti del senso e del sensibile si pu parlare in due modi, a seconda che
vengano considerati in potenza oppure in atto, quanto essi dicono si applica al secondo caso, ma non
al primo. In realt essi usavano in senso assoluto termini che non hanno un solo significato6.

Il passo risulta interessante se si prova a fornirne una lettura in termini leibniziani, al fine di tentare di
evidenziare alcune relative vicinanze, dalle quali far emergere, per, significative divergenze (giustificate dal
differente repertorio concettuale).
Questo tentativo di lettura del passo aristotelico secondo categorie leibniziane risulta assai complesso: le
difficolt principali derivano, infatti, dalle diverse categorie impiegate e, soprattutto, da differenti premesse
ontologiche, che rendono complessi i tentativi di sovrapposizione fra piani gnoseologici eterogenei
(sensazione e percezione). Nonostante evidenti aporie, si deciso di riportarlo di seguito, cos da palesare
alcuni punti problematici, seguiti dai tentativi di differenziazione di alcune categorie concettuali adoperate
dai due autori.

Provando, ad esempio, a leggere:


- il sensibile come un contenuto intenzionato sensibile, appercepibile

5
Ne, p.101
6
Aristotele, De anima,G 2, 426 a 20

6
- la potenzialit del senso come la disposizione attiva e passiva della monade cui non corrisponde una
attuale coscienza del contenuto
- la sua attualit nei termini della appercezione del contenuto intenzionato dalla prima, come passaggio dal
percepire sotto forma di piccole percezioni al sentire sensibile (aver coscienza di un contenuto, di una
sensazione),
si pu tentare di darne una lettura in questo senso: non si d percezione attuale di uno stimolo se non
nellattualit di un appercepire (seppur a livello soltanto sensibile), in quanto, aristotelicamente, poich
nellatto il senso e il sensibile si identificano, il sensibile attuale comporta di per s lattualit del senso.
Tuttavia, la distinzione di piani gnoseologici operata da Leibniz consente:

a) considerando la potenzialit del sensibile: di individuare uninfinit di piccole percezioni che non hanno
rispondenze dirette sul piano sensibile, aristotelicamente un sensibile in potenza (cio: un contenuto
intenzionato da piccole percezioni dal momento che lassenza di sensazione cosciente non indica lassenza
di attivit, ma definisce unattivit percettiva originaria) che pu essere separato da un senso in atto (da una
appercezione), per cui con Aristotele, ma letto in termini leibniziani possibile scrivere: pu esservi un
contenuto intenzionato da una disposizione attiva e passiva senza che vi sia appercezione di tale contenuto
nellattualizzazione della percezione; aristotelicamente: quando il sensibile non attualizzato (, cio, in
potenza), esso non si identifica con il processo percettivo attualizzato, ma pu sussistere separato dal senso
(che permane in potenza tutti i sensibili); la vista e la visione, ludire e il suono
Celebre il passo dai Nuovi Saggi in cui Leibniz sviluppa la tematizzazione sulle piccole percezioni:

Daltra parte, vi sono mille indizi che fanno credere essere in noi ad ogni istante uninfinit di
percezioni, ma senza appercezione e senza riflessione; cio a dire reali mutamenti dellanima, dei
quali non abbiamo coscienza perch le impressioni relative sono o troppo piccole o troppo numerose
o troppo uniformi, di modo che non hanno nulla che le caratterizzi partitamene; unite ad altre,
tuttavia, esse non mancano di fare il loro effetto e di farsi sentire nel complesso, almeno
confusamente. Nello stesso modo labitudine fa s che non prestiamo pi attenzione al rumore di un
mulino o di una cascata dacqua, quando vi abbiamo dimorato vicino per qualche tempo. Non gi
che questo rumore non colpisca ancora i nostri sensi, e che nella nostra anima non avvenga qualcosa
che gli risponda, a causa dellarmonia fra lanima e il corpo; ma le impressioni che sono nellanima e
nel corpo, destituite dellattrattiva della novit, non sono abbastanza forti da trattenere la nostra
attenzione e la nostra memoria, che si presentano soltanto ad oggetti pi interessanti. 7.

b) considerando, invece, la potenzialit del senso al pari della potenzialit del sensibile: consente di
riconfigurare la soluzione aristotelica - sintetizzabile nella possibilit di considerare in maniera distinta
lessere in potenza tutti i sensibili del senso e lessere in potenza del sensibile, che non comportando
lattualizzazione del senso stesso non se ne identifica.
E opportuno riprendere una considerazione sviluppata in sede introduttiva; se vero che soltanto nella
potenzialit del sensibile - che non comporta unidentificazione con latto del sentire possibile
considerare il sussistere separati (cio non identificati) di senso e contenuto sensibile, tuttavia non bisogna
dimenticare che latto di essere in potenza tutti i sensibili, se per un aspetto implica la non identificazione
attuale con alcuno dei sensibili, di modo che entrambi i lati possono sussistere distinti, per laltro pur
sempre unattivit.
In termini leibniziani, si potrebbero forse sviluppare queste considerazioni:
- possibile che si dia distinzione fra un contenuto non appercepito (poniamo, un sensibile in
potenza), nella forma cio di piccole percezioni, e lattualit della percezione: il rumore non
percepibile delle singole onde che si frangono sulla spiaggia sussiste indipendentemente dal
nostro averne coscienza.
- Tuttavia, e qui si evidenzia la novit dellapproccio leibniziano: negando lesistenza di mere
facolt passive-potenziali (che lautore legge nella tradizione scolastica), preclusa la
possibilit di leggere la potenzialit aristotelica nei termini dellassenza di attivit del
percepire, grazie alla strutturazione di livelli differenti che giustificano la primalit della
percezione. Se infatti lecito intendere la possibilit della sussistenza di un contenuto non
intenzionato da un percepire attuale (potenzialit del contenuto, ossia non appercepibilit,

7
Ne, p. 9

7
separata dallattualit del percepire), non legittimo considerare la possibilit della
sussistenza di un contenuto non appercepito separato da una forma che lo intenzioni. A
questa altezza infatti rilevabile la non sovrapponibilit della sensibilit aristotelicamente
intesa e la percezione: questultima, infatti, non riducibile ad un sentire linfluenza esterna
degli oggetti e un registrarne leffetto (rispetto, pur sempre, ad una misura), ma condizione
prima di strutturazione di un mondo-ambiente. Essa costituisce la cellula primaria della vita,
sostanziando una dimensione rappresentativa che, nellindividuare nessi relazionali, struttura
e ordina condizioni scenografiche per il darsi di qualsiasi contenuto; come forma individua
un punto di vista esclusivo, che si determina nella regione di universo esprimibile
chiaramente, sempre per nella totalit infinita della serie di variazioni infinitesimali che
coglie sotto forma di piccole percezioni.

In conclusione: per quanto si tentato di mostrare finora, la domanda che chiedesse se sia possibile il darsi di
un contenuto non intenzionato, di un perceptum non determinato dalla forma di unattivit originaria
infracosciente, risulterebbe priva di senso, presupponendo esistente una regione delluniverso di cui la
monade non espressione (neppure sotto forma di piccole percezioni), contraddicendo la relazione
espressiva sussistente fra tutte le monadi e Dio.

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