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Vita e morte di Giovanni Falcone, 25 anni dopo la strage di Capaci - Repubblica.

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Vita e morte di Giovanni Falcone, 25 anni dopo la


strage di Capaci

un pomeriggio caldo, di luce violenta. Un sabato italiano del 1992. La terra trema, sembra una scossa di
terremoto. Ma una carica di cinquecento chili d'esplosivo che ingoia Giovanni Falcone, al km 4+773
dell'autostrada che corre dall'aeroporto fino alla citt. Allo svincolo di Capaci, prima della grande curva

di ATTILIO BOLZONI

18 maggio 2017

Le reti sono gi al largo, calate a mezzo miglio dalla secca. Ma ancora non
soffia il maestrale che spinge dentro i pesci, che li trascina verso la costa.
Giochi di venti e di correnti. Poi arriva l'onda lunga di ponente e l'ultimo branco
scivola nell'ultima camera, che quella della morte. Con il mare siciliano che
si colora di mattanza rosso sangue. I suoi cinquantatr anni e cinque giorni li
vuole festeggiare a Favignana per il passaggio dei tonni, il misterioso
cammino che da secoli e secoli si ripete a ogni primavera quando fra le onde
vengono apparecchiate ingegnose trappole fatte di nodi e cime, funi, cavi,
grovigli di cordame che sono labirinti di inganno. A maggio, nella tonnara c'
finito anche lui.

un pomeriggio caldo, di luce violenta. Un sabato italiano del 1992. A Roma,


dopo quindici scrutini e quindici fumate nere, deputati e senatori non riescono
ancora ad eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. A Palermo gi si
tuffano dagli scivoli di cemento dell'Addaura. Patti segreti, bagni di sole, sudori
di potere e di calura mentre la velina di una piccola agenzia giornalistica

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avvisa di un botto esterno, qualcosa di drammaticamente straordinario che


potrebbe influenzare la corsa al Quirinale. Premonizioni. Poi la terra trema,
sembra una scossa di terremoto. Ma una carica di cinquecento chili
d'esplosivo che ingoia Giovanni Falcone, al km 4+773 dell'autostrada che
corre dall'aeroporto fino alla citt. Allo svincolo di Capaci, prima della grande
curva.

La strage di Capaci. La bomba di Capaci. L'inferno di Capaci. O anche la


disgrazia di Capaci, come mi ha detto una volta Antonina Brusca, dama di
carit di San Vincenzo e madre di Giovanni, il mafioso che quel giorno era
sulla montagnetta con un radiocomando fra le mani. Capaci. Capaci. Tutti
ripetiamo sempre Capaci e indichiamo fin dal primo momento un luogo che
non quello, trasportiamo la scena del crimine a qualche decina di metri,
una piccola confusione geografica per un cartello stradale ripreso dalle
televisioni di tutto il mondo, un dettaglio irrilevante e innocente. Ma cosa c',
cosa c' che possiamo ritenere di veramente innocente dopo un quarto di
secolo in questa grande tragedia nazionale? Cosa ci aspettiamo o ci
auguriamo di trovare ancora oggi di trascurabile e insignificante in quel cratere
profondo quasi quattro metri?

Giovanni Falcone, alle 17.56 minuti e 48 secondi se ne sta andando per


sempre nel territorio di un altro comune della provincia palermitana che l a
un passo, quasi attaccato, Isola delle Femmine. Un paese che si allunga
davanti a uno scoglio deserto che alla sua estremit ha una torre innalzata per
l'avvistamento dei corsari barbareschi, una pietra sopra l'altra nel tratto di
Tirreno fra Punta Raisi e Capo Gallo, all'orizzonte Ustica, in lontananza il
profilo glabro di Montepellegrino, dietro e sotto Palermo sprofondata nella sua
paura.
La sua seconda vita era cominciata tredici anni prima di quel 23 maggio.

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Giovanni Falcone Salvatore Riina Rosario Spatola


Il magistrato Il boss Il costruttore

Paolo Borsellino Giovanni Brusca Tommaso Buscetta


Il magistrato Il killer Il pentito

Le trib di Palermo
Sua Eccellenza Giovanni Pizzillo, primo presidente della Corte di Appello di
Palermo, il magistrato pi alto in grado del distretto giudiziario, una mattina
spalanca la porta della stanza del consigliere istruttore Rocco Chinnici e urla:
Voi state rovinando l'economia con le verifiche della Finanza. Carica di altri
processi quel Falcone, in maniera che cerchi di scoprire nulla, perch tanto i
giudici istruttori da quando mondo mondo non hanno mai scoperto nulla.

la fine del 1979. Palermo una citt avvolta in un silenzio spettrale. La


giustizia marcia, la mafia non esiste, le cause si decidono fuori dalle aule, le
assoluzioni si barattano nei villini a mare di Mondello e di Sferracavallo. I
Principi del Foro in dibattimento fanno scena: Signor Presidente, la prova!, mi
deve portare la prova!. Avvocati di corridoio, che sono l per guardare, per
vedere chi entra e chi esce dalle cancellerie. Avvocati di controllo, che devono
sempre sapere se qualcuno sbaglia a parlare durante un interrogatorio. Gli
ergastoli sono destinati solo agli scafazzati, gli schiacciati dalla vita, gli ultimi,
relitti umani che sopravvivono in una Palermo che un recinto, popolata da
trib che si proteggono una con l'altra. In questa sacca infetta, il giudice della
sesta sezione penale dell'ufficio istruzione Giovanni Falcone ha appena
firmato un ordine di sequestro per alcuni assegni scambiati alla sede centrale
della Cassa di Risparmio per le province siciliane. Sono gi sulla sua
scrivania, tutti sistemati per ordine di data davanti a piccole papere di
terracotta o di legno e in mezzo a una mezza dozzina di penne stilografiche e
boccette di inchiostro verde. Gli assegni sono allineati uno dietro l'altro, girati
sempre agli stessi nomi.

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Inzerillo Santo. Di Maggio Rosario. Gambino Tommaso. Inzerillo Pietro. Di


Maggio Salvatore. Gambino Giuseppe. Sono tutti imparentati fra loro e tutti
hanno fratelli o cugini emigrati dall'altra parte dell'Atlantico, a Cherry Hill, nello
Stato del New Jersey. una grande famiglia.

Il giudice della sesta sezione penale arriva a loro inseguendo i movimenti di un


costruttore che a Palermo considerano un benefattore: d lavoro ad almeno
diecimila edili. Si chiama Rosario Spatola, ha un'impresa all'Uditore - in via
Beato Angelico - e una fedina penale immacolata. Solo una contravvenzione:
quando faceva il venditore ambulante, allungava il latte con l'acqua. Rosario
Spatola ha appena vinto un appalto per 442 alloggi bandito dall'Istituto
autonomo case popolari, il presidente dell'ente Vito Ciancimino. L'uomo che
stato sindaco di Palermo per nove giorni e padrone di Palermo per vent'anni.
Quel Rosario Spatola sposato con una certa Filippa Inzerillo, che la sorella
di Totuccio Inzerillo, anche lui imprenditore ma pure uomo di fiducia - anzi,
l'uomo di fiducia - di Stefano Bontate. Il capo mafia di Palermo. Lo chiamano
Il Principe, in una citt soffocata da antiche leggi non scritte lo ossequiano
come una divinit. Bontate l'erede pi moderno di un'aristocrazia criminale
che vorrebbe Palermo com' e come sempre stata, immobile. Studiando
quegli assegni e indagando sugli intrecci familiari, il giudice entra negli affari e
nei segreti di un'organizzazione. Giovanni Falcone sospetta di un traffico di
stupefacenti: eroina che parte dalla Sicilia e soldi che tornano nelle banche
palermitane. E poi c' anche un grande mistero dietro gli Spatola e gli Inzerillo.
appena scomparso da New York - rapito? fuggito? - un finanziere che in
quegli anni controlla almeno il 40 per cento delle azioni che passano dalla
Borsa di Milano, uno che finito sulla copertina della rivista Time con un titolo
molto impegnativo: L'italiano di maggiore successo dopo Mussolini.

Il presidente del Consiglio Giulio Andreotti lo ha appena incoronato come il


salvatore della lira, ma Michele Sindona sparito all'improvviso dopo una
agitatissima telefonata fatta da una cabina di Manhattan. Il giudice Falcone
scopre che si nasconde in Sicilia sotto falso nome. E che gira per Palermo con
una parrucca che gli copre il cranio rasato e un passaporto intestato a Joseph
Bonamico. ospite, e forse anche un po' prigioniero, di tutti gli amici del
benefattore Rosario Spatola.
Sua Eccellenza Pizzillo molto preoccupato.

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Falcone e Grasso

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Il ritorno nella sua citt


Quarant'anni non li ha ancora fatti e ha deciso di tornare nella sua citt. L'ha
lasciata nel 1964, dopo sei mesi come uditore proprio al Palazzo di Giustizia di
Palermo. Un anno di pretura dall'altra parte della Sicilia, a Lentini. E poi altri
dodici anni a Trapani. Come sostituto procuratore, giudice istruttore e di
sorveglianza, prima tanto penale e alla fine anche un po' di civile. un
tribunale piccolo quello di Trapani, ma anche un osservatorio molto speciale
che gli fa incontrare per la prima volta la mafia. Ha la faccia di Mariano Licari,
uomo di rispetto di Marsala invischiato in una misteriosa compravendita di
terreni che aveva lasciato due cadaveri a terra. Il sostituto procuratore Falcone
pensa di avere in mano la carta giusta per incastrare il mafioso: un
funzionario delle tasse, un testimone che accusa Licari. In dibattimento
qualcuno si accorge per che i giurati popolari vengono avvicinati e intimiditi, il
processo viene trasferito a Salerno. E ricomincia dall'inizio. Licari viene
assolto. All'ultima udienza, il boss si avvicina al suo accusatore e gli sibila
all'orecchio: Sei un carabiniere a cavallo. l'insulto peggiore per un
mafioso, pi di cornuto e sbirro. Il carabiniere a cavallo l'emblema dello
Stato, il primo nemico.

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Trapani, provincia apparentemente sonnolenta dove tutti conoscono tutti, tutti


frequentano tutti, tutti coprono tutti. Piccola borghesia di provincia e
mammasantissima al riparo dalla legge, tanti sportelli bancari quanti ce ne
sono in Svizzera e in Lussemburgo, logge segrete, intoccabili i fratelli Minore e
ancora pi intoccabili di loro quei cugini di Salemi che fanno gli esattori, Nino e
Ignazio Salvo. Ricchissimi, potentissimi, mafiosissimi. Trapani, la citt siciliana
che qualche anno dopo il regista Damiano Damiani - e non certo per caso -
sceglier come set per la prima Piovra, la fiction che fa conoscere agli italiani
la mafia degli intrighi finanziari, degli insospettabili, della politica che si struscia
con le Cupole.

Giovanni Falcone e sua moglie Rita Bonnici - si erano conosciuti a una festa a
Palermo nel 1962 e si erano sposati due anni dopo, quando lui aveva appena
superato gli esami per magistrato - hanno amici fra i giudici e gli avvocati
trapanesi. Rita bruna, bella, con tanta voglia di vivere. lei che lo trascina. A
San Vito Lo Capo, allo stagnone di Mozia con le sue saline, al Ciclope, cous
cous, busiate al pesto e Corvo bianco di Salaparuta. La felicit del matrimonio
dura poco, i due si separano, provano ancora, si lasciano definitivamente. E il
magistrato fa domanda per tornare a Palermo. l'inverno del 1978. Falcone
trova un'altra citt. Pi cupa, cattiva. Va ad abitare in via Notarbartolo. una
strada di vetrine illuminate dai neon, paninerie, panellerie, stuzzicherie,
gelaterie, profumerie. Una Palermo luccicante molto distante dalla Kalsa dove
era nato, la chiesa sconsacrata della Magione, il Foro Italico, i palazzi
devastati dai bombardamenti della seconda guerra. l'inizio di una nuova
esistenza. A cosa va incontro non lo immagina.

Per qualche mese alla sezione fallimentare, poi chiede il trasferimento


all'ufficio istruzione. L si appena insediato il nuovo capo, Rocco Chinnici, un
omone alto e grosso che non ha simpatie per i notabili di Palermo e gira per le
scuole a parlare di mafia. Lui la pronuncia con due effe quella parola,
all'antica, come si usava nell'800. Non dice mafia ma dice maffia. Chinnici ha
sostituito un magistrato che non c' pi. Cesare Terranova, assassinato il 25
settembre del 1979, il giorno prima del suo insediamento sulla poltrona di
consigliere istruttore. A luglio di quell'anno, il 21, hanno ucciso il capo della
squadra mobile Boris Giuliano. A marzo caduto il segretario provinciale della
Democrazia cristiana Michele Reina. A gennaio hanno sparato al giornalista
Mario Francese. Palermo non pi quella di prima.

Il consigliere istruttore Rocco Chinnici assegna al nuovo giudice istruttore un


fascicolo. Sul primo foglio c' quel nome: Rosario Spatola. Comincia
l'avventura di Giovanni Falcone e, per la prima volta nella sua storia, la mafia
siciliana ha paura di qualcosa e di qualcuno.

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GIOVANNI FALCONE 1961 IL GIORNO DELLA LAUREA

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Le Corti dei miracoli


L'indagine su Rosario Spatola+42 diventer due anni dopo l'inchiesta su
Michele Greco +160, l'inchiesta su Michele Greco+160 nel 1985 si
trasformer nella sentenza ordinanza Abbate Giovanni+706,
ottomilaseicentosette pagine, quarantadue volumi con un incipit: Questo il
processo all'organizzazione mafiosa denominata Cosa nostra, una
pericolosissima associazione criminosa che, con la violenza e l'intimidazione,
ha seminato e semina morte e terrore. Un'investigazione dietro l'altra e
un'investigazione dentro l'altra per scoprire che non ci sono poche o tante
famiglie che regnano su Palermo e sulla Sicilia, ma c' una e una sola
organizzazione che ha un vertice, un governo che si chiama Commissione.
la scoperta della mafia.

Per arrivare a capire cos' e quanto potere ha, il giudice istruttore della sesta
sezione penale rivoluziona un sistema d'indagine. Non segue pi un singolo
indiziato ma un gruppo di indiziati legati da vincoli di sangue che insieme
fanno impresa, che insieme vincono appalti, che insieme esportano la pasta -
la morfina base - nel New Jersey, che insieme corrompono pubblici funzionari
e insieme taglieggiano commercianti e ordinano omicidi. Falcone suggerisce
agli ufficiali di polizia giudiziaria pedinamenti e appostamenti nelle borgate,
firma decreti di intercettazione telefonica, studia tabulati bancari, archivia nei

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suoi appunti migliaia di dati sui mafiosi e sui loro amici che stanno in Turchia o
nel Sud Est asiatico. Comincia ad esplorare anche la terra di nessuno che c'
in Sicilia, i complici negli apparati statali, alla Regione, in Parlamento. Lo fa
con accortezza, muovendo lentamente un passo dopo l'altro, ossessionato dai
riscontri per ogni intuizione, alla maniacale ricerca di una conferma
investigativa per ogni sospetto. Tutto nel pi assoluto segreto.
La prova, signor Presidente, la prova!.

Come riferimento per la sua indagine Falcone conserva in un piccolo armadio


gli atti di due processi. Uno celebrato a Catanzaro contro la mafia palermitana,
114 imputati. L'altro a Bari contro la mafia di Corleone, 64 imputati. Al tempo i
dibattimenti con quei personaggi del grande crimine si trasferivano lontano
dalla Sicilia per legitima suspicione, legittimo sospetto. Troppi
condizionamenti e troppe paure. Il primo processo si era chiuso alla vigilia del
Natale del '68 con una raffica di assoluzioni. Tutti liberi i Chiaracane, i
Manzella, i Di Peri, Tommaso Buscetta e Stefano Bontate, i Nicoletti. E cos
pure il secondo, nel giugno del 1969. Tutti assolti per insufficienza di prove i
Bagarella, Tot Riina e Bernardo Provenzano, Luciano Liggio. Pi che Corti di
Assise quelle sembravano Corti dei miracoli. Magistrati docili, processi costruiti
con una manciata di indizi, rapporti di polizia arrangiati, liste di nomi seguite da
altre liste che contenevano burocraticamente solo i precedenti penali di
ciascun imputato. Non c'era altro.

Il giudice Falcone ha la consapevolezza che bisogna istruire altrimenti i


processi di mafia. Proprio come ha cominciato a fare con le sue indagini nelle
banche. Perch quei boss senn restano sempre liberi e innocenti, con trucchi
e cavilli i loro consigliori buttano i processi in nullit e all'Ucciardone i mafiosi
passano solo in transito. Per la villeggiatura, dicono loro. Tutti alla settima
sezione, al terzo piano, territorio proibito per gli altri detenuti. Un carcere nel
carcere riservato agli uomini d'onore, celle aperte, l'infermeria a disposizione
per i summit, il vitto carcerario rifiutato perch il mangiare del governo.
All'Ucciardone entrano anche i latitanti. Di giorno le aragoste, di notte le
buttane.
Quando a Palermo arriva il giudice istruttore Giovanni Falcone per questo
mondo l'inizio della fine.

Falcone solo ma non proprio solo. Accanto a lui, c' un altro magistrato. Si
chiama Paolo Borsellino, segue le indagini sull'omicidio del commissario Boris
Giuliano e sulla misteriosissima mafia del Parco. E anche quella sulla morte
del capitano Emanuele Basile, il comandante della compagnia dei carabinieri
di Monreale ammazzato la notte del Santissimo Crocifisso, il 4 di maggio del
1980. Prima, all'Epifania, hanno ucciso anche il presidente della Regione
Piersanti Mattarella. Dopo, ad agosto sempre di quell'anno, il procuratore capo
della repubblica Gaetano Costa. Palermo in guerra. E barricati nei loro fortini
ci sono una dozzina di uomini che investigano sui vivi e sui morti della citt. Si
muovono come ombre. Guglielmo Incalza allinvestigativa della Mobile, il
tenente Diego Minnella e il capitano Tito Baldo Honorati del reparto operativo
dei carabinieri, il maresciallo Angelo Crispino e il colonnello Elio Pizzuti della
guardia di finanza. Poi ne arrivano altri. Ciccio Accordino. Beppe Montana.
Ninni Cassar. Poliziotti. E Angiolo Pellegrini, un ufficiale dell'anticrimine
dell'Arma. Sono loro che danno la caccia ai mafiosi. Ma loro sono anche le

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prede.

GIOVANNI FALCONE 15 ANNI

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Quel giudice un problema


Il salone da barba il luogo pi vietato. Gente che va e viene, vetrine
all'affaccio, rischioso. E al cinema non ci va pi, bisogna liberare tre file
avanti e tre dietro. Nemmeno al ristorante. Ci prova una volta. Una sera entra
in una trattoria di Mondello, si siede con un amico in un angolo e i vicini
cambiano tavolo. Da quando ha in mano l'indagine su Rosario Spatola il
giudice Falcone l'uomo pi protetto d'Italia. Le strade della citt sono
attraversate da cortei blindati, garitte, elicotteri che sfiorano i tetti dei palazzi.
Un pomeriggio sta tornando a casa e sente dire a un passante: Certo, che
per essere protetto in questo modo, deve avere fatto qualcosa di veramente
malvagio.

C' una Palermo che lo ammira e c' una Palermo che lo detesta. Ci sono
quelli disturbati dal rumore delle sirene e altri terrorizzati dalle sue inchieste. A
tutti d voce Patrizia Santoro, un'onesta cittadina che invia una lettera al
Giornale di Sicilia che (molto) volentieri pubblica: Regolarmente tutti i giorni -
non c sabato o domenica che tenga - al mattino, nel primissimo pomeriggio e
alla sera - senza limiti di orario - vengo letteralmente assillata da continue e
assordanti sirene di auto della polizia che scortano i vari giudici. Ora, mi

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domando: non che questi egregi signori potrebbero essere piazzati tutti
insieme in villette di periferia della citt, in modo tale che sia tutelata
l'incolumit di noi tutti, che nel caso di un attentato siamo regolarmente
coinvolti senza ragione?.

L'amministratore del condominio di via Notarbartolo dove abita, gli fa


recapitare una raccomandata: Decliniamo ogni responsabilit per i danni che
potrebbero essere recati alle parti comuni dell'edificio. Falcone fa paura.
Anche dentro il suo Palazzo di Giustizia. Denigrato apertamente da un paio di
colleghi, come Beniamino Tessitore e Giuseppe Prinzivalli. Altri si fingono
amici, come Vincenzo Geraci. malvisto da procuratori capi, procuratori
generali, presidenti di sezione di Tribunale e di Appello, mummie che escono
allo scoperto solo alle inaugurazioni degli anni giudiziari e patiscono quel
magistrato che sta dimostrando una notevolissima capacit investigativa e ha
un sacro rispetto delle regole, mai accomodante, che si muove con una
decisione fino ad allora sconosciuta. Uno da tenere alla larga. Dentro il
Palazzo, Giovanni Falcone ha pochissimi amici. In procura solo uno:
Giuseppe Ayala. Si vedono anche fuori. Ayala, che uno dei pubblici ministeri
ai quali i giudici istruttori inviano gli atti sulle indagini di mafia, il suo contatto
con quel poco di vita lontano dal bunker dove rinchiuso.

un sepolto vivo sempre pi famoso, Giovanni Falcone. In Sicilia e in Italia. E


anche negli Stati Uniti d'America. Almeno una volta la settimana parla al
telefono con Richard Martin, il procuratore che sta indagando sulla Pizza
Connection, siciliani che esportano negli States quintali di stupefacenti e che
hanno scelto come quartiere generale un paio di pizzerie di Brooklyn. Ha un
rapporto fraterno con Louis Freeh, che da l a poco viene nominato direttore
dell'Fbi. in intimit con Rudolph Giuliani, procuratore distrettuale di
Manhattan che sar poi anche sindaco di New York. Tutti e tre gli americani -
che hanno messo gli occhi sui Gambino di Cherry Hill - non fanno un passo
senza chiedere prima un consiglio a lui.
Ma il giudice che ci invidiano in America sta cominciando a diventare un
problema per l'Italia. Magistrati e avvocati lo chiamano giudice planetario per
le sue missioni in Thailandia e in Canada. Ma dove vuole andare a parare
questo Falcone?, sussurrano nei corridoi e al bar del Palazzo.

Siamo nei primi anni 80 e per Palermo gi un corpo estraneo. un


magistrato mal tollerato dalla magistratura, ha una sapienza giuridica che non
piace ai tecnici del diritto, slegato dai partiti e dalle fazioni della
corporazione. fuori posto. Falcone. In tribunale. A Palermo. A Roma. un
italiano fuori posto in Italia. Francesca la incontra a casa di amici e se ne
innamora. Anche lei magistrato, alla procura dei minori. Figlia di magistrato e
sorella di magistrato, Alfredo Morvillo, che un sostituto procuratore. Una
relazione come tante. Ma cominciano a circolare pettegolezzi nel Palazzo,
veicolati da qualche toga e dai soliti due o tre avvocati. Il pretesto per un
intervento moralizzatore. sempre Pizzillo, il primo presidente - quello che
voleva caricare di processi Falcone purch non indagasse nelle banche -
che un giorno convoca il giudice e gli comunica che scriver al Consiglio
superiore della magistratura. Date scandalo, dice. E gli fa capire che sta
partendo una proposta di trasferimento per incompatibilit ambientale.
Falcone non fa una piega.
Ha altro a cui pensare. Agli attacchi che gli arrivano da Corrado Carnevale,

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lammazzasentenze, il primo presidente della sezione penale della Suprema


Corte che ha gi cassato quasi 500 verdetti di processi di mafia e terrorismo.
in agguato la leggenda in ermellino, al varco ad aspettare l'inchiesta di
Falcone iniziata con il boss Rosario Spatola. Sta aspettando il maxiprocesso di
Palermo per distruggerlo.

In un'Italia che si scopre supergarantista con i mafiosi, c' un partito contro


Falcone che vuole arrestare tutti. Ogni giorno il giudice ingoia veleno. Il
foglio della citt, Il Giornale di Sicilia, l'organo ufficiale del potere palermitano,
gli dedica velenosi commenti su come si fa veramente il giudice e sulle
comiche figure di strani magistrati che popolano il proscenio giudiziario dei
nostri tempi. E altri articoli contro una struttura giudiziaria specializzata nella
lotta alla mafia, che hanno appena creato all'ufficio istruzione. Il seme l'ha
gettato Rocco Chinnici. Ma il vecchio consigliere morto anche lui:
un'autobomba, il 29 luglio del 1983. Un mese prima hanno ucciso il capitano
dei carabinieri Mario D'Aleo, l'ufficiale che aveva sostituito Emanuele Basile a
Monreale. Un anno prima toccata al segretario regionale del Pci Pio La Torre
e al prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa. Palermo citt mattatoio. Al posto di
Chinnici arriva da Firenze Antonino Caponnetto. Dopo una settimana riunisce
tutti nella sua stanza e annuncia che ora c' un gruppo di magistrati che si
occuper solo di indagini di mafia: Giovanni Falcone, Paolo Borsellino,
Leonardo Guarnotta, Giuseppe Di Lello. Il pool. Sono gli ultimi giorni del
dicembre del 1983.

Mezza parola
un lungo silenzio che racconta tanto, forse tutto. Un gioco di sguardi, dove
uno pesa l'altro per scoprire fino a quale punto pu lasciarsi andare. la
mezza parola che conta pi del discorso, un impercettibile movimento delle
labbra, un sopracciglio che si alza, la voce che diventa un soffio. Si intendono
e si rispettano fin dalla prima guardata, nel luglio del 1984. Due siciliani seduti
uno di fronte all'altro, un uomo dello Stato e un uomo della mafia. Giovanni
Falcone e Tommaso Buscetta. Da quell'incontro finisce il mito dell'invincibilit
dei boss, il muro dell'omert si spezza per sempre.

Quarantacinque giorni. Tanto dura l'interrogatorio di don Masino, in una stanza


soffocata dal caldo della Criminalpol di Roma. Loro due, soli. Buscetta che
ogni tanto parla e ogni tanto scruta il volto del giudice, Falcone che verbalizza
ogni frase senza un cancelliere, l'inchiostro verde della sua stilografica su una
montagna di fogli bianchi. Tutto sul filo delle parole e dei sospiri. Perch
Falcone capisce che la parlata mafiosa non solo un linguaggio e non solo
un codice, esercizio di intelligenza, esibizione permanente di potere. Tutto
messaggio. Anche le sfumature che sembrano pi insignificanti, anche i gesti
che prendono il posto delle voci. Don Masino fa tanti nomi, gli spiega che da
una parte c' l'aristocrazia mafiosa e dall'altra quei terroristi dei Corleonesi
con in testa Tot Riina, ma soprattutto consegna a Giovanni Falcone la chiave
per penetrare in un mondo oscuro e attraversarlo. E lo avvisa: Non credo che
lo Stato italiano abbia veramente intenzione di combattere la mafia. L'avverto,
dottor Falcone, dopo questo interrogatorio lei diventer una celebrit. Ma

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cercheranno di distruggerla fisicamente e professionalmente. Non se lo


dimentichi: il conto che ha aperto con Cosa Nostra non si chiuder mai.
Tommaso Buscetta la prima gola profonda della mafia siciliana che Falcone
trasformer in un collaboratore di giustizia. La sua prima opera d'arte.

Non pi informatori nell'ombra al servizio di commissari di polizia o ufficiali dei


carabinieri, non pi soffiate con delatori interessati e a pagamento. Ma
testimoni che accusano se stessi prima di accusare gli altri, che mettono la
loro firma sotto un verbale di interrogatorio, che depongono in un'aula di
giustizia. Una gestione istituzionale, pubblica e non pi segreta. Tutti gli
schemi investigativi precedenti saltano, le inchieste subiscono uno
sconvolgimento. Falcone capisce che Buscetta solo il primo. E che altri, tanti
altri come lui ne arriveranno. Anche i boss lo capiscono. E si preparano al
peggio. A consegnare don Masino al giudice Gianni De Gennaro, il capo
della Criminalpol di Roma. Due mesi e mezzo dopo il primo faccia a faccia fra
Falcone e Buscetta, Falcone ordina al poliziotto 3600 riscontri alla cantata di
don Masino. All'inizio del 1985 l'ufficio istruzione del Tribunale di Palermo
pronto a contestare a pi di settecento imputati 438 capi d'imputazione e 121
omicidi.

Cosa sa Giovanni Falcone della mafia prima dell'arrivo di Buscetta? Molto.


Soprattutto grazie al poliziotto che gli pi vicino, un amico: Ninni Cassar, il
capo dellInvestigativa della squadra mobile di Palermo. uno sbirro
elegante, colto, intelligente. Ninni Cassar ha fonti straordinarie dentro la
mafia palermitana. Una Mariella Corleo, una donna imparentata con gli
esattori Salvo. Gli racconta della morte del marito Ignazio Lo Presti, un amico
di Buscetta. L'altra fonte un boss legato alla vecchia guardia. Nei rapporti
Cassar lo chiama Prima Luce, proprio perch illumina il buio che avvolge
quella societ segreta. Gli spiffera nomi, ricostruisce la guerra scatenata da
Tot Riina contro Stefano Bontate, indica sicari e covi. Prima Luce
Salvatore Contorno, Totuccio, il mafioso che un anno dopo diventer il
secondo pentito di mafia.

L'incontro fra Giovanni Falcone e Ninni Cassar decisivo per il destino del
maxi processo. Ma Cassar non potr mai ascoltare Totuccio sul banco dei
testimoni del'aula bunker dell'Ucciardone. Viene ucciso con l'agente Roberto
Antiochia. Trecento colpi di kalashnikov, il 6 agosto del 1985. Una settimana
prima in un agguato se n' andato anche Beppe Montana, il capo della
Catturandi. Intorno all'inchiesta di Falcone sugli Spatola e sugli Inzerillo
iniziata alla fine del 1979, ci sono solo morti. Pi l'indagine si allarga e pi la
mafia alza il tiro. La polizia di Palermo allo sbando. Questori timorosi,
commissari distratti. C' voglia di tornare al passato. Per fortuna, scendono da
Roma funzionari della Criminalpol, che diventano il braccio operativo del
giudice della sesta sezione penale. Uno Gianni De Gennaro, l'altro Antonio
Manganelli, il terzo Alessandro Pansa. Con Falcone hanno un rapporto di
fiducia assoluta. un'altra grande svolta nell'inchiesta di Palermo. Tutti e tre
gli investigatori, pur prendendo in futuro strade diverse, diventeranno uno
dopo l'altro capi della polizia di Stato.

http://www.repubblica.it/super8/2017/05/18/news/falcone_venticinque_anni_dopo_la... 23/05/2017
Vita e morte di Giovanni Falcone, 25 anni dopo la strage di Capaci - Repubblica.it Pagina 13 di 17

Un capolavoro di ingegneria giudiziaria


Papa, aiutami a far funzionare questo coso!. un computer Olivetti, uno dei
primi che il ministero di Grazia e Giustizia ha spedito a Palermo. Sono
accatastati in un angolo del tribunale, ancora avvolti negli imballaggi.
Papa, Giovanni Paparcuri, che se ne porta uno nella sua stanza alla sezione
dei procedimenti contro ignoti, lo accende, lo studia, impara ad usarlo e
insegna come si fa al giudice Falcone. il 1985, alla vigilia della sentenza di
rinvio a giudizio per i 706 imputati del maxi.

Tutto l'archivio di Falcone informatizzato da Paparcuri e tutti i segreti del


computer di Falcone sono custoditi da Paparcuri. Anche la password
dell'Olivetti che il giudice ha sulla scrivania in mezzo alle sue papere colorate:
Avanti. Giovanni Paparcuri sino al 1983 l'autista del giudice, un giorno
Falcone in Thailandia per una rogatoria e Papa va a prendere il consigliere
istruttore Chinnici a casa sua. quel 29 luglio. Anche Giovanni rimane
incastrato fra le lamiere dell'auto corazzata. Si salva per miracolo. E poi il
miracolo lo fa lui con i suoi computer. Il maxiprocesso sta per iniziare.
Giovanni Falcone e Francesca Morvillo decidono di sposarsi, fissano la data
del matrimonio a maggio del 1986. Il giorno prima delle nozze Falcone confida
a Borsellino: Con Francesca abbiamo deciso di non avere figli, la lista degli
orfani gi lunga... Ogni via di Palermo ha una lapide, una croce, un altarino
con un mazzo di fiori. Tot Riina latitante da diciassette anni e Bernardo
Provenzano da ventitr. E nessun giudice vuole fare il presidente del
maxiprocesso. Qualcuno s'inventa malattie, qualcun altro problemi di famiglia.
Hanno paura. Accetta solo un magistrato del civile, Alfonso Giordano. A lui
affiancano un giudice che ha un grande sapere di mafia, Pietro Grasso.
quello che ha indagato per primo sulla morte del presidente Piersanti
Mattarella. Un giorno Grasso viene trascinato da Falcone in una stanza.
Falcone agita una mano davanti a un milione di pagine e gli sorride: Ti
presento il maxiprocesso.

Si apre il 10 febbraio del 1986 e si chiude il 16 dicembre 1987 con 19 ergastoli


e 2665 anni di carcere. la prima sconfitta della mafia da quando c' la mafia.
il capolavoro di ingegneria giudiziaria di Giovanni Falcone. Il suo metodo
ha vinto. Falcone confessa a Marcelle Padovani in Cose di Cosa Nostra, un
libro testamento: Professionalit significa innanzitutto adottare iniziative
quando si sicuri dei risultati ottenibili. Perseguire qualcuno per un delitto
senza disporre di elementi irrefutabili a sostegno della sua colpevolezza
significa fare un pessimo servizio. Il mafioso verr rimesso in libert, la
credibilit del magistrato ne uscir compromessa e quella dello Stato peggio
ancora. In queste parole c' molto del pensiero del giudice. L'essenza
rivoluzionaria del suo riformismo, la sua diversit, c' il suo genio. Con il
maxiprocesso finita per sempre l'epoca delle assoluzioni per insufficienza di
prove. il primo successo dello Stato italiano contro Cosa nostra. La mafia
stata sconfitta per sempre, dichiarano trionfanti i ministri di Roma il giorno
dopo la sentenza di primo grado. C' euforia. L'unico che non si fa contagiare
dalla sbornia Falcone. Conosce troppo bene la mafia.

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Vita e morte di Giovanni Falcone, 25 anni dopo la strage di Capaci - Repubblica.it Pagina 14 di 17

Lentamente, verso la morte


Talpe. Corvi. Sciacalli. Cosa vuole ancora questo Falcone? La sua gloria l'ha
avuta, rientri nei ranghi, basta con questi processi con centinaia di imputati,
basta con i teoremi. Chi si crede di essere, lo zar dell'Antimafia? Il primo
segnale arriva quando se ne va Caponnetto e il Consiglio superiore della
Magistratura, nella primavera del 1988, mette al suo posto Antonino Meli. Chi
pi di Falcone ha le carte in regola per occupare quella poltrona, per
competenza, per la straordinaria prova che ha dato di s, per i suoi contatti
internazionali, per la sua dedizione assoluta alla causa, per il suo senso dello
Stato? Ma Falcone va fermato. E lo fermano. C' gi stata laggiustatina in
appello del maxi, dove una Corte nega l'unitariet dell'organizzazione
criminale. Con la nuova nomina del consigliere istruttore Meli, l'inchiesta di
Falcone si riduce a uno spezzatino antimafia, frantumata in una ventina di
indagini sconnesse una dall'altra. In due settimane Meli seppellisce il pool. I
primi nemici del giudice sono sempre i giudici.

Nel breve volgere di qualche anno Giovanni Falcone accumula una disfatta
dopo l'altra. Bocciato come consigliere istruttore. Bocciato come Alto
commissario antimafia. Bocciato come candidato al Csm. Bocciato come
procuratore nazionale. Sulle colonne di questo giornale Mario Pirani lo
descrive come l'Aureliano Buendia di Cent'anni di solitudine, che ha
combattuto trentadue battaglie e le ha perse tutte. La sua morte intanto
sempre pi vicina. L'attentato fallito all'Addaura e le menti raffinatissime che
l'hanno organizzato, le lettere di calunnia sul ritorno dei pentiti in Sicilia che lui
avrebbe pilotato, il nuovo procuratore Piero Giammanco che lo umilia ogni
giorno facendogli fare anticamera e fermando le sue indagini. Falcone decide
di lasciare Palermo. E accetta un incarico al ministero di Grazia e Giustizia,
come direttore generale degli Affari Penali. Per molti un tradimento. Anche
gli amici e pezzi dell'Antimafia che gli sono sempre stati vicini lo accusano: Ti
sei venduto al potere e hai tenuto chiuse nei cassetti le indagini sui delitti
politici. Un'altra sofferenza per il giudice. Non pu stare in Sicilia, non pu
stare a Roma. Ha sempre qualcuno contro. Per quello che fa o per quello che
non fa.

il settimo governo Andreotti, ministro degli Interni il democristiano Vincenzo


Scotti, ministro della Giustizia il socialista Claudio Martelli. Il 13 marzo 1991
Falcone prende servizio al ministero di via Arenula. Sembra un altro uomo,
apparentemente pi sollevato, meno infelice. Presenta un piano. Confische
dei beni, una legge sui pentiti, il carcere duro per i boss. il suo pacchetto
antimafia. I mafiosi capiscono quel che c' da capire: a Roma sta diventando
pi pericoloso che a Palermo. L'Italia un paese che riserva sempre sorprese.
Giulio Andreotti, l'uomo politico che pi di tutti gli altri ha avuto i voti dei
galantuomini per un trentennio, il presidente di quel governo - decima
legislatura - che sar ricordato come l'esecutivo che approva le leggi antimafia
pi severe della nostra Repubblica. Nel periodo romano - un anno e tre mesi -
Falcone gioca il tutto per tutto.

Il nuovo direttore degli Affari penali ordina un'indagine sulla Cassazione e


dispone, per i processi di mafia, una rotazione delle sezioni penali. Il maxi
non passer pi dalle grinfie di Carnevale, la leggenda in ermellino che
appostato per regalargli l'ultima mortificazione. Falcone non lo sa ma gi un

http://www.repubblica.it/super8/2017/05/18/news/falcone_venticinque_anni_dopo_la... 23/05/2017
Vita e morte di Giovanni Falcone, 25 anni dopo la strage di Capaci - Repubblica.it Pagina 15 di 17

uomo morto. Il 30 gennaio del 1992 la Cassazione conferma gli ergastoli e,


soprattutto, l'impianto dell'inchiesta del maxi processo. Il 12 marzo a Mondello
uccidono Salvo Lima, l'uomo di Andreotti in Sicilia. Non ha mantenuto la
promessa: far saltare il banco dell'inchiesta cominciata dodici anni prima con
quell'imprenditore dell'Uditore. La sua uccisione ferma il percorso di Andreotti
verso il Quirinale.
Poi, lentamente, Falcone viene attirato nella tonnara. I killer di mafia sono gi
a Roma, pronti a tendergli l'agguato con armi corte. A Roma un bersaglio
facile. Ma Tot Riina ordina a loro di scendere, di tornare in Sicilia. Perch
Falcone deve morire in un altro modo. In un'operazione militare, di guerra.

Il corteo di auto blindate sull'autostrada, l'esplosione che solleva la terra.


Muore il giudice, muore sua moglie Francesca, muoiono i ragazzi della sua
scorta, la Quarto Savona 15. Antonio Montinaro, Vito Schifani, Rocco Di
Cillo. Quarantotto ore dopo saltano tutti i veti incrociati per l'elezione del
Presidente della Repubblica e Oscar Luigi Scalfaro il nuovo Capo dello
Stato. La strage ha un effetto stabilizzante per la politica italiana. E gli
avvertimenti di quella piccola agenzia giornalistica Repubblica, vicina a una
fazione della corrente andreottiana che fa a capo al deputato Vittorio
Sbardella, padrone di tessere della Democrazia cristiana romana, uno
soprannominato lo Squalo - avevano un loro fondamento. Dopo
cinquantasette giorni muore anche Paolo Borsellino. Dopo un anno le bombe
di Firenze, di Roma e di Milano. Nel 1993 vogliono buttare gi con la dinamite
anche la Torre di Pisa, vogliono uccidere 100 carabinieri allo stadio Olimpico,
vogliono disseminare le spiagge della riviera romagnola con siringhe infettate
dal virus Hiv.
Tot Riina? Solo Tot Riina?

Oggi, venticinque anni dopo


La mafia dei Corleonesi non c' pi, spazzata via da una repressione
poliziesca e giudiziaria senza precedenti. Tot Riina ormai un clown in
cattivit, un personaggio che recita a soggetto e che fa minacce al vento alle
quali tutti fanno finta di credere. Non ha pi esercito, non ha pi un popolo,
con le stragi del 1992 a Cosa nostra ha causato pi danni di Buscetta. Dopo le
inchieste della prima ora, alcune rigorose e altre taroccate, dopo i depistaggi e
le deviazioni e i falsi pentiti, stata raggiunta una verit giudiziaria che non
poca. La magistratura ha fatto la sua parte, tutti gli uomini della Cupola sono
all'ergastolo per la strage e per le stragi. Non era mai accaduto prima. La
mafia siciliana sta pagando caro il conto della sua guerra allo Stato. La verit
giudiziaria per non ci consegna i mandanti altri o i concorrenti esterni,
quelli che avevano - insieme a Cosa nostra - l'interesse di eliminare Falcone.
da un quarto di secolo che quattro procure italiane li cercano e non li
trovano. Il cratere sull'autostrada troppo grande per entrare in una piccola
aula di giustizia. Per coprire questa mancanza, per avere una narrazione
attendibile e accettabile di quegli avvenimenti, il momento che altri
contribuiscano alla ricerca di una verit storica che ancora non c'. Con
Buscetta e tutti gli altri crollato il muro di omert della mafia. Ma il muro di

http://www.repubblica.it/super8/2017/05/18/news/falcone_venticinque_anni_dopo_la... 23/05/2017
Vita e morte di Giovanni Falcone, 25 anni dopo la strage di Capaci - Repubblica.it Pagina 16 di 17

omert di Stato rimasto inviolato. Nessuno parla. Nessuno ricorda. Nessuno


si pente mai l dentro.

Cosa accaduto nell'Italia del 1992, quando con l'uccisione di Falcone - e con
Tangentopoli - si dissolta la Prima repubblica? I Corleonesi. E chi, con loro?
A Palermo e in Sicilia dopo quegli attentati non pi scoppiato nemmeno un
mortaretto. La mafia tornata quella di prima, quella di sempre. Manza,
tranquilla. Oggi comanda senza armi. Come ai vecchi tempi. Istituzionale,
pettinata, politicamente corretta. Pronta a celebrare anche gli eroi di cui si
liberata. Su Giovanni Falcone stato detto tanto e anche troppo in questi anni
di commemorazioni e di parate in alta uniforme. La sua figura esaltata, ma
anche usata, debilitata dalla retorica, snervata. La riflessione che ci piace
ricordare di pi su questa spasmodica lotta per impossessarsi della sua
memoria, quella di Giuseppe D'Avanzo, un giornalista molto stimato dal
giudice. Peppe ha scritto dell'umiliante sottrazione di cadavere compiuta da
coloro i quali hanno voluto impadronirsi delle sue parole e delle sue azioni,
allo scopo di servirsene agitandolo come una mazza contro gli antagonisti del
momento.

Sulla mia scrivania ho una sua foto di quando non aveva ancora
quarantacinque anni, un ritratto del 1982 o forse del 1983. Stava ancora dietro
agli Spatola e agli Inzerillo. E in un cassetto, da qualche parte, ho conservato
la stampata di un grafico dell'Istituto nazionale di Geofisica e di Vulcanologia
sui dati trasmessi il pomeriggio del 23 maggio 1992 dalla stazione di Monte
Cammarata. Gli strumenti avevano registrato un piccolo evento sismico con
epicentro fra i comuni di Isola delle Femmine e Capaci. Sono tornato l, sul
cratere, una ventina di giorni fa. Dove c'era l'asfalto spaccato e gli ulivi
abbattuti dall'esplosione, oggi c' un quartiere residenziale. Una trentina di
villette, a due o tre piani, separate da strade che confinano con il giardino della
memoria dedicato ai tre poliziotti della Quarto Savona 15. un piccolo
villaggio costruito sopra e ai margini della devastazione, una speculazione
edilizia entrata pochi anni dopo la strage nella relazione prefettizia che - nel
2012 - ha portato allo scioglimento per mafia del comune di Isola delle
Femmine. Da gi, si vede sull'altura il casotto dell'acquedotto dove erano
appostati con il radiocomando Brusca e gli altri. Gi Isola delle Femmine, su
Capaci. Nell'intrico di viuzze che portano da una villa all'altra, operai
dell'azienda del gas hanno posizionato una centrale per la distribuzione del
metano. un parallelepipedo di acciaio con una grande scritta, molto sinistra:
Area in cui pu formarsi un'atmosfera esplosiva.

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Vita e morte di Giovanni Falcone, 25 anni dopo la strage di Capaci - Repubblica.it Pagina 17 di 17

Capaci 25 anni dopo: guarda il videoracconto

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Capaci 25 anni dopo, terzo episodio

Capaci 25 anni dopo, quarto episodio

Capaci, 25 anni dopo, quinto episodio

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