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In virtù del principio di legalità, proprio dello stato di diritto, gli organi della
pubblica amministrazione possono esercitare le sole potestà loro conferite dalle
norme, tendenzialmente generali e astratte, poste dal potere legislativo e le
devono esercitare in conformità a tali norme. Il principio vale anche per gli atti
formalmente amministrativi con i quali viene esercitata una funzione
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materialmente normativa, ossia per i regolamenti, i quali, pertanto, non potranno
che essere subordinati alla legge nella gerarchia delle fonti del diritto.
La Costituzione non indica quali siano i fatti o gli atti idonei ad innovare
l'ordinamento stesso: solo nelle Disposizioni sulla legge in generale (Codice
Civile) dette "preleggi" è formulata una gerarchia delle fonti, peraltro non
tassativa e quindi modificabile (ricordiamo infatti che nell'elenco sono ancora
incluse le norme corporative e ovviamente, data l'epoca, nulla è detto sulla
costituzione), tanto più che il Codice del 1942 è adottato con Regio decreto ed è
quindi privo di forza costituzionale.
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Per “fonti di cognizione”, s'intende l'insieme dei documenti che forniscono la
conoscibilità legale della norma e sono, quindi, i documenti che raccolgono i testi
delle norme giuridiche, come la Costituzione, la Gazzetta Ufficiale, i codici.
Per "fonti di produzione", s'intentono gli atti e i fatti idonei a produrre norme
giuridiche. Le fonti di produzione si distinguono a loro volta in fonti-atto e fonti-
fatto.
I rapporti tra le fonti, considerati in base alla loro posizione sistematica, possono
essere:
• di gerarchia;
• di competenza;
• cronologico
• specialità
• La Costituzione
• Leggi di revisione costituzionale e leggi costituzionali
• Fonti internazionali
• La legge e gli altri atti aventi forza e valore di legge
• Regolamenti di organizzazione degli organi costituzionali
• Regolamenti del potere esecutivo
• Leggi regionali
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La tradizionale figura su cui si basava alle origini il processo amministrativo
come giudizio di impugnazione era quella degli interessi legittimi oppositivi.
Risarcibilità
Inoltre con la legge del 10 agosto del 2000 n. 205, ampliando i poteri del Giudice
amministrativo, il legislatore ha previsto - modificando l'art 35, comma 4° del
D.Lgs. 80/1998 - la possibilità per questo di disporre il risarcimento della lesione
all'interesse legittimo, in tutte le materie rientranti nella sua giurisdizione e non
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solo in quelle precedentemente previste (edilizia, urbanistica, servizi pubblici)
dallo stesso decreto.
In base alla previsione contenuta nell’art. 6, 2° comma, della legge n. 205 del
2000 le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del
giudice amministrativo possono essere risolte mediante arbitrato rituale di
diritto.
L’art. 8, 1° e 2° comma, della stessa legge n. 205 prevede poi che solo nelle
controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
aventi ad oggetto diritti soggettivi di natura patrimoniale possono trovare
applicazione le disposizioni processuali civili sul procedimento per ingiunzione.
ENTI PUBBLICI
Requisiti
1) Autarchia
2) Autotutela
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In relazione al territorio rispetto al quale svolgono le loro attività possono anche
distinguersi in:
E poi abbiamo gli enti pubblici NON ECONOMICI, quando l'oggetto principale della
loro attività non è quindi la produzione di beni e servizi.
Fini e attribuzioni
Gli enti pubblici, in quanto persone giuridiche, perseguono i fini stabiliti dal
proprio statuto e tale discorso vale anche per l'ente pubblico principale, lo Stato,
perchè anche lo Stato persegue i fini degli associati che ne fanno parte.
I fini sono previsti dai poteri dello stato in rappresentanza all'intera comunità.
Per perseguire i determinati fini, gli enti pubblici sono soggetti ad ATTRIBUZIONI,
cioè ad insiemi di poteri amministrativi che non esauriscono ciò che l'ente possa
fare, ma ne delimitano solo i poteri amministrativi.
Le attribuzioni vengono poi distribuite all'interno dell'ente fra i suoi vari organi
secondo varie COMPETENZE. L'ente pubblico, inoltre, ha i poteri che scaturiscono
dal diritto privato per il semplice fatto che è comunque una persona giuridica.
Nel caso in cui l'ente pubblico goda di autonomia economica, questo non è
soggetto a vincoli di bilancio per l'incremento delle voci di costo e delle passività,
o a provvedimenti che vietano l'indebitamento, garantito con il patrimonio
dell'ente;
Come tutte le persone giuridiche, anche lo Stato e gli enti pubblici hanno una
propria organizzazione interna composta di beni e di persone fisiche che
agiscono per conto dell’ente.
Gli atti giuridici compiuti dall’organo sono imputati alla persona giuridica, come
fossero stati compiuti dalla stessa, e quindi si dice che tra organo e persona
giuridica s'instaura una relazione di immedesimazione organica detta anche
RAPPORTO ORGANICO, termine quest’ultimo che è ritenuto da molti improprio
perchè il rapporto giuridico presuppone una pluralità di soggetti di diritto tra i
quali intercorre, mentre in questo caso c’è un solo soggetto, la persona giuridica,
del quale l’organo non è altro che una parte.
ORGANI E UFFICI
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Ne segue che gli organi della persona giuridica sono suoi uffici, deputati al
compimento di atti giuridici imputati all’ente di appartenenza, ma che non tutti
gli uffici sono organi.
In un'ottica prettamente giuridica, l'ufficio che non sia anche organo svolge
funzioni strumentali, atte a mettere l'organo in condizioni di realizzare i suoi atti,
anche quando, come avviene non di rado nella pratica, quest'ultimo si limita a
far proprio l'atto predisposto dall'ufficio.
A ciascun ufficio sono assegnate uno o più persone fisiche (gli addetti all’ufficio)
una della quali (il titolare dell’ufficio o funzionario) assume una posizione di
preminenza (si dice, infatti, che è "preposto all’ufficio"), essendo responsabile
dell’unità organizzativa e dirigendone il lavoro. Se l’ufficio è anche organo della
persona giuridica, il suo titolare è la persona fisica che agisce all’esterno per
essa.
Oltre agli uffici che hanno per titolare una sola persona fisica, e sono detti
MONOCRATICI, ve ne sono altri, detti COLLEGIALI, la cui titolarità è attribuita ad
un collegio, costituito da una pluralità di persone fisiche. Gli uffici si distinguono
inoltre in SEMPLICI e COMPLESSI: i secondi, a differenza dei primi, sono costituiti
da una pluralità di uffici, monocratici o collegali.
Il rapporto di servizio assume nella maggior parte dei casi la veste di rapporto di
lavoro dipendente, ma vi sono anche casi in cui l’addetto presta il suo servizio a
titolo non professionale (si parla, in questi casi, di funzionari onorari) o
addirittura coattivo (facciamo l’esempio del servizio militare obbligatorio).
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La titolarità dell'ufficio può essere attribuita per un determinato periodo di
tempo, come avviene di solito per i funzionari onorari; scaduto il termine il
titolare cessa dalle funzioni.
Secondo i criteri usati dalla norma che conferisce la competenza per delimitare
la sua sfera, si parla di:
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La competenza amministrativa indica la quota di poteri e funzioni pubbliche
attribuite ad un determinato organo della PA e, dunque, ne delimita compiti e
potestà.
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che la competenza amministrativa non sia attribuita in via esclusiva per materia
a favore dell'organo inferiore.
L'esercizio del potere di avocazione comporta che l'organo inferiore non possa
più esercitare la propria competenza con riferimento all'affare avocato.
L'ordine delle competenze può essere derogato con la DELEGA, l'atto attraverso
la quale un organo (delegante) trasferisce ad un altro organo (delegato)
l'esercizio di poteri e facoltà rientranti nella sua sfera di competenza. Poiché
deroga l'ordine delle competenze, il potere di delega deve essere conferito da
una norma avente forza non inferiore a quella che ha attribuito le competenze
derogate. Così, nell'ordinamento amministrativo italiano, dove l'attribuzione delle
competenze è materia soggetta a riserva di legge relativa, ai sensi dell'art. 97
della Costituzione, il potere di delega deve parimenti essere previsto da una
legge o altra fonte del diritto avente forza di legge.
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IL PUBBLICO IMPIEGO
Il rapporto di pubblico impiego può essere oggi definito come “il rapporto
giuridico in forza del quale un soggetto pone volontariamente la propria
prestazione lavorativa in modo continuativo ed esclusivo al servizio di un ente
pubblico per il conseguimento dei fini istituzionali di quest’ultimo, ricevendo
come corrispettivo una retribuzione predeterminata”.
La così detta privatizzazione del pubblico impiego è stata introdotta dal d.lgs 3
febbraio 1993 n. 29, emanato in attuazione della delega conferita al governo
dall’art. 2 della l. 23 ottobre 1992 n. 421.
Tale decreto è stato però più volte modificato, ma essendo poi scaduta la delega,
con la l. 15 marzo 1997 n. 59 è stata conferita una nuova delega, in base alla quale
è stato poi emanato il d.lgs 31 marzo 1998 n.80, con il quale sono state apportate
nuove e significative modifiche.
Sempre sulla base della delega del 1997, sono state poi raccolte e coordinate
tutte le disposizioni vigenti in materia di pubblico impiego nel d.lgs 30 marzo 2001
n. 165, con il titolo di “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle
dipendenze delle pubbliche amministrazioni” (t.u. pubblico impiego).
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Pubblico impiego. Riforma Brunetta
Legge 4 marzo 2009, n. 15 (G.U. 5 marzo 2009, n. 53), con la quale al Governo è
stata conferita la delega legislativa finalizzata all’ottimizzazione della
produttività del lavoro pubblico e all’efficienza e trasparenza delle pubbliche
amministrazioni.
Sulla riforma del pubblico impiego vigilerà una Commissione per la valutazione,
la trasparenza e l'integrita' e organismi indipendenti di valutazione così da dare
un risvolto di oggettività, si promette, sia alla valutazione del merito che a quella
della soddisfazione del servizio
Obiettivi della riforma sono, infatti, un aumento dei beni e servizi pubblici, un
progressivo miglioramento della qualità dei servizi; una maggiore prossimità
delle amministrazioni ai cittadini e tempestività nell'erogazione delle prestazioni;
insieme ad una riduzione dei costi. Quanto alla riforma del modello contrattuale
(a giorni l'avvio del confronto tra le parti sociali nel settore privato), si punta ad
una riduzione dei comparti; una revisione della durata degli accordi allineando la
regolamentazione giuridica (la cui vigenza oggi è quadriennale) con quella
economica (oggi biennale). La contrattazione di secondo livello dovrà collegarsi
alla situazione economica e finanziaria dell'ente, alla Corte dei Conti spetterà il
controllo della spesa.
Il comma fissa tre principi, che rappresentano la chiave di volta, del sistema dei
principi per l'attività amministrativa pubblica, che sono:
Principio di legalità;
Principio del buon andamento;
Principio dell'imparzialità.
L'articolo 118, per come è stato modificato dalla legge costituzionale del 18
ottobre 2001, n. 3, intitolata «Modifiche al titolo V della parte seconda della
Costituzione» e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 248 del 24 ottobre 2001 ha
introdotto nel nostro ordinamento ulteriori e pregnanti principi; recita il primo
comma dell'articolo:
« Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio
unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei
principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. »
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immediatamente satisfattivo dell'interesse pubblico primario. In questo caso,
allora, assume rilevanza l'esecuzione del provvedimento amministrativo.
LA PATOLOGIA
Fino all'entrata in vigore della riforma della legge n. 241/90 (legge n. 15/2005) è
mancata una codificazione delle varie tipologie di invalidità del provvedimento.
Invalidità
Fino all'entrata in vigore della riforma della legge n. 241/90 (legge n. 15/2005)
era stata la giurisprudenza a delineare i contenuti di altre tipologie di vizi. Con la
riforma della legge n. 241/90 avvenuta ad opera della legge n. 15/2005 è stata
introdotta la codificazione dell'istituto della nullità del provvedimento
amministrativo (art. 21-septies) e l'introduzione dei c.d. vizi non invalidanti del
provvedimento.
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formazione; il difetto della forma essenziale del provvedimento, che ricorre, oltre
che nei casi espressamente previsti dalla legge, nelle ipotesi del difetto di
sottoscrizione del provvedimento e della mancata verbalizzazione delle
deliberazioni degli organi collegiali; l'inesistenza dell'oggetto, inteso sia come res
sia come persone su cui si concentrano le trasformazioni giuridiche causate
dall'atto (si pensi ad un provvedimento di esproprio nei confronti di un soggetto
deceduto o mai esistito).
c) sia stato adottato in violazione o elusione del giudicato. Il nuovo art. 21-septies,
oltre a prevedere la nullità degli atti adottati in violazione o elusione del
giudicato, sancisce nel secondo comma che le questioni inerenti alla nullità dei
provvedimenti amministrativi in violazione o elusione del giudicato sono
attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
d) in tutti gli altri casi espressamente previsti dalla legge (c.d. nullità testuali).
La cause di nullità del provvedimento amministrativo devono quindi oggi
intendersi quale numero chiuso , anche se come si vedrà oltre le nuove ipotesi di
nullità vanno ricondotte a quei casi in cui la giurisprudenza era già pervenuta alla
qualificazione dell'atto in termini di nullità.
• esistente;
• efficace;
• sanabile.
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Mentre l'atto nullo è inefficace di diritto, il provvedimento annullabile è
provvisoriamente efficace, salvo a perdere la sua efficacia al momento
dell'annullamento.
2 eccesso di potere
La dottrina ha elaborato le seguenti figure sintomatiche dell'eccesso di
potere:
• sviamento di potere;
• travisamento ed erronea valutazione dei fatti;
• illogicità e contradditorietà della motivazione;
• contraddittorietà tra più atti successivi;
• inosservanza di circolari;
• disparità di trattamento;
• ingiustizia manifesta;
• violazione e vizi del procedimento
• vizi della volontà
• mancanza di idonei parametri di riferimento
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PATOLOGIA
RIMEDI
I rimedi contro l'atto amministrativo invalido possono essere richiesti dal privato
interessato dall'atto o dalla stessa pubblica amministrazione.
Il terzo leso nel suoi diritto o nel suo interesse legittimo può attuare:
• annullare l'atto;
• revoca l'atto;
• abrogare l'atto;
• pronunciare la decadenza dell'atto;
• ritirare l'atto.
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Ne sono quindi presupposti:
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competente, la quale si appropria di un atto che è stato emesso da un’autorità
incompetente dello stesso ramo.
— l'autorità che pone in essere l'atto (che non è la stessa autorità emanante);
Esistono diversi gradi e tipi di autonomia che sono attribuiti dalle leggi agli enti
pubblici:
TIPI DI PROVVEDIMENTO
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AUTORIZZAZIONI . L’autorizzazione è quel provvedimento amministrativo
attraverso il quale la P.A., nell’esercizio di un’attività discrezionale, provvede alla
rimozione di un limite legale posto all’esercizio di un’attività inerente ad un diritto
soggettivo o ad una potestà pubblica che devono necessariamente preesistere in
capo al destinatario. Si tratta di provvedimento discrezionale che incide su diritti,
condizionandone l’esercizio, a carattere ampliativi della sfera soggettiva dei
privati, ma non costitutivo, in quanto esso non crea diritti o poteri nuovi in capo
al destinatario, ma legittima solo l’esercizio di diritti o potestà già preesistenti
nella sfera del soggetto. Le autorizzazioni hanno carattere personale e non
possono essere oggetto di trasmissione senza il consenso della P.A.; è ammessa
tuttavia la rappresentanza, come nel caso di chi lascia condurre la propria
fabbrica). Figure particolari di autorizzazioni sono quelle previste dalla l 241/90
artt. 19 e 20. Si possono ricondurre alla categoria delle autorizzazioni: abilitazione
in cui è presente una discrezionalità tecnica della P.A. es. abilitazione
all’esercizio professionale; approvazione interviene sull’operatività dell’atto,
consiste in un atto di controllo che verifica la rispondenza dell’atto alle
disposizioni di legge; nulla-osta è l’atto con cui un’autorità amministrativa
dichiara di non aver osservazioni da fare in ordine all’adozione di un
provvedimento da parte di un’altra autorità; licenza mira alla rimozione di un
limite legale che si frappone all’esercizio di un’attività inerente a un diritto
soggettivo o ad una potestà pubblica; registrazione è un’autorizzazione vincolata,
rimuove un limite legale sulla base di un semplice accertamento della
sussistenza delle condizioni di legge; dispensa con cui la P.A. consente ad un
soggetto di esercitare una data attività o compiere un determinato atto in
deroga ad un divieto di legge, ovvero esonera il soggetto dall’adempimento di un
obbligo di legge.
DIA La legge 241/90, fin dalla sua formulazione originaria, nell’ambito delle
norme finalizzate alla semplificazione dell’azione amministrativa, prevedeva
con l’articolo 19, la disciplina dell’istituto della denuncia di inizio attività,
successivamente modificato dall’articolo 2 della legge 537 del 1993, e
dall’articolo 21 della legge 15 del 2005 ed infine dall’articolo 3 del decreto legge
n°35 del 2005.
Tradizionalmente il provvedimento amministrativo autorizzatorio e concessorio è
il risultato di una attività istruttoria compiuta dagli uffici che si sostanzia
prevalentemente nell’attività di acquisizione di pareri, nulla osta e di ogni atto
idoneo alla corretta cura dell’interesse pubblico a fondamento dell’azione
amministrativa.
L’ originaria formulazione dell’articolo 19 della legge 241/90 determina un
ingresso della denuncia di inizio attività piuttosto debole, favorendo
conseguentemente un’attività di interpretazione dei giudici amministrativi che
collocando la D.I.A più come azione di liberalizzazione piuttosto che di
semplificazione dell’attività amministrativa.
La recente sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n° 717 del Febbraio
del 2009 riaccende il dibattito sulla natura giuridica della DIA attribuendole
natura di atto privato e non costituisce esplicazione di una potestà pubblicistica.
Da tale definizione ne discende che il terzo potrà agire in giudizio, nei termini di
sessanta giorni dal completamento dell’opera o da quando,in presenza di altri
elementi oggettivi, si possa considerare pregiudizievole per il terzo.
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Per effetto della previsione della DIA la legittimazione del privato non è più
fondata sull’atto di consenso della P.A, secondo lo schema “norma – potere –
effetto”, ma è una legittimazione ex lege, secondo lo schema “norma – effetto”,
in forza del quale il soggetto è abilitato allo svolgimento dell’attività
direttamente dalla legge, la quale disciplina l’esercizio del diritto eliminando
l’intermediazione del potere autorizzatorio della P.A.
ORDINI. Gli ordini sono provvedimenti restrittivi della sfera giuridica del
destinatario con cui la P.A. fa sorgere nuovi obblighi giuridici in capo ai
destinatari, imponendo loro un determinato comportamento sulla base della
propria potestà di supremazia. Si rende in tal modo concreto un obbligo sancito
in astratto dalla legge. Es. sono gli ordini di polizia (nei confronti di tutti) e gli
ordini gerarchici (rapporto di pubblico impiego, tra P.A. e dipendenti).
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La giustificazione dell'atto ablativo, che sacrifica una posizione altrimenti
protetta dall'ordinamento, è da ritrovare all'interno del generale principio che
muove l'amministrazione, ossia è un tipo di attività esercitata anche tramite dei
poteri privativi volti principalmente a soddisfare un interesse collettivo e
pertanto di carattere pubblico.
Sono atti ablativi:
• l'espropriazione per pubblica utilità;
• la requisizione;
• l'occupazione di urgenza;
• la confisca amministrativa;
• il sequestro cautelare amministrativo;
• l'avocazione di cave e torbiere alle Regioni.
IL DIRITTO DI ACCES SO
L’art. 22 come novellato dalla legge n. 15/2005 alla lett. a) del comma 1 si
preoccupa, a differenza della normativa precedente, di definire il diritto di
accesso, inteso come il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre
copia dei documenti amministrativi.
Il nuovo art. 22 come novellato dalla legge n. 15/2005, dopo aver puntualizzato
che il diritto di accesso è il diritto degli interessati di prendere visione ed estrarre
copia dei documenti amministrativi, alla lettera b), individuando l’area dei
soggetti interessati, ossia dei possibili titolari del diritto di accesso, afferma che
l’interesse deve essere diretto, concreto, attuale, corrispondente ad una
situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto
l’accesso.
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In particolare, l’interesse deve essere:
Il nuovo testo dell'art. 23, come introdotto dal comma 2 dell'art. 4 1. 265/1999, e
non modificato dalla legge n. 15/2005, definisce l'ambito dei soggetti nei cui
confronti è esercitabile il diritto di accesso ai documenti. Ora, infatti, tale diritto è
esercitabile nei confronti di:
L'elencazione di cui all'art. 23, nuovo testo, si chiude con la specifica menzione
del diritto di accesso nei confronti delle Autorità di garanzia e di vigilanza (cd.
"autorità indipendenti"), che si esercita "nell'ambito dei rispettivi ordinamenti
secondo quanto previsto dall'art. 24.
In tal modo l’Ad. Plenaria ha distinto tra attività privatistica della PA ed attività
dei privati concessionari di pubblici servizi.
Per quanto concerne l’attività privatistica della PA, è stato ritenuto che il diritto di
accesso operi in ogni caso, perché tutta l’attività della PA è sempre ispirata ai
principi costituzionali di imparzialità e buon andamento.
L’art. 24 al primo comma esclude il diritto per tutti i documenti coperti dal segreto
di Stato ai sensi delle vigenti disposizioni di legge e nei casi di segreto o di divieto
di divulgazione espressamente previsti dalla legge o dal regolamento
governativo di attuazione.
A tali materie, per le quali già il vecchio art. 24 prevedeva l’esclusione del diritto
di accesso, la legge n. 15/2005 ha aggiunto nuove materie, onde l’accesso è
stato ulteriormente escluso:
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Quando vengono in rilievo queste materie, le singole amministrazioni (Ministeri
ed altri enti) debbono individuare, con uno o più regolamenti, le categorie di
documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti
all'accesso per le esigenze di salvaguardia degli interessi indicati nel comma 1.
Le modalità di esercizio del diritto di accesso sono disciplinate dai commi 1-4
dell'art. 25 L. 241/90 e dagli art. 3-7 d.P.R. 352/1992.
Entro trenta giorni dalla richiesta, la P.A. deve esprimere le sue determinazioni:
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le forme di pubblicità attuabili mediante strumenti informatici, elettronici e
telematici;
• se rifiuta l'accesso , totalmente o parzialmente, o lo differisce, il
responsabile del procedimento deve motivare il provvedimento con
riferimento specifico alla normativa vigente, alle categorie di atti per i quali
è stato escluso l'accesso dai regolamenti delle singole amministrazioni e
alle circostanze di fatto che rendono non accoglibile la richiesta così come
proposta (art. 25 co. 3 non modificato dalla legge n. 15/2005);
Consiste nella possibilità di ottenere dal giudice civile il risarcimento del danno
subito a seguito dell’illegittimo diniego del diritto di accesso.
In ordine alla natura giuridica della responsabilità della P.A., la tesi prevalente è
nel senso che trattasi di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c.
Com’è noto l’art. 328 co. 2 c.p. prevede il reato di omissione di atti di ufficio,
punendo il pubblico ufficiale che entro 30 giorni dalla richiesta non compie l’atto
e non risponde delle ragioni del ritardo.
Tale sistema appare confermato dal d. lgs. n. 196/2003 (nuovo codice della
privacy) il cui art. 59 dispone che il diritto di accesso ai documenti contenenti dati
personali o sensibili e le operazioni di trattamento eseguibili in conseguenza di
una domanda di accesso restano disciplinati dalla legge n. 241/90 e dalle altre
disposizioni in materia, riconfermando, inoltre, che le attività in oggetto (accesso
e trattamento) si considerano di rilevante interesse pubblico.
Ulteriore problema si è posto, infine, per i dati c.d. supersensibili, ossia idonei a
rivelare lo stato di salute o la vita sessuale dell’individuo.
L’art. 16 co. 2 del d. lgs. n. 135/99 ha stabilito che in tal caso il trattamento è
consentito solo se il diritto contrapposto:
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Tale impostazione è stata confermata e precisata dall’art. 60 del nuovo codice
della privacy (196/2003) che:
L’art. 16, nel sostituire l’art. 24 della legge 241/90, dopo aver statuito che deve
essere comunque garantito il diritto di accesso ai documenti la cui conoscenza è
necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici, ha espressamente
disposto che:
I BENI PUBBLICI
Introduzione
Sono i beni di proprietà degli enti pubblici che, in quanto destinati a soddisfare in
modo diretto interessi della collettività, sono assoggettati a un particolare
regime giuridico, diverso da quello dei beni privati. Sono pubblici i beni demaniali
e i beni patrimoniali indisponibili; il criterio di individuazione delle due categorie
è solo formale, cioè stabilito dalla legge e non fondato sulla maggiore o minore
utilità pubblica dell'una rispetto all'altra. Sono così demaniali e patrimoniali
indisponibili i beni elencati nel codice civile cc 822 s, o altri a essi assimilabili.
Non sono considerati beni pubblici i beni patrimoniali disponibili. Tutti i beni
pubblici assolvono una funzione di pubblica utilità.
Beni demaniali
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1. DEMANIO NECES SARIO.
2. DEMANIO ACCIDENTALE.
a) demanio stradale;
b) demanio ferroviario;
c) demanio aeronautico;
d) acquedotti;
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e) beni di interesse storico, artistico e archeologico quali rovine di palazzi, templi,
città antiche, e universalità di beni mobili (reperti conservati in musei, collezioni
di quadri, di sculture ecc.) di proprietà di enti pubblici.
DISCIPLINA GIURIDICA.
Tutti i beni del demanio, sia necessario sia accidentale, sono inalienabili, cioè
non possono essere trasferiti ad altri soggetti. Per tale ragione il possesso di un
bene demaniale non ha alcuna efficacia al fine dell'acquisto della proprietà per
usucapione. Essi non possono inoltre essere soggetti a espropriazione forzata,
poiché neppure l'autorità giudiziaria o quella amministrativa possono sottrarre il
bene alla destinazione che il legislatore gli ha attribuito. Il principio
dell'inalienabilità comporta inoltre la conseguenza che essi «non possono
formare oggetto di diritti di terzi, se non nei modi e limiti stabiliti dalla legge».
Ciò significa che soltanto l'autorità amministrativa cui è affidata la cura del bene
può costituire su di esso un diritto reale quale usufrutto o servitù, valutando la
compatibilità dei diritti dei terzi con la funzione cui il demanio deve assolvere.
Acque pubbliche. Le acque pubbliche sono «i fiumi, i torrenti, i laghi, tutte acque
sorgenti, fluenti e lacuali, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo,
sistemate e incrementate, le quali, considerate sia isolatamente sia per la loro
portata, abbiano o acquistino attitudine a usi di pubblico interesse, generale» rd
1775 11/12/1933. Fanno parte del demanio necessario dello Stato, di cui
seguono la disciplina. Sono invece soggette al regime delle miniere le acque
termali e minerali, mentre si ritiene rientrino nella categoria delle acque
pubbliche i ghiacciai. In seguito alla delega di funzioni statali alle Regioni la
competenza in materia di acque pubbliche è attualmente ripartita tra Stato e
Regioni. Alle Regioni spettano la tutela, la disciplina e l'utilizzazione delle risorse
idriche; allo Stato invece è attribuita la funzione di programmazione generale
della destinazione delle risorse idriche, la dichiarazione di pubblica utilità delle
acque, e l'imposizione di vincoli ecc.
Strade pubbliche. Tutte le strade, tranne quelle militari, che appartengono a enti
pubblici territoriali, comprese le loro pertinenze (case cantoniere, paracarri ecc.)
sono strade pubbliche. Esse si classificano a loro volta, a seconda dei
collegamenti che consentono, in strade statali, provinciali, comunali e
autostrade.
cc 826 Sono beni pubblici, mobili o immobili, che a differenza di quelli demaniali
possono appartenere a qualsiasi ente pubblico e non soltanto allo Stato, alle
Regioni, alle Province o ai Comuni.
Classificazione.
Possibilità di trasferimento.
Boschi e foreste
1. Vincolo idrogeologico. rdl 3267 30/12/1923 I terreni boschivi e gli altri terreni
soggetti per caratteristiche morfologiche a perdita di stabilità sono sottoposti al
regime del vincolo idrogeologico, che tende a eliminare i fattori di rischio
connessi con le attività umane sul territorio. Le competenze in questa materia
ora spettano interamente alle Regioni; alcune di esse hanno peraltro delegato
parte di tali competenze ai Comuni. Ogni modificazione nell'uso dei terreni
vincolati, e in specie la realizzazione di costruzioni, sono subordinate a specifica
autorizzazione, che potrà prevedere prescrizioni per la sostituzione delle piante
eventualmente tagliate e per la tutela della stabilità idrogeologica. Sono inoltre
dettate norme prescrittive per l'esercizio della silvicoltura, del pascolo, del
dissodamento, delle colture agrarie nelle zone vincolate.
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2. Tutela ambientale. I territori coperti da foreste e da boschi, anche se percorsi
o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti al vincolo di rimboschimento sono
ricompresi tra le zone di particolare interesse ambientale, sottoposte a regime
vincolistico in quanto bellezze naturali. In tali zone ogni attività comportante
modifica del territorio è soggetta all'autorizzazione ai sensi della normativa sulle
bellezze naturali, che si affianca agli altri provvedimenti autorizzativi necessari.
Non vi è l'obbligo di autorizzazione per le attività di taglio colturale, forestazione,
realizzazione di opere di bonifica e antincendio e opere di conservazione.
Gli ambiti della responsabilità verso i soggetti legati alla p.a. sono definiti dalla
Carta Costituzionale, che se ne occupa in alcuni articoli. La disposizione
fondamentale è contenuta nell’art. 28 in base al quale «I funzionari e i dipendenti
dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili
e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità si
estende allo Stato e agli enti pubblici ». Va ricordato che la responsabilità dei
dipendenti pubblici viene anche menzionata nell’art. 97 Cost., il quale afferma
(1° e 2° comma) che «I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in
modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.
Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le
responsabilità proprie dei funzionari».
Dopo che si è arrivati ad affermare la responsabilita’ della p.a. altro nodo è stato
quello della risarcibilita’ degli interessi legittimi.
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Nel caso di interessi legittimi pretensivi è necessaria una verifica fatta secondo lo
schema probabilistico-condizionalistico, dunque un giudizio prognostico sulla
spettanza del bene della vita. Alla tesi che riconduce la responsabilità della P.A.
per attività provvedimentale nell’ambito della responsabilità aquiliana viene
opposto, da una parte della dottrina, che il contatto che si instaura fra privato e
amministrazione nel procedimento amministrativo determina la nascita di un
rapporto giuridico, il quale fa venir meno il presupposto della responsabilità
extracontrattuale: l’estraneità fra autore del fatto illecito e soggetto leso, i quali
non sono legati da una precedente relazione giuridica. Si tratta di un rapporto in
cui la P.A. ha l’obbligo di protezione dell’affidamento del privato sulla legittimità
dell’azione amministrativa.
La tesi secondo la quale la responsabilità della P.A. per lesione di interessi
legittimi è responsabilità da contatto sociale qualificato ricorre allo schema della
responsabilità contrattuale. In base a questa ricostruzione sarebbe possibile
concedere il risarcimento del danno a prescindere dalla spettanza del bene della
vita, attribuendo autonomo rilievo risarcitorio alla violazione dell’obbligo di
protezione. La tutela riguarderebbe una posizione soggettiva strumentale al
conseguimento del bene della vita. A questa tesi si oppone che la lesione
riguarda il bene della vita e non l’interesse al rispetto delle regole
procedimentali. Il legislatore valorizza l’aspetto sostanziale dell’interesse
legittimo, sicché la teoria del contatto sociale qualificato non trova spazio.
Con gli artt. 29, 33 e 34 del D. L.vo n. 80/1998 è stata compiuta dal legislatore una
decisa scelta nel senso del superamento del tradizionale sistema del riparto della
giurisdizione in riferimento alla dicotomia diritto soggettivo-interesse legittimo, a
favore del-la previsione di un riparto affidato al criterio della materia.
La disciplina introdotta dal D.L.vo n. 80/1998 incide in modo si-gnificativo sul
tema della risarcibilità degli interessi legittimi, sia sotto il profilo strettamente
processuale, concernente il riparto delle competenze giurisdizionali, sia sotto il
profilo sostanziale, in quanto coinvolge il generale tema dell'ambito della
responsabili-tà civile ex art. 2043 c.c.
La lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro
interesse (non di mero fatto ma) giuridica-mente rilevante, rientra nella fattispecie
della responsabilità aquiliana solo ai fini della qualificazione del danno come ingiusto.
Ciò non equivale certamente ad affermare la indiscriminata risarcibilità degli
interessi legittimi come categoria generale. Potrà infatti pervenirsi al
risarcimento soltanto se l'attività illegittima della P.A. abbia determinato la
lesione dell'interesse al bene della vita al quale l'interesse legittimo, secondo il
concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta
merite-vole di protezione alla stregua dell'ordinamento. In altri termini, la lesione
dell'interesse legittimo è condizione necessaria, ma non sufficiente, per accedere alla
tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., poiché occorre altresì che risulti leso, per effetto
dell'attività ille-gittima (e colpevole) della P.A., l'interesse al bene della vita al quale
l'interesse legittimo si correla, e che il detto interesse al be-ne risulti meritevole di
tutela alla luce dell'ordinamento positivo.
Per quanto concerne gli interessi legittimi oppositivi, potrà ravvisarsi danno
ingiusto nel sacrificio dell’interesse alla conservazione della situazione di
vantaggio conseguente all'illegittimo esercizio del potere; così confermando, nel
risultato al quale si perviene, il precedente orientamento, qualora il detto in-
teresse sia tutelato nelle forme del diritto soggettivo, ma ampliandone la portata
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nell'ipotesi in cui siffatta forma di tutela piena non sia ravvisabile e tuttavia
l'interesse risulti giuridica-mente rilevante nei sensi suindicati.
Circa gli interessi pretensivi, la cui lesione si configura nel caso di illegittimo
diniego del richiesto provvedimento o di ingiustificato ritardo nella sua adozione,
dovrà invece vagliarsi la consistenza della protezione che l'ordinamento riserva
alle istanze di ampliamento della sfera giuridica del pretendente.
Valutazione che implica un giudizio prognostico, da condurre in riferimento alla
normativa di settore, sulla fondatezza o meno della istanza, onde stabilire se il
pretendente fosse titolare non già di una mera aspettativa, come tale non
tutelabile, bensì di una situazione suscettiva di determinare un oggettivo
affidamento circa la sua conclusione positiva, e cioè di una situazione che,
secondo la disciplina applicabile, era destinata, secondo un criterio di normalità,
ad un esito favorevole, e risultava quindi giuridicamente protetta.
Qualora sia stata dedotta davanti al giudice ordinario una domanda risarcitoria
ex art. 2043 c.c. nei confronti della P.A. per illegittimo esercizio della funzione
pubblica, il detto giudice, onde stabilire se la fattispecie concreta sia o meno
riconducibile nello schema normativo delineato dall'art. 2043 c.c., dovrà
procedere, in ordine successivo, a svolgere le seguenti indagini:
a) in primo luogo, dovrà accertare la sussistenza di un evento dannoso;
b) procederà quindi a stabilire se l'accertato danno sia qualificabile come danno
ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per
l'ordinamento, che può essere indifferentemente un interesse tutelato nelle
forme del diritto soggettivo (assoluto o relativo), ovvero nelle forme
dell'interesse legittimo (quando, cioè, questo risulti funzionale alla protezione di
un determinato bene della vita, poiché è la lesione dell'interesse al bene che
rileva ai fini in esame), o altro interesse (non elevato ad oggetto di immediata
tutela, ma) giuridicamente rilevante (in quanto preso in considerazione
dall'ordinamento a fini diversi da quelli risarcitori, e quindi non riconducibile a
mero interesse di fatto);
c) dovrà inoltre accertare, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei noti
criteri generali, se l'evento dannoso sia riferibile ad una condotta (positiva o
omissiva) della P.A.;
d) provvederà, infine, a stabilire se il detto evento dannoso sia imputabile a dolo
o colpa della P.A.; la colpa (unitamente al dolo) costituisce infatti componente
essenziale della fattispecie della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.; e non
sarà invocabile, ai fini dell'accertamento della colpa, il principio secondo il quale
la colpa della struttura pubblica sarebbe in re ipsa nel caso di esecuzione
volontaria di atto amministrativo illegittimo.
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