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821
Versione per violoncello e pianoforte
La Sonata D 821 dunque un'opera di circostanza; non sfiora nemmeno i vertici dei capolavori coevi, e tuttavia sprigiona un fascino sottile ma sicuro, avvalendosi
anzitutto della straordinaria invenzione lirica che contraddistingue la musica strumentale dell'ultimo Schubert. Se la cifra prevalente della sonata una soffusa
malinconia, la scrittura mira a valorizzare in uguale misura quelle che dovevano essere le risorse espressive dell'arpeggione, la cantabilit (specie nel registro tenorile
e contraltile) e l'agilit virtuoslstica. Il relativo disimpegno formale si coglie nell'architettura in tre anzich in quattro movimenti (il secondo e il terzo concatenati l'uno
all'altro senza soluzione di continuit) e nella struttura sostanzialmente classica che evita le caratteristiche sperimentazioni formali dell'ultimo Schubert.
L'Allegro moderato iniziale naturalmente in forma di sonata. L'Esposizione si apre con il primo tema, in la minore, intensamente lirico e malinconico: il pur
fluente decorso melodico segnato da una gestualit sospirosa e quasi singhiozzante, alla quale contribuiscono frequenti cromatismi. Incomincia a suonare il tema,
come in una sorta di introduzione, il pianoforte solo; quando passa al violoncello, il tema ampliato con un periodo che porta progressivamente lo strumento verso il
registro acuto sinch, dopo un crescendo, il tema si spegne su un lungo la acuto, in pianissimo. Dopo le pause che segnano una cesura, la breve transizione ha
piglio declamatorio e conduce al secondo tema, in do maggiore. Capriccioso e virtuosistico, il tema del violoncello si spinge sino a un mi bemolle sovracuto, ma
conosce poi un epilogo pi morbido e cantabile, contraddistinto dalla tipica oscillazione schubertiana tra minore e maggiore, che serve a concludere l'Esposizione.
Segue la ripetizione dell'intera Esposizione.
Lo Sviluppo si apre proponendo una variante, in fa maggiore, del primo tema, condotta inizialmente dal pianoforte, e prosegue con una variante, in re minore, del
secondo tema. Successivamente, la polarizzazione dell'armonia di dominante della tonalit d'impianto di la minore, che prepara la Ripresa, comporta la ripetizione di
incisi melodici che ruotano intorno alla nota mi. Quanto alla Ripresa, essa ricalca fedelmente l'Esposizione: ecco il primo tema, in la minore, la transizione e il
secondo tema, ora in la maggiore, fino a quando la trasognata coda ricorre a sospirosi incisi del primo tema che imprimono alla chiusa del movimento un passo in
rallentando; il generale diminuendo si spegne su un lungo la sovracuto del violoncello, prima dei due bruschi accordi conclusivi in fortissimo.
Il conio e disegno liederistico dell'Adagio subito evidente nel tema in mi maggiore: tre battute di introduzione e attacca il disteso e lirico canto del violoncello
sostenuto dal legato del pianoforte. Nella prosecuzione il caratteristico chiaroscuro schubertiano di minore e maggiore pare offuscare la tersa limpidezza del tema:
ciascuno dei due periodi inizia in mi minore per concludersi in mi maggiore. Di qui si giunge all'epilogo: lunghe note tenute del violoncello sul semplice
accompagnamento accordale del pianoforte confermano la tonalit di mi maggiore; la transizione al movimento successivo affidata a quattro battute di cadenza del
violoncello solo.
L'Allegretto finale in forma di rond. Il lirico ed amabile tema principale, in la maggiore, si articola in tre sezioni (iniziale, mediana e conclusiva). Uno stacco
netto e una pausa separano il tema del primo episodio, in re minore, vivacemente virtuosistico e di carattere ungherese: la riconduzione frenata da un triplice
ritardando. Ritorna il tema principale, in la maggiore, ed quindi la volta del secondo episodio, in mi maggiore, di eleganza disinvolta e quasi salottiera; l'episodio
prosegue poi in una sezione divagante nella quale viene chiamato in primo piano il pianoforte. Al ritorno del primo episodio, ora in la minore, succede la definitiva
ricomparsa del tema principale, in la maggiore.
Cesare Fertonani
Tale Sonata, composta probabilmente da Schubert su richiesta di Schuster ubbidisce allo schema classico in tre movimenti, improntati ad una linea
schiettamente melodica e di estrema eleganza. Il primo tempo (Allegro moderato) ha un andamento piacevole e leggermente malinconico; il tema annunciato dal
pianoforte ritorna pi volte e viene variato con spunti virtuosistici dalla viola, il cui suono si dispiega in una serie di modulazioni carezzevoli tra il maggiore e il minore.
L'Adagio nella tonalit di mi maggiore intriso di un lirismo dolce e morbido, molto contenuto nella sua cantabilit. L'Allegretto finale un ritmo di danza viennese in
tempo di rond; il divertissement imbevuto delle caratteristiche armonie schubertiane ed ha il sapore fragrante di una musica casalinga e suonata per pochi
intimi, all'insegna della pi schietta e cordiale amicizia.
Anche se l'editore Johann Peter Gotthard, curatore della prima edizione della Sonata, apparsa nel 1871 a Vienna in una versione riveduta, riusc a ricostruire in
modo pi che corretto le vicende relative alla genesi e alla destinazione originaria del brano, per alcuni studiosi l'arpeggione continu a costituire una sorta di mistero:
mentre la prima edizione del Grove's Dictionary of Music and Musicians, ad esempio, pubblicata nel 1879, riprendeva le informazioni riportate da Gotthard, il
Dictionnaire des Instruments de musique di Jacquot, del 1886, ignorava completamente l'arpeggione.
Nella prefazione alla Sonata Gotthard spiegava che il misterioso termine di "arpeggione" era praticamente sinonimo di "guitarre-violoncell" (chitarra-violoncello),
"Bogen-guitarre" (chitarra ad arco) e "guitarre d'amour" (chitarra d'amore), tutti nomi differenti, ma pi conosciuti, per indicare uno stesso strumento, costruito a
Vienna nel 1823 dal liutaio Johann Georg Staufer e utilizzato dal chitarrista Vincenz Schuster per un'esecuzione pubblica della Sonata schubertiana.
Si trattava, in sintesi, di uno strumento ad arco a 6 corde, simile alla chitarra per forma e accordatura, ma che veniva suonato come un violoncello, di cui aveva le
dimensioni. Nell'intenzione dei suoi costruttori questo strumento avrebbe potuto dare nuove possibilit sia ai chitarristi, sia ai sostenitori dell'antica e gi obsoleta viola
da gamba, ma nonostante i loro sforzi e quelli di Schuster (che pubblic anche un metodo introduttivo al nuovo strumento e commission la Sonata a Schubert) nel
giro di una decina d'anni l'arpeggione - o meglio, la chitarra-violoncello - scomparve completamente dalla scena musicale, rimanendo un misterioso oggetto da
museo, di cui oggi si, conservano solo tre esemplari a Lipsia, Berlino e Salisburgo. Qualche anno fa lo strumento conservato a Berlino - probabilmente opera di Anton
Mitteis, allievo di Johann Georg Staufer - stato utilizzato per un'incisione discografica della Sonata schubertiana, realizzata da Klaus Storck e Alfons Kontarsky. A
parte questa speciale esecuzione filologica, la Sonata per arpeggione e pianoforte viene generalmente eseguita sul violoncello.
Rimane un ultimo dubbio, nei misteri relativi a questa Sonata e al suo modo di eseguirla, al quale nessuno ancora riuscito a dare una risposta di assoluta
certezza: corne mai stato impiegato il termine, a quanto pare coniato ex novo, di "arpeggione" e non quello di "chitarra-violoncello" o un altro di quelli con i quali
veniva indifferentemente indicato questo strumento?
Scritta abbastanza rapidamente nel novembre del 1824 su richiesta di Vincenz Schuster, la Sonata in la minore per arpeggione e pianoforte D. 821 fu strutturata
da Schubert in tre soli movimenti - un ampio Allegro moderato dolcemente malinconico, seguito da un breve Adagio in mi maggiore che sfocia direttamente
nell'Allegretto conclusivo, un rond in la maggiore - concepiti in modo da dare il massimo risalto possibile alla cantabilit dello strumento ad arco, relegando il
pianoforte al ruolo di accompagnatore.
Carlo Cavalletti
(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 144 della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del concerto dell'Accademia di santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 23 marzo 1984
(3) Testo tratto dal programma di sala del concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 6 aprile 1995
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