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Medea: da eroina tragica a caso sociale

Nella trag. greca non ci sono i malvagi. Non vi si chiarisce una responsabilit, si constata un fatto
-un destino. Cos, in una nota del Diario del 12 gennaio 19461, Cesare Pavese, che proprio in quel
periodo aveva iniziato la stesura dei Dialoghi con Leuc2.
La riflessione pavesiana, che presuppone un lungo e laborioso percorso di studio e ricerca sul mito
greco e sui testi classici, in particolare sui tragici e Platone 3, mi sembra meritevole di ulteriore
approfondimento, specie in relazione al tema -da sempre controverso, tremendo e affascinante al
tempo stesso- di Medea. L'enunciato di Pavese si presta, quanto meno, a due ordini di
considerazioni: una, di carattere storico-antropologico, il riconoscimento dello status nobile ed
elevato di tutti i personaggi del mito classico, che possono s incorrere in atti di hybris e quindi
meritare la punizione divina, ma sono anche capaci di atti eccezionali ed 'eroici', sia nel senso del
coraggio e della fermezza nell'azione, sia in quello della metis o astuzia. Emblematica la saga dei
Tantalidi, in cui tutti i membri della famiglia scontano in qualche modo la hybris del capostipite, reo
di avere tentato di ingannare gli di imbandendo loro le carni del figlioletto Pelope. L'intera stirpe si
macchia di crimini spaventosi, ma i delitti dei singoli personaggi sono, a loro volta, conseguenza di
altre efferatezze precedentemente commesse da altri membri della famiglia. Se Clitennestra, con la
sua personalit grandiosa e terribile, domina la scena eschilea, non si possono d'altronde
sottovalutare le rivendicazioni di Egisto, il quale, alla vista del cadavere di Agamennone, si dichiara
pronto a morire, ora che si compiuta la vendetta nei confronti del figlio di Atreo, colpevole di
avere imbandito al fratello Tieste le carni dei figli e di averlo esiliato assieme all'unico figlio
superstite, lo stesso Egisto ancora in fasce (Agamennone 1577-1611); n si dimentichi che Atreo e
Tieste, prima di entrare in conflitto fra di loro, si erano macchiati, per ragioni dinastiche,
dell'uccisione del fratellastro Crisippo.
Ma esiste anche un altro tipo di approccio al problema, questa volta di ordine formale e strutturale:
la creazione del villain resa possibile dall'uso di una forma di espressione prevalentemente
narrativa. Un'opera letteraria strutturata sotto forma di racconto (poema epico, poemetto epico-
lirico e, pi tardi, romanzo) offre all'autore la possibilit di caratterizzare i suoi personaggi in
positivo o in negativo, in rapporto alle proprie esigenze e alle aspettative di committente e pubblico.
In particolare, la fiaba, genere per tradizione 'popolare' e moraleggiante, ha la prerogativa di creare
personaggi emblematici e (a differenza del mito) totalmente fittizi, con una contrapposizione netta
fra protagonista 'buono' e antagonista malvagio, peripezie prevedibili e riconducibili a una serie di
stereotipi (le 'funzioni' di Propp) e conclusioni edificanti. Paradossalmente, anche la storiografia,
specie se fortemente schierata e propensa a fare uso di strumenti retorici, tende a generare 'mostri',
in particolare figure di tiranni capaci delle pi atroci e spesso gratuite malvagit, fino alla ben nota
demonizzazione di alcuni imperatori romani4.
La tragedia, sia per i suoi contenuti, legati alla sfera del mito che, almeno agli inizi, ancora
investita di un'aura sacrale, sia per la sua struttura basata sul dialogo e quindi anche sul
contraddittorio, obbliga il poeta ad affrontare tutte le ambiguit e i chiaroscuri del mito, in cui
raramente si incontrano personaggi totalmente innocenti, e anzi il torto non mai da una parte sola.
Le vicende dei personaggi si dipanano attraverso le parole che essi stessi pronunciano sulla scena,
di fronte al coro cui spesso si rivolgono proprio per esprimere il proprio punto di vista e difendersi
dalle accuse.
Se prendiamo in considerazione il mito degli Argonauti, constatiamo che anche in questo caso le
possibili letture sono molteplici. Tuttavia le fonti, che sono prevalemente di genere epico o epico-
lirico (come la quarta Pitica di Pindaro e le Argonautiche di Apollonio Rodio) tendono a fare di
Giasone l'eroe 'positivo', collocando in cattiva luce lo zio e usurpatore Pelia. Eppure, perfino l'infido

1 C. Pavese, Il mestiere di vivere. Diario 1935.1950, edizione condotta sull'autografo a cura di M. Guglielminetti e L.
Nay, introduzione di C. Segre, Torino, Einaudi, 2000, 306.
2 Cfr. la nota del 1 gennaio 1946 scoperta una nuova forma che sintetizza molti filoni (il dialogo di Circe (ibidem).
3 Cfr. G. Brberi Squarotti,
4
fratellastro di Esone ha valide ragioni di risentimento nei confronti della propria famiglia. Figlio di
Tiro e di Poseidone, Pelia viene abbandonato alla nascita assieme al gemello Neleo, ma, anche se il
poeta dell'Odissea colloca i due fratelli sullo stesso piano, chiamandoli forti ministri di Zeus e
attibuendo all'uno il dominio su Iolco, all'altro quello su Pilo (XI 255-257), da altre testimonianze
sappiamo che Pelia, sfregiato ancora infante da una giumenta, rimane per tutta la vita un 'segnato'.
Poich il padre putativo, Creteo, nomina come successore il figlio legittimo Esone, Pelia detronizza
quest'ultimo e ne uccide i figli, tranne Giasone, che viene messo in salvo dalla madre e inviato al
centauro Chirone. Da questo momento, la contesa fra i due personaggi per il trono di Iolco diventa
ossessiva: Giasone ritorna, ventenne e bellissimo, come lo descrive Pindaro nella quarta Pitica, ma
Pelia, che da un oracolo sa di doversi guardare dal nipote, gli ordina di andare alla ricerca del Vello
d'Oro, reliquia di famiglia in quanto appartenuto a Frisso, figlio di Atamante e nipote di Creteo.
Pelia sa che si tratta di un'impresa impossibile e punta sul disastro della spedizione, cui pure
partecipano i pi famosi eroi del tempo, tra cui Peleo, Telamone, Laerte, Orfeo, nonch Argo figlio
di Frisso. Ma quello che Pelia non pu sapere che nella selvaggia Colchide Giasone incontrer
Medea, figlia del re Eeeta e nipote del dio del Sole. Una principessa di stirpe divina, bella e sapiente
e in grado di contare sull'aiuto di un'altra figura femminile di eccezione: la maga Circe, a sua volta
figlia del Sole e sorella di Eeeta.
L'amore di Medea per Giasone, ignorato da Omero, che pure mostra di conoscere la saga (Odissea
XII 69-72), acquista rilievo in Pindaro, che riconosce nell'eroina l'assassina di Pelia (Pitica IV
250 Peliaophnon): ruolo essenziale ai fini della risoluzione dell'antica faida familiare, ma non
decisivo per i destini della coppia, che anzi dovr allontanarsi da Iolco e trovare rifugio a Corinto.
Anche Apollonio Rodio, che pure d il massimo rilievo alla passone amorosa di Medea e alle azioni
crudeli che ella compie in nome del suo amore totalizzante, chiude il suo racconto con il ritorno a
Iolco, evitando di narrare gli eventi successivi, che mettono duramente in crisi lo status eroico di
Giasone.
A Iolco, infatti, Giasone, lo splendido e valoroso giovane descritto da Pindaro, inizia a dare
inequivocabili segni di debolezza e inettitudine5. Consegna il vello d'oro a Pelia rivendicando la
restituzione del trono, ma di fronte al secco diniego dello zio, non trova di meglio che ricorrere alla
arti magiche di Medea. Quest'ultima riesce a provocare la morte di Pelia convincendo le di lui figlie
a compiere nei confronti del padre un falso rituale di ringiovanimento. Rituali di questo genere, si
sa, possono riuscire o non riuscire, e non sempre la colpa di chi li esegue. I tentativi (postomerici)
di Teti di rendere immortale il figlio Achille falliscono, e l'eroe resta vulnerabile, almeno fino
all'Achilleide di Papinio Stazio6. Ma Teti sicuramente in buona fede, a differenza di Medea, che,
riconosciuta colpevole del delitto, viene cacciata da Iolco insieme con Giasone, suo complice. Ad
allontanarli Acasto, figlio di Pelia, che ha l'appoggio del popolo: le aspirazioni di Giasone al trono
di Iolco vengono dunque vanificate per sempre. Alla coppia non resta che prendere la strada
dell'esilio verso Corinto.
Ed proprio Corinto lo scenario pi imbarazzante, quello in cui la figura di Giasone precipita in un
abisso di meschinit, esaltando nel contempo la funesta grandezza di Medea. A Corinto i due
vivono dapprima una stagione d'amore apparentemente serena, allietata dalla nascita di due figli.
Senonch, mentre Medea un'eroina illustre quanto a stirpe, ma straniera e malfamata a causa delle
sue esiziali arti magiche, Giasone viceversa un eroe greco, ancora assillato dalla brama di quella
'regalit' che la patria Iolco non gli aveva mai concesso. Ma Creonte, re di Corinto, privo di figli
maschi, promette la propria figlia in sposa a Giasone, assicurando cos all'eroe la successione al
trono. Giasone, in nome della 'ragion di stato', abbandona Medea: questa condannata all'esilio da
Creonte, timoroso di vendette, e anche la sorte dei figli molto incerta, in quanto il re appare
intenzionato ad allontanarli insieme con la madre.
Su questi presupposti si dipana, nella sua spiazzante terribilit, la tragedia di Euripide. La versione

5 Questa parte della saga nota soprattutto attraverso Ovidio, Metamorfosi VII 297-349, nonch [Apollodoro] I 9,27.
6 Cfr. Papinio Stazio, Achilleide I 269s., 480s. Sull'argomento, si veda da ultimo E. Cavallini, In the Footsteps of
Homeric Narrative. Anachronism and Other Supposed Mistakes in Troy, in M. M. Winkler (ed.), Return to Troy.
New Essays in Hollywood Epic, Leiden-Boston, Brill, 77.
del poeta ateniese, sebbene destinata a rimanere nei secoli praticamente unico punto di riferimento
per le innumerevoli riletture e rivisitazioni del mito, non tuttavia l'unica nella grecit antica.
L'epica minore ne aveva proposto almeno altre due varianti, una di Creofilo di Samo (VII secolo)
nella Presa di Ecalia, l'altra di Eumelo di Corinto (VI secolo) nei Canti Corinzi. Secondo il primo,
Medea avrebbe ucciso Creonte con del veleno e, temendo la vendetta dei congiunti, sarebbe fuggita
ad Atene, lasciando i figli, troppo piccoli per seguirla, sull'altare di Hera Akraia, nella speranza che
il padre se ne occupasse; gli sgherri di Creonte avrebbero per ucciso i figli e accusato la madre del
delitto. interessante notare che questo racconto, riportato dallo scolio a Euripide, Medea 264 (=
Creofilo fr. 9 Bernab), ritorna, in alternativa alla versione euripidea, nello Pseudo-Apollodoro (I
9,28), evidentemente restio ad accogliere la troppo cruda variante del tragediografo. Secondo
Eumelo, chiamato in causa da Pausania 2,3,10s. nonch dagli scolii a Euripide, Medea 9 e a
Pindaro, Olimpica 13,74 g (=fr. 5 Bernab), Medea avrebbe assicurato a Giasone il trono di Corinto
liberando gli abitanti della citt da una carestia; poi, essendosi ingraziata Hera col sottrarsi alle
profferte amorose di Zeus, avrebbe nascosto i figli neonati nel santuario della dea nella speranza di
renderli immortali, ma, a causa del fallimento dell'incantesimo, sarebbe stata abbandonata da
Giasone.
La tradizione epica minore dunque piuttosto eufemistica riguardo alla morte dei figli di Medea,
che comunque, con i suoi sinistri rituali di interramento dei neonati, rivela alcuni tratti di antica
sacerdotessa di Hera Akraia, quale del resto ella stessa si autoproclama nel finale della tragedia di
Euripide, allorch annuncia di voler istituire riti in onore dei figli defunti. Il figlicidio in senso
stretto, come gesto estremo di punizione dell'adikia di Giasone, da molti considerato
un'innovazione di Euripide7: a favore di tale ipotesi, si cita la notizia, riportata da Parmenisco 8,
secondo cui il tragico sarebbe stato pagato dai Corinzi per addossare il loro delitto alla donna
straniera, ma la diceria non merita credito in quanto non verosimile che il tragico ateniese, alla
vigilia della guerra del Peloponneso, portasse sulla scena una pice costruita in modo da compiacere
i Corinzi, alleati di Sparta.
Nella sua inflessibile determinazione, comunque, la Medea di Euripide rivela tutta la sua grandezza
di eroina tragica. Ella non compie l'atroce gesto con freddezza, ma dopo avere vinto dentro di s
l'amore materno. Medea ama i figli, e sa che trascorrer il resto dei suoi giorni a piangerli: ma al
momento, il disegno del fato esige la loro morte perch la punizione di Giasone sia completa e
l'onore dell'eroina vendicato. Medea, pur se considerata barbara, ragiona in realt come una Greca,
anzi come gli eroi dell'epica greca arcaica: come Achille, come Aiace, per i quali la morte
preferibile al disonore. Questa concezione risulta ben compresa e rispecchiata in una delle
trasposizioni cinematografiche della tragedia classica, la Medea di Lars von Trier (1988, da una
sceneggiatura di Carl Theodor Dreyer), che fra l'altro introduce un'importante innovazione
affidando un ruolo attivo al bambino pi grande, talmente consapevole dell'ineluttabilit degli
eventi da aiutare la madre a uccidere il fratellino e poi impiccarsi da solo.
Ma a fronte di una Medea eroina tragica, alcune moderne rivisitazioni del mito presentano invece
il figlicidio dela protagonista come conseguenza del degrado sociale, della miseria e dell'ignoranza.
La prima interpretazione in questo senso della figura di Medea probabilmente rappresentata dal
romanzo La Medea di Porta Medina (1862?)9 dello scrittore napoletano Francesco Mastriani (1819-
1891).Generalmente trascurato dagli studiosi del mito classico 10, forse perch appartenente al filone
dei romanzi 'd'appendice', il libro merita di essere pi attentamente considerato in quanto traspone il
mito classico, per sua stessa natura popolato da dei, eroi, re e principi, fra le classi subalterne della
Napoli di fine '700, ispirandosi a un caso di cronaca nera risalente appunto a quel periodo. Coletta
Esposito, abbandonata in fasce nella ruota degli esposti della Real Santa Casa dell'Annunziata,
costretta alla dura vita delle orfane, per lo pi destinate a prendere i voti, a meno che non si
7 Diversamente W. Burkert, Greek Tragedy and Sacrifical Ritual, GRBS 7, 1966, 118s. e n. 71, ritiene che in
origine il mito riconoscesse la sola Medea come assassina dei figli, e che le altre varianti siano nate per gustificare
la presenza, a Corinto, di rituali espiatori in onore di Hera Akraia.
8 Cfr. scolio a Euripide, Medea 9.
9 Pubblicato postumo nel 1915.
10 Si veda tuttavia D. Susanetti, Favole antiche: mito greco e tradizione letteraria europea, Roma, Carocci, 2005, 232.
presentasse l'opportunit di un matrimonio, che il Conservatorio dell'Istituto, mediante lo
stanziamento di una dote, rendeva possibile per consentire l'avvicendamento delle esposte. Secondo
un costume antichissimo, rimasto in vigore molto a lungo, le ospiti della Casa, fra cui Coletta,
vengono allineate in doppia fila nel cortile e sottoposte all'attenzione di alcuni uomini celibi che per
un voto fatto alla Madonna, o per qualche altro motivo, avevano espresso l'intenzione di chiedere
qualcuna di loro in sposa. Sebbene le ragazze non fossero costrette ad accettare come marito
qualsiasi uomo, eventualmente troppo anziano o deforme, tuttavia raramente rifiutavano, essendo
l'alternativa il 'Serraglio', ossia il Real Albergo dei Poveri. Cos Coletta, costretta a sposarsi col
vecchio usuraio Nunzio Pagliarella, fugge presso un giovane scritturale della Nunziata, Cipriano
Barca, di cui innamorata, lo circuisce e ha da lui una figlia. Quando Cipriano decide di sposare
Teresa, una ragazza di buona famiglia, Coletta uccide la bambina e ne getta il corpo esanime ai
piedi degli sposi, nella chiesa ove si celebrano le nozze. Condannata a morte, apostrofa per l'ultima
volta il suo uomo con un'oratoria degna di un abile avvocato, quindi conclude la sua esistenza sul
patibolo:

-Senti, Cipriano- disse la donna, che avea smesso il ghigno d'ironia. -Io so che voi altri uomini
siete tutti scellerati e infami; so che, quando avete disfogata la vostra libidine con una donna,
costei vi cade dal cuore, e sia pure la madre delle vostre creature. So che noi altre donne non
troviamo difesa, perch voi altri uomini fate le leggi; e, quando una povera sedotta grida contro
lo scellerato abbandono del suo seduttore, si risponde: "E perch si lasciata sedurre?". So che
quando una donna caduta dal cuore di un uomo, non ci forza umana che gliela possa far
rientrare. So che il chiodo nuovo scaccia il vecchio, e su la fronda che cade dal ramo nasce la
gemma novella. Tutto questo io so....-
Durante la notte fu apparecchiato il patibolo.
Un silenzio di tomba accolse l'arrivo della condannata, che, vestita di nero, con la parola Empia
in lettere rosse sul petto, era stata con una corda al collo strascinata dal carnefice al luogo del
supplizio.
Coletta avea rifiutato il confessore ed ogni altra spirituale assistenza.
Con la testa alta, con lo sguardo procace, con passo fermo sal sul patibolo, volgendo intorno a
s occhi terribili......Tre rulli di tamburo si fecero udire....Poi la mannaia si alz, e ricadde.
Il carnefice mostr alla stupita moltitudine la testa della Medea di Porta Medina. Giustizia era
fatta!11.

In una situazione di degrado e squallore ancora pi esasperati ambientato un film del 2000, del
regista messicano di origini ebraiche Arturo Ripstein, As es la vida, questa volta basato non sulla
Medea di Euripide ma su quella, particolarmente efferata, di Seneca 12. Medea, che nel film si
chiama Julia, vive nei bassifondi di Citt del Messico,in uno scalcinato edificio dove pratica aborti
clandestini e medicina popolare condita di magia da quattro soldi in uno sporco e buio scantinato,
incredibilmente definito 'ambulatorio'13. Il Giasone di turno Nicolas, un pugile di bassa lega, che,
dopo avere avuto da Julia due figli, si accinge a sposare Raquel, figlia del boss del quartiere, il
quale si prende anche la briga di far cacciare Julia dal condominio. Al di l della denuncia sociale,
l'aspetto pi caratteristico del film il senso di straniamento e alienazione che il regista riesce a
trasmettere riproducendo con linguaggio moderno alcuni elementi strutturali tipici del teatro antico.
Cos il Coro, escluso da Lars Von Trier (ma gi da Pasolini nella sua Medea del 1969), viene invece
reintrodotto da Ripstein, ma in modo surreale, attraverso l'apparizione, all'interno di televisori
ossessivamente presenti e funzionanti, di immagini e personaggi che alludono alle vicende di Julia
e le commentano. E poich la protagonista non ha n l'astuzia n i mezzi necessari per uccidere

11 F. Mastriani, La Medea di Porta Medina (Ottocento Italiano), a cura di R. Reim, Roma, Lucarini, 1988, 283s.
12 Cfr. R. M. Danese, Tre Medee sullo schermo, in La nuova Musa degli eroi. Dal mythos alla fiction, a cura di A.
Camerotto, C. De Vecchi, C.Favaro, Treviso, Arti Grafiche Zoppelli, 2008, 61-66.
13 Cos Danese,op. cit.,62.
veramente la rivale e il padre di questa, il suo desiderio di vendetta si trasforma in una specie di
sogno, presentato sotto forma di reportage televisivo. Reale e raccapricciante invece l'uccisione
dei due figli, che segue meticolosamente il copione senecano: Julia dapprima massacra in casa il
maschietto, poi, facendosi seguire dalla femmina, trasporta il cadavere del bimbo in cima alla scala
che conduce dal balcone al cortile. Quando Nicolas attraversa il cortile, giungendo alla base della
scala, Julia gli mostra il cadavere del figlio indi uccide la figlia sotto ai suoi occhi, riproducendo
cos la sequenza e la prospettiva di Seneca. Il culmine dell'orrore e del raccapriccio viene raggiunto
mrdiante il (ri)utilizzo delle strategie comunicative antiche, opportunamente adeguate alle esigenze
del linguaggio cinematografico moderno.
In un contesto diverso, ma non meno rilevante sul piano delle problematiche socieli (e, nello
specifico, socio-sanitarie) la tragedia in due parti Medea magiara (Magyar Mdea, 1978)14 di
rpd Gncz, uomo politico, scrittore e Presidente dell'Ungheria dal 1990 al 2000. Questa volta la
protagonista, Mdea Dek -Jasz, non appartiene al sottoproletariato, anzi di buona famiglia (il
padre, originario della Stiria, era un ufficiale di Francesco Giuseppe), ha una certa cultura (legge
libri di psicologia), ingegnere chimico e collaboratrice scientifica. Sposata da 25 anni con
Andreas Jasz, docente universitario e funzionario di partito da cui ha avuto un figlio ora
diciassettenne, ha appena firmato le carte per il divorzio: il marito, infatti, intende risposarsi con la
venticinquenne Cristina, figlia di un alto dirigente che pu influire sulla sua carriera accademica e
fargli conseguire due brevetti mondiali.
Tornata a casa, Medea sfoga la sua rabbia e la sua delusione in un lungo monologo, alternato ad
alcune telefonate e alla lettura di missive vecchie e recenti. Sino all'apparizione finale del
Poliziotto, sulla scena, oltre a Medea, presente solo il Coro, che si limita a commentare i fatti
senza in alcun modo contribuire a modificarne lo svolgimento.
Probabilmente ispirata al fortunato monologo teatrale La voce umana di J. Cocteau (1930), cavallo
di battaglia di molte grandi attrici, fra cui Anna Magnani nel film L'amore di Roberto Rossellini
(1948), la pice di Gncz ha l'indubbio merito di tenere desta l'attenzione del lettore/spettatore,
soprattutto se quest'ultimo un classicista desideroso di cogliere i continui e precisi riferimenti
intertestuali al modello euripideo. Ci che l'autore vuole dimostrare, credo, che il dramma di una
donna abbandonata dal proprio uomo, specie dopo un rapporto durato molti anni e con uno o pi
figli di mezzo, sempre terribile da affrontare in ogni epoca e in qualsiasi contesto sociale, n
importa se il padre della giovane rivale sia un re o un alto dirigente del Magyar Kommunista Prt,
se la posta in palio sia un regno o una brillante carriera universitaria. E come in ogni epoca, una
separazione fra coniugi pu avere ripercussioni molto spiacevoli per quello dei due che non accetta
di buon grado la nuova situazione: se all'eroina di Euripide Creonte comminava l'esilio, a questa
moderna Medea viene consigliato, anzi imposto, un trasferimento 'temporaneo' nella Germania
Federale.
Gncz si dimostra, dunque, piuttosto abile nell'adattare l'intreccio euripideo alle esigenze della
nuova storia. Rimane tuttavia un imoprtante problema: si vuole fare anche di questa nuova Medea
un'assassina e una figlicida? La risposta dell'autore no: la sua Medea una donna educata e
civile, non una povera mammana avvezza a vivere in un clima di delinquenza abituale come la Julia
di Ripstein. Ma allora, che cosa fa scattare la tragedia? La dipendenza da alcol e psicofarmaci. I
cassetti della casa di Mdea Dek -Jasz traboccano di tranquillanti e grappa. La donna, lungo
tutto l'arco della pice, mescola in continuazione gli uni e l'altra e, pi ne assume, pi il suo passo si
fa incerto e i suoi discorsi sconnessi. Arriva a impacchettare un anello di famiglia (la sua famiglia
straniera, devota a Francesco Giuseppe) per mandarlo in regalo a Cristina, ma, evidentemente,
senza l'intento n la possibilit di uccidere la rivale tramite il dono. Brucia alcune vecchie
fotografie in una sorta di macabro rituale. L'idea che la protagonista possa togliersi la vita inizia un
po' alla volta a farsi strada, ma il tempo della messinscena troppo breve perch la decisione

14 La data quella della prima edizione, stampata a Budapest: la prima rappresentazione, sempre a Budapest, del
1976. La traduzione italiana di Giorgio Pressburger del 1991 (Palermo-So Paulo, Renzo e Rean Mazzone Editori,
1991). Per un breve inquadramento dell'opera nel relativo contesto culturale, cfr. Imre Krizs, L'influenza del teatro
antico sulla letteratura del dramma ungherese, RSU n.s. 8, 2009, 23.
maturi. L'autore ricorre cos a una sorta di deus ex machina 'alla rovescia', un imprevisto che,
anzich risolvere la situazione, la fa precipitare. Dopo un vivace alterco telefonico con il figlio, che
si schierato dalla parte del padre, Medea viene a sapere da un Poliziotto che il ragazzo deceduto
in un incidente mentre era alla guida dell'auto della madre. Tutto si conclude con la fatale
ingestione di un'intera boccetta di tranquillanti.
L'accuratezza del lavoro di Gncz confermata dalla peculiare struttura delle sezioni destinate al
Coro: queste, infatti, sono costruite selezionando e assemblando brani tratti dalle parti corali della
tragedia euripidea, che vengono tradotti letteralmente dal greco15. L'opera presenta un certo
interesse anche perch mette in luce alcuni aspetti della vita quotidiana di una parte, in qualche
modo privilegiata, della societ ungherese parecchi anni prima della caduta del Muro di Berlino.
Un percorso interessante, che parte dalla Stiria (terra di origine di Medea), ma apre prospettive
sull'allora Germania Federale. Questi argomenti, tuttavia, esulano dal tema principale del presente
volume.

15 Le presenti note sono condotte sulla traduzione italiana di Pressburger. Mi riprometto di verificare la fedelt del
testo di Gncz a quello di Euripide non appena potr prendere visione dell'originale ungherese. A questo scopo, sono
in contatto con l'Associazione Italo-Ungherese di Bologna.

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