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SEMINARIO DI LETTERATURA ITALIANA (14/12/16)

Pirandello, dal verismo allumorismo

Prima parte: I PRIMI PASSI VERSO LUMORISMO

1. Le premesse dellumorismo pirandelliano

Per Pirandello, autore del Sud e per di pi siciliano, scrivere novelle e romanzi tra la fine
dellOttocento e linizio del Novecento significava dover fare i conti con la grande stagione della
narrativa verista meridionale rappresentata da personalit quali Verga, De Roberto, Capuana.
proprio questultimo, suo amico, a spingerlo a cimentarsi con la prosa, con il romanzo, dal momento
che fino ad allora Pirandello si era concentrato esclusivamente sulla produzione poetica. Ne nasce
lEsclusa, pubblicata a puntate nel 1901 ma composta gi nel 1893 (quando ancora sintitolava Marta
Ajala). Importante per comprendere come gi le premesse dellumorismo pirandelliano fossero gi
presenti nella mente dellautore agrigentino, la lettera indirizzata a Capuana che Pirandello premette
alledizione in volume del 1908. In essa Pirandello sottolinea come la scrittura affatto oggettiva sia
in realt attraversata da una prospettiva umoristica che ne rappresenta, a suo avviso, il fondo pi
nuovo e convincente. Come dire che Pirandello ha costruito un edificio solo per privarlo delle sue
strutture portanti, per minarlo dalle fondamenta, per farlo sbriciolare con un preciso disegno di
corrosione. Nellorganismo che va tratteggiando inserisce il germe della malattia che inesorabilmente
lo distrugger. Visione naturalistica e visione umoristica sono infatti perfettamente contrapposte: se
la prima si fonda su una consistente realt esterna da ritrarre, la seconda invece adotta un punto di
vista doppio, presentando contemporaneamente una cosa e la sua ombra, i pieni e i vuoti. Gi nel
1893, con larticolo Arte e coscienza doggi, Pirandello aveva posto laccento sulla problematicit
del reale e sulla disgregazione di ogni certezza. Potrebbe allora sembrare che Pirandello, gi dalle
prime novelle e dal suo primo romanzo, abbia liquidato il verismo e la visione che ne la base; in
realt nella sua narrazione avvertiamo che qualcosa del verismo rimasto. Pirandello ci dice di odiare
larte simbolica e effettivamente i suoi personaggi appaiono vivi e concreti, cos come
meticolosamente descritti sono gli ambienti allinterno dei quali essi si muovono. Proprio questa
smania di concretezza rappresenta il nucleo irriducibile delleredit verista, coerentemente con la
dichiarazione dellautore di voler essere uno scrittore di cose, e non di parole.

2. Il contrasto tra apparire ed essere gi nellEsclusa

Fin dal primo romanzo pirandelliano, lEsclusa, appare chiaro che nulla pu essere previsto, che
tutto pu succedere; non ci sono ancore sicure, fatti oggettivi a cui correlare giudizi e comportamenti.
Marta Ajala, protagonista del romanzo, sorpresa dal marito a leggere la lettera di un uomo e cacciata
innocente dalla casa coniugale, vi sar poi accettata, e qui agisce lo slittamento umoristico, solo dopo
aver effettivamente commesso quella colpa di cui prima era stata ingiustamente accusata. Non si pu
non rimanere sorpresi dallacume di Pirandello che del contrasto tra apparire ed essere aveva fatto il
grande tema della sua arte fin dallEsclusa.

3. Alla ricerca della propria autenticit con Mattia Pascal

Nellambito dei romanzi, per, con il Fu Mattia Pascal del 1904 che Pirandello inaugura la serie
di personaggi cui affida larduo compito della ricerca della propria autenticit. Ed proprio con il Fu
Mattia Pascal che assistiamo alla nascita del personaggio; difatti il tema del romanzo quello di
unidentit perduta, del dissolvimento della persona, in quanto io empirico ed esistenziale che

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riconoscibile allinterno di una trama di relazione sociali e familiari, ma anche della rinascita come
personaggio, nello spazio che la letteratura viene ad acquistare in sostituzione della vita e con una
nuova durata. La nascita del personaggio levento creativo pi carico di conseguenze per lopera
pirandelliana. Il personaggio pirandelliano non riconoscibile su canoni morali e comportamentali o
su posizioni sociali gerarchicamente definite; non siamo pi di fronte ai caratteri e ai tipi della
letteratura teatrale e romanzesca tradizionale. Nellappendice polemica delledizione del 1921,
Avvertenza sugli scrupoli della fantasia, Pirandello risponde a chi taccia di inverosimiglianza il suo
personaggio, difendendone la natura autentica e credibile:

Credo che non mi resti che congratularmi con la mia fantasia se, con tutti i suoi scrupoli, ha fatto
apparir come difetti reali, quelli cheran voluti da lei: difetti di quella fittizia costruzione che i
personaggi stessi hanno messo su di s e della loro vita, o che altri ha messo su per loro: i difetti
insomma della maschera finch non si scopre nuda.

I termini maschera e nuda, messi assieme, danno vita alla figura retorica dellimpossibilit,
ladynaton, corrispondente per allinconciliabile condizione e allirrisolta conflittualit del
personaggio pirandelliano. Il denudamento della maschera trasforma il simulacro sociale
dellindividualit in un volto che, pur riconoscendosi, continua ad essere deformato nello specchio
degli altri. Ed proprio questa tensione tra lapparire e lessere a costituire il primo nucleo delle molte
drammaturgie del personaggio.
Con il Fu Mattia Pascal Pirandello sceglie un tema anti-romanzesco, quello del personaggio che
deve riconquistare lidentit perduta, staccandosi cos completamente dal romanzo naturalistico.
Presente il tema del doppio, ma di un doppio artificiale, destinato presto a scomparire. Adriano Meis
il nome che Mattia si d dopo aver udito sul treno che lo porta a Torino un uomo parlare del filosofo
positivista Camillo De Meis (da cui il cognome) e il suo interlocutore citare limperatore romano
Adriano (da cui il nome). Ma nel corso della narrazione la precaria e insostenibile finzione di Adriano
Meis si rivela per quella che ; quando Adriano bacia lomonima durante la seduta spiritica egli cessa
di vivere in quanto ombra duomo. Ed ecco che a Mattia simpone la necessit di suicidare anche
quellAdriano Meis. Lo stesso Mattia-Adriano ci dice:

Io non dovevo uccider me, un morto, io dovevo uccidere quella folle, assurda finzione, che
maveva torturato, straziato due anni, quellAdriano Meis, condannato ad essere un vile, un
bugiardo, un miserabile; quellAdriano Meis dovevo uccidere, che essendo, comera, un nome falso,
avrebbe dovuto aver pure di stoppa il cervello, di cartapesta il cuore, di gomma le vene, nelle quasli
un po dacqua tinta avrebbe dovuto scorrere, invece di sangue: allora s! Via, dunque, gi, gi,
tristo fantoccio odioso! Annegato, l, come Mattia Pascal! Una volta per uno! Quellombra di vita,
sorta da una menzogna macabra, si sarebbe chiusa degnamente, cos, con una menzogna macabra!
(p. 547)

Ne possiamo concludere che, se ancora nellEsclusa la disponibilit del romanzo naturalistico a


diventare documento imparziale di qualche situazione umana e sociologicamente determinabile fa
ancora presa su Pirandello, nel Fu Mattia Pascal essa perde definitivamente ogni seduzione.

Seconda parte: IL SAGGIO SULLUMORISMO

1. La pubblicistica giovanile

Tutta lattivit letteraria di Pirandello accompagnata da una coscienza critica dellarte che non si
esaurisce in una professione di poetica individuale. Nella sua pubblicistica giovanile viene pi volte
ribattuto il chiodo del sincerismo, una sorta di programma di letteratura antiretorica che con il

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Discorso su Giovanni Verga del 1920 approder alla distinzione tra scrittori di cose e scrittori di
parole applicata allintera tradizione italiana. E intanto Pirandello puntava la sua attenzione su
esemplari pi o meno rilevanti di letteratura scapigliata e bizzarra che avrebbero favorito la sua
definizione storica di umorismo; si pensi, in particolar modo, alla discussione del 1896 sulla poesia
di Cecco Angiolieri a proposito di uno studio di Alessandro dAncona, da cui prende le mosse per il
suo saggio pi celebre: Lumorismo.

2. Un primo approccio al saggio

Il saggio sullumorismo nasce in circostanze occasionali; difatti nel 1908 Pirandello doveva
affrontare un concorso per diventare professore ordinario presso il Regio Istituto superiore di
Magistero femminile nel quale gi insegnava gi da dieci anni. Aveva dunque bisogno di titoli di
merito in campo accademico, motivo per il quale furono concomitantemente pubblicati, su consiglio
di Giovanni Alfredo Cesareo, il saggio sullUmorismo e la raccolta di saggi Arte e Scienza. Pirandello
era cos chiamato a passare per le vie dellerudizione e della critica pedantesca, ad indossare le vesti
del guardaroba delleloquenza accademico, volendo parlare a mo dellautore. Lelenco delle
pubblicazioni allegato alla domanda inviata dallautore al ministro della Pubblica Istruzione metteva
di fatto in evidenza la scarsezza della sua produzione saggistica. Fu la necessit, quindi, a fargli
scrivere questo saggio; occasione che Pirandello seppe sfruttare al meglio per apertamente
confrontarsi con i problemi estetici e critici di una letteratura della quale ormai, con il Fu Mattia
Pascal, egli era entrato a far parte. Non dobbiamo dimenticare, daltra parte, come la biografia
dellautore possa aver influito sul suo modo di concepire la realt e, di conseguenza, sul suo modo
dintendere il mondo che, nel saggio cos come nelle sue opere, tanto esplicitamente traspare. Difatti,
sia il padre che la madre di Pirandello, Caterina Ricci Gramitto, provenivano da due famiglie
fieramente antiborboniche che avevano partecipato attivamente alle lotte risorgimentali. Una
partecipazione e uno slancio ideale iniziali che per, ben presto, lasciarono il posto, soprattutto nella
madre, ad una profonda delusione di fronte alla nuova realt unitaria. Attraverso la figura della madre,
Pirandello assimil quellamarezza per il Risorgimento tradito (che poi alla base del romanzo I
vecchi e i giovani del 1913) ed probabile che proprio questo clima di disillusione abbia in lui
inculcato il senso di sproporzione tra ideali e realt che riconosciamo nel saggio sullUmorismo. Con
Lumorismo Pirandello ci tramanda unopera a tutto tondo, nella quale oltre a fornirci una critica di
se stesso, egli ci consegna unopera di poetica che rappresenta la chiave di accesso di tutto il suo
sistema letterario.

3. In tristitia hilaritate in hilaritate tristis

Il motto che si pu porre a questo libro coincide con quello che apre Il candelaio di Giordano
Bruno:

In tristitia hilaritate in hilaritate tritis

che, come lo stesso Pirandello afferma,

pare il motto dello stesso umorismo (parte prima, cap. VI, Umoristi italiani, p.145)

Da qui viene la formula che distingue lumorismo dal comico, quello che Pirandello definisce il
sentimento del contrario, nato dal pathos dellidentificazione col soggetto che produce il ridicolo,
da ci che invece chiama lavvertimento del contrario, prodotto dalleffetto immediato e
irriflessivo della situazione comica. Ed proprio su questa base che Pirandello, nella prima parte del
suo saggio, procede nella ricerca degli antenati umoristi: da Socrate a Manzoni passando per
lOrlando furioso e il Don Chisciotte. Nella seconda parte la sua inchiesta si spinge fino al

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personaggio del romanzo dostoevskiano e si richiama alla nozione romantica di humour e alla
valorizzazione dellironia, da parte di Federico Schlegel, quale coscienza dellirrealt della nostra
creazione. Le argomentazioni della seconda parte del saggio sono caratterizzate da una discorsivit
che acquisisce i contributi specifici sullargomento (come ad esempio Le rire di Bergson del 1900) e
altri pi generali di estetica e psicofisiologia (di Sailles, di Binet, di Negri, di Marchesini); una
bibliografia anomala che forse diede adito alle contestazioni di principio di Benedetto Croce, alle
quali Pirandello risponder nella riedizione del 1920.

4. La lettera a Ugo Ojetti e lumorismo in senso stretto

Da una lettera del luglio 1908 inviata da Pirandello a un certo Luigi Antonio Villari, figura di
erudito e scrittore umorista poco nota, sappiamo che nellestate dello stesso anno Arte e Scienza era
gi stato stampato ma Lumorismo ancora no. In unaltra lettera, stavolta diretta allamico Ugo Ojetti,
Pirandello parla di un certo Cesare Facchini, un vero e profondo umorista, il quale indubbiamente
[] camminando, guarda e studia la sua ombra, richiamando cos allo stesso tempo sia la
conclusione dellUmorismo

Quanto valga unombra lumorista sa bene: il Peter Schlemihl di Chamisso informi (parte
seconda, cap. VI, p. 225)

sia il Fu Mattia Pascal, al quale il riferimento alludeva. Di fatto il saggio sullUmorismo nasce dal
Fu Mattia Pascal e le due opere possono essere lette luna alla luce dellaltra. Le due opere sono
spesso associate dallo scrittore agrigentino; c un rapporto organico tra saggio e romanzo, tant che
nella prima edizione del saggio appariva la dedica Alla buonanima di Mattia Pascal bibliotecario.
Vale la pena di riportare, a sottolineare la distinzione che il saggio opera tra umorismo in senso
largo (che altro non , per Pirandello, che un sinonimo del comico) e umorismo in senso stretto
(oggetto della sua ricerca), il giudizio che Pirandello ci fornisce dello scrittore suo amico Italo Mario
Palmarini che

un cos buon giovialone Io dicevo, perch non mi sembra affatto un umorista; gli manca del
tutto quel che io chiamo sentimento del contrario, in cui per me consiste lumorismo.

Tale formula dellumorismo come sentimento del contrario il fulcro del saggio pirandelliano.
In una lettera del 21 febbbraio 1909 allamico Ojetti, che non aveva compreso, Pirandello chiarisce
bene la differenza tra il suo umorismo e quello in senso largo:

Se tu puoi ridere dun contrario, o sdegnartene, o fingere di lodarlo con grazia mordace: vuol
dire che tu non lo senti, fino a piangerne, questo contrario che ti fa ridere: e, mancandoti il
sentimento di esso, ne farai una rappresentazione comica, o lo assalterai con la satira o lo morderai
ironicamente: non farai umorismo, appunto perch ti mancher il sentimento del contrario, Certo,
questione di temperamento; ma non si tratta qui duna gradazione del comico: lumorista nega il
comico, lo supera attraverso il comico stesso; penetra nel suo contrario (nel contrario appunto del
comico) e ne acquista tanto il sentimento, che attraverso la rappresentazione di esso comico, te lo
distrugge.

5. La polemica con Benedetto Croce

Quando il saggio pirandelliano apparve venne quasi completamente trascurato, con leccezione di
Benedetto Croce che su La Critica del 20 maggio 1909 gli riserv una stroncatura netta, schernendo
la poca preparazione filosofica di Pirandello e la sua incapacit di operare efficaci distinzioni
concettuali, rimproverandogli con ironia il ricorso alle immagini, in risposta ad una guerra che

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era stato per Pirandello a cominciare, lanno prima, col saggio Arte e Scienza. Nel capitolo XII
dellEstetica del 1902, Croce inseriva il comico, il sublime, il tragico, lumorismo e il grazioso tra gli
pseudoconcetti che non concernono lestetica. Come il filosofo ci chiarisce nellarticolo Lumorismo
del 1903, essi sono visti come sentimenti da assegnare alla psicologia descrittiva. Il punto di contesa
a qui. Tra laltro se da un lato Croce tendeva ad escludere la psicologia dalle scienze filosofiche,
Pirandello invece, in una lettera allOjetti, definiva psicologia ed estetica la seconda parte del suo
saggio. Inoltre Croce ironizzava sullestensione eccessiva del termine umorismo e credeva
necessario rinunziare alla vana pretesa di porre la definizione vera (cio rigorosa e filosofica)
dellumorismo. La critica di Pirandello si focalizz proprio sullindefinibilit dellumorismo; daltro
canto Croce faceva leva su alcuni punti deboli della definizione dellumorismo come quel
sentimento del contrario che, in effetti, nella prima edizione del saggio, non era poi cos chiara.
Tant che Pirandello, nella seconda edizione del 1920, a prova del fatto che talvolta Croce aveva
colpito nel segno, oper la fondamentale distinzione tra sentimento e opposto avvertimento del
contrario, inserendovi gli esempi della signora dai capelli ritinti e quello successivo di Marmeladoff
allosteria (da Delitto e castigo di Dostoevskji). Su altri punti, tuttavia, Pirandello persisteva; in
particolare sulla definibilit dellumorismo (pp. 167-170) e sullintervento della riflessione nella
concezione dellopera umoristica (pp. 184-187). Per dare unidea dellaccesa disputa tra i due, riporto,
tra gli innumerevoli esempi esisitenti, un estratto di una nota contenuta allinterno del capitolo IV
della prima parte dellUmorismo:

La molta preparazione filosofica (la mia, si sa, pochissima) ha condotto il Croce a questa
edificante conclusione. Si pu s parlare di questo o di quellumorista; egli, filosoficamente, non ha
nulla in contrario; ma guai a parlar dellumorismo! Subito la filosofia del Croce diventa un
formidabile cancello di ferro, che vano scrollare. Non si passa! Ma che c dietro quel cancello?
Niente [] Non vi pare che io possa benissimo passar davanti a questo cancello chiuso, senza
neanche voltarci a guardarlo? (parte prima, cap. IV, Lumorismo e la retorica, p. 59)

6. Lumorismo

Il saggio nettamente diviso in 2 parti: la prima di erudizione e storico-filologica, la seconda, nella


quale lautore fa uso di una scrittura ampiamente narrativizzata e vi inserisce personaggi e brani delle
sue opere, di natura estetica.

Parte prima: I La parola umorismo; II Questioni preliminari; III: Distinzioni sommarie; IV


Lumorismo e la retorica; V Lironia comica nella poesia cavalleresca; VI: Umoristi italiani. Parte
seconda Essenza, caratteri e materia dellumorismo: I, II, III, IV, V, VI.

Parte prima

Il saggio si apre con la discussione sul significato da attribuire al termine umorismo. Pirandello
qui respinge laccezione comune del termine come qualcosa che faccia ridere e contrappone lironia
verbale, nella quale la contraddizione solo verbale e apparente, allumorismo, nel quale invece essa
la contraddizione essenziale.

Nei capitoli secondo e terzo Pirandello smentisce le tesi ricorrenti che consideravano lumorismo
come un fenomeno moderno e proprio del mondo anglosassone. Chi sostiene la tesi della modernit
si basa su presupposti romantici o neoclassicisti che hanno una comune radice in quella
contrapposizione classici-romantici fondata su una schematizzazione astratta e sullerrata
applicazione storica ella partizione proposta da Schiller tra poesia ingenua e poesia sentimentale
che egli stesso attenu dovendo riconoscere che

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Euripide, Orazio, Properzio, Virgilio, non si erano fatti un concetto ingenuo della natura e quindi
concludere che vi erano anime sentimentali presso gli antichi e anime greche presso i moderni e
cancellare cos, come impossibile a mantenere, la linea divisoria tra ispirazione antica e ispirazione
moderna (parte prima, cap. II, Questioni preliminari, p. 29)

Pirandello procede poi con altri esempi e citazioni, mostrando come molti critici abbiano
riconosciuto esempi di umorismo in un mondo classico. E come non vero che la storia sia la causa
dellassenza del riso o dellumorismo nellantichit, allo stesso modo non vero che sia la causa della
possibile distinzione tra riso antico e riso moderno avanzata da Leopardi, Richter e Cantoni.
Pirandello poi affronta il problema della presunta differenza nazionale tra le espressioni
umoristiche di diversi paesi. Interessante in questo capitolo la riflessione condotta da Pirandello circa
lopera del commediografo greco Aristofane, cui negato lumorismo, e il confronto che instaura con
Socrate che assiste alla rappresentazione delle Nuvole, vero umorista, in quanto possessore di quel
sentimento del contrario di cui qui, per la prima volta, lautore tratta.

In Aristofane

non abbiamo veramente il contrasto. Egli non mai tenuto tra il s e il no, egli non vede che le
ragioni sue, ed per il no, testardamente, contro ogni novit [] contro la nuova musica [], contro
la tragedia dEuripide [] contro la filosofia di Socrate [] ecc. (parte prima, cap. III, Distinzioni
sommarie, p. 43)

Socrate, invece

ha il sentimento del contrario; Aristofane ha un sentimento solo, unilaterale, e Aristofane,


dunque, se mai, pu esser considerato umorista soltanto se intendiamo lumorismo nellaltro senso
molto pi largo, e per noi improprio, in cui siano compresi la burla, la baja, la facezia, la satira la
caricatura, tutto il comico insomma nelle sue varie espressioni (parte prima, cap. III, Distinzioni
sommarie, p. 45)

Lerrore sempre quello, si lamenta Pirandello. Della distinzione sommaria (che poi il titolo
del capitolo). Il capitolo si conclude con la negazione della presunta specificit nordica
dellumorismo. Lobiettivo polemico di Pirandello la pretesa positivistica di collegare lumorismo
alla race, al milieu e al moment. In tal modo il saggio pirandelliano scomponeva anche una certa
concezione della storia, attaccando il positivismo, le sintesi hegeliane e linflusso di questultime su
coloro che si erano poi o avvicinati al positivismo, approdandovi, o allontanati, superandolo.

Nel quarto capitolo Pirandello affronta il tema della Retorica quale insieme delle codificazioni
precettistiche di origine classica e di sviluppo rinascimentale cadute in disuso col romanticismo.

La Retorica che

regolata comera dalla ragione, vedeva dappertutto categorie e la letteratura come un casellario:
per ogni casella un cartellino. Tante categorie, tanti generi; e ogni genere aveva la sua forma
prestabilita: quella e non altra (parte prima, cap. IV, Lumorismo e la retorica, p. 55)

Per la Retorica

Prima nasceva il pensiero, poi la forma [] Il vestito era la forma. La Retorica, insomma, era
come un guardaroba: il guardaroba delleloquenza dove i pensieri nudi andavano a vestirsi (parte
prima, cap. IV, Lumorismo e la retorica, p. 56)

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Pirandello poi evidenzia una linea anticlassicista tra il XV e il XVI secolo, individuando in Berni
un umorista in senso stretto, dal momento che egli, attraversando la peste e vincendone il terrore,
riusc ad acquisire il sentimento dellumorismo, quello del contrario, cosicch lironia pot
drammatizzarsi comicamente, andando oltre alla facezia, oltre alla burla, oltre al comico.
Lumorismo, ci dice Pirandello, sia esso in senso stretto o largo, ha soprattutto bisogno dintimit di
stile; ed proprio per questo che lo troviamo l dove il problema di una lingua letteraria, e quindi
non spontanea, non si pone, ovverosia fra i toscani o i dialettali. Lo stile altro non che la
soggettivizzazione delloggettivit dello stile e in questo senso creazione della forma.

Il quinto capitolo il pi lungo del saggio e in esso Pirandello mette in campo tutta la sua
esperienza di filologo romanzo per dimostrare storicamente la diversa conclusione a cui giunto circa
lironia comica nella poesia cavalleresca, attraverso lanalisi delle opere di Pulci, di Boiardo e,
soprattutto, di Ariosto e di Cervantes. qui che Pirandello d la sua prima anticipazione di poetica;
qui che egli cerca di unire questa poetica ad unestetica, ad uninterpretazione storico-letteraria e
critica, ad una complessiva visione nel mondo; qui che tenta di dimostrare la sua verit di poeta a
fronte di quella dei filosofi e degli storici. Nonostante la complessit delle argomentazioni, la tesi
chiara: non vero che nel Medioevo i poemi epici fossero sempre seri e pervasi di alte idealit
religiose e politiche; in molti di essi esistevano elementi di comicit, di parodia e di satira;
conseguentemente non vero che la poesia cavalleresca nasce come parodia dellepica medievale.
Nellopera del Pulci, Pirandello riconosce un intento burlesco; in quella del Boiardo non trova la
seriet che il De Sanctis le aveva attribuito. Nellaccordo tra limmedesimazione del poeta col suo
mondo ed lironia, a prima vista opposte, sta il segreto dello stile ariostesco. Ariosto, che
mostra apertamente coscienza dellirrealt della sua creazione.
Infine il discorso di Pirandello su Cervantes e il suo Don Quisciotte, vero esempio di umorismo;
un discorso, questo che rappresenta il culmine emotivo-immaginativo, letterario e di poetica, di una
solida trattazione estetica e storico-critica dalla quale non si pu prescindere. Pirandello definisce
vero umorismo quello del Don Quisciotte in quanto drammatizzazione del comico, la quale assente
nellironia che invece scioglierebbe il contrasto. Pirandello sottolinea gli aspetti autobiografici del
capolavoro del Cervantes e nega recisamente il presunto intento satirico, puramente negativo e
demolitore, attribuitogli dalla lettura hegeliana-desanctisiana. Cervantes nel prologo ci dice che
lordine naturale vuole che ogni cosa generi ci che le somiglia; ed proprio da questa frase che
Pirandello prende le mosse per la sua analisi. Cervantes, leroico combattente cristiano di Lepanto,
luomo nobile, valoroso e dingegno che viene ripagato dal destino con la prigionia. Ed proprio l
che

nelloscura carcere della Mancha, egli si riconosce, egli si vede finalmente; si accorge che i
giganti eran molini a vento e lelmo di Mambrino un vil piatto da barbiere. Si vede, e ride di se stesso.
Ridono tutti i suoi dolori. Ah, folle! folle! folle! Via, al rogo, tutti i libri di cavalleria! (parte prima,
cap. V, Lironia comica nella poesia cavalleresca, p. 135)

Ecco allora che troviamo tre motivi tipici pirandelliani: la follia, il vedersi e lo sdoppiamento. Cos
come i dolori che ridono, richiamando limmagine, ricorrente in Pirandello, dellerma bifronte,
anticipano il tema del riconoscimento dellambivalenza comica.

Noi tutti amiamo questo virtuoso cavaliere

ci dice Pirandello. Quel cavaliere che

a quel mondo meraviglioso delle leggende cavalleresche ci crede sul serio; lo porta, lo ha in s
quel mondo, che la sua realt, la sua ragion dessere []

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La domanda sorge spontanea:

E allora la satira dov? [] Le sue disgrazie se da un canto ci fanno ridere, dallaltro ci


commuovo profondamente (parte prima, cap. V, Lironia comica nella poesia cavalleresca, p. 134).

Innumerevoli i riferimenti a Cervantes nelle opere di Pirandello, ma anche nelle sue lettere
giovanili, nelle quali follia e risibilit si univano nel personaggio di Don Quisciotte, che viene a
configurasri come vero e proprio alter ego del poeta. Questo per Pirandello il poeta: il Don
Quisciotte che tiene viva in s una leggenda in cui crede per davvero e per la quale combatte
sfidando il ridicolo e laccusa di follia che la societ gli lancia per contraccambiarlo. Possiamo
concludere che lanalisi del Don Quisciotte davvero il cuore del saggio sullumorismo.

Nel sesto e ultimo capito della prima parte del saggio, contenente il motto di Giordano Bruno,
Pirandello fa un catalogo e, ripetendo concetti gi esposti, sembra gi tutto proiettato verso la seconda
parte della sua opera.

Parte seconda

Smessi gli abiti accademici, Pirandello sappresta a scrivere la seconda parte del suo saggio, nella
quale affronta direttamente il problema dellambivalenza e della fusione di opposti sentimenti, di
inconciliabili punti di vista fino al limite dellirresolubile paradosso. Ecco che Pirandello ci presenta
una serie di esempi per farci ben comprendere cosa sia questo sentimento del contrario che alla
base del suo umorismo, quello in senso stretto, partendo dalla celeberrima immagine della
signora tutta imbellettata, simbolo dellumorismo:

Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti uniti non si sa di quale orribile manteca, e poi
tutta goffamente imbellettata e parata dabiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia
signora il contrario di ci che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso cos, a prima
giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico appunto un
avvertimento del contrario. MA se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella
signora non prova forse nessun piacere a pararsi cos come un pappagallo, ma che forse ne soffre e
lo fa soltanto perch pietosamente singanna che, parata cos, nascondendo cos le rughe e la canizie,
riesca a trattenere a s lamore del marito molto pi giovane di lei, ecco che io non posso pi riderne
come prima, perch appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre quel primo
avvertimento, o piuttosto, pi addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare
a questo sentimento del contrario. Ed tutta qui la differenza tra il comico e lumoristico (parte
seconda, cap. II, pp. 173 s.)

Ed interessante notare la somiglianza tra la descrizione di questa figura esemplarmente


umoristica e quella che Pirandello fa della signora Popnica, nelle prime pagine dellEsclusa:

Ed ecco la signora Popnica, coi capelli color tabacco di Spagna, unti non si sa di qual manteca,
gli occhi ammaccati e la bocca grinzosa e appuntita, entrare tentennante su le gambette, forbendosi
le mani piccole, sconciate dal lavoro, in una giacca smessa del padrone, legata per le maniche
intorno alla vita a mo di grembiule. La tintura dei capelli, laria mesta del volto davano a vedere
chiaramente che quella povera signora caduta in bassa fortuna avrebbe forse desiderato qualcosa
di pi che il disperato amplesso di quelle maniche vuote.

Allo stesso modo umoristico il personaggio del Delitto e Castigo dostoevskiano, quel
Marmeladoff che grida:

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Signore, signore! oh! signore, forse, come gli altri, voi stimate ridicolo tutto questo; forse vi
annoio raccontandovi questi stupidi e miserabili particolari della mia vita domestica: ma per me
non ridicolo, perch io sento tutto ci (parte seconda, cap. II, p. 174)

Un grido, quello di Marmeladoff, che, come ci dice Pirandello

appunto la protesta dolorosa ed esasperata dun personaggio umoristico contro chi, di fronte a
lui, si ferma a un primo avvertimento superficiale e non riesce a vederne altro che la comicit (p.
174)

Pirandello ci porta poi un terzo e un quarto esempio: prima quello del poeta Giusti che, provando
in un primo momento un sentimento dodio verso un gruppo di soldati, attraverso il suono di un
organo e la melodia di un cantico tedesco e agendo il lui la riflessione, finisce per arrivare a provare
un sentimento del tutto contrario allodio iniziale, di compassione si potrebbe dire, verso quella
povera gente, lontana dai suoi, in un paese qui che le vuol male (pp. 174 s.); poi quello del Don
Quisciotte del Cervantes, nel quale

Noi abbiamo una rappresentazione comica, ma spira da questa un sentimento che ci impedisce di
ridere o ci turba il riso della comicit rappresentata; ce lo rende amaro. Attraverso il comico stesso,
abbiamo anche qui il sentimento del contrario. Lautore lha destato in noi perch s destato in lui,
e noi ne abbiamo gi veduto le ragioni (parte seconda, cap. II, pp. 176 s.)

Pirandello ci dice che ci che porta al sentimento del contrario una speciale attivit della
riflessione; ma cosa intende lautore con questa speciale attivit della riflessione? Lo scrittore
agrigentino ci fornisce la risposta parlando del critico fantastico, che per lui sinonimo di umorista.

La riflessione, dunque, di cui io parlo, non unopposizione del cosciente verso lo spontaneo;
una specie di proiezione della stessa attivit fantastica: nasce dal fantasma, come lombra dal
corpo; ha tutti i caratteri della ingenuit o nativit spontanea; nel germe stesso della creazione,
e spira infatti da essa ci che ho chiamato il sentimento del contrario (parte seconda, cap. III, p. 184)

Ma fondamentale per poter condurre una valutazione dellumorismo e della concezione dellarte
di Pirandello il passo precedente a quello appena citato, nel quale lautore ci dice che

se indubbiamente, una innata o ereditata malinconia, le tristi vicende, unamara esperienza della
vita, o anche un pessimismo o uno scetticismo acquisito con lo studio e con la considerazione su le
sorti dellumana esistenza, sul destino degli uomini, ecc. possono determinare quella particolar
disposizione danimo che si suol chiamare umoristica, questa disposizione poi, da sola, non basta a
creare unopera darte. Essa non altro che il terreno preparato: lopera darte il germe che cadr
in questo terreno, e sorger, e si svilupper nutrendosi dellumore di esso, togliendo cio da esso
condizione e qualit. Ma la nascita e lo sviluppo di questa pianta debbono essere spontanei. Apposta
il germe non cade se non nel terreno preparato a riceverlo, ove meglio cio pu germogliare. La
creazione dellarte spontanea [] Unopera darte, insomma, , in quanto ingenua; non pu
essere il risultato della riflessione cosciente (p. 183)

In sostanza Pirandello ci sta dicendo che, escludendo uninterpretazione in chiave prevalentemente


storica di quella particolar disposizione danimo dellumorismo, quandanche la storia entri in gioco
quale insieme di circostanze sociali (vedi il Don Quisciotte), la causa la modalit del rapporto
individuo-ambiente, che un problema di natura prettamente psicologica. Il brano, dunque, contiene

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dapprima lindicazione di una situazione psicologico-esistenziale di partenza, e, quindi, la
sottolineatura della forte autonomia e specificit artistica.
Lambivalenza dellumorismo pirandelliano trova poi unaltra chiara personificazione
nellanormale, ma necessariamente comica, condizione di un uomo che

si trova ad essere sempre quasi fuori di chiave, ad essere a un tempo violino e contrabbasso; dun
uomo a cui un pensiero non pu nascere, che subito non gliene nasca un altro opposto, contrario; a
cui per una ragione chegli abbia di dir s, subito unaltra e due e tre non ne sorgano che lo
costringano a dir no; e tra il s e il no lo tengan sospeso, perplesso, per tutta la vita; dun uomo che
non pu abbandonarsi a un sentimento, senza avvertir subito qualcosa dentro che gli fa una smorfia
o lo turba e lo sconcerta e lo indispettisce. Questo stesso contrasto, che nella disposizione
dellanimo, si scorge nelle cose e passa nella rappresentazione (parte seconda, cap. IV, pp. 189 s.)

Ne consegue che lidentit dei contrari, impossibile a dirsi e a pensarsi, pervade comunque quella
diversa dimensione del sentire che penetra e nel pensiero e nel linguaggio, violandone la logica.
Unambivalenza esteriore che in realt traduzione di uninconscia e impossibile identit dei contrari;
tant che lumorismo pirandelliano pu essere perci interpretato come una bi-logica.
La riflessione descritta da Pirandello come

Un demonietto che smonta il congegno di ogni immagine, dogni fantasma messo su dal
sentimento

cosicch

ogni sentimento, ogni pensiero, ogni moto che sorga nellumorista si sdoppia subito nel suo
contrario: ogni s in un no, che viene infine ad assumere lo stesso valore del s.

Esempi lampanti di questo sono il don Abbondio di Manzoni e, ancora una volta, il Don
Quisciotte di Cervantes, cosicch per don Abbondio, per il quale tutti dovremmo provar disprezzo
e indignazione, siamo indotti al compatimento, finanche alla simpatia; e del Don Quischiotte, che
dovremmo stimar ridicolissimo e spesso un matto da legare, ammiriamo con infinita tenerezza
le sue ridicolaggini, nobilitate da un ideale cos alto e puro.

Conclude Pirandello:

Gran cosa, come si vede, avere un ideale - religioso come il Manzoni; cavalleresco come il
Cervantes - per vederselo poi ridurre dalla riflessione in don Abbondio e in Don Quisciotte! (parte
seconda, cap. IV, p. 199)

Nel quinto capitolo della seconda parte di questo saggio, ci imbattiamo nella fondamentale
tematica della scomposizione umoristica della vita, da intendersi come una costruzione illusoria
continua con le sue finzioni, le sue illusioni e le sue maschere.

Oggi siamo e domani no

Ci dice Pirandello. E luomo?

Sempre mascherato, senza volerlo, senza saperlo, di quella tal cosa chegli in buon fede si
figura di essere: bello, buono, grazioso, generoso, infelice ecc. ecc. E questo fa tanto ridere a
pensarci (parte seconda, cap. V, p. 214)

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E ci che Pirandello fa dire ad Adriano Meis dal signor Anselmo Paleari (Il fu Mattia Pascal,
cap. XIII, Il lanternino), ecco che lo ritroviamo qui, nellUmorismo:

Alluomo, invece, nascendo toccato questo triste privilegio di sentirsi vivere, con la bella
illusione che ne risulta: di prendere cio come una realt fuori di s questo suo interno sentimento
della vita, mutabile e vario (parte seconda, cap. V, p. 216)

cos che le voci opposte, inconciliate e inconciliabili, del pensiero e dellemozione si fondono
nellimmagine del triste privilegio che d voce allumoristico uomo fuori di chiave.
Secondo il pensiero pirandelliano, possibile che due affermazioni contrarie siano unite non in un
rapporto dialettico che consentirebbe di superarle giungendo ad una sintesi, bens ina una paradossale
compresenza. Solo cos possiamo comprendere lambivalenza relativistica dellumorismo
pirandelliano, solo cos possibile capire come il nulla possa, al contempo, essere tutto; nulla per il
pensiero cosciente, tutto per il sentire inconscio.

Alessandro Tomassini

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