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Fondazione Istituto Gramsci

Campanella e Machiavelli: Indagine su un caso di dissimulazione


Author(s): Luca Addante
Source: Studi Storici, Anno 45, No. 3 (Jul. - Sep., 2004), pp. 727-750
Published by: Fondazione Istituto Gramsci
Stable URL: http://www.jstor.org/stable/20567266
Accessed: 06-03-2016 07:54 UTC

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Opinioni e dibattiti

CAMPANELLA E MACHIAVELLI:
INDAGINE SU UN CASO DI DISSIMULAZIONE*
Luca Addante

Una parvenza d'antimachiavellismo pervicace ha percorso, sin dai primi scrit


ti, il discorso politico (e non solo) di Tommaso Campanella che, quasi sem
pre, apostrofava Machiavelli con toni esacerbati e virulenti. Un Machiavelli
del quale, com'e noto, il filosofo di Stilo aveva incrociato opere a stampa e
manoscritti gia nel periodo della sua formazione giovanile, secondo la testi
monianza resa da lui stesso nelle Risposte alle censure dell'+<Ateismo triunfa
to>>'. E infatti, sia Giuliano Procacci sia Vittorio Frajese hanno evidenziato le
numerose tracce di <<riecheggiamenti machiavelliani>>2 nelle testimonianze rac
colte in seguito alla scoperta della congiura del 1599; testimonianze che, pur

* Ringrazio Rosario Villari col quale ho discusso in varie occasioni l'impostazione gen?ra
le e singoli aspetti di questo lavoro.
1 T. Campanella, Risposte alle censure dell'?Ateismo triunfato?, in Opuscoli inediti, a cura
di L. Firpo, Firenze, Olschki, 1951, pp. 51-54, la cit. ? alle pp. 53-54. Cfr., inoltre, L.
Firpo, Le origini dell'antimachiavellismo, in ?Il pensiero politico?, II, 1969, 3, pp. 337
367. Utile, ci pare, fare riferimento anche a una lettera rinvenuta da G. Fulco e ora edi
ta in T. Campanella, Lettere 1595-1638 non comprese nell'edizione di Vincenzo Spampa
nato, a cura di G. Ernst, Pisa-Roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, 2000,
p. 66; rivolgendosi a Ottavio Sammarco, che pare stesse preparando un plagio degli Afo
rismi, il frate richiamava uninteressante lista d'autorit? nel campo politico: ?doveva vo
stra signoria pi? presto commentare detti Aforismi e leggere l'istorie tutte e Plutarco e
Budino, Aristotile, Platone e Macchiavello con licenza, et altri che di tale materia scris
sero, e difendere le cose mie in che discrepo da loro, e non, senza aver visto nullo di que
sti libri, solo con finger di voler leggere Aristotile e T?cito, cavar fuori Y Aforismi miei,
corne sue invenzioni?. Infine, P.O. Kristeller, her italicum: a finding list of uncatalogued
or incompletely catalogued humanistic manuscripts of the Renaissance in Italian and others
libraries, vol. II, Italy. Orvieto to Volterra. Vatican City, Leiden, EJ. Brill, 1967, p. 455,
ha considerato alcuni estratti dal Principe (ff. 54r-75r), dai Discorsi (ff. 76v-150r) e dalla
Vita di Castrucclo Castracani (ff. 75r-16r), conservad nella Biblioteca vaticana (Fondo Bar
berinlano Latino, vol. XX, n. 5286) ?apparently made by Campanella?. Cfr., sul punto,
G. Procacci, Machiavelli nella cultura europea dell'et? moderna, Roma-Bar?, Laterza, 1995,
p. 163.
2 L'espressione ? in Procacci, Machiavelli nella cultura europea, cit., p. 161. Cfr., inoltre,
V. Frajese, Profezla e machiavelllsmo. Il giovane Campanella, Roma, Carocci, 2002.

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con tutta la prudenza del caso3, e inconcepibile espungere da un'analisi che


voglia addentrarsi nella cultura politica campanelliana4. Procacci ha notato il
?ricorrente motivo del "legislatore" che istituisce "nuove leggi" e che riesce
a farlo in quanto, a differenza di Cristo, e un "profeta armato">>': idea ma
chiavelliana che Campanella veicolava di se stesso, e di cui vi sono tracce nel
le deposizioni e in diversi suoi scritti. D'altronde, e sono ancora sia Procac
ci sia Frajese ad averlo rilevato, non mancavano nelle testimonianze espressi
riferimenti al segretario fiorentino che il frate avrebbe fatto nella predicazio
ne della sua congiura: Maurizio de Rinaldis, uno dei testimoni piu attendibi
li e capo laico della congiura calabrese, affermava che <<fra Tomase comincio
a persuadere, et dare molti esempii, delli homini, che da nienti erano deven
tati grandi, attestando il Macchiavelli, o altri autori, dicendo et animando a
me, che dovea in questi tempi pigliare l'armi, che haveano da essere muta
tioni, et che esso fra Tomase si volea risolvere di fare republica>>6.
Secondo alcuni interpreti, quindi, nonostante le apparenze Machiavelli ave
va rivestito un ruolo decisivo in Campanella sin dai momenti aurorali della
sua cultura politica. A parte la congiura, cio risalterebbe ponendoci innanzi
a un 'opera giovanile come la Monarchia di Spagna che, al di la dei rilevanti
(e irrisolti) problemi della sua precisa datazione, in anni assai vicini alla con
giura era comunque stata concepita e scritta. Sugli orditi machiavelliani di
quest'opera, pero, non v'& assolutamente accordo, e se Germana Ernst ha evi
denziato quanto la Monarchia di Spagna avesse colpito l'immaginario dei con
temporanei per <<le cynisme de certaines suggestions>>7, per il resto l'autore

3 G. Spini, Ricerca dei libertini. La teor?a dell'impostura delle religioni nel Seicento italiano,
Firenze, La Nuova Italia, 1983, pp. 108 sgg. nota 2, metteva in guardia rispetto a certe te
stimonianze res? da persone poco o punto affidabili, considerando ?testimonianze mag
giormente degne di cr?dito? quelle res? da Maurizio de Rinaldis, Cesare Pisano, Domeni
co Petrolo e Pietro Prester?.
4 V. Frajese, Campanella e la ?Monarchia di Spagna?, in Filippo II e il Mediterr?neo, a cura
di L. Lotti e R. Villari, Roma-Bar?, Laterza, 2003.
5 Procacci, Machiavelli nella cultura europea, cit., p. 161.
6 L. Amabile, Fra Tommaso Campanella, la sua congiura, i suoi processi, e la sua pazzla, vol.
in, Napoli, Morano, 1882, pp. 141-142.
7 G. Ernst, Introduction ? T. Campanella, Monarchie d'Espagne et Monarchie de France, tex
tes originaux introduits, ?dit?s et annot?s par G. Ernst, Paris, Puf, 1997, p. XXI. Ernst (p.
XXII) sottolinea che ?la confrontation avec Machiavel constitue un des aspects importants
de la pens?e de Campanella?, e in altro testo dal titolo significativo (G. Ernst, La mauvai
se raison d'Etat: Campanella contre Machiavel et les politiques, in Raison et d?raison d'Etat.
Th?oriciens et th?ories de la raison d'Etat aux XVT et XVIT si?cles, sous la dir. de Y.C.
Zarka, Paris, Puf, 1994, pp. 121-149) non manca di evidenziare il fatto che ?le rapport de
notre auteur [Campanella] ? Machiavel est, sur bien des aspects, ambigu? (p. 122); per il
resto, per?, Ernst non mostra dubbio alcuno nel differenziare nettamente il suo Campa
nella dal soleo machiavelliano. Cfr., oltre ai testi menzionati supra, Id., Religione, ragione

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vole studiosa ha insistito con caparbia sulla distanza siderale (in questo caso
e in generale) fra il suo Campanella e un Machiavelli letto attraverso le di
storcenti lenti del machiavellismo, come e evidente gia dalla citazione ripor
tata sopra, tendente a scorgere un nesso solo nel cinismo machiavellico di
certe proposte del testo campanelliano8. Vittorio Frajese, al contrario, ha ri
levato che <<il linguaggio usato nella Monarchia di Spagna rimanda subito con
tutta evidenza a Machiavelli>>, e questa tesi lo ha portato a ritenere che la
<<Monarchia di Spagna e scritta con il Principe e i Discorsi sott'occhio, non solo
in senso figurato ma, probabilmente, anche in senso materiale>>9.
La questione e, insomma, piuttosto intricata; volendo cercare d'affrontarla,
pertanto, la migliore strategia e quella di riferirci direttamente ai testi, attra
verso un procedimento di comparazione che saggi differenze e analogie sul
campo: individuando i principi fondanti del discorso politico campanelliano
esposti nella Monarchia di Spagna, li porremo a serrato confronto col discor
so politico machiavelliano. L'opera di comparazione, questo il nostro inten
to, dovrebbe dimostrare sia la formidabile influenza che sul politiquer di
Campanella Machiavelli aveva giocato sia la raffinata e intelligente strategia
di dissimulazione intessuta dal filosofo di Stilo: antimachiavellico furioso in
superficie ma in profondita pregno d'humus machiavelliana'0.

e natura. Ricerche su Tommaso Campanella e il tardo Rinascimento, Milano, Angeli, 1991;


Id., Tommaso Campanella. Il libro e II corpo della natura, Roma-Bari, Laterza, 2002. Altro
autore che relativamente di recente ha rimarcato le differenze fra Campanella e Machia
velli ? J.M. Headley, On the rearming of Heaven: the machiavellism of Tommaso Campa
nella, in ?Journal of the History of Ideas?, XLIX, 1988, 3, pp. 387-404. Secondo Head
ley, p. 404, ?Machiavelli and Campanella are worlds apart?. Cfr., inoltre, dello stesso Head
ley, Tommaso Campanella and the Transformation of the World, Princeton, Princeton
University Press, 1997.
8 Si possono addurre ulteriori prove del fatto che nel confrontare Campanella e Machia
velli Ernst faccia riferimento al machiavellismo, e soprattutto all'immagine che di questo
venne veicolata (e in parte costruita) proprio da Tommaso Campanella. An?logamente al
caso riportato nel testo, Ernst, La mauvaise raison, cit., p. 130, ha coito dei nessi fra lo sti
lese e Machiavelli in alcune pagine degli Antiveneti laddove ?la religion est consid?r?e com
me le secret de l'ob?issance politique et de la stabilit? sociale?. Qui (come in altre sue op?
re) ? evidente come Ernst propenda per l'accettazione della datata tesi secondo cui in Ma
chiavelli la religione rivestisse essenzialmente un mero ruolo strumentale ?'instrumentum
regni. Condivisibili, perianto, le obiezioni di Frajese, Profezla e machiavellismo, cit., pp. 66
67 nota 29, secondo cui la tesi di Ernst mostra aporie soprattutto per la lettura dell'opera
machiavelliana che le ? sottesa. Lettura che, sostanzialmente, si fonda appunto sulle reite
rate critiche av?nzate in modo espresso da Tommaso Campanella. A testimonianza di ci?,
si pu? osservare anche F accostamento (oggi improponibile) fatto da Ernst tra Machiavelli
e i politiques', costante nelle opere dello stilese e peraltro comune nella cultura della Con
troriforma, corne notato da Procacci, Machiavelli nella cultura europea, cit., pp. 150 sgg.
9 Frajese, Profezla e machiavellismo, cit., pp. 66-67.
10 Sul problema della dissimulazione in gen?rale cfr. l'illuminante R. Villari, Elogio della

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Gia se ci poniamo di fronte allo schema generale della Monarchia di Spagna,


la prima impressione e che la costruzione stessa del testo richiami il Principe
in modo evidente, nel coniugare principi generali di carattere teorico e consi
gli pratici da seguire nella congiuntura politica. Concentrandoci, come detto,
sui principi e prendendo avvio dal capitolo I, vediamo come Campanella esor
disse elencando le Cause de principati umani, secondo un procedimento me
todologico che, appunto, e difficile non accostare a quello di Machiavelli. I
primi due capitoli del Principe enumeravano i tipi di principati e i modi di ac
quistarli o mantenerli, e i primi due capitoli del primo libro dei Discorsi s'in
terrogavano su ?quali siano stati universalmente i principi di qualunque citta>>
e <<di quante spezie sono le repubbliche>>. Ma al di la delle consonanze meto
dologiche su cui, comunque, v'e certa concordia nella critica, e negli stessi
principi posti a base di ?conquista e mantenimento>> degli Stati che si svela
come Campanella perorasse un discorso machiavelliano attraverso la dissimu
lazione. Per Campanella tre ?cause communi concorrono alla conquista e
mantenimento d'ogni gran signoria, cioe Dio, la prudenza e l'opportunita?>>1.
Apparentemente, qui la differenza e sostanziale, ancor piu tale se leggiamo le
specificazioni del frate secondo cui le suesposte cause dovevano interagire fra
di esse, tendendo a olistica unita: <<unite insieme, si dicono fato, che e l'ac
cordo di tutte le cause agenti in virtu' della prima. Onde ne nasce la fortuna,
che e il successo delle cose umane, buono o malo>>2. A una prima valutazio
ne impressionistica, dunque, le differenze col discorso machiavelliano consi
sterebbero: a) nell'inclusione di Dio tra le cause, b) nell'uso di ?prudenza>> e
<opportunita>> in luogo di ?virtu>> e ?fortuna>>, c) nel fatto che le tre cause do
vessero intrecciarsi, laddove in Machiavelli sembra che virtu' e fortuna agisse
ro in opposizione dialettica. Procedendo alla comparazione, pero, vediamo
come gia su questo piano le contraddizioni possano essere smussate. Inizian
do dalla prima discordanza, in effetti Machiavelli non aveva posto Dio tra le
cause elencate nel suo I capitolo grazie alle quali gli Stati si conquistano e man
tengono; ma e impossibile comprendere un'opera complessa come II Principe
leggendo i singoli capitoli, senza legarli all'intero contesto. Nell'XI capitolo'3,

dissimulazione. La lotta politica nel Seicento, Roma-Bari, Laterza, 1987. Per una disamina
recente sulla dissimulazione in Campanella, al di l? dello specifico problema del rapporto
con Machiavelli, cfr. la tesi di Phd di J. Scalzo, Tommaso Campanella and the Problem of
Dissimulation in Counter-Reformation Italy, supervisor D.R. Kelley, Department of History,
University of Rochester, Rochester (N.Y.), 1996, published by Umi Dissertation Services,
Ann Arbor (Michigan), Bell & Howell Company, 2000.
11 T. Campanella, Monarchie d'Espagne, cit., I, p. 4.
12 Ibidem.
13 N. Machiavelli, II Principe, a cura di G. Inglese, Torino, Einaudi, 1995, pp. 73-77. Sul
l'importanza dell'XI capitolo ha insistito il recente E. Cutinelli-R?ndina, Chiesa e religione
in Machiavelli, Pisa-Roma, Istituti editoriah e poligrafici internazionali, 1998.

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infatti, alla tipologia dei principati esposta nel capitolo I e svolta nei capitoli
seguenti, si aggiungevano i <Principati ecclesiastici>>, quelli cioe <<esaltati e
mantenuti da Dio>>, gli unici, nella lettura machiavelliana, ad essere ?sicuri e
felici>>. Nel XXV capitolo"4, poi, il segretario fiorentino annotava: <<E' non mi
e incognito come molti hanno avuto e hanno opinione che le cose del mon
do sieno in modo governate, da la fortuna e da Dio, che li uomini con la pru
denza loro non possino correggerle [...] Nondimanco, perche il nostro libero
arbitrio non sia spento, iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra del
la meta delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci govemare l'altra meta, o
presso, a noi>>, laddove la scomparsa di Dio nella seconda parte della propo
sizione - velato da un ?o presso>> denso di succhi scettici - era compensata
dall'exhortatio che chiudeva l'opera", con Machiavelli a mostrare quanto l'o
ra fosse propizia per la Casa de' Medici, <<la quale con la sua fortuna e virt ui,
favorita da Dio e da la Chiesa [...] possa farsi capo di questa redenzione>:
avendo Dio mostrato segni evidenti dell'ora fatale <<el rimanente dovete fare
voi: Dio non vuole fare ogni cosa per non ci torre el libero arbitrio e parte di
quella gloria che tocca a noi>>. Pur volendo concentrarsi sull'opera umana, al
lora, e pur riconoscendo importanza capitale alla fortuna, Machiavelli non di
sconosceva l'intervento di Dio nell'evoluzione delle vicende umane.
Quelle che, comunque, in questo caso ci appaiono delle dissonanze da smus
sare, divengono vere e proprie consonanze se ci poniamo di fronte ai due
successivi punti d'ipotetico contrasto prima enumerati. Iniziamo dal termine
<opportunita>> che viene usato in luogo della machiavelliana ?fortuna>>. Nel
lo stesso primo capitolo della Monarchia di Spagna, intanto, Campanella chia
risce come con opportunita occorra intendere proprio un aspetto specifico
della piu generale fortuna; soprattutto, a ogni modo, bisogna notare com'e
gli adoperi anche altro termine quale sinonimo di opportunita, e cioe <<occa
sione>>; vocabolo presente nello stesso primo capitolo, che in piu luoghi del
l'opera lo stilese dimostrava di preferire al primo inizialmente adoperato: nel
capitolo III, dopo aver parlato della prima causa (Dio) concludeva, ?onde mi
pare scoverta la chiave con la quale devo entrar a conoscere la conquista,
mantenimento e augmento e fine dell'imperio di Spagna, per la prima causa
che e Dio nelli profeti manifestata, e poi verro alla prudenza e occasione>>6.
E nella Politica: ?fundant, gubernantque Imperia Causee tres, Politice lo
quendo, videlicet, Deus, Prudentia, & Occasio>>7. Chiarito, allora, che per

14 N. Machiavelli, Il Principe, cit., pp. 161-163.


15 Ivi, pp. 169-171.
16 T. Campanella, Monarchie d'Espagne, cit., p. 18.
17 T. Campanella, Politica, cap. X, af. 1, p. 130. Cfr., inoltre, Fintero cap. XII, p. 136: De ter
na Causa acquirendi, & gubernandi Dominia; sive de occasione. Col nome di Politica faccia
mo riferimento a un testo usualmente edito col titolo Aforismi politid (celebre l'edizione cu
rata per Giappichelli da Luigi Firpo nel 1941, cui si rinvia anche per le vicende di redazio

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Campanella <<opportunitA>> e <<occasione>> non erano altro che sinonimi, bi


sogna notare quanto anche Machiavelli adoperasse il termine ?occasione>>
come specificazione della piu generale <<fortuna>>; prima di procedere, co
munque, vale la pena avvertire che a questo punto l'analisi s'intreccia neces
sariamente con il terzo punto, in cui abbiamo sottolineato l'apparente diffe
renza tra l'uso dialettico ed oppositivo dei termini in Machiavelli e l'uso oli
stico, tendente all'unita, in Campanella.
Ma procediamo per gradi soffermandoci ancora sulla seconda differenza, spo
standoci sullo iato fra <<prudenza>> e <<virtu>>. Qui, a parte l'uso del secondo
termine che fa mostra di se per tutto il volume, Campanella piu oltre speci
fica quanto anche la prudenza vada inquadrata in un alveo piu generale, e il
termine di cui ?prudenza>> e una specificazione e proprio <virtu>>; il frate af
ferma, difatti, che, tra tutte le cause, <<molto piu l'Imperio ha bisogno di que
sta virtiu [la prudenza], la quale il mondo tutto regge>>18. La specificazione di
virtu' in prudenza e quella di fortuna in occasione, pertanto, sembrerebbero
rivelare una sottile tecnica di dissimulazione linguistica. Ma non e solo o tan
to in questo che la derivazione machiavelliana si mostra in tutta evidenza,
quanto nella circostanza che, con l'uso variato dei termini, Tommaso Cam
panella svelava una lettura sorprendentemente acuta e penetrante di uno dei
punti maggiormente innovativi della costruzione teorica di Niccolo Machia
velli. Nella cultura umanistica, infatti"9, il tema della - o meglio delle - virtu'
aveva mantenuto alcuni caratteri codificati sin dall'eta classica, soprattutto
nell'opera di Cicerone. Pur essendo sempre presente anche la prudenza (una
delle quattro virtu' cardinali con giustizia, coraggio e temperanza) tra le virtu'
predicate nei testi umanistici di precettistica ai principi, appariva sempre an
che quella che Cicerone aveva definito onesta; come evidenziato da Quentin
Skinner, infatti, gli umanisti ?fecero propria senza alcuna esitazione la tesi se
condo la quale la condotta razionale del principe sara sempre morale, argo
mentando questo punto con tanta forza da rendere proverbiale il detto "h'o
nesta e la migliore politica">>20. Rispetto a questa tendenza, comune alla men

ne e stampa del testo), secondo una denominazione adoperata dallo stesso Campanella nel
le prime stesure manoscritte. Tuttavia, in entrambe le edizioni ?ndate a stampa v?vente il f?a
te di Stilo (1623 e 1637), l'op?ra aveva assunto la denominazione definitiva di Pol?tica (con
tenente in appendice la Civitas Solls), parte della pi? gen?rale Philosophia realis. Essendoci
noi fondati sull'ultima edizione parigina, pertanto, abbiamo ritenuto giusto adottare l'ultima
titolazione adoperata da Campanella stesso. Cfr. T. Campanella, Disputationum in quatuor
partes su Philosophia Realis libri quatuor. [...] Suorum Operum tomus II. [...] Physiol. Ethi
ca, Politica, Oeconomica, cum qu st., Parisiis, Ex Typographia Dionys. Houssaye, 1637.
18 T. Campanella, Monarchie d'Espagne, cit., V, p. 37.
19 Cfr. su questo punto Q. Skinner, Machiavelli, trad. it. Bologna, Il Mulino, 1999, pp. 44
sgg
20 Ivi, p. 45.

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733 Campanella e Machiavelli

talita politica del tempo, Machiavelli s'era posto, consapevolmente, su una


via radicalmente nuova: fondandosi sul suo pessimismo antropologico, sulla
constatazione dell'estrema durezza dei suoi tempi rispetto a quelli preceden
ti, e sull'assunto di voler indagare la politica iuxta propria principia, il segre
tario fiorentino aveva perorato una visione secondo la quale, ove le condi
zioni l'avessero imposto, il sovrano non avrebbe dovuto piu curarsi della gran
parte delle virtu tradizionalmente predicate. I1 retaggio di quella tradizione,
in Machiavelli, restava proprio la prudenza, da cui in nessun caso il sovrano
avrebbe dovuto discostare la propria condotta politica21.
Ora, leggendo il Principe si vede come prudenza assumesse diversi significa
ti, ma uno in particolare rivestisse un ruolo cruciale, e cioe quello secondo
cui attraverso di essa il principe avrebbe potuto cogliere le possibilita offerte
dalla fortuna e, nello stesso tempo, superarne i repentini rovesci. I due ter
mini virtu e fortuna, dunque, erano si generalmente declinati dialetticamente
nell'opera machiavelliana, ma questo non era assunto assoluto, e anzi tra i
principali intenti del segretario fiorentino v'era proprio quello di dimostrare
quanto una condotta virtuosa (prudente) fosse il viatico per dominare la for
tuna o per non farsene, al contrario, dominare: <?o ho considerato piu volte
come la cagione della trista e della buona fortuna degli uomini e riscontrare
il modo del procedere suo con i tempi>>22. Per questa via si poteva riuscire a

21 Vale la pena di rilevare come durante Fet? barocca la pmdenza assumesse un ruolo as
solutamente fondamentale nella te?rica sulla ragion di Stato, ma, ci? detto, come vedremo
meglio avanti, evidente ? in Campanella la derivazione da uno specifico e ben definito si
gnificato di pmdenza che ? proprio della te?rica machiavelliana e su cui gi? Botero aveva
manifestato notevoli riserve. Sulla pmdenza nella ragion di Stato cfr. G. Botero, Della ra
gion di Stato, a cura di C. Continisio, Roma, Donzelli, 1997, pp. 43 sgg.; G. Borrelli, Ra
gion dl Stato e Leviatano. Conservazione e scambio alie origini della modernit? politica, Bo
logna, Il Mulino, 1993, pp. 82 sgg. e passim, che rileva come nel paradigma della ragion
di Stato la pmdenza assumesse un chiaro ruolo volto ?al fine della conservazione e della
stabilit? dell'autorit? politica? (ivi, p. 82), differenziandosi notevolmente dal significato che
pmdenza aveva avuto in Machiavelli. Un'interpretazione diff?rente ? quella di J.G.A., Po
cock, II momento machiavelllano. II pensiero politico florentino e la tradizione repubbllcana
anglosassone, Bologna, Il Mulino, 1980, vol. I, p. 381 e passim, secondo il quale in Ma
chiavelli sussisteva un'?antitesi tra pmdenza e audacia?, giacch? ?l'uomo prudente [...] sta
in artesa degli eventi? (ivi, p. 381). Da quanto qui detto nel testo, fondandoci sul dettato
machiavelliano, ci pare che Finterpretazione di Pocock sia inaccettabile su questo piano,
giacch? l'uomo prudente in Machiavelli ? tutto fuorch? un soggetto passivo. Sulla pmdenza
nell'et? barocca da leggere le pagine di R. Villari, Considerazloni sugli scrittori politici ita
liani dell'et? barocca, in Storia, filosof?a e letteratura. Studi in onore di Gennaro Sasso, a cura
di M. Herling e M. Reale, Napoli, Bibliopolis, s.d., in particolare pp. 342-343.
22 N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima de?? di Tito Livio seguid dalle Considerazloni in
torno ai Discorsi del Machiavelli di F. Guicciardini, ed. a cura di C. Vivanti, Torino, Ei
naudi, 2000, III, 9, p. 256.

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non rovinare o, di contro, a raggiungere addirittura la grandezza: ?fa bene la


fortuna questo, che la elegge un uomo, quando la voglia condurre cose gran
di, che sia di tanto spirito e di tanta virtu' che ei conosca quelle occasioni che
la gli porge>>23; sapendo cogliere con la <<prudenza>> le <<occasioni>>, l'uomo vir
tuoso riusciva a rompere il nesso dialettico volgendo a proprio vantaggio l'im
prevedibilita estrema della femminea <<fortuna>>. E infatti, quando Machiavelli
lodava i principi divenuti tali solo grazie alla propria virtu' osservava: ?esami
nando le azioni e vita loro non si vede che quelli avessino altro da la fortuna
che la occasione, la quale dette loro materia a potere introdurvi dentro quel
la forma che parse loro; e sanza quella occasione la virtu dello animo loro si
sarebbe spenta, e sanza quella virtu' la occasione sarebbe venuta invano>>24.
Cosi, da tutto quanto detto, emergono due assunti con certa chiarezza. In
primo luogo, in Machiavelli (come in Campanella) prudenza risultava una
specificazione di virtu' e occasione una specificazione di fortuna. Con il che
si annulla la differenza indicata con la lettera b. Soprattutto, comunque, si
coglie quanto esattamente in queste specificazioni i due termini non fossero
in opposizione fra di loro: virtu e fortuna potevano in Machiavelli essere ri
condotti ad unita venendo declinati in prudenza e occasione. Cosi la diffe
renza svela tutto il suo carattere di valutazione impressionistica, tanto che
Campanella poteva ben affermare: <<essendo proprio della prudenza sapersi
servire dell'occasione>>25. E infatti, in una riproposizione quasi letterale d'un
passo del Principe notata da Vittorio Frajese26, Campanella volgeva alla chiu
sura del capitolo I facendo menzione dell'esempio di Mose: <<Ecco ancora
l'occasione, che ritrovo il popolo oppresso di servitui dagli Egizii, onde piu
credito gli diede e con piu voglia lo seguito>>, laddove e fin troppo evidente
il nesso col VI capitolo del Principe: <<era adunque necessario a Moise trova
re el populo d'Israel in Egitto stiavo e oppresso da li Egizi, accio che quegli,
per uscire di servitui, si disponessino a seguirlo>>27.
Colto questo aspetto generale, proseguiamo nella nostra indagine concen
trandoci su uno dei principi posti da Campanella a fondamento del suo com
plesso discorso politico: la prudenza; possiamo spostarci, allora, al capitolo
V della Monarchia di Spagna, dal titolo, appunto, Della seconda causa che e la
prudenza28. Qui, sempre in apparenza, l'opposizione parrebbe insuperabile.

23 N. Machiavelli, Discorsi, cit., II 29, p. 214.


24 N. Machiavelli, Il Principe, cit., VI, p. 33.
25 T. Campanella, Monarchie d'Espagne, cit., VIII, p. 66.
26 V. Frajese, Profezia e machiavellismo, cit., pp. 68-69.
27 N. Machiavelli, II Principe, cit., p. 34.
28 T. Campanella, Monarchie d'Espagne, cit., pp. 36-42. Si pu? confrontare questo capito
lo con FXI capitolo della Politica, cit., De secunda causa acquirendi, gubernandique impe
ria, sive, De prudentia, & Virtutis usu, pp. 134-135, in cui l'elenco ? pi? corposo ma so
stanzialmente an?logo. La dissimulata pol?mica sulla distinzione tra prudenza e astuzia si

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735 Campanella e Machiavelli

Campanella, infatti, elaborava una complicata tassonomia fondata sull'oppo


sizione fra prudenza e astuzia, termine, quest'ultimo, che <<alcuni chiamano
ragion di stato>>, e che discendeva - scriveva lo stilese - dall'<empio Mac
chiavello>>; qui per la prima volta citato espressamente come maestro di Ce
sare Borgia e in genere del politico astuto29. Attraverso la prudenza Campa
nella avrebbe svelato i suoi principi vincenti e giusti, nel mentre declinando
l'astuzia avrebbe smascherato i principi esiziali e malvagi risalenti al <<dete
stato>> Machiavelli. Al di la delle dichiarazioni d'intenti, tuttavia, a leggere il
capitolo di nuovo emerge, piuttosto, una lettura straordinaria dell'opera del
segretario fiorentino; sicche, proprio in virtu della citazione espressa e del
l'apparente antimachiavellismo, si svela, invece, la dissimulazione. E anzi que
sto capitolo, che converra riportare quasi per intero, e un vero e proprio ca
polavoro di dissimulazione.
Secondo la prima antinomia proposta, ?la prudenza e magnanima e guarda
alle cose per verita grandi; l'astuzia e pusillanime e per voler apparire ma
gnanima declina a superbia>>30. Qui e alquanto arduo riconoscere nella con
dotta astuta termini riconducibili al Machiavelli del Principe: riguardo alla pu
sillanimita, tra i pochissimi vizi che il principe doveva evitare in ogni modo,
v'era proprio cenno espresso a questa nell'opera sua31, dove discorrendo del
la necessita di rifuggire dall'odio e dal disprezzo, Machiavelli faceva discen
dere quest'ultimo dall'essere il principe ?vario, leggieri, effeminato, pusilla
nime, irresoluto>>. E si puo aggiungere che, allorquando lo stesso Campanel

trova anche in T. Campanella, Atheismus Triumphatus. Seu reductio ad religionem per scien
tiarum et veritates, Parisiis, Tussanum Dubray, 1636, cap. XVIII, p. 237.
29 Ernst, Introduction, cit., p. XXVI, nota che: ?Quand Campanella parle de la pmdence
dans ce texte et dans d'autres, il insiste sur ce qui la distingue de l'astuce machiav?llienne
que les Modernes appellent "raison d'Etat", en jouant habilement et subtilement sur les
oppositions et les distinctions. Tandis que la pmdence est repr?sent?e comme l'instrument
de l'unit? organique, l'astuce et la raison d'Etat ne sont que des techniques tourn?es vers
l'affirmation de l'individualit? ?go?ste et vou?es en tant que telles ? la faillite, comme l'ont
amplement d?montr? la fin tragique de C?sar Borgia, "disciple de l'impie Machiavel" et
celle des N?rons, des Ezzelini et autres?. L'argomentazione di Ernst, dunque, propende
per vedere in Cesare Borgia Ferae machiavelliano per eccellenza, e contrappone un Ma
chiavelli volto all'interesse privato del principe contro l'int?resse collettivo a un Campa
nella volto a fine opposto. Ora, Machiavelli propone Cesare Borgia come esempio positi
vo solo per i principi del tutto nuovi, e per spiegare la sua ingloriosa fine, ricorre esatta
mente all'argomento cui ricorre Campanella per criticare Machiavelli stesso, cio? la sua
scarsa prudenza nell'elezione di Giulio II. Inoltre, ? quanto mai azzardato riferire a Ma
chiavelli un'ideologia tesa a promuovere il bene privato del principe contro il bene pub
blico, laddove risalta in ogni sua opera quanto Machiavelli proponesse esattamente il fine
del bene della patria al di sopra di tutto; il che poi non vuol dire che fosse Fideologo del
la ragion di Stato.
30 T. Campanella, Monarchie d'Espagne, cit., V, p. 36.
31 N. Machiavelli, Il Principe, cit., XIX, p. 120.

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736 Luca Addante

la prescriveva d'evitare il disprezzo, egli esprimeva tale concetto scrivendo,


con termine d'origine latina, ?per non diventar contennendo?32, cioe, ap
punto, disprezzato, laddove Machiavelli invitava proprio a <<fuggire quelle
cose che lo faccino odioso e contennendo>>. Sia nella terminologia sia nel con
cetto, quindi, ci pare che anche in questo caso Campanella si muovesse nel
la scia di Machiavelli e non in contrasto.
Procedendo, poi, il calabrese sentenziava: <la prudenza e clemente e veridi
ca, l'astuzia e crudele e adulatoria>>33. Anche qui la dicotomia parrebbe in
trodurre un reale segno di differenziazione, benche il secondo termine sia
espresso argomento di un capitolo del Principe (XXIII) dedicato esattamen
te alla critica veemente dell'adulazione. Chiaramente, tuttavia, qui il nerbo
della tipizzazione consisteva nell'assegnare all'astuzia la condotta crudele. An
dando a verificare i testi, pero, intanto vediamo che Machiavelli aveva scrit
to che <<ciascuno principe debbe desiderare di essere tenuto piatoso e non
crudele: nondimanco debbe avvertire di non usare male questa pieta>>34. Per
spiegare cosa volesse dire con ?usare male questa pieta>>, Machiavelli elabo
rava una casistica piuttosto precisa, da cui si evince che la crudelta potesse
essere [e andasse] adoperata solo in alcuni casi ben precisi, contrassegnati in
variabilmente dall'eccezionalita e, peraltro, legati indissolubilmente al pro
blema del bene comune: ?debbe [...] uno principe non si curare della infa
mia del crudele per tenere e' sudditi sua uniti e in fede: perche con pochis
simi esempli sara piu pietoso che quelli e' quali con troppa pieta lasciono
seguire e' disordini, di che nasca uccisioni o rapine; perche queste sogliono
offendere una universalita intera, e quelle esecuzioni che vengono dal prin
cipe offendono uno particulare>>35. Qui l'esempio era Cesare Borgia, il quale
?era tenuto [...] crudele: nondimanco quella sua crudelta aveva racconcia la
Romagna, unitola, ridottola in pace e in fede. I1 che se si considera bene, si
vedra quello essere stato molto piu piatoso che il popolo fiorentino, il qua
le, per fuggire il nome di crudele, lascio distruggere Pistoia>>36.
La crudelta, dunque, nel primo caso contemplato era sinonimo di castigo
esemplare da comminare per il bene comune e per evitare la disgregazione
dello Stato in una condizione d'assoluta eccezionalita. Eccezionalita che e dif
ficile non riconoscere nell'altro caso proposto, in parte collegato al primo, che
era quello del ?principe nuovo>> cui sarebbe stato ?impossibile fuggire il nome
di crudele, per essere gli stati nuovi pieni di pericoli>>37. Anche qui, insomma,

32 T. Campanella, Monarchie d'Espagne, cit., XV, p. 150.


33 Ivi, V, p. 36.
34 N. Machiavelli, Il Principe, cit., XVII, p. 108.
35 Ivi, p. 109.
36 Ivi, pp. 108-109.
37 Ivi, p. 109.

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737 Campanella e Machiavelli

si trattava di norma limitata, condizionata da uno stato d'eccezione; lo stesso


Cesare Borgia era principe nuovo e non si puo sottacere la notevolissima dif
ferenza che Machiavelli a piui riprese pose tra la fase di conquista e la fase di
mantenimento dello Stato. I1 che, vale notarlo, lo metteva al di fuori della piu
tarda trattatistica della ragion di Stato. Per Botero lo scopo del principe era
la conservazione dello Stato e non la conquista di Stati nuovi38, sicche l'ecce
zionalita del momento machiavelliano esulava del tutto da quella tradizione in
cui Campanella mostrava di inserirlo facendone addirittura il primo asserto
re. In questo caso, semmai, affiorava ancora una volta l'antropologia machia
velliana: la giustificazione addotta alla proposta di violare norme della mora
le comune, era fondata nella sottolineatura di quanto fossero i tempi e so
prattutto gli uomini al di fuori della stessa morale comune. Le dure regole
della politica del tempo imponevano in condizioni eccezionali risoluzioni ec
cezionali, ma con cio Machiavelli non proponeva al suo principe di mantene
re una condotta crudele. Al contrario: in un capitolo precedente aveva scrit
to che <<non si puo [...] chiamare virtu' ammazzare e' suoi cittadini, tradire gli
amici, essere sanza fede, sanza piata, sanza religione: e' quali modi possono
fare acquistare imperio, ma non gloria>>39; il suo ragionamento, allora, non era
volto a proporre al principe d'essere crudele sic et simpliciter, ma a mostrare
quanto il principe prudente dovesse adeguarsi al corso dei tempi se non aves
se voluto la rovina sua e dello Stato: una condotta necessariamente limitata
nel tempo e giustificata da esigenze di natura eccezionale. Non a caso, ripor
tando l'esempio dell'efferato tiranno di Siracusa Agatocle, pur osservandone
il successo politico aggiungeva <<nondimanco la sua efferata crudelta e inu
manita con infinite sceleratezze non consentono ch'e' sia in fra gil eccellentis
simi uomini celebrato>>40, il che, se inquadrato nella regola generale secondo
cui <<debbe uno uomo prudente entrare sempre per vie battute da uomini
grandi, e quegli che sono stati eccellentissimi imitare>>4', rivela quanto Ma

38 Cfr. G. Botero, La ragion dl Stato, cit., p. 10: il capitolo X ha per titolo Quale sia opera
maggiore, l'aggrandire o il conservare uno Stato, quesito cui immediatamente Botero ri
spondeva: ?senza dubbio che maggior opera si ? il conservare?. Sul rapporto (e soprat
tutto sulla distanza) tra i teorici della ragion di Stato (in particolare Botero) e Machiavel
li cfr., in una letteratura piuttosto ampia, Machiav?lisme et raison d'Etat. XIT-XVIIT si?cle,
?d. par M. Senellart, Paris, Puf, 1989, con scelta antologica di testi; A. Tenenti, Dalla ?ra
gion di Stato? di Machiavelli a quella dl Botero, in Botero e la ?ragion di Stato?, Atti del
convegno in memoria di Luigi Firpo (Torino 8-10 marzo 1990), a cura di A.E. Baldini, Fi
renze, Olschki, 1992; C. Vasoli, Machiavel inventeur de la raison d'Etat?, in Raison et d?
raison d'Etat, sous la dir. de C.Y. Zarka, cit.; M. Viroli, Dalla politica alla ragion di Stato.
La scienza del governo tra XIII e XVII sec?lo, Roma, Donzelli, 1994; C. Vivanti, Introdu
zione, a N. Machiavelli, Discorsi, cit.
39 N. Machiavelli, Il Principe, cit., VIII, p. 57.
40 Ibidem.
41 Ivi, VI, p. 32.

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738 Luca Addante

chiavelli non proponesse al suo principe d'essere crudele tout court ma, per
I'appunto, solo in condizioni eccezionali e ben specificate. Un disegno evi
dente nell'ultimo caso nel quale la crudelta era dal fiorentino perorata, quel
lo relativo alla guerra: ?quando el principe e con li eserciti e ha in governo
moltitudine di soldati, allora al tutto e necessario non si curare del nome del
crudele, perche sanza questo nome non si tenne mai esercito unito ne dispo
sto ad alcuna fazione>>42, precetto fondato sull'esempio di Annibale,
che, avendo uno esercito grossissimo, misto di infinite generazioni di uomini, con
dotto a militare in terra aliena, non vi surgessi mai alcuna dissensione, ne in fra loro,
ne contro al principe, cosi nella cattiva come nella sua buona fortuna. IE che non pos
se nascere da altro che da quella sua inumana crudelta: la quale, insieme con infinite
sua virtu, lo fece sempre nel conspetto de' sua soldati venerando e terribile,

e su quello opposto di Scipione ?dal quale li eserciti sua in Ispagna si ribel


lorno: il che non nacque da altro che da la sua troppa pieta>>43. Anche in que
sto caso - come non notarlo - risalta il criterio dell'eccezionalita. La condotta
da tenere nella guerra non si pu6 equiparare alla condotta da tenere nel go
vernare lo Stato nella quotidianita, e infatti, nello stesso capitolo V Campa
nella consigliava al sovrano prudente: <<Nella guerra poi conviene la severita
per mantenere i soldati nell'officio e frenare la vittoria militare, altrimenti non
obediscono e s'ammutinano come avvenne nell'esercito di Tiberio in Ger
mania>>. Ora, e vero che l'assunto rispetto a Machiavelli appare smussato, leg
gendosi in Campanella <severita>> in luogo di <<crudelta>>; inoltre, l'esempio
menzionato e quello di Tiberio e non quello di Scipione; ma quanto a que
st'ultimo punto, andando avanti leggiamo proprio che <<I capitani de soldati
[...] debbono essere [...] piu presto severi, come Annibale, che benigni, come
Scipione>>?; e rispetto all'uso di severita, tra le cause di decadenza del pote
re spagnolo Campanella notava ?che essi Spagnoli, pigliando un paese deli
zioso, in quello s'ammolliscono, e perdono la ferocia, onde possono perder
lo facilmente>>. In questo caso, quindi, <severita>> pur non divenendo ?cru
delta>>, veniva tradotta in ?ferocia>>, termine che non sembra possa
considerarsi tanto pi blando di quello adoperato da Machiavelli; e peraltro,
come nei casi eccezionali del segretario fiorentino, anche qui il termine as
sumeva un carattere di strumentale positivita; infatti, nel cap. IX, si legge: ?la
misericordia deve usarsi a tempo di pace [...] ma non a tempo di guerra>>5.
Qui come altrove, insomma, Campanella ammetteva sviamenti dalla ?cle
menza>> del prudente, adducendo a giustificazione, esattamente come il se

42 Ivi, XVII, p. 112.


43 Ivi, pp. 112-113.
44 T. Campanella, Monarchie d'Espagne, cit., XV, p. 142.
45 Ivi, IX, p. 84.

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739 Campanella e Machiavelli

gretario fiorentino, 1'eccezionalita della situazione concreta. Interpretazione


che, ove non basti quanto detto sinora, ci pare trovi conferma decisiva in un
passo della Politica, laddove, affrontando il problema del governatore che ves
sa le popolazioni (causa di disfacimento dello Stato), Campanella propone
va: <<Remedium est, solemniter crudelissimum quemque interficere ad popu
Ii satisfactionem, sicut Caesar Borgia Orcum Casenae>>46. II riferimento, fin
troppo evidente, era all'episodio narrato da Machiavelli nel Principe47 su Ce
sare Borgia che - in uno dei casi in cui era approvata la sua crudele condot
ta - aveva fatto squartare nella pubblica piazza <<Rimirro de Orco>>, il suo go
vernatore Ramiro de Lorqua, che aveva ecceduto nel rigore dell'amministra
zione della provincia a lui assegnata48. Si puo osservare facilmente, dunque,
come anche per Campanella, cosi come per Machiavelli, in determinate e ben
specificate condizioni, la crudelt'a potesse essere ammessa in deroga alla re
gola della clemenza; crudelta che il frate avrebbe giustificato proprio attra
verso l'esempio del tanto vituperato Valentino. A tutto quanto detto, anco
ra, si aggiunga un luogo dei Discorsi, nel quale pur nel suo pessimismo an
tropologico, Machiavelli non mancava di evidenziare ?quanto qualche volta
possa piu negli animi degli uomini uno atto umano e pieno di carita che uno
atto feroce e violento, e come molte volte quelle provincie e quelle citta che
le armi, gl'instrumenti bellici ed ogni altra umana forza non ha potuto apri
re, uno esemplo di umanita e di piata, di castita o di liberalita, ha aperte. Di
che ne sono nelle istorie [...] molti [...] esempli>>49. Lungi dall'essere in con
traddizione con se stesso, anche nei Discorsi Machiavelli chiariva ulterior
mente come la crudelta non dovesse essere una regola assoluta e invariabile
della condotta politica, bensi solo un espediente da usare in modo limitato
nel tempo. Difficile pensare che Campanella non avesse colto queste distin
zioni nel pensiero machiavelliano di cui, come finora abbiamo visto, si rivelo
un interprete d'acutezza e perspicacia eccezionali. Che Machiavelli non in
tendesse che si dovesse indulgere come regola alla crudelta, lo si pu1o trarre
anche dal suo insistere su quanto il principe dovesse assolutamente evitare
d'essere odiato. E analoga preoccupazione percorreva tutta la Monarchia di
Spagna: tra le <<cagioni>> (termine machiavelliano, nota Frajese) per cui la mo
narchia poteva essere rovinata campeggia <<l'odio dei popoli verso il re>>50, e

46 T. Campanella, Politica, cit., XIII, af. 27, p. 140 (corsivo nostro).


47 N. Machiavelli, Il Principe, cit., VII, pp. 45-47.
48 Cfr., anche, T. Campanella, Monarchie de France, cit., p. 560, ove scriveva ?corne f? Ce
sar Borgia ad Orco di Cesena?; e cfr., inoltre, Id., Consultationes aphoristicae gerendae rei
present?s temporis cum Austriacis ac Italis ad Hispanismi deiectionem perficiendam, in Opu
scoli inediti, a cura di L. Firpo, cit., dove a p. 115 leggiamo ?sicut Orco Cesenati fecit dux
Borgia Hispanus?.
49 N. Machiavelli, Discorsi, cit., III, 20, p. 280.
50 T. Campanella, Monarchie d'Espagne, cit., VIII, p. 68.

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740 Luca Addante

in numerosi altri luoghi dell'opera il tema ritorna, fino al capitolo XVII, Del
l'amore e odio de popoli, e delle congiure che, cosi come il capitolo sulle mi
lizie, e (con differenze di poco rilievo) un concentrato del pensiero machia
velliano, capitolo nel quale la dipendenza da assunti machiavelliani e talmente
evidente, da non meritare eccessiva attenzione, salvo, appunto, notare come
tra le cause delle congiure in Campanella, vi fosse l'odio <<perche nessuna
cosa nuoce piu' al Re che l'odio de popoli a se, onde ne nascono le congiure
contro la sua persona, o contra lo stato>>51.
Ma procediamo nel confronto tra prudenza e astuzia per vedere, ancora me
glio, come in questo secondo termine Campanella proiettasse un Machiavel
li inesistente, nel mentre quasi sempre il fiorentino ritroviamo dissimulato con
abilit'a nella condotta prudente52. Abilita evidente nell'assunto secondo cui,
nella declinazione campanelliana, <<L'astuto cerca inganni bassi e fraudi con
trarie al suo popolo, per debilitarlo e sbassarlo>>; ora, e innegabile che Ma
chiavelli proponesse nel Principe (e in alcuni casi determinati nei Discorsi) an
che l'inganno; ma a ben vedere, e difficile trovare una massima secondo cui
l'inganno venisse giustificato per muovere contro il popolo, per ?debilitarlo
e sbassarlo>>. Nel capitolo del Principe dedicato ad analizzare <<Quomodo fi
des a principibus sit servanda>>53, Machiavelli affermava senz'altro, con certo
cinismo, <<Non puo [...] uno signore prudente, ne debbe, osservare la fede
quando tale osservanzia gli torni contro e che sono spente le cagioni che la
feciono promettere>>54. Ma nel nono capitolo dello stesso Principe, Machia
velli avvertiva, pure, che ?a uno principe e necessario avere il populo amico,
altrimenti non ha nelle avversita remedio>>55; necessita cogente al punto che,
di fronte al dilemma se fosse meglio fondare il proprio dominio sull'appog
gio dei ?grandi? o su quello del popolo, Machiavelli consigliava di volgersi
senza indugi al popolo, giacche ?colui che viene al principato con lo aiuto
de' grandi, si mantiene con piu difficult'a che quello che diventa con lo aiu
to del populo, [...] perche quello del populo e piui onesto fine che quello de'
grandi, volendo questi opprimere e quello non essere oppresso>>56. Un assunto
che nei Discorsi era svolto con maggiore chiarezza ancora:
Vero e che io giudico infelici quelli principi che, per assicurare lo stato loro, hanno

51 Ivi, p. 176; e a confronto N. Machiavelli, Discorsi, cit., Ill, 6, pp. 234-252.


52 Da questo punto di vista ? utile ricordare le considerazioni di Mario d'Addio che, rife
rendosi all'attacco condotto contro Machiavelli t?^?l Atheismus Triumphatus, osservava:
?vediamo come lo Stilese non esita ad attribuire al suo awersario affermazioni che non si
ritrovano nelle opere di quello?. Cfr. M. D'Addio, Il pensiero politico di Gaspare Scioppio
e il machiavellismo del Selcento, Milano, Giuffr?, 1962, p. 363.
53 N. Machiavelli, II Principe, cit., XVIII, pp. 115-120.
54 Ivi, pp. 116-117.
55 Ivi, IX, p. 66.
56 Ivi, p. 64.

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741 Campanella e Machiavelli

a tenere vie straordinarie, avendo per nimici la moltitudine: perche quello che ha per
nimici i pochi, facilmente, e sanza molti scandoli, si assicura; ma chi ha per nimico
l'universale non si assicura mai; e quanta piu crudelta usa, tanto piu debole diventa
il suo principato. Talche il maggiore rimedio che ci abbia, e cercare di farsi il popo
lo amico57.

Anche in questo caso, insomma, Campanella veicolava un'immagine dell'a


stuto machiavellico che nulla a che fare aveva con quanto scritto dal segre
tario fiorentino; e ponendosi lo stesso problema del rapporto fra il sovrano
e i grandi o il popolo, peraltro, Campanella in un capitolo seguente lo risol
veva in identica maniera: <ogni signore piu s'aggrandisce quando egli e po
pulare, che quando e amico di pochi signori de suoi>>8. Ma non e tutto; e se
ci spostiamo alla condotta del prudente nella dicotomia in esame, vediamo
ancora una volta affiorare dissimulato Machiavelli proprio fra le trame del
prudente campanelliano. Esulando come in tutta la sua tipologia dall'usare
termini logicamente contrapposti, difatti, il calabrese mostrava quanto anche
il politico prudente non dovesse fare a meno dell'inganno. Con la differenza
che condotta prudente inclinava a usare verso il popolo ?inganni amorosi e
utili, per farlo savio e legarlo a far l'officio suo, come uso Numa, per farsi ve
nerando, e per tenere in freno Roma con la religione>>. Anche qui, allora, il
discorso sottendeva una sottile tecnica di dissimulazione: Campanella non ri
pudiava affatto gli inganni e anzi li perorava, ma a patto che fossero tali da
rendere il popolo fedele e savio59; e per dimostrare tale machiavelliano as
sunto, a Machiavelli ricorreva nell'esempio proposto, con evidenza tratto dal
libro primo dei Discorsi dove lo stesso Numa citato da Campanella ?simulo
di avere domestichezza con una ninfa, la quale lo consigliava di quello ch'e
gli avesse a consigliare il popolo>>60.
Andando avanti nella tassonomia fondata sull'opposizione astuzia/prudenza,
Campanella si soffermava sulla liberalita; vale a dire, nel linguaggio del tem
po, sulla prodigalit"a. Anche in questo caso, apparentemente, affiorano profon
de divergenze: Campanella consigliava d'essere liberale mentre Machiavelli6'
sconsigliava d'essere liberale. Ma a ben vedere, per l'ennesima volta, la que

57 N. Machiavelli, Discorsi, cit., I, 16, p. 49.


58 T. Campanella, Monarchie d'Espagne, cit., XI, p. 102.
59 Si pu? aggiungere, a questo proposito, un passo tratto dalla Monarchia del Messia: ?i po
poli obbediscono di bona voglia a quel che credono esser loro intercessore appo di Dio,
et depender? da Dio, e le sue leggi sono pi? venerande, et osservate non solo in publico,
come le leggi dei laici per timor? humano, ma anco in secreto, sapendo che Dio vede il
tutto?. Cfr. T. Campanella, La Monarchia del Messia, a cura di V. Frajese, Roma, Edizio
ni di storia e letteratura, 1995, p. 57.
60 N. Machiavelli, Discorsi, cit., I, 11, p. 38.
61 N. Machiavelli, Il Principe, cit., XVI, pp. 104-108.

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742 Luca Addante

stione non stava proprio in questi termini semplificati, e Campanella dimo


strava, di nuovo, una lettura straordinariamente acuta dell'opera del segreta
rio fiorentino. Specificando meglio, Machiavelli riportava l'esempio di Cesare
che ?con la liberalita pervenne allo imperio>>62, il che parrebbe contraddire
quanto da lui stesso affermato. In realta, come in tanti altri casi, anche rispetto
alla liberalit'a il fiorentino non proponeva una regola assoluta di comporta
mento: <<o tu se' principe fatto o tu se' in via d'acquistarlo. Nel primo caso
questa liberalita e dannosa. Nel secondo, e bene necessario essere ed essere
tenuto liberale>>63; com'e evidente, pertanto, era solo nella fase di conserva
zione del potere che la liberalita andava evitata. E identica distinzione, man
co a farlo apposta, faceva pure Campanella per cui <<la prudenza nell'acqui
stare e [...] liberale, declinando a prodigalita>>, sebbene poi il prudente ?aven
do acquistato non e prodigo, per poter mantenersi senza aver ad esigere assai
dal popolo con rubamenti e sdegnarlo, come facea Caligola, che per prodiga
lita divenne rapace d'ognuno>>?. Considerazione sovrapponibile perfettamen
te al Principe laddove il consiglio di non esser liberale nella fase della conser
vazione dello Stato era rivolto proprio in quanto il sovrano <sara necessitato
alla fine, se si vorra mantenere el nome del liberale, gravare e' populi estraor
dinariamente ed essere fiscale>>65; la liberalita andava evitata, insomma, ?per
non avere a rubare e' sudditi, [...] per non essere forzato di diventare rapa
ce>>?. <<Rapace>>, esattamente come in Campanella era divenuto Caligola.
Potremmo continuare a lungo sulla stessa scia; ma per cogliere meglio il nes
so Campanella/Machiavelli ci pare piu utile concentrare a questo punto l'at
tenzione sul problema dell'astuzia; e impossibile negare, infatti, che effetti
vamente Machiavelli consigliasse pure di farvi ricorso, sebbene non nei ter
mini nei quali il frate di Stilo voleva far credere al lettore. E Campanenla anche
su questo mostrava d'aver compreso perfettamente la lezione, ovviamente al
di la di quanto da lui stesso affermato. Si osservi il capitolo VII della Mo
narchia di Spagna, dal titolo Modo d'usar con gli ecclesiastici. Qui i motivi ma
chiavelliani affioravano su vari versanti: e difficile non scorgere un'eco della
polemica di Machiavelli contro le fazioni degli Orsini e dei Colonna svolta
nel Principe67 nel consiglio rivolto al re da Campanella secondo cui ?i cardi
nali capi di fazione li deve mandare al Mondo novo a governare, e in altri
luoghi lontani, con intervento del Papa, perche giovera assai alle cose sue>>68.

62 Ivi, p. 107.
63 Ibidem.
64 T. Campanella, Monarchie d'Espagne, cit., V, pp. 38-40.
65 N. Machiavelli, Il Principe, cit., XVI, p. 105.
66 Ivi, p. 107.
67 Ivi, XI, pp. 75-77.
68 T. Campanella, Monarchie d'Espagne, cit., VII, p. 58. Cfr. an?loga proposta in Id., Di
scorsi universali del governo ecclesiastico per far una gregge et un pastore, in L. Amabile, Fra

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743 Campanella e Machiavelli

Ma al di la di questo e d'altri simili rimandi, cio che ci preme evidenziare e


quanto qui Campanella proponesse al re di Spagna di muoversi secondo una
logica che e difficile non inquadrare nell'astuzia machiavellica all'apparenza
tanto vituperata. <<Tutte le sue imprese le faccia dichiarare giuste da esso
Papa, perche tutti Cristiani le laudino, e non sospettino dell'astuzia spagno
la>>69, scriveva con spregiudicatezza; e procedendo I'argomentazione, i toni as
sumevano tinte sempre piui marcatamente ciniche:
per fare che a ogni modo il Papa stia dalla parte del Re e il fato cristiano innalzi la
sua monarchia, mi pare espediente che il re Filippo proponga al Papa di volere os
servare la constituzione di Constantino imperatore, purche cedano ancora li altri Pren
cipi cristiani, la quale asserisce che tutte le cause possono appellarsi dalli signori e tri
bunali temporali alli tribunali delli Vescovi [..], perche vedendo il Papa questa gran
volonta del Re, necessariamente sempre sara suo, e il Re non ci perde di dignita in
questo, perche gli altri non consentiranno, ed egli dara animo al Papa di tenerla solo
con lui, e se ci consentissero, presto sariano sotto il dominio del Papa per necessita70.

La spregiudicatezza nel consiglio, volto a promuovere una politica di dissi


mulazione da parte della Spagna, risaltava ancora di piu nella specificazione
che Campanella elaborava sul contesto nel quale andava posto il suo proget
to, tendente ad assegnare (formalmente) ala Chiesa il giudizio d'appello del
le cause dei tribunali laici:
a fin che questo al Re non nuoccia, puo costituire un supremo Conseglio e tribunale
suo nel quale entrino due vescovi e il suo confessore ed esso Re come chierico [...],
e a questo Consiglio possano appellarsi tutte le cause degli altri tribunali e deli ve
scovi ancora, quando duramente trattassero con i suoi vassalli e con quelli del Re, per
che in tal modo il Re viene ad essere arbitro non solo delli suoi tribunali, ma di quel
li delli vescovi ancora, come sacrosanto.

Una proposta scandalosamente astuta, cui ne aggiungeva un'altra di riserva,


atta a raggiungere con mezzi diversi gli analoghi fini:
Overamente che l'appellazione vada al Papa delle cause laiche, pur che vada per gra
do, prima passando per il consiglio di due vescovi e del Re, e poi per il consiglio ge
nerale e ultimamente al Papa, perche consiglio generale non se ne fa se non ogni lon
ghissimo tempo, e al Papa e odioso il nome di concilio. Onde le cause sempre si fer
meranno nel Re, e cosi mostrando perdere guadagna71.

Tommaso Campanella ne' castelli di Napoli in Roma ed in Parigi, vol. II, Napoli, Morano,
1887, p. 82: ?quando regnano le fattioni, mandar li capi di quelle in altre provincie stra
ne, e diverse?, e nello stesso opuscolo, pp. 92-94 gli ?awertimenti agli elettori del Papa,
et in particolare a' Capi delle fattioni?.
69 T. Campanella, Monarchie d'Espagne, cit., VII, pp. 58-60.
70 Ivi, p. 62.
71 Ivi, p. 64.

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744 Luca Addante

Altre evidenti tracce di quanto Campanella proponesse di usare l'astuzia sen


za alcun rigurgito morale troviamo, inoltre, nella lunga sezione dedicata alle
nazioni che il re di Spagna avrebbe dovuto sottomettere per raggiungere lo
scopo dell'impero universale. Soffermandosi sulla Germania, dapprima pro
poneva d'indurre l'imperatore a fare ?patti con i protestanti e con le citta li
bere>>, poi proseguiva spingendo il sovrano a farsi nominare lui stesso impe
ratore, giacche: <<quando il re pretendesse occupare Germania, e necessario
essere eletto imperatore, e passare in Ongheria sotto specie d'andare contra
il Turco, e con questa occasione poi alla sprovvista umiliare i protestanti e le
citta imperiali, con gran prestezza>>72. Un'indicazione di condotta che non si
puo non definire machiavellicamente astuta nella quale, peraltro, affiorava
una chiara traccia di come, anche per Campanella, nei casi eccezionali, i pat
ti non fossero da osservare necessariamente.
Anche su questo piano potremmo continuare a lungo con citazioni d'analo
go segno; da tutto quanto detto, pero, uno degli assunti da cui siamo partiti
dovrebbe avere ricevuto gia sufficienti prove. Ci pare dimostrato, infatti, che,
nelle innegabili ed evidenti differenze, le analogie fra Campanella e Machia
velli non vadano, del pari, sottovalutate: non mancano massime boteriane73 e
spunti tratti da fonti ulteriori in un testo complesso qual e la Monarchia di
Spagna; ma, soprattutto, come abbiamo visto in quest'opera giovanile lo sti
lese mostrava d'aver colto con straordinaria perspicacia alcune pieghe radi
calmente innovative del discorso politico machiavelliano, lasciandosene evi
dentemente affascinare; eppure, perfettamente conscio della pericolosita di
muoversi sulla sulfurea scia di Machiavelli, con sottilissima prudenza, com
piendo un capolavoro di dissimulazione, si mostrava gila in quest'opera suo
implacabile e irriducibile avversario. D'altronde, sebbene si cristallizzasse
solo dopo la sua morte l'immagine di un Campanella che, travestito d'anti
machiavellismo in realt'a veicolava, dissimulando, le idee di Machiavelli, Gior
gio Spini segnalava come nel 1624, e dunque vivo (e recluso) ancora il cala
brese, questa opinione circolasse in ambienti cattolici74; e Germana Ernst ri

72 Id., XXIII, p. 242.


73 Alcuni luoghi richiamanti Fopera di Botero nell'edizione Ernst della Monarchia di Spagna
permangono, sebbene siano state espunte le interpolazioni segnalate a suo tempo da Rodolfo
De Mattei in un intervento letto all'Accademia dei Lincei; cfr. R. De Mattei, La ?Monarchia
di Spagna? di Campanella e la ?Ragion di Stato? dl Botero, in ?Rendiconti della R. Accade
mia Nazionale dei Lincei?, Classe scienze morali, storiche e filologiche, VI, vol. III, fase. 5
6, 1927, pp. 432-485, cit. in L. Russi, Il Botero di Rodolfo De Mattel, in Botero e la 'ragion
di Stato', cit., che dedica alia questione le pp. 449-455. Cfr. Emst, Introduction, pp. XIII
XV e Note philologique, pp. 607 sgg., a T. Campanella, Monarchie d'Espagne, cit.
74 Cfr. G. Spini, Ricerca dei libertini, cit., p. 121, nota 15, che menziona L'Impi?t? des d?i
stes, des ath?es et libertins, Paris, 1624, di M. Mersenne e altri volumi anteriori all'opera
di Conring.

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745 Campanella e Machiavelli

corda che la lettura del capitolo della Monarchia di Spagna dedicato alla Fian
dra aveva suscitato reazioni di sdegno furioso e, <<Dans le feu de la polemi
que, l'auteur fut presente comme un nouveau Machiavel>>75. La deposizione
di Maurizio de Rinaldis riferita sopra, poi, ci svela quanto il sospetto d'una
prossimita alle idee machiavelliane su Campanella dovesse gravare sin dai pri
mi anni della sua prigionia. E ben comprensibile, allora, che, almeno relati
vamente a Machiavelli, per il frate di Stilo l'unica strada fosse la dissimula
zione.

Sappiamo bene, del resto, che Campanella alla dissimulazione era ricorso in
diversi momenti, al di la dell'immagine d'antimachiavellico su cui ci siamo
soffermati fino ad ora. La stessa Germana Ernst76, facendo riferimento alla
pazzia, ricorda che <<au moment le plus dramatique de sa vie il [Campanel
la] dut simuler la folie, qui est un des remedes extremes du sage pour se sou
straire a la violence tyrannique>>. A questo riguardo, vale la pena rilevare come
Ernst rinvii a un passo del De sapientia di Girolamo Cardano come fonte del
la pazzia di Campanella, passo nel quale, effettivamente, v'e un riferimento
alla pazzia simulata da Bruto77. Ora, se non si puo escludere che Campanel
la si rifacesse anche a Cardano, considerando l'influenza esercitata da que
st'ultimo sul pensiero del filosofo di Stilo, nello stesso tempo non si vede per
che non ricordare il ben piu celebre capitolo dei Discorsi, dal titolo ?come
egli e cosa sapientissima simulare in tempo la pazzia>>78, incentrato proprio
sull'esempio di Bruto, certamente conosciuto da Campanella e che Cardano
aveva semplicemente riproposto: Giuliano Procacci79 ricorda che Cardano era
lettore assiduo del segretario fiorentino e, quasi certamente, proprio sul ce
lebre capitolo dei Discorsi s'era fondato per quella specifica questione. Come
mostrato da Rosario Villari, infatti, fu quel luogo machiavelliano ad assume
re natura paradigmatica e a porre le basi teoriche per rendere la dissimula
zione una modalita d'opposizione e resistenza al potere80. Cosi come (ne ab
biamo visto un saggio) I'avrebbe interpretata un acutissimo lettore di Ma
chiavelli quale Tommaso Campanella: in una lettera del 1636 il filosofo
calabrese, prossimo alla fine, scriveva <<io ho cercato tutte le sette del mon
do [...] non solo di legislatori e religioni varie [...], ma anche di tutti i filo

75 G. Ernst, Introduction, cit., p. XXI.


76 Id., La mauvaise raison d'Etat, cit., pp. 144-145. Cfr., sullo stesso argomento, Id., Tom
maso Campanella, cit., pp. 74-75 e 78-79.
77 Id., La mauvaise raison d'Etat, cit., pp. 145-146. Pone nel giusto rilievo l'incidenza di
Cardano (nella stessa lettura di Machiavelli) su Campanella Frajese, Profezia e machiavel
lismo, cit., pp. 60 sgg.
78 N. Machiavelli, Discorsi, cit., III, 2, pp. 228-229.
79 G. Procacci, Machiavelli nella cultura europea, cit., pp. 74 sgg.
80 R. Villari, Elogio della dissimulazione, cit., pp. 42 sgg.

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746 Luca Addante

sofi [...] Ed ho visto che nelle piu sprezzate sette vi son pensieri mirabili; e
quando io le rapporto, e necessario che mostri confutarle, come fa il Galilei
del Copernico: e pur questa cautela non li basto. Ma io le metto al teatro del
mondo per ben di tutti>>81. Chiaramente, nonostante questo passo sia assolu
tamente decisivo, Si puo convenire con Vittorio Frajese che in Campanella il
?problema della dissimulazione nei testi destinati alla stampa e [...] presente
e rilevante; ma non e l'unico>>82; non si devono, cioe, leggerne le opere con
l'ossessione di vedere in ogni parola scritta un meta-discorso, una chiave crip
tata che rimanda a chissa cosa. Nello stesso tempo, pero, occorre riconosce
re quanto il problema della dissimulazione fosse presente e pervasivo in Cam
panella, che altrimenti non ne avrebbe perorato una legittimazione teologica
e morale, elaborando una tipologia della dissimulazione nel libro X della
Theologia, al capitolo dedicato a De veracitate et suis partibus et oppositis83:
La simulazione consiste nel fare, usando di cose o di parole prese come cose, qualche
cosa che assomiglia a un ente reale o mentale. Percio la simulazione e triplice: imitati
va, comparativa e ingannevole. La simulazione imitativa e quella cui fan ricorso tutti
gli artefici, ma specialmente l'artefice primo Dio, il quale crea tutte le cose facendole
simili alla sua idea. Gli altri artefici, invece, che non traggono l'idea da se stessi, fan
no le cose simili alle idee desunte dalle cose. [...] La simulazione comparativa, invece,
e quella per cui una cosa e significata mediante un'altra cosa simile, come quando il
poeta crea una metafora [...] Nella terza simulazione, che e quella ingannevole, inter
viene invece il mendacio, e si ha quando simuliamo qualche cosa con l'intenzione di
mostrare il simulacro come la cosa vera, o gli facciamo significare quello che esso non
e [...] La peggiore di tutte le specie di simulazione ingannevole si chiama ipocrisia, con
vocabolo che indica una cosa dorata al di fuori, ma dentro di legno8.

Operata una prima distinzione in tre tipi fondamentali, e sottolineata l'im


portanza del <<mendacio>> nel tipo <<ingannevole>> (che e quello di nostro in
teresse), Campanella proseguiva soffermandosi sul mendacio considerato nel
fine, relativamente al quale, pure, elaborava una tassonomia, ancora una vol
ta tripartita: <<Dal punto di vista del fine, noi abbiamo considerato le seguenti
specie di mendacio: pernicioso, scherzoso e officioso (officiosum)>>5. La

81 T. Campanella, Lettere, a cura di V. Spampanato, Bari, Laterza, 1927, pp. 318-319. Cfr.,
inoltre, ivi, p. 79, dove in una lettera indirizzata a Filippo III di Spagna, riferendosi alla
simulazione della pazzia, Campanella scriveva: ?Dicono pure ehe ho finto d'esser pazzo:
io rispondo che David e Solone si finsero pazzi per lo stesso modo e son lodati da San Ge
r?nimo. Io non dico queste parole per allungar la vita, ma solo per il beneficio pubblico
a cui son consacrato?.
82 V. Frajese, Profezia e machiavellismo, cit., p. 70.
83 T. Campanella, Delle virt? e dei vizi In particolare. Theologtcorum liber X, vol. 2, a cura
di R. Amerio, Roma, Centra internazionale di studi umanistici, 1978, pp. 69-99.
84 Ivi, pp. 77-79.
85 Ivi, p. 83.

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747 Campanella e Machiavelli

sciando da parte i primi due tipi, poco interessanti ai fini del nostro discor
so, concentriamoci invece sul terzo, il mendacio officioso.
I1 mendacio officioso - continuava Campanella - si ha quando qualcuno mente per
la propria o l'altrui utilita e beneficio. Questo mendacio non e mai considerato col
pa nella Sacra Scrittura, anzi Giuditta viene lodata perche aveva mentito ad Olofer
ne per la salvezza del popolo. Similmente sono lodate le levatrici che mentirono al
Faraone per salvare gli infanti dagli Ebrei, e la donna Maccabea che promise ad An
tioco di indurre il figlio alla religione dei Gentili e poi fece il contrario86.

Nei casi esaminati non v' era solo riferimento al problema individuale del ri
schio di perdere la vita (di fronte al quale Campanella aveva inscenato la paz
zia), ma anche ai casi nei quali fosse minacciato il bene pubblico, secondo un
ragionamento armoniosamente legato alle affermazioni contenute nella lette
ra prima citata e, a ben vedere, con l'intera opera e vita campanelliane. An
dando piu oltre, e a ulteriore specificazione, infatti, il filosofo scriveva, si, che
cosi ?sembra che per conservar la vita si possa mentire>>87, ma specificando
ulteriormente che non era questo l'unico motivo che rendeva tale condotta
lecita: <<Dunque il mendacio, preso nella sua universalita, potrebbe non es
sere cattivo, e cosi succede quando usiamo il mendacio non per mentire, ma
per salvare la patria, come fece Giuditta>>88.
Movendosi con consapevolezza su un terreno sdrucciolevole, Campanella
mostrava, chiedendosi se <<ogni mendacio sia colpevole>>, che <<S. Agostino, nel
libro sul Mendacio, sostiene che sia sempre peccato, ma quasi tutti i Padri,
che scrissero prima di lui, sostengono il contrario [...] Ci sono nella Scrittu
ra innumerevoli esempi contro S. Agostino oltre quelli gia menzionati>>89. In
appoggio della tesi negata nientemeno che da S. Agostino, Campanella po
neva altri padri della Chiesa e proseguiva giungendo a inventare un peccato
di segno contrario, il veridicio, in cui incorrevano coloro che ritenevano do
ver dire sempre la verita, ad ogni costo:
Quelli al contrario che vogliono essere aperti e dire immediatamente la verita in tut

86 Ivi, p. 85.
87 Ivi, p. 91.
88 Ivi, p. 93. Sulla liceit? del mendacio prima di Machiavelli per fini di pubblica utilit? cfr.
R. De Mattei, Dal premachiavellismo all'antimachlavellismo, Firenze, Sansoni, 1969, pp. 15
sgg., il quale ricordava soprattutto alcuni luoghi della Repubblica di Platone (II e III libro)
ove il filosofo vietava Fuso della menzogna, salvo che contro i nemici e per il ?vantaggio
della citt??. De Mattei evocava anche altri casi fra cui Origene - che si riallacciava espli
citamente a Platone secondo cui la menzogna poteva essere utilizzata dall'uomo ?cui in
cubit n?cessitas mentiendi? -, S. Girolamo e S. Giovanni Crisostomo, mentre assoluta
mente negata la liceit? della menzogna era in Lattanzio, S. Agostino (De Mendacio e Con
tra mendacium), appunto, e Tertulliano.
89 T. Campanella, Delle virt? e dei vizi, cit., p. 87.

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748 Luca Addante

to, anche se dal dirla consegue del male, e questo per non sembrar mendaci, incor
rono in un vizio che non ha un nome particolare ma potrebbe chiamarsi veridicio [...]
Perch6 infatti qualcuno, interrogato circa una colpa enorme da lui commessa, do
vrebbe confessarla a chiunque lo interroghi? La confessi a Dio e al ministro di Dio
nel modo e nel tempo e nel luogo che conviene [...] Perci6 non soltanto il dire ve
rita, quando nuoce, sembra a Telesio, come egli dice, superstizione, ma molti filoso
fi e teologi giudicano tale anche il non mentire quando giova, sebbene S. Agostino
non conceda questa seconda cosa. Neanche noi la concediamo [...]; lo ammettiamo,
per6 come atto di prudenza, che simula per l'utilita90.

Finendo per citare anche Telesio a sostegno della sua posizione, insomma, in
linea di principio Campanella non mostrava alcun timore nello svelare le sue
decise inclinazioni verso la dissimulazione, inquadrandola, addirittura, in un
alveo teologico-morale; dal che ci si puo legittimamente chiedere per quale
motivo il frate avrebbe dovuto spingersi fino a tanto senza trarne le piu im
mediate conseguenze. E infatti, a parte la pazzia, abbiamo visto con quale
abilita lo stilese avesse dissimulato le sue pericolose acquisizioni dal discorso
machiavelliano, velandole con una veste tinta d'acceso antimachiavellismo.
L'esperienza di Campanella, del resto, come evidenziato da Rosario Villari,
s'era snodata quando la <<grande stagione della dissimulazione era [...] gia av
viata>>91, al punto da permeare le mentalit'a di quanti vivevano quella tor
mentata eta barocca, andando <<oltre l'esperienza di ristretti gruppi religiosi
e intellettuali e la pratica di governo>>92. Al qual riguardo e utile ricordare <l'e
strema violenza della repressione>> che s'ebbe a Napoli nel tempo in cui il ca
labrese visse e fu recluso.
Censure, processi alle idee, denunce, azioni repressive non colpirono soltanto le prati
che magiche e qualche esponente della ricerca scientifica [...], ma, in diverse fasi e in
diversi modi, tutte le manifestazioni della vita intellettuale che potevano mettere in di
scussione, sia pure in modo indiretto e lontano, l'ordinamento politico del Regno, i rap
porti tra Napoli e Madrid, il rapporto tra cultura e potere. Le esecuzioni, le deporta
zioni e le fughe del 1585 aprirono un periodo di repressione che si protrasse per mol
ti anni, con fasi di diversa intensita, e che colpi soprattutto il mondo intellettuale93.

90 Ivi, pp. 93-95.


91 R. Villari, Elogio della dissimulazione, cit., p. 27.
92 Ivi, p. 25 e passim.
93 Ivi, p. 37. Cfr., inoltre, sulla repressione a Napoli tra Cinque e Seicento, il classico (seb
bene per certi aspetti invecchiato) L. Amabile, II Santo Officio della Inquisizione in Napo
li, II voll., Citt? di Castello, Lapi, 1892; P. Lopez, Inquisizione stampa e censura nel Regno
di Napoli tra '500 e '600, Napoli, Edizioni del Delfino, 1974; G. Romeo, LTnquisizlone a
Napoli e nel Regno di Napoli nell'et? di Filippo II: un hilando, in Filippo II e il Mediterr?
neo, a cura di L. Lotti e R. Villari, cit.; pi? in gen?rale cfr. A. Rotond?, La censura eccle
siastica e la cultura, in Storia d'Italia, V, / Documenti, t. II, Torino, Einaudi, 1973; Id., Edi
toria e censura, in La stampa in Italia nel Cinquecento, a cura di M. Santoro, Roma, Bul

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749 Campanella e Machiavelli

In questo quadro fosco nella dissimulazione si poteva trovare un intelligente


antidoto per cercare di <<evitare iA rischio di annientamento, di scoprire i modi
attraverso i quali la ricerca e l'iniziativa potessero continuare a svolgersi, pas
sando dalla sterile protesta e dall'astratta razionalita al concreto operare po
litico. Trasferita nel campo della resistenza e della opposizione al potere [ ...]
poteva conquistare qui un nuovo spazio e una nuova funzione positiva>>94. Era
questo il panorama sul quale s'era stagliata la titanica personalita di Campa
nella che, con spregiudicatezza, aveva saggiato sulla propria pelle l'efficacia
di questo nuovo modo d'intendere un'arte antica quanto la politica stessa. I1
calabrese aveva vissuto (fra i tormenti) da protagonista questa nuova e com
plicata fase della cultura e dell'agire politico, contribuendo con grande effi
cacia, pagando un prezzo altissimo, all'articolazione di una strategia d'oppo
sizione che, insinuandosi fra le sfavillanti fantasmagorie e le ansie di conser
vazione del barocco, perorava principi di critica e di libetas philosophandi che
grazie anche alla dissimulazione sarebbero sopravvissuti (e in certo modo ma
turati) negli interstizi soffocanti di Controriforma e dominio spagnolo.
Pur non cogliendo l'aspetto della dissimulazione, d'altronde, aveva intravisto
questo aspetto positivo del tempo barocco gia Francesco Salfi che, in uno dei
suoi giudizi piu felici e originali, discorrendo degli eccessi del marinismo, ave
va confutato i critici secondo i quali nel Seicento ?gl'italiani perderono tutta
l'energia del loro spirito, allorche l'inquisizione romana e la tirannia spagno
la cospirarono, nel corso di tutto questo periodo, contro qualunque specie di
liberta>>.
Sebbene noi siamo ben lontani dal far l'apologia di queste due nemiche della ragio
ne, ci sembra che [...] in vece di soffocarla, essi non fecero al contrario che darle nuo
vo vigore. Egli e per lo meno certo, che allorche gl'italiani furono spogliati di tutti i
loro diritti civili, sentirono ancor pi il bisogno di ragionare e di esercitare la liberta
di pensare [I...] I letterati non furono giammai tanto perseguitati quanto nel corso di
questo periodo.
Ma di mezzo a queste continue persecuzioni si sviluppo sempre piu un nuovo spiri
to di liberta, e s'introdusse in tutte le parti della filosofia e della letteratura. I1 Tele
sio, il Campanella, il Cardano, Paolo Sarpi, Giordano Bruno, soprattutto i Lincei del
principe Cesi a Roma, i Segreti di Gian Battista Porta a Napoli, ed a Firenze la scuo

zoni, 1992; I. Mereu, Storia dell'intolleranza in Europa, Milano, Bompiani, 1995; A. Pro
speri, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Torino, Einaudi, 1996; R.
Villari, Considerazioni sugli scrittori politici italiani, cit., in particolare il par?grafo dedica
to a Repressione politica e censura; M. Infelise, Note sulle origini della censura di Stato, in
Filippo II e ll Mediterr?neo, a cura di L. Lotti e R. Villari, cit. Utilissime (anche per Fap
parato bibliogr?fico), infine, le sintesi di M. Infelise, I libri proibiti da Gutenberg all'Ency
clop?die, Roma-Bari, Laterza, 1999; e di G. Romeo, L'inquisizione nell'Italia moderna,
Roma-Bari, Laterza, 2002.
94 R. Villari, Elogio della dissimulazlone, cit., p. 40.

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750 Luca Addante

la di Galileo, ci sforzano a riguardare questo secolo, come un secolo d'invenzione e


di genio95.

Un giudizio controcorrente cui si possono affiancare, in conclusione, le pa


role di Rosario Villari, secondo cui <<'immagine cosi largamente diffusa a pro
posito del XVII secolo, di un mondo intellettuale e politico privo di eroismo
e di slanci ideali e dovuta [...], almeno in parte, all'insufficiente comprensio
ne delle vie tortuose e difficili attraverso le quali i tentativi di resistenza e di
critica erano obbligati a passare>>96.

95 F.S. Salfi, Ristretto della Storia della Letteratura Italiana, Soveria Mannelli, Rubbettino,
2002, vol. II, pp. 164-165.
96 R. Villari, Elogio della dissimulazione, cit., p. 8. Cfr., inoltre, Id., Il ribelle, in L'uomo ba
rocco, a cura di R. Villari, Roma-Bari, Laterza, 1998.

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