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Opinioni e dibattiti
CAMPANELLA E MACHIAVELLI:
INDAGINE SU UN CASO DI DISSIMULAZIONE*
Luca Addante
* Ringrazio Rosario Villari col quale ho discusso in varie occasioni l'impostazione gen?ra
le e singoli aspetti di questo lavoro.
1 T. Campanella, Risposte alle censure dell'?Ateismo triunfato?, in Opuscoli inediti, a cura
di L. Firpo, Firenze, Olschki, 1951, pp. 51-54, la cit. ? alle pp. 53-54. Cfr., inoltre, L.
Firpo, Le origini dell'antimachiavellismo, in ?Il pensiero politico?, II, 1969, 3, pp. 337
367. Utile, ci pare, fare riferimento anche a una lettera rinvenuta da G. Fulco e ora edi
ta in T. Campanella, Lettere 1595-1638 non comprese nell'edizione di Vincenzo Spampa
nato, a cura di G. Ernst, Pisa-Roma, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, 2000,
p. 66; rivolgendosi a Ottavio Sammarco, che pare stesse preparando un plagio degli Afo
rismi, il frate richiamava uninteressante lista d'autorit? nel campo politico: ?doveva vo
stra signoria pi? presto commentare detti Aforismi e leggere l'istorie tutte e Plutarco e
Budino, Aristotile, Platone e Macchiavello con licenza, et altri che di tale materia scris
sero, e difendere le cose mie in che discrepo da loro, e non, senza aver visto nullo di que
sti libri, solo con finger di voler leggere Aristotile e T?cito, cavar fuori Y Aforismi miei,
corne sue invenzioni?. Infine, P.O. Kristeller, her italicum: a finding list of uncatalogued
or incompletely catalogued humanistic manuscripts of the Renaissance in Italian and others
libraries, vol. II, Italy. Orvieto to Volterra. Vatican City, Leiden, EJ. Brill, 1967, p. 455,
ha considerato alcuni estratti dal Principe (ff. 54r-75r), dai Discorsi (ff. 76v-150r) e dalla
Vita di Castrucclo Castracani (ff. 75r-16r), conservad nella Biblioteca vaticana (Fondo Bar
berinlano Latino, vol. XX, n. 5286) ?apparently made by Campanella?. Cfr., sul punto,
G. Procacci, Machiavelli nella cultura europea dell'et? moderna, Roma-Bar?, Laterza, 1995,
p. 163.
2 L'espressione ? in Procacci, Machiavelli nella cultura europea, cit., p. 161. Cfr., inoltre,
V. Frajese, Profezla e machiavelllsmo. Il giovane Campanella, Roma, Carocci, 2002.
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3 G. Spini, Ricerca dei libertini. La teor?a dell'impostura delle religioni nel Seicento italiano,
Firenze, La Nuova Italia, 1983, pp. 108 sgg. nota 2, metteva in guardia rispetto a certe te
stimonianze res? da persone poco o punto affidabili, considerando ?testimonianze mag
giormente degne di cr?dito? quelle res? da Maurizio de Rinaldis, Cesare Pisano, Domeni
co Petrolo e Pietro Prester?.
4 V. Frajese, Campanella e la ?Monarchia di Spagna?, in Filippo II e il Mediterr?neo, a cura
di L. Lotti e R. Villari, Roma-Bar?, Laterza, 2003.
5 Procacci, Machiavelli nella cultura europea, cit., p. 161.
6 L. Amabile, Fra Tommaso Campanella, la sua congiura, i suoi processi, e la sua pazzla, vol.
in, Napoli, Morano, 1882, pp. 141-142.
7 G. Ernst, Introduction ? T. Campanella, Monarchie d'Espagne et Monarchie de France, tex
tes originaux introduits, ?dit?s et annot?s par G. Ernst, Paris, Puf, 1997, p. XXI. Ernst (p.
XXII) sottolinea che ?la confrontation avec Machiavel constitue un des aspects importants
de la pens?e de Campanella?, e in altro testo dal titolo significativo (G. Ernst, La mauvai
se raison d'Etat: Campanella contre Machiavel et les politiques, in Raison et d?raison d'Etat.
Th?oriciens et th?ories de la raison d'Etat aux XVT et XVIT si?cles, sous la dir. de Y.C.
Zarka, Paris, Puf, 1994, pp. 121-149) non manca di evidenziare il fatto che ?le rapport de
notre auteur [Campanella] ? Machiavel est, sur bien des aspects, ambigu? (p. 122); per il
resto, per?, Ernst non mostra dubbio alcuno nel differenziare nettamente il suo Campa
nella dal soleo machiavelliano. Cfr., oltre ai testi menzionati supra, Id., Religione, ragione
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vole studiosa ha insistito con caparbia sulla distanza siderale (in questo caso
e in generale) fra il suo Campanella e un Machiavelli letto attraverso le di
storcenti lenti del machiavellismo, come e evidente gia dalla citazione ripor
tata sopra, tendente a scorgere un nesso solo nel cinismo machiavellico di
certe proposte del testo campanelliano8. Vittorio Frajese, al contrario, ha ri
levato che <<il linguaggio usato nella Monarchia di Spagna rimanda subito con
tutta evidenza a Machiavelli>>, e questa tesi lo ha portato a ritenere che la
<<Monarchia di Spagna e scritta con il Principe e i Discorsi sott'occhio, non solo
in senso figurato ma, probabilmente, anche in senso materiale>>9.
La questione e, insomma, piuttosto intricata; volendo cercare d'affrontarla,
pertanto, la migliore strategia e quella di riferirci direttamente ai testi, attra
verso un procedimento di comparazione che saggi differenze e analogie sul
campo: individuando i principi fondanti del discorso politico campanelliano
esposti nella Monarchia di Spagna, li porremo a serrato confronto col discor
so politico machiavelliano. L'opera di comparazione, questo il nostro inten
to, dovrebbe dimostrare sia la formidabile influenza che sul politiquer di
Campanella Machiavelli aveva giocato sia la raffinata e intelligente strategia
di dissimulazione intessuta dal filosofo di Stilo: antimachiavellico furioso in
superficie ma in profondita pregno d'humus machiavelliana'0.
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dissimulazione. La lotta politica nel Seicento, Roma-Bari, Laterza, 1987. Per una disamina
recente sulla dissimulazione in Campanella, al di l? dello specifico problema del rapporto
con Machiavelli, cfr. la tesi di Phd di J. Scalzo, Tommaso Campanella and the Problem of
Dissimulation in Counter-Reformation Italy, supervisor D.R. Kelley, Department of History,
University of Rochester, Rochester (N.Y.), 1996, published by Umi Dissertation Services,
Ann Arbor (Michigan), Bell & Howell Company, 2000.
11 T. Campanella, Monarchie d'Espagne, cit., I, p. 4.
12 Ibidem.
13 N. Machiavelli, II Principe, a cura di G. Inglese, Torino, Einaudi, 1995, pp. 73-77. Sul
l'importanza dell'XI capitolo ha insistito il recente E. Cutinelli-R?ndina, Chiesa e religione
in Machiavelli, Pisa-Roma, Istituti editoriah e poligrafici internazionali, 1998.
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infatti, alla tipologia dei principati esposta nel capitolo I e svolta nei capitoli
seguenti, si aggiungevano i <Principati ecclesiastici>>, quelli cioe <<esaltati e
mantenuti da Dio>>, gli unici, nella lettura machiavelliana, ad essere ?sicuri e
felici>>. Nel XXV capitolo"4, poi, il segretario fiorentino annotava: <<E' non mi
e incognito come molti hanno avuto e hanno opinione che le cose del mon
do sieno in modo governate, da la fortuna e da Dio, che li uomini con la pru
denza loro non possino correggerle [...] Nondimanco, perche il nostro libero
arbitrio non sia spento, iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra del
la meta delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci govemare l'altra meta, o
presso, a noi>>, laddove la scomparsa di Dio nella seconda parte della propo
sizione - velato da un ?o presso>> denso di succhi scettici - era compensata
dall'exhortatio che chiudeva l'opera", con Machiavelli a mostrare quanto l'o
ra fosse propizia per la Casa de' Medici, <<la quale con la sua fortuna e virt ui,
favorita da Dio e da la Chiesa [...] possa farsi capo di questa redenzione>:
avendo Dio mostrato segni evidenti dell'ora fatale <<el rimanente dovete fare
voi: Dio non vuole fare ogni cosa per non ci torre el libero arbitrio e parte di
quella gloria che tocca a noi>>. Pur volendo concentrarsi sull'opera umana, al
lora, e pur riconoscendo importanza capitale alla fortuna, Machiavelli non di
sconosceva l'intervento di Dio nell'evoluzione delle vicende umane.
Quelle che, comunque, in questo caso ci appaiono delle dissonanze da smus
sare, divengono vere e proprie consonanze se ci poniamo di fronte ai due
successivi punti d'ipotetico contrasto prima enumerati. Iniziamo dal termine
<opportunita>> che viene usato in luogo della machiavelliana ?fortuna>>. Nel
lo stesso primo capitolo della Monarchia di Spagna, intanto, Campanella chia
risce come con opportunita occorra intendere proprio un aspetto specifico
della piu generale fortuna; soprattutto, a ogni modo, bisogna notare com'e
gli adoperi anche altro termine quale sinonimo di opportunita, e cioe <<occa
sione>>; vocabolo presente nello stesso primo capitolo, che in piu luoghi del
l'opera lo stilese dimostrava di preferire al primo inizialmente adoperato: nel
capitolo III, dopo aver parlato della prima causa (Dio) concludeva, ?onde mi
pare scoverta la chiave con la quale devo entrar a conoscere la conquista,
mantenimento e augmento e fine dell'imperio di Spagna, per la prima causa
che e Dio nelli profeti manifestata, e poi verro alla prudenza e occasione>>6.
E nella Politica: ?fundant, gubernantque Imperia Causee tres, Politice lo
quendo, videlicet, Deus, Prudentia, & Occasio>>7. Chiarito, allora, che per
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ne e stampa del testo), secondo una denominazione adoperata dallo stesso Campanella nel
le prime stesure manoscritte. Tuttavia, in entrambe le edizioni ?ndate a stampa v?vente il f?a
te di Stilo (1623 e 1637), l'op?ra aveva assunto la denominazione definitiva di Pol?tica (con
tenente in appendice la Civitas Solls), parte della pi? gen?rale Philosophia realis. Essendoci
noi fondati sull'ultima edizione parigina, pertanto, abbiamo ritenuto giusto adottare l'ultima
titolazione adoperata da Campanella stesso. Cfr. T. Campanella, Disputationum in quatuor
partes su Philosophia Realis libri quatuor. [...] Suorum Operum tomus II. [...] Physiol. Ethi
ca, Politica, Oeconomica, cum qu st., Parisiis, Ex Typographia Dionys. Houssaye, 1637.
18 T. Campanella, Monarchie d'Espagne, cit., V, p. 37.
19 Cfr. su questo punto Q. Skinner, Machiavelli, trad. it. Bologna, Il Mulino, 1999, pp. 44
sgg
20 Ivi, p. 45.
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733 Campanella e Machiavelli
21 Vale la pena di rilevare come durante Fet? barocca la pmdenza assumesse un ruolo as
solutamente fondamentale nella te?rica sulla ragion di Stato, ma, ci? detto, come vedremo
meglio avanti, evidente ? in Campanella la derivazione da uno specifico e ben definito si
gnificato di pmdenza che ? proprio della te?rica machiavelliana e su cui gi? Botero aveva
manifestato notevoli riserve. Sulla pmdenza nella ragion di Stato cfr. G. Botero, Della ra
gion di Stato, a cura di C. Continisio, Roma, Donzelli, 1997, pp. 43 sgg.; G. Borrelli, Ra
gion dl Stato e Leviatano. Conservazione e scambio alie origini della modernit? politica, Bo
logna, Il Mulino, 1993, pp. 82 sgg. e passim, che rileva come nel paradigma della ragion
di Stato la pmdenza assumesse un chiaro ruolo volto ?al fine della conservazione e della
stabilit? dell'autorit? politica? (ivi, p. 82), differenziandosi notevolmente dal significato che
pmdenza aveva avuto in Machiavelli. Un'interpretazione diff?rente ? quella di J.G.A., Po
cock, II momento machiavelllano. II pensiero politico florentino e la tradizione repubbllcana
anglosassone, Bologna, Il Mulino, 1980, vol. I, p. 381 e passim, secondo il quale in Ma
chiavelli sussisteva un'?antitesi tra pmdenza e audacia?, giacch? ?l'uomo prudente [...] sta
in artesa degli eventi? (ivi, p. 381). Da quanto qui detto nel testo, fondandoci sul dettato
machiavelliano, ci pare che Finterpretazione di Pocock sia inaccettabile su questo piano,
giacch? l'uomo prudente in Machiavelli ? tutto fuorch? un soggetto passivo. Sulla pmdenza
nell'et? barocca da leggere le pagine di R. Villari, Considerazloni sugli scrittori politici ita
liani dell'et? barocca, in Storia, filosof?a e letteratura. Studi in onore di Gennaro Sasso, a cura
di M. Herling e M. Reale, Napoli, Bibliopolis, s.d., in particolare pp. 342-343.
22 N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima de?? di Tito Livio seguid dalle Considerazloni in
torno ai Discorsi del Machiavelli di F. Guicciardini, ed. a cura di C. Vivanti, Torino, Ei
naudi, 2000, III, 9, p. 256.
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trova anche in T. Campanella, Atheismus Triumphatus. Seu reductio ad religionem per scien
tiarum et veritates, Parisiis, Tussanum Dubray, 1636, cap. XVIII, p. 237.
29 Ernst, Introduction, cit., p. XXVI, nota che: ?Quand Campanella parle de la pmdence
dans ce texte et dans d'autres, il insiste sur ce qui la distingue de l'astuce machiav?llienne
que les Modernes appellent "raison d'Etat", en jouant habilement et subtilement sur les
oppositions et les distinctions. Tandis que la pmdence est repr?sent?e comme l'instrument
de l'unit? organique, l'astuce et la raison d'Etat ne sont que des techniques tourn?es vers
l'affirmation de l'individualit? ?go?ste et vou?es en tant que telles ? la faillite, comme l'ont
amplement d?montr? la fin tragique de C?sar Borgia, "disciple de l'impie Machiavel" et
celle des N?rons, des Ezzelini et autres?. L'argomentazione di Ernst, dunque, propende
per vedere in Cesare Borgia Ferae machiavelliano per eccellenza, e contrappone un Ma
chiavelli volto all'interesse privato del principe contro l'int?resse collettivo a un Campa
nella volto a fine opposto. Ora, Machiavelli propone Cesare Borgia come esempio positi
vo solo per i principi del tutto nuovi, e per spiegare la sua ingloriosa fine, ricorre esatta
mente all'argomento cui ricorre Campanella per criticare Machiavelli stesso, cio? la sua
scarsa prudenza nell'elezione di Giulio II. Inoltre, ? quanto mai azzardato riferire a Ma
chiavelli un'ideologia tesa a promuovere il bene privato del principe contro il bene pub
blico, laddove risalta in ogni sua opera quanto Machiavelli proponesse esattamente il fine
del bene della patria al di sopra di tutto; il che poi non vuol dire che fosse Fideologo del
la ragion di Stato.
30 T. Campanella, Monarchie d'Espagne, cit., V, p. 36.
31 N. Machiavelli, Il Principe, cit., XIX, p. 120.
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38 Cfr. G. Botero, La ragion dl Stato, cit., p. 10: il capitolo X ha per titolo Quale sia opera
maggiore, l'aggrandire o il conservare uno Stato, quesito cui immediatamente Botero ri
spondeva: ?senza dubbio che maggior opera si ? il conservare?. Sul rapporto (e soprat
tutto sulla distanza) tra i teorici della ragion di Stato (in particolare Botero) e Machiavel
li cfr., in una letteratura piuttosto ampia, Machiav?lisme et raison d'Etat. XIT-XVIIT si?cle,
?d. par M. Senellart, Paris, Puf, 1989, con scelta antologica di testi; A. Tenenti, Dalla ?ra
gion di Stato? di Machiavelli a quella dl Botero, in Botero e la ?ragion di Stato?, Atti del
convegno in memoria di Luigi Firpo (Torino 8-10 marzo 1990), a cura di A.E. Baldini, Fi
renze, Olschki, 1992; C. Vasoli, Machiavel inventeur de la raison d'Etat?, in Raison et d?
raison d'Etat, sous la dir. de C.Y. Zarka, cit.; M. Viroli, Dalla politica alla ragion di Stato.
La scienza del governo tra XIII e XVII sec?lo, Roma, Donzelli, 1994; C. Vivanti, Introdu
zione, a N. Machiavelli, Discorsi, cit.
39 N. Machiavelli, Il Principe, cit., VIII, p. 57.
40 Ibidem.
41 Ivi, VI, p. 32.
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chiavelli non proponesse al suo principe d'essere crudele tout court ma, per
I'appunto, solo in condizioni eccezionali e ben specificate. Un disegno evi
dente nell'ultimo caso nel quale la crudelta era dal fiorentino perorata, quel
lo relativo alla guerra: ?quando el principe e con li eserciti e ha in governo
moltitudine di soldati, allora al tutto e necessario non si curare del nome del
crudele, perche sanza questo nome non si tenne mai esercito unito ne dispo
sto ad alcuna fazione>>42, precetto fondato sull'esempio di Annibale,
che, avendo uno esercito grossissimo, misto di infinite generazioni di uomini, con
dotto a militare in terra aliena, non vi surgessi mai alcuna dissensione, ne in fra loro,
ne contro al principe, cosi nella cattiva come nella sua buona fortuna. IE che non pos
se nascere da altro che da quella sua inumana crudelta: la quale, insieme con infinite
sua virtu, lo fece sempre nel conspetto de' sua soldati venerando e terribile,
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740 Luca Addante
in numerosi altri luoghi dell'opera il tema ritorna, fino al capitolo XVII, Del
l'amore e odio de popoli, e delle congiure che, cosi come il capitolo sulle mi
lizie, e (con differenze di poco rilievo) un concentrato del pensiero machia
velliano, capitolo nel quale la dipendenza da assunti machiavelliani e talmente
evidente, da non meritare eccessiva attenzione, salvo, appunto, notare come
tra le cause delle congiure in Campanella, vi fosse l'odio <<perche nessuna
cosa nuoce piu' al Re che l'odio de popoli a se, onde ne nascono le congiure
contro la sua persona, o contra lo stato>>51.
Ma procediamo nel confronto tra prudenza e astuzia per vedere, ancora me
glio, come in questo secondo termine Campanella proiettasse un Machiavel
li inesistente, nel mentre quasi sempre il fiorentino ritroviamo dissimulato con
abilit'a nella condotta prudente52. Abilita evidente nell'assunto secondo cui,
nella declinazione campanelliana, <<L'astuto cerca inganni bassi e fraudi con
trarie al suo popolo, per debilitarlo e sbassarlo>>; ora, e innegabile che Ma
chiavelli proponesse nel Principe (e in alcuni casi determinati nei Discorsi) an
che l'inganno; ma a ben vedere, e difficile trovare una massima secondo cui
l'inganno venisse giustificato per muovere contro il popolo, per ?debilitarlo
e sbassarlo>>. Nel capitolo del Principe dedicato ad analizzare <<Quomodo fi
des a principibus sit servanda>>53, Machiavelli affermava senz'altro, con certo
cinismo, <<Non puo [...] uno signore prudente, ne debbe, osservare la fede
quando tale osservanzia gli torni contro e che sono spente le cagioni che la
feciono promettere>>54. Ma nel nono capitolo dello stesso Principe, Machia
velli avvertiva, pure, che ?a uno principe e necessario avere il populo amico,
altrimenti non ha nelle avversita remedio>>55; necessita cogente al punto che,
di fronte al dilemma se fosse meglio fondare il proprio dominio sull'appog
gio dei ?grandi? o su quello del popolo, Machiavelli consigliava di volgersi
senza indugi al popolo, giacche ?colui che viene al principato con lo aiuto
de' grandi, si mantiene con piu difficult'a che quello che diventa con lo aiu
to del populo, [...] perche quello del populo e piui onesto fine che quello de'
grandi, volendo questi opprimere e quello non essere oppresso>>56. Un assunto
che nei Discorsi era svolto con maggiore chiarezza ancora:
Vero e che io giudico infelici quelli principi che, per assicurare lo stato loro, hanno
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741 Campanella e Machiavelli
a tenere vie straordinarie, avendo per nimici la moltitudine: perche quello che ha per
nimici i pochi, facilmente, e sanza molti scandoli, si assicura; ma chi ha per nimico
l'universale non si assicura mai; e quanta piu crudelta usa, tanto piu debole diventa
il suo principato. Talche il maggiore rimedio che ci abbia, e cercare di farsi il popo
lo amico57.
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742 Luca Addante
62 Ivi, p. 107.
63 Ibidem.
64 T. Campanella, Monarchie d'Espagne, cit., V, pp. 38-40.
65 N. Machiavelli, Il Principe, cit., XVI, p. 105.
66 Ivi, p. 107.
67 Ivi, XI, pp. 75-77.
68 T. Campanella, Monarchie d'Espagne, cit., VII, p. 58. Cfr. an?loga proposta in Id., Di
scorsi universali del governo ecclesiastico per far una gregge et un pastore, in L. Amabile, Fra
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Tommaso Campanella ne' castelli di Napoli in Roma ed in Parigi, vol. II, Napoli, Morano,
1887, p. 82: ?quando regnano le fattioni, mandar li capi di quelle in altre provincie stra
ne, e diverse?, e nello stesso opuscolo, pp. 92-94 gli ?awertimenti agli elettori del Papa,
et in particolare a' Capi delle fattioni?.
69 T. Campanella, Monarchie d'Espagne, cit., VII, pp. 58-60.
70 Ivi, p. 62.
71 Ivi, p. 64.
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745 Campanella e Machiavelli
corda che la lettura del capitolo della Monarchia di Spagna dedicato alla Fian
dra aveva suscitato reazioni di sdegno furioso e, <<Dans le feu de la polemi
que, l'auteur fut presente comme un nouveau Machiavel>>75. La deposizione
di Maurizio de Rinaldis riferita sopra, poi, ci svela quanto il sospetto d'una
prossimita alle idee machiavelliane su Campanella dovesse gravare sin dai pri
mi anni della sua prigionia. E ben comprensibile, allora, che, almeno relati
vamente a Machiavelli, per il frate di Stilo l'unica strada fosse la dissimula
zione.
Sappiamo bene, del resto, che Campanella alla dissimulazione era ricorso in
diversi momenti, al di la dell'immagine d'antimachiavellico su cui ci siamo
soffermati fino ad ora. La stessa Germana Ernst76, facendo riferimento alla
pazzia, ricorda che <<au moment le plus dramatique de sa vie il [Campanel
la] dut simuler la folie, qui est un des remedes extremes du sage pour se sou
straire a la violence tyrannique>>. A questo riguardo, vale la pena rilevare come
Ernst rinvii a un passo del De sapientia di Girolamo Cardano come fonte del
la pazzia di Campanella, passo nel quale, effettivamente, v'e un riferimento
alla pazzia simulata da Bruto77. Ora, se non si puo escludere che Campanel
la si rifacesse anche a Cardano, considerando l'influenza esercitata da que
st'ultimo sul pensiero del filosofo di Stilo, nello stesso tempo non si vede per
che non ricordare il ben piu celebre capitolo dei Discorsi, dal titolo ?come
egli e cosa sapientissima simulare in tempo la pazzia>>78, incentrato proprio
sull'esempio di Bruto, certamente conosciuto da Campanella e che Cardano
aveva semplicemente riproposto: Giuliano Procacci79 ricorda che Cardano era
lettore assiduo del segretario fiorentino e, quasi certamente, proprio sul ce
lebre capitolo dei Discorsi s'era fondato per quella specifica questione. Come
mostrato da Rosario Villari, infatti, fu quel luogo machiavelliano ad assume
re natura paradigmatica e a porre le basi teoriche per rendere la dissimula
zione una modalita d'opposizione e resistenza al potere80. Cosi come (ne ab
biamo visto un saggio) I'avrebbe interpretata un acutissimo lettore di Ma
chiavelli quale Tommaso Campanella: in una lettera del 1636 il filosofo
calabrese, prossimo alla fine, scriveva <<io ho cercato tutte le sette del mon
do [...] non solo di legislatori e religioni varie [...], ma anche di tutti i filo
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746 Luca Addante
sofi [...] Ed ho visto che nelle piu sprezzate sette vi son pensieri mirabili; e
quando io le rapporto, e necessario che mostri confutarle, come fa il Galilei
del Copernico: e pur questa cautela non li basto. Ma io le metto al teatro del
mondo per ben di tutti>>81. Chiaramente, nonostante questo passo sia assolu
tamente decisivo, Si puo convenire con Vittorio Frajese che in Campanella il
?problema della dissimulazione nei testi destinati alla stampa e [...] presente
e rilevante; ma non e l'unico>>82; non si devono, cioe, leggerne le opere con
l'ossessione di vedere in ogni parola scritta un meta-discorso, una chiave crip
tata che rimanda a chissa cosa. Nello stesso tempo, pero, occorre riconosce
re quanto il problema della dissimulazione fosse presente e pervasivo in Cam
panella, che altrimenti non ne avrebbe perorato una legittimazione teologica
e morale, elaborando una tipologia della dissimulazione nel libro X della
Theologia, al capitolo dedicato a De veracitate et suis partibus et oppositis83:
La simulazione consiste nel fare, usando di cose o di parole prese come cose, qualche
cosa che assomiglia a un ente reale o mentale. Percio la simulazione e triplice: imitati
va, comparativa e ingannevole. La simulazione imitativa e quella cui fan ricorso tutti
gli artefici, ma specialmente l'artefice primo Dio, il quale crea tutte le cose facendole
simili alla sua idea. Gli altri artefici, invece, che non traggono l'idea da se stessi, fan
no le cose simili alle idee desunte dalle cose. [...] La simulazione comparativa, invece,
e quella per cui una cosa e significata mediante un'altra cosa simile, come quando il
poeta crea una metafora [...] Nella terza simulazione, che e quella ingannevole, inter
viene invece il mendacio, e si ha quando simuliamo qualche cosa con l'intenzione di
mostrare il simulacro come la cosa vera, o gli facciamo significare quello che esso non
e [...] La peggiore di tutte le specie di simulazione ingannevole si chiama ipocrisia, con
vocabolo che indica una cosa dorata al di fuori, ma dentro di legno8.
81 T. Campanella, Lettere, a cura di V. Spampanato, Bari, Laterza, 1927, pp. 318-319. Cfr.,
inoltre, ivi, p. 79, dove in una lettera indirizzata a Filippo III di Spagna, riferendosi alla
simulazione della pazzia, Campanella scriveva: ?Dicono pure ehe ho finto d'esser pazzo:
io rispondo che David e Solone si finsero pazzi per lo stesso modo e son lodati da San Ge
r?nimo. Io non dico queste parole per allungar la vita, ma solo per il beneficio pubblico
a cui son consacrato?.
82 V. Frajese, Profezia e machiavellismo, cit., p. 70.
83 T. Campanella, Delle virt? e dei vizi In particolare. Theologtcorum liber X, vol. 2, a cura
di R. Amerio, Roma, Centra internazionale di studi umanistici, 1978, pp. 69-99.
84 Ivi, pp. 77-79.
85 Ivi, p. 83.
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747 Campanella e Machiavelli
sciando da parte i primi due tipi, poco interessanti ai fini del nostro discor
so, concentriamoci invece sul terzo, il mendacio officioso.
I1 mendacio officioso - continuava Campanella - si ha quando qualcuno mente per
la propria o l'altrui utilita e beneficio. Questo mendacio non e mai considerato col
pa nella Sacra Scrittura, anzi Giuditta viene lodata perche aveva mentito ad Olofer
ne per la salvezza del popolo. Similmente sono lodate le levatrici che mentirono al
Faraone per salvare gli infanti dagli Ebrei, e la donna Maccabea che promise ad An
tioco di indurre il figlio alla religione dei Gentili e poi fece il contrario86.
Nei casi esaminati non v' era solo riferimento al problema individuale del ri
schio di perdere la vita (di fronte al quale Campanella aveva inscenato la paz
zia), ma anche ai casi nei quali fosse minacciato il bene pubblico, secondo un
ragionamento armoniosamente legato alle affermazioni contenute nella lette
ra prima citata e, a ben vedere, con l'intera opera e vita campanelliane. An
dando piu oltre, e a ulteriore specificazione, infatti, il filosofo scriveva, si, che
cosi ?sembra che per conservar la vita si possa mentire>>87, ma specificando
ulteriormente che non era questo l'unico motivo che rendeva tale condotta
lecita: <<Dunque il mendacio, preso nella sua universalita, potrebbe non es
sere cattivo, e cosi succede quando usiamo il mendacio non per mentire, ma
per salvare la patria, come fece Giuditta>>88.
Movendosi con consapevolezza su un terreno sdrucciolevole, Campanella
mostrava, chiedendosi se <<ogni mendacio sia colpevole>>, che <<S. Agostino, nel
libro sul Mendacio, sostiene che sia sempre peccato, ma quasi tutti i Padri,
che scrissero prima di lui, sostengono il contrario [...] Ci sono nella Scrittu
ra innumerevoli esempi contro S. Agostino oltre quelli gia menzionati>>89. In
appoggio della tesi negata nientemeno che da S. Agostino, Campanella po
neva altri padri della Chiesa e proseguiva giungendo a inventare un peccato
di segno contrario, il veridicio, in cui incorrevano coloro che ritenevano do
ver dire sempre la verita, ad ogni costo:
Quelli al contrario che vogliono essere aperti e dire immediatamente la verita in tut
86 Ivi, p. 85.
87 Ivi, p. 91.
88 Ivi, p. 93. Sulla liceit? del mendacio prima di Machiavelli per fini di pubblica utilit? cfr.
R. De Mattei, Dal premachiavellismo all'antimachlavellismo, Firenze, Sansoni, 1969, pp. 15
sgg., il quale ricordava soprattutto alcuni luoghi della Repubblica di Platone (II e III libro)
ove il filosofo vietava Fuso della menzogna, salvo che contro i nemici e per il ?vantaggio
della citt??. De Mattei evocava anche altri casi fra cui Origene - che si riallacciava espli
citamente a Platone secondo cui la menzogna poteva essere utilizzata dall'uomo ?cui in
cubit n?cessitas mentiendi? -, S. Girolamo e S. Giovanni Crisostomo, mentre assoluta
mente negata la liceit? della menzogna era in Lattanzio, S. Agostino (De Mendacio e Con
tra mendacium), appunto, e Tertulliano.
89 T. Campanella, Delle virt? e dei vizi, cit., p. 87.
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748 Luca Addante
to, anche se dal dirla consegue del male, e questo per non sembrar mendaci, incor
rono in un vizio che non ha un nome particolare ma potrebbe chiamarsi veridicio [...]
Perch6 infatti qualcuno, interrogato circa una colpa enorme da lui commessa, do
vrebbe confessarla a chiunque lo interroghi? La confessi a Dio e al ministro di Dio
nel modo e nel tempo e nel luogo che conviene [...] Perci6 non soltanto il dire ve
rita, quando nuoce, sembra a Telesio, come egli dice, superstizione, ma molti filoso
fi e teologi giudicano tale anche il non mentire quando giova, sebbene S. Agostino
non conceda questa seconda cosa. Neanche noi la concediamo [...]; lo ammettiamo,
per6 come atto di prudenza, che simula per l'utilita90.
Finendo per citare anche Telesio a sostegno della sua posizione, insomma, in
linea di principio Campanella non mostrava alcun timore nello svelare le sue
decise inclinazioni verso la dissimulazione, inquadrandola, addirittura, in un
alveo teologico-morale; dal che ci si puo legittimamente chiedere per quale
motivo il frate avrebbe dovuto spingersi fino a tanto senza trarne le piu im
mediate conseguenze. E infatti, a parte la pazzia, abbiamo visto con quale
abilita lo stilese avesse dissimulato le sue pericolose acquisizioni dal discorso
machiavelliano, velandole con una veste tinta d'acceso antimachiavellismo.
L'esperienza di Campanella, del resto, come evidenziato da Rosario Villari,
s'era snodata quando la <<grande stagione della dissimulazione era [...] gia av
viata>>91, al punto da permeare le mentalit'a di quanti vivevano quella tor
mentata eta barocca, andando <<oltre l'esperienza di ristretti gruppi religiosi
e intellettuali e la pratica di governo>>92. Al qual riguardo e utile ricordare <l'e
strema violenza della repressione>> che s'ebbe a Napoli nel tempo in cui il ca
labrese visse e fu recluso.
Censure, processi alle idee, denunce, azioni repressive non colpirono soltanto le prati
che magiche e qualche esponente della ricerca scientifica [...], ma, in diverse fasi e in
diversi modi, tutte le manifestazioni della vita intellettuale che potevano mettere in di
scussione, sia pure in modo indiretto e lontano, l'ordinamento politico del Regno, i rap
porti tra Napoli e Madrid, il rapporto tra cultura e potere. Le esecuzioni, le deporta
zioni e le fughe del 1585 aprirono un periodo di repressione che si protrasse per mol
ti anni, con fasi di diversa intensita, e che colpi soprattutto il mondo intellettuale93.
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749 Campanella e Machiavelli
zoni, 1992; I. Mereu, Storia dell'intolleranza in Europa, Milano, Bompiani, 1995; A. Pro
speri, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Torino, Einaudi, 1996; R.
Villari, Considerazioni sugli scrittori politici italiani, cit., in particolare il par?grafo dedica
to a Repressione politica e censura; M. Infelise, Note sulle origini della censura di Stato, in
Filippo II e ll Mediterr?neo, a cura di L. Lotti e R. Villari, cit. Utilissime (anche per Fap
parato bibliogr?fico), infine, le sintesi di M. Infelise, I libri proibiti da Gutenberg all'Ency
clop?die, Roma-Bari, Laterza, 1999; e di G. Romeo, L'inquisizione nell'Italia moderna,
Roma-Bari, Laterza, 2002.
94 R. Villari, Elogio della dissimulazlone, cit., p. 40.
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750 Luca Addante
95 F.S. Salfi, Ristretto della Storia della Letteratura Italiana, Soveria Mannelli, Rubbettino,
2002, vol. II, pp. 164-165.
96 R. Villari, Elogio della dissimulazione, cit., p. 8. Cfr., inoltre, Id., Il ribelle, in L'uomo ba
rocco, a cura di R. Villari, Roma-Bari, Laterza, 1998.
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