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Egeria

RIVISTA DELLIstituto Superiore di Scienze Religiose


Beato Gregorio X
DI AREZZO

NUMERO

2 /2012

EDIZIONI NERBINI
Egeria
Rivista dellIstituto Superiore di Scienze Religiose Beato Gregorio X di Arezzo
Periodico semestrale

n. 2, anno I (settembre 2012)

Direttore editoriale: Marco Giovannoni


Direttore responsabile: Vittorio Gepponi
Comitato di redazione: Andrea Aguti, Sergio Angori, Antonio Bacci, Roberto Fornaciari,
Vittorio Gepponi, Marco Giovannoni, Alfredo Jacopozzi,
Gabriella La Mastra, Paolo Nepi, Donatella Pagliacci, Ida Tiezzi

PREZZO DI OGNI FASCICOLO: 16,00

ABBONAMENTI: ordinario 27,00


studenti iscritti allISSR Beato Gregorio X 20,00
sostenitori 35,00

Ogni versamento va fatto sul conto corrente postale n. 78472081


Intestato a: ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE BEATO GREGORIO X,
Piazza di Murello, 2 - 52100 Arezzo

Realizzazione editoriale: Prohemio Editoriale srl, Firenze


Preparazione per la stampa: Inscripta

2012 - Edizioni Nerbini


Via G.B. Vico, 11 - 50136 Firenze
Tel. 055 2001085
email: egeria@nerbini.net
www.nerbini.it

ISSN 2279-7653
ISBN 978-88-6434-181-1

Stampa:

In attesa di autorizzazione del Tribunale di Arezzo


S O M M A R I O

Editoriale
Marco Giovannoni p. 5

Dal personalismo comunitario


una lezione per il bene comune
Donatella Pagliacci 9

Trinit e incarnazione come archetipi del linguaggio.


Le radici teologiche della comunicazione
Anselmo Grotti 27

Il De episcoporum potestate in ecclesiasticam disciplinam


del giovane Antonio Martini
Pietro Domenico Giovannoni 47

La definizione di legge e il suo fine


secondo san Tommaso dAquino
Mara Victoria Hernndez Rodrguez 69

NOTE

Momenti, sistemi e figure del monachesimo italiano


contemporaneo. Nota bibliografica per lo studio
della storia del monachesimo in Italia
dallUnit nazionale ad oggi (1861-2012)
Roberto Fornaciari 91

Appunti di filosofia neotomista: il confronto


Bontadini-Fabro sul crocevia tra metafisica classica
e gnoseologia moderna
Carlo Leonardi 111

3
SOMMARIO

RECENSIONI

Chiesa e laicit dello Stato.


La questione teologica
Severino Dianich 123

Lettere dal fronte ceciliano.


Le visioni di don Guerrino Amelli nei carteggi
conservati a S. Maria del Monte di Cesena
Mauro Casadei Turroni Monti 124

Gli autori 127

4
Marco Giovannoni
EDITORIALE

5
Marco Giovannoni

6
Editoriale

7
Marco Giovannoni

8
Donatella Pagliacci
DAL PERSONALISMO COMUNITARIO
UNA LEZIONE PER IL BENE COMUNE

Una persona un essere spirituale


costituito come tale da un modo di sussistenza
e di indipendenza del suo essere;
essa mantiene questa sussistenza
mediante la sua adesione
a una gerarchia di valori liberamente eletti,
assimilati e vissuti con un impegno responsabile
e una costante conversione;
la persona unifica cos tutta la sua attivit nella libert
e sviluppa nella crescita
attraverso atti creativi la singolarit della sua vocazione
(Mounier, Manifesto al servizio del personalismo, 117).

Premessa

A PROFONDA CRISI ECONOMICA, politica, sociale, culturale, antropologica e mo-

L rale dei nostri tempi senzaltro una realt che viviamo con sgomento, ma
nello stesso tempo con la consapevolezza di essere, proprio in questo momento
di prova, convocati alla responsabilit. Infatti, nei momenti pi difficili che cia-
scuno di noi prende coscienza della necessit di attivare lintelligenza nella direzione
dellimpegno, affinch le risposte cercate e pensate siano realmente capaci di tenere
insieme le istanze pi profonde della persona, quali la domanda sulla natura delles-
sere personale e il bisogno di trascendenza, le dimensioni della sicurezza sociale e il
bisogno di stabilit, la crescita economico-sociale e la capacit di interagire con mo-
delli culturali e religiosi profondamente diversi e distanti, tutti convergenti nello
spazio pubblico.
La nostra riflessione, non potendo in questa sede articolare un discorso ad ampio
raggio sui malesseri della societ attuale, intende solo proporre un breve ripensa-
mento di quello che consideriamo il cuore e il fulcro di ogni domanda e di ogni ri-
sposta: la persona.
Solo ripartendo dalla persona, infatti, come ribadisce anche Benedetto XVI nella
Caritas in veritate, possiamo sperare che lagire umano sia capace di contrastare lin-
dividualismo e promuovere il bene comune. Cosa infatti il bene comune?

9
Donatella Pagliacci

il bene di quel noi-tutti dice il Pontefice formato da individui, famiglie


e gruppi intermedi che si uniscono in comunit sociale. Non un bene ricercato per
se stesso, ma per le persone che fanno parte della comunit sociale e che solo in essa
possono realmente e pi efficacemente conseguire il loro bene. Volere il bene co-
mune e adoperarsi per esso esigenza di giustizia e di carit. Impegnarsi per il bene
comune prendersi cura, da una parte, e avvalersi, dallaltra, di quel complesso di
istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente
il vivere sociale, che in tal modo prende forma di plis, di citt. Si ama tanto pi ef-
ficacemente il prossimo, quanto pi ci si adopera per un bene comune rispondente
anche ai suoi reali bisogni. Ogni cristiano chiamato a questa carit, nel modo della
sua vocazione e secondo le sue possibilit dincidenza nella plis. questa la via isti-
tuzionale possiamo anche dire politica della carit, non meno qualificata e in-
cisiva di quanto lo sia la carit che incontra il prossimo direttamente, fuori delle
mediazioni istituzionali della plis. Quando la carit lo anima, limpegno per il bene
comune ha una valenza superiore a quella dellimpegno soltanto secolare e politico1.

Per queste ragioni pensiamo sia utile ripartire dalla persona proprio approfon-
dendo la lezione di uno dei maestri del personalismo, Emmanuel Mounier, la cui
chiave di lettura quella dellimpegno2, che riuscito declinare la persona con la
vita comunitaria, conciliando in tal modo, nel segno del rispetto e della dignit del-
lessere umano, singolarit e comunit, particolarit ed universalit3.
Il titolo di Personalismo comunitario gi di per s, come ammette lo stesso Mou-
nier, un pleonasmo4, ossia unespressione ridondante che serve a convalidare la ve-
rit propria del personalismo. Questa verit, attorno alla quale ruota tutto il discorso
svolto da Mounier, si riassume in unaffermazione tanto concisa quanto energica,
contenuta in quello che pu essere considerato come il suo testamento filosofico, Il
personalismo (1949), in cui, riflettendo sullesperienza interiore della persona, am-
mette: La prima esperienza della persona lesperienza della seconda persona. Il tu,
e in lui il noi, precede lio, o per lo meno laccompagna5.
Questo riconoscimento e questa sfida guida il nostro breve percorso riflessivo,
che articoliamo in quattro nuclei tematici: si tratta in primo luogo di fare un po di
chiarezza nelluso dei termini, procedendo alla chiarificazione di espressioni quali

1
Caritas in veritate, n. 7.
2
G. Campanini, Incontro con Emmanuel Mounier, Eupress, FTL, Varese 2005, 25.
3
Questo perch, come avverte anche Rigobello: Il metodo di Mounier duplice: studio della natura della
persona in sede metafisica [] ed indagine comparata delle varie forme di societ; in altri termini: deduzione
da principi teoretici ed induzione da realt di ordine storico-empirico. Entrambi i metodi confluiscono nel
chiarire la medesima verit che sempre verit incarnata, pense engage (A. Rigobello, Il contributo filo-
sofico di Emmanuel Mounier, Fratelli Bocca, Roma 1953, 88-89).
4
Il pleonasmo (dal greco pleona,smoj: pleonasms) la figura retorica per cui si ha unaggiunta di parole
o elementi grammaticali esplicativi a unespressione gi compiuta dal punto di vista sintattico. A tale accor-
gimento, il cui effetto unevidente ridondanza, si ricorre per ragioni stilistiche, al fine di dare alla frase una
maggiore chiarezza o efficacia.
5
E. Mounier, Il personalismo, AVE, Roma 2004, 60.

10
Dal personalismo comunitario una lezione per il bene comune

personalismo e comunit; in secondo luogo verr approfondita la peculiare dimen-


sione dellessere personale, nella sua apertura allaltro, ma anche nella sua opacit e
resistenza a mettersi completamente in gioco con lalterit. Un terzo nucleo prover
ad approfondire la visione comunitaria del personalismo di Mounier, nel senso che
proveremo a lasciarci provocare da due nozioni al centro di non pochi dibattiti filo-
sofici, ma forse ancora lontane dallesperienza comune di ciascuno di noi, quali ad
esempio le idee di bene comune e di istituzioni. In conclusione, proveremo a ri-
prendere i presupposti del personalismo comunitario per scoprire come questi tro-
vino nel modello familiare una concreta possibilit di attuazione.

1. Definire il personalismo

Come movimento di pensiero, il personalismo nasce in Francia con Emmanuel


Mounier e la rivista da lui fondata Esprit, costituendo la prima e forse pi chiara
risposta da dare di fronte alla crisi degli anni Trenta. lo stesso Mounier a suggerire
come intendere correttamente il termine, al quale sottesa una filosofia pi che un
semplice atteggiamento:
Il personalismo una filosofia, non solamente un atteggiamento. una filo-
sofia, ma non un sistema. Tuttavia, il personalismo non rifugge da una sistema-
zione. Perch necessario un certo ordine nei pensieri: concetti, logica, schemi
sintetici non sono solamente utili a fissare e a comunicare un pensiero che, senza di
essi, si dissolverebbe in intuizioni opache e solitarie; ma servono a scavare queste in-
tuizioni nelle loro profondit: sono strumenti di scoperta e, nello stesso tempo, di
esposizione. Proprio perch fissa delle strutture, il personalismo una filosofia e
non un semplice atteggiamento6.

Di diverso avviso sembra essere Jacques Maritain che, almeno fino ad un certo
punto, ha condiviso lesperienza del gruppo sorto intorno alla rivista Esprit. Que-
sti, temendo laccentuazione dellaspetto dottrinale, fa risaltare la matrice rivoluzio-
naria del personalismo, nella misura in cui lo intende come un vero e proprio moto
di reazione contro i mali che stavano dilaniando il secolo breve: individualismo e to-
talitarismo.
La sintesi pi efficace sembra offerta dallo stesso Mounier che, non potendolo ri-
durre ad un fenomeno unitario, ritiene che si possa affermare che vi sono dei persona-
lismi e che sarebbe estremamente riduttivo ricondurli tutti ad ununica matrice. Per
sintetizzare, si pu intendere il personalismo in due diverse accezioni: in senso stretto
pu essere definito come una filosofia che individua nella persona il suo centro teore-

6
Mounier, Il personalismo, 28.

11
Donatella Pagliacci

tico. Si pu anche ammettere che alla base di questa prospettiva filosofica vi sia lin-
tuizione originaria della persona nella sua trascendenza e inesauribilit; in un senso
pi largo personalismo indica non tanto una filosofia, quanto un universo di atteg-
giamenti pratici, morali, politici qualificati dal primato della persona sulla natura.
Per tornare a Mounier, che la fonte ispiratrice delle nostre riflessioni, vi in lui
la propensione per una visione stretta di personalismo, inteso come filosofia della
persona, mentre Maritain propende per un personalismo pi orientato in chiave
etico-politica, nel senso che vede nella persona il criterio per prese di posizioni e
programmi di impegno.
Anche Paul Ricoeur, che ha conosciuto e, almeno fino ad un certo punto, con-
diviso le preoccupazioni e gli slanci culturali dello stesso Mounier7, ci offre un va-
lido contributo per rileggere lesperienza del personalismo. Infatti, nel suo breve ma
incisivo saggio intitolato: La personne, del 1983, contenuto in Lectures 2. La contre
des philosophes, nonostante la personale stima nei confronti di Mounier, sentenzia:
muore il personalismo, ritorna la persona8. Una simile affermazione rappresenta
una presa di distanza dal personalismo e unaccusa rivolta al fondatore della rivista
Esprit, che aveva voluto qualificare la propria prospettiva attraverso un -ismo, met-
tendolo in competizione con altri -ismi, quali, marxismo ed esistenzialismo. Una si-
mile scelta doveva rivelarsi come del tutto fallimentare, a sentire Ricoeur, soprattutto
alla luce dellelaborazione strutturalista, nel senso che apportava un modo di pen-
sare secondo lidea di sistema e non di storia [] e soprattutto un pensiero opera-
tivo che pretendeva di non aver bisogno dalcun soggetto per conferire senso a
qualunque cosa9.
Una volta sottolineati i limiti della prospettiva di Mounier, presentati forse dallo
stesso Mounier, Ricoeur passa a spiegare perch occorre abbandonare il personalismo
e ritornare alla persona. Non si pu, infatti, rimanere indifferenti di fronte ai conti-
nui soprusi che, in molti paesi del mondo, ledono i diritti delluomo, si pensi ad
esempio al problema dei diritti dei prigionieri o dei detenuti o ancora ai difficili casi
di coscienza posti dalla legislazione di estradizione: come si potrebbe argomentare
avverte Ricoeur in ciascuno di questi casi senza rifarsi alla persona?10. Ma se la
persona ritorna, dice ancora Ricoeur, perch essa resta il miglior candidato per so-
stenere le lotte giuridiche, politiche, economiche e sociali evocate da altri, un can-

7
Ho approfondito la mia amicizia con Emmanuel Mounier poco prima della sua morte, che fu per me
un grande lutto. Mi rivedo, nel 1950, nel giardino dei Murs blancs, a Chtenay-Malabry, ignaro che un
giorno vi avrei abitato, e col volto in lacrime. La persona di Mounier mi aveva davvero conquistato, meno le
sue idee che lui stesso: ero gi sufficientemente strutturato da un punto di vista filosofico per essere uno dei
suoi discepoli, ma ne sono stato comunque compagno (P. Ricoeur, La critique et la convinction, Calmann-
Levy, Paris 1995; tr. it. di D. Iannotta, La critica e la convinzione, Jaca Book, Milano 1997, 48).
8
P. Ricoeur, La persona, Morcelliana, Brescia 1997, 21.
9
Ricoeur, La persona, 23.
10
Ricoeur, La persona, 26-27.

12
Dal personalismo comunitario una lezione per il bene comune

didato migliore, dunque, spiega Ricoeur, rispetto a coscienza, soggetto, io, la per-
sona appare oggi un concetto sopravvissuto e ritornato a nuova vita11.
Giunti a questo punto e con le suggestioni raccolte, pu essere opportuno per
comprendere il ruolo e il valore della persona nella prospettiva della vita comunita-
ria fare unulteriore precisazione inerente il significato del termine comunit.
In senso generale, comunit indica ci che pubblico, universale, generale, in
quanto contrapposto a proprium, di uno solo. In senso pi specifico, si possono rin-
tracciare due accezioni del termine, tra loro complementari; la prima rimanda alla
radice etimologica latina (communis) e indica ci che costituisce un bene accessibile,
condiviso e ripartito su basi di uguaglianza fra coloro che fanno parte di un deter-
minato gruppo sociale; la seconda si ricollega al latino cum-munus e rimanda allidea
di reciprocit di un obbligo, di un dovere o di un dono. Queste due diverse sfuma-
ture ispirano alcune considerazioni che proveremo ad articolare rispettivamente sul-
lidea di bene comune e sul rapporto tra relazioni interpersonali e istituzioni.
Se vero, come vero, che tali e tanti sono i significati del termine comunit,
tanto da porre seri problemi ermeneutici, altrettanto vero che ci che qui a noi in-
teressa rilanciare lidea, che gi un compito, del nesso inscindibile tra dimen-
sione personale ed esperienza comunitaria. A questo riguardo ci appelliamo
nuovamente a Mounier, che ammette: La comunit ha luogo con lemergere della
persona dallanonimato, allorquando una persona diviene per qualcuno una seconda
persona, un Tu12.
Da qui la necessit di costruire, per dirlo ancora con le parole di Mounier, una
comunit di persone, realmente unite nella condivisione e nella mutua comprensione
per la difesa e promozione della giustizia sociale e dei valori morali della libert e della
pace, come auspicavano anche i padri del Concilio Vaticano II nella dichiarazione
Nostra aetate, n. 3 in cui si affrontava tra laltro anche la questione dei rapporti tra
cristiani e musulmani.
Non bisogna del resto dimenticare, ci ricorda Giovanni Paolo II nellenciclica
Centesimus annus, che quando non riconosce il valore e la grandezza della persona
in se stesso e nellaltro, luomo di fatto si priva della possibilit di fruire della pro-
pria umanit e di entrare in quella relazione di solidariet e di comunione con gli altri
uomini per cui Dio lo ha creato13. Questo spiega come il personalismo cristiano, ri-
lanciando il valore della persona, riesca a non farsi risucchiare dal vortice dellindi-
vidualismo nel quale si corrode tutta la ricchezza dellesperienza personale. In questo
senso, avverte ancora Mounier,

11
Ricoeur, La persona, 27.
12
E. Mounier, Manifesto al servizio del personalismo comunitario, Ecumenica Editrice, Bari 1975, 29.
13
Centesimus annus, n. 41.

13
Donatella Pagliacci

lattenzione volta alluomo come singolo non dissolve per se stessa la comunit so-
ciale, come pure a volte si crede; ma lesperienza ha mostrato che ogni disfacimento
della comunit sociale si stabilisce su un cedimento dellideale personale proposto
a ciascuno dei suoi membri. Lindividualismo un decadimento dellindividuo
prima di essere un isolamento dellindividuo; esso ha isolato gli uomini nella misura
in cui li ha avviliti14.

2. Relazionalit costitutiva dellessere personale

Un secondo nucleo di considerazioni ruota pi espressamente attorno alla per-


sona, dove si intrecciano le trame pi riposte dellessere e del desiderare umani e in
cui sempre possibile scorgere la costitutiva apertura allaltro, che fonda e ispira
lesperienza della vita comunitaria. Sulla disposizione umana allalterit anche Be-
nedettto XVI ricorda che nella sua natura profonda lio sempre collegato al tu e
viceversa: una relazione autentica che diviene comunicazione non pu nascere che
dalle profondit della persona15.
Ritornare alla persona con tutto il corredo di considerazioni ontologiche, antro-
pologiche, politiche e sociali significa anche provare a costruire un argine capace di
respingere le devastanti, impetuose e opposte tentazioni dellantropocentrismo e
del riduzionismo biocentrico16.
Proviamo dunque a farci accompagnare dallaccattivante e sempre attuale lezione
di Mounier, che ha saputo attraversare il mistero dellessere personale e insegnato a
vederne la profonda e radicale verit perch vi vede non loggetto pi meraviglioso
del mondo, che noi conosceremmo dal di fuori, come gli altri oggetti. Essa lunica
realt che conosciamo e costruiamo, nello stesso tempo, dallinterno. Presente ovun-
que, essa non ci data in alcun luogo17.
La persona dunque una realt che eccede il piano degli oggetti, non un dato,
seppure fragile e prezioso, ma unattivit vissuta di autocreazione, di comunica-
zione e di adesione, che si coglie e si conosce nel suo atto, come movimento di per-
sonalizzazione. A tale esperienza nessuno pu essere n condizionato n costretto.
Ma coloro che la portano ai suoi vertici richiamano gli altri intorno ad essi, risve-
gliano i dormienti, e cos, di richiamo in richiamo, lumanit si distoglie dal pesante
sonno vegetativo in cui ancora assopita18.

14
Mounier, Manifesto a servizio del personalismo comunitario, 70.
15
J. Ratzinger, LEuropa di Benedetto nella crisi delle culture, Cantagalli, Roma-Siena 2005, 138-139.
16
L. Alici, Crisi dellantropologia e infinito della persona, in Cattolicesimo e futuro del Paese - VII Forum
del Progetto culturale - Roma, 2-3.XII.2005.
17
Mounier, Il personalismo, 30.
18
Mounier, Il personalismo.

14
Dal personalismo comunitario una lezione per il bene comune

Dentro e fuori, tutta intera, incarnata, presente e operante nel proprio tempo, ca-
pace di vivere nel segno dellimpegno e della responsabilit, la persona nel corpo
ed il suo corpo, vive e si esprime per mezzo della propria corporeit, che la eleva e
le fa vivere sia le esperienze pi edificanti, che quelle pi deprimenti. Nessun essere
umano, dice Mounier, pu
pensare senza essere, n essere senza il mio corpo: per mezzo suo io sono esposto a
me stesso, al mondo, agli altri, per mezzo suo che sfuggo alla solitudine di un pen-
siero che sarebbe soltanto il pensiero del mio pensiero. Rifiutandomi di concedermi
una completa trasparenza a me stesso, mi getta continuamente al di fuori di me,
nella problematica del mondo e nelle lotte delluomo. Attraverso la sollecitazione dei
miei sensi mi lancia nello spazio, attraverso il suo invecchiamento mi fa conoscere
il tempo, attraverso la sua morte mi mette di fronte alleternit19.

Quella di Mounier dunque, come sottolinea anche Rigobello, una prospettiva


che, trovando il proprio baricentro nel cristianesimo, si apre alleternit, ma non per
questo invita al disfacimento, anzi capace di dare vita ad un umanesimo costrut-
tivo: imitare Cristo significa incarnarsi, cio assumere il proprio compito temporale
come condizione di una resurrezione in una sfera di dimensione eterna20.
Siamo sprofondati nel nucleo pi fecondo della riflessione filosofica di Mounier,
che capace di intendere pienamente il fenomeno personale, perch ne fa anzitutto
esperienza in prima persona, nella sua stessa carne21.
Mounier si preoccupa anche di riaffermare, in unatmosfera culturale per molti
versi ostile, le novit dellannuncio cristiano, riassumendole in sei punti: la creazione
dal nulla, come atto damore; il modo peculiare di concepire la creatura umana, la
cui unit sovrasta la molteplicit perch affonda le sue radici nellassoluto; il Dio
personale che incarnandosi nella storia ci chiama a stabilire un rapporto personale e
unico; lirripetibile e inviolabile segreto del dominio interiore di ciascun essere
umano; lassoluta e insopprimibile libert mediante la quale ogni persona diviene ar-
tefice del proprio destino; la dimensione relazionale di ciascun essere umano, che da
sempre chiamato a vivere nel segno della costitutiva apertura allaltro.
Proprio nella riscoperta dellimpronta trinitaria, con la quale si pone tra laltro
in linea di continuit con la tradizione cristiana a partire da Agostino dIppona22,
Mounier offre un valido antidoto contro lo strapotere dellegoismo e invita a co-

19
Mounier, Il personalismo, 51.
20
Rigobello, Il contributo filosofico di E. Mounier, 118.
21
Si vedano su questo punto tra gli altri scritti di Mounier le Lettere sul dolore. Uno sguardo sul mistero
della sofferenza, a cura di D. Rondoni, Rizzoli, Milano 2001.
22
Il senso preferibile da dare a queste parole di Dio quello dintendere che la frase espressa al plurale
e non al singolare: Facciamo luomo a nostra immagine e somiglianza, per la ragione che luomo fatto a im-
magine non del solo Padre o del solo Figlio o del solo Spirito Santo, ma della stessa Trinit (De gen. ad litt.
imp., 16,61).

15
Donatella Pagliacci

gliere nelloriginaria vocazione alla relazione interpersonale lalimento per la vita


comunitaria23.
Pur considerando le difficolt della relazione interpersonale, Mounier non rivela
una visione ingenua, ma invita piuttosto ad andare oltre le visioni nichiliste, che of-
frono delluomo unimmagine distorta e, per molti versi, fuorviante, come nel caso
dellindividualismo, che un sistema di costumi, di sentimenti, di idee e di istitu-
zioni che organizza lindividuo sulla base di questi atteggiamenti di isolamento e di
difesa. Esso fu lideologia e la struttura dominante della societ borghese occidentale
tra il XVIII ed il XIX secolo24.
Alla visione chiusa delluomo, Mounier ne contrappone una aperta, dominata
dal primato del noi sullio che, fin dallinizio, si rivela come una disposizione e di-
sponibilit fondamentali dellessere umano, che trova conferma negli atti originali
quali: luscire da s, il comprendere, il prendere su di s, lassumere il destino, la sof-
ferenza e la gioia, il dare e, infine, lessere fedele25.
Vi qui un interessante punto di convergenza con la riflessione fenomenologica
di Max Scheler che, come noto, riesce a cogliere la dimensione inoggettivabile del-
lessere personale, ma anche la sua vocazione transintelligibile. Scheler si rende conto
che la dimensione comunitaria non dipende dalla scelta dei singoli, ma sussiste ori-
ginariamente e svela la costitutiva apertura dellessere personale alla sfera del tu. In
sostanza, lio gi un essere plurale fin nelle radici pi profonde del suo essere:
Tutti gli atti, tutte le esperienze e tutti gli stati moralmente rilevanti [] rin-
viano in realt, gi di per se stessi, in virt della loro natura di atti, alle altre persone,
senza che per ci queste altre persone debbano essere precedentemente gi date nel-
lesperienza eventuale; senza che, soprattutto, si sia autorizzati a supporre che que-
sti atti che noi chiamiamo essenzialmente sociali siano scaturiti e si siano formati
soltanto nel rapporto effettivo delluomo con luomo []. Essi dimostrano che gi
in base allesistenza essenziale della coscienza umana anche la societ in qualche
modo internamente presente ad ogni individuo, e che luomo non solo parte della
societ, ma che la societ, come membro della relazione, una parte essenziale del-
luomo; che lIo solo un membro del Noi, ma anche che il Noi un membro ne-
cessario dellIo26.

23
Il concetto stesso della Trinit, che ha alimentato due secoli di controversie, rivela lidea sorprendente
di un Essere Supremo entro cui pi persone dialogano intimamente, e che gi, di per se stesso, la negazione
della solitudine (Mounier, Il personalismo, 34).
24
Mounier, Il personalismo, 58.
25
Mounier, Il personalismo, 61-62.
26
M. Scheler, Essenza e forma della simpatia, Citt Nuova, Roma 1980, 326-327. Su questo punto si veda
il nostro lavoro In interiore homine habitat veritas. Riletture contemporanee del paradigma agostiniano, in G.
De Simone, (ed.), Le vie dellinteriorit. Percorsi di pensiero a partire dalla riscoperta contemporanea dellinte-
riorit, Cittadella Editrice, Assisi 2011, 37-75.

16
Dal personalismo comunitario una lezione per il bene comune

Si direbbe quindi che per Mounier, come per Scheler, il noi origine e compito
dellintero agire morale.
Accanto a ci Mounier si rende anche conto della distanza che separa ogni essere
umano dagli altri, una specie di forza di attrazione e di repulsione ci unisce e ci re-
spinge. Siamo attratti dallamore e respinti dal nostro egoismo che, come un veleno
mortale, minaccia il desiderio di donazione27. Siamo cos interiormente appesantiti
da una specie di opacit e di resistenza che si manifesta come difetto di comunica-
zione e ostacolo alla perfetta reciprocit28. Per la sua fragile condizione, la natura
umana rivela tutte le sue potenzialit, ma anche le sue debolezze. Essa aperta agli
altri, ma vive spesso in una condizione di solitudine profonda, un deserto nel quale
sembra riuscire a sopravvivere solo un germe di speranza:
Lessere, il nulla, il male, il bene, che cosa infine trionfa? Una sorta di gioiosa fi-
ducia, legata allesperienza personale dischiusa, ci indirizza verso una risposta otti-
mista. Ma n lesperienza, n la ragione possono decidere. Coloro che lo fanno,
cristiani o no, non lo fanno se non guidati da una fede che sopravanza ogni espe-
rienza29.

Mounier insegna, inoltre, come dobbiamo avvicinarci alla dignit e inattingibi-


lit dellaltro che rivela, in ogni circostanza, la propria luminosit e quasi sacralit.
Il corpo fragile e malato, anche nella sua passivit pi sconcertante, non infatti per
Mounier segno dello scacco, ma della rivincita e manifesta un altro modo di darsi e
di vivere una possibilit, sconosciuta alla ragione, a cui accede solo lamore che il
solo in grado di innalzarci fino alla sproporzionata contemplazione del mistero. Que-
sta capacit di sperimentare un tal genere di amore quanto sentiamo vibrare in una
pagina struggente in cui Mounier sembra chiederci di assumere un altro sguardo: uno
sguardo capace di vedere dentro, dove la debolezza risplende nel suo mistero di
insospettata bellezza. Si tratta una testimonianza memorabile che trasuda tenerezza,
nella quale, dinanzi alla disarmante fragilit del corpo abbandonato della figlia ma-
lata30, Mounier, nel pudore dello sconforto e della speranza, riesce a consegnarci una

27
C sempre negli altri qualcosa che sfugge al nostro pi volenteroso sforzo di comunicazione. Nei dia-
loghi pi intimi non possibile la coincidenza perfetta; nulla mi assicura che essa non sia mista a malintesi,
salvo in rarissimi momenti, che hanno del miracolo, in cui la certezza della comunicazione pi forte di ogni
analisi, e che sono un viatico per tutta la vita. Questa la profonda solitudine dellamore; quanto pi esso
perfetto, tanto pi lavverte (Mounier, Il personalismo, 64) .
28
C qualche cosa dentro di noi che resiste intimamente allo sforzo di reciprocit, una specie di cattiva
volont congenita (Mounier, Il personalismo, 64).
29
Mounier, Il personalismo, 120. Si vedano su questo punto anche le lettere degli anni 1940-1941, in cui
lo stato danimo spesso combattuto tra desiderio di speranza e abbattimento.
30
Sentivo che mi avvicinavo a quel piccolo letto senza voce come a un altare, a qualche luogo sacro da
cui Dio parlava mediante un segno. Una tristezza penetrava profonda, profonda, ma leggera e trasfigurata. E
tutto intorno a lei, non ho altra parola: unadorazione. Senza dubbio non ho mai conosciuto cos intensamente

17
Donatella Pagliacci

domanda dalla quale siamo tutti convocati: la vita al limite della stessa fragilit
davvero solo uno scarto? Inutile presenza, incapace di produrre e di esibire qualcosa?
O non racchiude, forse, il senso pi profondo e intimo del mistero dellesistenza?
Non potendo liquidare una risposta tanto impegnativa in poche battute rite-
niamo, come abbiamo gi avuto modo di osservare altrove31, che riconoscere le po-
tenzialit positive del fragile non significa operare un ingenuo depistaggio rispetto
alloscenit del male, ma provare a rispondere alla sfida del male con un surplus di
bene, un bene comprensivo e avvolgente in cui trovano posto la cura, la disponibi-
lit e laccoglienza verso la vulnerabilit propria e altrui. La forza e la costanza di con-
trastare il male con il bene nascono dalla convinzione che spesso si tende a
demonizzare il dolore, il negativo, la malattia, come ha avvertito anche Paul Rico-
eur, solo come difesa, cio per timore o per paura che laltro, nella sua sofferenza, ci
riconduca alla nostra vulnerabilit e in ultima ipotesi alla nostra mortalit32.
Allora possibile percorrere unaltra strada. Quella che lo stesso Ricoeur defini-
sce la via che abbraccia stima di s e reciproco riconoscimento. Si tratta di rendersi
conto che ognuno di noi, per condurre unesistenza sana, cerca, fin dalla pi tenera
et, approvazione e amore; ciascuno di noi si aspetta un gesto o una parola che ci
confermino laffetto e la stima di coloro che ci circondano e appartengono al nostro
vissuta alla nostra storia comune. Come osserva anche Virgilio Melchiorre, Il nesso
affettivo con laltro implica in qualche modo una reciprocit: lesser caro dellaltro
infatti legato al riconoscimento che da lui mi viene, ma per converso non potrei ac-
cettare questo riconoscimento se a mia volta non riconoscessi laltro nella sua verit.
, in definitiva, questa reciprocit che costituisce il nostro con-essere ed per essa
che il riconoscimento diventa riconoscenza e rendimento di grazie33. Si tratta di quello
che Mounier stesso definisce come il credito nei confronti dellessere umano, sem-

lo stato di preghiera come quando la mia mano diceva delle cose a quella fronte che non rispondeva nulla,
come quando i miei occhi si arrischiavano verso quello sguardo assente che volgeva lontano, lontano dietro
di me, non so che specie di atto che assomigliava a uno sguardo, e che guardava meglio di uno sguardo. Mi-
stero che non pu essere che di bont; occorre avere il coraggio di dire: una grazia troppo pesante. Unostia
vivente tra noi , muta come lostia, risplendente allo stesso modo []. Noi per molti mesi le abbiamo augu-
rato di lasciarci se avesse dovuto rimanere cosi. Non questo un sentimentalismo borghese? Che vuol dire per
lei essere una sventurata? Chi pu dire che lo sia? Chi sa se non ci richiesto di custodire e di adorare unostia
tra di noi, senza dimenticare la presenza divina sotto una povera materia cieca? (Mounier, Mounier et sa g-
nration. Lettres, carnets et indits, Editions Parole et Silence, Saint-Maur [1956] 2000, 269-270).
31
Si vedano su questo punto i nostri lavori: La fragilit tradita e donata, in Sacramentaria e Scienze Re-
ligiose, 37 (2011), 87-94; Intorno alla definizione di normale e patologico: il contributo di Paul Ricoeur, in L.
Alici (ed.), La felicit e il dolore, Aracne, Roma 2010, 119-131.
32
La societ vorrebbe ignorare, nascondere, eliminare i propri handicappati. E perch? Poich essi co-
stituiscono una sorda minaccia, un inquietante richiamo alla fragilit, alla precariet, alla mortalit. Essi co-
stituiscono un insopportabile memento mori (P. Ricoeur, La differenza tra il normale e il patologico, in Il giusto,
2, Effat Editrice, Cantalupa [TO], 232).
33
V. Melchiorre, Al di l dellultimo. Filosofie della morte e filosofie della vita, Vita & Pensiero, Milano 1998,
73.

18
Dal personalismo comunitario una lezione per il bene comune

pre, comunque e ovunque si trovi, infatti, trattarlo come un soggetto, come un es-
sere presente, significa riconoscere che non lo posso definire, classificare, che ine-
sauribile, colmo di speranze, e che egli solo pu disporre delle sue speranze34.
Come abbiamo visto la relazionalit alla radice dellesperienza dellincontro con
laltro, questa sembra, altres, articolarsi in due direzioni: la prima quella costitu-
tiva, che fonda il legame asimmetrico con lAltro (con la lettera maiuscola): in cui
ciascuno si scopre da sempre chiamato allessere e da cui scaturisce anche la respon-
sabilit; la seconda quella della relazione simmetrica con tutti gli altri, o per dirlo
con Janklvitch, con il primo non-me, fuori di me, il pi prossimo di me, e il pi
simile, che nello stesso tempo non sia me35, questo altro con il quale costruisco tutti
i rapporti affettivi di amicizia, fraternit, amore.

3. Con e per altri

Latto primo della persona, quindi ci dice ancora Mounier , quello di su-
scitare, assieme ad altri, una societ di persone in cui le strutture, i costumi, i senti-
menti ed infine le istituzioni siano contraddistinti dalla loro natura di persone36.
questa la societ che parte dagli atti originali di cui si parlato, ed pensata come
il luogo, lo spazio in cui la persona d prova di assumersi, senza condizioni, limpe-
gno dellaltro, rinunciando al proprio egocentrismo e accettando di convivere con
quel senso di vertigine che sempre accompagna la scelta dellalterit.
Da qui nasce il necessario decentramento della persona che non perdita di s, ma
donazione gratuita, disponibilit, docilit, sollecitudine per laltro, condivisione di
esperienze e incontro fecondo con un altro che pu anche opporre una resistenza
ostile o una diffidenza nei riguardi della nostra apertura, ma che rimane pur sempre
un altro che come me, spera, soffre e ama.
Lapertura alla dimensione comunitaria del personalismo suppone uninversione
radicale di prospettiva, in cui alla logica utilitaristica dei rapporti interpersonali viene
opposta la logica della generosit e della donazione disinteressata. Questo perch, ri-
corda Mounier, leconomia della persona uneconomia di dono, non di compen-
sazione o di calcolo37, in cui, paradossalmente, la persona non si ritrova che
perdendosi38.
Non si tratta di un ascetismo ingenuo, ma di un altro modo di concepire il rap-
porto con i propri beni, fondato non sullavidit del possedere, ma sul piacere della

34
Mounier, Il personalismo, 62.
35
V. Janklvitch, Trait des vertus, II, [Bordas, 1970], Flammarion, Paris 1986, 128.
36
Mounier, Il personalismo, 61.
37
Mounier, Il personalismo, 62.
38
Mounier, Il personalismo, 80.

19
Donatella Pagliacci

condivisione. Proprio questo punto avvertito oggi come unurgenza improcrasti-


nabile, come viene ribadito anche nella Caritas in veritate, in cui emblematicamente
detto: La condivisione dei beni e delle risorse, da cui proviene lautentico svi-
luppo, non assicurata dal solo progresso tecnico e da mere relazioni di convenienza,
ma dal potenziale di amore che vince il male con il bene (cf. Rm 12,21) e apre alla
reciprocit delle coscienze e delle libert39.
Diversi legami sociali istituiscono forme differenti di comunit. La prima di que-
ste forme la societ di massa, che trova nella chiacchiera il suo elemento fondante.
Questa la societ dellanomia, mondo arido e senza vita, in cui ogni persona ha
provvisoriamente rinunciato a s in quanto persona per divenire un qualsiasi, non
importa chi, intercambiabile. Il mondo del Si non costituisce n un noi n un
tutto40. Il secondo genere di societ quella che Mounier chiama la societ in noi-
altri, come nel caso dei fascismi, che sono societ tenute insieme da unidea totali-
taria, in esse non fiorisce la responsabilit personale ma il loro conformismo nasce
da una partecipazione attiva ad unidea, ad un dinamismo personificato in un par-
tito, in un capo, in un giornale41.
Ad un gradino di poco superiore vi sono le societ vitali, che nascono sulla base
della soddisfazione ai bisogni primari e sono al loro interno fortemente gerarchizzate
e violente. Anche in questo caso le funzioni che vi si esercitano tendono a formare
un tutto che corrode il noi42. La stagione del razionalismo moderno e del giusnatu-
ralismo ha creduto di poter rispondere a questo genere di societ attraverso limpo-
sizione dellordine e del diritto, senza comprendere che non si pu fondare
luniversalit sulloblio della persona43.
Solo la comunit personale per garantisce che vi sia il giusto equilibrio tra uni-
versalit, razionalit e giustizia, questo perch la persona a cercarsi il proprio de-
stino: nessun altro, n luomo, n la collettivit possono sostituirla44. La comunit
di persone si fonda su un genere di legame che assicura il rispetto della libert e del-
luguaglianza. Essa salda e in equilibrio, perch garantisce a ciascuna persona la
piena realizzazione dei propri fini, non nel senso che ciascuno soddisfa i propri in-
teressi egoistici, ma nel senso che tutto concorre alla piena realizzazione della verit
e integralit della persona, avvertita nella sua ricchezza e altezza45. Non mancano

39
Caritas in veritate, n. 9.
40
Mounier, Il personalismo, 66-67.
41
Rigobello, Il contributo filosofico di E. Mounier, 91.
42
Rigobello, Il contributo filosofico di E. Mounier, 67.
43
Rigobello, Il contributo filosofico di E. Mounier.
44
E. Mounier, Rivoluzione personalista e comunitaria, Ecumenica Editrice, Bari 1984, 73.
45
Anche su questo punto il personalismo di Mounier sembra essere di grande attualit, se si leggono an-
cora le parole dellultima enciclica, in cui viene riaffermato il compito della Chiesa affinch in ogni circostanza
si attivi per riaffermare il valore insopprimibile della dignit personale: La fedelt alluomo esige la fedelt alla
verit che, sola, garanzia di libert (cf. Gv 8,32) e della possibilit di uno sviluppo umano integrale. Per que-

20
Dal personalismo comunitario una lezione per il bene comune

problemi di natura teoretica e pratica connessi soprattutto, come rileva Rigobello,


alla definizione di comunione dal momento che si qualifica come un darsi senza
perdersi, non unintimit sfacciata ed invadente, ma un atteggiamento fatto di of-
ferta, pi che di richiesta; un dono che ci conserva, una intimit che ci approfon-
disce46.
Con ci, viene inoltre toccata unaltra questione cruciale, quella della libert
umana, rispetto alla quale il personalismo sembra aver ancora molto da insegnare.
Di fronte a quella che viene definita come lattuale deriva libertaria la cui massima
suona pi o meno cos: se tu non vuoi, perch devi impedire che io possa?, lan-
tropologia cristiana ribadendo il carattere non assoluto dellessere umano (nel senso
letterale del termine di ab-solutum, cio svincolato, sciolto da tutti i legami), offre
una risposta che rappresenta senzaltro una sfida in grado di ristabilire un sano e
saldo equilibrio tra libert individuali e bene comune.
Nellambito del personalismo, anche Maritain, cercando di armonizzare le istanze
antropologiche con le urgenze pi prettamente politiche, ha posto lattenzione sulla
necessit di coniugare la responsabilit per laltro con la libert personale, ricono-
scendo, tra laltro che la responsabilit non diminuisce la libert, ma le d un peso
pi grave47. In generale, il personalismo condivide la certezza che la libert nella sua
essenza un dono che Mounier vede al contempo come modesto e intrepido, ma
anche laborioso e divino. Questa strategia di contenimento della libert rappresenta
una via alternativa allodierno modo si sventolare la bandiera della libert. Si tratta,
infatti, di imparare a declinare la libert non pi soltanto con la facolt di scelta (quella
che in senso tecnico si definirebbe come libert di) o con la rivendicazione dellauto-
nomia (libert da), quanto piuttosto con ladesione (che un genere particolare di li-
bert per). Infatti se vero, come vero, che la libert assoluta un mito, il nostro
compito quello di imparare ad usare la libert per divenire pienamente persona:
Il movimento della libert anche distensione, compenetrazione, disponibilit.
Non solamente rottura e conquista, anche e finalmente adesione. Luomo libero
un uomo che il mondo interroga, e che risponde: luomo responsabile. La libert,
insomma, non isola, ma unisce, non fonda lanarchia, ma , nel significato originale
di questi termini, religione, devozione. Non lessere della persona, ma il modo in
cui la persona tutto ci che , e lo pi pienamente che non per necessit48.

sto la Chiesa la ricerca, lannunzia instancabilmente e la riconosce ovunque essa si palesi. Questa missione di
verit per la Chiesa irrinunciabile. La sua dottrina sociale momento singolare di questo annuncio: essa
servizio alla verit che libera. Aperta alla verit, da qualsiasi sapere provenga, la dottrina sociale della Chiesa
laccoglie, compone in unit i frammenti in cui spesso la ritrova, e la media nel vissuto sempre nuovo della
societ degli uomini e dei popoli (Caritas in veritate, n. 9).
46
Rigobello, Il contributo filosofico di E. Mounier, 94.
47
J. Maritain, Umanesimo integrale, Borla, Roma 1977, 213.
48
Mounier, Il personalismo, 102.

21
Donatella Pagliacci

Direttamente connessa con la definizione di persona e con la natura della libert


umana anche la questione del bene comune e delle istituzioni giuste.
La nozione di bene comune, introdotta in epoca scolastica per designare il fine
di ogni societ umana naturale49, giunta a pieno compimento proprio nellepoca
attuale, grazie al contributo del personalismo cristiano.
In generale, si pu riconoscere che il bene comune, come stato affermato anche
da Stefano Zamagni, non va confuso n con la somma di beni privati n con il bene
pubblico. Nel bene comune, il vantaggio che ciascuno trae per il fatto di far parte di
una comunit non pu essere scisso dal vantaggio che altri pure ne traggono50.
Una prima declinazione di bene comune in ambito personalista quella offerta
da Jacques Maritain che intende il bene comune come un bene principalmente mo-
rale, incompatibile con qualunque mezzo intrinsecamente cattivo51.
Dietro questa concezione possibile riconoscere il segno indelebile dellinsegna-
mento scolastico ed in particolare di Tommaso dAquino. Proprio lAquinate inse-
gna a declinare correttamente la nozione di bene comune, connettendola con la
nozione dellintero universo creato, il cui bene comune Dio stesso, fine perfettivo
della sua creazione52.
Sulla base della ricchezza della concezione medievale di bene comune e incorpo-
rando i nuovi elementi provenienti dalla modernit, specialmente i diritti delluomo, la
Chiesa attraverso i vari documenti pontifici, ha promosso una sempre maggiore consa-
pevolezza di bene comune giungendo a quelle sintesi formulate, come noto, anche
nella Mater et magistra (n. 70), nella Pacem in terris (n. 57), nel Concilio Vaticano II
(Gaudium et spes, nn. 26-74) e nel Catechismo della Chiesa cattolica (n. 1906). Un inte-
resse particolare riservato alla costituzione Gaudium et spes, a cui si ispira lo stesso Ca-
techismo della Chiesa cattolica. Qui, infatti, dopo aver offerto una definizione di bene
comune che consiste nellinsieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono
tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione pi pie-
namente e pi speditamente53, i Padri conciliari hanno individuato, proprio nel rispetto
della dignit e delle dimensioni dellessere personale, il nucleo di riferimento della vita
civile. A questo si aggiunga quanto lo stesso Giovanni Paolo II afferma proprio nella
Centesimus annus, in cui invita a riflettere pi attentamente sulla grammatica del bene
comune, quale bussola insostituibile per la convivenza civile e democratica di ogni stato54.

49
G. Ambrosetti A. DAmato G. Faggin, III. Il bene comune, in AA.VV., Enciclopedia filosofica, 2,
Bompiani, Milano 2006, 1160.
50
S. Zamagni, Leconomia del bene comune, Citt Nuova, Roma 2007, 12.
51
Maritain, Umanesimo integrale, 243.
52
Questa la tesi sostenuta da Francesco Botturi, nel suo saggio: Inattualit del tema del bene comune,
in Vita & Pensiero, 2 (1996), 82-94.
53
Gaudium et spes, n. 26.
54
Anche nei paesi dove vigono forme di governo democratico non sempre questi diritti sono del tutto
rispettati. N ci si riferisce soltanto allo scandalo dellaborto, ma anche a diversi aspetti di una crisi dei sistemi

22
Dal personalismo comunitario una lezione per il bene comune

Tutto ci ci consente di considerare un certo valore aggiunto del bene comune,


proprio rispetto alla somma degli interessi (o peggio, degli egoismi) individuali; un
valore aggiunto che nasce unicamente dal riconoscimento di un legame partecipa-
tivo che precede le scelte individuali e le rende concretamente possibili55.
Il richiamo personalistico al bene comune rappresenta il miglior antidoto contro
i numerosi pericoli sottesi ad unetica puramente individualistica. Con ci viene ri-
levato sia il compito sotteso allazione comune di ogni persona per realizzare il fine
condiviso del bene comune, che quello del personalismo che manifesta un duplice
orientamento: negativo e positivo.
Una delle preoccupazioni del personalismo comunitario dovr infatti essere quella
di non invadere la parte propriamente personale, in campo privato e in campo pub-
blico, della vita dei singoli56; unaltra dovr essere quella di procurare a un numero
sempre maggiore di persone, al limite procurare a ciascuna, gli strumenti idonei e le
libert efficaci che permetteranno loro di realizzarsi come persone, al limite procu-
rare a ciascuna gli strumenti idonei e le libert efficaci che permetteranno loro di rea-
lizzarsi come persone57.

4. Unipotesi di attuazione

Per concludere, vorrei mostrare come i principi del personalismo comunitario


trovino la loro feconda applicazione, come vuole lo stesso Mounier, proprio nella co-
munit familiare, che rappresenta infatti un modello esemplare di attuazione piena
delle molteplici dimensioni della persona e in cui la libert di ciascuno viene im-
plementata dal bene comune condiviso58. a partire da una visione di famiglia in-

democratici, che talvolta sembra abbiano smarrito la capacit di decidere secondo il bene comune. Le domande
che si levano dalla societ a volte non sono esaminate secondo criteri di giustizia e di moralit, ma piuttosto
secondo la forza elettorale o finanziaria dei gruppi che le sostengono. Simili deviazioni del costume politico
col tempo generano sfiducia ed apatia con la conseguente diminuzione della partecipazione politica e dello
spirito civico in seno alla popolazione, che si sente danneggiata e delusa. Ne risulta la crescente incapacit di
inquadrare gli interessi particolari in una coerente visione del bene comune. Questo, infatti, non la semplice
somma degli interessi particolari, ma implica la loro valutazione e composizione fatta in base ad unequilibrata
gerarchia di valori e, in ultima analisi, ad unesatta comprensione della dignit e dei diritti della persona
(Centesimus annus, n. 47).
55
L. Alici, Crisi dellantropologia e infinito della persona, in Cattolicesimo e futuro del Paese - VII Forum
del Progetto culturale - Roma, 2-3.XII.2005.
56
Mounier, Manifesto a servizio del personalismo comunitario, 156.
57
Mounier, Manifesto a servizio del personalismo comunitario, 156.
58
Su questo punto si riprendono i nostri lavori sulla famiglia: Lamore tra autenticit affettiva e orizzonte
comunitario: il vincolo familiare, in L. Alici (ed.), Forme della reciprocit. Comunit, ethos, istituzioni, Il Mu-
lino, Bologna 2004, 309-347; Lamore tra prossimit e fraternit, in L. Alici (ed.), Forme del bene condiviso, Il
Mulino, Bologna 2007, 161-189; La famiglia: esperienza di promozione umana e sociale, in L. Sandon (ed.),
La struttura dei legami. Forme e luoghi della relazione, Anthropologica. Annuario di studi filosofici, 2 (2010),
159-170.

23
Donatella Pagliacci

tesa come una comunit di persone che possibile ricostruire i tratti distintivi del
personalismo comunitario di Mounier.
Proprio accogliendo e facendo nostra la lezione del filosofo francese proviamo a
svolgere alcune considerazioni intorno al significato e al valore autentico della co-
munit familiare. La famiglia, infatti, pu essere qualificata come luogo della dona-
zione, dellamore e della maturazione di una coscienza sociale, perch realizza
lequilibrio tra pubblico e privato, mostrando la continuit tra ordine interiore ed
esteriore, tra individuo e societ, immettendo nella stessa societ, avverte anche Cam-
panini sulla scia di Mounier,
quelle energie di personalizzazione che sono lunica reale salvaguardia contro il ri-
schio dellanonimato e della perdita di significato dellesistenza. Espressione emi-
nente delluniverso personale, la famiglia dunque ancora una volta il crocevia il
punto di incontro e il punto di separazione, il luogo del dialogo e insieme quello del
giudizio del pubblico e del privato59.

La comunit familiare sembra quindi custodire e mostrare lidentit relazionale,


costitutiva della persona umana60. Appartenenza e riconoscimento svelano la natura
della relazione; pensare la relazione fermarsi di fronte al nostro essere, riconoscerci
costitutivamente relativi, perch innanzitutto figli, quindi sempre dentro una rela-
zione, chiamati allessere, resi unici, eletti.
La famiglia si avvera, innanzitutto, nel rendersi presente, nel suo farsi, nel dive-
nire ci per cui essa ci che ; in questo dispiegare la propria essenza, nel vivere quo-
tidiano si svela il suo destino di speranza. Questa verit della presenza la verit del

59
G. Campanini, Fra pubblico e privato, in La persona e i nomi dellessere. Scritti in onore di Virgilio Mel-
chiorre, II, Vita & Pensiero, Milano 2002, 1071. Nella stessa direzione si consideri anche lattenzione rivolta
alla continuit tra famiglia e societ proposta da Eibesfeldt che riconosce che la famiglia in grado di garan-
tire alluomo quellamore e quella sicurezza dalle quali sorge la fiducia verso i congeneri; e questa fiducia la
premessa per il libero dispiegamento della sua umanit []. Solo nella famiglia vengono risvegliate le posi-
tive predisposizioni sociali delluomo e, con esse, la capacit di responsabilit e di identificazione (I. Eibl-Ei-
besfeldt, Amore e odio. Per una storia naturale dei comportamenti elementari, Adelphi, Milano 1971, 283). Una
certa attenzione alla dimensione sociale della paternit viene sottolineata, ma in maniera negativa, anche da
taluni interpreti, per i quali il padre rappresenta il modello autoritario che riproduce, allinterno della fami-
glia e in maniera funzionale rispetto al sistema societario, lautorit esercitata dallo Stato sul cittadino. Si
pensi, ad esempio, alle posizioni di Fromm, Marcuse o Horkheimer. In modo particolare questultimo, nel
saggio dedicato allautorit e la famiglia, ritiene che il sistema borghese riesca a condizionare tutti i rapporti
interpersonali, persino quelli affettivi, come lamore. In particolare osserva: In generale lautorit domina
lumanit borghese anche nellamore e determina il suo destino (M. Horkheimer E. Fromm H. Marcuse
et al., Studi sullautorit e la famiglia, UTET, Torino 1974, 71).
60
Il nostro percorso sembra, tuttavia, assai lontano dallattuale orientamento della cultura contempora-
nea. Come sottolinea anche Riconda le odierne tendenze concepiscono la famiglia come luogo pi o meno
stabile di mutuo appoggio e soddisfazione di bisogni elementari, per ridurla sul piano spirituale a luogo di fu-
sione affettiva, in un contesto per lo pi dominato da forti spinte individualistiche (la famosa realizzazione
di s), che, quando nella famiglia siano frustrate, possono portare alla sua negazione o disfacimento (G. Ri-
conda, Personalismo, famiglia, amore, in Humanitas, 58 [2003], 1125).

24
Dal personalismo comunitario una lezione per il bene comune

suo accadere, del suo attualizzare una promessa, quella che si condensata in un
giuramento, mediante il quale due estranei si sono impegnati a donarsi amore vi-
cendevole per lintera durata della loro vita.
Ciascuno di noi si scopre dentro il progetto che altri hanno pensato, desiderato,
realizzato, prima del nostro venire al mondo61. La nostra storia ha inizio sempre a
partire da quella di altri. Questo scoprirci parte di un divenire familiare ci su cui
edifichiamo la nostra intera esistenza. importante, riordinando ricordi e imma-
gini, saper guardare indietro per capire da dove siamo venuti, comprendere ci che
siamo e cosa possiamo essere se solo sappiamo trovare un senso a ci che di buono
o di drammatico si svolto dietro le quinte della nostra vita. Di fatto il nostro de-
bito verso il passato si rende presente in tutto ci che incarniamo o riproduciamo
nella nostra vita, nelle nostre scelte come nella nostra capacit di ricreare relazioni o
di infrangerle. Questo esercizio di ricomposizione del nostro vissuto familiare ci
aiuta a maturare uno spirito di accoglienza e di riconoscenza della storia degli altri
nella nostra storia, per dirlo con Ricoeur, di ospitalit narrativa.
Da questo punto di vista, dunque, la comunit familiare il luogo elettivo in cui
apprendere concretamente anche la pratica del perdono; ricostruendo, ma anche in-
frangendo, il passato, nostro e altrui, riconosciamo il nostro debito di gratitudine,
con la volont e la paura di dare in eredit o di ripetere insegnamenti ed errori.
La pratica familiare chiede una sollecitudine costante per rinnovare gli impegni
e le promesse di amore che hanno caratterizzato lavventura familiare fin dal suo co-
stituirsi; cos, ha ragione Marcel quando sottolinea il carattere progettuale della fa-
miglia che si fonda, si edifica come un monumento, la cui pietra angolare non pu
essere n un istinto che si vuol appagare, n un impulso al quale si intenda cedere,
n un capriccio al quale ci si abbandoni62. Questa consapevolezza dellamore fami-
liare come condizione per ledificazione e per la coscienza che io sono anche sempre
noi di fondamentale importanza per la costituzione di una piena identit personale;
proprio a partire da questa prospettiva comunitaria che si qualifica la vita morale
e spirituale della persona. Lamore per laltro, vissuto nella quotidianit dei rapporti
familiari, capace, dunque, di rivelare allio una verit sul noi che tutta da scoprire
e da apprezzare.
Attraverso la relazione coniugale, chiamando in causa la variet di motivi che ab-
biamo cercato di delineare nel nostro percorso, si attua quindi lautentica vocazione

61
Per poter scoprire e fare proprio il fondamento antropologico della famiglia occorre, con Godbout, ri-
flettere sul suo dinamismo interno che viene attivato dalla donazione. Avverte infatti lAutore: La famiglia
stessa fondata su un dono, sulla creazione di un legame di dono: lunione di due estranei per formare il nu-
cleo di quello che sar il luogo meno estraneo, il luogo della definizione stessa di ci che non estraneo: la
famiglia (J. Godbout, in coll. con A. Caill, Lo spirito del dono, Bollati Boringhieri, Torino 1993, 41).
62
Godbout, Lo spirito del dono, 101.

25
Donatella Pagliacci

umana che, come ripete anche Scheler, comunitaria: Luomo, il portatore della
forza razionale dellanima, unessenza fatta per la comunit. Dove vi un io, vi
un noi, oppure io appartengo a un noi63. Si tratta di ripensare in un senso
pi ampio alloriginariet stessa dellessere umano, alla realizzazione di quel noi ar-
chetipo e privilegiato, che normalmente si attua solo nella vita familiare64. Questo
essere noi, questa scoperta di un originario essere-con-altri, non solo ci costituisce,
come detto, ma invoca di essere attuato in un impegno che, spezzando la tensione
egoistica, allontani luomo dalla minaccia dellalienazione.
per mezzo del vincolo del matrimonio che lamore divenuto il paradigma per
eccellenza del rapporto interpersonale, perch in grado di realizzare quel modello
comunitario al quale Mounier guarda in maniera positiva: Il rapporto dellio al tu
lamore, con cui la mia persona in certo modo si decentra e vive nellaltra pur pos-
sedendosi e possedendo il suo amore. Lamore lunit della comunit come la voca-
zione lunit della persona65. Lunione genera una comunione, che tale solo se si
attua nel segno della differenza e della reciprocit, della libert e del dialogo, dello
scambio e della possibilit, e trova, tra laltro, nella fraternit il suo momento di
massima attuazione. Ci perch il vincolo fraterno, disinteressato, indissolubile, non
codificato, inclusivo si offre allinterno stesso della famiglia come modello di vita
comunitaria che pu essere guardato, apprezzato nella sua esemplarit e dunque tu-
telato e promosso anche a livello sociale.
Tra i fratelli esiste, infatti, un rapporto di reciprocit, che si esplica nella simme-
tria dei ruoli e alimenta solidariet, comunione, rispetto e responsabilit mediante i
quali possibile accogliere e rendere possibile la coesistenza pacifica di alterit, che
rimangono sempre irriducibilmente altre66.
Lintera realt familiare, nella sua fecondit spirituale, ma anche nei suoi aspetti
pi controversi, rappresenta una condizione imprescindibile per il costituirsi e per
la valorizzazione dellumano67, non solo perch in essa le persone coinvolte decidono
di mettere in gioco la propria vita, per conseguire ciascuna il bene dellaltra, ma per-
ch, cos facendo, creano le condizioni per divenire noi, ossia unentit del tutto di-
versa e superiore alla somma dei singoli esseri individuali.

63
M. Scheler, Lidea cristiana dellamore, Logos, Roma 1985, qui citato nella trad. it., in M. Scheler,
Leterno nelluomo, Logos, Roma 1991, 383-384.
64
G. Marcel, Homo viator, Borla, Roma 1980, 93.
65
Marcel, Homo viator, 105.
66
Lirriducibilit data dal fatto, come spiega tra gli altri anche Genghini che laltro sempre, nello
stesso tempo, in me e davanti a me: perci il nostro rapporto pi che da categorie dialettiche, andr descritto
da categorie drammatiche (responsabilit, sostituzione, dono), poich soltanto queste rendono giustizia sia
allimmanenza sia allesteriorit del volto altrui (N. Genghini, Identit comunit trascendenza. La prospettiva
filosofica di Charles Taylor, Roma, Edizioni Studium, Roma 2005, 70).
67
Cf. F. DAgostino, Una filosofia della famiglia, Giuffr Editore, Milano 2003, 62.

26
Anselmo Grotti
TRINIT E INCARNAZIONE
COME ARCHETIPI DEL LINGUAGGIO
Le radici teologiche della comunicazione

I FA SEMPRE PI VIVA la consapevolezza del ruolo decisivo rappresentato dalla

S rivoluzione digitale e dalla comunicazione diffusa. La CEI (Educare alla vita


buona del Vangelo. Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020) ha scritto
che i media digitali sono veri e propri ambienti non solo tecnici ma anche sociali,
un insieme di apparati simbolici in cui i flussi comunicativi agiscono sul mondo vi-
tale, cos da giungere a dare forma alla realt stessa1.
Sottolineo la parola ambienti: infatti riduttivo parlare di mezzi di comunica-
zione, anche se molti continuano a farlo (ad es. con lespressione strumenti di co-
municazione di massa). Usare invece la metafora dellambiente ci permette un
approccio molto pi efficace, e ci suggerisce un punto di partenza pi corretto2.
Da un punto di vista sociologico la veloce evoluzione degli ambienti ecologici
generati dalla comunicazione pone non poche difficolt. In pochi decenni abbiamo
affrontato le trasformazioni del cinema, della radio, della tv. In pochi anni dobbiamo
affrontare quelle della telefonia e di internet. Si affacciano problemi legati alla di-
versit generazionale, culturale, perfino antropologica. La politica, la scuola, leco-
nomia devono fare i conti con questa nuova realt.
E la Chiesa? Non si pu negare che per molti aspetti la stessa Chiesa sia messa in
difficolt, a pi livelli: in relazione non solo allorganizzazione della comunit ec-
clesiale, ma anche allespressione della fede e alla comprensibilit del suo annuncio.
Le forme tradizionali di aggregazione, legate alla fisicit di un luogo e alla prossimit
spaziale, sembrano non essere pi comprensibili nei nuovi contesti del postmoderno
e della societ liquida. Al tempo dei legami corti appare difficile trovare un vo-
cabolario e una grammatica adatti a comunicare lesperienza di fede, a rendere ra-
gione della speranza che in voi3.

1
Educare alla vita buona del Vangelo, n. 51: La comunicazione nella cultura digitale.
2
Molto belle le espressioni che il gesuita p. A. Spadaro svolge nel suo blog: La Rete non un mezzo da
usare per far qualcosa, ma un contesto abitativo, un luogo di esperienza. Formare a vivere dentro un ambi-
ente significa apprenderne i linguaggi e i contesti specifici, non al modo dellapprendimento di una grammatica
astratta, ma nella modalit della vita concreta (http://www.cyberteologia.it/).
3
1Pt 3,15.

27
Anselmo Grotti

Di fronte a rapidissimi mutamenti di scenario sembra che si debba scegliere tra


lo sforzo di ricostruire il contesto precedente oppure accettare la sfida della rivolu-
zione digitale. La tradizione da cui proveniamo ha una nobilissima ragion dessere,
ma molto probabile che il modo migliore per non banalizzarla sia la fedelt crea-
tiva ad essa, non la ricostruzione di un ambiente che non c pi.
Potremmo anche scoprire inaspettati legami tra lantico e il nuovo, con lantico
ancora in grado di parlarci e il nuovo tuttaltro che orfano.

1. Il paradigma fondativo:
il Dio trinitario e la comunicazione Dio/uomo

Parlare di comunicazione in ambito teologico non trattare un argomento se-


condario o di supporto alla predicazione e alla pastorale o ancor peggio stru-
mentale. Tocca invece il cuore della questione religiosa, e lo fa sia in senso generale
(la filosofia delle religioni), sia in senso pi specificatamente biblico.
Parlando in generale della religione, non da trascurare il significato etimolo-
gico. Nella lettura cristiana (Lattanzio e Agostino) la parola fa riferimento al legame,
al vincolo tra uomo e Dio.4 Un vincolo che esprime una qualche forma di relazione,
di comunicazione. Poich lesperienza religiosa si pone agli albori stessi dellespe-
rienza antropologica, potremmo dire che il tema della comunicazione viene assunto
anchesso in questa posizione primigenia.
Tuttavia tale analogia rivela anche qualche rischio. Nel politeismo la comunica-
zione resa difficile dalla presenza molteplice e spesso contrastante di pi divinit.
Esse non di rado chiedono agli uomini anche delle menzogne per coprire le loro ma-
lefatte agli altri di. Nel monoteismo, dichiarato o anche solo incipiente, la comu-
nicazione pu invece poggiare sul valore univoco della divinit: tuttavia proprio il
possesso esclusivo della verit la pone in una condizione di terribile superiorit sul-
luomo. Di fronte ad essa luomo pu solo sottomettersi, attraverso una puntuale
esecuzione di riti e di gesti che non possono certo essere considerati, in nessun senso,
bilaterali5. C una considerevole corrispondenza di questo modo di considerare la
comunicazione tra Dio e luomo con la concezione dei rapporti sociali e delle dina-
miche tra padrone e schiavo.

4
Cf. L. Alici nel commento ad Agostino, La Citt di Dio, Bompiani, Milano 2004, 462.
5
Si veda su questo laltra interpretazione della radice etimologica di religione, quella di Cicerone, se-
condo cui religione significa ripercorrere con diligente attenzione le procedure dei riti, al fine di onorare ade-
guatamente la divinit.

28
Trinit e incarnazione come archetipi del linguaggio

1.1. Trinit e comunicazione


Come ricorda il Catechismo, il mistero della Santissima Trinit il mistero cen-
trale della fede e della vita cristiana6. Lantica professione di fede conosciuta come
Fides Damasi afferma: Dio unico ma non solitario: unespressione che apre uno
spazio del tutto inedito rispetto alle concezioni politeiste dei pagani ma anche alle
ontologie dellUno dei filosofi. Non a caso largomento ha dato spunto a molte con-
troversie ed anche ad eresie. Emerge come dato centrale il tema della relazione: le Per-
sone divine non sono tre di, non sono parti o aspetti della divinit, eppure ciascuna
distinta dalle altre. la relazione, la comunicazione che le fa essere: La distinzione
reale delle Persone divine tra loro, poich non divide lunit divina, risiede esclusi-
vamente nelle relazioni che le mettono in riferimento le une alle altre7.
Il monoteismo trinitario costituisce una verit rivelata che interroga la teologia,
la mistica, la filosofia e permette di non rimanere prigionieri di alcune impasses. Lon-
tologia dellUno8 (da Parmenide a Platone, dallo Pseudo-Dionigi alle grandi tradi-
zioni orientali) scopre la trascendenza del divino e la sua indisponibilit alla nostra
manipolazione. Tuttavia la salvaguardia di questa purezza ha un costo molto alto:
limpossibilit del linguaggio, della comunicazione, della relazione. Tutte cose che in-
serirebbero una inaccettabile dualit tra lUno e lessere, tra lUno e chi parla. La
tradizione mosaica, Aristotele e Tommaso sono i riferimenti principali di un altro ap-
proccio, quello dellontologia dellEssere. Solo Dio lEssere per eccellenza, ma les-
sere si pu dire in molti modi. Dunque il linguaggio adesso possibile grazie al
concetto di analogia. Il linguaggio analogico non cattura la trascendenza, ma la rende
comunicabile in una qualche misura.
Dal punto di vista della comunicazione larchetipo trinitario un approccio an-
cora diverso, molto pi ricco del pur importante concetto di analogia. Apre a un
modo di concepire la comunicazione come una relazione fatta contemporaneamente
da soggetti diversi ed eguali. Diversi perch ciascuno ha le proprie caratteristiche che
non vengono dissolte ed eguali perch nessuna diversit tale da costituire una so-
stanza ulteriore. Dal punto di vista politico questo approccio ci mette in guardia dal
confidare in un modello giacobino di galit astratto (spesso confinante con la vio-
lenza ideologica dei regimi comunisti, ma non distante neppure dal conformismo
della societ globalizzata). Allo stesso tempo critica il modello liberista che ritiene la
libert (anchessa astratta) come autoaffermazione a tutti i costi e secondo un progetto

6
Catechismo della Chiesa Cattolica, 232.
7
Catechismo, 255. In questo passo il Catechismo cita la bella espressione dellXI Concilio di Toledo, nel
675: Nei nomi relativi delle Persone, il Padre riferito al Figlio, il Figlio al Padre, lo Spirito Santo alluno e
allaltro; quando si parla di queste tre Persone considerandone le relazioni, si crede tuttavia in una sola natura
o sostanza.
8
Si veda per queste riflessioni P. Coda, Dio uno e trino, San Paolo, Milano 1993, soprattutto 257-272.

29
Anselmo Grotti

narcisista se non solipsistico. A volte sembra che ci si debba esprimere in un espe-


ranto banalizzato e ridotto ai minimi termini, in una cancellazione o camuffamento
delle identit, fino a sottomettersi a una colonizzazione e un imperialismo dei si-
stemi sociali pi forti. In altre occasioni sembra che il riconoscimento delle diversit
passi attraverso localismi e costruzione di fortilizi incomunicabili.
Il linguaggio e le strategie di comunicazione dei saperi rispecchiano questa oscil-
lazione, tra apertura intesa come assenza di ostacoli alla colonizzazione e iden-
tit intesa come radicamento nel clan. Dal punto di vista socio-politico ne un
esempio loscillazione nella gestione della conoscenza. Il mondo contemporaneo di-
pende pi che mai dalla conoscenza. Mentre per la prima volta nella storia siamo in
grado di condividere notizie, esperienze, saperi scientifici e umanistici in modo ra-
pido, universale, a bassissimo costo, assistiamo allo stesso tempo alla costruzione di
muri, ostacoli giuridici e tecnologici appositamente predisposti per rendere difficile
questa condivisione e consolidare il potere di chi pu trarre maggiori vantaggi dal suo
monopolio.
Siamo a un punto di svolta decisivo: non sono pi gli ostacoli esterni a rendere
difficile la condivisione dei saperi, ma le scelte politiche. Per la prima volta nella
storia la rivoluzione digitale e internet permettono una comunicazione globale. Ci
si pu chiedere se il web sia una metafora dellimmanenza9: la struttura reticolare crea
collegamenti innumerevoli, ma tutti su di un piano orizzontale. Ma non si deve di-
menticare che internet un simbolo potente della comunicazione cattolica, cio
universale. Almeno da quando si imposta la scelta di non brevettare la tecnologia
del web rendendo cos visibile da tutti gli altri ogni computer presente in rete, in-
ternet presenta la caratteristica assolutamente unica di mantenere la diversit per-
mettendo la comunicazione. Vanno spese alcune parole sullaspetto tecnologico della
questione. Inter-net significa rete di reti, cio il collegamento e la interoperativit
tra tutte le reti del mondo. I computer erano collegati tra di loro sin dagli anni Ses-
santa del secolo scorso: tuttavia si trattava di circoli, pi o meno grandi ma isolati
gli uni dagli altri. Era unottima metafora della comunicazione tra clan: comuni-
chiamo perch siamo simili, perch abbiamo lo stesso linguaggio, le stesse idee, la
stessa cultura. Mettere in contatto tutte le reti stabilisce la realizzazione di una sorta
di Onu della comunicazione, in grado di prefigurare lunit del genere umano in

9
In tal senso alcune riflessioni molto stimolanti di mons. Pompili, Sottosegretario della CEI e Diret-
tore dellUfficio Nazionale per le comunicazioni sociali, proposte al convegno Abitanti digitali: Le nuove mo-
dalit extraterritoriali di restare in contatto vanno spesso a detrimento delle nostre prossimit immediate e
tendono a scivolare verso una superficialit cha fa scambiare il network per la comunit, e la condivisione di di-
vertimento per amicizia. La causa di questo pessimismo la stessa che sembrava possedere un potere liberante:
leccesso di orizzontalit (e, potremmo aggiungere, di immanenza). Il convegno si svolto a Macerata nel 2011.
Per i testi si veda: http://www.chiesacattolica.it/pls/cci_new_v3/v3_s2ew_consultazione.mostra_pagina?id_
pagina=18847.

30
Trinit e incarnazione come archetipi del linguaggio

modo pi pregnante di quanto oggi possa fare lOnu degli Stati. A maggior ragione
questo vale per il mondo della cultura, dei saperi, delle esperienze. In linea di prin-
cipio ciascun abitante del pianeta pu mettersi in contatto con qualsiasi altro essere
umano e con tutto il patrimonio della cultura mondiale. Noi viviamo di relazioni,
la nostra stessa coscienza e le nostre idee si formano e si sviluppano nel gioco, me-
raviglioso e terribile, tra quanto ci scambiamo con gli altri e come lo elaboriamo
nella nostra libert.
Senza lattuale modello tecnologico di internet questo non sarebbe possibile a li-
velli cos alti. Si ricordi che quando ci colleghiamo alla rete non ha importanza con
quale dispositivo lo facciamo (pc, tablet, iphone), con quale marca e modello,
con quale sistema operativo, con quale lingua, con quale programma Tutto deve
essere trasparente e intercomunicabile. Ciascuno mantiene la sua diversit (cultu-
rale e tecnologica) e allo stesso tempo comunica con tutti gli altri. Non un dato
scontato: ci sono molte pressioni (politiche ed economiche) per creare zone ristrette,
dazi, pedaggi, controlli. Molte aziende propongono un utilizzo facilitato della rete
a patto di rinunciare alla universalit. Tornano gli steccati: per comunicare dob-
biamo avere hardware solo Apple, oppure essere per forza su Facebook, oppure ab-
bonarci a Cubovision Tornano anche gli ostacoli economici: nella opzione
universalistica di internet si pu accedere a tutti i contenuti con uno strumento da
100 euro in modo non troppo dissimile da uno da 10.000 euro. In quella propugnata
dalle grandi aziende occorre spendere per dotarsi dellhardware adatto e poi spendere
ancora per accedere a contenuti significativi. Come successo per la tv, si pu creare
un doppio ambiente: gratis (pi la pubblicit) per i poveretti che si guardano le te-
levendite mentre il resto a pagamento.

1.2. Linadeguatezza del linguaggio umano: una felix culpa


La Trinit ci mette di fronte alla radicale inadeguatezza del linguaggio umano a
descrivere compiutamente la realt. Cos facendo, ci libera dalla presunzione del
controllo totale e dalla disperazione del nichilismo. Ci offre la possibilit del dia-
logo con altre culture e altre religioni senza obbligarci al relativismo. Allinterno della
Chiesa permette la convivenza di pi modelli di aggregazione, di ermeneutica, di
incarnazione del messaggio evangelico senza perdere la cattolicit e universalit
dellesperienza di fede. Nella societ consente linterazione di gruppi e di culture di-
verse senza stemperarle in una mousse che per essere politicamente corretta camuffa
ogni identit. Nei rapporti intergenerazionali permette agli adulti di essere adulti e
agli adolescenti di essere adolescenti, senza confusione di persone n separazione,
potremmo dire con una libera parafrasi del Catechismo. Non sorprenda il richiamo
al modello trinitario. Scrive Agostino:
Non una volta sola abbiamo detto che le operazioni della Trinit sono insepa-
rabili, ma che sempre bisogna salvare la distinzione delle singole persone, di modo

31
Anselmo Grotti

che si riconosca non soltanto lunit senza divisione ma altres la Trinit senza con-
fusione10.

Il linguaggio umano intrinsecamente incapace di controllare pienamente la re-


alt, pur potendo in modo significativo interagire con essa. Si tratta in un certo senso
di un limite: ma un limite che potremmo definire felix culpa, perch ci costringe
a non essere mai autosufficienti (come persone e come societ) e ad aver sempre bi-
sogno della relazione con altri, che ci offrono altri punti di vista e altri saperi. Come
dice Agostino, limpossibilit per il singolo di comprendere appieno la realt ci ob-
bliga alla interazione, permettendo luso della carit vicendevole11.
Possiamo in effetti costruire linguaggi settoriali nei quali per definizione un ter-
mine ha un solo e preciso significato, cos da raggiungere come avvenuto un
altro grado di controllo sulla realt. Ci possono beninteso essere parole che esauri-
scono la loro natura in un valore semantico ben delimitato e specifico: quanto av-
viene in tutti i linguaggi formali (sia pure a diverso grado): dai linguaggi di
programmazione a quelli della malavita, da quelli della scienza a quelli del marke-
ting.
Si fa eccezione per lappunto in due casi: il linguaggio naturale non formalizzato
e quello teologico. Su questultimo ci aspettiamo una obiezione: se la teologia una
forma di sapere scientifico, non dovrebbe avere anchessa un suo linguaggio specifico,
formalizzato, semanticamente univoco? In un certo senso in effetti possiede tutte
queste caratteristiche, si pensi solo al rigore terminologico della Dogmatica ma anche
agli scontri e alle sofferenze che sono state affrontate per difendere certe formulazioni
linguistiche piuttosto che altre.
E tuttavia Tuttavia, senza sottovalutare laspetto scientifico del linguaggio
teologico, sappiamo che nessuna espressione potr mai racchiudere in una semantica
autosufficiente il mistero della presenza divina, la sua trascendenza, la sua infinita li-
bert di incarnarsi in mille culture, espressioni, linguaggi. Il rigore della dogmatica
si accompagna allemozione della mistica e al silenzio dei contemplativi, senza con-
traddizione se non per il nostro punto di vista.
Anche il linguaggio naturale, quello che usiamo comunemente, quello non for-
malizzato, quotidiano, magari un po pasticciato, ha queste caratteristiche. Non
un insieme, per quanto vasto a piacere, di termini e di regole per collegarli. I termini
hanno dei significati e le regole servono per connetterli in modo adeguato. Ma
sempre possibile la novit inaspettata, il gesto creativo di un poeta che battezza
nuove parole (il trasumanar di Dante) o che trova sempre nuovi significati e nuove
metafore.

10
Agostino, Omelia 95.
11
Cf. il successivo paragrafo 2.

32
Trinit e incarnazione come archetipi del linguaggio

In particolare stato Ricoeur12 a rivendicare al linguaggio naturale (cui fanno ri-


ferimento la poesia e la letteratura) un valore conoscitivo e non solamente retorico.
Questo avviene specialmente attraverso luso della metafora, che non certamente
un modo formalizzato di usare il linguaggio, ma quasi una deviazione dalla regola.
Essa, ristrutturando la realt in forme nuove, ne permette una conoscenza pi ampia
e allo stesso tempo aperta a ulteriori scoperte. Tramite la metafora il mondo non ap-
pare pi come un insieme di oggetti disponibili e manipolabili; la parola e il lin-
guaggio non sono strumenti tecnici per controllare il mondo, ma aprono alla
trascendenza del significato sul significante. Il che ha un valore antropologico ma
evidentemente anche teologico. La comunit cristiana non pu trascurare ledu-
cazione umana al linguaggio se vuol essere comprensibile nellannuncio di fede e far
s che possa svilupparsi su terreno solido.
Considerare il linguaggio (nelle sue varie forme, dallomelia al web) come stru-
mento di persuasione rappresenta un grosso errore. Non si pu dire che tale errore
sia del tutto assente nella realt ecclesiale contemporanea, in linea daltra parte con
un clima generale che tende a manipolare senza ritegno la parola e la comunicazione.

2. LIncarnazione, valore teologico e antropologico

Agostino nellopera De doctrina christiana13 mette molto bene in evidenza la com-


plessit ermeneutica della comunicazione. Nel Prologo illustra con molti esempi una
stessa situazione: la Parola che si rivela alluomo trascendente e non deriva da gram-
matiche e culture umane. Eppure la comunicazione che Dio fa di s non fa a meno
della nostra umanit, della nostra cultura, del nostro linguaggio. Mos, Paolo, Cor-
nelio, leunuco che legge Isaia hanno tutti ricevuto una rivelazione divina. Ma non
disdegnano di recarsi da uomini a farsi dare indicazioni: Mos dal suocero (stra-
niero), Paolo viene battezzato da un uomo, Cornelio va da Pietro, leunuco da Fi-
lippo Agostino scrive senza mezzi termini che ci possono essere persone che hanno
ricevuto direttamente una ispirazione divina, eppure
sebbene sia giusto che si rallegrino dun cos gran dono avuto da Dio, dovrebbero
quanto meno ricordarsi che stato ad opera di uomini che hanno imparato a leg-
gere e scrivere14.

Imparato a leggere e scrivere ad opera di uomini! Agostino riconosce un enorme


valore (la sua storia personale non passata invano) alla comunicazione umana, al

12
P. Ricoeur, La metafora viva, Jaca Book, Milano 2010.
13
Agostino, Listruzione cristiana, Fondazione Valla Mondadori, Milano 1994.
14
Agostino, Listruzione cristiana, Prologo, 4.

33
Anselmo Grotti

bambino che sillaba diligentemente le sue prime parole scritte e alla cura amorevole
delladulto che lo guida. Il mistero e la grandezza dellIncarnazione coinvolgono
anche la modalit della comunicazione divina. Il Dio che si rivela nella brezza leg-
gera percepita dal profeta Elia sceglie, scandalosamente, non la potenza della sua pa-
rola diretta, ma il percorso rischioso della comunicazione umana, storica, imperfetta,
equivoca. Eppure, proprio perch sempre parziale, essa aperta alla collaborazione
comunitaria, alla fraternit.
Come infatti sarebbero state vere le parole: Santo il tempio di Dio che siete voi,
se Dio non avesse proferito i suoi oracoli da quel tempio che luomo ma avesse
fatto echeggiare dal cielo e per mezzo di angeli tutto quello che voleva rivelare agli
uomini a loro istruzione? E finalmente un rilievo sulla carit che unisce gli uomini
tra loro col vincolo dellunit. Se gli uomini non avessero da imparare nulla dai pro-
pri simili, alla carit verrebbe tolta una via importante per conseguire la fusione e,
per cos dire, linterscambio degli animi15.

Chi ha una qualche familiarit con il dibattito contemporaneo circa i paradigmi


conoscitivi nellepoca di internet non pu non rimanere particolarmente colpito da
queste antiche espressioni di Agostino. Di intelligenza connettiva parlano autori
come de Kerckhove, Lvy16 e tanti altri. Riconoscere questo legame permette di av-
vicinarci a due obiettivi:
collocare la riflessione contemporanea in un contesto pi ampio, evitando ri-
duzionismi, ingenuit, ideologizzazioni (ci che la teologia pu dire alla comunica-
zione);
sollecitare la capacit della comunit ecclesiale di rendere ragione della propria
fede sapendo parlare di ci che vitale per il mondo contemporaneo nellattitudine
di chi sa estrarre cose antiche e cose nuove17 (ci che la comunicazione pu dire
alla teologia).

A volte si nota unenfasi un po eccessiva dei profeti della rivoluzione digitale.


vero che siamo davanti non tanto a una modifica tecnica, ma a unopportunit an-

15
Agostino, Listruzione cristiana, 4-5.
16
A puro titolo esemplificativo citiamo di de Kerkhove: La civilizzazione video-cristiana, Feltrinelli, Mi-
lano 1995; L architettura dellintelligenza, Testo & immagine, Torino 2001; La pelle della cultura: unindagine
sulla nuova realt elettronica, Costa & Nolan, Genova 1996; Brainframes: mente, tecnologia, mercato, Basker-
ville, Bologna 1993. Di P. Lvy: Le tecnologie dellintelligenza. Lavvenire del pensiero nellera dellinformatica,
ES/Synergon, Bologna 1992; Gli Alberi delle conoscenze. Educazione e gestione dinamica delle competenze, Fel-
trinelli, Milano 2000; Lintelligenza collettiva. Per unantropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano 1996;
Lintelligenza collettiva, Parigi-European IT Forum, intervista in Mediamente, Rai Educational http://www.
mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/l/levy.htm#link001; C unintelligenza collettiva nel futuro dellevo-
luzione umana, in Telma, estate-autunno 1999, http://www.fub.it/telema/TELEMA18/Levy18.html. La
posizione di de Kerkhowe appare pi equilibrata di quella di Lvy.
17
Mt 13,31.

34
Trinit e incarnazione come archetipi del linguaggio

tropologica. Ma anche vero che tutto questo non sarebbe potuto avvenire senza il
contributo, magari remoto, della grande riflessione cristiana sulla comunicazione.
un aspetto che va ricordato (anche ai molti cattolici che non ne sono consapevoli)
con serenit, senza spiriti egemonici o desiderio di annessione alla propria parte,
visto che siamo in presenza di fenomeni molto complessi. Non un caso che de
Kerckhove abbia dichiarato: Io sono cattolico, sono nato cattolico, e sono un cat-
tolico praticante18, come del resto era cattolico (proveniente dallanglicanesimo) il
suo famoso maestro McLuhan:
Un giorno un giornalista lo ha intervistato nel suo studio allUniversit di To-
ronto. E ad un certo punto gli ha chiesto cosa fosse quella cosa sul muro. Un cro-
cifisso fu la risposta. E il reporter: Ma lei non sar cattolico?. E lui: Della peggior
specie, un convertito. Proveniva dallanglicanesimo. Tutto risaliva al suo incontro
con Chesterton19.

Sappiamo come Chesterton sia stato un maestro nel forzare il linguaggio at-
traverso paradossi, ossimori, metafore, riuscendo spesso a sorprendere il lettore e a
renderlo capace di vedere con sguardo nuovo e pi pulito quanto credeva di aver gi
classificato.
Non a caso abbiamo citato Agostino. Comincia con lui un percorso millenario
sul paradosso irrisolvibile eppure pi ragionevole di ogni sillogismo: lesperienza e
lintelligenza di Dio Trinit20.
Nel De Trinitate Agostino scrive di voler amare Dio non solo con il cuore che
crede ma anche con lintelligenza che vede. In questo processo non si pu non par-
tire da un elemento che viene prima del soggetto, la regula fidei creduta e trasmessa
dalla Chiesa. Ci si accosta dunque a Dio sempre attraverso la mediazione comuni-
cativa della comunit, poich proprio nella relazione di fraternit si pu sperimen-
tare la presenza di Dio. Scrive Piero Coda a proposito della intelligentia fidei di cui
tratta il libro V del De Trinitate:
Agostino fa una strepitosa scoperta. Gli antichi filosofi, Aristotele in testa, ma
anche la rivelazione che Dio ha fatto di s a Mos (cf. Es 3,14), dicono che Dio
lEssere, Colui che , immutabile ed eterno. Ma nota Agostino il Nuovo Testa-
mento ci parla di un Padre che Se stesso in relazione al Figlio, il quale a sua volta
Se stesso in relazione al Padre, mente lo Spirito Santo il Dono di entrambi, e
quindi anchegli relazione.

18
D. de Kerkhove, La mente umana e le nuove tecnologie di comunicazione, intervista del 23.6.1995 su Me-
diamente (http://www.wcod.it/d3rr1ck/reference/4.pdf).
19
D. de Kerkhove, Cos Chesterton convert McLuhan, in Avvenire, 7 giugno 2011.
20
Cos si intitola il X capitolo del testo di P. Coda, Dio che dice Amore, Citt Nuova, Roma 2007, cui ci
rifaremo per questo breve excursus.

35
Anselmo Grotti

Dio allora ecco la scoperta non solo essere in-s e per-s (sostanza, nel lin-
guaggio della filosofia greca), ma relazione. La quale dunque riferita a Dio non
il pi debole degli accidenti (come secondo Aristotele), ma qualcosa di essen-
ziale perch esprime appunto la vita di Dio21.

Dio relazione, comunicazione. Noi non facciamo esperienza piena di cosa vo-
glia dire relazione, ma ne percepiamo limportanza. Riprendiamo a leggere Agostino:
Riposiamo qui un poco la nostra intenzione, non perch ritenga di aver gi tro-
vato ci che cerca, ma come solito riposarsi colui che ha trovato il luogo in cui cer-
care qualcosa: non lha ancora trovata, ma ha trovato dove cercarla. Che quanto
detto ci basti e sia come il primo filo a partire dal quale tesseremo tutto il resto22.

La comunicazione e i corpi che la rendono possibile (il nostro stesso corpo fi-
sico, gli oggetti, i supporti cartacei o digitali) non sono strumenti, ma ambienti:
luoghi nel linguaggio agostiniano. Non dovrebbe passare inosservata la metafora
del filo e del tessere che chiude la citazione. Molti secoli dopo in contesti apparen-
temente molto diversi potremo leggere espressioni come la seguente: Le reti e lin-
telligenza umana sulle reti sono la cosa pi vicina alla spiritualit che la tecnologia
ci abbia mai dato finora23.
Se Dio relazione, la comunicazione non pu non riconoscere di avere le pro-
prie radici in un contesto teologico. Ancora una volta il modello della Trinit ad
essere decisivo. Se luomo imago Dei lo soprattutto per la sua attitudine alla pa-
rola, alla relazione, alla fraternit. Secondo una logica che potremmo denominare a
frattale la relazione trinitaria illumina ogni aspetto della vita umana: la vita della
persona, della famiglia, della societ civile, della politica.
Nella persona il modello trinitario permette di evitare gli errori opposti di una vi-
sione monolitica della persona e di una contrapposizione di pulsioni psichiche, ge-
netiche e ambientali. Il cuore umano certamente un guazzabuglio (Manzoni)
molto lontano dalla linearit scintillante di Cartesio o dalla progressiva autosuffi-
cienza intellettuale di Spinoza. Avvertiamo il disagio di non saper mettere in comu-
nicazione i molti aspetti che ritroviamo nel nostro io, e a volte il disagio cos
grande che smettiamo di chiamarlo come tale e lo assumiamo come dato inevitabile.
Eppure avvertiamo allo stesso tempo una esigenza di conciliazione24.
Nella famiglia il paradigma trinitario salvaguarda la fraternit dei legami di san-
gue e della comunione senza soffocare le singole individualit e tiene ben distanti dal
familismo presente in tante logiche di clan e di casta.

21
Coda, Dio che dice Amore, 134.
22
Agostino, De Trinitate, VIII, 10,14.
23
D. de Kerkhove, La mente umana e le nuove tecnologie di comunicazione.
24
quanto ha detto (e fatto) fr. Roger Schtuz di Taiz in tanti suoi scritti: la consapevolezza della nostra
fragilit ci insegna lumilt, ma non deve portarci alla disperazione.

36
Trinit e incarnazione come archetipi del linguaggio

Nella societ civile diviene chiave di lettura e sostegno in situazioni sempre deli-
cate ma oggi forse particolarmente difficili: la convivenza di generazioni, culture,
modi di vedere il mondo, spesso molto diversi.
Nella politica esprime una forza di universalit che non globalizzazione impo-
sta o uniformit da conquistatori, e neppure regressione nella propria particolare
identit, pregiudizio, apartheid se non apertamente razzismo.
La Trinit esprime lo stesso paradosso della comunicazione, quellinsieme di ma-
nifestazione ma anche nascondimento che la sorgente misteriosa di ogni relazione.
La riflessione teologica si mossa allinterno di questa feconda contraddizione, cer-
cando di volta in volta di esprimerne un aspetto. Pochi anni dopo la caduta del-
lImpero Romano dOccidente lautore conosciuto come Dionigi Areopagita sostiene
che di fronte alla trascendenza di Dio non c altra strada che il silenzio. La mistica
non comunicabile. Mos che sale sul Sinai si libera di ogni cosa, anche della parola,
per giungere alla non conoscenza. Nel secolo scorso Schoenberg ha ripreso questa
concezione nellopera Mos e Aronne. Dopo il peccato di idolatria del suo popolo
Mos comprende che non possibile comunicare la legge divina e spezza le tavole
della Legge. Nellopera Aronne canta, come gli altri personaggi. Mos invece si limita
a parlare, cio musicalmente a stare in silenzio. Solo il silenzio pu evitare il tra-
dimento del messaggio divino, la cui comunicazione dunque impossibile. A mag-
gior ragione perch Schoenberg lascia lopera incompiuta nel terzo atto. Se per
Dionigi il silenzio esprime limpossibilit della comunicazione per leccedenza e la
trascendenza di Dio, nel Novecento il silenzio esprime la sfiducia nichilista nella di-
cibilit del reale.
Eppure non sono mancate voci diverse. Tommaso dAquino viola il divieto di
Dionigi (Piero Coda) e riprende il tema agostiniano della comunicazione. Non si co-
munica il prodotto partogenetico di un sapere autosufficiente, ma una verit prima
contemplata e poi trasmessa. La relazione trinitaria in Tommaso non riguarda solo
le Persone divine, ma comprende il rapporto tra Dio e la sua creazione. Anche per
lui la relazione tuttaltro che il debole accidente di Aristotele: lessere-per-s
(relazioni sussistenti)25. La dialettica paradossale tra manifestazione e nascondi-
mento, comunicazione e silenzio prosegue: anche Tommaso, come Schoenberg
molto tempo dopo di lui, non conclude la terza parte della Summa Theologiae: Re-
ginaldo non posso non posso, perch tutto ci che ho scritto mi sembra paglia,
rispetto a ci che ho visto e che mi stato rivelato26. Dunque, il silenzio non della
disperazione ma della consapevolezza della sproporzione tra Creatore e creatura: una
sproporzione che darebbe ragione a chi propende per una trascendenza assoluta di
Dio, tale da renderlo del tutto inaccessibile. Eppure larchetipo trinitario non si

25
Tommaso, Summa Theologiae, I, 29,4.
26
Processus, n. 79, 376, citato da Coda, Dio che dice Amore, 144.

37
Anselmo Grotti

ferma a questo aspetto: ed proprio straordinaria la sensibilit di Chiara Lubich nel


cogliere lo stretto sentiero allinterno del paradosso:
Allora non amer il silenzio ma la parola (espressa o tacita), la comunicazione
cio del Dio in me col Dio nel fratello
Ma occorre perdere il Dio in s per Dio nei fratelli. E questo lo fa soltanto chi
conosce ed ama Ges abbandonato27.

Ancora una volta siamo di fronte a una radice teologica della possibilit stessa
della comunicazione: lesperienza di Ges stesso abbandonato dal Padre che re-
dime lincomunicabilit tra creatore e creatura. Senza questa esperienza saremmo di
fronte a un Dio di cui non si pu dire nulla, tanta la differenza ontologica che ci
separerebbe.
Ges davvero il Verbo del Padre, la possibilit stessa della comunicazione.

3. Cosa ha da dire la comunicazione alla teologia?


Che cosa la teologia alla comunicazione?

A questo punto dovrebbe essere chiaro che non ha ragion dessere un atteggia-
mento di ostilit o di estraneit alla rivoluzione comunicativa operata nel mondo
contemporaneo dallirrompere degli ambienti digitali. La civilt delle immagini, il
moltiplicarsi di realt virtuali e di network sociali non sono elementi estranei o sem-
plicemente neutri rispetto alla comunit ecclesiale. Sarebbe ingenuo non avere pre-
senti i rischi e le contraddizioni, ma sarebbe altrettanto superficiale non cogliere la
radice profonda che li ha generati. Una radice tuttaltro che estranea alla storia del
cristianesimo.
I Padri della Chiesa si sono gi trovati di fronte a obiezioni di questo genere.
Scrive Giovanni Damasceno: Io non raffiguro la divinit invisibile, ma la carne di
Dio che stata vista28.
Quale criterio possiamo dunque trovare per discernere il modo corretto di co-
municare, di rendere ragione della fede ma anche di stabilire la condivisione dei no-
stri paesaggi mentali? Lalternativa non tra lutilizzo delle immagini, del virtuale,
della rete, o liconoclastia. Il discrimine piuttosto rintracciato da unaltra domanda:
a che cosa rimanda il medium utilizzato nella comunicazione?
Per Origene possibile onorare le icone senza essere idolatri perch si consa-
pevole a che cosa esse rimandano e da dove sono state generate. Lidolo prodotto
a partire dalle cose finite, si presenta come originario mentre non altro che la con-

27
Riportato in Coda, Dio che dice Amore, 161.
28
Contro coloro che disprezzano le immagini, I, 4.

38
Trinit e incarnazione come archetipi del linguaggio

traffazione dellesistente. Nella retorica truffaldina dei sofisti, loratore convince fa-
cilmente gli ascoltatori della bont del suo discorso intercettando le loro aspettative
e confermando i loro pregiudizi. In uno scambio sintattico suadente e teratogeno si
presenta come desiderabile quanto era semplicemente desiderato. Lidolatria camuffa
ci che umano, troppo umano in divinit e rende cos alienante la genuflessione
davanti agli idoli. Anche le societ antiche conoscevano lenorme potenza della pa-
rola, della fama, capace di ingannare le menti degli uomini. A maggior ragione
questo possibile nella rivoluzione digitale. Nel film S1m0ne29 la protagonista non
esiste, la rappresentazione digitale e virtuale dei sogni degli spettatori, un po come
Elena nellomonima tragedia di Euripide.
Torniamo ad Origene: mentre lidolatria rimanda a un prodotto umano, la ve-
nerazione delle icone rimanda a uneccedenza di significato, a un prima della pa-
rola umana. Qualcosa di per s indicibile, se non fosse per lIncarnazione.
Questo criterio teologico carico di conseguenze per lanalisi delle forme di co-
municazione e per lecologia degli ambienti digitali. Bucare il cielo di plastica30
senza cadere nella critica generalizzata degli apocalittici e degli iconoclasti pu av-
venire riconoscendo una trascendenza di ci che si comunica rispetto al comunica-
bile, una parzialit del nostro contributo. Ecco che il criterio si fa molto chiaro: non
troveremo autentica comunicazione in tanti modi di fare televisione (reality, talk
show, fiction..) o stampa o internet... ma non per motivi un po banali e superfi-
ciali. Il motivo vero profondo: perch parlano solo di se stessi, perch la tv non sa
che discettare della tv, lospite di uno show il conduttore dellaltro, il comico che
fa una gag interrotto dallo spot pubblicitario dove recita il medesimo comico di
prima, il protagonista del reality si presenta come luomo comune, ma allo stesso
tempo diventa il modello per luomo comune. Nasce qui, di nuovo, un cortocir-
cuito suadente e teratogeno: il turpiloquio in tv sdoganato perch la gente (la
ggente...) di fatto lo usa nella vita comune; nella vita comune il turpiloquio am-
missibile perch tanto ormai lo si usa anche in tv da parte di politici e di vip. In un
gigantesco girotondo, Mario va dove va tutta la gente, e tutta la gente va dove
vanno tutti i Mario. La vera e propria idolatria rappresentata dalluso dei sondaggi
ne un ulteriore esempio: lesito di un sondaggio genera una verit, un evento co-
municativo che in realt un non-evento. Ci che viene dopo diviene un
prima. Nellordine: abbiamo fabbricato un idolo, ci dimentichiamo che si tratta di
un idolo, aspiriamo a conformarci allidolo che abbiamo (o hanno) costruito.

Lenorme potenza manipolatoria della comunicazione sempre stata presente alla


riflessione filosofica. La parola viene spesso definita come un qualcosa di piccolis-

29
Film di Andrew Niccol, Usa 2002.
30
L. Alici, Cieli di plastica. Leclissi dellinfinito nellepoca delle idolatrie, San Paolo, Roma 2009.

39
Anselmo Grotti

simo, che per ha un grande potere. Socrate ne parla pi volte, Platone si pone il pro-
blema del potere manipolatorio della parola scritta, Aristotele cerca di distinguere
una retorica positiva da una adescatrice, e cos via. Il potere permette laddomesti-
camento del linguaggio, e la comunicazione cos asservita offre al potere una forza
ancora maggiore.

Tuttavia anche il suo opposto pericoloso. Lo sono anche la negazione della pa-
rola, la censura. La stessa iconoclastia una tentazione. Al tempo della distruzione
delle immagini nellalto medioevo era il potere degli imperatori che non tollerava
ostacoli e concorrenti. Solo limperatore poteva far circolare la sua immagine, cio
la sua presenza, il suo potere. Una politica condivisa anche da non pochi mo-
derni.
La Rivoluzione Francese tent, nella sua fase pi ideologica, la sostituzione del
linguaggio prerivoluzionario e religioso con un vocabolario tutto immanente, ra-
zionale, senza contatto con la storia. Niente pi settimana, ma la decade, niente pi
gennaio, febbraio ma Nevoso, Brumaio, Vendemmiaio La Rivoluzione di ot-
tobre riprende questa aspirazione, con una nuova iconoclastia:
Si liquidava totalmente la semisfera definita nemica: si cambiavano i nomi dello
stato, i suoi emblemi, i titoli onorifici, le uniformi, la religione, lalfabeto, il calen-
dario, le feste, le usanze e i riti, i nomi di citt, di vie, di prodotti, i nomi propri, le
forme di relazione, si regolamentava laspetto fisico [].
Lattacco alla parola si colleg alla lotta contro la cristianit e procedette di pari
passo con la distruzione delle chiese, icone, croci, attraverso il rito pagano della
combustione, interpretato anche come reazione alla tradizione cristiana di in prin-
cipio era il verbo, in questi anni lottare contro il verbo coincideva con il contra-
stare lodiato ordine (vecchio e borghese)31.

In principio era il Verbo: non c comunicazione senza il riconoscimento di un


prima di un oltre. Cancellarlo non significa solo condannarsi allafasia, ma anche
alla manipolazione del linguaggio da parte del potere. La trascendenza dellessere ri-
spetto alle nostre capacit di narrazione pu essere negata dal nichilismo o dalla bla-
sfemia. Questa una crociata contro il Male assoluto!... Dio non neutrale davanti
al Bene e al Male: Dio con lAmerica32. Labuso del linguaggio religioso, schiac-
ciato su quello politico, genera la gabbia dellimmanenza nella quale non c comu-
nicabilit tra i differenti idiomi culturali. Il gesto profetico di Giovanni Paolo II
compiuto con lincontro interreligioso di Assisi del 1986 e poi del 2002 ha evitato

31
G.P. Piretto, Due mondi alla parete: iconografia e iconoclastia popolare in Unione Sovietica tra gli anni Venti
e Trenta, in Contro limmagine, in Filosofia dellarte 1 (2001), 61-62.
32
G.W. Bush nel 2004, riportato tra gli altri su Jesus 9 (2004), 21.

40
Trinit e incarnazione come archetipi del linguaggio

al mondo la sciagura del consolidamento dello scontro di civilt, da taluni ritenuto


inevitabile o forse addirittura auspicato. Lo ha fatto nel modo proprio di un Ponte-
fice: con mille ricadute sociali, culturali e politiche, ma a partire da un dato teolo-
gico.
Gli incontri di Assisi hanno alimentato non poche polemiche allinterno della
Chiesa. A titolo di esempio riporto la seguente citazione da un articolo del 2005 di
padre Harrison, docente di Teologia presso la Pontificia Universit Cattolica di Porto
Rico:
La mia opposizione ad Assisi riguardava la fuorviante testimonianza pubblica
rispetto alla vera posizione della Chiesa che ne risultava. Si dato scandalo non solo
a coloro che, a causa di Assisi, sono stati indotti a pensare (o confermati nel loro pen-
siero gi esistente) che tutte le religioni sono pi o meno buone e lodevoli. Lo
scandalo stato dato a tutti coloro che, mentre personalmente rifiutavano quel be-
nigno apprezzamento di tutte le religioni, sono stati erroneamente indotti a pen-
sare che il Cattolicesimo Romano ora ufficialmente lo approva. anche molto
verosimile che gli incontri di Assisi abbiano reso le conversioni al Cattolicesimo pi
difficili che mai per i devoti e conservatori Protestanti e Ortodossi33.

Merito di Giovanni Paolo II stato quello di fondare lo spirito di Assisi non


su di una strategia comunicativa, su di un facile relativismo, ma nemmeno sullafa-
sia di chi vorrebbe i diversi linguaggi incomunicabili. La difesa del valore di verit
del linguaggio teologico non legata alla sua ibernazione. Gi lo aveva detto con
chiarezza Paolo VI: La Chiesa deve venire a dialogo con il mondo in cui si trova a
vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio34.
Esiste certamente un problema: nella cultura diffusa le espressioni colloquio o
dialogo rischiano di essere banalizzate. Lo stesso p. Harrison riconosce che se si
fosse consapevoli dei testi pontifici autentici sarebbe diverso: Le opinioni delle
masse riguardo a questi spettacoli religiosi si sono formate per la maggior parte dai
resoconti forniti da fonti secolari della radio, dei giornali e della televisione. Ma la
soluzione non pu essere quella delliconoclastia in versione postmoderna: rinun-
ciare alla comunicazione negli ambienti laici e secolarizzati per timore di conta-
minarsi. Abbiamo al contrario necessit di una pi accurata preparazione e di una
pi attenta consapevolezza delle radici cristiane della comunicazione. Non dob-
biamo separare la formazione teologica da quella comunicativa. Se andiamo alle ra-
dici della comunicazione ci troviamo pi liberi e consapevoli anche nelle agor
virtuali contemporanee.

33
Padre B.W. Harrison, O.S., Riflessioni di un avvocato del diavolo, in Latin Mass, 14 (2005) 5. Tra-
duzione dallinglese di Daniela Sgro dellufficio romano di Vita Umana Internazionale.
34
Paolo VI, udienza generale a Castelgandolfo, 5 agosto 1964.

41
Anselmo Grotti

In pi occasioni Ravasi ha messo in evidenza queste radici teologiche. Ad esem-


pio in un suo breve ma denso intervento su Letture del 199635 descrive il creato
come percorso da un linguaggio che deve essere decrittato. Al Salmo 148 si convo-
cano 22 creature, tante quante le lettere dellalfabeto ebraico, in rappresentanza della
pienezza dellessere. Lantica sapienza orientale elencava, quasi a voler elaborare un
lessico, tutte le realt che circondavano il sapiente. La Bibbia chiamata dai cristiani
Scrittura, ma gli ebrei la chiamano miqra, cio Lettura. Da un lato la parola
segno della knosis: Ogni parola logora e luomo non pu pi usarla (Qo 1,8).
unespressione forte, capace di illuminare la nostra afasia contemporanea. Un senti-
mento pi volte rievocato nei secoli da grandi scrittori come Goethe (das Wort er-
stirbt schon in der Feder, la parola muore gi sotto la penna). Ma anche la
consapevolezza della capacit di generare da parte della parola, come in E. Dickin-
son (A word is dead / when it is said, / some say. / I say it just / begins to live/ that day,
sicuramente la parola si spegne appena pronunziata ma proprio allora che co-
mincia ad operare). Ravasi termina scrivendo che il linguaggio dei simboli lunico
che pu dire Dio in modo pieno, come dice Ges: il Regno dei cieli simile a....
Dunque un linguaggio che esprime un valore comunicativo di verit, ma che
deve essere interpretato, decrittato, reso significativo per me. Che deve essere ascol-
tato, generare non uneducata conversazione ma una trasformazione. Se la comuni-
cazione solo immanente non pu essere che transazione delle varie posizioni,
accordo diplomatico, suggestione reciproca. O, peggio, sopraffazione e manipola-
zione. Rientra in questa modalit anche la comunicazione che ha la pretesa di rifarsi
a tematiche religiose, ma lo fa in modo idolatra. Al contrario, la comunicazione
aperta alla trascendenza sa che il risultato dellincontro di realt diverse non la
summa, la sintesi, lincrocio, laccostamento, ma un novum, una configurazione ine-
dita rispetto alle posizioni di partenza.
Quando Petrarca nel Secretum dialoga con Agostino ci tiene a ricordare ai lettori
che assieme a loro due c un terzo personaggio, la Verit, nelle sembianze di una
donna. Questa donna non parla mai, per cui sembrerebbe inutile la sua presenza. Ep-
pure fondamentale, perch cambia il senso della comunicazione che avviene tra i
due: non partita a scacchi per dimostrare la propria verit, ma trasformazione e crea-
zione di un elemento terzo comune a entrambi grazie al riconoscimento della tra-
scendenza della verit.

35
G. Ravasi, In principio la Parola, in Letture 526 (1996).

42
Trinit e incarnazione come archetipi del linguaggio

4. La parola e il corpo

La parola non sussiste senza un corpo. La comunicazione si rivela ancora una


volta come unimmagine, quasi un frattale, nel quale ritrovare gli elementi fonda-
mentali dellantropologia e della teologia cristiane.
La parola certamente qualcosa che non si lascia ridurre alla sua fisicit. Lo stu-
dio filosofico e linguistico della comunicazione lo ha messo molto bene in luce. La
logica ha avuto il grande merito di individuare i criteri di correttezza del linguaggio,
sfuggendo alla nebulosit dellemozione e della convinzione emotiva. Prescindendo
dal soggetto che la applica, ha creato uno spazio pubblico di discussione e confronto,
superando tendenzialmente il principio di autorit e favorendo la libera discussione
non solo in campo scientifico, ma anche etico e politico. Al tempo stesso un ap-
proccio esclusivamente logicistico rischia di dimenticare che sono i parlanti a co-
municare, non le parole.
La filosofia del linguaggio si occupata del rapporto che lespressione linguistica
ha da un lato con la realt e dallaltro con la mente umana. Il linguaggio quindi
una sorta di interfaccia tra il mondo e la mente. A partire almeno da de Saussure tale
riflessione si fatta pi specifica, mentre il XX secolo stato caratterizzato dalla
svolta linguistica. Gli approcci si sono naturalmente diversificati, non solo nella tra-
dizionale contrapposizione analitici/continentali. Filosofia analitica del linguaggio,
Chomsky, Heidegger, Wittgenstein, Gadamer, Lvinas, Ricoeur sono solo alcuni dei
nomi e delle aree culturali interessate.
Tuttavia il modello logista del linguaggio non sufficiente.
Diversamente dallapproccio esclusivamente logico, non solo le parole hanno un
corpo (tecnologia di volta in volta utilizzata per codificare linformazione e supporto
stesso di tale tecnologia e informazione), ma hanno un corpo anche i parlanti che vi-
vono a loro volta allinterno di un insieme di corpi. Allo stesso tempo linforma-
zione interagisce con il supporto-corpo (sia del messaggio che del parlante) di modo
che non possibile limitarsi a un rapporto causa-effetto di tipo univoco e banale.
Il contesto infatti non fatto solo della fisicit dei corpi che circondano i parlanti,
ma costituito anche dallinsieme delle conoscenze, dei valori, delle attese e delle
esperienze condivise. Particolare importanza assume di conseguenza il nesso che in
certi casi pu instaurarsi tra il paesaggio fisico condiviso nello spazio corporeo e il
paesaggio mentale condiviso nella infosfera e nella sintonia emozionale. Tale intera-
zione, tipica della cultura umana e presente sin dalle rappresentazioni arcaiche delle
grotte di Lascaux, assume una particolare rilevanza nellepoca di internet, nellin-
treccio radicale tra spazi fisici e mentali, tra le informazioni generate nel contesto cor-
poreo e in quello mentale.
Si pensi alluso linguistico dei termini dimostrativi come questo, quello, ecc.
Necessariamente si riferiscono a una realt condivisa del parlante con linterlocu-
tore. Tale realt condivisa pu essere sia di tipo fisico (lo stesso ambiente), sia di tipo

43
Anselmo Grotti

culturale o mentale. Lintreccio tra i due risulta particolarmente efficace nei processi
di conoscenza.
Coinvolgere la dimensione pragmatica nel tema della comunicazione significa
considerare efficace la comunicazione stessa solo se accompagnata da azioni che la
rendono chiara.
Latto linguistico si compie solo se lintenzione viene riconosciuta. La comuni-
cazione essenzialmente riconoscimento di intenzioni. Comunicare si differenzia
da informare perch presuppone il riconoscimento dellintenzione. Nelle interazioni
comunicative quotidiane comunichiamo pi di quanto dicano le espressioni usate.
Esiste un principio di cooperazione nella cooperazione. La conversazione resa
possibile dal fatto che i parlanti si aspettano ragionevolmente il rispetto di massime.
Spesso violiamo le regole esplicite della conversazione, modifichiamo il linguag-
gio e diciamo qualcosa di evidentemente non sostenibile. Il che spinge linterlocu-
tore a uscire dagli automatismi, a interrogarsi sulla differenza tra ci che il parlante
ha detto e ci che aveva intenzione di dire. il caso della metafora, del paradosso,
dellironia. Si pensi a Dante che invita il lettore della terza cantica a interrompere la
lettura evidentemente con ben altra intenzione.
Se invece abbiamo motivi per ritenere che il parlante non rispetti il principio di
cooperazione, potremmo attribuire lo scarto tra ci che ha detto e ci che aveva in-
tenzione di dire chiamando in causa altri aspetti, non razionali e in ogni caso ignoti
al parlante stesso (contenuti rimossi, stati alterati di coscienza, mancanza di con-
trollo razionale sulle proprie espressioni, ecc.).
Quando McLuhan dice: il mezzo il messaggio mette certamente in evidenza
il fatto che nella comunicazione il medium ha delle caratteristiche che necessaria-
mente influenzano il contenuto della comunicazione. Ma alla radice di una osser-
vazione spesso letta solo per descrivere le caratteristiche del messaggio televisivo si
pu trovare molto di pi. La radice cattolica di McLuhan ci rimanda allidentit cri-
stologica di Evangelo e di Messia, di Verbo incarnato: Ges allo stesso tempo il
mezzo e il messaggio che Dio rivolge agli uomini. In perfetta analogia Paolo VI dir
che gli uomini devono essere allo stesso tempo maestri e testimoni: la loro stessa vita
attraverso cui annunciano il vangelo essa stessa vangelo.
Il celebre aforisma rimanda in modo non lineare alla dicotomia paolina let-
tera/spirito, cos come pone una differenza fondamentale tra laccettazione della co-
municazione antropomorfa del cristianesimo e delle altre grandi religioni monoteiste.
Periodici tentennamenti, come liconoclastia, non sono mancati nella storia della
Chiesa. Molte immagini religiose nelle chiese del Sud Italia provengono dallOriente,
portate in Italia per salvarle dalliconoclastia a partire dal 730.
La comunicazione corporea, antropomorfa, legata a una fisicit della materia ri-
pudiata nella cultura ebraica e islamica (ma con eccezioni). Si pensi ad esempio alle
indicazioni che potrebbe suggerire il dato storico della persistente ostilit del mondo

44
Trinit e incarnazione come archetipi del linguaggio

musulmano alla stampa a caratteri mobili, dal fallito tentativo di Paganino a Vene-
zia nel 1583 alla spedizione napoleonica che li porta per la prima volta in Egitto.
Anche in ambito cristiano la fisicit del corpo non ha mancato di creare difficolt.
I protestanti hanno spesso accusato di idolatria certe pratiche cattoliche, come la ve-
nerazione delle reliquie o del corpo dei santi, oltre naturalmente alluso di immagini
e statue nelle chiese.
Gli ugonotti bruciano i corpi rimasti incorrotti dei santi. Quello di san France-
sco da Paola bruciato nel 1562, dopo essere rimasto incorrotto per mezzo secolo.
Calvino molto duro contro la venerazione delle reliquie:
Il primo vizio, quasi la radice del male, stato che, anzich cercare Ges Cristo
nella sua parola, nei suoi sacramenti e nelle sue grazie spirituali, la gente, secondo il
suo costume, ha perso tempo con le sue vesti, le sue camicie e la sua biancheria; e fa-
cendo ci ha trascurato lessenziale per seguire laccessorio. Allo stesso modo si com-
portato con gli apostoli, i martiri e gli altri santi. Anzich meditare sulla loro vita per
seguirne lesempio, infatti, ha posto tutto il suo impegno nel contemplare e nel tener
come tesori le loro ossa, camicie, cinture, i loro berretti e sciocchezze simili36.

Calvino ha indubbiamente ragione a mettere al primo posto Ges Cristo e non


la sua biancheria37, a convergere sullessenziale del Vangelo e non sui fronzoli o sul
devozionismo. Anche Ges nei Vangeli mette in guardia dal moltiplicare i tefillin, i
filatteri allacciati al braccio sinistro e posti sulla testa piuttosto che mettere in pra-
tica la Parola. La storia della Chiesa non manca di episodi di pseudodevozione ai
confini con il paganesimo e lidolatria.
E tuttavia La critica razionale, acuta, spiritualmente densa di Calvino sembra
non cogliere una verit profonda e paradossale. la condizione antropologica del-
luomo che coinvolge necessariamente la sfera della fisicit e del corporeo. Non per
banale adattamento strumentale e un po cinico ai bisogni del popolino che si la-
scia ammaliare da ci che visibile. Ma a partire dalla logica dellIncarnazione. Dopo
lIncarnazione non pi possibile cadere nel rischio manicheo di contrapporre ma-
teriale e spirituale, dopo lIncarnazione la comunicazione tra Dio e gli uomini mo-
dellata su quella trinitaria increata ma anche su quella della creazione. Dio si fatto
corpo, ed anche la comunicazione ha necessariamente un corpo. Non senza si-
gnificato che nello stesso linguaggio tipografico si usi questo termine per indicare la
fisicit delle lettere: ad es. questo articolo scritto con il carattere Adobe Garamond
corpo 10,8.

36
Calvino, Sulle reliquie, Mimesis Edizioni, Milano 2010, 12. Giovanni Calvino, Jehan Cauvin, scrisse
questo breve e denso testo nel 1534.
37
Nel testo citato Calvino prende esplicitamente posizione contro lautenticit della Sacra Sindone, oggi
a Torino.

45
Anselmo Grotti

Se il materialismo un radicale impoverimento della realt, uno spiritualismo


etereo non lo da meno. Il positivismo ottocentesco era convinto che la materia
isolata potesse spiegare ogni aspetto del reale. Il pensiero scientifico postmoderno ri-
schia di credere che ogni cosa possa essere spiegata in termini di informazione (ge-
netica, informatica, massmediale, fisico-matematica, statistica, ecc.). Per autori come
Moravec la coscienza solo informazione, digitalizzabile e quindi trasferibile su qual-
siasi altro supporto (anche a base di silicio, come i computer). del tutto indiffe-
rente che tale informazione sia ospitata su di un supporto piuttosto che un altro, ad
esempio un cervello a base di carbonio o una memoria artificiale a base di silicio. Per
altri autori invece la coscienza funziona in un intreccio ineliminabile con il nostro
cervello, con il nostro corpo. Noi non solo conosciamo il mondo, ma siamo un
corpo immerso nel mondo.
Non si tratta di un passaggio semplice, occorrer approfondire ulteriormente
queste tematiche per non banalizzarle e non cadere in fraintendimenti. il compito
della riflessione culturale, anche ma non solo teologica. Non un compito solo del-
loggi. Honorius Augustodunensis nel XII secolo elogiava le cattedrali medioevali
per le loro vetrate: esse sono come i doctores, diceva, diffondono il sapere proteg-
gendo dalle eresie, come il vetro fa passare la luce ma protegge dalle intemperie.

46
Pietro Domenico Giovannoni
IL DE EPISCOPORUM POTESTATE
IN ECCLESIASTICAM DISCIPLINAM
DEL GIOVANE ANTONIO MARTINI

L 30 APRILE 1787, nel consesso dellassemblea dei vescovi voluta da Pietro Leo-

I poldo per rafforzare e accelerare il moto riformatore in materia ecclesiastica e


religiosa, allordine del giorno vi era la discussione circa la riappropriazione da
parte dei vescovi dei loro diritti originari inerenti la loro specifica autorit e nella fat-
tispecie in materia di dispensa dagli ordinamenti canonici. La discussione del 30
aprile seguiva quella del 27 sul necessario intervento da parte dei vescovi per appor-
tare utili riforme alle pratiche liturgiche, al Messale e al Breviario; ma il tema della
potestas dispensandi episcopi andava ancor di pi ad aprire il confronto, ma soprattutto
lo scontro, tra quanti come il vescovo di Pistoia, Scipione de Ricci, rivendicavano i
diritti originari dei vescovi successivamente delegati alla sede romana e quanti, come
Angelo Franceschi arcivescovo di Pisa, riconoscevano alla sede romana la piena le-
gittimit dellesercizio di questi stessi diritti. Lo scontro concretamente si giocava
sulla scelta terminologica delle deliberazioni: assumere diritti esercitati dal papa o
domandare al papa lesercizio di tali diritti o, pi decisamente, reclamare ci che
era stato usurpato? Dietro alla questioni linguistiche e terminologiche si scontra-
vano due diverse prospettive ecclesiologiche1.
Larcivescovo di Firenze Antonio Martini2, che tanta parte ebbe nel guidare senza
clamori lopposizione al progetto leopoldino, assunse una posizione di mediazione:

1
Cf. A. Drigani, La potestas dispensandi episcopi negli atti dellassemblea degli arcivescovi e vescovi di To-
scana tenuta a Firenze nellanno 1787 in Archivio storico italiano 149 (1991), 163-184.
2
Su Antonio Martini (1721-1809) rettore del Collegio ecclesiastico di Superga (Torino) dal 1751 al
1765, autore della prima traduzione italiana della Bibbia ufficialmente approvata da Roma (Torino 1769-
1781) e arcivescovo di Firenze dal 1781 al 1809, cf. P.D. Giovannoni, Fra trono e cattedra di Pietro. Antonio
Martini arcivescovo di Firenze nella Toscana di Pietro Leopoldo (1781-1790), Firenze 2010; C. Lamioni, Tra
giansenismo e riformismo: la nomina di Antonio Martini ad arcivescovo di Firenze (1781), in Rassegna storica
toscana 22 (1976), 3-46; su aspetti della formazione e della biografia intellettuale cf. P.D. Giovannoni,
Unopera a quattro mani: Il Breve trattato delle azioni umane. Agostinismo e antiprobabilismo negli arcivescovi In-
contri e Martini, in Vivens homo 11 (2000), 193-234; Id., Gli orientamenti culturali e politici di Antonio Mar-
tini tra il 1750 e il 1769 nelle lettere ad Antonio Niccolini, in D. Menozzi (ed.), Antonino Baldovinetti e il
riformismo religioso toscano del Settecento, Roma 2002, 39-80; Id., Da Prato a Superga. Note sugli anni giova-
nili di Antonio Martini, in Vivens homo 12 (2008), 387-416; sulla traduzione della Bibbia cf. C. Guasti,
Storia aneddota del volgarizzamento dei due Testamenti fatto dallab. Antonio Martini, in Rassegna nazionale

47
Pietro Domenico Giovannoni

si dichiarava convinto che le dispense fossero appartenute originariamente ai vescovi


ma anche che per contingenze storiche particolari parti della potest episcopale fos-
sero passate in maniera legittima alla sede romana; la successiva approvazioni di que-
ste disposizioni da parte di concili generali non permetteva ora ai vescovi di rimettere
in discussione la questione. Da una parte dunque il riconoscimento, la fedelt ed il
rispetto delle prerogative della sede romana e del papa, ma dallaltra anche la con-
sapevolezza di determinati processi storici che avevano configurato i rapporti tra
chiese locali e sede romana. E con intelligenza pragmatica Martini propose ed ot-
tenne che lassemblea dei vescovi esaminasse e votasse separatamente ogni singola di-
spensa episcopale riuscendo cos a depotenziare se non a svuotare del tutto la valenza
ecclesiologica generale della discussione3.
Larcivescovo Martini in quella giornata del 30 aprile avr probabilmente ricor-
dato i suoi studi giovanili di diritto canonico presso lateneo pisano ed in particolare
la sua prima fatica: una piccola dissertazione proprio sulla potest dei vescovi: il De
episcoporum potestate in ecclesiasticam disciplinam et in ecclesiasticorum hominum ju-
dicia4. Non sar, lo speriamo, solo curiosit erudita andare ad analizzare nello spe-
cifico questa prima prova del futuro biblista e del futuro pastore di Firenze. Da essa
emergeranno alcuni elementi, linteresse per lerudizione storica e la conseguente at-
tenzione alle fonti, uno spirito di moderazione come habitus, che abbiamo ritrovato
nel successivo Martini arcivescovo, che si sarebbe riconfermato, magari con laccre-
sciuta moderazione che viene dallet, romano, ma non troppo!

1. I temi principali del De episcoporum potestate

Christianam Religionem (quum ea non humanae Artis, aut ingenii res sit, sed
summi Artificis opus multo praeclarissimum) ipso exordio undequaque perfectam
fuisse nemo est, qui in dubium audeat revocare5.

Cos esordisce lhistorica dissertatio che Antonio Martini pronunci a conclu-


sione del suo corso di diritto canonico, tenuto in qualit di Lettore straordinario

25 (1885), 235-282; P. Stella, Il Vangelo secondo Matteo tradotto e annotato da Antonio Martini. Derivazioni e
fortune, in Salesianum 29 (1967), 326-267; Id., La Bibbia tradotta e annotata da Antonio Martini (1769-
1779), in Il Giansenismo in Italia. Collezioni di documenti. Piemonte, II, Zurich 1970, 307-343; Id., Produ-
zione libraria religiosa e versioni della Bibbia in Italia tra et dei lumi e crisi modernista, in M. Rosa (ed.),
Cattolicesimo e lumi nel Settecento religioso italiano, Roma 1991, 99-125.
3
Giovannoni, Fra trono e cattedra di Pietro, 385-390.
4
A. Martini, De episcoporum potestate in Ecclesiasticam Disciplinam et in Ecclesiaticorum Hominum Judi-
cia Dissertationem Inauguralem Illustrissimo, Clarissimoque Viro Francisco Bondelmontio Nobili Patricio Floren-
tino Senatori et Equiti Splendidissimo D.D.D. Antonius Martinus Pratensis Publicus in Pisana Academia Canonici
Juris Lector Extraordinarius, Lucae Typis Josephi Salani & Vincenti Junctini MDCCXLVII.
5
Martini, De episcoporum potestate, 5.

48
Il De episcoporum potestate del giovane Antonio Martini

dellateneo pisano per lanno 1746-47. Esordio chiaro ed inequivocabile a spazzare


via ogni sorta di dubbio su ci che dottrina, perfetta e completa ab origine, e ci
che invece externa Ecclesiae politia, suscettibile di mutamenti e quindi materia
a cui si possono applicare i criteri dellindagine storica. Sono infatti le cose umane,
e non quelle divine, che vengono a formarsi lentamente, attraverso sedimentazioni
successive. Sarebbe superbo ed empio sospettare che in dottrina e in morale si sia
potuto stabilire qualcosa di pi vero o di pi adatto alla buona condotta e alla san-
tit della vita di quanto gi stabilito da Cristo e trasmesso dagli Apostoli. E tutta-
via cresciuta la Chiesa occorsero, oltre le leggi della vita interiore, le cui fonti sono
le Sacre Scritture, altre leggi, altre istituzioni che regolassero appunto lexterna Ec-
clesiae politia, ovvero lorganizzazione ecclesiastica. Solo queste leggi, mutando i
tempi, sono suscettibili di evoluzione. Cosa ardua e difficile, riconosce il giovane
Martini, spiegare quanto e in quali cose sia i canoni del tempo successivo allepoca
apostolica sia i diritti della Chiesa nellepoca contemporanea abbiano avuto cam-
biamenti rispetto ai tempi antichi e medievali. Esempio di ci la giurisdizione
episcopale.
Nulla enim fortasse Disciplinae Sacrae pars est, quae majores vicissitudines passa
fuerit, majoresque non in Ecclesiastica solum, sed & in Civili Repubblica motus
excitarit6.

Martini dichiara subito che non sua intenzione, n daltro canto se ne sentirebbe
capace, di definire i modi ed i limiti delle due potest, civile ed ecclesiastica; anzi
osserva che ci stato tentato, senza successo, da molti uomini coltissimi. Il suo
obiettivo spiegare, secondo verit storica, da quali inizi si sia formata lautorit
dei Vescovi di giudicare determinate cause, quali provvedimenti siano stati presi in
materia da imperatori e sovrani ed infine quali siano stati i giudizi espressi dagli ec-
clesiastici stessi.
Neque vero illud mihi ego sumpserim, ut quis modus, qui termini ab utraque
Potestate Civili, & Ecclesiastica servandi sint audeam definire; () Sed historica ve-
ritate explicare conabor a quibus initiis ad maximam se amplitudinem extulerit
Episcoporum Auctoritas7.

Dove il sed historica veritate suona come una dichiarazione dintenti a non fare
opera politica, ma opera di ricostruzione dei fatti. La stessa prudenza ritorna nella
conclusione:

6
Martini, De episcoporum potestate, 6.
7
Martini, De episcoporum potestate, 6.

49
Pietro Domenico Giovannoni

Qua quidem in re, si non ingenii, atque doctrinae, moderationis certe laudem
mihi aliquam non despero; ita enim tota hanc orationem meam temperavi, ut ne-
mimi injurius fuerim, nullius dignitatem ne verbo quidem violarmi8.

Ed aggiunge di aver fatto lealmente ci che aveva promesso, ovvero di essersi


astenuto dalle dispute e dalle violentissime battaglie che si vedevano combattere per
innalzare o per distruggere la giurisdizione vescovile.
Loggetto della dissertazione quindi la nascita e la formazione della giurisdi-
zione episcopale, ovvero il potere da parte dei vescovi di giudicare determinate
cause, emettendo sentenze valide sul piano civile. In particolare, come vedremo,
loggetto di indagine la giurisdizione episcopale sul clero in materia disciplinare.
Larco di tempo che viene analizzato quello che va dallepoca apostolica allet ca-
rolingia.
Se i professori dello studio pisano e i giovani studenti che Martini si trovava da-
vanti agli occhi avranno magari apprezzato, come egli si augurava, la sua prudenza,
noi, con gli occhi sospettosi dei posteri, cercheremo di capire il suo pensiero su una
materia, quella della giurisdizione episcopale, assai calda ed effervescente proprio
in quegli anni nella Toscana della Reggenza. E se non riusciremo completamente in
questo, potremo almeno ricostruire, in parte, le linee della sua formazione, attra-
verso le fonti citate e gli autori dimenticati. Entriamo dunque anche noi nellaula
magna dellAteneo pisano a seguire passo passo la prima prova dellingegno del gio-
vane abate Martini pratese.
Per quanto riguarda lepoca apostolica noto che non ci sia stata discussione che
non venisse composta senza la decisione arbitrale dei vescovi. Ignazio Martire nel-
lEpistola a Policarpo ci fa sapere che si richiedeva il parere del vescovo perfino nei ma-
trimoni9. Tutte le liti venivano portate davanti al tribunale dei vescovi, veri e propri
pater familias delle comunit cristiane; cos ci testimoniano Gregorio Nisseno ed
Agostino10. Daltra parte rari erano i litigi fra i primi cristiani.

8
Martini, De episcoporum potestate, 621.
9
Ignazio vescovo dAntiochia tra il 110 e il 130. Arrestato e condotto a Roma dove pat, a quanto sem-
bra, il martirio. Lungo il viaggio dopo aver fatto tappa a Filadelfia, in Asia minore, soggiorn a Smirne, il cui
vescovo era allora Policarpo. Ricevette qui i vescovi di Efeso, Tralli e Magnesia a cui consegn una lettera per
le rispettive chiese. Poi si spost a Troade e da qui scrisse alle chiese di Smirne, di Filadelfia e allo stesso Poli-
carpo. Si sa che in seguito pass da Filippi. Furono proprio i Filippesi che, scrivendo a Policarpo, chiesero copia
delle lettere di Ignazio. A causa del suo grande interesse questo dossier venne largamente diffuso; fu conosciuto
da Ireneo (Adv. Haer. X, 28,4), da Origene (Hom. Lc. 6,4) e da Eusebio (HE III, 36) che enumer tutte le
parti che lo componevano, citandone degli estratti (P. Nautini, in Dizionario patristico e di antichit cristiane,
diretto da A. Di Berardino, Casale Monferrato, Marietti 1983, 1743-1744.
10
Di Gregorio di Nissa (335/340-394) il Martini cita la Vita di Gregorio Taumaturgo (PG 46,893-958)
e la trentaduesima delle Orationes vii de beatitudinibus (PG 44,1193-1301). Di Agostino il paragrafo 3 del libro
sesto delle Confessioni, le Epistole 110, 3, 147 e il Sermone 24 sul Salmo 128.

50
Il De episcoporum potestate del giovane Antonio Martini

Raras tunc inter ipsos fuisse lites satis persuadent tum sincera illa, qua se se in-
vicem prosequebantur benevolentia, tum bonorum omnium abdicatio, venditio-
que, quae ab iis fiebat quum christianae militiae nomen dabant11.

Si cita a dimostrazione di ci e riguardo al clero lEpistola 81 di Teodoreto di


Ciro12. Rispettosi di quanto prescritto da Paolo i cristiani si tenevano lontani dai
tribunali delle Genti13. E pur tuttavia i vescovi si trovarono a governare non solo
le cose sacre, ma anche quelle civili; e ci per assenso del potere politico e su richie-
sta del popolo stesso. Costantino ad esempio decret che vi fosse per gli imputati la
libera scelta di rivolgersi ad un giudice ecclesiastico una volta ricusato il giudice se-
colare. Cos il tentativo di Valentiniano III di togliere ai tribunali dei vescovi non solo
le cause dei laici, ma anche tutte quelle del clero fall miseramente. La sua legge pi
che abrogata fu disattesa. E non sarebbe potuto andare diversamente, commenta il
Martini, dal momento che il popolo seguiva i vescovi con tanto ossequio e rispetto
che gli imperatori non avrebbero potuto diminuire la loro autorit se non a rischio
di una rovinosa rivoluzione nello Stato. Non furono quindi i vescovi ad arrogarsi di-
ritti che non gli spettavano, ma furono le contingenze storiche a creare quei diritti.
Tanto vero che, dopo aver richiamato lopera di Costantino e Teodosio a favore
della giurisdizione episcopale14, si fa presente che, nel momento in cui quei diritti
sembravano trasformarsi in arbitrio, fu la Chiesa stessa a reagire, con forza anche
maggiore di quella degli imperatori.
Hanc autem tantam in Episcopis imperii vim in prope haud salubrem licentiam
aliquando vertisse Ecclesiastica Historia satis etiam me tacente demonstrat; quam
tamen licentiam non Principes ipsi magis, de quorum iure aliquid quotidie corra-
debatur, quam Concilia, & Ecclesiae Patres aversati sunt, comprimendamque modis
omnibus curarunt15.

A dimostrazione di questo si ricordano gli episodi delle condanne di Paolo di Sa-


mosata nel Sinodo antiocheno del 268 e lanatema da parte del Concilio di Calce-
donia contro Dioscoro patriarca di Alessandria. Paolo di Samosata oltre ad essere
vescovo di Antiochia era anche funzionario dellamministrazione finanziaria della
regina. Oltre allaccusa di sostenere la dottrina monarchiana, fu il suo comporta-

11
Martini, De episcoporum potestate, 7.
12
Teodoreto di Ciro (Antiochia 393-466) nel 423 fu eletto vescovo di Ciro. Delle sue lettere ne riman-
gono oltre duecento (PL 83). Cf. Cavalcanti, in Dizionario patristico e di antichit cristiane, 3371-3374.
13
1Cor 6,4: Sacularia igitur judicia si habueritis, contemptibiles qui sunt in ecclesia, illos constitute ad
judicandum.
14
Scrive infatti Martini: Mitto enim (ne in re satis nota diutius, quam par est immorari videar) quae in
hanc rem a Theodosio, ac Constantino Justiniani Patre statuta fuerunt. Valentiniani vero III lex illa, qua non
Laicorum modo, sed & Clericorum causas omnes ab Episcoporum tribunalibus avocarit, adeo perbrevis Aevi
fuit, ut contempta potius, quam abrogata fuisse videatur (Martini, De episcoporum potestate, 7-8).
15
Martini, De episcoporum potestate, 8.

51
Pietro Domenico Giovannoni

mento in qualit di funzionario che caus la sua deposizione dalla cattedra vescovile.
Dioscoro di Alessandria, legato allarchimandrita Eutiche di Costantinopoli, in-
fluente questultimo alla corte di Teodosio II, in quanto amico delleunuco Crisafio,
fu chiamato dallo stesso Teodosio II a presiedere il Concilio di Efeso del 449. Qui
sostenne il monofisita Eutiche contro Flaviano patriarca di Costantinopoli, susci-
tando violenze a tal punto che il Concilio si appell latrocinio efesino. Morto Teo-
dosio II, Dioscoro fu condannato ed esiliato nel Concilio di Calcedonia16. Dioscoro
rappresenta un episodio isolato, sembra dirci il Martini, ricordando che multum
quidem, & ante Dioscorum valuerunt Alexandrini Archiepiscopi. La loro giurisdi-
zione si estendeva, con il consenso degli imperatori, fino allamministrazione delle
cose civili e comprendeva, oltrepassando i limiti dellarcidiocesi, tutto lEgitto. Cos:
His itaque temporibus certum est non modo Ecclesiasticos omnes Ordines, Mo-
nachosque ipsos non alio, quam Ecclesiastico Judice quaecumque inter eos incidis-
sent controversiae, usus fuisse; Sed & Laicorum causas frequentissime ab Episcopis
cognitas fuisse17.

Perfino Giustiniano, geloso custode delle sue prerogative, concesse la facolt di


sottoporsi al tribunale dei vescovi, anche per cause civili18. chiaro che venivano
escluse le cause penali, in quanto la Chiesa non poteva infliggere condanne a morte,
o meglio i vescovi non potevano giudicare reati che prevedevano come pena la morte.
Ma anche qui la stessa Chiesa che si fa garante dei necessari limiti. Cos il Conci-
lio di Toledo interdisse ai vescovi di occuparsi dei delitti di quei rei condannati a
morte e non graziati dal principe.
Con questa accondiscendenza degli Imperatori gareggi il sommo zelo di tutti gli
ordini ecclesiastici, ovvero vescovi, sacerdoti e monaci nellonorare e ossequiare lau-
torit che conferiva loro quei poteri.
Magnifica plane sunt, quae de illis tum in Chalced. Synod. Act. 6, tum in Con-
stantinop. Act. 7 praedicantur; ex quibus dilucide, planeque patet quanta iis in Ec-
clesiastico Regimine pars fuerit adtributa, quando & Apostolorum, &
Praedicatorum consortio, ut cum Leone I. P. loquar, junguntur19.

Le stesse consuetudini si conservarono in Italia sotto il regno dei Goti. Ovvero


linizio del regno goto non signific labbandono di quella strada indicata dagli an-
tichi, la strada del consorzio tra sacerdotium ed imperium, che sul piano pratico si tra-

16
Su Paolo di Samosata cf. M. Simonetti, Dizionario patristico e di antichit cristiane, 2633-2635; su
Dioscoro dAlessandria cf. D. Stiernon, in Dizionario patristico e di antichit cristiane, 985.
17
Martini, De episcoporum potestate, 9.
18
Cf. Martini, De episcoporum potestate, 9: Justinianus quidem Majestatis, Jurisque sui tenacissimus Im-
perator facultatem litigantibus concessit, ut in civili negotio Sacrae Legis Antistitum cognitioni se subiicerent.
19
Martini, De episcoporum potestate, 10.

52
Il De episcoporum potestate del giovane Antonio Martini

duceva, nel nostro caso, nel riconoscimento del diritto del vescovo di giudicare il
proprio clero e di esercitare la potest di giudicare anche cause riguardanti laici. Teo-
dorico, capo della parte ariana, conserv alla Chiesa cattolica i suoi privilegi in que-
sto campo come dimostrano gli atti del Concilio di Palmare. Martini si riferisce
allepisodio dello scisma laurenziano; nel 498 alla morte di papa Anastasio II la parte
avversa a Costantinopoli elesse papa il diacono Simmaco, mentre la minoranza elesse
larcidiacono Lorenzo. Teodorico, invitato a dirimere lo scontro, appoggi inizial-
mente Simmaco (499), ma in seguito rimand la questione ad un Concilio (501).
Quanto fece Atalarico in favore della Chiesa ce lo dimostra Cassiodoro20. Diversa la
situazione dopo linvasione longobarda.
Sub Langobardis tamen Regibus non eodem omnino jure usi sunt Ecclesiastici
Viri. Ex iis enim, quae tum a Ludovico Muratorio V.C., tum ab aliis referuntur Ec-
clesiasticae Antiquitatis peritissimis Viris satis, superque patet saepissime ab Epis-
coporum Judiciis ad Regium Tribunal ipsos tum Episcopos; tum Clericos
appellationem interposuisse21.

Sotto il regno longobardo il clero non fru quindi dello stesso diritto. Infatti i ve-
scovi ed il clero si appellavano al tribunale civile e non a quello ecclesiastico. Si trat-
tava di un diritto di appello, nel senso che il tribunale civile poteva ordinare che il
processo venisse di nuovo celebrato dallo stesso giudice, ecclesiastico o civile che
fosse, che aveva emesso la prima sentenza. Si verific quindi che il clero si appellava
ai Re, in virt del medesimo diritto con cui si rivolgeva al Romano Pontefice, di
modo che si riteneva che ricorrere in appello al Re o al Pontefice Romano fosse la
stessa cosa22. Per questo motivo i vescovi furono spogliati non soltanto di quellam-
plissimo potere (potestas) che nella giurisdizione civile era stato loro riconosciuto e
concesso dai primi imperatori cristiani, ma anche dei diritti (iura) nelle controver-
sie dello stesso clero. La posizione del problema in epoca carolingia si fa pi com-
plessa, in quanto se da una parte si sostiene che i vescovi conservarono sotto i Franchi
la loro giurisdizione nella disciplina ecclesiastica, dallaltra parte si sostiene che i re
franchi abbiano rivendicato ed esercitato la loro supremazia anche nella disciplina del
clero. Da qui la necessit di affrontare pi dettagliatamente il problema, facendo ri-
ferimento ai Capitolari emanati in materia.

20
Martini, per quanto riguarda lo scisma laurenziano, dipende dal Muratori degli Annali della storia dIta-
lia e dagli Annali del Baronio; per quanto riguarda Cassiodoro si riferisce allEpistola 24 del libro ottavo delle
Variarum di Cassiodoro. Clero ecclesiae Romanae Athalaricus rex (PL 69,757-758). In ea Epistola scripsit
Athalaricus ad Clerum Rom. Urbis, ut si cuipiam cum Clero ipso controversia inciderit, ille ad Romanum Pon-
tificem se conferat, qui rem cognoscat, poena iis proposita, qui se aliter gesserint, decem librarum auri (Mar-
tini, De episcoporum potestate, 11).
21
Martini, De episcoporum potestate, 11. Come vedremo pi dettagliatamente in seguito Martini si ap-
poggia alla settantesima dissertazione delle Antiquitates Italicae del Muratori.

53
Pietro Domenico Giovannoni

Prima di analizzare i Capitolari carolingi, il Martini, per giustificare, come ve-


dremo, lintervento regio nella disciplina ecclesiastica, si sofferma su quella che era
una vera e propria degradazione dei costumi del clero. Non vi nessuno tanto in-
competente della storia di quel tempo, scrive il Martini, che non sappia che i costumi
di quelle che erano le parti pi civili del mondo si siano corrotti e che tutto si sia de-
gradato. Ma si aggiunge:
Sed quod maxime dolendum, deplorandumque Ecclesiasticae simul Disciplinae
acerbissima clades illata est23.

I libri di storia sono pieni di esempi che ci convincono che c stato effettiva-
mente un degrado in tutti i rapporti umani. Sarebbe stato un miracolo se, in tale si-
tuazione, il clero fosse riuscito a mantenere incorrotta la santit dei predecessori.
La crisi del clero quindi rispecchiava la crisi della societ. E questo perch
tanta est Ecclesiasticae Politiae cum Republica conjunctio, ac necessitudo, ut con-
velli, ac labesactari una sine altera nequaquam possit24.

Tanti e tanti sono gli esempi, pi o meno noti, di questa triste situazione dello
stato del clero, ma su una cosa non si pu tacere. Che cosa c di pi deplorevole, ci
si domanda, di vedere un sacerdote, o peggio ancora un vescovo, andare alla guerra
e prendersi, a costo di stragi e saccheggi, ci che i sacri concili non vollero che il
clero usasse nemmeno per gioco?25 Pi che giusto e legittimo quindi fu lintervento
dei re franchi ed in particolar modo di Carlo Magno; proprio lui viet ai sacerdoti
ed ai vescovi di partecipare alla guerra, eccetto per coloro che dovevano svolgervi la
predicazione. Ma tanta era allora la passione per larte militare, si osserva, che que-
sto provvedimento fu preso dallo stesso clero come offensivo e Carlo Magno dovette
rispondere che il suo operato andava a salvaguardare la dignit e lonore dei vescovi.
Di nuovo Martini sceglie di tralasciare tanti altri esempi a dimostrazione di quanto
proprio coloro ai quali era stata affidata la cura dei popoli nella religione (sacris in

22
Martini rimanda alla settantesima delle Antiquitates Italicae sive Dissertationes De Moribus, Ritibus, Re-
ligione del Muratori contenuta nel quinto volume uscito a Milano nel 1741. Il titolo della dissertazione set-
tanta : De cleri et ecclessiarum immunitatibus, privilegiis, ac oneribus, post invectas in Italiam barbaras gentes.
23
Martini, De episcoporum potestate, 12.
24
Martini, De episcoporum potestate, 12.
25
Scrive Martini in nota: Ut rem omnibus antea saeculis inauditam; pessimique exempli narrat Grego-
rius Turonensis, Saloninum Episcopum Ebrodunensem, & Sagittarium Episcopum Vapingensem Fratres con-
tra Langobardos, qui post primum in Italiam adventum, irruptionem in Galliam fecere, cum aliis Civibus arma
induisse, & non modo armatos in acie fuisse, sed & Barbaros quosdam sua ipsos manu trucidasse. Bellatores
isti Episcopi damnati sunt in Concilio Lugdunensi, & in Cabilonensi, sed eos, qui imitarentur deinde non
defuere (Martini, De episcoporum potestate, 13). Il riferimento alla Historia Francorum di Gregorio di Tours
(Clermont 538 circa Tours 594). Gli episodi a cui si accenna sono anteriori di ben due secoli allepoca ca-
rolingia di cui parla ora il Martini.

54
Il De episcoporum potestate del giovane Antonio Martini

rebus) si impegnavano in attivit estranee alla loro dignit e si richiama al Mabillon


per quanto riguardava lignoranza del clero26. Cos:
Hoc itaque rerum statu, his Episcoporum moribus quid facilius, quam Plebis in
eos obsequium quotidie minui, eorumque auctoritatem ita viliscere, ut non ita fa-
ciles in tanta hominum pervicacia, morumque corruptela eorum imperio, monitis-
que aures praeberentur. Iis itaque aut cessantibus, aut in tanta temporum difficultate
parum se feliceter in Ecclesiastica administratione gerentibus, optimo sane, san-
ctissimoque consilio pietatis, virtutisque studiosissimi Principes, auctoritatem, Ma-
jestatemque suam ad Ecclesiae aedificationem contulerunt27.

Quindi lo scopo dei re franchi non fu quello di arrogarsi diritti e poteri in un


campo, quello della disciplina ecclesiastica, che non era di loro competenza. I loro atti
politici, desumibili dai provvedimenti legislativi, dimostrano chiaramente che il fine
per cui si mossero era il bene e lintegrit della Chiesa, dando ai vescovi nuova forza
e nuova autorevolezza. Non giusto di conseguenza supporre che nella sacra Politia
i re franchi abbiano prevaricato in modo tale da ledere lautorit conferita ai vescovi
sia dai sacri canoni sia dalle leggi degli Imperatori. Prova ne il Capitolare di Aqui-
sgrana, emanato da Carlo Magno nel 78928. Dopo aver richiamato vivamente i Pastori
alla cura dei greggi loro affidati, Carlo conferma che la sua azione una semplice
collaborazione e si augura che nessun vescovo giudichi presuntuoso ovvero ille-
gittimo, laver ricordato nello stesso Capitolare le sanzioni canoniche previste per il
clero inadempiente e indisciplinato. Martini ritiene opportuno riportare quelle che,
pur rozze ed ineleganti, sembrano essere proprio le parole di Carlo Magno.
In quo operis studio sciat certissime, sanctitas vestra, nostram vobis cooperari di-
ligentiam; quapropter & nostros ad Vos direximus Missos, qui ex auctoritate Nos-
tri Nominis una vobiscum corrigerent, quae corrigenda essent; sed & aliqua
Capitula ex canonicis sanctionibus, quae magis vobis necessaria videbantur sub-
junximus. Ne aliquis, quaeso, huius pitetatis admonitionem esse praesumptiosam
judicet, qua nos errata corrigere, superflua abscindere, recta coarctare studuimus; sed
magis benevolo charitatis animo suscipiat29.

In nota Martini scrive che gi il Boehmer volle dalle stesse parole di Carlo Magno
ricavare come lo stesso imperatore rivendicasse per s il diritto di riformare la Chiesa.

26
Il riferimento a J. Mabillon, De re diplomatica, lib. 2, cap. 22. Capitolo intitolato De Analphabetis Epis-
copis.
27
Martini, De episcoporum potestate, 13.
28
Il Martini ha davanti ledizione del Baluzio: Capitularia Regum Francorum Additae Sunt Marcusi Mo-
nachi & Aliorum Formulae Veteres, & Notae Doctissimorum Virorum. Stephanus Balutius Tutelensis In Unum Col-
legit, Ad Vetustissimos Codices Manuscriptos Emendavit, Magnam Partem Nunc Primum Edidit, Notis Illustravit,
Parisiis MDCLXXVII.
29
Martini, De episcoporum potestate, 15.

55
Pietro Domenico Giovannoni

Ius reformandi Ecclesiam sibi vindicasse Karolum Magnum ex istis illius verbis
colligere voluit Bohmerus Jur. Eccl. Lib. I. tit. 31. Quam recte ii dijudicent, qui &
totum Capitulare, & quae de eo sequenti nota dicemus perlegerint30.

Carlo ha esercitato quindi nella disciplina del clero legittimamente il suo jus re-
formandi. Tale legittimit garantita dallortodossia dei provvedimenti presi. In-
fatti tutti i Capitolari rimandano ai canoni dei concili, in particolar modo a quelli
di Nicea, Antiochia e Calcedonia. Anzi si dice che nessuno pu mettere in dubbio
che quei capitolari siano stati desunti dal santuario dei concili. Di questo parere
sono stati Vito Amerpachio, che per primo raccolse i Capitolari nel 1545, Antonio
Agostino, Baluzio e Van Espen. Perci quei canoni contenuti nei Capitolari da una
parte venivano confermati come tratti dai concili dallautorit dellImperatore e dei
Vescovi, dallaltra parte furono promulgati da assemblee riunite non solo per le cose
civili ma anche per quelle ecclesiastiche. Cos nel Concilio Troslejano quei Capito-
lari sono chiamati appendici (pedissequa = accompagnatori) dei Concili e molti di
essi furono trasferiti poi nel Corpo del Diritto Canonico.
Nellultima parte della dissertazione Martini cerca di spiegare quelli che sono
stati i giudizi espressi dagli stessi ecclesiastici riguardo alla potest episcopale. Non
sono mancati scrive Martini coloro che hanno sostenuto che quel diritto di ap-
pello da parte del clero al tribunale civile diritto riconosciuto al clero dai Longo-
bardi si sia conservato anche sotto i Franchi. Questo provato da molti documenti
e Martini rimanda nuovamente al Muratori della settantesima dissertazione delle
Antiquitates Italicae. E tuttavia tutto questo contraddiceva pienamente con quanto
prescritto dal diritto scritto, ovvero con quello che gli imperatori franchi vollero
fosse sancito attraverso la promulgazione dei Capitolari.

30
Martini, De episcoporum potestate, 15. Il riferimento allo Jus Ecclesiasticum Protestantium usum ho-
diernum juris canonici juxta seriem Decretalium ostendens di Just-Henning Boehmer uscito nel 1714. Boehmer
J.H. nato a Hanovre nel 1674 e morto ad Halle nel 1749, dopo aver studiato a Jena divenne nel 1701 pro-
fessore allUniversit di Halle, poi Consigliere di Stato di Federico I di Prussia. Guglielmo I lo nomin Ret-
tore dellUniversit nel 1731. Fra le sue opere: Corpus Juris Canonici, Halle-Magdebourg 1747. Questedizione
stata utilizzata in Germania fino al 1836 quando apparve ledizione di Richter (1836-1839). Tradusse il De
Concordia Ecclesiae et Imperii di Pietro De Marca (1708). Si deve ancora a lui la traduzione latina delle Insti-
tutions au droit ecclesiastique del Fleury: Institutiones juris ecclesiastici, Francfort et Leipzig 1723, 1753. Ledi-
zione francese fu messa allIndice nel 1693; quella latina nel 1729. Cf. R. Naz, Bohemer J.H. in Dictionnaire
de Droit Canonique publi sous la direction de R. Naz, T. II, Libraire Letouzey et An, Paris 1937, col. 928.
Martini, una volta assunto lincarico di preside del Collegio di Superga, richiese al marchese Niccolini pro-
prio i volumi del Corpus Juris Canonici del Boehmer per utilizzarli nel Collegio. Evidentemente fu lo stesso
marchese a consigliare di adottare quella edizione; si legge infatti nella lettera del Martini in data 16 febbraio
(1752): Devo a V.S. Ill.ma in primo luogo i miei pi sinceri ringraziamenti per la bont colla quale ha vo-
luto comunicarmi i suoi sentimenti riguardo allo studio de Sagri Canoni Mi nota la edizione del Decreto,
e delle Decretali fatta dal Boemero, ma in Piemonte i Libri tedeschi non si trovano. Se V.S. Ill.ma volesse farmi
il piacere di far ricercare se in Firenze sianvi queste due opere (Firenze, Archivio Piccolini, Lettere di An-
tonio Martini ad Antonio Niccolini, D. 5ta. 23. Fasc. 49-50).

56
Il De episcoporum potestate del giovane Antonio Martini

Nam in universum fuisse Clericis appelationem omnem ad Civiles Judices in-


terdictam, plurima, ac luculentissima eorum Capitula ostendunt, totoque Capitu-
larium libro nullam fere appellationis, quod ad Clericos attinet, mentionem, nisi ad
Metropolitanum, aut ad Provincialem Synodum invenire licet31.

Oltre a citare in nota Capitolari franchi dalla raccolta del Baluzio accanto a Ca-
noni di Concili medievali, Martini si sofferma nuovamente sul Capitolare di Aqui-
sgrana del 789. Carlo Magno decret che mai nessun ecclesiastico osasse appellarsi
al tribunale civile ovvero anche al Re, a meno che non avesse al riguardo un per-
messo scritto del vescovo o del metropolitano, e che comunque questo tipo di cause
venissero esaminate in quella che lo stesso Capitolare definisce lassemblea ordina-
ria dei vescovi. Con questa solerte e provvida decisione Carlo volle che fosse chiusa
la strada alla pervicacia di quei chierici che, giudicati colpevoli di grandissimi crimini
dal tribunale ecclesiastico, andavano gridando di aver subito torto per eludere in
qualche modo la sentenza dei loro giudici ordinari. Nella stessa direzione, ovvero
quella di riconoscere il foro ecclesiastico e di garantirne lautonomia, si mosse Carlo
Magno quando, con un severissimo editto32, riprese severamente i conti e gli altri giu-
dici che aveva saputo aver pi volte interposto la loro autorit al fine di non far pre-
sentare gli ecclesiastici davanti ai loro ordinari diocesani. Carlo Magno in questo
editto non solo ordin alle autorit civili di assistere quelle ecclesiastiche nellesecu-
zione delle sentenze, ma dichiar nulli gli atti dei giudici secolari se inerenti a cose
ecclesiastiche. Ma il diritto scritto veniva contraddetto dalla prassi. Contro quanto
stabilito da Carlo Magno si verificarono ricorsi in appello a tribunali civili da parte
di ecclesiastici senza il permesso dellordinario diocesano o del metropolita. Non
solo, ma dopo listituzione dei missi Dominaci proprio a loro fu trasferita gran-
dissima autorit e grandissimo potere anche in tutta la Sacra Politia.
Neque id solum, sed post Missos etiam constitutos maxima in eos quoque in tota
Sacra Politia auctoritas, atque potestas collata est; quod tamen postmodum in ip-
sorum Sacrorum Praesulum amplitudinem cessit, uti deinde ostendemus33.

I messi, veri e propri giudici extra ordinem, venivano inviati per ascoltare le ri-
provazioni del popolo, per rendere giustizia a chi aveva subito sentenze ingiuste.
Censori, in un certo senso, dei conti e degli altri giudici di cui, infatti, potevano
anche annullare gli atti. La loro giurisdizione comprendeva molti villaggi e contee,
e talvolta anche delle intere province. Erano creati ogni anno dallimperatore scelti

31
Martini, De episcoporum potestate, 17-18.
32
Edictum Dominicum De honore & adjutorio Episcopis praestando Comitibus & aliis jdicibus, datum
circa annum Christi DCCC. Martini riporta in nota parte del decreto non citando la fonte. Baluzio comun-
que lo riportava nei suoi Capitularia Regum Francorum alla pagina 330 del primo volume.
33
Martini, De episcoporum potestate, 19-20.

57
Pietro Domenico Giovannoni

tra i vassalli e i funzionari di corte, che per avevano osserva Martini uno scarso
patrimonio. Nell802, proprio quando fu chiaro che i messi, per arricchirsi, avevano
abusato dei loro poteri, Carlo Magno volle scegliere i nuovi messi tra gli arcivescovi,
vescovi e abati oltre che tra i nobili vassalli. Ed ecco pertanto dato ai vescovi della
Chiesa quel grandissimo potere di cui godevano prima i messi regi; quale e quanto
esso sia stato si capisce bene dal Capitolare dell854 di Ludovico II. Limperatore or-
dinava infatti ai messi non solo di inquisire gli atti e i costumi stessi dei giudici or-
dinari, emendare se necessario le loro sentenze, ma ordinava anche di controllare e
vigilare sui conventi maschili e femminili. In questi uffici i messi dovevano essere
coadiuvati dagli ordinari diocesani.
Hujusmodi autem Missorum judiciis eo quoque tempore, quo Laicis tantum
Viris ea provincia demandabatur intererant Episcopi, qui eo etiam consilio, ut
eorum praesentia aequitati totius consuleretur ad omnia Placita a Missis invitaban-
tur; quod non his demum temporibus inventum fuisse, sed & Langobardorum
Regum aetate fuisse institutum exploratum, certumque est34.

Giunto ormai al limite cronologico che si era prefissato, il giovane Martini si


congeda augurandosi, come si visto, di essere lodato se non per lingegno almeno
per la moderazione.

2. Le fonti principali del De episcoporum potestate

Cerchiamo ora di rimettere sul tavolo i libri che Martini, in partenza per Lucca
dove avrebbe consegnato il manoscritto alleditore, rimise al loro posto dopo averli
studiati, letti o magari solo consultati. Tre sicuramente le fonti principali, quelle che
pi spesso ritornano nelle note: le Origines sive Antiquitates Ecclesiasticae di Joseph
Bingham35, le Antiquitates Italicae del Muratori36 e i Capitularia Regum Francorum
di Stefano Baluzio37.
La prima parte della dissertazione, quella inerente alla Chiesa primitiva, dipende
in gran parte dal Bingham. In particolare Martini si appoggia al secondo libro delle
Origines, intitolato De diversis clericorum ordinibus in primitiva ecclesia. I paragrafi a

34
Martini, De episcoporum potestate, 21.
35
Iosephi Binghami Angli Origines sive Antiquitates Ecclesiasticae ex lingua anglicana in latinum vertit Io.
Henricus Grischovius Halberstadiensis accedit praefatio Io. Franc. Buddei Theol. D. et P.P.O, Halae sumptibus or-
phanotrophei MDCCXXIII.
36
L.A. Muratori, Antiquitates Italicae medii aevi sive dissertationes de moribus, ritibus, religione, t. V,
Mediolani MDCCXLI.
37
Capitularia Regum Francorum Additae sunt Marcusi Monachi & Aliorum Formulae Veteres & Notae Doc-
tissimorum Virorum Stephanus Balutius Tutelensisin unum collegit ad vetustissimos codices manuscriptos emenda-
vit, magnam partem nunc primum edidit, notis illustravit, Parisiis MDCLXXVII.

58
Il De episcoporum potestate del giovane Antonio Martini

cui rimanda il Martini sono il quarto ed il settimo intitolati rispettivamente De po-


testate episcoporum in laicos, monachos, subordinatos magistratus et omnes dioceseos suae
homines: et de ipsorum officio in dispensandis ecclesiae reditibus e De episcoporum po-
testate in audiendis et decidendis caussis saecularibus. La maggior parte dei riferimenti
che Martini fa alla letteratura patristica sono desunti dal Bingham. Cos, nella rico-
struzione del ruolo dei vescovi nella Chiesa primitiva, si citano le Epistole di Ignazio
Martire, lOrazione 32 di Gregorio Nisseno, il capitolo terzo del libro sesto delle
Confessioni e le Epistole 110 e 147 di Agostino. Tutti questi riferimenti si ritrovano
nei citati paragrafi delle Origines del Bingham. Se talvolta Martini dichiara esplici-
tamente la sua fonte, altrove la nasconde. Cos lepisodio di Paolo di Samosata, che
Martini, come abbiamo visto, ricordava a dimostrazione della capacit di autocon-
trollo della Chiesa primitiva, si ritrova nel Bingham. Proprio questo riferimento ci
pu illuminare sulla modalit duso che Martini fa delle Origines, opera di erudi-
zione certamente, ma pur sempre opera di un erudito anglicano. Il Bingham citava
lepisodio di Paolo di Samosata a dimostrazione di come la Chiesa primitiva rispet-
tasse la distinzione tra giurisdizione temporale e spirituale. I vescovi della Chiesa
primitiva non si arrogavano scrive il Bingham nessuna potest che non fosse spi-
rituale. Non rivendicavano a s le due spade n tantomeno provarono ad estorcere
quella temporale ai sovrani o a distruggere la dignit regale con lo specioso foglio
di scomunica.
Ipsi veteres Episcopi Romani legibus Imperatoribus obsequium profitebantur:
Quod hoc loco nihil attinet demonstrare, quum id tam frequenter & valide a mul-
tis doctis scriptoribus e nostratibus praestitum sit, & ipsi ingenui scriptores Ponti-
ficii sateantur, Gregorium VII primum e Pontificibus fuisse, qui magistratum
christianis Principibus abrogandi sibi arrogaverit potestatem38.

I vescovi della Chiesa primitiva non usurparono lautorit civile, ma ne chiede-


vano laiuto laddove fosse necessario. Prova ne il caso di Paolo di Samosata. I padri
del Concilio di Antiochia, che lo destituirono, chiesero lintervento di Aureliano per
costringere Paolo a lasciare il palazzo vescovile. Come si visto, opposto il conte-
sto nel quale Martini inserisce lepisodio. Qui la Chiesa che, ancor prima dellau-
torit temporale ed in maniera pi decisa, reagisce contro quel clero che trasforma
il suo diritto legittimo in arbitrio. chiaro quindi il perch Martini non abbia ci-
tato in questo caso la fonte che probabilmente gli sugger lepisodio di Paolo di Sa-
mosata. Apprezza invece il Martini le pagine di Bingham sul versetto di Paolo 1Cor
6,4 Sacularia igitur judicia si habueritis, contemptibiles qui sunt in ecclesia, illos
constitute ad judicandum. Scrive infatti il Martini in nota: Egregie de eo Paulli

38
Iosephi Binghami Angli Origines sive Antiquitates Ecclesiasticae, vol. I, 104.

59
Pietro Domenico Giovannoni

loco Bingamus A.[ntiquitates] E.[cclesiasticae] lib. 2 cap. 7 ubi to. e;xw evnh,menoj ex
Lightfooti sententia interpretatur. Paolo, constatando che nella comunit cristiana
di Corinto vi erano dissidi e scontri, invitava i fedeli a prendere come giudici anche
i pi infimi tra la comunit, pur di evitare di rimettersi alla sentenza di un tribunale
pagano. Il Bingham dedicava al passo paolino sopracitato un intero paragrafo del
capitolo settimo del libro secondo delle sue Antiquitates. Molte traduzioni - scriveva
lerudito inglese - rendevano il greco e;xw evnh,menoj h; e`cclhsi,a| con il latino homi-
nes nullo loco in Ecclesia habitos, ma il Lightfoot aveva sostenuto che la stessa espres-
sione greca si poteva rendere con homines summae existimationis. Questo perch la
voce greca e;xw evnh,menoj traduceva la parola ebraica che indicava i giudici privati, ov-
vero arbitri eletti dalle stesse parti in causa. Ora, era proprio costume dei Giudei
avere, accanto ai giudici veri e propri, degli arbitri eletti per dirimere la piccole
cause. Erano questi chiamati idioti & non Autentici, non perch plebei, ma per-
ch ultimi nella classe giudiziaria; infatti questi arbitri non erano investiti dallau-
torit del Sinedrio, bens eletti dalle parti in causa. Il Bingham, appoggiandosi alla
lezione del Lightfoot39, sosteneva che san Paolo consigliava alla comunit di Corinto
di adottare proprio lo stesso costume.
Tales privatos judices Apostolus Christianos in Ecclesia eligere, ad eosque con-
troversias ac lites suas referre iubet: quo ipso non mandat, ut de pauperrimis, infi-
mis & rerum maxime ignaris ex populo iudices eligant, sed contra potius, ut
homines idoneos, sapientia conspicuos, qui iudicium ferendi atque controversias
inter fratres suos dirimendi auctoritate valeant, adsciscant40.

Ora, si chiedeva il Bingham: chi pi dei vescovi stessi rispondeva a questi requi-
siti? E poteva quindi concludere: Atque inde haec officii et functionis Episcopalis
pars veram suam originem traxisse mihi videtur41.
Martini rimanda agli Annali dItalia del Muratori in due luoghi. Il primo si rife-
risce alla legge di Valentiniano III del 452 che revocava al tribunale dei vescovi non
solo le cause secolari, ma anche ecclesiastiche. Il Martini notava che pi che abro-
gata questa legge fu disattesa, tanta era la stima riposta nel giudizio del foro eccle-
siastico. Cos scriveva il Muratori ad annum 452:
Per lo contrario Valentianiano Imperadore in questo medesimo anno cos fune-
sto allItalia, con una sua Legge ristrinse la giurisdizione dei Vescovi, ordinando che

39
John Lightfoot: filologo e teologo anglicano, nato a Stoke-upon-Trent il 29 marzo 1602 e morto a Ely
il 6 dicembre 1675. Profondo conoscitore dellebraico e della letteratura rabbinica pubblic le Horae He-
braicae et Talmudicae (sui Vangeli, le Epistole di Paolo, gli Atti degli Apostoli), pubblicate pi volte tra il 1658
ed il 1678 a Cambridge e a Londra. Non fu estraneo alla stampa della Bibbia Poliglotta uscita a Londra tra il
1654 ed il 1657 ad opera di B. Walton.
40
Iosephi Binghami Angli Origines sive Antiquitates Ecclesiasticae, vol. I, 126.
41
Iosephi Binghami Angli Origines sive Antiquitates Ecclesiasticae, vol. I, 126.

60
Il De episcoporum potestate del giovane Antonio Martini

i medesimi non potessero giudicare cause criminali, e n pur le civili fra Chierici; e
se le giudicassero, fosse solo per compromesso: riserbando loro unicamente quelle
di religione. () Trovarono i susseguenti Augusti indecente questa Legge, e per la
scartarono. Intanto il Cardinal Baronio alla indebita pubblicazion dessa attribuisce
tutte le disgrazie accadute in questanno, non a Valentiniano, che stava a divertirsi
in Roma, ma alle citt della Venezia, Insubria, ed Emilia che niuna colpa aveano di
questo Editto42.

Martini nel riportare lepisodio della legge di Valentianiano III traduce il Mura-
tori: Valentiniani vero III lex illa, qua non Laicorum modo, sed & Clericorum cau-
sas omnes ab Episcoporum tribunalibus avocavit, adeo perbrevis Aevi fuit, ut
contempta potius, quam abrogata fuisse videatur43. Dove il contempta fuisse tra-
duce il fu trascurata del Muratori. Non muratoriano invece il commento seguente:
Neque aliter mihi tunc videtur fieri potuisse, quum Populos tanto Ecclesiae Anti-
stites obsequio, tanta reverentia prosequeretur, ut non sine magno Reipublicae motu,
ac detrimento eorum auctoritatem coarctare Imperatores potuerint44. Commento
pi vicino allinterpretazione del Baronio, di cui si faceva beffa il Muratori, che ve-
deva nella discesa di Attila una punizione per lempia legge di Valentiniano. Che il
Martini avesse anche davanti gli Annali del Baronio ce lo dice lui stesso, citandoli due
volte. Ma che li accostasse a quelli del Muratori evidente in un caso, probabile in
un altro. Iniziamo dal secondo. Dopo aver citato la legge di Valentiniano III del 452,
Martini si sofferma sulla condanna di Dioscuro dAlessandria da parte del Concilio
di Calcedonia. Il Muratori ad annum 452 non accennava nemmeno allargomento,
ma invece il Baronio ci si soffermava ampiamente45. Nel secondo caso lo stesso
Martini che ci mette sulla buona strada. Larrivo dei Goti scrive non segn, per
quanto riguarda il foro ecclesiastico, la fine dei diritti episcopali. Anzi lo stesso Teo-
dorico, Arianae factionis Princeps, chiamato a risolvere lo scisma laurenziano e a
prendere posizione tra Simmaco e lantipapa Lorenzo, dichiar essere il Concilio la
sede idonea a tale causa. In nota Martini scrive: Vide Rei gestae seriem apud Mu-
ratorium in Annal. Ital. & Baronium, in quo admiranda plane in Romanae Eccle-
siae Adversario moderatio perspicitur.
Le Antiquitates Italicae, e pi precisamente le dissertazioni settantesima e nona,
sono tuttavia lopera del Muratori a cui fa pi spesso riferimento il Martini. La prima
intitolata De Cleri et ecclesiarum immunitatibus, privilegiis ac oneribus post invectas

42
L.A. Muratori, Annali dItalia dal principio dellera volgare sino allanno 1750 compilati da L. A. Mura-
tori colle prefazioni critiche di Giuseppe Catalani, Monaco, nella stamperia di Agostino Olzati 1761, 156.
43
Martini, De episcoporum potestate, 8.
44
Martini, De episcoporum potestate, 8.
45
Annales Ecclesiastici auctore Caesare Baronio Sorano e Congregatione Oratorii S.R.E. Presbytero Cardina-
lis Tit. SS. Nerei et Achillei et Sedis Apostolicae Bibliothecario una cum critica historico-chronologia P. Antonii Pagii
Doctoris Theologi Ordinis Minorum Convent. S. Francisci, T. VIII, Lucae, Typis Leonardi Venturini MDCCXLI,
125-127.

61
Pietro Domenico Giovannoni

in Italiam barbaras gentes, la seconda De missis regiis seu iudicibus extraordinariis.


Lanalisi delle modalit di lettura operate dal giovane Martini sulle due dissertazioni
ci riveler alcuni aspetti della sua sensibilit non indifferenti nella ricostruzione della
sua biografia intellettuale.
Se sotto i Goti rimasero integri i diritti del foro ecclesiastico osservava Martini
non altrettanto accadde sotto la dominazione longobarda. Aveva scritto Muratori:
Sub Langobardis interim video, auctoritatem quoque Principis imploratam fuisse,
quum controversiae Episcopos insurgerent46. Essi introdussero infatti un diritto di
appello al tribunale laico. Se Martini poteva concludere commentando che cos fa-
cendo i re longobardi avevano leso lautorit dei Vescovi non solo nelle cause seco-
lari, dove esercitavano una potest conferitagli dagli Imperatori, ma anche nelle cause
tra chierici, dove invece esercitavano il proprio diritto, di tuttaltro tono suonavano
le parole del Muratori.
Simul etiam vide, jussionem quidem Regis vocantibus se laesis concessam. Nihil
tamen exinde Episcopalis juris plerumque deperibat; atque heic reapse habemus,
judicium proprio Judici, idest Episcopo, relictum fuisse. Neque secus actum est sub
Augustis, & Regibus Francis. Nam quoties persuadebat sibi aliquis e clero, injuram
sibi in judicium illatam ab Episcopo, erat mos, tunc nemini, ut videtur, improba-
tus, subsidium implorare ab Imperatore, vel Rege, sive ab ejus Missis. Rursus ver
iidem ab Episcopo revisionem, ut nunc appellamus, caussae petebant. Negare nolim,
quin jussio Regis ad id Antistites impelleret: quae vox Canonistis Italicis nostrorum
temporum asperi aliquid sonare videatur, sed ea aevi illius consuetudo fuit, neque
Episcopale forum propterea suo jure fraudabatur47.

Anche Martini scriveva tuttavia poco dopo: Idem vero etiam sub Augustis &
Francis Regibus obtinuisse eruditi Viri non pauci opinati sunt48. E siccome vi sono
coloro che sostengono che i re franchi abbiano rivendicato non solo questo partico-
lare diritto di appello, ma tutta la supremazia sulla disciplina ecclesiastica, Martini
ritiene necessario affrontare pi distesamente largomento facendo riferimento ai
Capitolari emanati dai re franchi. Ma prima di tutto, con levidente scopo di con-
testualizzare e legittimare lopera dei re franchi, si soffermava come abbiamo gi
visto sulla crisi della disciplina ecclesiastica e dei costumi del clero in epoca caro-
lingia.
Di nuovo Martini richiama la dissertazione settantesima delle Antiquitates nella
seconda parte del suo breve saggio, dove faceva riferimento infatti ai documenti ri-
portati dal Muratori attestanti molti casi di ricorso in appello al tribunale regio da
parte di sacerdoti e vescovi anche in epoca carolingia.

46
Muratori, Antiquitates Italicae medii aevi, vol. V, 914.
47
Muratori, Antiquitates Italicae medii aevi, vol. V, 916.
48
Martini, De episcoporum potestate, 12.

62
Il De episcoporum potestate del giovane Antonio Martini

Id ut quibusdam in causis factum sit, quod nonnulla ejus aetatis monumenta,


atque Diplomata demonstrare fateor, scripto tamen, promulgatoque ab ipsis Impe-
ratoribus Juri minime conveniebat49.

Quel scripto tamen riferito come vedremo ai Capitolari rivela una pro-
fonda distanza dallerudizione muratoriana che pur doveva aver affascinato il nostro
giovane abate. Rivela in definitiva lo scarto che c tra un erudito votato alla storia
ed un canonista affascinato dallerudizione. Lo scarto fra chi guarda al flusso degli
eventi, allo scorrere del tempo, e chi portato a cristallizzare lo stesso evento in un
canone, in un articolo di legge. Muratori esordiva nella sua dissertazione avvertendo
che avrebbe lasciato ai teologi ed ai canonisti il risolvere la questione dellorigine
umana o divina dellimmunit delle persone ecclesiastiche e dei beni della Chiesa.
Sua intenzione di mostrare ci che anticamente si fece, non gi indicare ci che al
presente si debba fare. Ad una prima lettura si potrebbe esser tentati di accostare
una siffatta dichiarazione programmatica allesordio del Martini, dove anchegli di-
chiarava di non voler stabilire i confini legittimi tra potest civile e potest ecclesia-
stica, ma solamente ricostruire i fatti secondo historica veritate. Tuttavia ad
unanalisi pi attenta risulta evidente lo scarto tra lhistorica veritate del Martini
ed il muratoriano ostendere quid factum fuerit. Muratori riporta e commenta
molti documenti di epoca carolingia dimostrando come fosse usanza il ricorso in
appello al tribunale regio da parte di vescovi e sacerdoti e conclude dicendo che in-
negabile che i re stimassero proprio dovere giudicare gli ecclesiastici e non nega-
bile che gli stessi vescovi ed il Papa appoggiassero lazione dei sovrani, vedendo che
essi agivano per ledificazione, e non gi per la distruzione della Chiesa. I Papi in-
cominciarono a lamentarsi e ad opporsi ai sovrani soltanto quando videro questa
consuetudine degenarare in smoderata libert a danno e pregiudizio della Chiesa.
Anche Muratori rimandava il lettore che avesse voluto approfondire la materia ai
Capitolari dei re franchi. Tuttavia nella parte della dissertazione riguardante lim-
munit delle persone ecclesiastiche non ne citava nemmeno uno. Invece il Martini
dedica la maggior parte del suo lavoro proprio ai Capitolari, fonte principale per ca-
pire lazione dei re carolingi. Lo scarto tra il canonista e lo storico erudito a cui si ac-
cennava prima evidente proprio nelluso che fa il Martini dei Capitolari. Se a
Muratori premeva ci che il documento attestava, a Martini premeva la legittimit
del documento stesso. Cos, Muratori, la cui intenzione era ricostruire come erano
andate le cose, si basava soprattutto su diplomi attestanti cause tra chierici e ricorsi
al tribunale regio; Martini, invece, la cui intenzione era ricostruire come le cose sa-
rebbero dovute andare, si basava proprio sui Capitolari, sforzandosi di dimostrare la
loro legittimit e validit in un contesto di cooperazione tra sacerdozio ed impero.

49
Martini, De episcoporum potestate, 17.

63
Pietro Domenico Giovannoni

vero quindi, riconosce il Martini, che anche sotto i Franchi si ricorse allo iussio
Regis, ma anche vero che questa usanza era in contraddizione con quanto stabilito
dai sovrani nei loro Capitolari. Ed ancora, i re franchi poterono emanare legittima-
mente quei Capitolari solo in quanto essi non facevano altro che ribadire quanto
gi stabilito dai canoni dei Concili. questo il centro di tutta la dissertazione; il
punto focale che ci rivela la prospettiva nella quale il Martini vuole inserire lanalisi
della politica in materia di disciplina ecclesiastica operata dai Franchi.
Riferendosi al De episcoporum potestate il primo biografo del Martini, Antonino
Longo, nella gi citata Orazione funerale, scriveva: In essa scopr la poca buona fede
del Baluzio nella pubblicazione dei Capitolari di Carlo Magno50. La stessa cosa
avrebbero poi ripetuto il Becagli ed il Guasti. Nella tomba del Martini fu posta una
copia in cartapecora delliscrizione latina dellabate Luigi Lanzi, chiusa in un tubo
di piombo; in essa vi si legge:
Canones tamen sanctiones attentus et vehementius scrutatus lectorque extra or-
dinem brevi dictus primam lectionem quae typis est edita ceteris lectoribus et lyceo
universo plaudentibus et admirantibus recitavit in qua Balutii fraudes in publican-
dis capitolaribus (sic enim loquuntur) Caroli Magni detexit51.

Tuttavia nelle poche pagine del saggio del Martini non si trova nessun esplicito
riferimento alla poca buona fede del Baluzio. Da dove lorigine di questa convin-
zione? Martini, portandosi nella tomba la citata biografia latina, port con s il se-
greto di questo piccolo arcano. Non da escludere che Martini nello scrivere la
sua dissertazione e nellutilizzare quindi i Capitolari abbia effettivamente sospettato
dellattendibilit delledizione del Baluzio; ed abbia pensato di approfondire largo-
mento, magari nellopera grande che meditava sulla concordia tra sacerdozio ed
Impero. Ma il Longo nel momento in cui fissava il Martini nellimmagine del gio-
vane erudito confutatore di Baluzio si riferiva probabilmente a brandelli di ricordi,
di rievocazioni di una giovinezza ormai lontana, racconti riportati magari non dallo
stesso Martini, ma da altri. Sarebbe inutile cercare di inseguire e ricostruire i fili di
anonime memorie umane. E se anche il Longo avesse fondato la sua asserzione su
racconti diretti dello stesso Martini, la cosa non cambierebbe molto. Ci scontre-
remmo con una forza ambigua e fragile, quanto indispensabile, amica e nemica della
ricostruzione storica: la memoria personale, forza che disgrega i ricordi del passato,
riaggregandoli mescolando le carte della verit, confondendo gli eventi con le aspet-
tative, le intuizioni, i progetti pensati e non realizzati che questi eventi portavano con

50
A. Longo, Orazione funerale recitata in occasione delle solenni esequie di Monsignor Antonio Martini ar-
civescovo di Firenze ecc., con la relazione delle medesime e con le iscrizioni del Sig. Ab. Luigi Lanzi, Carli e comp.,
Firenze 1810, XIX.
51
Liscrizione dellabate Luigi Lanzi pubblicata in Longo, Orazione funerale, XXXI.

64
Il De episcoporum potestate del giovane Antonio Martini

s. Il piccolo arcano tuttavia ci induce ad aprire con occhio pi attento e scrupo-


loso ledizione dei Capitolari, che Baluzio dette alla luce a Parigi nel 1677. Ci induce
a leggerne la prefazione tenendo presente, frase per frase, nota per nota, lopera del
Martini, nella speranza di poter trovare qualche cosa che ci possa almeno illuminare
sullorigine della tradizione del Martini confutatore del Baluzio. Si tratter di ac-
centi, forse di particolari, ma che allargheranno lorizzonte della nostra conoscenza
sulla formazione e sul carattere del nostro autore. Speranza, questa, che non verr de-
lusa. Baster infatti leggere i primi paragrafi della prefazione di Baluzio ai Capito-
lari per rendersi conto che la sua poca buona fede scoperta dal giovane Martini
altro non era se non un probabile fastidio che Martini dovette aver provato alla let-
tura di una prefazione dai toni marcatamente gallicani. Si pu ipotizzare che tale fa-
stidio sia stato espresso verbalmente e sia stato raccolto dal Longo e da lui riportato
nellOrazione funerale nellintento di dare lustro allerudizione del vecchio arcive-
scovo. Infatti, come si detto, Martini nella sua dissertazione non fa nessun espli-
cito attacco allattendibilit del Baluzio; anzi rimanda il lettore alla sua prefazione
allorch scrive:
Nam ut ne id quidem omittam (quod ad rem meam magnopere pertinere arbi-
tror) Canones eos omnes, quos in Capitolaribus legimus e Conciliorum penu de-
sumptos fuisse, nemini, qui eos perlegerit dubium esse potest, eamque sententiam
tum Vitum Amerpachium, qui primus Capitularium editionem concinnavit An.
1545, tum Antonius Augustinus, Balutius, Van-Espenius52.

Tanto vero continua il Martini che il Concilio Trosleiano defin quei Ca-
pitolari pedissequa dei Canoni dei Concili. Il richiamo al Concilio Trosleiano Mar-
tini lo desume proprio dal Baluzio che, nel dimostrare la pari riverenza dei vescovi
carolingi nei confronti dei Canoni conciliari e delle costituzioni dei Capitolari, scrive:
Sed insigne in primis esse videtur testimonium Episcoporum apud Trosleium in
pago Suessionico Congregatorum anno DCCCCIX qui Regum capitularia vocant
canonum pedissequa

Ma dove il Martini si fermava, aggiungeva invece il Baluzio:


hoc loquendi modo, quamvis non admodum latinum, significantes ea se-
cundum post canones locum habere in Ecclesia & pari cum canonibus auctoritate
vigere53.

Se Baluzio teneva a precisare lesatto valore di quel pedissequa, da non inter-


pretare letteralmente come servo accompagnatore, Martini sorvola sul problema,

52
Martini, De episcoporum potestate, 16.
53
Capitularia Regum Francorum, vol. I, XI.

65
Pietro Domenico Giovannoni

limitandosi a richiamare il Concilio Trosleiano, senza citare, a differenza del Balu-


zio, il canone preciso a cui si vuol riferire.
Il sapore gallicano della prefazione baluziana emerge chiaramente nei paragrafi
nono e decimo, allorquando Baluzio spiega in base a quale autorit gli imperatori
franchi poterono legittimamente emanare Capitolari in materia di disciplina eccle-
siastica. Riprendendo Antonio Agostino, il Baluzio osserva che i Capitolari vennero
emanati dagli imperatori nelle assemblee di vescovi e consiglieri riunite per la di-
scussione di affari tanto civili quanto ecclesiastici.
Excerpta tamen illa capitolarium synodalium non semper fiebant in conventi-
bus aut synodys publicis, sed cum delegatione Principis in privatis Episcoporum vi-
rorumque ecclesiasticorum coetibus qui tum forte in comitatu erant, ut colligi potest
ex titulo capitularis tarti anni DCCCXIV ubi sic legitur: Capitula a Domino Karolo
et filio ejus Hludovico ac sapientissimis ipsorum Episcopis excerpta54.

Anche Martini scriveva che quei Capitolari traevano la loro legittimit sia dal-
lessere desunti dai Canoni conciliari sia dallessere stati emanati in assemblee civili
e religiose allo stesso tempo e, come Baluzio, riportava il titolo del sopracitato Ca-
pitolare dell814. Ma Martini in nota aggiungeva:
Sed quamquam res auctoritate non indiget, adferre hic tamen lubet Viti Amer-
pachi testimoniu cuius haec sunt pag. 9 ubi de suscepto a se opere loquitur =Sunt
(Capitularia) ex magna parte veluti Flores quidam e diversis Legum Imperatoris
hujus (Karoli) Voluminibus, & Actis habitorum ab eo cum Episcopis Conciliorum:
salva tamen ubique auctoritate Sedis Apostolicae, imo reverenter habita, ut clare
sub finem Operis indicatur=55.

Baluzio invece proseguiva attaccando violentemente Jacob Gretser56 ed il Baro-


nio, sostenitori di una tesi offensiva ed ingiuriosa dellautorit regia. Secondo loro
infatti Carlo Magno ed i re Franchi nellemanare Capitolari nellintento di restau-
rare la disciplina ecclesiastica avrebbero agito non in base ad un loro diritto, ma in
base al permesso ed al consenso dei vescovi e del Pontefice. Il Baluzio si richiamava
a Melchior Goldast57, strenuo difensore delle prerogative e dellautorit regie, e al gal-

54
Capitularia Regum Francorum, vol. I, VIII.
55
Martini, De episcoporum potestate, 16.
56
Jacob Gretser (1562-1624) gesuita e autore di numerose opere apologetiche antiprotestanti. Il riferi-
mento polemico del Baluzio al suo Caesar Baronius S.R.E. Cardinalis Amplissimus a rationalis Calviniani
criminationibus vindicatus, et in eo cum alii Pontificis romani, tum Gregorius VII, Ingolstadii 1610. Lopera
venne scritta in risposta a Melchior Goldast, autore della Rationale constitutionum Imperialium ex temporale
in quo cum ipsis constitutionibus argumenta dicuntur, tam S.R.I. jura adversus Caesaris Baronii Annales prae-
scribuntur, Francoforte 1707.
57
Melchior Goldast von Heiminsfeld (1576-1635) giurista protestante autore del Tractatus de traslatione
Imperii Romani a Graecis ad Francos, Hanau 1606 e della Monarchia S. Romanii Imperii sive Tractatus de juri-
sdictione imperiali et pontificia, Hanau-Francoforte 1611-1615.

66
Il De episcoporum potestate del giovane Antonio Martini

licano Pierre De Marca58. Il Martini non entra affatto in tale polemica, erudita e po-
litica insieme, ma la precisazione, attraverso Vito Amerpachio, salva tamen Aucto-
ritate Sedis Apostolicae non pu che suonare se non come indizio di un dissenso
dallimpostazione baluziana.

58
Pierre De Marca (1594-1662). Su richiesta del Cardinale Richelieu ed in risposta allOptatus Gallus de
cavendo schismate scrisse il De concordia sacerdotii et imperii seu de libertatibus ecclesiae gallicanae apparso nel
1641. A causa della sua opera, messa allIndice il 7 aprile 1642, Roma non volle spedire le Bolle di nomina a
vescovo della diocesi di Conserans. Dopo aver scritto una parziale ritrattazione pot entrare in possesso della
sua diocesi. Arcivescovo di Tolosa nel 1652, fu nominato arcivescovo di Parigi nel 1662, ma mor lo stesso
giorno in cui ricevette la Bolla da Roma. Fu gallicano e rigido antigiansenista. Suo segretario fu proprio Ste-
fano Baluzio che dette alla luce a Parigi nel 1663 la seconda edizione del De concordia, pubblicando gli ine-
diti quattro ultimi libri.

67
Mara Victoria Hernndez Rodrguez
LA DEFINIZIONE DI LEGGE E IL SUO FINE
SECONDO SAN TOMMASO DAQUINO

Introduzione

I
I CAN 7 DEL CODICE DI DIRITTO CANONICO stabilisce listituzione della legge: Lex
instituitur, cum promulgatur. Una disposizione legislativa che ha come fonte il
can. 8 1 del Codice abrogato: Leges instituuntur, cum promulgantur. Com
possibile apprezzare, il testo , infatti, identico con lunica variante del passaggio dal
plurale al singolare.
Si tratta di un canone in cui, negli schemi del 1980 e 1982, era stata proposta lin-
troduzione di una definizione che richiamava appunto i termini e il contenuto di
quella che sar pi avanti esaminata in questo contributo e che stata formulata da
san Tommaso dAquino: lex, quae quidem est norma generalis ad bonum commune
alicui communitati a competenti auctoritate data, instituitur cum promulgatur1, ma
posteriormente fu introdotta una piccola modifica: Lex, norma scilicet generalis
eliminando lespressione quae quidem est. La definizione proposta n fu accettata n
compare nel Codice e ci per due motivi essenziali: innanzitutto perch nel diritto
le definizioni sono pericolose, stando allinsegnamento della Regula Iuris Antiqui di
I. Prisco Gaio, omnis definitio in iure civili periculosa est: parum est enim, ut non su-
berti posset2; e, in secondo luogo, perch lespressione bonum commune e parimenti
la definizione non erano del gradimento dei Padri della Commissione, riuniti nella
Congregazione plenaria del 19813.

* Nellelaborazione di questo contributo abbiamo seguito, approfondendolo, il contenuto gi pubblicato


nella rivista Universitas Canonica, 28 (2011) 44 (Reflexiones en torno a la definicin de ley segn santo Toms
de Aquino), 181-204.
** Giudice nel Tribunale dAppello del Vicariato di Roma. Docente di Diritto processuale canonico nella
Facolt di Diritto canonico dellUniversit Pontificia Salesiana di Roma.
1
Communicationes 23 (1991), 148-149.
2
Regula Iuris Antiqui 202, in Iustiniani Digesta, Recognovit Theodorus Mommsen, retractavit Paulus
Krueger, Berolini 1870, 926b.
3
Communicationes 16 (1984), 131.

69
Mara Victoria Hernndez Rodrguez

Il termine legge deriva etimologicamente dal latino legem, accusativo di lex, la cui
origine incerta4. Gli Autori, tuttavia, si rifanno a diverse voci latine che hanno ana-
logia semantica e fonetica con la parola legge, in altre parole ognuna di quelle voci
presenta significati che, parzialmente, convengono con essa. SantAgostino accett
la voce eligere (scegliere), seguita anche da Cicerone5, perch le leggi erano scelte tra
i migliori programmi per governare una comunit6; letimologia si fonda, dunque,
sulla natura stessa di legge, la quale , da parte del superiore, la scelta dei mezzi e delle
azioni che devono essere prescritte.
Per santIsidoro di Siviglia7 come riporta anche Cicerone nel De legibus8 , de-
riva da legere (leggere) perch esisteva labitudine di scrivere in tavole pubbliche le di-
sposizioni di legge o senatoconsulti affinch il popolo le leggesse e, una volta lette e
quindi conosciute, potesse accettarle o rifiutarle.
San Tommaso far derivare il termine legge dal vocabolo latino ligare (vincolare,
obbligare): poich la legge ha un carattere normativo, essa vincola e obbliga ad agire
in conformit con la medesima9.
Autori posteriori quali Alfonso X el Sabio (1221-1284) scelsero diverse etimolo-
gie latine (ligare e legere):
La ley es una leyenda en que yace enseamiento e castigo escrito que liga y apre-
mia la vida del home que no faga mal, e muestra e ensea el bien que el home debe
facer e usar10.

4
La parola greca equivalente a legge nomos, derivata da nomo, che ha in s il significato di distribuire, as-
segnare. La parola latina lex formata dalla radice leg (lex = lecs, da leg-s), la quale esprime tanto lidea di sce-
gliere quanto quella di leggere. Mentre Cicerone riterr che la prima quella che si trova in fondo alla parola,
i filologi moderni sono del parere che sia la seconda, e che, pertanto, lex qualcosa che si legge, cio un pre-
cetto fissato per mezzo della scrittura; in opposizione a mos (consuetudine), che il precetto che non stato scritto.
Si noti che nelle lingue semitiche, legge sinonimo di scrittura.
5
De legibus, l. I, n. 6: [...] ego nostro a legendo. Nam ut illi aequitatis, sic nos delectus uim in lege ponimus,
et proprium tamen utrumque legis est.
6
Quaest. in Heptateuchum, l. 3, q. 30, in PL 34, 681: Unde etiam legem a legendo, id est ab eligendo latini
auctores appellatam esse dixerunt.
7
Etymologiarum sive Originum, l. 2, c. 10; l. 5, c. 3, in PL 82, 130-199.
8
De legibus, l. I, n. 6: Sed quoniam in populari ratione omnis nostra uersatur oratio, populariter inter-
dum loqui necesse erit, et appellare eam legem, quae scripta sancit quod uult aut iubendo aut prohibendo, ut
uulgus appellare solet. Cicerone riporta quindi lidea corrente nel suo tempo secondo la quale la legge quello
che scritto, quello che pu essere letto.
9
Sum. Theol., I-II, q. 90, art. 1.
10
Libro de las leyes o Partidas, I, Lex Nova, Madrid 1989, tit. I, l. 4: La legge una leggenda in cui gia-
ciono insegnamento e punizione scritto che vincola e preme la vita delluomo affinch non faccia il male, e
mostra ed insegna il bene che luomo deve fare e seguire.

70
La definizione di legge e il suo fine secondo san Tommaso dAquino

1. Nozione di legge in san Tommaso

Fonti
Oltre che nella Summa Theologiae, san Tommaso tratta della legge, anche non in
modo sistematico, in altre parti della sua opera: Commento alle Sentenze di Pietro
Lombardo, dove parla della legge in rapporto al matrimonio11; della legge naturale
e divina positiva a proposito del Decalogo12. Nella Summa contra gentiles, dove tratta
della legge divina eterna e positiva13. Infine, nel Commento allEtica Nicomachea non-
ch nei primi libri del Commento alla Politica di Aristotele14, luogo dove espone in
modo particolare la legge civile.
Diverse sono le fonti di cui si serve san Tommaso; ne possiamo citare due per ri-
tenerle le pi importanti e frequenti: Aristotele (Etica e Politica) e santAgostino, il
quale rinvia a Cicerone, santIsidoro di Siviglia e Graziano, che, a loro volta, fondano
il loro pensiero sui giuristi Ulpiano e Gaio. Tra le fonti prossime si possono citare il
De legibus et praeceptis, trattato francescano che a sua volta fonte alla Summa uni-
versae theologiae sive quaestiones super quattuor libros Sententiarum di Alessandro di
Hales, ofm (c. 1185-1245)15, che poggia soprattutto in santAgostino. In questa
Summa si trovano tutti gli elementi riguardanti la legge che san Tommaso riprender,
ordiner e sistematizzer nel suo trattato, che pi tardi Surez porter a compimento
e perfezione nel suo De legibus16.

Definizione
Il primo compito che si propone san Tommaso nellaffrontare la questione della
legge di darne una definizione. A questo proposito egli dedica interamente la quae-
stio 90 de essentia legis. Tuttavia, pi che tentare di dare una definizione, san Tom-
maso si preoccupa di determinare le caratteristiche e la struttura logica della legge nel
suo significato pi generale, intesa come forma dellagire. La definizione si estende

11
4 Sententia, d. 33, q. 1.
12
3 Sententia, d. 37, q. 1.
13
3, cc. 111-118.
14
Liber 1, 5, 10.
15
Summa universae theologiae sive quaestiones super quattuor libros Sententiarum, t. 4, l. 3, p. 2 de legibus
et praeceptis, Ex typographia collegii S. Bonaventurae, Quaracchi 1948.
16
De legibus, l. I, c. 1, ca. 4, n. 2. Rivolgersi al mondo antico e alle opere da esso tramandate pu essere
vitale in ogni senso per lo storio perch si indagano in esso problemi di sempre che sono presenti nella realt
moderna anche se diverso il contesto storico; cf. E. Gabba, Cultura classica e storiografia moderna, Bologna
1995, 396.

71
Mara Victoria Hernndez Rodrguez

anche ad altre specie di legge: lex aeterna17, naturalis et divina18, humana19 (q. 91),
che convengono nellessere un ordine razionale. Pertanto, per dare una definizione
generale di legge, che sia onnicomprensiva quindi delle diverse specie, non solo bi-
sogna far riferimento agli aspetti meramente specifici di ogni specie, ma necessa-
rio arrivare alla struttura profonda della legge in quanto categoria logica particolare.
Per san Tommaso la legge quaedam rationis ordinatio ad bonum commune, ab eo
qui curam communitatis habet promulgata20. Precedentemente egli aveva dato, nellart.
1, una definizione semplicemente nominale: regula et mensura actuum. Infatti, se-
condo san Tommaso la legge regola e misura degli atti umani in quanto induce a
fare o a non fare un determinato atto.
Si chiama legge perch deriva da legare, che obbliga ad agire. Orbene, la regola
e misura degli atti umani la ragione, principio primo degli atti umani [...]. Si con-
clude dunque che la legge una norma che emana dalla ragione.

chiaro che san Tommaso riprende il pensiero classico e precisamente il giusna-


turalismo di Cicerone, secondo il quale ogni individuo ha, per sua natura, certezza di
una legge eterna, impressa nel suo cuore da Dio e che costituisce la norma universale
del suo agire21. Pertanto tutta la comunit universale argomenta lAquinate

17
La legge eterna impressa in tutte le creature e le indirizza verso il loro fine ultimo. Nelluomo, que-
sta impressione particolare in quanto luomo essere razionale e pertanto la legge eterna non si manifesta
come una necessit ma come libert. Luomo, realizzando la sua essenza razionale, realizza il disegno provvi-
denziale e partecipa della legge eterna. Ma luomo non conosce direttamente la legge eterna se non in quanto
partecipata a lui, cio in quanto legge naturale, innata poich inscritta nel suo essere.
18
La legge naturale conosciuta da tutti gli uomini; non dipende n dal tempo n dal luogo; indipen-
dente dalle evoluzioni culturali. Tuttavia, la legge naturale pu essere oscurata e offuscata non in quanto ai
suoi principi, ma nelle sue conclusioni particolari dalla concupiscenza, dalla sensualit, dalle condizioni
corporali non positive, dalle cattive abitudini, dagli errori del raziocinio. In rapporto alla partecipazione alla
legge eterna, la legge naturale immutabile, non soggetta a variazioni o evoluzioni di qualunque genere.
nellinteriore delluomo, mai fuori dalla storia. Cicerone, sul quale fondamenta remotamente san Tommaso
la sua definizione e concezione di legge naturale, per tutto il primo libro e allinizio del secondo indaga sulla
natura del diritto e spiega come essa derivi da ci che pi connaturato alluomo (De legibus, 1, 16-17) e cio
da quella legge naturale, eterna e razionale che ha preceduto ogni legge scritta e che ordina ci che si deve fare
e proibisce di fare il contrario (De legibus, 1, 18-19).
19
La legge umana non altro che unapplicazione della legge naturale al bene della comunit. Le leggi
umane sono mutabili e possono essere perfezionate e derogate in determinati casi in vista del bene comune,
purch non sia violata la legge naturale e la legge divina. Una legge ingiusta, contraria alla legge naturale e alla
legge divina, non una legge ma una corruzione della stessa legge e, pertanto, non obbliga in coscienza. La
legge, regola e misura degli atti umani, ha come fine il bene, e il bene il fine ultimo della creatura: la cono-
scenza di Dio, imperfetta in questo mondo e perfetta nellaltra vita. Alla luce del concetto della legge natu-
rale, i diritti degli uomoni non sono diritti derivati dal consenso dei popoli o dalla volont delle autorit, ma
sono preesistenti indipendentemente dalle culture e dalle legislazioni nazionali o internazionali. Difendere i
diritti umani significa rispettare la legge naturale, derivata dalla legge eterna.
20
Sum. Theol., I-II, q. 90, art. 4.
21
Vi una legge vera, ragione retta conforme alla natura, presente in tutti, invariabile, eterna, tale da ri-
chiamare con i suoi comandi al dovere, e da distogliere con i suoi divieti dallagire male... A questa legge non
possibile si tolga valore n lecito che in qualcosa si deroghi, n essa pu essere abrogata; da questa legge

72
La definizione di legge e il suo fine secondo san Tommaso dAquino

retta dalla ragione divina. Perci il disegno ordinato delle cose in Dio ha forza di legge
[...]; da ci si conclude che necessario chiamare eterna questa legge. La legge na-
turale dunque la partecipazione della legge eterna nella creatura razionale.
Da quanto appena esposto circa la legge naturale, appare evidente che luomo, in
tutte le sue azioni, ha presente e tende ad attuare questa legge come ideale di perfe-
zione, ovvero come obiettivo del bene supremo o della felicit suprema. perci
che tale ideale costituisce il fine ultimo, inteso come valore assoluto prioritario.
Nella definizione compresa nellart. 4 della q. 90, possiamo individuare il con-
tenuto della legge: ordinatio rationis; il suo fine: bonum commune; la sua fonte, ov-
vero: chi curam communitatis habet; i destinatari o membri della comunit:
communitatis, e, infine, la sua forma, costituita dalla promulgatio.
Dallanalisi di questi elementi presi separatamente, san Tommaso conclude la sua
formula contenuta nellultimo articolo della quaestio 9022.

Contenuto: ordinatio rationis


Quanto al contenuto, la legge, stando alla definizione nominale lex quaedam re-
gula est et mensura actuum ad agendum, qualcosa che obbliga, fonte di obbli-
gazioni; poich la fonte delle obbligazioni pu essere soltanto la ragione, principio
dellagire, e poich solo la ragione capace di ordinare allazione e determinarne il
fine, la ragione fonte della legge e misura dellagire. In questo, san Tommaso co-
glie una nota propria della legge umana, legge rivolta alluomo, ma non estensibile
al mondo naturale perch non dotato di ragione ma solo sottomesso alla legge eterna.
Da ci consegue che il primo elemento ordinatio rationis non proprio di
altre specie di legge. Si potrebbe dire che la legge in quanto regola che induce al-
lazione va intesa nel senso che indurre indica unopera di persuasione, ci che pre-
suppone libert di scelta e pertanto non implica un comportamento.
Orbene, la libert propria ed esclusiva dellessere umano, dellazione umana,
mentre la necessit propria del mondo naturale, la cui regola, pertanto, non po-
trebbe essere considerata legge.
In secondo luogo, nel sillogismo regola e misura degli atti umani la ragione, la
legge regola e misura; perci, la legge atto della ragione, la premessa maggiore

non possiamo essere sciolti ad opera del senato o del popolo... Essa non diversa a Roma o ad Atene, non
diversa ora o in futuro: tutti i popoli invece in ogni tempo saranno retti da questunica legge eterna e immu-
tabile; ed unico comune maestro, per cos dire e sovrano di tutti sar Dio; di questa legge egli solo lautore,
linterprete, il legislatore; e chi non gli obbedir rinnegher se stesso, e rifiutando la sua natura di uomo, per
ci medesimo incorrer nelle massime pene, anche se potr essere sfuggito ad altre punizioni: Cicerone, De
re publica, III, 22, 33.
22
Il trattato delle legge [di san Tommmaso] unopera immortale e a chi labbia compreso a fondo nulla
rimane di sapere circa i grandi principi che debbono guidare il legislatore: J. Balmes, El protestantismo com-
parado con el catolicismo, in Obras completas, BAC, Madrid 1967, t. 4, 581.

73
Mara Victoria Hernndez Rodrguez

evidentemente limitata allorizzonte umano e pertanto lo stesso limite si trova in


quella minore. Conseguentemente, la definizione di legge non pu essere estesa, nel
suo aspetto fondamentale (la razionalit), alla legge eterna, che dovrebbe essere anche
una specie di legge.
Circa il primo punto, si osserva che san Tommaso nelle Quaestiones disputatae de
veritate (q. 17, art. 3) pone in luce come il termine obbligare sia da riferire tanto alla
realt materiale quanto alla spirituale, e condivide il significato generale di necessit,
proprio di due specie:
una propria delle cose materiali: in virt della quale omnis absolute necesse habet
facere hoc ad quod determinatur;
unaltra propria invece degli essere dotati di volont: una necessitas conditio-
nata, la quale voluntati imponi potest, ut scilicet necessarium sit hoc eligere, si hoc bonum
debeat consegui, vel si hoc malum debeat vitare.
In conclusione, il termine obbligazione adoperato in senso generale e pertanto
pu essere esteso o applicato tanto al mondo della natura (necessitato dallosservanza
della legge) quanto al mondo delluomo, in cui lobbligazione introdotta dalla me-
diazione della ragione e della volont.
questa una differenza sostanziale e profonda, indubbiamente, ma che deriva
dalle diverse caratteristiche dei destinatari della legge, le quali imprimono il loro
particolare significato al termine vuoto di regola obbligatoria.
Sul secondo punto, ovvero che san Tommaso si baserebbe su un sillogismo valido
soltanto per luomo, si pu osservare che la proposizione la ragione umana regola
degli atti umani non esclude assolutamente questaltra: la ragione del creatore regola
del creato.
In queste due parti ce n anche una in comune perch in entrambe la norma o
regola considerata frutto della ragione. Ora, precisamente sulla parte comune
che dobbiamo basarci per comprendere il significato del requisito della razionalit
della legge secondo san Tommaso poich egli ha come obiettivo sia la norma del
mondo umano che quella del cosmo.
Questo requisito implica per san Tommaso la pura e semplice razionalit della
formulazione della legge, cio la razionalit dellatto del legislatore, non la sua ac-
cessibilit alla ragione da parte dei destinatari della medesima.
Solamente intesa in questultimo senso, la definizione di legge come regola ra-
zionale appare ristretta allorizzonte umano; viceversa, se intesa nel primo senso essa
si estende a tutto il mondo reale e si presenta di nuovo come definizione senza con-
tenuto specifico.
Circa la questione se la legge proviene non dalla volont ma piuttosto dalla ra-
gione, il ad 3 dellart. 1 inizia ammettendo che ratio habet vim movendi a volun-
tate poich dal fatto che si vuole un fine, si ricorre alla ragione, la quale stabilisce
o comanda quanto necessario per raggiungere tale fine. Affinch si dia una legge

74
La definizione di legge e il suo fine secondo san Tommaso dAquino

necessario lintervento della volont verso il fine. Affermare che nella psicologia del
soggetto agente latto della volont precede latto della ragione non significa che il
mandato o la norma, in quanto formula logica, non sia un atto razionale.
San Tommaso non discute circa la priorit della volont sulla ragione, ma so-
stiene che qualunque sia lincidenza della volont sullagire pratico, affinch esista la
legge necessario che la volont sia razionale. La volont legge quando aliqua ra-
tione regulata (corrispondenza della regola o norma al fine).

Fine: ad bonum commune


Sullargomento del fine, secondo elemento costitutivo della legge, san Tommaso
ritorna nellart. 2 della quaestio in esame.
Abbiamo detto che la regola della ragione pratica consiste nellordinamento al
fine. Primum principium della ragione pratica il finis ultimus, cio la humanae vitae
felicitas vel beatitudo, da ci deriva che la legge, in quanto espressione della ragione
pratica, deve avere come fine quellordine qui est in beatitudinem.
Poich la parte deve essere ordinata al tutto, cos come limperfetto al perfetto (un
uomo parte della comunit perfetta), necessario che la legge abbia come fine la
felicit comune, cio il bene comune. Se la communis felicitas, la beatitudo, consiste
nella visio Dei, Dio si presenterebbe come fine diretto della legge e la communitas per-
fecta sarebbe la comunit dei virtuosi, dei beati.
San Tommaso conclude, daltra parte, ricordando linsegnamento di Aristotele:
Perfecta communitas civitas est. Civitas designa lumana societ politica; lunico fine
della legge il bene comune della civitas, ossia un bene definito in termini politici
o civici, ma non Dio. In conclusione, nello stesso art. 2 il fine sarebbe sia luno sia
laltro: ovvero, il bene soprannaturale e il bene politico.
A parte questa contraddizione apparente, abbiamo a che fare con unaltra que-
stione: tutte le specie di legge avrebbero lo stesso fine immediato, che varia secondo
gli ordinamenti.
Nella q. 91, art. 5, san Tommaso distingue un bene sensibile e terreno da un
bene intelligente e celestiale, fini rispettivamente degli ordinamenti posti dallAntico
e dal Nuovo Testamento.
Egli ammette una profonda eterogeneit teleologica nellambito di una mede-
sima legge. Quando distinguer la legge umana dalla legge divina indicher lele-
mento di discriminazione precisamente nella diversit dei fini: quello della legge
umana la temporalis tranquillitas civitatis23; mentre la legge divina ha come fine la
felicitas aeterna24.

23
Sum. Theol., I-II, q. 98, art.1.
24
Sum. Theol., I-II, q. 98, art.1.

75
Mara Victoria Hernndez Rodrguez

A proposito della legge umana, osserver lAquinate che le norme individuali


possono mirare non tanto al bene di questo o di quel regime (q. 92, art. 1), ma anche
al bene comune ordinato secondo la giustizia divina. Egli ha voluto aggiungere que-
stapposizione perch essa fornisce, per se stessa, corpo alla distinzione tra i due tipi
di bene comune. Questo significa che lespressione bonum commune generica e,
pertanto, suscettibile di diverse specificazioni, sic vel aliter.
Infatti, san Tommaso nella q. 1, art. 9 delle Quaest. disp. de virtutibus in communi
osserva come ogni ente abbia il suo proprio bene:
Ipsius etiam hominis secundum diversas sui considerationes accipitur diversi-
mode bonum.

E distingue dunque il bene delluomo inquantum est homo da quello delluomo


inquantum est civis, e in questa seconda categoria distingue ulteriormente luomo in
quanto civis terrenae civitatis dalluomo in quanto particeps civitatis caelestis Hieru-
salem.
San Tommaso riconosce quindi una pluralit di fini a seconda delle diverse spe-
cie di legge. Bisogna escludere, perci, che egli abbia considerato come fine unico
delle diverse specie di legge sia il bene assoluto o soprannaturale, sia il bene parti-
colare ovvero quello della civitas.
Quanto al primo caso, si pu accettare che i termini communis felicitas, beatitudo
non siano stati presi nel loro specifico significato teologico, bens solamente in quello
generico, in quanto equivalenti di altra espressione egualmente generica: il bonum
commune.
Il fatto di escludere che il bonum commune sidentifica in se stesso e sempre con
il fine assoluto, e cio con Dio di modo che ogni legge avrebbe come fine diretto
Dio , priva il concetto stesso di quel valor assiologico che avrebbe certamente se
sidentificasse con Dio. Nel commento alla Politica, ne troviamo una conferma: il fine
delluomo e pertanto della comunit ci che sembra essere un bene, indipenden-
temente dal fatto che tale sia oggettivamente, cio in rapporto a Dio25.
Questa costatazione ci permette di capire meglio in che senso il bene comune sia
limite allazione legislativa del legislatore. Non nel senso che ci stabilisce un crite-
rio discriminatorio tra legge giusta e ingiusta (che sarebbe un criterio assiologico),
bens nel senso che stabilisce ci che veramente legge da quello che non lo . Que-
sto criterio, che ontologico, deriva formalmente dal fatto che il fine proprio del
tutto, cio della parte, indipendentemente che il fatto sia giusto o non in termini as-
soluti.

25
Sententia libri Politicorum I, 1, 10. Su questo commento di san Tommaso, cf. A. Martnez Lorca, com-
munitas liberorum. en torno a sententia librl politicorum de Tomas de Aquino, in Pensamiento 51 (1995)
199, 89-100.

76
La definizione di legge e il suo fine secondo san Tommaso dAquino

Come si vede, anche il secondo elemento della legge, il fine, individuato nel bene
comune, stabilito da san Tommaso in un senso puramente formale.
La dottrina esposta finora, secondo la quale esiste la legge quando una regola
diretta a un fine globale, permette di risolvere uno dei tradizionali problemi della
scienza giuridica, quello della generalit della legge. questo uno dei caratteri della
legge difesi pi tenacemente dai giuristi, ma viene smentito continuamente dalla re-
alt delle leggi con contenuto particolare.
Si pu ricordare a questo proposito come dietro a ci ci sia un giudizio di valore,
per cui si considera che la legge debba essere generale perch la giustizia richiede che
sia eguale per tutti, o un giudizio di fatto, poich si osserva che normalmente le leggi
hanno un carattere generale.
Al primo punto si pu osservare che la legge uguale per tutti solamente nel
senso che tutti debbono rispettare lordine da essa stabilito, ma non perch il suo pre-
cetto primario stabilisca per tutti la stessa cosa.
Quanto al secondo punto, il fatto che si tratti della rivelazione di un carattere non
assoluto bens accidentale, mette in dubbio il suo valore.
Il pensiero di san Tommaso circa quanto appena detto evita entrambi le diffi-
colt. Quando afferma che la legge deve tendere alla felicit comune, egli stabilisce
che il fine della legge e non il suo contenuto che deve essere generale.
Per raggiungere il bene comune possono essere necessarie le disposizioni di con-
tenuto particolare, che diventano leggi quando rispondono al requisito essenziale di
generalit del fine, ovvero quando pongono la legge nellorizzonte della societ.
Malgrado tutte distinzioni tra beni particolari e comuni, i due tipi di beni ri-
mangono indissolubilmente uniti; limplicazione del bene particolare in quello co-
mune stata affermata da san Tommaso:
qui quaerit bonum commune multitudinis, ex consequenti etiam quaerit bonum
suum26.

Fonti e destinatari: ab eo qui curam communitatis habet


Se il fine della legge il bene della comunit alla quale essa va rivolta, fonte e de-
stinatari della legge vanno individuati allinterno della suddetta comunit. questo
il compito che spetta allart. 3 della q. 90.
San Tommaso, dopo aver ricordato il principio stabilito in precedenza: lex pro-
prio, primo et principaliter respicit ordinem ad bonum commune, sottolinea che
ordinare aliquid in bonum commune est vel totius multitudinis, vel alicuis geren-
tis vicem totius multitudinis, poich ordinare in finem est eius cuius est proprius
ille finis.

26
Sum. Theol., II-II, q. 47, art. 10, ad 2.

77
Mara Victoria Hernndez Rodrguez

Fonte della norma ordinata al fine pu essere solamente chi titolare del fine, cio
la comunit stessa o un suo rappresentante. Si deve, dunque, ribadire la stretta in-
terdipendenza annunciata da san Tommaso tra legge e comunit, di modo che non
si pu dare la prima se non quando la norma indirizzata al bene comune sia posta
dalla seconda. Nessuna difficolt ad accettare quando si parla dellordine umano:
Ubi societas, ubi lex.
Il principio della socialit della legge, gi affermato a proposito del fine, trova la
sua piena conferma anche nel trattare della sua fonte. Tuttavia, anche in questo caso
il ragionamento tomistico non pare si possa applicare ad ogni specie di legge da lui
contemplata, ma soltanto alla legge umana. Come applicare questaffermazione o
elemento costitutivo della legge alla legge divina ed eterna? Nellad 2 egli afferma che
il potere di fare leggi spetta unicamente alla persona pubblica; nellad 3 reclama una
volta ancora lidentificazione aristotelica della communitas perfecta con la civitas.
Tutti questi termini sono applicabili solamente alla comunit umana e perci
alla legge umana che, indubbiamente, di nuovo il modello psicologicamente pi
presente in san Tommaso.
La societ presieduta da unautorit costituita, cos come la ragione presiede a
tutte le altre facolt, e come la ragione non pu presentare se non il bene come og-
getto appetibile, cos lufficio dellautorit di promuovere il bene tra i cittadini. Per
attuare questa funzione si serve delle leggi che costruisce, propone e impone per il
bene comune. Lefficacia delle leggi sta nella fonte dalla quale il legislatore la prende,
ovvero dalla lex aeterna di Dio, lordine impreso da Dio nella creazione e che luomo
capace di riconoscere con la propria ragione: la prima regola della ragione la legge
naturale insegna san Tommaso cos che ogni legge fatta dallautorit umana corri-
sponde al concetto di legge in quanto deriva dalla legge naturale; invece, se discordante in
qualche punto con la legge naturale, non sar legge bens corruzione della legge.
Nel testo si afferma che la comunit fonte della legge: perch? cos in realt?
Non sempre la comunit fonte di legge.
Anche nel piano umano, un successivo brano della Summa distingue due tipi di
societ: quella che pu dare a se stessa una legge; quella che non habet liberam po-
stestatem condendi sibi legem, vel legem a superiori potestate positam removendi27.
La realt empirica non offre sempre comunit dotate di potere legislativo. In con-
seguenza, lecito dubitare che san Tommaso abbia attribuito alla comunit il potere
di dare a s delle leggi.
Daltra parte, non si pu dire che secondo san Tommaso la comunit per essere
tale abbia necessit del potere di fare leggi (v.g. le comunit non libere).
Non resta, dunque, altra possibilit se non quella di affermare che la comunit
pu essere fonte di legge solamente in quanto titolare del fine.

27
Sum. Theol., II-II, q. 97, art. 3, ad 3.

78
La definizione di legge e il suo fine secondo san Tommaso dAquino

Nel respondeo troviamo il seguente sillogismo:


Ordinare al fine, cio legiferare, spetta a chi titolare del fine
la comunit titolare del fine
pertanto, alla comunit spetta legiferare.

Mentre a livello umano solamente la comunit titolare del fine comune, a li-
vello soprannaturale caratteristico delle comunit ordinate dalla lex aeterna e dalla
lex divina Dio non solo il titolare del fine, ma sidentifica con esso: pertanto,
fonte della legge.
Nella formula conclusiva dellart. 4 della q. 90 la fonte della legge si trova in
colui qui curam communitatis habet, espressione anche generica che comprende sia
il legislatore umano, che detiene il suo potere per delega della comunit, sia il legi-
slatore divino, nel quale il potere di legiferare immanente.
Volendo essere rigorosi, si dovrebbe affermare che fonte della legge il titolare del
fine. In questo modo, per, non si evidenzierebbe sufficientemente il carattere so-
ciale della legge a cui san Tommaso attribuisce grande importanza. Infatti, la co-
munit definita e delimitata, come abbiamo visto, dalla subordinazione ad un
unico fine comune; conseguentemente, essa non si riduce alla mera coesistenza, per-
ch al puro fatto naturalistico della coesistenza si aggiunge nella comunit lelemento
spirituale del fine.
Dal requisito della socialit si deduce implicitamente il quarto elemento della
legge: i destinatari, che sono precisamente i membri della comunit.
Il concetto di destinatario non implica un particolare contenuto; un requisito
formale che discende logicamente dal concetto di regola, la quale, per la sua stessa
necessit, deve essere regola di qualcuno o di qualcosa. Il requisito del destinatario,
anche se necessario affinch ci sia una legge, non comporta, dunque, una determi-
nazione concreta dei destinatari della medesima, i quali possono essere sia il mondo
delle cose materiali sia quello degli esseri animati, razionali o irrazionali, ognuno
nellambito dellassociazione che le propria e che la delimita.
Lappartenenza ad una data comunit ci che, caso per caso, serve per specifi-
care chi siano i membri della medesima e perci i destinatari della legge.

Forma: promulgata
Lart. 4 contiene lenunciato del quinto e ultimo requisito della legge: la sua
forma. Affinch esista, la legge deve essere promulgata.
Infatti, se la legge regula et mensura actuum necessario che sia applicabile a co-
loro che secundum eam regulari debent, cio ai destinatari della stessa. Affinch
ci sia possibile, necessario che la legge sia conosciuta da coloro che la debbono ri-
spettare, e da qui, conclude san Tommaso, promulgatio necessaria est ad hoc quod
lex habeat suam virtutem.

79
Mara Victoria Hernndez Rodrguez

Se il termine promulgatio appare strettamente vincolato ad un linguaggio tecnico


giuridico (nel sed contra a favore della necessit della promulgazione colloca un testo
del Decretum Gratiani28)29, non c dubbio che qui bisogna intenderlo nel suo senso
pi generale.
Promulgare una legge significa in questo contesto semplicemente manifestarla ai
suoi destinatari.
Orbene, se questa necessit comune ad ogni legge, pu essere soddisfatta in
modo diversi, secondo le varie specie di legge. In questo modo, la legge umana viene
promulgata attraverso un documento scritto o mediante un comportamento (con-
suetudo); la legge divina stata promulgata direttamente da Dio, mentre quella na-
turale, cos precisa lad 1, inscritta da Dio nella mente delluomo, il quale la conosce
naturaliter, in altre parole promulgata attraverso una impressio divini luminis in
nobis30. Anche la promulgazione , quindi, intesa in senso formale.

In sintesi, possiamo dire che nella q. 90, art. 4 san Tommaso d una definizione
completa di legge perch contiene tutti gli elementi necessari: essenza o causa formale
lordinazione della ragione; il fine o causa finale: il bene comune; la causa effi-
ciente: lautorit responsabile della comunit; elemento necessario per lapplicazione
della legge la sua promulgazione. Questa nozione si applica alla legge umana po-
sitiva proporzionalmente, ma vale anche per la legge naturale ed eterna.
Dai giuristi romani e da santIsidoro, san Tommaso riassume la causa efficiente
e la causa finale. Dai primi, le fonti si trovano, in concreto, nelle Pandette e nelle In-
stitutiones: dalla comunit promana la legge e concerne il bene comune o generale,
elemento questultimo preso dalle Etimologiarum. Di Graziano, invece, ricorda lele-
mento della promulgazione, mentre che lordinatio rationis (opera propria della ra-
gione), ovvero lessenza, trova la sua fonte nellanalisi di Aristotele sulla legge civile
e in quello di santAgostino sulla legge eterna.

28
Cf. il celebre dictum di Graziano nel suo Decreto: Leges instituuntur cum promulgatur, D. IV, can. 3.
29
Nel diritto romano promulgare una legge (dal latino promulgare, provulgare) aveva il significato di pro-
porre al popolo il suo progetto. I romani sceglievano i loro rappresentati e votavano inoltre le leggi che essi
davano; la votazione si faceva dopo essere stata proposta dal magistrato o per iniziativa dello stesso, a chi spet-
tava convocare i comizi legislativi. La proposta del progetto di legge si chiamava promulgazione della legge
(cos Cicerone: promulgare legem nella preghiera Pro lege Manilia, in Collezione di classici greci e latini [a cura
di G. Marra], Serie latina, Citt di Castello, 69). La proposta di legge si faceva durante tre mercati di seguito
affissandola in pubblico affinch tutti la potessero esaminare prima di approvarla o rifiutarla nei comizi; una
volta ottenuta la maggioranza dei suffragi comiziali, si pubblicava normalmente il risultato.
30
Sum. Theol., II-II, q. 91, art. 2.

80
La definizione di legge e il suo fine secondo san Tommaso dAquino

2. Bonum commune in san Tommaso

Nei nostri giorni, la categoria di bene comune chiaramente in crisi. Difficile


identificarlo nel piano concettuale, pi ancora difficile realizzarlo concretamente sia
dallazione politica che anche economica. A volte si pone perfino in discussione la
legittimit stessa della categoria di bene comune, sovente giudicata come postmo-
derna e pertanto parte di un orizzonte etico-sociale che non esiste pi; oppure la sua
medesima possibilit appare inverosimile allinterno di una realt sociale pesante-
mente marcata dallindividualismo, dalla complessit, dalla frammentariet. La ra-
dice di questa idiosincrasia verso il bene comune va cercata nel progressivo
impoverimento di significato che la categoria di bene comune ha conosciuto sin dal-
lepoca moderna. La modernit ha sottolineato certamente aspetti importanti del
bene comune (sostanzialmente i diritti delluomo31) perdendo, tuttavia, di vista la
cornice di fondo (metafisica, ontologica: il principio la persona), cos ben sviluppata
dalla tradizione classica greco-cristiana. dunque necessario ritrovare lispirazione
originaria del bene comune.
Non facile definire il bene comune; diverse sono le opinioni e le sentenze degli
autori, soprattutto filosofi, che potrebbero essere sintetizzate in questi punti:
bene comune come risultato della somma materiale dei beni di ogni membro
della societ: concezione atomistica;
bene comune in quanto ente a s, proprio della societ e indipendente dal bene
degli individui singoli: concezione totalitaristica.
Per una riflessione sul bene comune, pu esserci di aiuto il magistrale insegna-
mento di san Tommaso dAquino32.

31
Ma la stessa idea diritti umani idea di cui si abusa nei nostri giorni non potr mai avere una pre-
gnanza sufficiente se non riposer sul diritto naturale, che garantisce quei diritti dei soggetti umani che prin-
cipalmente si esplicitano come diritto alla vita, a formare una famiglia, alla libert religiosa, a dare e ricevere
uneducazione, ad associarsi e a partecipare alla stessa vita della comunit. Ecco perch compito del legisla-
tore deve essere quello di individuare nelle varie situazioni storiche ci che giusto nel concreto, avendo come
riferimento il diritto naturale, che anteriore alla sua stessa volont, cf. Cultura&Identit II (2010) 7, 30.
32
La concezione tomistica di bene comune stata genialmente ripresa e sviluppata soprattutto da Jacques
Maritain nella sua opera politica pi matura, cio The Man and the State, University of Chicago Press, Chi-
cago 1951. Il bene comune non soltanto la somma delle utilit e dei servizi che lorganizzazione della vita
comune presuppone, come un sano regime fiscale, una forza militare di una sufficiente potenza, il complesso
delle giuste leggi, dei buoni costumi e delle sagge istituzioni che conferiscono una sua struttura alla societ po-
litica, il retaggio delle sue grandi memorie storiche, dei suoi simboli e delle sue glorie, delle sue vive tradizioni
e dei suoi tesori culturali. Il bene comune implica altres lintegrazione sociologica di tutto ci che vi di co-
scienza civica, di virt politiche e di senso della legge e della libert, di attivit, di prosperit materiale e di ric-
chezze spirituali, di sapienza ereditata inconsciamente operante, di rettitudine morale, di giustizia, di amicizia,
di felicit, di virt e di eroismo nella vita individuale dei membri del corpo politico, nella misura in cui tutte
queste cose sono, in un certo modo, comunicabili e fanno ritorno a ciascun membro, aiutandolo a perfezio-
nare la propria vita e la propria libert di persona, e costituiscono nel loro complesso la vita buona della mol-
titudine: Luomo e lo stato, Marietti, Genova-Milano 20033, 16-17. Sullargomento si pu leggere anche E.
Berti, Il concetto di bene comune di fronte alla sfida del terzo millennio. Doctor Communis. Nova Series 4/1-2

81
Mara Victoria Hernndez Rodrguez

Nella definizione di legge che abbiamo esaminato precedentemente, due carat-


teristiche meritano una considerazione particolare.
1) La razionalit della legge. La legge unordinazione della ragione, opera della
ragione, appartiene allordine della ragione (art. 1). Perch? Perch una regola, una
direttiva dellagire umano in ordine al fine delluomo. Pertanto, per dirigere i mezzi
(le azioni umane) al fine delluomo occorre conoscere il fine, la relazione dei mezzi
al fine di modo che vengano scelti i pi adatti e si stabilisca il migliore piano di
azione. Questo compito proprio della ragione.
Il fine la causa primordiale nellordine pratico. Il fine d la ragion dessere ad
ogni azione delluomo; la ragione, in quanto conosce il fine, regola di ogni suo
agire; la ragione la regola generale dellagire umano; la legge una regola determi-
nata, e appartiene perci alla ragione.
2) Luniversalit della legge. Il suo carattere sociale, comunitario, le deriva dal
fine al quale ordinata e che san Tommaso chiama bonum commune. Per bene co-
mune si intende un bene al quale partecipano molti; conseguentemente, il bene del
tutto e non di una sola parte; il bene della comunit e non di un individuo o di una
sola classe; il bene che rappresenta la perfezione specifica delluomo e non linteresse
particolare dellindividuo. San Tommaso rifiuta lidentificazione totale del bene co-
mune con il bene particolare dei singoli in quanto i due ordini di bene (comune e
particolare) differiscono fra loro per qualit e non soltanto sotto il profilo quantita-
tivo33. La ragione di questa differenza qualitativa sta nel fatto che il bene infatti si
identifica con la perfezione che pienezza dellessere34 e senza lausilio della societ
luomo non pu compiutamente realizzare la sua umanit, cio quella pienezza fi-
sica morale e spirituale che necessaria per raggiungere il suo fine ultimo. Per que-
sta ragione si pu affermare che il bene comune superiore (o divinius, come afferma
incisivamente san Tommaso) al semplice bene particolare. Il bene comune sempre
preferibile anche perch, senza di esso, non si pu parlare correttamente del bene par-
ticolare dei singoli che, per essere veramente tale, deve essere ordinato e deve parte-
cipare al bene comune. In conclusione, la ragione profonda della supremazia del
bene comune sta quindi nella sua natura di sovrabbondanza; esso diffusivum sui:
la comunicabilit la ragione della sua eccellenza35.

(2004): Atti del Congresso Tomista Internazionale Lumanesimo cristiano nel III Millennio. La prospettiva di
Tommaso dAquino (Roma, 21-25 settembre 2003), 145-163. Sul primato del bene comune i testi tomistici
sono innumerevoli, per esempio: III Sent. d. 35, q. 1, art. 3; IV Sent. d. 2, q. 1, art. 3; d. 19, q. 2, art.1, ad 6
m; d. 26, q. 1, art. 2; Sum. contra gent., III, 125, 146; DRP I, 9; In 5 Eth. Lectio II (n. 910) I Poi. Lectio I
(n. 39); Sum. Theol., II-II q. 26, art. 4, ad 3; Sum. Theol., II-II, q. 40, art. 4; etc.
33
Cf. Summ. Theol., I, q. 5 art. 3; q. 48, art. 5, ad. 6.
34
Cf. Summ. Theol., I, q. 5 art. 3; q. 48, art. 5, ad. 6.
35
Cf. VI Metaf., Lectio IV; I Eth., Lectio III (n. 30). Su questo punto cf. anche C. De Koninck, De la
primaut du bien commun contre les personalistes, Quebec 1943. Di posizione diversa invece J. Maritain, Per-
sona e bene comune, Morcelliana, Brescia 1973.

82
La definizione di legge e il suo fine secondo san Tommaso dAquino

Come quella di legge, anche la nozione di bene comune analogica, cos che il
suo significato varia e viene determinato secondo un piano reale nel quale va consi-
derato, e secondo il genere di legge in funzione della quale definito.
Se si tratta di una legge eterna, il bene comune un bene universale al quale par-
tecipano tutti gli esseri: Dio stesso, fine ultimo di ogni cosa, in quanto ogni cosa
partecipa e imita la sua perfezione e la bont infinita. Se riguarda invece la legge na-
turale, il bene comune un bene specificamente umano, a cui partecipa ogni uomo:
ed Dio, fine ultimo della vita umana, nella cui conoscenza e nel cui amore consi-
ste la nostra felicit e perfezione. Se si tratta, viceversa, della legge civile o positiva,
il bene comune un bene politico-sociale, il bene cio della comunit politica (o
Stato), a cui ogni cittadino ha diritto di partecipare. Questo bene consiste nellunit,
nellordine, nella prosperit e nella pace della societ politica, necessaria affinch i cit-
tadini che la compongono possano raggiungere il loro fine in quanto uomini.
In questo modo, san Tommaso integra la visione aristotelica di bene comune36.
Il bene comune, in quanto fine della legge, la sua ragion dessere. Esso deve
pertanto animare ogni ordinamento legislativo; ogni forma o precetto che non sia or-
dinato al bene comune non ha ragion di legge. La definizione di legge data dallari-
stotelismo scolastico pone il bonum commune come fine ultimo dellordine giuridico.
Da ci deriva il grande valore e la grande importanza che la filosofia aristotelica con-
cede alla determinazione del concetto di bonum commune, prescindendo dal quale
le nozioni di diritto e di legge rimangono come nozioni senza un contenuto ogget-
tivo, universale. La nozione di bene comune segna quindi anche il limite dei poteri
dello Stato per quanto concerne la sua incidenza nella sfera privata dei singoli. Lo
Stato che interferisce con i diritti naturali dei singoli, infatti, viola il bene comune
ed destinato a perdere la sua legittimit37.
La filosofia del diritto ha cercato o nella giustizia o nella sicurezza o nella libert
il fine non solo della norma, ma anche dellordinamento giuridico in generale. Am-
mettere che non c diritto senza giustizia e che il diritto garanzia di sicurezza e
di libert non porta ad escludere che loggetto finale dellordine giuridico sia il bene
comune. Il bene comune, oltre ad essere una categoria etica, anche una categoria
logica.
Nel pensiero di san Tommaso, la dottrina politica intesa come oggettivit della
morale stessa in armonia con la metafisica e la teologia. La societ, per san Tom-
maso, un fattore indispensabile affinch lindividuo raggiunga la sua completezza;
perci Aristotele aveva insegnato giustamente che luomo socievole per natura.

36
Si vedano ad es. In decem libros Ethicorum Aristotelis ad Nicomachum expositio, Marietti, Torino-Roma
1949, I, lectio I, 4. In octo libros Politicorum Aristotelis expositio, Marietti, Torino-Roma 1966, proemium, 4;
I, lectio I, 11.31.
37
Sul tema dello Stato, e sui suoi limiti, cf. G. Ambrosetti, Lessenza dello Stato, Studium, Roma 1972.

83
Mara Victoria Hernndez Rodrguez

Lattivit individuale si riversa sullintera comunit della quale forma parte; ma il


valore della societ subordinato a quello della persona umana, poich la stessa so-
ciet non si pu concepire se non come valore necessario per il bene degli individui.
Bene non sinonimo di un bene egoista e particolare di questo o di quellindividuo,
di questa o di quella categoria, bens un bene-fine, cio il fine a cui ognuno tende;
in questo senso, san Tommaso lo chiama bonum commune.
Nella Chiesa, bene comune e legge naturale sono presenti costantemente e ab-
bondantemente nella sua legislazione. Legge naturale come fonte, bene comune
come fine, senza che la salus animarum (can. 1752), fine supremo della Chiesa, si
trovi in opposizione al bene comune, anzi piuttosto si d una correlazione e una re-
ciprocit poich tra bene comune e bene della persona esiste uno stretto vincolo e
una concatenazione logica.
Bene comune quel bene sociale che favorisce i fini della persona umana38. Il bene
comune ha la caratteristica di essere un bene proprio di diverse societ, che sono di
ordine e di grado differente e al tempo stesso un bene finale della persona. Il bene co-
mune, pur avendo carattere sociale in quanto postula una cospirazione della volont,
, tuttavia, relativo alluomo, subordinato alluomo perch, anche se si realizza in co-
munit, non si realizza direttamente per la comunit bens per la persona.
Tutte le societ hanno il fine di aiutare luomo a raggiungere il suo bene, perci
il bene della persona (non quello dellindividuo che muore) rappresenta una costante
qualitativamente superiore a quella dei vari beni comuni, anzi, la stessa gerarchia dei
beni comuni ha valore nel valore persona e in questa ha un criterio di classifica-
zione. Sar cos supremo il bene comune che maggiormente aiuta la persona a rag-
giungere il suo fine, fine che va al di l del bene comune.
La relazione tra persona e bene comune affermata da san Tommaso in due prin-
cipi fondamentali: 1) qualibet persona singularis comparatur ad totam communitatem
sicut pars ad totum39, e 2) homo non ordinatur ad communitatem politicam secundum
se totum et secundum omnia sunt40.
Questi due principi fissano la relazione delluomo con il bene comune, con la
communitas.
Nel primo principio si afferma la subordinazione della persona individuale, sin-
golare, al tutto41. Questo primo principio deve essere integrato dal secondo perch

38
La nozione tomistica di bene comune esclude la possibilit di una sua identificazione con il mero bene
privato (o con la somma dei beni privati) dal momento che il bene privato non pu essere fine della societ
(in quanto tale, in quanto cio non subordinato al bene comune) perch, in tal caso, si produrrebbe una ne-
gativa confusione della sfera privata dei singoli con la sfera familiare e la sfera sociale, derivando da ci la sop-
pressione della libert naturale e moralmente lecita dei singoli e dei gruppi.
39
Sum. Theol., II-II, q. 64, art. 2.
40
Sum. Theol., II-II, q. 21, art. 4.
41
Cf. J. Maritain, Humanisme integrale, Paris 1936, 147.

84
La definizione di legge e il suo fine secondo san Tommaso dAquino

solo cos si ottiene un senso completo. Se luomo parte della societ ( qualcosa di
particolare rispetto al bene comune), non lo , tuttavia, secundum se totum, perch
il valore personale supera la specifica subordinazione alla societ. La persona per-
sona precisamente perch non semplice parte di un tutto sociale, viceversa sarebbe
individualit. Luomo, precisamente perch al tempo stesso un bene particolare e
un supremo bene universale, si trova in uno stato di tensione spirituale. Le persone
sono parti di unopera sociale comune alla quale sono subordinate, e al tempo stesso
hanno una vocazione che supera il bene comune, che diventa strumento rispetto al
destino eterno della persona.
Affinch il bene comune possa essere considerato realizzato occorre che non abbia
alcun pregiudizio del bene della persona. Infatti, un canone dellordine etico quello
dellequivalenza dei valori indipendentemente dal fattore qualitativo: il diritto di un
uomo sacro quanto quello di un milione di uomini42.
Quando il bene comune inteso in questo modo, non ha gi senso listanza del
liberalismo individualistico che vede nel bene comune una minaccia al bene privato.
Questa preoccupazione del liberalismo individualistico sarebbe giustificata soltanto
se si intende il bene comune come la quantit maggiore che pu imporsi ad una
quantit minore. Tanto per le dottrine utilitaristiche quanto per le dottrine che ri-
solvono le relazioni sociali a mere relazioni di forza, il fattore quantit decisivo: per-
ci il malinteso bene comune considerato nemico del bene particolare, e nemico
pericoloso perch pi forte quantitativamente. La relazione tra persona e bene co-
mune deve per essere considerata come relazione tra due qualit. Da vari decenni
le leggi hanno relativizzato in molti Paesi la sua natura di cellula primordiale della so-
ciet. Spesso le leggi cercano pi di adattarsi ai costumi e alle rivendicazioni di par-
ticolari individui o gruppi, che non di promuovere il bene comune della societ43.

Il Concilio Vaticano II ha dato una definizione di bene comune nella dichiarazione


Dignitatis humanae44 e nella costituzione pastorale Gaudium et spes45, che richiama
linsegnamento di Giovanni XXIII proposto nelle encicliche Mater et magistra46 e

42
Cf. G. Del Vecchio, Saggi intorno allo Stato, Roma 1935, 117.
43
Benedetto XVI, Discorso, la prima volta, Alla Conferenza Episcopale francese, 14 settembre 2008,
in http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2008/september/documents/hf_ben-xvi_spe_
20080914_lourdes-vescovi_it.html.
44
Concilium Vaticanum II, Decl. Dignitatis humanae, De libertate religiosa, 7 decembris 1965, n. 6a:
Cum societatis commune bonum, quod es summa earum vitae socialis condicionum, quibus homines suam ipsorum
perfectionem possunt plenius atque expeditius consequi, maxime in humanae personae servatis iuribus et officiis con-
sistat, in AAS 58 (1966), 933.
45
Concilium Vaticanum II, Const. past. Gaudium et spes, De Ecclesia in mundo huius temporis, 7 de-
cembris 1965, n. 26a, in AAS 58 (1966), 1046.
46
Ioannes XXIII, Litt. Enc. Mater et magistra, De recentioribus rerum socialium processibus christiana prae-
cepta componendis, 15 maii 1961, II: Sed ad hos optatos exitus quo facilius pervehatur, debent qui publicae

85
Mara Victoria Hernndez Rodrguez

Pacem in terris47. Da questi testi si possono ricavare le seguenti caratteristiche del bene
comune:
lesigenza del rispetto dei diritti e doveri della persona umana, da cui si pu evi-
denziare la tendenza personalistica dellespressione conciliare;
lessere comune alla societ e agli individui contemporaneamente;
lessere distribuibile a tutti, per cui una nota caratteristica dello stesso bene
comune la comunicabilit;
si distingue non solo quantitativamente ma anche qualitativamente dal bene
degli individui che per la loro natura un bene singolare, individuale, tenendo pre-
senti le osservazioni gi evidenziate sul bene comune della Chiesa;
non radicalmente contrario al bene degli individui.
Per il Concilio Vaticano II il bene comune
[] bonum commune seu summam earum vitae socialis condicionum quae tum
coetibus, tum singularis membris permittunt ut propriam perfectionem plenius
atque expeditius consequantur48.

Nella Chiesa, il bene del fedele e del Popolo di Dio nella sua totalit si realizza
attraverso le leggi morali, che tendono pi al bene degli individui, e le leggi giuri-
diche, rivolte prevalentemente al bene societario; trova, tuttavia, la sua unit pro-
fonda nella suprema legge, la salvezza delle anime.
Il bene comune lessenza della legge, per cui la legge stessa perde il suo valore
e la sua efficacia giuridica nel momento in cui non lo perseguiti pi.49 Nel dubbio
se persegue effettivamente il bene comune, la legge deve essere osservata poich si
presume sempre che tenda verso il giusto e sia conforme alla giustizia; per superare
tale presunzione, intrinseca al concetto stesso di legge, si deve provare il contrario.
Rimangono nel caso due soluzioni possibili da parte del popolo di Dio e della co-
munit interessata: cio, chiedere al legislatore competente la revisione della legge
in questione; oppure iniziare consapevolmente e legittimamente una consuetudine
contraria.
Nella Octogesima adveniens, Paolo VI affermer che i progetti politici a cui un cri-
stiano pu aderire dovrebbero essere indirizzati a realizzare forme dirette ad otte-

rei praesunt compertam habere rectam de communi omnium bono notionem, quae summam compectitur earum
vitae socialis condicionum, quibus homines suam ipsorum perfectionem possint plenius atque expeditus consequi,
in AAS 53 (1961), 417.
47
Ioannes XXIII, litt. enc. Pacem in terris, De pace omnium gentium in veritate, iustitia, caritate, liber-
tate constituenda, 11 aprilis 1963, II: Verum cum hac nostra aetate commune bonum maxime in humanae per-
sonae servatis iuribus et officiis consistere putetur, in AAS 55 (1963), 273.
48
GS n. 26.
49
Se il bene comune lessenza della legge, questa deve poterlo raggiungere in modo stabile; si presenta
dunque il problema della perpetuit della legge secondo due termini possibili: perpetuit positiva, che sa-
rebbe uguale a irrevocabilit della legge, e perpetuit negativa, che equivarrebbe a durata indefinita della legge.

86
La definizione di legge e il suo fine secondo san Tommaso dAquino

nere il vero bene comune, compreso il fine spirituale delluomo50. Un bene comune
cercato e ottenuto nella comunit sociale che deve essere garanzia del bene personale,
familiare e associativo, secondo linsegnamento conciliare51.
Tra i principi fondamentali della dottrina sociale della Chiesa troviamo la dignit
della persona umana, nella quale trova fondamento qualsiasi altro principio e con-
tenuto della dottrina sociale52, pertanto il bene comune, la sussidiariet e la solida-
riet. Il bene comune della societ non un fine a se stesso: esso ha valore solamente
in riferimento allottenimento dei fini ultimi della persona e al bene comune uni-
versale dellintera creazione. Infatti, poich il bene comune non un qualcosa di
privato, ma precisamente comune e destinato a tutti, esso deve essere distribuito a
tutti i membri. Il suo fine principalmente morale implica la centralit della persona,
in vista del suo perfezionamento.

50
Paulus VI, Epist. apost. Octogessima adveniens, octogesimo expleto anno ab editis Litteris Encyclicis e
verbis appellatis Rerum Novarum, 21 aprilis 1971, n. 46, in AAS 63 (1971), 433-435.
51
GS, n. 32.
52
Ioannes XXIII, Mater et magistra, in AAS 53 (1961), 453.

87
N O T E
Roberto Fornaciari
MOMENTI, SISTEMI E FIGURE
DEL MONACHESIMO ITALIANO CONTEMPORANEO
Nota bibliografica per lo studio della storia del monachesimo in Italia
dallUnit nazionale ad oggi (1861-2012)

Lanniversario dei centocinquantanni dellUnit dItalia ha dato occasione a nu-


merose pubblicazioni inerenti la storia dellunificazione nazionale e dei successivi sviluppi
politici, sociali, economici e religiosi del nostro Paese. Tra essi non sono mancati alcuni
contributi alla storia del cristianesimo italiano di cui il principale Cristiani dItalia, grande
opera edita dallIstituto dellEnciclopedia Italiana a cui ha partecipato oltre un centinaio di
autori. Lopera, in due volumi, dedicata alla ricostruzione storica e al dibattito storiogra-
fico non solo del processo di unificazione nazionale, ma anche agli sviluppi successivi della
storia italiana, con uno sguardo ampio e approfondito ai rapporti tra Chiese, societ e Stato
e al modo in cui lesperienza cristiana ha agito nella realt storica italiana. In essa ha tro-
vato spazio anche un saggio sulla storia del monachesimo italiano degli ultimi centocin-
quantanni che ha dato occasione a una vasta ricognizione bibliografica1.
Partendo da essa e da altri recenti studi questa nota vuole offrire una bibliografia ragio-
nata e aggiornata non solo sugli sviluppi istituzionali, ma anche sui principali personaggi che
hanno arricchito il mondo monastico italiano contemporaneo.

In margine alla produzione storiografica recente


Pur essendo vero che negli ultimi cinquantanni il fenomeno monastico a livello interna-
zionale divenuto tema di ricerca in chiave comparata della storia delle religioni2, e che a par-
tire dagli anni Settanta ha conosciuto un dsenclavement che ha permesso di affrontarlo con
un approccio storico e integrato con le altre scienze umane3, nel tracciare un bilancio della
storiografia monastica italiana relativa al periodo che va dallUnit nazionale ad oggi non po-
tremmo che fare i conti con una bibliografia quantitativamente ridotta ed eterogenea che
solo occasionalmente ha assunto una prospettiva interdisciplinare e lascia ancora molte que-
stioni ai margini della ricerca4.

1
R. Fornaciari, Di fronte alle prime esortazioni della Chiesa a rinnovarci. Levoluzione istituzionale del mo-
nachesimo dallUnit ai giorni nostri, in Cristiani dItalia. Chiese, societ, Stato, 1861-2011, vol. II, Roma 2011,
911-927.
2
Si possono citare P. Hnigsheim, Mnchtum, in Religion im Geschichte und Gegenwart, 4 (1960),
1070-1072; G. Laczkowski, Mnchtum, in Lexicon ft Theologie und Kirche 8 (1962), 544; J. Leclercq,
Le monachisme comme phnomne mondial, in Le Supplement 26-27 (1973-1974), 461-478 e 93-119.
3
R.M. Parrinello, Monachesimo cristiano, in Dizionario del sapere storico-religioso del Novecento, a cura di
A. Melloni, vol. II, Bologna 2011, 1078.
4
V. Cattana, Storiografia ed erudizione monastica tra Otto e Novecento, in Il monachesimo in Italia tra Vati-
cano I e Vaticano II, Atti del III Convegno di studi storici sullItalia benedettina (Badia di Cava dei Tirreni 3-5,

91
N O T E

Considerando il limitato numero dei lavori prodotti, si pu affermare che il mona-


chesimo contemporaneo non ha stimolato lattenzione non solo della ricerca accademica,
ma anche degli storici ecclesiastici. Le ragioni di questa scarsa produzione sono varie, a co-
minciare dalla vicinanza cronologica e conseguente frammentaria disponibilit della do-
cumentazione archivistica che impedisce le ricerche approfondite. Anche la storiografia
religiosa poco si cura delle vicende del monachesimo, che in epoca contemporanea non ap-
paiono pi un fattore determinante nella storia della Chiesa e dellEuropa come accaduto
in altre epoche. Ancora nellanno 2000, nella relazione di apertura a un convegno dedi-
cato alla storiografia monastica europea, Gregorio Penco asseriva che nellepoca contem-
poranea il filone monastico appare dimportanza secondaria, trascurato quasi del tutto
anche dagli specialisti5. Con ci confermava quanto aveva affermato alcuni anni prima
durante un convegno del Centro storico benedettino italiano, che prosegue la grande tra-
dizione della storia istituzionale monastica interna, prevalentemente scritta da monaci6.
Un analogo disinteresse si registra anche tra gli studiosi di sociologia religiosa: il feno-
meno considerato quantitativamente limitato e non esaminabile in base ai criteri ordina-
riamente usati7. Anche Rosa Maria Parrinello valuta che relativamente agli studi per let
contemporanea non vi molto8. Leremitismo che pur in forte crisi conobbe un rinnova-
mento, una vera e propria esplosione negli anni Quaranta dellOttocento9, in questi ultimi
anni sta riscuotendo un nuovo interesse: sono comparse alcune indagini sociologiche riguar-
danti le nuove forme di vita monastica e la presenza eremitica in Italia che offrono a questo
proposito un primo materiale di studio10. Osserva in merito la Parrinello: Per il monache-
simo contemporaneo sono gli studi sociologici pi che non il lavoro degli storici a essere
daiuto: i sociologi si concentrano sul fenomeno delleremitismo, in quanto terreno per esa-
minare il paradigma weberiano della fuga dal mondo, latteggiamento contemplativo che di-
sprezza la realt creaturale per volgersi alla divinit11.
Nella seconda met del Novecento necessario registrare un calo di interesse nei con-
fronti della propria storia anche allinterno delle congregazioni monastiche, a differenza di
quanto avveniva agli inizi del secolo12. In questo ambito per, negli ultimi tre decenni, si as-

settembre 1992), a cura di F.G.B. Trolese, Cesena 1995, 473. Di seguito citato: Il monachesimo in Italia. Diverso
pu essere il discorso sulla storiografia monastica italiana che si occupata delle epoche precedenti, a questo ri-
guardo G. Penco, La storiografia monastica italiana negli ultimi trentanni, in Benedictina 46 (1999), 445-478.
5
Cf. G. Penco, La storiografia monastica italiana tra aspetti istituzionali e indirizzi culturali, in Dove va la
storiografia monastica in Europa?, Atti del Convegno internazionale (Brescia-Rodengo, 23-25 marzo 2000), a
cura di G. Andenna, Milano 2001, 21.
6
Va subito rilevato quello che uno dei caratteri fondamentali della vita monastica nellet contempo-
ranea in confronto di quella di altre epoche, e cio lessere diventata (dal punto di vista esterno) una compo-
nente piuttosto secondaria della vita della Chiesa al punto che la sua pu essere definita una sorta di
microstoria, limitata per lo pi allinterno delle vicende domestiche: G. Penco, La vita monastica in Italia dal
Vaticano I al Vaticano II, in Il monachesimo in Italia, 2.
7
Penco, La vita monastica in Italia, 3.
8
Parrinello, Monachesimo cristiano, 1109.
9
Cf. Parrinello, Monachesimo cristiano, 1109; G. Penco, Note sulla vita eremitica in Italia nellOttocento,
in Studia Monastica 12 (1970), 311-315; F. Ferrero, s.v. Eremitismo individuale in Occidente (dal sec. XV),
in Dizionario degli Istituti di perfezione, III, Roma 1976, 1245-1258.
10
Sugli eremiti dellItalia centrosettentrionale vedi I. Turina, Esperienze eremitiche nellItalia contempora-
nea. Valutazione di unindagine sociologica, in Sanctorum 3 (2006), 165-180; ID., I nuovi eremiti. La fuga
mundi nellItalia di oggi, Milano 2007.
11
Parrinello, Monachesimo cristiano, 1110.
12
Cf. ad es. G. Penco, Tra due riviste benedettine: la storiografia monastica italiana nel ventennio 1927-1947,
in Benedictina 51 (2004), 151-179.

92
Roberto Fornaciari | Nota bibliografica per lo studio della storia del monachesimo

siste a una nuova inversione di tendenza come mostrano le attivit intraprese dal Centro sto-
rico benedettino italiano, dal Centro di studi avellaniti13 e da singole congregazioni che hanno
riscoperto un nuovo interesse per la propria storia, come la vallombrosana e la camaldolese,
rivolto per prevalentemente allepoca medioevale e rinascimentale, i cui lavori si affiancano
agli studi di cultori di storia locale ai quali era ormai demandata la materia.
Ne deriva che molti temi, specie quelli pi generali, di intersezione tra il mondo mona-
stico e il resto della societ rischiano di rimanere un po in ombra, perch ancora non sono
stati oggetto di unindagine approfondita. Si pu usufruire di opere riguardanti la soppressione
dei monasteri in et napoleonica e gli effetti della Restaurazione ma limitatamente ad alcune
regioni, come anche di repertori regionali14 e monografie su singoli monasteri o biografie re-
lative a singoli personaggi o a serie di abati, spesso per condotte con criteri pi agiografici
che storico-scientifici, come pure non mancano edizioni di opere appartenenti alla memo-
rialistica. Osservava ancora Penco che quasi nulla comparso per ci che riguarda la perio-
dizzazione, la cultura monastica, la letteratura, larte, la spiritualit, ossia proprio quel tessuto
connettivo che unisce ambienti e movimenti al di l delle diverse epoche e appartenenze geo-
grafiche e istituzionali15.
Anche riguardo a un argomento specifico come la prima guerra mondiale, malgrado una
vastissima bibliografia in cui sono presenti alcuni studi che trattano della posizione assunta
dal clero e alcuni altri relativi ai cappellani militari e ai cosiddetti preti-soldati, sono invece
carenti se non completamente assenti studi specifici sulle congregazioni religiose. Mancano
ancora studi di genere che considerino lesperienza religiosa femminile a parte quelli di Gian-
carlo Rocca sulle congregazioni femminili16.
La storiografia recente ci ha portati a valutare come sia spesso molto significativo vagliare
attentamente un particolare che fa parte di un pi vasto sistema per vedervi riflesso come
in un microcosmo lintero orizzonte entro cui esso si colloca. Un simile sguardo non risulta
estraneo agli interessi attuali della storiografia verso la contemporaneit o, addirittura, verso
la storia attuale e immediata, aiutando a cogliere meglio i rapporti tra passato prossimo e pre-
sente e riproponendo, quasi in maniera palpabile, la possibilit di una verifica di concetti sto-
riografici come continuit, crisi, rinascita, riforma, restaurazione, vecchio e
nuovo monachesimo che cos frequentemente sono applicati ai diversi periodi della storia
medioevale17.
Estremamente scarso appare il numero delle opere di sintesi riguardanti la storia degli or-
dini o delle singole congregazioni presenti in Italia. Daltronde non si pu fare a meno di ri-
levare come la storiografia monastica sia per sua natura storiografia di singoli monasteri, anche
se ci fa molta fatica ad essere recepito [] e questo comporta di per s uninevitabile fram-

13
Al Centro di studi, fondato nel 1974 al Monastero di Fonte Avellana dal card. Pietro Palazzini e da don
Ramiro Merloni, si deve la pubblicazione di sette volumi di carte di Fonte Avellana, di una piccola serie di opere
monografiche oltre che degli atti di una lunga seie di convegni, di cui il primo celebrato nel 1977. Cf. L.
Ricci, Il pellegrinaggio del Cardinale Pietro, in Monachesimo e vita religiosa. Rinnovamento e storia tra i secoli XIX-
XX, Atti del XXII Convegno del Centro Studi Avellaniti, S Pietro in Cariano (VR) 2002, 271-283.
14
Ad es.: G. Spinelli (a cura di), I monasteri benedettini della diocesi di Bergamo. Repertorio, Cesena 1976;
P. Zavotto, Il monachesimo benedettino del Friuli. Introduzione e repertorio, Quarto dAltino 1977; G. Picasso
(a cura di), Monasteri benedettini in Lombardia, (Fontes Ambrosiani 65), Milano 1980; G. Spinelli (a cura di),
Monasteri benedettini in Emilia Romagna, Milano 1980.
15
Penco, La storiografia monastica italiana, 19.
16
G. Rocca, La storiografia italiana sulla congregazione religiosa, in Religiose, religiosi, economia e societ nel-
lItalia contemporanea, a cura di G. Gregorini, Milano 2008, 29-101; Id., Le religiose italiane, in Cristiani
dItalia. Chiese, societ, Stato, 1861-2011, Roma 2011, 959-973.
17
Rocca, La storiografia italiana sulla congregazione religiosa, 21-22.

93
N O T E

mentazione del discorso18. Per una visione generale fino allo scorso anno occorreva rifarsi an-
cora al secondo volume della Storia del monachesimo in Italia di Gregorio Penco, che risale per
al 1968, la cui lettura pu essere integrata dagli atti del gi citato terzo convegno di studi sto-
rici sullItalia benedettina19. Dal maggio del 2011 possiamo fare riferimento alla Storia del
monachesimo occidentale dal medioevo allet contemporanea. Il carisma di san Benedetto tra VI
e XX secolo, data alle stampe da Mariano DellOmo dellAbbazia di Montecassino. Si tratta di
una nuova sintesi, condotta con metodo scientifico, della storia dellesperienza monastica be-
nedettina dalle origini fino ad oggi. Solo per la Congregazione sublacense, facilitata dal fatto
di essere lultima nata, esiste unopera di sintesi che copre buona parte del segmento tempo-
rale oggetto di questo studio.
In questa situazione, oltre che a singole monografie, occorre riferirsi agli articoli comparsi
in diverse riviste, in particolare sulla Rivista storica benedettina (1906-1926) e dal 1947 su
Benedictina.
Si attende la pubblicazione degli atti del convegno che si tenuto a Subiaco dal 4 al 6 ot-
tobre 2011 in occasione del bicentenario della nascita dellabate Pietro Casaretto e per il 150
anniversario di fondazione del Collegio internazionale missionario di S. Ambrogio in Roma
(1861).

La bibliografia, dopo lelencazione di alcune opere di sintesi, si divide in tre sezioni o


parti: storia istituzionale per periodi cronologici, per gruppi monastici o di persone e figure
emergenti. La prima sezione a sua volta suddivisa in sottosezioni temporali allinizio delle
quali viene proposto un elenco di argomenti che non ha la pretesa di essere esaustivo dei prin-
cipali eventi accorsi. Si cercato di mantenere un ordine di presentazione dal generale al par-
ticolare. Il carattere storiografico della rassegna non ci impedisce in alcuni casi di soffermarci
su contributi di carattere erudito quando, specie per i centri monastici minori, non esiste
altra letteratura. A loro riguardo, occorre tenere presente che spesso lambito strettamente lo-
cale di questi studi solo indirettamente consente di ottenere una visione rinnovata ed appro-
fondita della storia del monachesimo. Fondamentalmente queste pagine si occupano di
monachesimo italiano, senza escludere alcuni riferimenti a persone o istituti stranieri quando
questi abbiano una connessione diretta con realt italiane, il caso dei fondatori usciti da
S. Paolo f.l.m. (Guranger, fratelli Wolter). Eccezionalmente sono stati inseriti studi anteriori
al 1960 la cui menzione stata ritenuta importante.
Citazione successive di singoli contributi dei volumi elencati tra le opere di sintesi ri-
porteranno nome dellautore, titolo, in n., seguito dal numero dellopera, numero delle pa-
gine.

18
G. Spinelli, Il monachesimo nella vita della Chiesa e nellesperienza spirituale degli ultimi due secoli, in Mo-
nachesimo e vita religiosa, 85.
19
Il monachesimo in Italia. Prezioso ma ormai datato P. Lugano (a cura di), LItalia benedettina, Roma
1929.

94
Roberto Fornaciari | Nota bibliografica per lo studio della storia del monachesimo

Evoluzione istituzionale del monachesimo italiano


dallUnit ai nostri giorni

Opere di sintesi
I testi ai numeri 1-4 non verrano nuovamente citati nelle sottosezioni.

1. G. Penco, Storia del monachesimo in Italia nellepoca moderna, Roma 1968.


2. M. DellOmo, Storia del monachesimo occidentale dal Medioevo allet contemporanea. Il ca-
risma di san Benedetto tra VI e XX secolo, Jaca Book, Milano 2011.
La pi recente presentazione sintetica della storia del monachesimo benedettino. Al ter-
mine di ogni capitolo presentata una bibliografia sul tema trattato. Corrispondono al pe-
riodo in esame: Cap. XVI: LOttocento, un secolo di vita monastica tra soppressioni,
restaurazioni e nuove fondazioni. Cap. XVII: Nascita della Confederazione benedettina.
Un nuovo consolidamento del monachesimo tra XIX e XX secolo. Cap. XVIII: Diffusione
globale del monachesimo benedettino nel XX secolo.
3. L.J. Lekai, I cistercensi. Ideali e realt, Certosa di Pavia 1989 [orig. The Cistercians. Ideals
and Reality, USA 1977].
4. G. Lunardi, La Congregazione sublacense O.S.B, vol. I (1810-1878), vol. II (1878-1972),
Noci (Bari), 2003-2005.
Sintesi della storia della Congregazione cassinese della primitiva osservanza o sublacense;
rappresenta lunica opera recente di questo genere in Italia.

Alcuni convegni e miscellanee hanno offerto importanti contributi:

5. Il monachesimo italiano dalle riforme illuministiche allUnit nazionale (1768-1870), Atti


del II Convegno di studi sullItalia benedettina (Abbazia di Rodengo, 6-9 settembre
1989), a cura di F.G.B. Trolese (Italia benedettina 11), Cesena 1992.
6. Il monachesimo in Italia tra Vaticano I e Vaticano II. Atti del III Convegno di studi storici
sullItalia benedettina (Badia di Cava dei Tirreni, 3-5 settembre 1992), a cura di F.G.B.
Trolese (Italia benedettina 15), Cesena 1995.
7. Monachesimo e vita religiosa. Rinnovamento e storia tra i secoli XIX-XX, Atti del XXII Con-
vegno del Centro Studi Avellaniti, Negarine di S. Pietro in Cariano (VR) 2002.
8. Il monachesimo nelle Marche. Atti del XLII Convegno di Studi Maceratesi (Abbadia di
Fiastra, 18-19 novembre 2006) (Studi maceratesi 42), Macerata 2008.
9. Spes una in Reditu. Miscellanea di studi nel centenario della ripresa della vita monastica
a Praglia 1904-2004, a cura di F.G.B. Trolese (Italia benedettina 26), Cesena 2006.
Voci in dizionari e opere enciclopediche:

10. E. Zaramella, Benedettini, in Dizionario degli Istituti di perfezione, I, Roma 1974, 1284-
1346, in particolare 1325-1346.20

20
Il Dizionario degli Istituti di perfezione (DIP), diretto prima da Guerrino Pelliccia (1962-1968) in se-
guito da Giancarlo Rocca (1969-2003), composto da dieci volumi editi dalle Edizioni Paoline di Roma tra il
1974 e il 2003, presenta numerosissime voci concernenti direttamente il monachesimo e non sono da tra-
scurarsi le molte altre in cui si possono rintracciare riferimenti ad esso; non quindi possibile la menzione di
tutte queste voci, nel presente lavoro verranno richiamate le principali e quelle che possono rivestire un par-
ticolare interesse.

95
N O T E

11. R. Fornaciari, Di fronte alle prime esortazioni della Chiesa a rinnovarci. Levoluzione isti-
tuzionale del monachesimo dallUnit ai giorni nostri, in Cristiani dItalia. Chiese, societ,
Stato, 1861-2011, vol. II, Roma 2011, 911-927.
12. R.M. Parrinello, Monachesimo cristiano, in Dizionario del sapere storico-religioso del Nove-
cento, a cura di A. Melloni, vol. II, Bologna 2011, 1078-1119.

Prima parte. Momenti

1.0. Periodo pre-unitario: Soppressione e Restaurazione


Tendenze giurisdizionalistiche e la politica teresiano-giuseppina nel Lombardoveneto
Soppressioni leopoldine Soppressione napoleonica Visita abbaziale a S. Nicola allArena
del 1822 Un monaco benedettino sul solio pontificio: Gregorio XVI Prospero Guran-
ger a S. Paolo f.l.m. (1837) Pier Francesco Casaretto, fondazione di Pegli (1843), abbaziato
a Subiaco (1850) e primi passi verso la provincia sublacense.

T. Leccisotti, Don Simplicio Pappalettere e la restaurazione monastica del secolo XIX, in Bene-
dictina, 19 (1972), 108-121.
R. Aubert, La restauration monastique dans lEurope occidentale du XIXe sicle, in Revue B-
ndictine, 83 (1973), 9-32.
D. Misonne, La restauration monastique du XIXe sicle. Questions de mthodologie, in Revue
Bndictine, 83 (1973), 33- 48.
G. Turbessi, Vita monastica dellAbbazia di San Paolo nel secolo XIX, in Revue Bndictine,
83 (1973), 49-118.
N. Huyghebaert, Le moine face au monde du XIXe sicle, in Revue Bndictine, 83 (1973),
258-277.
A. Pantoni, LOttocento a Montecassino, in Echi di Montecassino, 4 (1976), 60-71.
O. Fantozzi Micali P. Roselli, Le soppressioni dei conventi a Firenze. Riuso e trasformazioni dal
secolo XVIII in poi, Firenze 1980.
D. Giglio, Gli Ordini religiosi in Lombardia durante la Restaurazione. I preliminari per il ri-
pristino, in Il Risorgimento, 36 (1984), 35-78.
P. Delatte, Dom Guranger, Abb de Solesmes, Abbaye de Solesmes (France) 1984 [trad. it.
Dom Guranger. Maestro di liturgia e di vita, Brescia 1999].
G. Penco, Il mondo monastico e le nuove congregazioni religiose del secolo XIX, in Benedictina,
36 (1989), 477-496.
M. DellOmo, In tema di soppressione degli Istituti religiosi in Italia nel secolo XIX. Testi scelti
delle discussioni parlamentari (1848-73) e qualche riflessione per una tipologia delle motiva-
zioni in favore della soppressione, in Benedictina, 41 (1994), 377-391.
F. Avagliano, Montecassino nel primo Ottocento, in n. 6, 519-560.
G.L. Radicchia, Il Sacro Eremo di Monte Corona. Capo dellomonima Congregazione Camal-
dolese (1530-1861), Perugia 1997.
A. Scuderi, Fede e scienza nel Monastero S. Nicola lArena di Catania: Gregorio Bernaba La Via
(1793-1854), in Benedictina, 46 (1999), 105-108.
A. Acerbi, La rinascita del monachesimo benedettino nel XIX secolo fra Solesmes e Beuron, in
Annali di Scienze Religiose, I parte, 5 (2000), 243-267; II parte, 6 (2001), 301-325;
lo stesso anche in Monachesimo e vita religiosa. Rinnovamento e storia tra i secoli XIX-XX,
Atti del XXII Convegno del Centro Studi Avellaniti, S. Pietro in Cariano (VR) 2002,
18-81.

96
Roberto Fornaciari | Nota bibliografica per lo studio della storia del monachesimo

G. Spinelli, Il monachesimo nella vita della Chiesa e nellesperienza spirituale degli ultimi due se-
coli, in Monachesimo e vita religiosa. Rinnovamento e storia tra i secoli XIX XX, Atti del
XXII Convegno del Centro Studi Avellaniti, S. Pietro in Cariano (VR) 2002, 83-100.
S. Baldan, Venezia 1806. La soppressione del monastero di San Giorgio Maggiore, Venezia 2006.
F. Bernab, P. Ruggiero, La contabilit per la costruzione della realt sociale in un ente mona-
stico: Monte Oliveto Maggiore nel XIX secolo, in Clero, economia, contabilit in Europa. Tra
Medioevo ed et contemporanea, a cura di R. Di Pietra, F. Landi (Studi storici Carocci),
Roma 2007, 76-104.
P. Engelbert, La restaurazione del monachesimo benedettino nel XIX secolo. Spiritualit e arti fi-
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M. DellOmo, La congregazione cassinese negli anni del beato Placido Riccardi tra soppressioni,
restaurazioni e nuove fondazioni (1844-1915), in Benedictina, 58 (2011), 147-159.

1.1. Unit nazionale


Panorama del monachesimo italiano nel 1861 Legislazione eversiva del Regno dIta-
lia Soppressioni e sopravvivenza La nascita della congregazione sublacense (1867-1872)
Vescovi provenienti dallabbazia di S. Martino delle Scale, loro contributo al Concilio Vati-
cano I.

G. Turbessi, Vita monastica dellAbbazia di San Paolo nel secolo XIX, Revue Bndictine, 83,
1973, 49-118.
G. Martina, La situazione degli istituti religiosi in Italia intorno al 1870, in Chiesa e religiosit
in Italia dopo lUnit (1861-1878). Atti del IV convegno di Storia della Chiesa (La Men-
dola 31 ag.-5 sett. 1971), Relazioni II, Milano 1973.
F. Avagliano, Il Giornale dellabate de Vera sul Concilio Vaticano I, in Monastica V (Miscel-
lanea cassinese 52), Montecassino 1985, 27-154.
M. DellOmo, In tema di soppressione degli Istituti religiosi in Italia nel secolo XIX. Testi scelti
delle discussioni parlamentari (1848-73) e qualche riflessione per una tipologia delle motiva-
zioni in favore della soppressione, in Benedictina, 41 (1994), 377-391.
A. Mazzacchera, Soppressione degli ordini religiosi e confische dei beni ecclesiastici nella diocesi di
Cagli dopo lAnnessione, in Marche e Umbria nellet di Pio IX e di Leone XIII, Atti del XXI

97
N O T E

convegno del Centro di studi Avellaniti, Fonte Avellana 28-30 agosto 1997, Fonte Avel-
lana 1998, 410-444.
P. Fassera, La comunit di Praglia che in Daila. Dalla soppressione dellabbazia alla sua ria-
pertura (1867-1904), in n. 9, 31-87.
G. Rocca, Le strategie anticonfisca degli istituti religiosi in Italia dallUnit al Concordato del 1929:
appunti per una storia, in Clero, economia, contabilit in Europa. Tra Medioevo ed et con-
temporanea, a cura di R. Di Pietra, F. Landi (Studi storici Carocci), Roma 2007, 226-247.

1.2. Fino alla prima guerra mondiale


LAbbazia di S. Paolo f.l.m. e le fondazioni di Guranger e dei fratelli Wolter Progetti
di fondazioni allestero delle congregazioni italiane Monaci missionari allestero Monaci
esuli dalla Francia giunti in Italia: solesmensi e certosini Nascita della Confederazione be-
nedettina (1893) Il rientro dei monaci a Praglia (1904) Sensibilit sociale ai tempi del mo-
vimento cattolico Abbaziato camaldolese di Piani (1907-1913) La Rivista liturgica I
Capitoli Generale cassinesi del 1914 e 1915 I monaci e la grande guerra.

E. Caronti, Diario di guerra (1917-1918), a cura di G. Lunardi, Noci 1982.


F. Iozzelli, Roma religiosa allinizio del Novecento, Roma 1985.
L.B. Giustarini, Lotta per una stanza. Le vicissitudini della congregazione vallombrosana OSB
nei secoli XIX-XX, in n. 6, 152.
G. Lunardi, Subiaco e lo sviluppo della congregazione cassinese della primitiva osservanza (oggi
detta sublacense), in n. 6, 56-57.
G. Tamburrino, I monasteri italiani e la Confederazione benedettina, in n. 6, 25-41.
S. Baiocchi, s.v. San Paolo fuori le mura (Roma), in DIP, VIII, Roma 1988, coll. 611-616.
Labate Giuseppe Cozza-Luzi archeologo, liturgista, filologo, Atti della Giornata di Studio (Bol-
sena, 6 maggio 1995), a cura di S. Parenti e E. Velkovska (Analekta Kryptopherrs, 1),
Grottaferrata 1998.
L. Crippa, Il Capitolo Generale Cassinese del 1915, in Benedictina, 46 (1999), 429-443.
In Appendice contiene la cronotassi dei procuratori generali della congregazione cassi-
nese del XX secolo.
F.L. Zelli Jacobuzzi, Gita a Maredsous (1888), a cura di L. Crippa (Quaderni di Benedictina
5), Roma 1999.
Introduzione biografica e sul contesto storico benedettino in cui avvenuto il viaggio e
la visita a Maredsous.
A. Pantaloni, Un pioniere della fondazione silvestrina in U.S.A.: d. Filippo Bartoccetti, in Inter
Fratres, 53 (2003), 11-41.
N. Raponi, Laccueil en Italie des congrgations religieuses franaises aprs les lois de suppression.
Problmes et perspectives, in P. Cabanel, J.-D. Durand (edd.), Le grand exil des congrgations
religieuses franaises 1901-1914. Colloque international de Lyon, Universit Jean-Moulin-
Lyon III, 12-13 juin 2003, Paris 2005, 199-218.
Spes una in Reditu. Miscellanea di studi nel centenario della ripresa della vita monastica a
Praglia 1904-2004.
Segnaliamo: G. Romanato, La riapertura dellabbazia dopo le vicende ottocentesche, 13-
29 P. Fassera, La comunit di Praglia che in Daila. Dalla soppressione dellabbazia alla
sua riapertura (1867-1904), 31-87 P. Marangon, Fogazzaro, Praglia e la spiritualit be-
nedettina, 89-112 G. Tamburrino, Monaci di Praglia dal 1904 ad oggi, 115-127 G.
Vian, Il servizio degli abati pragliesi alla Santa Sede. Visite apostoliche e rapporti con la Curia
romana, 269-288 L. Billanovich, Comunit monastica e Chiesa locale: Praglia nella dio-
cesi di Padova del primo ventennio del Novecento, 289-364.

98
Roberto Fornaciari | Nota bibliografica per lo studio della storia del monachesimo

M. DellOmo, La congregazione cassinese negli anni del beato Placido Riccardi tra soppressioni,
restaurazioni e nuove fondazioni (1844-1915), in Benedictina, 58 (2011), 147-159.

1.3. Tra le due guerre


Il dopoguerra e la paura di una nuova soppressione Ripresa della FUCI a Montecassino
(1919) Nuove fondazioni estere Celebrazioni IX centenario morte di san Romualdo
(1927) Celebrazioni cassinesi (1929) Fondazione congregazione di Casamari (1929), che
dallanno successivo accoglie giovani eritrei e nel 1940 fonda una comunit in Etiopia Rap-
porti con il regime fascista 1931 problemi nella congregazione cassinese Camaldolesi di
Toscana: chiusura case Brasile, riapertura dellEremo di Monte Giove Camaldolesi: voci di
unione e poi fusione dei cenobiti e con gli eremiti di Toscana 1935 Fondazione del mona-
stero di S. Priscilla a Roma, mons. Giulio Belvederi (1936) Fondazione di Viboldone con
decreto del card. Schuster del 1941 Gli amici di Camaldoli: nascita del Codice di Camal-
doli Nuove fondazioni italiane femminili (influsso francese) Milano, Ghiffa, Civitella S.
Paolo I silvestrini fondano S. Vincenzo a Bassano Romano (1942) Distruzione di Mon-
tecassino Accoglienza di ebrei, rifugiati politici e fascisti durante il secondo conflitto mon-
diale Leccidio nazista dei certosini di Farneta.

G. Dore, 1919: ripresa della Fuci a Montecassino, in Studium, 65 (1969), 602-604.


G. Penco, Erudizione e storiografia monastica in Italia nei primi decenni del Novecento, in Be-
nedictina, 19 (1972), 1-16, riprod. in Il monachesimo fra spiritualit e cultura, Milano
1991, 337-349.
P. Lazzarini, La Certosa di Farneta, Lucca 1975, 80-88.
A. Pantoni, Montecassino tra le due guerre, in Echi di Montecassino, 5 (1977), 30-41.
J. Leclercq, s.v. Monachesimo. IV. Espansione monastica fuori dallEuropa, in DIP, V, Roma
1978, 1733-1742.
G. B. Scaglia, La stagione montiniana. Figure e momenti, Roma 1993.
G. Leoncini, Lordine certosino in Italia tra XIX e XX secolo, in n. 6, 285-286.
Il bombardamento di Montecassino. Diario di guerra di E. Grossetti M. Matronola, con altre
testimonianze e documenti, a cura di F. Avagliano (Miscellanea Cassinese 41), Montecas-
sino 19972.
Un monastero alle porte della citt, Atti del convegno per i 650 anni dellAbbazia di Viboldone,
Milano 1999.
M. DellOmo, Montecassino. Unabbazia nella storia, Montecassino 1999.
Offre, a p. 142, una bibliografia a titolo di puro orientamento, data la notevole quantit
e diversa qualit delle pubblicazioni in materia.
G. Penco, Tra due riviste benedettine: la storiografia monastica italiana nel ventennio 1927-
1947, in Benedictina, 51 (2004), 151-179.
G. Loparco, Gli ebrei negli istituti religiosi a Roma (1943-1944) dallarrivo alla partenza, in Ri-
vista di storia della chiesa in Italia, 58 (2004), 107-210.
M.G. Tirelli, Dolore, lacrime, amore. Storia di una monaca camaldolese del secolo XX, a cura di
A. Galuppi, Camaldoli 2004.
P. Niederkofler, Ricordi del tempo di guerra, in Inter fratres, 55 (2005), 225-236.
Margherita Marchi (1901-1956) e le origini delle Benedettine di Viboldone. Saggi e ricerche nel
50 della morte, a cura di M. Tagliabue, Milano 2007.
L. Crippa, Le vicende della congregazione benedettina cassinese nellanno 1931. Problemi, solu-
zioni e protagonisti, in Benedictina, 54 (2007), 121-130.
F.G.B. Trolese, La formazione e la cultura dei monaci di Praglia nella prima met del Nove-
cento, in n. 9, 129-187.

99
N O T E

C. Carpanese, P. Gios, Praglia durante la guerra e la Resistenza, in n. 9, 207-266.


G. Tamburrino, Il monaco Adalberto Salvatori e la parrocchia di Praglia dal 1940 al 1950, in
n. 9, 365-441.
F. Avagliano, Montecassino e Montevergine agli inizi del Novecento, in Benedictina, 58 (2011),
161-175.
Nel 1908 alcuni monaci chiesero di trasferirsi da Montevergine a Montecassino, viene
costruito il contesto della vicenda e date notizie biografiche di: Gregorio Cal ( 1930),
Marino Donaggio ( 1933), Romualdo Donaggio ( 1934), Celestino Mercuro ( 1936),
Ermanno Salvatore ( 1947), Roberto Vicario ( 1966); di altri monaci offre bibliogra-
fia.
P. Niederkofler, Ricordi del tempo di guerra, in Inter Fratres, 55 (2005), 225-236.
R. Fornaciari, Eremitismo e cenobitismo in conflitto nellOrdine camaldolese. La soppressione ec-
clesiastica dei Monaci Cenobiti nel 1935 e labate Emanuele Caronti, Estratto della Disser-
tazione per il dottorato P.U.G. (Studi e testi camaldolesi 12), Camaldoli 2007.

1.4. Dal secondo dopoguerra al concilio Vaticano II


Certosini chiusura di Pavia, rafforzamento di Lucca (1946) Nascita della rivista Bene-
dictina (1947) Celebrazioni XIV centenario morte di san Benedetto (1947) Nuove co-
stituzioni dei monaci eremiti camaldolesi (1951/1957) Promulgazione della Lex propria
della Confederazione benedettina (1952) Cistercensi centenario bernardino (1953) Sil-
vestrini fondazione a Giulianova (1953) Creazione di alcune federazioni di monasteri fem-
minili (1955) La Liga monastica Nascita della Piccola Famiglia dellAnnunziata o
Comunit di Monteveglio (G. Dossetti) Gli olivetani entrano nella Confederazione bene-
dettina (1960) Sostituzione del priore generale di Camaldoli Anselmo Giabbani (agosto
1963).

Note di cronaca. La Cappella Papale del 18 settembre a S. Paolo; Le altre celebrazioni del XIV
centenario di S. Benedetto, in Benedictina, 1 (1947), 333-335 e 335-337.
C. Vagaggini et al., Problemi e orientamenti di spiritualit monastica, biblica e liturgica, Roma
1961.
G. Martina, La chiesa in Italia negli ultimi trentanni, Roma 1978.
La preghiera nella Bibbia e nella tradizione patristica e monastica, a cura di C. Vagaggini, Roma
1964, Cinisello Balsamo 19882.
J.P. Mller, s.v. Lega monastica, in DIP, V, Roma 1979, 577-578.
L. Crippa, Nel Cinquantesimo della morte del fondatore di Benedictina: Mons. Ildebrando
Vannucci OSB (1890-1955), in Benedictina, 52 (2005), 221-228.
G. Penco, La prima serie di Benedictina (1947-1959): Caratteri e indirizzi, in Benedictina,
54 (2007), 7-22.
R. Fornaciari, Orientamenti di spiritualit monastica in Giuseppe Dossetti, in Vita Monastica,
236 (2007), 7-42.
R. Fornaciari, Giuseppe Dossetti (1913-1996) iniziatore della Piccola Famiglia dellAnnunziata,
in Claretianum, 48 (2008), 249-278.
Giuseppe Dossetti. Studies on an Italian Catholic Reformer, edited by A. Melloni, Zrich-Ber-
lin 2008.

1.5. Concilio e postconcilio


Partecipazione al concilio Impegno per la riforma liturgica Camaldoli: inizio priorato
Catani (1963), inizio priorato Calati (1969) Eremo di Napoli subentrano i camaldolesi ai

100
Roberto Fornaciari | Nota bibliografica per lo studio della storia del monachesimo

coronesi Vallombrosani, apertura di nuove case: S. Maria delle Grazie a Pordenone (1966),
Purituba-San Paolo (Brasile) (1967) Vallombrosani, camaldolesi (1966) e silvestrini (1973)
entrano nella Confederazione benedettina Capitoli generali straordinari per la revisione delle
Costituzioni Accoglimento dimissioni di G. Dossetti da pro-vicario generale di Bologna
(1968), suo ritiro a Gerico (1972) Nascita della comunit di Bose (E. Bianchi) e altre realt
monastiche di nuova fondazione Revisione della Lex propria della Confederazione (1970)
Il caso dellabate Giovanni Franzoni (1973) Nascita della commissione DIM allinterno del-
lAIM (1977) Convegno annuale delle abbadesse benedettine Scuola monastica delle be-
nedettine Il monastero di Isola San Giulio riconosciuto priorato sui iuris (1973).

B. Filippetti, Linee di rinnovamento monastico, in Vita Monastica, 99 (1969), 215-229.


La comunit dellabate Franzoni, a cura di R. Mocciaro, Roma 1973.
E. Bianchi, s.v. Bose, in DIP, I, Roma 1974, 1533-1537.
G. Turbessi, s.v. Monachesimo di vita semplice, in DIP, VI, Roma 1980, 14-16.
AA. VV., Il Vaticano Secondo nella chiesa italiana. Memoria e profezia, Assisi 1985.
Il monachesimo nel dopo Concilio, [a cura di C. Carini], Parma 1981.
Il volume contiene gli Atti del III convegno monastico intercongregazionale, maschile e
femminile, tenutosi dal 6 all11 settembre 1979 nel monastero di San Giovanni di Parma.
Il materiale diviso in tre sezioni: 1. Il monachesimo nel mondo dopo il concilio, nella quale
segnaliamo: I. Sutto, Il monachesimo femminile italiano nel Post-Concilio, 125-147; e due
interventi di attenzione ecumenica, il primo sul monachesimo ortodosso, laltro sul mo-
nachesimo nel protestantesimo odierno. 2. Il monachesimo maschile in Italia: una seie di
relazioni con le quali il variegato mondo monastico maschile si autorappresenta: cassi-
nesi, sublacensi, silvestrini, cistercensi di Casamari, trappisti, olivetani, vallombrosani,
Bose, Monteveglio, piccoli fratelli di Ges. 3. Il monachesimo femminile in Italia: analo-
gamente una serie di relazioni presentano laltrettanto articolata situazione delle monache:
le federazione di Ghiffa, umbra, Italia-Nord, picena; lassociazione Regina Monachorum,
vallombrosane, olivetane di Palo del Colle, camaldolesi, trappiste, benedettine celestine,
Fraternit monastica di Emmaus, oblate di S. Francesca Romana, serve di Maria.
La vita consacrata a ventanni dal concilio, Atti del convegno di Testimoni Mendola, 8-13
settembre 1986, a cura di L. Guccini, Bologna 1986.
In particolare: E. Bargellini, Camaldoli, una comunit in dialogo, 171-181; A. Magistretti,
Piccola famiglia dellannunziata, Monteveglio, 234-246; E. Bianchi, La comunit di Bose.
Il Vangelo nella sua radicalit, 247-253; C. Badoni, La Tenda del Magnificat. La preghiera
nella vita, 254-259.
E. Bargellini (a cura di), Camaldolesi ieri e oggi. Lidentit camaldolese nel nuovo millennio, Ca-
maldoli 2000.
M. Torcivia, Guida alle nuove comunit monastiche italiane, Casale Monferrato (AL) 2001.
M. Torcivia, Il monachesimo benedettino italiano postconciliare. Lettura del cammino percorso e
proposizione di alcuni esempi di rinnovamento, in Claretianum, 41 (2001), 129-179.
M. Torcivia, Il segno di Bose, Casale Monferrato (AL) 2003.
E. Bargellini, Monaci camaldolesi nella Chiesa postconciliare, in A. Barban, J.H. Wong (a cura
di), Il primato dellamore. La spiritualit benedettina camaldolese, Assisi 2011, 77-101.

1.6. Fine Novecento e inizio nuovo secolo


Riconoscimento dello Studio Teologico delle Benedettine Italiane (1980) Nascita della
Fraternit Monastica Missionaria (1981) Riapre la badia vallombrosana di Passignano
(1986) Approvazione costituzioni eremiti camaldolesi di Monte Corona (1988) Morte
dellabate Giuseppe Nardin (1990) Oblati benedettini secolari Ripresa del fenomeno ere-

101
N O T E

mitico Riapre leremo camaldolese di Rocca del Garda (1993) Costituzione del Segreta-
riato del DIM riconosciuto dal Congresso degli abati (1994) I cistercensi a Prad Mill
(1995) Bose: apertura fraternit di Ostuni (1998) Approvazione delle costituzioni del-
lUnione dei monasteri delle benedettine camaldolesi (1999) Segnali di crisi: abbandoni e
dimissioni forzate di abati, ristrutturazione comunit di San Paolo f.l.m. (2005), chiusura
Abbazia S. Croce in Gerusalemme (2011) Camaldoli: termine priorato Calati (1987), prio-
rato Bargellini (1987-2005), priorato Cozzarini (2005-2011) Montecassino: termine ab-
baziato DOnorio (2007) Vallombrosani termine abbaziato Russo (2007), silvestrini termine
abbaziato Pantaloni (2007), olivetani termine abbaziato Tiribilli (2011) Camaldoli: fonda
un monastero maschile in Tanzania (2010) Celebrazione millenario della fondazione di
Camaldoli (2012).

Fraternit Monastica Missionaria, Padre Giuseppe Nardin ancora tra noi, Roma 1991.
Oblato e Comunit monastica per la crescita della Chiesa locale, Atti del X Convegno nazionale
degli oblati benedettini secolari, Cenobio di Camaldoli 16-19 settembre 1993, Parma
1995.
Monachesimo e Terzo Millennio, a cura di P. Giuseppe Tamburrino O.S.B., Abbazia di Praglia
(Bresseo di Teolo PD) 1998.
E. Bargellini, La spiritualit romualdino-camaldolese ieri e oggi, in Vita Monastica, 221
(2002), 53-70; anche in San Romualdo. Storia, agiografia e spiritualit, S. Pietro in Cariano
2002.
V. Fattorini, Divagazioni sulla situazione delle comunit silvestrine italiane, in Inter fratres,
55 (2005), 237-250.
I. De Sandre, Monachesimo e tessuto sociale odierno. Problemi e prospettive per un dialogo, in n.
9, 467-488.
I. Turina, I nuovi eremiti. La fuga mundi nellItalia di oggi, Milano 2007.
C. Saviozzi, Come gufi nella notte. Storie di eremiti dei nostri giorni, Cinisello Balsamo (MI)
2010.
M.T. Pontara Pederiva, Giuseppe Nardin monaco nella storia. Un benedettino sulla frontiera del
rinnovamento, Bologna 2010.
E. Mariani (ed.), Le costituzioni della congregazione di Santa Maria di Monte Oliveto tra Ma-
iores nostri e Accomodata renovatio (1932-2002), (Studia Olivetana 9), Monte Oliveto
Maggiore (SI) 2010.
R. Nardin, G. Picasso, Unesperienza monastica tra storia medioevale e spiritualit contempora-
nea. I Benedettini di Monte Oliveto (Quaderni di Monte Oliveto 2), Monte Oliveto 2010.

Seconda parte. Sistemi


In questa sezione le opere vengono raggruppate o per gruppi monastici o per temi.

2.1. Monachesimo femminile


Questa sottosezione onnicomprensiva, nonostante il monachesimo femminile sia un fe-
nomeno quantitativamente maggiore di quello maschile, dipende dalla eterogenea struttura
istituzionale (comunit autonome, federate, congregate; di diritto pontificio, vescovile, affi-
liate al ramo maschile) e dalla esiguit del materiale prodotto per il periodo in oggetto.

102
Roberto Fornaciari | Nota bibliografica per lo studio della storia del monachesimo

E. Lucchesi, Le benedettine stefaniane dellordine di Vallombrosa del monastero di S. Benedetto


in Pisa e le nuove costituzioni delle benedettine vallombrosane, Firenze 1936.
[M.G. Dore,] Suor Maria Gabriella, Brescia 1940.
C. Mazzotti, Il Monastero di S. Caterina a Forl e a Faenza. Memorie storiche, Faenza 1963.
C. Cantagalli, Sette secoli di vita (1266-1966), in Nel settimo centenario della fondazione del mo-
nastero faentino di Santa Umilt. Miscellanea storico-religiosa, Faenza 1966, 7-24.
G. Cacciamani, s.v. Camaldolesi monache, in DIP, I, Roma 1974, 1725-1726.
P. Beltrame Quattrocchi, La Beata Maria Gabriella dellUnit, Vitorchiano 1980.
I monasteri cistercensi femminili della federazione italiana. 15 Centenario della nascita di S. Be-
nedetto, [s.l. 1980].
M.M. Boix, E. Cattaneo, A. Magistretti, M.I. Angelini, M. Margherita Marchi 1901-1956.
Tracce per un profilo, Abbazia di Viboldone (MI) 1981.
I. Sutto, Il monachesimo femminile italiano nel Post-Concilio, in Il monachesimo nel dopo Con-
cilio, [a cura di C. Carini], Parma 1981, 125-147.
Nello stesso volume una serie di relazioni sui principali gruppi che compongono il mo-
nachesimo femminile italiano.
G. Lunardi, Monastero di S. Marco in Offida 1644-1939. Un ricamo di amore (Ct 3,10), Of-
fida 1990.
G. Lunardi, Raccontiamo le tue meraviglie. Storia del monastero San Benedetto in Milano,
Milano 1992.
Il monachesimo femminile in Ciociaria, Atti del convegno di studi per il XXV della beatifica-
zione di suor Maria Fortunata Viti (Veroli, 3-4 ottobre 1992), a cura di G. DOnorio, Ve-
roli 1994.
M.I. Sutto, I monasteri benedettini femminili in Italia dopo let delle soppressioni, in n. 6, 291-
306.
G.L. Masetti Zannini, Le benedettine in Romagna dalle soppressioni al Vaticano II, in n. 6, 307-
329.
G. Zito, Le benedettine delladorazione perpetua in Italia (1880-1960), in n. 6, 331-371.
V. Di Flavio, Le benedettine di Rieti tra XVIII e XX secolo, in Benedictina, 45 (1998), 103-
122.
M.M. Morganti, Maria Giovanna Dore, Brescia 2001.
M. Carpinello, Il monachesimo femminile, Milano 2002.
T. Chiurchi, Documentazione inedita sul caso di Maria Ida Vitali. Fatti particolari accaduti
nel monastero di S. Caterina in Monte San Martino (1921-1927), in Storia Picena, 70
(2005), 349-373.
A. Bedina, Il castello dello spirito. Storia del monastero della SS.ma Trinit di Ghiffa, Verbania
2006.
50 anni di vita della Federazione Monache Benedettine Italia Nord 1956-2006, Maniago (PN)
2006.
Margherita Marchi (1901-1956) e le origini delle Benedettine di Viboldone. Saggi e ricerche nel
50 della morte, a cura di M. Tagliabue, Milano 2007.
G. Spinelli, Per una storia del monachesimo femminile italiano del Novecento: cinque vergini
sagge nellet di Margherita Marchi, in Margherita Marchi (1901-1956), 85-101.
G. Archetti, Viboldone nellottica del futuro papa Paolo VI, in Margherita Marchi (1901-1956),
143-187.

2.2. Basiliani
G.M. Croce, La Congregazione Basiliana dItalia nellet moderna e contemporanea, in n. 6,
195-269.

103
N O T E

Labate Giuseppe Cozza-Luzi archeologo, liturgista, filologo, Atti della Giornata di Studio (Bol-
sena, 6 maggio 1995), a cura di S. Parenti e E. Velkovska, Grottaferrata 1998 ( nalekta
ryptopherr s, 1).

2.3. Camaldolesi: monaci ed eremiti camaldolesi:


Congregazione Camaldolese dellO.S.B.
R. Grandolini, Leremita di Camaldoli vita e apostolato, Perugia 1932.
A. Buffadini, Camaldoli nel Casentino in fiamme, Firenze 1946; nuova edizione in Casentino
in fiamme 1943-1944. Diario di Guerra del P. Superiore di Camaldoli Don Antonio Buffa-
dini. Liber Chronicus del Monastero di Camaldoli redatto da Don Giuseppe Maria Caccia-
mani, a cura di M. Meschini, Stia (AR) 2005.
C. Mazzotti, Il Monastero di S. Caterina a Forl e a Faenza. Memorie storiche, Faenza 1963.
Il capitolo generale dei Monaci Camaldolesi, in Vita Monastica, 23 (1969), 241-253.
Una nota introduttiva dedicata ai lavori della seconda sessione del Capitolo generale
straordinario convocato per laggiornamento delle Costitudioni e Dichiarazioni. Larti-
colo riporta la documentazioni sui temi della preghiera e dellascesi monastica.
G. Cacciamani, s.v. Camaldolesi, in DIP, I, Roma 1974, 1718-1725.
G. Cacciamani, s.v. Camaldoli Monastero di, in DIP, I, Roma 1974, 1726-1727.
G. Cacciamani, s.v. Camaldoli Sacro Eremo di, in DIP, I, Roma 1974, 1727-1728.
G. Cacciamani, s.v. Congregazione Camaldolese di Toscana, in DIP, II, Roma 1975, 1517-
1518.
G. Cacciamani, s.v. Edizioni Camaldoli. Studi e testi, in DIP, III, Roma 1976, 1053.
F. Di Domenicantonio, Schuster e Camaldoli (1922-1925), in Benedictina, 27 (1980), 215-
247.
G. Cacciamani, s.v. Rivista camaldolese, in DIP, VII, Roma 1983, 1863.
Lantica abbazia dei Santi Ippolito e Lorenzo di Faenza. I suoi abbati e gli abbati generali ca-
maldolesi, a cura di P. Campana, Faenza 1987.
G.M. Croce, I camaldolesi nellet contemporanea. Declino, metamorfosi e rinascita di un mo-
vimento monastico (1830-1950), in n. 6, 87-141.
In appendice pubblica la Relazione sullo stato della Congregazione dei monaci camal-
dolesi cenobiti dellabate Emanuele Caronti del 1 novembre 1934.
H. DallAlba, A saga dos Camaldulenses no Rio Grande do Sul, Porto Alegre 1999.
G.I. Gargano, Camaldolesi nella spiritualit italiana del Novecento, I-III, Bologna 2000-2002.
G.M. Croce, Le congregazioni camaldolesi nella prima met del XX secolo. Continuit e rinno-
vamento, in n. 7, 145-179.
Il Codice forestale camaldolese. Legislazione e gestione del bosco nella documentazione darchivio
romualdina, a cura F. Cardarelli, Bologna 2004 [in realt 2009].
La dichiarata edizione del 2004 non mai stata vista da nessuno, la ristampa del 2009 in
realt lunica edizione.
R. Fornaciari, Appunti per una storia della Congregazione dei monaci cenobiti camaldolesi O.S.B.
(1616-1907), in Claretianum, 45 (2005), 192-194.
Monaci camaldolesi, Come acqua di sorgente. La spiritualit camaldolese tra memoria e profe-
zia, a cura di A. Barban, J.H. Wong, Bologna 2005.
R. Fornaciari, Eremitismo e cenobitismo in conflitto nellOrdine camaldolese. La soppressione ec-
clesiastica dei Monaci Cenobiti nel 1935 e labate Emanuele Caronti (Studi e testi camal-
dolesi 12), Camaldoli 2007.
R. Fornaciari, I monaci cenobiti camaldolesi tra soppressioni civili ed ecclesiastiche, in n. 8, 187-
227.

104
Roberto Fornaciari | Nota bibliografica per lo studio della storia del monachesimo

B. Buratti, La casa delle vigne. Appunti per una storia della Mausolea in Casentino, Soci (AR) 2012.
San Michele in Isola Isola della conoscenza. Ottocento anni di storia e cultura camaldolesi nella
laguna di Venezia. Mostra organizzata in occasione del Millenario della fondazione della
Congregazione Camaldolese, Catalogo a cura di M. Brusegan, P. Eleuteri e G. Fiacca-
dori, Torino 2012.
Codice forestale Camaldolese, Fonte Avellana dallagricoltura medioevale alla moderna multi-
funzionalit rurale, a cura di R. Romano e S. Marongiu, Roma [s.d.].
Codice forestale Camaldolese, Foresta e monaci di Camaldoli un rapporto millenario tra ge-
stione e conservazione, a cura di C. Urbinati e R. Romano, Roma [s.d., ma 2012].

2.4. Camaldolesi Eremiti di Monte Corona


G. Cacciamani e W. Leipold, s.v. Eremiti camaldolesi di Monte Corona, in DIP, III, Roma
1976, 1190-1192.
C. Tosatto, Eremo di Monte Rua. Richiami di storia e di spirito, Padova 1980.
G. Cacciamani e W. Leipold, s.v. Monte Corona, in DIP, VII, Roma 1983, 89-90.
G.L. Radicchia, Il Sacro Eremo di Monte Corona. Capo dellomonima Congregazione Camal-
dolese (1530-1861), Perugia 1997.

2.5. Cassinesi
A. Pantoni, s.v. Congregazione Benedettina Cassinese, in DIP, II, Roma 1975, 1477-1485.
G. Mazzucco, Contributo alla definizione delle cronotassi abbazziali dei monasteri della Con-
gregazione Cassinese, Roma 1992 (Quaderni di Benedictina 1).
R. Prescia, Storia e restauri dellAbbazia di San Martino delle Scale, Palermo 1995.
F. Avagliano, Montecassino nel primo Ottocento, in n. 6, 519-560.
L. Crippa, Un momento difficile nella storia recente del monastero di Cesena, in Benedictina,
45 (1998), 211-215.
M. Colletta, S. Martino delle Scale nell800. I perch di una fine, in Benedictina, 45 (1998),
387-396.
L. Crippa, Gita a Maredsous (1888) dellabate cassinese D. F.L. Zelli Iacobuzzi, in Benedic-
tina, 45 (1998), 397-418.
M. DellOmo, Montecassino. Unabbazia nella storia, Montecassino 1999.
M. DellOmo, Montecassino, in L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero (edd.), Le diocesi
dItalia, III. M-Z, Cinisello Balsamo (MI) 2007, 763-767.
L. Morinelli, Santissima Trinit di Cava dei Tirreni, in L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guer-
riero (edd.), Le diocesi dItalia, III. M-Z, Cinisello Balsamo (MI) 2007, 1149-1151.
L. Crippa, Le vicende della congregazione benedettina cassinese nellanno 1931. Problemi, solu-
zioni e protagonisti, in Benedictina, 54 (2007), 121-130.

2.6. Certosini
P. Lazzarini, La Certosa di Farneta, Lucca 1975.
G. Leoncini, Le certose della Provincia Tusciae (Analecta Cartusiana 60), Salzburg 1989.
G. Leoncini, Lordine certosino in Italia tra XIX e XX secolo, in n. 6, 271-289.
G. Penco, Un erudito certosino: il P. Stanislao Autore (1853-1920), in Benedictina, 45 (1998),
419-430.
M. Casella, La Certosa di Padula in et contemporanea (1866-1960) (Studi Storici Salernitani
26), Salerno 2007.

105
N O T E

C. Sassetti, Il ritrovamento e il restauro dei frammenti ceramici della certosa di San Lorenzo di
Padula; unoccasione di studio sui manufatti della mensa certosina, in Analecta cartusiana,
282 (2004), 365-374.
A. dAniello, Alessandro Tagliolini e la cultura certosina, in Les Cartoixes Valencianes, = 2
Analecta Cartusiana, 208 (2004), 375-386.

2.7. Cistercensi e Cistercensi della stretta osservanza o Trappisti


G. Viti, s.v. Casamari, in DIP, II, Roma 1975, 617-620.
G. Viti, s.v. Casamari Congregazione Cistercense di, in DIP, II, Roma 1975, 620-621.
L.J. Lekai, s.v. Cistercensi, in DIP, II, Roma 1975, 1058-1098.
J. ODea, s.v. Cistercensi Riformati, in DIP, II, Roma 1975, 1101-1106.
P. Zakar, s.v. Congregazione Cistercense di San Bernardo in Italia, in DIP, II, Roma 1975, 1536-
1538.
L.J. Lekai, I Cistercensi. Ideali e Realt, Certosa di Pavia 1989.
V. Cattana, Storia della Congregazione di San Bernardo in Italia, Roma-Milano 1997.
L. Molignini, Gli abati claustrali dellabbazia di Casamari. Dallintroduzione della riforma
trappista (1717) allerezione canonica della Congregazione di Casamari (1929), Casamari
2007.

2.8. Confederazione benedettina e Ateneo SantAnselmo


J.-P. Mller, s.v. Confederazione benedettina, in DIP, II, Roma 1975, 1417-1418.
T. Leccisotti, Gli inizi del rinnovato collegio di S. Anselmo e della Confederazione benedettina.
Note da alcune lettere dellabate Bernardi, in Benedictina, 23 (1976), 65-88.
F. Avagliano, Lettere del cardinale Dusmet per il nuovo collegio di S. Anselmo in Roma (1887-
1893), in Studia Monastica, 29 (1987), 333-381.
T. Leccisotti, G. Farnedi, s.v. SantAnselmo (Roma), in DIP, VIII, Roma 1988, coll. 760-763.
G.J. Bks (ed.), SantAnselmo. Saggi storici e di attualit (Studia Anselmiana 97), Roma 1988.
P. Engelbert, Geschichte des Benediktinerkollegs St. anselm in Rom. Von den Anfngen (1888) bis
zur Gegenwart (Studia Anselmiana 98), Roma 1988.
G. Tamburrino, I monasteri italiani e la Confederazione benedettina, in n. 6, 25-41.
Ss. Patriarchae Benedicti Familiae Confoederatae, Catalogus monasteriorum O.S.B.. Monaco-
rum, editio XX, Romae 2005.
G. Spinelli, Lon XIII et la fondation de la confdration bndictine, exemple de la politique de
centralisme romain, in Ph. Levillain, J.-M. Ticci (ed.), Le pontificat de Lon XIII. Renais-
sances du Saint-Sige? tudes runies (Collection de lcole franaise de Rome 368), Rome
2006, 295-306.
Ss. Patriarchae Benedicti Familiae Confoederatae communio internationalis Benedictinarum,
Catalogus monasteriorum O.S.B. sororum et monialium, editio II, Romae 2006.
. Somorjai, Leone XIII e la fondazione di S. Anselmo nellUrbe, in Archivum Historiae Pon-
tificiae, 47 (2009), 41-61.
F. Comandini, Labbazia di SantAnselmo in Roma, Roma [s.d. (2009?)].
Ss. Patriarchae Benedicti Familiae Confoederatae, Catalogus monasteriorum O.S.B. Monaco-
rum, editio XXI, Romae 2010.

106
Roberto Fornaciari | Nota bibliografica per lo studio della storia del monachesimo

2.9. Olivetani
M. Scarpini, I monaci benedettini di Monte Oliveto, S. Salvatore Monferrato (AL) 1952.
G. Picasso, s.v. Congregazione Benedettina Olivetana, in DIP, II, Roma 1975, 1493-1496.
Placido Lugano (1876-1947) il recupero di una memoria. Atti del IX incontro di Monte Oli-
veto 25-26 Agosto 1987, a cura di G. Picasso e R. Donghi (Studia Olivetana 2), Monte
Oliveto Maggiore 1988.
Placido Maria Schiaffino (1829-1889) monaco e cardinale, Atti del X Incontro di Monte Oli-
veto 22-23 Settembre 1989 (Studia Olivetana 3), Monte Oliveto Maggiore 1991.
R. Donghi, La ripresa della Congregazione olivetana tra Ottocento e Novecento, in n. 6, 163-193.
V. Cattana, Il Patriarca Ballerini e i monaci benedettini di S. Maria di Monte Oliveto, in F. Ca-
iani (ed.), Il Patriarca Paolo Angelo Ballerini a centonovantanni dalla nascita (1814-1897),
Atti della giornata di studio, Seregno, 2 ottobre 2004, Besana Brianza (MI) 2005, 71-74.
M. Pellegrini, R. Donghi, Monte Oliveto Maggiore, in L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guer-
riero (edd.), Le diocesi dItalia, III. M-Z, Cinisello Balsamo (MI) 2007, 769-770.
V. Cattana, Momenti di storia e spiritualit olivetana (secoli XIV-XX), a cura di M. Tagliabue
(Italia benedettina 28), Cesena 2007.
G. Brizzi, Iconografia dei santi Bernardo Tolomei e Francesca Romana (secoli XV-XX), (Italia be-
nedettina 33), Cesena 2009.
E. Mariani (ed.), Le costituzioni della congregazione di Santa Maria di Monte Oliveto tra Ma-
iores nostri e Accomodata renovatio (1932-2002), (Studia Olivetana 9), Monte Oliveto
Maggiore (SI) 2010.
R. Nardin, G. Picasso, Unesperienza monastica tra storia medioevale e spiritualit contempora-
nea. I Benedettini di Monte Oliveto, (Quaderni di Monte Oliveto 2), Monte Oliveto 2010.

2.10. Silvestrini
F. Angelini, Leremo e la folla: il monaco Ildebrando Gregori Osbcs, Roma 1986.
I. Di Nicola e F. Pompei, s.v. Silvestrini. 1. Storia, in DIP, VIII, Roma 1988, 1507-1511.
U. Paoli, s.v. Silvestrini. 2. Legislatura e governo, in DIP, VIII, Roma 1988, 1511-1519.
F. Angelini, Luomo delle beatitudini. Il servo di Dio abate Ildebrando Gregori benedettino silve-
strino, Roma 2000.
R. Grgoire, Il monachesimo silvestrino fra Otto e Novecento, in n. 7, 119-144.
A. Pantaloni, Un pioniere della fondazione silvestrina negli U.S.A.: d. Filippo Bartoccetti, in
Inter fratres, 53 (2003), 11-41.
A. Jacovone, Lunit della Congregazione alla luce della prassi degli ultimi decenni, in Inter fra-
tres, 54 (2004) 151-155.
V. Fattorini, Divagazioni sulla situazione delle comunit silvestrine italiane, in Inter fratres,
55 (2005), 237-250.
U. Paoli, La Congregazione Silvestrina, in n. 8, in particolare 324-329.
C. Tuderti, Contesa applicazione dei beni del soppresso monastero di S. Silvestro Abate in Nepi.
Due mentalit, due ecclesiologie, in Inter fratres, 59 (2009), 89-112.
V. Fattorini, Monaci silvestrini italiani missionari in Sri Lanka, in Inter fratres, 60 (2010),
21-52.
S. Tonini, La lenta ripresa della congregazione silvestrina nel sec. XX, in Inter fratres, 62
(2012), 1-16.
L. Sena, La congregazione silvestrina in Italia dal Vaticano II allalba del terzo millennio, in
Inter fratres, 62 (2012), 17-42.

107
N O T E

2.11. Sublacensi o Cassinesi della primitiva osservanza


G. Lunardi, G. Martinez, P. Carosi, D. Parry e W. Witters, Pietro Casaretto e gli inizi della Con-
gregazione Sublacense (1810-1880). Saggio storico nel I centenario (1872-1972), (Subsidia
monastica 3) = in Studia monastica, 14 (1972), 349-521.
Congregazione Sublacense O.S.B. Provincia italiana, I monasteri italiani della Congregazione
Sublacense (1843-1972). Saggi storici nel primo centenario della Congregazione, Parma
1972.
G. Lunardi, s.v. Congregazione Benedettina Sublacense, in DIP, II, Roma 1975, 1503-1507.
Congregazione Benedettina Sublacense, Provincia italiana, Piano di Formazione Monastica, Pa-
dova 1995.
G. Lunardi, La nascita della congregazione cassinese della primitiva osservanza, in n. 5, 453-485.
G. Lunardi, Subiaco e lo sviluppo della congregazione cassinese della primitiva osservanza (oggi
detta sublacense), in n. 6, 43-64.
G. Mongelli, Montevergine tra la congregazione verginiana e il suo completo inserimento nella
congregazione sublacense, in n. 6, 65-86.
G. Lunardi, La Congregazione sublacense O.S.B, vol. I (1810-1878), vol. II (1878-1972), Noci
(Bari), 2003-2005.
Spes una in Reditu. Miscellanea di studi nel centenario della ripresa della vita monastica a Pra-
glia 1904-2004, a cura di F.G.B. Trolese (Italia benedettina 26), Cesena 2006.
Abbazia Madonna della Scala a 80 anni dalla fondazione, 2a ed., Noci (BA)
A. Carfore, Montevergine, in L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero (edd.), Le diocesi dIta-
lia, III. M-Z, Cinisello Balsamo (MI) 2007, 774-777.
M.F. Grosso, Subiaco, in L. Mezzadri, M. Tagliaferri, E. Guerriero (edd.), Le diocesi dItalia,
III. M-Z, Cinisello Balsamo (MI) 2007, 1210-1212.

2.12. Vallombrosani
E. Lucchesi, Appunti per una cronaca della Congregazione Vallombrosana dal 1808 al 1932, ms.,
Archivio del Monastero di S. Trnita - Firenze.
D.F. Tarani, Vita monastica e religiosa lungo i secoli, in Fiesole, una diocesi nella storia. Saggi con-
tributi, immagini, Fiesole 1986, 99-115.
D.F. Tarani, Vallombrosa. Labbazia e la congregazione. Note storiche, a cura di G. Monzio
Compagnoni, Vallombrosa 1994 [revisione critica di testi editi nel 1973].
L.B. Giustarini, Lotta per una stanza. Le vicissitudini della congregazione vallombrosana OSB
nei secoli XIX-XX, in n. 6, 143-161.
Bibliografia sul monachesimo vallombrosano in sezioni (pp. 157-161).
R.N. Vasaturo, s.v. Vallombrosa, Vallombrosane, Vollombrosani, in DIP, X, Roma 2003, 1692-
1702.

2.13. Nuove comunit


E. De Giorgis, Riflessioni di un laico su alcune esperienze di monachesimo contemporaneo, in
Vita monastica, 115 (1973), 236-269.
E. Bianchi, s.v. Bose, in DIP, I, Roma 1974, 1533-1537.
G. Turbessi, s.v. Monachesimo di vita semplice, in DIP, VI, Roma 1980, 14-16.
M. Sensi, s.v. Sorelle di Maria di Collepino di Spello (Perugia), in DIP, VIII, Roma 1988, 1900-
1901.
M. Gallo, Una comunit nata dalla Bibbia, Brescia 1999.
M. Torcivia, Guida alle nuove comunit monastiche italiane, Casale Monferrato (AL) 2001.

108
Roberto Fornaciari | Nota bibliografica per lo studio della storia del monachesimo

M. Torcivia, Il segno di Bose, Casale Monferrato (AL) 2003.


Prefazione di A. Louf. Con unintervista a Enzo Bianchi.
B. Betti, Storia delle origini della Comunit dei figli di Dio, Pro Manuscripto, Firenze 2004.
G. Dossetti, La Piccola Famiglia dellAnnunziata. Le origini e i testi fondativi, a cura della Pic-
cola Famiglia dellAnnunziata, Milano 2004.
E. Galavotti, Il giovane Dossetti. Gli anni della formazione 1913-1939, Bologna 2006.
Giuseppe Dossetti: la fede e la storia. Studi nel decennale della morte, a cura di A. Melloni, Bo-
logna 2007.
Giuseppe Dossetti. Studies on an Italian Chatholic Reformer, a cura di A. Melloni, Zrich-Ber-
lin 2008.
Giuseppe Dossetti 1913-1996, = Vita monastica, 236 (2007).
R. Fornaciari, Giuseppe Dossetti (1913-1996) iniziatore della Piccola Famiglia dellAnnunziata,
in Claretianum, 48 (2008), 249-278.
M. Torcivia, Lautorit a Bose e in alcune nuove comunit monastiche italiane, in Angelicum,
85 (2008), 1133-1141.
Nuove forme di vita consacrata, Atti del colloquio: Nuove forme di vita consacrata e le nuove
comunit, Roma 5-6 ottobre 2007, a cura di R. Fusco, G. Rocca, Citt del Vaticano 2010.
Primo censimento delle nuove comunit, a cura di G. Rocca, Citt del Vaticano 2010.

2.14. Monografie su singoli monasteri


E. Lucchesi, Il monastero di S. Girolamo in S. Gimignano dalle origini ai nostri giorni (1337-
1938). Note storiche e biografiche, Firenze 1938.
V. Meneghin, San Michele in Isola di Venezia, I-II, Venezia 1962
C. Mazzotti, Il Monastero di S. Caterina a Forl e a Faenza. Memorie storiche, Faenza 1963.
G. Cacciamani, Camaldoli cittadella di Dio. Note storiche sullHospitium Camalduli, la Far-
macia e lantico Ospedale di Camaldoli, con tre appendici e illustrazioni, Roma 1968.
S. Milillo, Il Monastero di S. Maria delle vergini a Bitonto, [Fasano di Brindisi] 1980.
G. Raspini, I monasteri nella diocesi di Fiesole, Fiesole 1982.
S. Baiocchi, s.v. San Paolo fuori le mura (Roma), in DIP, VIII, Roma 1988, coll. 611-616.
G. Picassso, Labbazia di Viboldone, Milano 1990.
G. Lunardi, Monastero di S. Marco in Offida 1644-1939. Un ricamo di amore (Ct 3,10), Of-
fida 1990.
C. Tosatto, Eremo di Monte Rua. Richiami di storia e di spirito, Padova 1980.
G. Lunardi, Raccontiamo le tue meraviglie. Storia del monastero San Benedetto in Milano,
Milano 1992.
G.L. Radicchia, Il Sacro Eremo di Monte Corona. Capo dellomonima Congregazione Camal-
dolese (1530-1861), Perugia 1997.
Un monastero alle porte della citt, Atti del convegno per i 650 anni dellAbbazia di Viboldone,
Milano 1999.
A. Bedina, Il castello dello spirito. Storia del monastero della SS.ma Trinit di Ghiffa, Verbania
2006.
Il monastero di San Benedetto in Bergamo (secoli XII-XX), a cura di G. Spinelli, Bergamo 2007.
Abbazia Madonna della Scala a 80 anni dalla fondazione, 2a ed., Noci (BA)
F. Comandini, Labbazia di SantAnselmo in Roma, Roma [s.d. (2009?)].
Lopera presenta il progetto architettonico e le sue decorazioni.
M.N. Quintavalle, Eremo di Camaldoli: Rilievo Integrato e Modelli Compositivi, Universit
degli Studi di Firenze, Facolt di Architettura A.A. 2010-2011, [Firenze 2011].
San Michele in Isola Isola della conoscenza. Ottocento anni di storia e cultura camaldolesi nella
laguna di Venezia. Mostra organizzata in occasione del Millenario della fondazione della

109
N O T E

Congregazione Camaldolese, Catalogo a cura di M. Brusegan, P. Eleuteri e G. Fiacca-


dori, Torino 2012.

2.15. Biblioteche
G. Scannerini, Note sulla biblioteca di Praglia tra Ottocento e Novecento, in n. 9, 507-571.
F. G.B. Trolese, La dispersione delle biblioteche monastiche, in n. 5, 581-631.
D. Mazzucconi, Le vicende della biblioteca di Monte Oliveto Maggiore dopo la soppressione, in
n. 5, 633-684.
L. Merolla, La dispersione dei codici di San Michele di Murano, in n. 5, 685-699.
G. Mazzucco, Codici e incunaboli di monasteri cassinesi nelle raccolte librarie della Biblioteca Na-
zionale Marciana di Venezia, n. 5, 701-721.
R. Grgoire, Elementi di storia della biblioteca del monastero di S. Silvestro in Fabriano, in
Inter fratres, 55 (2005), 191-205.
L. Merolla, La biblioteca di San Michele di Murano allepoca dellabate Giovanni Benedetto Mit-
tarelli, Roma 2010.
R. Grgoire, Biblioteca e cultura nei monasteri silvestrini nei secoli XIX-XX, in Inter fratres,
62 (2012), 73-92.

2.16. Cultura e spiritualit monastica


G. Penco, Spirito e caratteri degli studi monastici tra Ottocento e Novecento, in Benedictina,
29 (1982), 145-174 [rist. in Penco, Spiritualit monastica. Aspetti e momenti, (Scritti mo-
nastici 9), Praglia 1988, 375-410].
G. Penco, Linflusso monastico sulla spiritualit italiana del Novecento, in Benedictina, 33
(1986), 105-116 [rist. in Penco, Spiritualit monastica, cit. sopra, 453-465].
La vita monastica. Vita nello Spirito Santo alla luce delle sfide di oggi. Atti del Congresso degli
Abati Benedettini, Roma 1988, Parma 1991.
La dimensione ecclesiale del monachesimo oggi. Congresso degli Abati, SantAnselmo, Roma
14-25 settembre 1992, Parma 1993.
F.G.B. Trolese, I benedettini italiani e il movimento liturgico, in n. 6, 373-471.
V. Cattana, Storiografia ed erudizione monastica tra Otto e Novecento, in n. 6, 473-486.
F. Senatore, La storiografia cavense dallOttocento ad oggi. Storia del Codex diplomaticux Ca-
vensis, in n. 6, 487-510.
M. Casadei Turroni Monti, La vita musicale alla badia del Monte sotto la guida di D. Celestino
Mercuro, in n. 6, 511-518.
G. Penco, Caratteri e obiettivi della storiografia monastica italiana contemporanea, in Studia
Monastica, 44 (2002), 229-238.
G. Penco, Tra due riviste benedettine: la storiografia monastica italiana nel ventennio 1927-
1947, in Benedictina, 51 (2004), 151-179.
G. Penco, La prima serie di Benedictina (1947-1959): caratteri e indirizzi, in Benedictina,
54 (2007), 7-22.

2. 17. Vescovi benedettini


G. Spinelli, I Benedettini nellepiscopato italiano da Leone XIII a Giovanni XXIII, in Bene-
dictina, 43 (1996), 99-115.
G. Spinelli, Episcoporum Casinensium seu Congregationis S. Justinae de Padua series chronolo-
gica, III, Ab anno 1800 usque ad annum 2004, in Benedictina, 53 (2006), 271-274.

110
Carlo Leonardi
APPUNTI DI FILOSOFIA NEOTOMISTA:
IL CONFRONTO BONTADINI-FABRO
SUL CROCEVIA TRA METAFISICA CLASSICA
E GNOSEOLOGIA MODERNA

La questione gnoseologica1 ha caratterizzato lavvento della modernit filosofica e ha


determinato, nellalveo della tradizione aristotelico-tomista, il sorgere di interpretazioni di-
vergenti in merito al significato e alla valenza da attribuire alla rivoluzione copernicana,
operata da Cartesio e tematizzata da Kant.

A questo proposito, Fabro, con felice sintesi, amava parlare di opposizione fra trascenden-
tale classico (essere) e trascendentale moderno (auto-coscienza), [ poich] il moderno, a co-
minciare appunto da Cartesio, pone nellevidenza e quindi nella auto-coscienza dello Io-penso
trascendentale (il cogito assolutizzato o lIch denke berhaupt di Kant), e non nello essere-
della-cosa, il fondamento della verit2.

Ora, con riferimento al dibattito sullo gnoseologismo moderno, svoltosi in Italia nella
prima met del secolo scorso, sono da annoverare, da un lato, gli alfieri di quello che Prini de-
finisce un tomismo puro e rigido, testimoniato ad esempio dallopera di Mattiussi, autore
de Il veleno kantiano (1907), il quale riassume le ragioni di fondo del suo totale rifiuto di
Kant, sostenendo che chiunque creda di poter da lui accettare anche una piccola parte della
sua dottrina, sospettando che qualche punto di ci che abbiamo nellintelletto, per naturale
istinto, vogliamo a torto por nelle cose [], non avrebbe pi modo di salvarsi dallidealismo
e dallo scetticismo []. Se lerrore fosse nella stessa natura, non ci sarebbe rimedio!3

1
Il termine stesso di gnoseologia dovuto al filosofo moderno A.G. Baumgarten (1714-1762); cf. S.
Vanni Rovighi, Filosofia della conoscenza, ESD, Bologna 20072 (1a ed. 1963), 188.
2
G. Basti, Ontologia formale: Tommaso dAquino ed Edith Stein, in A. Ales Bello F. Alfieri M. Shahid
(a cura di), Edith Stein, Hedwig Conrad-Martius, Gerda Walther. Fenomenologia della persona, della vita e della
comunit, Edizioni Giuseppe Laterza, Bari 2011, 107-388 (spec. 130).
3
G. Mattiussi, Il giuramento antimodernista, Bergamo 1909, 41, citato in P. Prini, La filosofia cattolica ita-
liana del Novecento, Laterza, Roma-Bari 1996, 42. Questultimo riconosce altres che Fabro, al contrario, ha
saputo vedere la ricchezza problematica e la grande avventura di esplorazione della soggettivit che ha aperto
orizzonti nuovi [ed ha caratterizzato la filosofia moderna] (p. 60). A sostegno, poi, del proprio giudizio, Prini
cita il seguente passo di Cornelio Fabro in Introduzione allateismo moderno, Studium, Roma 1964, 1011: Il
polimorfismo del cogito e il conseguente battagliarsi delle contrastanti alternative non sono stati vani. Nella
frenesia di vincere il dubbio, facendo dellAssoluto la testa di ponte, la coscienza cosiddetta autonoma ha spe-
rimentato in questi ultimi tre secoli la variopinta gamma delle sue affascinanti e terribili possibilit mostrando
che essa pu bens arrivare al nulla ma non raggiungere lessere. Da una parte infatti luomo si confrontato
con lInfinito in modo finito, e dallaltra si confrontato in modo infinito col finito: che in un caso si trat-
tasse di uno pseudo-Infinito di contenuto e nel secondo di pseudo-infinit di atto, ci non impedisce di ri-
conoscere la straordinaria ricchezza di valenze spirituali che a questo modo sono state evocate in una forma
prima sconosciuta.

111
N O T E

Dallaltro lato, non mancato chi come Zamboni abbia difeso il primato della gno-
seologia pura, che discende dallinaffidabilit dei dati della sensibilit per la nostra cono-
scenza del reale nella sua inseit. Era una constatazione ben nota nella filosofia moderna e
rifiutata soltanto dalla persuasione del senso comune e di alcuni scolastici che non vogliono
essere critici!4 Hume, conclude Zamboni,
con tutti i filosofi seri da Tommaso a Rosmini, si era gi accorto che i sensi (esterni) non ci for-
niscono delle cose n la sostanza (atto di essere ed essenza sostanziale), n gli accidenti, n
lazione, n vera passivit, n vera causalit: nulla dunque di ci a cui connessa la necessit (dei
principi fondamentali della sostanza e della causa). Ci rivelano soltanto la successione e la si-
multaneit pi o meno regolari delle nostre impressioni5.

Certamente, avverte Prini, non si tratta di un tomismo che corrisponda con esattezza
alle sue fonti filologiche e gli avversari dello Zamboni hanno avuto buon gioco nel rinfacciargli
alcune sue infedelt di interpretazione6.
Del resto, aggiunge Prini,
il conflitto che si profila tra due metafisiche: quella dellessere e quella dellesserci, quella del-
lactus essendi e quella del fatto di esistere, di esser l davanti ad una coscienza. evidente
che san Tommaso sta dalla parte della prima e lempirismo positivistico moderno della realt
non fondata, anemica e puramente fattuale sta da quella della seconda7.

In tale situazione di radicale contestazione del veleno kantiano, da una parte, e di gno-
seologia pura, dallaltra, Gemelli present nel 1924 al Congresso filosofico di Napoli in oc-
casionane del VII centenario della canonizzazione di Tommaso dAquino la terza via nella
quale, a suo dire, doveva indirizzarsi la neoscolastica italiana, in seguito allistituzione del-
lUniversit Cattolica di Milano:

Oggi una terza tendenza, fresca di energie giovanili, sta formandosi in Italia []. Di que-
sta terza tendenza, che considera in modo tutto proprio la vitalit e le deficienze del Tomismo,
espressione e propugnatrice la Scuola che io ho lonore di avere fondata e di reggere. Pare cio
a noi che lo stesso principio della razionalit della storia vieti di tagliare il corso storico della
cultura in due parti e di condannarne una. Come inconcepibile che la storia si sia svolta ra-
zionalmente solo sino al secolo XIII, cos inammissibile che la razionalit si inizi con Carte-
sio o con la Rinascenza italiana. Nella sua evoluzione perenne, la storia ha ununit dinamica,
la quale un altare su cui nulla si sacrifica alla morte, ma dove tutto si coordina armonicamente
nellorganicit del reale e nella continuit dello sviluppo []. Insomma, tra il san Tommaso
dei ripetitori, che lhanno mummificato, ed il san Tommaso dei carnefici, che vorrebbero tru-
cidarlo, pare a noi che ci sia posto per il san Tommaso di coloro che nello sviluppo della cul-

4
G. Zamboni, Scolastica, filosofia moderna, neoscolastica, Milano 1932, 46.
5
G. Zamboni, A distanza di un secolo: note esegetiche e critiche alla dottrina della conoscenza di Antonio Ro-
smini, Verona 1929, 109.
6
Prini, La filosofia cattolica italiana del novecento, 50.
7
Prini, La filosofia cattolica italiana del novecento, 49. Non vi dubbio, poi, che la posizione di Zamboni
rievocasse in qualche misura le tesi moderniste, censurate nellenciclica Pascendi (1907) di Pio X, in quanto
ritenute capaci di condurre allagnosticismo, vale a dire alla dottrina secondo la quale la ragione umana
ristretta interamente entro il campo dei fenomeni, che quanto dire di quel che apparisce e nel modo in che
apparisce []. Per lo che non dato a lei dinnalzarsi a Dio, n di conoscerne lesistenza, sia pure per intro-
messa delle cose visibili.

112
Carlo Leonardi | Note di filosofia neotomista

tura cedono al programma di Marsilio Ficino: a bono in bonum; di coloro, cio, che la storia
non concepiscono come un succedersi di corsi e ricorsi, n un avvicendarsi di costruzioni e di
distruzioni, bens come la spirale di Goethe, come un vero progresso, in cui la inadeguatezza
fra un sistema costruttivo e le esigenze sperimentali della coscienza sospingono innanzi, per la
via anche di affermazioni errate, se si vuole, le quali per si armonizzano poi nella philosophia
perennis, dopo essere state corrette e spogliate dalle loro esagerazioni e dalle loro scorie8.

qui preconizzata quella piega attualistica, che costituisce a giudizio di Fabro il vi-
tium originis della neoscolastica legata allUniversit Cattolica di Milano, e a Bontadini in
particolare, il quale fu il pi strenuo assertore del guadagno teoretico, scaturente dalla sin-
tesi dialettica tra il realismo metafisico (tomista) e il principio idealistico, rappresentato dalla
filosofia di Gentile.
***
Sar questaccusa, a tratti molto dolorosa, dalla quale Bontadini, dovr difendersi per
una vita: quella di essersi lasciato irretire dal fascino idealista fino al punto di cedere (anche
solo implicitamente) verso posizioni potenzialmente immanentiste e solipsistiche9.
Ebbene, il filosofo milanese riconosce in principio che la deviazione metafisica, riscon-
trabile agli inizi della filosofia moderna, identificabile con
la prospettiva idealistica: secondo la quale il pensiero moderno avrebbe dissolto la cosiddetta
trascendenza dellessere al conoscere, e con ci stesso posta lintrascendibilit, e pertanto, las-
solutezza del conoscere stesso []. La filosofia moderna, cos traguardata, risulta, pertanto,
gnoseologistica, intendendosi per gnoseologismo il predetto predominio del problema del co-
noscere10.

Sennonch, evocando una sorta di astuzia della ragione di hegeliana memoria, Bonta-
dini prosegue:
La conclusione idealistica mentre dissolve ben legittimamente la trascendenza presup-
posta o dogmatica, restaura in effetti cosa di cui ci si pot render conto dopo lidealismo, a cose
decantate la possibilit di una trascendenza non dogmatica []. Allora: 1) posto che la pre-
supposizione naturalistica (il realismo dualistico presupposto) sia responsabile (o almeno cor-
responsabile) della crisi e del rifiuto della metafisica; 2) essa per rappresenta un disguido
teoretico, precisamente o semplicemente perch un presupposto; 3) tale disguido viene cor-
retto dalla stessa filosofia moderna, che pure da esso prende labbrivio. Si scorge da questa pun-
tualizzazione che la filosofia moderna quel ciclo in s raccolto un ciclo che sopprime se
stesso, che, per cos dire, si fa dimenticare, in quanto la sua conclusione leliminazione del suo
stesso presupposto di partenza11.

Dunque, vi una deviazione metafisica allorigine del pensiero moderno, ma una devia-
zione che lo stesso pensiero si incaric di superare. Lo gnoseologismo afferma Bontadini

8
A. Gemelli, Il mio contributo alla filosofia neoscolastica, Vita e Pensiero, Milano 19322 (1a ed. 1926), 8ss.
9
L. Grion, Biografia di Gustavo Bontadini, in C. Vigna (a cura di), Bontadini e la metafisica, Vita e Pen-
siero, Milano 2008, 495-502 (spec. 498).
10
G. Bontadini, La deviazione metafisica allinizio della filosofia moderna, in Scritti in onore di Carlo Gia-
con, Antenore, Padova 1972, 365-381 (spec. 365).
11
Bontadini, La deviazione metafisica allinizio della filosofia moderna.

113
N O T E

pu ben considerarsi quindi una malattia e vi chi, riferendosi alla filosofia moderna, parl nel
secolo scorso di una patologia della mente umana: ma trattasi, secondo lautore, di malattia
dallesito fausto! Da qui muove anche lelogio riservato a Gentile: Per buona sorte, il risultato
maggiore di quella conclusione del ciclo moderno, in cui sta la dignit dellidealismo gentiliano,
proprio quello di avere ristabilita la possibilit della metafisica, ossia quella possibilit che, con
Kant, veniva negata in base ad una certa prospettazione del rapporto soggetto-oggetto o co-
noscere-essere12. Pertanto, il recupero della metafisica non dipende come di solito si dice
dal fallimento dellidealismo, ma dal suo inveramento: tale recupero va riconosciuto come
il frutto della secolare fatica dellidealismo13.
Ammesso quindi il debito di riconoscenza che lo unisce allattualismo gentiliano, Bon-
tadini descrive la propria posizione teoretica, definita neoclassica, la quale contempla il
momento dellidentit di idealismo-realismo14. Ecco come procede nella testuale rico-
struzione di Fabro la formulazione della tesi dellidentit di idealismo-realismo, espressa con
particolare baldanza da parte di Bontadini15:

(Origine) La posizione filosofica [di Bontadini] si form alla confluenza tra lidealismo
considerato specialmente nella sua edizione attualistica e la neoscolastica. Il che come dire
(e questa equivalenza si tratta appunto di illustrare): tra la filosofia moderna e la filosofia tra-
dizionale.
(La risoluzione idealistica) Giacch, sempre a mente di [Bontadini], lidealismo lepi-
logo della filosofia moderna; e la neoscolastica conserva il patrimonio essenziale della tradi-
zione premoderna.
(Tesi) La caratteristica di questa posizione filosofica, se una caratteristica pu esserle as-
segnata e, subordinatamente, un contributo esserle riconosciuto, che essa considera come
veri cio teoreticamente e criticamente validi, incontrovertibili tanto lidealismo quanto
la neoscolastica, una volta che luno e laltra siano portati alla loro espressione autentica, quale

12
G. Bontadini, Gentile e noi, in Id., Dal problematicismo alla metafisica, Marzorati, Milano 1952, 7-26
(spec. 11).
13
Cf. Bontadini, Gentile e noi, 16. Come risulter chiaro qui di seguito, Fabro fortemente critico verso
la filosofia neoclassica di Bontadini, la quale, invece, trova positiva accoglienza in L. Messinese, Il cielo della
metafisica: filosofia e storia della filosofia in Gustavo Bontadini, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006, 38: Vista
nel suo esito ultimo, la filosofia moderna riesce a togliersi come filosofia della conoscenza, cio come quella
che pone quale suo problema pregiudiziale la questione delle capacit conoscitive del soggetto umano, e in
tal modo il venire in chiaro del dogmatismo inerente alle costruzioni metafisiche del pensiero moderno a ra-
gione avvistato da Kant non conduce necessariamente allimpossibilit del sapere metafisico. Infatti, con
la riconquistata identit intenzionale del pensiero con lessere affermata dal pensiero post-kantiano viene
a cadere la pregiudiziale negativa circa la metafisica come scienza, e, cos, questa viene ricostruita nella sua
possibilit []. Cos facendo la riproposta della metafisica classica non si pone semplicemente accanto o
di contro alla filosofia moderna, ma quale soluzione speculativa del problema metafisico al quale essa
stessa perviene al termine del suo processo.
14
Cf. G. Bontadini, Per una filosofia neoclassica, in La filosofia contemporanea in Italia. Invito al dialogo,
Arethusa, Asti 1958, 89-126.
15
Cf. C. Fabro, Lalienazione delloccidente, Quadrivium, Genova 1981, 82, laddove egli ricostruisce cri-
ticamente per intero il teorema bontadiniano, non celando la vis polemica che lo anima: Non si vuol ne-
gare che Bontadini conosca gli altri filosofi moderni [allinfuori di Gentile]: ma credo che non si distanti
dal suo itinerario intimo dicendo che li ha letti e compresi od almeno interpretati a ritroso secondo quello che
precisamente anche il criterio della storiografia idealistica per la quale lo Spirito avanza [] ad una sem-
pre pi esplicita realizzazione di se stesso cos che in questo avanzamento la filosofia, per dirla con Hegel e
con unespressione cara al Bontadini, va insieme con s.

114
Carlo Leonardi | Note di filosofia neotomista

risulta dal compimento dialettico della loro intenzione originaria, o del loro fondamento spe-
culativo.
(Annullamento della polemica) Diciamo caratteristica questa nota, perch essa distingue la
posizione in parola sia dallatteggiamento che veniva preso generalmente dagli idealisti, come
da quello che veniva o viene preso, per lo pi, dai neoscolastici: i quali entrambi si son sem-
pre contenuti, rispettivamente come avversari. Si pu ricordare che questa opposizione veniva
considerata addirittura come lo scontro o la lotta di due mondi.
(Storicizzazione positiva dellopposizione) In quanto lidealismo il consuntivo della filo-
sofia moderna, e la neoscolastica lo scrigno dellantico tesoro, lautore tenendo come validi
luno e laltro, considera inautentico sul piano filosofico quello scontro o lotta; e tende
pertanto a fare la somma anzich, come luso pi corrente, la sottrazione degli apporti
dottrinali pi salienti della filosofia occidentale.
Non irenismo, per, n sincretismo precisa Bontadini ma come autenticazione
della filosofia moderna nella sua esigenza propria che solo ora [] si pu presentare nella
sua effettiva libera essenza come unica filosofia cristiana criticamente fondata16.

Sin qui la sintesi bontadiniana, che Fabro coglie efficacemente:

Nessun dubbio quindi che il Bontadini tratti di unidentit di realismo e idealismo [in-
concepibile per lo scrivente!], ch identit in senso forte cio strutturale, sovrastorica (anzi con-
tro la storia e presentata come fine delle opposizioni che la tradizione filosofica ha sempre
presentato e non cessa ancora di presentare) cio identit speculativa []. Lobiettivo della
tesi quindi evidente: sganciare lidealismo dallimmanentismo ateo e mostrare che lideali-
smo, qualora sia afferrato nella sua esigenza originaria, porta al realismo valido cio critica-
mente fondato []. Bontadini pu ora parlare del reciproco contributo della metafisica classica
e dellidealismo, grazie al quale essi vengono liberati dalle secche di una sterile per quanto se-
colare polemica che non avrebbe giovato a nessuno dei contendenti []. La critica antiideali-
stica, che caratterizza la filosofia contemporanea, [] nasconde, secondo il Bontadini,
unincomprensione di principio, cio del principio stesso dellessenza dellidealismo la quale ha
invece pieno diritto alla sopravvivenza nellinteresse della stessa metafisica quale patrocinata
dal realismo tomistico17.

Se vero che lanima del pensiero di Bontadini si pu riassumere in un triplice con e


un triplice oltre: con lidealismo, con Parmenide e con san Tommaso; oltre lidealismo, oltre
Parmenide, oltre san Tommaso18, ci si spiega con il fatto che il filosofo milanese al fine

16
Fabro, Lalienazione delloccidente, 85.
17
Fabro, Lalienazione delloccidente, 86ss. Severo e in sintonia con il pensiero di Fabro il giudizio
espresso recentemente da Vittorio Possenti in Dottrina della conoscenza, logica, metafisica. Gentile, Bontadini
e noi, in Per la filosofia: filosofia e insegnamento, XXIV (2007), 77-98: La filosofia dellessere e il realismo
non hanno bisogno di attendere limbeccata dellidealismo, n vi una verit dellidealismo che il realismo
gi non conoscesse e che debba far propria (p. 97)! Sul tema, cf. anche A. Sanmarchi, Lonere delle ascendenze
attualistiche e della questione gnoseologica nella filosofia di Gustavo Bontadini, Relazione tenuta al convegno
La filosofia cristiana dopo Giovanni Gentile, svoltosi presso la Pontificia Universit Lateranense, Roma 13
maggio 2005 (http://www.teorefilo.net/abstracts.html).
18
B. Mondin, Storia della metafisica, III, ESD, Bologna 1998, 701, il quale tiene a precisare che la for-
mula con oltre appartiene allo stesso Bontadini e ad un suo saggio intitolato: Con Tommaso oltre Tommaso,
in Rivista di filosofia neoscolastica, LXVI (1974), 813-817.

115
N O T E

sopravanzare le aporie che indiscutibilmente lidealismo stesso presenta, laddove tenti di ri-
solvere lessere nel pensiero (fenomenismo) ha cercato in verit riparo e approdo sicuro
nella metafisica dellessere di Parmenide, prima ancora che in quella dellAquinate (proprio
ci che mai gli verr perdonato da Fabro)19. Da ultimo, tuttavia, litinerario bontadiniano, me-
diante il ritorno a Parmenide, termina con lantinomia tra la constatazione del divenire, da
un lato, e la denuncia della sua contraddittoriet, dallaltro. La ragione ha, infatti, sotto di s
due protocolli, come li chiama Bontadini:

La constatazione del divenire da un lato, e la denuncia della sua contraddittoriet dallaltro.


Due protocolli che fanno capo, rispettivamente, ai due piloni del fondamento: lesperienza e il
principio di non contraddizione (primo principio). I due protocolli sono tra loro in contraddi-
zione, e tuttavia godono entrambi del titolo di verit (ossia del valore o positivit teoretica) ap-
punto perch imposti dai rispettivi piloni del fondamento. Sono verit, per, che in quanto
nellantinomia (antinomia dellesperienza e del logo) si trovano a dover lottare contro unimpu-
tazione di falsit. Giacch lesperienza oppugna la verit del logo e il logo quella dellesperienza20.

Lantinomia in questione viene infine superata dialetticamente attraverso lenunciazione


del principio di creazione, con cui si afferma che lImmobile crea il mobile, ovvero che il
mobile reso intelligibile, cio incontraddittorio, solo se pensato come creato dallImmo-
bile21. Il divenire viene cos superato nella sua facies contraddittoria: Lepifania della Verit
si ha con il principio di creazione e soltanto con esso: Prima Veritas. Anteriormente a que-
sto principio non si d che la verit puramente formale del principio di contraddizione. Il
quale pi che verit criterio di verit, la norma secondo cui determiniamo la verit come ac-
certamento dellessere22.
Ebbene, qui, Fabro eccepisce, in ultima istanza, che il principio di creazione, Prima Ve-
ritas, di cui parla Bontadini,

19
Cf. G. Perini, Pagine recenti di letteratura tomista, in Divus Thomas, 80 (1977), 398-422, il quale ben
riassume la tesi fondamentale di Fabro secondo cui la filosofia non potr rigenerarsi se non riprendendo il
suo compito primario e specifico che, come ammonisce Heidegger, il ritorno al fondamento, allessere
[]. Secondo Fabro, uno strumento adatto per tale auspicato ritorno della filosofia a se stessa il tomismo
inteso quale modello di pensiero universale []. Si tratta di un tomismo ridotto allessenziale (tomismo
essenziale) che, innanzi tutto, assume lessere e non lidea di essere o lessere della coscienza come ine-
sauribile fondazione dellattivit della coscienza, come atto di ogni atto, aperto allInfinito cio allEssere stesso
che Primo Atto (p. 404). E altrove lo stesso Cornelio Fabro in Tomismo e pensiero moderno, PUL, Roma
1969, 226ss, afferma: stato san Tommaso il primo, e per quanto mi consta rimane ancora lunico, a trat-
tare lesse stesso come atto, come latto di ogni forma e di ogni altro atto, grazie al quale qualsiasi altro atto e
forma pu dirsi in-atto: mentre per Aristotele lo eivnai come tale non e non significa nulla, ma si disperde
nella realt delle forme e nei significati della copula dei predicati del giudizio. Anche per san Tommaso,
come per Aristotele, lens polivalente: non per per disperdersi nella forma ma per raccogliersi nel suo atto
fondante ch lesse []. Il fatto che la nozione tomistica abbia potuto giovarsi della nozione biblica della di-
vinit (Exod. 3,14) e della tradizione ebraico-patristica che ha visto in Dio il mar dellessere non nuoce af-
fatto alla completa saldatura del discorso teoretico. Esso sinizia con lessere indeterminato (Parmenide), si
espande nel plesso delle forme trascendenti (platonismo), nel distinguersi delle forme immanenti (aristoteli-
smo) e si compie nellemergenza assoluta dellesse come atto intensivo (tomismo) di ogni forma []. stato
allora lapprofondimento tomistico dellatto, la scoperta dellesse al di l dellessenza, quel decisivo passo in-
dietro [auspicato pi volte da Heidegger, sebbene in tuttaltra direzione!] che ha recuperato la verit appena
intuita e subito smarrita dellente parmenideo.
20
G. Bontadini, Per una teoria del fondamento, in Sapienza, 26 (1973), 333-355 (spec. 342).
21
Bontadini, Per una teoria del fondamento.
22
G. Bontadini, Conversazioni di metafisica, II, Vita e Pensiero, Milano 1971, 193.

116
Carlo Leonardi | Note di filosofia neotomista

ha ben poco a che fare anzi si oppone alla nozione classica di productio rei ex nihilo sui et
subjecti [a cui aderisce Tommaso]: la creazione come autoporsi dellessere, dato che il dive-
nire detto non essere e in s contraddittorio [ rispetto al principio di creazione] laffer-
mazione dellimmutabilit dellessere e lesperienza non sono verit, ma solo momenti dialettici.
Bontadini concepisce tale Prima Veritas in due momenti:
a) mediante latto creatore il divenire visto insidente nellatto creatore, il quale insuc-
cessivo. La vera realt (lo ontos n) questo atto, ossia latto annullatore del non essere del di-
venire (sic!). E questo rapporto detto, con la terminologia del Severino [allievo di Bontadini],
la Struttura originaria o lIntero. Di qui:
b) lunica realt Dio e, poich Dio creatore, con la sua realt posta anche quella del
mondo. Quindi, non dal mondo a Dio ma viceversa da Dio al mondo. la forma dellargo-
mento ontologico, non per nella linea di santAnselmo, ma dellidealismo e del Gioberti per
i quali il mondo della finitezza apparire e non essere, che rimanda allessere del Tutto e del-
lAssoluto di cui manifestazione. Giustamente perci il Severino taccia il maestro di incoerenza
per voler salvare siffatto mondo e occuparsi ancora dei fenomeni, quando non si tratta altro
[] che di prospettare la verit come lapparire e lo scomparire sullo sfondo od orizzonte
dellessere. Non difficile vedere nella filigrana di questa prova ch detta di proposito dia-
lettica, e il termine significativo la dialettica idealistico-panenteistica di essere ed apparire:
in fin dei conti, il mondo per Bontadini come per lidealismo non ha realt in s e per s e ri-
mane nel suo fluire refrattario al pensiero23.

***
Fabro e Bontadini furono entrambi relatori al IV Convegno Nazionale dei docenti italiani
di filosofia nelle Universit, Seminari e Studentati religiosi dItalia, svoltosi ad Assisi dal 27
al 29 dicembre 1972, sul tema: Il problema del fondamento, i cui Atti, inclusi i dibattiti con-
gressuali, sono raccolti nella rivista Sapienza del luglio-dicembre 1973.
Fu un momento di chiarificazione importante, da cui Fabro trasse ispirazione per scrivere
il pamphlet: Lalienazione delloccidente (1981), volto a contestare la teoria neoclassica e il ri-
torno a Parmenide di Bontadini, ma soprattutto le evoluzioni aberranti che ad avviso di
Fabro tale indirizzo di pensiero ha avuto in Severino24.
Dal confronto emerse innanzitutto come, per Bontadini, fosse il negativo a chiamare in
causa il fondamento: Il primato che cos viene attribuito al negativo connesso al fatto
(factum rationis) che solo con la comparsa del negativo si apre lo spazio per il fondamento (an-
zitutto per la richiesta del fondamento). Del puro positivo, infatti, non si d ragione, o fon-
damento [ di modo che] il primato del negativo primato dialettico la via della
posizione del primato del positivo25.

Si pu dire allora commenta Fabro che il momentum metaphysicum del divenire nella
sua negativit, ossia nel non avere nessuna positivit, poich proprio dellesperienza del di-
venire il suo continuo passare ad altro (Hegel), che Bontadini indica con lespressione for-

23
Fabro, Lalienazione delloccidente, 91ss.
24
Sui rapporti tra Bontadini e Severino, cf. L. Grion, Bontadini vs. Severino e L. Messinese, Nota sul punto
di arrivo della disputa tra Severino e Bontadini, in Vigna (a cura di), Bontadini e la metafisica, 417-479 e 481-
493. Sulle repliche severiniane a Fabro, cf. il recente E. Severino, Il mio ricordo degli eterni. Autobiografia, Riz-
zoli, Milano 2011.
25
Bontadini, Per una teoria del fondamento, 333ss.

117
N O T E

male di venire meno del dato, da cui scaturisce appunto la contraddittoriet del divenire,
che viene chiamata la grande contraddizione []. Se non che, tocca osservare, per il fatto che
Bontadini pensa di fare il passaggio dal divenire, inteso come pura negativit, allImmobile,
come Tutto della positivit, puntando tutto sulla negativit, non sfugge alla risoluzione pa-
nenteistica: egli si sforza di sfuggirla con il semantema del principio di creazione, ove per
non si tratta di creazione come produzione dellente dal nulla, ma come apparizione del-
lEssere al nulla del divenire, che continua ad essere nulla in s perch questa negativit che
fa fare (si badi bene!) il balzo verso lImmobile []. In conclusione, per il Bontadini: a) il di-
venire (ed in esso si deve includere il molteplice e diverso) come tale, e come tale per-
mane, contraddittorio poich il suo essere non-essere, nella linea di Parmenide, Platone
secondo lesegesi idealista seguita da Bontadini e Severino;26 b) tale contraddittoriet o nega-
tivit assoluta esige la metbasis eis allo ghnos, il passaggio del mobile allImmobile come as-
soluto di positivit che assume e ingloba in s il divenire. Attenzione ora alla conclusione del
tutto coerente: c) Lente [il divenire] che temporale [nulla] in quanto empirico, eterno in
quanto divino. Ma il secondo in quanto risolve in s il primo senza residuo.27 Se non che,
tocca subito aggiungere, non pu leterno e il divino, che il positivo nella stessa posizione
del Bontadini, risolvere in s il temporale, che per lui il negativo, poich quel positivo
Bontadini stesso lo ripete di continuo sorge e si aderge da/su quel negativo che gli fa da
spalla, anche se poi si dice o piuttosto si postula che il positivo (lImmobile) Grund del di-
venire temporale: per risolvendolo in s. Quindi il negativo non molla la sua stretta sulles-
sere e sulla verit e la metafisica resta compromessa alla radice: lo sviluppo antimetafisico e ateo
delle filosofie contemporanee, figlie variopinte ma fedeli del cogito moderno, stato del tutto
coerente e inevitabile28.

La morsa del negativo, quindi, stringe in assedio lente che indicato da Severino in os-
sequio al pensiero del maestro Bontadini, cos almeno ritiene Fabro come non-niente, ove,
annota questultimo, il qualificante e fondante riportato o riferito al fondamento del niente
(non-niente) come semantica appunto significante (sic!)29.
Qui la distanza da Fabro, per il quale lens ens in quanto finite participat esse, non po-
trebbe essere maggiore: Dire pertanto che lente il non niente non esprime alcunch, n
nella sfera dellessenza n in quella dellessere: qui le due negazioni (non-niente) non fanno
unaffermazione, come in matematica, ma reduplicano il negativo e fanno il vuoto radicale
allinterno dellanima30.
E ancora: Come giustifica Severino che lente un non-niente, cio laffermazione
che comporta la negazione della negazione? Quale affermazione pu mai essere lessere, se il

26
Lalienazione delloccidente, 140ss, al contrario, ritiene che il divenire non sia contraddittorio e lo afferma
esplicitamente: Lopposizione di Aristotele, non solo agli Eleati e allo stesso Platone, precisamente non la
semplice affermazione della realt del divenire e dei molti di contro allEssere e allUno immobile, ma la sco-
perta e articolazione del nuovo logo dialettico, cio la convinzione che la realt stessa convenga sia allente
molteplice che al divenire (il molteplice e il divenire non sono del tutto la stessa cosa, quello riguarda lente
come tale, mentre questo si rapporta alle sue eventuali mutazioni) riferita ad una duplicit di principi com-
plementari che sono la potenza e latto.
27
Bontadini, Per una teoria del fondamento, 350; i termini qui inseriti tra parentesi quadre appartengono
a Fabro.
28
Fabro, Lalienazione delloccidente, 134ss.
29
Fabro, Lalienazione delloccidente, 116.
30
Fabro, Lalienazione delloccidente.

118
Carlo Leonardi | Note di filosofia neotomista

suo fondamento (Grund) posto nella negazione presa come latto originario dello spirito
e precedente, anzi, fondante lessere stesso?31
La risposta allinterrogativo di Fabro la fornisce indirettamente lo stesso Bontadini, al-
lorch, muovendo decisamente oltre Tommaso, lamenta che a suo sommesso avviso []
la fecondit costruttiva, la portata inferenziale, di cui avrebbe dovuto esser carico il concetto
di esse ut actus [] viene in piena luce se il concetto stesso compenetrato, per cos dire, con
quello che emerge considerando lopposizione al negativo, ossia intendendo lessere lac-
tus essendi, appunto nel suo originario opporsi al non essere32. E aggiunge:

La domanda Perch lessere piuttosto che il nulla?, che spuntata varie volte nella storia
della filosofia moderna [] con la sua implicita dubitazione che il nulla possa essere un con-
corrente dellessere, trae origine manifestamente dallesperienza del non essere dellessere del-
lesperienza, della sua contingenza. Continge lessere, ma, per ci stesso, continge il nulla; capita
che lessere, questo essere, ci sia, ma capita pure che non ci sia. Chi decide, allora, tra lessere e
il nulla?33

Codesta domanda ribatte Fabro per noi posteriore e non pu aver alcun significato
prima che non sia stabilito il cos lente e lessere dellente. Per noi la prima evidenza che
lente c: desso il primo svegliarsi della coscienza, al di l del quale non c [] che il buio
dello spirito34. Cosicch conclude Fabro:

31
Fabro, Lalienazione delloccidente, 122, laddove lautore cos completa il proprio ragionamento: La
doppia negazione pu essere funzione ponente cio affermante in matematica perch il numero un astratto
formale della quantit che pu astrarre dalla qualit dellessere: il due di due elefanti non un due maggiore
del due di due moscerini o di due microbi Non cos lessere dellente che tale in quanto ha sempre un con-
tenuto (essere elefante) che lo fa essere questo o quello nella diversit delle nature degli enti ed ha un atto
ponente cio latto di essere mediante il quale lente si trova collocato ed operante nella realt, sia allinterno
di s come nel suo ambiente fisico, biologico, sociale.
32
Bontadini, Con Tommaso oltre Tommaso, 813. In tal senso, cf. S. Vanni Rovighi, Storia della filosofia con-
temporanea, La Scuola, Brescia 1985, 742; la novit di Bontadini consiste proprio in questa volont di se-
mantizzazione del termine essere: La scolastica e la neoscolastica non avevano finora sentito lesigenza di
semantizzare il termine essere, paghe di dichiarare che lessere indefinibile perch quello in cui si risolve
ogni altro concetto; Bontadini ritiene invece necessaria la semantizzazione del termine, e afferma che il signi-
ficato di essere emerge solo in correlazione con il significato del non. In altri termini, non vi alcun contenuto
intenzionale del termine essere, se non in quanto esso esprime lopposizione al negativo (G. Bontadini, Con-
versazioni di metafisica, I, 291). Di contro alle critiche rivolte da Vanni Rovighi, Berti e soprattutto Fabro
verso siffatta eredit bontadiniana, che giunge fino a Severino, cf. L. Messinese, Lapparire del mondo. Dialogo
con Emanuele Severino sulla struttura originaria del sapere, Mimesis, Milano 2008, 369ss: La tesi di fondo di
Fabro che, per Severino, lessere non lactus essendi rigorosamente affermato da Tommaso, ma lessere
mentale posto dallatto del giudizio, che identifica il soggetto al predicato, la essentia (= il possibile), alla exi-
stentia (= lesistere di fatto). La mia tesi, al contrario, che lesse al quale fa riferimento Severino pur con tutti
i problemi che esso comporta sul piano del concreto articolarsi della filosofia prima lo stesso actus essendi
di Tommaso e non, semplicemente, lesse existentiae. Di pi, lactus essendi assunto esplicitando lorizzonte della
opposizione assoluta dellessere al non essere []. Severino, quindi, non afferma affatto leternit dellesistenza
di ogni ente a partire dallestensione indiscriminata dellesse existentiae ad ogni essentia nellatto del giudi-
zio, ma sostiene leternit di ogni ente a partire dalla valorizzazione, in una forma che egli ritiene pi rigorosa,
proprio dellatto di essere. Se le osservazioni critiche rivolte a Fabro hanno valore, la critica autentica da rivolgere
a Severino riguarda la tesi che, in Tommaso, il nichilismo si esprime nel concetto di partecipazione, concetto che,
invece, abbiamo visto essere intimamente connesso con quello antinichilistico di creazione.
33
Bontadini, Per una teoria del fondamento, 339.
34
Fabro, Introduzione allateismo moderno, 56. Cf. in merito A. Robiglio, La logica dellateismo. Il princi-
pio di non contraddizione secondo C. Fabro, in Divus Thomas, CII (1999), 120-143, il quale ricorda op-

119
N O T E

Quando la negazione primaria e dominante [e, se si esclude la priorit dellapprehensio


entis, vedi Bontadini, non pu che avvenire cos, poich la negazione non pu arrestare se stessa],
essa condiziona laffermazione e impone il principio di identit []. Infatti se il comincia-
mento viene fatto con il non-essere ovvero, come fa Hegel, con lidentit di essere e non-essere,
lessere dellaffermazione emerge o piuttosto cade e decade a funzione del non-essere, di quella
che Hegel chiama linfinita inquietudine dello spirito, come negazione negante sempre in
atto. ci che accaduto, con piena coerenza, drammatica e tragica, col pensiero moderno: la
coscienza nel pensiero moderno, sfociata ora nel nichilismo, come la fiera dantesca che
dopo il pasto, ha pi fame che pria35.

portunamente: A rigore quindi non si dovrebbe parlare dapprincipio del problema dellessere, se non come
problema di fondazione o risoluzione dellente. Dalla prise iniziale sur le complexe de lens, et non pas sur
ltre [C. Fabro, Rec. a A. Keller, Sein oder Existenz, in Revue Thomiste, LXX (1970), 456-463 (spec. 463)]
si passa (per viam resolutionis) alla distinzione di essenza ed atto dessere e a livello logico alla semantizza-
zione di essere e non-essere. Il percorso inverso [e qui il riferimento alla teoria del fondamento di Bontadini],
prendendo le mosse da una differenza (quella tra essere e non-essere) non fenomenologico-reale e non quali-
tativa (bens univoca e posta come tolta attraverso una negazione, a sua volta, univoca), ricade sotto la ti-
rannia dellidentit e dellunivocit, che ammette quale unico rapporto ad extra la negazione (p. 124).
35
C. Fabro, Lodissea del nichilismo, Guida, Napoli 1990, 14ss. E ancora cf. C. Fabro, La comunicazione
della verit nel pensiero di Kierkegaard, in Id. (a cura di), Studi kierkegaardiani, Morcelliana, Brescia 1957, 125-
164: Lerrore della filosofia hegeliana quello di identificare lessere col pensiero, il razionale con il reale, di
scambiare quindi la possibilit con la realt e si pu comprendere allora come la dialettica hegeliana sfuma nel
nulla (p. 139). Analoga considerazione svolta da V. Possenti in Dottrina della conoscenza, logica, metafisica,
84: Qui il trucco consiste nellassumere che lo svolgimento apriorico e logico-dialettico del pensiero sia identi-
camente lo sviluppo dellente: un assunto in cui si cela una magna hallucinatio in cui sembrano incorsi Hegel e
Gentile. Alla dialettica hegeliana, Fabro contrappone la dottrina dei medi di Kierkegaard, secondo la quale
il medio dellessere la realt extramentale, che comporta limpegno, la fatica, la sofferenza dellattuazione etica,
mentre il medio della possibilit, intesa propriamente come pensiero e riflessione, la fantasia, che non ne-
cessita di alcuno sforzo di attuazione. Se si confonde il pensiero con il reale, come avviene nella dialettica he-
geliana, tutti i possibili diventano realizzabili in quanto semplicemente pensabili e dunque tutto diventa
possibile. Lio viene colto da una vertigine infinitizzante che lo porta ad una sorta di onnipotenza fantastica.
Per Fabro, laver confuso il medio dellessere con quello del pensiero ha condotto Hegel, ed i suoi seguaci, ad
una ontologizzazione della fantasia e ad una fuga dalla realt e dallimpegno etico, che essa richiede; cf. A.
Sanmarchi, Lo stile come cifra della libert intellettuale: il filosofare secondo Cornelio Fabro, in Rivista di filo-
sofia neoscolastica, 93 (2001), 95-128.

120
R E C E N S I O N I
LETTERE DAL FRONTE CECILIANO Mauro Casadei Turroni Monti

Severino Dianich friva non pochi argomenti a quanti erano


interessati alla marginalizzazione politica
Chiesa e laicit dei cattolici, al ridimensionamento della
dello Stato. presenza delle chiese nella societ e ad ac-
La questione teologica cusare i cattolici impegnati nella vita vita
democratica di doppio-giochismo: di ac-
San Paolo, Milano 2011, pp. 103, cettare, cio, le regole democratiche solo
euro 10. per l'impossibilit di imporre lo stato con-
fessionale e solo fino a quando tale imposi-
L'agile volume di Severino Dianich affronta zione non si sarebbe rivelata meta
la tematica dei rapporti fra Chiesa e stato perseguibile.
laico. La questione, nonostante sia secolare, Il cuore della riflessione di Dianich su
suscita dibattiti spesso caratterizzati da ac- Chiesa e laicit dello stato la teologia della
cesa emotivit e da semplificazioni divulga- evangelizzazione. L'annuncio del Vangelo
tive, funzionali all'agone mediatico che non di Ges, nella sua purezza e radicalit,
di rado superano il limite del caricaturale. trova, infatti, nel contesto secolarizzato e
L'autore, la cui analisi tiene in particolare multi-religioso degli stati democratici
considerazione il contesto italiano ed li- (come Giovanni XXIII aveva indicato ai
mitata al rapporto delle chiese con le de- padri i nel suo discorso di apertura del
mocrazie europee, iscrive il tema fra le Concilio Vaticano II) un luogo privilegiato,
questioni teologiche, affiancandosi alle poich la comunicazione del Vangelo ne-
scienze canoniche e giuridiche che ne cessita non solo che sia libero colui che lo
hanno detenuto, fino ad oggi, quasi un' annuncia, ma anche colui che lo riceve. Il
esclusiva. Il contributo prezioso non solo rispetto della libert di colui che riceve l'an-
per l'autorevolezza del suo autore, ma nuncio dato da una parte dall'umilt con
anche per la sua novit. Sono tanti i cre- cui l'evangelizzatore riconosce l'inadegua-
denti quotidianamente sollecitati, dalle pi tezza della sua persona e delle sue parole a
varie questioni, a prendere posizione sulla trasmettere un messaggio che non gli ap-
presenza della chiesa nello stato laico. Dia- partiene, dall'altro dalla consapevolezza di
nich offre loro, finalmente, un quadro di proporre all'interlocutore non credente va-
riferimento che per certi versi pi essere lori che non possono essere recepiti come
considerato un traguardo, certamente prov- assoluti. D'altro canto proprio il mistero
visorio ma maturo, del rinnovamento teo- dell'Incarnazione e la professione che il Cri-
logico post-conciliare. Non deve, infatti, sto non soltanto vero Dio, ma anche vero
sfuggire che stato proprio il Concilio Va- uomo, rende l'annuncio del Vangelo, in
ticano II, non solo con Dignitatis Huma- tutta la sua radicalit, testimonianza e pro-
nae, ma anche con Lumen Gentium, posta recepibili anche ai non credenti quali
Gaudium et Spes e Dei Verbum e pi in ge- contributi per affrontare i problemi umani
nerale con una rinnovata strumentazione spesso drammatici della contemporaneit.
per la lettura della realt alla luce della fede, La forza di tale annuncio e testimonianza
a fornire alla chiesa gli elementi di autoco- sottostimata e l'autore lamenta la timidezza
scienza e la possibilit di reclamare i diritti con cui pur nella ricettivit da parte delle
di piena cittadinanza negli stati democra- istituzioni democratiche e del mondo laico
tici. Come noto, infatti, prima del Con- in generale il Vangelo viene messo in
cilio Vaticano II la Chiesa poteva grazie campo. A fronte di questa timidezza di
ad una complessa e raffinata elaborazione laici e pastori, sta l'insistenza con cui i ve-
canonica - reclamare il diritto di cittadi- scovi indicano la cogenza della legge natu-
nanza negli stati democratici solamente per rale e i principi che il magistero della chiesa
via ipotetica. Questo quadro, tuttavia, of- ne deduce come valori superiori e addirit-
tura non negoziabili. Dianich non pone

123
R E C E N S I O N I

certo in contraddizione i valori desumibili Vangelo e della Tradizione cristiana pu es-


dalla natura dell'uomo e l'autorit del ma- sere offerta quale patrimonio fecondo di
gistero della chiesa con l'annuncio del Van- tutta l'umanit.
gelo, tuttavia evidenzia il paradosso della Marco Giovannoni
quasi totale assenza degli argomenti evan-
gelici dal dibattito pubblico a fronte della
quasi esclusiva offerta dal parte del mondo
cattolico di argomenti tratti all'interno di
un sistema filosofico definito, pur gran-
dioso e capace di offrire riferimenti forti,
ma che nel contesto del dibattito democra- Mauro Casadei Turroni Monti
tico non pu essere recepito nella sua com-
pletezza e assolutezza. Lettere dal fronte
Oltre alla precisione dell'analisi, alla perti- ceciliano. Le visioni
nenza e argutezza delle argomentazioni il
volume si caratterizza per la ponderazione
di don Guerrino Amelli
con cui l'autore affronta una questione che nei carteggi conservati
normalmente emerge durante i dibattiti a S. Maria del Monte
in materia di bioetica, di diritti civili, di ri- di Cesena
conoscimento del valore sociale delle atti-
vit della chiesa e dell'identit cristiana Olschki, Firenze 2011, pp XX-518
con toni aspri e non di rado privi di ade- (Historiae Musicae Cultores, 121).
guato retroterra concettuale.
Dianich pur invitando i credenti a pren- La figura del sacerdote milanese don Guer-
dere le distanze da posizioni e atteggiamenti rino Amelli, divenuto monaco benedettino
del passato non le condanna, ma le com- cassinese con il nome di Ambrogio Maria,
prende a partire dal loro retroterra storico, ci riproposta da una recente opera di
costituito da eredit pesanti che spesso re- Mauro Casadei Turroni Monti edita da Ol-
cano ferite ancora aperte e legittimano pre- schki nella prestigiosa collana Historiae Mu-
occupazioni. sicae Cultores. La parabola della sua vita si
Il volume utile anche per gli interlocutori svolge tra il fatidico mese di marzo del-
non credenti, sia quelli che nel mondo lanno 1848 nacque il 18 marzo a Milano
laico mostrano una sensibilit accogliente e dove appena il giorno prima era giunta la
curiosa, sia quelli ostili, convinti della in- notizia dellinsurrezione di Vienna e il
compatibilit fra i valori della democrazia e 1933 nel quale muore a Montecassino,
l'appartenenza alla chiesa cattolica: essi po- anno in cui Adolf Hitler sal al governo in
tranno trovare nelle pagine di Dianich il Germania.
tentativo, di uno fra i pi autorevoli teo- Era stato ordinato prete a Milano il 20
logi viventi, di esprimere l'autocoscienza settembre 1870, quando i cannoni italiani
della chiesa nei confronti della laicit e po- sfondavano le mura di Roma, aprendo la
tranno laicamente includerla fra le coscienze breccia di Porta Pia. Nello stesso anno as-
critiche che legittimamente concorrono alla sunto alla Biblioteca Ambrosiana come
vita culturale e politica delle societ e degli scrittore, pot coltivare studi biblici, patri-
stati liberali. stici e liturgici.
A tutti, credenti e non credenti, il volume Queste poche date evidenziano bene
offre una piattaforma concettuale e una let- come la vita di Amelli abbia attraversato un
tura teologica compiuta in vista di una pre- periodo assai difficile per la vita ecclesiale,
senza/accoglienza maggiormente serena oltre che per le vicende politiche europee.
della chiesa nello stato laico da cui tutti pos- La Chiesa si sentiva minacciata, aggre-
sono trarre giovamento, perch la luce del dita, spogliata dalla Rivoluzione a Porta

124
IL ROGO SULLA PIAZZA Antonio Palesati

Pia si domandava come resistere e da dove proprio questo suo esplicito sostegno in un
iniziare una rivincita che appare come contesto tanto importante scaten forze av-
lunica agenda possibile del futuro (dalla verse che portarono Amelli a interrompere
Prefazione di A. Melloni). Una cattolicit ogni impegno in questo campo.
attaccata e divisa anche al suo interno, sem- Nel 1885 si ritir allabbazia di Monte-
plificando, tra chi tenta di avviare movi- cassino, emettendo la professione religiosa
menti di riforma, accomunati dallidea che nel 1887. Vocazione monastica seguita dal-
solo un profondo rinnovamento della labate Bonifacio M. Krug priore a Monte-
Chiesa possa permetterle di non arenarsi su cassino fino al 1888, quando divenne abate
posizioni sempre pi sterili e amare; e chi, di Cesena. Erano quelli gli anni in cui il
dallaltro lato, aderisce a correnti reaziona- monachesimo italiano tentava faticosa-
rie, che si appellano a quei principi di au- mente di uscire dalla tragedia delle soppres-
torit che la modernit pare mettere in sioni decretate dalle leggi dello Stato nel
discussione. 1866, 1867 e applicate alla provincia ro-
Amelli partecipa a questa vita ecclesiale mana nel 1873. Il mondo monastico ita-
allinterno del movimento liturgico che alla liano si presentava tuttaltro che unificato,
fine dellOttocento si occupava, poteva per composto comera di piccole congregazioni
il momento solo occuparsi, di musica sacra. dalle tradizioni antiche, i cui monaci, pri-
Convinto che la strada da percorrere non vati dei loro beni e costretti alla dispersione,
fosse quella della modernizzazione, ma al con fatica erano riusciti a riformare le co-
contrario occorresse togliere tutto ci che munit e riaprire i noviziati. Con lecce-
lepoca moderna e barocca avevano appe- zione del processo di germinazione dai
santito, per tornare alle fonti pi pure: vi si benedettini cassinesi della congregazione
riconosce gi la premessa alla riforma litur- sublacense dellabate Casaretto, non esisteva
gica propiziata dal Vaticano II. In questo in Italia nulla di simile al processo di rina-
ambito fu a capo della corrente che soste- scita del mondo benedettino che aveva
neva la scuola di Solesmes contro quella di coinvolto molti paesi europei, in primo
Ratisbona per il restauro dellantica tradi- luogo Francia, Germania e Belgio dove
zione gregoriana. Ma fu biasimato dalla erano state riaperte abbazie e fondati nuovi
Congregazione dei Riti e si mise da parte, monasteri. Il riferimento ovviamente al-
fino a quando Pio X dopo un cambiamento lopera di Prospero Guranger (1805-
di tendenza avvenuto nel 1904, rilanci il 1877), rifondatore di Solesmes, e ai fratelli
suo contributo in questo settore. Mauro e Placido Wolter, fondatori di Beu-
Lopera di Casadei Turroni Monti si sof- ron e Maredsous. Mentre queste abbazie
ferma sullimpegno profuso nellambito crescevano e riproponevano un monache-
della musica sacra, ma Amelli fu anche bi- simo intriso di romanticismo che identifi-
blista, storico, archivista, codicologo e pa- cava il Medioevo come momento esemplare
leografo: sicuramente una delle figure pi a cui rivolgersi, per riprodurlo anche sul
caratteristiche della cultura ecclesiastica ita- piano organizzativo, musicale (tramite il
liana tra la fine del XIX e il principio del canto gregoriano) e architettonico, in Italia
XX secolo. buona parte delle congregazioni monastiche
Il suo nome resta soprattutto legato alla compiva notevoli sforzi per non scomparire.
restaurazione della musica sacra in Italia, di In campo politico Amelli fu conciliari-
cui fu iniziatore e attivo propugnatore con sta come labate Luigi Tosti; questa sua po-
numerose iniziative che spesso non ebbero il sizione, che oggi sarebbe definita di
successo auspicato e gli procurarono avver- pontiere, gli procur difficolt e laccusa
sioni e controversie. Tra laltro fu presidente di essere regalista, ma venne rivalutata aper-
del Congresso europeo di canto liturgico di tamente dopo il 1929.
Arezzo nel 1882, che costitu il primo fer- Era membro della Commissione Biblica
vente contributo italiano ai solesmensi. Ma e il suo nome legato allistituzione della

125
R E C E N S I O N I

Commissione per la Volgata (1907), di cui avveniva in questo campo in diversi paesi
divenne vicepresidente nel 1916. dEuropa. Una formazione che lo poneva
come personaggio eminente del ceciliane-
Dal 1908 aveva lasciato Montecassino simo italiano, movimento che tentava di
inviato come abate della Badia Fiorentina, superare il ritardo in cui versava la musica
ma con il triste compito di dover provve- sacra nel nostro paese a causa del forte in-
dere alla chiusura della comunit (1919). flusso esercitato dal melodramma e dal ge-
Durante il periodo in cui fu archivista a nere bandistico. Il movimento delle accade-
Montecassino, comp numerosi ritrova- mie di Santa Cecilia cercava di andar oltre
menti e forn contributi di carattere storico, questo repertorio di consumo attraverso un
alcuni dei quali pubblicati, altri rimasti ma- vasto progetto che comprendeva scholae can-
noscritti e poi perduti nella distruzione del- torum, produzione editoriale, associazioni
labbazia durante la Seconda guerra mon- per un ritorno a stili pi sobri e classici. Il
diale. Iniziatore dello Spicilegium Casinense volume offre contributi nuovi di indagine
e della Miscellanea Cassinese, Amelli mor a sia sul versante scientifico-musicale che in
Montecassino il 25 agosto 1933. ambito spirituale monastico con riflessi sulla
Il volume, che presenta una copiosa Congregazione benedettina cassinese. La
scelta del ricco carteggio conservato nellar- trascrizione delle lettere stata effettuata
chivio dellAbbazia del Monte di Cesena, seguendo criteri diplomatici, al fine di mo-
costituisce la prima monografia sullimpe- strare la koin culturale-linguistica degli scri-
gno profuso a favore della musica sacra in venti in rapporto alle abitudini primonove-
Italia da un personaggio che ebbe la possi- centesche.
bilit di rapportarsi direttamente a quanto Roberto Fornaciari

126
GLI AUTORI

Roberto Fornaciari
Professore ordinario di storia del monachesimo e della vita religiosa in Toscana,
Istituto Superiore di Scienze Religiose Beato Gregorio X, Arezzo

Pietro Domenico Giovannoni


Docente di storia e filosofia nei licei, professore incaricato di storia della chiesa mo-
derna e contemporanea, Istituto Superiore di Scienze Religiose Ippolito Galantini,
Firenze

Anselmo Grotti
Docente di storia e filosofia nei licei, professore incaricato di sociologia della comu-
nicazione, Istituto Superiore di Scienze Religiose Beato Gregorio X, Arezzo

Mara Victoria Hernndez Rodrguez


Giudice nel Tribunale dAppello del Vicariato di Roma, docente di Diritto Proces-
suale canonico nella Facolt di Diritto canonico dellUniversit Pontificia Salesiana,
Roma

Carlo Leonardi
Dottorando in filosofia, Universit di Siena

Donatella Pagliacci
Direttrice dell'Istituto Superiore di Scienze Religiose Beato Gregorio X, Arezzo,
docente di filosofia morale

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