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NOTE PER UNA STORIA DELL'AVERROISMO LATINO

( Continuaz . : v . fase . //, 1947, pag, 134-140)

II.

LA POSIZIONE DI ALBERTO MAGNO

DI FRONTE AIX' AVERROISMO

Il Mandonnet nella sua grande monografia su Sigieri ( Siger


Brab . et Vaverr. latin au XIII s., seconda edizione, Lovanio, 191
pp. 149-150), allo scopo di far vedere che questi, mentre da un
ostenta la sua ortodossia, dall'altro non solo scalza ogni base razio
alla fede, ma anzi si sforza de bien montrer que l'affirmation rev
n'a aucune valeur rationnelle en la matire et doit tre mise de cot
cita un passo delle Quaestiones de anima intellectiva , da lui stesso e
(parte II, Lovanio, 1908, pp. 153-154), ove si legge: Quaeri
enim hic solum iiitentionem philosophorum et praecipue Aristo
etsi forte Philosoplius senserit aliter quam Veritas se habeat et
revelationem aliqua de anima tradita sint, quae per radones na
rales concludi non possunt. Sed nihil ad nos nunc de Dei miracu
fum de naturalibus naturaliter disseramus . Le due sottolineazion
sono dello stesso Mandonnet.
Il quale non siembra si sia accorto che la frase ultima ricalcata
alla lettera su una frase di Alberto Magno. Questi infatti nel commento
al De generatione et corruptione (I, tr. 1, cap. 22, ad t. c. 14), dopa
essersi chiesto quale, secondo Aristotele, sia la ragione perch la gene-
razione eterna e non possa mai venir meno, niinquam enim secun-
dum n aturam cessavit nec cessabit generatio , si pone il dubbio se
essa non possa cessare per volere di Dio, come un tempo cominci
dopo non essere stata, e risponde appunto che i miracoli di Dio non
lo riguardano quando s'occupa del corso della natura come l'ha con-
cepito Aristotele del quale espone il pensiero: Si enim quis dicat,
quod volntate Dei cessabit aliquando generatio, sicut aliquando non
luit et post hoc incepit: dico quod nihil ad me Dei mir acid i s clini
ego de naturalibus disseram . Oltre a Sigieri accenna a questo passo
d^Alberto, anche Pietro d'Abano, Conciliator , diff. IX, propter 3um, a
proposito del quesito utrum natura humana sit debilitata ab eo quod
antiquitus., necne . Dice dunque l'abanese: Propter tertium vero
sciendum, quod, cum de naturalibus1 disseratur, secundum Albertm in
primo de generatione nihil ad nos de miraculis divinis, nec etiam de le-

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198 STUDI E RICERCHE DI STORIA DELLA FILOSOFIA

gum persuasi on ibus, magis obsequesntes ei quod multoties a


quam quae causarum causa volntate quadam produxit antec
nil ad praesens de miraculis> ipsius et volntate scrutandum cons
cum leges vini solam obtineant persuadendo Polit . 2. Inquiratur
Veritas quaesiti ex dictis astrologorum, philosophorum et medico
dcinceps .
Che all'esempio di Alberto- si richiamavano espressamente
citamente Pietro d'Abano e Sigieri di Brabante, quando dichia
di trattare de naturalibus natu-r aliter , avevo affermato nella
sione del mio studio Intorno alle dottrine filosofiche di Pietro d'
(in Nuova Rivista Storica , V, 1921, p. 312), ove avevo cercato di
rire il significato della cos detta cc teoria della doppia verit
vedo con piacere che anche il Van Steenberghen ritiene che
s'inspire ici littralement d'Albert le Grand ( Siger dans V hist
Varistotlisme, p. 683, nota 1). Ma non pare che la constatazi
questo fattoi abbia suscitato nel suo animo alcuna riflessione.
Ebbene, oltre al luogo ora riferito, vi sono altre esplicite dich
zioni dalle quali possiamo rilevare qual sia il punto di vista da
Alberto s' posto nello stendere i suoi commenti ad Aristote
De somno et vigilia, I, tr. 11, c. 1, dice apertamente di non vo
ner conto delle opere di taluni moderni, ove il pensiero arist
era evidentemente stiracchiato in un senso non conforme a quell
stagirita e dei suoi maggiori interpreti, cui preferisce attenersi
autem, omissis operibus quorundam modernorum, sequemur
peripateticorum sententias, et praecipue Avicennae et Averrois e
pharabii et Al gazel is, quorum libros de hac materia vidimus con
dantes: tangemus etiam quandoque opinionem Galen i etc.
E di fatto in tutta l'opera egli espone quello che, a suo m
vedere, fu il pensiero peripatetico, specialmente nel terzo lib
tratta con grande ampiezza della previsione del futuro e in p
lare della profezia secondo le dottrine dei neoplatonici e dei
tetici arabi, strettamente connesse colla teoria della possibili
l'intelletto umano arrivi a congiungersi coll'ini elli gentia age
mondo dei puri spiriti. E ci, ben inteso, colle sole sue forze
rali, indipendentemente dalla rivelazione sovrannaturale; talc
berto far una netta distinzione tra la profezia come la inten
filosofi e la profezia dei teologi: Est autem et aliud genus v
et prophetiae secundum altssimos theologos, qui de divinis loquu
inspira tionibus, de quibus ad praesens nihil dicimus omnino, eo
hoc ex physicis rationibus nullo modo potest cognosci ; physi
tantum suscepimus dicenda , plus secundum peripateticorum sent
prosequentes ea quae intendimus. quam etiam ex nostra scien
quid velimus inducere; si quid en i m forte propri ae opinion is
mus, in theologicis magis quam in physicis, Deo volente, a nobis
retur (ITI, tr. 1, c. 12).
E nel De causis et processa universitatis (II, tr. 5, e. 24), allu
al tentativo di taluni commentatori di Aristotele, di identificare le*
intelligenze motrici dei cieli con angeli della teologia cristiana, osserva:

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ALBERTO MAGNO DI FRONTE ALL'AVERROISMO 199

Sciinus etiam quod quidam contendimi spiritus, qui vulgariter angel


vocantur [cfr. lo stesso Alberto, Metaphys XI, tr. 2, c. 10; Averr
De caelo , I, comm. 22; Dante, Conv.9 II, IV, 2], intelligentias esse:
hoc certum est, quod angeli sunt intelligentes substantiae secundu
mystria gratiae distributae: sed quod in motu sint, loco et operation
icut a peripateticis dicitur, non convenit cum dictis eorum qiii de m
tibu et apparitioiiibus et opera tionibus eorum loculi sunt. Eligat erg
unusquisque quod sibi placuerit; ea enim quae dicta sutit non ass
tionibus nostris induca sunt, sed assiduis postulatinibus sociorum, u
Aristotelis potius extorta quam impetrata .
Parimente, nel commento alla Metafisica (XI, tr. 2, c. 1) torna
ripetere che quello che sta per dire non rappresenta il suo modo
pensare intorno ai problemi toccati, bens quello che il pensiero
peripatetici, che egli si proposto di far conoscere : In his aute
quae deinceps dicemus, nemo arbitretur , quod aliquid dicamus de no-
stra intentione9 sicut nec diximus in aliquo librorum . naturalium, se
tantum declarabimus opiniones peripateticorum de istis substantiis, r
linquentes aliis iudicium quid verum vel falsum sit de his quae dicu
tur (cfr. Ib., XIII, tr. 2, c.4).
Anzi, talora fa rimprovero a coloro che fanno un guazzabuglio
filosofa e di teologia, senza accorgersi che spesso le dottrine dei t
logi non vanno affatto d'accordo con quelle dei filosofi: Quidam a
tem neutram istarum sequuntur viam, putantes incedere per viam ph
losophise, et confundunt phUosophiam in theologiam9 dicentes qu
in veritate ab uno simplici primo agente per essentiam non est n
unum: si ergo quod est ab ipso, sit multum et multiplex, non agit per
essentiam...: sed sicut nos in antehabitis protestati sumus, non is
proposition es prosequimur, quia nos non siiscepimus in hoc negotio e
planare nisi viam . peripateticorum ...; theologica autem non conveniun
cum physicis principiis , quia fundantur super revelationem et ins
rationem, et non super rationem, et ideo de Ulis in philosophia n
possumus disputare (Ib., XI, tr. 3, c. 7).
Dichiarazioni di tal sorta avrebbero dovuto aprire gli occhi no
solo per l'uso da fare delle parafrasi aristoteliche d'Alberto e pe
quegli opuscoli, come il De natura et origine animae , il De unitate
intellectus contra Averroim , il De intellectu et intelligibili e il De na-
tura locorum, i quali posson ritenersi altrettante digressiones tirate a
parte e tendenti a chiarire particolari dubbi toccati in quei commenti
e, quindi, condotte nello spirito di questi; ma altres per intendere
il metodo seguito dal domenicano di Colonia e il concetto cui s'ispira.
Il Van Steenberghen (p. 478), d'accordo col De Wulf, dice che
difficile determinare fino a che punto Alberto impegna il suo proprio
pensiero nelle parafrasi d'Aristotele, visto che spesso egli dichiara
di fare opera d'interprete e di non assumere la responsabilit delle
dottrine da lui esposte . A me sembra che, su questo punto, Alberto
sia esplicito: egli discute le varie interpretazioni della dottrina ari-
stotelica e sostiene quelle che a suo giudizio rispondon meglio al pen-
siero dello Stagirita, senza preoccuparsi che esse siano o non siano

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200 STUDI E RICERCHE DI STORIA DELLA FILOSOFIA

vere per rapporto alla fede; il suo intento dichiarato esclusiva


quello d'intendere Aristotele e i suoi migliori interpreti, che p
sono Avicenna, Algazele, Alf arabi, Averro, Avenpace, e non c
gl'interpreti latini che egli ricorda spesso con disprezzo. E mi
bra altres che quando il Van Steenberghen fa un merito ad Al
Magno d'essere stato cc le vritable fondateur de l'aristotlisme ch
tien , il domenicano di Colonia avrebbe mille e una ragioni di
tirsi e di elevare le sue proteste. Egli nom lia voluto affatto fo
nessun aristotelismo cristiano, ma spiegare semplicemente A
tele ai cristiani che o lo ignoravano o l'avevano frainteso.
Prendiamo un esempio. A proposito del testo 36 del terzo libro
De anima , Averro fa una lunga digressione intorno ad un pro
che diverr imo dei cavalli di battaglia degli averroisti, da Sigi
Giovanni di Jandun, da Giovanni da Ripatransonei ad Alessandro A
lini, in che maniera, cio, l'intelletto umano pu giungere a conosc
le sostanze separate e ad unirsi in modo perfetto co 11' intelletto ag
Intorno a questo problema centrale dell'averroismo, il comment
di Cordova aveva esposto e criticato il pensiero di Alessandro d'
disia, di Avenpace e di Temistio ed aveva fatto conoscere qual
in proposito la sua soluzione. Alfarabi ne aveva parlato nel suo
tato De intellectu , Avicenna alla fine della Metafisica e nella q
parte del De Anima , e Algazele nella sua Philosophia. L'Aquin
che nel terzo libro della somma Contra Gentiles aveva fatto p
pulita di tutte queste dottrine ed aveva perfino commiserato Arist
i suoi seguaci i cui preclari ingegni non avean visto chiaro su
sto argomento, nel commento al terzo libro del De anima , pas
pugna su questo problema, rimandando per la soluzione di es
altra4 sede. Alberto, invece, nel suo commento al De anima (HI,
-capp. 6-11); cfr. Giornale Critico d. Filos . Itai.9 XXII, 1941, pp
46), espone e discute tutte le varie teorie, da Alessandro d'Afrodisi
Averro, per esprimere infine il suo proprio modo di vedere into
a quello che, a suo giudizio, fu il pensiero d'Aristotele che i per
tici greci ed arabi non eran concordi nell'interpretare. Anzi, ac
nando a quei moderni latini che pretendevano la mente umana s
alla conoscenza delle sostanze separate soltanto cc per opera, sicu
effectum venitur in causam per intellectum (e fra costoro era se
dubbio Tommaso), afferma che costoro non danno importanza alla
trina peripatetica, cc quia non convenerunt in positionibus suis
dictis peripateticorum, sed diverterunt in unam quondam viam, et
duxerunt alia principia et alias positiones (ib., c. 10). Perci
come espositore del pensiero aristotelico, combatte l'interpretazion
questi commentatori latini e non si perita di accogliere in sost
quella eli Avo ro Nos autem dissentimiis in paucis ab Averro
(6., c. 11). E non e questo il solo caso in cui Alberto dichiara
ser d'accordo cori Averro e con altri commentatori greci od arabi
tro i moderni interpreti latini.
Se facciamo attenzione al senso . peeiso delle dichiarazioni d
berto, da noi riferite in principio di questa noia, mi pare che il

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ALBERTO MAGNO Dl FRONTE ALL'AVERROISMO 201

stro di Colonia nell'interpretare gli scritti aristotelici si attenga a ques


ano principio ermeneutico, che consiste nel prescindere dal fatto cli
la dottrina peripatetica s'accordi o no colFinsegnamento dei teologi. S
potr discutere se egli ha o non ha ragione di preferire l'interpre
zione ora averroistica ora avicennistica d'Aristotele a quella dei m
derni latini , ma non si pu disapprovare la sua spregiudicatezza
riconoscere apertamente il fondamentale disaccordo fra la dottrina p
ripatetica del mondo, formatasi prima e fuori d'ogni possibile influe
cristiana, e il dogma cristiano: theologica non conveniunt cum phy
sicis principiis ; e perci quando si espongono le dottrine fisiche del
l'aristotelismo, non dobbiamo tener conto dei miracoli di Dio, cio
della potenza che i teologi attribuiscono a Dio, di derogare alle le
di natura quali la filosofia aristotelica ha reso note per mezzo d
esperienza. Il concordismo tomistico non riguarda Alberto Magn
Ma anche ad un'altra cosa dobbiamo fare attenzione cio al sign
ficato della parola philosophia e delle espressioni physicae rat
nes , physica principia ecc. nei suoi scritti. Per Alberto Mag
la filosofia certamente la scienza che procede dalla ragione uma
non illuminata dalla fede. La teologia invece ragionamento che
fonda super revelationem et inspirt ion em . Ora il pi alto gr
nello sviluppo delle possibilit della ragione umana costituito, per lu
dal sistema filosofico elaborato da Aristotele e dai peripatetici ; pi i
l la ragione umana, abbandonata alle sole sue forze, non pu anda
Per questo non mi stancher mai di ripetere che la filosofia del medi
evo non bisogna cercarla nei commenti ad Aristotele, ma nelle somm
e nei commenti al Libro delle sentenze , ove il pensatore medie
esprime t^uello che veramente il suo pensiero intorno ai proble
sorti dalla sua fede e dalla sua esperienza religiosa: la teologia, in
somma, la vera filosofa del medio evo, sia cristiano, che mussulma
e giudaico. Quella che Alberto Magno e in generale tutti i maestri del
scolastica chiamano filosofa , filosofia solo per quel tanto che ri
sponde a un loro bisogno, ossia in quanto colma ima grave lacun
nella loro visione della vita e del mondo. Il pensiero cristiano, aff
matosi in contrasto colla filosofia greca, risolve il mondo in Dio, e n
si cura affatto di darci una visione della realt cosmica in se stessa, d
la connessione causale degli esseri e delle leggi che reggono la nat
Questo difetto del pensiero teologico tradizionale fu avvertito quando
crociate ebbero messo a contatto l'occidente latino col mondo islamico
e bizantino e le traduzioni dall'arabo e dal greco ebbero rivelato agli
scolastici la ricca enciclopedia scientifica e filosofica ignota ai teologi
dell'occidente. Il Vari Steenberghen scrive ottimamente (p. 475), che
a i primi dodici secoli dell'era cristiana erano stati dominati dalla vi*
sione cristiana dell'universo e che questo stato di cose aveva ritardata
il progresso delle scienze profane. Il solenne ingresso d'Aristotele, nel
ecolo XIII, mut per intero la situazione: per la prima volta, un siste-
ma compatto di discipline scientifico-filosofiche irrompeva nel mondo
cristiano; l'aristotelismo, capolavoro deirinteligenza greca, accresciuto
dagli arricchimenti del neo-platonismo greco, ebraico ed arabico, s'er-

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202 STUDI E RICERCHE DI STORIA DivLLA FILOSOFIA

geva d'un tratto in faccia alla teologia: una saggezza pagana si tro
d'improvviso al cospetto della saggezza cristiana; e il sapere prof
non era pi rappresentato dal modesto e inoffensivo corteo delle ar
berali, bens dalla possente sintesi scientifica del peri patetismo.
l'aristotelismo e la teologia cristiana, il conflitto era inevitabile, gia
che su molti punti le due concezioni del mondo accusano profonde d
vergenze. A Parigi due gruppi universitari rivali si trovaron di f
te: la Facolt delle arti e la Facolt di teologia. Noi abbiamo assist
a una prima scaramuccia fin dal principio del secolo XIII: la vitt
dei teologi ha rallentato per qualche tempo l'avanzata dell'aristo
smo, ma questo s' imposto non ostante le interdizioni, lo statuto
19 marzo 1255 ne ha consacrato il trionfo. teologi stessi non sono sf
giti alla sua azione... .
Due concezioni del mondo, dunque, si trovaron di fronte: la sag-
gezza pagana e la saggezza cristiana. Ora appunto la saggezza pa-
gana, e pi precisamente l'aristotelismo, che nel secolo XJH9 si disse
filosofia ; e per questo appunto Aristotele si disse il cc filosofo , il
maestro di color che sanno , il maestro e duca de l'umana ragione .
Ma la teologia, la saggezza cristiana, era anch'essa una concezione del
inondo. Dunque era anch'essa una filosofia: la filosofia che i cristiani
avevano elaborato colla loro ragione, nel bisogno di giustificare a se
stessi e agli altri la ragionevolezza della loro fede, e di confutare l'irra-
gionevolezza della saggezza pagana. E questa saggezza cristiana rap-
presentata dalla teologia la vera, la sola filosofia del medio evo cri-
stiano. La sapienza pagana fu per essi filosofia in un senso conven-
zionale, cio in quanto significava dottrina dei filosofi, e pi preci-
samente in quanto era sinonimo di peripatetismo .
Questa filosofia aristotelica per altro conteneva una teoria della na-
tura e delle cause dei fenomeni naturali che ai teologi mancava e della
quale non tardarono a sentir la mancanza. S che appena si furon fa-
miliarizzati con essa, i latini finiron per accettarla, pur mantenendo di
fronte ad essa diversi atteggiamenti che posson ridursi principalmente
a tre.

In un primo momento, parve che l'aristotelismo avicennist


avvicinasse di pi al pensiero scolastico tradizionale che traeva
nutrimento da S. Agostino. Se l'opposizione tra aristotelismo e ago
nianesimo, illustrata con grande dottrina dal p. Ehrle, ha ser
mettere in rilievo- due grandi correnti della scolastica che non tut
scivano a vedere, oggi sentito il bisogno di precisare di pi.
gli agostiniani del secolo XIII furono aristotelici; tutti, senza ecce
in quanto tutti accolsero la dottrina aristotelica della natura e del-
l'ordinamento cosmico. Ma l'interpretazione degl'aristotelismo che pre-
valse fino alla met di quel secolo fu quella di Avicenna, come sostenni
fin dal 1911 (efr, il mio Sigieri di Brabante nella Divina Commedia e
le fonti della filosofia di Dante , estratto- dalla Riv, di Filos . Neoscola-
stica, 1911-1912, p. 13) e pi tardi ha confermato e documentato il
De Vaux. Il che si spiega, ove si pensi che Avicenna entr nel mondo
latino con un sistema completo di anatomia e di medicina, di psicolo-

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ALBERTO MAGNO DI FRONTE ALL'AVERROISMO 203

gi e di metafisica, che le influenze neopiatoniche, una certa tendenza


eclettica ad appianare contrasti e il riflesso di preoccupazioni rel
giose, rimproverategli da Averro, facevano ritenere meno lontano d
cristianesimo.
In un secondo tempo, la conoscenza del commento averroistico acu
negli scolastici il senso critico e risvegli la polemica che Averro ave-
va condotto contro Avicenna ed altri commentatori greci ed arabi, per
ridare all'aristotelismo la sua schietta fisionomia originaria. L'averroi-
smo volle essere prima di tutto critica delle false interpretazioni del
pensiero d'Aristotele e tentativo di risolverne i problemi interni, muo-
vendo dai principi che ne sono la base, senza preoccuparsi se la dot-
trina che ne risulta, s'accorda o no colla fede, sia essa quella cristiana
0 quella maomettana. Perci gli averroisti, dichiarando di voler te-
nersi sul terreno della c< philosophia , ossia, come abbiamo visto, del-
1 aristotelismo, impugnavano tutte le interpretazioni pi o meno con-
cordistiche ispirate a preoccupazioni teologiche estranee alla philo-
sophia , e rendevano il pensiero aristotelico sempre pi incompatibile
col l'insegnamento teologico.
Alberto Magno non nega la legittimit del metodo averroistico; anzi
le dichiarazioni, che abbiamo udito da lui, sembrano incoraggiarlo:
tanto poco egli si scandolezzava, come invece fanno gli storici moder-
ni, della pretesa dottrina della doppia verit! La quale, se guar-
diamo alla cronologia dei commenti d'Alberto, sembra derivare o< per
lo meno esser suggerita da quelle franche dichiarazioni e dal ricojjp-
fcere che theologica non conveniunt cum physicis principiis .
Persuaso di questo, il domenicano di Colonia offre nelle sue para-
frasi aristoteliche un esempio di grande spregiudicatezza, discutendo
delle varie opinioni dei cc peripatetici , che egli difende spesso con
non comune arditezza contro il sentire dei moderni latini .
Il suo grande confratello e discepolo italiano terr invece un'al-
tra via. Sospettando che i peripattici , tanto cari al cuore del suo
maestro, avessero deformato il pensiero d'Aristotele, egli oser af-
frontare una nuova esposizione del testo aristotelico riveduto o espres-
samente tradotto per lui dal confratello fiammingo, fra Guglielmo di
Moerbeke, e la sua interpretazione opporr a quella di Avicenna e
d' Averro non meno che a quella del suo maestro, troppo strettamente
legata alle dottrine dei commentatori arabi, anzi si spinger fino a
dichiarare che Averro non tam fuit Peripateticus, quam philoso-
phiae peripateticae depravator (S. Tommaso, De unit, intell ., ed. Kee-
fer, c. Ii, 59). Purgato Aristotele dagli elementi suppositizi, l'Aqui-
nate proceder spedito a quella sintesi del pensiero teologico cristiano
colla filosofia aristotelica, che i neo-tomisti ritengono indissociabile,
non so con quanto giovamento della fede. Per lui Aristotele conduce
;>1 cristianesimo, e questo compie il pensiero di quello soddisfacendone
le esigenze. Aristotele aveva fatto consistere il fine ultimo dell'uomo
nella piena conoscenza del vero e nella completa attuazione della po-
tenza dell'intelletto possibile (S. Tommaso, Contra gent., III, c. 25,
39, 44). Ora a questo segno l'uomo non pu giungere colla scienza che

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204 STUDI E RICERCHE DI STORIA DELLA FILOSOFIA

pu procacciarsi in questa vita; s che il suo naturale biso


pere resterebbe insoddisfatto, se non gli fosse concesso di el
mezzo della grazia, alla visione beatifica di Dio : In quo
ret, quantum angustiam patiebantur hinc inde eorum pra
nia , cio d'Aristotele e dei suoi commentatori greci ed a
mo dei quali si rassegn a riconoscere che l'uomo non pu giu
questa vita a soddisfare per intero il naturale bisogno di sape
tre i secondi fantasticarono di un congiungimento impos
mente umana coll'intelletto agente e col mondo dei puri
c. 48).
Alberto non la pensa cos, e ritiene anzi che per Aristotele il desi-
derio umano di conoscere possa esser soddisfatto per intero in questa
vita, e che i suoi commentatori greci ed arabi, ne abbiano perfetta-
mente inteso il pensiero. In ci egli era d'accordo cogli averroisti, con-
tro i commentatori latini e, prima di tutto, contro frate Tommaso.
Scrive ancora il Van Steenberghen (p. 478): Dicevamo dianzi che
Alberto Magno ha fornito i principii che dovevano consentire di ri-
solvere la crisi provocata dall'entrata d'Aristotele. In realt la sua
opera arrivata dieci armi troppo tardi per esercitare un'azione pre-
ventiva sujl'evoluzioiie dell'aristotelismo a Parigi e per impedire la
nascita dell'aristotelismo eterodosso: anzi, si vedr che l'influenza di
Alberto non fu estranea alla formazione di siffatto aristotelismo ra-
zionalistico... . Io non so che cosa voglia intendere il chiaro autore
colle espressioni di aristotelismo eterodosso e aristotelismo ra-
zionalistico ; so invece che ci furono varie maniere d'intendere if
pensiero d'Aristotele; che Alberto Magno prefer, iti generale, quella
dei commentatori peripatetici, da lui opposta a quella dei la-
tini , simpatizzando ora per Avicenna, specialmente nelle dottrine
scientifiche, ora apertamente per Averro; e che alla gloria di essere
il vero fondatore dell'aristotelismo cristiano non aspir mai, rico-
noscendo che le dottrine teologiche non s'accordano coi principi della
filosofia . E come avrebbe potuto la sua opera di commentatore eser-
citare dieci anni prima un'azione preventiva contro il formarsi del-
l'averroismo (che sarebbe, penso, l'aristotelismo eterodosso e raziona-
listico) se lo stesso Van Steenberghen ammette che l'influsso d'Al-
beri o non fu estraneo al formarsi di esso?
Dieci anni prima che venisse al mondo questo aristotelismo etero-
dosso, i commenti di Alberto Magno avrebbero, dunque, potuto eser-
citare un'azione preventiva, impedendo, suppongo, che la nuova cor-
rente si formasse. Ora l'aristotelismo eterodosso, del quale Sigieri
il maggior rappresentante, non s' formato prima del 1260-, secondo il
Van Steenberghen (pp. 490-497). Ebbene: secondo la teoria del Man*
donnet, le parafrasi aristoteliche d'x'lberto sarebbero tutte anteriori al
1256. So bene che il dottissimo padre Pelster e il Geyer hanno pro-
tratto questo termine al 1270. Ma per il De anima , il De somno et vi-
gilia e il primo libro del De intellect u et intelligibili t che tanta im-
portanza hanno per determinare la posizione d'Alberto di fronte al-
l'averroismo e al formarsi di questa corrente, lo stesso Pelster non

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ALBERTO MAGNO DI FRONTE ALL9 AVERROISMO 205

alieno da ritenere (Ilm die Datierung von Alberts des Grossen Ari*
stotelesparaphrase , in Philos. Jahrbuch der Grres-Gesellschaft ,
vol. 48, 1935, p. 447) che possano essere stati composti, se non proprio
negli anni del provincialato del maestro di Colonia (1254-1257), per
10 meno negli anni immediatamente successivi (1258-1260), s da po-
ter comodamente esercitare quell'azione preventiva che il Van Steen-
berghen avrebbe voluto, e che invece non esercitarono affatto, seppure
non esercitarono un'azione d'incitamento.
Gli altri scritti del domenicano tedesco eli e interessano da vicino
la storia dell'Averroismo latino, sono il secondo libro del De intel-
lectu et intelligibili , ricordato nella Metaphys V, tr. 6, e. 7 (cfr.
Pelster, 1. c., p. 451-2) anche col titolo indipendente De perfectione
animae intellectualis , il De natura et origine animae 9 il De unitale in -
tellectus , il De quindecim problematibus e il commento all'undecimo
della Metafisica. Determinare con esattezza la data di composizione
di questi scritti, tranne che per il penultimo, sembra per ora difficile,
anche dopo quanto ne hanno dissertato con acume e dottrina il Pelster,
11 Geyer, il Meerssmann e il Roland-Gosselin, non foss'altro per la
ragione che tutti, o quasi, sono stati ordinati diversamente in diversi
momenti dall'autore, e quindi verosimilmente ritoccati e rielaborati
pi o meno profondamente. Cos, per esempio, il De natura et ori-
gine animae citato due volte nella Metafisica (I, tr. 1, c, 5, e tr. 5,
c. 15) col titolo di Epistola de natura animae et contemplatone, indi-
rizzata ai soci (cfr. Meerssmann, Introductio in opera omnia B. AU
berti Magni O. P., Bruges,, 1931, p. 46). Nel De animalibus (I, tr. 1,
c. 5; cfr. Pelster, 1. c., p. 454), Alberto stesso cita questa trattazione
come parte di quest'opera. Pi tardi, torn a farne un trattato a s e
pens di ordinarlo dopo il secondo libro del De intellectu et intelli-
gibili (II, c. 12). Eppure, non ostante tutte queste vicende, se guar-
diamo al contenuto dell'opuscolo, appare evidente che esso, per la tesi
eWinchoativum formae9 strettamente legato al primo libro del com-
mento alla Fisica , ritenuto una delle prime parafrasi aristoteliche d
Alberto, e penso che alla caratteristica opinione ivi sostenuta sull'ori-
gine dell'anima, l'Aquinate intenda riferirsi nella somma Contra gen-
tiles, II, c. 89, ove dichiara che essa contiene ben tre impossibilia in
natura . Ed oltre che col commento alla Fisica a me sembra ugual-
mente in stretto rapporto colla parafrasi del De anima e col De in-
tellectu et intelligibili .
Quest'ultimo trattato, che originariamente era formato da un unico
libro, come ha dimostrato il Pelster, 1. c., p. 452 (cfr, Scholastik ,
1935, p. 237), citando il Cod. Vat. Lat. 718 (e potrebbe ricordarsi an-
che il codice della Biblioteca Angelica di Roma, n. 508, fol. 140ra-
145rb, ove il trattato dato come anonimo!), dipende, anche per il
secondo libro del commento al De anima9 del quale vuol essere uit
complemento, per esplicita dichiarazione dell'autore (De intelL et in -
tellig I, tr. 1, c. 1; cfr. De sonino et vigilia , I, tr. 1, c. 1). Il quale
dichiara di volersi attenere agl'insegnamenti dello Stagirita, cuius
.librom de bac scentia licet non vidimus - egli confessa - tarnen di-

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206 STUDI E RICERCHE DI STORIA DELLA FILOSOFIA

scipulorum eius pliirimorum de hac materia quamplurimos e


tract at os perspeximus libros et epistolas (I, tr. 1, c. 1). Evi
mente egi allude a libri ed opuscoli di neoplatonici arabi, ch
cita nel corso della trattazione e che ritiene derivati da un'op
Aristotele a lui rimasta sconosciuta. Un'epistola d'Aristotele eg
vava invero citata nella Metafisica d'Avicenna (tr. IX, c. 2 ve
fine); e un trattato De intellectu et intellecto era ricordato nella d
catoria di Giovanni Avendehut del De anima dello stesso Avicenna,
tradotto in latino in collaborazione con Domingo Gundisalvi (cfr. A.
Bonilla y San Martin, Historia de la filosofia espaola , vol. I, Madrid,
1908, appendice VIII p. 449). Inoltre quando Alberto scriveva la sua
opera, doveva sicuramente ritenere d'Aristotele il Liber de causis , che
pi tardi si seppe essere un estratto della Elementatio theologica di
Proclo.
Un enigma non agevole a risolvere invece il De imitate intel-
lectus contra Averroem , che nell'edizione dello Jammy ha anche il ti-
tolo di Libellus contra eos qui dicunt f quod post separationem ex om-
nibus animabus non remanet nisi intellectus unus et anima una. Lo
enigma costituito non tanto dal fatto che esso ci giunto nella du-
plice redazione studiata dal Roland-Gosselin (in Archives Histoire
Doctrinale et Littraire du Moyen Age , I, 1926, pp. 309-312), quanto
dal fatto che lo stesso Alberto Magno, nell'inserire l'opuscolo nella
Somma teologica , II, tr. 13, q. 77, m. 3, riferisce espressamente l'ori-
gine di questo trattato a una disputa avvenuta alla corte papale di
Anagni sotto il pontificato di Alessandro IV, nel 1256. Veramente Al-
berto non dice che l'opuscolo fu scritto in quella circostanza; bens
che egli raccolse per iscritto quello di cui s'era disputato, e che indi
fu composto il libretto pubblicato col titolo Contra errores Averrois :
(( Haee omnia al i quando collegi , in curia exisens, ad praeceptum do-
mini Alexandi papae; et factus fuit inde libellus, quem multi habent,
et intitult ns contra errores Averrois . Par dunque che Alberto stesso
ammetta una primitiva redazione come riassunto della disputa aliai
corte papale e quindi una pi ampia stesura dell'attuale opuscolo., di-
poi inserito, con alcune leggere modificazioni nella Somma teologica.
A quando risale la seconda stesura? Certamente al tempo quando era
gi composta la parafrasi della Metafisica , il che, secondo il Pelster
e il Geyer, non pu essere stato prima del 1270.
Certo, leggendo questo opuscolo albertino si prova una strana im-
pressione, quale dimostra d'aver provato il domenicano padre Solman
(Albert le Grand et Vaverrosme latin , in Revue des science? phi-
los. et thol. , 1935, pp 46-48). Nei primi due capitoli, s'espongono
due opinioni di filosofi che, a giudizio d'Alberto, negano la sopravvi-
venza dell'anima individuale. Ad Averro non s'accenna affatto, al-
meno esplicitamente; ma la sua dottrina che fa dell'intelletto possi-
bile una sostanza separata ed unica per tutta la specie umana, si pu
ritenere compresa sotto la prima delle tesi combattute, in quanto, an-
che per il commentatore di Cordova, l'intelletto entra nell'uomo dal
di fuori ed in s una sostanza consona substantiis senara! is et re-

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ALBERTO MAGNO Dl FRONTE : ALi/ AVERROISMO 207

manns in contemplatione ipsarum . Ugualmente, dei ircnta argo-


menti esposti nel cap. IV a favore delle due opinioni combattute ap-
pena due o tre >on propriamente averroistici ; gli altri son defunti dal
neoplatonismo hermetico ed arabico e colla teoria averroistica non han
nulla che fare. Non cos invece nel capitolo successivo, ove fra i tren-
tasei argomenti in contra ri um un discreto numero diretto con pre-
cisione contro la dottrina averroistica dell'unit dell'intelletto possi-
bile, e non suppone soltantd la conoscenza del commento d'Averro;
ma anche il modo d'argomentare degli averroisti parigini; s che le
frequenti espressioni secundum dictum istoraam , hoc quod di-
cunt , (( sicuti isti dicunt ecc., non sembrano tanto riferirsi ai filosofi,
arabi cui s'accenna nei primi capitoli, quanto ad avversari che avevano
sviluppato il pensiero del commentatore. Anche a tener conto della
tendenza d'Alberto a rimpinzare le sue trattazioni della pi svariata e
caotica erudizione e della preponderanza che questa ha spesso nei. suoi
scritti sull'ordine e la chiarezza, le incongruenze che si notano in que-
sto trattato si spiegano meglio, supponendo che alla seconda stesura
l'autore abbia proceduto per mezzo di aggiunte, senza variare gran
che lo schema e l'intento della primitiva disputatio , evidenti anch
nella forma nella quale l'opuscolo ci pervenuto.
Ho accennato alla tendenza d'Alberto a ingombrare le sue tratta-
zioni e le sue parafrasi aristoteliche di una erudizione quale pochi
ebbero ai suoi tempi, ma che spesso gli toglie la mano e lo conduce
a inaspettati raccostamenti e a contaminazioni, che danno ai suoi scrit-
ti l'aspetto di zibaldoni, ove possibile pescar di tutto. Questo accade
anche nel trattato De quindecim problematibus , scoperto e pubblicato
dal Mandonnet ( Siger 2, parte II, pp. 29-52), sulla scorta di due mano-
scritti monacensi evidentemente molto difettosi. L'autore risponde a
quindici quesiti che il confratello, frate Egidio di Lessines. gli aveva
fatto, dei quali i primi tredici corrispondono esattamente alle tredici
tesi condannate dal vescovo di Parigi. Non parrebbe dunque esservi
dubbio che l'opuscolo! fosse scritto nel ls270, quando la lotta pro e
contro l'averroismo era entrata nella sua fase acuta e le idee in propo-
sito dovevano esser sufficientemente chiarite.
Ebbene, l soluzione data al primo problema semplicemente scon-
certante. Frate Egidio aveva in primo luogo sottoposto al grande mae-
stro di Colonia la teoria dell'unit dell'intelletto. Come si sa, gli aver-
roisti parigini eran d'avviso che, secondo Aristotele, l'intelletto possi-
bile dell'uomo fosse una sostanza separala, eterna ed unica per tutta la
specie umana, e che essa fosse l'infima delle sostanze separate preposte
al moto dei cieli. Nel risolvere questo problema, Alberto dapprima
presenta come antiqua positio , quella d'Anassagora (secondo i due
amanuensi; ma evidente che si tratta d'Aristotele); il quale, lo-
quens de intellectu possibili, dicit quod intelleetus possibilis est appa-
ratus, et immixtus, simplicissimus, nulli nihil habens commune; prop-
ter quod quidam; opinati sunt ipsum esse unum et eumdem in omnibus,
et nullo determinatimi ad unum principio quo ad alterum quo [qua?]
non determi netur . Questa senza dubbio la dottrina alla quale allu-

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208 STUDI E RICERCHE DI STORIA DELLA FILOSOFIA

deva frate Egidio, e Alberto nel commento al De anima (III, tr


1 aveva esposta come tipica dottrina d' Averro, combatt
c quattro ragioni fortissime . Qui, invece, il nome d' Ave
ciuto, e la dottrina esibita come omnium Peripatetico ru
positio secundum quod earn Alfarabius determina vi t !
Dopo di che vien ricordata la nova positio di Porfiri
stralio, d'Aspasio e di Michele d'Efeso, in compagnia dei qu
mo ricordati Avicenna. Averro, Abubacher e alcuni altri
tutti avrebbero insegnato che l'intelletto ((acquisito o p
cosa diversa dall'anima intellettuale legata come forma all'or
corporeo di ciascun individuo umano, che s'eleva al suo acquist
sesso. Per questo principio soggettivo e molteplice, non sequ
unus necessario intellectus secundum esse sit in omni hornin
tius secundum esse singulariter diffrant in quolibet ipsorum
Quasi ci non bastasse, al nome di questi filosofi greci ed
aggiunge quello d'Alpetragio, ben noto ad Alberto, che pi
espone la teorica planetaria e il principio filosofico cui s'infor
il mio volume Saggi di filosofia dantesca , S. A. Editrice D
ghieri, 1930, p. 155-185); e il nome d'Alpetragio accoppiat
d' Averro in questo curioso passo:
Utrum autem in omnibus orbibus sint intelligentiae diffrentes secu
ctantiam aut in omnibus si hinten primae .causae operan ti s ad /mod
gentiae, di ff erem in Ulis secundum es.se quod habet in Ulis , sicut vide
Averroes Alpetra[ns1, etc., ad praesens non est disputare, quia quidquid
catur, semper habetur de necessitate quod non unus intellectus possibilis
in omnibus hominibus , et hoc hic intendimus (p. 34).

Parrebbe, dunque, che Averro, come l'intende l'autore


trattatello, avesse ammesso diversi intelletti possibili nei dive
vidui umani e ne avesse cercato la superiore unit nella
prima causa, che si riflette in modo diverso su ciascuno di es
cosa avranno detto Sigieri e Tommaso di questo pasticcetto
Altra posizione sarebbe, per Alberto, quella di Avicebron
le, tuttavia, a quamvis se Peripateticum profitetur tarnen S
et praecipue Platonis dogmata est secutus, ex uno tanquam
iixtellectu volens producere [procedere?] omnia. Ma anche
la posizione di Avicebron, planum est omnem intellectua
rm. in hoc vel ilio accept am, esse singulrem .
Sicch, secondo queste due novae positiones , gl'intelletti
farebbero numericamente molteplici e legati agli organismi
mentre secondo l' .antiqua positio l'intelletto possibile sa
parato ed unico in tutti gli uomini. Invece Alberto ne con
unum intellectum numero esse in aliquibus pluribus, ex omni
si tionibu s constat hoc esse falsimi secundum philosophiam.
mente, anche ad ammettere che i due codici monacensi, che
tramandato questo opuscolo, siano molto imperfetti, la conclu
meno stupefacente.
Vero , per altro, che per accordare la antiqua positio

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ALBERTO MAGNO DI FRONTE ALL'AVERROISMO 209

novae positiones , Alberto accenna ad una distinzione che mer


rebbe un pi ampio chiarimento : quello che Anassagora (leggi: Arist
tele) dice dell'universalit dell'intelletto, va inteso della natura in
dell'essenza di questo, non del suo essere nei singoli, in quanto si c
giunge allo spazio e al tempo. Dopo la quale osservazione, egli s'a
fretta ad affermare che fa tesi dell'unit dell'intelletto falsa, n
soltanto pei teologi, ma altres secondo la filosofa, ritenendo che sif
fatta dottrina tragga origine da ignoranza, poich molti studiosi par
gini pi che alla filosofa si son dedicati alla sofistica.
Credo varrebbe la pena di chiedersi, come mai la risposta data d
domenicano di Colonia a problemi cos scottanti, in un momento in c
la polemica averroistica era diventata d'ima palpitante attualit, re
ignorata tanto fra i seguaci quanto fra gli avversari dell'averroism
e come mai l'autore che pur si richiama di frequente agli altri su
scritti, non accenni mai a questo suo trattatello. un piccolo ques
che pongo agli studiosi del pensiero d'Alberto Magno, e ritorno all'ar-
gomento, che pi m'interessa, della posizione di questo pensatore
fronte alPaverroismo.
L'averroismo, come ho detto pi volte, prima di tutto un'inter-
pretazione della dottrina d'Aristotele intorno ad alcuni grandi pro-
blemi , l'accettazione della quale interpretazione non implicava neces-
sariamente accettazione della filosofia aristotelica, ma riconoscimento,
se mai, che intorno a quei problemi v'era opposizione tra l'insegna-
mento dei filosofi e quello della fede. Questo, e non altro, il signi-
ficato storico della cos detta teoria della doppia verit . Ed abbia-
mo gi visto che, su questo punto, Alberto Magno non solo era d'ac-
cordo con gli averroisti, ma anzi, se dobbiamo tener conto della pro-
babile cronologia dei suoi scritti, egli aveva dato loro un autorevole
esempio di spregiudicatezza.
I problemi intorno ai quali v'era dissenso fra i teologi e i filo-
sofi , sono parecchi, e non possibile passarli tutti in rassegna, per
vedere qual fosse l'interpretazione che Alberto dava del pensiero ari-
stotelico su ciascuno di essi. A noi basti, in questa nota, di soffermarci
su tre di essi, che sono certamente i tre pi discussi, e intorno ai quali
il nostro domenicano s' soffermato pi a lungo, voglio dire il pro-
blema dell'unit dell'intelletto possibile, quello del rapporto dell'intelp
letto umano col corpo, e, infine, il problema della beatitudine.
I primi due sono strettamente connessi fra loro e li tratteremo in-
sieme. Nel commento al De anima (in, tr. 2, c. 7), che si ritiene com-
posto intorno al 1260, poco- prima poco dopo, esposte e confutate le
teorie di Alessandro d'Afrodisia, di Teof rasto e Temistio, di Abubacher
e Avenpace (squartato in due proprio come nella vecchia versione
latina del commento averroistico!), Alberto passa ad esporre la dot-
trina del famoso commento quinto d'Averro, che segue passo per
passo e che mostra di tenere in gran pregio. In particolare egli si sof-
ferma sulla tesi dell'unit dell'intelletto possibile, asserita dal commen-
tatore arabo e la confuta con quelle quattro ragioni fortissime , ac-
cennate poc'anzi, dichiarandola qualcosa di simile a un delirio. Su

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lO STUDI E RICERCHE DI STORIA DELLA FILOSOFIA

questo punto Alberto ha tenuto fermo in tutti gli altri suoi scritti ari-
stotelici. Cos, per esempio, nel De intellectu et intelligibili , I, tr. 1
c. 7, nel De natura et origine animae , I, c. 7, nel De unitate intellectus
nel De quindecim problematibus, I, e nel commento alla Metafisica
XI, tr. 1, c. 9.
Ci non di meno, egli d gran peso alle due principali ragioni ch
indussero Averro a postulare l'unit dell'intelletto possibile, e cerc
come soddisfare a quel tanto che contengono di vero, senza negare l'in-
dividualit della coscienza umana. Ed qui che egli trae profitto dal
sua farraginosa erudizione, nella quale lo stoicismo costantement
confuso col platonismo, e il neoplatonismo col pi schietto peripate
tismo.
L'argomento in favore dell'unit dell'intelletto, che senza dubbio ha
fatto pi colpo sull'animo d'Alberto, questo, riassunto cos nel De
intell. et int eilig. , I, tr. 1, e. 7 (cfr. De anima , III, tr. 2, c. 7):
Omne quod suscipit aliquid, suscipit illud secundum suae popriae naturae po-
testa tem; intellectus autem in se recipit universale, eque est universale, secundum
quod huiusmodi, nisi in intellectu; oportet igitur quod natura intellectus sit univ r-
alis, quia, si esset individua, individuaretur omne id quod est in ipso. Omnis enim
forma individuatur per individuationcm sui subiecti in quo est.

S. Tommaso conosce bene questo modo d'argomentare degli aver-


roisti ed oppone ad esso questa sua teoria desunta da Avicenna:
Dicendum quod, secundum Avieennam, species intelligibilis potest dupliciter con-
sideran: aut secundum esse quod habet in intellectu, et sie habet esse singulare; aut
cecundutn quod est similitudo talis rei intellectae, prout ducit in cognitionem eius^
t ex hac parte habet universalitatem, quia non est similitudo huius rei, secundum
Quod haee res est, sed secundum naturam in qua cum aliis suae speeiei convenif
(In II Sent., ist. 17, q. 2, a. 1, ad 3).
Et quamvis haec natura intellecta habeat rationem universalis secundum quod
omparatur ad res quae sunt extra animam, quia est una similitudo omnium; tarnen,
secundum quod habet esse in hoc intellectu vel in ilio, est species quaedam intel-
lecta particularis. Et ideo patet defectus coinmentatoris, in tertio De anima , qui voluit
ex universalitate formae intellectae unitatem intellectus in omnibus hominibus con-
eludere! etc. {De ente et essentia , c. IV, ed. Boyer, Roma, Univers. Gregoriana,
933, p. 29).

Lo stesso concetto PAquinate ribadisce negli scritti posteriori, quali


la somma Contra gent., II, c. 75, il Comp, theol ., c. 85 in fine, la Q.
disp . de spirit, crt. 9 a. 9, ad 6, il commento al De anima, III, lez. 8
in fine, la Summa theol. 9 I, q. 76, a. 2, ad 3. In tutti questi scritti,
Tommaso insiste sul principio fondamentale della sua gnoseologia, che
cio la species cognoscibilis non cc id quod cognos-citur , bens id
quo cognitum cognoscitur (cfr. S. theol ., I, q. 85, a. 2). Ma ho vo-
luto citare i due passi, del commento alle Sentenze e "dell'opuscolo De
ente et essentia . perch queste sono due delle prime sue opere, ed eran
certamente note al confratello di Colonia, gi suo maestro, quando que-

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ALBERTO MAGNO DI FRONTE ALL'AVERROISMO 211

ti compose il suo commento al De anima , nonch i trattati De intel -


lectu et intelligibili e De natura et origine animae.
Orbene: nel commento al De anima , III, tr. 2, c. 11, ove Alberto
parla delle teorie dei latini sull'anima razionale, dapprima accenna alla
tesi, non certamente tomistica, che vuole l'anima individuata in se?
stessa per esser composta di forma e di materia incorporea, e quindi
dalla sua unione al corpo. Stabilita l'individualit dell'anima, questi
latini affermano (e fra loro questa volta in prima linea Tommaso)
quod intentiones, quae sunt in intellectu possibili, dupliciter consi-
derantur, scilicet prout sunt abstractae et prout habent esse in abstra-
hcndo. Et primo quidem modo sunt forinae universales liberatae a
materia et appendiciis materie. Secundo autem modo habent esse in-
dividuatum in intellectu possibili . Di costoro Alberto sentenzia che
senza dubbio nunquam bene intentionem Aristotelis intellexerimt ...
E pi oltre:
Adhuc autem haec opinio supponit, quod universale sit in lanima sicut in
ubiecto et forte hoc non est verum: hoc autem in libro de inteUigibUibus habet
declaran. Est autem et liaec opinio omnino contraria dictis peripateticorum... Est
igitur intelligere intelligibili* speciem in intellectu habere: per esse quod intelligibilia
habent in intellectu intelliguntur : hoc autem est esse individuum, ut dicunt: ergo
per intionem individuam res universales intelliguntur: et hoc intelligi non potest.

E non meno energicamente nel De natura et origine animae , I, c. 7 :


Mentiuntur omnino qui dicunt quod forma quae est in anima, duplicem habet
comparatieneni : unam quidem ad rem cuius est forma, et sic dicunt ipsam univer-
salem; et aliam ad intellectum, et sic dicunt individuam esse per intellectum in quo
est: forma enim per comparationem quam habet ad rem, nunquam est universalis; et
ex comparatone ad intellectum in quo est, semper est universalis .

E allora, se anche secondo Alberto l'anima razionale moltipli-


cata e individuata nei molteplici individui umani, com' possibile sal-
vare l'universalit del sapere, e come s'ha da intendere la separazione*
dell'intelletto dal corpo, sulla quale pure insiste Aristotele?
Tanto Alberto quanto Tommaso ripetono spesso che l'anima uma-
na unica nell'uomo, e tanto l'uno che l'altro combattono quelle teo-
rie che nell'uomo ammettono pi principii vitali distinti fra loro. Pa-
rimente, sebbene quest'anima unica, tanto per il domenicano tedesco
quanto per quello italiano, sia fornia e perfezione del corpo umano,
pure l'anima razionale, per entrambi, differisce dalle altre forme unite
alla materia in questo, che le altre forme naturali sono totalmente im-
merse nella materia, l'anima umana invece indipendente dalla ma-
teria per la sua capacit di ragionare, ossia per l'intelletto. Eppure,
non ostante quest'accordo apparentemente perfetto, ritengo vi sia tra
i due pensatori domenicani un sostanziale dissidio nel modo d'inten-
dere la separazione dell'anima razionale di fronte al corpo di cui
forma.

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212 STUDI E RICERCHE DI STORIA DELLA FILOSOFIA

Dice S. Tommaso (De unit . inlell. , ed. Keeler, cap. I, par.


Nee dieimus quod anima, in qua est intellectus, sic excedat ma teriam
ralcm quod non habeat esse in corpore: sed quod intellectus, quem Aristote
}x>tentiam animae, non est actus corporis. Neque enim anima est actus corporis m
tibus suis potentiis, sed anima per se ipsam est actus corporis dans corpori esso
specifcum .

Per l'Aquinate, insomma, non la sostanza dell'anima separata, ma


soltanto l'intelletto nel suo operare indipendentemente dal corpo}:
l'anima razionale per se stessa e immediatamente <c forma corporis ,
come definir nel 1311 il concilio^ di Vienne.
Alberto, invece, nel commento al De anima , III, tr. 2, c. 12, ove
tratta del suo modo d'intendere il pensiero d'Aristotele e dei Peripate-
tici, afferma con Avicenna, il cui pensiero su questo punto gli sembra
accordarsi meglio con quello del Filosofo, che l'anima razionale noti
l'intelletto possibile, ma l'intelletto possibile una parte di essa.
L'anima razionale, che forma e perfezione dell'uomo, un tutto co-
stituito da un'essenza incorporea che comprende in s tre parti o fa-
colt, che sono la facolt vegetativa e quella sensitiva, strettamente le-
gate all'organismo corporeo, e quindi la facolt che dicesi intelletto
e che Aristotele ritiene separata. L'anima razionale, quindi, non unita
all'organismo per la sua essenza che incorporea, bens per mezzo delle
sue facolt organiche:
Licet autem sic dcamus intellectum esse separatum, tarnen anima est contunda
per alias virilits suas, quae sunt naturales sibi in quantum est corporis perfectio: et
ideo licet intellectus secundum se sit separatus, tarnen intellectus est potentia eoniuneti,
quoniam est potentia animae, quae secundum potentias quadam coniiingitur corpori:
omne autem lale quod est coniuncti et non est eius secundum quod est coniunc-
tum, licet non communicat corpori, tarnen communicat communicanti corpori:
et hoc est -quod supra diximus, quod intellectus communicat non corpori ,
sed potentati quae communicat corpori , scilicet phantasiae et imaginationi
et sensui ; et ideo secundum veritatem anima est una numero et efficitur
una numero , quia per naturales potestates communicat corpori. Quia tamen in es-
sentia sua et perfectiori potestate non communicat corpori , ideo habet potestates ab-
solutas a corpore (cfr. De intell, et intellig I, tr. 1, c. 6).

Questo concetto che l'anima umana forma del corpo per via delle
sue facolt organiche, e non in essentia sua et perfetiori potestate )),
fornisce ad Alberto una soluzione, ben diversa da quella proposta da
Tommaso, dell'argomento col quale Averro riteneva d'aver dimostrato
l'unit dell'intelletto possibile. Per il fatto della sua separazione dal-
la materia, l'intelletto umano in se stesso un principio di universalit
senza perdere l'individualit che gli deriva dall'unione alle facolt or-
ganiche (ib., c. 13):
Iam... concessimus quod intellectus est separatus secundum se, coniunctus au-
tem per hoc quod, in eadem substantia existens , communicat ei quod communiait
corpori per se, sinn sunt phantasia et sensu; et sic intellectus est hoc aliquid, licet

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ALBERTO MAGNO DI FRONTE ALL'AVERROISMO 213

non sit aliquid intelligibilium nisi quando intelligit seipsum; et de hoc inferius
Aristotelis dictis rationem reddemus. Et ideo concedendum est, quod subiectum in
ligibilium non est unum in numero in omnibus; et ut hoc discordamus ab Aver
t concordamus cum Avicenna et Algazele et cum Aristotele, ut videtur ubi vo
intellectum ''partem animae", quae quidem anima est perfectio corporis organici,
non pote st esse eadem numero in diversi s . Sed universalis est intellectus secund
te, et ideo quod est in ipso secundum se est etiam secundum actum universale
hoc oportet secundum Peripatticos esse commune apud omnes et idem intellectum
universale in anima mea et in anima tua ; ....Licet enim intellectus meus sit individ
et separalus ab intellectu tuo, tamen, secundum quod est individuus, non habet un
versale in ipso; et ideo non individuatur id quod est in intellectu, sicut nec colo
individuantur a luce abstrahente eos, sed potius a materia et appendiciis mater
quae sunt situs et figura et huiusmodi. Sic igitur universale , ut universale , est ub
et semper idem omnino et idem in animabus omnium, non recipients indh)iduation
ab anima : non tamen scientia unius est scientia alterius, vel speculatum ab uno
epeculatum ab altero, quoniam speculatio perficitur ex motu pumtasmatis. Simil
autem scientia ex universalibus est, quae fiunt ex multis memoriis et experientiis,
non sunt eaedem omnium.

Et hoc est quod superius diximus, quod speculativi intellectus sunt unus in eo
quod speculativi intellectus sunt, sed sunt multi secundum quod illorum vel illorum
unt: et hoc in determination convenit nobiscum Averroes , licet in modo abstrac-
tions intellectus parumper diffrt a nobis .

E cos, ancora ima volta, Alberto afferma il suo quasi completo ac-
cordo con Averro il suo disaccordo cogl' interpreti latini d'Aristotele.
Ma ad intender meglio il concetto che l'anima razionale , s, forma
del corpo umano, ma solo in quanto legata al corpo dalle sue facolt
organiche, e non in essentia sua et perfectiori parte , giover ricor-
dare la teoria ch'egli espone sull'origine di essa nel De natura et ori-
gine animae. Questa teoria si ricollega, per espresso riferimento del-
l'autore, alla dottrina dell' inchoatio o inclioativum formae espo-
sta da lui nel commento al primo libro della Fisica , e per la quale mi
permetto di rimandare a quanto ne stato detto nei Rendiconti della
Classe di Scienze morali dell'Accademia Nazionale dei Lincei (serie VI,
vol. XII, fase. 1-2, pp. 3-38) e nel Giornale Critico della Filosofia Ita-
liana (XII, 1931, pp. 447- 456; e XXII, 1941, pp. 37-39). Secondo questa
dottrina, v' nella materia dell'embrione umano un principio attivo, a
guisa di cominciameli to della forma che attuer il corpo umano al ter-
mine del suo sviluppo genetico. Questo princpio o germe attivo, che
gli Stoici dissero cc ragione seminale , trae origine dalla luce della
prima mente, che raggiando feconda delle idee eterne la materia. Di-
retto dalla luce del primo motore che volge ogni cosa al suo segno, que-
sto principio attivo attua dapprima nell'embrione la vita vegetativa;
indi la vita sensitiva; ma questa sebbene ordinata all'intelligenza, non
potrei he farsi anima razionale senza il diretto intervento della prima
causa che crea in essa l'intelletto dal di fuori :

Sicut in aliis, ita etiam in homine inchoatio vegetativi est in materia et in e&
primo substantiae animandae, et inchoatio sensibilis est in vegetativo, et inchoatio

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214 STUDI E RICERCHE DI STORIA DELLA FILOSOFIA

rational is in sensitivo est... Ostensum est etiam per antedicta, quod substantia i
est anima hominis partim est ab intriseco et partim ab extrnseco Ingrediens ; quia
Vegetativum et sensitivm in homine de materia educantur mediante virtute, form
quae est in gutta matris et patris, tarnen haec formativa non educeret eas hoc
prout sunt potentiae rationalis et ifftellectualis formae et substantiae, nisi secu
quod ipsa formativa movetur informata ab intellectu universaliter movente in
generationis; et ideo complementum ultimum , quod est intellectualis formae
etantiae, non per instrumentum neque ex materia, sed per lucem suam influit
lects primae causae purus et immisUis .

S. Tommaso conosce bene questa dottrina, che egli riassume e co


balte i nbe cinque luoghi, e cio nella somma Contra gent ., II, c
nella Q. disp. de anima , a. Il, ad 1, nella Q. disp . de spirit . cr
3, ad 13. nella S theoL, I, q. l.8 a. 2, ad 2, e nelle Aq. disp . de pot
III, a. 9, ad. 9. Eccone, per un confronto, il fedele riassunto c
Aquinate ne fa in quest'ultimo luogo:
Unde alii dicunt, quod anima vegetabilis est in potenlia ad animam senzibi
et sensibilis est actus eius; unde anima vegetabilis, quae primo est in semin
actionem naturae perdiicitur ad complementum an ini a e sensibilis; et ulterius
rationalis est actus et complementum animae sensibilis; unde anima sensibil
ducitur ad suum complementum , scilicet ad animam rationalem, non per actio
generanjtis, sed per actum ereantis. Et sic dicunt, quod ipsa rationalis an
homine partim est ab extrnseco , scilicet quantum ad naturam intellectual em, et
ab intrinseco , quantum ad naturam vegetabilem et sensibilem .

In siffatta dottrina, che per Tommaso, ha il difetto di supporre


meno tre cc impossibilia in natura , S Alberto trova la soluzion
problema averroistico, in quanto l'intelletto, che per Averro rima
totalmente estrinseco all'uomo, per il domenicano di Colonia inv
individualizza per mezzo dell'intima unione di esso, che pur vie
di fuori, coll'anima vegetativo-sensitiva tratta dalla potenza dell
teria. s da formare, come dir Dante, un'alma sola, che vive e sen
e s in s rigira (Purg., XXV, 73-75); e ci senza perdere la pr
universalit, come abbiamo visto.
Per Tommaso, separata dal corpo la facolt d'intendere nel
operare, e perci Sigieri poteva obiettargli (Mandonnet, Siger %
p. 152): Non contingit substantiam aliquam esse unitam mate
et potentiam illius substantiae esse separatam a materia . Per Albe
invece la sostanza dell'anima razionale e, s, unita alla materia del
corpo ed forma di questo, ma per via delle sue facolt organiche le
quali emanano dalla sua essenza; tuttavia in essentia sua et perfec-
tion potestate non communicat corpori . Ora la vera essenza dell'ani-
ma razionale la parte di essa che Alberto ritiene con Aristotele (De
general . animai II, c. 3, 736b 27-28 venuta a ab extrnseco (upsrv)
Nelle Quaestiones de anima intellectiva , Sigieri rimprovera ad Al-
berto d'aver ritenuto che le facolt organiche appartengano alla stessa
sostanza dell'anima alla quale appartiene la facolt di pensare (M'an-
donnet, 1. c., p. 153). Ma pi tardi l'averrista brabantino, scrivendo}

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ALBERTO MAGNO DI FRONTE ALL'AVERROISMO 215

il suo trattalo De intellectu in risposta a frate Tommaso, user, ad


esprimere l'unione dell'intelletto possibile, con l'anima vegetativo -sen-
sitiva, un linguaggio che risente di quello d'Alberto, insegnando che
l'intelletto possibile, sebbene unico e separato in se, s'unisce al corpo
umano s da formare con esso un solo essere composto <c directe reponi -
bile in praedicamento substantiae, sub animali, intrinsece denomina-
timi ad intellect! one et constitutum in ultimo esse specifico ab ipso
rationali , secondo la testimonianza del Nifo (si veda in proposito i
mio Sigieri nel pensiero del Rinascimento italiano, p. 18). Il quale, seb-
bene non dica ove ha attinto la notizia che Sigieri fosse discepolo d'Al-
berto, afferma cosa che, guardate bene tutte le circostanze, non ap
pare in alcun modo inverosimile. E ritengo di qualche momento osser-
vare che la fra-e del commento d'Alberto al De generatione et corru
ption* , Nihil ad r.os nunc de Dei miraculis, cum de naturalibus natu-
raliter disseramus , citata in principio di questa nota, e usata da Si-
gieri contro Alberto stesso (Mandonnet, Siger 2, p. II, pp. 153-154);
come se il discepolo volesse ricordare al maestro una massima appres
alla sua scuola.
S. Tommaso, nell'opuscolo De unitate intellectus ( 2, 59, 119),
ci fa sapere che a molti averroisti in hac materia verba Latinorum
non capiunt, sed Peripateticorum verba sectari se dicunt. Anche
in questo gli averroisti eran buoni discepoli d'Alberto Magno. Il quale
nel commento al De anima , III, tr. 2, c. 1, cos si esprime:
Volo primo totam Aristotelis scientiam pro nostris viribus explanare, et tunc
alioruni Peripateticorm inducere opiniones, et post hoc de Platonis opinionibus videre,
et tunc demum nostrani poner opinionem; quoniam in istarum quaestionum determi-
natione omnino abhorremus doctorum Latinorum verba , eo quod nobis videtur, quod
etiam in eorum verbis non quiescat anima , propter quod scientiam veritatis ne
ostendunt nec verbis propriis attingimi

Non mi pare pertanto esagerato il concludere che la posizione di S.


Alberto Magno di fronte all'averroismo per ci che riguarda il pro-
blema dei rapporti tra l'intelletto e l'organismo umano sia quella di un
semi-averroista che s'adopri a far suoi i motivi essenziali della dot-
trina averroistica pur cercando di evitarne gli assurdi.
Francamente averroista si mostra invece Alberto nella soluzione
del terzo problema lungamente discusso tra gli averroisti, se e com
la mente umana possa arrivare a soddisfare per intero il naturale biso-
gno di tutto sapere merc il congiungimento dell'intelletto possib
coli' intelletto agente. Alla soluzione di questo problema Averro av
va dedicato la lunga digressione del commento al testo 36 del terzo
bro del De anima , e Sigieri un trattatello speciale col titolo De felic
tate , pi volte ricordato dal Nifo (cfr. il mio Sigieri di Brab . nel pen
siero del Rinascimento italiano , pp. 24, 26-27), sul quale l'insegn
mento d'Alberto non fu senza influenza.
I caposaldi della teoria di Sigieri sulla felicitas son questi. Ap-
poggiandosi al commento averroislico 20 al III libro del De anima , ove
si legge: Et nos convenimus cum Alexandro in modo ponendi intel-

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216 STUDI E RICERCHE DI STORIA DELLA FILOSOFIA

lectum agentenx , nonch sulle propriet che all'intelletto agente a


tribuisce Aristotele, il brabantino identifica l'intelletto agente con
E Dio intelletto agente non solo della mente umana ma altres delle
intelligenze celesti. Ma mentre a queste s'unisce dall'eternit come for-
ma intenzionale che le rende eternamente e immutabilmente beate, al-
l'intelletto possibile, che per intendere ha bisogno dei fantasmi umani,
'unisce per gradi: dapprima, come causa agente del processo d'astra-
zione, onde l'idea universale tratta dalle immagini della fantasia;
poi, via via che la mente umana si riempie delle idee delle cose sen-
sibili, l'unione coll'intelletto agente si fa intima; e da ultimo questo
s'unisce ad essa come forma che l'attua perfettamente secondo la sua
capacit. Allora lo spirito umano astraendosi dal mondo dei sensi si
raccoglie in se stesso e penetra nel mondo dei puri spiriti informato
idealmente da essi e in primo luogo da Dio.
Gi altra vo Ita ( Giorn . Crii, d . Filos. Ital., XXII, 1941, pp. 39-46),
ho avuta occasione di mettere in rilievo la discussione assai dettagliata
che Alberto intraprende, nel commento al De anima (UT, tr. 3, capp.
6-11), delle varie opinioni dei cc peripatetici intorno al problema della
conoscenza delle sostanze separate, da parte della mente umana con-
dizionata dall'esperienza sensibile, e del congiungimento di essa col-
1 intelletto agente; e di mostrare come il dottore domenicano, mentrt
<a un lato dichiara di voler' battere altra via da quella cc quam fere
sequuiitur omnes modernorum Latinorum che pretendono non si
possa in questa vita arrivare alla conoscenza delle intelligenze celesti
e di Dio se non per via del moto e cc per opera sicut per effectum ve-
nitur in causam (e fra questi Latini sicuramente Tommaso), dal-
1 altro non esita, criticate le dottrine di Alessandro, di Teofrasto e di
Temistio, di Avenpace e di Alfarabi, di Avicenna e di Algazele, i'
schierarsi dalla parte di Averro limitandosi appena a esprimere qual-
che dissenso. Ma per non ripetere qui cose gi dette altrove e piena-
mente documentate, mi limiter questa volta a fermare l'attenzione
sul libretto De perfectione animae intellectualisa che stato aggiunta
come secondo libro al De intellectu et intelligibili .
Intento di questo libretto appunto di mostrare per quali e quanti
gradi la mente umana arriva, secondo il pensiero dei filosofi, alla suai
perfezione, che compimento d'ogni desiderio e, quindi, beatitudine
suprema. Il presupposto metafisico dal quale muove l'autore lo sche-
ma neoplatonico di derivazione di tutte le cose dalla prima intelli-
genza secondo- l'ordine cosmico che noi tutti ^abbiamo appreso dalla
lettura del secondo canto del Paradiso dantesco.
In questo schema, l'anima umana, posta in mezzo fra le intelli-
genze celesti, immutabilmente rapite in un atto eterno di contempla-
zione, e le cose del mondo materiale, cc in horizonte aeternitatis infe-
rius et supra lempus* , secondo il divulgato concetto del Liber de can-
sis , presenta un duplice aspetto : da un lato essa rivolta a ricevere
la luce divina che raggia su di lei; dall'altro, per essere unita al corpo
di cui forma, come offuscata dal fumo dei sensi, secondo un'imma-
gine che Alberto (De in teli, et intellig I, tr. 1, c. 6) toglie da Avicen-

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ALBERTO MAGNO DI FRON I E ALL'AVERROISMO 217

na (De anima , p. V, c. 7). In quanto illuminata dalla luce della prima


intelligenza, l'anima razionale possiede una facolt che dicesi intelletto
agente; in quanto rivolta al mondo dei sensi, quella facolt che dicesi
intelletto possibile: la prima sempre in atto; la seconda pura po-
tenza, che non pu passare all'atto se non per l'azione della prima,
su di essa.
Alcuni, come Guglielmo Alvern iate, ri tenevano che 1' intellett
agente fosse inutile, da che sull'anima umana risplende diretta la lu
divina; ed anche Alf arabi ed Avicenna facevano dell'intelletto agen
una sostanza separata che illumina la mente dal di fuori. Alberto in
vece d'accordo con quegli scolastici che, senza negare l'illuminazio
divina di S. Agostino, ritenevano indispensabile all'anima un suo pr
prio e particolare intelletto agente (De intell. et intellig ., II, c. 3). Ma;
questo intelletto agente particolare una cc resultio quaedam lucis in-
t eiligen tiae separatae (De anima , III, tr. 2, c. 18), ossia della prim
intelligenza il cui lume sine medio iungitur omnibus his in quae agit;
et hoc lumen iungitur animae et iungitur formis in anima existentibu
et sub actu huius lumini s forma e movent animam (De intell, et in-
tellig., II, c. 2). Sicch, se questo intelltto agente particolare non p
far niertte senza la luce divina che raggia su di esso, tanto valeva dire
che vero intelletto agente dell'uomo come d'ogni altro spirito creato
Dio, principio di ogni intelligibilit. appunto quello che ha fatt
Sigieri, come abbiamo gi accennato, allontanandosi assai meno d
quanto possa parere dal pensiero d'Alberto.
Sotto l'azione della luce che emana dall'intelletto agente sulle im
magini sensibili e le rende intelligibili, l'intelletto in potenza acquis
le prime idee e diviene intelletto in atto. Aristotele aveva detto ch
l'intelletto umano niente apprende, senza un'immagine sensibile. Qu
sta intima e necessaria dipendenza dell'intelletto possibile dal cor
umano non fu mai negata n da Averro ne da alcun averroista.
Attuata dalle prime idee tratte dall'esperienza, la mente passa da
la semplice apprensione dei termini al giudizio e al ragionamento
Ma il ragionare presuppone nella niente alcuni principi come pun
di partenza del discorso, e quelli che Alberto chiama gli instrument
Questi instrumenta sono i modi di argomentare analizzati dai logic
ina presenti nell'animo di chiunque ragiona anche senza aver mai st
diato logien; -ssi potrebbero identificarsi colle categorie kantiane, og-
getto dell'Analitica trascendentale. In virt dei principi e dei modi
argomentare, l'intelletto possibile organizza il proprio sapere e si
intelletto in effectu (Ib., capp. 6-7).
Sono innati o acquisiti, questi principi del sapere e questi modi d
nostro ragionare? Alberto ricorda e condivide la distinzione, che face-
vano alcuni filosofi arabi, fra i principi necessari dell'ordine teoretico
e i principi di cui si fa uso nelle discipline retoriche e morali : que
fi son venuti formando in noi per lunga esperienza, quelli invece sono
essenziali al nostro pensiero e non possono essere acquistati per via
insegnamento. La stessa distinzione egli fa degli instrumenta, ossia per
i modi di argomentare (Ib., c. 7).

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218 STUDI E RICERCHE DI STORIA DELLA FILOSOFIA

Quando l'intelletto possibile, attuato dagli intelligibili tra


immagini dei sensi, s' destato alla vita del pensiero e non
plice potenza, ma atto, allora procede, collo sforzo della rif
alla conquista di se stesso ossia all'autocoscienza.
Adeptus igitur intelleetus est, quando per studium aliquis verum et p
tuim adipiscitur intellectum, quasi totius laborig utilitatem et fructum.
qusliter fiat, sir aceipiendum est: sieut enim iam ante diximus, id quod
t en tia, non manifestatur nee acquiti tur nisi per actum suum proprium
quo in effectu efficitur, in parte quidem accipitur, quod partem possi
eius ponit in effectu ; et plus et plus accipitur, quando plus et plus ponitu
fectu : et totum autem accipitur, quando per omnia, ad quae in potentia es
fuerit in effectu. Diximus autem in physicis; quo d intelleetus possibilis, u
viduus secundum potentiam existens, potentia est omnia intelligibilia : no
cipitur nisi per hoc quod efficiuntur ipsa intelligibilia in effectu; et totU
est et acceptas, quando in effectu positus est omnium intelligibilium quae
in potentia : et sic adipiscitur homo suum proprium intellectum. Et ideo
quod verissima philosophiae dififinitio est suiipsius cognitio: et dixit Alpharab
anima posita est in corpore, ut seipsaip inveniat et eognoscat ; et hoc dicit
dixisse, ed ubi dixit ad me non pervenit... (/6., c. 8).

Ma l'intelletto che faticosamente ha conquistato se stesso


ancora pi su, nello sforzo di assimilarsi e di congiungersi coll
genze separate fino a contemplare la prima intelligenza, ch
sole da cui raggia nell'universo, sia nel maggiore che nel minor
la luce intelligibile. Questo intelletto, in cui consiste il pi a
della perfezione umana, quello <c quem antiquissimi philos
assimilai i vum sive assimilantem vocant (Ib., c. 9):
Est autem intelleetus assimilativi, in quo homo, quantum possibile
eut proportionabiliter surgit ad intellectum divinum, qui est lumen et cau
Fit autem hoc cum, per omnia in effectu factus, intelleetus perfecta ad'eptus
et lumen agentis, et ex omnium luminibus et notitia sui extendit se in lu
telligentiarum, ascendens gradatim ad intellectum simplicem divinum: de
oc lumine sui agentis in lumen intelligentiae, et ex ilio extendit se ad i
Dei .

Giunta a questo segno, la mente umana in ilio tat sicut in fine :


et ideo, cum "omnes homines natura scire desiderant", finis desideri!
est stare in intellectu divino; quia ultra illum non ascendit aliquis neo
ascendere potest (Ib.).
Ma prima di giungere ad unirsi coll'intelletto divino, la ment
umana s'arresta spesso a contemplare le altre intelligenze separate, pre-
poste al moto dei cieli, e dall'una o dall'altra di queste s'imprimono
in lei forme di vario ordine e specie, che suscitano nello spirito del-
l'uomo qualit divinatorie c profetiche, sulle quali Alberto s'attarda con
particolare compiacenza nel De somno et vigilia (III, tr. 1, capp. 3-12),
scritto poco dopo il primo libro del De intellectu et intelligibili e cer-
tamente non molto dopo il secondo ove gi s'accenna (cap. 11) ai mira-
bili poteri sulle forze della natura e alle doti profetiche onde sono in-

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ALBERTO MAG> O DI FRONTE ALL'AVERROISMO 219

ignite le anime di taluni uomini eccezionali, secondo il sentire de


filosofi.
ft Quasi un dio incarnato appariva ad A vicenna e ad Algaze
l'uomo la cui inerite conosci tutte le cose in se stessa ed capace
operare libera da tutte le leggi naturali (Alberto Magno, De somno
vig., III, tr. 1, c. 6; De ititeli, et intellig II, c. 9). E divino dichia
anche Alberto chi sia pervenuto al pi alto grado di congiungimen
coifi t lletto di Dio:

Qui autcm simplici primo et divino intellectui coniunctus est, divirius est t
optimus in scientiis et virtutibus, ita quod, sicut dixit Homerus, non videbitur viri
m ort al i ? filius esse, sed Dei (De intll et intellig II, c. 9).

In questa unione con Dio l'anima dell'uomo, pervenuta al supremo


grado della sua perfezione, h perfettamente deificata, ossia, dice Al-
berto, substantiata et formata in esse divino (Ib., c 12). Allo stesso
modo anche per Sigieri che, a differenza d'Alberto, identifica l'intel-
letto agente con Dio, il supremo grado di perfezione s dell'intelletto
umano che delle intelligenze celesti consiste nell'atto col quale l'intel-
letto agente s'unisce ad essi come forma.
Tutto questo, s'intende, secondo la filosofia, cio secondo la dot-
trina d'Aristotele e dei Peripatetici, e prescindendo tanto per Sigieri
quanto per Alberto, dall'insegnamento dei teologi e della rivelazione.
E noi sappiamo come la tesi della copulado,* ossia del congitui gimen to
dell'in telletto umano coli 'intelletto agente e con Dio, fosse uno dei temi
preferiti dagli averroisti fino al Cinquecento; ne dispiacque al signo
della Mirandola.
Questa aperta e decisa difesa che, nel commento al De anima e nei
secondo libro del De intellectu et intelligibili , S. Alberto intraprese
della dottrina averroistica e in generale del peripatetismo neoplatoneg-
giante intorno al problema della conoscenza delle sostanze separate e
della beatitudine naturale dell'uomo, non soltanto insolita da parto
d'un teologo, ma, pensando che quei due scritti usciron dalla sua pen*
na prima che si delineasse la formazione del movimento averroistico
capeggiato da Sigieri, non si pu fare a meno di credere che essa vi
abbia contribuito. E se nel 1270, quando ormai era scoppiata la lott*
aperta fra i teologi e gli averroisti parigini, Alberto poteva accusarci
questi d'ignoranza, la critica ch'egli faceva della dottrina dell'unit del-
l'intelletto era cos arruffata e confusa, che Tommaso non avrebbe po-
tuto non meravigliarsene, almeno quanto gli averroisti.
Che Tommaso non condividesse affatto il punto di vista del suo
maestro sul punto della conoscenza che la mente umana ha delle so-
stanze separate, e sul punto dell'unione di essa colla prima intelli-
genza, secondo la filosofia, evidente a chiunque; ma non tutti hanno
notato la critica a fondo che egli fa per molti capitoli nel terzo libro
della somma Contra gentile* , delle dottrine dei peripatetici)) intorno
a questi argomenti. Dapprima respinta la tesi di Avenpace il quale
sosteneva che l'uomo pu arrivare, in questa vita, a conoscere in s
stesse le sostanze separate per mezzo dello studio delle scienze specu-

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220 STUDI E RICERCHE DI STORIA DELLA FILOSOFIA

lative (c. 41); quindi la volta della dottrina di Alessandro d'Afrod


sia (c. 42), dipoi respinta la teoria averroistica della copulado co
l'intelletto agente (c. 43): nel capitolo successivo, si dimostra che nell*
conoscenza delle sostanze separate, quale l'intendono costoro, non p
consistei e Vu tina f elici cui l'uomo aspira secondo Aristotele; an
questa non pu t>-er raggiut:; in nessun modo in questa vita, finche l
nima re ta unita ai corpo, tanto che Aristotele, vedendo che non e
alia cognitio hominis in hac vita, quam per scientias speculativa,
costretto a rinunziare alla possibilit di una felicit perfetta, e a con-
tentarsi di quella felicit imperfetta che sola all'uomo consentita
48). Ma Tommaso va ben oltre : le stesse sostanze separate non riescon
colle sole loro forze a veder Dio nella sua essenza (c. 49), e quindi
la conoscenza naturale che hanno di Dio non basta a quietare il lo
desiderio di sapere (c. 50). Sicch, in definitiva nessuna sostanza creata
pu arrivare, da se, a conoscere Dio per essenza (c. 52), e quindi abb
sogna per raggiungere la beatitudine perfetta, cui ogni intelletto crea
naturalmente aspira, di un lume soprannaturale che la renda atta
veder Dio in se stesso (c. 53).
Come si vede, tutto il mondo dei peripatetici , nel quale A
berto amava aggirarsi, che Tommaso riprova e condanna, rifacendo
al pensiero d'Aristotele per cercarvi quel principio che gli consenta di
ridurlo in captivitatem fidei , mentre il confratello tedesco sembra
compiacersi in accentuare il dissidio tra la filosofia e la rivelazione
cristiana.
Concludendo questa nota, sento il bisogno di dichiarare che non
pretendo in ne-sun modo d'avene esaurito l'argomento propostomi, il
quale, mano mano che avanzavo, mi si faceva sempre pi complesso e
intricato. Ho inteso soltanto di porre in evidenza alcuni fatti che mi
parevano trascurati o non messi nel debito rilievo, affinch coloro che
hanno una maggiore competenza che io non abbia, nel giudicare del
pensiero e degli scritti d'Alberto Magno, vogliano prendere in esanie
queste mie affrettate osservazioni e darci una migliore soluzione dei
problemi toccati.
Bruno Nardi

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