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La Germania di Bismarck

La diplomazia di Bismarck

Ottone Von Bismarck, dopo aver portato a compimento con una serie di programmate aggressioni il
processo nazionale tedesco, negli ultimi venti anni del suo governo promosse in Europa una politica di
stabilita e di conservazione. Considerava necessario impedire alla Francia il ritorno ad un ruolo egemonico;
cercò, pertanto, di tenerla lontana dall'Europa, spingendola verso le imprese africane e fomentando contro
di essa la rivalità coloniale dell'Inghilterra. Volle perciò garantirsi ad oriente da ogni minaccia russa e a tal
fine, nel 1873, stipulo con l'Austria e la Russia il Patto dei tre imperatori: un trattato essenzialmente
difensivo fondato sulla comunanza degli interessi dinastici e conservatori. L'alleanza aveva, tuttavia, il suo
punto debole nella penisola balcanica e nel Vicino Oriente, dove la crisi dell'impero ottomano poneva l'una
contro l'altra l'Austria e la Russia. Nel 1882 stipulò la Triplice Alleanza, associando l'Italia all'intesa e nel
1887 con il Trattato di “contro-assicurazione” stabiliva un rapporto preferenziale, segreto, con la Russia alle
spalle dell'Austria, impegnando l'impero dello zar ad una benevola neutralità nel caso che Germania fosse
attaccata dalla Francia sul confine renano.

La guerra russo-turca e il Congresso di Berlino (1878)

II Patto dei tre imperatori rischiò di non reggere alla nuova crisi che si apri nell'Europa orientale. La guerra
endemica delle popolazioni slave contro il dominio turco si era accentuata tra il 1874 e il 1875, gli scontri
furono ovunque sanguinosi, ma la repressione condotta dalle truppe irregolari turche fu particolarmente
spietata in Bulgaria. Dopo una regolare dichiarazione di guerra, l'esercito dello zar entro in Bulgaria come
un liberatore e, proseguendo l'attacco si accampò in vista di Costantinopoli dove, nel marzo 1878, fu
firmato un trattato di pace che prevedeva la formazione di un grande Stato indipendente bulgaro. Poichè i
nuovi Stati slavi indipendenti avrebbero gravitato nell'orbita russa, la Questione d'Oriente sembrò
inaspettatamente risolta in favore dello zar e le potenze occidentali si sollevarono in difesa della Turchia.
Bismarck seppe intervenire in tempo e promosse un congresso internazionale ove riuscì ad imporre il
principio dell'equilibrio e dei compensi: il Congresso di Berlino (giugno-luglio 1878). Il Congresso tolse alla
Russia gran parte degli acquisti politici e territoriali. La Bulgaria, territorialmente ridotta, tornò sotto
l'influenza turca pur conservando la propria autonomia; la Turchia riuscì ad assumere nuovamente il
controllo della penisola balcanica. L'Austria ottenne il diritto di estendersi nei Balcani; all'Inghilterra fu
riconosciuta l'isola di Cipro. Al Congresso era presente anche la Francia che proprio in questa occasione fu
incoraggiata da Bismarck a volgere le sue mire verso la Tunisia. L'Italia, anch'essa presente all'assise
europea, non ebbe invece alcun vantaggio territoriale, uscendone, come si disse, con le “mani nette”. Vera
trionfatrice del Congresso fu la Germania, cui le potenze avevano riconosciuto un ruolo di mediazione e di
arbitrato nei grandi problemi del continente.

Il sistema bismarckiano delle alleanze

II Congresso di Berlino aveva umiliato la Russia e nasceva il risentimento dello zar contro Bismarck ritenuto
responsabile dell'esito del Congresso, un risentimento pericoloso che parve concludersi in un'intesa franco-
russa dalla quale sarebbe derivato l'isolamento della Germania. Il Cancelliere, tuttavia, riuscì a mantenere
buoni rapporti sia con l'imperatore d'Austria (con il quale strinse la Duplice Alleanza nel 1879) sia con
l'imperatore di Russia, tanto che nel 1881 fu possibile rinnovare il Patto dei tre imperatori. Fu un vero
capolavoro di diplomazia, che trovo, l'anno dopo, il proprio completamento nella Triplice Alleanza (1882)
tra Italia, Austria e Germania. Anche questo era un accordo difensivo che, nel caso di un attacco provocato
dalla Francia, garantiva agli imperi centrali, con l'appoggio dell'Italia, la sicurezza sul fronte meridionale
alpino. Il “sistema bismarckiano”, fu completato nel 1887 con la stipulazione del Trattato di contro-
assicurazione, un accordo segreto con lo zar, definito all'insaputa dell'Austria. Con il nuovo patto la
Germania si impegnava a moderare le aspirazioni balcaniche degli Asburgo, ottenendo in cambio la
neutralità dell'impero russo nell'eventualità di un'aggressione francese. Negli ultimi anni del suo governo
Bismarck fece proprie le richieste d'espansione provenienti da alcuni settori dell'opinione e dagli ambienti
industriali e commerciali: la Germania si impadronì del Togo e del Camerun, dei territori dell'Africa
orientale tra Uganda e Mozambico, della Nuova Guinea e dell'arcipelago detto di Bismarck, nell'Oceano
Pacifico.

La politica interna della Germania bismarckiana. La lotta contro i socialisti e contro i cattolici

Nell'ultima fase del governo di Bismarck assume sempre maggior rilievo l’espansione dell'industria tedesca.
Il significato storico dell'opera di Bismarck consistette nell'aver reso possibile una sostanziale intesa tra le
forze dominanti del tempo: l'aristocrazia agraria degli Junker, la grande borghesia capitalistica, la burocrazia
prussiana, i medi e i piccoli proprietari della Germania meridionale. Delle tre grandi forze di opposizione
(liberali, socialisti e cattolici) Bismarck riuscì a egemonizzare soltanto la prima. Il Partito liberale,
profondamente inquinato di nazionalismo, ridotto ad un'assemblea di notabili che, in cambio dei successi
militari e dell'ordine interno, accettava l'esautoramento del Parlamento, si trasformò nel Partito nazional-
liberale.
Più difficili furono i rapporti con i socialisti. Al processo d'industrializzazione avevano corrisposto l'ascesa
della classe operaia e la nascita del Partito socialdemocratico, nei confronti del quale Bismarck uso la
maniera forte. Nel 1878 fece approvare le “leggi eccezionali”, che interdissero agli operai tedeschi le liberta
di riunione, di associazione. È vero che pochi anni dopo il Cancelliere concesse una legislazione per quei
tempi molto avanzata (assicurazione obbligatoria contro le malattie e gli infortuni sul lavoro, previdenze
per l'invalidità e la vecchiaia), ma i benefici sociali si rivelarono come espedienti d'una strategia
paternalistica.
Al centro dello schieramento politico era il forte partito cattolico detto Centro; un partito avverso sia alla
vocazione autoritaria e accentratrice della Prussia luterana sia ai metodi spregiudicati della politica
bismarckiana. Il Centro condusse una tenace opposizione in difesa delle autonomie federali, finchè
Bismarck non decise di stroncarlo con una lotta serrata, definita “battaglia per la civiltà”. L'accusa che
Bismarck muoveva al Centro era d essere un partito oscurantista, ligio al papa, cioè ad un'autorità esterna.
Furono cosi approvate tra il 1872 e il 1875 leggi repressive dell’attività del clero cattolico, furono espulsi i
Gesuiti e soppresse numerose congregazioni, vennero sottoposte al controllo statale le scuole tenute dai
religiosi, si rese obbligatorio il matrimonio civile. Il conflitto non riuscì a ridurre la forza elettorale dei
cattolici e si chiuse alla fine, con la rinuncia di Bismarck a proseguire la lotta (1878). Dinanzi alla minaccia di
sovversione sociale egli non esito a allearsi con i cattolici, riscoprendo in essi un forte sostegno in favore
dell'ordine costituito. Per la verità, nonostante l'appoggio dei cattolici, nonostante i consensi delle folle
nazionalistiche, I'impero tedesco era scarsamente integrato nella base sociale. Il Reich aveva avuto un
assetto federale, per cui ognuno dei venticinque Stati aveva conservato Costituzione, governo, sistema
parlamentare e amministrativo propri, ma alla Prussia era stata riconosciuta la preminenza sugli altri Stati.
La somma del potere era in sostanza nelle mani dell'imperatore, del suo cancelliere e dello stato maggiore.
Dopo Bismarck: il “nuovo corso” tedesco

Il sistema bismarckiano delle alleanze si avviò a dissoluzione allorchè Guglielmo II, insofferente della tutela
del vecchio e glorioso Cancelliere, ne sollecitò le dimissioni, dando inizio, nel 1890, a quello che
l'imperatore stesso volle chiamare il “nuovo corso politico”. Nulla in sostanza cambiò. Il ritiro di Bismarck
dalla scena politica si spiega nel quadro delle pressioni che lo stato maggiore e i gruppi industriali misero in
atto nei confronti del sovrano, reclamando un governo finalmente disposto ad accogliere le loro aspirazioni.
Guglielmo II esordì abrogando le leggi eccezionali. Pensava di poter tenere a bada movimento operaio con il
diversivo di una politica di grandezza e di potenza. Questa, negli anni Novanta, si configuro come
pangermanesimo, ossia come aspirazione a creare nell'Europa centrale una grande area dominata dalla
Germania. Questo programma trovo il suo simbolo nel progetto di una ferrovia Berlino-Costantinopoli-
Bagdad. Questi propositi suscitavano consensi di massa nella società tedesca: ai lucidi disegni di espansione
si mescolavano orgogli e odi nazionalistici.
Il vero “nuovo corso” si ebbe nel campo della politica estera in cui al mantenimento dell'equilibrio si preferì
una politica imperialistica e aggressiva, che impegnò la Germania in una duplice rettrice di espansione
rivolta verso l'Europèa e verso i mari e il resto del mondo. Già nel 1891, appena un anno dopo le dimissioni
di Bismarck, la Francia si liberò dal trentennale isolamento e strinse un'alleanza formale con la Russia. In tal
modo l'elemento centrale del sistema bismarckiano - il Trattato di contro-assicurazione - veniva a cadere e
per la Germania si apriva di nuovo la prospettiva della guerra su due fronti. Quasi contemporaneamente,
Russia e Inghilterra si riavvicinavano, mentre l'Entente cordiale del 1902 metteva fine all'urto tra la Francia
e l'Inghilterra. Era lo scardinamento del sistema bismarckiano delle alleanze e la fine per l'Inghilterra dello
“splendido isolamento”. L'intesa si fece via via più stretta quanto più aspra diveniva la gara per la
supremazia navale tra il Reich e il Regno Unito.

L'età dei nazionalismi

Negli ultimi decenni del secolo il nazionalismo divenne un movimento di massa. Nei vari miti foggiati dal
nazionalismo (la grandezza, la conquista, la giovinezza dei popoli, la razza, il primato) la nazione era fatta
cosa, degradata cioè da momento di aggregazione civile e politica ad espressione etnica e territoriale.
Questi miti, facendo leva sul diffuso malessere, indicavano una via per sottrarsi all'oppressione della società
contemporanea. La potenza, la grandezza della nazione offrivano un riparo alla fragilità degli individui,
facevano loro sperare in un domani migliore. I nuovi miti della grandezza nazionale offrivano ai ceti
popolari la speranza di realizzarsi come popolo. Si profilava contemporaneamente il trasferimento della
lotta per una società più giusta dallo scontro tra le classi alla guerra fra le nazioni. La diffusione di massa del
nazionalismo potè largamente far breccia. Ciò si verifico non solo tra elites intellettuali, ma anche tra le
categorie coinvolte nella crisi dell'industrializzazione. Tutti costoro chiesero e trovarono rifugio nei miti
della nazione. I paesi d'Europa nei quali il nazionalismo si affermò con maggiore impeto furono la
Germania, la Francia, l'Italia. Fu riscoperta l'antica Germania pagana con i suoi culti della natura e del sole e
fu formulato il programma del pangermanesimo. Al nazionalismo tedesco fece riscontro quello francese,
altrettanto violento, altrettanto nemico del sistema parlamentare e della democrazia altrettanto animato
dall'odio contro gli Ebrei. Il nazionalismo italiano si manifestò con evidenza nel primo decennio del
Novecento.
L’affaire Dreuyfus

In Inghilterra alla morte della regina Vittoria, salì al trono Edoardo VII. I ministeri liberali procedettero ad
importanti riforme; oltre ad un progetto di legislazione sul lavoro si deve ricordare la riforma fiscale che
introdusse l'imposta progressiva sul reddito e sulle successioni: in tal modo il maggior peso fiscale si
riversava sulle classi agiate. La legge era stata approvata dalla Camera dei Comuni; per superare
l'opposizione della Camera dei Lords si ricorse ad un'audace riforma procedurale per la quale divenne
esecutivo ogni progetto di legge che, respinto dalla Camera Alta, fosse stato approvato per due volte
successive a quella dei Comuni. Nella società si affermavano i movimenti pacifisti e, quello femminista.
Analoga evoluzione in senso democratico si ebbe in Francia; ma qui la resistenza opposta dalle forze
conservatrici fu particolarmente aspra e tenace. Battute sul terreno politico, le forze di destra tentarono la
loro rivincita in occasione della scoperta di un clamoroso episodio di spionaggio militare a favore della
Germania, nel quale resto coinvolto lo stato maggiore dell'esercito. Si monto un famoso e discusso
processo ai danni del capitano Alfred Dreyfus, di religione ebraica, che la Destra clericale e razzista si sforzò
di far passare per reo: la vera spia risultò essere alla fine un altro ufficiale. Ciononostante Dreyfus fu
processato e condannato per alto tradimento alla deportazione a vita nell'Isola del Diavolo. II paese si
divise: con i colpevolisti si schierarono le forze conservatrici e i nazionalisti, con gli innocentisti, le forze
laiche e progressiste. La divisione era ideologica: da un lato l'autorità dello Stato, il prestigio della nazione,
dall'altro i diritti dell'uomo, il rifiuto d'ogni discriminazione razziale. Scesero in campo anche gli intellettuali,
come il romanziere Emile Zola che indirizzò una lettera aperta al presidente della Repubblica, nella quale si
formulavano precise accuse contro le autorità militari e si chiedeva la revisione del processo; revisione
pervicacemente respinta. Solo nel 1899 fu decisa la revisione che porto Dreyfus dinanzi ad un’altra corte
marziale, la quale pronunzio un “assurdo” verdetto: Dreyfus fu giudicato nuovamente colpevole di alto
tradimento, ma gli si riconobbero circostanze attenuanti, per cui fu condannato a dieci anni di carcere. Lo
sfortunato ufficiale fu graziato, poi riconosciuto innocente ed infine, nel 1906, definitivamente riabilitato.
Le elezioni del 1899 segnarono la vittoria delle forze progressiste: queste, nei primi anni del Novecento,
sostennero quei governi radicali che imposero contro le De tre cattoliche , la denuncia del Concordato tra
Stato e Chiesa, introducendo, in tal modo, un regime di separazione.

La prima e la seconda crisi marocchina

Le aspirazioni tedesche all'espansione imperialistica si estrinsecarono con concretamente con l'occupazione


di una parte della Nuova Guinea e con l'acquisto delle Isole Caroline, delle Marianne e delle Palau, tutte
nell'Oceano Pacifico. L'espansione fu accompagnata da una vivace politica economica che mirava
soprattutto ai mercati dell'Africa e del Medio Oriente. Per la conquista di questi ultimi, i Tedeschi non
esitarono ad adottare la strategia del dumping: questo sistema, universalmente giudicato sleale, prevede la
vendita sotto costo dei prodotti all'estero e la maggiorazione dei prezzi in patria. Tale “esuberanza
aggressiva” generò la corsa agli armamenti e portò più volte l'Europa, nel primo decennio del secolo
sull'orlo della guerra. Nel 1905 Guglielmo II, al fine di impedire che il Marocco si trasformasse in
protettorato francese, sbarcò di persona a Tangeri e vi pronunziò un minaccioso discorso nei confronti della
Francia. L'intervento provocatorio produsse la prima crisi marocchina, che fu tuttavia risolta da una
conferenza internazionale convocata in Spagna (1906). La diplomazia confermò l'indipendenza del
Marocco, pur riconoscendo alla Francia e alla Spagna interessi prioritari nel paese africano. Una seconda
crisi marocchina, manifestatasi nel 1911, portò un nuovo pericolo di guerra. Per rispondere all'occupazione
di Fez da parte dei Francesi, il Kaiser non esito ad inviare un incrociatore. Anche questa volta la diplomazia
riuscì a salvare con un compromesso la pace europea: Berlino accettò di lasciar mano libera alla Francia in
Marocco, ma Parigi dovette cedere al Reich parte del Congo francese. In tale contesto corpo di spedizione
italiano sbarco in Tripolitania dando origine alla guerra italo-turca.

La rivoluzione del 1905 in Russia

Dopo la sconfitta subita dalla Cina, alcune aree di quell'immenso impero erano destinate a diventare
terreno di scontro tra l'imperialismo russo e quello giapponese. Nel 1900, infatti, la Russia, approfittando
della rivolta dei Boxers, si impadronì militarmente della Manciuria. L'espansione moscovita suscitò la
reazione del Giappone che, forte dell’appoggio diplomatico inglese, prese l'iniziativa delle operazioni:
inflisse alla Russia due memorabili disfatte. Con la Pace di Portsmouth la Russia dovette cedere al Giappone
Port Arthur, rinunciando ad ogni pretesa sulla Corea; la Manciuria fu restituita alla Cina. In quegli anni la
Russia, giovandosi anche dell'apporto di cospicui capitali francesi ed inglesi, si stava avviando verso
l'industrializzazione. Importanti nuclei industriali erano sorti nella regione di Mosca, in quella di
Pietroburgo, negli Urali, sul Mar Nero. L'opposizione al governo dello zar era diventata sempre più forte; ai
populisti ed ai gruppi nichilisti (di ispirazione anarchisa) si aggiungeva l'ostilità delle popolazioni insofferenti
alla politica di russificazione. Ma ancor più minacciosa era l'opposizione dei cadetti, che reclamavano una
costituzione sul modello occidentale, e quella dei partiti del proletariato operaio e contadino, il Partito
socialista rivoluzionario e il Partito socialdemocratico di ispirazione marxista, diviso all’interno tra
menscevichi e bolscevichi i primi con un programma “minimo”(abbattimento dello zarismo, istituzione di
una repubblica democratica, giornata lavorativa di otto ore, restituzione da parte dei proprietari terrieri dei
contributi di riscatto delle terre pagati dai contadini), i secondi con un programma “massimo” (eliminazione
del capitalismo, instaurazione della dittatura democratica del proletariato). I bolscevichi erano guidati da
Lenin, che propugnava la conquista del potere da parte delle masse operaie e contadine e l'instaurazione
del socialismo senza passare per la fase capitalistico-borghese. La crisi politica precipitò in seguito al
disastro navale nella guerra contro il Giappone. Nel 1905 la guardia imperiale fece strage, dinanzi al palazzo
d'inverno di Pietroburgo di una moltitudine di popolani guidati dal pope Gapon, che intendevano
presentare allo zar una petizione contenente una serie di rivendicazioni. II massacro di tanta gente inerme,
passato alla storia come la “domenica di sangue”, provocò sdegno in tutta la Russia. Scioperi e proteste
assunsero il carattere della rivolta armata. L'ammutinamento dell'equipaggio della corazzata “Potëmkin”
diede la misura dell'estendersi del moto rivoluzionario. Sbarazzandosi degli ufficiali, i marinai della
“Potëmkin” guidarono la nave dando man forte alla città in sciopero. Lo zar Nicola II si decise allora a
concedere con il “Manifesto di ottobre” l'amnistia, le liberta civili e un Parlamento elettivo o duma. Il fronte
dell'opposizione si scisse: liberali e moderati si dichiararono soddisfatti della Costituzione, mentre i
socialdemocratici giudicarono del tutto insoddisfacenti le concessioni e tornarono a reclamare l'Assemblea
costituente. Cosi divisa, I'opposizione perse parte della sua forza: il regime dello zar sopravvisse sino
all'ottobre 1917.

La prima e la seconda guerra balcanica

Fermata in Asia dai Giapponesi, la Russia tornò a volgersi verso i Balcani, sostenuta ora dall'Inghilterra. Fu
perciò possibile un accordo tra Londra e Pietroburgo, che mise fine alla tensione in Asia e definì le
reciproche zone d'influenza in Persia, in Afganistan, nel Tibet, lasciando mano libera allo zar nei Balcani. Ciò
nonostante la Russia ancora prostrata dal peso della sconfitta infertale dai Giapponesi, non reagì
all'annessione della Bosnia e dell'Erzegovina dal governo di Vienna. L'annessione austriaca provocò invece
esasperate reazioni nazionalistiche e indipendentistiche in Serbia: il paese si dichiarò pronto a scendere in
campo contro Vienna. La guerra fu evitata grazie all'impreparazione dei Russi, che fecero mancare il loro
appoggio ai “fratelli slavi”. Nella penisola balcanica, comunque, la lotta dei popoli slavi per la creazione di
Stati nazionali era sempre viva. Nel 1912 i sovrani della Serbia, della Bulgaria, della Grecia, del Montenegro,
si strinsero in una lega che si pose come obiettivo la liquidazione del governo turco. Fu questa la cosiddetta
prima guerra balcanica (1912-1913), dalla quale il sultano usci ancora una volta battuto, per cui dovette
rinunziare a tutte le terre balcaniche ad eccezione degli Stretti e della Tracia orientale. La pace era da poco
conclusa quando il conflitto si riaccese tra i vincitori per la spartizione della Macedonia. I Bulgari
attaccarono di sorpresa gli ex alleati greci e scatenando una seconda guerra balcanica (1913-1914). Contro
la Bulgaria scesero in lotta anche la Romania e la stessa Turchia: il che provocò la sconfitta dei Bulgari, il
loro distacco dalla Russia e, poco dopo, l'allineamento con Vienna. Sotto l’ombrello dei Russi la Serbia
divenne la più fiera antagonista dell’espansionismo austriaco nei Balcani.

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