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Terza lezione:
Strategie di espressività
La luce è senza dubbio il più importante dei fattori “non tecnici” che definiscono la
buona riuscita di un’immagine. Il suo contributo non è, però, solo di tipo quantitativo.
Spesso chi fotografa pensa alla luce in termini di “luminosità”, ossia concentrandosi
principalmente su quella qualità coinvolta nella determinazione dell’esposizione.
Questo è appunto il tipico approccio quantitativo riassumibile nelle domande “quanta
luce c’è? Di quale intensità?”. Comunque, nonostante l’ovvia rilevanza perché si 1
ottengano immagini tecnicamente perfette, la giusta esposizione non assicura da sola il
valore creativo ed espressivo di una fotografia. La tecnica fotografica è esclusivamente
un mezzo per un fine, ossia uno strumento per dare forma a un’idea per comunicarla
nel modo più coinvolgente ed efficace possibile. Pertanto, il fotografo non può esimersi
dall’integrare l’approccio quantitativo con quello qualitativo, sintetizzato dalla
domanda: “Quale tipo di luce?”.
La luce, oltre a permettere di descrivere il soggetto mediante il noto processo ottico che
lo rende visibile sul supporto fotosensibile, ha tre principali funzioni di ugual
importanza:
frame le parti luminose e buie, in modo tale che una di queste prevali sull’altra e
faccia apparire l’immagine complessivamente chiara o scura.
La caratterizzazione del chiaro e dello scuro, inoltre, porta con sé l’idea di
profondità spaziale. In ambiente esterno, in particolar modo in condizioni di cielo
velato o coperto, gli elementi lontani appaiono più chiari di quelli vicini. Questo
fenomeno prende il nome di prospettiva aerea. Il chiaro diventa quindi simbolo
della lontananza, lo scuro della vicinanza.
Ad ogni modo, è bene ricordare che le aree bianche o comunque chiare sono
fortemente attrattive per l’occhio più di quelle scure. Per la sua valenza
percettiva questa reazione non può non avere effetti grafici in fase di
composizione dell’immagine. Infatti, collocando opportunamente nel
fotogramma le aree chiare e scure, l’autore può guidare la lettura
dell’osservatore verso le aree di maggior interesse ed anche impedirgli di distrarsi
su aree meno significative (più scure perché in ombra).
Esistono diversi modi di suddividere le luci in categorie. Prima di tutto la luce può essere
classificata in due macro-categorie: la luce continua (es. sole) e la luce non
continua/intermittente (flash).
La luce continua si propaga nello spazio e nel tempo, perciò dal punto di vista
fotografico essa può essere controllata sia dall’impostazione del parametro “tempo di
posa” che da quella dell’apertura di diaframma. La luce non continua, invece, poiché
intermittente e controllata elettronicamente (è sostanzialmente un lampo molto
intenso e che dura un istante), non si propaga nel tempo e quindi può essere
esclusivamente dosata attraverso il diaframma.
L’ottica ci insegna che l’intensità della luce si riduce a un quarto al raddoppiare della
distanza. Detto in altro modo, questo significa che l’intensità della luce aumenta di 4
volte se si dimezza la distanza tra il soggetto e la fonte luminosa. Questo asserto vale
per luci “non lontane” dal soggetto. Infatti, nel caso in cui la fonte luminosa sia il sole
(sorgente la cui intensità è notevolissima), questo è così distante da non influire il punto
di ripresa (se si sta fotografando in cima ad una montagna oppure sulla spiaggia). La
distanza è talmente grande che l’esposizione non sente gli effetti di variazione di
posizione del soggetto: tutti gli elementi saranno illuminati allo stesso modo e con la
stessa intensità.
INTENSITA’ (LUMINOSITÀ)
COLORE
La luce si può classificare in base alla temperatura colore della sorgente che la emette.
Più elevata è la sua temperatura colore, maggiore sarà la quantità di blu presente in
essa. Viceversa, abbassando i gradi KELVIN, la luce si colorerà di rosso arancio. Se si
fotografa a colori e non si desidera intervenire sull’immagine in post produzione,
occorre semplicemente prestare attenzione al colore della luce che caratterizza la scena
al momento dello scatto. Quando si lavora in bianco e nero, la variazione in gradi kelvin
della luce (il colore) è di norma irrilevante, a meno che la dominante non sia
DIREZIONE
La direzione della luce determina la distribuzione delle ombre degli elementi presenti
nella scena e, dunque, anche e soprattutto del soggetto. Questa caratteristica incide
sulla forma e sull’aspetto superficiale degli oggetti, una volta resi fotograficamente.
Nella fotografia a colori, le ombre sono sostanzialmente indesiderabili, perché rischiano
di aumentare il contrasto di una scena (nozione che si approfondirà nel prossimo
paragrafo), causando di conseguenza colori che appaiono innaturali. Come, invece, già
visto, le ombre sono il segno più efficace per creare l’illusione dello spazio
tridimensionale e sono indispensabili per caratterizzare la testura (l’aspetto materico
superficiale) e per produrre il contrasto grafico, che nel bianco e nero sostituisce il
colore.
Se non si hanno limitazioni nel variare la posizione relativa della sorgente di luce
rispetto al soggetto, le possibilità di sperimentare e attuare schemi d’illuminazione 9
diversi diventano infinite. Se la sorgente di luce è fissa, allora si sposterà il soggetto (se
l’operazione è consentita), o ancora si aspetterà un’ora del giorno adatta alle nostre
esigenze.
Si è soliti considerare naturale la luce che proviene da una posizione più o meno
inclinata, comunque dall’alto. Pertanto, una luce che al contrario deriva dal basso
(configurazione praticamente sconosciuta in natura) rende l’atmosfera dell’immagine
abbastanza inquietante, grottesca e quasi mai gradevole. Una luce frontale e posta
vicino al punto di ripresa (flash montato sulla fotocamera o built-in, ossia integrato)
produce un’illuminazione piatta che fa perdere il soggetto di tridimensionalità. Quando,
poi, in questa situazione si riprendono oggetti le cui superfici sono riflettenti (ad
esempio metalliche), parte della luce viene appunto riflessa e rimandata direttamente
all’indietro nell’obiettivo.
La luce laterale e quella proveniente dall’alto sono le soluzioni adatte a esaltare la
materia delle superfici, poiché esaltano le ombre. La luce, invece, che è puntata verso il
soggetto ma proviene da dietro (schema di controluce) mette in risalto i contorni e i
profili (effetto silhouette) facendoli apparire netti. In questo caso, si perde la visibilità di
ogni dettaglio del soggetto che si trova in ombra.
CONTRASTO
Il contrasto è il rapporto esistente tra le parti della fotografia più luminose e quelle più
in ombra. Le superfici fotosensibili, la pellicola e il sensore CCD, non sono in grado di
riprodurre l’intera gamma tonale che, invece, è capace di risolvere l’occhio umano. La
gamma dinamica è l’insieme di sfumature tonali (di colore, o di grigio se osservassimo in
bianco e nero) che l’uomo riesce a distinguere. Questo limite implica che, esponendo
correttamente una scena, le parti in ombra appariranno in fotografia molto più scure di
quanto siano nella realtà (rispetto alla nostra capacità visiva). Nell’immagine
mancheranno quei dettagli che invece l’occhio può arrivare a percepire nonostante la
poca luminosità di zone appunto scure. Al contrario, se si espongono correttamente le
ombre, le luci risulteranno “bruciate” e quindi, ancora una volta, non ne saranno
leggibili i dettagli.
In simili casi si rende necessario ridurre il contrasto tra luci e ombre. Così facendo si 10
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Da quanto appena visto è intuibile come il contrasto sia legato alla natura stessa della
luce e, quindi, a quella delle ombre che essa produce. Infatti, dal punto di vista
fotografico è possibile distinguere forme di luce più o meno contrastate.
QUALITA’ (forma)
Parlare delle qualità che descrivono la luce significa passarne in rassegna le forme in cui
essa può presentarsi e, dal punto di vista pratico, corrisponde ad analizzarne le ombre.
Esse possono essere dure e nette, morbide e sfumate. La luce contrastata, dura, è
quella che proietta ombre definite e profonde, mentre la luce non contrastata, diffusa,
produce ombre con contorni più morbidi e indistinti. Tra questi due estremi c’è
ovviamente tutta una gamma intermedia di luci, a ciascuna delle quali corrisponde
un’atmosfera ben precisa e stati d’animo diversi.
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Dalla serie “Io non ho mani che mi accarezzino il volto”, 1962 ©Mario Giacomelli
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L’uomo e il cane.
Portofino, 1936
©Herbert List
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Tellaro. 1982-1985 ©Luigi Ghirri
E’ importante sottolineare il fatto che il contrasto non ha nulla a che vedere con la
luminosità: una luce brillante può, infatti, essere diffusa e una luce debole può, al
contrario, essere contrastata.
Una luce dura si ottiene con un’illuminazione di tipo puntiforme come può essere quella
di un faretto, un proiettore o un piccolo flash, una lampadina, la luce del sole in una
giornata chiara e serena. Benché queste fonti siano molto diverse tra loro per colore ed
intensità, producono tutte ombre nette e profonde. Le luci morbide, al contrario, sono
prodotte da sorgenti che emettono luce attraverso superfici ampie. Esempi per questa
tipologia sono dati dalle lampade o dai flash con grandi parabole diffondenti, oppure dal
cielo coperto da nubi. Un’altra possibilità per ottenere una luce morbida è quella di far
rimbalzare i raggi luminosi sul soffitto (ribaltando ad esempio la sorgente), o un
ombrello di tipo riflettente. Per ottenere l’effetto contrario, ossia per generare una luce
più cruda, si può pensare di utilizzare un cartoncino nero a cui è stato praticato un foro.
Ma da cosa dipendono queste tutte queste relazioni tra tipologie di sorgente e forma
della luce da esse prodotte? In effetti, esse conseguono dalla dipendenza del contrasto
dal diametro effettivo della sorgente luminosa. Più piccolo è il diametro in questione più
contrasta è la luce; più grande è il diametro è più la luce è diffusa (basso contrasto). Per
giustificare l’uso del termine “effettivo”, piuttosto che “reale” per il diametro basta
considerare la sorgente luminosa del sole. In una giornata chiara e serena la luce solare
è dura e contrastata, anche se il Sole ha “in realtà” un diametro grandissimo (più di un
milione di chilometri). Ciò si spiega con la distanza (circa 150 milioni di chilometri) dalla
Terra che rende appunto i suoi effetti pratici in termini di contrasto paragonabili a quelli
di una sorgente con un piccolissimo diametro (sorgente puntiforme/ad alto contrasto). 15
Nella fotografia che fa uso dell’illuminazione artificiale di solito le sorgenti hanno un
diametro nella media. Questo rende la luce corrispondente né particolarmente
contrastata né particolarmente diffusa. In base a quanto detto precedentemente,
perché una sorgente di questo tipo emetta una luce a basso contrasto, occorrerà
aumentarne il diametro effettivo, ad esempio usando un riflettore più grande per la
lampada utilizzata, oppure anteponendo uno schermo diffusore tra sorgente e soggetto
(bank/soft-box). Perché l’effetto sia riscontrabile, occorre che lo schermo ingrandisca
effettivamente il diametro della sorgente e non generi una semplice riduzione
dell’intensità luminosa. Questo è possibile se lo schermo ha un diametro notevolmente
maggiore rispetto a quello della sorgente ed è posto da questa ad una giusta distanza
che permetta alla luce di illuminarlo completamente. Una configurazione come questa
permette di avere una luce molto meno contrastata, più morbida e diffusa, rispetto a
quella non schermata.
Quando, come nel caso visto inizialmente, le ombre generate sono troppo scure da
cancellare il dettaglio, possono essere alleggerite con una seconda sorgente a luce
diffusa, detta di schiarita. Il fotografo può così disporre di ombre ben definite, tipiche di
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Daniel Craig ©Rankin
©Rankin
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©Rankin
UNIFORMITA’
Si parla di luce uniforme quando i soggetti (gli elementi della scena) si trovano alla
stessa distanza dalla sorgente luminosa. Anzi, a voler essere ancora più precisi il
risultato è già uniforme quando la distanza che separa i soggetti è inferiore rispetto a
quella che li divide dalla fonte.
Per comprendere meglio questo fenomeno è sufficiente rispondere alla seguente
domanda: “quanto varia la luce al variare della distanza dalla sorgente luminosa”?
Consideriamo il caso in cui una sorgente puntiforme laterale illumina due soggetti, posti
a distanza di un metro l’uno dall’altro e con il soggetto più vicino lontano un metro dalla
fonte luminosa. Il soggetto più lontano dalla luce risulterà 4 volte meno luminoso
rispetto a quello vicino alla fonte: si dice che l’illuminazione per il soggetto distante è
inferiore di 2 stop.
Se nella configurazione scelta si allontana la luce di un altro metro la variazione di
luminosità tra i due soggetti si riduce (poco più di uno stop), assottigliandosi sempre più
concordemente all’aumentare della distanza della sorgente (poco più di un mezzo di
stop se la si pone a tre metri).
Questo andamento è in linea con la legge dell’inverso del quadrato della distanza che
afferma che l’intensità luminosa è inversamente proporzionale al quadrato della
distanza dalla sorgente.
In altre parole, raddoppiando la distanza tra la sorgente luminosa e il generico soggetto,
la luce si riduce ad un quarto; al quadruplicare della distanza, la luce diventa un
sedicesimo della sua iniziale intensità e così via.
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Per convincersi della veridicità della legge è sufficiente analizzare il fenomeno dal punto
di vista più puramente pratico ed essenziale. Una sorgente puntiforme emette un
numero finito di raggi di luce (fotoni) che nel loro cammino tendono ad allontanarsi
l’uno dall’altro. Ad una data distanza i fotoni illuminano una certa area; ad una distanza
doppia, lo stesso numero di fotoni, divergendo sempre di più, si trovano ad illuminare
un’area quattro volte superiore.
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Per fare un esempio concreto e riportare ancora nella pratica fotografica tali
considerazioni, basta pensare all’occasione di un ritratto in cui si utilizza una luce molto
vicina al viso del soggetto (es. 40cm). Si potrà subito notare che le spalle e soprattutto il
busto saranno molto meno illuminate rispetto alla testa. Trovandosi a quasi il doppio
della distanza testa - sorgente luminosa, il busto riceve il 25% (1/4) della luce che
interessa il viso. Se si volesse una luce uniforme su tutto il soggetto si dovrebbe
incrementare la distanza, ad esempio allontanando la luce, di un paio di metri
aumentandone ovviamente la potenza se si vuole conservare lo stesso valore di
esposizione. Lo stesso ragionamento potrebbe essere fatto nel caso ci si trovasse a
fotografare un gruppo di persone durante una festa. Per illuminare omogeneamente
tutto il gruppo con la stessa quantità di luce, si dovrebbe posizionare la luce ad una
distanza che rendi irrilevante quella tra i soggetti.
Tra gli elementi compositivi più importanti in un ritratto c’è sicuramente la luce.
L’illuminazione tenue tipica dell’alba e del tramonto è un buon ingrediente, a differenza
di quella dura e contrastata delle ore centrali del giorno. Per i ritratti in esterno è buona 21
regola cercare di posizionare il soggetto all'ombra quando il sole è alto in cielo.
©Francesca De Santis
Nelle ore iniziali o finali della giornata è consigliabile porre il soggetto in modo tale che il
sole si trovi a destra o sinistra del volto. Si sceglierà per un angolo di presa che sia dalla
parte opposta e, dopo aver optato per lunghezza focale ampia, è assai conveniente
attivare il flash al minimo dell'intensità al fine di illuminare leggermente, e quindi
schiarire, la zona del volto lasciata in ombra. Occorre evitare che il soggetto sia in
qualche modo abbagliato (luce negli occhi). In caso contrario la naturalezza del
protagonista della scena sarà impossibile da ottenere. La luce diffusa, offerta ad
esempio dal maltempo (cielo nuvoloso), oppure ottenuta attraverso una tenda, non
produce ombre troppo nitide ed è quindi sicuramente molto più gestibile.
Come già sottolineato, situazioni in cui il sole diretto è assente possono portare a
risultati molto validi. Addirittura, ci sono casi limite in cui un tempo decisamente brutto
o la presenza di diversi agenti atmosferici possono essere fattori determinanti per
realizzare immagini "insolite" e, per questo motivo, probabilmente molto più
accattivanti.
Momenti sicuramente interessanti, perché rendono l’atmosfera carica di intensità, sono
ad esempio gli attimi che precedono un forte temporale, in cui molto probabilmente le
nubi cariche di pioggia rendono nero il cielo, oppure quelli dopo un forte acquazzone
con le nuvole che lasciano spazio al ritorno del sole generando un contrasto assai
intrigante.
Chiaramente è possibile trovare spunti interessanti anche in condizioni di pioggia: ad
esempio è possibile sfruttare i riflessi prodotti dalle superfici che appaiono lucide e
simulano specchi, come le pozzanghere e l'asfalto bagnato. Inoltre è da sottolineare
l’importanza che può avere il far tornare a proprio vantaggio anche tutti le altre
condizioni atmosferiche che possono essere considerate ad una prima analisi poco
favorevoli. La nebbia ad esempio può aggiungere un tocco di mistero; la foschia del
mattino attribuisce all’atmosfera una componente surreale ed onirica. 23
Infine la scelta del "quando" scattare potrebbe ricadere anche sulla notte.
©Luigi Ghirri
Categorie di contrasto
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©Francesca De Santis
Contrasto cromatico
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©Francesca De Santis
©Francesca De Santis
contrasto di nitidezza
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©Francesca De Santis
©Francesca De Santis
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Contrasto di forma
©Aino Kannisto
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©Francesca De Santis
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Tra gli strumenti del fotografo ci sono scelte tecniche ed espedienti di rappresentazione
che permettono di aumentare o diminuire la prospettiva.
Per esempio, l’uso del grandangolo produce come primo effetto quello di aumentare il
senso di profondità. Le linee, infatti, sembreranno congiungersi all’infinito e
appariranno più lontane di quello che effettivamente sono concordemente con l’effetto
di aumento delle distanze. Al contrario, l’uso del teleobiettivo comporta un effetto di
appiattimento degli elementi presenti (appaiono sullo stesso piano).
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©Francesca De Santis
©Francesca De Santis
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©Guy Bourdin
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©Francesca De Santis
©Francesca De Santis
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