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Come si individuano i creditori del fallito?

Un soggetto è creditore di un altro e se l’altro non paga


si ricorre al tribunale competente per accertare il suo titolo e in caso di inadempimento si può far
valere una procedura esecutiva per riscuotere il proprio credito. In ambito fallimentare tale
procedura individuale non sussiste, perché il senso delle procedure concorsuali è proprio quella
della par condicio creditorum. Rilevano esclusivamente i crediti precedenti alla dichiarazione di
fallimento, quelli venuti dopo a meno che non siano i crediti in prededuzioni derivati dalla
procedura stessa sono inopponibili all’attivo fallimentare.
Quali sono i debiti da soddisfare? Dinanzi al tribunale fallimentare, attraverso il procedimento
dell’accertamento del passivo descritto negli artt. 92 e seguenti, domanda di insinuazione al passivo
permette al creditore di fare domanda per essere soddisfatto del proprio credito che quindi viene
accertato dagli organi fallimentari preposto a tale compito. Se un soggetto promuove una causa
prima della dichiarazione di fallimento, e successivamente il fallimento dichiarato anche colui che
aveva promosso una causa nei confronti del futuro fallito deve passare per il procedimento di
insinuazione al passivo. L’unica cosa richiesta al creditore è quella di presentare la domanda. Il
procedimento inizia con una domanda che ciascun creditore deve promuovere, il termine è fissato
nella dichiarazione esecutiva di fallimento. Si fissa un primo termine di lì a 120 giorni in cui si
svolgerà l’adunanza di fronte al giudice delegato e poi si fissa un altro termine entro il quale tutti
coloro che sono creditori devono presentare domanda di insinuazione tempestiva al passivo, c’è la
possibilità anche di una domanda tardiva. La domanda si presenta alla cancelleria del giudice
delegato, chiarirà il titolo della sua pretesa, la somma per cui deve essere soddisfatto, dichiarerà
eventuali crediti privilegiati e consegnerà la documentazione che testimonia il proprio credito. Nei
primi 15 giorni il curatore fa un progetto di stato passivo e decide sulle singole domande
accettandole o meno. I creditori hanno dieci giorni per opporre le proprie motivazioni. Il giorno
dell’udienza il giudice delegato esamina le varie domande e dopo aver sentito le ragioni del curatore
e dei singoli creditori decide sulle singole domande. Si arriva dunque a un documento finale,
rilasciato per decreto del giudice delegato che è lo STATO PASSIVO. Nel documento sono presenti
gli unici crediti concorrenti che potranno aspirare ad essere oggetto della liquidazione dei beni del
fallito. Lo stato passivo può essere anche impugnato :
1. Opposizione  strumento che ha il creditore la cui domanda o non sia stata accolta o
accolta in parte, promuove un’azione in contradditorio con il curatore per vedere accolta la
sua domanda
2. Impugnazione  azione del creditore che la esercita nei confronti della domanda di un altro
creditore, perché nella sua idea non era presentabile
3. Revocazione azione contro un atto dello stato passivo nel caso in cui sia stato viziato da
dolo o colpa grave
La legge si rende conto che a volte non è possibile presentare domanda in tempo, e dunque ci
potrebbero essere dei creditori che non avevano avuto notizia del fallimento. La legge consente
domande di impugnazione tardiva purchè intervengano entro 12 o al massimo 18 mesi dalla data
dello stato passivo. Se neppure entro questo termine il creditore ha proposto domanda può farlo, se
dimostra che la mancata presentazione della domanda non è dipesa da una sua mancanza, però solo
a patto che sia rimasto qualcosa da liquidare dal passivo. Ci sono due conseguenze: se nel termine
di trenta giorni fissata per lo stato passivo il fallimento si chiude. La seconda è la seguente: man
mano che ci sono risorse da distribuire secondo scadenze parziali vengono distribuite, se io presento
domanda tardiva perdo diritti sui beni che sono stati già distribuiti, a meno di crediti privilegiati. Il
curatore dovrà pagare esclusivamente i crediti accertati nella procedura dello stato passivo. Ogni
quattro mesi il giudice delegato fa un’udienza per accertare crediti prededucibili che nel frattempo
sono sorti.
Il curatore nei primi mesi è tenuto a presentare un programma di liquidazione, l’atto di
pianificazione e di indirizzo della liquidazione dell’attivo. Deve esplicitare se vuole esercitare
l’amministrazione provvisoria dell’azienda, se vuole affittare l’azienda, e tale documento è cosi
importante che non solo viene comunicato al comitato dei creditori ma deve essere anche approvato
dallo stesso. Una volta approvato dal comitato dei creditori il programma di liquidazione viene
approvato dal giudice delegato. Nel programma di liquidazione il curatore deve indicare cosa
intende fare dell’impresa o dell’azienda in crisi e deve indicare se è necessario proseguire la
gestione dell’impresa o se non sia il caso di affittare l’intera azienda o alcuni rami, affinchè i terzi si
assumano l’onere di gestirla durante la procedura fallimentare, la scelta non ha mai come interesse
perseguito quello della continuazione dell’impresa o la tutela dei posti di lavoro, come puo
emergere nell’amministrazione temporanea. L’unico interesse della procedura fallimentare è quello
di massimizzare la liquidazione per la migliore soddisfazione dei creditori sociali. Si potrebbe anche
perseguire una tutela dei lavoratori ma solo nel momento in cui questi diviene anche l’interesse per
la liquidazione dei creditori sociali.
Art 104 individua i casi in cui è opportuno proseguire la gestione dell’impresa provvisoriamente:
già quando il tribunale dichiara il fallimento, potrebbe essere decisa la continuazione dell’impresa
se dalla cessazione può derivare un danno grave purchè la continuazione non arrechi pregiudizio ai
creditori.
Art 104 bis  affitto dell’azienda che permette la continuazione dell’attività, ma non a carico dei
creditori, ma di terzi. Sarà il terzo a conservarla in attività e che però non genera costi a carico del
fallimento.
Artt. 72 e seg,  rapporti pendenti, contratti ancora in corso di esecuzione. Che cosa ne è di questi
contratti? La legge dà una risposta di due tipi: la norma generale dice, che tutti i contratti pendenti,
se non è previsto diversamente negli articoli successivi, si sospendono. A questo punto o il curatore
subentra in questi rapporti o può tirarsi fuori da tali contratti senza dovere il risarcimento del danno.
Poi c’è una serie di articoli che prevedono singole regole per singoli tipi di contratto  regole che
possono prevedere la continuazione automatica del contratto o la cessazione dello stesso. Il
contratto di contocorrente bancario per esempio si scioglie automaticamente, se io ho un
contocorrente in rosso di diecimila euro, fallisco e dopo il fallimento un terzo fa un bonifico di
diecimila euro la banca può prendersi quei soldi, e questo sarebbe contro la par condicio
creditorum, per cui si sciolgono ab origine.
Ultimo profilo del fallimento è la liquidazione del fallimento. Cioè la trasformazione del patrimonio
in denaro. Quali sono le regole? Prima del 2005 le regole erano farraginose e poco efficienti, il
sistema riformato si ispira a una modalità operativa ispirata ad alcuni principi: per vendere un bene
dell’attivo il curatore deve attivare una procedura competitiva, di gara. il curatore deve poi scegliere
la gara che secondo lui consente la massima partecipazione di negoziatori per massimizzare la
liquidazione. Interrompere le procedure di vendita la dove emerga che il prezzo che sta prendendo
piede è un prezzo vile, incapace di soddisfare le pretese dei creditori. C’è un ultimo principio che
riguarda l’art.105 della legge fallimentare, di per sé il creditore deve provare a vendere l’azienda
unitariamente considerata, la cessione dei singoli beni è possibile solo se la parcellizzazione dei
beni permette una vendita più efficace. Il denaro preso dalla liquidazione va distribuito. Non
bisogna pensare alla distribuzione come l’ultimo atto in senso cronologico, perch è una volta che è
stato dichiarato lo stato passivo, ogni quattro mesi si procede a una divisione delle risorse ove
possibile. Nella distribuzione di queste risorse bisogna seguire un ordine enunciato all’art 111 della
legge fallimentare:
1. Creditori prededucibili  sono quelli cosi qualificati dalla legge ma in generale quelli sorti
in funzione delle procedure concorsuali, i crediti sorti per il funzionamento della procedura.
2. Creditori privilegiati  possessori di pegni, ipoteche o privilegi rispetto alla vendita dei
beni per cui si aveva pegno, ipoteca o privilegio
3. Creditori chirografari  se avanza qualcosa dopo la soddisfazione dei primi due, vengono
soddisfatti i creditori privi di garanzie.
Periodicamente dunque, secondo tale ordine, il curatore distribuisce le risorse, trattenendo sempre
circa il 20% del distribuibile per affrontare eventuali spese non previste.
Liquidato tutto il patrimonio, il curatore procede a stilare i costi della sua gestione e alla chiusura
del fallimento.
Tale chiusura sussiste in 5 casi :
1. mancanza di domande tempestive di insinuazione
2. Quando tutti i creditori sono stati soddisfatti
3. Quando è compiuta la liquidazione finale dell’attività
4. Quando nel corso della procedura si accerta che il procedimento della procedura è inutile,
perche non solo ci sono beni per pagare i creditori, ma nemmeno per pagare i creditori
prededucibili, e lasciare che ogni creditor proponga azioni individuali sul patrimonio.
5. D
Una volta che il fallimento si chiude i creditori sono posti nella situazione di porre tutte le azioni
esecutive o cautelari, a meno che non si utilizzi l’istituto della esdebitazione, introdotto nel 2006.
Occupano lo spazio precedentemente occupati dalla riabilitazione. Oggi la legge consente a certe
condizioni che il fallito, come persona fisica, possa chiuso il fallimento, attingere al beneficio della
esdebitazione, che una volta pronunciato, se anche ci sono dei creditori dell’impresa non soddisfatti
per l’intero, quei creditori non hanno piu strumenti per essere soddisfatti dal fallito. È una scelta che
l’ordinamento italiano ha ricevuto da ordinamenti anglosassoni e americana, per favorire una
emersione rapida delle crisi e una gestione veloce da parte dell’imprenditore. È una misura per
incentivare una rapida gestione della crisi. I principi per cui si puo avere accesso, sono da un parte
che i creditori siano stati almeno in parte soddisfatti, e che il fallito abbia collaborato allo buono
svolgimento della procedura, non l’abbia ostacolata. La esdebitazione produce effetti anche nei
confronti del creditore fallimentare non concorrente.

In passato si sarebbe detto che la procedura principale era quella fallimenatre e poi c’erano
delle figure minori, che si presentavano come degli accordi tra creditori, prescindendo dal
fallito.
Tali procedure sono state riformate e si è arrivati a sostenere che la vicenda della crisi mette in
dubbio i crediti dei creditori e che quindi forme negoziali della soluzione della crisi debbano essere
incentivati. Troviamo quindi il concordato preventivo,
concordato fallimentare
si tratta di istituti che a prescindere dalla collaborazione del fallito tendono a soddisfare nella misura
massima la volontà dei creditori, relegando al giudice mere facoltà di controllo.
Prima della riforma i concordati erano dei modi per l’imprenditore per evitare di fallire e dunque
poteva accedere a tali procedure solo il buon imprenditore che rispondesse a dei requisiti. Era un
beneficio perché si godeva dell’esdebitazione . il concordato, ed in particolar modo quello
preventivo, aveva dei contenuti previsti dalla legge: con cessione dei beni, un concordato dilatorio
(pago tutti, ma piu in la con il tempo) o remissorio (pago tutti, ma in percentuale). Per decidere si
utilizzava il criterio a maggioranza. Tutto pero valutato dal tribunale che dunque aveva il compito
valutare se il debitore avesse i requisiti e se tale procedura era conveniente per i creditori.
La legge di riforma ha relegato i poteri del tribunale a un controllo di mera legittimità, esso non
valuta più la convenienza economica che è lasciata alla valutazione dei creditori. Un’altra differenza
è il peso delle minoranze  prima era richiesto un numero di creditori che fossero i 2/3 del totale e
che rappresentasse anche il 50% +1 dei crediti. Oggi è richiesto solo che i creditori rappresentino il
50%+1 dei crediti. Il proponente del concordato in più può proporre qualsiasi tipo di contenuto per
la ristrutturazione del debito, e dunque non si è più ristretti nei tre tipi di concordati sopra descritti.
Un’altra possibilità è quella di non pagare per intero i creditori privilegiati, oggi la legge consente di
falcidiare anche i crediti dei creditori privilegiati, purchè gli si dia quanto riuscirebbero ad ottenre
quanto otterrebbero dalla liquidazione del bene oggetto di privilegio.
Possiamo immaginare concordato preventivo e fallimentare come un unico istituto con delle
differenze che

IL CONCORDATO PREVENTIVO
5 fasi:

1. Presentazione del ricorsoil concordato si presenta al tribunale competente, quello


preventivo è presentato esclusivamente dal soggetto in crisi. Si compone di tre cose:
a. Una domanda chiedo di essere ammesso alla procedura di concordato e nel
chiedere di essere ammesso presento una serie di documenti
b. Una proposta  un tipo di soluzione della crisi che il debitore deve esporre ai
creditori, pago tutti ma al 40%
c. Un piano  è la strada attraverso il quale io arrivo ad attuare la proposta. Soggetto e
piano sono svolti da un professionista indipendente che deve assicurare la fattibilità
della proposta e del piano.
d. Ammissione  A questo punto c’è una risposta del tribunale alla domanda di
concordato, ammettendo o meno quella impresa alla procedura. Se ritiene che ci
siano tutte le condizioni formali per l’ammissione al concordato, ammette l’impresa
al concordato, facendo due cose : nomina un commissario e un giudice delegato e
fissa un’adunanza dei creditori non oltre 120 giorni che deve votare la proposta. Che
succede nel mentre? Non esiste un meccanismo di spossessamento
dell’imprenditore, il quale però se vuole compiere atti di straordinaria
amministrazione deve essere autorizzato dal tribunale. Allo stesso tempo i creditori
non possono promuovere azioni esecutive individuali
2. Approvazione  è il momento in cui i creditori si esprimono sulla proposta, rispetto alla
convenienza economica della quale si esprimono o creditori, secondo un sistema a
maggioranza che privilegia il dato capitalistico, bastano i creditori che rappresentano il
50%+1 del credito totale. Se i creditori bocciano la proposta, allora c’è la possibilità di
aprire la procedura fallimentare, se invece la proposta è accolta si passa all’omologazione
3. Omologazione  è un passaggio che di per sé non consente al tribunale una valutazione
della convenienza economica o della fattibilità della proposta, il tribunale valuta solamente
che la procedura si sia svolta nella maniera corretta, non valuta nel merito. Unico caso di
merito è il cramdown  il tribunale eccezionalmente può valutare la convenienza
economica della proposta nelle ragioni di chi si oppone, non in generale. E se valuta che la
procedura di fallimento avrebbe conseguenze ancora peggiori allora cramdown.
4. Esecuzione  come tutti gli accordi può essere risolto, ci può essere eventualmente un
annullamento

Concordato fallimentare  sul piano dei contenuti è uguale a quello fallimentare, cambiano
solo alcune regole, per il motivo che esso è proposto dentro la procedura di fallimento, non
mi devo preoccupare dell’operato del debitore perché è gia spossessato e non mi devo
preoccupare delle azioni individuali dei singoli creditori.

Il d.l. 35/2005 ha innovato in maniera sostanziale l’istituto del concordato preventivo, mutandone i
presupposti, la funzione e il procedimento.
Da una parte è venuta meno l’esigenza che l’imprenditore, che intenda accedere a tale procedura,
presenti caratteri formali e sostanziali di meritevolezza; dall’altra, presupposto oggettivo della
procedura non è più lo stato di insolvenza, bensì lo STATO DI CRISI.
È rimasta immutata, invece, l’esclusiva legittimazione dell’imprenditore per richiedere la
procedura, cioè il carattere volontario della stessa: il presupposto soggettivo è, quindi, la sola
qualità di imprenditore commerciale, con esclusione degli enti pubblici.
A questo ampliamento soggettivo, si aggiunge un ampliamento oggettivo: lo STATO DI CRISI
comprende un’ampia fascia di situazioni, che vanno da “mere condizioni di difficoltà” fino allo
“stato di insolvenza”.
LA FASE PRELIMINARE
L’iniziativa del debitore, unico legittimato, si apre con il deposito, presso il Tribunale nella cui
circoscrizione è la sede principale dell’impresa, di una proposta di concordato preventivo (ricorso)
che contenga un piano, nel quale vengano identificati: a)I mezzi, le modalità, gli strumenti per una
ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti; b) Sia previsto l’intervento di un assuntore,
che acquisisca l’attivo ed estingua la debitoria (nei limiti quantitativi indicati nella proposta stessa).
La norma indica solo il “possibile contenuto” del piano, la cui concreta determinazione è rimessa
all’autonomia dell’imprenditore.
Destinatari della proposta sono i creditori chirografari e i creditori privilegiati.
La domanda, ovviamente, può essere proposta solo dall’imprenditore; ove si tratti di società, si
applicano le stesse regole previste per il concordato fallimentare.
Unitamente al ricorso, da comunicare anche al PM, devono essere depositati: un’aggiornata
relazione sulla situazione patrimoniale dell’impresa e uno stato analitico delle attività e un elenco
nominativo dei creditori.

IL PROVVDIMENTO DI AMMISSIONE
Il Tribunale dovrà verificare la presenza della documentazione menzionata e, nel merito, l’esistenza
dell’attestazione del professionista in ordine alla veridicità dei dati aziendali.
1)Se il Tribunale, all’esito del procedimento istruttorio, ritenga che non sussistono le condizioni per
l’apertura della procedura, prima di pronunciarsi sulla domanda, deve ordinare la comparizione del
debitore in camera di consiglio; qualora ritenga non sussistenti le condizioni previste dalla legge,
dichiara inammissibile la proposta con decreto non soggetto a reclamo;
2)Se invece il Tribunale ritiene AMMISSIBILE la proposta, apre la procedura con un decreto: con
tale decreto il Tribunale nomina il giudice delegato e un commissario giudiziale, ordina la
convocazione dei creditori e stabilisce un termine per il deposito, da parte del debitore, di una
somma pari a una percentuale compresa tra il 20% e il 50% di quella presumibilmente necessaria
per l’intera procedura. (Si ritiene che il decreto di ammissione alla procedura non sia impugnabile,
il quanto la sede per il suo riesame sarebbe il giudizio di omologazione).
Il debitore, pur dopo l’ammissione alla procedura, conserva l’amministrazione dei propri beni e
prosegue nell’esercizio dell’impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale. Una serie di atti,
considerati di straordinaria amministrazione (es. mutui, transazioni, compromessi, ecc) sono
inefficaci rispetto ai creditori anteriori alla proposta di concordato, se compiuti senza
l’autorizzazione del giudice delegato.
Non va dimenticato, peraltro, che in qualsiasi momento il commissario giudiziale accerti che il
debitore abbia occultato o dissimulato parte dell’attivo, ovvero abbia compiuto atti in frode, o atti di
straordinaria amministrazione senza la prescritta autorizzazione, ne riferisce al Tribunale.
Questo apre d’ufficio il procedimento per la REVOCA dell’ammissione alla procedura, dandone
comunicazione al PM e ai creditori. All’esito della procedura, se c’è istanza in tal senso da parte di
coloro, il Tribunale, qualora accerti l’esistenza dei presupposti di cui agli artt. 1 e 5 L. Fall, emette
SENTENZA DI FALLIMENTO.
Nota: l’ammissione alla procedura di concordato non incide sui RAPPORTI CONTRATTUALI IN
CORSO; opera, invece, come fatto preclusivo per l’inizio o la prosecuzione di azioni esecutive dei
creditori (sia privilegiati che chirografari) sui beni del debitore.
Alla procedura di concordato si applicano gli art. 45 e dal 55 al 63 della L Fall. dettati in tema d
fallimento, con riferimento ai rapporti con i creditori. Tra l’altro, quindi, viene sospeso il decorso
degli interessi per i crediti chirografari.
I. Il commissario giudiziale deve provvedere a convocare i creditori, siano essi chirografi o
privilegiati, a redigere l’inventario del patrimonio del debitore e a predisporre una relazione che
illustri le “cause” della crisi e la proposta di concordato;
II. In sede di ADUNANZA DEI CREDITORI, il commissario giudiziale illustra la propria
relazione, i creditori espongono il punto di vista sulla proposta, il debitore partecipa fornendo, tra
l’altro, i dovuti chiarimenti;
III. I creditori chirografari e i creditori per i quali non sia previsto un soddisfacimento del credito,
sono chiamati a pronunciarsi sulla proposta, esprimendo un VOTO;
IV. L nuova disciplina del concordato, per agevolare il ricorso alla procedura, prevede rispetto al
passato una ridotta percentuale di consenso da parte del ceto creditorio ai fini delle maggioranze
richieste per l’approvazione del concordato → Il concordato è approvato se riporta il voto
favorevole di tanti creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi. Se non si
raggiunge la maggioranza richiesta, non è possibile la presentazione di una proposta migliorativa; è
tuttavia possibile la presentazione di una «nuova proposta».
Nota → Il mancato raggiungimento delle maggioranze non legittima una dichiarazione di
fallimento, in assenza dell’accertamento dello stato di insolvenza e della richiesta in tal senso dei
creditori o del PM).

OMOLOGAZIONE
Secondo quanto dispone l’art. 180 L Fall il rito si svolgerà secondo il procedimento in camera di
consiglio. Se il concordato è approvato, il Tribunale fissa l’udienza in camera di consiglio. Il
debitore, il commissario giudiziale, eventuali creditori dissenzienti devono costituirsi almeno 10
giorni prima dell’udienza, e nel termine medesimo il commissario giudiziale deve depositare parere
motivato.
● Se non sono state proposte opposizioni, il Tribunale, verificata la regolarità della procedura e il
raggiungimento delle maggioranze, OMOLOGA il concordato con decreto motivato non
impugnabile; se sono state proposte opposizioni, il Tribunale assume gli opportuni mezzi istruttori e
provvede in ordine alla omologazione (contro il decreto che approva il concordato, in presenza di
opposizione, è previsto il reclamo alla Corte d’Appello).
● Se respinge il concordato, il Tribunale dichiara, su istanza del creditore o su richiesta del PM, e
previo accertamento dei presupposti di legge, il fallimento del debitore, con sentenza emessa
contestualmente al decreto.

Con la definitività del decreto di omologazione, il procedimento di concordato prosegue ai soli fini
del suo adempimento (il commissario giudiziale sorveglia l’esecuzione del concordato e ne riferisce
al giudice delegato).
Il concordato, una volta omologato, è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla domanda di
ammissione e, una volta soddisfatti nel limite del concordato, ogni obbligazione del debitore nei
loro confronti è estinta.
Si devono pagare anche i creditori inclusi nell’elenco predisposto dal commissario giudiziale, ma
che non hanno partecipato alla procedura (es. che non sono intervenuti in adunanza) o che hanno
votato contro la proposta di concordato. Invece, i creditori estranei alla procedura (quelli non
avvisati del concordato o non inseriti nell’elenco) possono agire in giudizio contro il creditore
concordatario per ottenere il riconoscimento del loro credito e procurarsi un titolo esecutivo per il
loro pagamento.

GLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI


Il d.l. 35/2005 ha introdotto nella legge fallimentare questa sub-specie di concordato preventivo: si
tratta di una procedura che velocizza il risanamento dell’esposizione debitoria perché basata su
patti stragiudiziali fra debitore e parte dei creditori (almeno il 60%).
Il debitore deposita in Tribunale questo accordo stipulato con i creditori (per almeno il 60% dei
crediti), che deve essere accompagnato dalla relazione di un esperto sull’attuabilità dell’accordo,
con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori rimasti
estranei all’accordo stesso.
Il d. lgs. 169/2007, per agevolare l’utilizzazione degli accordi di ristrutturazione, aveva stabilito che
per 60 giorni decorrenti dalla data di pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese, fossero
inibite ai creditori azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore e che eventuali azioni in
essere fossero sospese.
Il D.L. 78/2010 è intervenuto nuovamente sulla materia, disponendo una estensione della
preclusione per i creditori della possibilità di iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive: tale
divieto, infatti, è stato esteso anche alle trattative funzionali alla stipulazione dell’accordo di
ristrutturazione.
A tal fine è necessaria una richiesta dell’imprenditore, corredata da una sua dichiarazione che attesti
la presenza di trattative in corso con i creditori che devono rappresentare almeno il 60% dei crediti:
in questo modo l’imprenditore potrà beneficiare di un’anticipazione temporanea degli effetti
inibitori alla fase precedente il perfezionamento dell’accordo di ristrutturazione.

LA TRANSAZIONE FISCALE
In sede di riforma, è stato disciplinato il nuovo istituto della TRANSAZIONE FISCALE. Essa
consente di includere, nella proposta di concordato preventivo, i crediti tributari, anche se non
ancora iscritti a ruolo, favorendo così l’adozione della procedura di composizione negoziale della
crisi.
Il debitore, con il piano di ristrutturazione previsto ex art. 160 L Fall, può proporre un pagamento
parziale o una dilazione del pagamento dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi
accessori, a eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell’UE (per questi è ammessa solo una
dilazione).
La proposta di pagamento parziale, o dilazione, può avere a oggetto sia crediti tributari chirografari,
sia crediti tributari privilegiati.
Le agenzie fiscali, al pari di tutti i creditori, potranno esprimere il proprio consenso/dissenso in sede
di adunanza dei creditori.

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